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Saturday, March 16, 2024

GRICE ITALICO A/Z E

 

Grice ed Eccelo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucania). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean. It is thought that fragments of a text attributed to POLO di Lucania may have been written by Eccelo.

 

Grice ed Eccecrate – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean.

 

Grice ed Eco – la rosa segnata -- il nome del nome – filosofia italiana – Luigi Speranza (Alessandria). Filosofo italiano. Grice: “Eco thought that his “Guglielmo da Bascavilla” was a clever composite of Holmes, who deciphered the enigma of the Baskervilles, and William Occam – and has his tutee claim that he died of the black plague – but Gal has now discovered he did not!” -- Eco philosophised at the oldest varsity, BolognaGrice: “Of course, ‘varsity’ is over-rated, as I’m sure Cicero would agree!” -- Grice: “I would not call Eco a philosopher, since his dissertation is on aesthetics in Aquinas! Plus, he wrote a novel!” -- scuola bolognese-- possibly, after Speranza, one of the most Griceian of Italian philosophers (Only Speranza calls himself an Oxonian, rather!“Surely alma mater trumps all!”). Figlio di Giulio, un impiegato nelle Ferrovie, e Rita Bisio, conseguì la maturità al liceo classico Giovanni Plana di Alessandria, sua città natale. Tra i suoi compagni di classe, vi era il fisarmonicista Gianni Coscia, con il quale scrisse spettacoli di rivista. In gioventù fu impegnato nella GIAC (l'allora ramo giovanile dell'Azione Cattolica) e nei primi anni cinquanta fu chiamato tra i responsabili nazionali del movimento studentesco dell'AC (progenitore dell'attuale MSAC). Abbandonò l'incarico (così come avevano fatto Carlo Carretto e Mario Rossi) in polemica con Luigi Gedda. Durante i suoi studi universitari su Tommaso d'Aquino, smise di credere in Dio e lasciò definitivamente la Chiesa cattolica; in una nota ironica, in seguito commentò: «si può dire che lui Tommaso d'Aquino mi abbia miracolosamente curato dalla fede».  Laureatosi in filosofia a Torino (agli esami riportò sempre 30/30, anche con lode, tranne quattro casi: filosofia teoretica e letteratura latina, in cui ottenne 29/30, e storia della letteratura italiana e pedagogia, entrambi superati con 27/30)  con relatore Pareyson e tesi sull'estetica di San Tommaso d'Aquino (controrelatore Augusto Guzzo), cominciò a interessarsi di filosofia e cultura medievale, campo d'indagine mai più abbandonato (vedi il volume Dall'albero al labirinto), anche se successivamente si dedicò allo studio semiotico della cultura popolare contemporanea e all'indagine critica sullo sperimentalismo letterario e artistico. Pubblicò il suo primo libro, un'estensione della sua tesi di laurea dal titolo Il problema estetico in San Tommaso. Partecipò e vinse un concorso della Rai per l'assunzione di telecronisti e nuovi funzionari; con Eco vi entrarono anche Furio Colombo e Gianni Vattimo. Tutti e tre abbandonarono l'ente televisivo entro la fine degli anni cinquanta. Nel concorso successivo entrarono Emmanuele Milano, Fabiano Fabiani, Angelo Guglielmi, e molti altri. I vincitori dei primi concorsi furono in seguito etichettati come i "corsari" perché seguirono un corso di formazione diretto da Pier Emilio Gennarini e avrebbero dovuto, secondo le intenzioni del dirigente Filiberto Guala, "svecchiare" i programmi. Con altri ingressi successivi, come quelli di Gianni Serra, Emilio Garroni e Luigi Silori, questi giovani intellettuali innovarono davvero l'ambiente culturale della televisione, ancora molto legato a personalità provenienti dall'EIAR, venendo in seguito considerati come i veri promotori della centralità della RAI nel sistema culturale italiano.  Dall'esperienza lavorativa in RAI, incluse amicizie con membri del Gruppo 63, Eco trasse spunto per molti scritti, tra cui il celebre articolo Fenomenologia di Mike Bongiorno. Codirettore editoriale della casa editrice Bompiani. Pubblicò il saggio Opera aperta che, con sorpresa dello stesso autore, ebbe notevole risonanza a livello internazionale e diede le basi teoriche al Gruppo 63, movimento d'avanguardia letterario e artistico italiano che suscitò interesse negli ambienti critico-letterari anche per le polemiche che destò criticando fortemente autori all'epoca già "consacrati" dalla fama come Carlo Cassola, Giorgio Bassani e Vasco Pratolini, ironicamente definiti "Liale", con riferimento a Liala, autrice di romanzi rosa. Ebbe inizio anche la sua carriera universitaria che lo portò a tenere corsi, in qualità di professore incaricato, in diverse università italiane: Torino, Milano, Firenze e, infine, Bologna dove ha ottenuto la cattedra di Semiotica, diventando Professore. All'Bologna è stato fra i fondatori del primo corso di laurea in DAMS, poi è stato direttore dell'Istituto di Comunicazione e spettacolo del DAMS, e in seguito ha dato inizio al corso di laurea in Scienze della comunicazione. Infine è divenuto Presidente della Scuola Superiore di Studi Umanistici, fondata nel 2000, che coordina l'attività dei dottorati bolognesi del settore umanistico, e dove ha ideato il Master in Editoria Cartacea e Digitale.  Nel corso degli anni ha insegnato come professore invitato alla New York University, Northwestern University, Columbia University, Yale, Harvard (Norton lectures sponsored by the Department of Romance Languages), University of California-San Diego, Cambridge, Oxford – Weidenfeld lectures at the female-only St. Anne’s, São Paulo e Rio de Janeiro, La Plata e Buenos Aires, Collège de France, École normale supérieure (Parigi). Nell'ottobre 2007 si è ritirato dall'insegnamento per limiti di età. Dalla fine degli anni cinquanta, Eco cominciò a interessarsi all'influenza dei mass media nella cultura di massa, su cui pubblicò articoli in diversi giornali e riviste, poi in gran parte confluiti in Diario minimo e Apocalittici e integrati. Apocalittici e integrati (che ebbe una nuova edizione) analizzò con taglio sociologico le comunicazioni di massa. Il tema era già stato affrontato in Diario minimo, che includeva tra gli altri il breve articolo Fenomenologia di Mike Bongiorno.  Sullo stesso tema, ssvolse a New York il seminario Per una guerriglia semiologica, in seguito pubblicato ne Il costume di casa e frequentemente citato nelle discussioni sulla controcultura e la resistenza al potere dei mass media.  Significativa fu anche la sua attenzione per le correlazioni tra dittatura e cultura di massa ne Il fascismo eterno, capitolo del saggio Cinque scritti morali, dove individuava le caratteristiche, ricorrenti nel tempo, del cosiddetto "fascismo eterno", o "Ur-fascismo": il culto della tradizione, il rifiuto del modernismo, il culto dell'azione per l'azione, il disaccordo come tradimento, la paura delle differenze, l'appello alle classi medie frustrate, l'ossessione del complotto, il machismo, il "populismo qualitativo Tv e Internet" e altre ancora; da esse e dalle loro combinazioni, secondo Eco, è possibile anche "smascherare" le forme di fascismo che si riproducono da sempre "in ogni parte del mondo".  In un'intervista del 24 aprile  mise in evidenza la sua visione rispetto a, della quale Eco si definiva un "utente compulsivo", e al mondo dell'open source. Pubblicò il suo primo libro di teoria semiotica, La struttura assente, cui seguirono il fondamentale Trattato di semiotica generale e gli articoli per l'Enciclopedia Einaudi poi riuniti in Semiotica e filosofia del linguaggio.  Fondò VersusQuaderni di studi semiotici, una delle maggiori riviste internazionali di semiotica, rimanendone direttore responsabile e membro del comitato scientifico fino alla morte. È anche stato segretario, vicepresidente e dal 1994 presidente onorario della IASS/AIS ("International Association for Semiotic Studies"). È stato invitato a tenere le prestigiose conferenze Tanner (Cambridge), Norton (Harvard), Goggio (Toronto), Weidenfeld lectures on comparative literature and translation, sponsored by the female-only college St. Anne’s (Oxford,) e Richard Ellmann (Università Emory). Collaborò sin dalla sua fondazione, nel 1955, al settimanale L'Espresso, sul quale tenne in ultima pagina la rubrica La bustina di minerva (nella quale, tra l'altro, dichiarò di aver contribuito personalmente alla propria voce su ), ai giornali Il Giorno, La Stampa, Corriere della Sera, la Repubblica, il manifesto e a innumerevoli riviste internazionali specializzate, tra cui Semiotica (fondata da Thomas Albert Sebeok), Poetics Today, Degrès, Structuralist Review, Text, Communications (rivista parigina del EHESS), Problemi dell'informazione, Word & Images, o riviste letterarie e di dibattito culturale quali Quindici, Il Verri (fondata da Luciano Anceschi), Alfabeta, Il cavallo di Troia, ecc.  Collaborò alla collana "Fare l'Europa" diretta da Jacques Le Goff con lo studio La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea,  in cui si espresse a favore dell'utilizzo dell'esperanto. Tradusse gli Esercizi di stile di Raymond Queneau (nel 1983) e Sylvie di Gérard de Nerval (entrambi presso Einaudi) e introdusse opere di numerosi scrittori e di artisti. Ha anche collaborato con i musicisti Luciano Berio e Sylvano Bussotti.  I suoi dibattiti, spesso dal tono divertito, con Luciano Nanni, Omar Calabrese, Paolo Fabbri, Ugo Volli, Francesco Leonetti, Nanni Balestrini, Guido Almansi, Achille Bonito Oliva o Maria Corti, tanto per nominarne alcuni, hanno aggiunto contributi non scritti alla storia degli intellettuali italiani, soprattutto quando sfioravano argomenti non consueti (o almeno non ritenuti tali prima dell'intervento di Eco), come la figura di James Bond, l'enigmistica, la fisiognomica, la serialità televisiva, il romanzo d'appendice, il fumetto, il labirinto, la menzogna, le società segrete o più seriamente gli annosi concetti di abduzione, di canone e di classico.[senza fonte]  Grande appassionato del fumetto Dylan Dog, a Eco è stato fatto tributo sul numero 136 attraverso il personaggio Humbert Coe, che ha affiancato l'indagatore dell'incubo in un'indagine sull'origine delle lingue del mondo. È stato inoltre amico del pittore e autore di fumetti Andrea Pazienza che fu suo allievo al DAMS di Bologna, e ha scritto la prefazione a libri di Hugo Pratt, Charles Monroe Schulz, Jules Feiffer e Raymond Peynet. Scrisse la presentazione di "Cuore" a fumetti, di F. Bonzi e Alain Denis, pubblicata su "Linus".Esordì nella narrativa. Il suo primo romanzo, Il nome della rosa, riscontrò un grande successo sia presso la critica sia presso il pubblico, tanto da divenire un best seller internazionale tradotto in 47 lingue e venduto in trenta milioni di copie. Il nome della rosa è stato anche tra i finalisti del prestigioso Edgar Award nel 1984 e ha vinto il Premio Strega.[26] Dal lavoro fu tratto anche un celebre film con Sean Connery.  Pubblicò il suo secondo romanzo, Il pendolo di Foucault, satira dell'interpretazione paranoica dei fatti veri o leggendari della storia e delle sindromi del complotto. Questa critica dell'interpretazione incontrollata viene ripresa in opere teoriche sulla ricezione (cfr. I limiti dell'interpretazione). Romanzi successivi sono L'isola del giorno prima (1994), Baudolino (2000), La misteriosa fiamma della regina Loana, Il cimitero di Praga () e Numero zero (), tutti editi in italiano da Bompiani.  Nel  è stata pubblicata una versione "riveduta e corretta" del suo primo romanzo Il nome della rosa, con una nota finale dello stesso Eco che, mantenendo stile e struttura narrativa, è intervenuto a eliminare ripetizioni ed errori, a modificare l'impianto delle citazioni latine e la descrizione della faccia del bibliotecario per togliere un riferimento neogotico. Molte opere furono dedicate alle teorie della narrazione e della letteratura: Il superuomo di massa, Lector in fabula, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Sulla letteratura, Dire quasi la stessa cosa (sulla traduzione). È stato inoltre precursore e divulgatore dell'applicazione della tecnologia alla scrittura.  In contemporanea alla nomina di "guest curator" (curatore ospite) del Louvre, dove organizzò una serie di eventi e manifestazioni culturali, uscì per Bompiani Vertigine della lista, pubblicato in quattordici paesi del mondo.  Nel  Bompiani pubblicò una raccolta dal titolo Costruire il nemico e altri scritti occasionali, che raccoglie saggi occasionali che spaziano nei vari interessi dell'autore, come quello per la narratologia e il feuilleton ottocentesco. Il primo saggio riprende temi già presenti ne Il cimitero di Praga. Muore nella sua casa di Milano a causa di un tumore del pancreas che lo aveva colpito due anni prima. I funerali laici si sono svolti  nel Castello Sforzesco di Milano, dove migliaia di persone si sono recate per l'ultimo saluto. Sono state eseguite due composizioni alla viola da gamba e al clavicembalo: Couplets de folies (Les folies d'Espagne) dalla Suite n. 1 in re maggiore dai Pièces de viole, Livre II di Marin Marais e La Folia dalla Sonata per violino e basso continuo in re minore, di Arcangelo Corelli. Nel proprio testamento Eco ha chiesto ai suoi familiari di non autorizzare né promuovere, per i dieci anni successivi alla sua morte alcun seminario o conferenza su di lui. Il corpo di Eco è stato infine cremato. La moglie, Renate Eco-Ramge, rifiutando la proposta di tumularne le ceneri nel Civico Mausoleo Garbin, ex edicola privata del Cimitero Monumentale di Milano ora provvista di piccole cellette destinate a ceneri o resti ossei di personalità artistiche illustri, ne ha preferito la conservazione privata, con il progetto di costruire un'edicola di famiglia nel medesimo cimitero. Nei suoi romanzi, Eco racconta storie realmente accadute o leggende che hanno come protagonisti personaggi storici o inventati. Inserisce nelle sue opere accesi dibattiti filosofici sull'esistenza del vuoto, di Dio o sulla natura dell'universo.  Attratto da temi piuttosto misteriosi e oscuri (i cavalieri Templari, il sacro Graal, la sacra Sindone ecc.), nei suoi romanzi gli scienziati e gli uomini che hanno fatto la storia sono spesso trattati con indifferenza dai contemporanei.  L'umorismo è l'arma letteraria preferita dallo scrittore di Alessandria, che inserisce innumerevoli citazioni e collegamenti a opere di vario genere, conosciute quasi esclusivamente da filologi e bibliofili. Ciò rende romanzi come Il nome della rosa o L'isola del giorno prima un turbinio variopinto di nozioni di carattere storico, filosofico, artistico e matematico.  Centrale ne Il nome della rosa è la questione del riso, post-modernisticamente declinata.  Ne Il pendolo di Foucault Eco affronta temi come la ricerca del sacro Graal e la storia dei cavalieri Templari, facendo numerosi cenni ai misteri dell'età antica e moderna, rivisitati in chiave parodistica.  Ne L'isola del giorno prima l'umanità intera è simboleggiata dal naufrago Roberto de la Grive, che cerca un'isola al di fuori del tempo e dello spazio.  In Baudolino dà vita ad un picaresco personaggio medioevale tutto dedito alla ricerca di un paradiso terrestre (il regno leggendario di Prete Giovanni).  Ne La misteriosa fiamma della regina Loana riflette sulla forza e sull'essenza stessa del ricordo, rivolto, in questo caso, ad episodi del XX secolo.  Il cimitero di Praga è incentrato sulla natura del complotto e, in particolar modo, sulla storia 'europea' del popolo ebraico.  Il suo ultimo romanzo, Numero zero, riprendendo temi da sempre cari all'autore (il falso, la costruzione del complotto e delle notizie) si sofferma sulla storia italiana recente, narrando fatti realmente accaduti, ma riletti attraverso una chiave complottistica. Fu tra i 757 firmatari della lettera aperta a L'Espresso sul caso Pinelli e successivamente della autodenuncia di solidarietà a Lotta Continua, in cui una cinquantina di firmatari esprimevano solidarietà verso alcuni militanti e direttori responsabili del giornale, inquisiti per istigazione a delinquere. I firmatari si autodenunciavano alla magistratura dicendo di condividere il contenuto dell'articolo. Peraltro le severe critiche di Eco al terrorismo e ai vari progetti di lotta armata sono contenute in una serie di articoli scritti sul settimanale L'Espresso e su Repubblica, specie ai tempi del caso Moro (articoli poi ripubblicati nel volume Sette anni di desiderio). In effetti l'arma che ha caratterizzato l'impegno politico di Eco è diventata l'analisi critica dei discorsi politici e delle comunicazioni di massa.  Questo impegno è sintetizzato nella metafora della guerriglia semiologica dove si sostiene che non è tanto importante cambiare il contenuto dei messaggi alla fonte ma cercare di animare la loro analisi là dove essi arrivano (la formula era: non serve occupare la televisione, bisogna occupare una sedia davanti a ogni televisore). In questo senso la guerriglia semiologica è una forma di critica sociale attraverso l'educazione alla ricezione. Partecipa alle attività dell'associazione Libertà e Giustizia, di cui è uno dei fondatori e garanti più noti, partecipando attivamente tramite le sue iniziative al dibattito politico-culturale italiano.  Il suo libro A passo di gambero contiene le critiche a quello che lui definisce populismo berlusconiano, alla politica di Bush, al cosiddetto scontro tra etnie e religioni. Nel, nelle settimane delle rivolte arabe, durante una conferenza stampa registrata alla Fiera del libro di Gerusalemme, scatena una polemica politica la sua risposta a un giornalista italiano che gli domanda se condivida il paragone fra Berlusconi e Mubarak, avanzato da alcuni: "Il paragone potrebbe essere fatto con Hitler: anche lui giunse al potere con libere elezioni";[36] lo stesso Eco, dalle colonne de l'Espresso, smentirà tale dichiarazione chiarendo le circostanze della sua risposta. Eco faceva parte dell'associazione Aspen Institute Italia. Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana — Roma, 9Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'artenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte — Roma. Onorificenze straniere Commendatore dell'Ordine delle Arti e delle Lettere (Francia)nastrino per uniforme ordinariaCommendatore dell'Ordine delle Arti e delle Lettere (Francia), Cavaliere dell'Ordine pour le Mérite für Wissenschaften und Künste (Repubblica Federale di Germania)nastrino per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine pour le Mérite für Wissenschaften und Künste (Repubblica Federale di Germania), Premio Principe delle Asturie per la comunicazione e l'umanistica (Spagna)nastrino per uniforme ordinariaPremio Principe delle Asturie per la comunicazione e l'umanistica (Spagna), Ufficiale dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) nastrino per uniforme ordinariaUfficiale dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia), Gran croce al merito con placca dell'Ordine al merito della Repubblica Federale di Germanianastrino per uniforme ordinariaGran croce al merito con placca dell'Ordine al merito della Repubblica Federale di Germania, Commendatore dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) nastrino per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia), Parigi. Cittadinanze onorarie Monte Cerignone, Nizza Monferrato, San Leo, 11 giugno. Torre Pellice,. Lauree Eco ha ricevuto 40 lauree honoris causa da prestigiose università europee e americane, come quella del, che gli è stata conferita dall'Università federale del Rio Grande do Sul, di Porto Alegre, in Brasile. In occasione della laurea in comunicazione conferita da Torino, Umberto Eco ha rilasciato severi giudizi sui social del Web che, a suo dire, possono essere utilizzati da «legioni di imbecilli» per porsi sullo stesso piano di un vincitore di un Premio Nobel. Le affermazioni di Eco hanno suscitato approvazioni ma anche vivaci discussioni. Affiliazioni e sodalizi accademici Umberto Eco è stato membro onorario (Honorary Trustee) della James Joyce Association, dell'Accademia delle Scienze di Bologna, dell'Academia Europea de Yuste, dell'American Academy of Arts and Letters, dell'Académie royale des sciences, des lettres et des beaux-arts de Belgique, della Polska Akademia Umiejętności ("Accademia polacca della Arti"), "Fellow" del St Anne's, Oxford e socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Eco è stato inoltre membro onorario del CICAP.  Altro Gli è stato dedicato l'asteroide 13069 Umbertoeco, scoperto nel dall'astronomo belga Eric Walter Elst.  Il 12 aprile 2008 è stato nominato Duca dell'Isola del Giorno Prima del regno di Redonda dal re Xavier. Nel  il comune di Milano ha deciso che il suo nome venga iscritto nel Pantheon di Milano, all'interno del cimitero monumentale. Eco ha scritto numerosi saggi di filosofia, semiotica, linguistica, estetica:  Il problema estetico in San Tommaso, Torino, Edizioni di Filosofia,  poi Il problema estetico in Tommaso d'Aquino, 2ª ed., Milano, Bompiani, Filosofi in libertà, come Dedalus, Torino, Taylor, poi in Il secondo diario minimo. Sviluppo dell'estetica medievale, in Momenti e problemi di storia dell'estetica, I, Dall'antichità classica al Barocco, Milano, Marzorati, Arte e bellezza nell'estetica medievale, Milano, Bompiani, Storia figurata delle invenzioni. Dalla selce scheggiata al volo spaziale, e con G. B. Zorzoli, Milano, Bompiani, Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, Milano, Bompiani, Diario minimo, Milano, A. Mondadori (include i saggi Fenomenologia di Mike Bongiorno e Elogio di Franti) Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, Il caso Bond. [Le origini, la natura, gli effetti del fenomeno 007], e con Oreste del Buono, Milano, Bompiani, Le poetiche di Joyce. Dalla "Summa" al "Finnegans Wake", Milano, Bompiani (ed. modificata sulla base della seconda parte di Opera aperta) Appunti per una semiologia delle comunicazioni visive, Milano, Bompiani (poi in La struttura assente) L'Italie par elle-meme. A portrait of Italy. Autoritratto dell'Italia, e con Giulio Carlo Argan, Guido Piovene, Luigi Chiarini, Vittorio Gregotti e altri, Milano, Bompiani, La struttura assente, Milano, Bompiani, La definizione dell'arte, Milano, Mursia, L'arte come mestiere, a cura di, Milano, Bompiani, I sistemi di segni e lo strutturalismo sovietico, e con Remo Faccani, Milano, Bompiani, L'industria della cultura, a cura di, Milano, Bompiani,  Le forme del contenuto, Milano, Bompiani, I fumetti di Mao, e con Jean Chesneaux e Gino Nebiolo, Bari, Laterza, Cent'anni dopo. Il ritorno dell'intreccio, e con Cesare Sughi, Milano, Bompiani, Documenti su il nuovo Medioevo, con Francesco Alberoni, Furio Colombo e Giuseppe Sacco, Milano, Bompiani, Estetica e teoria dell'informazione, a cura di, Milano, Bompiani, I pampini bugiardi. Indagine sui libri al di sopra di ogni sospetto: i testi delle scuole elementari, e con Marisa Bonazzi, Rimini, Guaraldi, Il segno, Milano, Isedi; Milano, A. Mondadori, Il costume di casa. Evidenze e misteri dell'ideologia italiana, Milano, Bompiani, Beato di Liébana. Miniature del Beato de Fernando I y Sancha. Codice B.N. Madrid Vit. 14-2, testo e commenti alle tavole di, Milano, Franco Maria Ricci, Eugenio Carmi. Una pittura di paesaggio?, Milano, Prearo, Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani, Il superuomo di massa. Studi sul romanzo popolare, Roma, Cooperativa Scrittori, Milano, Bompiani, Stelle & stellette. La via lattea mormorò, illustrazioni di Philippe Druillet, Conegliano Treviso, Quadragono Libri, Storia di una rivoluzione mai esistita. L'esperimento Vaduz. Appunti del Servizio opinioni, Roma, Rai, Servizio Opinioni, Dalla periferia dell'impero, Milano, Bompiani, Come si fa una tesi di laurea, Milano, Bompiani, Carolina Invernizio, Matilde Serao, Liala, con altri, Firenze, La nuova Italia, Lector in fabula, Milano, Bompiani, De bibliotheca, Milano, Comune di Milano, Postille al nome della rosa, Milano, Bompiani,  Il segno dei tre, Milano, Bompiani, Sette anni di desiderio. [Cronache], Milano, Bompiani, 1983. Semiotica e filosofia del linguaggio, Torino, Einaudi,  Sugli specchi e altri saggi, Milano, Bompiani, Lo strano caso della Hanau 1609, Milano, Bompiani, Saggio in Leggere i Promessi sposi. Analisi semiotiche, Giovanni Manetti, Milano, Gruppo editoriale Fabbri-Bompiani-Sonzogno, I limiti dell'interpretazione, Milano, Bompiani, Vocali, con Soluzioni felici di Paolo Domenico Malvinni, Napoli, Collana "Clessidra" di Alfredo Guida Ed., Il secondo diario minimo, Milano, Bompiani, Interpretation and Overinterpretation, Cambridge, Cambridge University Press, La memoria vegetale, Milano, Rovello, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Roma-Bari, Laterza, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano, Povero Pinocchio. Giochi linguistici di studenti del Corso di Comunicazione, a cura di, Modena, Comix, In cosa crede chi non crede?, con Carlo Maria Martini, Roma, Liberal, Kant e l'ornitorinco, Milano, Bompiani, Cinque scritti morali, Milano, Bompiani, Talking of Joyce, con Liberato Santoro-Brienza, Dublin, University College Dublin Press, Serendipities. Language and Lunacy, New York, Columbia University Press, Tra menzogna e ironia, Milano, Bompiani, La bustina di minerva, Milano, Bompiani,  Riflessioni sulla bibliofilia, Milano, Rovello, Diario minimo, Secondo diario minimo, Bustina di minerva e altre  parodie da raccolte in tedesco) Sulla letteratura, Milano, Bompiani, Guerre sante, passione e ragione. Pensieri sparsi sulla superiorità culturale; Scenari di una guerra globale, in Islam e Occidente. Riflessioni per la convivenza, Roma-Bari, Laterza, Bellezza. Storia di un'idea dell'Occidente, CD-ROM a cura di, Milano, Motta On Line, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, Mouse or Rat?, Translation as Negociation, London, Weidenfeld & Nicolson (Experiences in translation e saggi selezionati da Dire quasi la stessa cosa) Storia della bellezza, a cura di, testi di Umberto Eco e Girolamo de Michele, Milano, Bompiani, Il linguaggio della Terra Australe, Milano, Bompiani, Il codice Temesvar, Milano, Rovello, Nel segno della parola, con Daniele Del Giudice e Gianfranco Ravasi, a cura e con un saggio di Ivano Dionigi, Milano, BUR, 2A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico, Collana Overlook, Milano, Bompiani, La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia, Milano, Rovello, Sator Arepo eccetera, Roma, Nottetempo, Storia della bruttezza, a cura di, Milano, Bompiani, La cospirazione impossibile, con Piergiorgio Odifreddi, Michael Shermer, James Randi, Paolo Attivissimo, Lorenzo Montali, Francesco Grassi, Andrea Ferrero e Stefano Bagnasco, Massimo Polidoro, Casale Monferrato, Piemme, Dall'albero al labirinto. Studi storici sul segno e l'interpretazione, Milano, Bompiani, Historia. La grande storia della civiltà europea, e con altri, 9 voll., Milano, Motta, Storia della civiltà europea, e con altri, 18 voll., Milano, Corriere della Sera, Nebbia, e con Remo Ceserani, con la collaborazione di Francesco Ghelli e un saggio di Antonio Costa, Torino, Einaudi (antologia letteraria di racconti a tema) Non sperate di liberarvi dei libri, con Jean-Claude Carrière, Milano, Bompiani, Vertigine della lista, Milano, Bompiani, Il Medioevo, a cura di, 4 voll., Milano, Encyclomedia, La grande Storia, a cura di, 28 voll., Milano, Corriere della Sera,. Costruire il nemico e altri scritti occasionali, Milano, Bompiani, Scritti sul pensiero medievale, Collana Il pensiero occidentale, Milano, Bompiani, L'età moderna e contemporanea, a cura di, 22 voll., Roma, Gruppo editoriale L'Espresso, -. Storia delle terre e dei luoghi leggendari, Milano, Bompiani, Da dove si comincia?, con Stefano Bartezzaghi, Roma, La Repubblica,. Riflessioni sul dolore, Bologna, ASMEPA, La filosofia e le sue storie, e con Riccardo Fedriga, 3 voll., Roma-Bari, Laterza, Pape Satàn Aleppe. Cronache di una società liquida, Milano, La nave di Teseo, Come viaggiare con un salmone, Milano, La nave di Teseo, Sulle spalle dei giganti, Collana I fari, Milano, La nave di Teseo, Il fascismo eterno, Collana Le onde, Milano, La nave di Teseo, Cinque scritti morali, Bompiani, Sulla televisione. Scritti, Gianfranco Marrone, Collana I fari, Milano, La Nave di Teseo, Narrativa Il nome della rosa, Milano, Bompiani, Il pendolo di Foucault, Milano, Bompiani,L'isola del giorno prima, Milano, Bompiani, Baudolino, Milano, Bompiani, La misteriosa fiamma della regina Loana. Romanzo illustrato, Milano, Bompiani, Il cimitero di Praga, Milano, Bompiani, Numero zero, Milano, Bompiani, Narrativa per l'infanzia La bomba e il generale, illustrazioni di Eugenio Carmi, Milano, Bompiani, I tre cosmonauti, illustrazioni di Eugenio Carmi, Milano, Bompiani, 1966. Ammazza l'uccellino, come Dedalus, illustrazioni di Monica Sangberg, Milano, Bompiani, Gli gnomi di Gnu, illustrazioni di Eugenio Carmi, Milano, Bompiani, Tre racconti, Milano, Fabbri  (raccolta dei tre precedenti) La storia de "I promessi sposi", raccontata da, Torino-Roma, Scuola Holden-La biblioteca di Repubblica-L'Espresso, Traduzioni Raymond Queneau, Esercizi di stile, Torino, Einaudi. Claudio Gerino, Morto lo scrittore Umberto Eco. Ci mancherà il suo sguardo nel mondo, in la Repubblica, Massimo Delfino e Emma Camagna, Alessandria piange Umberto Eco, in La Stampa, Cosimo Di Bari, "A passo di critica: il modello di media education nell'opera di Umberto Eco", Firenze, Èco, Umberto, in TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.su tuttoggi.info. 30 ottobre.  'Il nome della rosa' debutta su Rai1 e conquista gli ascolti della prima serata, su la Repubblica, 5 marzo. 30 gennaio.  quotidiano la Stampa; Gianni Coscia: «quando suono col mio amico Umberto Eco», su genova.mentelocale. «È il lato dolente e angoscioso di un uomo che è cresciuto nell'Azione Cattolica, che l'ha lasciata in polemica con il grande Gedda; un uomo, Eco, che ha studiatodiconoTommaso d'Aquino, e che un giorno se n'è uscito dalla Chiesa proclamandosi orgogliosamente ateo, o se si preferisce, agnostico.» (In Rassegna stampa cattolica: Mario Palmaro, Eco è solo un refuso, 2 «His new book touches on politics, but also on faith. Raised Catholic, Eco has long since left the church. "Even though I'm still in love with that world, I stopped believing in God in my 20s after my doctoral studies on St. Thomas Aquinas. You could say he miraculously cured me of my faith..."» «Il suo nuovo libro tratta di politica, ma anche di fede. Cresciuto nel cattolicesimo, Eco ha lasciato da tempo la Chiesa. "Anche se io sono ancora innamorato di quel mondo, ho smesso di credere in Dio durante i miei anni 20, dopo i miei studi universitari su Tommaso d'Aquino. Potete dire che egli mi ha miracolosamente curato dalla mia fede..."»  (Articolo in Time)  Liukkonen, Petri, Umberto Eco. Pseudonym: Dedalus in.  Eco, quando l'Torino gli consegnò il libretto con 27 in letteratura italiana, su la Repubblica, 2Antonio Galdo, Saranno potenti? Storia, declino e nuovi protagonisti della classe dirigente italiana, Sperling & Kupfer, Milano  Giuseppe Antonio Camerino, ECO, Umberto, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  "Riparte il Master in Editoria, ideato da Umberto Eco"  Capozzi Bondanella, Cinque scritti morali, Bompiani Intervista a Umberto EcoWikinotizie, su it.wikinews.org.  Umberto Eco, Ho sposato?, «l'Espresso», 4Con lo pseudonimo di Dedalus: Dedalus e il manifesto, su ilmanifesto, Ostini, Sclavi citazione: "Sto leggendo un libro [In cosa crede chi non crede, N.d.R.] di Umberto Eco che mi è arrivato dall'Italia. Curioso no? Ha il mio stesso nome e il cognome è l'anagramma del mio..."  Umberto Eco, su premiostrega.Italian Writer Umberto Eco is the Louvre's New Guest Curator  Emma Camagna, La morte di Eco, il ricordo di Gianni Coscia, in La Stampa. L'ultimo saluto a Umberto Eco: "Grazie maestro", in La Stampa, Marco Del Corona, «Follie di Spagna»: ecco che cos'è la musica suonata per Umberto Eco, su Corriere della Sera. Umberto Eco, la richiesta nel testamento: "Non autorizzate convegni su di me per i prossimi 10 anni", su Il Fatto Quotidiano. La lettera della vedova Eco al Comune, in Corriere della Sera. Pinelli, Calabresi e l'eskimo in redazione Archiviato il 19 gennaio  in., opinione, Bruno Pischedda, Come leggere Il nome della rosa di Umberto Eco, Mursia, La struttura assente,  "Eco a Gerusalemme attacca il Cavaliere. È polemica", di Francesco Battistini (dal Corriere della Sera) Corriere della Sera  Berlusconi, Hitler e io, su l'Espresso. Comitato Esecutivo | Aspen Institute Italia, su aspeninstitute. 20 fSito web del Quirinale: dettaglio decorato.  Sito web del Quirinale: dettaglio decorato. Umberto Eco all'Eliseo onorato da Sarkozy con Legion D'Honneur, su liberoquotidiano).  Curriculum Vitae, su umbertoeco. Unibo e Brasile: Laurea ad honorem a Eco, su magazine.unibo. Umberto Eco contro i social: "Hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli", su Il Fatto Quotidiano. Il problema di Umberto Eco con internet, su Il Post.  Imbecilli e non, tutto il mondo è social, su LaStampa. 2Serena Vitale e Umberto Eco entrano nell'Accademia dei Lincei, , Il Giornale.  Decise all'unanimità le 15 personalità illustri da iscrivere nel Pantheon di Milano, su comune.milano, Opere:  Bondanella, Peter,  Umberto Eco and the Open Text: Semiotics, Fiction, Popular Culture Capozzi, Rocco, Eco's Prophetic Vision of Mass Culture in McLuhan Studies: Premier Issue, Antonio Galdo, Saranno potenti? Storia, declino e nuovi protagonisti della classe dirigente italiana, Sperling & Kupfer, Milano  Alberto Ostini, Umberto Eco e Tiziano Sclavi. Un dialogo, in Dylan Dog, indocili sentimenti, arcane paure, Milano, Euresis, 1998. 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Opere di Umberto Eco V D M Vincitori del Premio Strega V D M Vincitori internazionali del Prix Médicis V D M Vincitori del Premio Bancarella V D M Vincitori del Premio Cesare Pavese V D M Vincitori del Premio di Stato austriaco per la letteratura europea V D M Vincitori del Premio Mediterraneo per stranieri, Europeana agent/base/ Filosofia Giallo  Giallo Letteratura  Eco provides a bridge between Graeco-Roman philosophy and Grice! Eco is one of the few philosophers who considers the very origins of philosophy in Bolognaand straight from RomeOn top, Eco is one of the first to generalise most of Grice’s topics under ‘communication,’ rather than using the Anglo-Saxon ‘mean’ that does not really belong in the Graeco-Roman tradition. Eco cites H. P. Grice in “Cognitive constraints of communication.” Umberto b.2,  philosopher, intellectual historian, and novelist. A leading figure in the field of semiotics, the general theory of signs. Eco has devoted most of his vast production to the notion of interpretation and its role in communication. In the 0s, building on the idea that an active process of interpretation is required to take any sign as a sign, he pioneered reader-oriented criticism The Open Work, 2, 6; The Role of the Reader, 9 and championed a holistic view of meaning, holding that all of the interpreter’s beliefs, i.e., his encyclopedia, are potentially relevant to word meaning. In the 0s, equally influenced by Peirce and the  structuralists, he offered a unified theory of signs A Theory of Semiotics, 6, aiming at grounding the study of communication in general. He opposed the idea of communication as a natural process, steering a middle way between realism and idealism, particularly of the Sapir-Whorf variety. The issue of realism looms large also in his recent work. In The Limits of Interpretation 0 and Interpretation and Overinterpretation 2, he attacks deconstructionism. Kant and the Platypus 7 defends a “contractarian” form of realism, holding that the reader’s interpretation, driven by the Peircean regulative idea of objectivity and collaborating with the speaker’s underdetermined intentions, is needed to fix reference. In his historical essays, ranging from medieval aesthetics The Aesthetics of Thomas Aquinas, 6 to the attempts at constructing artificial and “perfect” languages The Search for the Perfect Language, 3 to medieval semiotics, he traces the origins of some central notions in contemporary philosophy of language e.g., meaning, symbol, denotation and such recent concerns as the language of mind and translation, to larger issues in the history of philosophy. All his novels are pervaded by philosophical queries, such as Is the world an ordered whole? The Name of the Rose, 0, and How much interpretation can one tolerate without falling prey to some conspiracy syndrome? Foucault’s Pendulum, 8. Everywhere, he engages the reader in the game of controlled interpretations. “Il nome della rosa” is about the dark ages in Northern Italy, where the monks were the only to find a slight interest in philosophy, unlike the barbaric Lombards!” --   Il problema estetico in San Tommaso. Torino: Edizioni di Filosofia. 2d revised ed.: Il problema estetico in Tommaso d'Aquino. Milano: Bompiani, I97O. Translations: The Aesthetics of Thomas Aquinas. Cambridge: Harvard U.P., 1988 and London: Radius, 1988 (Revised). Le problème esthétique chez Thomas d'Aquin. Paris: PUF, 1993 (Revised). Zetemata Aisthetikes ston Thoma Akinati. Athena: Ekdoseis Gnose, 1993. Estetici problem u Tome Akvinskoga. Zagreb: Nakladni Zavod Globus 2001 1958 Filosofi in libertà. Torino: Taylor (now in Il secondo diario minimo) Traslations: Filozofia frywolna. Kraków: Wydawnictwo M 2004. 1959 "Sviluppo dell'estetica medievale." In Momenti e problemi di storia dell'estetica. Milano: Marzorati. 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Barcelona: Lumen Historia brzydoty Poznan: Rebis 2007 Kauneuden istoria. Helsinki: WSOY 2008 Korean transl. Seoul: Open Books Neglītuma vēsture. Riga: Jāņa Rozes. Zgodoviuna Grdega. Ljublijana: Modrijan 2008 Inetuse Ajalugu. Tallinn: Eesti Entsüklopeediakirjastus Om Fulhet. Stockholm: Brombergs 2008 Chinese transl. Taiwan: Linking 2008 Simplified ChineseEdition: Central Compilation and Translation Press (Hebrew translation) Or Yehuda: Kinneret 2The Art of Fiction No 197. Interview with Lila Azam Zaganeh. The Paris Review 185, pp.74-109. 2009 N’esperez pas vous debarrasser des livres (entretiens avec Jean-Claude Carrière). Paris: Grasset. Club Edition. Livre de Poche. Translations: Non sperate di liberarvi dei libri. Milano: Bompiani 2009. Edition Mondolibri. Nadie acabará con los libros. Barcelona: Lumen Knih se jen tak nezbavíme. Praha: Argo 2010 Complex Chinese Edition. Taiwan: Crown Die grosse Zukunft des Buches. Munich: Hanser DTV Simplified Chinese Edition. Guangxi Normal University Press 2010 Não contem com o fim do livro. Rio de Janeiro. Record Ne nadeiytes’ izbavit’sja ot knig! Moskva: Symposium. Min elpizete na apallageite apo ta biblia. Athena: Ekdotikos Organismos Libani Nie myśl, że książki znikną. Warszawa: WAB 2010 Nu speraţi că veţi scăpa de cărti. Bucuresti: Humanitas 2010 (Japanese transl.) Tokyo: Hankyu Communications Korean tr. Seoul: Open Boks. This is not the end of the book. London: Harvill Secker Vintage Books Ne rémelje, hogy megsza badul a könyvektől. Budapest: Europa Konyvkiado 2010 Nesitikėkite atsiktatyti knygų. Leydikla: Zara 2011 Kitaplardan kurtulabileceğinizi sanmayin. Istanbul: Can Yainlari Tova ne e kpajat na knigite. Sophia: Enthusiast Nebbia, with Remo Ceserani eds. Torino: Einaudi Il Cinquecento (Editor) . Corriere della Sera Historia (Editor). Milano: Motta 2009 Il Medioevo (Editor) La Biblioteca di Repubblica-L’Espresso. Il Medioevo. Encyclomedia Publishers.Translations: Idade Media: Barbaros, Cristao e Muçulmanos. Alfragide;, Dom Quixote, Idade Media: Catedrais, Cavaleiros e Cidades, Alfragide: Dom Quixote 2013, Idade Media: Castelos, Mercadores e Poetas.Alfragide: Dom Quixote Ortacag: Barbarlar, Hiristiyanlar, Muslumanlar, Istanbul: ALFA Oetacag: Katedraller, Svalyeler, Sehirler),Istanbul:ALFA La grande Storia (Editor). 14 voll. Corriere della Sera 2012 L’antichità. Grecia (Editor). Milano: Encyclomedia L’età moderna e contemporanea (Editor). La Biblioteca di Repubblica-L’Espresso Il Settecento. Il secolo delle rivoluzioni. 2 voll. Milano: Encyclomedia  (with Fedriga, eds.) Storia della filosofia. 3Roma Laterza. Milano: EM  (with Pezzini) El museo. Madrid: Casimiro  (with Fedriga, eds.) La filosofia e le sue storie. Roma: LaterzaUmberto Eco. Keywords: il nome del nome, lingua perfetta; semiotica, la rosa segnata --. Refs.: Umberto Eco on H. P. Grice in “Cognitive constraints on communication,” Luigi Speranza, "Grice ed Eco: semantica filosofica," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. 

 

Grice ed Ecebolio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Tutor of Giuliano. More of a sophist, he appears to have had flexible religious convictions (or none) – Giuliano recalls: “He may be a pagan or a Galileian as the political climate demands!”

 

Grice ed Efanto – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotona). Filosofo italiano. According to Iamblicus, a Pythagorean. He appears to be the same person referreed to by Ippolito as Efanto di Siracusa. According to Ippolito, Efanto believes it is impossible to have an accurate knowledge of things, but also believed that everything in the world is formed by size, shape, and capacity. He claims that the world is a sphere, the most perfect of all geometrical shapes, reflecting the fact that it was the product of a divine mind, which as also source of all movement. A work on kings attributed to him may be a a different author.

 

Grice ed Egea – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotona). Filosofo italiano. According to Iamblichus of Chalcis (“Vita di Pitagora”), a Pythagorean.

 

Grice ed Egnazio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Egnazio was a follower of the Garden. He wrote a poem, “The rerum natura.” It bears some resemblances to the work of the same name by Lucrezio and is generally thought to have been written after it.

 

Grice ed Eirisco – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean.

 

Grice ed Elandro – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to Giamblico.

 

Grice ed Eliano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Praeneste). Filosofo italiano. Claudio Elio was a teacer of rhetoric. However, he was also a popular and prolific author, and some of his writings, mainly comprising collections of anecdotes, survive. In his more philosophical works he took the line of the Porch. ELIO – Miscelanea storica – ed. Wilson, Loeb Classical Library).

 

Elcasai – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A gnostic. One of his followers, Alcibiades, brought a book by him to Rome, claiming that its contents had been revealed to Elcasai by an angel. The cult he founded believed in reincarnation and that Pythagorean science provides a means of predicting the future. There was also a magical healing side to the cult, and it claimed to be able to cure rabies.

 

Grice ed Eleucadio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ravenna). Filosofo italiano. A philosopher.

 

Grice ed Elicon – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico. He was renowned as a legislator and helped to revise the constitution of Reggio.

 

Grice ed Eliodoro – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Porch. During Nero’s principate. Eliodoro seems to have been an informer with regard to at least one of the many plots of th period.

 

Grice ed Eliodoro – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The Garden. A close friend of Adriano. He succeeded Popillio Teotimo as Garden Master (or Tyrant).

 

Grice ed Elpidio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Elpidio was a philosopher with whom Giuliano was in correspondence.

 

Grice ed Elvidio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). FIlosofo italiano. Elvidio Prisco – The son in law of Thrasea Peto. Porch, involved in politics, he spent periods in exile, but was admired as a man of principle.

 

Grice ed Emina – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Lucio Cassio Emina – a Pythagorean and a historian.

 

Grice ed Empedotimo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. According to Eraclide di Ponto, Empedotimo has a vision that reveals the structure of the universe.

 

Grice ed Ennea – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. According to Iamblicus of Chalcis, Aeneas was a Pythagorean.

 

Grice ed Ennio – Roma -- il primo filosofo inglese, il primo filosofo latino – filosofia italiana – Luigi Speranza. Quinto Ennio poeta, drammaturgo e scrittore romano Lingua Segui Modifica Quinto Ennio (in latino: Quintus Ennius; Rudiae, 16 luglio 239 a.C. – Roma, 8 ottobre 169 a.C.) è stato un poeta, drammaturgo e scrittore romano. Viene considerato, fin dall'antichità, il padre della letteratura latina, poiché fu il primo poeta ad usare la lingua latina come lingua letteraria in competizione con quella greca.   Ennio che ascolta Omero, immaginato da Raffaello nel Parnaso, Stanze Vaticane Biografia Modifica Quinto Ennio nacque nel 239 a.C. a Rudiae, nei pressi di Lecce, città dell'antica Calabria (l'attuale Salento, corrispondente alla Puglia meridionale) in cui allora convivevano tre culture: quella greca che aveva come centro maggiore Taranto, quella osca dei centri minori indigeni italici, e quella dell'occupante romano[1]: Aulo Gellio testimonia infatti che Ennio, pur vantandosi di discendere da Messapo (eroe eponimo della Messapia e dei Messapi)[2], era solito dire di possedere "tre cuori" (tria corda), poiché sapeva parlare in greco, in latino e in osco[3].  Durante la seconda guerra punica militò in Sardegna e nel 204 a.C. vi conobbe Catone il Censore, che lo portò con sé a Roma[4]. Qui ottenne la protezione di illustri uomini politici quali Scipione l'Africano e, poco tempo dopo, entrò in contatto con altri aristocratici del circolo degli Scipioni, filoelleni, come Marco Fulvio Nobiliore. Queste amicizie lo posero in conflitto con Catone, diffidente nei confronti delle altre culture e di quella greca in particolare.  Nel 189 a.C. Marco Fulvio Nobiliore, nella guerra contro la Lega etolica, condusse con sé Ennio come poeta al seguito, con il compito cioè di celebrare le gesta del generale (come in effetti fece nella tragedia praetexta Ambracia). Questo scandalizzò Catone in quanto comportamento contrario al costume degli avi, al mos maiorum. Cinque anni dopo Quinto Fulvio Nobiliore, figlio di Marco, gli assegnò dei terreni presso la colonia da lui dedotta a Pesaro e gli fece conferire la cittadinanza romana. Riconoscente, Ennio espresse orgogliosamente questa concessione:  (LA)  «Nos sumus Romani qui fuimus ante Rudini»  (IT)  «Sono cittadino di Roma, io che un tempo fui cittadino di Rudiae»  (Quinto Ennio, Annales[5]) Ennio, messo a capo del collegium scribarum histrionumque, trascorse gli anni della vecchiaia in relativa orgogliosa miseria, con una sola serva al suo servizio, attendendo alla composizione delle sue tragedie e del poema epico:  (LA)  «Annos septuaginta natus - tot enim vixit Ennius - ita ferebat duo quae maxima putantur onera, paupertatem et senectutem, ut eis paene delectari videretur»  (IT)  «A settant'anni - tanti, infatti, ne visse - Ennio sopportava la povertà e la vecchiaia, che si suole considerare come le cose più moleste, quasi sembrando che ne godesse»  (Cicerone, De Senectute, 14 - trad. A. D'Andria) Tra i suoi discepoli ricordiamo il nipote (figlio di sua sorella), il tragediografo e pittore Marco Pacuvio, e il commediografo Cecilio Stazio (con cui condivise l'abitazione).   Sofferente di gotta, Ennio morì a Roma nel 169 a.C. Per i suoi meriti, oltre che per l'amicizia personale, fu sepolto nella tomba degli Scipioni, sull'antica Via Appia, dove fu raffigurato da un busto su cui era inciso un epitaffio in distici elegiaci che Cicerone credeva composto dallo stesso Ennio:  (LA)  «Aspicite, o cives, senis Enni imaginis formam: hic vestrum panxit maxima facta patrum. Nemo me lacrumis decoret, nec funera fletu faxit. Cur? Volito vivus per ora virum»  (IT)  «Ecco, o cittadini, i tratti dell'effigie del vecchio Ennio: costui le massime gesta cantò dei vostri padri. Nessuno di lacrime mi onori, né la mia morte pianga. Perché? Volo vivo tra le bocche degli uomini»  (Quinto Ennio) Opere Modifica  Cosiddetta testa di Ennio, dal sepolcro degli Scipioni sull'Appia. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Storia della letteratura latina (240 - 78 a.C.). Ennio sperimentò numerosi generi letterari, molti dei quali a Roma erano poco conosciuti o del tutto sconosciuti, pertanto è stato definito il vero padre della Letteratura latina[6].   Della maggior parte di queste sue opere rimangono solo pochi frammenti e titoli.  Per quanto riguarda l'epica, si conoscono gli Annales e lo Scipio[7].  Gli Annales furono il poema nazionale del popolo romano prima che fosse composta l'Eneide (29-19 a.C.). Ennio narrava la storia di Roma anno per anno, come spiega lo stesso titolo, dalle origini sino al 171, sino a poco prima della morte del poeta, dunque, avvenuta nel 169 a.C., e si ispira al modello greco, come farà poi Virgilio. L'opera era strutturata in 18 libri, suddivisi in tre gruppi di sei, detti esadi, ma rimangono solo 600 versi dei circa 30 000 originali.  Nel proemio posto all'inizio dell'opera Ennio racconta che Omero stesso gli era apparso in sogno per rivelargli di essersi reincarnato in lui dopo avergli esposto la dottrina pitagorica della metempsicosi, ovvero della transmigrazione delle anime. Mentre nei primi libri sono raccontati gli eventi che vanno dalle origini all'invasione di Pirro (280-272), nei successivi il racconto arriva fino al 171 a.C., due anni prima della morte del poeta. Nel proemio della seconda esade, poi, Ennio polemizza con coloro che lo criticavano per aver introdotto l'esametro, polemizzando contro gli autori che scrivevano in saturni - con chiaro riferimento a Nevio, che comunque omaggiava, non ripetendo la narrazione della prima guerra punica - e racconta gli eventi dalle guerre puniche sino alla seconda guerra macedonica, mentre la terza esade è quasi del tutto andata perduta.  Per quanto riguarda le composizioni drammatiche, per concorde affermazione degli antichi, Ennio eccelleva nella tragedia, con composizioni come Alexander, Andromaca prigioniera, Medea, Tieste, Achille, Aiace, Il riscatto di Ettore, Ecuba, Ifigenia, Telamone, Telefo. A parte, come praetextae, Sabinae[8] e Ambracia[9]. Che non fosse un grande poeta comico, lo testimonia il fatto che restano solo pochissimi versi e due titoli di commedie, la Caupunculae e il Pancratiastes.  Alla poesia dotta appartenevano titoli come Epicharmus ed Euhemerus, di tono filosofico, gli Hedyphagetica[10], o ancora, sul versante della poesia disimpegnata, le Saturae e gli Epigrammi[11].  Il mondo poetico e concettuale di Ennio Modifica Ennio fu il primo poeta latino a scrivere un poema in esametri, il metro di Omero, che fu poi utilizzato da tutti i poeti epici successivi: il suo capolavoro, gli Annales, fu il primo poema epico a narrare la storia di Roma dalle origini facendo di Ennio il "vate" di Roma e tra i principali modelli stilistici del De rerum natura di Lucrezio e dell'Eneide di Virgilio. Scrisse numerose commedie e tragedie di cui restano pochi frammenti, e da altri frammenti si ritiene che abbia scritto anche alcune satire, anticipando addirittura Lucilio, considerato il padre del genere.   (LA)  «O Tite tute Tati tibi tanta tyranne tulisti!»  (IT)  «O Tito Tazio, tiranno, tu ti attirasti disgrazie tanto grandi!»  (Quinto Ennio) Poiché i frammenti a noi pervenuti sono pochi e giunti per tradizione indiretta, non siamo capaci di valutare la struttura compositiva del poema maggiore e le tecniche della narrazione, ma emergono con sufficiente chiarezza le caratteristiche della lingua e lo stile elevato e solenne, che appaiono frutto di un geniale contemperamento di tratti tipicamente latini e audaci innovazioni grecizzanti. Ricorre spesso ad arcaismi internazionali, tratti distintivi di derivazione omerica (tanto che si presenta nel proemio come Omero redivivo, e Orazio stesso lo definisce alter Homerus, "altro Omero"). Infatti fu ritenuto uno dei principali fautori dell'ellenizzazione; nonostante Catone fosse uno degli scrittori più attaccati alla cultura romana, riconobbe e apprezzò in Ennio le doti intellettuali. Pare che fu Ennio ad introdurre l'esametronella letteratura latina, formando i suoi versi anche solo con degli spondei (infatti sono detti versi olospondaici).  In Ennio abbondano le metafore, sempre molto presenti nei poemi epici, le allitterazioni e l'uso della retorica.  Note Modifica ^ La vita: Ennio e i suoi continuatori, su sapere.it, De Agostini Editore S.p.A. URL consultato il 28 dicembre 2020 (archiviato il 5 settembre 2018). ^ Quinto Ennio, Annali (Libri IX–XVIII). Commentari. Volume IV. Napoli: Liguori Editore, pp. 316 e ss. ^ Quintus Ennius tria corda habere sese dicebat, quod loqui Graece et Osce et Latine sciret("Quinto Ennio diceva di avere tre anime in quanto parlava greco, osco e latino") - Aulus Gellius, Noctes Atticae 17.17. ^ Cornelio Nepote, Catone, I 4. ^ v. 525 Skutsch. ^ Quinto Orazio Flacco ^ Poemetto epico-encomiastico, del quale restano solo 14 versi, dedicato a Publio Cornelio Scipione, nel quale il condottiero viene descritto come perfetto exemplum di vir romanus ^ Trattava il ratto delle Sabine. ^ Trattava le gesta di Marco Fulvio Nobiliore in una spedizione contro gli Etoli nel 189 a.C., culminata nella presa della città di Ambracia. ^ Catalogo di cose buone da mangiare, redatto con vena salottiera e decisamente superficiale, come evidente dall'unico frammento pervenutoci, di 11 versi, in Apuleio, De magia, 11. ^ Componimenti in distici elegiaci che si rifacevano a momenti particolari della vita dell'autore. Voci correlate Modifica Rudiae Sepolcro degli Scipioni Ènnio, Quinto, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Nicola Terzaghi, ENNIO, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1932. Modifica su Wikidata Ennio, Quinto, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Quinto Ennio, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( LA ) Opere di Quinto Ennio, su Musisque Deoque. Opere di Quinto Ennio, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Opere di Quinto Ennio, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata ( EN ) Opere di Quinto Ennio, su Open Library, Internet Archive. I frammenti degli annali editi e illustrati da Luigi Valmaggi, Torino, Casa Editrice Ermanno Loescher, 1900. ( EN ,  LA )  Remains of old latin. Vol. 1: Aennius and Caecilius, E. H. Warmington (a cura di), Cambridge-London, 1935, pagg. 1-465. Ennianae Poesis Reliquiae, Johannes Vahlen (a cura di), Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri, 1854 e 1903². Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Letteratura   Portale Lingua latina   Portale Teatro. Annales (Ennio) poema epico scritto dall'autore latino Quinto Ennio  Marco Fulvio Nobiliore politico romano  Ambracia (Ennio) Wikipedia Il contenuto. Quinto Ennio was a famous arly Roman poet. In his poems, he demonstrates a familiarity with various ideas from philosophy and helped to introduce these to the Roman world. Ennio. Keywords: il primo filosofo inglese, il primo filosofo latino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ennio”, The Swimming-Pool Library.

                                                                                                                                                                                                                                                             

Grice ed Emiliani – semiotica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lugo). Filosofo italiano. Grice: “I like Emiliani; of course in proper English we don’t pluralise ‘meanings’! But he speaks of ‘significati,’ which is literate! The vernacular Italian is ‘segno,’ and the ‘ficare’ is also learned latinate! Gotta love him!”  Dio è la mia speranza Anch'io vivo nella speranza di avere amici in cielo che pregano per me e che attendono di unirsi a me nella nostra comune patria. Dobbiamo sempre ricordare che questa vita terrena è soltanto un passaggio verso la nostra vera patria che è quella celeste. La Madonna è apparsa e ha parlato a moltissimi veggenti di molti popoli e nelle più svariate circostanze, come una persona viva, che promette, annunzia, loda, esorta, profetizza, prega, guida e protegge dai pericoli, risana i malati, opera i miracoli, piange, invita alla conversione ed alla penitenza, aiuta ad avvicinarsi a Cristo, suo Figlio. La mia sicura bussola è camminare sulla strada della carità in ogni circostanza della vita. La presenza in noi dello Spirito Santo è la caparra della nostra vita eterna futura. Solo Dio resta. Egli è l'unica roccia a cui mi posso aggrappare per non essere travolto dai flutti tempestosi in mezzo ai quali galleggio.  Alessandro Emiliani, Dio è la mia speranza, Edizioni Studio Domenicano. Nel suo saggio sul segnato, valore, communicazione e ragionamento, Emiliani presenta un'analisi del ‘segnato,’ topico della semiotica. Il segnato è un modo di una correlazione astratta posta dall'attività razionale intersoggettiva e cooperativa con cui un contenuto e intenzionato e strutturato in ordine al valore della profferenza e alla correttezza del ragionamiento conversazionale. La forme logica non è innata, né e un atto o evento psichico soggettivo, ma una struttura intersoggetiva astratta e relazionale, invariante intersoggettivamente. Il segnato (non il ‘segno’) fonda la correttezza del ragionamiento conversazionale (colloquenza – dialettica), segnato dal segno di una operazione (negans, negatum, negatore; connettivi, -- conjunctum, congiutivo, disjunctum, disgiuntivo, ‘if’ filoniano, il quantificatore universale o totale (ogni), il quantificatore parziale o essitenziale (G. jemand), il descrittore, descriptum) non è privo di ‘segnato’. Il segno di negazione, p. es., ‘non’, segna la negazione. ‘Non piove’ segna che non è il caso che piove. Il segno (‘non’) ha come UNICO segnato quello che s’esprime nella forma logica (explicatura, no implicatura). L’intensionale e il contenuto nozionale di ciò che è mentato o segnato, distinto dal segnato estensionale o funzionale – e spiegabile in una teoria di mondi possibili. Pensatile sempre dentro e mediante una determinata struttura logicha. L’atto de denotare (referire) e l’atto di predicare sono le due elementi di un complesso proposizionale (“Fido is shaggy”). Un oggetto dell'universo di riferimento, considerato reale nel modo più ampio (valore di una variabile). Il valore di una profferenza è spiegato da una teoria della correpondenza. Il valore di soddisfacibilità e parte del meta-languaggio che presuppone la sintassi, la semantica, e la prammatica. Lo scopo del griceanismo: il segnato. Fondamento della introduzione del segnato, simbolo mono-semantico, simbolo bi-semantico, simbolo tri-semantico, segnato del termine, segnato della formula del linguaggio. Relazione estensione/intensione, referenza e predicazione. Il valore della profferenza di soddisfacibilità e meta-linguistico. Rapporto tra sintassi, semantica e pragmmatica – linguaggi- oggeto e meta-linguaggio. Il linguaggio di una teoria del ragionamiento formalizzata elementare – Sistema G-hp. Calcolo di predicati di primo ordine con identità.  Sintassi di una generica teoria del ragionamento normalizzata elementare. Simbolo primitivo. Definizione ricorsiva del termine, definizione ricorsiva della formula del sistema G-hp. Termine aperto e termine chiuso. Formula aperta e formula chiusa. Profferenza semplice, proferrenza complessa. Componente deduttivo, induttivo ed adduttivo di una generica teoria del ragionamiento elementare (G. R. I. C. E. – gruppo per la ricerca dell’inferenza e la comprensione elementare). Il segnato di una profferenza in romano ed italiano (Piove). Il segnato intenzionale di una profferenza semiotica comunicativa, distinzione tra atto intenzionale dell'io e forma intenzionale con cui ciò che è segnato e compressibile dal ‘tu’, intenzionalità e consapevolezza, forma intenzionale, contenuto intenzionato. Profferenza e modalità intenzionale. Tre dimensioni del segnato nella profferenza comunicativa; Il segnato della profferennza assertiva (il simbolo di Frege),L’assertivo di una profferenza semplice. Segnato intensionale (il senso fregeiano) di una profferenza semplice. Il topico o denotatum di una profferenza semplice (“The dog is shaggy”). Il segnato logico del termine, il segnato intensionale del termine, il segnato referenziale del termine, ragioni che giustificano l'introduzione di una descrizione chiusa nel Sistema G-hp di una teoria del ragionamento Normalizzata elementare. Il segnato logico, intensionale e referenziale del segno predicativo (‘shaggy’), il segnato logico del segno predicativo, il segnato intensionale del segno predicativo, Relazione tra segnato logico e segnato intensionale del segno predicativo. Il segnato referenziale del segno predicativo, rapporti tra il segno intensionale e il referente o denotatum or relatum di un segno predicativo. Il segnato del segno mono-sematico. Il  segnato logico del segno del negare (cf. Grice, “Negation and Privation”). Il segnato logico di una operazione di connessione fra sintagme: le particelle coordinante ‘e’, ‘o,’ e subbordinante, ‘se’, il segnato del segno di quantificazione totale o universale, ‘ogni’ – il segnato del segno di quantificazione sustituzionale parziale o esistenziale (Ex), Il segnato del segno dell’articolo definito (‘il’), descrizione, el segnato logico dei segni ausiliari, il segnato intensionale e referenziale di una profferenza complessa, il segnato intensionale di una profferenza complessa; il denotatum di un profferenza complessa. Refutazione delle impostazione convenzionalista (in termini di implicatura convenzionale) di Strawson circa l'interpretazione del formalismo. Ragioni della inadeguatezza dell’approccio di Strawson, interpretazione logica, interpretazione intensionale e interpretation referenziale della semantica di una teoria dell’inferenza elementare, interpretazione intensionale del linguaggio di una teoria, interpretazione referenziale del linguaggio di una teoria, il valore di satisfactorieta di una profferenza nel sistema G-hp nel quadro del meta-linguaggio. I requisiti della definizione del valore di soddisfacibilità; condizioni che rendono la definizione di ‘soddisfacibile’ adeguata al contenuto della nozione intuitiva, condizioni che devono essere soddisfatte perché la definizione del valore sia formalmente sana. Il valore di soddisfacibile associato a una profferenza del sisstema G-hp. Considerazioni sulla definizione del valore di soddisfacibile, distinzione tra concetto di soddisfacibilità e criterio di soddisfacibilità. Il valore di soddisfacibilità associato ad una profferenza non è ‘segnato’ dalla profferenza o profferente a cui è associata, il soddisfacibile rispetto alla profferenza a cui a associate non e ‘segnato’, ma un valore. Il soddisfacibile è meta-linguistico, profferenza soddisfacibile, relazione tra profferenza soddisfacibile e ragionamento sano. Il principio di bivalenza (Tertium non datur – il terzo incluso). Stato del problema: la polemica Grice/Strawson. Il valore di soddisfacibilità è associabile soltanto alla profferenza per la quale il communicatore o profferente (implicans, implicaturus) segna che p o q, il valore di soddisfacibilità e associabile a ogni profferenza. Critica di un sistema bivalente che accetta la categoria confuse di “lacuna” di valore di soddisfacibilità. Bivalenza e il sistema considerato poli-valente. Bivalenza e l’intuizionismo di Lemmon e Dummett. Communicazione e segnato, rapporto tra materia e forma dell’espressione per la quale il communicatore o profferente o implicaturus segna (empiega) che p o q e il rispettivo segnato.  Il segnato come criterio per determinare la primitività di un simbolo, Le regole o teoremii di formazione sintattica d’introduzione e eliminazione, il teorema del ragionamiento sano definito dalla sintassi e il segnato logico. Communicazione naturale, segnare artificiale, arbitrario, non naturale, e segnato. Natura, genesi, funzione e invarianza della forma e struttura logica. Natura, genesi e funzione della forma predicativa (“Fido is shaggy”), natura, genesi e funzione della forma soggettiva o topica, natura, genesi e funzione della forma logica semplice, Natura, genesi e funzione della forma logica espressa da un simbolo mono-semantico di operazione logica, Rapporto tra l'attività dell'io intenzionante (implicaturus, e la struttura logica intesa come modalità con cui il contenuto e intenzionato (“He went to bed and took off his boots”). L'invarianza della forme o struttura logica.  Wikipedia Ricerca Significato Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento linguistica è priva o carente di note e riferimenti bibliografici puntuali. «Noi non sappiamo che cosa significano le parole più semplici, tranne quando amiamo e desideriamo.»  Emiliani, “Significati e verità dei linguaggi delle teorie deduttive(Ralph Waldo Emerson) Il significato è un concetto espresso mediante segni che possono essere grafici, verbali-orali, o mediante cenni e gesti. Il significato permette di capire o esprimere il senso, il valore o il contenuto del segno. Secondo il linguista ginevrino Ferdinand de Saussure, il segno linguistico è costituito dall'unione di un significato (un concetto, cioè la nozione mentale che abbiamo di un determinato oggetto) con un significante (cioè una forma sonora, o un'immagine uditiva).   Il triangolo semiotico In semantica (la disciplina che studia i rapporti tra segni e oggetti), secondo il classico modello a tre elementi, il significato è la nozione o immagine mentale generica che possediamo di un oggetto, la quale media tra la parola e la cosa. Ad es. il concetto di albero ci dà modo di riconoscerlo sia che si tratti di una quercia sia di un melo. Il significato è indicato graficamente o foneticamente dal significante, mentre l’albero reale al di fuori della sfera linguistica è detto referente. Va notato che mentre significato e significante sono sempre presenti, il referente può mancare o cessare di esistere (es. nelle parole “Napoleone” o “unicorno”).  In semiotica, il significato è uno dei vertici del triangolo semiotico postulato da Charles Peirce, come mostrato nella figura accanto.  Per quanto riguarda la porzione di realtà indicata, si distingue in genere tra:  denotazione, ovvero ciò che una parola indica in quanto tale (uomo, e il suo significato di animale razionale); riferimento, ovvero ciò che una parola indica in una frase determinata (quell'uomo è alto). BibliografiaModifica Gottlob Frege, Senso, funzione e concetto, (edizione originale 1892). Giorgio Graffi; Sergio Scalise, Le lingue e il linguaggio. Bologna, Il Mulino, 2002. ISBN 88-15-09579-9 Charles Kay Ogden e Ivor Armstrong Richards, Il significato del significato. Studio dell'influsso del linguaggio sul pensiero e della scienza del simbolismo, con saggi in appendice di B. Malinowski e F. G. Crookshank, trad. Luca Pavolini, Milano, Il Saggiatore, 1966 (orig.: The Meaning of Meaning. A Study of the Influence of Language upon Thought and of the Science of Symbolism, London, Routledge & Kegan Paul, 1923). Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, Bari, Laterza, 1970, (edizione originale 1916). Voci correlateModifica Disambiguazione Semantica Semantica lessicale Significato (psicologia) Struttura (semiotica) Triangolo semiotico Altri progettiModifica Collabora a Wikizionario Wikizionario contiene il lemma di dizionario «significato»   Portale Linguistica: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di linguistica Ultima modifica 6 mesi fa di Dedda71 PAGINE CORRELATE Segno concetto base della semiotica  Significante Triangolo semiotico Wikipedia Il contenuto Grice: “Alessandro Emiliani should be distinguished from Alessandro Emiliani. Alessandro Emiliani is a philosopher; Alessandro Emiliani is a semiotician!” Alessandro Emiliani. Emiliani. Keywords: semiotica, Dr. Wilde, Wilde lectures on religion? That’s after Henry Wilde, not a doctor? He was a doctor: “Dr. Henry Wilde” -- -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Emiliani” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Emon – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorian according to Giamblico.

Grice ed Empedo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico.

 

Grice ed Endio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico.

 

Grice ed Enriques – implicatura arimmetica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Livorno). Filosofo italiano. Grice: “I like Enriques; of course his “Problemi della scienza’ implicates that philosophy does not have any!” Il Dipartimento "Federigo Enriques" di Matematica dell'Università degli Studi di Milano, via Saldini, Milano. Nato in una famiglia ebrea, si trasferì a Pisa. Suo fratello Paolo Enriques, uno zoologo, fu padre di Enzo Enriques Agnoletti e Anna Maria Enriques Agnoletti. Dopo gli studi liceali, compì gli studi universitari a Pisa e la Scuola Normale Superiore. Si laurea. Frequenta in seguito un anno di perfezionamento a Pisa e uno a Roma, dove ebbe modo di incontrare e collaborare con Castelnuovo. Inizia inoltre a collaborare con Cremona, Segre e Amaldi. Lincei. Insegna a Bologna. Fu invitato presso l'Roma, per occupare la cattedra di matematiche superiori e di geometria superiore. Venne invitato da Neurath a divenire un collaboratore dell'Encyclopaedia of Unified Science, la cui pubblicazione era stata individuata come lo strumento per lo sviluppo del movimento per l'unità della scienza (cf. Grice, “Einheit des Wissenschaft”). Quando però furono promulgate le leggi razziali anti-ebraiche, e espulso dall'insegnamento e da qualsiasi altra occupazione legata all'attività culturale. Durante l'occupazione tedesca fu dapprima nascosto in casa di  Frajese e poi a San Giovanni in Laterano. Insegna a Roma nella scuola ebraica clandestina fondata da Castelnuovo per i giovani ebrei estromessi dalle università italiane, e riusce a pubblicare alcuni articoli in forma anonima sul Periodico delle Matematiche, di cui era stato direttore. Torna a insegnare. Tra i fondatori della scuola italiana di geometria algebrica, allarga gli orizzonti del dibattito scientifico occupandosi di filosofia, storia e didattica della matematica. Fonda la Società filosofica italiana (di cui fu presidente), assieme a Bruni, Dionisi, Rignano e Giardina fonda la rivista internazionale Rivista di Scienza ed e nominato direttore del Periodico di matematiche, organo della Mathesis. Diresse, tra l'altro, la sezione di matematica dell'Enciclopedia Italiana. Fu un filosofo di notevole livello e la sua fama fu internazionalmente riconosciuta. I suoi contributi allo sviluppo della geometria algebrica furono rilevanti, per importanza e originalità. Il periodo in cui si trova a vivere era un periodo di cambiamenti epocali, cambiamenti che interessarono anche i concetti base della matematica e della fisica. Enriques recepì immediatamente la portata delle novità introdotte dalle opere di Einstein, che fu da lui invitato a tenere una conferenza a Bologna. Nel campo dei fondamenti della matematica si ricordano i testi scolastici di grande diffusione, rivolto all'insegnamento nei licei e scuole superiori, nei quali la geometria euclidea, l'algebra elementare e la trigonometria vengono presentate con il metodo razionale deduttivo. Fra le sue opere più diffuse di matematica elementare si ricordano:  Questioni riguardanti le matematiche elementare, Questioni riguardanti la geometria elementare, Bologna Zanichelli); Elementi di Geometria ad uso delle scuole superiori (con U. Amaldi), Zanichelli Bologna e successive edizioni e ristampe);  Nozioni di matematica ad uso dei licei moderni (con U. Amaldi), Zanichelli Bologna); Gli elementi di Euclide e la critica antica e moderna (Roma e Bologna, Le matematiche nella storia e nella cultura, Bologna. Come opere principali di matematica superiore si ricordano in particolare:  Lezioni di geometria proiettiva, (it, de). Lezioni di geometria descrittiva, Bologna, Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche. Bologna. Lezioni di geometria descrittiva, Le superficie algebriche, Oltre alla sua attività come matematico, sviluppa significative ricerche di epistemologia, storia della scienza e filosofia della scienza. Questo suo impegno per il rinnovamento della cultura, avvenne in un periodo non facile, sia per gli eventi bellici, sia per la cultura dominante nella prima metà del Novecento, caratterizzata dalla filosofia idealistica e dal ridotto interesse verso la cultura scientifica. Fra le sue numerose saggi in queste materie si ricordano:  Problemi della scienza” (Zanichelli, Bologna); “Razionalismo e storicismo in "Rivista di Scienza", Zanichelli, Bologna, Il pragmatismo in "Scientia", Zanichelli, Bologna); “Scienza e razionalismo, Zanichelli, Bologna. Matematiche e teoria della conoscenza in "Scientia", Zanichelli, Bologna); “Per la storia della logica, Zanichelli, Bologna. Storia del pensiero scientifico, Bologna, scritta con G. Santillana. Il significato della storia del pensiero scientifico, Bologna, ripubblicato da Barbieri, La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni, Bologna. Le dottrine di Democrito d'Abdera. Testi e commenti, con M. Mazziotti, ripubblicato per Edizioni immanenza. Sviluppò una corrente di pensiero vicina al razionalismo. Assieme a Peano si può considerare uno dei principali filosofi italiani che si sono dedicati allo studio della logica e della filosofia della scienza nella prima metà del Novecento. Ha messo in luce due aspetti fondamentali del pensiero scientifico  nella prima metà del sec XX: la sempre maggiore specializzazione delle discipline fisiche, tecniche, ecc. e la tendenza al rinnovamento che si è avuta sia nei fondamenti della matematica, sia nella fisica moderna. Assieme a Bruni, Dionisi, Giardina e Rignano, fonda la rivista di ricerca e divulgazione scientifica Rivista di scienza (rinominata successivamente Scientia), con l'obiettivo dichiarato di superare le divisioni disciplinari in nome dell'unità del sapere e contro l'eccessiva specializzazione accademica. Contro codesti criterii ristretti intende reagire soprattutto il movimento nuovo di pensiero verso la sintesi; una Filosofia libera da legami diretti coi sistemi tradizionali, sorge appunto a promuovere la coordinazione del lavoro, la critica dei metodi e delle teorie, e ad affermare un apprezzamento più largo dei problemi della Scienza. Pel quale il particolarismo stesso viene compreso in un aspetto più adeguato nella interezza del processo scientifico. (Programma, Rivista di Scienza). Condusse la rivista, quando un articolo di Rignano sulle cause della guerra lo costrinse a rassegnare le dimissioni. Torna alla direzione alla morte di quest'ultimo e sotto sua esplicita richiesta fino al’anno delle leggi razziali. Abbandonato ogni incarico, ritorna infine alla guida di Scientia a due anni dalla morte. Il primo saggio significativo dedicato da Enriques a questioni di metodo e filosofia della conoscenza è l'opera Problemi della scienza nella quale compie un'analisi articolata delle varie discipline della matematica, della geometria, della meccanica, della fisica edella chimica alla fine del XIX secolo. Mette in evidenza l'importanza che lo scienziato deve analizzare con la massima attenzione, sia i fondamenti logici e sperimentali delle diverse discipline, sia il contesto storico e le situazioni in cui i principi scientifici sono stati scoperti.  In quest'opera Enriques indica che una visione dinamica della scienza, porta naturalmente nel terreno della storia. I fondamenti della scienza quindi non possono essere capiti completamente se non si analizza anche il contesto storico e culturale nel quale sono stati formulati. L'opera ebbe maggiore fortuna e diffusione all'estero, che non in Italia, dominata agli inizi del Novecento dalla cultura letteraria e della filosofia idealistica. Il suo pensiero trova riscontro nelle teorie elaborate dai massimi epistemologi filosofi fra cui Popper, Lakatos e Kuhn. In particolare nel pensiero di Lakatos e di Kuhn viene sviluppata la concezione della formazione storica dei concetti scientifici, come opera di più autori e ricercatori, che in un determinato periodo storico elaborano una serie di principi-base sui quali viene sviluppata una teoria ipotetico-deduttiva e le successive verifiche sperimentali.  Importante è anche la presa di posizione sia rispetto alla filosofie idealistiche del ‘900, che hanno tralasciato gli aspetti della filosofia della scienza, sia la sua posizione critica rispetto alla filosofia di Kant. In particolare, critica il concetto di giudizio sintetico a priori di Kant (Critica della ragion pura). Secondo Enriques, i principi fondamentali delle scienze sono elaborazioni razionali derivate per induzione dall'esperienza e dalla percezione sensoriale e non sono giudizi sintetici a priori. In questo saggio porta alcuni esempio fondamentali. I postulati della geometria sono generalizzazioni, per astrazione, di semplici esperienze geometriche, che ogni allievo compie fin dalle prime osservazioni razionali del mondo esterno, svolte anche in ambito scolastico. I principi della geometria sono generalizzazioni di esperienze sensoriali concrete.  Allo stesso modo anche i principi della Fisica e della Chimica derivano direttamente da generalizzazioni di esperimenti reali. Ad esempio la Legge di conservazione della massa dovuta a Lavoisier non è un giudizio sintetico a priori, come crede Kant. È noto infatti che deriva da semplici esperimenti fisici, svolti pesando i composti chimici prima e dopo una reazione chimica. La nuova impostazione razionalistica e storica fu avviata in Italia da Enriques, in Francia da Duhem e in Austria da Mach e da altri autori riunitisi intorno al Circolo di Vienna. Fu poi sviluppata ulteriormente in Italia da Geymonat e dalla sua scuola milanese che ha ripreso gli studi di Enriques, sviluppando i temi di storia della scienza e di filosofia della scienza.  Un'altro saggio fondamentale è Per la storia della logica che mette in evidenza l'importanza della deduzione, della induzione e gli altri aspetti interpretativi ed epistemologici della logica.  Il saggio ha un approccio storico e descrittivo della logica è ricco di citazioni originali, e affronta questo difficile argomento anche con una certa ironia ed eleganza letteraria. Nell'opera, sono illustrati in modo semplice e sintetico i contributi portati a questa disciplina dai vari filosofi nelle varie epoche. Si può considerare uno dei pochi testi in cui la materia è esposta in modo chiaro, essenziale e interessante.  Di notevole interesse per le fonti storiche citate e per la narrazione della genesi dei concetti scientifici sono la serie di opere dedicate alla storia della scienza. Il primo saggio fu la “Storia del pensiero scientifico” scritto in collaborazione con G. Santilana. Quest'opera ripercorre la storia delle scienze matematiche, geometriche, astronomiche, meccaniche e fisiche dall'antica Grecia fino ai giorni nostri, con numerose citazioni e fonti storiche degli autori originari. A esso seguirono altri testi di approfondimento, fra cui, “Il significato della storia del pensiero scientifico e La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni; Lineamenti di filosofia della scienza. Dei numerosi saggi dedicati agli aspetti filosofici della scienza si desumono i principali lineamenti del suo pensiero razionalista, che, a titolo orientativo si possono cercare di sintetizzare nei seguenti punti:  Equilibrio fra intuizione e ragionamento logico. Nelle opere scientifiche gli argomenti sono esposti in modo intuitivo, evidenziando i motivi sperimentali e oggettivi alla base di alcuni concetti astratti. Dopo la descrizione dei suoi principi, si sviluppa poi la materia con criteri logici, deducendo razionalmente le principali leggi, teoremi e applicazioni. Questo carattere, comune anche ai grandi scienziati del passato (Galilei, Cartesio, Newton, Eulero, Coulomb, ecc.) contraddistingue il metodo di Enriques, rispetto agli indirizzi formalisti che  si sono avuti nella logica e nella matematica del XX secolo. Problema della specializzazione delle scienze: ha colto questo aspetto critico delle numerose edeterogenee discipline scientifiche nel XIX e XX secolo. Per superare il problema della eccessiva frammentazione del sapere ha proposto di ripensare i concetti fondamentali della fisica, della geometria, della matematica e delle altre scienze naturali con criteri unitari, approfondendone il significato intuitivo, sperimentale e la sua genesi storica. Approccio storico alla conoscenza scientifica. Questo aspetto caratterizza il metodo di Enriques, che ha sviluppato con passione e impegno moltissimi aspetti di storia della scienza. La storia della scienza fa parte della scienza stessa. Per capire veramente un teorema non è sufficiente capire solo la sua dimostrazione, ma anche il contesto storico nel quale è stato formulato, quali sono stati i problemi tecnici che hanno portato alla sua formulazione e come sono stati risolti tali problemi con l'applicazione delle teorie scientifiche. Sviluppato in Italia il nuovo approccio di storia della scienza avviato da Mach e da Duhem, precursori del gruppo di filosofi e scienziati Professore del Circolo di Vienna. Valenza fisica dei concetti geometrici. La geometria può essere considerata come il primo capitolo della fisica, diversamente dai matematici e filosofici formalisti che la considerano una scienza astratta. L'orientamento formalista nella geometria è stato delineato da Kant (Critica della ragion pura) per il quale i postulati geometrici non derivano solo dall'esperienza visiva, ma sono giudizi sintetici a priori di carattere soggettivo e indipendenti dalle percezioni sensoriali. La tesi di Kant è stata discussa dai massimi esperti di filosofia teoretica con orientamenti contrastanti. Nel XIX secolo in opposizione a Kant si è delineato un approccio fisico-sperimentale ai principi geometrici, al quale hanno aderito molti storici e filosofi della scienza. Ha contribuito alla riscoperta del significato più autentico, di carattere storico, intuitivo e sperimentale alla base della geometria, della matematica e delle scienze fisiche. Contributi su Scientia Articoli “Eredità ed evoluzione” su amshistorica.cib.unibo. “I numeri e l'infinito” su amshistorica.cib.unibo. “Il pragmatismo” su amshistorica.cib.unibo. “Il principio di ragion sufficiente” su amshistorica.cib.unibo. “Il problema della realtà” su amshistorica.cib.unibo. “Il significato della critica dei principii nello sviluppo delle matematiche” su amshistorica.cib.unibo. “Importanza della storia del pensiero scientifico nella cultura nazionale” su amshistorica.cib.unibo.   su amshistorica.cib.unibo. “L'infinito nella storia del pensiero” su amshistorica.cib.unibo. La filosofia positiva e la classificazione delle scienze, I motivi della filosofia di Eugenio Rignano, su amshistorica.cib.unibo. Recensioni (in francese)  Ailly (D'),Imago mundi, Aliotta, A. L'esperienza nella scienza, nella religione e nella morale, su amshistorica.cib.unibo.  Archibald, R. C. Outline of the History of Mathematics, su amshistorica.cib.unibo.  Bignone, E.  L'Aristotele perduto e la formazione filosofica di Epicuro, su amshistorica.cib.unibo.  Blanche, R. Le rationalisme de Wewell, su amshistorica.cib.unibo.  Bouasse H.Bachot et bachotage, su amshistorica.cib.unibo.  Brunetet Mieli, A. Histoire des Sciences. Antiquite, su amshistorica.cib.unibo.  Brunschwig, L. De la connaissance de soi, su amshistorica.cib.unibo.  Carbonara, C. Scienza e filosofia ai principi dell'età moderna, su amshistorica.cib.unibo.  Carnap, R. L'ancienne et la nouvelle logique, su amshistorica.cib.unibo.  Carnap, R. La Science et la Metaphysique devant l'analyse logique du langage, su amshistorica.cib.unibo.  Caullery, M. La science francaise depuis le XVII siecle, su amshistorica.cib.unibo.  Collected papers of Charles Sanders Peirce, su amshistorica.cib.unibo.  Correspondance duMarin Mersenne, su amshistorica.cib.unibo.  CournotConsiderations sur la marche des idees et des evenements dans les temps modernes, su amshistorica.cib.unibo.  Crowter, J. G.British Scientists of the Nineteenth Century, su amshistorica.cib.unibo.  D'Amato, F. Studi di storia della filosofia, su amshistorica.cib.unibo.  De Waard, G.L'experience barometrique, ses antecedents et ses explications, su amshistorica.cib.unibo.  Del Vecchio Veneziani, AGaetano Negri, su amshistorica.cib.unibo.  Della Volpe, G. La filosofia dell'esperienza di Davide Hume, su amshistorica.cib.unibo.  Della Volpe, G. La filosofia dell'esperienza di Davide Hume, su amshistorica.cib.unibo.  Dingler, H.Philosophie der Logik und Arithmetik, su amshistorica.cib.unibo.  Dugas, R.Essai sur l'imcomprehension mathematique, su amshistorica.cib.unibo.  Fano, G. Geometria non euclidea, su amshistorica.cib.unibo.  Frank, Ph. Theorie de la connaissance et physique moderne, su amshistorica.cib.unibo.  Galilei, G. Opere, su amshistorica.cib.unibo.  Ginzburg, B. The Adventure of Science, su amshistorica.cib.unibo.  Gli atomisti. Frammenti e testimonianze, su amshistorica.cib.unibo.  Gregory, J. C.Combustion from Heracleitos to Lavoisier, su amshistorica.cib.unibo.  Hahn, H. Logique, mathematique et connaissance de la realite, su amshistorica.cib.unibo.  Heidel, W. A.The heroic Age of Science, su amshistorica.cib.unibo.  Hessenberger, G. Grundlagen der Geometrie, su amshistorica.cib.unibo.  I frammenti degli stoici antichi, su amshistorica.cib.unibo.  Jaffe, H. Natural Law as controlled but not determined by Experiment, su amshistorica.cib.unibo.  James W. Philosophie de l'experience, su amshistorica.cib.unibo.  Janek, A. Die realitat vom Standpunkte des Efallelismus, su amshistorica.cib.unibo.  Keyser, C. J.Mathematics and the Question of Cosmic Mind, with other Essays, su amshistorica.cib.unibo.  La philosophie de Giovanni Vailati, su amshistorica.cib.unibo.  La philosophie de la nature, su amshistorica.cib.unibo.  Le Bon G. La Revolution Francaise et la psychologie des revolutions, su amshistorica.cib.unibo.  Lecat, M.Erreurs de mathematiciens des origines a nos jours, su amshistorica.cib.unibo.  Lennhardt, H.La nature de la connaissance et l'erreur initiale des theories, su amshistorica.cib.unibo.  Liebert, A. Philosophie des Unterrichtes, su amshistorica.cib.unibo.  Maiocco F. L.Le leggi di Mendel e l'eredita, su amshistorica.cib.unibo.  Marshall, C. E.Microbiology, su amshistorica.cib.unibo.  Matematiche e teoria della conoscenza, su amshistorica.cib.unibo.  Metz, A. Meyerson, une nouvelle philosophie de la connaissance, su amshistorica.cib.unibo.  Metzger, H. La philosophie de la matiere chez Lavoisier, su amshistorica.cib.unibo.  Meyerson, E. Du cheminement de la pensee, su amshistorica.cib.unibo.  Ness, A.Erkenntnis und Wissenschaftliches Verhalten, su amshistorica.cib.unibo.  Nordstrom, J.Moyen age et Renaissance, su amshistorica.cib.unibo.  Platone e la teoria della scienza, su amshistorica.cib.unibo.  Reflexions sur l'art d'ecrire un traite: a propos d'un traite de mathematiques, su amshistorica.cib.unibo.  Rensi, G. Le ragioni dell'Irrazionalismo, su amshistorica.cib.unibo.  Rey, A.Rey, A.Les mathematiques en Grece au milieu du V siecle, su amshistorica.cib.unibo.  Servien, P.Principes d'esthetique. Problemes d'art et langage des sciences, su amshistorica.cib.unibo.  Smith, D. E.The Poetry of Mathematics and other Essays, su amshistorica.cib.unibo.  Spirito, U. Scienza e filosofia, su amshistorica.cib.unibo.  Stefanini, L. Platone, su amshistorica.cib.unibo.  Stefanini, L. Platone, su amshistorica.cib.unibo.  Tannery, P.Puor l'histoire de la science hellène, su amshistorica.cib.unibo.  Wind, E. Das Experiment und die Metaphysik, su amshistorica.cib.unibo.  Wolf, A. A History of Science, Technology and Philosophy in the 16 and 17 Centuries, su amshistorica.cib.unibo.L'autore ha curato una decina di manuali didattici di geometria e algebra elementare e oltre 20 trattati di matematica superiore. Ha inoltre pubblicato un'ampia serie di testi di storia e di filosofia della scienza e numerosi articoli specializzati. L'elenco completo delle sue opere comprende oltre 300 titoli, fra saggi, articoli e trattati scientifici.   Questo testo proviene da Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze Spoglio di articoli e recensioni disponibile sul Catalogo Italiano dei Periodici (ACNP). Informazioni sulla storia editoriale di Scientia. Silvia Haia Antonucci e Giuliana Piperno Beer, Sapere ed essere nella Roma razzista. Gli ebrei nelle scuole e nell’università, Roma, Gangemi editore, Collana Roma ebraica-7,  Tina Nastasi,Federico Enriquez e la civetta di Atena, ed plus,Pisa, Comunità ebraica di Livorno. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Federigo Enriques / Federigo Enriques (altra versione), in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Federigo Enriques, su MacTutor, University of St Andrews, Scotland. Federigo Enriques, su Mathematics Genealogy Project, North Dakota State University.  Opere di Federigo Enriques, su Liber Liber.  Opere di Federigo Enriques, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Federigo Enriques, Gaspare Polizzi, ENRIQUES, Federigo, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Edizione nazionale delle opere. Digitalizzazione completa di Scientia e Rivista di Scienza su AMS Historica. Sito ufficiale del Centro Studi Enriques di Livorno. "Le Armonie Nascoste", un recente documentario su Enriques su lalimonaia.pisa. Coloro che s'immergono nella dialettica, dice Aristone di Chio, fanno come i mangiatori di gamberi: per un boccone di polpa perdono il loro tempo sopra un mucchio di scaglie. Ma Hamilton, riportando il motto, vi aggiunge un’osservazione che non sembra aver perduto valore ai nostri giorni. Da noi, dice, il filosofo perde il tempo senza nemmeno gustare un boccone di polpa. Infatti il filosofo che ha percorso gli studi romani antichi classici, domanderebbe invano alla dialettica che gli fu insegnata, un concetto adeguato di quello che è l’ordinamento di un calcolo deduttiva come la geometria, nonché una spiegazione del significato e del valore dei principi che s’incontrano in la geometria. Che cosa e una definizione, un’assioma, un postulato? Che posto occupano nell’organismo della teoria dialettica? Quali sono i criteri che presiedono alla loro scelta o che permettono di giudicare della loro accettabilità? Tutte queste domande rimangono senza risposta, pel filosofo, se pure ad esse si alluse vagamente da qualche oscura dottrina del concetto. Certo esse non ricevono lume dalle minute classificazioni sillogistiche, per mezzo delle quali egli vien abilitato, quando mai, a verificare ciò che non ha alcun bisogno di verifica, cioè la coerenza formale di una dimostrazione geometrica. Ora è essenziale rilevare che il filosofo, ponendosi il problema dell’ordinamento della propria disciplina, si ritrova in faccia alla dialettica nella posizione stessa dei filosofi che hanno lavorato a costruirne l’edifizio, giacche lo sviluppo della dottrina del ragionamento procede appunto dalla critica dei filosofi che hanno riflettuto intorno alla natura e all’ordine della consequenza logica. Come padre della dialettica viene designato Aristotele. Ma Aristotele non può essere ritenuto se non raccoglitore e sistematore di ciò che nella dialettica e elaborato prima di lui, qualunque sia il contributo originale che può aver recato al sistema. L'affermazione precedente apparirà tosto giustificata quando si ricordi che le matematiche avevano raggiunto, già all’epoca di Platone, uno sviluppo assai elevato, [Il vanto che Aristotele dà a sè stesso (al termine degli Elenchi Sophistici) di aver creato una nuova scienza, appare, a chi legga tutto il paragrafo, riferirsi in modo stretto alla scienza della discussione o dialettica o collequenza e ad ogni modo non prova nulla contro il nostro asserto. La logica degli anlichi fiacche — a partire da Ippocrate di Chio — si cominciò a scrivere trattazioni dei suoi Elementi. Anche, che anzi, proprio all'epoca di Platone, ed in più o meno stretta connessione coll’accademia da cui pure usce Aristotele, alcune teorie aritmetiche furono oggetto di una profonda elaborazione critica (Eudosso, Teeteto...), che costituisce il precedente storico degli Elementi d'Euclide. Anche, che, d’altra parte, la dialettica aveva ricevuto uno straordinario sviluppo nelle discussioni dei Sofisti, sia presso i primi insegnanti salariati che presero tal nome, filosofi — come Protagora dì Abdera — sostenitori dell’ empirismo avverso il razionalismo metafisico del circolo di Velia, sia, più specialmente, presso i Megarici ed altri pensatori affini, che, in connessione coi circoli socratici, ripresero e svolsero in un modo formalistico la veduta veliatica. La finezza di alcuni sofismi attribuiti a filosofi di Velia, basterebbe da sola a testimoniare della profondità dell’analisi da essi ragggiunta, di fronte a cui fanno talora meschina figura le spiegazioni o confutazioni d’Aristotele negli Elenchi Sophistici. Aggiungasi che le stesse polemiche aristoteliche contro avversari non nominati (per esempio, intorno alla necessità e al carattere dei principi negli Analytica posteriora) valgono ad indicare che il problema logico dell’ordinamento di un calcolo analitico-deduttivo si dibatte secondo vedute diverse, alcune delle quali si riveleranno — ad un esame approfondito — più vicine alle vedute moderne, in confronto a quelle adottate dal filosofo di Stagira. I trattati d’Aristotele, che furono raccolti sotto il nome comprensivo di Organo, manifestano la doppia origine, dalla critica dell’aritmetica e dalla pratica della colloquenza. Infatti, i primi due saggi (Categoriae e De Interpretatione) si riferiscono alla classificazione o tassonomia delle espressione isolate e della proposizione, formando quasi una introduzione a tutta l’opera. I due saggi successivi (Analytica priora e Analytica posteriora) svolgono appunto la colloquenza come calcolo, quale risulta dall’analisi del ragionamento. Invece i due saggi (Topica ed Elenchi Sophistici) concernono l’arte della colloquenza o argomentare, mirante — non all’analitico ma soltanto al ‘desirabile’ ed al ‘credibile’ o ‘probabile’ in rapporto alla pratica della colloquenza. Aristotele ritiene per quest’arte il nome eleatico-platonico di ‘colloquenza’, mentre distingue col nome di propedeutica analitica – lo studio dell’analitico -- l’esame del procedimento della scienza dimostrativa, in cui dalla possibilità della scienza si desumono le condizioni del suo ordinamento questo senso è stato ripreso da Kant in quella parte della Critica della ragion pura che costituisce l’Analitica trascendentale. L’espressione ‘logicus’ è usato dal nostro per designare procedimenti del discorso che, non partendo da principi, non hanno valore dimostrativo. Ma quest’espressione s'incontra, già prima, [Quest’osservazione è fatta da Pranll, Geschichte der Logik. La logica degli antichi nel titolo di un saggio di Democrito d’Abdera:  rtepi Xoytxwv i) xavwv. E nella misura in cui si può ammettere che Aristotele ne abbia conservato il ‘significato’, rivelerebbe una diversa cocezione (più relativa e formale) del ragionamento: la quale s’incontra di fatto dopo Aristotele, e spalmente presso gli Stoici. Ora questi filosofi, appunto a partire da Zenone Cizio, designano come “to logikón” quella parte della filosofia che ha relazione al “logo” o discorso, e che comprende questioni attinenti al ragionamento e questioni rettoriche o di grammatical della profundita; mentre la scuola contemporanea di Epicuro ha tratto sicuramente da Democrito il nome di canonica, con cui designa le regole del metodo. Siffatte osservazioni, tendono a mostrare che l’influenza della vasta opera aristotelica sui successori, non fu così esclusiva come di solito si ammette, e c’inviterà a ricercare in questi stessi successori il riflesso delle opinioni più antiche, ed in particolare di quelle del maestro d’Abdera. Per formarsi un concetto dell’origine della logica, sarebbe interessante di ricercare se e quali ([Diels, Die Fragmente der Vorsokraliker: Dem.A 33, B. 10^. Diog. Laert. VII, 33 (In Arnim, Diogenes, 16). CO Aggiungeremo che Prantl opina che il nome proprio vj, come appellativo della scienza del ragionamento, o come nome comprensivo di esso e della rettorica, introduca piuttosto dai tardi peripatetici che dagli stoici] rapporti sieno interceduti fra la critica dei matematici e le sottili disquisizioni e implicature dei sofisti. Clairaut, per spiegare il rigore del ragionamento di Euclide, notta: ce geomètre avait à convaincre des Sophistes obstinés qui se faisaient une gioire de se lefuser aux vérités le plus évidentes. Houel ripette che la forma dogmatica d’Euclide è dovuta a “sa préoccupation de fermer avant tout la bouche à des sophistes que la Grece avait le tori de prendre au sérieux.” “De là,” egli aggiunge, “son habitude de demontrer toujours qu' une chose ne peul pas ótre au lieu de demontrer qu’ elle est.” Queste affermazioni sono state frequentemente contestate, giacche è difficile riconoscere che i sofisti abbiano esercitato un'influenza diretta, non dico sopra Euclide, ma nemmeno sopra i geometri, suoi predecessori, che hanno elaborato criticamente la scienza matematica. Tuttavia si può citare, a questo proposito, qualche accenno ad una polemica antimatematica di Protagora e di Antifonte tendente a restituire (avverso la filosofia razionalistica) il carattere empirico (alla Mills, i. e., sintetico, non analitico) ai concetti della geometria: argomenti dello [Elementi de geometrie, Parigi] [Essai critique sur les Principes fondamenlaux de la Géométrie” Parigi] Nondimeno i rapporti amichevoli di Protagora col matematico Teodoro di Cirene sono attestati da Platone: Teeteto 161 b 162 a. (Aristotele, Met. II, 2. (20). Cfr. Simplicio in Aristotele Phys.: Diels B. 13. La logica degli antichi] stesso genere vedonsi comunemente ripetuti dagli empiristi» e — per quanto concerne l'antichità — si trovano raccolti da Sesto Empirico (‘). Ma, qualunque veduta si abbia intorno alle idee espresse da Clairaut e da Hoiiel (che sono errate almeno per quel che concerne la svalutazione del movimento sofistico I), un altro nesso, più importante, appare fra la critica logica dei matematici e la dialettica dei sofisti, poiché l’una e l’altra sono generate insieme dalla filosofia di Velia. Infatti Zenone di Velia, è additato, dallo stesso Aristotele, come inventore di quell’arte litigiosa che è la dialettica e, d’altra parte, l’analisi penetrante di Tannery e di Zeuthen sui celebri argomenti intorno al moto (la dicotomia, l’Achille, la freccia, ecc.), ha messo in evidenza il loro significato e valore matematico, sicché il sottile dialettico in cui la tradizione non ha veduto che un ragionatore ‘paradossale’, si scopre ai nostri occhi come iniziatore di quell’ ordine di considerazioni che costituisce l'analisi infinitesimale. Ed é sommamente istruttivo riconoscere che proprio dalle considerazioni infinitesimali — in cui il pensiero i trova esposto a non sospettate fallacie — trae origine la critica del ragionamento, onde ne esce fuori la sco¬ perta del principio di contraddizione e il procedimento [Adversus Aialhcmaticos, I. III. (2 ) Cfr. Diog., L., Vili, 57; Sesto Adv., Math., VII, 6 (in Diels, Zenone, A, IO); Aristotele ed. Didot] di riduzione all'assurdo, o eliminazione della negazione. Democrito che spingerà innanzi l’analisi infinitesimale, scoprendo il volume della piramide, viene parimente ricordato da Diogene Laerzio come prosecutore della dialettica zenoniana. Ma importa spiegare, sia pure con brevità, come le origini dell’analisi infinitesimale si riattacchino ad un critica dei principi della geometria, a cui pertanto viene a connettersi lo sviluppo della logica. La dimostrazione delle cose che qui asseriamo si troverà nei lavori degli storici sopra citati, ed anche in altri nostri scritti, in cui abbiamo trattato più particoiar-mente questo soggetto. Secondo le notizie che ci vengono fornite da Proclo, nel commento al primo libro dell' Euclide, le principali teorie geometriche che costituiscono gli Elementi furono elaborate dai pitagorici e ricevettero già a Crotone uno sviluppo dimostrativo. Zeuthen suppone che il punto di partenza di questo sviluppo sia stato il tentativo di stabilire in generale la relazione fra i quadrati dell’ipotenusa e dei cateti del triangolo rettangolo, nota sotto il nome di teorema di Pitagora. D’altronde vi sono numerosi indizi che la geometria pitagorica avesse come fondamento una teoria delle proporzioni (symmetria, o della misura o analogia), basata sopra un concetto EMPIRICO del punto-esteso, preso come [Cfr. Enriques, Il procedimento di riduzione all'assurdo, Bollettino della Mathesis ».Cfr. in ispecie Tannery, Pour la Science hellcne, cap. X. La logica degli antichi] elemento unitario di tutte le cose (monade). Così l’affermazione pitagorica che le cose sono numeri è da interpretare nel senso che un corpo, o una figura geometrica, che in questo stadio della filosofia si pensa in maniera concreta, e un aggregato di punti, cioè unità aventi posizione. Ma l’ipotesi monadica traeva con se la commensurabilità (simmetria) di due segmenti qualsiansi, che appunto rendeva senz' altro possibile la misura, e questa conseguenza doveva urtarsi — nel stesso circolo pitagorico— colla scoperta che la diagonale e il lato del quadrato sono incommensurabili. Ora, mentre i pitagorici si affaticavano intorno a questa difficoltà, altri filosofi che del resto sono usciti dai medesimi circoli, iniziano la critica dei concetti geometrici, riconoscendo che un ragionamento, il quale voglia mantenersi immune da contraddizioni, deve riguardare il punto come privo di estensione, la linea come lunghezza senza larghezza, la superficie senza spessore, e di qui vengoo naturalmente condotti alle prime considerazioni infinitesimali. Questi critici razionalisti sono i filosofi di Velia: Parmenide e il suo discepolo, l’italiano Zenone. La loro speculazione segna un punto decisivo nella storia della filosofìa, perocché essa proclama nettamente, per la prima volta, i diritti della ragione: il ragionamento coerente viene assunto [Parmenide è annoverato fra i pitagorici nel catalogo di Giarablico (Diels, Pyth, 45, A.) e delle sue relazioni con altri pitagorici ci viene attestato da Diogene Laerzio. Senz’ altro a misura della verità, cioè dell' esistenza metafisica, distinta e contrapposta all’ opinione probabile che si riferisce alla realtà sensibile. Da questo razionalismo, per cui il pensiero non esita a staccarsi dalle apparenze fenomeniche per serbare rigida fede ai suoi principi, nasce — come si è detto — il metodo dialettico, che è il germe della logica. La quale ebbe a svilupparsi di poi, mentre fervevano le controversie fra empiristi e razionalisti, e — per opera di questi — si proseguiva lo sviluppo dell analisi infinitesimale (Democrito), e se ne indagava criticamente i principi (Eudosso). Ma, poiché questa critica — toccando alla teoria fondamentale degli incommensurabili e delle proporzioni — veniva ad involgere l’intiero problema dell’assetto rigoroso della geometria, la ricerca logica non poteva limitarsi all’ analisi dei sottili procedimenti implicaturali della deduzione, anzi doveva naturalmente estendersi all’ordinamento della scienza e alla valutazione dei suoi principi. In rapporto a ciò che precede riescono sommamente espressivi ed interessanti i giudizii di Plato ne, sebbene forse, si sia esagerata dallo Zeuthen l’influenza che il filosofo ateniese può. “Sur la riforme qu' a subie la malhématique de Platon à Euclide et gràce à laquelle elle est devenue Science raisonnée, “Memorie dell’ Accademia di Copenhagen”)] avere esercitato su pensatori matematici quali Eudosso Teeteto, allorché designa il movimento critico el tempo col nome di riforma platonica dèlle matematiche. Riferiamo alcuni passi della Republica 510. Quelli che si occupano di geometria e di aritmetica ecc. assumono il “pari” ed il “dispari”, e le figure e tre specie di angoli, e altri simili supposti nelle dimostrazioni; e come avendone certa scienza questi supposti li prendono per base, e quasi fossero evidenti non pensano affato a darne alcuna ragione, nè a se stessi, nè agli altri; anzi, di qui partendo, ordinatamente dimostrano lutto il resto giungendo infine a ciò che si proponevano di dimostrare. Essi si valgono, per ciò, di figure visibili, e ragionano su di esse, non ad esse pensando, ma a quelle di cui queste sono l’immagine, ragionando sul quadrato in se stesso e sulla sua diagonale, anziché su quello o quella che disegnano; e cosìutte le figure che formano o disegnano (quasi ombre o immagini specchiate dall' acqua), tutte le adoperano come rappresentazioni, cercando di vedere attraverso di esse i loro originali, che non sono visibili se nndall’intelligenza (5:cV3ix).... ». (511). Questa specie invero io la dicevo intelligibile, e intendevo dire che l’anima nell’ investigazione di essa, è costretta a valersi di remesse. Ci valiamo dell’ed. Didot e della trad. it. edita da Laterza, che riportiamo con lievi modificazioni. non procede al principio, perchè non è in grado di andare oltre alle premesse, ma si vale, come d’ immagini, degli originali appartenenti al mondo di quaggiù, da esse imitali, valutandoli e stimandoli come eidenti di fronte a quelle,” mentre “il ragionamento che usa la forza della dialettica, considerando le remesse non come principi ma soltanto come pre¬ esse — quasi punti d’ appoggio e di partenza — giunge a ciò che più non ha premesse, cioè al principio universale, e raggiuntolo e tenendosi fermo alle conseguenze che ne derivano, perviene al fine senza far uso di nessun sensibile, cioè procede dalle idee stesse alle idee attraverso le idee, per finire alle idee. Di qui la distinzione posta fra la ragione del dialettico (vo’jc, vóy}oic) e l’intelligenza del geometra (3:xvo:s() che sta di mezzo fra l’opinione e la ragione”. La stessa distinzione ritorna in: Rep. (533c,...): la geometria e le scienze affini sognano rispetto all’ essere, ma è imposibile che lo vedano ad occhi aperti, intanto che si valgono di postulati e li tengon fermi, mentre non sanno renderne conto. Veramente la disciplina, che ignora il suo principio, e che ha la fine e il mezzo legato a ciò che non sa, come si potrebbe chiamarla scienza?... ».Vi è qualche difficoltà a comprendere queste vedute. Anzitutto giova respingere l’ interpretazione più comune, che stabilisce una differenza radicale fra la ragione del dialettico e l’intelligenza del geometra, giacché non si riesce a dare alcun significato alle idee platoniche, se non ammettendo che esse esistano nello stesso modo in cui si afferma l’esistenza di rapporti o di forme matematiche nella natura. L' apparente contraddizione fra questo modo d'intendere la dottrina e le parole del testo sopra accennato, si toglie ammettendo che il posto inferiore attribuito alle matematiche di fronte alla dialettica, si riferisca non tanto alle matematiche pure, costruibili come scienze (pafW’yiJ.aT*) secondo l’ideale del nostro, quanto alle matematiche considerate come arti (zl'/yy.:). Ed in appoggio a tale veduta si possono citare altri passi dello stesso dialogo, p. es.: Rep. (527)  anche coloro che sono poco profondi in geometria, non metteranno in dubbio che questa scienza è tutto il contrario di quanto parrebbe dalla terminologia che usano quelli che la professano. È una terminologia troppo ridicola e misera, perchè — quasi si trattasse di scopo pratico — parlano sempre di quadrare, di prolungare o di aggiungere. Invece tutta la scienza si coltiva collo scopo di conoscere”. Ma qual’ è l’ordinamento della geometria vagheggiato da Platone? su che base vorrebbe egli edificarne i principi? I passi citati indicano assai chiaramente che per conferire alla scienza un valore razionale, il filosofo [Cfr. G. Milhaud: Les philosophes géometres de la Grece. Parigi, Alcan; Enriques: Scienza e razionalismo, Bologna, Zanichelli] vorrebbe eliminare quelle domande che si pongono a fondamento delle dimostrazioni, sotto il nome di postulati (axioma), mercè cui si assume la possibilità di certe costruzioni, facendo appello ad operazioni pratiche sopra modelli sensibili. La base della geometria, edificata secondo i criteri della dialettica, consisterebbe duue in pure definizioni (il procedimento dialettico ha appunto come scopo di definire i concetti !) o in principi evidenti — quali gli assiomi — che Platone riguarderebbe come conoscenze innate, giusta la teoria della reminiscenza (annamnesis) esposta nel Menone. In tal guisa le proprietà elementari che una figure visibile ha porto occasione di riconoscere, merce 1 intelligenza ideahzzatrice (dianoia), apparirebbero fondate sulla pura ragione (nous). Rivolgendoci agli Analytica di Aristotele, vi troveremo notizie più precise sui criteri adottati dai geometri nell ordinamento logico della scienza, criteri che sara interessante di raffrontare a quelli che appaiono, in atto, negli Elementi euclidei. Già al principio degli Analytica priora, l’autore definisce il concetto della scienza di cui imprende lo studio. Anzitutto e da dire il soggetto e lo scopo di questo studio: il soggetto è la dimostrazione e lo scopo è la scienza dimostrativa (à~:a~y.tirj à7to8sM~:xf/). Quindi, negli stessi Analytica priora, viene a stabilire la teoria del sillogismo (teorico o aletico, e pratico o volitivo), e passa poi ad esaminare — nei posteriora — l’ordinamento delle scienze deduttive, riferendosi perciò continuamente alle matematiche. Quest’ ultimo trattato, che qui occorre specialmente esaminare, si apre coll’ enunciato che ogni conoscenza razionale, sia insegnata, sia acquistata, deriva sempre da conoscenze anteriori. L'osservazione mostra che ciò è vero di tutte le scienze. Infatti questo è il procedimento delle matematiche e, senza eccezione, di tutte le altre arti. Ora dal concetto stesso del sapere segue necessariamente che la scienza dimostrativa procede da principi veri, da principi immediati, più noti che la conclusione, di cui sono la causa ed a cui precedono. Aristotele (ibidem, 1, 3) esamina e respinge le obiezioni di due specie di avversari di questa dottrina, i quali pretendono o che non vi sieno principi e però che la dimostrazione riesca impossibile, dando luogo ad un regresso all’ infinito; o, all' opposto, che il procedimento della dimostrazione sia affatto relativo, sicché i principi possano provarsi partendo dalle conclusioni, così come le conclusioni dai principi: ciò che egli dice dar luogo ad un circolo vizioso. Sarebbe assai interessante conoscere gli avversari [Cfr. Enriques: Il concetto della Logica dimostrativa secondo Aristotele in « Rivista di filosofia ») An. post. I, 2 (6). a cui il nostro si riferisce. Forse la prima obiezione apparteneva alla polemica antimatematica di filosofi empiristi, mentre la seconda potrebbe essersi presentata nei circoli megarici (imbevuti del relativismo veliatico) ovvero a Democrito o ad altri matematici, critici dei principi della scienza. Ad ogni modo, della veduta qui espressa — che è solo apparentemente illogica — ci colpisce l'analogia che essa presenta con talune vedute moderne. Aristotele combatte questo relativismo, poiché tutta la sua metafisica, ispirata alla dottrina platonica delle idee, e soggiacente alla sua logica, reagisce appunto alle tendenze relativistiche delle speculazioni, che dalla scienza presocratica erano passate nel dominio del costume e delle credenze religiose, in guisa da minacciare le condizioni della vita sociale nel mondo ellenico. Il parallelismo che i veleiatici avevano scorto fra il logo o ragione e l’essere, e che i sofisti (avversari e prosecutori) avevano interpretato nel modo di proiettare nella realtà l’arbitrario che è proprio della libera critica, riceve, nella dottrina socratico-platonica, una interpretazione inversa. Infattim  la teoria ontologica delle idee, suppone un ordine assoluto di consistenza che stanno di fronte alla ragione come dati, sopra cui esso ha da modellare l’ordine della propria scienza. Così dunque Platone vede nella classificazione delle forme geometriche un modello della gerarchia delle specie naturali, la quale si rispecchia nquel procedimento più generale di “divisione” (diaresis) e di definizione (horismos) che costituisce la dialettica. Ed analogamente per Aristotele, il rapporto necessario ed irrversibile fra causa ed effetto, offerto dalla natura, si riflette nel rapporto fa premesse (p) e conseguenze (q) della scienza dimostrativa (p implicat q); la quale perciò possiede un ordine naturale che non può essere invertito, onde i suoi principi appariscno assolutamente indimostrabili, An. post. I, 2 (9): Bisogna che i principi da cui si parte sieno indimostrabili. Altrimenti, non possedendone la dimostrazione, on potrebbero ritenersi noti, poiché sapere in modo non accidentale le cose di cui la dimostrazione è posibile, è possederne la dimostrazione, Ora, proseguendo l’esame degli Analityca posteriora, veniamo istruiti più precisamente che i principi della scienza, si lasciano distinguere in più specie. Primo, i Termini o definizioni (3 poi), cioè supposizioni del ‘significato’ (semiosis,segno) dell’espressione (in linguaggio moderno: assunzioni di concetti primitivi non definiti) e definizione propriamente detta. Secondo, Supposizioni d’esistenza del genere e delle sue modificazioni, cioè delle cose designate dai termini. Terzo, Proposizioni immediate che occorre necessariamente [La teoria logica della definizione è trattata da Aristotele in An. post. II, e specie nei Capi 9 e 12: dove si pscrive la regola di restringere successivamente l’estensione del genere aggiungendo — nell’ordine naturale — la differenza specifica che lo delimitano, fino a che esse circoscrivano, nel loro insieme, l’estensione del soggetto da definire] riamete conoscere per apprendere qualsiasi cosa, le quali vengono chiamate assiomi (ófiwpaTsc) giacché vi sono proposizioni di tal natura e ad esse si riserva abitualmente questo nome. Infine anche ipotesi o postulati (odr^i-istra), che s'introducono effettivamente nell’ insegnameto delle matematiche (o anche nella discussione) domandando al discente di ammettere l'esistenza di qualche cosa di cui egli non abbia alcuna idea, ovvero abbia un’idea contraria. Qui d concetto d Aristotele riesce alquantscuro, iacché da una parte egli sembra ammettere (come Platone) che un postulato potrebbe essere eliminato * postulato... e ciò che si pone senza dimostrazione, quantunque potrebbe dimostrarsi, e di cui ci si serve senz’ averlo dimostrato » (I, 10 (8) ); e d’ altra parte (riferendo evidentemente le vedute dei geometri) egli avverte che una definizione non e un’ ipotesi perchè non dice se la cosa definita esista oppur no. Ma probabilmente il suo pensiero è che il sapere dovrebbe edificarsi su quelle sole supposizioni d'esistenza che hanno carattere di necessità, essendo vere di per sé stesse (xaO’ alili), le quali non si possono considerare come ipotesi o postulati.. (1, 10(7)), imperocché la dimostrazione si rivolge non alla parola esteriore, ma alla parola interiore dell’animo. Con ciò il Nostro fa appello a quel sentimento d’evidenza del pensiero che Platone. Usalo dai pitagorici secondo Giamblico (in Diels, D, 6). ha rappresentato come intima sincerità nel Teeteto, servendosi quasi delle stesse parole. Tuttavia Aristotele critica la teoria platonica della reminiscenza, negando che vi siano conoscenze innate. La conoscenza universale dei principi viene per lui acquisita indubbiamente dalla sensazione. Essa si produce mercè l’unità dell’ esperienza che sussiste nell' anima, nonostante la molteplicità degli oggetti, in forza della facoltà di fissare ciò che vi è di simile o d’identico nei particolari e di riconoscerlo come dato del pensiero. (An. post. 11, 15 (5,6, 7)). Ciò non toglie all’ assoluta verità che l'intelligenza idealizzatrice (òtavaa), fondamento della scienza, conferisce ai suoi principi (II, 1-5 (8)). Alle dottrine d’Aristotele giova paragonare quelle che appariscono nell’ ordinamento degli Elementi di Euclide: Il ragionare è un discorso che l'anima rivolge a sè stessa, per sè, intorno alle cose che consideri nemmeno in sogno hai ardito dire a te stesso che il dispari è pari, o altra simile cosa. An. priora II, 21 (7) e An. post. I, I (7). Heiberg, Euclidis opera omnia, Teubner, Lipsia, Secondo le indicazioni del commentatore Proclo di Bisanziom Euclide sarebbe vissuto in Alessandria al tempo del re Tolomeo. Le opere di Aristotele che conosciamo sembrano appartenere all’ultimo decennio della sua vita. Nei quali si trovano tre specie di principi: 1) termini o definizioni (Spot): 2) postulati 3) nozioni comuni (y.otvof Ivvoiat). Non è qui il luogo per sottoporre ad un’analisi appiofondita queste premesse, che — a dir vero — sono lungi dall’apparire soddisfacenti, tanto che da Tannery si è perfino messo in dubbio la loro autenticità; solo, riferendoci alla critica che ne ha fatto lo Zeuthen, Limiteremo ad alcune osservazioni logiche. Ma anzitutto vogliamo arrestarci un momento sopra una questione di parole. Non pochi si meravigliano che Euclide usa l’espressione ‘nozione comune’ per designare quelli che Aristotele chiama (coi matematici pitagorici) * assiomi», tanto più che — si dice — l’espressione « evvow » compare solo più tardi nel linguaggio degli Stoici. Ora non è fuor di luogo rilevare che la stessa espressione si trova pure in Democrito. Il rilievo assume interesse per la circostanza che Democrito compose, circa cent’anni prima d’ Euclide, degli Elementi, che non sono annoverati nel sunto storico di Proclo, ma di cui Trasillo ci ha conservato i titoli (:J ); tanto più che questi lasciano (*) Clr. Hisloire dea malhimallquea traci, dal danese di Mascari (Parigi, Gauthier-Villars): n. 14, 69 94. Cfr. Sesto in Diels, A, III. (3 ) rsti>|isi?t>t(óv (A, li?), Api0|io£, IIspl à/.dyfev Ypxfijitòv stai vxowùv A, li (cfr. Diels B, II", II 0, I |P)] scorgere un ordinamento della materia simile a quello adottato dallo stesso Euclide. Non sembra fuor di luogo congetturare che nella terminologia democritea gli assiomi venissero appunto designati come nozione o nozione comune, e che il geometra alessandrino, imprendendo a sistemare la stessa materia, in rapporto ai progressi critici del secolo, abbia conservato la denominazione del suo illustre predecessore: al quale di preferenza doveva guardare. Diciamo ora che la distinzione fra le nozioni comuni o gli assiomi, e i postulati, viene spiegata da Gemino in Proclo come analoga a quella fra teoremi e problemi, o fra identità e equazioni, in quanto i primi porgono delle relazioni, per cui certe proprietà resultano conciute come conseguenza di altre date, laddove i secondi assegnano costruzioni elementari, ciò che, nel concetto dei antichi, significa affermare l’ esistenza di enti particolari cui s’impongono certe condizioni. Questo carattere costruttivo sembra mancare soltanto al post. 4 (tutti gli ngoli retti sono uguali fra loro); ma Zeulhen spiega come in tale affermazione debba vedersi un complemento del post. 2, nel modo di affermare che il prolungamento di una retta è unico. In appoggio della nostra veduta può valere, forse, un passo del noto commento. Prodi Diadoclii in primum Euclidis Elemenorum librato commentarii (ed. Friedlein), in cui sembra che Proclo alluda all'uso dei geometri di chiamare nozione comune ciò che Aristotele chiama assioma. Cfr. Vailati, Scritti, Proclo osserva pure che gli assiomi e i postulati differiscono anche per essere: questi, principi particolari della geometria, e quelli, principi comuni alle varie scienze; infatti si tratta qui delle proprietà generali dell uguaglianza e diseguaglianza fra grandezze. Infine la distinzione fra le due specie di principi si accorda anche col criterio d'Aristotele, che riconosce negli assiomi delle verità cessarie ed indimostrabili, perchè evidenti di per se (xocS' èx jvx), e nei postulati delle verità — partecipanti ad un’ altra specie di evidenza (sensibile) — che non risultano ugualmente dviyxw dal significato dei termini che vi figurano: la natura del principio, enunciato da Euclide come nozione comune, sembra infatti rispondere a questo criterio. Ma se taluni geometri (al dire dello stesso Proclo) recusavano di distinguere assioma e postulato, mancano tuttavia indizi per affermare che essi respingessero il significato che Aristotele e probabilmente altri ancora (secondo la metafisica del senso comune) attaccavano a codesta distinzione, così come lo respinge la critica moderna, che per tale motivo appunto — considera ugualmente le proposizioni primitive della scienza quali postulati, da ricevere, in una qualsiasi teoria deduttiva, come dati anteriori allo sviluppo della teoria stessa. Un piccolo lume ci è recato in tali questioni dal riferimento dello stesso Proclo circa un tentativo di dimostrare l'assioma I (cose uguali ad una terza sono uguali fra loro), che sarebbe stato fatto da Apollonio. Infatti della tentata dimostrazione viene porto il seguente cenno. Sia a uguale a b, e b uguale a c; dico che a è uguale a c. Invero a occupa Io stesso luogo (córto;) di b, e così b occupa lo stesso luogo di c; quindi anche a occupa lo stesso luogo di c. Questo ragionamento indicherebbe forse che Apollonio voleva ricondurre il concetto euclideo di ‘eguaglianza’ geometrica al caso della sovrapponibilità delle figure, facendo appello ad esperienze ideali di movimento, mercè cui poteva iludersi di ridurre ad una pura proposizione identica la proprietà transitiva di quella relazione. Mentre il ricorso a siffatte esperienze ci avverte appunto (con Helmholtz e Stolz) che il detto assioma 1 ha un significato o carattere sintetico e non può ritenersi come una semplice proposizione analitica (vera per definizione). Comunque il rifermento accennato lascia presumere che la critica dei principi sia stata spinta innanzi da Apollonio, dopo Euclide, con quella penetrazione di cui volentieri siamo disposti ad accreditare il grande geometra iPerga. Ritorniamo all' Euclide per esaminare, in breve, i principi eh' egli ha designato col nome horós: termine o definizione. Se essi vengono considerati come definizione, non si può a meno di rilevarne la manchevolezza, poiché non offrono, spesso, che descrizioni atte a indicare la genesi psicologica dei concetti. Così, p. es., in 3 e 3, dove si dice che gli estremi di una linea sono punti, e che gli estremi di una superficie sono linee. Ma, verosimilmente, queste ed altre spiegazioni sono da considerare in rapporto alla tradizione storica precedente, come un richiamo dei caratteri per cui gli enti delia geometria razionale appaiono idealizzazioni dell'esperienza: p. es. le I, 2, 5 stanno a ricordare che — secondo il risultato della critica veliatica il punto è inesteso, la linea è lunghezza senza larghezza, e la superficie non ha spessore. Anche quelle che si presentano come definizioni propriamente dette, non ottemperano sempre al criterio fondamentale enunciato da Aristotele, che l’insieme degli attributi restringa l’estensione del genere in guisa da non appartenere ad alcun concetto più esteso. Per questo motivo sembra insufficiente la def. 4, inea retta è quella che e posta ugualmente rispetto ai suoi punti. Imperocché, se s interpreta come si usa comunemente, retta è quella linea che è divisa in due parti uguali da qualsiasi uo punto’, si enuncia una proprietà non caratteristica della retta, che appartiene anche all’elica (cfr. Apollonio in Proclo: 105, 5). Ora conviene aggiungere che Euclide, non soltanto suppone l’esistenza di ciò che viene immediatamente designato da alcuni termini, ma sembra anche introdurre surrettiziamente alcune ipotesi esistenziali, per mezzo di definizioni, laddove — per analogia coi criteri seguiti in altri casi — si sarebbe aspettata l'esplicita introduzione di un postulato. Ciò accade, in ispecie, per quel che riguarda le intersezioni di rette e circoli, le assunoni adoperate nelle prop. I, 12, 22 sembrando giustificarsi (secondo che osserva ) Cfr. Proclo 1. linea II] Zeuthen) mediante la definizione (15) del circolo come figura piana compresa da una sola linea. Ma non giova insistere su tali difetti, che apparten¬ gono all’esecuzione e non modificano i criteri logici del disegno. Restando nell’ordine d’idee euclideo, avremmo soltanto da completare i postulati coll’ enunciare esplicitamente i casi d'esistenza delle interse¬ zioni di rette e cerchi o di due cerchi, che si offrono nelle costruzioni elementari. Interessa piuttosto di rile¬ vare come queste ipotesi esistenziali, che la geometria antica introduceva nei singoli casi, mercè appropriate costruzioni, oggi si lasciano dedurre da un unico principio generale di continuità, onde l'affermazione d’esistenza si libera dalla ricerca dei mezzi costruttivi, complicantisi colla natura del problema. E questo un progresso conforme all'indirizzo preconizzato da Platone, che— come si è visto — repugnava appunto da ciò che sa di pratico o di meccanico nella formu¬ lazione dei postulati. Nota. A complemento di quel che si è detto intorno alla geometria euclidea, aggiungeremo che Archimede (5) sembra classificare e distinguere i principi in modo diverso, poiché (in una lettera a (Cfr. p. e*. I* art. 5° di G. Vii a li nelle Questioni riguardanti le matematiche elementari raccolte e coordinate daF. Enriques Voi. J, Bologna, Zahelli. De sphaera et cilindro in « Archiinedis opera omnia cum commentari^ Eutocii », ed. Heiberg. Lipsia, 1910. Cfr. The Work* of Archimedes, e. Heath, Cambridge, Capitolo I Dositeo) chima «assiomi» (à^:ih\i.xTx) le definizioni accompagnate da supposizioni d’esistenza: p. es. esi¬ stono linee piane che giacciono tutte da una parte ecc., e queste si dicono concave; mentre poi dà il nome di * assunzioni » (Aa|l3*V0;xsva) a taluni principi (teoremi precednemente stabiliti o postulati, assai eleganti) da cui muove la sua trattazione: p. es. la retta è la linea più breve tra due punti. Il commento d’Eutocio restituisce agli àfjuojtara archimedei il nome di opy. ConsiderazioSe ora, riguardando soprattutto ai secondi Analitici d’Aristotele e agli Elementi d’Euclide, cerchiamo di esprimere le nostre impressioni in un giudizio sintetico sulla logica degli antichi, domandandoci fino a che punto i loro criteri ci sembrino accettabili o esaurienti, siamo condotti alle seguenti riflessioni. La logica dei antichi suppone un ingenuo realismo per cui il pensiero appare come la copia o la visione di una natura esterna. Così il numero dai pitagorici e lo spazio continuo dagli eleati, sono pensati in concreto, ad imitazione di quella sostanza cosmica che viene figurata costituire il sostrato naturale (la epa:;) di tutte le cose. La supposizione realistica è tipicamente espresa nella teoria delle idee di Platone, che (orma infine la metafisica soggiacente alla logica d'Aristotele. Da essa deriva il carat¬ tere di necessità dei principi, e quindi la pretesa di un ordine naturale della scienza, facente capo a pre- messe assolutamente indimostrabili; la qual pretesa viene corretta, almeno in parte, nelle vedute dei geometri.  Ma dallo stesso realismo, ha origine la radicale manchevolezza della teoria della definizione. Poiché le oscunta del trattato di Aristotele e le imperfezioni dell’Euclide, in enere gli errori della critica che si riscontrano in tali opere, si possono riattaccare a codesto presupposto, quasi a comune radice. Si ammette infatti che le parole rispondano ad enti di un mondo intelligibile trascendente il soggetto, che si tratta di fissare univocament Di qui il criterio che la deduzione logica debba tener presenti, non soltanto le premesse esplicitamente enunciate come assiomi o postulati, bensì anche il significato dei termini su cui si ragiona, vedendo, attraverso di essi, quella realtà (geometrica ecc.) che è oggetto del pensiero. Ma ciò significa autorizzare nel ragionamento inconfessati appelli all' intuizione, che, dichiarati, si tradurrebbero in nuovi assiomi. Ora, se l'intuizione (o visione del significato) rimane sempre presupposta nel ragionamento, quando mai potremo assicurarci che gli assiomi formino un sistema completo? A stretto rigore di tale domanda non si riesce neanche a definire il senso ! E quindi non si comprende perchè si senta il bisogno di enunciare — a preferenza di altri — alcuni fra gli assiomi, che pure sono dichiarati evidenti, necessari ecc. ecc. Aggiungiamo che anche l’analisi aristotelica del ragionamento, facente capo alla teoria del sillogismo (An. priora) sta pure in relazione col presup¬ posto metafisico della logica. E specialmente colla circostanza che i Greci, in generale, immaginarono la realtà intelligibile rappresentata dalla scienza, sul tipo statico della classificazione delle forme geome¬ triche: tale è infatti il carattere dell’ ontologia eleatica, che imprime il suo suggello sulla dottrina platonica non superata veramente da Aristotele. Soltanto Democrito, come diremo più avanti, si solleva al concetto di una scienza razionale del moto, ma le sue vedute filosofiche non trovano adeguato sviluppo se non due mila anni più tardi, all epoca della Rinascita. Qui conviene rilevare che le critiche mosse alla teoria sillogistica dagli empiristi inglesi (da Bacone a Mill), opponenti alla deduzione 1 induzione generahzzatrice dell’esperienza, hanno fatto perder di vista ciò che manca all’ analisi aristotelica del ragionamento, pur riguardato nelle forme rigorose, che sole appartengono — secondo il concetto del filosofo greco alla logica dimostrativa propriamente detta. Infatti i brevi cenni che Aristotele dedica all’induzione (completa), negli Analylica priora, non suppliscono certo all’analisi delle operazioni logiche costruttive (significate da particelle come « e », o » ecc.) che accanto al sillogismo ricorrono nello sviluppo delle dimostrazioni matematiche. La quale lacuna torna a (i) Cfr. Cli. Werner, Aristotele et V ideallsme plalonicien, Alcan, Parigi] riflettersi sulla teoria delle definizioni, che appunto esprimono codesto lavoro costruttivo del pensiero. Infine giova rilevare che l’anzidetto realismo si riflette in una concezione ingenua del linguaggio: la filosofia greca — sia che abbia ammesso l'origine naturale della lingua (come Platone nel Cratilo), sia che abbia rilevato ciò che vi è di convenzionale nelle parole (come Democrito e Aristotele) — non riesce a scorgere la varietà essenziale delle lingue, che tiene ai diversi modi di rappresentazione delle cose ed esprimendo la libera attività del soggetto, dà origine all'intraducibilità. Dice infatti Aristotele: De Inlerpretatione, 1. Una espressione e una l'immagine delle modificazioni dell'anima. L’espressioni differiscono fra loro. Ma una modificazione dell’anima, di cui l’espressione e i SEGNO immediato, e identica per tutti gli uomini, come sono identiche per tutti le cose che quelle modificazioni esattamente rappresentano. E chiaro come una siffatta dottrina spieghi quella confusione fra analisi logica e analisi del linguaggio,  Proclo, nel commento al “Cratilo”, riferisce appunto questa opinione di Democrito, basata auiromonimia e la sinonimia di una espressione E1 e una espressione E2, sul cambiamento dei nomi e sul difetto di analogia nella formazione di certe espressioni verbali. (Cfr. le note al Cratilo di Cousin). De Interpretatione, 2 (1), che culmina nel concetto aristotelico di trarre dalla forma o materia dell’espressione grammaticale  una classificazione o tassonomia di questa o quella categoria. In ciò che precede ci siamo fermati a studiare il pensiero degli antichi traverso le sistemazioni scientifiche che sono a noi pervenute. Ma, per l’intelligenza dello sviluppo ulteriore che la logica riceve nelle scuole filosofiche dopo Aristotele, conviene tener conto dell'influsso che i predecessori del Stagirita sembrano aver esercitato sul movimento delle idee. Infatti codesto sviluppo si lascia definire, nlle sue linee generali, come tendente a liberare il pensiero dall ontologismo, che pure sopravvive in qualche modo alla ideologia platonico-aristotelica, nella misura in cui tale filosofia esprime la metafisica del senso comune. E l’anzidetta tendenza liberatrice si esplica in un progresso verso il formalismo logico, che procede dallo studio degli schemi discorsivi, formante oggetto degli Analytica priora. Questo progresso si avverte già nei primi paripatetici, come Eudemo, lo scrittore di una storia delle matematiche, e Teofrasto il raccoglitore delle opinioni dei fisici, ma più largamente ancora negli Stoici, in cui è pure passata 1 eredita dei dialettici megarici. Questo progresso si avverte anchein una revisione dei principi della teoria della conoscenza, che ha per oggetto l’origine e il valore dei concetto generale da cui muove la scienza dimostrativa: qui soprattutto vengono in luce delle vedute che debbono essere riattaccate ai grandi predecessori di Platone e di Aristotele; sulle quali l’interesse della questione c invita a fermarci. Ora, se ci volgiamo a riostruire induttivamente le idee di codesti predecessori, la figura di Democrito d'Abdera, deve attirare, sovra ogni altra, la nostra attenzione. Democrito, vissuto 40 anni dopo Anassagora e 25 anni dopo il suo concittadino Protagora che è il maggiore rappresentante della sofistica), deve esser considerato come un contemporaneo di Platone. Così, soltanto i pregiudizii dominanti la ricostruzione della storia della filosofia greco-romana nel secolo decimonono, hanno impedito di stdare più da vicino i rapporti fra Democrito e Platone, relegando Democrito tra i pre-socratici e perfino tra i pre-sofisti, in onta alla cronologia. Democrito è il ande fondatore dell’atomismo, in cui ha tuttavia come precursore Leucippo, e che fu svolta da lui come una teoria cinetica cosmologica. Attraverso questa dottrina Democrito agiunse ad una rigorosa concezione del determinismo meccanico, e verosimilmente he alla scoperta di principi (massa, inerzia) chalileo. Fanno eccezione Windelband e Burnel, che restituiscono airAbderita il suo posto cronologico, ma che tuttavia non sembrano arne un apprezzamento proporzionato all' importanza del suo lavoro scientifico] ha riostruito due mil’ anni più tardi, riprendendo le intuizioni fondamentali del lontano predecessore. Per il suo rigido meccanicismo, con esclusione di ogni teleologia, Democrito viene considerato come il padre del materialismo, e da ciò appunto ha origine il pregiudizio da cui in ispecie la storia svoltasi sotto l’nfluenza hegeliana, nel secolo decimonono, non ha saputo mai emanciparsi completamente. Quantunque un esame accurato avrebbe permesso di riconoscere ello stesso Democrito anche il padre dello spiritualismo (così come Leibniz sembra avere intuito!) e forse anche di far risalire a lui l’argomento per l’immortalita dell’anima basato sulla sua semplicità o in-divis-ibilità, che s'incontra nel Fedone 78, b, c. Le opere di Democrito, di cui ci sono trasmessi i titoli da Trasillo, formano una mole imponente e si riferiscono ai più svariati argomenti, dalle matematiche alla fisica, alle scienze naturali, all’agricoltura, alla teoria dei segno e dell’espressione, la dialettica, la grammatica, alla poetica, alla teoria della conoscenza ecc. ecc.; fra i frammenti più belli sono da annoverare quelli morali, conservatici da Stobeo. La posizione filosofica di Democrito, per ciò che concerne la teoria della conoscenza, resulta dalla testimonianza di Sesto Empirico, laddove egli parla di Democrito e Platone sostenitori della verità degli intelligibili (ià vorjra) in contraddizione con Protagora [Di ciò mi propongo fornire altrove la prova col confront dei testi aristotelici] aora. Si tratta dunque di un razionalismo, che si contrappone all’ empirismo protagoreo. Ma, poichè a sua volta questo empirismo dei sofisti era sorto come una reazione di caratere “positivistico” al razionalismo metafisico della scuola di Velia, è naturale che Democrito avesse a tener conto dell’ esigenza fondamentale che i sofisti avevano formulato. Democrito non posse semplicemente riprendere come materia della scienza una Verità (£M)0s:a) indifferente rispetto all’opinione (doxa) che si riferisce alle cose sensibili, ma doveva invece cercare una razionalizzazione dell’empirico, cioè una verità atta a salvare i fenomeni (ofttTe'.v ~ì 6|JtSV«); e siffatta veduta si poteva esprimere nel linguaggio tecnico del tempo, dando per compito alla scienza l’opinione vera, o inverata mediante il ragionamento. Appunto questa teoria della scienza come lii^x (isià Xóyo'j, viene riferita e discussa da Platone nel “Teeteto”, ed una comparazione analitica del testo con altri dello stesso Platone e di Aristotele, prova che il riferimento deve essere attribuito a Democrito. Ma, poiché la spiegazione razionale dei fenomeni suppone dei concetti, per mezzo dei quali si unifichi la rappresentazione delle cose del mondo empirico, si può domandare su che Democrito ne basasse il ossesso da parte dal soggeto percipiente. Qui soccorono alcune indicazioni. /. ' (l ) Diel. A. 59 i eh. A. 114. (! ) Cfr. Enriques: La teoria democritea delta scienza nel dialoghi di 'Platone, Rivista di Filosofia, n. I. 1) Anzitutto Democrito viene additato da Aristotele come il primo a trattare delle definizioni di cose fisiche, mentre ei ci dice che con Socrate crebbe l'uso del definire e si estese soprattutto alle nozioni morali. Conviene intendere che Democrito inizia quel modo di definire proprio della scuola socratica, in cui si ricercano i caratteri comuni delle cose che rispondono al definito; è più difficile dire se lo stesso Democrito, come Socrate, facesse anche appello alla nozione comune che tutti gli uomini si formano in rapporto a dati oggetti; e tuttavia questo criterio ei ben poteva derivare da Eraclito, cui lo stesso Socrate sembra avere attinto. In un frammento della già citata opera logica di Democrito rtsp: àoyrxtòv noi xzvwv che ci è statmandato da Sesto, vengono distinte due speecie, di conoscenza, l’una relativa all’intelligenza (à7j; Siavaas), l’altra alla sensazione (Ò:à rwv aìofi^oetov). Dice precisamente Democrito: “Vi sono due forme della conoscenza: una conoscenza pura o legittima (yvyjafyj) ed una adombrata spuria (av.v.ri). Appartengono a quest’ ultima forma adombrata spuria le cinque sensi: la vista (visum), l’udito (uditum), il gusto (gustatum), l’odorato (odoratum), il tattoo (tactum). Ma la conoscenza pura è completamente distinta. Ed aggiunge ce questa conoscenza pura è relativa ad un (') Mtt. I, 4, (3), De Partibus Animalium I, 1 (ed. Didot, t. IH, pag. 223, 2). (! ) In Diel» B. II) orbano di pensiero più raffinato che prende il posto di un vedere o di un udire o gustare o odorre o tastare nel più piccolo (mettendoci così in rapporto colla vera natura delle cose, cioè cogli atomi. Anche in altri modi Democrito esprime la relazione fra le due forme del conoscere; per esempio ove dice che « apparenza (vòptoi) il colore, apparenza il dolce, apparenza l'amaro. In realtà soltanto gli atomi e il vuoto. Ma poi, facendo parlare i sensi contro l’intelligenza, soggiunge povera me, prendendo da noi la tua fede, tu vuoi confonderci; la tua vittoria è la tua caduta. Troviamo qui una notizia estremamente interessante. Democrito, al pari di Platone e di Aristotele, e prima di loro, dibatteva il problema dell'origine dell’idea. Democrito non si fermava, come il filosofo ateniese alla supposizione della conoscenze innata (teoria della reminiscenza -- anamnesis), anzi piuttosto sembra derivare la idea dalla sensazione, sicché è lecito pensare che a lui possa aver attinto Aristotele la veduta che gli abbiam visto esprimere in An. Post. Il, 15. Ma, mentre in Aristotele non si vede come possa conciliarsi questa dottrina colla dignità attribuita alla nozione induttivamente acquistata, che debbe costituire le premesse necessarie della scienza dimostrativa, ciò che sappiamo intorno alla teoria delle sensazione di Democrito (in rapporto alla fondamentale (*) Galeno in Die!» B. 125; cfr. Sesto in Diels B. 9.] supposizione atomica) e ben atto a sciogliere la difficoltà. Ammetteva infatti il Nostro,  che la sensazione in generale derivassero da piccole immagini (sKoiXa) emesse dai corpi e proprie ad impressionare gli organi dei cinque sensi ed anche lo stesso pensiero in quella guisa in cui la luce impressiona una lastra fotografica. L’immagini rispondente alla conoscenza inteligibile partenti direttamente dagli atomi — sono di natura più fine. Si comprende quindi che esse possano liberarsi dalla mescolanza colle immagini più grossolane che colpiscono i cinque sensi, quando il confronto di sensazioni ripetute, in rapporto ad una molteplicità di cose, permette di fissare i caratteri comuni che definiscono il concetto. Che effettivamente Democrito riconoscesse il valore logico del concetto, quasi come anticipazioni dell'esperienza, resulta anche dalla testimonianza di Diotimo in Sesto (VII, 1401), che egli assumeva come criterio della comprensione delle cose oscure il fenomeno, e come criterio della ricerca'il concetto, èvvoia xpurr/pwv Z,r\vtpzwq. Qui è notevole lo del termine. Ivvotoe che già notammo a proposto della designazione di y.oiw.l Ivvs:% adoperata da Euclide per gli assiomi, giacche abbiam pur detto che codesto termine non si trova nella [Cfr. p. et. Aetiui in Diel», A. 30. (2 ) Diels, A. III. 37]letteratura filosofica di Platone ed Aristotele, ma invece, più tardi, presso gli Stoici. Appunto ad un’opera di Crisippo 7tepì £?jT^7S(0£ sembra fare allusione Plutarco presso Olimpiodoro, dove dice che gli Stoici allegano a causa di ciò (cioè della possibilità di arrivare a cose che non si conoscono) le nozioni fisiche: tàj qjuaixà; èvvofa?. D’altronde Diogoene Laerzio (VII, 54) (c’informa che Crisippo dice esservi DUE criteri della verità, la sensazione e il concetto. Qui in cambio di svvoia viene adoperata l’espressione TtpóXvjtjt:?, che ricorre anche presso gli Epicurei, designando l’anticipazione dell’esperienza. Ora il significato preciso che gli Stoici davano alle ÈVV 3 tati, si può rilevare, per esempio, da un passo del De Civitate Dei di S. Agostino dove si parla di coloro che riposero la verità nei sensi, cioè degli Epicurei e degli stessi Stoici. Qui cum vehementer aaerint sollertiam disputando quam dialecticam nominant, a corporis sensibus eam ducendam putarunt, hinc asseverantes animum concipere notiones, quas appellant èvvo'st;, earum rerum scilicet quas definiendo explicant. Da questi riferimenti sembra potersi dedurre che gli Stoici abbiano adottato, al pari di Aristotele, la dottrina democritea dell’ origine sensibile dei concetti – nihil est in intellectu quod prior non fuerit in sensi (l ) Cfr. Arnim, Stoicorum veterani fragmenta. Voi. II, n. 104. Crisippo, discepolo di Zenone Cizio (280-209 a. C.).In Arnim, op. c. 105. In Arnim, 106. (cui soltanto gli Epicurei conservarono come fondamento l’ipotesi delle piccole immagini), ma spogliando i concetti di quella dignità superiore che il razionalista cerca conferire agli intelligibili; così, per loro, la dimostrazione scientifica (àiróSs:^;) viene ridotta, per dirla con Cicerone, ad una “ratio, quae ex rebus perceptis ad id, quod non percipiebatur, adducit.”  In corrispondenza di queste vedute, di carattere più empirico, è interessante rilevare come si modifichi la dottrina democritea della scienza, che Zenone Cizio dice essere una comprensione sicura e ferma e immutabile dalla ragione » (à,u£-*sov ùttò Àóyo j /./.- ovvero anche un possesso immutabile dalla ragione, nell’accoglienza delle rappresentazioni » (èv a>xvT5tTO)v r.ozz- a&o. Pertanto gli Stoici non giunsero a quello schietto empirismo, che si vede accolto da Epicuro, per cui è accettata sempre come vera ogni sensazione o apparenza: richiesero anzi che all apparenza si aggiunga 1 assenso volontario dell animo, che per il saggia ha motivo nell identità fra la ragione individuale e la Ragione o logos universale. Così il concetto eracliteo del logos, che la scuola Arnim, 111. () Riferimenti di Sesto e Diogene Laerzio in Arnim: Zeno- Citius, n. 68. (' ) Cfr. Sesto e Cicerone in Arnim: Zeno Citius, nn. 63 e 61.  3] stoica ha fatto proprio, doveva pur sempre conservare al pensiero una certa dignità, e quindi facilitare il trapasso alla veduta posteriore degli eclettici (Cicerone), per cui le commune notio vengono ritenute non più come uniformità della natura bensì come idea innata, attestanti la reminiscenza della vera origine divina dell' uomo, onde la teoria stoica (ritornando in effetto a Platone) viene a fondersi colla neoplatonica. Più direttamente degli Stoici (che pure ne derivarono il principio del determinismo universale) si riattaccano a Democrito gli Epicurei, che ne adottarono la teoria atomica, spogliata bensì del suo più profondo significato meccanico. Ma, come abbiamo già accennato, Epicuro e lungi dal razionalismo del maestro d’Abdera. La sua “Canonica” comprende poche regole di cui abbiamo chiaro riferimento da Sesto Empirico, e che Gassendi ha ricostruito con precisione nella sua Logica. Riferiamo la parte essenziale dei canoni epicurei così formulate. Sensus nunquam fallitur. Opinio est consequens sensum, sensiomque superadiecta, in quam veritas aut falsitas cadit.  Opinio illa vera est, cui vel suffragata, vel non refragatur sensus evidentia. Petri Gassendi Opera Omnia, Firenze. 1277, Voi. 1. Pari 1, De Logicae origine el varietale]. Omnis quae in mente est anticipatio, seu prae-notio, dependet a sensibus, idque vel incursione, vel proportione, vel similitudine, vel compositione. (Questo stesso modo di formazione dei concetti appare negli Stoici). Anticipatio est ipsa rei nodo, sive definitio. Est anticipatio in omni ratiocinadoe principium. Quod inevidens est, ex rei evidenti anticipaticele demonstrari debet. Qui è notevole 1 appello all’evidenza sensibile (ev%ex) che viene così assunta come criterio di verità. Nonostante la modificazione subita, è facile riconoscervi lo stesso criterio di Democrito che contrapponendo la conoscenza pura o legittima alla conoscenza oscura, viene appunto a ritenere la chiarezza delle idee come segno del loro valore: senonchè quella che per Democrito era chiarezza di concepimento, diviene per Epicuro chiarezza sensibile. Toccherà poi a Descartes di ritornare al criterio dell’evidenza (cf. Grice, “Descartes on clear and distinct perception) rispetto al pensiero, riguardando come vera la idea chiara e distinta (l’aggiunta deriva dal Teeteto 209c-2l0). Dopo aver parlato degli Stoici e degli Epicurei, ci convien dire degli [Notisi che già in Teofrasto si applica il criterio dell’evidenza tanto all’intelligenza che al senso. (Cfr. Sesto Adv. Malh.)] scettici i qual per verità non formano ugualmente una setta o scuola chiusa, ma — a partire da Pirrone d’Elide e dal suo amico Timone — ofno tuttavia una certa continuità di tradizione critica, mantenendo di fronte alle filosofie dogmatiche un atteggiamento di dubbio metodico. No Diogene, ma Arcesilao di Pitane e Carneade (che venne ambasciatore a Roma nel 155 a. C.), portarono la filosofia scettica nella media Accademia – e che fascina a Scipione! Più tardi incontriamo Enesidemo di Cnosso, Agrippa, e finalmente Sesto Empirico che riassume tutto questo movimento nella sua opera pregevole, fonte cospicua di notizie per la storia della filosofia romana. I rapporti esteriori che la tradizione segnala fra Pirrone e qualche democriteo come Nausifane, nonché le tendenze scettiche che si attribuiscono ad altri democritei (Metrodoro, Anassarco) indicano già una certa dipendenza della scepsi da Democrito. D’altronde il legame appare prima di tutto nel motivo morale che ispira la riserva degli scettici di fronte alla vera natura delle cose, giacche la sospensione del giudizio mirava a conquistare quella atarassia o imperturbabilità dell' animo, che si riduce infine alla vittoria sulle passioni, inculcata dall'Abderita. Ma il apporto teorico della scepsi con Democrito resulta da ciò che questi aveva ridotto la realtà alla materia indifferente degli atomi, negando le qualità sensibili; un passo ulteriore della critica (riportantealla posizione di Protagora) doveva naturalmente estendere il dubbio anche a quelle proprietà primarie in cui il grande atomista aveva scorto l'oggetto intel¬ ligibile della conoscenza. E certo questo sviluppo era suggerito dal contrasto fra le vedute dei due razio¬ nalisti, sorti a combattere l’empirismo protagoreo: Democrito e Platone. Giacche questi riteneva proprio come intelligibili quelle stesse qualità (ipostatizzate sotto il nome di idea) che 1 altro aveva con¬ siderato vane apparenze. Inoltre, anche nello stesso sistema democriteo, si può riconoscere 1 origine della critica che investirà gli intelligibili, se — come siamo stati tratti induttivamente ad ammettere — l’Abderita faceva pur nascere 1 intelligenza dai sensi. In tal guisa il pensiero antico avrebbe percorso una via non lon¬ tana da quella per cui il pensiero moderno giunse dalla posizione di Galileo, di Descartes e di Locke (i quali ripresero la distinzione fra la qualità primaria e le qualità seconda) alla critica di Berkeley, che — attraverso la teoria della visione - riusciva a negare anche il significato trascendente di codesto sostrato geometrico della materia. La teoria degli scettici, si noti, non nega affatto il mondo fenomenico, bensì oppugna la pretesa dei dogmatici di affermare qualcosa della verità o della natura delle cose in se stesse. La critica che essi svolgono a tale scopo, rilevando ciò che vi è di relativo nei criterii della verità, costituisce in gran parte un acquisto durevole per la dottrina della conoscenza: lo La logica degli antichispirito che l’anima è affine a quello del positivismo moderno, salvo il sentimento che la veduta di una scienza più progredita ispira oggi ai critici della metafìsica. Ma per la storia della logica interessa soprattutto esaminare gli argomenti di Carneade contro il concetto aristotelico della dimostrazione: intorno ai quali siamo informati da Sesto Empirico. Ricompare qui l’idea, già affacciata dai predecessori di Aristotele e da questi oppugnata, che ogni prova dia luogo ad un regressus in infmitum, poiché ogni premessa deve essere dedotta da un’altra premessa. E questo argo¬ mento prende forza dalla negazione di ogni certezza immediata, alla quale gli scettici pervengono (come si è accennato) mercè la veduta che i concetti su cui si ragiona traggono pure origine dal senso, onde 1 incer¬ tezza della sensazione si riflette anche sull intelligenza. Quindi viene presa in esame l'opinione che sia lecito fondare la scienza sopra ipotesi, e che queste sieno fatte ferme e valide dalla verità delle conseguenze che se ne deducono. Il passo di Sesto che critica questa opinione non dice chi ne sia l’autore; ma resulta assai chiaro che essa deve riferirsi particolar¬ mente ai fìsici matematici, e vi è forse qualche motivo di attribuirla già a Democrito, che per primo propose alla scienza il compito di spiegare razionalmente i feno¬ meni. Infatti abbiamo già accennato che questi appunto (i) Adv. Math. VII, 159-189 e Vili in ispecie 367-463. (s ) Vili, 375] potesse essere preso di mira da Aristotele, ove eicontesta che voler provare le premesse mediante le conclusioni costituisce un circolo vizioso (*). Di nuovo Cameade riprende la tesi aristotelica, notando che dal vero si può dedurre il falso; e certo l'argomento — in stretta logica — non potrebbe essere confutato. Ma, per quanto o scettico sia portato a dare il maggior peso a questa constatazione negativa, Cameade non vi si arresta. Dopo aver negato l'esistenza di criteri assolutamente certi del vero e del falso, egli accorda pure alla conoscenza un valore probabile; e questo valore lo riconosce, in primo luogo, ad ogni rappresentazione dotata di sufficiente evidenza, ma in grado più alto alle catene di rappresentazioni legate 1’una all'altra in un sistema logico (ibidem, VII, 176 e seg.). Non diverso è, in ultima analisi, il cri¬ terio positivo con cui anche oggi possiamo giudicare il valore delle teorie scientifiche: soltanto appare, ai nostri tempi, un atteggiamento più fiducioso, che è in rapporto collo sviluppo della trattazione matematica della fisica; mentre il sentimento degli scettici risponde ad una scienza meno evoluta, ed anche — piuttosto che alla mentalità di matematici — a quella dei circoli medici, in cui Io scetticismo antico ebbe acco¬ glienza. Effettivamente l’uso di ipotesi, il cui valore probabile viene desunto dalla verifica sperimentale delle conseguenze che ne dipendono, caratterizza il metodo deduttivo-sperimentale della scienza moderna. L. c. An. posi., I, 2] quale si disegna in Kepler, Galileo e Descartes. L' esame intorno allo sviluppo della logica post-aristotelica, in cui abbiamo cercato l'influsso delle idee di qualche predecessore, ci ha mostrato che in verità il realismo logico di Aristotele è stato superato dallo stesso pensiero greco; il quale ha toccato posizioni affatto conformi alle più alte vedute moderne. Ma della critica speciaente istituita dai geometri dopo Euclide, abbiamo notizie troppo scarse per misurarne il significato; e secondo le apparenze dobbiamo ammettere che le fini ricerche di Apollonio su questo soggetto non abbiano trovato prosecutori. D’altra parte l’opera dei filosofi che hanno riflettuto sulla scienza, nella filosofia romana, non aderendo propriamente ad uno sviluppo scientifico, e tanto meno matematico, prese spesso quella forma negativa che nel modo più raffinato ci presenta la dottrina scettica. Infatti per osservatori cui non sia dato di riprendere e di proseguire il pensiero profondo dei più antichi filosofi matematici, la confutazione di un ordine di verità necessario, quale è affermato da Aristotele, deve apparire una confutazione dell stessa possibilità della scienza. Resta nondimeno un esempio pieno d’interesse nella storia, quello che ci viene offerto dalla scuola stoica, per cui la trattazione formale della logica si associa ad una dottrina empirica della conoscenza. E, se codesto sviluppo formale approda ad un arido schematismo (di fronte a cui comprendiamo il disprezzo della dialettica manifestato dallo stoico Aristone di Chio), tuttavia non si può disconoscere il valore dell’analisi logico-grammaticale dell’espressione, mercè cui si riesce a scorgere in qualche modo nel linguaggio, l’espressione di una attività costrittiva. Fino a che punto gli stici sieno proceduti su questa via, non vogliamo qui esaminare. Ma certo si scopre in essi quella distinzione fra subiettivo ed inter-soggettivo, che riapparire agli inizii dell’epoca moderna, come fondamento della filosofia. Dalla storia della filosofia romana si passa, senza indugiarci al movimento delle idee che accompagna la rinascita della scienza, agli inizi dell’ Evo moderno. Basta rilevare il carattere generale degli sviluppi che la dialettica riceve nel periodo intermedio (medius aevus), arido se non del tutto infecondo. Diremo per ciò come la logica aristotelico-stoica fu introdotta dal filosofo romano Boezio presso i Romani. La traduzione di Boezio del greco al romano dei primi due trattati dell’Organum (Categoriae e De Interpretatione – the only two that Grice lectured on with J. L. Austin and P. F. Strawson), nonché dell’Isagoge di Porfirio [arbor griceana], e i commenti con cui egli stesso ed altri scrittori neo-platonici accompagnarono codesti scritti (nel senso della tecnica formale, secondo la tradizione stoica), costituiscono il fondamento della cultura del più antico (alto) Medio Evo. Del resto, la cultura generale sembra ^ppjesentata da un certo numero di enciclopedie clella bassa antichità, come quella di Marciano Capella, nelle quali si tratta delle sette artes liberales che, nel tirocinio scolastico, formarono il trivio (I. grammatica, II. Rettorica, III. Dialettica) ed il quadrivio (IV. Aritmetica. V. Geometria. VI. Astronomia. VII. Musica).  Specialmente degno di nota che questa prima parte del Medio Evo non ha conosciuto, nè le altre opere (logiche, fisiche ecc.) di Aristotile, nè le opere originali di Platone, fuori del “Timeo”, tradotto in romano da Calcidio. Più tardi, il Rinascimento umanistico doveva venir fecondato mercè una conoscenza diretta dei testi, in seguito alla caduta dell’impero romano d'Oriente, che addusse numerosi profughi segnatamente in Italia. Ora nella logica scolastica due aspetti sono degni di nota. Primo,la progressiva elaborazione della tecnica formale, acuitasi mercè sottili distinzioni. Secondo, la grande questione della realtà degli universali, di cui a stento riusciamo a comprendere il carattere drammatico, traverso la forma aridamente schematica delle discussioni. Sorvoleremo affatto sul primo punto, sebbene sarebbe interessante per la storia della dialettica, di mostrare, per esempio, in Buridano il riconoscimento della proprietà distributiva della particella (adverbium) ‘non’ (~) rispetto a “et” (/\) e “vel” (\/). non (p et q), ~ (p /\ q) ≡ non p vel non p (~p \/ q).  (notizia segnalatmi da Vacca) o di cercare simili analisi in Paolo Veneto. Ma, quanto alla questione della realta degl’universale, diremo che si tratta dell'antica questionollevata dalla ideologia platonico-aristotelica, se all’idea generali corrisponde una realtà. La quale questione fu riaccesada un passo dell’Isagoge di Porfirio (I, 3). “E anzitutto, per ciò che riguarda il genero o la specie, io evito di ricercare se esiste di per sè, ovvero se esiste soltanto come pure nozione; e — ammettendo che esista di per sè — se apartengano alla cosa corporea o incorporee; e infine se abbiano esistenza separata ovvero solo nella cosa corporea sensibile. E una questione troppo profonda che esigerebbe uno studio differente da questo e troppo este. Nel vasto intreccio della polemica medioevale appare che il nominalista (negante la realtà dell’universale) rappresentano, in generale, le tendenze scientifiche, avverso il misticismo platonizzante del realista. Ciò è vero soprattutto per riguardo ai rinnovatori del nominalismo nel secolo come Guglielmo Occam e Giovanni Buridano, rettore dell'Università di Parigi, ai quali è dovuta la teoria che ha preso il nome di terminismo. Il terminista (che si accosta al concettualismo di Abelardo) ritiene i concetto (o termino) come un segno intersoggettivo (signa) della singola cose, o di una classe di cose, realmente esistenti. La dialettica si riferisce soltanto alle reazione di questo segno della cose (Occam, Quodlibeta V. 5). Occam avverte pue che l’espressione assume il suo proprio significato nella proposizione, e spesso in unione a qualche altro termine. Terminus conceptus est intentio seu passio animae aliquid NATURALITER SIGNIFICANSaut consignificans, nata esse pars propositionis. Sifftta dottrina supera lo stretto nominalismo e tuttavia nega il realismo: cioè nega che il ‘significato’ (o ‘signato’) dell’espressione  sia da cercare nella sua comprensione o connotazione, ossia nell’ insieme delle note o attributi, di cui esso esprimerebbe  l'unità sostanziale; e si afferra invece all’estensione o denotazione (denotatum, relatum), cioè all’ insieme delle cose rappresentati dall’espressione (‘homo’), che — sotto la specie di certe reali somiglianze — vengono vramente unificati. Al lume di questa veduta, la definizione scolastica, discendente dal astratto generale universale al concreto particulare individuo, e la logica stessa perdono importanza: onde è fatto invito a volgersi dalla spiegazione dell’espressione al concreto della esperienza. Ciò spiega abbastanza l’interesse appassionato  della polemica intorno agli universali che nel mondo sociale e morale deve rivendicare la libertà dell'individuo soffocata dalla tirannia delle istituzioni e dall'autorità delle credenze e dell’insegnamento tradizionale. Nulla sembra più proprio a favorire un tale affrancamento degli spiriti, che abbattere alla radice l’albero della deduzione infeconda, triviale, analitica, ricostruendo induttivamente tutto il sapere. Onde la stessa tendenza si continua ed esplica nella reazione anti-aristotelica (platonista) degli umanisti italiani purificatori della logica dalla sottigliezza o implicatura scolastica (Valla, Agricola, Vives) e si manifesta poi in nuove forme nella rinascita del movimento scientifico.  Studio storico preliminare     SeaR Edizioni Quanto segue è, nella sostanza, il contenuto di una  conferenza tenuta a Palermo presso ristituto Platone  il 31 maggio 1986 e successivamente, verso la fine di  queiranno, riprodotto in un numero limitato di co¬  pie, con aggiunte note critiche e documentarie, per le  «Dispense di Arx» di Messina, edite da Salvatore  Ruta.   Oggi il testo viene ripresentato con maggiore digni¬  tà tipografica e tiratura, onde favorirne la diffusione,  con poche modifiche e aggiunte, in questa nuova col¬  lana della Sear di Scandiano.   Poiché è certamente la prima volta che con una  certa organicità viene affrontato questo argomento, il  presente scritto può a ben diritto definirsi una novità.   Tuttavia, dal momento che il nostro testo viene  presentato come uno «studio storico preliminare», il  lettore potrà dedurne che: a) i dati storici, biografici  e letterari, le notizie contenute ed ogni altra informa¬  zione non sono frutto di fantasia o di illazioni avven¬  tate, ma desumibili nella loro grande maggioranza da  fonti documentarie (come dimostrato dai miei stessi  riferimenti); b) Tinsieme costituisce, d'altra parte,  qualcosa di non definitivo, in quanto suscettibile di  essere ampliato ed ulteriormente specificato da suc¬  cessive indagini e approfondimenti di maggior  respiro.   Bisogna peraltro subito aggiungere che anche a  molte notizie documentarie non sarei pervenuto se  non avessi tenuto conto, nel corso di più anni, di indicazioni, suggerimenti, informazioni pervenutimi  per via amichevole o riservata. Quanto qui esposto,  tuttavia, non fa parte di alcun segreto esclusivo —  come vorrebbero alcuni — bensì del patrimonio sto¬  rico della nazione italica e come tale lo offriamo alla  meditazione di quei lettori che vorranno o sapranno  trovarvi spunto di interesse interiore, nonché agli sto¬  rici «laici», perché almeno in questa occasione si ren¬  dano conto del tipo di dimensione occulta che corre  parallela e interferisce nelle vicende della storia: nella  fattispecie, prendano atto dell 'esistenza, sinora igno¬  rata, delle correnti esoteriche che tentarono di dare al  fascismo queiranima priva di compromessi che non  fu capace di far sua.   Renato del Ponte    Entrando il Sole nei Gemelli  — Nella prefazione da lui posta ad un recente lavoro  dedicato soprattutto alla cosiddetta «Nuova Dstra», il noto politologo Giorgio Galli, a cui si deve  senza dubbio riconoscere una notevole apertura  mentale e un’intelligente operazione culturale volta  alla riscoperta di alcune tematiche proprie della de¬  stra tradizionale, ha potuto osservare come alla  «Nuova Destra» sia mancata «precisamente una ri¬  lettura della componente “magica” ed “esoterica”  della cultura di destra». La «Nuova Destra» si trove¬  rebbe anzi, attualmente, «in difficoltà sul piano pro¬  priamente politico forse anche perché ha trascurato  l’analisi di fenomeni ai quali si dimostrava sensibi¬  le (...) la destra tradizionalista “esoterica’^): tale fal¬  limento, dunque, sarebbe implicito nel «completo  abbandono di un bagaglio culturale di indubbia ri¬  levanza» (1).   Tale diagnosi ci pare esatta e le acute osservazioni  del Galli (al quale si debbono anche tentativi di pe¬  netrare nel mondo oggi ancor poco conosciuto, pro¬  prio perché poco adeguatamente studiato, dell’eso-    (1) G. GALLI, prefaz. a: MONICA ZUCCHINALI, A destra in Ita¬  lia, Sugarco Edizioni, Milano 1986, pp. 7-14. Tale lavoro non merita, di  per sé, alcuna annotazione di rilievo, essendo molto superficiale e limi¬  tato nel settore dedicato alia «destra radicale» (e in questo largamente  superato da precedenti pubblicazioni, per quanto decisamente a sini¬  stra, come La destra radicale, a cura di F. Ferraresi, che è del 1984), ec¬  cessivamente ampio e parziale nei confronti della cosiddetta «Nuova  Destra», mentre la «destra tradizionale» è pressoché inesistente. In so¬  stanza, ciò che dà rilievo al libro, sono le poche notazioni preliminari  del Galli, che peraltro suonano da campana a morto per i profeti della  fine del «mito incapacitante»... terismo del III Reich) (2), che ben difficilmente, del  resto, potrebbero essere recepite nella loro portata  da quanto sopravvive della «Nuova Destra», pro¬  prio per la sua impostazione profana e modernista  (per non parlare della destra «tecnocratica» missina,  per sua intrinseca natura da sempre impermeabile  ad ogni discorso «intelligente») (3), potranno ser-    (2) In una relazione sul tema tenuta nel giugno 1984 a Torino (pare  per la Fondazione Agnelli), il cui testo abbiamo potuto leggere, il Galli  osserva come «la storiografia ufficiale e accademica abbia sempre esita¬  to a muoversi in questa direzione, appunto per il timore di spostarsi dal  piano della storia a quello della fantasia». Ciononostante il Galli, che  dunque sembra muoversi tra i primi al di fuori di tale logica paralizzan¬  te, afferma come «vi siano sufficienti elementi per una riflessione stori¬  ca organica sulla componente esoterica soprattutto dei nazismo, mentre  per quanto riguarda il fascismo italiano questa riflessione potrebbe con¬  cernere esclusivamente la personalità di Julius Evola». 11 presente volu¬  metto dovrebbe dunque servire ad ampliare le prospettive conoscitive  del Galli e di quanti altri si interessino di tali tematiche proprio sull’ulti¬  mo punto, quello concernente il fascismo. Circa poi le correnti esoteri¬  che del nazismo, bisognerebbe intanto distinguere fra ciò che ha prece¬  duto la sua presa del potere, le gerarchie ufficiali dello Stato ed alcuni  settori delle SS. In base a ricerche che stiamo effettuando, possiamo an¬  ticipare che tali correnti esoteriche poggiano su fondamenta assai fragi¬  li, contrariamente a quel che potrebbe pensare il Galli stesso, che in que¬  sto caso pare essere rimasto vittima di alcune «ingenuità» propalate sul¬  la scia del famigerato Mattino dei Maghi di Pauwels e Bergier. Per un  discorso preliminare su quanto andiamo dicendo, si veda ora il mio sag¬  gio su La realtà storica della «Società Thule», in introduzione alla pri¬  ma traduzione italiana di: Prima che Hitler venisse di Rudolf von Se-  bottendorff. Edizioni Delta-Arktos, Torino 1987. Su Evola e certi am¬  bienti delle SS, pubblicherò in seguito documenti provenienti dall’archi¬  vio di stato tedesco (Quartier Generale di Himmler), in cui tali temati¬  che saranno ulteriormente trattate.   (3) In un recente articolo che vuole costituire una sorta di recensione  del libro della Zucchinali, un anonimo missino cosi sintetizza gli interes-    14    virci qui da spunto iniziale per una breve indagine  preliminare, necessariamente per ora limitata, su  una corrente di pensiero indubbiamente assai mino¬  ritaria, ieri ed oggi, in Italia, ma come è stato di re¬  cente sottolineato, «nel contempo assolutamente ne¬  cessaria per l’Italia» (4), che ha svolto ed è destinata  a svolgere ancora una funzione molto importante,  per non dire essenziale, per la nostra nazione: quella  della conservazione dtXV identità delle nostre radici.   Essa, se è stata opacizzata nelle masse e in una  classe dirigente sclerotizzata e corrotta per incapaci¬  tà e colpevole negligenza, nondimeno persiste im¬  mutata, come presenze e immagini primordiali, ne¬  gli archetipi divini che presiedono alle nostre sorti.  Il compito di tale minoranza, al di là della pura e  semplice azione conservativa, è stato quello di saper  ridestare nei momenti opportuni quelle immagini, sì  che divenissero presenze vive ed operanti, concretiz¬  zandole nelle nuove realtà della nazione italica.   Si tratta delle immagini primordiali e delle epifa¬  nie divine del Lazio e dell 'Italia delle origini, ovvero  della Saturnia tellus: quelle che hanno reso possibile  la manifestazione sul nostro suolo della tradizione  di Roma — che simboli, funzioni ed attribuzioni    si e i tentativi controcorrente del Galli: «A cosa ciò possa condurre in  concreto, è imprevedibile. Forse a nulla» (in «Proposta», I, 2, marzo-  aprile 1986, p. 95).   (4) Conventum Italicum, comunicato anonimo in «Arthos», XII-  XIII, 27-28 (1983-84), p. 85. hanno reso evidente essere emanazione della Tradi¬  zione primordiale (5) — ed il suo rinnovellarsi attra¬  verso i tempi.   Il precedente riferimento del Galli all’esoterismo  è, nel nostro caso, più che pertinente, dal momento  che la trasmissione e perpetuazione della tradizione  romana, almeno negli ultimi quindici secoli, ha po¬  tuto avvenire, per motivi ben comprensibili, per via  segreta, cioè esoterica e di necessità sotto forme e vie  anche molto diverse. Se oggi si può parlare di «de¬  stra» esoterica è soltanto perché, per circostanze sto¬  riche particolari, in un ambito (peraltro, assai ri¬  stretto) della destra del nostro secolo certe tematiche  hanno potuto trovare parziale ospitalità (6): va da sé  — e non sarebbe il caso di insistervi sopra — che la  .tradizione di cui tali correnti sono portatrici si situa  ben al di là e al di sopra di ogni miserabile dialettica  fra destra e sinistra, termini e concetti di derivazione  parlamentare moderna e quindi del tutto inadeguati  ad inquadrare forme di realtà spirituali quali quelle  a cui ci riferiamo.   Tuttavia, dal momento che il presente intende es¬  sere semplicemente uno «studio storico» su tale cor-    (5) Per tali evidenziazioni, debbo rimandare ad alcuni capitoli del  mio Dèi e miti italici. Il ed., ECIG, Genova 1986, specialmente in con¬  nessione con le figure di Giano e Saturno (con il ciclo a lui connesso).   (6) Si deve peraltro notare che ad interessi esoterici inerenti anche alla  tradizione romana non furono aliene certe personalità della «sinistra  storica» e nel corso della nostra esposizione non mancherà un esempio  concreto.    16    rente, dovremo fare solo riferimenti indiretti e limi¬  tati al suo lato esoterico, quanto invece insistere sui  suoi riflessi politici, culturali e religiosi.   L’abbiamo definita «corrente tradizionalista ro¬  mana» (7) nel Novecento: un’élite che ha in ogni ca¬  so lasciato una sua impronta in una certa epoca e  che, nell’incertezza del «pensiero debole» attuale,  potrebbe ancora essere portatrice di un messaggio  radicalmente alternativo, poiché radicalmente (e qui  l’espressione va intesa, con coscienza di causa, nel  suo pieno valore etimologico, a radicibus) orientata  contro gli pseudovalori che reggono la scena del  mondo moderno.   Non è mio compito qui riassumere i termini della  questione intorno alla possibilità della trasmissione  della sacralità e della tradizione di Roma dall’epoca  degli ultimi sapienti pagani sino ai nostri giorni: è  uno studio che, in riferimento soprattutto alle gentes  dei Simmachi, dei Nicomachi, dei Pretestati ed altri,  abbiamo da anni iniziato in varie riviste e pubblica-    (7) Derivo l’espressione di «corrente tradizionalista romana» dal po¬  deroso (e ponderoso) lavoro di P. DI VONA, Evola e Guénon. Tradizio¬  ne e civiltà, Napoli 1985, pp. 179-210, in cui, nel VI cap., intitolato ap¬  punto Il tradizionalismo romano, l’A. studia la «corrente romana del  tradizionalismo, ad opera di Reghini, Evola e De Giorgio». È evidente  che col termine «corrente» noi non intendiamo riferirci (se non in singo¬  li casi, che ben preciseremo) ad una linea di pensiero omogenea, bene  organizzata in un gruppo unitario e compatto dalle caratteristiche co¬  muni, ideologicamente e politicamente parlando, ma ad una tendenza  che potè assumere aspetti e sfaccettature diverse, come proprio i casi di  Reghini, Evola e De Giorgio (e non sono certo gli unici) sono a dimo¬  strare. zioni (8) e che non mancherà di ulteriori sviluppi.   In questa sede sarà sufficiente fare rapido riferi¬  mento a quell’epoca gravida di grandi e decisive tra¬  sformazioni che fu il Rinascimento italiano. È so¬  prattutto nel corso del XV secolo che tradizioni oc¬  culte, sopravissute per secoli nel più grande segreto,  paiono ricevere nuova linfa e l’impulso ad una nuo¬  va manifestazione dal contatto con personalità del¬  l’Oriente europeo di altissima rilevanza intellettuale,  come quella di Giorgio Gemisto Pletone, il grande  rivitalizzatore della filosofia platonica negli ultimi  anni dell’Impero d’Oriente e fondatore di un cena¬  colo esoterico a Mistra, la medievale erede dell’anti¬  ca Sparta, all’interno del quale, oltre a conservare  testi dell’antichità pagana (come le opere dell’impe¬  ratore Giuliano, che vi venivano trascritte), si cele¬  bravano veri e propri riti e si elevavano inni in onore  degli dèi olimpici (9).   La figura e la funzione di Giorgio Gemisto Pleto¬  ne sono ancora troppo poco note in generale e, in  Italia, non ancora studiate (10). In genere, ci si limi-    (8) Cfr. ad esempio: R. DEL PONTE, Sulla continuità della tradizio¬  ne sacrale romana, parti I e II, in «Arthos», voi. V, numeri 21 e 25  (1980-82), pp. 1-13, 275-281; parte III, voi. VI, n. 29(1985), pp. 149-157;  vedi anche: Q. AURELIO SIMMACO, RelazionesuH’altare della Vitto¬  ria, con un’introduzione di R. del Ponte su Simmaco e isuoi tempi. Edi¬  zioni del Basilisco, Genova 1987.   (9) Si tenga conto che nel sud del Peloponneso sono attestati, a livello  popolare, culti nei confronti degli dèi classici sino al IX secolo della no¬  stra era.   (10) In lingua italiana mancano ancora del tutto studi approfonditi.    18    ta a citare, a proposito di lui, la sua partecipazione  al Concilio di Firenze e l’istituzione dell’Accademia  Platonica Fiorentina, che ebbe sede nella villa di Ca-  reggi (o «delle Cariti», o «Muse»), concepita da Co¬  simo il Vecchio e realizzata da Lorenzo il Magnifico  su suggestione del Pletone. Ma gli effetti dovettero  essere ancora più interessanti e gravidi di conseguen¬  ze, se si considerino i legami, ad esempio, fra Gior¬  gio Gemisto Pletone e Sigismondo Pandolfo Mala-  testa. Signore di Rimini: colui che ne sottrarrà il ca¬  davere agli Ottomani (1464), i quali avevano occu¬  pato Mistra nel 1460, onde deporlo pietosamente in  un’arca marmorea del suo famoso «Tempio Malate¬  stiano». Lo stesso Malatesta dovette pure essere in  rapporto con la ben nota «Accademia Romana» di  Pomponio Leto (11), propugnatore, scrive il von Pa-  stor, del «romanesimo nazionale antico». Il capo    Ci si dovrà pertanto limitare a rimandare a: B. KIESZKOWSKI, Studi  sul platonismo del Rinascimento in Italia (vedi soprattutto cap. II),  Sansoni, Firenze 1936; P. FENILI, Bisanzio e la corrente tradizionale  del Rinascimento, in «Vie della Tradizione», X, 39 (1980), pp. 139-147  (ci viene comunicato ora, che a cura dello stesso P. Fenili è in corso di  stampa un’antologia di brani di Pletone, dal titolo «Paganitas», lo  squarcio nelle tenebre, per Basala Editore di Roma). Di recente, ci è ca¬  pitato di leggere in un’insolita pubblicazione, una rivistina satirica di si¬  nistra, un reportage da Mistra singolarmente informato e documentato  su Gemisto Pletone e la sua scuola (cfr. P.LO SARDO, La repubblica  dei Magi. Da Sparta alla Firenze del '400, in «Frigidaire», 56-57, luglio-  agosto 1985, pp. 55-63).   (11) Per mezzo del Platina (definito da Pomponio pater sanctissi-  mus), 1 ’Accademia Romana intratteneva rapporti col Malatesta, il quale dell’Accademia Romana, riporta il von Pastori   «spregiava la religione cristiana ed usciva in vio¬  lenti discorsi contro i suoi seguaci... venerava il ge¬  nio della città di Roma. (...) Quale rappresentante  di queU’umanesimo, che gravitava verso il pagane¬  simo, si schierarono ben presto attorno a Pompo¬  nio un certo numero di giovani, spiriti liberi dalle  idee e dai costumi mezzo pagani. (...) Gli iniziati  consideravano la loro dotta società come un vero  collegio sacerdotale alla foggia antica, con alla te¬  sta un pontefice massimo, alla quale dignità fu  elevato Pomponio Leto» (12).   Si noti che sembra certa l’adesione alla cerchia del  Leto del principe Francesco Colonna, Signore di Pa-  lestrina, l’antica Praeneste, dai più ritenuto l’autore  della celeberrima Hypnerotomachia Poliphili, un te¬  sto molto citato, ma molto poco letto e soprattutto  compreso, dove, in ogni modo, una sapienza ermeti¬  ca si sposa all’esaltazione, non tanto filosofica.    fu notoriamente nemico dei papi e ammiratore del movimento pagano  di Mistra (cfr. F. Masai, Pléthon et le platonisme de Mistra, Paris 1956,  p. 344, nota. L’opera del Masai è a tutt’oggi la più completa esistente  sulla dottrina e la figura di Giorgio Gemisto Pletone). Si noti che il Pla¬  tina fu allievo a Firenze dell’Argiropulo, discepolo di Pletone, e che un  altro antico discepolo, il Cardinal Bessarione, si prodigò per la liberazio¬  ne da Castel Sant’Angelo dei membri dell’Accademia Romana nel 1468,  dopo che furono accusati dal papa Paolo II — non senza fondamento  — di «paganesimo». 11 Masai (op. cit., p. 343) si domanda se l’Accade¬  mia Romana «non fosse in qualche modo una filiale di quella di  Mistra».   (12) L. von PASTOR, Storia dei Papi, voi. II, Roma 1911, pp. 308-309.    20    quanto mistica, del mondo della paganità romano¬  italica, culminante nella visione di Venere Genitrice.   Se si rifletta al fatto che Francesco Colonna, rea¬  lizzatore fra il 1490 e il 1500 del nuovo imponente  palazzo gentilizio eretto sulle rovine del tempio di  Fortuna Primigenia (ancora oggi ben identificabili  nelle strutture originali), vantava discendenza diret¬  ta dalla gens Julia e quindi da Venere (13), si potrà  allora intravedere come l’apporto vivificante della  corrente sapienziale reintrodotta in Italia da Gemi¬  sto Pletone si fosse incontrato col retaggio gentilizio  di una tradizione antichissima, gelosamente custodi¬  to nel silenzio dei secoli col tramite di alcune fami¬  glie nobiliari italiane, in ispecie laziali, generosa¬  mente fruttificando: nel senso di spingere ad un rin¬  novamento tradizionale non solo l’Italia, ma persi¬  no, ad un certo momento, lo stesso papato, se avven¬    ti 3) Risulterà forse sorprendente apprendere come i Colonna posse¬  dessero ancora fino ai nostri giorni (è documentato almeno sino al  1927) il «feudo» originale di Giulio Cesare, Boville (Frattocchie d’Alba-  no). Sempre fino al 1927 era visibile nel giardino Colonna al Quirinale  l’aitare antico dedicato al Vediove della gens Julia (notizie ricavate da:  P. COLONNA, I Colonna, Roma 1927, pp. 5-6). Tolomeo 1 Colonna  ostentava il titolo di Romanorum consul excellentissimus e Julia stirpe  progenitus (cfr. P. FEDELE, s.v. Colonna, in «Enciclopedia Italiana»,  X, 1931). Ha compiuto un’attenta analisi deWHypnerotomachia Poli¬  phili (editio princeps nel 1499, presso Manuzio) come opera di France¬  sco Colonna, M. CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma 1980.  Si veda anche: OLIMPIA PELOSI, Il sogno di Polifilo: una quéte del¬  l’umanesimo, ed. Palladio, s.l. 1978. A.C. Ambesi, in considerazione  della dimensione iniziatica dell’opera di Francesco Colonna, la conside¬  ra come un’anticipazione cifrata del movimento dei Rosacroce (/ Rosa¬  croce, Milano 1982, pp. 76 e sgg.). ne che poco mancò che salisse al soglio pontificio  quel cardinale Giuseppe Bassarione che fu discepolo  diretto di Giorgio Gemisto Pletone, da lui giudicato,  come scrisse in una lettera privata ai figli del mae¬  stro dopo la sua morte, «il più grande dei Greci do¬  po Platone» (14).    Ma altri tempi tristi dovevano giungere, tempi in  cui sarebbe stato più prudente tacere, come dimo¬  strò il bagliore delle fiamme in Campo dei Fiori, av¬  volgenti nell’anno di Cristo 1600 il corpo, ma non  l’animo, di Giordano Bruno, rivivificatore generoso,  ma impaziente, di dottrine orfico-pitagoriche, che  trovavano analoga eco — frutto di una linfa non  mai del tutto estinta nell’Italia Meridionale — nella  poesia e nella prosa dell’irruente frate calabrese  Tommaso Campanella, lui pure oggetto di odiose  persecuzioni.   Bisognerà giungere sino all’unità d’Italia, parzial¬  mente realizzatasi nel 1870 con la fine della millena¬  ria usurpazione temporale dei papi, per trovare una  situazione mutata. A questo punto bisogna chiarire  una volta per tutte, con la maggiore evidenza, che  dal punto di vista del tradizionalismo romano l’uni¬  tà d’Italia — indipendentemente dai modi con cui    (14) Si dovrà ricordare che il Bessarione raccolse cum pietate nel suo  studio le opere e i manoscritti del maestro, in particolare alcuni fram¬  menti apertamente pagani delle Leggi, dotandone poi la Biblioteca  Marciana da lui fondata, a Venezia.    22    potè in effetti verificarsi (modi spesso arbitrari e  prevaricatori della dignità e delle sacrosante autono¬  mie di diverse popolazioni italiche) e dall’azione di  certe forze sospette (Carboneria, massoneria e sette  varie) che per i loro fini occulti poterono agevolarla  — era e rimane condizione imprescindibile e necessa¬  ria per ritornare alla realtà geopolitica dell’Italia au-  gustea (e dantesca): quindi per propiziare il rimani¬  festarsi nella Saturnia tellus di quelle forze divine  che ab origine a quella realtà geografica — consa¬  crata dalla volontà degli dèi indigeti — sono legate.   È un dato che si dovrà tenere ben presente, per  meglio intendere certi fatti che avremo modo di  esporre in seguito.    Intanto, negli ultimi anni del XIX secolo è nell’a¬  ria qualcosa di nuovo e antico insieme, che verrà av¬  vertito dalle anime più sensibili.   Fra queste, il grande poeta Giovanni Pascoli, con  un equilibrio ed una compostezza veramente classi¬  ci, valendosi di una sensibilità non inferiore a quella  con cui in quegli stessi anni conduceva l’esegesi di  certi lati occulti della dantesca Commedia, con il se¬  guente sonetto (e col corrispondente testo in esame¬  tri latini, da noi non riprodotto) celebrava in una  semplice aula scolastica la solennità «L’aratro è fermo: il toro d’arar sazio,  leva il fumido muso ad una branca  d’olmo; la vacca mugge a lungo, stanca,  e n’echeggia il frondifero Palazio.   Una mano sull’asta, una sull’anca  del toro, l’arator guarda lo spazio:  sotto lui, verde acquitrinoso il Lazio;  là, sul monte, una lunga breccia bianca.   È Alba. Passa l’Albula tranquilla,   sì che ognun ode un picchio che percuote   nell’Argileto l’acero sonoro.   Sopra il Tarpeio un bosco al sole brilla,  come un incendio. Scende a larghe ruote  l’aquila nera in un polverio d’oro» (15).   Allo scadere del secolo, nel 1899, è un fatto nuovo  di ordine archeologico il punto di riferimento im¬  portante ed essenziale per il secolo che sta per aprir¬  si: la scoperta nel Foro da parte dell’archeologo Gia¬  como Boni (un nome che non dovremo scordare) del  cippo arcaico sotto il cosiddetto Lapis Niger (VI sec.  a.C.), in cui l’iscrizione in caratteri antichi del termi¬  ne RECHI ( = regi) attesta documentariamente l’ef¬  fettiva esistenza in Roma della monarchia e, con  quanto ne consegue, la sostanziale fondatezza della  tradizione annalistica romana, trasmessa nel corso  di innumerevoli generazioni, dai primi Annales Ma¬  ximi dei pontefici sino a Tito Livio e, al termine del-    (15) G. PASCOLI, Antico sempre nuovo. Scritti vari di argomento  latino, Zanichelli, Bologna 1925, p. 29. 11 lettore esperto potrà notare  come in pochi versi il poeta abbia saputo sapientemente concentrare  particolari nomi evocativi di determinate realtà primordiali dell’Urbe.    24    l’Impero d’Occidente, alle ultime gentes sacerdotali  ed a quegli estremi devoti raccoglitori e trasmettitori  della sapienza delle origini, come poterono essere un  Macrobio ed un Marziano Capella nel V secolo.   È come se, fisicamente, una parte di tradizione ro¬  mana si esponesse improvvisamente alla luce del so¬  le a smentire l’incredulità e l’ipercriticismo della  scuola tedesca, che, in nome di un presunto realismo  scientifico, aveva respinto in blocco le più antiche  memorie patrie, e soprattutto dei suoi squallidi se¬  guaci italiani, come quell’Ettore Pais che nella sua  Storia di Roma (ristampata innumerevoli volte fino  in piena epoca fascista) aveva negato ogni tradizione  da una parte, costruendo dall’altra fantastici castelli  in aria, senza alcuna base, né storica, né filologica.   Risulta che Giacomo Boni fu in corrispondenza  con un altro principe romano, pioniere degli studi  islamici e deputato al parlamento nei banchi della  sinistra: Leone Caetani duca di Sermoneta, principe  di Teano, marito di una principessa Colonna.   Suo nonno, Michelangelo Caetani, era stato l’au¬  tore di un fortunato opuscolo di esegesi dantesca sin  dal 1852, dove si sosteneva l’identità di Enea col  dantesco «messo del cielo» che apre le porte della  Città di Dite con «l’aurea verghetta» degli iniziati di  Eieusi (16): quello stesso che nel 1870, già vecchio e  quasi cieco, fu il latore a Vittorio Emanuele II dei    (16) Cfr. M. CAETANI di SERMONETA, Tre chiose nella Divina  Commedia di Dante Alighieri, II ed., Lapi, Città di Castello risultati del plebiscito che sanciva l’unione di Roma  all’Italia.   Proprio Leone Caetani sarebbe stato l’autorevole  tramite attraverso cui si sarebbero manifestate al¬  l’interno della Fratellanza Terapeutica di Myriam  (operativa proprio negli anni della scoperta del La¬  pis Niger) fondata da Giuliano Kremmerz (cioè Ciro  Formisano di Portici) — che la definì talvolta come  Schola Italica — determinate influenze derivanti  dall’antica tradizione romano-italica se, come scrive  l’esoterista Marco Daffi {alias il conte Libero Ric-  ciardelli) (17) è lui il misterioso «Ottaviano» (altro  riferimento alla gens Julia!) autore nel 1910, nella ri¬  vista «Commentarium» diretta dal Kremmerz, di un  articolo sul dio Pan e di una lettera di congedo dalla  redazione in cui egli riafferma in tali termini la pro¬    ti?) «Sotto tale pseudonimo si nascondeva persona veramente auto¬  revole, autorevolissimo collega di ricerche ermetiche di Kremmerz tanto  da potere essere ritenuto portavoce di sede superiore (...) Don Leone  Caetani, Duca di Sermoneta, Principe di Teano» (M. DAFFI, Giuliano  Kremmerz e la Fr+Tr+ di Myriam, a cura di G.M.G., Alkaest, Genova  1981, pp. 62 e 84). Gli scritti firmati da «Ottaviano» in «.Commenta¬  rium» sono tre: La divinazionepantéa (n. 1 del 25 luglio 1910), Per Giu¬  seppe Francesco Borri (n. 3 del 25 agosto 1910), Gnosticismo e inizia¬  zione (n. 8-10 di novembre-dicembre 1910). In quest’ultimo scritto, con¬  sistente in una lettera di congedo come collaboratore della rivista, si ri¬  manda all’opera di un altro personaggio che, come «Ottaviano», doveva  riconnettersi allo stesso ambiente iniziatico gravitante alle spalle dell’or¬  ganismo kremmerziano: l’avvocato Giustiniano Lebano, autore di un  curioso libretto intitolato Dell’Inferno: Cristo vi discese colla sola ani¬  ma o anche col corpo? (Torre Annunziata 1899), in cui nuovamente si  accenna al «ramoscello dorato del segreto, ossia la voce mistica di con¬  venzione» (p. 66) che Enea presenta a Proscrpina.    26    pria fede pagana:    «... non sono che pagano e ammiratore del paga¬  nesimo e divido il mondo in volgo e sapienti (...)  volgo, che i miei antenati simboleggiavano nel ca¬  ne e lo pingevano alla catena sul vestibolo del Do-  mus familiae con la nota scritta: Cave canem; ca¬  ne perché latra, addenta e lacera» (18).   In quegli stessi anni (a partire dal 1905) era co¬  minciata l’attività pubblicistica ed iniziatica di Ar¬  turo Reghini (1878-1946). La sua importanza fra i  più autorevoli esponenti europei della Tradizione, e  del filone romano-italico in particolare, risiede cer¬  tamente non tanto nel tentativo, vano e fatalmente  destinato all’insuccesso, per quanto disinteressato,  di rivitalizzare la massoneria al suo interno (19),  quanto nell’attenzione da lui portata allo studio ed    (18) OTTAVIANO, Gnosticismo e iniziazione, cit., p. 210.   (19) Tentativo che si concretizzò soprattutto con la creazione del Rito  Filosofico Italiano, fondato nel 1909 dal Reghini, Edoardo Frosini ed  altri (il 20 ottobre 1911 vi sarà accolto come membro onorario Aleister  Crowley...), ma dall’esistenza effimera, dal momento che sin dal 1919 si  fuse con la massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato di Piazza  del Gesù. 11 Reghini seguirà le sorti e le direttive di Piazza del Gesù di  Raoul Palermi, molto favorevole nei confronti del fascismo, sino ai  provvedimenti contro le società segrete del 1925. Giovanni Papini ha de¬  dicato alcune pagine nel contempo pungenti e commosse ad Arturo Re¬  ghini di cui fu amico negli anni giovanili, cosi concludendo: «Arturo  Reghini visse, povero e solitario, una vita di pensiero e di sogno: anch’e¬  gli difese e incarnò, a suo modo, il “primato dello spirituale’’. Nessuno  di quelli che lo conobbero potrà dimenticarlo» (Passato remoto (1885-  1914), ed. L’Arco, Firenze 1948, p. 129).alla riscoperta della tradizione classica e romana,  che gli era stato dato in compito di rivitalizzare «in  segreto», così come egli stesso si esprime in una let¬  tera inviata ad Augusto Agabiti e pubblicata nel nu¬  mero di aprile 1914 di «Ultra»:   «sai bene come il nostro lavoro, puramente meta¬  fisico e quindi naturalmente esoterico, sia rimasto  sempre e volontariamente segreto» (20).   In tal modo il Reghini ben si inseriva nel filone  della corrente tradizionalista romana, in quella sua  variante che si può legittimamente definire «orfico-  pitagorica» (21), col contributo di numerosi scritti,  soprattutto sulla numerologia pitagorica, sparsi fra  molti articoli e opere impegnative, come Per la resti¬  tuzione della geometria pitagorica (1935; rist. 1978),  I numeri sacri della tradizione pitagorica massonica  (postumo 1947; rist. 1978), Aritmosofia (postumo    (20) A. REGHINI, La «tradizione italica», in «Ultra», Vili, 2 (aprile  1914), p. 69.   (21) Allo stesso modo, di tradizione ermetica «egizio-ellenistica» si  potrebbe parlare per il filone essenzialmente seguito dalla corrente  kremmerziana. È chiaro come nessuna di queste correnti possa preten¬  dere di identificarsi con il filone centrale deWa tradizione romana (come  vorrebbero, ad esempio, certi continuatori del Reghini dei nostri giorni),  rappresentandone, semmai, corollari concentrici ed espressioni validis¬  sime, ma essenzialmente periferiche. Il nucleo della tradizione romana  è altra cosa: può includere tutto ciò, ma al tempo stesso ne è al di sopra  nella sua essenza originaria. Per cercare di comprendere la cosa, si dovrà  riflettere sul simbolismo e sulla funzione del dio Giano, non per caso  divinità unica e propria della sacra terra laziale.) ed il tuttora inedito Dei numeri pitagorici (22).   Con questa attività egli avrebbe perseguito la mis¬  sione affidatagli da un’antica scuola iniziatica di tra¬  dizione pitagorica della Magna Grecia (23) allorché,  ancora giovane e studente a Pisa, fu avvicinato da  colui che sarebbe divenuto il suo maestro spirituale:  Amedeo Rocco Armentano (24), calabrese, ufficiale  dell’esercito all’epoca in cui lo conobbe il Reghini.   Ad Amedeo Armentano (1886-1966) apparteneva    (22) Di recente, per il quarantesimo anniversario della scomparsa del  Reghini (1986), è stata edita una raccolta di suoi scritti vari: Paganesi¬  mo, pitagorismo, massoneria, ed. Mantinea, Fumari 1986, a cura del¬  l’Associazione Pitagorica, un gruppo costituitosi solo nel giugno 1984  con un poco iniziatico «atto notarile» (sic), ma che vanta diretta discen¬  denza dal gruppo del Reghini. La raccolta è stata purtroppo eseguita  con dilettantismo, senza criteri ed inquadramenti storico-filologici e gli  scritti reghiniani (uno addirittura incompleto) non seguono nè un ordi¬  ne logico, nè cronologico. Il saggio suW Interdizione pitagorica delle fa¬  ve si potrà leggere ora completo in «Arthos» n. 30 (1986, ma stampato  1987).   (23) DIOGENE LAERZIO (Vili, 56) ricorda come il pensiero di Pi¬  tagora avesse trovato accoglienza presso gli Italioti della Magna Grecia:  «Come dice Alcidamante tutti onorano i sapienti. Così i Pari onorano  Archiloco, che pur era blasfemo, e i Chii Omero, che era d’altra città (...)  e gli Italioti Pitagora» (Die fragmente der Vorsokratiker, a cura di H.  Diels-W. Kranz; trad. ital. Bari 1981, v. I).   (24) Per alcune notizie su Armentano (ed una sua foto), cfr. R. SE-  STITO, A.R.A., il Maestro, in Ygieia, bollettino interno dell’Associazio¬  ne Pitagorica, 111, 1-4 (1986), pp. 1-3. Di Armentano si vedano le Massi¬  me di scienza iniziatica, commentate dal Reghini in vari numeri di  «Atanòr» ed «Ignis» (1924-25). Negli anni Trenta Armentano lasciò l’I¬  talia per il Brasile, dove morì. È sintomatico come anche «Ottaviano»  in quel periodo si sarebbe allontanato dall’Italia stanziandosi a Vancou¬  ver in Canada.    29         quella misteriosa «torre in mezzo al mare. Una ve¬  detta diroccata, su di uno scoglio deserto» (25) dove,  con gran dispiacere di Sibilla Aleramo, il giovane  protagonista del romanzo Amo, dunque sono (Mon¬  dadori, Milano 1927), «Luciano» {alias Giulio Pari¬  se), avrebbe dovuto «diventare mago» in compagnia  di un amico non nominato, vale a dire proprio il  Reghini.   Fu proprio nella torre di Scalea, in Calabria, che  il Reghini rivide nell’estate 1926 il testo della tradu¬  zione italiana deirOccw//flr Phylosophia di Agrippa,  a cui premise un ampio saggio di quasi duecento pa¬  gine su E.C. Agrippa e la sua magia. Vi scriveva, fra  l’altro:    «E perciò, in noi, il senso della romanità si fonde  con quello aristocratico e iniziatico nel renderci  fieramente avversi a certe alleanze, acquiescenze e  deviazioni. Forse si avvicina il tempo in cui sarà  possibile di rimettere un po’ a posto le cose, e noi  speriamo che ci venga consentito, una qualche vol¬  ta, di riportare alla luce qualche segno dell’esoteri¬  smo romano. Quanto alla permanenza di una  “tradizione romana”, si vorrà ammettere che se  una tradizione iniziatica romana pagana ha potu¬  to perpetuarsi, non può averlo fatto che nel più as¬  soluto mistero. Non è quindi il caso di interloquire  con affermazioni e negazioni» (26).    (25) S. ALERAMO, Amo, dunque sono, cit., p. 15. Cfr. p. 50: «Lu¬  ciano, Luciano, e tu vuoi essere mago! M’hai detto d’aver già operato  fantastiche cose, fantastiche a narrarsi, ma realmente accadute».   (26) A. REGHINI, E.C. Agrippa e la sua magia, in: E.C. AGRIPPA,  Il 1914 è un anno molto importante, sotto diversi  aspetti, per i tentativi di rivivificazione della tradi¬  zione italica. Nel numero di gennaio-febbraio 1914  di «Salamandra», in un articolo dal titolo fortuna¬  to, poi ripreso da Evola, Imperialismo pagano, il Re¬  ghini coglieva occasione, scagliandosi contro il par¬  lamentarismo ed il suffragio universale che favoriva  cattolici e socialisti, di riaffermare l’unità e l’immu¬  tabilità della tradizione pagana in Italia, che, sempre  ricollegata nella sua visione al pitagorismo, si sareb¬  be trasmessa attraverso le figure di alcuni grandi ini¬  ziati sino ai nostri giorni (27). In ottobre, dalle pagi¬  ne di «Ultra», precisava nello stesso tempo, in un  importante articolo dottrinario, che:   «Il linguaggio e la razza non sono le cause della  superiorità metafisica, essa appare connaturata al  luogo, al suolo, all’aria stessa. Roma, Roma caput  mundi, la città eterna, si manifesta anche storica¬  mente come una di queste regioni magnetiche del¬  la terra. (...) Se noi parleremo del mito aureo e so¬  lare in Egitto, Caldea e Grecia prima di occuparci  della sapienza romana, non è perché questa derivi  da quella, ché il meno non può dare il più» (28).    Lm Filosofia occulta o la Magia, voi. I, rist. Mediterranee, Roma 1972,  pp. XCIII-XClV, nota.   (27) L’articolo fu poi ripubblicato in «Atanòr», I, 3 (marzo 1924),  pp. 69-85 (oggi nella ristampa anastatica a cura dell’omonima casa edi¬  trice di Roma).   (28) A. REGHINI, Del simbolismo e della filologia in rapporto alla  sapienza metafisica, in «Ultra», Vili, 5 (ottobre 1914), p. 506.Intanto, nella notte del solstizio d’inverno del  1913, si era verificato un insolito episodio, gravido  di future conseguenze: in seguito a misteriose indi¬  cazioni, nei pressi di un antico sepolcro sull’Appia  Antica era stato rinvenuto, a cura di «Ekatlos» (29),  accuratamente celato e protetto da un involucro im¬  permeabile, uno scettro regale di arcaica fattura e i  segni di un rituale.   «Ed il rito — riporta «Ekatlos» (30) — fu celebra¬  to per mesi e mesi, ogni notte, senza sosta. E noi  sentimmo, meravigliati, accorrervi forze di guerra  e forze di vittoria; e vedemmo balenar nella sua lu¬  ce le figure vetuste ed auguste degli “Eroi” della  razza nostra romana; e un “segno che non può fal¬  lire” fu sigillo per il ponte di salda pietra che uo¬  mini sconosciuti costruivano per essi nel silenzio  profondo della notte, giorno per giorno».   «Il significato, le vere intenzioni e le origini di tali    (29) Lasciamo ogni responsabilità circa l’identificazione di «Eka¬  tlos» con il principe Leone Caetani, già da noi incontrato, all’anonimo  autore (si tratta, peraltro, certamente di C. Mutti, fanatico integralista  islamico) di una postilla alla parziale traduzione francese della rivista  evoliana «Krur» (TRANSILVANUS 1984, A propos de l’article d’Eka-  tlos, seguito da una Note sur Leone Caetani, in: J. EVOLA, Tous les  écrits de «Ur» & «Krur», 111 [Krur 1929], Arché, Milano 1985, pp. 475-  486). Ancor più lasciamo all’autore di tali tristi note (in cui ancora una  volta si dimostra come tra fanatismo religioso e via iniziatica esista un  divario invalicabile) la pesante responsabilità delle poco ragguardevoli  espressioni usate nei confronti del benemerito principe romano.   (30) EKATLOS, La «Grande Orma»: la scena e le quinte, in «Krur»,  I, 12 (dicembre 1929), pp. 353-355, oggi in: GRUPPO di UR, Introdu¬  zione alla Magia, voi. Ili, Roma 1971, pp. 380-383.    32    riti pongono un problema», osserva il Di Vona (31),  «ma il loro fine immediato fu esplicito, e come tale  è stato dichiarato. (...) Esso fu compiuto nel dovuto  modo da un gruppo che si propose di dirigere verso  la vittoria italiana la I Guerra Mondiale».   Ma l’episodio ha un seguito: il 23 marzo 1919  (giorno in cui cade la festa romana del Tubilustrium,  o consacrazione delle trombe di guerra) fu fondato  a Milano, nella famosa riunione di Piazza Sansepol-  cro, il primo Fascio di Combattimento (dal 1921 de¬  nominato Partito Nazionale Fascista). Fra gli astanti  vi fu chi, emanazione dello stesso gruppo che aveva  riesumato l’antico rituale, preannuncio a Benito  Mussolini: «Voisarete Console d’Italia». E fu la stes¬  sa persona che, qualche mese dopo la Marcia su Ro¬  ma, il 23 maggio 1923, vestita di rosso, offrì al Capo  del Governo un’arcaica ascia etrusca, con «le dodici  verghe di betulla secondo la prescrizione rituale le¬  gate con strisce di cuoio rosso» (32).   Con tale atto dal sapore sacrale, come è evidente.    (31) P. DI VONA, Evola e Guénon, cit., p. 202.   (32) EKATLOS, art. cit., p. 382, nota. La notizia è riportata con altri  particolari nel «Piccolo» di Roma del 23-24 maggio 1923, p. 2 [cfr. Ap¬  pendice 1]. Particolare curioso: la sera stessa del 23 maggio Mussolini  parti in aereo alla volta di Udine, onde potere inaugurare il giorno dopo,  24 maggio, anniversario dell ’entrata in guerra, il monumentale cimitero  di Redipuglia, alla presenza del Duca d’Aosta. La sera del 24, sulla via  del ritorno verso Roma, l’aereo fu costretto, da un inspiegabile guasto,  ad un atterraggio di fortuna nei pressi di Cerveteri, cioè l’antica etrusca  Cere, donde forse proveniva l’arcaico fascio.le correnti più occulte portatrici della tradizione ro¬  mana avrebbero voluto propiziare una restaurazione  in senso «pagano» del fascismo.   Altri episodi concomitanti concorrono a rafforza¬  re questa supposizione. Dopo essere stata composta  proprio nel 1914, fra il 21 aprile ed il 6 maggio 1923  (altre significative coincidenze di date), fu rappre¬  sentata sul Palatino la tragedia Rumori: Romae sa-  crae origines (il solo terzo atto), col beneplacito e la  presenza plaudente di Benito Mussolini. La tragedia  (o, meglio, alla latina, il Carmen solutum) risulta  opera di un certo «Ignis» (pseudonimo sotto cui si  celerebbe l’avvocato Ruggero Musmeci Ferrari Bra¬  vo), che risulta godere di appoggi assai influenti, co¬  me quello di Ardengo Soffici [cfr. Appendice 11], e  appare, specialmente in quel terzo carmen che fu re¬  citato, più che una semplice rappresentazione sceni¬  ca, un vero e proprio atto rituale: un rito di consa¬  crazione, certamente denotante nell’autore, o nei  gruppi restati nell’ombra di cui egli era emanazione,  una conoscenza non solo filologica della tradizione  romana (si pensi che in intermezzi scenici vengono  cantati, al suono di flauti, i versi ianuli e iunonii dei  Fratres Arvales), ma anche di certi suoi lati occulti,  come lascia intendere il rito di incisione su lamine  auree dei nomi arcani deU’Urbe e l’esegesi, voluta-  mente incompleta, dei significati del nome di Roma.   Quest’azione, occulta e palese, sulle gerarchie fa¬  sciste affinché i simboli da esse evocate, come l’aqui¬  la o il fascio, non restassero puro orpello di facciata,  continuerà sino al 1929, che è anche l’anno in cui Rumon verrà pubblicata, in splendida edizione uffi¬  ciale, dalla Libreria del Littorio, con i frontespizi or¬  nati di caratteri arcaici romani, disegnati apposita¬  mente nel 1923 da Giacomo Boni, lo scopritore del  Lapis Niger già da noi incontrato, il quale avrà il pri¬  vilegio poco dopo, alla sua morte (1925), di essere  inumato sul Palatino stesso (33).   Ancora noteremo come sintomatica l’uscita, nello  stesso 1923, della Apologia del paganesimo (Formig-  gini, Roma) di Giovanni Costa, futuro collaboratore  delle iniziative pubblicistiche di Evola [cfr. Appendi¬  ce III].   Fra il 1924 e il 1925 uscirono le due riviste «di stu¬  di iniziatici» «Atanòr» ed «Ignis», dirette da Arturo  Reghini, e in cui iniziò una collaborazione il giovane  Evola: affronteranno con un rigore ed una serietà  inconsuete, per l’eterogeneo ambiente spiritualista  dell’epoca, tematiche e discipline esoteriche di parti¬  colare interesse: vi comparvero, per la prima volta in  Italia, scritti di René Guénon, fra cui a puntate, pri¬  ma ancora che in Francia, L'esoterismo di Dante. È  peraltro evidente come il contenuto di queste riviste  non avesse un valore puramente speculativo, come  dimostrano gli scritti di «Luce» suirO/7M5 magicum  (Gli specchi - Le erbe) negli ultimi due numeri di    (33) Fu proprio Giacomo Boni che, risalendo ai modelli d’origine, mi¬  se a punto il prototipo del fascio romano (oggi al Museo dell’Impero)  per il Regime Fascista: è quello che compare sulle monete da due lire di  quel periodo (cfr. V. BRACCO, L’archeologia del Regime, Volpe, Roma  «Ignis», che preludono a quelli del successivo Grup¬  po di Ur. Ma intanto l’auspicata svolta in senso pa¬  gano da parte del fascismo sperata dalla corrente  tradizionalista romana non solo stenta a verificarsi,  anzi è messa pericolosamente in forse dalle mene de¬  gli ambienti cattolici e clericali. Nel n. 5 del maggio  1924 di «Atanòr» Reghini con parole di fuoco de¬  preca alcune espressioni pronunciate da Mussolini  in occasione del Natale di Roma:   «Il colle del Campidoglio, egli ha detto, "‘dopo il  Golgota, è certamente da secoli il più sacro alle  genti civiir. In questo modo l’On. Mussolini, in¬  vece di esaltare la romanità, perviene piuttosto ad  irriderla ed a vilipenderla. (...) Noi ci rifiutiamo di  subordinare ad una collinetta asiatica il sacro colle  del Campidoglio».   E nel n. 7 di luglio, dopo il delitto Matteotti:   «... ecco un clamoroso delitto politico viene a  sconvolgere la vita della nazione, ad agitare gli ani¬  mi. (...) Investito da popolari e da ogni gradazione  di democratici, a Mussolini non resterebbe che  battere la via dell’imperialismo ghibellino, se non  esistesse un partito che già lo sta esautorando...  tengano ben presente i nostri nemici che, nono¬  stante la loro enorme potenza e tutte le loro pro¬  dezze, esiste ancor oggi, come è esistita in passato,  traendo le sue radici da quelle profondità interiori  che il ferro e il fuoco non tangono, la stessa catena  iniziatica pagana e pitagorica, inutilmente e seco¬  larmente perseguitata».   L’ordine del giorno Bodrero e le successive leggi    36    sulle società segrete tolgono ulteriore spazio all’atti¬  vità pubblicistica del Reghini, che peraltro conflui¬  sce, fra il 1927 e il 1928, nel «Gruppo di Ur», for¬  malmente diretto da Julius Evola.   A noi qui non interessa tanto esaminare il lavoro  di ricerca esoterico svolto dal Gruppo di Ur, cui par¬  teciparono, come è noto, personalità appartenenti  alle principali correnti esoteriche operanti in quegli  anni in Italia, dai pitagorici ai kremmerziani, dagli  steineriani (antroposofi) ai cattolici eterodossi come  il De Giorgio, quanto sottolineare come in quella se¬  de dovesse essere stato, almeno in parte, ripreso il  programma di influenzare per via sottile le gerarchie  del fascismo, nel senso già voluto dal gruppo mani¬  festatosi nel 1913 con la testimonianza di «Ekatlos»  (che, non lo si dimentichi, viene riportata proprio  nel terzo dei volumi che raccolgono le testimonianze  di tutto il gruppo — in apparenza slegata da esse —  successivamente apparse col titolo di Introduzione  alla Magia). In un inserto per i lettori comparso nel  n. 11-12 di «Ur» (1927), Evola poteva scrivere: «...  possiamo dire che una Grande Forza, oggi più che  mai, cerca un punto di sbocco in seno a quella bar¬  barie, che è la cosidetta “civilizzazione” contempo¬  ranea — e chi ci sostiene, collabora di fatto ad una  opera che trascende di certo ciascuna delle nostre  stesse persone particolari».   Del resto, molti anni più tardi, Evola stesso di¬  chiarerà piuttosto esplicitamente nella sua autobio¬  grafia spirituale che l’intento del Gruppo era stato  quello, oltre a «destare una forza superiore dr servire d’ausilio al lavoro individuale di ciascuno», di far  sì che «su quella specie di corpo psichico che si vole¬  va creare, potesse innestarsi per evocazione, una vera  influenza dall’alto», sì che «non sarebbe stata esclu¬  sa la possibilità di esercitare, dietro le quinte, un’a¬  zione perfino sulle forze predominanti nell’ambien¬te generale» (34). Un’indagine ben più approfondi¬  ta, come si vede, meriterebbe di essere svolta sugli  evidenti tentativi di rivitalizzazione, all’interno del  Grupo di Ur (35), delle radici esoteriche e dei conte¬  nuti iniziatici della tradizione romana: a parte i con¬  tributi dello stesso Evola (che firmerà come «EA» e,  pare, anche come «AGARDA» e «lAGLA»), di cui  ricordiamo l’importante saggio (nel HI volume) Sul  «sacro» nella tradizione romana, ancora una volta  fondamentale resta l’apporto del Reghini (che firma  come «PIETRO NEGRI»): egli, nella relazione Sul¬  la tradizione occidentale, sulla scorta di un’attenta  esegesi delle fonti antiche (soprattutto Macrobio) e  di personali acute intuizioni, nonché di probabili  «trasmissioni» iniziatiche, non esiterà ad indicare  nel mito di Saturno il «luogo» ove è racchiuso il sen¬  so e il massimo mistero iniziatico della tradizione    (34) J. EVOLA, Il cammino del cinabro, Milano 1972 (li ed.), p. 88.   (35) Un esame generale, storico-bibliografico, sul Gruppo di Ur è sta¬  to da me compiuto in lingua tedesca, come studio introduttivo alla ver¬  sione tedesca del I volume di Introduzione alla Magia (Ansata Verlag,  Interlaken 1985). Si tratta del notevole ampliamento, riveduto e corret¬  to, di un mio precedente studio già apparso in «Arthos» n. 4-5  (1973-74).    38    romana, un’indicazione utilizzata e sviluppata ulte¬  riormente nel nostro recente Dèi e miti italici.   Intanto, nella seconda metà del 1927, una serie di  articoli polemici sui nuovi rapporti tra fascismo e  chiesa cattolica, che Evola aveva pubblicato in «Cri¬  tica fascista» di Bottai e in «Vita Nova» di Leandro  Arpinati, e la successiva comparsa, nella primavera  del 1928, di Imperialismo pagano, che quegli articoli  raccoglieva e sviluppava, riversarono proprio sul  Gruppo di Ur pesanti attacchi clericali, fra cui è in¬  teressante segnalare quello particolarmente violento  e ambiguo, del futuro papa Paolo VI, Giovanni Bat¬  tista Montini, allora assistente centrale ecclesiasti¬  co della Federazione Universitari Cattolici Italiani  (F.U.C.I.), che aveva come organo culturale la rivista  «Studium» (redazione a Roma e a Brescia). Dalle  pagine di «Studium» il Montini accusava «i maghi»  riuniti attorno a Evola di «abuso di pensiero e di pa¬  rola (...) di aberrazioni retoriche, di rievocazioni fa¬  natiche e di superstiziose magie» (36).    (36) G.B.M., Filosofia: una nuova rivista, in «Studium», XXIV, 6  (giugno 1928), pp. 323-324. Oltre che del futuro Paolo VI (certamente  il più nefasto fra i papi di questo secolo), apparvero in «Studium» anche  gli attacchi del futuro ministro democristiano del dopoguerra Guido  Gonella {Un difensore del paganesimo, ivi, gennaio 1928, pp. 28-31; //  nuovo colpo di testa di un filosofo pagano, ivi, aprile 1928, pp. 203-  208), cui Evola replicò — dopo averlo definito «un tale il cui nome  esprime felicemente che vesti gli si confacciano più che non quelle della  romana virilità» — nell'«Appendice Polemica» di Imperialismo paga¬  no. Contro Imperialismo pagano (le nostre citazioni sono tratte dalla  ristampa del 1978, presso Ar di Padova) si scomodò tutto Ventourage  del giornalismo clericale, da «L’Osservatore Romano» a «L’Avvenire», Imperialismo pagano fu l’ultimo deciso, inequivo¬  cabile e tragico appello da parte di esponenti della  «corrente tradizionalista romana», prima del triste  compromesso del Concordato, affinché il fascismo,  come si esprimeva Evola, «cominciasse ad assumere  la romanità integralmente e a permearne tutta la co¬  scienza nazionale», così che il terreno fosse «pronto  per comprendere e realizzare ciò che, nella gerarchia  delle classi e degli esseri, sta più su: per comprendere  e realizzare il lato sacro, spirituale, iniziatico della  Tradizione» (p. 162). A questo scopo Evola non ri¬  sparmiava taglienti critiche alle gerarchie del  Regime:    «Il fascismo è sorto dal basso, da esigenze confuse  e da forze brute scatenate dalla guerra europea. Il  fascismo si è alimentato di compromessi, si è ali¬  mentato di retorica, si è alimentato di piccole am¬  bizioni di piccole persone. L’organismo statale che  ha costituito è spesso incerto, maldestro, violento,  non libero, non scevro da equivoci» (p. 13).    Di più: Evola, nel 1928, prevedeva addirittura gli    al «Cittadino» di Genova, nonché tutta la pubblicistica fascista fautrice  dell’intesa col Vaticano, da «Educazione fascista» a «Bibliografia fasci¬  sta», sino alla stessa bottaiana «Critica fascista» che aveva ospitato i  primi articoli evoliani.    40    esiti e gli sviluppi della Seconda Guerra Mondiale:    «L’Inghilterra e l’America, focolari temibili dei  pericolo europeo, dovrebbero essere le prime ad  essere stroncate, ma non occorre di certo spendere  troppe parole per mostrare che esito avrebbe una  simiie avventura sulla base dell’attuale stato di fat¬  to. Data la meccanizzazione della guerra moder¬  na, le sue possibilità si compenetrano strettamente  con la potenza industriale ed economica delle  grandi nazioni...» (pp. 88-89).   Era dunque necessario che il fascismo, che «bene  o male ha messo su un corpo. Ma... non ha ancora  un'anima» (p. 13), si rivolgesse senza esitazioni a  quella della Roma precristiana prima che fosse trop¬  po tardi, sì da «eleggere l'Aquila e il fascio e non le  due chiavi e la mitria a simbolo della sua rivolu¬  zione» (p. 138).   «Nostro Dio può essere quello aristocratico dei  Romani, il Dio dei patrizi, che si prega in piedi e  a fronte alta, e che si porta alla testa delle legioni  vittoriose — non il patrono dei miserabili e degli  afflitti che si implora ai piedi del crocifisso, nella  disfatta di tutto il proprio animo» (p. 163).   L’il febbraio 1929 il governo di Mussolini firma¬  va a nome del Re d’Italia, dal 1870 considerato dai  papi un «usurpatore», il cosiddetto Coneordato con  la Chiesa Cattolica (37) e nasceva il monstrum giuri-    (37) Che il cosiddetto Concordato abbia sortito un effetto a dir poco  nefasto sulle sorti, non solo dello stesso fascismo (come le vicende stori-  dico della Citta del Vaticano (38). Veniva con ciò  tolta ogni speranza residua di azione all’interno de¬  gli ambienti ufficiali, sia da parte di Evola che di Re-  ghini e di altri autorevoli esponenti, restati per lo più  in ombra, del «tradizionalismo romano»: alcuni di  loro, come già si è accennato in nota, abbandonaro¬  no per sempre l’Italia per il Nuovo Continente nel  corso degli anni Trenta.    Restava il «programma minimo» indicato ancora  da Evola in Imperialismo pagano, secondo cui il fa¬  scismo avrebbe dovuto:   «promuovere studi di critica e di storia, non parti-  giana, ma fredda, chirurgica, sull’essenza del cri¬  stianesimo (...). Contemporaneamente dovrebbe  promuovere studi, ricerche, divulgazioni sopra il  lato spirituale della paganità, sopra la sua visione  vera della vita» (p. 125).    che successive ben presto dimostrarono, avvalorando i timori di Reghini  e di Evola), ma della stessa Italia del dopoguerra, lo sperimentiamo an¬  cora oggi sulla nostra pelle, dopo che un quarantennale dominio  clericale-borghese ha provveduto, quasi in ogni campo, ad addormenta¬  re la coscienza delle «masse» ed a stroncare, con un autentico «terrori¬  smo di Stato», qualsiasi velleità di reazione delle minoranze coscienti  della necessità di mutare uno stato di cose ormai incancrenito.   (38) «Mussolini non si era reso conto che prima di lui uomini non so¬  lo autoritari, ma dal potere assoluto — gli Ottoni, gli Svevi, perfino  Carlo V ecc. — si erano dovuti pentire di ogni intesa, patto e transazio¬  ne con la Santa Sede. (...) ogni intesa tra Santa Sede e Stato italiano  avrebbe significato unicamente il riconoscimento giuridico della validità    42    Chi avesse pensato che la «Scuola di Mistica Fa¬  scista», fondata significativamente poco dopo la  «Conciliazione», nell’aprile 1930 nell’ambito del  G.U.F. di Milano per opera di Nicolò Giani, avrebbe  svolto una funzione del genere, avrebbe dovuto ben  presto ricredersi amaramente. In realtà, il sentimen¬  to religioso dichiarato di quella che avrebbe voluto  costituire Vélite politico-intellettuale del fascismo si  configurava con precisione come cattolico. Lo di¬  chiara, in una maniera che non potrebbe essere più  esplicita, lo stesso fratello del «Duce», Arnaldo  Mussolini, in un discorso tenuto alla Scuola nel  1931:    «La nostra esistenza deve essere inquadrata in una  marcia solida che sente la collaborazione della  gente generosa e audace, che obbedisce al coman¬  do e tiene gli occhi fissi in alto, perché ogni cosa  nostra, vicina o lontana, piccola o grande, contin¬  gente od eterna, nasce e finisce in Dio. E non parlo  qui del Dio generico che si chiama talvolta per  sminuirlo Infinito, Cosmo, Essenza, ma di Dio  nostro Signore, creatore del cielo e della terra, e  del suo Figliolo che un giorno premierà nei regni  ultraterreni le nostre poche virtù e perdonerà, spe¬  riamo, i molti difetti legati alle vicende della no¬  stra esistenza terrena» (39).    dei principii su cui si fonda l’ingerenza della Chiesa nelle questioni del¬  lo Stato italiano» (N. SERVENTI, Dal potere temporale alla repubblica  conciliare. Volpe, Roma 1974, p. 42).   (39) Cfr. «11 Popolo d’Italia» del 1° dicembre 1931. Sulla «Scuola di  Mistica Fascista», si veda: D. MARCHESINI, La scuola dei gerarchi,  Feltrinelli, Milano. E il filosofo Armando Carlini, discutendo della  nuova mistica, ravvisava la nota più originale del fa¬  scismo proprio nel suo presupposto «religioso, anzi  cristiano, anzi cattolico» (40); perché «il Dio di  Mussolini vuol essere quello definito dai due dogmi  fondamentali della nostra religione (...): il dogma  trinitario e quello cristologico» (41).   Quel programma che abbiamo detto «minimo»  cercherà Evola più tardi in parte di compiere con  l’organizzare il lavoro di alcuni suoi insigni collabo¬  ratori attorno al «Diorama filosofico», la pagina  speciale che, con uscita irregolare e alterna, quindi¬  cinale e mensile, curò per dieci anni, dal 1934 al  1943, all’interno del quotidiano cremonese di Fari¬  nacci, «11 Regime Fascista». La tematica della tradi¬  zione romana, esaminata nei suo simboli, nei suoi  miti, nella sua forza spirituale, ritorna qui frequen¬  temente negli scritti dello stesso Evola, di Giovanni  Costa (già da noi incontrato), di Massimo Scaligero  e di diversi collaboratori stranieri, come Edmund  Dodsworth (appartenente alla famiglia reale britan¬  nica) e lo storico tedesco Franz Altheim. Analoghe  collaborazioni sono fornite dall’allora giovane An¬  gelo Brelich, in quell’epoca sconosciuto, ma destina¬  to nel dopoguerra a ricoprire degnamente l’impor-    (40) A. CARLINI, Mistica fascista, in «Archivio di studi corporati¬  vi», voi. XI (1940), p. 299.   (41) ID., Saggio sul pensiero fUosofico e religoso del fascismo, Roma  1942, p. 56.    44    tante cattedra, che fu del Pettazzoni, di Storia delle  Religioni nell’Università di Roma, e da Guido De  Giorgio, già collaboratore di «Ur» e di altre iniziati¬  ve evoliane. Nel contesto della corrente da noi defi¬  nita del «tradizionalismo romano» il De Giorgio oc¬  cupa una posizione piuttosto anomala e tale che il  Reghini avrebbe visto con sospetto: egli infatti con¬  cepisce in Roma la sede eterna, geografica e storica,  ma soprattutto metafisica, in grado di unire in sé  stessa la religione pagana e il cristianesimo, tesi ela¬  borata soprattutto ne La tradizione romana, uscita  postuma solo nel 1973 (42). D’altra parte, è lo stesso  De Giorgio a ribadire con sorprendente sicurezza la  persistenza del culto di Vesta in un misterioso cen¬  tro, nascosto e inaccessibile:   «Il fuoco di Vesta (...) arde inaccessibilmente nel  Tempio nascosto ove nessuno sguardo profano sa-    (42) L’uscita alle stampe di questa edizione (presentata come Ed. Fla-  men, Milano 1973) offre contorni alquanto misteriosi. In ogni caso, il  manoscritto dell’opera sarebbe stato consegnato all’autore della nota  introduttiva, «ASILAS» (che corrisponderebbe ad uno degli ispiratori  del «Gruppo dei Dioscuri» e nel contempo autore di due dei fascicoli  omonimi [si veda poi]), da un antico componente del Gruppo di Ur, che  noi sappiamo corrispondere al «TAURULUS» del 1929, cioè Corallo  Reginelli, tuttora vivente.   L’uscita della Tradizione romana, in ogni modo, è stata 1 ’occasione  per una salutare riflessione sul tema da parte dell’ambiente tradizionali¬  sta nella prima metà degli anni Settanta, sia da parte cattolica (si veda¬  no il bollettino «Il rogo», operante fra il 1974 e il 1976 e la successiva  rivista «Excalibur»), sia da parte propriamente «pagana» (si veda la no¬  stra recensione dell’opera del De Giorgio, confortata da un parere di  Evola, in «Arthos» n. 8: essenziale come punto di ripresa del discorso  sulle origini della tradizione romana). prebbe penetrare e a lui deve l’Europa intera la sua  vita e il prolungamento della sua agonia. Da questo  fuoco occulto partono scintille che alimentano le  crisi e risollevano periodicamente l’esigenza del ri¬  torno alla Romanità attraverso le varie vicende di  cui s’intesse la storia delle nazioni europee conside¬  rata geneticamente, internamente e non sul piano li¬  mitatissimo della contingenza dei fatti e degli  uomini» (43).    Queir immane conflitto, già previsto da Evola nel  1928, e che anche il De Giorgio giudicava del tutto  inefficace, «se non addirittura letale per lo spirito e  il nome di Roma» (44), avrà in effetti come risultato  più manifesto, per i fini dello studio che qui andia¬  mo conducendo, di occultare del tutto le fila della  corrente di pensiero di cui siamo andati ripercorren¬  do la trama.   Solo verso la fine degli anni Sessanta è proprio la  ristampa dell’evoliano Imperialismo pagano (e la  scelta pare significativa), curata nel 1968 dal «Cen¬  tro Studi Ordine Nuovo» di Messina (45), a tentare    (43) G. DE GIORGIO, op. di., p. 245 (vedi anche pp. 239 e 243).   (44) ibidem, p. 296.   (45) L’edizione, ciclostilata, con copertina stampata in azzurro, venne  tolta subito dalla circolazione in quanto non autorizzata da Evola: la si  può considerare oggi una vera rarità bibliografica. di riannodare i termini di un antico discorso:   «L’angoscioso grido d’allarme rivolto dall’Autore  in quel lontano 1928 a Benito Mussolini per met¬  terlo in guardia contro il ventilato proposito della  cosiddetta “Conciliazione’)) — si afferma nell’a¬  nonima introduzione — «risuona oggi con inusi¬  tata attualità e fa si che Imperialismo pagano ven¬  ga guardato come un oracolo».   Ed è proprio provenendo dalle fila di «Ordine  Nuovo», un’organizzazione che lo stesso Evola ha  tenuto in buona considerazione (46) — almeno fino  a che, sul finire del 1969, la sua ala borghese¬  modernista, condotta da Rauti, non confluì nel  MSI (47) — che comincia ad agire, tra la fine degli  anni Sessanta ed i primi anni Settanta, il «Gruppo  dei Dioscuri», con sede principale a Roma e dirama¬  zioni a Napoli e Messina. Pare assodato che all’in¬  terno del «Gruppo dei Dioscuri» venissero riprese    - (46) Cfr. J. EVOLA, Il cammino del cinabro, cit., p. 212: «L’unico  gruppo che dottrinalmente ha tenuto fermo senza scendere in compro¬  messi è quello che si è chiamato AeWOrdine Nuovo».   (47) L’interesse dei «tradizionalisti romani» nei confronti di «Ordine  Nuovo» si esaurisce sin dall’inizio degli anni Settanta, allorché, da una  parte, la frazione rautiana rientrata nei ranghi del MSI si isterilì in fatui  ed estenuanti «giochi di potere» (!?) all’interno del partito e in decla¬  mazioni populistico-giovanilistiche (non a caso la cosiddetta «Nuova  Destra» proviene quasi esclusivamente da quell’ambiente torpido ed  ambiguamente compromissorio), dall’altra, la frazione «movimentista»  ed extraparlamentare condotta da Clemente Oraziani ed altri si smarrì  nelle velleità inconcludenti e pericolose della «lotta di popolo», con  conseguente ed inevitabile suo annientamento da parte del Potere vero. tematiche e pratiche operative già in uso nel «Grup¬  po di Ur» ed è perlomeno probabile che lo stesso  Evola ne fosse al corrente.   Fatto sta che nei quattro «Fascicoli dei Dioscuri»,  usciti in quel torno di tempo, l’idea di Roma da una  parte e di un Centro nascosto dall’altra, a cui il tra¬  dizionalismo dovrebbe far riferimento, ritornano  con grande evidenza.   Per l’anonimo autore del primo «Fascicolo dei  Dioscuri», intitolato Rivoluzione tradizionale e sov¬  versione (Centro di Ordine Nuovo, Roma 1969), il  più grande dei meriti di Evola è quello:   «di avere rammentato il destino di Roma quale  portatrice dell’Impero Sacro Universale e di avere  tratto da tale verità le necessarie conseguenze in  ordine alle idee-forza che devono essere mobilitate  per una vera rivoluzione tradizionale» (p. 20).   Qualche anno dopo, al termine del terzo «Fasci¬  colo» intitolato Impeto della vera cultura (tradotto  poi anche in francese nel 1979), il mito di Roma vie¬  ne additato come l’unico che sia in grado di condur¬  re ad una superiore unità gli sforzi di tutti i tradizio¬  nalisti italiani:   «a tutti i tradizionalisti, anziché proporre uno dei  tanti miti soggetti a rapido e facile logoramento, si  può ricordare la presenza di una forza spirituale  perennemente viva e operante, quella stessa che il  mondo classico ed il medio-evo definirono l’AE-  TERNITAS ROMAE» (p. 18).    48    Il «Gruppo dei Dioscuri» ebbe notevole impor¬  tanza come cosciente riconnessione alle precedenti  esperienze sapienziali e come indicazione, per taluni  elementi particolarmente sensibili dell’area della de¬  stra radicale, di possibili indirizzi e sbocchi futuri  del «tradizionalismo romano», anche se la partico¬  lare via operativa scelta e, soprattutto, la mancata  qualificazione di taluni componenti, porterà ben  presto alla distruzione dall’interno del Gruppo stes¬  so, di cui non si sentirà più parlare già prima della  metà degli anni Settanta (ci viene detto che frange  disperse del gruppo continuerebbero a sussistere so¬  prattutto a Napoli). È tuttavia da supporre che alcu¬  ni dei gruppi periferici, sia pure trasformati, ne ab¬  biano continuato il retaggio se, ad esempio, a Messi¬  na nel 1975, molto probabilmente nell’ambito di al¬  cuni dei vecchi membri del «Gruppo dei Dioscuri»  viene elaborato un testo dottrinale ed operativo, a  circolazione interna, sotto forma di «lezioni» di un  maestro a un discepolo, piuttosto interessante. La  via romana degli dèi:   «Diremo anzitutto dell’essenza della tua religiosi¬  tà, fornendo alla tua mente profonda gli argomen¬  ti per una serie di esercizi di meditazione affinché  con saldo cuore, tu possa prepararti all’assolvi¬  mento del rito» (48) [cfr. anche Appendice IV].    (48) N.N., La via romana degli dèi. Istituto di Psicologia Superiore  Operativa, Messina 1975 (ciclostilato ad uso interno),E certamente non priva di connessioni genetiche  col gruppo romano appare la sortita, improvvisa,  verso la fine degli anni Settanta, nella stessa Messi¬  na, del «Gruppo Arx», successivamente editore del  periodico «La Cittadella» e degli omonimi quader¬  ni, in cui senza alcuna attenuazione i possibili itine¬  rari di approccio alla «via romana degli dèi» sono  indicati attraverso la cosciente riappropriazione del-  Vanimus romano-italico, rivissuto nel rito stesso, e  nel rigetto, sostanziale e formale, di ogni adesione a  forme anche esteriori del culto cristiano.    Quanto segue è storia dei nostri giorni, dal mo¬  mento che proprio con l’inizio degli anni Ottanta vi  è stata una nuova cosciente ripresa del moderno  «movimento tradizionalista romano», una cui rima¬  nifestazione «pubblica» si estrinsicherà in una data  ed in un luogo alquanto significativi. Infatti nel  1981, il 1° marzo (data in cui iniziava l’anno sacro  romano), a Cortona (donde in epoca primordiale  Dardano, figlio di Giove, si sarebbe mosso alla volta  della Troade) si tenne un importante Convegno di  studi sulla Tradizione italica e romana (49), che, a    (49) Gli Atti sono stati pubblicati nel numero speciale triplo di «Ar-  thos» n. 22-24, daU’omonimo titolo, di pp. 192. Per una sintetica analisi  sulla diversa valenza del termine «italico» nei vari interventi, cfr. R.  DEL PONTE, Che cos’è la tradizione italical, in «Vie della Tradizio¬  ne» parte l’emergenza di differenti prese di posizone dei  tradizionalisti presenti, ebbe il merito di riproporre  la questione — non puramente dottrinale o formale  — di una cosciente riconnessione aWaurea catena  Saturni della tradizione indigena da parte di chi, pur  in quest’epoca di totale dissoluzione di ogni valore,  intenda coscientemente riassumere il fardello delle  proprie radici etniche e spirituali. Successivamente  ad un nuovo Convegno, tenutosi nel dicembre 1981  a Messina, sul Sacro in Virgilio (50), la rielaborazio¬  ne dottrinale e la ridefinizione concettuale dei valori  difesi dagli attuali esponenti del «tradizionalismo  romano» (di cui è parte cospicua anche l’apparire  alle stampe di alcune collane di libri specifiche) (51)  si è spostata su un piano più interiore, ma la loro  presenza è destinata a riaffiorare a livello di influen¬  za sottile e indiretta di gruppi o ambienti eticamente  sensibili di un’area superante i limiti stessi del mon¬  do della «destra politica».   Il futuro dimostrerà se la funzione di questa mi¬  noranza (ben cosciente di esserlo) si limiterà ad una    (50) Gli Atti sono stati pubblicati in buona parte nel numero speciale  di «Arthos» n. 20 (uscito successivamente al n. 22-24), daH’omonimo  titolo, di pp. 72.   (51) Ci limiteremo a ricordare la collana «1 Dioscuri» per le ECIG di  Genova, in cui figurano L’oltretomba dei pagani di C. Pascal, il mio  Dèi e miti italici. La religiosità arcaica dell ’Eliade di N. D’Anna e Arca¬  na Urbis di M. Baistrocchi (in stampa); o quella di «Studi Pagani» del  Basilisco di Genova, in cui sono comparsi testi di antichi (Giuliano Au¬  gusto, Giamblico, Simmaco, Porfirio) e di moderni (Guidi, De Angelis,  Beghini, Evola ecc.). pura e semplice azione di testimonianza, sia pure  «scomoda» per molte cattive coscienze. Il «mito ca¬  pacitante» di Roma, come l’antica fenice, è destina¬  to a risorgere continuamente dalle sue ceneri, poiché  riposa nella mente feconda degli dèi archegeti di  questa terra.    Appendici documentarie Da: «Il Piccolo» di Roma, 23-24 maggio 1923,   p. 2:   «Il Fascio littorio a Mussolini»   Il giorno 19 scorso, presentata dall’esimia prof.a  Regina Terrazzi, fu dall’on. Mussolini ricevuta la  dott.a prof.a Cesarina Ribulsi, che offriva al Presi¬  dente del Consiglio come augurio per la data del  XXIV Maggio un fascio littorio da lei esattamente  ricostruito secondo le indicazioni storiche e icono¬  grafiche.   L’ascia di bronzo è proveniente da una tomba  etrusca bimillenaria ed ha la forma sacra col foro  per la legatura al manico: alcuni esemplari simili so¬  no conservati nel nostro Museo Kircheriano.   Le dodici verghe di betulla, secondo la prescrizio¬  ne rituale, sono legate con stringhe di cuoio rosso  che formano al sommo un cappio per poter appen¬  dere il fascio, come nel bassorilievo per la scala del  Palazzo Capitolino dei Conservatori.   Il fascio ricomposto con elementi antichissimi e  nuovissimi è stato offerto al Duce come simbolo del¬  la sua opera organica di ricostruzione dei valori del¬  la nostra stirpe allacciando le vetuste origini alle for¬  me più vibranti dell’attività gagliarda e rinnovata  che prende le mosse dal XXIV Maggio 1915.   La rudezza espressiva del Fascio è ingentilita dal  contrasto tra il verde della patina bronzea e il rosso del cuoio che ricorda la stessa armonica tonalità che  producono le colonne di porfido presso la porta di  bronzo àcWheroon di Romolo, figlio di Massenzio,  al Foro Romano.   L’offerta era accompagnata da una epigrafe latina  dedicatoria composta dall’offerente, la quale nel¬  l’Università Popolare fascista svolge una fervida  opera di propaganda di romanità viva.   Il Duce gradì l’augurio ed il voto accogliendoli  colla sua consueta serena nobiltà, non senza un se¬  gno della vivacità del sorridente suo spirito latino:  «Lei mi ha dato una lezione di storia» — osservò in  tono scherzoso. Singolari parole in bocca di chi dà  e darà non poco a fare agli storici futuri.   (La notizia è riportata in una rubrica dedicata a  «I solenni riti del XXIV Maggio», senza indicazione  di paternità).  Da: IGNIS, Rumori. Sacrae Romae origines, tra¬  gedia in cinque carmi. Editrice Libreria del Littorio,  Roma 1929.   pag. non numerata, IV dopo il frontespizio:   LETTERA DI ARDENGO SOFFICI A S.E.  MUSSOLINI   Mio caro Presidente, (...) permettimi ti dia, scritte  e sottoscritte anche da me, che ne resto garante, al¬  cune prove di pregi eccezionali della tragedia, che, in  fondo, in un vero poema epico delle origini, è l’esal¬  tazione di oggi della nostra stirpe. Comincio da un  mio giudizio, già a te noto; Rumori è tragedia roma¬  na che può stare a paro col Giulio Cesare di Shake¬  speare (...) ti fo osservare che il titolo di Poeta di Ro¬  ma, dato da Jean Carrère ad ignis, si è dato solo a  Virgilio e ad Orazio: Augusto, vive, oggi, tra noi tut¬  ti in ispirito, più per questi due poeti, da lui protetti,  che per la sua politica imperiale.   E tu vedi come Rumori sia stato giudicato, prima  ancora che esistessero l’idea e la forza fascista, tragedia degna di Roma quando competenti — dai  nostri a Carrère, ed a me che sono l’ultimo al giudi¬  zio del 1923 — corrono all’iperbolico per lodare Ru¬  mori di ignis bisogna concludere che ci si trova da¬  vanti ad un’opera d’arte somma, e per fortuna nostra, d’arte italiana — opera che è, anche per se stessa, di alto significato politico, e di spirito fascista  (...) Mi rileggo, e mi credo, caro Presidente ed amico  carissimo, di averti scritto una lettera storica. Fai  che non sia stata scritta invano, ma invece il tuo no¬  me vada unito a quello della tragedia Rumori, al  poema di Roma e degno di Roma: e di questo lega¬  me in avvenire, spero che tu possa essere un po’ gra¬  to al tuo affezionato amico e devoto   ARDENGO SOFFICI   pag. successiva non numerata:   IL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI  Caro Soffici,   bisogna assolutamente far marciare Rumori. 11  Governo appoggia fervidissimamente l’iniziativa  perché essa rientra nel grande quadro della rinascita  nazionale.   Saluti fascisti e cordialissimi.   f.to MUSSOLINI   Roma, 7 marzo AUGURE   Manifesto è dunque: amor — essere — ROMA.  Se tutte move, ed incende, le create cose...  legge si è — Amor — dell’universo vita...  così, un tanto Nome, a noi predice: dono di regno e potestà sovra ogni terra,  e dello spirito, e d’imperio.   Confirmato si è, per te, prodigioso il vaticinio. Non pronunciati mai più sien i Nomi occulti...  su la Città terribili chiamerebbero fortune...   Li trasmettano, oralmente, i Pontefici ai Pontefici.  Né mai più, tu, l’eccelso pronuncia Nome palese,  se concluso non avrai, prima, il solco sacro. Permesso e commesso mi è: Nunziare, allora,  in gran letizia, al Popolo... quel Nome  che licito non più mi è dire   quando, già per tre volte, qui, in tre diversi suoni,  de la gran Madre nostra il Nome risonò.   {Dispiega le dita della sinistra, ad una ad una, per numerare i significati del nome).   Di significati cinque:   È... ’l Nome palese, latore, con l’occulto:   Chiama la Città: Valentia... Ròbure... Virtù!  e ancor: Madre... Mamma... Alma Nutrice!   Vostra — nei nomi vostri — oh Re! suoi fondatori...  Come del grande Rumon: URBE: la Città del  Fiume!   {Pausa)   Ammirate! se gli Dei saputo abbiano addensare,  in così breve Verbo, sì pieni... tanti arcani.   Mirifici! donando Nomi nove:   in quattro occulti ed un — Medio — palese,   e quando, nove, siamo al Rito. Ili    Da: G. COSTA, Apologia del paganesimo, Formìggini. Il pagano è, per definizione, buono. Né un greco,  né un romano avrebbero concepito che l’uomo po¬  tesse esser qualcosa di diverso da ciò, che in lui liti¬  gassero per così dire due nature, che la manifestazione esterna fosse diversa dall’interna, che né nella vita individuale, né in quella sociale vi fossero mezzi  termini, transazioni, compromessi. Esso è quello  che naturalmente è, cioè buono, come ideale supre¬  mo della vita, come dovere, come necessaria fatalità  insita nelle cose umane. Egli vive quindi la vita interamente, dolorosamente, gioiosamente a un tempo,  con un pragmatismo sano e forte che non ammette  ipocrisie, doppiezze, scuse.   Solamente all’uomo cosiddetto moderno è stato  concesso, per virtù di dottrine religiose e culturali  che si sono formate a lui d’intorno, una distinzione  ed una separazione del suo essere intimo, spirituale,  psicologico, dal suo essere apparente, esteriore, ma¬  teriale. All’antico quando di questa scissione appar¬  ve per un momento la possibilità, egli ne cacciò da  sé l’idea, ne biasimò perfino la concezione.   La concezione pagana della vita ha fatto perciò  l’uomo tutto d’un pezzo, ne ha affermato il caratte¬  re, ne ha provocato 1 ’azione. Ecco perché la vita nel  paganesimo ha avuto tutto il suo massimo sviluppo  ed è stata accettata non come un male, ma come un bene che bisognava con interezza di carattere vivere  interamente e sanamente per sé e per gli altri.   pag. 91:   Per stabilire l’equilibrio l’uomo deve tornare al  paganesimo poiché il cristianesimo si è mostrato di¬  vina opera cui le sue spalle non sanno sottostare.   Ma paganesimo è sincerità e l’uomo deve ritornare ad essere sincero. Il cozzo a cui l’ha costretto per  due millenni il suo desiderio di seguire il messaggio  cristiano e la sua manifesta impotenza di non saper¬  lo fare, deve risolversi in armonia se egli vuol sanare  in sé l’eterno dissidio. Lo spirito e la carne debbono  avere il medesimo valore ed il loro prevalere non può  essere determinato che da circostanze speciali di in¬  dividuo, di momento e di luogo che l’uomo può in-  travvedere, non deve violare con convinta testardag¬  gine. L’equilibrio di queste forze, l’esteriore e l’interiore, quindi, deve essere nella dottrina, come nella  vita, assoluto.    Da: Im via romana degli dèi, ciclostilato anonimo,  Messina  pagg. 41-42:   L'immagine di un dio è lo stemma della Forza che  essa rappresenta. A tutti i fini pratici tali immagini  sono personae, perché qualsiasi cosa possano essere  nella realtà esse sono state personalizzate e forme di  pensiero sono state proiettate su un altro piano (...)   Alcune di queste immagini e le loro attribuzioni  sono così antiche e sono state costruite con tanta  ricchezza di lavoro sottile da essere capaci di rico¬  struirsi da se stesse, durante l’eventuale lavoro di  meditazione, che l’allievo può fare su una divinità.  Resta un minimo «invito», un minimo stimolo, per¬  ché il meccanismo scatti e l’immagine si ricompon¬  ga, sia pure su un piano semplicemente psichico.  Così, della limatura di ferro, dispersa su un piano,  si raccoglie intorno ad un magnete che venga posto  in mezzo. Se il magnete è forte esso attirerà i granelli  anche se essi sono pochi e molto distanti...    AMKDKO R(K ( () ARMKM ANO  (imda «Ygieia», Reghini  Piscio littorio a Mussolini   n florno If »cor*o. pr^eniaU dalla tsl-  bjU prof.» Rcidna Trmiizl. fa rtalTon. Maa.  aOltnl rlotwta la doti.» pmf.» Osarina RI-  baiai cba offriva al Proatdanta dr’. Conti¬  guo romo aufurln la data de) Mabfio «n falcio littorio da lei eaattamcDte  licoatndto lecoudo la lodicaslonl atorictie  e leooograflclia.   l.‘aicla di bronra k prorenlenU dm aoa  tomba etmaca hlmtneoarta ed ba la forma  aorra eoi foro per la Vantura hi manico:  alcool eaamplan slmili sono coosenrat: :.«!  nostro Ma.*«o Klrcberiamo. é   La dodict verace di l>ctulla. ascondo la  prescrizione rit'iale. sono legala con tiri¬  sele ^ cuoio rosso cba formano al tonimo  ua cappio per poter appendere fi fascio,  conta nel ba.MorUiero per la acala del Pa  lazzo Capitolino dd Conaenalori.   Il fascio ricomposto con elementi antl-  fhlHilmt a nuoTltaUnl k stato offerto al  Dora come simbolo della saa opera onra-  ntea di rieoatruztona del valori della no-  Mra attrpa allacciando le veia«ie origini  alla fonn* più vibranti dell'attività ga-  giarda a rinnovata cha prendo la mosse  Là rudezza espressiva dal Fascio è in-  gantlHta dal contrasto tra (I verde della  patind bronsea e U rosso del molo che ri¬  corda la stes.aa armonica tonalità che pm-  doeono le colonne di porfido presso la por¬  ta di bronzo deD'brroon di Itomdlo, figlio  41 Massenzio al foro romano.   L'oflerla efa accompagnata da ani epl-  graia latina dedicatoria composta dall'or-  farente. la quale nell'UntvcnUtà Popolare  faartsta avolga una fervida opera di pro-  pafgada di romani Ih viva.   n Duca gradi raugorto a fi voto acro-  Mlaodoll colla sua consueta serena nobiltà.  2«m senza tm segno della vivacità del sor>  ridaots ano spirito latino: • Let mi ba dato  nna testone di storia • — osservò In tono  aehanoao. Btngolart parole In bocca di r.hl  db a darà non poca a fare agli storici fu-  tnrl    Riproduzione da «11 Piccolo».  V. pag. 55. Grice: “Like Reghini, of the movimento tradizionalista romano, Enriques was, for different reasons, all into Pythagoras’s ‘arimmetica’!” -- Federigo Enriques. Enriques. Keywords: implicature arimmetica, unity of science, history of logic, foundations of mathematics, the synthetic a priori. Grice e Enriques su Peirce, l’arimmetica pitagorica, Reghini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Enriques” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Enzo – l’uomo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Burano). Filosofo. Grice: “I like Enzo; for one, his “Ubi es?” is a classic – only in Italy they take the Bible so seriously – “Ubi es” can be interpreted literally – sans implicature. And that’s what Enzo does.”. Figlio di Alessandro, vetraio a Murano, un mestiere estremamente usurante, morirà appena cinquantenne. Uomo concreto e critico nella sua essenziale bontà.  La madre, Flaminia Vio, è una bravissima maestra merlettaia. Da lei apprende il rigore e lo spirito di rispetto verso l'istituzione. È lei, una cattolica laica, che vive al servizio della Chiesa, ad accompagnarlo  dalle suore perché serva come chierichetto alla prima Messa. È lei che accoglie la proposta del parroco di mandarelo in seminario a Venezia per permettergli di continuare gli studi, ma preferisce ritardarne l'entrata e chiede alla nipote di ospitare a Venezia il cugino che posse così frequentare i primi anni come esterno. Negli anni di studio ginnasiale,  si imbatte per la seconda volta nella lettura della Bibbia. Il primo contatto era stato quando, aveva deciso di leggere ai fratelli, nella traduzione di Martini, una vecchia Bibbia trovata in casa, per accompagnarli al sonno. Il contatto è più corposo e sistematico, ma come la lettura lo entusiasma e nello stesso tempo lo delude, intuisce infatti la mancanza di adeguate conoscenze e strumenti concettuali per poter penetrare pienamente il messaggio biblico. Ha la stessa reazione anche quando, finito il liceo, sceglie gli studi, dove la lettura della Bibbia è seria e critica, ma rimane, per importanza, sempre la seconda o la terza materia dopo la dogmatica e la morale. Viene mandato a fare cura pastorale come vicario cooperatore a Caorle, dove accoglie 350 alluvionati del Polesine. Qui, meta preferita di turisti tedeschi, studia da auto-didatta la lingua tedesca per meglio servire la Chiesa. Viene trasferito con lo stesso incarico nella vicina frazioncina di Ca' Cotoni per divergenze con il parroco di Caorle e nella popolare parrocchia di S. Giuseppe di Castello a Venezia. Aveva conosciuto questa comunità quando vi era stato per una stazione quaresimale con il patriarca Piazza e l'accoglienza ostile degli operai verso una personalità vista come filo0fascista aveva reso necessaria la scorta della polizia. A S. Giuseppe di Castello compera un appartamento, indebitandosi, per fare patronato con doposcuola tutti i pomeriggi sino alle 20, e a sera gli incontri con i ragazzi più grandi. Insegna al Lido e poi nella vicina "P.F.Calvi", organizzando anche uno spettacolo per un concorso al teatro "Goldoni". Il vicario generale Gottardi, dopo essersi consultato con monsignore Capovilla, segretario del cardinale Roncalli, gli comunica che andrà a studiare a Roma. Gottardi era stato suo insegnante di teologia e scienze bibliche in seminario e aveva conosciuto il suo profondo interesse per gli studi biblici, ne aveva poi apprezzato il saggio, “La 'Giustificazione' nella Lettera ai Romani” in cui analizza le varie interpretazioni bibliche in maniera dia-cronica risalendo sino alle tradizioni patristiche. Le due omelie di Carlo a S. Giuseppe di Castello ascoltate dallo stesso vicario generale avevano poi confermato quella scelta.  A Roma è ospite presso il Pontificio Collegio Nepomuceno in via Concordia ed è lì che lo viene a prelevare Capovilla per una visita guidata alla città, alla vigilia del Conclave da cui uscirà papa Roncalli. A fargli da cicerone è proprio il futuro papa Giovanni XXIII e le bellezze della città illustrate da una guida tanto preziosa assieme al paterno congedo di Capovilla costituiranno il ricordo più bello della sua vita. Consegue la Licenza con una tesi su "I Carismi" e contemporaneamente i corsi in scienze bibliche presso il Pontificio Istituto Biblico, dove perfeziona lo studio dell'ebraico già iniziato in seminario, ma soprattutto ha l'incontro, decisivo per i suoi studi, con il grande biblista Schoekel. Segue i corsi del quinto anno che gli avrebbero permesso di redigere il saggio su "Grazia e benevolenza" per la laurea, tesi che non può però portare a termine perché torna a Venezia, chiamato da Urbani a svolgere la funzione di vicerettore del Seminario Patriarcale, nel burrascoso periodo tra il rettorato di Vecchi e Villa. Da vicerettore del seminario insegna anche scienze bibliche, diviene in seguito pro-rettore, sino a quando chiede di essere sollevato dall'incarico per poter assistere la madre paralizzata ed è quindi ascritto alla parrocchia di S. Zaccaria, dove abiterà con la madre. Qui si fa promotore dell'allestimento e della conduzione di un teatro, dell'organizzazione del cinema per ragazzi, del cineforum, dell'istituzione della biblioteca, mentre cura anche l'esecuzione di opere di risanamento e ristrutturazione di tutti gli ambienti frequentati dai ragazzi. Continua ad insegnare in seminario, e dal rettore viene mandato nel Benedektiner Kloster di Metten a Degendorf (Germania) per preparare alla maturità i seminaristi che studiano la lingua italiana. Compensa l'esiguo stipendio con l'insegnamento nella scuola pubblica, come il liceo classico "M. Polo", dove matura la sua sottoscrizione delle tesi del "Manifesto". Viene nominato patriarca di Venezia Luciani e pochi giorni dopo il suo insediamento emerge il suo diverso sentire con Enzo, che, nella mensile lezione culturale al clero, trattando il tema della "Consumatio saeculi" o secolarizzazione nella Bibbia, provoca una dura reazione del presule. Dà le dimissioni dall'insegnamento in seminario, dapprima ritirate,  perché lui, che da tempo nella santa messa pratica l'omelia dialogata, non si sente in consonanza con le direttive indicategli. Sino a questo momento i patriarchi veneziani che avevano conosciuto Carlo, Piazza, Agostini, Roncalli ed Urbani, gli avevano dimostrato la loro stima. Proprio Urbani aveva chiesto ad Enzo un commentario al Vangelo di Marco. Sin dagli inizi, accompagna la vita sacerdotale di Carlo una costante e intensa cura pastorale, rivolta sia ai ragazzi che agli adulti, e non solo nelle sue sedi parrocchiali. Più che trentennale è a questo proposito la collaborazione che gli chiede Marangoni nella parrocchia di Marghera, nel quartiere Cita, nei difficili anni Settanta e, dagli anni Ottanta, a San Giacomo dell'Orio a Venezia, a testimoniare la stima e l'affetto maturati dagli anni del seminario. Si laurea a Venezia con “Alle origini dell'utopia messianica. Insegna a Venezia, Oriago, Mestre e Giudecca. Va in pensione dall'insegnamento.  Tiene a Venezia dei cicli di seminari di esegesi biblica nell'ambito dei corsi tenuti dal prof. Arnaldo Petterlini, da Madera, e allo IUAV di Venezia seminari di antropologia biblica ed esegesi invitato da Rizzi. Sudia filosofia scolastica, propedeutica alla teologia. Nel manuale di Calcagno, "Elementa philosophiae scolasticae" trova il capitolo dedicato alla filosofia immanentistica, che considera Dio la natura o non considera affatto Dio e considera solo la natura. Lo colpisce Spinoza per la sua vita nascosta, dimessa, umile, scriveva infatti solo per gli amici. Ne legge l"Ethica more geometrico", commentata da G. Gentile, più facile a reperire perché considerata meno sospetta del "Tractatus theologicus politicus" che studia in seguito, dedicando particolare attenzione al capitolo "De interpretatione". Spinoza afferma che la Bibbia va letta e interpretata con la Bibbia, era quanto Enzo aveva intuito sin da ragazzo, ma aveva abbandonato quella strada in seminario dove si praticava il metodo storico-critico. A Roma, il Nuovo Testamento viene studiato ed interpretato secondo il metodo della storia delle forme che applica al testo biblico le regole dello scrivere greco-latino, mentre per il Vecchio Testamento si segue la teoria dei generi letterari. Incontra Schoekel, insegnante di teologia, esegesi ed ermeneutica biblica, che ha un'attenzione speciale alle particolarità stilistiche e semantiche del lessico biblico che schiudono un nuovo orizzonte metodologico e tematico. Considera fondamentale per la comprensione dell'intera Bibbia lo studio dei primi tre capitoli di Genesi e incoraggia Enzo, verso cui dimostra profonda stima e un'amicizia che durerà sino alla propria scomparsa, ad affinarne l'esegesi e a continuare il suo lavoro. Torna a Venezia con l'intenzione di mettere a frutto quanto appreso applicando le indicazioni metodologiche spinoziane. Gli studi su Genesi 1-3 vengono pubblicati in "Biblica". La interpretazione di Genesi è alla base di diversi testi, dalla tesi di laurea, all'articolo su Servitium, al testo "Adamo dove sei?" In parallelo decide di approfondire la connessione tra i testi di Genesi e il vangelo di Matteo e scrive diversi appunti che continuamente rivede nel corso degli anni. Da questi nasce il progetto "La generazione di Gesù Cristo nel vangelo di Matteo". Altre opere: “Testo e interpretazione in Weber e Bultmann, Unicopli, Milano); Alle origini dell'utopia messianica, Antenore, Padova); Sulla nascita della filosofia medievale, Venezia 1984 Sitz im Leben e interpretazione, Venezi); “Individuo e comunità, nella riflessione biblica delle scritture antiche Servitium: Quaderni di ricerca spirituale, Adamo dove sei?, il Saggiatore, Milano); La terza delle dieci parole di “Esodo” 20 nell’interpretazione di Gesù in Le parole dell'essere: per Emanuele Severino Petterlini A., Brianese G. e Goggi G., Pearson Italia S.p.a Il Progetto di Mondo e di Uomo delle Generazioni di Israele (Genesi 1-4), Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. I. Gli Inizi, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. II. La Legge, Mimesis, Milano, Le prime dieci parole di YHWH a Israele in Panta, Decalogo, Donà M. e Toffolo R., Bompiani,  La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. III. La Regola dell'Apostolo, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. IV. Il Regno dei Cieli, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. V. La Ecclesia di Gesù Cristo, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. VII. La consegna del figlio dell'Adamo, Mimesis, Milano, Genere adamico. Riflessioni sui testi fondativi della tradizione spirituale occidentale che si trovano nei primi quattro capitoli di Genesi, Servitium: Quaderni di ricerca spirituale,  Interventi alla radio Giuda: consegnare e tradire: Marco 14,43-52 con Ludwig Monti, 3 marzo  Sulla barca le parole del regno Matteo 13, con Romano Madera, Le parole del regno Matteo 13; Due lezioni bibliche: Il “mondo” del nostro Dio, Rovato e L’ “uomo” del nostro Dio, Rovato,  Lo Spirito di Cristo nel progetto messianico, comunità della parrocchia di S. Giacomo, Venezia La rivelazione secondo la Bibbia, Università degli studi di Venezia, Dipartimento di filosofia e Teoria della scienza, Seminario sul “Der Mann Moses und die monotheistische religion”, Incontro tra Carlo Enzo e Romano Madera, 13 marzo, IUAV (Venezia) ‘ôLaM, il progetto consegnato, Le decadi, dieci incontri con pensatori eccellenti sul tema “Le potenze invisibili”, IUAV (Venezia) Scritti su Carlo Enzo e testimonianze Tagliapietra A. La Bibbia, libro sempre “aperto”, Gazzettino Tattara G. e altri Per una rilettura del vangelo di Matteo, Mosaico di pace (on line),  Madera R. Date al cielo quello che è del cielo, L’Unità, Gnoli A. Rileggere la Bibbia, La Repubblica Della Pergola F. Parola di biblista,  Della Pergola F. La Bibbia svelata,  e in Left, Lamonaca L. Su una nuova lettura della Genesi, Patrignani C. Laicità: il biblista Carlo Enzo batte i marxisti ratzingheriani,  MorettoUn mondo possibile, Della Pergola F. Il problema dell’unicità e della trascendenza di Dio nella Bibbia ebraica, Della Pergola F. Il Dio del nulla Tattara G. e altri Gesù e le donne nel vangelo di Matteo,  Della Pergola F. La lunga battaglia contro la Bibbia e in Left, 1 aprile  Video Da Burano a Roma, parte I, dal progetto Memoro. La Banca della Memoria La prima visita di Roma, parte II, dal progetto Memoro. La Banca della Memoria Dal Biblico a Baruch Spinoza, parte III, dal progetto Memoro. La Banca della Memoria Gesù Maestro ed Elohîm dell'Ecclesìa, parte IV, dal progetto Memoro. La Banca della Memoria Vai, vai per te, parte V, dal progetto Memoro. La Banca della Memoria Dalla Bibbia Ebraica alla generazione di Gesù Cristo. Un'intervista di Romano Màdera La Bibbia non dice quello che ci hanno fatto credere. Un’intervista a Carlo Enzo  Date al cielo quello che è del cielo di Romano Madera, in L'Unità, Rileggere la Bibbia di Antonio Gnoli, in La Repubblica.   j DISCORSO DELLA RELIGIONE ANTICA DE ROMANI,   ’fcSbr     lnjìeme <rrn altro Difcorfo della CaUrametatione , f£)  difciplma militare, % agni, & efferati] an-  tichi di detti Xomani,  Comporti in Franzefc dal S.Gugliclmo Choul,GcntiJhuomo  Li onde, & Bagty delle Montagne del Dclfinato, 'otti in Toscano da M. Gabriel Simeoni Fiorentino.   di Medaglie & Figure , tirare de i marmi amichi,  quali fi trouano à Roma , & nella Francia. IN LIONE, APPRESSO ROVILLIO. Armoiries dudiB S.(juiUdume du Choul. hi'*  BEATVS.  J  m  I  r I r  Hi.  alla christianissim a et   ScreniiTìma Rcinadi Francia, Macia ma Cateri-  na de Medici, Guglielmo Rouillio humiliflìmofcruitore,(aIutc & con^ 'c'N   tentezza Tempi- '%  terna. i ^4. purità & dolcetta della lingua Tofcana pare che fia di prefenre ( Chnfiianifima Reina) falira in tanto pregio, che doppo la (^re-  ca (èj? la Latina  fi Toscani medesimi Jludian -  dolaci ingegnano ogni giorno di renderla più bella y i letterati firanieriì ammirano, (gj ( come hanno fatta  t*Ariofio,il "Bembo, fèd il Sennaz&aro') ne iloro ferini cercano di imitarla, & in fomma, non fi troua natione à cui non  piaccia cjuafi ogni opera compofiapiù tofio in toscano, che in altra inguada ejuale cofa conofco io tffere ogni dt più yera  nel fare Jìampare {gfi mandare fuora i miei libri ,nafcendo ( co-  me io credo) <juefio,che poche altre lingue fi pronunziano (tfi  fcriuono di \na medefima maniera, come fanno la Latina & In  Toscana, le quali oltre di ciò hanno Vna certa conformità inferno per la vicinità delle ‘Provincie, che nelfignificato, nel fittone , Qf nell'accento fi poffono meritamente nominare f or elle.  Jtla fi come ogniTofianofe non ben letterato, non può ne parlare, ne fcriuere bene, cofi e gran felicità disdire le parole, (gfi  leggetegli ferirti di colui che Tofcano (gr letterato fi ritrova.  Traitjuah ha vendo io fempre dito per tale filmare Jrfejftre (jabncl Symeoni da gli h ut miniì tram ente dotti, oltre à quelli   ' &  I   ig*  10 che io medefimo ne ho cognosiuto, (gl egli da fe (leffo ha di'  mojlro in più opere fue fampate in Francia & in Italia, mi  fon mojfo à gregario di tradurre in toscano il libro della Religione antica de Romani, prima composo in Frange fe dal S.  (julielmo Choul,2?agly delle montagne del T> elfinato, la quale fatica volentieri egli ha fui ito profanarne anchoragia fece dellaltromio libro della Caframetatione de romani, pur e comporlo dal medesimo autore. Là onde, considerando futilità grande che di tal libro fi può cauare, egl masime havendolo fiampato nella più bella forma che io ho saputo imaginare, ho pre/i  ardire di dedicarlo à ZJ.Jrf- parendomi [fe fi debbo hauer ri-  guardo che il prefente habbia qualche proportione con la perdona a cui fi prefenta) non poter più degnamente quello mio  conuenire ad altri che a ZJ.M. come lettura non meno nobile,  che V rile alla Republica, potendo percofi fatti mezzi cono fiere, che la grandezza & profferita dell’imperio romano non nacque ctaltroue, che dalla virtù deltarmi proprie, dallagiufitia, (gl dal culto frequente (anchora chefaljo, altrettanto che   11 noffro ordinato dalla chiesa catholica, e falutifero (gl vero }  della Religione dei loro falfi Z>q,i quali o come creature (deificando gli fiocchi i loro co fi buoni come cartiui lmper adori} o come inanimati numi [adorando & temendole felle, i Fianeti, la forte, (gir gl'accidenti h umani} fe bene non haueuono  poffanza d aiutarli, nondimeno fi vede che fomnipotenre &>  Vero 2 )io, hauendo più riguardo alla /implicita & buono animo  loro t ch e alla loro cieca credenza ,tion anchora illuminata dal  Vero Mefiia gli fauoriua fempre (gl aiuraua, non altrimenti  che io lo priego al prefente che al Re, à U.JM.(gl à tutta la  fua regia & bella prole doni fanitàconrinoua, allegrezza fini#  fineffl longa vita. Di Lione el dì }0.dùdgofio,itf8.   Difcor, 'S:5Stata comune opcnionc d’alcuni hiftori  ci antichi che lano, primo Re de Latini,  forte el primo che caificaflc tempio a Dio. Alcuni altri hanno voluto che quello faccflìno in Candia Foraneo & Dionigi,&  che di qui tutte le republichc, i Principi, & gl’imperatori di buona voluntà, fegunarterodi poi à fare templi magnifìchi, ornatifsimi & ricchi: tra cuttii quali i Romani principalmente oflcruorno fopta ognicofa le cerimo-  nie, & culto della Religione, mettendo ogni loro sforfo nel fare chiefc grandi & merauigliofc, come anchora  hoggi fi vede per quella piùintcra & più bclla, chc in Ra  marecc fare M. Agrippa, genero d’Ortauiano Imp.da;  luy chiamata Panteone, & da noi fi oggi la Ritonda rispetto alla fua forma.. Quello tepio di fuoraecompo-  no di mattoni, & dentro folcua eflcre ornato di marmi  di diuerfi colori, con certe cappcflettc,in ogniuna delle  quali era porta laftatua et vno Diodi quel tempo: ma  fopra tutte vi era venerata quella di Mtncrua*fatrada-  uorio per lemanidcl celcbratiflìmo fcultorc FidiaGrc-  co:5 e dart'altrapartc quella di Venerei gl orecchi della   A 3 Imo prima  inuentore  it templi  Tempio dt  M.Agrip-  JW.P tfó t Ud-  ititi dtUa  Perla di Cleopatra. Torma er ricchezza del Panteone dedicato i  Gioite. Sacrilegio  di Costantino impera.  quale pendeua la Pcrla, chc auanzò à Cleopatra Rana  d’Egitto , la quale Augufto haucua per quello effetto  fatta diuiderc in due parti, non hauendo potuto trouar-  nein tutto il mondo vn’altra che la fomigliaflc.Concio  Ila che la compagna di quella mangiata da Cleopatra  nel conuitodi Marcantonio pefaflc mezza oncia, che  fono l x x x. carati, & folfc (limata cento fcllerti j , di lc-  flertij che al modo nollro varrebbono cc. cinquanta  mila feudi. Di quella Perla Icriuendo Plinio ncll’v ni.  libro dcH’Hilloria naturale, dice che ella era di co lì ma-  rauigliofa grandezza Se bellezza, che la Natura non ha-  ucua mai fatto opera ne più perfetta ne più pretiofa.  Ma tornando al proposto del nollro tempio , dico che  egli ha le porte di bronzo di fmifurata groflezza & altczza,con colonne innanzi nel medelìmo modo fmifu-  ratcrte quali nel principio lolcuono ellèrc x v i. ma  hoggi à x n i. fono ridottc, conciolìa che due ne fumo  guade dal fuoco , & la terza non fi fa ciò che ne lìa fe-  guito. Le traui , architraui & cornici di querto mirabile  tempio erano ùmilmente di bronzo dorato, & finalmcn  te fu la fua principale dedicatone à Giowc Vincitore, ò  Vendicatore, quantunque Dione fcriua che Agrippa lo  facerte fare in honorc d’Augudo. Collantino terzo dipoi, Imperatore & nipote d’Hcraclio,Ieuò la copertu-  radi qucdotcmpio,la quale era di piadrc d’argento , &  interne con molte rtaruedi marmo & di bronzo, che  feruiuonodi bellezza & d’ornamento àRoma, le fece  metrere lòpra mare pcnlàndo diportarle in Codanti-  nopoli,il q naie facrilegio non volendo lafciare impuni-  to Iddio, fece che in Siracufa , Città di Sicilia , lì morì   Codand  Coftantino,& tante cofefìngulari Se rare fumo rapite  dall'armata dei barbari corfali,& portatelo Egitto. Coi!  fece quello Iceleratifhmo-tyrano più danno invi r. gior-  nichcegli (lette in Roma, che in c c.anni non haucuor-  no fatto i Corti & tante altre barbare narioni. L’archi-  tettura di quello tempio (per quello che io ne hò potuto  conofccre)è fopra tutte l'altre bene intefa & mirabile , lì  come anchora li può vedere inRoma,& vedranno qui  quelli,che non vi fono (lati, per la medaglia di detto  Agrippa^riprcfcntata qui difottoal naturale.  MARCO AGRIPPA. BRONZO. Vn’altro firmici quello tempio fece già fare (pacan-  do per Atene) HadrianoImpcratote,il quale dedicò li-  milmcnteà tutti gli Dij,.&lo cinfc di c x x. colonne di  marmo Frigiano,conporrichi&loggieintorno per pai-  feggiare al coperto, limili àichioftri delle nollre chiefe.  Fece oltre à quello nel detto tempio vnn libreria, Se dal  fuonomcvngynnafio ornato di cento colonnedi mar-      T empio d‘-  H adnano.     Librrrié   d'HadrU-   no.     •HMSfri.v,     8 raufanU. mo che egli haucua,comc fcriuc negl’ Attici Paufiinia?  fatte condurre di Libia: foggiugncndo il detto Autore  che il nome d’Hadriano fi trouaua per infino nel tem-  pio comune à tuttegli Dijila quale verità apparile an-  chora per le medaglie Greche, quiui battute per memo-  ria di cofi nobile edificio:& nelle quali fi vede il*? «fcp.,,  chcè il portale della chicfii, con altre letrerc Greche,  che diconoKoiNON&moTNiAs, cioè tempio com-  muneà ruttigli Dij.     HADRIANO GRECO.   BRONZO. BRONZO.     Ma.lafciando (lare i templi dedicati à tutti quelli fal-  fi Dij & Demonij , pieni di fuperftitioni & di bugie,  venghiamo (blamente à confiderarc la grandezza &  Tempio di ma g n ificcnza di quello di Salomone, il quale di ricchcz  Sélmonc. ^ ^bellezza ha pafiito tutti gl’altri ,conciofia chcncl-  l’ Arca douc erano ferrate le leggi & comandamenti di  Dio,fi vedeuono infinite pietre pretiofedi grandifiìmo   pregio,          pregio, & l’Arca medefima era coperta di grolle piaftre  tutte d’oro.Quiui fimilmcnte era vna tauola tutta do-     ro malficcio con innumcrabili vali d’oro & d’argento, di stlomo -  calici , ampolle, & altre cofe, che leruiuono nell’ammi- Bf '  niftrationc & cerimonie de i facrificij. Vncandellicre   S andiflimo d’oro, del quale vlciuonotre rami da ogni  to con altrettante lucerne, figurate per i fette pianeti,  tra le quali quella del mezzo4'o ftcnuta dal tronco , era  più grande à mifura che il Sole e più bello di tutte l’al-  tre ltelle. Et tutte quelle cofe furono portatcfdoppo la Tempio del  prefa di Giudea) innanzi ài trionfo di Velpafiano & di  Titofuo figliuolo, &pofte nel tempio della PaceàRo-  ma, &di poi {colpite nell’Arco trionfale di marmo, edi-  ficato in honoredi Tito Vepafiano dal Senato Roma-  no, il quale Arco con molti facrificij fi vede anchora  quafi tutto intero. Quello tempio di Pace, del quale tra l’altrccofe piu  IT eccellenti della Città di Roma Plinio ha fatto mentione   Minio. nc lxxxvi.librodeirHi(lorianaturalc,abbruciò nel tc-  H aodUno. podi Commodo Imp.Sicomc fcriue Herodiano,fog-  giugnendo ch’eglicrafopra ogn’altro ricchiflìmo &or-  natiflìmo di (lame & altre cofc belle coli dentro >comc  fuora,ficomc anchora fi puoconofccrc per le meda-  glie de due fopradetti padre & figliuolo Imperatori.   V E S      TTqvTZd R ITR u TT^i Z>  f xArco Triomplfdle di Tito  in Ronu. i  BRONZO. BRON ZO.      Della bontà & valore di quelli d uc Principi , che rir  duflero(comecdetto)turtala Giudea fotro l’obedicnza  de Romani, & della miferabile prefa &diftruttioncdcl  tcjnpio di Salomone, ha Icritto affai à pieno Iofcpho nel  fuo libro, che tratta della guerra de i Giudei.     VESPA SIA NO. "C T I T O.   ARGENTO. , BRONZO.      Il      VESPASIANO. TITO.   bronzo. argento.      VESPASIANO.     BRONZO. ARGENTO.      AMA      i }   Jtt *A T l ST *A Z^nTTTZa,  quale è nelle mani Je fautore.     gradiftìmo piacere Vefpafiano fopradetto neir p ^ f  edificare & ornare quello tempio di Pace, di tutte le piu J tUaltm »  belIecole,ch’ei potette haucrc,come quello, che doppo ve-  la prefadi Giudca,haucua mcfl'o in pace tutto il mondo:  il che moftrano anchora le Medaglie battute al Tuo tem  po cofidi bronzo,comed'oro,tralcqualifcne trouano  alcune colfimulacrodclla pace, accompagnato da lette-  re che dicono,PACi orbis ter rar vm. & in alcune  altre fi vede la Pace con vn torchio accclo in mano, che  abbrucia & diftrugge vn fafeio d’archi, di frcccic, di cela  tc,di fcudi,& di corazze con altri inftrumenti della guer-  ra^ nell'altra mano ha vn ramo d’vliuo & lettere che  moftrano la pace d’Augufto, con quelle parole, pax ptee.  avgvsti.     VES.   VÌfSPÀS I A NO. DOMINANO.   BRONZO. BRONZO.      Et li come Vefpalìano ha di fopra figurata la pace eoa  Lvliuo &col Caduceo di Mercurio, coli Tito la difegnà  poi con vn ramo di Palma.      Pace nutrì- Quelle fono tutte le figure antiche della pace, tanto  cc detta feti dcfidcratadaogniuno,comequelIa cheè nutrice della  ctu pubti- p U bIi caV tilita,&con lafclicitàdellaquale fi conferma il  mondo.La pace è quella, per la quale la Natura Huma-  na va crefcendojlc richezzc fimilmcnte multiplicano,la   virtù     VESPASIANO. TITO.   BRONZO. virtù c in pregio, & finalmente ella contiene in (e tutte le  colcbuone,chcfipoflonodefidcrarein quello mondo.  Et che ciò fia vero, ficonolce, che nel tempo di pace  fiorifeono affai piu i begli ingcgni,& i principi fauorifeo  no piu i letterathcomc quelli , che intrattenendo coli i  virtuofi, i lettori publici, &crcfccndo il numcrodeCol  legi&dcllclcuolc,conolcono pcrtal mezzo, haucreà  reltare immortali,elTcndoilibri come vna tromba per-  petua à gl’orccchi de noftri fucccflori : fi come lenza  quelli vegliamo che non farebbe piu memoria de nomi  & fatti di Filippo, ò Aleflandro Re di Macedoni a,diCe  (are, ne di Pompeo, di Cyro , de Perii , ne de Greci:& la  gloria &grandezzade Romani col nome di tanti huomi  ni eccellenti farebbegia del tutto fpentaxhec quella co-  là(Signore illuftriflìmo)Ia quale vi può portare maggio  re gloria & honore,facendoammacftrarc & introdurre  nelle buone lettere il figliuolo del Re, che meritamente  fua MaelU haconftituito lòtto ladifciplina & cuftodia  voftra:dclla quale tornando à propofito della noftra pa-  ce,dico che Augnilo Cefarc prima fu quello, che fece fa  re l’altare della Pace in Roma, & Agrippa Tacerebbe , fi  comcanchoradimoftra Ouidio nei Tuoi Falli, doue ci  dice,   Ipfum no s carmen deduxit ‘Pack ad /tram,   Hac erit a mtnjis jìnefecunda dies.   Veggonfi le forme di quello altare perle Medaglie  diTiberio,battutcin honore d’Augulto, quali limili à  quelle di Nerone , doue fono lettere che dicono pace  avgvsti p erpet v a, & nell’altra, ara pacis.   TI     >5     Lf Intere  C T letterati  rendono il  nome de U  principi im-  mortale.     V Altare d  Pace.   Ouidio.   TIBERIO.    N E R O N ET     BRONZO.       Tempio di Numa Pompilio fu il primo che infegno di pace edi  Un °uJrI & ^ crm ° ^ r ^P‘° Lano,iI quale (come fcriue Pro -   tL ? copio)era quadro &grandecomc vna Capella, tutto di   bronzo,& tanto alto, quanto la ftatua di ramedi Iano vi  potefle ilare dentro, la quale non era lunga piu di cinque  piedi,& con due vifi,l’vno riuolto allenente, & all’occa  fo l’altro ronde ci fu detto Gemino ,& del quale Plinio  nel libro xx x v.de l'hifloria naturale ha cofì fatto men-  tione.     unmgcmi' Ianni geminiti a 'Numd Rege dicdttts , qui pdeii, belli que dr~  gumenro colitur.   Augufto  A V G V S T O.     BRONZO.      Haucua quello tcpio due porte di bronzo, Icquali in  tempo di pace ftauano chiulc, & aperte in quello della  gucrra,ficomc anchora lì vede in Virgilio,doucei dice,  Sunt gemina belli porta.   Furono quelle pone tre volte fermate al tepo de Ro-  manica prima lotto Numa, la feconda fotto il Conlòlo  Tito Manlio,& la terza & vltimafotto Augullo,quado  piacque al Signorc&fabbricatorc del’ vniucrlo,vcro au  tore& di pace & di luce, pigliare carne humana: della  quale cola lafciò mcmoriail fucccflorcd’ Augullo(dop-  po che ei fu deificato) facccndo battere medaglie, nelle  quali lì veggono due mani llrettcinfieme,convn Cadu  eco nel mezzo, & due corni d’abbondanza con parole,  che dicono , p a x. Significando che dalla concordia  dipende la copia di tutù quanti i beni.     Caduceo   inftgm   pace.     Bavgvsto:     ARGENTO.      Tito Liuio lcriue,che doppofa guerra Adliaca,hauc-  % do Ccfarc pacificato il mondo per mare & per terra, fer-   mò il tepio di Iano. Et Nerone dipoi lenza haucrc rigar-  do à la pace,mofi:rò per la Icrittura delle fuc medaglie, &  la figura del tepio di Iano,d’haucrc{bFo rcnduto lapacc  Umilmente per mare & per terra al Popolo Romano^,  facendo fcolpire coli fatte parole ,pace popvlo   ROMANO TERRA MARIQVE PARTA, I A-  NVM CIVSIT.     NERONE. DI BRONZO.      Tro     . ip   Trouafi vn Marmo in Roma di colore bia co & ton-  do/! quale mie parfo di riprefcntarc qui innanzi, per  moftrarcla differenza delle parole che gli fono intor-  no, limili nondimeno nel fenfo à quelle, che nella meda-  glia di Nerone habbiamo viftequi fopra, ianvm c l v-   SIT PACE pRIVS POPVtO ROMANO VBIQVE  PARTA.   Plinio nel libro xxm. dell’hiftoria naturale (feri- IANO  uendo di Iano gemino) dice che i Romani nella pri- * min0 ‘  magucrra,chchcbbonocon i Cartagincfi,fcciono bat-  tere molte medaglie di bronzo, da vn de lati delle quali  era la teda di Iano con due vili, & dall’altro la poppa  d'vnanauecon quella parola, Roma.   Si trouano ancora medaglie di Iano,ncllc quali fi ri-  prefentano nauili & trofei'Ja deferittion delle quali fi  vedrà piu allongo nel libro de l’Antiquità di Roma, il  quali’ Autor mcttra torto in luce.   MEDAGLIA DI I A Na     BRONZO.      La caufa perche Iano fi depingeua con due vili, ella-  ta affai benedichiarata da Plucarcho nel libro delle lue Ijjjf***  quilUoni,doucdicc chcqùcflo nacque perche Iano era   B a     Uno con  due uijì.     Ouidio.     Berofo.  Uno Dio-  deli pace .     IO   (lato i! primo che haucua rend u ti i collumi rozzi delle  pedone piu ciuili , dando loro leggi, & inoltrando che  per la commodita de mari Se de fiumi gl'huomini potc-  uono hauerc Tempre abbondanza di tutte le cofc , tranf-  portandolc d’vn luogo ad altro. Alcuni altri dicono che  arriuando Saturnoin Italia in vna naue,& infegnando a  Iano l’arte dcllagricultura, & altre cole vtili & buone,  lancio prclèpcr compagno nella Monarchia, & per  eterna memoria del Tuo- nome, fece battere medaglie  con due vilì,& nel roueTeio la nauecon la quale Satur-  no era venuto in Italia:di che anchora. pare che habbia.  rcnduto teftimonio Ouidio,doueci dice,   ±At bona pojleritds Unum formante in are   Hofitis aduentum tejlificata Dei.   Io nondimeno m’accofterci piu volentieri all’oppe-  nionc di Macrobio, che dice cnc Iano Tu (colpito con  due vift,percflere Rato vn Re molto Tauio , che confi-  dcrado le cole pallatc,giudicaua Se prouedeua à quel-  lo che doucuaaucnircjchc e certo, quella prudenza, la  quale epiuneccflaria àtuttc le noftre attioni : laonde  confidcrado la varictadcllc leggi Se manierede collumi  de gli huominbparc che quafimcriramcntelanollravi-  ta fi polla aflomigliare alla figura di Iano con due vili.  ScriueBcroTo.che Iano Tu chiamatoDio di pace Se di co  cordia,doppo che Romolo &Tatios’accordornoinfie  mcj&che per la pacc& vnioncchc quelli due popoli ha -  ucuonofatta l’vnacon l'altro, l’imagine di Iano Tu Tcol-  pita con due vifi,& nel tépo pure di Romolo fatta di le-  gnoTolamcte/ccondo ilcollumc de grantichi,volendo  mollrare Se fignificarcchclapoucrtaè amica diDio,     come        zi  come quelle che contienile in fe l’honcftà , & la pace,  quello che conferma Tibullo ne Tuoi verfi > douepar- ritmilo.  landò dellantichcimagini degli Dei, dice.   Ne pudeatprifco Vos ejjìe e Jìipite fatto s.   Sic Reterei fedes incoluijhs aui.   Tunc meline renuere fdem } cttm paupere culeu  S tabarin exigua ligneus adcDetts.   N urna di poi fu quello, che fece fare quxfta imagine  di bronzo da Mamurio Ofco ,grandi(hmo maeftro di Ju xm<t.  fondere ilbronzo&iIramc,ilquaIcda Numa fu chia-  mato àRomaperfondcrcfimilrnentei xn.ancili,che di  poi foleuono portare nei facrificij r faccrdoti detti Salij,  come noi moftraremo apprclfo piu dillcfamcntc nel  difcorlo de noftrifacerdotij.   Quello Iano fu chiamato anchora quadriforme, &  dipinto con quattro vili, come quello che haueua fi-  gnoreggiato da tutti iquattro angoli del Mondo, nella  qualeforma di poi Ip riprefentò anchora Hadriano nel-  le fuc Medaglie.        M. A VRELIO. DIOCLETIANO.     HADRI ANO.   BRONZO.     Etpcrchcgia dal Signore Iacopo Strada Mantova-  no, grandiflìmo & diligente amatore &inueftigato  delle cofe antiche, mi fu altre volte donata la figura d’  tempio di Ianoquadrifrontc, però mie parfo di  fentarlo qui fotto al naturale, ocr maggiore inrell  del lettore.          ~Ò CON      z 4 - Hauendo à baldanza fcritto de templi della Pace &di  Iano,ragionercmo al preferite di quelli della Dea Cócor  dia, alla quale gli Antichi ne edificarono tati, che non ha  rebbono mai fineà volerli tutti recitare.Ma purccomin-  ciando da quello,che in Roma per tcftamcnro di Liuia   c oneordu ^ ua ^ a< ^ re & mo g^ c d’Augufto,fece fare Tiberio impe-  sto da radore, diremo, chele la concordia & la pace fono vnà  Tiberio. mcdefimacola,eipotrcbbceflcreforfc quello, del quale   Dionr. Dione haragionato nel libro l v i. dell’ hiftoria Roma-  na, fcolpito per le medaglie di molti Imperadori, nelle  quali fi vède la concordia con vna tazza in mano, in le-  gno della fuadcità,& nell’altra tiene vn Corno d’abbon-  danza,fignificatorc della copia di tutti i beni, quando gli  huomimfonoinvnionc: vedefianchora qualche volta  con due figure , che fi danno la mano I’vna all’altra : nel  modo che fi vede qui difotto , potrà il lettor vedere la  concordia.      «—     wm       . aj   Et perla medaglia di Bronzo, di Caracalla, potrà ve-  der il lettore la concordia tra lui & il Tuo fratello Geta,  lignificata per la mano delira che fidano l’vno all’altro,  accompagnati da vna vettoria che gli corona améduc.  ''che mollrala vettoria d Inghilterra, douc erano Ita-  ti tutti infieme.     Nelle McdagliediM. Antonio Triumuiro lì troua  anchorala tefta di Concordia da vn Iato , Se dall’altro  duemani ftrette infieme con vn caduceo nel mezzo, &  lettere che dicono, m a r c v s antonivs, caivs   B L I C AE CON-       .r       Auicuncaltrepure del mede/ìmo hanno fcolpita la  Concordia con ducfcrpichc cingono vn’altarc , fopraal quale e polla la tcftad Auguflo, lignificando la con-  cordia del Triumuirato:& nelle medaglie d'Augufto li  figura dei- vedcanchorala concordia, che con vna mano tiene  U Contar- cornocopia,&con l’altra prclcnta de frutti àiTriumui  ri,quali furono Lepido, Cclarc& Antonio, per mollra  rechc dalla loro vnionc nafceua il bene della R  ca,&di tutta fhumana generinone, fpecificato  mili parole, salvs generis h v m a     *7      MARCO ANTONIO.     ARGENTO.      AVGVSTO T RI V MV IRÒ.     ARGENTO.      Ma volendo vedere quanto folle {limata la concor-  dia àccmpiantichi &da gl'imperatori Romani, & dagli  Efferati loro, riguardiamo alle altre medaglie , che fole-  uono fare, in alcune delle quali fi vedeuano cofi fatte  parole, concordia miei tv m , con vnavettoriache  coronaua con due mani à vn tempo medefimoj due  Imperatòri , lignificando d’haucre vinto per fvnionc   & vir     Concordi*   degli folda-  ti Romani,  I      & virtù de loro fo!dati:& in altre fi troua la concor-  dia con due infegne militari in mano, & le medefime  parole.           SEVERIN A.   ARGENTO.     C^V I N T I L I S.   ARGENTO B—i. 11*     a* ’•/ .. »-••*••    19  Hcbbono Tempre tutti i piu faur Imperatori quefta  ferma Ipcranza^he nella concordia de foldati confi-  ftcuono tutte le vettoric Se la falutc del popolo Roma-  no, & pcròfareplicauono fpcflbcon limile medaglia.   HADRIANO BRONZO. BRONZO.      Per alficurarfi poi meglio deirvnionc degli Efferati  loro , gli faccuono giurare per mezzo i facrificij, non  trouando colà che piu gli. faccflc temere, quanto la  religione.. ,   A quefta concordia dcdicomo glantichi fa Cornac- C om<tcchU  chia,&di qui nalce chcEliano ha Icritto che gl'anticht dcdUaual-  ncl far matrimonio inuocauono quello vccello.Il Po- ^ Con<0, ’  Iitiano fcrittorc diligcntiffimo fa. nelle lue Mifccllancc  mcntionediqucftoi& per mcglioprouarlo, dice haucrc  veduta vna medaglia doro della minore Fauftina, figli-  uola di M. Aurelio, Semoglic di L.Vcro,ncI rouefeio  della quale era vna Cornacchia con lettere, che diccuo-  no, concordi a. Et perche io n’ho vn altra limile nel-  fc mani, però mie parfo riprcfcntarla qui difotto.   Fauftina. La quale colà per   p UMU vo ! u 1 , ° ^ompagnarc la fopradcrra Medaglia con  moglie di vn alcra d orodl Plautilla Augufta, figliuola di Plaudo,  cauviu Jaqualc fiotto Scucro goucrnò tutto Tlmpcrio Roma-  ** P ' fu poi moglie d' Anronino Caracalla, figliuolo di   Scucro Impcratore,douc fipotravedcrcinchcmodo fi  dauano la fede in fiegno di concordia due pcrfionc ma-  ritate,con quelle parole, felix concordia.     ’ : FA VSTIN A.   doro.     PLA VTILLA.   D ORO.     Vfauono     . 31  .' Vfauono limilmcntcgrimpcratori di {tendere la man  drittafoprale infegne dciloro foldati , inoltrando 1 vni~  onc &concordiache doucuaclfcrcin vn Campo, & dal-  lequali nalceuono quali tutte le vettoric loro, li come io  ho già inoltro nel dilcorfo pallàto , che io feci del modo  del campare antiquo de Romani;   TRAIANO. FILIPPO.     ARGENTO. BRONZO.      Erano à Roma anchora moiri altri Templi , come  quello della Speranza col Tuo limulacro, adorato da i  Romani nel modo, che li vedcperlc mcdaglied’Hadria-  no,d’Anronino Pio, di Traiano & di Plotina, con limili  fcritturc, spes popvli roman \ y spes Temp i 0 a   PVBLICA, SPES AVGVSTA. Spirane.   HA     3i HADRIANO. ANTONINO PIO.     BRONZO. BRONZO.      Per mezzo di tutte le fopralcrittc imprefe noihabbia-  comegtd n mo conolciuto chiaramente come gl’antichi figura-  gli Tu uono laPace ,Ia Concordia,&la Speranza, reità à mo-  Ttdc. ftrare hora come da quelli era dipinta la Fede. Facccuo-   no quello per mezzo di due mani diritte congiunte in-  terne, nclmodoqualichclioggianchora fanno i nollri  orefici in certi anelletti d’oro: ma l’accompagnauono i  Romani con l’H onore, con la Verità , & con l’Amore,  come a Roma li vede anchora hoggi fcolpito in vn mar-  mo bianco.     FICV     de gl* Antichi romani.  F I (j Z/ It D E L L <A FEDE  ritratta da yn marmo antiquo in Roma.         lo non midiltcnderò piu oltre nel inoltrare candì ,  modi, in quanti gl’antichi dipingcuono la fedc,& malfi-  mccol caduceo, & con le mani, macontenterommifo-  lamenredi ripreientare come priuatamentc & publica-  mcnte ella fu figurata & intrattenuta da i buoni & cat-  tiui Imperatori con fuperflue Ipcfc, nella maniera che lì  PLOTINA   BRONZA     VESPASIANO. DOMI TI ANO   BRONZO BRONZO.      ohi» da vede per la medaglia di Com modo Imperatore,}! qua -  lTj «Unte k con larghiflimi promeflc la foleua comperare da  soli ni, fuoi !bldati,nel modo che fi vede qui difotto. ,     -iiDBlnrfj .'ro'ur.icni.IRVW  •|f.i Z incuci i nhs-7'i:-'  ìbdo fosiru.rn sfj&rvr/ ac  O     !tiu 0 • E;n.».v ’ ' : * i   ; ili i ,j& ti i   rjjscjj     Hadriano, 1   fclijiàojrn   HADRIANO. COMMODO.   BRONZO. BRONZO.       Tra tutte le medaglie che io tengo piucare,io n’ho *  vna d’argcnto,donatami già dal S.TcforicroGrolicro,   (iugulari flìmo amatore delle co fc antiche, nelle quale  fi vede daduc lati fcolpitc le mani in legno di concor-  dia,con lettere, che ncll’vno dicono , fidis e x er-  oi t v v m, & nell’altro, fide s provino i a rvm. La  quale cola come rara,& poco vifla da coloro, che fi  dilettano delle mcdaglie,potcndo arrecare loro qualche r 1   marauiglia,pcrò fara caufa che io narrerò qui le cagio-  ni, ond^ ella fu in tal modo battuta.   Quello era che volendo le Prouincic, alla guardia De f critlio ,  delle quali erano ordinate le legioni Romane, ogn’an- Ze-   no reiterare la fede & patti che haueuonoinficme, face-   uono nel melò di Gennaio battere cofi fatte monete : &  infogno diconcordia ne faccuono prefente l’vno all’altro.  MEDAGLIE.     D'ARGENTO.      il primo che edificate mai tempio alla Fedepubliea,  piddcUdfe- fu NumaPompiliOjfi come recita HalicarnalTco, quiui  de fatto U facendo lacrificio alle fpefe del comune , doue i Saccr-  N|WM ‘ doti detti Flamini facrificauono fenza fare fangue, vedi-   ti di panni bianchi, & portati in vn carro con vna mano  coperta cerimoniofamentc,pcrmoftrarechc la fede pu-  blica,comc cofafagranon fi debbe violare. Ma perche  io mi trouohaucre detto di foprachegrantichiftimor-  hono- no l'honorc come Dio,&gli fecero vn tempio ,come à  re. conferuatore della fede promefla: però àconfermatio-  ne di quello dico,chc chi di ciò dubitate , vada à vedere  cicerone, il fecondo libro, che Cicerone ha fatto della nkura de  r. Liuto." gli Dei.Marccllo anchora(comc Icriuc Liuio) fu quello   T 'd* m 1" che f ccc vn tem P‘° a ^ a v * rc,a ^ a lfl lonorc > & Mario  no,*iUvir vn’altro fimilc,come fi vede nelle medaglie di Vitcllio,  tù cr ho- jougfono due figurcttejl’vna delle quali mezza ignuda  Tifici, tiene nella mano delira vn’hafla,& nella finillravn Cor  tbonorea- noc0 pja,con il piè deliro fopra vno morrionc: l’altra  detta utrta. ^ l atoraan co con vnmorrione in tcfta,ha vna halla   nella mano manca, & nella ritta vn fccttro,Ie gambe ar-  mate, & il pie ritto fopra vna tcftugginc,con lettere  che dicono, ho nos et vi rtvs. Vcggonfi Umilmen-  te nelle medaglie d’Antonino Pio dipinte Iefigure del-  l’honore con il tuo corno d’Abondanza, il quale tie-  ne nella mano mancatchccrinfegnachc portano tutti i  noftri Dei & Dee.   VITELLIO. M. A VRELIO.  BRONZO.      Fu anticamente collocato il tempio di virtù innanzi T . en !f ,, ' 0 &  à quello dell’honorc, lignificando che all’honorc & di-  gnità mondane, non fi può facilmente peruenirc lenza  il mezzo di virtùràpropofito della quale materia io ho  tra l’altrc vna medaglia di Gordiano , nel rouefeio della  quale c vn'HercoIc ignudo , appoggiato fopra la fua jj  mazza ,& fopra al braccioha la pelle del Iione,con lette coUfìgura  rcinrorno che dicono, virtvti avgvs.ti. Ma per le t0 **  medaglie di Traiano, d’Hadriano, di M. Aurelio, & di  Filippo fi vede che la virtù c dipinta in altri modi come  qui di lotto.  FILIPPO. GORDIANO."   ARGENTO. ARGENTO. Per la dili-  gizafeuie-  ne al fine  deU'impre-   r<-     Come gfan  tichi ordi-  nauono le  eafe [agre 4  iloro Dif.   Tempio di  Mercurio  cr di Bac-  co.     Per la medaglia fopradettadi M. Aurelio & quella di  Filippo, fi vede l’Imperatore vcftito della Tua corazza,  vn morrionein tcfta,vn’hafta in mano,& accompagna-  to da Tuoi foldati paflarc fòpravn ponte innanzi à tutti,  perfornirela fuaimprefaja quale ha figurata per le pa-  role che dicono, vi rtvs a vgvsti. Et per l’altra me-  daglia di Filippo fi vede il padre & figliuolo correre à  cauallo leggiermente, per moftrare la diligenza ,con la  quale ei veniuono à capo di tutte le loro imprefc,con li-  mili parole, virtvs avgvstorvm.   Ma lafciando qui l’interpreratione di tutte quelle  cole , farà piu à propofito tornare alla noflra religione,  & moftrare, fecondo Virruuio, come &douc gl’antichi  foleuono fare iTcpli ài loro Dij,comc quello di Mer-  curio nel mercato-.cT A pollo & di Bacco vicino al Thea-  trord’Hercolc nella Citta , douc anchora non eranoi  gynnafij ne gl’anfitcatri : di Marte fuora della terra: di  Venere allacampagna,&à Cerere fopra al porto fuora  della Città, eleggendo femprcluoghi,doue non frequen   taflino      35  taffino molto Icpcrfone,fcgià noi riccrcauala ncceffità  de facrificij , & i quali fi guardauono rcligiofamcntc &  cattamente. Il medefimo Autore fcriuendo dcH'archi-  tettura dcrcmpli nel fuo terzo & quarto libro dice,chc a  Mmerua,à Marte, &à Hercolcfi doueua ofleruar l’or-  dine Dorico:à Venere, Flora.Profcrpina , & le N ymfc de  Fonti, Corintio, cioè con le colonne Toltili, dilicate, pu-  lite^ ornate de fogliami perla morbidezza delle Dee:  & fé Ionico, à Giunone & Diana, fi doueua nondimeno  in ciò alla mediocrità haucrc riguardo: fcriuendo an-  chora appretto le regioni &quarticri,verfo i quali doue-  uono edere volti colifatti templi, altari, ftatuc,& altre fì-  gurccelcfti, per fare loro facrificij : circa che fi conofce,  che nella loro diucrfa& fuperttitiofa religione errorno  grandemente i Romani,& molto piu il popolo, ncll’ha-  uerc conofccza d vn folo & vero Dio, come piu oftina-  to in quella imprcffionc che vna volta ha fattada cagio-  ne del quale errore dichiarò affai bene Prudétio ne Tuoi  verfi, quando ditte,   Puerorum infanti a primo  Errorem curri latte hibit,gujlauerat inter  Uagìtus de ftrre mola.   Madi tutti i Templi che fumo in Roma edificati , il  piu celebrato fu quello di Giouc Capitolino,cofi chia-  mato per cffcrc ftato fatto in Campidoglio, fi come fi  vede per la medaglia d’Aurclia Qmrina, Monaca Ve -  ftalc,douc cfcolpito Gioue nel mczzodcl fuo tempio a  fcdere,fatto in forma quadrata con la factta in vna ma-  no, & nell’altra vno feettro con lettere che dicono, iyppi-  ter. o p t iu vi max. capjtolinvs.   C 4     Tempio di  Minerva,  di Marte ,  CT d’HcT'  cole, di ve-  nere, di fio  ra , c di  Proftrpina.     Errore de  Romani nel  la religio-  ne.     Pruduti io.     Tempio di  Gioue Ca-  pitolino.  Tempio di  Giove Veti  dicatore ,  Olympico,  CT Tonile. AVRELIA QVlRINA, VESTALE.     ARGENTO.  Quello tempio fu prima deftinato da TarquinoPu-  fco,&dipoi edificato da Tarquino Superbo in forma  quadra, & ogni faccia di CC. piedi con rrc ordini di co-  lonne, fi come lì troua nelle medaglie di Traiano, nel-  le quali lìveggono fopra al detto tempio molti trofei,  carri trionfali, vetrorie, & altre cofc belle. Vna altra mc-  daglialìmilmente lì troua di Gioue Vincitore, ò Ven-  dicatore, la quale fece battere Alelìàndro Scuero, figli-  uolo di Mammear&r altre di Gioue Olympico & To-  nante, fatte da Augufio, comepiu àlungo lì vedrà nel  mio libro delle Antichità di Roma.     Traiano     r*     fe,   TRAIANO. ALESS. SEVERO.   BRONZO.     4 »     BRONZO.      A V G v h O, AVGVST 67  argento.      MEDA. DE PETIHVS.   ARGENTO.      «   N     5      4 +     '(co-   pura   tito-   lano   tcile   pio,   che   : de   yit     k     TEMPIO Z> I Cj 1 0 V E,  ritratto dalli Antico. Spefa fatta  nel tempia  di Gioue.  Cofe ftngu-  l ari nelté-  pio di Gio-  ue Capito-  lino*     h aUcmdf  feo.     Tlinio .  Dicono gl Hiftoriciche Tarquinofuperbo (pcfc nel-  la fondanone di quello tempio x L.mila libre d’argento,  nel quale oltre all’altre cole lingolari fi vedeua vna ftatua  d’oro aita dieci piedi, vi. Tazze di fmeraldo, vi. vali mur  rini, che Pompeo portò d’ Alia, truffando di quella pro-  uincia,&vnmatello,o velie di Porpora tanto bella, che  melìa àparagonc con l altre d‘ Aureliano Imperatore, le  faceua parere di colore di cenere pi u tolto che di fcarlac-  tordella quale velie dicono che era già fiato fatto vn pre  fcntc (come di cofa rara) dal Rcd’IndiaàqucIlodcPcr-  fiani,&chc quello dipoi l’haucua donata al detto Im-  pcratorc.Era fimilmcntc in quello tempio vna calìa di  marmo, guardata da x.huomini,ch’ci chiamauono Dc-  ccmuiri, nella quale erano i libri Sibillini , contrccap-  pellcttc legrctc d’vna medefima maniera, douenon era  lecito à neffuno d'entrarc(comc fcriue HaIicarnalTeo)fi:  non à ifaccrdotidelmcdcfimotépio.NcH'vnadi quelle  Cappelle, cioè quclladcl mezzo, era lartatuadiGioue,  nell’altra ama diritta Mincrua, Stalla finiftra Giunone:  douc afferma Plinio hauerc veduto vn cane di bronzo,  che c5 arte marauigliofa fabbricato fi Icccaua vna ferita.   Io nonlafcicrò di fcriucrecomcrAquilafutragral-  tri vccelli dedicata à Gioue,non volédo gli antichi ligni-  ficare altra cofa , fc non che come l’Aquila è Reina de  gli vccelli, coli Gioue c Signore di tutti gli altri Dij,fi co-  me hanno mofiro non folamcntci Romani, mai Gre-  ci anchorancllc loro medaglie.   Àlefian ALESSAND. RE DI GLI EPIROTI."   ARGENTO.     Non voglio mancare d’aucrtire il Icttorecomc Gio-  ue,Giunone,&Mincruafurno figurati da gli antichi per  tre animalirquali furono , per la ductta Minerua, per  Giunone il Pagonc, & per Gioue l’Aquila, fi come fi  vede in vna medaglia d Antonino Pio.     ANTONINO PIO.        V arieti  deli Aqui-  la falla tef-  ta di Cio-     Vcdefianchora in dì molte medaglie, tanto di Con-  foli, comcd’Impcratori,che l’Aquila c poftafopra la fa-  cttadi Giouc,altroucchcella porta il Tuo fimulacro ò fi-  gura filila tcfta , & in altri luoghi lctcftedi Giouc &di  Giunone fopra le due alle.   Per la figura d’vna Pila antica che fi vede qui di fiotto,  Giouc c accompagnato della fina Aquila, &Giunonc  dal fuo Pagone,doue c Nettuno col fuo tridente, &pre-  fientc al fiicrificio inficme con Mercurio, col fiuo cadu-  ceo, & col Cappello chiamato Galero da i Latini.   V   Z>’ V N ? 1 ÌTJl . ">   fica ritratta et\n marmo di Roma.     H AD  AVGVSTO.  argento.     re Den cnc Scappella di Giunone foflefeome e detto)  nel tempio di Giouc, nodimeno haueua anch’ella il Tuo  tempioàpartCjComefi vede nella medaglia di bronzo  d’Augufto,doueè il tempio di Giunone arrichito dinan  zi di quattro colonne Doriche, & nel fregio e tale inferir  zione,i vn o n i.conilnomcdcmacftri di     HI ROMANI.  HADR. GRECO.   BRONZO.     BRONZO.     [     4*     DELLA RELIGIÓNE  AVGVSTO'      n r n m i n      Et come l’Aquila era di Gioue , coli il pagonc&lo  bruzzolo furono cólagrati à Giu none, come fi vede nel-  le medaglie di Fauftina,diGiuliaPia,&di Filippo Impe  ratorc,& il Tuo carro tirato per i Tuoi pauoni, di che ha  fatto mentione Ouidio,   * Halili Saturnia curru  Ingrediturliquidum fauonibus aera fiBis.     FAVSTI NA FILIPPO ARGENTO G1VLIA PIA. FAVSTINA ARGENTO.     BRONZO.       FAVSTINA.     BRONZO.     ARGENTO.  MINER-   A Mincrua(comc c detto) per eflcrc dedicata la Ci- v A -  uctta , nafccua che nelle Medaglie degli Atcniefi fi ve- JJ“J  dcua da vn lato la teda della Dea , & dall’altro il detto Minena.  vccello con lettere Greche che diccuano ,athna, cóli  nominata da loro Minerua:&come m olirà il rouefeio  de la prima medaglia, la Ciuctta vola con Tali fpanfe , &  tenendo vn ramo di Palma co i picdi.Pcr i! volodi la Ci-  uettagli Ateniefi ftimauano il fimbolo de la vittoria.   D      5 °     Giouc   Vincitore.   Mintruj   nutrice.   Lypnuco.  MONETA ATHENIESE.     ARGENTO.      MONETA ATHENIESE.     ARGENTO.      Ec fi come Gioue fu da Greci & Romani chiamato  Vincitorc,quadolo faccuono dipingere con vna vetro-  ria nella mano diritta , & nell’altra vn’hafta in luogo di  fccttro,cofi fu Mincrua figurata da loro vettoriofa, ac-  compagnandola con vna vcttoria,ncl modo che fi vede  per le medaglie di Lyfimaco , vno de fucccflbri d’Alef-  fandro Magno , doue da vn lato è la fua teda con vn  i Diade     u.   Diadema, &dua corna, in fegno di grande honore , per  haucrc fermato & ritenuto vn toro per le corna, il qua-  le (cappato delle manidi colui , che lo menauaper fare  facrificio ad Aleflandro,fi fuggiua. LISIMACO.   ARGENTO.      LYSIMACO.   BRONZO.  Erano principali tutori & auocatidella Città di Ro-  ma G ioue, Mi nenia, & Giunone, &di qui nafccchePol-  lioneha fcrittonel libro della fua Architettura, che il   D a     ' Si luogo più a!to,dal quale fi poteua meglio {coprire &  Icorgcrc tutto il fito di Roma, quale c il Capidoglio ,fu  eletto per edificami il tempio di quelli tre dij.Ondc tor-  ntdiToZ riandò alla ftolta fupcrllitione de Gentili , che non fola-  nL mente adororno Giouecomc Dio omnipotéte,ne fi con  tcntomo’di dedicarli l'Aquila,come Reina di tutti gl’ vc-  cclI»,penlàndolo maggiore di tutti glabri Dij,ma gli con  Ammone f a g rorno ancho il Montone, chiamadolo Iuppiter Am-  moni mettendolo fopraquello à fcderccon lo Icettro  in mano. Nacque quello vocabulo Ammon dalla rena,  che i Greci chiamano «w** .ciochc Plinio (fcriuendo del  Tale Ammoniaco nelxi i. libro) ha meglio dichiarato in  quello modo.   Ergo ^AEtbiogU fuhie&d ^AJricd^mmonUci Ucrynum  Jìiìldt in drenti [un, inde etto, nomine w Ammonii oraculo iuxtd  quod gignitur drhor.   Quantunque Tinterpreted’ A rato Latino, ò Ballo, ó  Celare che fi fbflcjfcriuachc quello fia il Montone, che  anchora di poi fu meflb il primo tra i legni cclelli per ha  uerc infognata a Bacco Tacquaperilfuo ElTercito,chc da  lui condotto per la Libya fi moriua di fete,fi come piu à  pieno potrà il lettore vedere nel mijibro di Q^Curtio,  o xv 1 1. di Diodoro Siciliano, ò nel 11 1. lib. che Arriano  ha Icritto de fatti d’ AlclTandro Magno.   Meda.  MED.. D’HAD. BATTVTA IN GRECIA,   BRONZO. BRONZO.     Fuanchoraà Gioue dedicata la Capra, per hauerlo t* c*pré  nutrito del Tuo Iartc,ondc ei fu detto Egiuco,& da Greci  ùtyic X t f,Ia quale capra intendcuono quella della Nymfa  Amaltea^he l’haucua allcuato, A come afferma Gcrma  nico Celare ncAioi vcrA d’ Arato, douc ci dice,   -lUaputatur   Nutrix ejje louu/i 'vere luppicer infdm  Ubera Crete* muljìt fidi^ima capra,   Sy dere qua clarograrum cejlaturalumnum.   Il che moftrarono anchora meglio Filippo Se Valc-  riano Imperatori , facendo nelle loro medaglie mettere  vna volta la Capra fola con lettere che dicono , io v i  conservatori a v cvsT i, & altrouc la Capra che  portaua addoffo vn Gioue à modo di fanciullo con altre  lettere à quello modo , iovi crescenti.     Vi V         54     Gioite vit-  tore.     Calcidonio   dittico.     DELLA’   FILIPPO.   ARGENTO.     RELIGIONE   VALERI ANO.   ARGENTO.      Attribuì Umilmente molti altri nomi & dignità la fu-  perftitiofa antichità à quello Gioue,vna volta chiaman  dolo Vcttoriofojcome quelli che péfauono che ei donaf  fclcvcttoricj&cohlo fugurauonoconvna Vettoriain  mano,& con vno fccttro nell’altra:& vn’altra volta face  uonolaVcttoriachccoronaualuid’vnacoronad’Allo-  ro,(ì come io lapoflo moftrare (colpita in vn mio Calci  donio antico, poco minorcd’vna medagliada quale pie-  tra anticamente fu confcgrata à Gioue Fulguratorc,per  vfeirne il fuoco, onde i noftri Soldati l'adopranoancho  ra hoegi all’archibufo.   CALCAL CIDONIO ANTICO BRONZO MEDA. GRECA.   BRONZO.     DOMITIANO.   BRONZO.  MARCO  AVRELIO.      BRONZO.     BRONZa   cottegli Per le medaglie qui appreflo , fi vede Gioue mezzo  * *** * *'• ignudo di Copra, & dalla cintura in giù vcftito,chc fta à  ciò**. federe nel mezzo di quattro elementi , tenendo da vna  mano vna hafta , & l’altra la ripofa Copra la tefta de l' A-  quila,fi comclalcultturalo dimoftra peri due carri ce-  ledi dclSo!c,& delaLuna:& per i due fimulachri che  fono Cotto i Cuoi piedi, lignifica gl’altri due elementi,  cioè , l’acqua & la terra , hauendo il Z odiaco attorno,  doue Cono riprefentati i dodici Cegni ideili. Et la ca-  gion perche riprefentauano cofi Gioue, era, chcgl’an-  tichi nella loro miftica & occulta theolo^ia volcuono  lignificare, che le cole lupcriori debbono a gli huomini  efìcrc celate, & Colamcnte manifcftc à Dio. Mafuadi-  uinità & tutte le Cuc potenze, ci ha moftrato Alcxan-  dro figliuolo di Mammea per i Cuoi medaglioni bat-  tuti in Grecia, doue fi veggono da vn lato caratteri ab-   bre      DE GL’ ANTICHI ROMANI. 57   breuiati, che dicono XrTOKPA'Tnp K^riAP ma'pkos  atpe*aioì iebaitòs a* AEfg a n a po z , che iLatinihan  no interpretato ,imperator caesar marcvs   AVRELIVS AVGVSTVS ALEXANDER.   Alexandr o mamme a.     bronzo.      I Greci chiamorono Gioue per varij nomi, malfima-  mcncci Siraculànijcomc recita Tito Liuio nel quarto  libro della terza Dccadctcon ciò Ila, che hebbero il tem- t empio di  pio di Gioue detto Olimpio,alcrimcnti Eleo , celebrato  primajpcril Tuo oracolo, & dapoi per i giochi publici  che lìfaccuono in Elide , nel Campo di Pifar&di là e ve-  nuto il nome di Gioue Elco,come lì potrà vedere per la  medaglia Greca polla quidifotto,nelìa quale lì troua da  la bandadritta il lìmolacrodi la teila di Gioue con que- Gioue  Ite lettere Grechc,s e rs iAET02 > chcfignificano J ciovE ^  ELEO.EtncI rouefcio elcolpito il fuo Folgore & l’Aqui-  la con tale inlcrizionc,zr paro sion: la quale cifaap-  parircchela città di Siracufa portògrandiflimo honorc   a Giouc Eleo, à cui fece edificare vn cofi bcllilfimo tèni  pio,& battere fimili medaglie in fua eterna memoria.     MEDA. DE I SIRACVSANI.   BRONZO.      SttBd fot»-   tiferà di  Giouc.     Per le medaglie d’argento che furono battute per  Lucio Lentulo,& Caio Marcello Confoli,fi troua la te-  tta di Giouc d'vna banda con tale inflizione, ivcio   L E N T V L Oj CAIO MARCELLO C ONSVL I»   b v s. &da l’altra è vn Giouc coi fuo Folgore nella man  dritta,& l’Aquila nell’altra , &innanzi aìui vno piccolo  altare,& dietro laftella falutifcra,laquale c polla nel fe-  condo luogo tra le fteile erranti: lignificando tutte que-  lle cofc vn facrificio fatto per detti Confoli à Giouc, per  caula del Folgore caduto fopra il fuo tempio Capitoli-  no à Roma.     Meda?        ss>     MEDA. DI L. LENTVLO, ET C.  MARCELLO, CONSOLI.   ARGENTO.     I Romani chiamorono quello Giouc Confèruato- Gioite cc%>  re , fi come noi leggiamo nelle medaglie di Diocletiano { enutort '  Si di Gordiano Imp.che lo dipinlcro ritto eon due faeffe  nella man delira, & nella finiftra vn’hafta, infieme col  medefimo Imperatore fiotto la cuftodia fua,& lettere  che dicono, io vi conservatori. Nclrouelciodcl-  l’altra medaglia di Diocletiano fi troua vn’altro limile  Giouc, che prclènta vna vetraria, la quale ha fiotto i pie-  di vnglobo,&Gioue {aquila vicina àifiioi: fi come Li-  cinio ne fece battere vn’altra,doue l'aquila hain becco  vna Corona d’allòro & lettere in quella guifa, ioyi   CONSERVATORI AVGVSTORVM NOSTRORVM.   Domi     *DOMITI ANO ANTON. PIO.     ARGENTO. ARGENTO.      GORDIANO.     BRONZO. ARGENTO.      MASSIMIANO • LICINIO.     ARGENTO. ARGENTO.  Oltre à Vettoriofo,Fulguratorc, ò Fulminatore, fu Dìutrfe po  anchora chiamato Statore, Propugnatore, Vendicatore dl   & Cuftode,Anxur, ò Auxur. Et come Marte Vincitore  fu honoraro da Romani, coll ancora fu adorato da loro  Gioue Vendicatore, perche da lui erano punitele cole Gl - owf v j_  malfatte.     tote.     GORDIANO.   ARGENTO.     ALESS. SEVERO.   ARGENTO.       GORDIANO. DIOCLETIANO.     argento.     ARGENTO.      Del     Seneca,     CJ. della religione   Del foprafiguratoGioueCullodc nella medagliadi  Nerone, ha fatto mentionc Seneca, nel fuo fecondo li-  bro delle qucflioni naturali,douecidice:   Quem Iouem tnteUigunr cujlodem rettorémtjue \niuerf.   Qucllo,chc parimente fi vede nelle medaglie d Ha-  driano, douc Gioue c dipinto à Ledere nel fuo Trono  conia filetta in mano dritta, Se lettere chcdicono, ivpi-  ter cvstos. Vcfpafiano le fece battere con inferi -  zion diffcrcntc,chc dice, iovis cvstos.     Cicerone.     NERO.   ORO.     VESPASIANO.     ARGENTO.      Ma quanto à Gioue Statore, cofi chiamato, perche,  mediante lui, fi confcrua ognicofinli vede che Cicero-  ne ne fece anch’egli mcntione nclloratione, cheei fece  innanzi che andare in cfiglio:doue ei dille; O Gioue Sta-  torc,quale i noftri antichi cofi chiamarono , come con-  fèruatoredi quello Imperio,& dalle mura del cui rem-  pio io tenni difcollo le violéti imprefedi Cati!ina,dop-  po che Romolo l’hebbe edificato nel palagio , apprefib  la vettoria hauuta de Sabini, io ti priego d’cllcrc in aiuto  alla Rcpublica & Città diRoma, Stame in tutte le dif-  gratie mie. yltore           P'S     . <r 3   Vlcorc fu chiamato, & honorato da Romani come  Marce, per edere l’vno & l’altro vendicatore delle cofe  mal fatte: & in Italia , maTTimamcntc nel territorio Ca-  pouano detto Auxur,& figurato il Tuo lìmulacrope r vn Auxun  fanciullctto lenza barba, del qualefcce mentione Vie- Virgilio.  gilio nell’ viij.libro dell’ Encida, quando dille:   Cyneumejue iugum^uets I uff iter ^Auxttrus aruis  r Pr<efìdet.   Et è ancor Giouc coli (colpito (opra vna medaglia  d’argentodi Pania, da vn lato della quale fi vedeà fede-  re nel fuo T rono con vna tazza nella mano mra,& nel-  la manca lo fcettro,con vna corona di Quercia, o d’Vlt-  uo,ilchc non ho potutotroppo bene difccrnerc,per la  piccolezza della mcdagliarnondimeno Phornuto affer-  machefolamcnccGiouccra coronato d’Vliuo,in fegno  di perpetuitàrperchc egli è Tempre verde, & tiene qual-  che poco del colore cclcltc.   ME DATgTi E DI P ANSAI   ARGENTO. Tempio   d'Augufto  in Alcjptn  ària.      EtlicomcGiouchaucua in Roma (come e dctto)iI  Tuo tempio magnifico , & era chiamato Scruatorc Se  Conlcruatorc,coli in Alcflandria nera vn’altró limile  conlagratofcome fcriuc Filone nel libro della Tua lega-  tioncà Caio Ccfarc) à A uguftoConfcruatorc, chiama-  to hauuto in vcncrationcda i nauiganti.Era   quello grandillimo & altiflìmo tempio pollo innanzi al  Porto,picno di Tau ole offerta, di pitture cxccllcnti,& di  flacuc marauigliofamentcfabricatc,& ornate d’argento  Se d’oro, con portichi Se loggic per Ilare al coperto, &  palleggiare, & vna libraria accompagnata dagradilEmc  làlc,portali,bofchetti,& lunghe vie, che di lontano por-  geuonofpcranzadi falutc à tutti i nauiganti,che volc-  uono pigliare porto in Alcflandria: benché quali per  tutto il modo foflcro flati dirizati & fatti molti altri tem  pii in memoria d’Augufto & per eternità del fuo nome,  li come li troua nelle medaglie battute al tempo di Ti-  berio, il quale cominciò vn tempio in honorc fuo che  Caligula fornì poi,& Io confagro al fuo nomccon ofH-  cij Se facrificij pieni di pietà Se di rcIigione,il che ei con-  ferma perle fuc medagIie,doucda vn Iato è il lìmula-  cro della pietà à federe con vna tazza nella man dritta,  & la fianca ripofafopra vnfanciuIIctto,che moftral'of  fido pio che Caligula faccuainuerfo i fuoi parenti , con  quelle parole, e. caesar divi avgvsti prone-  POS AVCVSTVS PONTIF EX MAXIMVS TRIBVNIT1 A  POTESTATE QVARTVM PATER PATR1AE. & poi   quella altra appreflo folamcntc, pietas. Dall’altro Ia-   Sdtrificio to mC£ ^ a g* ia fi vede fi tempio d’Augufto flato ri-  diCéU&uU. ccuuto (comeci penfauono) tra gli Dci:& nel mezzodi   detto     Librario   b.Uifiinu   d'AuguJlo.     Tempio  tA ugujlo  (omincUto  per Tibe-  rio, cr for-  nito per C4  ligula.     - *"*            <r 5  detto tempio vn’altare,fopra al quale c vn Buc,tcnuto  da colui che n’haucua la cura, chiamato Vittimario,con  vnfaccrdotc chemoftra di volere fa me facrificio, teneri  do vna razza nella mano deftra,& dietro alle fpalc vn  miniftro con vnvafopcrriccuercilfanguc della beftia.     AVG VSTO.   ORO.   MED ÀGLI ÒNI DI TIBERIO.     Tempio   dkugujlo   reflituito   per A nto~  nino.      Comminciando dipoi quello tempio col tempo à  rovinare, Antonino Pio lo fece inftaurarc, fi come h ve-  de per le Tue medaglie d’argento, d’oro, & di bronzo,  douc fono lettere che dicono .templvm divi  avgVsti restitvtvm. Ne contento di qucfto,  ne fece fare vn’altroad Adriano fuo predcceflbrc,comc  ricordeuolc de benefici), che haucua riccuuti da lui.   Anto       » c-j  ANTONINO PIO.   BRONZO.     Oltre à quelli templi , furono anchora fatti molti  altari in honored’Augulto, per moftraremaggiormen- imiti de  te, & per diuerfe vie la fua eternità con quelle parole,  providentia, hauendo quei Romani quella vana  opinione, chela deitàd’Augullo potcflèloro concedere  tutto quello,dichehaueuonobifogno per laucnire.   tu»-,   -Et coli per tutte l’altre medaglie de gli Imperatori;  che erano (lati à modo loro deificati, folcuono gl’anti-  chi (colpire quelli altari in legno della loro deificatione-.     Deferivo* Scriuc Apulco nel dogma di Platone , chela proui-  XkJu denzanon è altroché vnafenccnza diuinachc mantie-  ne femprcfelice colui,checlla piglia vna volta iti cura:  & altri hanno detto che folamenteriguardaua Se pcnlà-  Dtuodi uaalIecofeaucnire:ma i dannati Epicuri£al(amcntecre-  zpÙHro. deuonochcDio non haueflc alcuna cura de mortali.  Ond’io à propofito di quella Prouidenza mi ricordo ha-  uerctra molte altre pietre intagliate, cheiofcrboin ho-  nore dell’antichità, vn Diafpro, nel quale è (colpita vna  vtformU* formica con tre fpighc in bocca,fignificatricc della Pro-  K de Polii- uidenza-.la quale pietra fu altre volte trouata ne i fonda-  de*K4. menti d’vna delle torri cheio ho fatte farcnclla mia cafa   della Maddalena, che per edere cofa anttchitfìma & rà-  ra,mi c parlo farla ritrarre qui Cotto al naturale.   — Diafpro          Et perche Plotina ha già comporti in 4. libri della  Prouidenza, inoltrando che tanto le piccole come le  grancofe cranogoucrnate per il Dio di natura, io rimet-  terò il lettore à quella lcttione,& ritornando al propoli -  to mio, dico chegl’antichi riputorno la Prouidenza per  Dea, come anchora ha inoltrato Cicerone nel libro del-  la naturadegli DcijOndcpcrla Tua figurabile clafem-  bianzad’vna matrona ftolata , ò velata & dritta , che in  vnamano hàlolccttro,&con l’altra moftra vn globo,  chcgli Ita à piedi, pare che voglia lignificare che la Pro-  uidenza goucrna tutto il mondo, come vna buona ma-  dre di famiglia, nel modo, che nelle loro medaglie la fi-  gurorno (benché con diuerlì atti) Traiano & Pertinace  Imperatori.     r. ;• -      fiorini.   PROVI   DENZA.   Cietront.    Alcuni altri Imperatori, comeTito, la fecionodipin  gereconvntymone& vn globo, inoltrando come ella  gouernaua il mondo. Antonino Pio la figurò per vna  filetta di Giouc accompagnata da molte altre. A leda n-  droScucroper vn vaio pieno di fpighe,& Probo & Fio  riano per vna fcminaftolatacon vn globo in mano,vn  fccttro &vn Corno d’abbondanza.     rrouidtnz'*  diuerfmen  tc pinta da  antichi.      Caracal         Ei mi parrebbcinuano affaticare ,fc io non auertiflì  0 « lettore della pazza fuperftitionc de gli aderbi Roma  ni,i quali durante la vita de i loro Imperaton, o buoni,  o catti u i,cKc ci follerò, in ogni modo non lalciauonodi  fare loro templi,ttatue & altari , & doppo la morte di  lànftificarli,attribuendofaIfamentc loro nomi dibuo  ni Principiai fondatori di pace, & (non ottante che ha -  ueflino maltrattato il Scnato,& Popolo Roman o)di re   E 4     CONSE   CRATIO-   NB.     V<tra f a .   flit ione  ir Romani  nel fanttfi-  tar loro ^   imperato^   ri.     FLORI AN   A     HI  S S. MAMM EAT   BUON Z O.     . ftauratori della Città di Roma, fteome auenne di Lu-   cio Settimio Scuero,il quale oltre aireflcrehuomobar-  baro,beftiale,homicida,&che di fimplice foldàto pcr-  ucnnealla dignità deilTmpcrio, ingannò & tradì Clo-  dio Albino gcntilhuomo Romano per venire à capo  dei fuoidifegni, &: nondimeno s’attribuì & fece dare  più per paurache per volontà dal Senato Romano tùt-  ti i titoli di buono Imperatore.     S   A R G E N T     < 3*23     ‘  Ma che diremo noi di quello Monftro di Natura co-  minciato & non finito,il quale doppo la fua morte fu  connumerato daRomaninelnumerodei buoni Dei,&  del quale foleuadirc Nerone, che l'haueua fatto auelc-  nare, che egli era ftato fatto Dio p c r mezzo del boccone  d’vn fungo?   clodio;     ORO.      Et per contrario furono i buoni Principi, di T raiano,  Antonino Pio,& Marco Aurelio, che per le loro virtù &:  buoni coftumi,mcritarono d’cflcre chiamati ottimi Im- c .   pcratori,& canonizati,fe lecitaméte fifolfc potuto ciò fa  re. Trai quali è pur degno d’clTcrc Tempre nominato&  ricordato il nome d Antonino Pio , lolito dire che piu  tofto volcuacolcruarc &faluare la vita d vn Cittadino,  che ammazarc mille defuoinimici. Parola certamente £ Antonino  piena di pietà & degna d’vn buono Imperatore, come  cglicra,&:comclo chiamòil Senato, facendoli dirizarc  come à Traiano, vnaColonna,& Templi nel modo che £ Antonino  fi vede qui di fono.   'i .... e $ c     w • . • • r     0        amo moftraco cornea! tempo anticogli   ucrrdctì Inipcratorieranoconfngrati,&diuentauonoDijdoppo   ^TLi ]aI . 0r ° m05tCj& comc * Romani faccuono tem pii &al-  tio di ttm - rar * * n Sonore loro coni /àcnficij de vitelli ficdegl’agncl-'  & Reonfegnado loro Sacerdoti & Flammini nel modS che  di Celare A ugufto ha già fcrirro Prudcnrio^diccndo:  Prudenti». Hunemorem V ererum docili Um aiate fejnuta  ? olì eritas t men fa t atque adytit } & fiamme^ tris  ANTONINO PIO.   BRONZO.     ON. PIO.     BRONZO.        Uuguft     75        \AuguJlum col nitritalo placa uù tgd agno:   Strafa ad puluinar iacuit, refj>onfa popofcit.   Tcjlantur tituli,prod»nt confulta Scnatus  Cafareum louis ad ) fecitm Jlatuentia templum.   Equanto al reità della conftgratione , chiamata da  Greci & della quale ha le ritto minutamente He   radiano al vij.capitolo del iii j.Iibro,mi è parlo non fola-  ménrc di figurarla cjui fottoal naturale, ritratta dalle me-  daglieantiche d’Antonino Pio,& dt M. Aurelio, ma tra-  durla in volgare,pcr maggiore intelligenza del lettore.   ANTON; Pia M- AVRELIOl '     BRONZO.     BRONZ O.     c     Soleuono i Romani confagrarc doppo la morte lo-  ro tuttiquclli Imperatori, i quali làlciauono i figliuoli  heredi dell' Imperio, in quello modo penlando efTcre ri--  ceuutr nel numero de loto fallì DijrEa Citta tiftta vcftita  abruno,&picna di dolore &di lamenti, folennemente  fatta fàrcvnaimaginediccra limile al morto Imperato  re, la poneua dentro a vn ricco letto d’auorio,lcuato in  alto aU’cntrarc del palagio Imperiale. Era quello letto  coperto di prctiofì panni d’oro &dcntroui quella ima-   gine     H erodiano.     b o«».f  W «HV        Ccrimonù  de Roma*  nella mori  de loro l«  fe rotori.     - 7 6 DELLA RELIGIONE   ginc pallida àguifa quali di ammalato Imperatore/! ri-  polaua,haucndo dal lato manco à ledere tutti i Senato  ri vcftiti di bruno,chequiuigran parte del giorno dimo  rauono.Et dal lato deliro tutte le Donne Romane, cias-  cuna fecondo ladignità & grado dcloro padri,ò mariti,   . fenza ornamento alcuno d’anelli, maniglie, ò catene  d’oro,ma fedamente vcftircdi bianco leggicrmetc(qualì  come portano in tal calo le getildonne in Francia)# tue  te piene di maninconia. Durauono quelle cerimonie  vij.giorni,nel qual tempo i Medici ogni giorno s’apprcf  fauonóalla bara, fingendo di toccare il polfo all’amma-  lato,# mollrando che gli andaua fempre peggiorando.  Ma fubito che ci diccuono quello cflèrc fpirato, i primi  letto i Up4 Senatori lì lcuauono il letto Tulle fpallc, portandolo nel  YtZ'ZÌ? ^ av ‘ a ^ acra ^ no al Mercato vecchio, douc i Magillrati  tutori Romani Toleuono fpogliarlidelladignitàdi tutti i loro.  officij.Erano in quello luogo da due lati fatti certi pal-  chi con ilcalc,dai’vn de quali tutti i piu nobili giouani &  patritij Romani, & dall’altro le piu illullri donne canta-  Himi tan- uonoHynni & Cantici Iamctcuoli# pietofi,nelmodo,  tati nette po che s’vla ncllcpópe funebri. Dopo quello i Senatori di  pt funebri. nuouo fa lcuauono la bara fullc Ipallc, &la portauono  fuora della Città in vn luogo chiamato il capo di Mar-  te,douecravn tabernacolo quadro fatto di gradirmi  legni fcccjii,& ripieno di fcrméti.di paglia, & di falcine,  & di fuora riccamctc adorno di cortinclauorarc d'oro,  di flatucd’auorio,#altrediuerfcdipinturc.Sopraàque  Ho tabernacolo n’era vn altro lìmile,ma piu piccolo,&  riccamente acconcio come l'altro,cccetto che haueua le  porte & le fincllre aperte, & coli di mano in mano mó-   taua        H77   tauapiù alto nel mcdclimo modo fempre diminoedo.  Potrebbe!! quella ftruttura ailbmigliarc à certe Torri  fondate in marc,ò fopra ài Porti, chiamate da moderni,   Fanali, dagl’antichi Phari,douela notte Hanno acccfi lu TJnaU  mi perfarefeorta a inauiganti.Portato adunque ildet- chiamati  to letto fopra al fecondo ftaggio.quiui fpargcuono gra-  dequantitàdi fpcticrie,diprofùmi,difrutti,d’hcrbc, &  d’vngucnti odoriferi di tutte leparri del Mondo, facen-  doqualì à gara di chi più , ò meglio, porc/Tc honorare,   & fare quello vltimo prefente al loro Imperatorc.Fat-  to quello, lì moueuono certi Caualicri à corfa intorno  al tabernacolo, facendo vn modo di Morcfcha tonda, MortfAé  Pyrricada gli antichi nominata:& apprefib à quelli fa- ryntt4 '  ceuono il mcdelìmo i Cocchi, ò carrette , fopra lequali i  carrettieri erano vcllitidiporpora,8cdi velluto chcrmi-  lì,con mafchcrc fomiglianti à i Capitani , & principi che  haueuonogià fcruito il morto Imperatore. Et con finite  tutte quelle ccrimonie,colui che doueua fuccedcre all’-  Imperio, pigliato vn torchio accefo in mano,mettcua il  fuoco nel Tabernacolo, & il limile faccuono tuttigl'al-  trhpoidi mano, in manoùl quale per la materia tato fec-  ca,& le cofc vnte deprofumi, & olij profumati, leuaua { j, e   fubito le fiamme in alto,pcr mezzo lequali, vfcitavn’ A- t*   quila viua del minore & più alto Tabernacolo, fc n’an- «  daua volando in verfo il cielo , quiui di terra portando i cieli  (come crcdeua &gridauala lloltitia de Romani nql me  delìmo tempo) l’anima del loro Imperatore), il quale  poi coli adorauono come Dio,& gli faccuono altari &     templi, come e detto di fopra.     » C rwr,-*  r-’ìRtn   v 7 8 '’ M. AVRELIO. F AVSTINA      4U«         tu 1 -     PERTINAX.   BRONZO.     F AVSTINA.   ARGENTO.     Crédcuonoi Romani qiicfto mi fieri o non Iblam"  elfere vcro,ma molti giurauono hauerc veduto vfeire  del fuoco l’anima dell Imperatore , & altri pagauono  huomini à polla per confermare coli fatta bugia, diccn -  do che l’Axjuila di Gioue l’haucua portata in Ciclo, &  coli ecco in cheniodofu anchora canonizato Seucro  lottizzo* collocato nel numcrodegli Dei, inlìcmccon moltialrri  Imperatori & Imperatrici ch’elPopo.Ro. fece fàlir per   forza      9      COM     forza alciclo nel medefimo modo che Scucro. Ma ri -  tornando alla materia de noftri templi, doppo haucrc  fcritto de i più trionfanti di tu tti,cioc,di quello di Giouc  Capitolino , di quel d'Augufto à Roma&in Alcflan-  dria,del Pantcone^ di quello della Pace, ci reftai vede- Tempio «K  rcil marauigliofo di Diana Efcfiamcllà fu perba edifica ^j c pg %  rione del quale concorfcro tutti i Re,Potcntati,& Repu  blichc dell* Alia maggiore, contribuendo ogniuno per  lafuaparrc/olamcntcmoflidalzelo di religionc,qua'n-   tunquepcr Ja fuagrandezza folle a pena tornito in CC.  anni,& fondato rifpetto a i tremuoti in vn Pantano, tal-  mente che ci fu connumcrato per vno dei lette miracov  li del Mondo, & di poifcolpito in piu medaglie di di-  ucrfi Imperatori.   “ CLAVDia   ‘ ' A R G E N T O.     stnr. *4     • Ma pcrcbeil fimulacro interodi Diana,qualc era nel   Àmpio degli Efcfij,nonfi. può interamcce {cingere nel  le med agliedi pi ntedi fo p ra,mi cpàrfódi farlo-hilthopa  di nuouo ritrarre qui di fotto nel modo , che io ihoirt  e ” due     '.Ikimfc  K.OII     8o DELLA RELtGIO   due medaglie Grechc,l’ vna di C5modo,S: l aura a nn -  tonino Pio , nell'vna delle quali e Icritto aptemhx  e «• e x i a n , cioè, Diana degli Efelìj , & nell’altra quella  l ola parola, e « e s i a spedendo tutte l’altrc lettere perdute.     ANTOM. PIO.   COMMODO.     BRONZO.     Dtfcrizìon  del tempio  di Diana.     Era la lunghezza di quello tempio ccccxxv. piedi,  & la larghezza e e x x. ornato di e x x v 1 1 . colóne, ogniu-  naalta lx. piedi, & nondimeno fu abbruciato da quel-  lo fcclcrato Eroftrato,folamentc per dire che egli hau  ua fatto qualche cofa degna di mctporia:bcnche di poi  fu rillaurato & rifatto anchora piu bello da Dinocratc,  Celebrati!) Architettore d’Alellandro Magno. Quiui aduque lolc-  cUDianf* L, ono ogn'anno, nel giorno che lì cclcbraua la fella di  ~ Diana, trouarlì tutti i giouani ,& fanciulle , vergini del  paefe,vcllitidibiaco,doucfpeflò lìmaritauono iUcrne?   Il fimulacro ò imagine di quella Dea fu fccodo le fue  dignità & qualità dipinto & figurato da gli antichi in di-  uerfe manierc,lt come ella fu pariméte chiamata perdi;  JSSL. uer/I nomi.ConciòlìachcquàdoIaLunaera tutta pie-  na, la dilegnauono per la lua chiarezza con vno tor-  chio     v      8x  chioaccelo in ambedue le mani, come fi vede nelle mc-  dagliedi GiuliaPia, moglie di Seuero Imperatore, con  lettere chedicono, di an a lvcifera.     GIVLIA PIA. argento.     BRONZO.      Et per inoltrare anchora meglio che Diana &la LlT-  na eranoinqucl tempo vna mcdefimacofa,ioho fatto  qui mettere vn'altra medaglia di brózo della mecfefima  Giulia, nella quale e ferino, lvna lvcifer a,&ìI(uo  carro tirato daducccruic, chcfignificauono checll'cra  Dea della caccia, quantunque l’interprete d’Arato hab-  bia detto che quello fignificaua la fila leggerezza. Ma  quadogl’antichila figurauono poico vnolpiedcinma  no,& vn ccruio apprcfio,voleuono lignificare che cac-  ciando, ella pigliaua & ammazzauai ccrui pcrforza,no  minadola »^óa«c, & per memoria che ella era la prima   cacciatricc,fofpcndcuono le corna de cerui dinanzi al  fuò tepio.DclIa quale cofahauendo affai à baftazadif-  corfo nel libro , che per comandamento di fua Maefli  iohò fittodella naturadc giammai! ferochpcrò rimette  rò il lectorcà vederne quello, chcion’hò quiui trattato.      MEDAGLI E D’H OSTILIO.   ARGENTO. Trouanfi anchoradelle medaglie , doue Dinnac di-  pinta, òfcolpitacon Io fpiede, in legno che ella foleua  ammazzarci cingùiali, diche fa chiaro rcflimoniolamc  daglia di Gcta Triumuiro, nella quale da vn lato è fcol-  pita la tefta di Diana , & dall’altro vn cinguialc , ferito  d’vno fpiede in vna fpalla con vn cane appreffo.     GETA TRIVMVIR      83   Quando i Romani figurauono Diana cacciatrice,  ordinariamente la folcuono accópagnared’vn turchaf-  fo,d’vn , arco,& di frccciccon vn cane da ghignerei fc -  gugio,(cnzaraiiirode quali non fi può cacciarci come  mortra la medaglia qui di lotto.   med 7 ~d f C~P OS T VMO.     ARGENTO.      Ma nelle medaglie d’Augurto fi vede vna volta Dia-  na figurata tutta ritta in habito virginale, con l'arco in  vna mano , & con l’altra /opra al turcharto, facendo le-  gno di cauarne vna freccia pcrtirare,&: nel mezzo lette-  re, che dicono/iM pera t or DECiEs,&di fotto,sici-  x.i a. & altre che dicono , im perator vNDEciEs.Et L  nel rouefciod’vn altra fi vede con la velie alzata, vnar- sthukitl  co in vna mano , & nell’altro vno fccttro, vn can da giu- *  gnerc,& gli rtiualcrti infino à mezza gamba , colà prò- £ 1  pria per lei come cacciatrice, &i quali daPolluccfono An<lro »”-  ftati Endiomidi chiamati. des '  AVGVSTO.     Tra cucce le medaglie d oro, che fanno ìjjj.furnorro  uaccàTolofa, & rraquelleche mi vennero nelle mani,  io ne hò vna,nclla quale da vn lato è fimaginc di Diana,  col Tuo arco & la faretra,*: dall'altro vn tempio, nel cui  mezzo c vn trofeo naualc,in cima al quale è vna celata  antica:& della prua della natte, c fitto vn tronco come  vno Itile con due rami, vno riuclliro d’vna corazza, & da  l’altro pendono due dardi & vna rotelIa:& à pie del tron  co è vn Ancora da vn lato,& vn timone da J aItro,in le-  gno della rotta di Sello Pompeo, quando Ccfarc Augu-  ro racquiftò la Sicilia, la quale in mezzo al frontilpi-  Tri gSbe, c *° ^ mc J c h mo tempio e figurata per tre gambe, con  impresici lettere che dicono,i mper ator . c ae s ar,co!ì fignifi-  UsùiU can do che Augullo ringratiaua Diana della vettoria  hauutadc nimici Tuoi.   - av     AVGVSTO.     Et nc rouefci delle medaglie battute in honoredt Mar  cello, fi vede parimente-vn facardote, chccon due mani lebrato in  prclcnra al tempia di Diana vn altro trofeo di Sicilia, s *” a *-  ringratiandola delI’Kauuta vittoria di Siracu(a,&dcl te-  foro portatone à Roma,iI quale-fu {limato tanto, quan-  to quello che i Romani cauorno di Cartagine.   * MAJICELLINO BRONZO..     *6 DELLA RELIGIONE     Animali  tonfatati  i Diana.     Solcuono gl antichi placare Diana imolando la cer-  iliaci daino, il ccruio,& il toro,tutci animali confècrati  lei, fi come tcftimoncranno le medaglie Latine &  chc,che io ho fatto ritrarre qui di lotto. FILIPPO.   BRONCO.      Tempi o di Scriuc Strabonc nel x ri 1 1. libro della fua Cofmògra  to“ra*ro~ & 1 che quello tempio cra fondato nclflfola d’Icaria &  polon. chiamato Tstupóirtxor. Et Tito Liuio neh ni. della quinta  Decade , lo chiamò parimente Tauropolum , & Tauro poli*  i ficrificij,chclifaccuonoà Diana. Dionilìo nondime-  no nel fuo libro de Sicu Orbis dice,chc Diana non fu chia  mataTauropoU dalla regione, ma dalla quantità de tori,  ehcvinalceuonofotto la fua protezione :& però detta  dum Tau eguale colà appari Ice vera per la medaglia Gre   ca qui di fottojdoue fono lettere, che dicono, e petp i-   IÓN DAMASI AZ.   MED   MEDAGLIA GRECA D I DIANA.     ARGENTO.       Chequcfto fiavcro,& che Diana Ila (lata chiamata  TaurofoloSybiTdurof oliai Tuoi facrificij dal toro che l’era  confagrato,come il cane, dimoftra anchora Diodoro  nel iti. libro, douc parlando della Rcina delle Amazo-  nc dice, che ella faceua ogni giorno cflcrcitarc le Tue ver-  gini allacaccia, acciò chcpiu facilmente tollcraflino il  difagio dcllarme & della guerra , facendo le fare vn cer-  to facrificio, che ella chiamò T*opej 3 fojo.,benchc gl’ Autori  tanto Greci come Latini habbinoconfufi tutti quelli no  mi Tdurouoliumjduropolum, & Tauropobolum, & malli me  Suidane i Collcttanei, chiamando Diana Tduroholosfal  Toro(quello che anchora conferma Euftathio) il quale  l’era facrificato, come fi vede nella medaglia d’argento  ' d’ Aulo Pofthumo, nella quale fi vede da vnlato Diana  con vna luna in teda, l’arco & il turcafTo:& dall'altro il fa  orifìcio del toro, nel modo, che fi vede qui di fotro.   F 4     Sacrifìci»  di Diati»  ordinato  da la regi,  na deli a-  mazonc.     Diana chi»  mata Tau-  robolos .    A VLO PO STHVMO. - ~ i     ARGENTO.      eia, & ma/firneàLettora,doue fe nc vede grandi/fim»  Tùtro gì - quantità, donatimi già da Pietro GiIio,huomo dotto Se  deVanuZ g ranc * c amatore delle cofc antiche, fi conofcechcifacri-  ti ficij fatti anticamente da i facendoti alla madre degli Dij  congrande apparecchio,crano chiamati TAuroj>olium&  •>- • altre volte Taurtuolium , &non folamente à Diana   Cibelc,maanchoraàMinerua, volendo maflìmamente  credere àSuidas: benché di coli fatti fiicrificij io habbia,  aliai diftefamete fcritto negli Epigrammi, che io hò rac-'  colti di tutta la Francia. *. LeBor* inpropugrutcttlo \rbis.   matri devm pomp. philvmenae   t*VAE PRIMA EECTORAE TAVROBOIIVM  F e e r T. .   tìdi°G4f!o fedeli àiichora in vna piccola chiefa di S. Tomafo  giuu mezza rouinata nella medefima terra, vn’altro epitaffio   in vna    S*   hi vna colonna, che regge l’altare grande, per il quale fi  conolce che i Decurioni di quel tempo , cioè gouucr-  torì della Tcrra,feciono il facrificiodi Tauropolium alla  madre degliDij per la falutc diGordiano Imperato-  re, & di Sabina Tranquillina Tua moglie.     In facelle D.Thanutnunc diruto in columna i   aitarli vijìrur. 1   PRO SALVTE I MP. ANTONINI GOR- <   DI ANI PII FEL A V G V. TOTIVSCHE^  DOMVS DI VI N A£, PROQVE STATV C li  V 1 T- LACTOR. TAVROPOLIVM FECIT  ÒRDO LACT. D. N. GORDIANO II. ET  POMPEIANO COS. VI. 1D. DEC. CV- "  RANTIB. M. EROTIO ET FESTO CA- »   NINIO SACÈRD.   Di quella Sabina Tranquillina ho io veduto altre  yolte yna medaglia d’argento, & vno Epitaffio fatto in  quello modo,   FVRIAE SABINAE TR AN QV 1 LLIN AE  SANCTISSIMAE A V G. CONIVGI DOMI-  NI N. M. ANTONINI GORDIANI PII  FEL1CIS INVICTI A V G V STI DECVRIA-  LES AEDILIVM PLEBIS C ERI ALI VM  DEVOTI NVM1NI MAIESTATICHE EO-  R VM.     Trouafià Roma vn gran marmo antico fcolpitoin otfmzion  honorc della madredegli Dei,douelì fa mentione del- * cibele  Taurouohum,& quiui lì vede l’imagine della Dea co-  ronata d’vna Torre con vn tamburo nella man manca     appoggiato fopra alla fuacolcia,& con la ritta tiene cer-  te fpighe di grano, à federe fui fuo carro tirato da due  liooi,& accompagnata del fuo Atis, che tiene vna palla  in mano, & cappeggiato à vn Pino, come albero con-     F 5      Carro de  la madre de  gli Dei , ti-  rato di duo  leoni.     Dichiara-  tionedel'in  fegna de la  madre de  gli Dei.     {agrato arale Dea, à caufa della monragnad’Ida, eh ciò  Candia, òdi quella di Frigia, abondantifiime ambedue  diPinij&doue cllac adorata principalmente per Dea,'  & dedicatele le Pine, onde Marciale ha detto di quelle  parlando,   Toma fumus Cybeles.   Ma quanto à i due Iioniche tirano il Tuo carro ,co-.  mefcriuc Virgilio,   Et iunBi rerum dominai fubiereleones.  voltano i Greci lignificare, che non fi troua cofi Acrile  terra,chc ben coltiuata,non diuenti fertile & buona. La  torre lignifica leCitta & edifìci j de quali la terra è orna-  taci tamburo la mondezza della terra, benché alcuni  veglino che ciò lignifichi i venti rinchiufiui dentro, &  le fpighe,ch© la terra fola è quella che nutrifee l’huomo.   Figura     .u  :• '• :•>  FJG y R A~ D E LA MADRE DE I DEI R I 7 R ATTA  del marmo artico, il qual fi vede in Roma ntll’ecchiefa di S.Sebafliano.      M. d: M. L ET ATTINIS     L. CORNELIVS SCIPIO OREITVS  V. C. AVGVR TAVROBOLIVM  SIVE CRIOBOLIVM , FECIT  DIE IIII. KAL. MART.  TVSCO ET ANNVLLINO COSS.         Cibelt tOf-  riU.     Nell’altra medaglia pure Greca li vede da vn lato  Cibelc torrira,& dall’altro il folgore di Giouc con al-  tre facttc, la quale c tanto vecchia & frulla, che non lì  c potuto cauare alcun fenfo delle parole Greche.   Meda     Vari I nomi  de la madre  dei Dei.     Diana con-  feruatrice,  adorata in  Sieilia.     Chiamaronlagl’antichi madre degli Dei, perche in  guifadi madreche nutriteci figlìuoli.la terra limilmcn-  te nutrilcetuttigrhuomini & animali del Mondo, coli  dice Furnuto.I «Greci & Romani le dettono più nomi  & attribuirne diuerfe virtù.chiamandola Cibelc, Cere-  re,^ Terra,Prolcrpina, &fecondo Lucretio, madre delle  beftie. Veda, &Diana:il che li vede & conferma per due  medaglie di bronzo Greche, ncll’vna delle quali c Dia-  na da vn lato con quelle parole, 2 atei p a, & da l’altro  il folgorc,dcdicatole cornea Velia ,& limili parole  x i aeqi a r a ©ojc a e n 2, ci oc , medaglia battuta dal  Agatoclc in honoredi Diana confcruatrice.  Nel tempo, che io Faceuo quello 33cor|oi mi fumo mc faglie  clonate alcune medaglie d’argento, di quelle, che viti- doro &  inamente furono trouateà Reims, tutte quafi di Seuc- trouute°t  ro,di Giuliani CaracaHa,di Geta,8t diMacrino. Et per-  chcrracfleio netrouaitrc,doue livedcCibelc  convnfolgorc in mano,& à federe fopra vn  qucflc parole , ind  mi cparfo non fuora  di fotto.     L’vna.     GLIA GRECA.   bronzo. if pino con- L’vna dell altre due medaglie e dì Giulia, nella quale  madre dc*i ^ vc< ^ c Cibclc tortila in compagnia di due lioni & àfc-  Dd. dere fopra vna Tedia con vn ramo di pino in vna mano,   & nell altra lo fcctcro,chcclIa appoggia fopra il Tuo tam  buro,3c lettere che dicono intorno ,mater devm.  Il medefìmo rouefeio nella medaglia di Fauftina e quali  del tutto foni iglianteà quello.     ARGENTO.     BRONZO.     Figuro     MED. DI C. VOLTEIO.   ARGENTO.;     ANTO. Pio.   BRONZO.     p JJ W      Figurornoanchoragl’antichiil lìmulacro di quella  Cibcìe con vn gran numero dipoppe,fignificando‘ che  cllanutricaua tutto il Mondo, con vn a torrefalla tefta,  due Honi Copra i bracci , & diuerfr animali incorno,  produtei da lei come Dea della Natura, & di più due  ccruie ài piedi, che moftrauono che Diana, & quella  erano vnamedchmacolà.Ncl qual modo nonhd mot-  to tempo che ella fu ricrouata in vna grotta ancichiflì-  maàRomadadipinturadellaqualemi donò altra vol-  ta M. Antonio Fantuflì dipintore Romano, la quale io  ho polla nel miolibro de la Natura de gli dèi , per dame  la villa à .gli amatori dell’antichità. Furono tutte quelle  forme attribuite à Dianacondiuertì nomi di triforme,  come per il tellimoniodiPaufania la chiamò Alcamc-  nc:& Virgilio, dichiarandoci che in cielo lì chiamaua  Luna, in terra. Diana,& nell’inferno Profcrpina , coli laf :  ciò fcritto,   Tergeminamque Hccaten>trU ùrginìs or a Tfidnx.   Et perche la figuradi Diana, ritratta da vn marmò  antico,!! vedrà meglio nelnollro primo libro dell anti-  chitàdiRoma, io non nelcriùero qui altro , ma fola-  mence dirò come fotto la deità & nome d’Hccate i più  ricchi Romani foleuono ogni mefe far facrificio à Dia-  na, mettendo fopra i canti delle llradc della Città, pane  & altre cofe,chcfubito da ipoueri erano leuaje via , co-  me fcriuc Ateneo, llimando che Diana, la Luna, & Pro-  ferpina fodero vna mcdclima coCa.   Hauendoà baftanza parlato di Diana , & defìderan-  - do venire alladcfcrittionc degli altri Dij, comincieremo  da ^inerita* la quale fccondoi Poeti, nacque.de l capo   diGio     55     Dea di m-  tura.     Diana tri-  forme.  Paufinid.  Virgilio.     Sacrifìcio  fattoi Dia  na fotto il  nome di  He tate.  Ateneo.     MINER-   VA.      di Giouc, pcreflcrcrintcllctto collocato nella certa dell*  huomo. Armaronla oltre à quello gl’antichi d’vno feu-  do, nclqnalcera il capo di Mcdufa,moftradochcrhuo-  mo fauiodcbbecon force animo & intrepido vifo refi-  ftcrc aU’aucrficà,& à nimici.il pennachio che ella hauc*  ua fopra al morrionc , fignificaua rornamenro di tutte  lefciczc, &cofcaItenclccruclIo dcH‘huomo:le tre vedi  differenti l’vna all’altra, che la Capienza debbe clferefc-  grcta,&l'hafta che ella haucua in mano, che l’huomo  fauio guarda, con fiderà, & batte di lontano & con van-  drdicXt*! taggto. Mala Ciuctta le fu dedicata (come habbiamo  Mintrtu. detto) per moftrarcche la Capienza cuopre con le tene-  bre il fuolplcndore-.i qualitutti lignificati pare chedcf-  criucffc affai bene Ouidio nel Certo libro della fua Mc-  tamorfofi, quando dille,   ^t fili datelypeumjat acuta cuflidis hafiam,   Datgaleam capiti, defendituragide pettus,   ‘PercuJìa'mejuefua fimulàt decufiide ferrarti.   Edere cu mi; accia factum canentis oliua ,   Jrfirartque deos «perù vittoria finis.   Minmu Scriuc Varronc che Mincrua fu quella , che fondò  ie untoti Atcne,& per ciò fu chiamata, aohn a quafi idxraìoe rrdfOt-  i- Atene. r e, che voi dire, vergine immortale, àcaufa chcfcomc   fcriue Fulgentio) la ìapienza non muore mai. Di qui ha  voluto Porfirio dire, che Mincrua none altro che la vir-  tù del fole, mediante la quale lafapienza entra & pene-  tra dentro alcuorcdcH’huomo, là onde nafcendodalla  fommkàdcU’aria : però fi vede che i Poeti hanno finto  che Mincrua c vfcitadelcapodiGiouc. I Filici dicono  chela virtùintellccciuaècollocata nel cerucllo deliquio      mo,comc denrroalia principale fortezza del redo del  corpo. Chiamaronla Umilmente gl’antichi Bellona, BrBofl4  cioè Dea della guerra, lignificando chei Soldati debbo- d « * u  no non fidamente edere del continouo armati Spederei- S* frr <-  caci, ma proueduri di configlio: &rprima chccominciarc  vn imprcfa,cdàminarc molto bene le forze del nimico:  quello che confermò anchora Saludio dicendo, che ei  bifogna prima configliarfi,& doppo il configlio, & la  deliberationc fatta mandar predo ad effetto ìlfuo dife-  gno.Lacaufà perche gl’hiftorici l’hanno fatta fondatri-  ce d’Atcnc, è, che dicono che nafccndo difeordia tra lei  & Nettuno, di chi douede porre nome alla Città, gli Dei  fimedono in mezzo per pacificarli, &giudicorno che Ncttu-  qualc di loro due produrrebbe cofa piu vtilc alla detta Vaim  terra, quello le douede dare il nome, per il che pcrcoccn-  do la terra, & facendo nafcerc Nettuno vn cauallo, &   Minerua l’vIiuo,fu fententiato chcl’vliuo, piu che il ca-  uallo fodènccedirio & vtile alla vita humana,& cofi re-  do la Dea vincitrice, con attribuirle l’vliuo & cdcrechia-  mata Pacifera, come fi vede nelle medaglie di M. Aure- vulimit -   Iio,& di Commodo Imperatore. - 4 ut   1 q ncrua.   f • *. • T   V  * 1 t\ e k \  l A ,|f I. fi , * . I ..   '• •• 1  • "• «f; IM ,1 - f . n     L     M. AVRELIO. COMMODO.   BRONZO.     Ttfle di mi Scriue Plinio che infino alfuo tempo duraua ancho-  ra la celcbrationc della fella & giuochi di Minerua,  tjuatria. chiamati Quinquatrij, quali erano, che i fanciulli facen-  do vacationc dalle fcuolc & da gli ftudij porrauono la  mancia ài loro maellri in honore della Dea,come quel  Jache aiutaua la mcmoriarciò che Quintiliano a! 1 1 1. li-  bro^ nefuoi falli Ouidio anchora meglio ha dichia-  rato, quando ci dice,   'Pallata nunc putrì tener a j ornate p nella:   Qui lene placarit Palla Ja,Jolhuerir.   L’occafione fopradetta della difeordia di Mincrua  nettv- & di Nettuno, pare che mi porgea conuencuolcmare-  « n o. ria di ragionare anchora di quello Dio,il quale (come   il Delfino fcriuc Higinio) fi dipingevi con vn Delfino fotto il  dedicato ì piede 5 ò la "mano mancaappogiataui fopra, hauendo il  nettano, tric | enrc nc lJ a r j t ta , fi come dimollrano i rouefei delle   medaglie di M Agrippa.   M.Agr  M. AGRIPPA. BRONZO. Fu Umilmente da gl’antichi dipinto Nettuno con uettunodi  vn Tridente & vna Acroftolia (ornamento antico di  galea) in mano , come fi vede ne rouefei di due mie te cr una  medaglie d’argento, l'vnad’ A ugufi:o,& l’altra di Vefpa*  fiano.douc fono lettere che dicono, neptvno redv-  ci, in fegnodi ringratiare lo Dio del felice ritorno dal-  le imprefe nauali.     Acrojlolta  dagli anti-  chi.     AVGVSTO.     VESPASIANO.   ARGENTO.      G z     100      ut     -inai*     :      vufciiut 4t- Attribuirno parimente grantichiii Tridente a Nct-  mttuno 4 tuno,,n %no dello feettro , & ancho per efl'erc vno in-  perfetttro. frumento molto ncceflario à i marinai, dipingendolo  vna volta pacifico>& vn’altra adirato ,come fi vede per  le medaglie di Pompeo doppol’imprela fatta, & la vet-  roria hanuta de Corlali, donc da vii Iato fono lettere,  che dicono, MAGNVS IMPERATOR ITERVM-.&  dell’altro, PRAEFECTVS CLASSIS ET O  ilARITIMAE EX SENATVSCONSV   MED. DI PO MP      ioi   Io ho tra molte pietre antiche, intagliate di diuerfc Ag<tu <m-  forci, l’Agata di forco figu rata , nella quale è il mcdelìmo  Nettunoà ledere, con vn braccio appoggiato fopra vn tmo*  va Co alta maniera d'vn fiume,& doppo quella vna Cor-  niolaanticadicolorcdi rubino, nella quale cvn Nettu-  no fui fuo carro, tirato da due caualli, nel modo , ch’egli tumori-  è anchora figurato in vna medaglia di M. Agrippa con rito dà <a -  lertcrc che dicono aeqvoris me omnipotens.     AGATA. CORNIOLO.       M. AGRIPPA.   arg e n t o.      . v."“ v - -m *   ....     VA            monete     ioz     N rtttmo i  fiutilo.  La caufa perche glancichi dedicorno il causilo à  Nettuno, fu,perchc ci fu il primo che trouò il modo di  domarli &frenarli, come dice Virgilio nel y.dil'EncidL  / ungir eejuos curru geni tot fumanti a. <jue addir  Frana f'eris ì manilupjue omnes ejfundit babenat.   Fanno vera teflimonanza di quello, ’   Tarcntini, nelle quali da vn lato fi vede Nettuno  uallo,& dall’altro Taras fuo figliuolo fopra vn Delfino.     HÌppOCTé-   tid.   Confutili.     Nettuno in  h entore di  tutte del  tuuigtr.     A iNettunocauanere recionoiKomanjgia vn tem-  pio,comc fi leggein Haficarnalco,&chiamaronogl’Ar  cadi) il dì della fila fella Higgocratia , fi come gl'antichi  Confualia , nel quale tempo tutti i causili > muli, & mule  non erano in modo alcuno adoperati à rrauagliare,'  madai garzoni di Italia condotti à moftra per tuttala  Città di Roma con la teda coperta di fiori & ornata di  ghirlande con ricchi fornimenti.   Scriuc Diodoro che Nettuno fu il primo che trouò  l’arte del nauigarc& didrizarc vna armata di marc,&   che     . 103 '  che per quello ci fu fatto da Giouc Ammiraglio del ma-  re^ di poi adoratocome Dio.Et per le due medaglie,   & vn Niccolo, figurate qui Cotto, vollono glantichi li-  gnificare che Nettuno haucua poflanza tanto in mare Ncttuno ^  quanto in terra,figurando vn caualloconla coda tor- gnordrima  ta & diuifà in due partidnfegno de iduc Elementi, l’vno  (quale e la terra) ripreientato dinanzi per il cauailo, &  l’altro (qual’ è il marc)difcgnato dietro per la coda in  forma di Delfino.     ANTICO NICCOLO.      Qi CREPERIO. GALLIENO.   Quando i Romani volcuono moftrarc di ringratia-  rcNettuno di qualche vettoriahauuta in mare, lo facc-  uono Scolpire nelle loro medagliedavn lacoconil Tri-  dente^ dall’altro mctteuono vnaVcttoriafulla poppai  d’vnaNaucmel quale modolofcciono già fare Deme-  trio, Augufto Ccfarc,Vcfpafiano , & Tito fuo figliuolo.  Imp.Rom.     MED. DI DEMETRIO.   ARGENTO.      AVGVSTO. VESPASIANO.   ARGENTO. ARGENTO.      Ritor  I     E serv-  ir API a     Machione      105  Ritornando à gl’altri noflri Dij,& loro templi, altari  & fimulachrijdiciamo chcEfculapio Dio della fa nità,fu  il primo chctrouò l’vfo della Medicina, infcgnataglifor  fc prima da qualche Dio flato innazi à lui. Quelli al rem  po di Homero fi vcdcchcnon era anchora flato collo-  cato nel numcrodegli Dei,cóciofìa che il detto Poeta fa  medicare àPconcle piaghe di Marte. Ma quadoci parla  diMachaonc,figliuolo d’ÈfcuIapio,ci lo chiama huomo Ma(hégj  figliuolo d’EfcuIàpio Medico, chctrouò molti rimedij figliuolo  ncccflarij perla fanità dcllhuomo , & lo fa tato eccellete  in quella arte, che ci dice che rifufcitaua i morti .Dice Lat Stantio.  tantiochc Efculapio nacque di padre & di madrc,chcn6  fumo da perfonaconofciuti,& coli lafciato in mezzo à  vn campo,& trouato da certi cacciatori, fu dato i n guar-  dia à Chironc Centauro,chcgl’infegnò lar te di medica-  renella quale vfarono dipoi fempregl’antichi fino al tc-  pod’Hippocrate,che la riduflc alla fua perfezionc.L’ha- Kippocratt  birationed’EfcuIapiofugiààRaugiacittàdi Schiauonia, Umdu^a  & dagli antichi chiamata Epidauro,doue ci fucòfiigra- * pnfctno  to, fattogli vn tempio, & vna flarua d’oro & d’auorio per " f *  le mani di Trafimcdc,cccclIcntiflìmo(comc fcriuc Pau  fàniajfculcorcdi queltcpo, &natiuo dcll’IfoladiParos. ^ef^iuio  Eufebio nondimeno lo vedi &dipinfenel modo, che in nedeiima-  marmo bianco fi vede anchora à Roma,& in molte me  daglic & pietre antiche, cioè vcflitod’vn mantello alla do Eufebio.  Greca, con vn baflonc in mano, & fopra al quale(attor-  cigliato d’ vna ferpe)pare che il Dio s’appoggi, nella ma-  niera che io l’hò in vn’altra belliffima Corniola, &in  vno Niccolo, ritratti qui di forco al naturale.   G 5     .ori oia/ì     Jr     ioc ‘CORNIOLA ANT. NICCOLO ANT.      Tornato.     Microbio.     I a Ciuciti  dedicata ì  Efculapio.     Significai™ la fcrpc (fecondo Fornuto) che fi come  quelle fi fpogliano & mutano la icorza, cofi auiehedc  Mcdccichc riducono gl’ammalaci dalla malaria alla fa-  ttiti, rendendo loro vn corpo nuouo. Altri voglionoche  fi come la ferpe lignifica laprudcza,cofi bifogni al buo  Medico edere prudente circa alia finità d’vna perfona.  Ma Plinio rede vn’altra ragione, cioè che la fcrpc fia de-  dicata à Efculapio per edere buona a molte mcdicinc:&  Macrobio dice che quello e, perche la ferpe ha la villa  fiottile, come bifiogna che habbia il Medico nella cura  d’vn infermo, &chc il battone fignifica,chcvn huomo  ammalato ha bifiogno di nutrimento che Io fiollcnga,  in modo,ch’ei non caggiaaffatto.EtEufebio,chcilba-  ftonegl’è attribuito, come quello che ^er appoggiarli e  ncccdario à vn’ammalato. Fu oltre a quello dedicata  à Eficulapio la Ciuctta, lignificando che il medico debbe  edere vigilante più la notte che il giorno intorno all'in-  fcrmo.fi come lì vede ne rouefici delle medaghedi Nero  nc,&di Vitcllio.     Nerone.        107  NERONE. VITE L LrO. *     ORO. BRONZO.      Vcdc(i anchoraà Roma nel mezzo del Teuero vn’I-  foletta à modo d’vna galeotta, cioè larga nel mezzo,lua-  ga due ottani di miglio, appuntata da bado , & piu larga  di fopra, à modo d’vna poppacL’vna naue:la quale Ifola  fu già confagrata à E(culapio,ati!ina,dop-  po che Romolo l’hebbe edificato nel palagio , apprefib  la vettoria hauuta de Sabini, io ti priego d’cllcrc in aiuto  alla Rcpublica & Città diRoma, Stame in tutte le dif-  gratie mie. yltore           P'S      <r 3   Vlcorc fu chiamato, & honorato da Romani come  Marce, per edere l’vno & l’altro vendicatore delle cofe  mal fatte: & in Italia , maTTimamcntc nel territorio Ca-  pouano detto Auxur,& figurato il Tuo lìmulacrope r vn Auxun  fanciullctto lenza barba, del qualefcce mentione Vie- Virgilio.  gilio nell’ viij.libro dell’ Encida, quando dille:   Cyneumejue iugum^uets I uff iter ^Auxttrus aruis  r Pr<efìdet.   Et è ancor Giouc coli (colpito (opra vna medaglia  d’argentodi Pania, da vn lato della quale fi vedeà fede-  re nel fuo T rono con vna tazza nella mano mra,& nel-  la manca lo fcettro,con vna corona di Quercia, o d’Vlt-  uo,ilchc non ho potutotroppo bene difccrnerc,per la  piccolezza della mcdagliarnondimeno Phornuto affer-  machefolamcnccGiouccra coronato d’Vliuo,in fegno  di perpetuitàrperchc egli è Tempre verde, & tiene qual-  che poco del colore cclcltc.   ME DATgTi E DI P ANSAI   ARGENTO.       Et Ti     *4     Tempio   d'Augufto  in Alcjptn  ària.      EtlicomcGiouchaucua in Roma (come e dctto)iI  Tuo tempio magnifico , & era chiamato Scruatorc Se  Conlcruatorc,coli in Alcflandria nera vn’altró limile  conlagratofcome fcriuc Filone nel libro della Tua lega-  tioncà Caio Ccfarc) à A uguftoConfcruatorc, chiama-  to hauuto in vcncrationcda i nauiganti.Era   quello grandillimo & altiflìmo tempio pollo innanzi al  Porto,picno di Tau ole offerta, di pitture cxccllcnti,& di  flacuc marauigliofamentcfabricatc,& ornate d’argento  Se d’oro, con portichi Se loggic per Ilare al coperto, &  palleggiare, & vna libraria accompagnata dagradilEmc  làlc,portali,bofchetti,& lunghe vie, che di lontano por-  geuonofpcranzadi falutc à tutti i nauiganti,che volc-  uono pigliare porto in Alcflandria: benché quali per  tutto il modo foflcro flati dirizati & fatti molti altri tem  pii in memoria d’Augufto & per eternità del fuo nome,  li come li troua nelle medaglie battute al tempo di Ti-  berio, il quale cominciò vn tempio in honorc fuo che  Caligula fornì poi,& Io confagro al fuo nomccon ofH-  cij Se facrificij pieni di pietà Se di rcIigione,il che ei con-  ferma perle fuc medagIie,doucda vn Iato è il lìmula-  cro della pietà à federe con vna tazza nella man dritta,  & la fianca ripofafopra vnfanciuIIctto,che moftral'of  fido pio che Caligula faccuainuerfo i fuoi parenti , con  quelle parole, e. caesar divi avgvsti prone-  POS AVCVSTVS PONTIF EX MAXIMVS TRIBVNIT1 A  POTESTATE QVARTVM PATER PATR1AE. & poi   quella altra appreflo folamcntc, pietas. Dall’altro Ia-   Sdtrificio to mC£ ^ a g* ia fi vede fi tempio d’Augufto flato ri-  diCéU&uU. ccuuto (comeci penfauono) tra gli Dci:& nel mezzodi   detto     Librario   b.Uifiinu   d'AuguJlo.     Tempio  tA ugujlo  (omincUto  per Tibe-  rio, cr for-  nito per C4  ligula.     -. <r 5  detto tempio vn’altare,fopra al quale c vn Buc,tcnuto  da colui che n’haucua la cura, chiamato Vittimario,con  vnfaccrdotc chemoftra di volere fa me facrificio, teneri  do vna razza nella mano deftra,& dietro alle fpalc vn  miniftro con vnvafopcrriccuercilfanguc della beftia.     AVG VSTO.   ORO.              MED ÀGLI ÒNI DI TIBERIO.     Tempio   dkugujlo   reflituito   per A nto~  nino.      Comminciando dipoi quello tempio col tempo à  rovinare, Antonino Pio lo fece inftaurarc, fi come h ve-  de per le Tue medaglie d’argento, d’oro, & di bronzo,  douc fono lettere che dicono .templvm divi  avgVsti restitvtvm. Ne contento di qucfto,  ne fece fare vn’altroad Adriano fuo predcceflbrc,comc  ricordeuolc de benefici), che haucua riccuuti da lui.   Anto       »           . c-j  ANTONINO PIO.   BRONZO.     Oltre à quelli templi , furono anchora fatti molti  altari in honored’Augulto, per moftraremaggiormen- imiti de  te, & per diuerfe vie la fua eternità con quelle parole,  providentia, hauendo quei Romani quella vana  opinione, chela deitàd’Augullo potcflèloro concedere  tutto quello,dichehaueuonobifogno per laucnire.        tu»-,   -ilKrTivb'Jì     /      Et coli per tutte l’altre medaglie de gli Imperatori;  che erano (lati à modo loro deificati, folcuono gl’anti-  chi (colpire quelli altari in legno della loro deificatione-.     Deferivo* Scriuc Apulco nel dogma di Platone , chela proui-  XkJu denzanon è altroché vnafenccnza diuinachc mantie-  ne femprcfelice colui,checlla piglia vna volta iti cura:  & altri hanno detto che folamenteriguardaua Se pcnlà-  Dtuodi uaalIecofeaucnire:ma i dannati Epicuri£al(amcntecre-  zpÙHro. deuonochcDio non haueflc alcuna cura de mortali.  Ond’io à propofito di quella Prouidenza mi ricordo ha-  uerctra molte altre pietre intagliate, cheiofcrboin ho-  nore dell’antichità, vn Diafpro, nel quale è (colpita vna  vtformU* formica con tre fpighc in bocca,fignificatricc della Pro-  K de Polii- uidenza-.la quale pietra fu altre volte trouata ne i fonda-  de*K4. menti d’vna delle torri cheio ho fatte farcnclla mia cafa   della Maddalena, che per edere cofa anttchitfìma & rà-  ra,mi c parlo farla ritrarre qui Cotto al naturale.   — Diafpro         .      Et perche Plotina ha già comporti in 4. libri della  Prouidenza, inoltrando che tanto le piccole come le  grancofe cranogoucrnate per il Dio di natura, io rimet-  terò il lettore à quella lcttione,& ritornando al propoli -  to mio, dico chegl’antichi riputorno la Prouidenza per  Dea, come anchora ha inoltrato Cicerone nel libro del-  la naturadegli DcijOndcpcrla Tua figurabile clafem-  bianzad’vna matrona ftolata , ò velata & dritta , che in  vnamano hàlolccttro,&con l’altra moftra vn globo,  chcgli Ita à piedi, pare che voglia lignificare che la Pro-  uidenza goucrna tutto il mondo, come vna buona ma-  dre di famiglia, nel modo, che nelle loro medaglie la fi-  gurorno (benché con diuerlì atti) Traiano & Pertinace  Imperatori.     r. ;• -      fiorini.   PROVI   DENZA.   Cietront.     'V ' >     r !       Alcuni altri Imperatori, comeTito, la fecionodipin  gereconvntymone& vn globo, inoltrando come ella  gouernaua il mondo. Antonino Pio la figurò per vna  filetta di Giouc accompagnata da molte altre. A leda n-  droScucroper vn vaio pieno di fpighe,& Probo & Fio  riano per vna fcminaftolatacon vn globo in mano,vn  fccttro &vn Corno d’abbondanza.     rrouidtnz'*  diuerfmen  tc pinta da  antichi.      Caracal         Ei mi parrebbcinuano affaticare ,fc io non auertiflì  0 « lettore della pazza fuperftitionc de gli aderbi Roma  ni,i quali durante la vita de i loro Imperaton, o buoni,  o catti u i,cKc ci follerò, in ogni modo non lalciauonodi  fare loro templi,ttatue & altari , & doppo la morte di  lànftificarli,attribuendofaIfamentc loro nomi dibuo  ni Principiai fondatori di pace, & (non ottante che ha -  ueflino maltrattato il Scnato,& Popolo Roman o)di re   E 4     CONSE   CRATIO-   NB.     V<tra f a .   flit ione  ir Romani  nel fanttfi-  tar loro ^   imperato^   ri.     FLORI AN   A   S S. MAMM EAT   BUON Z O.     . ftauratori della Città di Roma, fteome auenne di Lu-   cio Settimio Scuero,il quale oltre aireflcrehuomobar-  baro,beftiale,homicida,&che di fimplice foldàto pcr-  ucnnealla dignità deilTmpcrio, ingannò & tradì Clo-  dio Albino gcntilhuomo Romano per venire à capo  dei fuoidifegni, &: nondimeno s’attribuì & fece dare  più per paurache per volontà dal Senato Romano tùt-  ti i titoli di buono Imperatore.     S   ARGENT     < 3*23     ‘   73  Ma che diremo noi di quello Monftro di Natura co-  minciato & non finito,il quale doppo la fua morte fu  connumerato daRomaninelnumerodei buoni Dei,&  del quale foleuadirc Nerone, che l'haueua fatto auelc-  nare, che egli era ftato fatto Dio p c r mezzo del boccone  d’vn fungo?   clodio;     ORO.      Et per contrario furono i buoni Principi, di T raiano,  Antonino Pio,& Marco Aurelio, che per le loro virtù &:  buoni coftumi,mcritarono d’cflcre chiamati ottimi Im- c .   pcratori,& canonizati,fe lecitaméte fifolfc potuto ciò fa  re. Trai quali è pur degno d’clTcrc Tempre nominato&  ricordato il nome d Antonino Pio , lolito dire che piu  tofto volcuacolcruarc &faluare la vita d vn Cittadino,  che ammazarc mille defuoinimici. Parola certamente £ Antonino  piena di pietà & degna d’vn buono Imperatore, come  cglicra,&:comclo chiamòil Senato, facendoli dirizarc  come à Traiano, vnaColonna,& Templi nel modo che £ Antonino  fi vede qui di fono.    amo moftraco cornea! tempo anticogli   ucrrdctì Inipcratorieranoconfngrati,&diuentauonoDijdoppo   ^TLi ]aI . 0r ° m05tCj& comc * Romani faccuono tem pii &al-  tio di ttm - rar * * n Sonore loro coni /àcnficij de vitelli ficdegl’agncl-'  & Reonfegnado loro Sacerdoti & Flammini nel modS che  di Celare A ugufto ha già fcrirro Prudcnrio^diccndo:  Prudenti». Hunemorem V ererum docili Um aiate fejnuta  ? olì eritas t men fa t atque adytit } & fiamme^ tris      ANTONINO PIO.   BRONZO.     ON. PIO.     BRONZO.        Uuguft     75        \AuguJlum col nitritalo placa uù tgd agno:   Strafa ad puluinar iacuit, refj>onfa popofcit.   Tcjlantur tituli,prod»nt confulta Scnatus  Cafareum louis ad ) fecitm Jlatuentia templum.   Equanto al reità della conftgratione , chiamata da  Greci & della quale ha le ritto minutamente He   radiano al vij.capitolo del iii j.Iibro,mi è parlo non fola-  ménrc di figurarla cjui fottoal naturale, ritratta dalle me-  daglieantiche d’Antonino Pio,& dt M. Aurelio, ma tra-  durla in volgare,pcr maggiore intelligenza del lettore.   ANTON; Pia M- AVRELIOl '     BRONZO.     BRONZ O.     c     Soleuono i Romani confagrarc doppo la morte lo-  ro tuttiquclli Imperatori, i quali làlciauono i figliuoli  heredi dell' Imperio, in quello modo penlando efTcre ri--  ceuutr nel numero de loto fallì DijrEa Citta tiftta vcftita  abruno,&picna di dolore &di lamenti, folennemente  fatta fàrcvnaimaginediccra limile al morto Imperato  re, la poneua dentro a vn ricco letto d’auorio,lcuato in  alto aU’cntrarc del palagio Imperiale. Era quello letto  coperto di prctiofì panni d’oro &dcntroui quella ima-   gine     H erodiano.     b o«».f  W «HV        Ccrimonù  de Roma*  nella mori  de loro l«  fe rotori.     - 7 6 DELLA RELIGIONE   ginc pallida àguifa quali di ammalato Imperatore/! ri-  polaua,haucndo dal lato manco à ledere tutti i Senato  ri vcftiti di bruno,chequiuigran parte del giorno dimo  rauono.Et dal lato deliro tutte le Donne Romane, cias-  cuna fecondo ladignità & grado dcloro padri,ò mariti,   . fenza ornamento alcuno d’anelli, maniglie, ò catene  d’oro,ma fedamente vcftircdi bianco leggicrmetc(qualì  come portano in tal calo le getildonne in Francia)# tue  te piene di maninconia. Durauono quelle cerimonie  vij.giorni,nel qual tempo i Medici ogni giorno s’apprcf  fauonóalla bara, fingendo di toccare il polfo all’amma-  lato,# mollrando che gli andaua fempre peggiorando.  Ma fubito che ci diccuono quello cflèrc fpirato, i primi  letto i Up4 Senatori lì lcuauono il letto Tulle fpallc, portandolo nel  YtZ'ZÌ? ^ av ‘ a ^ acra ^ no al Mercato vecchio, douc i Magillrati  tutori Romani Toleuono fpogliarlidelladignitàdi tutti i loro.  officij.Erano in quello luogo da due lati fatti certi pal-  chi con ilcalc,dai’vn de quali tutti i piu nobili giouani &  patritij Romani, & dall’altro le piu illullri donne canta-  Himi tan- uonoHynni & Cantici Iamctcuoli# pietofi,nelmodo,  tati nette po che s’vla ncllcpópe funebri. Dopo quello i Senatori di  pt funebri. nuouo fa lcuauono la bara fullc Ipallc, &la portauono  fuora della Città in vn luogo chiamato il capo di Mar-  te,douecravn tabernacolo quadro fatto di gradirmi  legni fcccjii,& ripieno di fcrméti.di paglia, & di falcine,  & di fuora riccamctc adorno di cortinclauorarc d'oro,  di flatucd’auorio,#altrediuerfcdipinturc.Sopraàque  Ho tabernacolo n’era vn altro lìmile,ma piu piccolo,&  riccamente acconcio come l'altro,cccetto che haueua le  porte & le fincllre aperte, & coli di mano in mano mó-   taua        H77   tauapiù alto nel mcdclimo modo fempre diminoedo.  Potrebbe!! quella ftruttura ailbmigliarc à certe Torri  fondate in marc,ò fopra ài Porti, chiamate da moderni,   Fanali, dagl’antichi Phari,douela notte Hanno acccfi lu TJnaU  mi perfarefeorta a inauiganti.Portato adunque ildet- chiamati  to letto fopra al fecondo ftaggio.quiui fpargcuono gra-  dequantitàdi fpcticrie,diprofùmi,difrutti,d’hcrbc, &  d’vngucnti odoriferi di tutte leparri del Mondo, facen-  doqualì à gara di chi più , ò meglio, porc/Tc honorare,   & fare quello vltimo prefente al loro Imperatorc.Fat-  to quello, lì moueuono certi Caualicri à corfa intorno  al tabernacolo, facendo vn modo di Morcfcha tonda, MortfAé  Pyrricada gli antichi nominata:& apprefib à quelli fa- ryntt4 '  ceuono il mcdelìmo i Cocchi, ò carrette , fopra lequali i  carrettieri erano vcllitidiporpora,8cdi velluto chcrmi-  lì,con mafchcrc fomiglianti à i Capitani , & principi che  haueuonogià fcruito il morto Imperatore. Et con finite  tutte quelle ccrimonie,colui che doueua fuccedcre all’-  Imperio, pigliato vn torchio accefo in mano,mettcua il  fuoco nel Tabernacolo, & il limile faccuono tuttigl'al-  trhpoidi mano, in manoùl quale per la materia tato fec-  ca,& le cofc vnte deprofumi, & olij profumati, leuaua { j, e   fubito le fiamme in alto,pcr mezzo lequali, vfcitavn’ A- t*   quila viua del minore & più alto Tabernacolo, fc n’an- «  daua volando in verfo il cielo , quiui di terra portando i cieli  (come crcdeua &gridauala lloltitia de Romani nql me  delìmo tempo) l’anima del loro Imperatore), il quale  poi coli adorauono come Dio,& gli faccuono altari &     templi, come e detto di fopra.     » C rwr,-*  r-’ìRtn         M. AVRELIO. F AVSTINA      4U«         tu 1 -     PERTINAX.   BRONZO.     F AVSTINA.   ARGENTO.     Crédcuonoi Romani qiicfto mi fieri o non Iblam"  elfere vcro,ma molti giurauono hauerc veduto vfeire  del fuoco l’anima dell Imperatore , & altri pagauono  huomini à polla per confermare coli fatta bugia, diccn -  do che l’Axjuila di Gioue l’haucua portata in Ciclo, &  coli ecco in cheniodofu anchora canonizato Seucro  lottizzo* collocato nel numcrodegli Dei, inlìcmccon moltialrri  Imperatori & Imperatrici ch’elPopo.Ro. fece fàlir per   forza      COM     forza alciclo nel medefimo modo che Scucro. Ma ri -  tornando alla materia de noftri templi, doppo haucrc  fcritto de i più trionfanti di tu tti,cioc,di quello di Giouc  Capitolino , di quel d'Augufto à Roma&in Alcflan-  dria,del Pantcone^ di quello della Pace, ci reftai vede- Tempio «K  rcil marauigliofo di Diana Efcfiamcllà fu perba edifica ^j c pg %  rione del quale concorfcro tutti i Re,Potcntati,& Repu  blichc dell* Alia maggiore, contribuendo ogniuno per  lafuaparrc/olamcntcmoflidalzelo di religionc,qua'n-   tunquepcr Ja fuagrandezza folle a pena tornito in CC.  anni,& fondato rifpetto a i tremuoti in vn Pantano, tal-  mente che ci fu connumcrato per vno dei lette miracov  li del Mondo, & di poifcolpito in piu medaglie di di-  ucrfi Imperatori.   “ CLAVDia   ‘ ' ARGENTO.     stnr. *4     • Ma pcrcbeil fimulacro interodi Diana,qualc era nel   Àmpio degli Efcfij,nonfi. può interamcce {cingere nel  le med agliedi pi ntedi fo p ra,mi cpàrfódi farlo-hilthopa  di nuouo ritrarre qui di fotto nel modo , che io ihoirt  e ” due     '.Ikimfc        K.OII     8o DELLA RELtGIO   due medaglie Grechc,l’ vna di C5modo,S: l aura a nn -  tonino Pio , nell'vna delle quali e Icritto aptemhx  e «• e x i a n , cioè, Diana degli Efelìj , & nell’altra quella  l ola parola, e « e s i a spedendo tutte l’altrc lettere perdute.  ANTOM. PIO.  COMMODO.     BRONZO.     Dtfcrizìon  del tempio  di Diana.     Era la lunghezza di quello tempio ccccxxv. piedi,  & la larghezza e e x x. ornato di e x x v 1 1 . colóne, ogniu-  naalta lx. piedi, & nondimeno fu abbruciato da quel-  lo fcclcrato Eroftrato,folamentc per dire che egli hau  ua fatto qualche cofa degna di mctporia:bcnche di poi  fu rillaurato & rifatto anchora piu bello da Dinocratc,  Celebrati!) Architettore d’Alellandro Magno. Quiui aduque lolc-  cUDianf* L, ono ogn'anno, nel giorno che lì cclcbraua la fella di  ~ Diana, trouarlì tutti i giouani ,& fanciulle , vergini del  paefe,vcllitidibiaco,doucfpeflò lìmaritauono iUcrne?   Il fimulacro ò imagine di quella Dea fu fccodo le fue  dignità & qualità dipinto & figurato da gli antichi in di-  uerfe manierc,lt come ella fu pariméte chiamata perdi;  JSSL. uer/I nomi.ConciòlìachcquàdoIaLunaera tutta pie-  na, la dilegnauono per la lua chiarezza con vno tor-  chio     v      8x  chioaccelo in ambedue le mani, come fi vede nelle mc-  dagliedi GiuliaPia, moglie di Seuero Imperatore, con  lettere chedicono, di an a lvcifera.     GIVLIA PIA.     argento.     BRONZO.      Et per inoltrare anchora meglio che Diana &la LlT-  na eranoinqucl tempo vna mcdefimacofa,ioho fatto  qui mettere vn'altra medaglia di brózo della mecfefima  Giulia, nella quale e ferino, lvna lvcifer a,&ìI(uo  carro tirato daducccruic, chcfignificauono checll'cra  Dea della caccia, quantunque l’interprete d’Arato hab-  bia detto che quello fignificaua la fila leggerezza. Ma  quadogl’antichila figurauono poico vnolpiedcinma  no,& vn ccruio apprcfio,voleuono lignificare che cac-  ciando, ella pigliaua & ammazzauai ccrui pcrforza,no  minadola »^óa«c, & per memoria che ella era la prima   cacciatricc,fofpcndcuono le corna de cerui dinanzi al  fuò tepio.DclIa quale cofahauendo affai à baftazadif-  corfo nel libro , che per comandamento di fua Maefli  iohò fittodella naturadc giammai! ferochpcrò rimette  rò il lectorcà vederne quello, chcion’hò quiui trattato.    MED AGLI E D’H OSTILIO.   ARGENTO.Trouanfi anchoradelle medaglie , doue Dinnac di-  pinta, òfcolpitacon Io fpiede, in legno che ella foleua  ammazzarci cingùiali, diche fa chiaro rcflimoniolamc  daglia di Gcta Triumuiro, nella quale da vn lato è fcol-  pita la tefta di Diana , & dall’altro vn cinguialc , ferito  d’vno fpiede in vna fpalla con vn cane appreffo.     GETA TRIVMVIR      83   Quando i Romani figurauono Diana cacciatrice,  ordinariamente la folcuono accópagnared’vn turchaf-  fo,d’vn , arco,& di frccciccon vn cane da ghignerei fc -  gugio,(cnzaraiiirode quali non fi può cacciarci come  mortra la medaglia qui di lotto.   med 7 ~d f C~P OS T VMO.     ARGENTO.      Ma nelle medaglie d’Augurto fi vede vna volta Dia-  na figurata tutta ritta in habito virginale, con l'arco in  vna mano , & con l’altra /opra al turcharto, facendo le-  gno di cauarne vna freccia pcrtirare,&: nel mezzo lette-  re, che dicono/iM pera t or DECiEs,&di fotto,sici-  x.i a. & altre che dicono , im perator vNDEciEs.Et L  nel rouefciod’vn altra fi vede con la velie alzata, vnar- sthukitl  co in vna mano , & nell’altro vno fccttro, vn can da giu- *  gnerc,& gli rtiualcrti infino à mezza gamba , colà prò- £ 1  pria per lei come cacciatrice, &i quali daPolluccfono An<lro »”-  ftati Endiomidi chiamati. des '    A V G V S T O.     Tra cucce le medaglie d oro, che fanno ìjjj.furnorro  uaccàTolofa, & rraquelleche mi vennero nelle mani,  io ne hò vna,nclla quale da vn lato è fimaginc di Diana,  col Tuo arco & la faretra,*: dall'altro vn tempio, nel cui  mezzo c vn trofeo naualc,in cima al quale è vna celata  antica:& della prua della natte, c fitto vn tronco come  vno Itile con due rami, vno riuclliro d’vna corazza, & da  l’altro pendono due dardi & vna rotelIa:& à pie del tron  co è vn Ancora da vn lato,& vn timone da J aItro,in le-  gno della rotta di Sello Pompeo, quando Ccfarc Augu-  ro racquiftò la Sicilia, la quale in mezzo al frontilpi-  Tri gSbe, c *° ^ mc J c h mo tempio e figurata per tre gambe, con  impresici lettere che dicono,i mper ator . c ae s ar,co!ì fignifi-  UsùiU can do che Augullo ringratiaua Diana della vettoria  hauutadc nimici Tuoi.   - av    AVGVSTO.     Et nc rouefci delle medaglie battute in honoredt Mar  cello, fi vede parimente-vn facardote, chccon due mani lebrato in  prclcnra al tempia di Diana vn altro trofeo di Sicilia, s *” a *-  ringratiandola delI’Kauuta vittoria di Siracu(a,&dcl te-  foro portatone à Roma,iI quale-fu {limato tanto, quan-  to quello che i Romani cauorno di Cartagine.   * MAJICELLINO,. ~     BRONZO..      Animali  tonfatati  i Diana.     Solcuono gl antichi placare Diana imolando la cer-  iliaci daino, il ccruio,& il toro,tutci animali confècrati  lei, fi come tcftimoncranno le medaglie Latine &  chc,che io ho fatto ritrarre qui di lotto.     FILIPPO.   BRONCO.      Tempi o di Scriuc Strabonc nel x ri 1 1. libro della fua Cofmògra  to“ra*ro~ & 1 che quello tempio cra fondato nclflfola d’Icaria &  polon. chiamato Tstupóirtxor. Et Tito Liuio neh ni. della quinta  Decade , lo chiamò parimente Tauropolum , & Tauro poli*  i ficrificij,chclifaccuonoà Diana. Dionilìo nondime-  no nel fuo libro de Sicu Orbis dice,chc Diana non fu chia  mataTauropoU dalla regione, ma dalla quantità de tori,  ehcvinalceuonofotto la fua protezione :& però detta  dum Tau eguale colà appari Ice vera per la medaglia Gre   ca qui di fottojdoue fono lettere, che dicono, e petp i-   IÓN DAMASI AZ.   MED      f     vi.    MED AGLIA GRECA D I DIANA.     ARGENTO.       Chequcfto fiavcro,& che Diana Ila (lata chiamata  TaurofoloSybiTdurof oliai Tuoi facrificij dal toro che l’era  confagrato,come il cane, dimoftra anchora Diodoro  nel iti. libro, douc parlando della Rcina delle Amazo-  nc dice, che ella faceua ogni giorno cflcrcitarc le Tue ver-  gini allacaccia, acciò chcpiu facilmente tollcraflino il  difagio dcllarme & della guerra , facendo le fare vn cer-  to facrificio, che ella chiamò T*opej 3 fojo.,benchc gl’ Autori  tanto Greci come Latini habbinoconfufi tutti quelli no  mi Tdurouoliumjduropolum, & Tauropobolum, & malli me  Suidane i Collcttanei, chiamando Diana Tduroholosfal  Toro(quello che anchora conferma Euftathio) il quale  l’era facrificato, come fi vede nella medaglia d’argento  ' d’ Aulo Pofthumo, nella quale fi vede da vnlato Diana  con vna luna in teda, l’arco & il turcafTo:& dall'altro il fa  orifìcio del toro, nel modo, che fi vede qui di fotro.   F 4     Sacrifìci»  di Diati»  ordinato  da la regi,  na deli a-  mazonc.     Diana chi»  mata Tau-  robolos .     tttJICi  * *   : v ni'        I     $8 .   A VLO PO STHVMO. - ~ i     ARGENTO.      eia, & ma/firneàLettora,doue fe nc vede grandi/fim»  Tùtro gì - quantità, donatimi già da Pietro GiIio,huomo dotto Se  deVanuZ g ranc * c amatore delle cofc antiche, fi conofcechcifacri-  ti ficij fatti anticamente da i facendoti alla madre degli Dij  congrande apparecchio,crano chiamati TAuroj>olium&  •>- • altre volte Taurtuolium , &non folamente à Diana   Cibelc,maanchoraàMinerua, volendo maflìmamente  credere àSuidas: benché di coli fatti fiicrificij io habbia,  aliai diftefamete fcritto negli Epigrammi, che io hò rac-'  colti di tutta la Francia. *   'a • ; ' b - ••   . „ j ( . t . * e*   V. ... LeBor* inpropugrutcttlo \rbis.   matri devm pomp. philvmenae   t*VAE PRIMA EECTORAE TAVROBOIIVM  F e e r T. .   tìdi°G4f!o fedeli àiichora in vna piccola chiefa di S. Tomafo  giuu mezza rouinata nella medefima terra, vn’altro epitaffio   in vna      S*   hi vna colonna, che regge l’altare grande, per il quale fi  conolce che i Decurioni di quel tempo , cioè gouucr-  torì della Tcrra,feciono il facrificiodi Tauropolium alla  madre degliDij per la falutc diGordiano Imperato-  re, & di Sabina Tranquillina Tua moglie.     In facelle D.Thanutnunc diruto in columna i   aitarli vijìrur. 1   PRO SALVTE I MP. ANTONINI GOR- <   DI ANI PII FEL A V G V. TOTIVSCHE^  DOMVS DI VI N A£, PROQVE STATV C li  V 1 T- LACTOR. TAVROPOLIVM FECIT  ÒRDO LACT. D. N. GORDIANO II. ET  POMPEIANO COS. VI. 1D. DEC. CV- "  RANTIB. M. EROTIO ET FESTO CA- »   NINIO SACÈRD.   Di quella Sabina Tranquillina ho io veduto altre  yolte yna medaglia d’argento, & vno Epitaffio fatto in  quello modo,   FVRIAE SABINAE TR AN QV 1 LLIN AE  SANCTISSIMAE A V G. CONIVGI DOMI-  NI N. M. ANTONINI GORDIANI PII  FEL1CIS INVICTI A V G V STI DECVRIA-  LES AEDILIVM PLEBIS C ERI ALI VM  DEVOTI NVM1NI MAIESTATICHE EO-  R VM.     Trouafià Roma vn gran marmo antico fcolpitoin otfmzion  honorc della madredegli Dei,douelì fa mentione del- * cibele  Taurouohum,& quiui lì vede l’imagine della Dea co-  ronata d’vna Torre con vn tamburo nella man manca     appoggiato fopra alla fuacolcia,& con la ritta tiene cer-  te fpighe di grano, à federe fui fuo carro tirato da due  liooi,& accompagnata del fuo Atis, che tiene vna palla  in mano, & cappeggiato à vn Pino, come albero con-     F 5     90      Carro de  la madre de  gli Dei , ti-  rato di duo  leoni.     Dichiara-  tionedel'in  fegna de la  madre de  gli Dei.     {agrato arale Dea, à caufa della monragnad’Ida, eh ciò  Candia, òdi quella di Frigia, abondantifiime ambedue  diPinij&doue cllac adorata principalmente per Dea,'  & dedicatele le Pine, onde Marciale ha detto di quelle  parlando,   Toma fumus Cybeles.   Ma quanto à i due Iioniche tirano il Tuo carro ,co-.  mefcriuc Virgilio,   Et iunBi rerum dominai fubiereleones.  voltano i Greci lignificare, che non fi troua cofi Acrile  terra,chc ben coltiuata,non diuenti fertile & buona. La  torre lignifica leCitta & edifìci j de quali la terra è orna-  taci tamburo la mondezza della terra, benché alcuni  veglino che ciò lignifichi i venti rinchiufiui dentro, &  le fpighe,ch© la terra fola è quella che nutrifee l’huomo.   Figura     : -  FJG y R A~ D E LA MADRE DE I DEI R I 7 R ATTA  del marmo artico, il qual fi vede in Roma ntll’ecchiefa di S.Sebafliano.      M. d: M. L ET ATTINIS     L. CORNELIVS SCIPIO OREITVS  V. C. AVGVR TAVROBOLIVM  SIVE CRIOBOLIVM , FECIT  DIE IIII. KAL. MART.  TVSCO ET ANNVLLINO COSS.         Cibelt tOf-  riU.     Nell’altra medaglia pure Greca li vede da vn lato  Cibelc torrira,& dall’altro il folgore di Giouc con al-  tre facttc, la quale c tanto vecchia & frulla, che non lì  c potuto cauare alcun fenfo delle parole Greche.   Meda     Vari I nomi  de la madre  dei Dei.     Diana con-  feruatrice,  adorata in  Sieilia.     Chiamaronlagl’antichi madre degli Dei, perche in  guifadi madreche nutriteci figlìuoli.la terra limilmcn-  te nutrilcetuttigrhuomini & animali del Mondo, coli  dice Furnuto.I «Greci & Romani le dettono più nomi  & attribuirne diuerfe virtù.chiamandola Cibelc, Cere-  re,^ Terra,Prolcrpina, &fecondo Lucretio, madre delle  beftie. Veda, &Diana:il che li vede & conferma per due  medaglie di bronzo Greche, ncll’vna delle quali c Dia-  na da vn lato con quelle parole, 2 atei p a, & da l’altro  il folgorc,dcdicatole cornea Velia ,& limili parole  x i aeqi a r a ©ojc a e n 2, ci oc , medaglia battuta dal  Agatoclc in honoredi Diana confcruatrice.    Nel tempo, che io Faceuo quello 33cor|oi mi fumo mc faglie  clonate alcune medaglie d’argento, di quelle, che viti- doro &  inamente furono trouateà Reims, tutte quafi di Seuc- trouute°t  ro,di Giuliani CaracaHa,di Geta,8t diMacrino. Et per-  chcrracfleio netrouaitrc,doue livedcCibelc  convnfolgorc in mano,& à federe fopra vn  qucflc parole , ind  mi cparfo non fuora  di fotto.     L’vna.     GLIA GRECA.   bronzo.    V «A        »      if pino con- L’vna dell altre due medaglie e dì Giulia, nella quale  madre dc*i ^ vc< ^ c Cibclc tortila in compagnia di due lioni & àfc-  Dd. dere fopra vna Tedia con vn ramo di pino in vna mano,   & nell altra lo fcctcro,chcclIa appoggia fopra il Tuo tam  buro,3c lettere che dicono intorno ,mater devm.  Il medefìmo rouefeio nella medaglia di Fauftina e quali  del tutto foni iglianteà quello. ARGENTO.     BRONZO.     Figuro     MED. DI C. VOLTEIO.   ARGENTO.;     ANTO. Pio.   BRONZO.     p JJ W      DE GL’ANTICHI DOMANI.   Figurornoanchoragl’antichiil lìmulacro di quella  Cibcìe con vn gran numero dipoppe,fignificando‘ che  cllanutricaua tutto il Mondo, con vn a torrefalla tefta,  due Honi Copra i bracci , & diuerfr animali incorno,  produtei da lei come Dea della Natura, & di più due  ccruie ài piedi, che moftrauono che Diana, & quella  erano vnamedchmacolà.Ncl qual modo nonhd mot-  to tempo che ella fu ricrouata in vna grotta ancichiflì-  maàRomadadipinturadellaqualemi donò altra vol-  ta M. Antonio Fantuflì dipintore Romano, la quale io  ho polla nel miolibro de la Natura de gli dèi , per dame  la villa à .gli amatori dell’antichità. Furono tutte quelle  forme attribuite à Dianacondiuertì nomi di triforme,  come per il tellimoniodiPaufania la chiamò Alcamc-  nc:& Virgilio, dichiarandoci che in cielo lì chiamaua  Luna, in terra. Diana,& nell’inferno Profcrpina , coli laf :  ciò fcritto,   Tergeminamque Hccaten>trU ùrginìs or a Tfidnx.   Et perche la figuradi Diana, ritratta da vn marmò  antico,!! vedrà meglio nelnollro primo libro dell anti-  chitàdiRoma, io non nelcriùero qui altro , ma fola-  mence dirò come fotto la deità & nome d’Hccate i più  ricchi Romani foleuono ogni mefe far facrificio à Dia-  na, mettendo fopra i canti delle llradc della Città, pane  & altre cofe,chcfubito da ipoueri erano leuaje via , co-  me fcriuc Ateneo, llimando che Diana, la Luna, & Pro-  ferpina fodero vna mcdclima coCa.   Hauendoà baftanza parlato di Diana , & defìderan-  - do venire alladcfcrittionc degli altri Dij, comincieremo  da ^inerita* la quale fccondoi Poeti, nacque.de l capo   diGio     55     Dea di m-  tura.     Diana tri-  forme.  Paufinid.  Virgilio.     Sacrifìcio  fattoi Dia  na fotto il  nome di  He tate.  Ateneo.     MINER-   VA.      di Giouc, pcreflcrcrintcllctto collocato nella certa dell*  huomo. Armaronla oltre à quello gl’antichi d’vno feu-  do, nclqnalcera il capo di Mcdufa,moftradochcrhuo-  mo fauiodcbbecon force animo & intrepido vifo refi-  ftcrc aU’aucrficà,& à nimici.il pennachio che ella hauc*  ua fopra al morrionc , fignificaua rornamenro di tutte  lefciczc, &cofcaItenclccruclIo dcH‘huomo:le tre vedi  differenti l’vna all’altra, che la Capienza debbe clferefc-  grcta,&l'hafta che ella haucua in mano, che l’huomo  fauio guarda, con fiderà, & batte di lontano & con van-  drdicXt*! taggto. Mala Ciuctta le fu dedicata (come habbiamo  Mintrtu. detto) per moftrarcche la Capienza cuopre con le tene-  bre il fuolplcndore-.i qualitutti lignificati pare chedcf-  criucffc affai bene Ouidio nel Certo libro della fua Mc-  tamorfofi, quando dille,   ^t fili datelypeumjat acuta cuflidis hafiam,   Datgaleam capiti, defendituragide pettus,   ‘PercuJìa'mejuefua fimulàt decufiide ferrarti.   Edere cu mi; accia factum canentis oliua ,   Jrfirartque deos «perù vittoria finis.   Minmu Scriuc Varronc che Mincrua fu quella , che fondò  ie untoti Atcne,& per ciò fu chiamata, aohn a quafi idxraìoe rrdfOt-  i- Atene. r e, che voi dire, vergine immortale, àcaufa chcfcomc   fcriue Fulgentio) la ìapienza non muore mai. Di qui ha  voluto Porfirio dire, che Mincrua none altro che la vir-  tù del fole, mediante la quale lafapienza entra & pene-  tra dentro alcuorcdcH’huomo, là onde nafcendodalla  fommkàdcU’aria : però fi vede che i Poeti hanno finto  che Mincrua c vfcitadelcapodiGiouc. I Filici dicono  chela virtùintellccciuaècollocata nel cerucllo deliquio   mo,comc denrroalia principale fortezza del redo del  corpo. Chiamaronla Umilmente gl’antichi Bellona, BrBofl4  cioè Dea della guerra, lignificando chei Soldati debbo- d « * u  no non fidamente edere del continouo armati Spederei- S* frr <-  caci, ma proueduri di configlio: &rprima chccominciarc  vn imprcfa,cdàminarc molto bene le forze del nimico:  quello che confermò anchora Saludio dicendo, che ei  bifogna prima configliarfi,& doppo il configlio, & la  deliberationc fatta mandar predo ad effetto ìlfuo dife-  gno.Lacaufà perche gl’hiftorici l’hanno fatta fondatri-  ce d’Atcnc, è, che dicono che nafccndo difeordia tra lei  & Nettuno, di chi douede porre nome alla Città, gli Dei  fimedono in mezzo per pacificarli, &giudicorno che Ncttu-  qualc di loro due produrrebbe cofa piu vtilc alla detta Vaim  terra, quello le douede dare il nome, per il che pcrcoccn-  do la terra, & facendo nafcerc Nettuno vn cauallo, &   Minerua l’vIiuo,fu fententiato chcl’vliuo, piu che il ca-  uallo fodènccedirio & vtile alla vita humana,& cofi re-  do la Dea vincitrice, con attribuirle l’vliuo & cdcrechia-  mata Pacifera, come fi vede nelle medaglie di M. Aure- vulimit -   Iio,& di Commodo Imperatore. - 4 ut   1 q ncrua.   fM. AVRELIO. COMMODO.   BRONZO.     Ttfle di mi Scriue Plinio che infino alfuo tempo duraua ancho-  ra la celcbrationc della fella & giuochi di Minerua,  tjuatria. chiamati Quinquatrij, quali erano, che i fanciulli facen-  do vacationc dalle fcuolc & da gli ftudij porrauono la  mancia ài loro maellri in honore della Dea,come quel  Jache aiutaua la mcmoriarciò che Quintiliano a! 1 1 1. li-  bro^ nefuoi falli Ouidio anchora meglio ha dichia-  rato, quando ci dice,   'Pallata nunc putrì tener a j ornate p nella:   Qui lene placarit Palla Ja,Jolhuerir.   L’occafione fopradetta della difeordia di Mincrua  nettv- & di Nettuno, pare che mi porgea conuencuolcmare-  « n o. ria di ragionare anchora di quello Dio,il quale (come   il Delfino fcriuc Higinio) fi dipingevi con vn Delfino fotto il  dedicato ì piede 5 ò la "mano mancaappogiataui fopra, hauendo il  nettano, tric | enrc nc lJ a r j t ta , fi come dimollrano i rouefei delle   medaglie di M Agrippa.   M.Agr       IM.     A G R I P P A.   BRONZO.      Fu Umilmente da gl’antichi dipinto Nettuno con uettunodi  vn Tridente & vna Acroftolia (ornamento antico di  galea) in mano , come fi vede ne rouefei di due mie te cr una  medaglie d’argento, l'vnad’ A ugufi:o,& l’altra di Vefpa*  fiano.douc fono lettere che dicono, neptvno redv-  ci, in fegnodi ringratiare lo Dio del felice ritorno dal-  le imprefe nauali.     Acrojlolta  dagli anti-  chi.     AVGVSTO.     VESPASIANO.   ARGENTO.      G z     100      ut     -inai*     :      vufciiut 4t- Attribuirno parimente grantichiii Tridente a Nct-  mttuno 4 tuno,,n %no dello feettro , & ancho per efl'erc vno in-  perfetttro. frumento molto ncceflario à i marinai, dipingendolo  vna volta pacifico>& vn’altra adirato ,come fi vede per  le medaglie di Pompeo doppol’imprela fatta, & la vet-  roria hanuta de Corlali, donc da vii Iato fono lettere,  che dicono, MAGNVS IMPERATOR ITERVM-.&  dell’altro, PRAEFECTVS CLASSIS ET O  ilARITIMAE EX SENATVSCONSV   MED. DI PO MP      ioi   Io ho tra molte pietre antiche, intagliate di diuerfc Ag<tu <m-  forci, l’Agata di forco figu rata , nella quale è il mcdelìmo  Nettunoà ledere, con vn braccio appoggiato fopra vn tmo*  va Co alta maniera d'vn fiume,& doppo quella vna Cor-  niolaanticadicolorcdi rubino, nella quale cvn Nettu-  no fui fuo carro, tirato da due caualli, nel modo , ch’egli tumori-  è anchora figurato in vna medaglia di M. Agrippa con rito dà <a -  lertcrc che dicono aeqvoris me omnipotens.     AGATA. CORNIOLO.       M. AGRIPPA.   arg e n t o.      . v."“ v - -m *   ....     VA            monete     ioz     N rtttmo i  fiutilo.      La caufa perche glancichi dedicorno il causilo à  Nettuno, fu,perchc ci fu il primo che trouò il modo di  domarli &frenarli, come dice Virgilio nel y.dil'EncidL  / ungir eejuos curru geni tot fumanti a. <jue addir  Frana f'eris ì manilupjue omnes ejfundit babenat.   Fanno vera teflimonanza di quello, ’   Tarcntini, nelle quali da vn lato fi vede Nettuno  uallo,& dall’altro Taras fuo figliuolo fopra vn Delfino.     HÌppOCTé-   tid.   Confutili.     Nettuno in  h entore di  tutte del  tuuigtr.     A iNettunocauanere recionoiKomanjgia vn tem-  pio,comc fi leggein Haficarnalco,&chiamaronogl’Ar  cadi) il dì della fila fella Higgocratia , fi come gl'antichi  Confualia , nel quale tempo tutti i causili > muli, & mule  non erano in modo alcuno adoperati à rrauagliare,'  madai garzoni di Italia condotti à moftra per tuttala  Città di Roma con la teda coperta di fiori & ornata di  ghirlande con ricchi fornimenti.   Scriuc Diodoro che Nettuno fu il primo che trouò  l’arte del nauigarc& didrizarc vna armata di marc,&   che     D E GL’ ANTICHI ROMANI. 103 '  che per quello ci fu fatto da Giouc Ammiraglio del ma-  re^ di poi adoratocome Dio.Et per le due medaglie,   & vn Niccolo, figurate qui Cotto, vollono glantichi li-  gnificare che Nettuno haucua poflanza tanto in mare Ncttuno ^  quanto in terra,figurando vn caualloconla coda tor- gnordrima  ta & diuifà in due partidnfegno de iduc Elementi, l’vno  (quale e la terra) ripreientato dinanzi per il cauailo, &  l’altro (qual’ è il marc)difcgnato dietro per la coda in  forma di Delfino.     ANTICO NICCOLO.      Qi CREPERIO. GALLIENO Quando i Romani volcuono moftrarc di ringratia-  rcNettuno di qualche vettoriahauuta in mare, lo facc-  uono Scolpire nelle loro medagliedavn lacoconil Tri-  dente^ dall’altro mctteuono vnaVcttoriafulla poppai  d’vnaNaucmel quale modolofcciono già fare Deme-  trio, Augufto Ccfarc,Vcfpafiano , & Tito fuo figliuolo.  Imp.Rom.     MED. DI DEMETRIO.   ARGENTO.      AVGVSTO. VESPASIANO.   ARGENTO. ARGENTO.      Ritor   I     E serv-  ir API a     Machione     DE GL’ ANTICHI ROMANI. 105  Ritornando à gl’altri noflri Dij,& loro templi, altari  & fimulachrijdiciamo chcEfculapio Dio della fa nità,fu  il primo chctrouò l’vfo della Medicina, infcgnataglifor  fc prima da qualche Dio flato innazi à lui. Quelli al rem  po di Homero fi vcdcchcnon era anchora flato collo-  cato nel numcrodegli Dei,cóciofìa che il detto Poeta fa  medicare àPconcle piaghe di Marte. Ma quadoci parla  diMachaonc,figliuolo d’ÈfcuIapio,ci lo chiama huomo Ma(hégj  figliuolo d’EfcuIàpio Medico, chctrouò molti rimedij figliuolo  ncccflarij perla fanità dcllhuomo , & lo fa tato eccellete  in quella arte, che ci dice che rifufcitaua i morti .Dice Lat Stantio.  tantiochc Efculapio nacque di padre & di madrc,chcn6  fumo da perfonaconofciuti,& coli lafciato in mezzo à  vn campo,& trouato da certi cacciatori, fu dato i n guar-  dia à Chironc Centauro,chcgl’infegnò lar te di medica-  renella quale vfarono dipoi fempregl’antichi fino al tc-  pod’Hippocrate,che la riduflc alla fua perfezionc.L’ha- Kippocratt  birationed’EfcuIapiofugiààRaugiacittàdi Schiauonia, Umdu^a  & dagli antichi chiamata Epidauro,doue ci fucòfiigra- * pnfctno  to, fattogli vn tempio, & vna flarua d’oro & d’auorio per " f *  le mani di Trafimcdc,cccclIcntiflìmo(comc fcriuc Pau  fàniajfculcorcdi queltcpo, &natiuo dcll’IfoladiParos. ^ef^iuio  Eufebio nondimeno lo vedi &dipinfenel modo, che in nedeiima-  marmo bianco fi vede anchora à Roma,& in molte me  daglic & pietre antiche, cioè vcflitod’vn mantello alla do Eufebio.  Greca, con vn baflonc in mano, & fopra al quale(attor-  cigliato d’ vna ferpe)pare che il Dio s’appoggi, nella ma-  niera che io l’hò in vn’altra belliffima Corniola, &in  vno Niccolo, ritratti qui di forco al naturale.   G 5     .ori oia/ì     Jr     ioc ‘CORNIOLA ANT. NICCOLO ANT.      Tornato.     Microbio.     I a Ciuciti  dedicata ì  Efculapio.     Significai™ la fcrpc (fecondo Fornuto) che fi come  quelle fi fpogliano & mutano la icorza, cofi auiehedc  Mcdccichc riducono gl’ammalaci dalla malaria alla fa-  ttiti, rendendo loro vn corpo nuouo. Altri voglionoche  fi come la ferpe lignifica laprudcza,cofi bifogni al buo  Medico edere prudente circa alia finità d’vna perfona.  Ma Plinio rede vn’altra ragione, cioè che la fcrpc fia de-  dicata à Efculapio per edere buona a molte mcdicinc:&  Macrobio dice che quello e, perche la ferpe ha la villa  fiottile, come bifiogna che habbia il Medico nella cura  d’vn infermo, &chc il battone fignifica,chcvn huomo  ammalato ha bifiogno di nutrimento che Io fiollcnga,  in modo,ch’ei non caggiaaffatto.EtEufebio,chcilba-  ftonegl’è attribuito, come quello che ^er appoggiarli e  ncccdario à vn’ammalato. Fu oltre a quello dedicata  à Eficulapio la Ciuctta, lignificando che il medico debbe  edere vigilante più la notte che il giorno intorno all'in-  fcrmo.fi come lì vede ne rouefici delle medaghedi Nero  nc,&di Vitcllio.     Nerone.        NERONE. VITE L LrO. *     ORO. BRONZO.      Vcdc(i anchoraà Roma nel mezzo del Teuero vn’I-  foletta à modo d’vna galeotta, cioè larga nel mezzo,lua-  ga due ottani di miglio, appuntata da bado , & piu larga  di fopra, à modo d’vna poppacL’vna naue:la quale Ifola  fu già confagrata à E(culapio,doppo che il fuo lìmula-  cro fuilato condotto à RomafQttolafbrma d’vnalcr-  pc,òpiùtoftod'vnDcmonio:in honorcdcl quale fedo*  no già i Raugei battere monete con la lèrpc &: conlctre-  re Greche, che diceuono epuat pio N,la. quale Città  (comclcriueLiuio)fufoIàmenre nobilitata dal tempio  d’Efculapiojlontanodaquellacinque miglia,douecon  molte cerimonie fu adorato come Dio.   MON.        Simulacro  d'Efculapù  portato fa  Roma.  Moneta é  i Epidauri          Quelle parole Greche attorpatop o taaepia-   •NOS, r A A A I E NO X , O TAAEPIA NOJ KAJXAPES.nOH   dinotano altra co(à,fc nonchcVaIeriano Imp.fccc bat-  tere quella medaglia con l’effigie Tua &rde due Tuoi figli-  uoli Gallieno & Va!criano J & i tre tcpli nel rouelcio con  tali parole Greche, tpix neokopoi nikomhaeon:  lignificano chetrc guardiani de detti tcpli pregauono  pcrlafanità & falute(figurataperlafcrpe)dc fopradetti  tre Impcradori.        iTP I C N t^KD   k PvA-N     Nel     Vittri di  ThafiU.     . io*   Ncllhorto dcllachielàdi S.BartoIomeo,che c ncll’l-  fola nominata di (opra, fi vede anchora vna nauicclladi  pietra Thaflìa,chcè molto (limata per la varietà de (uoi  colori, nella qualcdavnlato fi vede (colpita vna ferpe,  che alcuni vogliono che fia delle reliquie del tempio già  detto d’Efculapio : &quafi Tempre nelle medaglie de gli  Imperatori fi trouala ferpe con la fanità,chc fiotto figura SANITA>  d’ElcuI.tpiogli fa làcrificiorò veramente la ticneabbrac-  ciata, lignificando che da quello Dio dipendeua la fani-  tàfiola.     Anton, pio.     BRONZO.     M. AVRELIO.   ARGEN TO.      M. AC ILI A.   ARGENTO. ARGENTO.      Sono      no     Medaglio-  ne din.  Aurelio  trouato in  JU ione.     P ub. Vitto  re.     Sono forfcfei mcfi,ch’eflcndomi portato vna vecchia  medaglia di M. AureIio,ft:ata crociata nc fondamenti del  la vecchia zecca di Lione, mi e parfo di farla ritrarre qui  di fottoalnaturalc,pcrfarc meglio intendere àgl’ama-  tori del l'antichità in che modo,fotro colore d’vna ferpe,  gl’antichi fingeuonodi fare facrificio iEfcuIapio per le  manidiMinerua,con vna tazza in mano coperta d’vno  vliuo.&dinazi la Vcttoria,chc porta vn’altra tazza pie-  na di frutte.   MEDAGLIONI.   M. AVRELIO. COMMODO.      Non fi potendo lenza la finità fare bene alcuna cofa,  pare che meritamente ella debbia haucre luogo tra tanti  altri Dijril tempio della qualefcome fcriué Publio Vic-  tore)era nclvi.quartiere della Città di Roma, quantun-  que Domitiano le ne faccfTc edificare vn’altro piccolo , 1  doppo il pericolo che egli haueua portato nella venuta  di ViteUioàRoma.     DO.       Ili     CASTI-   TÀ.     L’habitodi quella Dea con l’imagine Tua, (colpita  nelle medaglie di Giulia Pia, Donna di Scuero Impera-  tore, fu limile à quello d’vna Donna vedouaaflifafopra  vna Tedia con lo feettro in mano, & due colóbc appref-  fo, lignificando che come la colomba c bianca & pura, ^ fo/om _  coli la caftitàdcbbe edere fenza macchiarla Donna da bt j imbolo  bene fcmplicc&purafimilmentc. dictjUu.   gTvlia PIA.   ARGENTO.      DOMITIANO.   ARGENTO.      Quelli, che hanno dichiarata la Caftità, dicono che  dtu cajli - ella c vna virtù, che cfccd’vn buon cuorc:& piu torto co-  fentc di patirc,chc fare atto lontano dall’honcrto &dal-  l'honore.Et le pure egli auicne che cllafia forzata, non  per quello riccue alcun torto, non fi potédo corrompe-  re il cuore accompagnato da vna buona indiamone &  nutrimentoialla quale (come cofa fimilmente chara &   li ber P ret ' 0 ^ a )g^ an fi c ^*^ cttcr0 P cr cópagna la Libcrtà,chia«  T a. madola,comc l'altrc, Dea, amata & cerca da tutti i begli   ingegniionde ci non farebbe polfibile di fcriucre à pieno  lacontentczza di colui, che viuendo liberamente lenza  ambinone, fi contenta di quello checglihà, ncconofcc  perfona che per Pallidità de beni di quello mòdo (fotto-  poftiaU‘inuidia& alla fortuna) gli porta comandare, &  farlo pervn poco di bene incorrere ingrandirtìmima-  li, quello che anchorapcr Euripide c ftato dottamente  Euripide. dichiarato,douc ci dice:   'Ham hberum effe, maximum dico bonum:   Quoti fi quii ejl pauper,puter fe diuirem.   Et Cicerone ne Tuoi Paradofli dichiarando la Libertà  fimilmente dille, che la vera libertà non era alerò chcpo  Tempio di tere viucrecomc l’huom volcua.il tépiodi quella Dea  uberei. cra nc j m 5 tc Aucntino, ornato di molte ftatue &r cotóne  di bronzo, onde per l’orazione che Cicerone fece à i Pó-  tcfici per la fuacafa, fi conofcc come Claudio l’haucua  conlagrataalla Dea Libertàd’habito della qualeerad’v-  naDonnacon vna Itola, òvn velo addoflb,vn’haftain  vna mano, & nell altra vn capello, folitodarfi àiferui,  che erano liberati da i padroni, quantunque alcuni altri  habbino detto che forte vna campana.*   GAL.     «5        Chequcfìocappcllofairein legno della Libertà(fì co il cappella  me io ho più chiaramente inoltrato nella fine del mio li  bro dell’antichità di Roma)lì vede nelle medaglie battu  rein honoredi Brutto libcratoredella Patri a,& di Ccfa-   quidi fotto al naturale.   CALIGVLA.   BRONZO:   GALBA. ~ TRAIANO.   BRONZO- ARGENTO.     cnc delia libertà nalcc la felicità, io accompa- FELICI  gneròqucltacon quella^ inoltrerò cornei Romani L- TA ‘  fcciono vn tempio & vn’alcare,dcl quale fcriuendoPli-   H     - iM •. nio dice che la (latua della Dea Felicità,crafl:ata fatta da   rufits! ° Archcfilao Pla(les,& coftata à Luculloix.gran fcfter-  tij, (limando i Romani cflcre all'hora i tempi felici , & la  vera Felicità regnare per tutto, quando i loro Imperato-  ri haucuono viuuto,ò regnato lungamente:quando ha-  ueuonogencratibci figliuoli,&foggiagati, & vinti i lo-  ro nimicijondclapaccpublica regnaua: quando fi feo-  priua qualche tradimento òcogiuratione contro all lm  perio,& quando egli era abbondanza di grano, ò le naui  cariche di quello, & d’altre mercanzie arriuauono al  portod'Oftiaàfaluamento.   FAVSTIN A.     BRONZO. BRONZO.      CARACALLA. TACITO.     ARGENTO. ARGENTO. wj  ANTON. PIO. SEV.ERO.   BRONZO. ARGENTO.     Maqucllacla vera felicità quando la Giuftitia regna  in vn Reame, laqualefa che gl'imperatori, i Rc,& le Re ^ia* 71  publichc durano Iungamente:ondegl’antichifoIeuono i Principi  dire che Giouc fenza la Giuftitia non farebbe potuto fta  reinciclo,nclaRepublicain piede pu re vn’h ora. E v la  Giuftitia vna perpetua & ferma volontà di fare ragione  adogniuno, &viuédo virtuofamente, non fare torto à  perfona , rendendo àciafcuno quello che c fuo. Della  Giuftitia fono nate due leggi , l’vna publica , & priuata Lfgg[ fUm  l’altra. La publica c di por méte alla comunefalutc de- blica&pri  gli ftati,& la priuata è quella (come anchoras’accordail uiU ‘  Iurifc5fuIto)de i particulari. Quella cóccrnc la religio-  ne, le colè fagrc,i Sacerdoti & iMagiftrati:& quella è fon  data fulla ragione naturale, ciuile,&: humana:della qua-  le fc piace al lettore di fapcrne piu oltre, legga Plutarco, v lutano.  doue,fcriucndo della dottrina de principi, moftra aflài:  chiaramente quantoprctioIa,fanta , Se ncccflariacofa è  la Giuftitia :lacui forza è tale, che ella regna in inferno  (doue non èvirtùalcuna)quiuicflTendo cadi gate le fcc-   H »          rr n:i     n* DELLA RELIGIONE   leratczzc degli huomini fecondo i meriti & grandezze  loro.Quefla a Juque volcdo (colpire, ò dipingercglan-  tichija (aceuono con vna taflàin vna mano, che era la  gruatMgii r ‘ tta : & nella manca le dauono lo feettro , ponendola à  intubi u federe in vna Tedia nel modo, che l’hà figurata Hadria-  Giujìitia, no nc jj c f uc mC( J a gIi C- quelli che non hanno co-  gnitione delle cole antiche, l'hanno figurata nel modo,  che fi vede hoggi, cioè con la fpada & le bilancic,che fo -  no propriamente le infegne,con le quali foleua l’Equi-  tà cflèrcdifcgnatadagl’antichi.   TIBERIO.     BRONZO. BRONZO.      I      HADRI ANO- ALE X.M A M M E A.     »7     ARGENTO.     BRONZO.       Che l’Equità folle dipinta nel modòdettodi fopra,& E ^   in luogo dilpadacon vn corno d’abbondanza, li vede ta.  per le medaglie di Gordiano & di Filippo, non altriméti  che fi folle in limile modo il fimulacro della Dea Mone  rain quelle di Collante ,& di Diocleciano,con lettere,  che diccuono, sacra moneta avgvstorvm et nontuf *-   CAESARVM NOSTRORVM. fr< *     GORDIANO.   ARGENTO.     FILIPPO.   BRONZO.      «MITCJb     MS COSTANTE. DI OC LETI A N O.     BRONZO.     MED. D I T.   A R G E N     — Volendo t»TlmpcracoriRomani dare cimorc ài talli  £!$Z ficittori delle mon'ete,hlccuono in quelle (colpire le ima  perfori f, inj lorojconfidciando che non e cola che piu ìmpedll-   ZX. ca l'abbondanza de iviueciin vna -Città, quanto la mo- ‘  inugini nel nc rafalfa,aftcncndofi gl'huomini forcOicn di portami  u lormonc ^ j oro mcrc hantic:chec pure vn peccato troppo cnor-  me,chcgrhuomlnifalfificatori(portando fi gran danno  all’vniuerfale per vno vtile particularcjcorrópino quek   lo che        -irJP»       DE GL’ ANTICHI ROMANI. u*   Io che l'ingiuria dei tempo, nela terra, ne il fuoco non  hanno potuto ne {apuro guaftare.Et di qui nacque chei rrimuin  Romani crearono tre huomini,da loro detti T riumuiri, * te mone-  fopraie monete con autorità di fare battere oro, argéto  & bronzo, come fi vede per le medaglie di Celare Dit-     A VGVSTO   BH.ONZO.     L'officio di Macftri delle     monete era di guardare,& fa  reproua selle erano di buona lega, prima che farle fta-  pare,& poi ch'elle erano battute, selle erano di pefo : on-  d’io penfo che Aùgufto, volendo che quella buona vfim  za fi mantcneflc Tempre conia maelHdcirimperio Ro-  mano, ^erò lafirinflè a i Triumuiri delle monete quella  autorità accompagnata dalla poflànzade Tribuni, co-  me fi vede perle medaglie battuteda M. Saluto Otonc,  CaioPlotio Ruffo, &diuerfi altri.      t     ■>     UO della religione   AVGVSTO.   ' BRONZO. BRONZO.      Trouanfi anchora molte altre medaglie lenza l'ima-  ginc d’Augufto,per le quali fi conolcc quello edere vc-  ro,chc noi habbiamo fcritto qui di fopra,&maflìmc per  lcparole,chc accompagnate d’vna corona ciuica, dico-  no, avgvstvs tri bvnitja pot est a t e. & dal-  l’altro lato , AERE, ARGENTO, AVRÒ FLAVO FE-  RVNTO.   A V.GVST O. ~     BRONZO. BRONZO.      Pc       l'cr i quali tcftimonij chiaramente vergiamo che  tale autorità di fare battere monete , pcfarlc,& e {lami-  narle, apparteneua anticamente à i Tribuni , & mafiì-  tnc che tra le loro leggi fi trouano fcrittc cofi fatte pa- hrggi (fr _   role, TRIBVNI SVNTO DOMI, PECVNIAM PVBLI- ttnuirali.  CAM CVSTODIVNTO, &! più baffo, AES, ARGENTVM,  AVRVMYE PVBLICE SIGNANTO.   Erano tutti huomini da bene & virtuofi quelli, à qua •  li gl’imperatori concedcuono cofi fatto Magiftrato,  con pcrmifiìoncdi fare mettere nelle medaglie i nomi>  loro, per piùficurtà delle monetc,& perche il popolo  conofirefie quando &fotto quali huomini erano fiate  battute.Pur nondimeno mancò col tempo ( come fan-  no tuttel'altrc^quefta buona vfanza,& pallate le meda-  gliedi Claudio & di Neronc,non fi trouò neviddepiù  l’Equità dipinta con la bilancia in mano.     BRONZO.     NERONE.   BRONZO.     Soleuono tutti i buoni Principi & Imperatori Ro-  mani vifitando le Prouincic fuggette alloro Imperio   H 5     ua DELLA RELIGIONE   fare lcrcparationi per tutto doue erano neceflàrie,& fo-  pra tutto liuiHtarc Je monete , & farne battere dcllc :  nuouc per le Città principali in ogni regione. Ciò che  strabane, conferma Strabonc, quando ci dice, che i Principi Ro-  mani lèdono battere monete d’argento & d’oro nella  Luigixm- G*ttà di Lioneda quale cofa imitò Luigi mi. Impera-  perutorc 4 . tore & Principe virtuofo & bellicolb, amato da tutto il  Rrdì ma mondo, quantunque sfortunato fi trouafleneH’imprelà  che ci fece in Vnghcria. Somigliò molto quello buon  Principe Hadriano Imperatore, con ciò lìa che ei fece-*  a#aiviaggi,&nominòlcterrc principali, che egli hauc-ì  ua rillaurateal fuo tempo nelle fue monetc.Et ficomei  buoni Principi Romani ficeuono fcolpirc le* infegne  della Religione nelieloro medaglie,colì quello religio-  fó Imperatore mctteua nelle fue monete da vn lato vn  tempio con la figura d’vna Crocc,& parole che diccuo-  no, c hristi an a re Li ciò. & dall’altro , vna Croce  maggiore con qucllcaltrc parole > lvdovicvs impe-  rator.  MED. DI LVIGI IMPERATORE 1 1 1 iT  RE DI FRANCIA.   ARGENTO.      Non è molto tempo éhc vn lauoratore di terranei vafo piena  paefedi Lione, trouò lauorado vnltio campo, vicino à  vna tcrricciuola chiamata Anfa,vn gran vafo di terra troultoa'p-  pieno di medaglie d’argéto del detto Imperatore, delle  quali(haucdoncio vnaparte)mi e parfo non fuora'pro- Uour '  polito di moftrarne qui di Lotto lcflempio al Lettore.   ~ MONETA DI LVÌGÌ IlÌL ' ‘       Mone     li 4      MONETA DEL MEDESIMO.     ARGENTO.     tini   A' ri.       c icerone.     Volle quello magnanimo & virtuolo Principe (coli  valorofamencc operando, & facendo officio di pio &  catholico) moftrarcà i Tuoi fucceflòri in che modo fi  debbe imitare la virtù, honorare la memoria de gl'anti-  chi, portare riucréza alla R cligionc,tcmerc Dio, & ama  re la Republica& la Patria: Quello, che anchora ci ha  infegnato Cicerone dicendo, nel fuo libro della Natura  Diffinitio i- degli Dei,chc leflcrc pio none altro che la riucrenza  w dì vut*. c | ie no | debbiamo hauercà Dio, à i noftri maggiori, ài  pitturi de parenti,à gl amici,& alla patria. Quella virtù fu dipinta  da Antonino Pio in habito di Matrona, ò dona vedoua  conia fua verte lunga, vnturibulo in mano, chiamalo  da i Latini ^cerrafic dinanzi vnaltarc cinto d’vn fefto-  nccol fuoco accefo pcrfacrificare.   Antonino   Wt   -r.'- . JWjr . ' £ -pr •     Xttrr 4.     onci/        ANTONINO PIO. HADRIANO.   BRONZO. ARGENTO.      diariamente nel libro della Cita di Dio, dice chela vera  pietà non è altrochel’adoratione d’vnfolo Dio,creato-  re del ciclo & della terra, ribattendo & dannando l’op-  pinioni de gl’antichi Romaniche cglihauclfino inRo-  ma(comc afferma Prudcntio)tanti templi &alcari,quah indenti*.  ti penlàuono edere Dij nella Naturaci che tutta volta  fivcdechcnalceuada buona intentione, facendo que-  llo per religione : della quale cofa ci fan fede le meda-  glicdi Giulio Ccfare, di Pompeo, d’Augufto, di Vclpa- ln f egnt ^  lìano, d’Hadriano, d’Antonino Pio, & di Màico Aure- l* rtii&io-  lio,pienc d’antichi inftrumenti di religione, come d’vn  cappello,d’vn lituo, d’vn prcfcriculo, d’vn fimpulo,d’vn  coIccllo,chiamatoiVr^//vr,di taze & validi molte fort£  dequah (come cofa aliai nota) non bilognagià fare più  lunga mcntione.     j -     GIV.       ANTONINO PIO. M. AVRELIO.     argento. Argento.      PtlUdioii Da l’atto pio di religione, venendo à quello che fi  Tnia. debbe vfareinuerfo i padri, noi ne faremo qui fede per   lemcdaghe di M.Herennio, che portò fuo padre Tulle  fpalle,& per quelle di Cefare,doue fi vede Enea, che fi-  milmente portò Anchife nel medcfimo modo, portan-  doin manpil Palladio di Troiarondc Vergiliolcrifle,  ^At t>w ^ÀeneAs.     M. HE-     DE GL'ANTICHI ROMANI.     12.7     M. HERENNIO. GIVLIO CESARE.   ARGENTO. ARGENTO.       Quello medefimo ateo pio pare che habbia concefi.   Co la Natura infino à gl’animali bruti, onde veggiamo  che la Cicogna fofticne & nutrifee il padre & la madre vitti di u  nella loro vecchiezza: Cofa da farebene arroflìre , & c,f0 £' w *  vergognare gl’ingrati, che rendono male per bene ài  loro benefattori:& da fare adirare infino à Dio, al quale  temendo anchora di non difpiacere i Romani, fi vede vieti di  che fumo amorcuoli & grati fimilmente ne i proprij fi- «<« » nfa  gliuoli,& maflìme Antonino Pio,nel rouefeio d’vna  medaglia, nel quale fi vede la Pietà con due figliuoli in  braccio, & due altri ài piedi:Et nelle medagliedi Domi-  na, & di Sabina moglie di Traiano fi vede anchora la  Pietà figurata in diuerfe maniere.   Anton.     i ~     ‘ AV  -     ÌJÌ3K     fcl & *     l»,° ì'r*      iz* ANTON. PIO. M. AVRELIO.   BRONZO.     DOMITI A.   ARGENTO. ARGENTO.     S A BINA.      bronzo.             ' .Tv   DE G’LANTICHI ROMANI. izp   Per le medaglie battute di Titofigliuolo di Vefpafia -  no, fi vede la Pietà che mette inficine d’accordo i duo  fratelli Dominano & Tito, dandoli la mano l’vno ali ai  tro,pcr mofirare l’amore, il quale debbono duo fratelli  portare I’vno all’altro.       TITO.     B R O N 2 0.      ma.     Vlinio.   CLE-   MENZA.     Era il tempio della Dea Pietà in Roma, fatto da At- t mpio di  tilio fulla piaza,douc era fiata la cala di quella figliuo- ********  la, che haueua già dato la poppa à Tuo padre in prigio-  nc,conIafua fiatuachcriprcfenraua latto piccolo vlà-  to da lei, & col quale(comcdice Plinio) non fi può fare  comparatione alcuna.Et perche dalla pietà nafee lami*.  fericordia& la clcméza,hò giudicato. non fuora di prò-  poficoaccópagnarecon qucfti eflcmpli la cella di Giu-  lio Celare(comc quello ched’humanicà&di clemenza  pafiò tuttii Principi del mondo) ftampatain vna meda-  glia di Tiberio , aggiugnendoci vna Temenza antica  degna d’efierclcritta con lettere d’oro, fi come era in vn BcUifiima  marmo, che diccua ,nihil est qvod magis ftntmùu   I     1      DECI AT PRINCIPEM QVAM LIBERALITAS ET   ole menti a. Etnei vero,non è cofa nel mondo piu   E retiofa & piùconueneuoleà vn Principe che la libera-  ta & la mifcricordia.     TIBERIO.   BRONZO.     V I T E L L I O.   ARGENTO.       Da quelli atti pij inuerfo la rcligione,il padre, la ma-  drc,i parenti & la Patria,proccdc poi l’eternità de nomi  di coloro, che fono fiati tali,fi come ci hanno dimoftra-  to i Romani per ifimulacri delle loro vcttoric, perle  fcftc & giuochi fccolari, penanti magnifichi & ricchi  templi &cdifitij, ne i quali faccuono fcolpirc f Eternità  come vna Dea in habito di matrona, con vn’hafta nella  man dritta,& nell’altra vn Corno d'abbondanza, & il  pie manco (opravnglobo.Alcuni altri l’hanno figura-  ta con due teAe in mano, fi come fi vede in vna meda-  aliad'Hadriano,   ° Tito    TITO VESPA. FAVST1NA.      rii. Et Filippo Imperatore riprcfentò l’eternità ne i fuot  giuochi Secolari fopra vno elefante^ quale fignificaua  vna longa & cjuafi eterna vita. I Romani la difpinfero  con duo elefanti, & alcune volte conduolioni cnetira-  uono il cirro de glImperatorc> o Imperatrice eh crano>  fiati deificati.     W     I x      TER-  RA.     Gl' titubi  ftcnficaut   noi la ter-   T4.         : TJt     GfVLIA PIA. FILIPPO.      E* certo,cofa molco difficile (confìderato il numero  fìgrandedcgli Dij antichi) di potere crollare Je meda-  glie àpropofito di cutrùpurc fermando la mia imprefa,  io m ingegnerò di ripreientarci tutte quelle, nelle quali  furono figurati gli Dij.ò Dee à modo loro, che portor-  noqunlche vrilcalIJuimana natura, come la terra, alla  qualcfc ono vn tempio, & in luogo che a' glabri Dcifà-  crificauono con l’inccnfo J & altri buoni odori, à quella fàceuono fàcrificio de femi, eccetto che delle faue, & al-  tre colè aromatiche : là onde per la medaglia che fece  ftamjxtrcCómodo in honorc della tcrra,fi vede che ei la  fece a giacere in terra mezza ignuda , come cola ftabilc  con vn braccioappoggiato (opra vn vafo,dcl quale efee  vna vite,&con Tauro ripofà fopra vn globo celefte, in-  torno al quale fono un. piccole figure che le prefenra- '  no TvnadclTvuc, l’altra delle fpighccon vna corona di  fiori, l altra vn vaio pieno di liquore,*: l’vltimac la Vct-  toriaconvnramodi palma & lettere che dicono, te l-  tvs stabilts, lignificando che tutte quelle cofechc  la tetra produce/onoper lavitadelThuomo.     MEDAGLIONE     CO M MODO.     Perhaucre affai lungamente trattato delle feite Ce- C e r e*  reali nel mio libro dell’Antichità di Roma, io non nc RE *  parlerò qui altrimente, contentandomi folamétc di met  tcrc innanzi il rouefeio della medaglia di C. Mcmmio c nummi»  Edile Curulc, nella quale fi vede Cerere che hà in vna ^naltQt  mano tre fpighe,& nell'altra vn torchio accefo, &il pie rc»u.  manco fopra vna ferpe, con parole che dicono , mem-   I 3 MIVS. AEDILI5 C £ R. £ A L I A PR.IMVS F E C I .tJ   Ma per altre medaglie tanto diVoltcio,chedi Panfa, fi  vede femprc Cerere con due torchi nel fuo carro, tirato  da due lerpi.Etin due altre medaglie fi trouacon la ve-  de alzata, con due torchi, & à i piedi la manica di Tara-  ti porto co tro,& nell’ altra ilporco,òla porca, che gli antichi le fo-  enrere. * Ictiono racrificare,pcrchcguada le biade: onde Ouidio  haferitro,   Prima Ceres grauid* gauifaejì fanguine porca, i   Ulra fuas merita cade nocentu opes.   debutiti ^ comc cra p cr mcdh d’ammazare il porco, coli era  fcfo fra li proibito d’immolarei buoi nellàcrificio di Cerere, per-  Roawni. chelauorano Se non guadano i beni della terra, onde  ouidio. Ouidio xiel 1 1 1 1. de Fadi fende anchora,  kA bone fuccintti cultros remouete minijìri:   %os aree, ignauamfacrijì care fuem.  lAptd mgo cern ix non efl ferienda fecuri:   ZJiuaCi&J in dura fape laboret humo. *   «   Ve. ME     MED.     h Óf>ì » »         ùueihi Cerere e la Pace, con ciò  lìache la guerra porga impedimento al lauoratore di  coltiuare&lcminare i campi, eflendo conrtretto di fug-  girli &faluarc dentro ài bofchj.,0 fu per i monti i Tuoi  beftiami. Quello che Umilmente ha bene fcrittoOui-  dio nel u n. deludi Farti, doucei dice,   Pace Cerei Uta \os orate coloni  . ‘Perpetuam pacem,pacifì cum <jue Z)eum.   EtTibullo quel medelìmo nella x.Elegia>   Intere a pax ama coldt,pax candida p)   Z)uxit aratura fub tuga curila boues.   Et poco piu difetto,   ‘Pace bidens fornir yue Vigent-jit trijtta   Stillini in tenebra occupat arma Jìtics.   Quando gl’antichi dipingcuono la Pace col Cadu-  ceo, vi aggiugneuonolcfpighcdigranojil corno d’ab-  bondanza, lignificando che la Pace era quella,chcf ce-  lia multiplicarc il grano & le frutte per la vitadcU'hua-   i  , - \ I 4   uloitioJ -     PACE.  L4 guerra  contraria à  Cerere.     Ouùlio» ’i   h t%J*v     Tibullo »     BACCO.   Il buco fi  reificato ,   Bieco. mojondc il raedelìmo Tibullo nella x.Elegiaparimen-  tc dille,   ^irnobispax alma y>eni,Jj>icdmejue tenero,   ‘P erfluat pomis candidai ante [mot.     OTTO.     ARGENTO.     VESPASIANO.   ARGENTO.     Et lì come Cerere haueua la corona di ipighe per in-  fegna,& per vittima la T roia,colì al atdrc Libero, altri-  mente detto Bacco, lì ponetiaintcfta Ta corona d’Ellcra,  & il becco à i piedini quale gl era £acrificato,perchc gua-  ita le vignc,ondc Virgilio dille,   Saccho caper omnibus ari*   Caditur.   Et nel rouclcio della medaglia di Molò lì vede vn  faccrdote col Tuo habito innanzi à vn’alrarc riucllito  d’vn fellone, che con vna mano tiene il Jituo,&: con l’al-  tra il lìmpulo con vn becco innanzi,tcnutoda vnmini-  llro per lacrificarlo.Etio tra l’altrc mie cofc ho longua-  menteferbato vna Corniola antica, nella quale c vn Sa-  tiro , che conduce vn becco fuiralrarc,doue e il fuoco  aCccfo per lacrifìcarlo allo Dio Bacco.     Corniola      «57  CORNIOLA ANTICA.     f 'Wm.   ir ■   Ma perche   di Bacco in diuerfe manicre,come farebbe à dire, in for- e «to'.  ma d'vn fanciullo che abbraccia vn grappolo d’vue,&  vn'altra volracome vngiouane co vn ramo di Pino, nel  modo che fi potrà vedere nel libro, che io ho comporto  in Latino delle Imagini de gli Dei antichi:però mi e par  fo di ripreientare qui al naturale il piccolo Bacco di  bronzo,chc ioguardo(comc cofa fi ngu la re & arti fitio*   f à)tra le mie ftatuc & medaglie antiche.    l'iCLOLO MMOLACRO DI BACCO.     d’antichi lo leuono dipingercilfimulacrò .     Ciltuv. il     V      Vogliono gl’ancichiffigurado Bacco in quello modo)  lignificare che vn'huomo troppo fuggetto al vino,diué-  ta limile à vnfanciuIlo,chcnon fa quello clic fifa. Tro-  uomi anchora due Niccoli antichi, i quali riprefentano  quello Bacco ignudo con vnbaftoncin manometto da  i Latini Tyrfo,& nell'altra vn grappolo d’vuc,& intorno  kMcIto' a ^ r,lcc *° vni P e ^ c di Tigre, animale particularmentc  Bièco. 0 4 confacraro à Bacco.Et quanto alle Baccanti , ò Bacchi-  dc,o Mimalonidcschc cclcbrauono la fella di Bacco, io  ^ ne metterò qui fotto l’eflcmpio d’vna medaglia Greca,   & M , chegiàmi donò M.Giulio di Calcftan da Parma ,gran-  - • • diflimo amatore delle cole antiche idoue da vn laro c  Bacco incoronato d HeIIera,& lettere Greche, chedico-  nó avì un, cioè libcro,& dall’altro fono le Baccanti,chc  ballano, facendo vn prclcntc à Dionifio (chccofi ancho  ra era chiamato Bacco)con vn fuoco, in fegno di facrifì-  cio , & lettere che dicono aiowvio acpds. che vuol  dire, Donod Dionifio.   • ••••’. .• • » i ,* * *" ,   NICCOLI ANTICHI.     Medaglia     . m  MEDAGLIA GRECA.     ARGENTO.      Et per glabri due medaglioni di Bacco porti qui di  fiotto, dequali vno e di Nerone, & l’alerò d’Antonino  Pio, fi vedrano lefefte Baccanali, &vn Bacco nel Tuo car buccmmIì.  rotiraroda d ue Pantere (animali dedicati à lui) accom-  pagnato de Tuoi Satiri con tutto il Tuo mifterio : & qual-  che volta per due tigri, comcdice Propcrtio , parlando  d'Ariadna rapita da Bacco,   Lynciius in c*lnm \c&d \ArUdna. tu'u.   Et per le medaglie di Filippo &di Gallieno fi vede  anchora il tigre, il qual ripreienta Bacco, con lettere che   dicono , LI BERO PATRI CONSERVATORI A VQV-   - sti, rimettendo il lettorcal mio primo libro dell’Antichità di Roma,doucpiù lungamente io hòdifeorfo di a J   querti Baccanali. , » .   V , ME ' - 1   . ’»t   4 - k     140     V     km     LIBERA-   LITÀ.   XAuitdeU   Oberatiti.      FILIPPO      MEDAGLIONI.   NERO. ANTONINO PIO.     Si come daCcrerc]& Bacco nalce l’abbondanza d’o-  gni cofa,cofi dall’abbondanza dipende la liberalità, Dea  delidcrata & cara acuito il mondo , la quale tira à le il  cuore dcH'huomo.comc la Calamita il ferro, tanto che  lìnoà quelli che habitano nelle eftreme parti del mon-  do per la loro liberalità ne vengono lodati, anchora che  non lì fpcri cofa alcunadaloro:!! come vituperati &in  poca Rima fono quelli , che fono tutti lepolti nella loro     GALLIENO.   BRONZO     auaritia.Là onde fé noi porremo ben mente allo fplcn- Liberalità  dorè della liberalitàdi Celare, d’Augulto, di Tito,di Vef  pafiano,di Traiano,&d’Alcflandro di Mammca,trouer  rcmoch’ei dura infino a hoggi, ne hard forza il tepo che  fi fponga mai : della quale cola fé alcuno dubicalfc, va-  da à leggere Tranquillo, & vedrà come Auguftohauc- sartorio  ua per vfanzadi diltribuirc fpefl'o al popufo Romano  vnagrandiffimafommadidan«iri,dai Latini chiamata  Congiarium , da Tofeanila mancia, & dai Franccfi larghe  zarlc quali quando fi dauonoà i foldati, fi chiamauono  Donatiuojcomc fi vede in più luoghi nel libro di Taci  to,douc parlando di Cefarcgiouanedice,0»^/Wr///»7^.  pulo,Z)onariuHm mtlitibus iedit.'Hc mai mancòquefio li-  beralifiimo Principe nel Tuo Imperio, che palio cin-  quanta anni, di donare quella mancia, dilhibuendot.il  volta xxx. piccoli feftcrtij per huomo , altre volte x l.   & altre volte, e CL.comediceSuetonio , tantoché non  crafanciullo(purccheci pallafic xi i. anni) che non ha-  ueffe qualche colarla quale vlanza fu conferuata da tut-  ti glabri Imperatori buoni &cattiui,chc voleuonoha-  licre lagratia del populo Romano ,come fi inoltrano  le Medaglie di Commodo, di Ncronc.di Tito, di Traia-  no, d’Hadriano,d’ Antonino Pio,di M. Aurelio, &: dimoi  ti altri, i quali tutti farebbono tropo lunghi à raccon-     Congiario .     Liberalità  di Augufto  Ce fare.     tare.     TI     IV     t/i        liberatiti  di il. Aure  Ito .   Pittiti* de  U Liberati  ti.     TITO. TRAIANO.     BRONZO. RRONZO.      La maggioredillributioncnon Ci faccua croppafpcf-  fò,mala minore fi benc,comchà {cricco Succoniordalla  quale liberalità cofi vfacainuerfoilpopolo,nafceua che  Ipefio finoà i cacciui Imperacori erano màtenuti in ilia-  co &difefi da lui,& da foldaci nella pacc,& doppo hauc  rcccrminaca qualche pericolofa & difficileimprefa, nel  quale ccmpoquafiordinariamcnccdauono quello con-  ciario, & faceuono quello donaciuo. Onde era le mie  medaglie io in ho vna di M. Aurclio,doucfi vede che egli  baucua vlaca quella liberalità già fecce voice, figurando  nelrouefcio di detea medaglia la Liberalicà,vellita d vna  velia funga,. come falere Dee > con lettere che dicono,  liberalitas avgvsti s epti m a. nel modo che  anchora fi vede nelle medaglie di Gordiano minore, &  Tacito Imperatore con altre limili parole, cioè, li b e-   RALITAS AVGVSTI T ERTI A ET QVARTA, CÌÒ   che anchora fccionoin vna altra maniera Filippo il pa-  dre & figliuolo, come fi vede per le lor medaglie pólle  qui appreflo.     M.Au     DE GL’ANTIC HI ROMANI.      *43   M. AVRELIO. GORDIANO.   BRONZO. BRONZO.     tt nella medaglia a Adriano &: d’ Alcflandro Seuero Liberatiti  fi veggono ìin.figurc, onde la maggiore è quella dell’- dl 0 Had J]ff  Im pcratoreà federe fopravna Tedia, con vnruotolodi [miro. *  carta in vnamano,& con l'altra moftra di donare qual-  che cofaà vno,chc fi prefenta innanzi àlui:la qualità &   Comma della quale,parc che fia figurata per i punti, che  fi veggono notati nel rialto doue ci tiene i piedi,! quali fa  cilmente potrebbono cflère il numero de feftcrtij:& l’al-     tro     FILIPPO PADRE. FILIP. FIGLIVOLO.      i44 DELLA RELIGIONE  trochemoftradilalire, e colui che riceuc il donatiuo  conlimaginc ritta della Liberalità da vn lato, che tiene  vn Dado in mano con limili parole, liberalità*   a ve v s t i ;     \     Dentizio-  ne di nobili  tì.     HADRI ANO.   BRONZO.     ALESS. SEVERO.   BRONZO.      Ugge de  Macedoni/-   Ugge delle  Amazzoni,  crdrglt Sey  ti.     Il Dado, portato dalla Liberalità, è tanto conofciu-  to,che io non ne parlerò piu oltrc,dcliderofo di moftra-  re che la liberalità nafee da nobilità di cuore: la quale co  là fola ha cauGito che i nobili virtuofi fono (lati hono-  rati comegiufo, onde c vfcitalapoflanza reale,& tutti  gli altri principati, che mediante la Giu fona & l’Equità  hanno mantenuti i loro fuggetti 3 6r quelli difelì dai loro  nimici.Di qui nafee che tutti coloro , che afpirano alla  lode & alia gloria, li danno volentieri all'eflcrcitio della  guerra, per eflèrc tanto priuilegiati:ondeiMacedonijfo  leuono condannare colui àportarcvna corda in luogo  di cinturaci quale no hauefle fatto qualchccola hono-  rcuolc alla guerra. Alle Amazzoni non era permclTo  maritarli , fe prima non haueuono fuperato vn loro   nimico.      i 45  nimico. EttragliScyti non era lecito a perfona toccare  la tazza òvafovfato nei facrificij, che non hauc/Tc alla  guerra meritato qualche honorc. Di tutte quelle cofc  fanno fedele hiftorieRomanc,douefi leggono le qua-  lità de premi) che fi dauonoà coloniche haueuono fat-  toqualchc fcruitio alla Rcpubl.come erano le corone c " 0 "'  ciuichc,Ie trionfali,Ic murali, & le nauali,infieme con ti- KomLi.  toli,cpiteti Sellarne, che fàccuono fede della virtù loro:  onde non c da marauigliarfi,fe Roma venne in coli fat-  ta grandezza, poi che di grado ingrado dTaltaua & ho^  norauai Tuoi foldati, fino alla dignità dell’Imperio,& il  Confido ò Imperatore riftoraua il buon foldaco con ca-  tene d’oro,maniglie, corone, & ricchi fornimenti dica-  ualli,fi come moltra vn’Epitaffio che fi vede in Turino,  inoltratomi già dal Symeonc,il cui tenore è quello,   C. G A V IO L. F.   STEL. SILVANO  PRIMIPILARI LEG. Vili. A VG.   TRIBVNO COHOR. II. VIGILVM  TRI B V NO COH. XIII. VRBAN.   TRIBVNO COH. XII. PRAE TOR.   DONIS DONATO A DIVO CLAVD.   BELLO BRITANNICO  TORQVIBVS ARM1LLIS PHALERIS  CORONA AVREA  PATRONO COLON.   D D   Et fi come dei buoni Temi nalcono anchora i buoni  frutti,cofideglihuominivirtuofinafconoinobili,purc  che fianoeflercitati nelle lettere cneH'armi:lequali qua-  do fono accompagnate infieme, fanno chela no bilità fia   K     Cicerone.  Dichiara-  tione delti  nobiliti.     Tlinio.   Cornelio   Nipote.     Tullio.     luuenale.     Annotile.      perfetta & duri fiempiternamentc.Stimauafi amicameli  te la nobilita che nafceua dalla gcncrofità del fanguc,di-  fcgnata da Cicerone nelle fue Topiche à qucflo modo,  C tntile s fune, qui inter fe todem nomine funr, quia! ingenui s  oriundi funr quorum maiorum nemo feruitutem feruiuit,qui  capire non funr diminuti. La quale definitionc dice Tul-  lio edere nata daSccuolaPontefice,&io l’hò intcrpreca-  ra in quello modo, Nobili fono coloro che ha no vn me •  defimo nome, che nafeono di padri & madri liberi, glan  tichide quali non hanno mai fcruiro,nccambiato di (la  to,conciò fia che la mtitatione faccia perdere la nobili-  ta & la gctilczza , la quale gl'antichi riprefentauono per  leimaginijdaloro portate nelle pompe funeralide loro  maggiori, come recita Plinio nel xx x ix.librodeUHiflo'  ria naturale , Se Cornelio Nipote nel libro de gli Huomi  ni illuflri.il quale parlando di Portio Catone òìcc, Ima-  go buius funeri* grati* producifolet. Della quale oppenione  canchora M.Tullio, Se gl’antichi chiamorno tali ima-  gi ni Stemmata, come fi vede in lu uenale, quando beffan  doli di tale nobilita fienza l’operc nobili, dice.   Stemmata quid ' fucilanti quid prodejl Pontice longo  Sanguine cenferifè) pt&os o fendere vultas  Jrfaiorum?& fante s in curri! us ^AemilUnosI  Ariflotilc nondimeno nclv.libro della Politica dicc,che  nobili fono coloro, i preccfTori de quali fono flati, ò ric-  chi,ò virtuofi:effcndolc ricchezze neceffarie per foccor  rere la Rcpnblica,&vfiarelalibcra!ità, la quale fenza la  ricchezza non può flare.Etfc qualcuno domadafleche  differenza c tra la nobilita d’AriflotileSr di Sceuola, tifi-  pondo, che Ariflótile domanda la ricchezza, &Sceu ola     non:   nonrattclochc la nobilita può viucrccon la pouertà:  benché col tempo poi(volendofì palcerc di quello fumo  di direche fono nobili) fi muoiam di fame : onde nafee  che gli antichi faui hanno Icritto che la vera nobilita  condite nella virtù,comc quella, alla quale non può mai  mancarc:& quello è quello di che ragiona luucnale, di-  cendo:   Tota licet Veteres exornent indizile cera  tria:nohiliras fola efyOtque Vmca v ireos.   Conciò lìachcl’huomovitiofocheprcdicalafua nobi-  lita, mediante i fattidefuoi antccclTori,condannafeme-  delìmo,non fendo egli virtuofo,& lì può dire di lui quel  locherifpofe Anacarfeà vn’altro che lo chiamaua bar- Rìjpofta  baro,& nato nella Scytia,chc fu tale, la mia patria ****&&   COME BARBARA MI ARRECCA QVALCHE 1 N-  f AMIA, MA TV FAI D 1 S H O N OR E ALEA T V A   che e' tanto nobile et c e nti l e. Circa  che bifogna conchiudere che la vera nobilita c quella, g*  che procede dalla virtù propria, nel modo cheproua  Boetionelm. libro di Confolatione,doucei dice,^?#^   Jì quid ejl in nobilitate bonumjd arhitror effe folum,vr impo-  rta noi? dii us necefuudo vide a tur, ne a maiorum V ir tute dege-  nerent. il quale propofito feguita dicendo,   TJmu enim rerum pater ejl,   XJnus cuntta mmiBrat-.   J Ile dedir Tinello radiati  Dediti cornua Luna:   1 He h ornine s & ferri*     Omne liumanumgenus m terris  Similifurgit ah or tu.      K i     i 4 »  Dedit fè) fiderà Calo:   Hic claufit membri! animo s  Celfafedepetitos.   Mortale! igitur cunBos  Edit nobile germen.   Quid gentts féj proauos Jlrepifù ?   Si primordia 'vejlra  ^yiutorénujue Deum fieftes,   Nullus degener exrat ,   Ni 'finn peiora fouens  ‘Propriumdeferat ortum.   Parmi d’aucrtirc qui il lettore della differenza eh ed  tra nobile & generoforcon ciò fia che A riftotilc nel prin-  cipio dell’Hiltoria degli animali,fcriue che nobile è quel  ladifftren lo che c nato di buona razza, & colui gencrofo che non  ** traligna dalla fua razzala buona , ò cattiua , allegando   fccrii gt l'eflcmpiodcl lupo& dcllione. Il lupo (dice egli) farà  ne ^[ 0 '. chiamato generofo, ma ignobile.Gcnerofo, perche non   deihpò ©• digcncra dalla fua cattiua razza:& ignobile perche egli e  ieliiooe. nato di cattiuo feme.Ma il Itone lì può dire nobile & gc-  nerofo inficme.Nobilc,perchcè vfeito di buonfeme, &  gencrofo, perche non digcncra dal fuo femeronde nafee  che fi comclc virtù dell’animo meritano d’eflcrc lodate  con parole, l’opere virtuofe richieggono d’cficrc hono-  ratecon i fatti.Cocludédo chcegli è impoffibile che vn  principe, fia gràde quato vuole, poffa nobilitare vn’huo-  mo che vuole edere villano : laqualc nobilita ci ha aliai  bene dichiarata in vna fua medaglia Antonino Gcta,  figliuolo di Seuerojhaucndo fatta dipingere la nobilita  inhabitod’vnaDonnada benc,conlofcetrro nella mano dirirra. & nellamanca il fimulacro di Mincrua , per  inoltrare chelarmc& lelcccerefonoduccofe ccccllcn-  'ti/dallcquali debbe Tempre eflcrc l'huomo nobile ac-  compagnato.     GETA     O     natura tegli huo.miiu e la no - genio»  pinta conieruata&.crc(ciuta, però non fàràimpertintn-  tetrattarc anchqra qualche colà dello Dio di Natura, G°iró d io  chiamato dagl antichi Genio, & il quale ftimaronopa-  dredegli huomini,& figliuolo diDiorpenfandoncllalo  ro rèligiòncehc ciafcuno haueffe particolarmente vn ge  nÌGk& vno intelletto diuerfo Se propriojcomc lì vede per  la medaglia di Nerone, nella quale òlcritto, genio a v-  cvsTijin quelle d’AntoninoPio, genio senatvs,  in quelle di Collantino, genio pop vii rom ani^   in quelledi Claudio, genio exerci t v vMrfigù- ^ ^ ^  randolo mezzo vcllito& mezzo ignudo, con vno altare ^io.  innanzi A: yiì fuocojvna tazza nella manodiritta, & nel- ,• - ;; » j  l’altra vn Corno d’abbondanza, nel modo che Thà dipia to A m rhi ano Marcelli no nel xxv. libro che egli ha fatta  'di Giuliano Imperatore..   " K *     •n      ANT. PIO,   BRONZO.     NERONE   BRONZO.     COSTANTINO     CLAVDIO  Scriuc Ccnforinoncl libro da lui fatto De die nau-  tiche (ubico che noi nasciamo, noi fiamo accompagnati  da vngcnio,chcciconducc,guarda & non mai ci abbati  donna. Altri hanno detto, & maflìme Fiacco nel lib.chc  lares. cilafeiò à Ccfarc de lniigitdmtntìi>che Lare & Genio era  b KtUde. no vnamedefima cofa.Et Euclide vuole che ogni huo-  mohabbia due Lari, cioè l’vn buono & l’altro catriuo,  chiamado il buono Larc,&: il cattiuo Lemure, come noi  hoggi anchora diciamo buono Angelo & cattiuo;à pro-   { jofito dei quali Icriuc Plutarcbo nella vita di Bruto } chc  a notte mentre che ci penfaua con vna lucerna accerti  alle facccdc della guerra jgl’apjjarfc vno fpirito in for-  ma d’vna perfona tragica, & più grado che il naturateci  quale fubito domandò Bruto (comehuomo intrepido  che egli era)chi egli folle , ò quello che ci cercaflc , & che  quello rilpofc,Io folio il tuocattiuo Genio, il quale tu ve  drai à Filippo:di che non punto fpauctatoBrutogli dif-  fe,Adunqucti vcdròioinquelluogoul che auennepot  innanzi eh’ eimoriflc:& di quella mcdelima oppcnione  fono flati & fonoi noftriTcologi, cioè che noi flamo  Tempre accompagnati (cornee detto) da vno Angelo  buono, che ci guida al bcne,& da vn cattiuo, che ci mena  al male.Platone parlando di Socrate loleuadire,chein  lui era vno fpirito, ò Genio particularc & diucrlo da  glaltri-Nel tempo de Romani non era lccito(comelcri  uc il Iurifconfulto fotto il titolo T)e \ erborarti oUigationi-  bus) di giurare per i Lari, ne per il Genio del Principe, ri-  putando qucfto giuramento grandiflìmo, però chefàcc-  dolo& fapendofl, erano puniti graueméte, laonde rom  peuonograntichi più torto il giuramento fitto fotto il  nome d’ogni loro Iddio, che Torto il Genio del Principe  lorojlìcomehàmoftro Tertulliano nella Apologia da  lui fatta contro à i Gentili, &Ouidio parlando della cu-  ra che hanno di noi i noftri Genij,quando ci dice:   Et vigiUntnoJìnt frmper in \rbt Ldres.   Da quelli Lari fuchiamato Larario quel luogo à par-  te &fcgreto nelle cafe,doue gl’antichi adorauonoiloro   K 4     >5*   Lare c r  L( mure-   Buoni c r  canini fal-  liti.   Genio appi  rato 4 Bru-  to.     P Ul*     Difefo di  giurar per  il genio de  t'imperato,  re trai Ro-  mani.     Tertullia-   no.   Gnidio,      f$i,   Xf tjfmdro Dij domcftici & particulari,il che hà confermato Spar-  baHfMin tiano, quando nella vita d’AlelIandro figliuolo di Mam-  fui Urtino mea, dice che egli haucua nel luo Larario l’imagine di  GUfuchrf- Giefu Chrifto con quelle d’altri Dij.Ne è molto tempo  fio. che in Lione fui monte della croce di Colle fu trouara   vna Lucerna ant cadi bronzo che mi fu donata , nella  quale erano fcrittc coli fatte pa rolc, l a ri b v s sacrvm . 1  con altre più baflc,^ più piccole, che lignificandola pu  blica felicità de Romani, dicono, p ve lic /e telici*  tati ro m a n or v M,nel modo che lì vede qui di fottoi   ' ~LV CE jTiTJl JL KT1 '   di H ronzo , trovata in Lione Canno      LARI B V S   SACRVM  P. F. ROMAN.     Stima        5 r 153   Stimarono gl’antichichei Lari follerò figliuoli della iUri pgiil  Luna & di Mercurio, come fi vedeindiuerfi Autori , la «oli di uh  quale oppenione mi porge materia di parlare di Mer-  curio lecondo la Teologia de gl’antichi , che volcuonò mercv-  che la ftella di quello Pianeta facelle gli huomini elo- R 1 °*  ìquenti &grAmbalciatori,maflìmamente quando egl( stella dì  èra congiunto col Sole & con Gioue,comeper contra-  rio volcuonoche ci folle dannofo cficndo accompagna  to da Martc,ò da Saturno Et lacaufa perdici Poeti nan  ilo attribuito à Mercurio Ambalciator de gli Dei il ca-  duceo, il cappello chiamato Galero da Latini, & laiicaf  capo & ài piedi, è, pcrchevolcuono lignificar, che fico-  me vn’vcccllo vola leggiermcntepcr l’aria, coli la paro-  Jafàcilmcnte efee della bocca d’vn’huomo eloquente.   I Greci lo chiamornoe PMH2,cioé interprete , ò Tur- uermet.  cimanno,&Dio della Mercatura, perche le parole fo-  no quelle che fono mezzane d fare comperare, ò vende- menadi»-  revnacofa. *'•   a 7 r ~~"   N T O.      coprilo di Plauto nondimcmo & glabri Icmtori più antichi  Mercurio hanno chiamato il cappello Pccafo, come fi vede perle  ntafo. Icntture di piu marmi antichi che dicono, cvm m e r-   cvrio petasato, volendo lignificare cheli co-  me il cappello cuoprclatcfta,cofi le parole fcruono per  coprirli & giuflificarlì contro alle falfc calunnie degli  huomini maligni & inuidiolì. Altri hanno detto, che  quello cappello lignificauache vn buono Ambafciado-  redoueua goucrnarli nelle fuc faccédc fegrctamente:&  il Caduceo che Mercurio ha in mano,Ia pace che il piu  delle volte lì tratta per mezzo d hu omini eloquenti, co-  me lì vede in diuerle medaglie de glantichi.   V E S P A S l A N O. FOSTVMO.     ARGENTO. BRONZO.   ylìnio Della lignificatione delle dueferpi intornoai Cadu-   ceo ha Icritto Plinioallài diftefamentc,& però io (come  cofa fu peritinola) rimetterò il lettore à quella lezione:   . . & pcrfaperncla fauoIa,àHiginio, il qualenel Tuo libro   t adirò in Agronomico ha fatto il medelìmo, confermando che  f'gnadip*- J Caduceo fu concedo à Mercurio in légno della pace:  ~ ‘ " " la      i 5f   la quale volendo dipingere gl’imperatori nelle loro  monete,&moArarecncei n’erano flati autori,faceuono  battere nelle monete la Dea di Felicità, con vn Caduceo peuci-  invnamano,&neira!travncornod’abbondanza,figni- T A -  ficandochc nella pace publica non fi (ènte careflia.   G A L B A. " TITO.   BRONZO. BRON ZO.      Ne i Comenrari j di Celare fi troua fcritto che i Fran-  ccfi adorornoMercurio/rome inucncore di tutte Farti,  & guida de camini , (limando che egli hauefle gran pof-  fanza per fare ricchi i mercanti, ciò chcconferma Plinio  nclxxxnii. libro dellHiftoria naturale, parlando de  coloflì&ftatue antiche, & doueei dice, che Scnodoro  haueuanel Tuo tempo Superato in grandezza di fiatue  tutti glabri fculcori,haucndo inx.anni fatto in Auuer-  nia quella di Mercurio d'altezza di c c c c. piedi.Solc  uonooltreàqucflograntichi attribuire il galloà Mcrcù  rio,figni beando che i mercanti debbono edere vigilati  ti&folliciti lamattinaàbuon’hora, volendo arricchire  &farc bene le faccende loro. Tra le mie pietre antiche,   io ho     Mercurio  dorato da  franctjì.   Plinio.     Scnodoro  fcultor ec-  ctUauifii.  mo.   Statua di  Mercurio  fatta in  AuMernia.        ij<r    io Ho vn Niccolo &dùe Corniole, ncllequalrfono le fi-  gure di Mercurio. Nel Niccolo fi vede con vna boria  in mano,& nell’altra il caduceo. Et nella Corniolaàfc-  dcre fopravn granchio marino: con il caduceo in vna  mano, & con l’altra tiene l'vno de piedi del granchio;  col cappello in tefta.Per Mercurio c fignificata la paro  Ja,& per il granchio, che i mercanti non fi debbono af-  frettare nelle parole, ne (penderci loro danari fenzacon  fidcratione.        I fi     s /   * < /.r       V      i > 7  Sono (lati alcuni altroché hanno detto che l’eloquen  zà fu attribuita à Mcrcurio,pcrelfere (lato ii primo che  haueua ordinate & meflè le parole inficine per ifprime-  fei concetti della mente, deformare vna bella oratione,  ncceflaria à gl'Auocati & Procuratori , & pero dille Vi-  truuiocheil fuo tempio lì doueua edificare preflò alle  piazze.   Grande fu certamente la curiofità & fupcrlìitionc de  gl’antichijvolendoche Gioue finalmente fignificaflè il  ciclo, &Giunone l’aria, per cflerecofi vicino l’vnoallal-  tro:Nettuno il mare:&Plutonela terra, 8c che la mo-  gi ie di Netruno folle Salaria, & quella di Plutone Profcr-   1 >ina,fi come Giunone di Gioue, alla quale attribuirno  a cura delle Donne grollèjinuocandola in quel tempo  cheell’crano vicine à partorire , & poi che il figliuolo  era nato (come Diodoro afferma) lalciandone la cura à  Dinna,ncl modo che fi può vedere per l'hynno fatto da  Callimaco in honore della Dea. Et quando le Donne  Romane che non potcuonoingrauidare,voleuono ha-  uere figliuoli,cllc andauono al tempiodi Giunone,chia  mata Luci na,douc llaua vn facerdotc detto Lupcrcalc,  che fattole fpogliare tutte ignude & dillcndcre in terra,  le pcrcoteuacon vna sferza fitta di cuoio di becco,co-  me fi vede per le medaglie di Lucilla : ne i rouefei delle  quali fi vede Giunone à federe in habito didonna ve-  douacol fuo lecttroinmano comeRcina,& nellaltra  vna sferza & lettere che dicono ,ivnoni lvcinae.   Lucilla     Menurio  Dio d’rio '  quenza.     Vitruuio.     GIVNO-   NE.   Giunone * -  iutrice de  le dine gr 4  uide.   Diuotione  de le donne  Romane 4  Giunone  Lucina»     *J«     DELLA RELIGIONE  L VC I L L A~   BRONZO. BRONZO.        cerimonie Quando quelli facerdoti Lupercali corrcuono per  dt faccrdo- mezzo le llradc, erano tutti ignudi,eccctto le parti vcr-  t« Lupcrca- g 0 g no f ejC h c erano coperte di pelli di beccbi,llati faenfi  cati fu l'altare di Giunonc.Et delle coreggie che haueua-   no        Era pure grande quella luperllitionc chele Donne  Romane pcnlalTino (clTcndo coli battute da ifacerdoti  di Giunone) d’hauereàingrauidare,&chc la felicità piu  grande era di hauer molti figliuoli, come fi vede perle  infraferittte Medaglie.   FA V S T I N A. GIVLIA M A MME A.   ARfitNTO. BRONZO 155  no in manoandauono pcrcotcdo le mani delle Donne  che le norgeuono loro per ingrauidarc. Era qucfto  luogo chiamato Lupcrcale nel palagio di Roma, & de-  dicato allo Dio Lupino, chiamato altrimenti daiRo-  maniPan Lyceo.Pcròchequiui haucuono già- poppa-  tala lupa Romolo & Remo, come moftrano le piccole  imagini Fatte di bronzo, che hoggi anchora fi veggono  in Campidoglio , & le molte medaglie di Confoli &  d’imperatori.   ME DAGL ÌE Di'     D io lupino  ò nero, Pan  Lyceo.     MEDA. DI SESTO P      lOmI           l(Zo     DE LA RELIGI ONE     DOMITI ANO.     HADRI ANO.      Fu Romolo di poi la Tua morte conlagrato & meflo  nel numero de gli Dei, come fi vede perle medaglie  d’Anconino Pio, nelle quali è Romolo veftito come vn  Marte,che tiene da vna mano vn’hafta & dall’altra vn  trofeo fullcfpallc con quelle parole , romvlo avg.   ANTO N I N G~P To.     BRONZO.     BRONZO.      La lini plici ta degl’antichi fu tale, che non badando  roma. j oro j iaue r C deificato Romolo, fcciono anchoradiuerfi  templi à Roma, & la chiamorno Dea, dipingendola vna  r volta     DE GL’ANTIC HI ROMANI, k;i  volta vcttoriofa con vna hafta in vna mano,& nell altra  vna vcttoria che l’incoronaua di lauro , & altra volta  con vn globo, in fegno della Monarchia,& limili paro -  le* r o m ae AE T E R N AE.     NERONE.   ARGENTO.     FILIPPO.   ARGENTO.      Roma eter  no.     Et nelle medaglie di Malfientiofitrouano Umilmen-  te più templi dedicati i Roma eterna, la quale i lèdere  fopra certe infegne militari,&convn morrione in tcfla,  hi in vna mano lo ficctcro,& nell’altra vn globo, che ella  prefenta all’Imperatore coronato d’alloro, lignificando  che egli era conferuatore del Mondo, come fi vede per ni ff entio  vna Prouincia foggiogata che ei tiene fiotto i piedi , il ‘onferu*-  dardoche egli hi in vna mano,& dell’altra piglia ilglo  bordino con la fiua corazza & mantello militare , &  lettere intorno che dicono , conservatori vrbis   AE T E R N AE.       \C l     MA SSENTIO.   BRONZO. BRON ZO.     Vcfpafiano fimilmcntcfccc (lampare nelle Tue meda  SdTRoM gta Roma con vn celatone incapo, la veflecinta, mez-  nrOr meda- za ignuda, lo feettro in mano, gli (liualetti in piedi , col  glie di ve- Teuero prediche havn giunco in manovella appog-  frajìin 0 . gj ata ( a f cttc co ijj ? lettere che dicono , Roma.Ec  nelle medaglie d’Hadrianofi vcdeconvn ramo d'allo-  ro nella mano manca,& nell altra vna Vetcoria con vn  globo fotto i piedi.   VESPA’   iiti     M. AVRELIO.   BRONZO.     Mentre che io fcriucuo quelle cofc,mi fu donata vna KmJi. 4  medaglia di bronzo, nella qualeda vn Iato è la teftadel  Sole,& dall’altro vna Luna convn globo, & due (Ielle  r opra,con lettere fottoche dicono, Roma, lignifican-  te le vectorie & fatti de Romani rifplcndeuono , co-  ll Sole per tutto il mondo, &erano (àliti (ino al cielo.     ITALIA.      MEDAGLIA DI ROMA?   BRONZO.      Non ballando à i Romani haucrc figurata Roma in  tanti modijfcciono quel limile d’Italia, coronàdola co-  me Reina del mondo à federe fopra vn globo (Iellato, &  mezza ignuda con vnofcettro&vn corno d’abbódan-  za,in fegno della fertilità del paefe d’Italia, come fi vede  nelle medaglie d’Antonino Pio.   ANTONINO PIO.   B R O N Z O. BRONZO.      Volendo à pieno narrare le Iodi di queda Prouincia,  noi ci diuertiremo troppo dal nodro intento principale:   Pur      D E GUANTI CHI ROMANI. i<r 5  Pur nondimeno non lafciercmo di recitare qui quei  yerfi che il Petrarca , tornando di Proucnzain Italia, Pt(Wrt ,  cantò arriuato falla cima del Mon Gencua,in quello  modo,     Saluecard T)eo tellnsfdnBifimd ftlue,   Teìlus tuta honis } teUus metuenddfuperbis »   Tellus nobilibus multum genero f or oris .   Ne manco voglio lafciare in dietro che Collanti-  no Impciatorc fece battere medaglie di bronzo in Ro-  ma,nelle quali da vn lato è la lupa che lecca Romolo  & Remo mentre ch’ci la poppanoj&rdall’altro la Tua te-  tta. Et in Collantinopoli Umilmente dipoi fece batte-  re monete d’argento & d’oro con la Tua tetta , & lettere  che dicono, constantinopolis, lì come in quel  Jc di Roma haueua metto, vr b s koma.     Ver fi iti  Vttrarcd in  lode i'itn-  IU.      COSTANTINO.     BRONZO. ARGENTO.      ScriueStrabone(parlado d’Italia) che in quettaPro-  uincia fitroua il temperamento dell'aria migliore che  in altro luogorl’abbondanza delle fontane & de bagni ft «*  falubri,per Jacommodità&fanità dell'huomo, i frutti  i L 3     1 66      buonijc mine-di cuttii metalli, & marmi di diucrfi co-  ìtJid gU lori, onde non fcnza ragione, è ella Hata Regina del  rtgin* del mondo , producendo tutte le cofc neceflarie alla vita  mondo. humana:huomini eccellenti ncllarmc, & nelle lettere,  nella pittura, (cultura, architettura, & in tutte lecofe più  rare&fingulari,lc quali con molti libri farebbono an-  chorain piede, fe la maladctta & barbara natione de  Gotti, non l’haueflc tante volte corla & moleftata.Ma  perche di fopranoici trouiamo hauere aliai ragionato  vetto- delle Vcttorieicolpitc per tante medaglie, non faràfuo-  radi proposto (feguitando il fubietto della noftra ma-  teria) di (criucrecomeanchora quella fu da gli antichi  riputata vergine & Dea, & fattili più templi nella Gre- .  pittura del cia,douc (comefcriucTaufaniaró^tf/Và) ella fu adora-  la vetto- figuratacon l’alie,vna corona d’ Alloro in vna ma-"   no,& nell’altra vna Palma, ’& lotto i piedi vn globo :an-  chora che Domitiano la facelTc dipingere con vnCor-  nocopia,fignificando che dalla Vettoria nafee l’abbon-  danza delle cofc.     DOMITIANO.   BRONZO. BRONZO.        ic 7   tc perii rouelcio della medaglia d’argento diL.Ho-  ftilioli troua la Vettoria figurata con vn Caduceo in  vna delle maniche lignificala pace di Mercurio, Se ncL-  l’altra vn trofeo delle fpoglie d i ninnici , modrando-chc  la guerra & la Vertoria apportano la pace.     JL. H O S T I L 1 O.   A R G F. N T O.     DOMITIANO.     BRONZO.     Ma Tuo Imperatore la feccfcolpire nelle fue meda- vittore del  glie d’argento con vna palma & corona d’Alloro fenza  'alimonie quellochc no voleua chcella difpartiffc mai  da.ìui: Se co fi la dipinfero gli Atenicfi (come dice Pau-  fania nelle fue Attiche) per quella medefima ragione.  '“VÈSPA SI ANO. ' TITO VESPA - .     -L     #     ics Labaro in l cm,c medaglie doro io n’ho vna d’Auguflo,’   ftSM pria- nel rouefeio della quale e vna Vetcoria Copra vn globo  cipde de & l’alie aperte per volare, con vna corona d’Alloro in  ri«per<- vna mano ^ nell’altra il Labaro, infegna dcll’I mpera-  tore,che i Franzefi Hoggi dicono Cornetta, folita por-  tarli innanzi al Principe, quando in perfona fi trouaua  alla guerra, come inoltrano le lettere che intorno alla,  medaglia dicono, i mperator c     Nella declinatiòne dell’Imperio Romano,commin-'   linoni ciorno di P oi gl’l m P cratori a fare <ii P in 8 ere l’Aquila in  tT quello labaro, come fi vede nel rouefeio della medaglia   di Maflcntiojdouc fi vede armato della corazza, & velie  militare con il Labaro in vna mano,& nell altra vn ra-  mo d’Alloro,le gambe armate , & vna Prouincia , ò ni-  mico folto i piedi, & lettere che dkono, victqru 1   AVGVSTI LIBERATORI ROM ANOIVM. Bctt   che dipoi folle vinto da Collantino Imperatore , in  virtù d’vna Croce , ò figlilo moftrato al detto Co-  , - " llantino      i<r?  {lamino in vifionc , & ancho perche fu aiutato affai i lf'g»optr  da 1 medefimi Romani, & chiamato in Italia, non potè- ^n 0 ^ Un  do più fopportarela tyrannide di coli crudele huomo.  Haucndo coli Coflantino reftituito nella fua dignità  Tlmperio, fi fece Chrifliano , & volle che tutti gl abri cojUntino  adoraffino Chrilto, al quale edificò piuchiefc, & per  l’innanzi portò lemprcin tutte lefucimprcle il Labaro (0 Ui tempii  pcrinfegna,di fcarlatto, & d’oro con quello carattere»  fesche non lignifica altro fe non il nome & la virtù di  christ o, accompagnata da lettere, A. & w .cioè , che sìgnìficatio  il principio & la fine di tutte le cole è Di o, & ancho per- nf<u, “ n  che i Greci feriuendo il nome di Chrillo , cominciano  per X.la prima lettera diqucllo.Onde molti hanno er-  rato intorno à quello, dicedo che tal fegno era vna Cro-  ce d’oro che Collantino haueua fatta lare partendo di  Francia per andare à combattere in Italia con Malfen-  tio. Vfarono poiifucccfiori di Collantino lungo tempo  quella infogna, come fi vede per le monete di Collante»  nelle quali èl lmpcratorc armato col mantello digucr-  ra, vna Vettoriain mano, che lo vuole incoronare d’Al  loro,& in vna altra tiene il labaro col fopradetto fegno  di Collantino , pofando i piedi fulla prua d’vna galea»  il tinjone dcllaquale tiene in mano vna Vettoria, & let -  tcrecbc dicono, f elix temporvm reparatio*   V, ■’ L x     * 7 °      MASSENTIO.   ARGENTO.      COSTANTE.   ARGENTO.      G'udUno Dccentio,Coftanzo,& altri Imperatori di poi infino   àpojìata. £ j tempi di Giuliano A portata vfarono Tempre quella  inlègna&figillodi Coftantino con limili parole, s a lvs   DOM INO RV M NOSTRORVM AVGVSTORVM LVCET,     COSTANZO. DECENTIO.     BRONZO. BRONZO.      s. a mbro- Chetale figillo forte il fegno diChrifto , dimoftra S.   I 10 ' Ambrogio nel v. libro, & nella Epiftola xxix. che egli  fcriuciTeodofioImpcratorc,&Prudétio nei Tuoi verfi  àquerto modo:   Chrijhts     . i 7 x   Chrijlus purpureum gemmanti textiu in auro ,   Signabat labarum,clypeorum infignia Chrijlus  £crip[erat,ardebat fummis crux addita crijlis.   Era quello flcndardo fatto di fcta pagonazza chermi  fina con vna frangia d’oro tutto intorno, ornata di pie-  tre pretiofe,nel mezzo del quale era la Croce di Chrifto  fatea di riite uo,& nel mezzo di quella ricamato il fegno  ■di Coftantino,&cofi legata fullacima d’vna lancia do-  rata fi portauain tutte le guerre dinazià fopradetti Im-  peratori, quali nel modo che fanno hoggi gli ftcndardi,  dedicati chià vn Santocchi àvn’altrod’alcu ne religio  iccompagnie. Ma ritornando all’imagini delle noftrc comedipin  Vettorie,dicochegrantichi ladipinferoin formad’An  gclo con l’alic,& bene fpefioà federe fopra le fpogliede torio.  nimici con vn trofeo dinanzi, il petto fcopcrto,con vna  palma, &vno feudo &paroleche diceuono,vicTORi a  a vg vs ti, nel modo che l’ha dcfcrittaClaudiano quan- cUudiano.  do ci dice:   Jpfa Duci [aerai ZJittoria panderetalos,   Et palma viridi gaudens & amica trophaù.   Cujlos imperij 'virgo qua fola mederii  ZJulneribuijnullumque docesfentire dolore m.   Et Plinio dille,   Eaborem in vittoria nemo fentit. MEDAGLIONE DI M.     IONE     COMMODO.     avremo.     BRON/O.      Et perche la vettoria non fi può acquetare IcnzaFati-  t ° ca >f enza virtu,ne lènza forza, non farà fuora di propofi-  figura codi ragionare qui d’HcrcoIe, che ne guadagnò tante in  <l ucfto raodo > onclc » Romani volédo figurare la virtiUo  ualauirtù leuono dipingere il fuo fimulacro appoggiato fopra al  fuo ballone,& la pelle d’vn lioneauiiuppata intorno al  braccio, & altre volte tenédo abbracciato Anteo, il qua-  le vccifc, come dice Giuucnalc,   - Ceraie il us ctquat   H erettiti ^Anteum pronti a tellure tenenti*.   Nel quale modo lo dipinfcroanchora nelle loro meda-  glie Hadriano& Poftumio, con quelle parole, hercvli   MACVSANO,     HA D.      DE HADRIANÒ. POSTVMIO.     BRONZO. BRONZO.      Et fi come la mazza & in lione fono due cofc fortiflì- Pm .  mc,& la virtù e fiata Tempre figurata ignuda, come quel tribuirono  la che non cerca ricchczzc,ma immortalità,gloria,& ho  norc,comc fi è vifto in vn marmo antico che dice, vi r- U pelle del   T VS NVDO HOMINE CONTENTA EST, Cofi   el’antichi volendo moftrare la virtù d’Hercole , doppo  la morte lo figurorno ignudo , con la pelle del lione &  con la mazza, &. la mazza & la pelle infiemc,comc fi ve-  de per le medaglie qui di fiotto.     PRIN.      Ss. JW/     »74      PRINCIPESSA DI MACEDONIA.     BRONZO.     BRONZO.       Q^CINCINNIO III. VIR. AVGVSTO.     argento.     ARGENTO.      mix* di Fu chiamata da Greci quella mazza psrraAc*, la quale  Htrcole g lamichi fpeflè volte (dipingendo Hercolc)accompa-]   Ja Greci gnorono d’vn trofeo,&Hercolecon vn ramod’Alloro  Kbopalos. nc J} a ma dritta,& nella finiftra la mazza,& vna pelle di  lione,chiamandolo Vincitore: & volédo per la mazza  anchora lignificare la prudenza, conia quale fi gouer-  naua in tutte le fucimprefe.     ;; i     C. AN.      i     75        uaif   f   [lor   llc<5   n»   ifltf   Vii     C. A NT IO. MEDAGLIONE DI   ARGENTO. COMMODO.      Apulco lo nominò cercatore del mondo, domatore Epitetili  de gl huomini,&dclIcbeflieferoci:&:Tcocrito,occifore  di lioni & di tori, come moftrano le medaglie (lampare a puleo.  in honorc fuo,ncI modo che fi vede qui di Cotto. t tonilo.     MED. GRECA. C.   BRONZO.     POBLITIO.   ARGENTO.      tk     ^ | iv laVttUia i/wiv»»*» » «■»»». w v< » »•»»   pelle di lione & della mazza, fu, perche in quel tempo  nons’vfauonoaltrearmijche le pelli dcgranimalifalua-  tichi> per coprire il corpo : & i baffoni per offendere i   nimici,      i 7 <r Arme che nimici^ vendicare l’ingiurie. Et perche Homcro con  o mo ^‘ a ^ cr * P° ct * hanno fcritto.chc Hcrcolccauò Cerbe  "L Suo ro cane con tre teftejdell’inferno^crò mi c parfo non  HtrcoU. fuoradi propofito riprefentare qui appreso la figura  d’vna pietra antica, fiatami mandata da Narbona,&ri-  trouata in quel tempo che fi cauauono i fondaméti de i  baftioni di quellaCittà,nel modo che fivede qui di fiotto.     S1MVLACRO DI HERCOLE ET DI  Cerbcro.ririrato d’vn mattilo antico di Natbona.      “Interpretarono i Teologi antichi quclfo Cerbero per  tutti i vitij,lfati fupcrati & vinti della virtù d’HercoIe, co  me più apertamente potrà il lettore vedere nel trattato  * che hà fatto Lilio Gregorio Ferrarefe della vita d’Herco rarefi  leda (fatua del quale fu altrimenti dipinta con tre palle  nella mano diritta, &nclla manca la mazza, volendo Lffr ; wr .  perle tre palle lignificare la virtù di tre colè, cioè, lènza tudiHcrto  ira,fenza auaritia,& lenza defiderij vitiofironde ancho- k ’  ra hoggi li vedeà Roma vna fua (fatua di bronzo con  vna palla in mano trouata, non e lungo tepo,douc era  flato il fuo grade altare fulla piaza del mercato de buoi.   Fu oltra à quelfo dedicato à Hercole il Popolo albero di po o[g A  fpctic di Salicio, del quale i fiacerdoti Sali; fi faceuono ferro dedica  girlandc, volédo fare à Hercole làcrificio, come ha mo- t0 * Hfrf0 "  ffro Virgilio, doueci dice, “   Tunc Sali) ad canta inceri fa altaria circuì n  *?opuleid adfunt tuinRi tempora ramit.   Soggiugncndo altroue,   Copulai ^Alcida gratif ima.   La quale cofa fi conferma ancora meglio per la me-  daglia Greca d’HcrcoIe, nella quale da vn Iato c la fua  telfa coronata di popolo con la pelle di lione intorno ai  collo,& dall’altro il Zodiaco con tutti iluoi fegni , & Fe-  tonte caduto del carro del fole con ini i.caualli, la fac-  cia del fole, & lettere intorno che dicono, a’at'nata  z h t n n, lignificando che ei cercauacofc impolfibilipcr  le forze fiumane.     M         MED. GRECA D’HERCOLE.   BRONZO. BRONZO.     Fuanchoradipintoquefto Hercoledagl’antichiGrc  cicon la pelle della teda del lionc in capo, in cambio di  celata, vn’arco,vn turcaflo,& la mazza,volendo lignifi-  care che la virtù dell huomo fcrcifccdi lontano.     MED. GRECA   BRONZO.     D’HERCOLE   BRONZO.     Non        V .     r ,.t*     mi   t'W.   §* T*  1 ■ » • ■     b     i^v   flfr   m     m      17* *  Non porto fare che (criucdo d'HcrcoIe, non mi ricor  di&non mi rida anchora dellabertialità di Commodo   Imperatore, che vanamente afpirando aU’immorralita p * zz u   del Tuo nomc,8,Tendo emulatore, ò più torto iuuidiofo £  della virtù d’Hercole,rinuntiò il cognome fuo Droprio,   &della carta fua:&in luogo di Comodo figliuolo di M.   Aurelio, vollceflcrc chiamato Hcrcole figliuolo di Gio-  uc:& lartciando I'habito d’imperatore Romano, fi veftì  d’vna pelle di lionc, portò vna mazza in mano:&mefco  landò le vcfti di porpora ricamate d oro con quella altra,  non fi vergognò d’vfcircin pub!ico,& mortrarfi al popo  Io per tutto, come fi vede per le file medaglie d oro,d’ar-  gcnto,& di brozo, nelle quali da vn lato eia fua iella ac-  concia come quella d'Hercolecoil la pelle del lione, &  d’allaltro l’arco, il turcaflo,le freccierà mazza, & lettere  che dicono, h e r c v l 1 romano avgvsto.   ■p , • . . ■ ■   MEDAGLIONE DI COMMODO.   bronzo. bronzo.       M z        i8o     Dione.     Colonie   Commo-   dma.     COMMODO.   BRONZO.       Ne contento anchora Commodo di quello, vollc(co  me ferine Dionc)eflerc chiamato Hercolc fondatore di  Roma, facendo battere monete, nelle quali fi vedeua in  habito d’Hercolc condurre due buoi, in fegno di nuoua  colonia, Scche ci voleua mettere nuoui habitatori in  Roma, la qualcchiamò Commodiana,&Cómodiani i  Tuoi faldati, comefi vedepcr le lettere, chcdicono,coLo  N I A LVCII ANTONINI COM MODIAN A. & altrO-  UC, HERCVLES ROMANVS COND1TOR.     COMMODO.    Ma quello chein quello moltrò anchora più la Tua  pazia, furono i titoli,! quaIi(fcriuendo al Senato Roma-  nojs'atcribuiua in quello modo,   IMPERATOR CAESAR LVCIVS AELIVS  AVRELIVS COMMODVS AVGVSTVS PIVS  FELIX SARMATICVS GERMANICVS MA-  XIMVS BRITANNICVS PACATOR ORB1S  TERRARVM INVICTVS ROMANVS HER-  CVLES PONTIFEX MAXIMVS TRIBVNI-  TIAE POTESTATIS XVIII. IMPERATOR  Vili. CONSVL VII. PATER PATRIAE CON-  SVL1BVS PRAETORIBVS TRIBVNIS PLE-  BIS SENATVIQ^VE C.OMMODIANO FELI-  CI SALVTEM. Andando poi per paefe. lì faccua  portare innanzi la mazza,& la pelle di lionc , onde mol-  te ftatuegli furono fatte alla fomiglianza dell’altro Hcr  cole antico.Dal quale propofìto ritornando à quello del  noftro Hcrcole vcro,& lanciando in dietro tutte le fauo-  lepcr accodarci alla verità deirhiiloria,diciamo che(lc-  condoHalicarnalTeo)Hcrcolcfu vno eccellente Capita  no, il qualcardito&fauiotrouàdofi vn efferato gagliar  do,pigliauapiaccrcd’andarc per il mondo, riformando i  cattiuicoflumide gl’huomini , ipegnendo i Tiranni,!  ladri , & giada Alni coll Greci , come Barbari , & Latini:  edificando nuouecittà:& drizzando per publica vtilità  (quello che è il debito d’ogni buon Principe) i camini, &  fiumi che guadarono il paefcrdella virtù del quale, qua-  tuque iohaueffi deliberato nó fare coli lungo dffeorfo*  nondimenoilgran numero di mcda^licchc iomitroua  di lui, mi conllringono,per piacere ai letterati amatori  delle cofc antiche, di leguitarc & mettere inanzi Hcrco-  le,chiamato da i Franiceli Ogmionffccondo la narratio-     r. ri     M     3 .     rou['     r8i     I nomi is-  tituii che fi  duua Com-  modo.     Qual fu   hcrcole fe-  condo li Hi  fonografi.     hcrcole  Gallico .     l     i$zne di Luciano oratore &Filofofo Greco, il fenfo della  come i Fri quale fatto prima latino da Erafmo, è tale: I Francefi in  « fi dipinfe loro lingua hanno chiamato Hercole Ogmion,& l’han-  roucrtole. n0 formato in vn modo molto nuotio & Urano, però  che ei l'hanno figurato vecchio , canuto , & decrepito,  tutto caluo dinanzi, con pochi capelli , dietro "rinzuto,  & cotto dal Sole come vn contadino vecchio, o marinic  rc,tantocheinaItracofa non pare Hercole fenon per  l’habitochc ci porta, veftito d’vna pelle di lionecon la  mazza, l’arco tefo, & il turcafiòda quale cola io harciccr  tamentc penfaro che folle Hata fatta da i Francefi in dc-  Htrtolc rifione & difprcgio di quei Grcci,chc haueuono fcritto  negno^l ^ oro Hercole haueuafeorfo come virtcitorc ilRe-   f ranci*, gno di Francia, {ciò non hauclfi villo vn numero infini-   to di huomini,& di donne legate per gl’orccchicon cate-  • nuzzcd’oro,& d’ambra alla lingua d’HercoIe, lenza fa-  re non folamcntc légno d’cllérccofi menate contro alla  loro voglia, & di volere rompere i legami, ma parendo  che tutti facclfinoà gara di follccitarc il palTo piu di lui,  dubitando nonrcllarc indietro, anzi leccando lecatenc,  comecola grata, métrcchc Hercole col vifo volto inuer  fo loro gli guardaua tutti allcgramentcril quale miflcrio  mentre che coli riguardato arrccaua marauiglia à Lucia  no, dice che vn altro Filofofo Francclc,ma dotto in Grc-  co,fc gli fece innanzi & dille. Amico io ti voglio dichia-  rare la difficultà di quella dipintura: Sappi che noi altri  Francefi non attribuiamo l’eloquenza à Mercurio, co-  me vo i a Ic r i Greci folcre fare, ma à Hercole, come qucl-  édanreolc. lo che è più robullodi Mercuriodà onde tu non «debbi  marauigliarc fe tu lo vedi vecchio, con ciofiajchel’clo-   quen    qucnza rade voice è ne i giouani,eflendo offufcaci dalle  tenebred’ignoranza,ondc la lingua de vecchi lènza paf-  jfione pronuncia più cleganrcmcnrcifuoiconcerti,cncc  il lignificaco di quella pitcura, volendo inoltrare, che il  parlare ornaco li eira apprcflo le perfone perlaconue-  nicnza,che hàlalinguacongl’orecchi.Ncmcno ci debbi  marauigliarc,ncbialimarc Hcrcolc, che egli habbia la  lingua toraca,conlidcrandoche noi vfiamo nelle nollre  Comedicdidire,che cucci coloro hanno bucara la lin-  gua che parlono aflai,& bene, come faceua Hcrcole:che  per ciò(lecondo l’opinione di noi alcri Francclì ) lì rcn- Hfrf0 / f  dcua luggecce cucce lenarionij&orrcneuaciòcheglipia tot fuo fcrf  ccua, mediate léfóttìliflìmc & ingegniolc ragione ch'ci  {àpcuaallcgarc,&concireperfuadercleperfone,la qua- ti™* i fe  leacucezza & foccigliczza d’ingegno c figuraca perle huom *   freccie, per l’arco & pel curcalTo:onde voi alcri Greci lo-  Iecedirechela parola c pennucacome vndardodaqua-  lcinccrprecacione ci fcruiràhora Umilmente per ilcriuc  redellefrecc^&dclrarcod’ApollojCon le quali am-  mazzo il TerpencePitone,& per ciò daHomcrofu decco L0>  ^oWu^«,cioècheiciraua lonrano:&i Greci Io figu-  rornoinquello modo, come fi vede per le medaglie di  Nerone, doue da vn laro c dipinco con vna corona d’al-  loro, il curcaflo Tulle fpalle & la ftella di Febo, con lectcrc  che dicono, a no a aon snrHP.cioc Apollo Conferua  tore,lì come i Greci vfarono faquila,& ilfolgorc nel me  defimoTenfo.   A • ,     M 4   CLAVD. NERONE.     ARGENTO.      MEDAGLIA GRECA.     BRONZO.     Apollo dio  di [oiukori  di lira.       Quella lira fu attribuirai Apollo, perche gl'antichi  penfornoche cifofle Dio de fonatori, dipingendolo an-  cora con i capei lunghi fenza barbala lira, & vn ramo  d alloro in mano,& vn altra volta con vna tazza & vna,  velie lunga fino à i piedi, per mollrare la fua deità.     AN       I   l     ANTON. PIO. CARACALLA.     ARGENTO. ARGENTO.      - Mai Grecigh attribuirne non folamcntclalloro per vdHoroc 5   la fauoladi Dafne, ma per la virtù della pianta Tempre f*sr*to ai  verde, volendo mollare l'ctcrnftà del Sole, & perche - 1   ella feruiua nella purificatone de i facrificij, & perche la è mai touo  factranonla tocca,comciha fcritto Plinio:& pcrchcdi U f* u ~  quella s’ornauonoi turcaflì, le citare, &i cappelli de gli L'alloro de  Imperatori, quando trionfauono con vn ramo d’alloro dic .* t0 * *  in mano, onde il medefimo Plinio la chiamò Portina-  ea delle cale de i Cefiiri & de Pontefici , & nuntiatrice di \   vettoria, conciò fia chela coróna d'alloro foleua ariti- 1   camente Ilare legata dinanzialpalagio de gli Imperato-  ri, con quella di Quercia in mezzo, come fi vede per il  tcftimoniod’Ouidio nel primo libro del Mctarriorfo- o iddio.   (co douc ci dice,   * JMediamtjtie tuebere ejuercum.   Delle quali corone fi rrouano tutte piene le monete  de gl'imperatori in quello modo,   < M j   v: c'n;.m r.ll.i: r.:iv i; .«•- ... otr.ooiop        tic DE LA RELIGIONE     A VGVSTO.   BRONZO. ARGENTO.             Plinio.  Inodore di  rdUoroftfc  ttiU pejle.     Dbterpcpà  ture de U  flatua d'Ar  pollo.     Probo.     La virtù di qucfta pianta c tale, che fc nel tempo di  peftc(comc fcriue Plinio) i’huomo (blamente l'odora Se  porta fcco,ei non può hauerc malc:&: per certo fi legge  che cflendo vnagranpeftein Roma, Commodo fi ritirò  à Laurentojcoficonhgliacoda i medici Tuoi, per cflcrc  quel luogo abbondante d’allori. Et quanto alì’imagine  d'Apollojoltrc aU’arcoJefrccciej Se la lira, con la quale  lo (oleuonodipingcregl’antichi, l’Imperatore Gallieno  (volendo moftrarela (ua im prefa d’Oriéte) lofecefcol-  pire informa di Ccntauro,con la lira in vna mano, &  nell'altra vna palla con quefte parole., apollini co-  miti, moftrando che egli andaua col fauorc del Sole.  Ma Probo lo dipinfc Copra vn carro con piu razzi in ca-  po, & con la briglia in mano di n n.caualli, chiaman-  dolo luuitto con quefte parole, soli invicto. Et  glabri Imperatori , come Coftantino , Aureliano Se  Crifpo ftamporno nelle loro medaglie il Sole ignudo,  coronato di razzi, con vna palla nella mano diritta, Se   nella     DE G L' ANTICHI ROMANI. 187   nella manca vnasfcrza, con limili parole, soli invi-  cto coMiTi, fignificando,che con 1 aiuto d Apol-  lo egli haueuono vinto &lbttomeflcdiucrfe regioni.     GALLIENO.     BRONZO.      COSTANTINO.   BRONZO-     PROBO.   BRONZO.      A VP EL I AN O.   BRONZO. ,      Ec perche alcuni hanno detto che il tempio del Soìè Tempio del  era in forma tonda, però mi èparlbdiriprefénrarequi la SoIe '  medaglia di M.Antonio Triumuiro, nella qualeha fi-  figurato il Sole in vn.tcmpio quadrato,& accompaqna-  to da limili. parole, in. v ir r, p. c. cioc, trxvm-     vir          i38 vir reipvblicae c ons tit v e n d ae, &dalf altro Ia-  to, MARCVS ANTONIVS 1MPERATOR.   M. ANTONIO TRIVMV IRÒ.   ARGENTO.     Moneta di I Rodianidipinfono nelle loro monete il Sole coni   KodianL razzi j n capo, lenza barba, & con i capei lunghi da vn  lato, & dall’altro (colpirnovna rolà,Hora in vn modo,&  horain vnoalcrocon quelle parolcpoamN apizto-   KPITOI, Se POAION,   MONET ARO PI A N A. '     VVù OiT^ v   iV     MONE     DE GL' ANTICHI ROMANI. <i8j>     MONETA RODI ANA.     BRONZO.      ALTRA MON. RODIANA.     ARGENTO.      Etne roucfci delle medaglie d’oro di Traiano, Ha- Vorlpat '  driano>& Aureliano Imperatori fi troua ( fecondo l'v- u°mc2gul  fanza de Greci) fcolpito I Oriente per la faccia del So- de limpt-  le,con lettere che dicono , o r i e n s. Ma in quelle di ratoru  Lucio Plaucio fi vede la tetta d’Apollo accompagnara  dadueferpi,comcPythio, & nelroucfcio della medefi-  ma medaglia vna Vettoria,che tiene per la briglia i ca- •  ualli del Sole.     TRA     Coloffo   Rodi-        T R A I A N CL A V R E L 1 A N O.     ORO. ARGENTO.      , ' Non erTlaTnaTaTintcntionedi fcriuerc altrimenti del  * ColofTodiRodi,il quale era la flatuad Apollo, perche  io ne haueua già parlato.nel fecondo mio libro dell An-  tichità di Roma,maeflèndomi flato predato vn certo  libro Greco antichiflìmo,& lenza Autorc/critto a ma-  no da M Giorgiodi Vauzelles Caualierc di Rodi, &h-  ■ onore della Torretta, quale egli haueua portatodi Grc-   cia,non ho voluto mancare di communicarc a gl altri   huomini   ì*r  huomini quello, che io ne ho ritratto intorno à quello,  nel modo che fcguc: Tra gl’altri miracoli del mon-   do (dice egli) era il Coloflo di bronzo dentro à Rodi Deferito-  fatto in honorcdel Sole, da Colalìe in dodici anni,& al-  todi fettanta cubiti. La bafeche lo fofteneua era trian a.  golare , & ciafcuno lato (ottenuto da fettanta colon-  ne di marmo. La (tatua era tutta vota dentro & fatta à  (cala à vite, per la quale fi faliuafinoà la cima:&quiui  erano diuerfi ftromenti, che in verfi Iambici faccuo-  no vna mufica foaue. In quella (tatua, la quale era  volta inuerfo Egitto , fi vedeua tutto il paefedella Si-  ria, & i nauili che andauono in Egitto, mediate vno fpec-  chioche ella haucua legato intorno al collo , cttcndo  del retto tutta ignuda, con vnafpada nella mano diritta,   & nella manca vn’hafta lunga,tanto che la (pefa cofta-  ua ccc. Talenti d’oro. Aucnne di poi, che doppo cin-  quanta anni, che ella era ftatafatta,ellafu metta per ter-  ra da vntremuoto, che durò vii. giorni , & coli rotta in Mirrile  piu parti (ì trouauono pochi huomini, che potettmo ab- trmuoto '  tracciare vnodei fuoi diti grottì,& colui che ne compe-  rò i pezzi del bronzo, ne caricò 500. Camelli.Ma ritor-  nando al noftro Apollo, & alla diferenzachc egli hebbe rifiorii*  con Marfiafonatore,come ha fcritto Apulco,nel primo ** A P °£ 9  libr.de fuoi Floridi, dico che à cottui parcua edere coli  eccellente, che accecato dalla fua infolenza , non fi ver-  gognò di volere competere nella mufica cori vntanto . v  Dio,allaprc(cnza delle mule, le quali, data la fentenza  in fauorc d’ A pollo,fcciono che legato Marfiaad vno al- M -  bcro per punirlo (come ci meritaua) della fua temerità, fiortiutt.  lo (corticaflc, nel modo che ha moftrato Ouidio ne i.  t: fuoi     isn . Tuoi Farti, dicendo,   o uidio. ‘Prouocat & e Phcebum i < Phxbo fuperante pependin   . Cafa recejprunt a cute membra fua.   Et Nerone nel fuofuggello, del quale la figura cpofta  qui di fotto.   sy OO LL LO DI NERONE RlTR ATTO  d’ t ma pietra tattica.      Dipingeuono fimilmcntcgrancichi Apollo accom-  dtUc°Mufe pagnato bene (peflo dalle Mule, volendo inoltrare che  con Apollo, tra lui Sdoro, è vna naturale conuentione, fi comcmo-  Virgilio, rtrò Vergilioall’horache della natura di quelle ragio-  nando dille,   In medio rejìdens compleBìtur omnia ‘Phccbut.  l*. ùv/è Le quali però fumo da gl’antichi vergini figurate(co-   ucrgini. mc h a fcritto Phumuto) perche il frutto delle feienze  « . ' nafee , 1*3  nafcc dal giuditio dell’ingegno, & perche la virtù occul  ta fi contenta del fuo ornamento naturale: &: che l'ha-  bitationc delie Mule uer i monti &; per i bofchi,non fi-  gnifica altrove non cal gli huominipiù dotti & ccccl- imonti.  lenti viuono,& vanno volentieri foli,& feparati dalla  ignoranza della plebe, (blamente (come dille il Petrar-  ca)al vii guadagno intenta, imaginandofi la (ciocca,  che le lue ricchezze le habbinoà infondere ad vn tratto  la fapienza,& la dottrina nel capo , perii che diuenuta  infolcntillìma, & volendo riprendere quei, che fanno  più dilei, rimane alla finelcorbacchiata & fcorticata, co-  me vna bcllia della propria pellciilqualc propofitocoti  fermò Plutarcho quando fcrilTechei templi delle Mufe  non fi trouauono altrouc le non lontani alle Citta , & a  i eradichi de gli huomini plebci:& Orfeo & Proclo ha-  no voluto che le Mufe fodero le prime inucntrici della gionc . rc  ■ rcligionc,dclla quale ritorneremo fubito a parlare, che  noi haremo inoltrata la figura del Trepie,ò Tripode  d'Apollojgià tanto celebrato & venerato da gl’antichi. S Apollo,  Di quello adunque fi vede il difegno nelle medaglie  d’argento di Vitcllio,& di Vefpafiano,& (quello che io  Rimo anchora più cofa rara) in vn dialpro rollò antico  che io hò meco , douc egli e figurato con vna cornac- a j  chia,la lira,& vn ramo d’alloro, tutte cofe conlagrate à a pollo,  lui, come qui fi vede.   * N     t>4  DIASPRO ANTICO.  VITELLI O.   ARGENTO.     VESPASIANO:   ARGENTO.      Il iimu     Tf      » Il fimulacro del Sole, che i Fenicij chiamorno nella ìtsoledrt -  loro lingua HeliogabaIo,fu portato à Roma dall’Impe-  latore Antonino, coli chiamato anchora lui, il quale nel (,«/„*  monte Palatino gli fece fare vn tempio (come fcriuc  Lampridio)& qui volle che non folamcntci Romani, r  ma i Chriftiani & Giudei facchino tutti i loro facrificij,  non per altra ragione, fe non perche nella fuagiouanez- rèpio dedi  za egli era flato fatto fàcerdotc del Sole , honorato & ** s ®:   tenuto in grande riuerenzada i Fenicij, però che gl’ha- tiero&mo»  ueuono fatto vn tempio marauigliofo di pietre quadra- Antonino  te, & (come fcriuc nel 5. libro Herodiano) ornato dar-  gento,d’oro,& di pietre prctiofè : onde io ho tra le mie le.  due medaglie d’argento del detto Imperatore, nelle  quali fi vede in abito di fàcerdotc di Fenicia facrilicare  al Sole con vna tazza in vna mano,& nell’altra vn ra-  mo d’a!loro,&fopra l’altare, doue c il fuoco accefo,fi  Vede il Sole,& lettere che dicono ncll’vna delle meda-  glie, svmmvs sa cer do s, & nell’altra, invictvs  sacerdos ,chc fono i medefimi epiteti del Sole.        HELIOG A B A LÒ.     ARGENTO.      FORT V  NA.     t5rf Io nonmidiftcnderò più oltre àfcriucre la vita fede-  rata di quello Imperatore, ma bene mi dorrò del cieco  & tirannico arbitrio della Fortuna, che lo meflc in quel  luogo che ci non mcriraua,ficomcanchora veggiamo  che ella fa di molti altri à i tempi no(lri,onde gl’antichi  volendo moltrarc la fua portanza , & come ella gouer-  naua tutte le cofe del mondo, la dipinfcro con vn corno  pitta* de d’abbondanza in vnamano,& nell'altra con vn timone  U fortund. Ji nauc fopra vna palla. TRAIANO BRONZO.     HADRIANO.   ORO.     ARGENTO.      ANTON. PIO.   ARGENTO.  1*7  F,u Umilmente figurata da glantichi à federe in terra  col comocopia,& vn braccio appogiato fopra vnaruo-  ta,per moflrarc la fua inconftanza , & limili parole,  fORTVNAE red ver. Et di qui nacque che A pel le Aprile rr-  cclcbratilfimo pittore Greco,domandato perche hauc-  uadipinta la Fortuna à federe, rifpof? chchaucuaciò  fatto per che ella non haucua mai ripofo.     ANTON. GETA TRAIANO.  argento. argento.      Ma quella che noi habbiamo chiamata Fortun a, i  Greci lachiamorno sella folle fiata buona,*«^ w, ^ ^  *»»comc fi vedrà per vno intaglio antico portato di Gre- fortuna  cia,& donatomi da Frate Andrea Thcuet d’Angulcmc,  nel ritorno del fuo viaggio di Ierufalem.con molte al- Caladi  tre medaglie antiche, che io moftrerò ritratte, nel libro  che io hò fatto dell’Antichità di Roma, accompagnan-  do in quello mezzo la nollra Fortuna d’vnDiafpro , &  d’vna Corniola antica,doueella c fcolpita con vn cor-  no d’abbondanza, & vn ramo d’alloro, lignificando       DIASPRO antico, corni O-  LA ANTICA.      La fortuna  accompa-  gnava il Ut  to diCefa-  ri.   Vlinio.     Difftnition  de la fortu-  na.     Arijlofane.     Tempio fu-  perbo de la  Fortuna in  Prenefte.     Vcdcfi per l'hifìorie che vna Fortuna tutta doro acr  compagnaua Tempre il Ietto de gl’imperatori , & che  quando ci veniuonoà morire, in Tua prefenza eraporta-  taàiloro fuccelforr.ondePlinio la chiama leggiera, in-  conftante,&fallacc,come quella che fauorilcei manco  degnirnon dimeno , alla verità, la Fortuna non c altro  che la prouidenza di Dio , dalla quale fecondo i noftri  iteriti noi riceuiamo male,ò benè.Et la caufa perche  gl'antichila dipinfono anchora cieca, fu per la cagione  nominata di fopra-di che ha molto bene icritto Arifto-  fahe nel fuo Plutone,DiodcIleRicchezze:il quale argu  • mento hà Tradotto Luciano nel fuo Mifarftropos.il det-  to Ariftofanc fcriue che quando Giouc donale richczzo  à i buoni, ei fi moftra zoppo, & porgedoleà icattiui,cor-  re leggiermente. A‘ Prtfncftc anticamente fu il fupérbo .  tempio di Fortuna cdificatoda Sylla , con la Tua ftatuà  di bronzo dorata, la quale èra di tanta eccellenza cheli  foleuadire perproucrbio(volendolodarc vna cofaben   dorata w>  dorata) la doratura Prcneltina. Nc contento Sylla di  quello, cominciò à fare il pauimento di detto tempio  di Mufaico,chegl’antichi chiamorno Lytoftrates , con  mirabili figure di diuerlì colorali comcPlimo (parlando  dei pauimenti) fcriuc nel xxxv. capitolo del xxxvi. li-  bro dcH’Hiftoria naturale. Et perche la Fortuna può  molto nella guerra, però mie parfo di collocarla preffo  lo Dio Marte, al quale i Romani feciono fare diucrli  templi,&dandoglifacerdoti , detti Salijdo chiamorno  vna volta Vincitore, all'hora cheei porrà vna Vettoria  (lilla mano:vn’altra volta Propugnatore, Vendicatore,  &Pacatore, quando egli haucua nella mano dritta vn  ramod’vliuoj&nellaltrala fuahalla con la corazza à i  piedi, & dinanzi targhe, rotelle, & il celatone,con vn pen  nacchio,& lettere cnedicono , Marti pacatori, li-  gnificando che quelli che vanno alla guerra, li debbono  lenza paura moftrarc à inimici.     M« [aito.     MARTE-     Epiteti di  Marte.     Qui ua al-  la guerra  non deve ha  tter paura.     V 1TELLI O.     ANTON. PIO.     zoo      L’haftachc eiportauafu chiamata Qiiiris dai Sabi-  ni,& Romolo Quirino,comefi vede per le infralcrittc  medaglic,doue egli è dipinto tutto armato , per fignifi-  care,che lui era vendicatore, nel modo che lo chiama-  rono i Romani.     QniriJ.   Marte QH*  rtno.      ANTON. PIO.   BRONZO.     V   aoi  GORDIANO. ALEX. MAMMEA.   BRONZO.     HADRI ANO.   ARGENTO.     CLAVDIO.   BRONZO Il tempio di Marte Vendicatore fu fatto i Roma per Tépioetifì  Cefare Auguftoin forma tóda,à cau fa della gucrra.chc  egli haueua giurata concra Filippo, per vendicare fuopa da a ugufto  dre,come fcriue Suctonio,& Ouidionci Falli, doue ei Ct f* re ’  dice   Tempi d feresfè) me vittore Vocaberis Ultori ouidio.   Uoueraty&fufoUtnt ab bojlereJit.   Scriue Dione neliniUibrodellHiftoriaRomana, che OÌ9at »   N 5 ARGENTO.     r pmfr.     101 DELLA RELIGIONE   Celare Augufto edificò quello tempio in Campidoglio}  & vi fece portare gli ftendardi &inlcgne militari, con  l’Aquila deRomanirondeil Senato dipoi volendo an-  chora maggiormente honorare Ja fua memoria, vi fece  condurre il carro fui quale egli haueua trionfato.   A VG V STO. L. - CTN NX   ARGENTO. ARGENTO.     Si come gi’antichi dipinlero Marte, nelle maniere già  ville di fopra, chiamandolo infieme con Giouc Vendica  torc & Propugnatore, & in molti altri modi Greci & La-  ùniche forebbono troppo lunghi à raccontare, coli dir   pin AVGVSTO.     ' , . Ci , ' *   ARGENTO.     . *>3     jpingendo Venere, la chiamorno Vincitrice, con la Vet-  raria, Io feeeero & appogiata fopra vno grande feudo, & v e n b -  altra volta con vn morrionc in luogo di Vettoria,ò con R E *  vna palla, in figno che ella haucua fupcrate in bellezza  tutte Falere Dee. Il fuo carro,fecondoil direde Poeti, era carro div e  tratto daduocigni:Ecper tanto dice Ouidio,   - JuriBif^ue per dir A cygnis  'C arpie iter.   CARACALLA M ACNVR B FcX     nere tratto  da duo ti-  gni.      PLAVTILLA. FA VSTINA.      La Ve      io4 venere La Venere chei Greci chiamorno Afroditi ,i Latini   1 hanno detta Dea di bcllcza,&di gencratione,nata(fec6  do i Poeti)dclla fchiuma del marerEt Cicerone nel libro  della Natura de gli Dei,parlado di i n i. Venere, dice che  Tempio di l’vna fu figliuola del Cielo,& di Giouc,&haucre vifto il  eMc* hi o tempio in Elide: l’altra vfeita della fchiuma del mare:  la terza di Gioue& Dione moglie di Volcano:& la quar  ta Siriaca di Siro nominato Allarte,chc fu quella mari-J  D*r vene* tat ‘™l bello Adonc.MaPlatone nel fuo Conuiuio hàpo  re fecondo fto due Venere, vna cclefteche incita gl’huominialbuo  vintone. no amorc> & l’altra terrena che gli muouc al piacererdi-  cendo chela prima fenza madre fu figliuola del CicIo,&  venere uc- 1^ altradi Dione &diGioue:Iaquale 1 Fenicijvenerauo-   ne rata   Tcnicij.     ta dai no afiai, per cflere (lata moglie d’ Adone, & Adone nato  nel pacic loro, onde in memoria della mortedi quello     lamentandoli lefaccuono facrificio:le quali fàuololc  opinioni & fu perftitioni lanciando tutte in dietro, ven-  ghiamoà vedere come fenfa laVcttoriala dipinfcCe-  fare Dittatore nellefue medaglie.     ARGENTO     GIVLIO CESARE.     Et ne         ANTICio*   Et ne i rouelci delle medaglie d’argento di Cefa re mi -  norc,fi veggono due Cupidi condurre il carro di Vene- corrodi ut  re volando, & lei che ticncabbracciato il fuofccttro con   11,. lo d 4 duo   lettere che dicono, lvc n ivli lvcii filii. cupidi.     Gl VL. CESARE.   ARGENTO.  AVGVSTO.   ARGENTO.       Auguftodipoi dedicò à Giulio Celare il tempio di Tempio di  Venere Genitrice, coli adorata da i Romani, &alla qua- j' n ' rede '  le haucua Cefarc fatto vn bullo di perle, le quali (come A u g u ji 0  fcriue Plinio nel libro xxx vi. dell Hilloria naturategli Ctfurt,  haueua portate d’Inghilterra, hauendo prima farrofa-  bricarla detta figura diVenere Genitrice da Archefi-  lào:& per la fretta di dedicarla,non fi fendo potuta for-  nire, coll imperfetta la collocò nel mezzo del fuo Foro. AVGVSTO CES     ANT I-  NOVS.     Tempio £  fAntinoo  magnifico e  di fiotto da  Adriano,  fopra il Ni  lo.   Taufania in  Arta£ck.     Io non hareì altrimenti qui fcritto d’ Antinoo , quali  tunqucHadriano Imperatore lo faccflegià deificare, fc   10 non mi forti per forte ritrouate due fue medaglie, che   11 detto Imper.fcce battere in honoredi quello, doppo  chcei fu morto, accompagnando Hadriano nellafuapc  regrinationc fopra al Nilo:il quale non cotento di que-  llo, & doppo haucrlo pianto molti giorni, gli fece edifi-  care vn tempio, &vno altare, con vna Città chiamata  dal fuo nome,douc meflè faccrdoti & Flamini per farti  làcrificio:&in Arcadia nella Città di Mantinea feccfir  milmcntc vn’altro tempio celebratiflìmo, con ftatuc ne  igynnafij,& per tutta la Città fono nome di Dionifio,  come narra Paufania.EtpcriI rouefeio dvnamcdaglia  ch’io mi trouoncllcmanijè riprefentato il tempio ma-  gnifico eh Hadrianp fece edificare fopra il Nilo in fuo  honore,& adornare & arricchire di belle ftatue& inda-  gini, con talcinfcrittione,AAPiANos okoaomhìen,  che voi dire, adrianvs constrvxit, frdifottoil   tempio      de gl’ Antichi romani.   tempio è vnCrocodilo, animale particolare del fiume  Nilo, nel quale mori Antinoo.     MEDAGLIONE GRECO   CANTI NO O.    k  MEDAGLIONE GRECO   D-ANTINOO.     Antmoo tu     Ma nell'altra fua medaglia fi vede vn giouane di Biti  toin b iti- n i a Ji marauigliofa bellezza con lettere Greche che dico   nO,OZTIAlOZ MAPKEAA02 O IEPETt TOT AN * »   or. & dall’altro lato, t 012 axaioxx an e ©hke , cioè ,   HOSTILIVS MARCELLVS SACERDOS ANTIN0I   acheis dic avit , & nel rouefeio della medaglia c  il eauJb fcolpito il cauallo Pcgafo,& Mercurio con i talari & il  regdfo. Caduceo.   DAGLIONE GRE   D'ANTJNOO.     Fina    i °9  Finalmente per l'intera cognitionc de i templi anti-  chi, quanto alla religione io ne ho farti ritrarre 1 1 1 i.qui  di lotto, de quali pcreflère le medaglie logore, non ho  potuto tirare (enfo alcuno.     CL. NERONE. TITO.     BRONZO. BRONZO.      SEVERO.   bronzo. bronzo.      L’ vicini o di quelli quartro templi,fattoin forma ron VESTA -  da,parequafi limile à quello di Velia tanto riuerira da r  Romani, per ripofare là dentro Iaftatuadi Mi nenia, fta-  ta portata, da T roia:& la quale era in tanta vencrationc   O — -     no     Tempio di  Pace abbru  ciato.     DELLA RELIGIONE   che mai huomo non l’haucua vida.Nondimeno quado  abbrucici il tempio della Pace, il fuoco s’appicò anchora  à qucfto,onde le vergini Vedali prefo il Palladio, & con  cdo paflandoperla via facra, lofaluornofìno al palagio  dcirimpcratorcj&vcdefi il Tuo ritrattone irouefei del-  le medaglie di Vcfpafiano,& di Giulia Pia, che non è al-  troche vna piccola datua di PaIlas,con l’hadainvna  mano, & nell’altra vno brocchiere.   VESPASIANO. GIVLIA PIA.     ARGENTO. ARGENTO.      CLAVDIO. VESPASIANO.     ARGENTO. BRONZO.      Fedo      DE GL'ANTICHI ROMANI. in  Fccionogl’antichi quello tempio di Vefta informa Tempio di  tonda,llimando che tale Dea folTe la terra, & il primo fu  Numaà corniciarlo per addolcire, lòtto Ipctie direligio  ne, la ferocità de Tuoi fuggetti.     EVINTO   ARGENTO.     NERONE.   ORO.     VESPASIANO.   ORO.     ~ L’entrata dfq nello tempio era vietata à gl’liuomini,  comeànoi hoggiquclla deMunilleridcIIc nollre Mo- ^  nache già (late riformate :& il numero delle Vertali fu drOcvrfia-  ncl principio mi.&dipoiv i.& coli durò lungarni nte, w -   O ‘ z     mi  come mollrano le medaglie di Fauftina , & di Lucilla^  ùiu'vr/lì nc ^ c c I ua ^ fi vede il loro modo di facrificare,con i loro  li. vefti menti bianchi.chia mari dai Latini Sufftul* , lun-   ghetti & quadrati , tanto che le ne potcuono coprire la  iella, & Maflìma tralalrrefcome farebbe tra le noftrc la  BadefTa)hauere come prima il fympulo (vafo ordinato  peri facrificij)in mano, & l’altra innanzi alci, chela ri-  guardaci turibulo in mano Umilmente detto ^cerradi  Latini, col quale(facendoalIa Dcafacrificio)dà lo incen-  do alla Dea fopra all’altare, dipinto inficmc concila nel  modo che fi vede.   '-'FAVSTINA: medaglione di   BRONZO. LV CILLA.      Augmcntornocoltcmpo quelle Vertali fino al nume  fiali orditi* ro di vcnth&bifognaua per edere Monache cheellefof  tt al [imi- £ no natc Ji padre libero non feruo, vergini, & lènza ma  fta. 1 Vt ~ cula alcuna nella loro pcrfona,& d’età di Tei anni fino à  dieci, nel qual tempo era loro infegnato 1 vfo del facrifi-  care,comc moflra la medaglia di Fauftina, netta quale fi  vede la piccola Vellalc riceuuta dentro al Munifleroda   quale       zi 3   quale à capo d’altri X. anni faceua làcrificio , & ncl-  l’vltimo della fua vecchiezza inlègnaua all'altre que-  fiomedefimo,con qucftaconditionc,chcinxxx. anni vajffti io.  fi poceuonomaritare,quatunquc(pcrquellochc filcg- jj IHp p 0 u  ge^tutte quelle che cxercitorno quella vita, furono sfor uano mari -  lunate &. capitorno male. Etpcrchedi fopra habbiamo ttrc ‘  detto che la principale di Ioro,cioè la Badeffa fu da i Ro  mani chiamata Maflìma : noi prouerremo quello per  due Epitaffi antichi fiati ritrouati à Roma nel noftro  tempo ,1’vno de i quali comincia, &fornilcc in quello  modo.     Epitaffio di Fiatila Manilla U e fiale.   FL. MANI LI AE V V. MAXIMAE, CV1VS EGRE- *  G1AM SANCTIMONIAM ET VENERABILEM  MORVM D1S C1PLLNAM INDEOS Q^VOQ^.  PERVIGILEM ADMINISTRATIONEM SENA-  TVSLAVDANDO COMPROBAV1T AEM1LIVS  FRATER ET RVFINVS FRATER ET FLAV1I  SILVANVS ET H IR E N E V S S O R O R 1 S FILII  A' M I LI TU S OB EXIMIAM ERGA SE l’IETA-  TEM PRAESTANTIAM Q^_.     Epitaffio di Claudia Elia Claudiana  ZJ e fiale.   CL. AE LI AE CLAVDIANAE V V. MAX. RELI-  GIOS1SSIMAE BENLGN1SS1MAE Q__. CVIVS  RITVS ET PLENAM SACRORVM ERGA  DEOS ADMINISTRATIONEM VRBIS AE-  TERNAE LA V DI B V S SS. COMPROBATA  OCTAVIA HONORATA V V. D1V1NIS AD-  MON1TIONIBVS SEMPER PROVECTA. Erano quelle vergini Veftali hauute in grandilfima  vcnerationcdal popolo Romano, come fi vede nelquin  venerano - to libro della prima Deca, di Tito Liuio, douc èferitto  wrfoUv* c b c rincontrandole vna volta à piede Albino huomopo  fiali. polare,comadòalla moglie & a i figliuoli di Icéderedel  carro, perfarui fiilircfopra levcftali: &quefto aueniua  pcrlarfucrcnzachc i Romani portali ono al fuoco pcr-  fuoco per - p Ctuo ,che ledette Monache tcncuono Tempre accefo,d  pttU °' qualcfe per dilgratialafciauonofpegncrc, elle erano dal   gran Pontefice acerbamcte caftigare,quantunquc ogni  r inoiutio- annofoflTcda loro rinouato,quafi nel modo che foglia-  ne del fuoco mofarenoidcl gran cero di Pafqua.Su l’altare degli He  U fitto fan brei fimilmcntcftaua Tempre il lumeaccefo,fignifican-  no in anno . do che le grafie di Dio Ita no Tempre per gl'huominiap-  parecchiatc tanto di dì, che di notte:& nella miftica Tco  logia de gl’antichi Verta non fignificaua altroché fuoco,  ilquale(comedicc Furnuto) perche nel Tuo continouo  mouimcnto per le medefimo non genera nulla,però era  dalle vernini guardato : &i Poeti anchora (parlandodi  fuoco. Vefta)l’hanno Tempre prefa & intefa in qucfto fcnlo,co-   me fi vede in Ouidio,quando ci dice,   ’Nectu aliud "vejlam ejuampuram intelligejlammdm,  ‘Natdque de fiamma, corpora nulla. vides.   Iure igìtur virgo e[,(jua [emina nulla remittìt,   *tiec capirà comires virginitatis amar,  dciic’vc- Anzi furono quelle Veftali in tata auroriti,chelpcf-   flali. Co pacificornoinficmeil Popolo Romano nelle guerre  ciuili:& ho ollèruato io che,quado entrauono la prima  Lt ve fiali volta in Muniftero fi tofauono, come anchora hoggi fan  togate. no ] c Monache noftre: ne era loro permelTo di lafciarfi   piu     DE GL’ ANTICHI ROMANI.   più crefcereicapegIi,comcfi vede in Plinio , quando al  xvi.Iibro dcH’Hiftorianaturale fcriue: Antiquior lothos  efiejua C<t pillata dicìtur,quoniam xirginum Uejìalium ad ea  capillus defertur.\\ vitto loro vfciuadal publico, & durò  quella vfanza (ino al tépodiTeodalio Imp.chriftiano,  al quale mandorno iGécilhuomini Romani Symmaco  Patritio per ambalciacorc fìnoà Milano (doue all’hora  faceua refideza il detto Impcratore^pregandolodi con-  fcruarc i priuilegi alle loro Vertali, acciò che elle potelfi-  no cflèguire i teliamoti &lafciati ftati loro fatti da diucr  Ce pcrfone,però che i loro beni potcuono cflcrc tali, che  di quello che farebbe auanzato loro, harebbono potu-  to aiutare molte pouere pcrfonc,& guardare che aliai di  loro nonfoflero andate mendicando per Roma, & po-  tendo giouare anchora à iforerticri.Nondimcnofu tan  to in quello roftinationedcH’Imperatore,che Symma-  co non potette ottenere il defiderio Tuo, ne del Popolo  Romano:& cofì fumo tolte alle Vertali tutte l’entrate,  di che egli dolédofl nella fua oratione,dice limili parole:  Honorauerat lex parentum TJejlales virgines,ac minitlros  Deorum vittu modico, iu fi fijue priudegmfijtt muneris huius  integriti yfque ad degentres trapelerai. Soggiugnen-  do più baffo. : Sequura ejl hoc fames puhlica , & Jf>em  prouinciarum omnium me fi agra decepit,. 'Non fìtnt hac  "pitia terrarum , nihil imput ernia aufiu , nec rubigofe -  getibus ohfuit , nec auena frugei necauit. Sacrilegio annus  exaruit. Ne cefi enim fiit perire omnibus quod religioni-  bus negabatur. Quid tale proauipertulerunt,cum religtonum  miniftros honor publicus pafeeretì A' i quali argu menti   rifpofe poi affai bene Prudentio,moftrando che innan*   O 4     ir 5     Le Veftali  haue ujno  lor vitto  dal publico.  Teodofìo  imp. Cbri-  ftiano.  Symmaco  patritio am  bafi.     Amba f. di  Symmaco  nulla .     Aifrojìa de  Prudcntioi  Symmaco-  zi che il Palladio, ncVcfta , ne lari, ne Dei penati follerò  itati portaci àRoma,ilportod’Hoftiacra picnodinaui-   li carichi digrano,i granai pieni iìmilmétc,& tanta gran  de abbondanza di viueri erano in Roma,chc neiTunofo  reitiero che vi venifle per vederci giuochi Circciì,non  morì di famc,& che fc tal volta la terra iterile non ren-  derla le biade in abbondanza, naiceuaqueito,ò per cagio   Trudtntio. ne dcH'aria.ò per altri accidenti naturali, il cheanchora  meglio dichiara nel principio del iuo libro fecondo, do-  ue dice parlando contro àSymmaco:   Ultima legati defitta dolore querela ejl ,   ! Palladiu quod farra focu,vel quod fip'u ipfs  U irgimbm } caìlifque torti alimenta negentur. h   XJeJlales foluù faudenturfumptibus ignei.   Doppo laqualc rifpoitadcicriucndo la vita & modi ho-  nciti delle vergini Vertali, dice in quello modo:   Qua nunc Oefalis fu virginità tu bone fot,  2)ifcutiam,qua lege regat decus omne pudori*.  kA c primum parua teneri i capiuntur in annis,  lAnte Voluntati* propria, quam libera feda  Laude pudiciria feruens,(Q amore Deorum,   1 tifa maritandi condemnat vincala fexus.   Captiutts pudor ingrata addicitur arit ,   ‘Nec contenta perir miferisfed adempta voluptas ,   Corporii intatti meni non intatta tene tur.   ’Necrequies dar uri Ila torli , quii ut innuba cacum  ZJulnuiy&' amiffat fujjnratfoemina redat.   Tum,quianon totum JJ>es falua interfeit ignem,   Nam refdes quandoquefaccs adolere licebir,   Feda     Dtfcrizio-  ne della ui ■  ta delle Ve  fiali.   FeJldrjue decrepiti s offendere flammea canti  Tempore prafcripto, membra intemerata retjuirens ,  Tandem virgineam fajlidit Zdejìa feneBam,   2)um rhalamit habilis timuit Vigor, irrita nuUns  Foecundauit amor materno vifcera par tu ,   Tdubir anta veterana [acro perfunBa labore ,  2)efertisejue foca, tjuibus ejl famulata tuuentus,  Transfert emerita* ad f ultra iugalia rugar,   Z)ifcit &• in gelido noua nupra repefcere leBo.   Intere a dum torta vagos ligat infula crine s,  Fataléfjue adoler primas innupta facerdos,   Fertur per mediai vt publica pompa platea t.   Rilento refdens, molli scejue ore reteBo  Imputar attonita virgo ffeBabilis Vrbi:   Inde ad concejfum cauea pudoralmus expers  Sanguina, it pietas hominum vifura cruento s  Congrejfu, morte fjue,^d vulnera Vendita pajlu  Spellatura facris oculisfed & illa Verendis,  Vittarum infignU phalerufuiturtjue lanifis.   0 tenerum mirimene animarne onfurgit ad iBus,  Et tjuoties viBorferrum iugulo inferir ,illd  T)elicias ait effe fuas,peBufe]ue incentri  TJirgo mode fi a iubet conuerfo pollice rampi,   *He lateat pars ‘itila anima vitalibus ima  girini impreffd dum palpitar enfe fecutor.   Hoc illud mentum efl,tjuod continuare feruntur  Excubiat, Lari] prò maiejlate palati],   Quod redimane viram populi.procertimaue falutem,  ‘Perfundunr quia colla comis bene, Voi bene cingane  Tempora taniolrsjtf litia crinibue addane.   9 5     p ompa iti  le V filali  nel tempo  di Pruden-  ti.     Di qual ma  feria fabri-  cauono gli  antichi le  imagini.  p aufania in  Arcadie if.     \A uite è  mtn fugget  ta à corro-  sione.     U8 Et quia fubterhumum lujlrales rejlibus Ombrìi   In fldmmam tuguUnt pecuJes,&' murmurc mifeent.  Quello c tutto quello che Prudentio fcriue della fuper  (licione & pompa delle Vertali , che acconcic lafciua-  mente andauono fopra i loro cocchi, o carrette à vede-  re tutte le felle St giuochi cheli faceuono ne i circhi &  Amfiteatri & (oltre à quello che fi conuienc all’habi-  to,& l’animo pio de i religiofi)pigliauono piacere di  vedere i gladiatori combattere con le beftic feroci, &  ammazare le pcrfone,ondc Prudentio nella fine de ver-  fi fopradetti priega l'Imperatore di tor via coli fatti  fpettacoli crudeli, dicendo in quello modo,   Te precor ^ Aufonij T)ux ^Auguftifìme regni,   TJtum trifie ftcrttm tube *s ,yt exter a rolli.   Hauendo à baftanza fcritto de templi, & nomi de  gli Dei & Dee de gl’antichi Romani ,rcfta à vedere, &  faperela materia della quale ei fabricauono le imagini  Sellarne loro. Qucfteerano (come IcriucPaufania) dc-  bano,d’arcipreflb,di cedro, di quercia, di loto,di milacc,  & di boflolo , anchora che Teofrafto vi aggiunga la  radice deU’vliuo per le ftatue minori, & Plinio la vitc^  quando ci dice dhauere veduto nella Città di Polo-  nia il fimulacro antichiflìmo di Gioue fatto di legno di  vite : la quale cofa io crederrei facilmente potere effere  fiata vera , confiderato che Ce gl‘antichi eleggeuono i  fopradetti legnami, come quelli che durauono aflai, la  vite fenza dubbio, è quella che è men fuggetta alla cor-  rozionc,ficome fi è villo per diuerfe fperienze, quan-  tunque la ftatua di Mercurio in Arcadia non forte fatta  d’alcuno de i fopradetti legnami , ma di quello che c   chiama  zip  chiamato Thya,& da Homcro Troìetbes ; la fpctic del rhya.  quale è limile aH’arcipreflb di rami, di foglie, d'odore &  di frutto,&comcfcriueTcofrafto, tenuto in pregio per  l’odore tra tutti quelli, che nafeono nella contrada  di Cyrcne,foggiugnendo che della Tua radice fi faccuo-  no anchora mille intagli & cofc pretiofe. Vfiirono fi Gli antichi  milmcntc gl’antichi di fare ftatue di cera & di falc, onde u b aron ? di  non è molto tempo che in vna grotta prefloà Volterra i magni &  nefurno alcune ritrouatc, fi come anchora fi trouano  molte cole antiche di vetro, tra le quali io ho vn vafo  fatto in forma della teftad’vn Moro, & ripieno il fondo  di certa compofitionc anticaglie fa molto di buono, il  qualccon molti altri fu trouatogiànel Delfinaroin ca-  la del fignore della Motta, che ne fece prefente alla buo-  na memoriadi Monfignore d’Orliens. Adopcrorno ol-  tre à quello gl’antichi nelle imagini loro, l’oro, l’argcto,  il bronzo,il ferro, lo llagno,il piombo, l’auorio, &ìater  ra grafia detta arzilla, accompagnandole permaggiorc  ornamento de iloro templi, di pietre pretiolè, & final-  mente fi feruirono d’ogni forte di marmi, portati dilon  tani paefi. Dal quale ragionamento venendo al modo  &ordinedelorofacerdoti,&facrificij,dircmo cheque- f^dlu  Ili fumo diuerfi,comeil maggiore,& minore Pontefice, Romani.  Flamini, &Archiflamini, che tcneuono i primi ordini  fagri:gl’Auguri per gl’vccelli:i Salijper Marte, & altri   preti particulari (quali come i noftri Canonici) che fur-  r rr lì 1 • i i . . . . . Sacerdoti   no afiegnati alla memoria de loro Imperatori, da poi che Augnati»   egl'erano fiati deificati, come gl’Auguftali d’Augufto,   gl’Heluiani d'Heluio,gr Antoniani d'Antonino, gl’Au - TulTiìanU   rcliani d’ Aurelio, & i Fauftiniani di Faufiina , tutti oidi- f*»fiinia-     na      nati per la religione, pietà, & fàntità, la quale Cicerone  interpreta per la fciéza d’adorare i loro Dei, ò più rollo  demonij,& per fare facrificij, cerimonie fagre,dedicatio-  n',confasrationi,(uppIicarioni,proccflìoni, voti &altre  loro vane pompe diaboliche, & vane fupcrllitioni.     Sicrrdotio   ic i futi   Amili.     QUffto fi-  enfi do è  detto da Li  tini. Ambir  tuli fieri.      2) e s^t Cervo ti 1 et fz^ti   Ornali elei facrificio chiamato  isi mheruale .   Omolofuil primo inuentorc di quello  ordinc,8c dicreare il primo facerdotc per  i facrificij publici intorno alle terrc,& al-  le biade , acciochc elle crcfccffino in   maggiore abbondanza , pigliando per   infegna vna corona, ògirlanda di fpighe, legata con vn  cintolo bianco, ne palfauono il numerodi xn. Quelli  cofì fatti faccrdoti,&il modo del loro facrificio era tale.  Il primo di quelli facerdoti accompagnato da tutti  graltri,&r coronato d’vna girlandadi quercia , cantando  le Iodi di Cerere con vna troia,© vna vacca pregna cir-  cundaua tre voltci campi pieni di biade, & doppo ha-  uerebeuto del vino,& del latte innanzi che fegarc le  biade/acrificauaà Cerere la troia, ò la vacca. Et il pa-  ftorcvolendoalficurarcilfuo belliame dalla rogna &  da tutte altre malattie, gli fpruzaua prima 1 acqua fopra,  &di poifatta vnafaccellinad’aIloro,& di fauina mefeo-  lata con zolfo I’acccndeua,& tre volte circondando il  Tuo belliame con certi verlì facri Io profumaua,facrifi-  candoneH’vltimo vna torta di miglio, & di latte alla Dea  Pale,auocata dei pallori, credendo in quello modo   rende      , in  rendere ficuro( come e detto) il Tuo gregge da tutti  quanti i mali.   ~1d E q L‘ V g V X I, ET Z> E  U lor dignità.   Verta fpetie di religione fu portata à Ro- cicerone  ma & inlegnata da i Tolcani , la quale A»g»re.  Cicerone (per eflèrc flato di quefto or-  dinc^ Icriue nel libro della Natura de rate di prò  gli Dei, 8i doue egli hi parlato de Diin- ^tf^aiKo  natione,cllerc fiata tanto venerata da Romaniche non mani.  harebbono mai fatto, ne deliberato cofa alcuna dentro  o fuora di Roma,che prima non haueflìno prefo l’Au-  gurio. Anzi venne quella dignità in tale riputatione,  rifpetro allhonorc & vtile , che ne riceucuono quelli  eh erano Auguri,che i primi Romani cercauono d’en-  trare in quefto laccrdotio, come fi vede per le medaglie  di Pompeo, &di Ccfarc Dittatore, che vi mcllèanchora  M. Antonio & Lepido, nelle quali fi troua il lituo(bafto- m. Anio-  ne torto & limile alpaftoralcdeinoftri vclcoui^ilfym-  pulo,i 1 cappelloni vafo,&i pulcini , tutte infegne che  moftrano la dignità &cofe necclfaric à quefto officio.   IL LI        * «►   IL L 1 TU 0, S USTORI B UV-  gurale degli antichi Romani.     GIVLIO CESARE. POMPEO.   argento. a r r. f. n t o.     M. AVR.      zz 5     M. AVR. ANTONINO, ET AEL. VERO.   RESTI T. ARGENTO.      ARGENTO.     ARGENTO.      M. ANTONIO.   ARGENTO. ARGENTO.         Erano      Nuwfro de  gli Auguri.     Augurato-   rio.   jJtuoJbajlo  ne Augura-  le.     zi 4 Erano in quello Collegio degli Auguri tre nel prin-  cipio diputati,àcaufia delle treTribu,&di poi quattro  comeficriueHalicarnalèo. Madomandando il popolo  col tempo che quello numero folle crclciuto, ve nefuro  no aggiunti cinque della Plebe & mi. Patri tij, & coll  continouò dipoi femprequeftavfanza di noueinterpre-  ti de gli Dei fino alla fine. Il luogo, nel qualcfipiglia-  uono gl’Augurijieraà modod’vn tempio, douc l’Au-  guratore ftaua àlcdcrccon latclla velata, & il Lituo in  mano,col quale fegnaua 1 quattro angoli del ciclo, eficn-  do veftito d’vna verta doppia, & lunga,tintain Scarlat-  to, &chiamata Lena, o Trabea da i Latini, come fi vede   nelle medaglie di M. Antonio , con tale infcrizione,  MARCVS ANTONIVS LVCII FILIVS MARCI  NEPOS, AVGVR 1MPERATOR T E R T 1 V M.  Et in vn’altra fi vede la terta del Sole , con tali parole  abbrcuiatc,TRlVMViR REIPVBLICAE consti.  TVENDAE CONSVL DESIGNATVS ITE R VM  ET TERTIVM: & figurate con altre di LcntuloSpin-  ter,nel modo che fi vede qui di fiotto.   m. anto"n ia     ARGENTO.      Lcntu         LENTVLO SPINTE R..   ARGENTO. ARGENTO.     Ec per venire alla conclùfione di quanto io voglio vtjtidift-  fcriuerc de gl’Augurij, io metterò qui dinanzi la. figura a»*  ritrattadVnàmedagliad’argétod’AuguJfto, nella quale SUuU '  fi veggono ifacerdoti conlorovcfti lunghe, & il fimpu  I . lo , & lituo in mano x tutti inrtrumenti accomodati alla   loro religione,   • -V P • H]        k   ■ i       fi        Wc      ite • xXrGygt ET SACERDOTI. CHE. PORTANO L'Vfitt-  gnt tltld religioni per mejlrdr U fitti. Quanto all’augurio de Galletti , & del loro beccare,  onde gl’Aurpici de i Romani folcuono pigiare l’augu-  rio, & giudicare delle cofefuture,anchora che io ne hab-  bia ragionato qui difopra,&chciociò ftimicofa ridicu  la, vana & piena di fuperftitionc, io nondimeno non ho  voluto mancare per fatisfatione del lettore & de gli  amatori delle buone lettere di moftrarne qui Ja.prefen-  te figura.     P a    FiayK^f È ITA ATT A Dt-LL c/f JUXD^GtliA D'iAM-  gmtt iiJU.Lef ìit rriummrt.       - • - —     I Romani hcbbcro in tale venerationc i lacerdoti  drepolli allo Aufpicio, che ei fondauono tutto il loro  giuditiodcllccolcaucnire & di quello che doucuono  fare,(opra il beccare de polli, non cominciando alcuna  imprefa che prima non hauclTìno prefo quello augu-  rio,ncl quale fé vedeu ono beccarli allegra mentc,piglia *  uonotalcofaperbuonfcgno,&lcalrrimentiaccadcua, ne de ro-  non faccuono in quel giorno cola alcuna. L’huomo,  che baueua la cura di quelli polli, li chiama ua pvll a •   Rio, & la gabbia, ò Hia douc erano rinchinlì, cavea  tVL l aria, fatta nella medelìma forma diqucliachclì  vede di marmo nella loggia del palagio dei Cardinale  Cclìsin Roma,accompagnara d’vn bcllilHmo epitaffio  pollo qui di Lotto nel modo chefegue,        wt I.     0 ST1U *P ZJ L L  ria, ritratta <Tì>n marmo antico in Roma .        M. POMPEIO M. F. ANI ASPRO   > LEG. XV. APOLLlNAR.> COH. III. PR.  PRIMOP. LEG. III. CYREN PRAEF. CASTR.  LEG. XV. VICTR.   ATIMETVS LIO. PVLLAR1VS   FECIT ET SIBI ET  M. POMPEIO M. F. ET C1NCIAE  COL. ASPRO SATVRNINAE ,   FILIO SVO ET VXORI SVAE ■   M. POMPEIO M. F COL. ASPRO FILIO MINGRI     U.varro.     1 fdctrioti  differenti  fecondo le  dijferentìt  de gli Dij.      Ornamen-  to del fla-  mine Dia-  le.     Del Flamine Diale.   Sacerdoti di Giouc& di Marte fumo ora-  dinari, & chiamati Flamini da Numa  Pompilio: onde Varrone nel libro della  Lingua Latina dicc,chcgrantichi hebbe-  ro tanti Flamini j. quanti haueuono Difc  come il Diale di Gioue,il Marnale di Marte, il Quiri-  nale di Romolo, il Volcanale dì V òlcano, & molti altri  alla differenza de noltri che noi chiamiauono Vcfcoui,   Archiuefcoui, Patriarchi, Cardinali. Mail Senatodipoi   ordinò anchora Flamini à ^'Imperatori diati da loro  deificati-come gl’Auguftali per Augufto,& gl’ Antoni-  ni per Antoninoctra quali il Diale era meglio vellico de  gl'altri, & haucua la fua Tedia d’auorio, ordinata loia-  mente per i Magiftfaci, &il Flamine lolo portauail cap-  pello biancojfcnza.il quale non gli era lecito vfeire fuo-  ra dicafa-   CAP     .«Sw -'-v -       . z)i   CAPPELLO DEL FLAMINE  ritratto et i>n fregio antico di marmo eh e in /Lorna.      De Sali],           Ra tutti quelli faccrdoti ne fece Numa  anchorax 1 1. chiamati Salij,da i Etiti Io  Icnni,che ei faccuorio ne i loro facrificij.  Et dipoi Tulio Hbftilro gli crebbe infì-  noà x xiiil & di x x 1 1 n. alla fine flir-  tanti che feciono vngran Collegio^, ne potcuono  cfleredi quello ordine le non quelli, che non haueuo-  no padre ne madre. Di quelli Icriué Tito Liuio,  egli andauono cantando & ballando per mezzo la Ara-  ba, & cantando veri! Saliarij n<*l melodi Marzo porra-  uono in mano lo feudo célerte 1 chiamato , zHncilè ì in ho-  norc di Marte, come lìvedeDtr le medaglie d’Àu’truAn  <^efaxe,& d’Antonino     nmm Poi»  pii infittiti  iSalif.   Tutto  fillio.     Anale, jcu-   ànrrltM*     1      A VG. CESARE.   ARGENTO.     A N T. PIO.   BRONZO.       totani*- L’acconciatura di quelli Salijcra vna velie honorc-  turddis*- uo I Cj di calore pagonazzo, con vna celata in capo,&  quando ballauono pcrcoteuono i loro feudi con vna  daga,o pugnale che portauonoin mano.     Uj,     ■<     Sdendoti   tbumeti   Epuloni.      2>e \ij. h uomini Epuloni.   Er quanto fi è potuto conofccre, quello  ordine d’Epuloni era vna fpetie di faccr-  doti,trouatida i Pontefici ppr ordinare!  conuicichei Romani faccuono,cclebran  do le fede de i loro Dij, annuntiando il  giorno nel quale fi doueua fare la cena di Gioue:doucfc  per fortuna accadcua che la folcnnità non foflcintcra-  mcnte oflcruata,con ledebite cerimonie, ci lo diccuono  à i Pontefici, che rimediauono à tutto ; quantunque i  i lutili*. GrccigHchiamaflbno piuto{ltì»^«f«, cioè,faccrdoti di  buon tem po, che fare facnficio à i loro Dij.   L. CAL      xjj  L. CALDO SEPTEMVIR EPVLONE.   ARGENTO.      Vedeli la memoria di coftuianchorahoggi in Roma Vir<tm ^ e   • 1 _ | \ c ' c * . . , ittica che   per le paroleinragliarcin vna Guglia, o Piramide di mar fìutdcint *■  jno quadrata, che fono tali, opvs a bsolvtvm D i E _ «irto*.   BVS CxXX. EX TBSTAM. C. CORNELII TRIB.   pleb. septemviri epvlon v m> le quali interpreta*  tc voltano dire,ch'ella fu fatta in ex xx. giorni per tc>  ftamenro di Caio Cornelio,Tribuno della plebe, & del  numero di quelli v 1 1. Epuloni, moftrando l’autorità &  portanza che egli haucuono con limili parole, tv c ivs   CALDVS SEPTEMVIR EPVtONVM.   De due y cl xv. huomini.         Tarquino fumo ordinati due  mini per fare fieri ficiorà quali ne agg  Zeftio & Licinio Tribù  olì fletterò lino à temp  Sylla,chc veneaggiunfcv.altri lcuan  donc duciamo che in tutto furnox v.lacerdoci fulamcn M buoni-  tc:l’officio de quali era d» leggere & interpretare i librila-   P 3     mento il tm.  — J»< tf-      cri; oSibilIini:&rifpondcre & consigliare al popolo Ro  mano tutte le cole dubbiofcjaffiftcndoiifacrificijd'A*  pollo.romcmoftra il Tri podeftampato nelle medaglie  di Vitcllio & di Velpafiano con lettere che dicono»  qvindecim vir sacris fAc ivndis. \   ; v   VITELLIO. VESPASIANOTli   '*■ •   ARGENTO. ARGENTO. *        Del gran ‘Pontefice.   Ra tutti i Pontefici creaci da Numa nc  fu fatto vno più grande degl altri,il qua*  lecol tempo venne in tanta riputatone  chenonpoteua eflerne alcuno fenonSe  t l cttione Ba^aa a natorc,& cofi m orendo glabri Pontefici  drigri fon minori ncelcggeuonovn’altro.come fanno hoggi i nc  *É“cZ* ftri Cardinali vn Papa. Haueua quello gran Pontefice  5 cura delle eofc Sagre, coli priuatc come publiche» delle   ^ . cerimonie, prodigi], rnortorijjd’intcrpretarc le cofc diui?   hp.u * nc,fegnare,{criucrc accomandarci qualialtari&r Dij fi  * doucuono fare i facrificij : & Sopra tutto. por mente 8t  ■ ’ prohibire        a :      x J5   prohibirc che nuoue vfanze non entragno in Roma   perdifturbatc,o corrompere le cerimoniedclla loro pri   ma religione & loro Dij : della quale autorità ha ferino non ricette-   Cicerone nel Po ratio ne che fece per conto della fua prò U0 "‘ 0n ^ 0tte   pria cala in quello modo» Cum multa, diuimtusfponnfi- cerimonie   ces.amaiorilms no (lri« inuenta arane inftirura fune, rum mini rt ^~   , . , J v , , 1 . / _ 1 gwnr.   praclanns quam quod )>o; @T religioni bui Deorum immorta-   lium , (g) flemma Xeipuhlica pratjfe \>oluerunt,'vt ampi fimi  clarifiimi Citte; ReipuMicabene gerendo , ‘Pontifico s reli-  gione; fapienttr interpretando , Rempuilicam conferttarenr.   Laonde per meglio inoltrare la lua autorità & dignità  chcgl’antichi (timauono tanta, eiportaua vn cappello,  fatto nel modo che lì vede per le medaglie di Celare Die  tatore in compagnia del fimpulo& lettereche dicono, ^fg^UnPò   CAESAR IM0ERATOR PONTIFEX MAXIMVS. All teficc.   chora che in altre medaglie fi vegghino la tazza, il cappcl  lo, il limpulo,&: il lituo , come proprie infegne del gran  Pontefice.     GIVL. CESARE.   ARGENTO argento      li „      Non ottante quello fi veggono anchora affai meglio  cappella ^ quelle inlègnc della religione, & cappello del gran Potè  u$xT ° ^ ce nc » fregi di marmo , che fono in Roma {colpite in  quello modo.        .MM     CAPPELLO 2) E L   ‘Pontefice.     ■     • •      confetta- La confccratione di quello Pontefice è tanto ridicu-  tione dipo la & llrana,che ella merita d’efièrc tutta interamente di-  “rldentio. mollrata nel medefimo modo che l’hà ferina Pruden-  tio:il quale dice che quello Pontefice nel fuo habito P5-  tificale,con la miccra in tc(la,& la velie alzata entraoain  vna foflà,fopra la quale era vn pótedi legno tutto bue-  cato,douc dal Victimario era condotto vn toro ornato  Horr Mi tutro fi° r * > & d’oroin torno alcapo , che il detto coa-   ctto,& del fangue co fi caldo che n’v •  cr i bufehi del ponte,cra il detto Pon   teficc     cerimonie     ductorctcriuanelp  Mti - feiua & trapclaua p         Cenativi     loridi.  il tordo di *  litato libo.      *37  teficc tutto imbrattato con fregartene gl’occhi 3 gI’orec-  chUclabia & la bocca, & coll vfeendo fu ora coli fpor-  cho & brutto,& molto terribile a riguardare, era da tut-  to il popolo falutato & adorato. L’altre cerimonie , fatte  per i piccoliPontcfici,Flamini,Archiflamini & albera-  no i conuiti magnificamente apparecchiati, de quali hi  jfcritro Macrobio dicendo, che all'entrare della Cenale tifici,  prime viuande prefentate erano fpinofi di mare, dipoi s P ino fì &  peloridi & fpondili,fpetic di nicchi , o chiocciole mari- spo ^ c p*  ne,& tordi,chc i Romani ftimorno cofi dilicato cibo,  che venuti in tauolalafciauono ogni altra viuanda , &  pc^trouarli mcgliori nel tempo d'Auguftogli riempie-  uono dentro di più buòne cofe. Dipoi feruiuòno fpara-  gi con vna gallina grafia, oingraflàta àpoda, la quale  vfanza leuò via pcrleggc & bando publico Caio Annio cjjoAmifa  Eannio, volendo che le galline fi mangiaflero,comc elle ramo.  erano trouatc,dclmodode iquai conuiti chivuole an-  chorapiù àpieno vederne lniftoria, legga Varrone &  ColumcIla,doucegli infognano tutti i modi della gola.   Doppo quelle colè veniuono piatti d’oftrighe, peloridi,  che ci chiama , Salanos nigros ffialbos, fpondilos&gly- BaUnL  comandas,fpetie di nicchi & d'altri pefei che non fi pof-  fano (non fendo in vfo) altrimenti dichiarare al nortro BeccafiebU  tepo, bcccafichi, colombcllc,vn’arifta di porco, cingialc, rorpórj  . capretti, bcccafichi impattati, po!ipi,oporpori et murici «i [angue  del (angue de quali gPantichi faccuono lo fcarlatto , &  de quali fcriuédo Seneca nella prima Epiftoladel x 1 1 1 1.  libro dice , marauigliandofi della gola degli huomini,   O quanteforti di Conchili portati di lontani paefi palla- zfcUmatti  noper loftomacodell’huqmo,chclbno ben poucri d’in * Seneca.   gegno.      gegno,&dilgratiati poi che maggiore hanno lappemo  che il ventre .El fccòdo piatto era d’vna teda di cinguia-  Ic,vn piatto di pelei fritti nella padella: vn piatto di Som-  sommta. mataj f atta delie poppe d'vna troia, che haucflTc figliato  frclcamente,lequali erano (limate tanto migliori quan-  to più erano piene di latte. Doppo quelle leruiuonoi  petti dcH'anitre faluatiche,ccrucllid’animali Jeifi , lepri,  vani detta molti vccelli arroftiti,con pani della Marca d’Ancona,  ^Ancona. * quali fifaccuo no di farina ftcmpcrata noue giorni ncl^  latifana,oalica,&poiarroftica con zibibbo in vna pen-  tlinio. toladi terra dentro alfornoja quale (come dice Plinio)  non fi poteua poi altrimenti disfarete mangiare fc non  meda nel lattc,o nell’acqua & nel mclIe.Et taleerail mo  do del cenare & l’apparecchio delle viuandede Pontefi-  ci, ripiene d’vn fi grande numero di viuande mefeokte.     2) e fi cerdoti ^ugttjldli^ di loro collegio*     I berlo Celare fu quello chccrcò prima,  il collegio defàccrdoti Augullalijdoppò  Ihauerc edificato vn ten^io ad Augu-  ro, che C,. Caligu la co nfiigrò dipoi ap-  porne fi vede     rUerio c»  fare fondi  glihngyfU     predo la morte di Tiberio  per la fua medaglia di bronzo..CESARE. CALIGVLA.   BRONZO. BRONZO.      Scriuc Strabono nell in.Iibro della Tua Geografia che Tempio  à LyoncdoucilRodano&laSona fi congiungono in- * A w*  ficmc ,fu fatto vn altare, &vn tempio doppo la morte ’^yoM?  d’Augufto,&quiui porta vnaftatua da tutte JcProuin-  cic della Francia, la quale cofa m’hà fatto penfitre che  quello poteflèeflereilluogOjdoucchoggilaBadiad’Ai- colonne di  né,rifpctto alle gran colonne di getto che vi fi veggono w  dentro:&quiui penfcrei io che folle fiato il collegio de i  faccrdoti Auguftali, come chiaramente dimoftra vna  pietra antica di marmo, eh e fi vede nella chiefa delle Mo  nache di S. Pietro, in Lyonc,     IO VI O. M. >   (VADCINNIVS VRBId  FIL. MARTINVS SEQ.   SACER.DOS ROM AE ET A VG.   AD ARAM AD CONFLV ENTES ARA.   RIS ET RHODANI FLAMEN  ff. V 1 R IN CIVITATE   SE QJ/AN OR VM.   Ter              Per il (opra (cricco epitaffio (ì conofcc , che non Co Ia-  menccàRoma&àLyonc,mapcr tutto il mondodoppo  la morte d'Auguflogli furono edificati templi, dcrizati  a ^ CiU ' con vn collegio di Sacerdoti detti Stxtum-'vir't^iu  Ut. gujlalesjin honored’Auguflo, comcanchora fi vedein  vna pietra fcritta alla porta di S.Giufto in Lyone,in que-  llo modo,   D. M.   C AL VISI AE VBRICAE ET  MEMORI AE S A N C TISSI MAE  P. POMPONIVS GEME LLl N VS  limi. V I R A V G. LVGD. À   CONIVGI CARISSIMAE  ET INCOMPARABILI  POS VIT.   Tranquillo Quello collegio de gl’ Augurali venne col tempo in   sagio gA tanto credito, che( fecondo che fcriuc Tranquillo) Scr-  ba A«gW * gj 0 G a lb a innanzi che fode Imperatore, vi. volleencrare  dentro, & fu riceuutotraifàcerdoti Auguflali ,de quali  inficmecol Scflumuiratohaucndo àbaflanzafcritto,&  maffime neh n.libr.delle mie Antichità di Roraacócro  all’oppenione dclI’Alciato nelm. libro.del Codice, &  moftroqual’era rautoritàdcDecurioni,&comeei dona  uono&diftribuiuono quelli offici) perle Prouincic,tor  nero à parlare della Cittàdi Lyone,la quale doppo ede-  re data popolata daPlanco per ordine del Senato Ro-  mano, paflò di grandezza, di magnificenza, & di richez-  za tutte raltrcterrcdelmondo,rifpettoallefierc& traffi-  chi che fempre fono flati in edà fatti , come ^iùi I Ugo io  ho moflro ne detti mici libri dell’Antichità di Roma,  cdcndoobligatodi pagare quello debito alla mia patria.   De     Aleuto.     lodi della  Città di  Lyooe.     X      2) e Sacerdoti di Cy Itele Madre degli Dei.   Sacerdoti di quella dea fumo detti Gal-  li^ Archigalio il maggiore di loro:i qua  li nel principio della primaucra (come  recita Herodiano)vfauonoogn’anno fa  re vnagran fella in honoredi quella, por  il lìmulacro.o ftatua della, acompngnato  dalle più prctiolè cole, che haueuono in cala, come vali  riccamente lauorati d’oro & d’argento, elfendo permef-  foà ogniuno di traucllirlì & vcltirlì in che modoglipia-  ccua celebrando quella fella,la quale chiamarono Me-  galejìa&ioè, maggiore di tutte lai tre. Quella fu folcnne-  mcntc già fatta da Com modo Impalipoi che cghhcbbc  (campato dallacongiurationedi Materno, & fattoli ta-  gliare la tella, però che clTo Commodo volendo ringra-  tiare la dea del pericolo paflàto,portò egli medelìmo tue  tele reliquicdi quella, & il popolo fecegrandi/Tima alle-  grezza & diuerlì giuochiper la falutc del Principe, chia-  mandoli Seteria, cioè,facrifìcij di falutc:dcllc quali ceri-  monie chi vuole più largamente fapere, legga ilxxix.  libro delle Decadi di Liuio.Vedclì adunque che l’officio  di tutti quelli faccrdoti non era altro che fare facrificio  à i loro demonij più rollo che Dij,inlIcmecon procef-  fìoni& orationi, oringratiamenti di qualche vetroria  hauuta, opcr mitigare l’ira dclcielo : portando innanzi  il lìmulacro di Giouc,& fu per i canti delle vie pofando-  lo fopra certi altari,quafì comc noi hoggi vlìamo di fa •  re per lafèlla del corpo di Chrillo,anchora che non con  uenga quelle vere & lecite à quelle falfc & profane ceri-  ci      Calli, Sacer  doli di Cy-  bele.   Tejla in ho  nore di <jne  /la Dea.     MrgalcfU.     Sacrificio  di falutc d't  to Sotcria.  Tifo Limo.  Qual tra  l'officio d'i  faccrdoti.     Cofiumi de  gli antichi  guardati  in trancio.      Ordine del  le procreo  ni degli an-  tichi.     Nel I-libr.  degli F ajli.      monic aflomigliare.Et à quello propofito io mi ricordo  hauere veduta vna medaglia di Dominano, nel rouclcio  della quale era vna proceflìone fatta da i Romani,do-  uc fi vedeuono innanzi à tutti i fanciulli chetici, & poi i  fiiccrdoti più vecchi in habito, & getto dicaminarei  tutti con vna girlanda in tcfta.in mano vn ramo d’allo;  ro,& l’Imperatore ncll’vltimo, vettito di (carlatro:onde  none dubbio alcuno che i prieghi, l'offerte, i voti,i facri-  ficij,& l'orationi fono i mezzi, per i quali s’arriuaàgl’o-,  recchi di Dio: quello che afiai bene haferitto Ouidio  quando ei dice,   Fleti itur ir ar ut 'voce rogante Deut.   Sape Iouem \idi,cum fetta mietere pellet  Fulmina, th ur e dato fujlinuijjemanttm.   L’orationeha tanta forza,fccondo Pittagora,chc media  te quella fiorirono tutte falere virtù, & ella conduce  l’huomo infino al cielo, eflendo fatta con fede inuerfo  Dio.il quale c quello che ci fa forti contro àtutte le pafi*.  fioni&r dilgratie humane,rifufcitandoinnoi Iafpcran-  za che faremo difefi da lui,&per mezzo dcH’orationcfà  remo ripieni di carità con animo di correggerci de no-  ftri errori, &nó tornare piùà peccare, comchabbiamo  fatto per il pattato, trouàdoci tanto fortificati.che cofi fa  cilmentenon potremo piùcrrarc:Sc finalmente delibe-  rando di viueregiuftamentc, & accompagnarci con la  temperanza con fermo propofito di vincere tutti gl’tn-  fortunijchecipoccttìnoaueniredi Dio, eflendo ragionc-  uole che fotte ringratiato colui,checidaua&dona tutti  i beni, il che non fi può fare per altro mezzo migliore.  fittene, che quello dcll’orationc:ilchc cófcrmò finalmente Pi*     F de   loratione  fecondo Pit  tagora .     cone      tonedicendo,chcà l’huomoera ncccflàrio d’honorarc,   & riuerirc Dio,volcndolo hauerc con elfo Iui,& prolpc murre in  rare in ogni atrionc:ondc fi vede che quelli che di que- ;ìfi  fto non hanno curarono il più delle volte dilgratiati, ne damentode  fono mai eflauditi da Dio, come per contrario fortunati  o felici tutti coloro che ricorrono à Dio, come moftra  Homcrodicendo,   o't « èiriT<i'S»T«i, ixdtut Ti<t>u»r iu-n.   Cioè, coluièeffauditodaDio,cheolIcruaifuoi precetti. colui indi   Era parimente l’officio di quelli fiiccrdou di fare ogni [ 0 h ^ e ^\  annoi voti publicidoppoleCalendidi Gennaio, come fuoiprtut-  fcnueTacito nelfcfto libro de fuoi Annali, & Plinio Se *«•  condo nel fuo Panegirico, dicendo che i Romani vfauo atiiom*  nodi nominarci voti perl’eternità. deH'Impcrio , per la rL  fanità de Cittadini, & principalmente per Ja falutc de  Principi, che è quello che i Latini propriamente hanno  detto, Nuncupare ìord, facendo facrificij publici : onde 2T* 0 *  nafccche fi trouano lettere diuerfe fcritte in quella for-  ma , vota PVBLICA, QVIN QV ENNAL1A, DECEN-  N ALI A, VICENN ALIA, TRICENNALIA, QVADRI*   c e nn a l i a , come fi vede in più medaglie di Impera -      severo geta:     ARGENTO. ARGENTO.      CRISPO. GIVLIANO.   BRONZO . ARGENTO.*      CONSTANTI NO. GIVLIANO.   BRONZO.' BRONZO.      Mallìm/a  MAòSIMIANO. DIOCLETlANO.   BRONZO. BRONZO. ___     Faccuanfi quefle cerimonie da ifaccrdoti &? Flami-  ni vertici nel loro habito (accrdotalc alla pri Lenza de-  Confoli, Pretori &Cenfori, che pigliauono il votopubli  cp innanzi à tutto il popolo Romano. CARAC ALL A.   bronzo     MEDAGLIONE DI   CR tSPINA.     ' Tutti iM agi tirati di poifaceuonofcriuerequeftLvo ìuotiferit-  ri in vn marmo>o in vna tauola di ramc.battendo meda  wlicchc mollrauono gl’anni domadati per ricominciar- uolc di t *■  li,cio<ì di cinque in cinque anni, di x.di xx.di xxx. &tal Wf *   Ovolta iniìnoàxL. come moftrano le medaglieri Maf-  fentio & Dccentio,neIlcqualic ferino, votis qvin-   QVENNAL1BYS MVLTiS D E C E NN A LI B VS, ornate di   cappelletti guarniti nella fommitàdel laboro,& intór-  no lettere che dicono, v ictorue do minouvm   NOSTRORVM AVCVSTORVM ET CAESARVM.     M ASSENTI O. DECENTI O.   BRONZO- BRONZO. *47   $CUZ> O 7)1 FORM .A  oliale gratto del marmo antico .      TERi     Etpcr le medaglie d* Antonino Pio &. di M. Aurelio Ci  veggono i voti fatti per zo.anni conejueftc parole,v ot a  syscepta vicennalia,& iUàcerdotc il qual prò-,  metto de render i voti.       ;     i- ■'   ,|K3Kl   L'/ * v     Ó     Q. 4        é          MS della religione   FLAVIO Gl VL IO CRISPO ”   BRONZO. BRONZO..     Tra l’altrc mie medaglie ione hòdue d’argento l’vna  di Valente & l’altra di Teodono Irap.ne rouefei delle,  voti# jo. fi veggono i voti di xxx.&2fxxx.anni,conrimagi   tir 4 m ne di Roma à federe,chc tiene vn globo io mano con la  croce difopra , lignificando [imperio de principi Chri-  ftiani.   VALENTE. TEODOSIO.     Quello elici faccrdotidomandauonoin quelli voti  inliemecol popolosa lunghezza di vita per gl’impe-  ratori.     Ronwiù w  lor uoti,<ì  gli Dei.      a*?  ratori , ficurtà dell’Imperio , la grandezza della cala de cfcr donni i  i.Principi,la fortezza delleflercito^a fidelità del Sena- <<4 " 4no '  to,la bontà del popolosa pace del mondo, & Iavctto-  ria contro à nimici,comc li vede per le medaglie polle  quidi fopra,doue habbiamo villo, vie tori a domi-   NORVM NOSTROR VM AVGVSTORVM ET CAE-   s a r v m, in maniera che quelli voti hanno durato infi-  no àhogg’,&fubito che i Romani erano giunti al ter-  mine di elfi, di nuouo ringratiauono Dio,& (come fcri-  uc Plinio Secondo à Traiano)faceuono altari con facri p /&„•„ $ f _  ficij, balli, fede & conuiti, dimando opera rcligiofa &  pia,quello che piu torto fi doucua profano Si empio KO manintt  giudicare, poi che egli haueuono licenzadi fare ogni ma ringratù -  lcicon ciò fia infino che negli Anfiteatri i carcerieri  correuòno per il circo, le bertic feroci erano ammaza- noti «iu-  te, i gladiatori sbranati, & gli Imperatori faliti lopra vn piut, ‘  palco ragionauono di dare la Mancia ai-popolo , che fdtrimnti  gridaua ad alta voce, c<w ?~   Denofins dnnu dugedt ubi I uff iter dnnos. Latino, cr   Et mentre che fi faceuono quelli voti, il Pontefice era tramo di -  vcftito d’vna verta lina tutta bianca, & lunga fino ài  piedijfignificando la fermezza d’vna rifplendcnte virtù: za.   & de gli altriiàcerdoti chi cantaua hymni &peani,chi  fonaua flauti, chi la lira, o la ceterajn tanto che il mini-  ftrodcl facrificio tcneua vn bue,& vn’alcro detto vitti-  roario lammazaua,comc fi potrà vedere nelle Meda-  glie di Dominano, & di Geta per la cclebrarionc de i cMtuu*  loro giuochi, & fcfte feculari. ™ bi   5     ri.        » ■ -enfe- r*b% tljrm 4      FtGVRA ritratta     h t* (/^  gmochifeciLm d\yt*g*fb.     iiiiiii          DOMITI A N O     ANT. GETA   BRONZO.     BRONZO.      domiti ano:   BRONZO. BRONZÒ.     Facendoli quelli facrificij , tutto il popolo in Geme     con l lmperatorc fi inginocchiaua.&adorauono i loro     fallì Dij,come lì vede nelle mcdagliedi Dominano.   DOMI          Sagrauono nmilmcntc le imagini de i loro Dij > non  firn* togli per amore di quelle (come dice Platone) ma perche elle  fomigliauono le deità di quelli, come noi hoggi figuria-  mo le no(lre,& tral’altrc cofc venerauono affai la faetta  di Gioueffimaginedellaqualccra confagràta dal gran  d! UtoZ Pontefice, (limando che per quella via il popolo &lc  fiumi!*» biade farebbono accurati dalla tempefta del ciclo, co-  4i Romam. me fa vc dcpcr le medaglie qui di fotto.   TV G V S T o! A N T. P 1 0~     A’ que    ijj  A' quello mcdcfimo effetto quello che i Cetili oflci>  ùauono& crcdcuono nella loro fupcrftitiofa religione,  noi l’vfiamo hoggi nella conlàcrationcdcllc noftrc cam Confacra-  panc, (limando che fonate caccino il mal tempo, fi co-  me egli vfauono ilfalc,l’acqua&gli cflorcifmi,pcnfan •  do che cacciafiìno i cattiui (piriti d intorno à i luoghi,   & à le perfone:ondcio mi marauiglio grandemente che  tanti begli ingegni, & valorofi faui,& prudenti huomi-  ni, come fumo i Romani, penlàflino ((appendo la licen  tiofa& dishonefta vita di Gioue) che egli hauefle forza La uta 4  di tonare, danneggiare, mandare laette, & beneficare le ^ iou *  co le humanc,chiamandolo Ottimo, Mafiìmo & Omni  potente , & perche più torto non crcdefiìnodi poi che  Chrifto era già nato di molto tempo, che come illoro  Efculapiojchci fcciono volare al cielo per forza, non hrrtligio.  poteflè più torto Giefu Chrifto hauere rifulcitato i mor- •   ti,& che ci folTc figliuolo d’vna vergine, come ei diceuo -  no che vergine era Verta &madrc de gli Dei, & chcno-  ftro Signore haueua alluminato vn cicco, come egli af-  fermauono hauere veduto fare quello medefimo mi-  racolo à Vcfpafiano in Alertandria.Ma tutta quella in-  credulità nafceua dal demonio che gl’accccaua. Ha-  ucndo aliai à balla nzaoflcruato & Icritto de l’ordine di  quelli facerdoti,facrificij & voti , i quali erano anchora,  che fecondo lefortune che egli haueuono (campate &  la qualità de voti fatti, egli appicauono alle mura de haucr t /Um  templi le tauole,douc erano dipinti tutti i cali, fi come pato qual -  hoggi fi coftuma in Fiorenza, & in molte altre chicfe f . he ca f° *  d'Italia,ondcHoratio fcriflc; Fortiuw.     Me     rnr qual ca  gioitegli ut  fichi facri *  ficomo.     Cerimonie  del ftcrifi-  ciò.     Moti.  Plinio nel  17. libr.de  tHifioria  tutur.  N«n»M fa-  cùfico il  primo 4  Dio, fecon-  do il diredi  Plinio.  Microbio.  Virgilio.     purgatione  degli anti-  chi con l'oc  qua ffiarfa.  Jrfe tabula facer  ZJ attua paria indicai h umida  Sufj>endiJJe potenti  ZJefimenta maria Dee.   Refla à vedere tutte le cerimonie & inftrumcnti vfad  da glantichi ne i loro làcrificij,i quali fc alcuno mi do-  mandali! perche erano fatti, rifponderei per tre cofc. La  prima,pcr honore di Diod’altraper vtilcdel faccrdote,  che impetrauafanitàper il Principc,& per il popoIo;co-  mc cofa più prctiofa tra l’altre, & la terza , per doman-  dare perdono à Dio dcgl’crrori commcflì, pregandolo  di volere fanarc l’alma inferma. Era adunque il princi-  pio di quello facrificio che il prete innanzi, che ammaz-  zare la bcflia,lcmcttcua fui capo , o Culla fronte della  farina, dell’orzo arroflito,& del fale tutti mcfcolati in-  ficine, la quale millura gl antichi chiamorono Mola,  come fi vede in Plinio, quando ei dice, che Numa fu il  primo chcfacrificò à Dio col grano, & lo pregò con la  mola falatarnondimeno innanzi che fàcrificareil faccr-  dote fi lauaua,& quando volcua folamcntc rappacifi-  care l'ira de gli Dei,o rallegrarli fi gettaua l'acqua fopra»  come fcriuc Macrobio,& Vcrgilio parlando di Didone  apparecchiata per fare facrificio,   ^yfnnam,cara mihi nutrixfuc fi fi e fororem.   Die corpus properet fluuialifargere lympha.   Etaltroue quando il detto Poeta parla della fèpoltura  di Mifeno,ci moftra come gl’ailìilenti al facrificio erano  purgati dal facerdote con l’acqua fparfa convn ramo  d’vliuo,o d’alloro nel modo chefeguev  Idem ter focios pura circumtulit inda,   Spar      $pdrgen$rortleHÌ,(èfr rtmoftlicìi olia*, _ \   Mai Romani di jjoì in luogo di quelli rami vfarono  vn’afperge, limile a quella che fi colliima hoggi nelle  nollre chicle, come li vede in più medaglie & fregi an-  tichi che fono à Romaà quello modo.Quelta alperge llaua ncll’acqua,douc prima era /la-  ro fpcntovn torchio accerojchchaueuaferuiro al làcri-   ficiofu l’altare. Et di qui nacque l’acqua di Mercurio .  predo alla porta Appia,della quale via ua il popolo Ro" « £££  manoinuocando Mercurio, & penfando coli fcanccl- s ^ rr fi i ~  Ure i peccati leggieri & fpccialmcnre la fede rotta , & le ‘ÌZ  bugic.Oltrc a quello ho olléruato che gl’antichi driza-  uono innanzi ài loro templi vna Pila magnifica, douc  del continouo teneuonol’acqua, con la quale li tocca-  uono prima che entrare nel tempio per fare fa orificio.     A     %}( ‘PILLjl T 1 2t sAT DEL '   marmo antico.      *     I     !»   ir     Vfauonodi poi vn’altro vafctto minore & portatile. li  con acqua, limile à quello che portano anchora hoggi uà   nelle chicfc & fuora i noftri preti. 1 1   Fi g V a     sin   ir   tot   tf   VI 257     FigVK^l 2)' UK VASETTO  portàtile a tenere l acqua [aera.      Ma gl’Hebrcià l’entrare de loro templi vfauonovn Tind  gran vafo fatto in forma di Tina, chiamato da i Latini altrimenti  lal>rum ì del quale i facerdoti che andauono per (acrilica-  re pigliando dell’acqua lì lauauono le mani,& i piedi, & il modo di  volendola benedire vi gittauono dentro le cenere della f ar l ac ì u4  vittima arfa,& di quella con vn ramo d’hifopo bagna- degli h «-  uonogl’alfiftenti, benché io ho ofleruatoche nella fine trfi *  de loro facrifìcij, quando il fuoco era per mancare, vi  gittauono fopra certe fcheggicdi cedro, hifopo , & co-  rnino, & della cenere diqucfte tre cofefaceuono l’acqua  facra.Douec danotarcchein tutti i facrifìcij antichi lì rrèfortidi  trouauono tre forti di purgationi,cioè di pino, di zolfo, pmrgationi  & d’acqua, quello che conferma Plinio nel vi. libro  quando ei dice che la teda, o vero pino tra tutti gl’albc-  ri, che fanno la ragia, è molto grato per il fuo fuoco nei   R     i5 8 vrodo. facrificij. Del zolfo (come dice Proclo) vfarono i faccr-  doticon 1 alphalto o bitume, & acqua di mare nelle loro  purificationi,pcrchc il zolfo per l’acutezzadcf fuo odo-  zoìfo. ^ re ha forza di purificare.Et Plinio /criue che il zolfo è  buonoalla religione &per purgare le cafe col fuo fu-  mo. Oltre a quello i fàccrdoti ftauono conrinenri & di-  giunauono prima checntrarc al facrificio,ondc volen-  ti»* ^.° ^ uma Pom P'^° pregare perla ricolta & facrificnre,  Tompj&di s aftenne prima dal mangiare della carne, & dalle don-  GiulUno nc. Et Giuliano Imperarore(fe noi vogliamo crede-  spartùno. re a Spaziano) fi contentò prima che andare al facri-  ficio di cenare d’hcrbe & di pere folamenteicon ciò fia  (come dice Porfirio) che l'vfo della carne nuoca piùto-   fto alla fanità chele gioui,confiderato che le infermità   nenzf. afii ' fi N g uarifcon ° benc fpàfo per dieta. Et cofi per fobrie-  ta,pcr carità, & religione debbiamo cercare di purgare,  & nettare l’anima , acciochc ella viua ficura contro ì  ogni pericolo che le poteflè auenirc, cacciando da noi   . tutti i penfierichecipo{Tonoporrarepregiudicio,&o£   fufcarci 1 ingegno & la ragione, confiderato che I’afti-  nenzaguardal huomo di peccare, la /obrietà fa finge -  TauoUfu- gno fottile,&ildigiunoperl’eflèmpiodellatauoIa/agra  bru'dì ri- & ^ 0 ^ r,a ^ e P‘ ta g or,c, >cifa viucrc lungamente. La legge  tagorid. de i Bracmani era tale, che ella non patiua , che alcuno  ugge de entraflè nelloro collegi o,chc non potelfe aftenerfi dalla  diunto i carne, dal vino, & dal peccato. Et le noi porremo ben  hjUncnzi. mente al x xx v. libro di Tito Liuio, noi troueremo  il digiuno c ^ c il digiuno fu oflcruato per «lamichi, quando ei di-  ojjWo ce, che comandando il Senato all’officio de’Dicci huo-  Sf anti ' mini di riguardare i libri Sibillini,pcr intendere il /igni-      iìcato d'alca ni prodigaci rilpofono,chc bilognaua di  cinque in cinque anni ordinare i digiuni in honore del-  la Dea Cerere. Ma quanto alla continenza, ella c vtile  all’anima &r al corpo,comc inoltrarono ilaccrdori de-  gli Atenielì chiamati Hierofantes , i quali lìcallrauono h icrofdn*  col bere il fugo di la cicuta.Ne balla quello (blamente, Us ‘  che ei bifogna fpogliarlì d’ogni affezione & pallìone  particulare , come dice Cicerone nelle Tue queltioni cicerone •  Tulculanc, chiamandole pcllifercmallattie dell’animo:  ondeincambio,che gl’antichi penlauonodilauare con  l’acqua i loro peccati , lauiamo noi con la penitenzai penitenza  noltri euori/eguitandoin quella la Temenza di Seneca. èilueromo  in Thiefte,dooc ei dice, t&fi'ì /£   Qutm poenitet peccajje,pene e/l innocens.. Iute.   La quale cofa ci feruira di vero zolfo , Se vera bitume , Seneta *  come Icriflc Ouidio,nel libro </r Tonto, ouidio.   Sape leuant pcenas,ereptd<jue lumia* reddunt,   Cùm bene peccati poenieuijje V idear.   Vlauono anchora gl’antichi rElcmolìna , come ferme  Spartiano nella vita d’Antonino Caracalla, dicendo, s P* rtiano '  'Nontenaxin Urgitionem , non lentus in eleemofynam. Ec La limojìn*  Homcro narra d’vn giouaneche s’adira con Anrinoo “ ^P r< \“  Proco, perche egli haucua ingiuriato vn pouero huo- m tr^gU  mo, che gli domandaua la limolala innanzi aH’vfcio R- 0 '"*'"*"»-  della Tua cala, inoltrandogli che Diocclclle lopunireb- *** **  be.E' certo che i laccrdotidc Gentili innanzi che fare tf*eerdo i i  facrifìcio lì confeflauonod’hauereerrato,domandando  (come dice Pitagora & Orfeo) ài loro Dij Tempre cofe facrip.care  giulle,doppo la quale confcdionc publica il preteche u f auAno ld  andaua innanzi & miniltraualecole fagre vfaua di f lr co ^ c P ,onr ‘   R a     2.60 silcntio ne - mili parole, hoc age , per fare che il popolo tacef-  <'ir™ ncl fc,& ftclfc intento à i facrificij, facccndo fare largo con  grf . 7 vna bacchcttaùlqualcfilentioè neceffario nelle cofcfa-  grc,come Icriuc Ver^ilio quando dice,   Hinc fida filtntia fiacris.   Non elfendo dubbio alcuno che ogni bene procede  rune ft- d a l poco parlare. Et coli il prete comandaua fautrtfa-  trfto. crù,ò funere linguis , che altro non è (come dice Fedo)   che honafiari, le quali parole io ho vfate latine per non  vfeirefuora de termini antichi circa ài facrificij, maflì-  « inamente che i noftri poethvolcndo dire filentio, vfa-  rono aliai quello \cxbo fiauere. Finalmente quando il  -, . prete s’appreflaua all’altare per facrificare, ei lo trouaua   ornato in quello modo,   FigVX^i 2 ) 1 U ^ LT^XE 0  nato de fiefioni,come fi vede nel marmo antico Menandro.      Et il faccrdotc era coronato d’herbe chiamate ver- verbene.  bene, per edere appropriate,& (limate felici ne i facrifì-  cij.Ie quali coglieuono in luoghi fagri : quantunque noi  impropriamente parlando chiamiamo verbene Tallo-  ro,Tvliuo,& la mortine, nondimeno Mcnandro afferma  che quello era proprio la mortine vfata nelle loropurifi  cationi infieme col Pcntafìlo,chc noi diciamo cinque  foglie:anzi erano gTantichi d'oppinione che Tvliuo foflè proprietà  albero tanto netto &puro,che fcvna meretrice, o altra ^Muo.  femina impudica lo toccaua , o piantaua,non portadè  frutto, & fi fcccadè.Et benché gTantichi ornaffino i lo-  ro altari di quede foglie , pur nondimeno (limauono  che ogni Dio haueife la fua hcrba,& albero particularc:  comeGioue Te(cuIo,ch’è vna fpctiedi quercia, Apollo  l’alloro, Minerua Tvliuo, Venere la mortinc,àcaufadel  fuo buono odore,Pan il pino, & gli Dei infernali Tarci-  preflò, per non rimettere mai quefla pianta vna volta f° tagliato  tagliata, non più che vn morto non e buono à nulla:   Bacco Tcllera,& Hercolcil popolo nominato di (opra. veUeraeo-  Stimauonoparimentechc ogni loro Dio hauede vna- *  nimale proprio, come Bacco la capra,o ilbecco, perche ogni dìo     I Romani  eonfatraro -  no ad ogni  Dio la fua  berba.  Varcipref-     ei nuoce alle vigne. Cerere la troia, perche guadale *»  biade, Diana ilceruio & il cane, Nettunodl cauallo per proprio.  le ragioni allegate di fopra,Fauno,laca^l,Gioue il to-     ro, Efculapio il gallo, & Ifis , Tocha. NclTimmolaré  adunque, o (àcrificarc quedi animali, il Flamine, o fa'-  cerdoteera veditod’vna vede di lino bianca, chiamata  da Latini lignificando che la purità e grata   àDio,& perche ogni colà che efee della terra , è nel fuo t fce di u  principiopura & nettadaquaje vfanza c anchora hoggi terra ' m ~   R 3 “ t0 '     Zdi  trai noftri preti nella popa di loro faenfieij, & nel prin  cipio che egli entrano all'altare : & vogliono alcuni che  gl'Egittij ne fodero inuctori,vfando le dette velli ne i fa-  crificij d’vn lino detto A^/flWjonde fu detta la vede Xylin*  rUnio. nel modo che lo IcriuePlinionel xvi ni. libro dell’Hi-  cucrone. fLoria naturale. He Cicerone dice nel libro delle Leggi,  che il colore bipco e molto grato à Dio:&r che le vedi  colorate non debbono fcruire le non à gl'huomini di  HrfWfo de guerra:fomma, che quello habito faccrdotalecra fi lun-  [kcerdoti go,ched’ogni parte dracinaua per terra, come lì vede  per la prclcnte figura.      SACRIFICIO TIRATO DEL MARMO ARTI,  co Ài Jlom*.     Veluuon      a * 3   Veftiuonfi ancora quelli faccrdoti d’vna tonaca dr-  pinta,&foprala tonaca vna falcia intorno al petto, fi  comcparlandodiNuma Pompilio ha fcritto Tito Li-  uio,dicendo che ei creò à Giouc vn Flamine Diale per-  petuo, vcftillo d’vna bella verte , &gli donò la Iella Cu-  rulc:& clic oltre à quello ordinò xii. preti Salij per fa-  re lacrificio à Marte, vertendoli d’vna tonaca dipinta  con vna falcia di rame intorno al petto, quali nella ma-  niera che vlàno hoggi i noftri facerdori.ma di feta orna-  ta d’argento, & d’oro, & di piecre pretiofe.Ornolli Umil-  mente d’vn cappello di la nabiàca, chiamato Albogalc-  ro,il quale perche à caufa del troppo caldo non pote-  uono Iellate fopportare,fi legauono vn filo intorno al  capo,non ellendo loro lecito d’andare lènza nulla in te-  rta,nondimeno bifognaua che idi delle felle lo portafli-  no,pcr moftrare meglio la dignità facerdotale: oltre à  tutte quelle cofe bifognaua che il facerdore antico ha-  uerteil caporafo/ccondoil modo degli Egitti] , come  fcriuono Herodoto&Plinio,dicendo che altroue i pre-  ti portauonoi capcgli,main Egitto nonronde Com-  modo Antonino volendo portare (come fcriue Lam-  pridio)rimagined’Anubi,bifognòchefiradefie il capo:  ia quale cola gl’interpreti della Icrittura (aera , & mallì-  mc S. Hieronimo hanno interpretata che la tefta rafa  non vuole altro lignificare,, che la depofitionc di tutti i  penficri & cofe temporali, & che la corona, ò cherica  de ipreti fignificala corona del cielo. Ma ritornan-  do alle cerimonie de noftri facrificij antichi , dico che  quando fi veniua à facri ficare , il facerdore voltando-  li dallaltarc inuerfo il popolo, fi mcttcua la mano al-   R 4     Tonaca do  i fateraori.   Tito Lir.  MÌO.     A Ihogale-  royucjlimtn  to del fla-  mine Diale*  Alfacerdo-  te non tra  lecito an-  dar con la  tefta ignu-  da.   il facerdo-  te antico  baueua la  tejta rafa.  Commodo  fi fece ra-  dere il ca-  po.   Hieroni-   mo.   Cherica de  freti.     Segno di fi-  lmilo.     *?4 DELLA RELIGIONE  la bocca, lignificandoli il filcntio, quali nel modo che fi  sonatori volgono i preti di noftra religione : nel quale mezzo *  "io. ^ auc ‘ & ^ cctcrc fonauono,i quali flauti ne i facrificij  erano di boflolo : & nelle fede & giuochi fècolari d’àr-  ornamento g cnto > & la vittima paffo à paflo andaua caminando  4riu uitti- verfo l’altare ornata di fiori intorno al capo, & certi pa-  m ' ternoftri dorati, che le penderono dalla punta de corni,   efifendo condotta da i vittimarij mezi vediti d’altre pelli  ntn , JU di beftie,chc egli haueuonogia facrificate, comcmoftra   Ouidio dicendo,   -Induraque cornilus auro  vaglio. Vittima. EtVergilio,   vlinio. ^ ft atUdm ante ar4S dUrata fronte iuuencum.   Quello che ha confermato Umilmente Plinio , nel  xxxiii. libro deH’Hiftoria naturale, douc ci dice, che  non fi penfaua nel fuo tempo ad altra colà che trouare  vna gran bcftia,con le corna doratc,pcr farne honore &  facrificio «à gli Dij immortali nel modo che fi vede qui  difotto.     FIG V      DE GL ANTICHI ROMANI. is 5  • FiCjVR^ YlrTZrrfZi IdeZ   marmo antico, che fi vede in Roma.     Mala viteima minore cheli doneua imolareà qual- i» oUtione  che Dio,era coronata d’vn ramo delle foglie dell albero  dedicato arale Dio,o veramente d’vna falcia di lana,  chiamata infula, dalla quale pendeuonoduc bendedette  Tal viti da Greci, & Vitu & a i Latini, & fe menata all'alta-  re Lenza clfcre legara(quantunquc per l’adietro ella lo fo  ledè ellèrcjcome inoltra Iuuenaledicendo,   Sei proctil extenfum perulans <j uatìt hojìia funem.) segni di   ella faccua refiltcza d’accoltarlì , o fi fuggiua,o che per-,  colla gridaua,o cadcua da vn’altro lato che quello, che lime de ro  dilègnauono i Romanici pélauono quello cllere mal- mani •   R 5     Virgilio .     1 Vittima  ri j dowrjli-  t duerno le  bejUcperle  vittime.  Tranquil-  lo.   Audacia di  Ceftre.     Btfticpiù   utili ithuo         a<r<? ‘l’augurio,# illacrificio non grato à gli Dij, nondimeno  non lafciauonod’ammazzarlaful luogo medcfìmo,do-  ue era fopragiunta, come per contrario,pigliauonoin  bcne/c pacientcmente ella afpcrtaua il colporqucllo che  ha moftro Vcrgilio in quel verfo,chc dice.   Et duElus cornu Jldbit fteer bircus dJ dir dm.   & Hadriano Imperatore nelle fuc medaglie.   MED. GRECA D’HAD~RIANO.   BRONZO. _____ BRONZO     Dipoi per ouuiare à quefli dubbi) , Scnondiftur-  barei {acri fìcij,ordinorno gli antichi i vittimarij à po-  lla, che domellicauono le beftie, & coli facilmente le  conduceuonoaH‘altare:quantunque Celare del fuggire,  o non fuggire della vittima(come lèriucTraquilh  faceflèconto,&non IalcialTedi combattere doue  rione lì prefentaua : anzi fumo gl’antichi in quelli,  riolì , che prima che itnolare vna bcftia.la poneuo  mentedaleapo lino ài piedi, accioche ella folle fènz  "^ , ~ula,& coli pcnfauonodouerc cflerc molto piùgra-  Ioro Dij.Etfurono le vittime vfatedai Romani,!*  ;a,la troiani bue, &la capra,comebellicpiù man-   fuece      z6 7   fuctc& facili à condurre douc l’huomo vuole, & an- no, trono  cho come beftìe più vtili alla vira dcH’huomo, con ciò  lìache le pecore danno il latte & la lana, & i buoi lauora- p t u e de «-  noia terra , & del jfelo delle capre gl’antichi faccuono ft roniin  feltri per la pioggia, & delle pelle dccaftroni cucite in- v ^ 0 ‘* , ^ oUd  ficme , i foldati mantelli perla guerra.Et coli nelprin  cipio del facrificio illàcerdotc Romano veniua all’al-  tare velato Scoronato d’alloro in compagnia del coro  di fanciulli^ fonatori di flauti & di ccrere.che fonauo-  no&cantauono,come moftralaprefcnte medaglia di  Longino Triumuiro.     ti Romani  perla gu nr  ra.     LONGINO TRIVMVIRO.     ARGENTO. ARGENTO.      Oltre àqueflo non farebbe parfo interamente buo-  no ilfacrificiOjfc illaccrdore non haueflè tenuta la ma-  no fu l’altare , come ha moftro Vergilio nel 4. dell’ Ac- vtrgilio.  neid.doueei dice:   Talli ut orantem JiBis ardfijue tenentem ’ *   ^duJtit omniporens.     Volta      soltuono i Voltaua Umilmente il iàcerdotc il vifo all’Oriente nel   g^Umt P rc g arc gli Di j, -fida mattina di buon’hora, {limando  titutxr f*- gl’antichi che quello folle il tempo proprio, nel quale gli  ucrfrorié- Dci lecndeuono nel tempio perricctiere & vdirc i prie*  te. ghi,& voti di queflo &dic]ucllo:Ia<]uaIev{anzahabbia  Forano, moritenutaanchora noi ncllanoflra Rcligione:& Por-  fino ha voluto che le ftatue & entrate de templi fiano  tutte volte aH’OrientCjConforme in <juc{lo(feben miri-  cordo)con Vitru uio.   ' FiqLm^t TlTt^T^l Z> L-  la colonna di Traiano.          tifine 1      Doppo quello il facerdote pigliaua tra le corna della  vittima del pelo, & lo gitrauafoprail fuoco accelo, nel  modo che ha fcritto Vergilio quando dice.   Et fummat carpens mediti inter comua feto*»   Jgnibta imponitfacris.   La quale fuffumigatione fatta con altre di frutti &  biade primaticcie, chiamate dai Greci come fi   vede per la prelènte figura.     i Co     Virgilio .     Fl^VR^A T> E COLTURE,  don erano polle le primicie ftj fruttijnnanzi  cine facrifìcafiino.      Gl’antichi penfauono quelto cflcreaugurio di futura  fertilità, rendendo gratic à gli Dij d’cflcrc arriuati in vn  tempo più ciuile,& più bcllo,nel quale in cambio di ghi  ande & d’orzo potcuono mangiare viuande più dili-  catc. I granelli di quello orzo mclcolati con Tale ( Sic   mifcel      a 7 o Cerche mef tnifìellam inteìligunt Oraci ex hordeo, & f*le> mar eri am )  Ronuni f- fichiamauono Ole&cUle,\ quali coli magiauonagl'an-  orzo con il tichi,prima che folle in vfo il macinare. Ne vi mefcola-  rt ficrifi- uono *1 P cr h fertilità, eflcfndo cola (Ieri le, nc manco   àj. per ringratiaregli Dij,ma perche lo Rimarono vn lega-  Uftlcriprc mc £ f e£ , no d’amicitia , & di qui nafceua che innanzi à  game dumi gl hofti&aglamici liprclentaua il (ale prima che tutte  citu. l’altrccofè, volendo /igni ficare la fermezza dcH’amici-  tia,& moltrarechecomedi più acque fijfavn corpofo-  Iidò(quajc c il (ale)cofi della volontà di più perfone fi  genera vna perfetta concordia & amicitia. il medefimo  faccrdote d ipoi gittaua tra le corna della vittima la mo-  la, & verfaua del vino,comehà moftroVergilio, douc  ei dice.     Simbolo di  ucraamici-  tu.   Mola.     Vrobatione -Frontone inuergit vinafacerdos.   della uitti - lignificando per quello che la vittima era crcfciuta in di  ma " gnitàr&ancho lo faceuonopcr prouarc fecllahaucua   paura , {limando che lenza la mola il ficrificio non era  . . grato à i loro Dij:&: il vino era portato in vn vafo detto  l 0 . Prcfcriculo,per vnodei miniflridel lacnficio,nclmodo   chcfe ne veggono à Roma invìi marmo antico.   VUSO VUSO, Tinnirò DEL M^tR-   mo antico-, chiamato ^ref inculo.      Ma innanzi che il prete fpargefleil vinofu la tcftadel-   Ia vittima, eil’aflàggiauacoì/ìmpulojchceravnaltro pie s imputo.   colovafo , fatto nel modo che fi vede qui difotto,& ri-  tratto da diuerfi marmi & medaglie antiche.   SI MTV LI TIRATI D‘V 2ST  fregio dntico cine in Roma.      Ne man       t 7 i i Ro»Mn{ Ne manco fi faceuono quelli fiicrificij fenza fuoco, il   non fucrifi- q Ua J c era dilegnc (ceche porte fu l'altarc,fi come vfiamo  ““fuoco, anchora hoggi ne i noftri facrificij (non per ouuiareallc  tcnebre,ma per moftrarc nell’adoratione fegno di gioia)  & come fi vede per il candeliere de gl’antichi, fatto in  quella forma,   CERVELLI ERE, RITRUT-   to del nurmo antico.     M ^ Lclegnedel detto facrificiononpoteuonoc/Ièred’v-  téttiu o tu- liuo,d’alIoro,ne di quercia, perche gl’antichi ftimauono  *’"*• che tutti quelli alberi faceflìnocattiuoaugurio:& quan-  fidccold il do il facerdote racccndcua,pigliaua vna fiaccola di pi-  P in0 \ • no guardando bene di non errare fecondo l’ordine delle   Cerimonie ’o , • i , i i< -t   primdch oc loro cerimonie antiche ,doppo le quali il prete toccaua  eiderUuit- | a k e ftj aC0 n vn coltello, dalla iella per infino allacoda,  yergìlìo, come ha moftro Virgilio, douc dice»   Et     V  273   (. -Et tempora ferro   ' Stimma notar pecudum.   Comandando dipoi al vittimano di mettere i coltelli fo  pra alla bcftia,come dinuouo ha inoltrato Virgilio qua  do dice,   Supponunr alif cultros ,   Et di qui c nato che gl’antichi diceuono mattare, cioè  crefccre,percotcndo la viteima con vn maglio/atto nel  modochefi vede qui difotto,   MAGLIO ET SCURE   con quali ammazzinone le Vittime.        Non era lecito à i miniftri di percuotere la vittima» ^   fé il faccrdote non Io comandaua;gI habiti de quali per i mnìjbi  cflerc differenti , mi è parfo inoltrarne la figura qui di- d, ff eTtnte >  (beco.      S     *74      FICfV'R^l Z>’ l MJlslJSTXJ   del facrifdo, ritratta del marmo antico.      Et tutti quelli ch’andauono innanzi 1 . grand jfacrifì  cijdicenro buoi, chiamati Hecntombc,ciòè trombet  ti, fonatori di flauti, o dicorni, & quei chcconduccuo  no le vittime , óccheporrauono i vali, Se altre cofe ne  ceflaric per il ficrificio, èrano differen temerne corona  ti, 6i vcftiri *ncl modo che fi vedc.qui difolto,     H eeatobr.     SO       no innanzi alle vittime,      Quella vittima era bene fpellbammazata di coltello, colteUochi  fubico che il làcerdotc comandaua di ferirla nella gola, Sf "  il quale coltello, chiamato Seeejpira, era limile à quello  ritratto da i marmi & fregi antichi , che fi veggono in  Roma.   S a ■v  zf?  Wf i <K1 / X r z J ! qjj ^ L 1   ammazzino le vittime.     Etalcunialtri tcneuonograndillìmi bacini da loro  detti difchi,per riceucre gli inteftini della beftia,Ia forma  de quali Ci vede in Italia & in Francia in molti luoghi  fatta à quello modo.     S  Tutte quelle colè non erano fatte lènza millerio, con  ciò lìa,chc doppo haucre glatichi lacrificato i buoi, per  Mijitrio memoria del facrificio,& in honorede loro Dij faccuo-  no f u I luogo (colpire 1 bacini, &:i tcfchidc buoi, có fcfto*   pojitnticni. # . c • . \ | . r , . .   nnntorno.comeinpiulati li vede mgran marmi anti-  chi, & maflìme fopraà gl’archi delle pone di S.Giufto in  Lyonc.     2) 1 S CO, 0 2 CI     Fregio         *7*   FX3 q io TTYZTro Wltm   marmo antico eh' è in Lyone. •       Pelle detto  vittima in-     Alcuni alcri,lcQrticatada vittima/accuorio rtietrère la  pclleconl’altreinfegne della religione, dormendo bene  fpeffone i templi fopra le dette pelli, per affettare la ri- religione.  fpofta de iloro Dij,come mollraVerglio, quando dice, y  ‘Pellihus ine uh ut t JlratisJomnofque perirne.   S 4     vìD l “     UT''  I Giu Etficomeletcftedc buoi erano quiui collocate per  moftrare la pietà & la religione, & tutte le loro cerimo-  nie vfate nei facrificij, colici mctteuonoanchora quelle  de caftroni facrificati,fi come fi vede nel fopradetto fre-  gio, onde io ho fatta ritrarre la prefente figura.     a i ,/V'y, '■ ' . ^ x yfq   i8o' /. TESCHIO DEL' TO X q  mejfo tra le infegne della religione.       ito  ‘ I Giudei (come fcriue Straberne al vi. libr.)haueuo- i Giudei  no anch’eglino quella vfanza di dormire ne i tcmpli,&  di vegliami dentro , come faccuono i Romani , perche tomcTUo- ■  comehà detto Cicerone, gli Dei parlano (blamente à mni '  coloro che ei trouano dormendo : la quale vfiinza (co-  me (criucEufebio Panfilo) fu dipoi tolta via daCoftan E “A bio  tino,auertito de i maliche fotto colore di bene fi face-  uono là dentro.     ‘PELLE PELLAI VITTIMAI.Vltimamcnte il fiicerdotefaceuarizarc vna gran ta-  uola chiamata EncUhrnjz ome i vafi , che fcruiuono per  ifacrificij, fumo detti EncUbria, , fopra la quale faceua  porre la vittima (parata percercarcdiligctemente gl’in- QsoUinte-  teftini (quali erano il cuore,iI polmone &il fegato)con  vn coltello di ferro,& cognofcerc fe gli Dei s’erano con- *   tentati del facrificio & pacificatila i Greci (come' fcri-  ue Paufania) appreflo hauere guardati gl’inteftini de Taufaù.  glagnclli, capretti, & vitelli, folcuono predire le cofc  ■;.v: - - _ S 5  jl8i della religione   officio de future.EfgrArufpicioflcruauonofolamentclc fiamme  t^nelfacri' delfuoco,dal q ua le era la vittima abbruciata. Hauen-  ficio. do i faccrdoti coli bene effeminati gl’intcftini , faccuo-  no diuiderele membra della beftia, & quelle coperte di  farina,& polle in vn paniere, ne faceuono offerta à c o-  lui,chehaueua fatto il fecrificio,&cofì (limauono la vit-  tima pcrfetta.il coItcIlo,col quale era la vittimafquar-  DoUbré tata, fu chiamato Dolabra ‘Pontifici* , fi come Tito Liuio  ponfj/icu, ha nominato quello, col quale fe le tagliaua la gola , Se-  ua,yel a fecando SeceJj>ir*.}Az i coltelli, coni quali s’am-  mazzauonoi piccoli animali, fumo detti Cultrii come  ottico nel hàmoftro Ouidio quando ci dice,  il TrJff ‘ ‘PercuJJufque [augnine cultros  form, lnficit.   Et de gl abri coltelli che feruiuono alla caccia, detti Ve-  natori) cultriy ha fatto mcntione Tranquillo nella vita  di Claudio, douc ei dice , Reperti eejuejlri ordinuduoin pu-  hlico cum dolane & "venatorio cultro. Solamente i Giudei     Coltelli di nelle loro circuncifioni vfaronoi coltcllidi pietra.   putra per *   e™™"' ~SCVRE ET COLTELLA [A N TJ CH ì\      Laltro      Ì83  L altro coltello , col quale era fquartata la vittima, coltelli per  era fatto nel modo,che fi vede qui (otto. uìttim ^     ^ LTXO CO LTE L LO ^ANTICO.     Inuitami la diuerfitàdi quelli co!telIi,& per fare pia- piwr p f j  ccreàgl’amatori delle cofe antichc,à riprefentare quindi de coltelli  forco la figura dei coltelli antichi, che i vittimarij porta- *  uono appiccati alla cintura in quello modo.     COL     i8 4 della religion e   • COTTE L Li CHE ‘PORT^V^'HO  w »*» ordinariamente i ZJittìmarij alla cintura.     4      Etfc alcuno purefteflc anchora in dubbio del mo-  do di quelli facrificij, mi è parfo di riprefcntarc qui al  naturale quello che fi è potuto ritrarre della colonna di  Traiano à Roma. .  S.JCR 1 Bh>'ob -A. ih' iup 31 l MI 51   ■1141^♦Ha . ; t pn jnnr. 3 KV)*j   f ■ :J. ^ 'ff ’   !:Ì,W MJtll 11 * 03 1     n I :  ,obomofbop ni Mina; ; sjbinoàiq ; : onta*         . zfy   s uc r i fTcTo~~u wr Tcori fxZf ttò   dalla colonna diTr alano.      Riguardata la vittima, & fatto preferite al facrifica-  tore di pezzi migliori , il prete gli faceua abbruciare fu  l'altare, quantunque benefpclfo la carne reftaflè i i fa-  ccrdoti doppoil (angue fparfo fu l'alrare,come hi tno-  ftro Vergilio quando ei dice,   Sanguinis @r [acri patera*.   Mane gran &crificij .dntida i la   vittima h gittaua tutta intera dentro al fuoco , come hi  dimoftroil mcdefimo Poeta dicendo,   Etfolida imponunt taurorum inferra fammi s.     La       ittLa quale carne non era coli torto porta dentro a 1 fuo-  frtu ì'tc- co, che il prete vifpargcua fopra delì incenfo del corto,  nerliiuen- & altre cole odorifere, che ci pigliaua dentro à vna caf-  fetta detta ^ cetra da i Lati n i,& de noi hoggi Turibulum ,  come moftrala predente figura,   , t ~ . ~ ‘ d   C S S E TT yA DOVE TEMEVANO   ifacerdoti line enfi.      W ’ :     il uino in Qucfto iflccnfo,o profummo (comeio penfo) s’ab-  ufo ntl fa- bruciaua per amorzarc il cattiuo odore della carne  «rifido, abbruciata, doppo il quale il facerdote vcrfauadcl vino   rane in mag fu l’altare , & all’hora fi ftimaua fornito il facrifici     tono in ma g LU I aitare , oc auuuia u muuw lumuu n facrificio,  gior pregio quantunque il più perfetto & maggiore era tenuto quel  mi Curi - j Q ^ c j lc ^faccuad’vnatroiajd’vn toro,d’vn becco, &d’vn  montone, & appreflo àgl’Ateniefi d’vna troia.d’vn mon-  tone & d’vn toro,chiamatodai Romani Solitaurilia , &  fatto da Cenfori ogni cinqueanni,pcrluftrarc,o purga-  re la Città di Roma, come qui lo dimoftra la figura,   "" ■'* “ ' ~ “ SjLCZi     nel facrifi  ào .   Solitaurilia.   SACRIFICIO CHIAMA TO S 0 L 1-  taurihajirato dui marmo antico.     ~ Qiì e ft ovoca bolo,folo,dirnoflra laqualirà delfacrU  ficio, cioc che egli era perfetto & intero, conciofia che  Solum in lingua T ulca lìgnificaua intero, come dimoierà . Solum -  Tito liuio, chiamando gli ftrali fohferrei,cioè tutti di T i itoiiuio.  ferro.Nel refto & vlrimo de làcrificij i medclìmi preti  apparecchiauono la cena, alla quale era permeilo di Ctnd ^ i  trouarfì à ciafcuno, che era flato prelènte aIlacrificio:& preti Ro-  di quel che auanzaua,poteua il facrificarorcportarc & mnu  donare ài parenti, &à gli amici,qualì come li fa nella <   noftra religione hoggi del pane ,che ogni domcnicair   diftri        nijlribu- diftribuifce per Icchicfc.il modo del loro mangiare craj  tionejetta nc l tempio ftauono tutti ritti con certi panetti ton-  ati anti * diin mano, mentre che ficantauono d’altra parte le lo-  «*>*• di di Dio , facendo cuocere la loro carne dentro à vn  vafo detto Olld,&. da noi Pentola, nel modo che da i  marmi antichi ella fi vede ritratta qui difotco. •      PENTOLA DOVE 1 S UCÌtl El-  ettori ftceuano cuocere Ucarne de li facrijìcij.      Hauendo anchora olìcruato per la icultura d'vn'al-  tro marmo antico, che fi vede fopra la porta della chicia  di Bcauieu ixn. leghe di Lyone.comcdoppo che la vit-  tima era fiata pofta morta lu l’altare, il vittimario fe la  caricaua fu le (palle,& la portaua per metterla in pezzi,  & farla cuocere, come fi vede pcrilgiouane vittima-  rio,che porta la pentola & la mcfiola,& il facrificatorc  noUfiU- il paniere douc era la mola falata , però mi è parlo di  u, riprefentarne qui la figura al naturale.   r • ~ ■ Eigv      4   >   M   Me      FiqUR^l T12tUT<st' D'V'N   fico eh’ è /opra la porta de la chiefa di Tcauiett in Seauiolois.    . J   Cerere lulus^ per le biadc,di Venere Ereriches,c ioc picn  d’amore, & di Bacco, Dityramhus : benché grimbriachi  h yanl de haucuono i loro hynni à parte, i quali Ariltofanc inXd-  ba chiamati *ft**yÌHunct , à caufa che i Greci chiamano  e». 4 >1 tremito de la tefta*p>*a'>irr, & mangiare & bere J   troppo. H ora appreflo à tutte quelle cole, il prete, liccn-  venilio. tiaua ogniuno,comc moftra Vcrgilio, quando dice,   -Dixutjue nouifiirru vtrl> 4 . 1*   il fine del ^ et: volendo mollrarccheil facrificio eraforni-   fecrifieio. to,comehoggi anchora fanno i noftri preti alla fine del-  la mefla, quando dicono, ItemiJJa e fi. In quelli templi  tra l’altrc era vna Tedia à parte dinanzi all’altare, perii ^   Principe, o quello che tencua la giuftitia, intorno ali ai- r   tare vn coro, & nel rcfto del tempio erano portichi ®  Ioggie,doucil popolo lpaflcggiaua,afpcttando che lì fa- ^   celle il lacrificio. Et certamente che Te noi mettiamo ^   ogni induftria & facciamo ogni grande fpela per Tare ^   bei palagi, &: belle cafe,tanto più douerremo ingegnarci ^  di fare beile chielc, Scorationi à Dio , per intrattenere  Religione co *‘ * a P‘ cta, * a religione & la mifericordia,come ci hati  degli enti- noinfegnatoCefarc Augufto,Vclpafiano,Ncrua,&M. 'Jf   ehi impero Aurelio, tutti buoni & diuoti Impcratori,pcr quanto li  tifarne- vede nelle loro medaglie, doue fono tutte infegne della  gnifiebité- antica loro religione, nel modo che fi trouano qui di-     fottO;     ANTON.       A     Pf- 2*1  ANTON. PIO. M. AVRELIO.     ARGENTO. ARGENTO. «      Ma perche gl’ Egitcij fono (lati i primi , che Icuando Religione  gl’occhi in verfo ilcielo,& affifando la mente nella co- E S‘*'  gnitione di Dio.trouorno molte cerimonie, & modi di  religione:pcrò ho giudicato non fuora di propofito , Io  fcriuere qui neH’vlfimo qualche colà di loro: & come  penfando che il Sole & la Luna fodero Dij ,chiamorno  quello Ofiris,& quell’altra Ifis, adorata poi infino à Ro- ^ s '  ma,come fi vede per la infraferitta mcdaglia,dclla qua-  le io ho fcritto altroue adai largamente.   MEDAGLIA DEL CINOCEFALO. ARGENTO. T 2  Et Commodo Imperatore (come fcriuc Spartiano)  hpiiorò molto tra gli altri facrificij, quello di quella  Dea, come fi vede nelU fua medaglia , doue ella tiene  vna sfera in mano, come madre di tutti Parti, & vn vaio,  ovcroamfora piena di Ipighe, lignificando la fertilità  d’Egitto. BRONZO.     BRONZO.     L’vfanza de gl’Egitij nell’adorarc i loro Dij,fu nel  principio pura &femplice,fenza effuzione di fanguc, o  vfare altra crudeltà, però che egli offeriuono fu l'altare  quei mcdcfimi frutti, che ei magiauono, il che fecio-  noanchora tal voltai Romani, come dimoftra Iaprc-  fente figura: & abbruciando le radici & le foglie infic-  mc,guardauonoi frutti offerti all’altare, pacificando gli  Dei celefti col fumo fidamente.     v pinzi fo-  gli Egitti/  nelTadora-  rt » loro  X>ij.     s^Cz/       SACRIFICIO 2)1 FRVTTI TIRATO  del marmo antico di Roma.      Scriue Porfirio che in quel primo tempo non erano Porfirio.  invfo ne rincenfo,nc Iamyrra,nc la cannellate il zol-  fine il zafferano, ma l'hcrba verta, la quale moftraua »   la potenza della cerra,& tale facrificio quale fi faccua  propriamente delle herbe fi chiamaua da Greci 5v*t*.   Di poi vennero Hipcrbio & Prometeo che trouorno il Hipfr&io  modo di Eterificare le bclfic,& di conofcere selle erano  intere &fane,& il facrificio grato à gli Disperò chefcil fiacri fi tato-  toro rifiuta u a la farina, o le capre i ceci,chc erano pre- acif ~  (curati loro , giudicauono il facrificio ne le beftie edere  buono.Dipoi offerirno myrra &: zafferano, & ndl'vlti-   T 3 .     Cerimonie  degli Egit-  ti f, i felli'  tarloroDij  ld mattina.  Vitruuio.     Itore certe  per far ora   tione,cr ci  tare.   P linio.  Tacito.  Macrobio,  Marcelli-  no,     Cojlume  t Orfeo à  far giurare  i forejiitri  entrido nel  la fua reli  gione.     L ecofebuo  ne commu-  nicate ima  Ugni, perdo  nolorripu-  tatione.  mofcciono vna vera beccheria dei facrificij loro. L’al-  tre cerimonie de gl’Egittij erano di falutare la mattina i  loro Dij,il quale modo da gl’antichi fu detto adoratio-  nc,comc moftra Vitruuio nel in i. libro della Aia Ar-  chitettura,doueci vuole che i templi de gli Dei fiano  prdl'o alle ftrade macftrc:acciochc i paflànti gli pollino  più commodamentc falutare & adorareda quale vfanza  pare che habbino ritenuta i noftri preti,diccndo il mat-  tutino,&terza&feda,comcgrEgirtijfaccuonoorationc  la prima, feconda & terza hora, cantando hynni & altri  canti, fitti in laude del loro Dci,& fcritti (come fcriuc  Plinio) ne i loro libri di Rcligione,per figure & caratte-  ri di beftic,d’vccelli,& d’altre cofe, che Tacito, Macro-  bio & Marcellino chiamano Hycrogliphice , come an-  chora fi può vedere ne i loro obclifci, o vero piramidi  & guglie, delle quali ragiona Plinio al x x x v i. hb.dcl-  fHiftoria naturale in quello modo,Gl’intagli, caratteri,  & imagini,chc noi veggiamo, fono lettere de gl’Egittij  fcnzaordine& inrclligcnza di perfona,fcnondi coloro  che crono prepolli alla religione. Et Orfeo (come narra  Firmico) mollrando à gli huominiforellieri,chc entra -  uono nella fua religione, i lecreti & miflerij di quella,  gli faceua prima folla portadel tempio giurare, che non  riuclcrebbono maicofa,che egli hauellìno veduta ài  profani, cioè à quellichcnon erano dell’ordine loro:&  certamente non fenza ragione, conlìdcraco come le co-  le buone perdono di rìputationcquando ellcfonocoftì  municatc à huomini ignorami, incredulfonuidioii, per-  fidi & maligni. Vlauono oltre à quello gl’Egittij, che pi-  gIiauonogl’ordinifacri,di pigliare anchora prefentida   ogniuno. a* 5   ogniuno,& poi faccuonovn conuitoà tutti quelli , che  erano flati prefentialle cerimonie loro: &il gran facer-  dote (come noi diremo hoggi vno de i noftri vefcoui)  infegnaua poi lorc^ciò che ci doueflìno fare, dandoli vn  libro, o ruotolo , come quelli che vfauono i Giudei.   I Romani poi (come habbiamo detto) haueuono altri vigniti de  ordini tra loro, come il maggiore & minori Pontefici,  flamini,archiflamini,& protoflamini, limili alnoftro  Papa, cardinali, patriarchharchinefcoui, vefcoui , abbati*  priori, canonici & altri , à i quali porta uono molto ho-  nore& obbediuonogl’antichigrandemcntr-.ondc Cice-  rone fcriuc,che la religione fu quella che fece coli gran- urrllgim  di i Romani, anchora che egli haueflino affili nationifu-  periori à loro in molte cofe. Pofledcuono parimente  gl’antichi benefici) con la difpenfa del maggiore Ponte- eB  fìce,come fi vede in T ranquillo nella vita di Claudio, & doti Antichi  in Tito Liuio, quando ci dice che il figliuolo di Fabio  Maflimo haueua due bencficij,quando ci fu fatto Pon-  tefice:i quali benefici) erano di fi gran valuta, che non fo-  lamentc ei poteuono intrattenere le loro cafc& famiglie  magnificamcnte,ma peruenire alle fbmmc dignità de i  loro trionfi, nonlafciando perqueftodi tenere altri of-  fici) fecolari & publichhandarc alla guerra, & fare mer-  canti a, fecondo che roccafionc fi prefcntaua:& erano  quefli bcneficijdiduefortid’vnaVfa fuggettaalla colla-  tionedcPonteficbde la Rcpublica,& degli Imperatori,   & l'ahra reftaua libera & hcreditaria di mano in mano à R 0m JT «  i fucceflorijche chiamorno tali facerdotij Gentilirij,& tuamentr.  quafi al modo noftro patronati:de quali hà coli parlato  Cicerone, nel libro de ^Aruftìcum reftonfìs, Ei fono (dice citarne.   , che hanno fattoi  T 4     egli) in qucfto ordine molte perfone   intrjte de facrificij Gentilicij in quello iftclTotcmpio.Nc e dama-  tntjiaf. rauigliarfi fc l’enrrattc di quelli benefici j antichi erano  cofi grandi, confidcraro che quando i Romani veniuo-  noa fondarctcpli o munillerj,ci gli jfotauono digran-  dilfimi beni, cofi indanari,& penfioni,comcin tcrre&  altre cole (labi li, & i Re &gl Imperatori le faccuono fi-  jonluioni a quelle , che in Francia fi chiamono Fondationi  rtélL Realidcntratte delle quali fi coinè fono rifeofTe & pa-  gate dai Riceuitori del Dominio, cofi quelle de Roma-  ni paflàuono per le mani de Queftori,o Telorieri, fi co-  coUcgìdd m x c m °ft ra Tito Liuio,quando ei dice che Numa ordi-  ne V rftaii no i Collegi de i Flamini & delle vergini Vcftali,&: aflc-  - N ^ id4 £ n ° foro entrate & prouifionidei beni publicida quale  vfanza non bifogna dubitare che non fo/Iè poi oflerua-  ta & matcnuta da gl altri fondatori che vennono do-  cSformiti P° lui. Concludendo che fc noi porremo ben mente,noi  troucrrcmo & vedremo che gl’ordini della noflra reli-  Gentili con gionefonóin moire cole limili à quelli de gl’antichi Egit  k nojircin tij,&Romani,comclbno i camicide pretine ftolcde piì-  netejecherichc ralc, che i Franzcfi, chiamano Corone,  lo inclinare della tcfla, volgendoli all altare, il principio  & la fine del facrificio, i prieghi,i voti,l’orationi , gl’fiy ti-  ni, le mufichc delle voci,ifuonicomequellidegli orga-  ni,^ proccfIìoni,& molte altre cofc,chc vn buono fipiri-  to potrà facilmente ricorre, hauendo bcneconlidera-  tc quelle cerimonie & qucIle:ecccttoche quelle de Gcn-’  df ti,icrano ^«tlupcrfiitiofe, ma lenollre fono Chri-  g aitili. diane & catholichc, eflèndo fatte inhonoredi Dio Pa-   dre Omnitenrc, &di Gicfu Chrillofoo figliuolo,à cui  fiagloria etcrnalmente. Grice: “There are many issues about philosophical theology, as we may call it. The romans were into cult, rather than religion – they didn’t even know where ‘religio’ came from, and Lucrezio famously disagreed with Cicero – It seems it was all about killing livestock in lieu of humans, as the barbarians did!” -- Grice: “Enzo should concentrate a bit on how the ancient Romans dealt with their civil religion. Roma and romanitas. Carlo Enzo. Enzo. Keywords: l’uomo, essegesi, ermeneutica, i quattro sensi – from Genesis to Revelations: a new discourse on metaphysics, eschatology – perhaps Moses got more than the 10 comm from Sinai --. Ebraismo e romanita – romanita pagana – la teologia naturale dei romani antichi – la religione civile dei romani – I simboli della religione romana pagana --. La religione ufficiale della Roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Enzo” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Epicaride – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Epicaride is said to have been a Pythagorean who solved the problem of not being allowed to eat living things by killing those things first!

 

Grice ed Epicarmo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. He wrote comedies. He achieved a reputation as a philosopher through several works. He was one of the seven sages (according to Hippoboto) and may have been a Pythagorean.

 

Grice ed Epicoco – la religione civile dei romani -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Mesagne). Filosofo italiano. Grice: “I like Epicoco; he has a way with words – e.g. ‘only the sick heal.” Is that synthetic a priori?” Grice: “My favourite is Epicoco’s emphasis on some symbols, like blood, and Canova’s Eros – and ‘l’amore che decide.’ Insegna a San Carlo Borromeo all'Aquila. Altre opere:  Vergine Madre figlia del tuo figlio; Itaca editrice; Jesu dulcis memoria; Itaca editrice; Il grido di Benedetto XVI; con Michele G. Masciarelli; Tau editrice; Futuro presente. Contributi sull'enciclica Spe salvi di Benedetto XVI; con Angelo Amato e Paola Bignardi; Tau editrice; L'Immacolata perfezione. Sentieri in preparazione alla festa dell'Immacolata; Tau editrice  Io vedo il tuo volto. Arte e liturgia; Tau editrice  Ex coelesti virtute. Miscellanea di studi in onore di S. E. Mons. Giuseppe Molinari nel Suo 50º di Sacerdozio; Tau editrice  Etty Hillesum. Introduzione ad una donna; Tau editrice  Piccola introduzione alla Bibbia; Tau editrice  Qualcuno accenda la luce. Conversazioni sull'Enciclica Lumen Fidei di papa Francesco; Tau editrice  Giovanni Paolo II. Ricordi di un papa santo; con Mons. Piero Marini; Tau editrice  La misericordia ha un volto. Il Giubileo straordinario della Misericordia secondo papa Francesco; Tau editrice  Preghiere di ogni giorno; Tau editrice  Nati per amare. I giovani raccontano la famiglia; LUP  Solo i malati guariscono. L'umano del (non) credente; San Paolo, Milano  Educare è meglio che curare; Tau editrice,  La malattia è un dono di vita. Storia di Teresa Ruocco; Tau editrice  La stella, il cammino, il bambino. Il natale del viandante; San Paolo, Milano  Quello che sei per me. Parole sull'intimità; San Paolo, Milano  Amen. La Parola che salva; San Paolo, Milano  Sale non miele. Per una fede che brucia; San Paolo, Milano. Telemaco non si sbagliava. O del perché la giovinezza non è una malattia; San Paolo, Milano  L’amore che decide; Tau editrice,  Camminando tra pastori e Re Magi. Trenta piccole meditazioni e un "quaderno" per la riflessione personale: un percorso di preparazione al Natale, San Paolo, Cinisello Balsamo,  Qualcuno a cui guardare. Per una spiritualità della testimonianza, Città Nuova, Roma,. Note  A L'Aquila Epicoco diventa il nuovo preside dell’Istituto Superiore Scienze Religiose, Giovani: don Epicoco (filosofo), “proporre un incontro che può cambiare la loro vita”, in Servizio Informazione Religiosa, 11 settembre.  Intervista a Il Faro di Roma Scheda in Itaca libri  Scheda sito San Paolo  Scheda del docente nel sito dell'Università Pontificia  Articolo incarichi diocesani  Intervista a Credere  Sito della Parrocchia Universitaria L'Aquila  Incarichi nel Sito Ufficiale della Diocesi, su diocesilaquila. Scheda sul profilo di don Luigi Maria Epicoco  Radio Radicale Comunicato stampa  Sito Rai Caterpillar  Rai Due intervento a NemoNessuno escluso in prima serata  Membri Cavalieri della Luce Archiviato il 18 gennaio  in.  Testimonianza nella rivista Credere  Roma Sette sul nuovo Messalino edito da San Paolo  Intervista e nuovo libro sul sito Aleteia  La prefazione di Massimo Recalcati al libro di don Luigi Maria Epicoco  Don Epicoco nuovo preside dell’Issr L’Aquila  Conferenza di don Luigi Maria Epicoco a Nizza il 13 novembre.  Wikipedia Ricerca Religione sistema di credenze e attività umane nei confronti di una o più entità sovrannaturali Lingua Segui Modifica La religione è un costrutto sociale formato da quell'insieme di credenze, vissuti, riti che coinvolgono l'essere umano, o una comunità, nell'esperienza di ciò che viene considerato sacro, in modo speciale con la divinità, oppure è quell'insieme di contenuti, riti, rappresentazioni che, nell'insieme, entrano a far parte di un determinato culto.[1]   Alcuni simboli religiosi. Da sinistra a destra, dall'alto verso il basso: Cristianesimo, ebraismo, induismo, bahaismo, Islam, Neopaganesimo, Taoismo, Shintoismo, Buddismo, Sikhismo, Brahmanesimo, Giainismo, Ayyavazhi, Wicca, Templari e Chiesa Nativa Polacca Va tenuto presente che «il concetto di religione non è definibile astrattamente, cioè al di fuori di una posizione culturale storicamente determinata e di un riferimento a determinate formazioni storiche».[1] Lo studio delle "religioni" è oggetto della "Scienza delle religioni" mentre lo sviluppo storico delle religioni è oggetto della "Storia delle religioni".  EtimologiaModifica  Marco Tullio Cicerone(106 a.C.-43 a.C.), fu il primo autore a proporre un significato etimologico, collegato all'attenzione verso ciò che riguardava gli dèi, e una definizione del termine religio.  Lattanzio (250-327), apologeta cristiano, criticò l'etimologia di "religione" proposta da Cicerone, ritenendo che questo termine dovesse essere riferito al "legame" tra l'uomo e la divinità. Il termine religione deriva dal latino relìgio, la cui etimologia non è del tutto chiarita[2].  Secondo Cicerone, la parola originerebbe dal verbo relegere, ossia "ripercorrere" o "rileggere", intendendo una riconsiderazione diligente di ciò che riguarda il culto degli dèi[3]:  (LA)  «qui autem omnia quae ad cultum deorum pertinerent diligenter retractarent et tamquam relegerent, sunt dicti religiosi ex relegendo, ut elegantes ex eligendo, diligendo diligentes, ex intelligendo intelligentes»  (IT)  «invece coloro che riconsideravano con cura e, per così dire, ripercorrevano tutto ciò che riguarda il culto degli dei furono detti religiosi da relegere, come elegante deriva da eligere (scegliere), diligente da diligere(prendersi cura di), intelligente da intelligere(comprendere)»  (Cicerone. De natura deorum II, 28; traduzione in italiano di Cesare Marco Calcante in Cicerone. La natura divina. Milano, Rizzoli, 2007, pagg. 214-5) Jean Paulhan evidenzia come Lucrezio fece invece derivare religio dalla radice di re-ligare, nel significato «dei legami che uniscono gli uomini a certe pratiche»[3] – derivazione che fu poi ritenuta tale anche da Lattanzio e Servio Mario Onorato (però col significato di «legarsi nei confronti degli dei»[4]). Secondo Michael von Albrecht, da essa, poiché verbo contrario all'idea di liberazione, Lucrezio ne derivò il significato negativo, del quale è: «molto grafica l'espressione religione refrenatus (5, 114), che rispecchia le inibizioni al pensiero filosofico causate dal paganesimo: l'uomo è trattenuto, impedito, essendo le sue mani letteralmente "legate dietro la schiena"». Inoltre «parla spesso dei “nodi stretti” [...]della religio, dai quali Epicuro avrebbe liberato l'umanità».[5][6] Un significato simile le aveva attribuito lo storico greco Polibio, dando alla religione, ma con particolare riguardo alla tradizione e ai costumi dei Romani, il senso di un instrumentum regni.[7] Nello specifico Lattanzio (250-327)[8], che fu ripreso anche da Agostino d'Ippona (354-430)[9], correggendo Cicerone, sostiene:  (LA)  «Hoc vinculo pietatis obstiicti Deo et religati sumus ; unde ipsa religio nomen accepit, non ut Cicero interpretatus est, a relegendo.»  (IT)  «Con questo vincolo di pietà siamo stretti e legati (religati) a Dio: da ciò prese nome religio, e non secondo l'interpretazione di Cicerone, da relegendo.»  (Lattanzio. Divinae institutiones IV, 28. Traduzione di Giovanni Filoramo. Le scienze delle religioni. Brescia, Morcelliana, 1997, pag.286) Così lo studioso Luigi Alici (1950-) mette a confronto la lettura etimologica offerta da Agostino in De civitate Dei X,3, che si richiama a Cicerone, con quella di Lattanzio il quale "preferisce insistere sull'idea primitiva di 'ciò che lega' di fronte agli dèi":  «tale legame sarebbe pure indicato dall'uso simbolico delle vitae, cioè delle bende con cui si coprivano il capo i sacerdoti»  (Luigi Alici. Nota 5 in Agostino. La città di Dio. Milano, Bompiani, 2004, pag.462) Tuttavia lo storico delle religioni italiano Enrico Montanari (1942-) osserva che:  «Etimologicamente, religio non deriva da religare('legarsi faccia a faccia con gli dèi'): questa interpretazione, di fonte cristiana (Lattanzio), fu attribuita agli antichi, ma sulla base del nuovo culto monoteistico.»  (Enrico Montanari. Roma. Il concetto di "religio" a Roma. In Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pag.642) Quindi, per Enrico Montanari, l'origine del termine "religione" è da ricercarsi nella coppia dei termini religere/relegere intesi come "raccogliere nuovamente", "rileggere"[10] osservare "con scrupolo e coscienziosità l'esecuzione di un atto"[11] e quindi eseguire con attenzione l'"atto religioso". Furono i primi teologi cristiani, nel IV secolo, a rovesciare il significato originario del termine per collegarlo al nuovo credo[12].  Allo stesso modo osservò Gerardus van der Leeuw(1890-1950) che coniando l'espressione homo religiosus lo oppose all'homo negligens:  «Possiamo quindi intendere la definizione del giurista Masurio Sabino: religiosum est, quod propter sanctitatem aliquam remotum ac sepositum a nobis est. Ecco precisamente in che cosa consiste il sacro. Usargli sempre debiti riguardi: è questo l'elemento principale della relazione fra l'uomo e lo straordinario. L'etimologia più verosimile fa derivare la parola religio da relegere, osservare, stare attenti; homo religiosus è il contrario di homo negligens.»  (Gerardus van der Leeuw. Phanomenologie der Religion (1933). In italiano: Gerardus van der Leeuw. Fenomenologia della religione. Torino, Boringhieri, 2002, pag.30) Storia della definizioneModificaOccidenteModifica Grecia anticaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Religione dell'antica Grecia. Il termine che nella lingua greca moderna indica la "religione" è θρησκεία (thrēskeia). Tale termine è collegato a θρησκός (thrēskos; "pio", "timoroso di Dio"). Quindi anche se nella cultura religiosa greco-antica non esisteva un termine che riassumesse quello che noi intendiamo oggi per "religione"[13], thrēskeia[14] possedeva tuttavia un ruolo e un significato precisi[15]: indicava la modalità formale con cui andava celebrato il culto a favore degli dèi[16]. Scopo del culto religioso greco era infatti quello di mantenere la concordia con gli dèi: non celebrare loro il culto significava provocarne l'ira, da qui il "timore della divinità" (θρησκός) che lo stesso culto provocava in quanto connesso con la dimensione del sacro.  Roma anticaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Religione romana  Monaci manichei intenti a copiare testi sacri, con un'iscrizione in sogdiano (manoscritto da Khocho, Bacino del Tarim). Il manicheismofu una religione perseguitata, al pari di altre, nell'Impero romano in quanto contrastava con il mos maiorum. La concezione romana di "religione" (religio) corrisponde alla cura nei confronti dell'esecuzione del rito a favore degli dèi, rito che, per tradizione, va ripetuto finché non risulti correttamente eseguito[17]. In questo senso i romani collegavano al termine di "religione" un senso di timore nei confronti della sfera del sacro, sfera propria del rito e quindi della religione stessa[18].  In un ambito più aperto i romani accoglievano comunque tutti i riti che non contrastassero con il mos maiorum dei tradizionali riti religiosi, ovvero con il costume degli antenati. Quando nuovi riti, e quindi novae religiones, venivano a contrastare con il mos maiorum questi venivano proibiti: fu il caso, ad esempio e di volta in volta, delle religioni ebraica, cristiana, manichea e dei riti bacchanalia[19].  La prima definizione del termine "religione", ovvero del suo originario termine latino religio, la dobbiamo a Cicerone il quale nel De inventione così la esprime:  (LA)  «Religio est, quae superioris naturae, quam divinam vocant, curam caerimoniamque effert»  (IT)  «Religio è tutto ciò che riguarda la cura e la venerazione rivolti ad un essere superiore la cui natura definiamo divina»  (Cicerone. De inventione. II,161) Con l'epicureo Lucrezio (98 a.C.-55 a.C.) si affaccia una prima critica alla nozione di religione intesa qui come un elemento che sottomette l'uomo per mezzo della paura e da cui il filosofo deve liberarsi[20]:   «Humana ante oculos foede cum vita iacere / in terris oppressa gravi sub religione / quae caput a caeli regionibus ostendebat / horribili super aspectu mortalibus istans, / primum Graius homo mortalis tollere contra est / oculos ausus primusque obsistere contra»   «La vita umana giaceva sulla terra alla vista di tutti turpemente schiacciata dall'opprimente religione, che mostrava il capo dalle regioni celesti, con orribile faccia incombendo dall'alto sui mortali. Un uomo greco[21] per la prima volta osò levare contro di lei gli occhi mortali, e per primo resistere contro di lei.»  (Lucrezio. De rerum natura I,62-7. Traduzione di Francesco Giancotti in Lucrezio. La natura. Milano, Garzanti, 2006, pagg. 4-5) (LA)  «primum quod magnis doceo de rebus et artis religionum animum nodis exsolvere pergo»   «prima di tutto in quanto grandi cose insegno, e tento di sciogliere l'animo dai nodi stretti della religione»  (Lucrezio. De rerum natura I,932) Occidente cristianoModifica  Massacre saint Barthelemy di François Dubois (1529–1584) conservato presso il Musée cantonal des Beaux-Arts di Losanna. A seguito dei massacri provocati dalle Guerre di religione i pensatori francesi del XVII secolo misero in dubbio la sovrapposizione delle nozioni di civiltà e religione fino a quel momento in vigore. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:Cristianesimo.  Ebrei in preghiera il giorno dello Yom Kippur, opera di Maurycy Gottlieb(1856–1879). Nell'Occidente cristiano, l'Ebraismo, come l'Islām, verrà indicato come una religione solo a partire dal XVII secolo. Le prime comunità cristiane non utilizzarono il termine religio per indicare le proprie credenze e pratiche religiose[22]. Con il tempo, tuttavia, diffusamente a partire dal IV secolo, il Cristianesimo adottò tale termine nell'accezione indicata da Lattanzio, individuandone l'unicità in quanto la "religione" era l'unica via di salvezza per l'uomo.  La relazione tra religio cristiana e quelle dei culti o delle "filosofie" precedenti fu variamente interpretata dagli esegeti cristiani. Giustino (II secolo)[23], ma anche Clemente Alessandrino e Origene, sostennero che partecipando tutti gli uomini al "Verbo" coloro che tra questi vissero secondo "ragione" erano comunque dei cristiani[24]. Con Tertulliano (III secolo) la prospettiva cambiò e le differenze tra mondo "antico" e il mondo dopo la "rivelazione" cristiana furono decisamente accentuate.  Con Agostino d'Ippona (354-430), ma già precedentemente con Basilio, Gregorio Nazianzeno e Gregorio di Nissa, il pensiero platonico rappresentò per i teologi cristiani un esempio della comprensibilità di cosa fosse la vera "religione"[25].  Rispetto ai significati del termine "religione" nel mondo cristiano, lo storico delle religioni svizzero Michel Despland osserva che:  «Diventato cristiano l'Impero, si trovano presso i cristiani tre accezioni della parola. La religione è un ordine pubblico mantenuto dall'imperatore cristiano che instaura sulla terra la legislazione voluta da Dio (idea imperiale). Può anche essere l'eros dell'anima individuale verso Dio (idea mistica). Infine religio può designare la disciplina propria ai battezzati che hanno fatto voto di perfezione e sono diventati eremiti o cenobiti (Monachesimo).»  (Michel Despland. Religione. Storia dell'idea in Occidente, in Dictionnaire des Religions (a cura di Jacques Vidal). Parigi, Presses universitaires de France, 1984. In italiano: Dizionario delle religioni. Milano, Mondadori, 2007, pagg. 1539 e segg.) Quindi se inizialmente il termine "religione" è assegnato esclusivamente agli ordini religiosi[26], a partire dalla Francia il termine accoglie dapprima anche quei pellegrini o cavalieri che se ne mostrano degni attraverso il mantenimento dei loro voti, poi i mercanti onesti e gli sposi fedeli, aprendo così il termine all'intero mondo laicale che osserva con scrupolo i precetti della Chiesa.  Con la Scolastica la "religione" venne collocata tra le "virtù morali" inserite nella "giustizia" in quanto essa rende a Dio l'onore e l'attenzione che gli sono "dovuti" esprimendosi con atti esteriori, come la liturgia o il voto, ed atti interiori, come la preghiera o la devozione[27].  Infine il termine "religione" diviene sinonimo di "civiltà". Con la Riforma protestante a partire dal XVI secolo il termine "religione" è assegnato a due confessioni cristiane distinte, e solo con il XVII secolo l'Ebraismo e l'Islām saranno considerate "religioni"[28].  Le Guerre di religione del XVI secolo provocarono in Francia l'abbandono dell'idea che il termine "religione" potesse essere sovrapponibile a quello di civiltà e, ad incominciare dal XVII secolo, alcuni intellettuali francesi avviarono una critica serrata al valore stesso della religione[28].  «Vive forze nazionali si risvegliano e insorgono contro l'adattamento compiuto dopo le guerre di religione. Da allora la religione è vista come riguardante un'autorità oppressiva, la fede come una credenza poco ragionevole, anzi quasi irragionevole. In Francia, le intelligenze cominciano a preferire la civiltà alla religione. E c'è la tendenza a credere che quanto l'uomo più si civilizzerà tanto meno sarà incline alla religione.»  (Michel Despland. Op.cit.) Occidente moderno e contemporaneoModifica A partire dal XVII secolo, la Modernità attribuisce valore supremo alla razionalità affrontando con questo strumento conoscitivo anche l'alveo della religione che così viene sottoposto al suo esame.  Se da una parte autori come Gottfried Wilhelm von Leibniz (1645-1716) e Nicolas Malebranche (1638-1715) dopo l'analisi razionale esaltarono i valori religiosi, altri, come ad esempio John Locke (1632-1704) o Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), utilizzarono la "ragione" per spogliare la "religione" dei suoi contenuti non giustificabili razionalmente.  Altri autori, come l'irlandese John Toland (1670-1722) o il francese Voltaire (1694-1778) furono propugnatori del deismo, una lettura decisamente razionalista della religione.  Con David Hume (1711-1776) vi fu un rifiuto dei contenuti razionali della religione, nell'insieme considerata un fenomeno del tutto irrazionale, nato dai timori propri dell'uomo nei confronti dell'universo. Partendo dal giudizio di "irrazionalismo" della religione, in Occidente, con ad esempio Julien Offray de La Mettrie (1709-1751) o Claude-Adrien Helvétius(1715-1771), si affacciarono le prime critiche radicali alla religione che portarono all'affermazione dell'ateismo.  In questo ambito Paul Henri Thiry d'Holbach (1723-1789) giunse a sostenere che:  «L'idea di un Dio terribile, raffigurato come un despota, ha dovuto rendere inevitabilmente malvagi i suoi sudditi. La paura non crea che schiavi [...] che credono che tutto divenga lecito quando si tratta o di guadagnarsi la benevolenza del loro Signore, o di sottrarsi ai suoi temuti castighi. La nozione di un Dio-tiranno non può produrre che schiavi meschini, infelici, rissosi, intolleranti.»  (Holbach, Il buon senso, a cura di S. Timpanaro, Garzanti 1985, p.150) Culture non occidentaliModifica Nelle culture non occidentali il termine "religione" viene reso con termini che non hanno la stessa etimologia latina. Così, se in Occidente, fatto salvo la lingua greca, il termine "religione" ha ovunque origine dal latino religio, l'etimologia del termine ebraico origina invece da un termine proprio dell'antico persiano, allo stesso modo l'arabo dove il termine "religione" origina dall'avestico. Nelle lingue del Subcontinente indiano invece il termine "religione" viene reso con termini di origine sanscrita e, in Estremo Oriente, con termini di origine cinese.  Vicino e Medio OrienteModifica In lingua ebraica il termine occidentale "religione" viene reso come(alfabeto ebraico) traslitterato in caratteri latini come dath. Tale termine compare alcune volte nel Tanakh, così nel Libro di Ester Il re ordinò che così fosse fatto. Il decreto (dath) fu promulgato a Susa. I dieci figli di Amàn furono appesi al palo.»  (Libro di Ester, IX,14) In questo verso (dath) sta per "editto", "legge", "decreto". L'ebraico dath deriva dall'avestico e dall'antico persiano dāta[29].  Il termine avestico dāta possiede in quella lingua sempre il significato di "legge" o di "legge di Ahura Mazdā"[30], ovvero legge del Dio unico e supremo dello Zoroastrismo.  (AE)  «ahmya zaothre baresmanaêca mãthrem speñtem ashhvarenanghem âyese ýeshti, dâtem vîdôyûm âyese ýeshti, dâtem zarathushtri âyese ýeshti, darekhãm upayanãm âyese ýeshti, daênãm vanguhîm mâzdayasnîm âyese ýeshti.»  (IT)  «Con questo zaothra e baresman desidero questo Yasna per il generoso Manthra, il più glorioso e lo desidero per Dāta, la Legge, la più gloriosa, santificata Aša, istituita contro i daēva, e per la legge insegnata da Zarathuštra. Desidero, questo Yasna, per Upayana, l'antica tradizione mazdea, e per Daēna, la santa religione mazdea.»  (Avestā II, 13. Traduzione di Arnaldo Alberti, in Avestā. Torino, UTET, 2008, pag.96) In lingua araba il termine occidentale "religione" viene reso come دين (alfabeto arabo) traslitterato in caratteri latini come dīn. Oggi ho perfezionato la vostra religione ( dīn) compiendo per voi il mio beneficio e ho scelto per voi l'Islām come religione ( dīn)»  (Corano V,3) Il termine arabo dīn deriva dal medio persiano dēn[31].  In lingua persiana il termine occidentale "religione" viene reso come دین (alfabeto arabo-persiano) traslitterato in caratteri latini come dīn. Tale termine deriva dal termine medio persiano dēnche, a sua volta, deriva dall'avestico daēnā che in quella antica lingua significa "religione" intesa come splendore, luminosità di Ahura Mazdā. Daēnā a sua volta proviene, nella medesima lingua, dalla radice dāy(vedere).  (AE)  «nivaêdhayemi hañkârayemi mãthrahe speñtahe ashaonô verezyanguhahe dâtahe vîdaêvahe dâtahe zarathushtrôish darekhayå upayanayå daênayå vanghuyå mâzdayasnôish»  (IT)  «Annuncio e celebro in lode del benefico ed efficace Manthra, ašavan, rivelazione contro i daēva; rivelazione che viene da Zarathuštra, e in lode di Daēna, la buona religione mazdea, che ha un'antica Tradizione»  (Avestā I, 13. Traduzione di Arnaldo Alberti, in Avestā. Torino, UTET, 2008, pag.92) Subcontinente indiano                                                      Modifica  La bandiera dell'India. Al centro della bandiera è collocato, raffigurato in blu, il Čakra di Aśokaovvero il sigillo che compare negli editti promulgati dall'imperatore indiano Aśoka (304-232 a.C.) e che rappresenta il Dharmačakra, la "Ruota del Dharma". Nella lingua hindi, la lingua ufficiale e più diffusa dell'India, il termine occidentale "religione" viene reso come (alfabeto devanagari) traslitterato in caratteri latini come Dharma.  «È abbastanza difficile trovare un'unica parola nell'area dell'Asia meridionale che denoti ciò che in italiano è definito "religione", un termine effettivamente piuttosto vago e dall'ampio raggio semantico. Forse il termine più appropriato potrebbe essere il sanscrito dharma, traducibile in diversi modi, tutti pertinenti alle idee e alle pratiche religiose indiane»  (William K. Mahony. Induismo, "Enciclopedia delle Religioni" vol. 9: "Dharma induista". Milano, Jaca Book, 2006, pag.99) Gianluca Magi precisa tuttavia che il termine Dharma  «è più ampio e complesso di quello cristiano di religione e, dall'altro, meno giuridico delle attuali concezioni occidentali di "dovere" o di "norma", poiché privilegia la consapevolezza e la libertà piuttosto che il concetto di religio od obbligo»  (in Dharma, "Enciclopedia filosofica" vol.3. Milano, Bompiani. Il termine Dharma è usato nella maggior parte delle religioni di origine indiana per indicare tali contesti religiosi: Induismo Sanātana Dharma), Buddhismo Buddha Dharma), Giainismo Jain Dharma) e Sikhismo (Sikh Dharma).  Ma anche per indicare le religioni occidentali come l'Ebraismo (Dharma ebraico) o il Cristianesimo (Dharma cristiano)  Il termine Dharma deriva dalla radice sanscrita dhṛtraducibile in italiano come "fornire una base", ovvero come "fondamento della realtà", "verità", "obbligo morale", "giusto", "come le cose sono" oppure "come le cose dovrebbero essere". O guardiani dell'ordine cosmico (Ṛta), o Dei le cui leggi (Dharma) sono sempre realizzate, voi salite sul vasto carro del cielo più alto; a chi, Mitra e Varuṇa, mostrate il vostro favore, la pioggia del cielo dona abbondanza di miele»  (Ṛgveda, V 63,1 a-c) Estremo Orientesānjiào yījiào Tre religioni (insegnamenti) una religione (insegnamento). Confucio (Kǒng Qiū) e Lǎozǐ proteggono il Buddha Śākyamuni Shìjiāmóuní) infante. Rotolo dipinto su seta, Dinastia Ming conservato presso il British Museum di Londra.  Scrittura oracolare su ossa, all'origine del carattere cinese  (zǐ, bambino). Il carattere cineseche indica la singola "religione" è (jiào) e si compone, oltre del carattere  (zǐ), del carattere  (lǎo, vecchio), il tutto ad indicare l'insegnamento. In lingua cinese il termine occidentale "religione" viene reso come , traslitterato in caratteri latini in zōngjiào (Wade-Giles tsung-chiao).  Da questa lingua il termine religione  viene così reso nelle altre lingue estremo-orientali in:  lingua giapponese shūkyō; lingua coreana  jonggyo lingua vietnamita tôn giáo. In lingua cinese (jiào) rende anche il khotanesedeśanā, a sua volta resa del sanscrito deśayati(causativo del verbo di III classe diś: "mostrare", "assegnare", "esibire", "rivelare") e anche il sanscritośāsana (insegnamento).  Il carattere  è formato da (zǐ, bambino, dove la figura stilizzata è avvolta in fasce e agita le braccia),  (lǎo, vecchio).  Mentre  (zōng) indica "scuola", "tradizione acclarata", "religione" quindi "insegnamento di una tradizione acclarata/religione".  Il carattere cinese  (zōng) è formato dai caratteri  (mián, tetto di un edificio) e ( shì "altare", oggi nel significato di "mostrare") a sua volta composto da  (altare primitivo) con ai lati  (gocce di sangue o di libagioni); il tutto a significare "edificio che contiene un altare".  Le singole religioni vengono indicate dal nome che le caratterizza seguite dal carattere (jiào): Buddhismo (Fójiào da Fó Buddha), Confucianesimo (Rújiào, da Rú, letterato confuciano), Daoismo (Dàojiào da Dào) Cristianesimo (Jīdūjiāo da  Jīdū Cristo), Ebraismo  ( Yóutàijiào da Yóutài Giuda), Islām (Yīsīlánjiāo da Yīsīlán Islām).  DescrizioneModifica Il dibattito sulla nozione di religioneModifica La nozione di "religione" è problematica e dibattuta.  Da un punto di vista fenomenologico-religioso il termine "religione" è collegato alla nozione di sacro:  «Secondo Nathan Söderblom, Rudolf Otto e Mircea Eliade, la religione è per l'uomo la percezione di un "totalmente Altro"; ciò ha come conseguenza un'esperienza del sacro che a sua volta dà luogo a un comportamento sui generis. Questa esperienza, non riconducibile ad altre, caratterizza l'homo religiosus delle diverse culture storiche dell'umanità. In tale prospettiva, ogni religione è inseparabile dall'homo religiosus, poiché essa sottende e traduce la sua Weltanschauung (Georges Dumézil). La religione elabora una spiegazione del destino umano (Geo Widengren) e conduce a un comportamento che attraverso miti, riti e simboli attualizza l'esperienza del sacro.»  (Julien Ries. Le origini, le religioni. Milano, Jaca Book, 1992, pagg.7-23) Da un punto di vista storico-religioso la nozione di "religione" è collegata al suo esprimersi storico:  «Ogni tentativo di definire il concetto di "religione", circoscrivendo l'area semantica che esso comprende, non può prescindere dalla constatazione che esso, al pari di altri concetti fondamentali e generali della storia delle religionie della scienza della religione, ha una origine storica precisa e suoi peculiari sviluppi, che ne condizionano l'estensione e l'utilizzo. [...] Considerata questa prospettiva, la definizione della "religione" è per sua natura operativa e non reale: essa, cioè, non persegue lo scopo di cogliere la "realtà" della religione, ma di definire in modo provvisorio, come work in progress, che cosa sia "religione" in quelle società e in quelle tradizioni oggetto di indagine e che si differenziano nei loro esiti e nelle loro manifestazioni dai modi a noi abituali.»  (Giovanni Filoramo. Religione in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pag.620) Da un punto di vista antropologico-religioso la "religione" corrisponde al suo modo peculiare di manifestarsi nella cultura:  «Le concezioni religiose si esprimono in simboli, in miti, in forme rituali e rappresentazioni artistiche che formano sistemi generali di orientamento del pensiero e di spiegazione del mondo, di valori ideali e di modelli di riferimento»  (Enrico Comba. Antropologia delle religioni. Un'introduzione. Bari, Laterza, 2008, pag.3) Anche se come evidenzia lo stesso Enrico Comba:  «Non è dunque possibile stabilire un criterio assoluto per distinguere i sistemi religiosi da quelli non religiosi nel vasto repertorio delle culture umane»  (Enrico Comba. Op.cit. pag.28) Quindi, come notano Carlo Tullio Altan e Marcello Massenzio, il fenomeno della religione:  «come forma specifica della cultura umana, ovunque presente nella storia e nella geografia, è un fenomeno estremamente complesso, che va studiato con molteplici procedure, mano a mano che queste ci vengono offerte dal progresso degli studi delle scienze umane, senza pretendere di dire mai in proposito l'ultima parola, come accade per un lavoro che sia costantemente in corso d'opera.»  (Carlo Tullio Altan e Marcello Massenzio. Religioni Simboli Società: Sul fondamento dell'esperienza religiosa. Milano, Feltrinelli, 1998, pagg. 71-2) Analisi filosoficaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: scienze delle religioni Natura problematica della definizione di "religione"   Max Weber (1864-1920) sostenne che la definizione di "religione" si può declinare alla fine della ricerca su di essa.  Leszek Kołakowski(1927-2009) ha osservato che, come per altri ambiti umanistici, difficilmente si potrà addivenire ad una definizione condivisa del termine "religione". La definizione moderna del termine "religione" è problematica e controversa:  «Definire la religione è compito tanto ineludibile quanto improbo. È infatti evidente che, se una definizione non può prendere il posto di una indagine, quest'ultima non può avere luogo in assenza di una definizione.»  (Giovanni Filoramo. Op.cit 1993, pag.621) Già Max Weber aveva sostenuto che:  «Una definizione di ciò che la religione 'è' non può trovarsi all'inizio, ma caso mai, alla fine di un'indagine come quella che segue.»  (Max Weber. Economia e società Milano, Comunità, 1968, pag.411. (prima ed. 1922)) Melford E. Spiro (1920-)[32] e Benson Saler[33]obiettano in proposito che quando non si definisce l'oggetto di indagine in modo esplicito si finisce per definirlo in modo implicito.  Lo storico polacco Leszek Kołakowski (1927-2009) rileva invece che:  «Studiando le attività umane nessuno dei concetti di cui disponiamo può essere definito con assoluta precisione, e, sotto questo aspetto, 'religione' non si trova in una situazione peggiore di "arte", "società", "storia", "politica", "scienza", "linguaggio" e innumerevoli altre parole. Ogni definizione della religione deve essere fino ad un certo punto, arbitraria, e, per quanto scrupolosamente tentiamo di far sì che si conformi all'impiego attuale della parola nel linguaggio comune, molte persone riterranno che la nostra definizione comprenda troppo o troppo poco.»  (Leszek Kołakowski. Se non esiste Dio. Bologna, Il Mulino, 1997) Le spiegazioni sulla natura e le ragioni dell'esistenza dei credi religiosi  Ulteriori informazioni Questa sezione sull'argomento religione è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach (1804-1872) sosteneva che: la religione consiste di idee e valori prodotti dagli esseri umani, erroneamente proiettati su forze e personificazioni divine. Dio sarebbe quindi la costruzione di un Super uomo (uomo potenziato con attribuiti ideali dati dall'uomo stesso). È una forma di alienazione (che non ha lo stesso significato attribuito da Marx), in quanto la religione estranea l'uomo da sé stesso facendogli credere di non essere in prima persona: l'uomo è sottomesso da sé stesso. La religione si trova ad essere dunque un rifugio dell'uomo di fronte alla durezza della realtà quotidiana.  Karl Marx (1818-1883) affermò che: la Religione è «il gemito della creatura oppressa, l'animo di un mondo senza cuore, così come è lo spirito d'una condizione di vita priva di spiritualità. Essa è l'oppio dei popoli»[34].  Secondo l'ottica di Max Weber (1864-1920): le Religioni mondiali sarebbero capaci di raccogliere vaste masse di credenti e di influenzare il corso della storia universale. Weber non crede che la religione sia una forza conservatrice (Karl Marx), bensì crede che essa possa provocare enormi trasformazioni sociali: La religione influisce sulla vita sociale ed economica. Il Puritanesimo e il protestantesimo, ad esempio, furono all'origine del modo di pensare capitalistico. Ne ”L'etica protestante e lo spirito del capitalismo” Weber discusse ampiamente l'influenza del cristianesimo sulla storia dell'Occidente moderno. Weber scoprì che effettivamente alcune religioni sono caratterizzate da un ascetismo ultramondano, che privilegia la fuga dai problemi terreni, distogliendo gli sforzi dallo sviluppo economico. Il cristianesimo sarebbe una religione di salvezza per Weber, poiché è incentrata sulla convinzione che gli esseri umani possano essere salvati purché scelgano la fede e seguano le sue prescrizioni morali. Le religioni di salvezza presentano un aspetto rivoluzionario perché sono caratterizzate da un ascetismo intramondano, cioè uno spirito religioso che privilegia la condotta virtuosa in questo mondo. Le religioni asiatiche invece avevano un atteggiamento di passività rispetto all'esistente.  Tra le riflessioni contemporanee, particolarmente interessante è la spiegazione del fenomeno religioso proposta da Marcel Gauchet a iniziare dall'opera del 1985 Il Disincanto del mondo[35]: secondo lo storico-filosofo francese, la religione non è né una tensione individuale verso il trascendente, né una costruzione funzionale alla giustificazione del potere. La religione va invece intesa, in una prospettiva storica e antropologica, come maniera particolare di strutturazione dello spazio sociale e umano. In particolare la forma più pura di religione è da rintracciare negli animismi che caratterizzano quelle società che Pierre Clastres definisce “contro lo Stato”. Nelle società di questo tipo, la legge viene cioè fatta risalire a un tempo e a forze assolutamente altre rispetto al presente e nessun membro della società può quindi rivendicare un rapporto privilegiato con il trascendente. La nascita di un'istanza separata del potere è indisgiungibile da una trasformazione della religione: dopo tali trasformazioni, il mondo terreno e la realtà trascendente entrano in rapporto. La religione, che nella sua forma più pura era un disinnescamento totale dell'instabilità sociale, una rimozione assoluta della divisione attraverso l'assolutizzazione della separazione terreno/trascendente, si apre a quella che Gauchet definisce l'uscita dalla religione.  Alcuni termini classificatori e descrittivi delle religioniModifica  Edward Burnett Tylor introdusse, nel 1871, la nozione di "animismo".  Il teologo calvinista svizzero Pierre Viret (1511-1571) che, nel suo Instruction chrétienne del 1564 introdusse il termine "deismo".  Friedrich Schelling nel 1842 introdusse per primo il termine "enoteismo" poi ripreso e diffuso dall'indologo Friedrich Max Müller (1823-1900).  John Toland(1670-1722) nel suo Socinianism Truly Stated. By a pantheist (1705) utilizzò per primo la nozione di "panteismo". AnimismoModifica "Animismo" (dall'inglese animism, a sua volta dal latino anĭma) è il termine introdotto nello studio delle religioni primitive dall'antropologo inglese Edward Burnett Tylor (1832-1917) che, nel 1871 nel suo Primitive Culture: Researches into the Development of Mythology, Philosophy, Religion, Language, Art and Custom, lo utilizzò per indicare quella prima forma di credenza spirituale ("anima" o "forza vitale") che viene riscontrata in oggetti o luoghi. In tal senso la teoria di Tylor si opponeva a quella di Herbert Spencer(1820-1903) che invece poneva nell'ateismo le convinzioni degli uomini primitivi[36].  La teoria "animistica", già messa in discussione da Marcel Mauss (1872-1950) e da James Frazer (1854-1941), è rifiutata oggi dalla maggior parte degli antropologi.  Tuttavia, come nota Jacques Vidal[37]  «in mancanza di altre espressioni l'uso del termine rimane frequente.»  Carlo Prandi[38] nota anche come tale termine venga utilizzato per indicare le credenze religiose dell'Africa subsahariana, quelle afrobrasiliane e quelle attinenti alle culture dell'Oceania.  AteismoModifica Esistono religioni atee, per considerarle tali prevale la definizione legata al culto piuttosto che al sacro, e l'interpretazione strettamente etimologica su quella abituale di "atteggiamento antireligioso".[39]. Nel 1993 durante i lavori del Parlamento Mondiale delle Religioni (PoWR) i buddisti, guidati dal Dalai Lama, protestarono contro l’uso del termine Dio che essi rifiutano, concordando solo su quello di Realtà suprema[40].  DeismoModifica Il termine "Deismo" (dal francese déisme, a sua volta dal latino deus[41]) fu coniato dal teologo calvinista svizzero di lingua francese Pierre Viret (1511-1571) che nella sua Instruction chrétienne (Ginevra, 1564) lo utilizzò per indicare un gruppo che si opponeva agli "ateisti", ma Viret descrisse questo "gruppo" come di coloro che pur credendo in un Dio unico e creatore rigettavano la fede in Gesù Cristo.  Il poeta inglese John Dryden (1631-1700), in Religio Laici del 1682 definì il "Deismo" come la credenza in un Dio creatore rifiutando qualsivoglia dottrina propugnata dalla tradizione e dalla rivelazione.  Con la pubblicazione del Dictionnaire historique et critique (Rotterdam, 1697) di Pierre Bayle (1647-1706), che riprese la nozione di Déisme (s.v. "Viret"), il termine si diffuse ampiamente nella cultura europea.  Tuttavia il significato di "Deismo" ha posseduto, di volta in volta, connotazioni diverse. Allen W. Wood[42]ne ha identificate quattro:  credenza in un Essere supremo privo di tutti gli attributi di personalità (come intelletto e volontà); credenza in un Dio, ma rifiuto di qualsiasi cura provvidenziale da parte di questi per il mondo; fede in un Dio, ma negazione di ogni vita futura; credenza in un Dio, ma rifiuto di tutti gli altri articoli di fede religiosa. Molti filosofi e scienziati, per lo più illuministi del Settecento, sostennero tali posizioni; varianti istituzionalizzate del "Deismo" sono il Culto dell'Essere supremo durante la Rivoluzione francese e la spiritualità della Massoneria.  EnoteismoModifica "Enoteismo" (dal tedesco henotheismus, a sua volta dal greco εἷς eîs + θεός theós "un dio") fu il termine coniato dal Friedrich Schelling (1775-1854) in Philosophie der Mythologie und der Offenbarung(1842) per indicare un "monoteismo " rudimentale sorto durante la preistoria della coscienza e precedente al "monoteismo evoluto" e al politeismo. In questo senso il termine si presenta simile a quello di Urmonotheimus ovvero "monoteismo primordiale" elaborato nel 1912 dall'antropologo e sacerdote Wilhelm Schmidt.  Successivamente, l'indologo tedesco Friedrich Max Müller (1823-1900) utilizzò questo termine[43] per indicare una pratica propria del Ṛgveda consistente nell'isolare una divinità rispetto alle altre durante le invocazioni rituali.  Nel suo significato storico-religioso, "enoteismo" occorre ad indicare quella forma di culto per cui una divinità viene, durante il rito, momentaneamente isolata e privilegiata rispetto alle altre, assurgendo così a divinità principale.  MonoteismoModifica Il termine Monoteismo (neologismo greco, dal grecoμόνος, mónos = unico, solo e θεός theós = dio) caratterizza quelle religioni che propugnano l'esistenza di una singola divinità.  André Lalande (1867-1963) ha così descritto, nel suo Vocabulaire technique et critique de la philosophie, revu par MM. les membres et correspondants de la Société française de philosophie et publié, avec leurs corrections et observations par André Lalande, membre de l'Institut, professeur à la Sorbonne, secrétaire général de la Société (2 volumi) Parigi, 1927, il termine "monoteismo":  «Dottrina filosofica o religiosa che ammette un solo Dio, distinto dal mondo»  Il tema, controverso, è quali possano essere le religioni ascrivibili a questo contesto. Dopo una disamina di tale problema, Paolo Scarpi così chiosa:  «In questa prospettiva, pertanto conviene limitare l'uso del termine monoteismo alle forme religiose che storicamente si sono affermate come tali e che hanno elaborato una speculazione teologica finalizzata alla dimostrazione dell'unicità di Dio»  Intendendo in questa prospettiva sostanzialmente l'Ebraismo, il Cristianesimo e l'Islām. Di tutt'altro avviso è invece, ad esempio, Theodore M. Ludwig che nella Encyclopedia of Religion nata dal progetto internazionale proposto da Mircea Eliade include, sia nell'edizione del 1987 che nella seconda edizione del 2005, nella voce Monotheism[44], altre religioni oltre quelle qui sopra citate come lo Zoroastrismo, la Religione greca nella forma di alcuni culti e nel pensiero di alcuni teologi greci, la Religione egizia del culto di Aton, il Buddhismo nella forma della Terra Pura, l'Induismo in alcune sue particolari manifestazioni e il Sikhismo.  PanteismoModifica Il termine Panteismo (dall'inglese pantheism a sua volta dal greco παν pan + θεός theós = tutto Dio) letteralmente significa "tutto è Dio". Tale termine fu derivato da analogo termine, pantheistic, utilizzato dal filosofo irlandese John Toland (1670-1722) nel suo Socinianism Truly Stated. By a pantheist (1705), ed ebbe larga diffusione in Europa durante le polemiche inerenti al Deismo.  Oggi il termine "Panteismo" occorre come termine tecnico-descrittivo per individuare quei credi religiosi, o filosofico-religiosi, che individuano una divinità che abbraccia ogni cosa, ovvero Dio che compenetra ogni aspetto e luogo dell'universo rendendo così sacro ogni aspetto dell'esistente, anche quello naturale[45]. Sono imparentati ad esso i termini di "panenteismo", termine coniato nel 1828 da Karl Krause per indicare una visione in cui Dio è sia immanente che trascendente. e di "monismo", genericamente ogni dottrina unitaria che presuppone un'unica sostanza, nella fattispecie la concezione di un unico Dio impersonale ed ozioso [46].  PoliteismoModifica Il termine "politeismo" è attestato nelle lingue moderne per la prima volta nella lingua francese (polythéisme) a partire dal XVI secolo[47]. Il termine polythéisme fu coniato dal giurista e filosofo francese Jean Bodin, e quindi utilizzato per la prima volta nel suo De la démonomanie des sorciers (Parigi, 1580), per poi finire nei dizionari come il Dictionnaire universel françois et latin (Nancy 1740), il Dictionnaire philosophique di Voltaire (Londra 1764) e, l'Encyclopédie di D'Alembert e Diredot (seconda metà del XVIII secolo), la cui voce polytheisme è curata dallo stesso Voltaire. Utilizzato in ambito teologico in opposizione a quello di "monoteismo"; entra nella lingua italiana nel XVIII secolo[48].  Il termine polythéisme, quindi "politeismo", è formato da termini derivati dal greco antico: πολύς (polys) + θεοί (theoi) ad indicare "molti dèi"; quindi da polytheia, termine coniato dal filosofo giudaico di lingua greca Filone di Alessandria (20 a.C.-50 d.C.) per indicare la differenza tra l'unicità di Dio nell'Ebraismo rispetto alla nozione pluralistica dello stesso propria delle religioni antiche[49], tale termine fu poi ripreso dagli scrittori cristiani (ad esempio da Origene in Contra Celsum).  Tale termine indica quelle religioni che ammettono l'esistenza di più dèi a cui destinare i culti. Non vi rientra pertanto il Dualismo, che nella versione classica del Manicheismo vede il mondo retto da due principi opposti in lotta tra loro, il Male e il Bene, quest'ultimo destinato a trionfare alla fine dei giorni. Il termine Dualismo viene inoltre esteso ad eresie quali gli Gnostici e i Catari, che nell'esaltare la figura del male distinguono nettamente tra spirito e materia, ma trattandosi di Cristiani, per quanto borderline, vanno inclusi tra i Monoteisti.  Religioni (in ordine alfabetico) con maggior numero di fedeliModifica BuddhismoModifica  Il Buddhismo nel mondo Il Buddhismo è una religione che comprende una varietà di tradizioni, credenze e pratiche, in gran parte basata sugli insegnamenti attribuiti a Siddhārtha Gautama, vissuto nel Nepal intorno al VI secolo a.C., comunemente appellato come il Buddha, ossia "il Risvegliato".  Le numerose scuole dottrinarie afferenti a questa religione si fondano e si differenziano in base alle raccolte scritturali riportate nei Canoni buddhisti e agli insegnamenti tradizionali trasmessi all'interno delle stesse scuole.  Le due grandi differenziazioni all'interno del Buddhismo riguardano le correnti Theravāda, presente prevalentemente in Sri Lanka, Thailandia, Cambogia, Myanmar e Laos, e Mahāyāna, presente invece prevalentemente in Cina, Tibet, Giappone, Corea, Vietnam e Mongolia.  CristianesimoModifica  I cristiani nel mondo per nazione Il Cristianesimo è la religione più diffusa nel mondo, in particolare in Occidente (Europa, Americhe, Oceania). Le forme storiche del cristianesimo sono molteplici, ma è possibile indicare quattro principali suddivisioni: il Cattolicesimo, il Protestantesimo, l'Ortodossia e l'Anglicanesimo. Oltre a queste quattro suddivisioni, esistono alcuni credi che si riallacciano al Cristianesimo ma non sono classificati nelle quattro categorie principali, tra cui Mormonismo e i Testimoni di Geova.  Tutte queste tradizioni cristiane riconoscono, seppure con piccole varianti, che il loro fondatore, Gesù di Nazaret, è il Figlio di Dio, e lo riconoscono come Signore. Credono altresì, a parte i Testimoni di Geova, i Mormoni e i Protestanti Unitari, che Dio è uno in tre persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.  Inoltre, tenendo presente che la Bibbia protestante ha 7 libri in meno della Bibbia cattolica, considerano la Bibbia un testo ispirato da Dio. La Bibbia dei cristiani è composta dall'Antico Testamento, il quale corrisponde alla Septuaginta, versione e adattamento in lingua greca della Bibbia ebraica con l'aggiunta di ulteriori libri[50], e dal Nuovo Testamento: quest'ultimo ruota interamente sulla figura di Gesù Cristo e del suo "lieto annuncio" (Vangelo).  InduismoModifica  Induismo nel mondo L'Induismo è un insieme di dottrine, credenze e pratiche religiose e filosofico-religiose che hanno avuto origine in India, luogo dove risiede la maggioranza dei suoi fedeli. Secondo la tradizione, questa religione è eterna (Sanātana dharma, religione eterna) non avendo né un principio né una fine.  L'Induismo fa riferimento ad un insieme di testi sacriche per tradizione suddivide in Śruti e in Smṛti. Tra questi testi occorre ricordare in particolar modo i Veda, le Upaniṣad e la Bhagavadgītā.  IslamModifica  Presenza musulmana nel mondo L'Islam è la più recente delle tre principali religioni monoteiste originarie del Vicino Oriente. Ha come principale riferimento il Corano considerato libro sacro. Il testo in lingua araba, una raccolta di predicazioni orali, è relativamente breve rispetto ai testi sacri ebraici o indù. Il termine Islam significa letteralmente "sottomissione", intesa come fedeltà alla parola di Dio. L'Islam condivide con l'Ebraismo e il Cristianesimo gran parte della tradizione dell'Antico Testamento, legittimando il riferimento biblicosecondo cui Isacco (progenitore degli israeliti) e Ismaele (progenitore degli arabi) erano entrambi figli di Abramo. Riconosce la vita e le opere di Gesùritenendolo però un profeta. La figura di riferimento dell'Islam è Muhammad (Maometto), vissuto nel VII secolo nella penisola arabica, di cui la Sunna raccoglie gli aneddoti. Le due suddivisioni principali di questa religione sono l'Islam sunnita e l'Islam sciita.  Altre religioniModifica Altre importanti religioni, diffuse soprattutto in Asiasono:  Animismo Bahá'í Confucianesimo Culti sincretici africani Ebraismo Ermetismo Esoterismo Giainismo Gnosticismo Manicheismo Mitraismo Shintoismo Sikhismo Taoismo Zoroastrismo Nuovi movimenti religiosiModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Nuovo movimento religioso. Bambini di Dio Chiesa dell'unificazione Meditazione trascendentale Movimento raeliano Neopaganesimo Organizzazione Sathya Sai Pastafarianesimo Rajneeshismo Rastafarianesimo Sahaja Yoga Scientology Testimoni di Geova Wicca NoteModifica ^ a b Religione, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 6 settembre 2020. ^ Sull'etimologia di "religio" si possono vedere gli studi di Huguette Fugier, Recherches sur l'expression du sacré dans la langue latine, Saint-Amand, Ch.A. Bedy, 1963, pp. 172-179 e Godo Lieberg, "Considerazioni sull'etimologia e sul significato di religio", Rivista di Filologia Classica, (102) 1974, pp. 34-57. ^ a b Jean Paulhan, Il segreto delle parole, a cura di Paolo Bagni, postfazione di Adriano Marchetti, Firenze, Alinea editrice, 1999, p. 45, ISBN 88-8125-300-3. ^ ««le fait de se lier vis-à-vis des dieux», symbolisé par l'emploi des uittæ et des στέμματα dans le culte.»  (( FR ) Alfred Ernout e Antoine Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine - Histoire des mots ( PDF ), ristampa della IV edizione, in nuovo formato, aggiornata e corretta da Jacques André (1985), Parigi, Klincksieck, 2001   [1932] , p. 569, ISBN 2-252-03359-2. URL consultato il 24 luglio 2013.) ^ Michael von Albrecht, Terror et pavor: politica e religione in Lucrezio ( PDF ), su basnico.files.wordpress.com, ETS, 2005, 238-239. URL consultato il 5 giugno 2017. ^ cfr. anche ( EN ) Robert Schilling, The Roman Religion, in Claas Jouco Bleeker e Geo Widengren (a cura di), Historia Religionum I - Religions of the Past, vol. 1, 2ª ed., Leiden, E. J. Brill, 1988   [1969] , p. 443, ISBN 978-90-04-08928-0. URL consultato il 5 giugno 2017. ^ Polibio, Storie, VI 56. ^ Concetta Aloe Spada, “L’uso di religio e religiones nella polemica antipagana de Lattanzio”, in Ugo Bianchi (ed.), The Notion of «Religion» in Comparative Research. Roma: 'L'Erma' di Bretschneider, 1994, pp. 459-463. ^ Retractationes I, 13. Anche se in De civitate DeiX,3 Agostino segue invece l'etimologia offerta da Cicerone:  «Eleggendo quindi Dio, o piuttosto rieleggendolo (da cui verrebbe il termine religione) avendolo perduto per nostra negligenza»  (Agostino. La città di Dio. Milano, Bompiani, 2004, pag.462) ^ Cfr. anche Giovanni Filoramo. Che cos'è la religione. Torino, Einaudi, 2004, pag.81-2. ^ Giovanni Filoramo. Op.cit. 1993. ^ Giovanni Filoramo. Op.cit. 2004 pag.82 nota 2; Op.cit. 1993, pag. 624; Le scienze delle religioni. Brescia, Morcelliana, 1997, pag.286 ^ Cfr., ad esempio, Paolo Scarpi. Grecia (religione) in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, p. 350. ^ Dialetto ionico. ^ Questo tuttavia al di fuori del dialetto attico, cfr. in tal senso e per una più approfondita disamina dei termini Walter Burkert, La creazione del sacro, pp. 491 e sgg. ^ «Tutti questi dati si intrecciano e completano la nozione che la parola thrēskeia evoca di per sé stessa: quella di 'osservanza, regola della pratica religiosa'. La parola si ricollega a un tema verbale che denota l'attenzione al rito, la preoccupazione di restare fedeli a una regola.» Émile Benveniste. Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, voll. II. Torino, Einaudi, 1976, p.487. ^ «Per i Romani religio stava a indicare una serie di precetti e di proibizioni e, in senso lato, precisione, rigida osservanza, sollecitudine, venerazione e timore degli dèi.»  (Mircea Eliade. Religione in Enciclopedia del novecento. Istituto enciclopedico italiano, 1982, pag.121) ^ Enrico Montanari. Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pag. 642-4 ^ Enrico Montanari. Op.cit., pag. 642-4 ^ Va precisato tuttavia che gli epicurei non negavano l'esistenza delle divinità quanto piuttosto affermavano la loro lontananza e il loro disinteresse nei confronti degli uomini. ^ Si riferisce ad Epicuro. ^ Michel Despland. Religione. Storia dell'idea in Occidente, in Dictionnaire des Religions (a cura di Jacques Vidal). Parigi, Presses universitaires de France, 1984. In italiano: Dizionario delle religioni. Milano, Mondadori, 2007, pagg. 1539 e segg. ^ I Apologeticum XLVI, 3 e 4. ^ Tra questi Giustino cita esplicitamente Socrateed Eraclito: «Coloro che hanno vissuto secondo il Logos sono cristiani, anche se sono stati considerati atei, come, tra i Greci, Socrate ed Eraclito, ad altri simili, e tra i barbari, Abramo, Anania, Azaria, Misael, Elia, e molti altri ancora, dei quali ora non elenchiamo le opere e i nomi, sapendo che sarebbe troppo lungo. Di conseguenza coloro che hanno vissuto prima di Cristo, ma non secondo il Logos, sono stati malvagi, nemici di Cristo e assassini di quelli che vivevano secondo il Logos; al contrario coloro, quelli che hanno vissuto e vivono secondo il Logos sono cristiani, non soggetti a paure e turbamenti»  (Giustino. Apologia I, 47,3 e 4. Traduzione di Giuseppe Girgenti in Giustino Apologie. Milano, Rusconi, 1995, pagg. 125-7) . ^ Cfr. a titolo esemplificativo Agostino d'Ippona. De vera religione 1-3. ^ «Nel XIII sec. una religione è un Ordine religioso»  (Michel Despland. Op.cit..) ^ Antonin-Dalmace Sertillanges. La philosophie morale de saint Thomas d'Aquin. Parigi, 1947. ^ a b Michel Despland. Op.cit.. ^ F. Brown, S. R. Driver, Ch. A. Briggs. A Hebrew and English Lexicon of the Old Testament. Oxford, Clarendon Press, 1968 ^ Dāta' nella Encyclopædia Iranica. ^ «DlN, I. Definition and general notion. It is usual to emphasize three distinct senses of din: (i) judgment, retribution; (2) custom, sage; (3) religion. The first refers to the Hebraeo-Aramaic root, the second to the Arabic root ddna, dayn (debt, money owing), the third to the Pehlevi dēn(revelation, religion). This third etymology has been exploited by Noldeke and Vollers.»  (Louis Gardet. Encyclopedia of Islam, vol.2. Leiden, Brill, 1991, pag.253) ^ Melford E. Spiro. Religion: problems of definition and explanation, in M. Banton (a cura di) Anthropological Approaches to the study of Religion. 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Milano, Encyclomedia Publishers/RCS, 2011, pag.22. ^ Da tener presente che la Bibbia protestantecontiene una differente raccolta di libri rispetto a quella, ad esempio, cattolica.   BibliografiaModifica Ugo Bianchi (a cura di), The Notion of 'Religion' in Comparative Research. Selected Proceedings of the 16. Congress of the International Association for the History of Religions, Rome, 3.-8. September, 1990, Roma, 'L'Erma' di Bretschneider, 1994. Angelo Brelich, Introduzione alla storia delle religioni, Roma-Bari, Editori Laterza, 1991. Walter Burkert, La creazione del sacro, Milano, Adelphi, 2003. Yves Coppens, Origines de l'homme - De la matière à la conscience, Paris, De Vive Voix, 2010. Yves Coppens, La preistoria dell'uomo, Milano, Jaca Book, 2011. Alfonso Maria Di Nola, Attraverso la storia delle religioni, Roma, Di Renzo Editore, 1996. Ambrogio Donini, Lineamenti di storia delle religioni, Roma, Editori Riuniti, 1959. Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni, Torino, Bollati Boringhieri, 1999. Giovanni Filoramo, Storia delle religioni, Roma-Bari, Editori Laterza, 1994. GiovanniFiloramo, Maria Chiara Giorda e Natale Spineto (a cura di), Manuale di Scienze della religione, Brescia, Morcelliana, 2019. Voci correlateModifica Ateismo Antropologia delle religioni Credenza religiosa Critiche alla religione Culto Dio Divinità Fanatismo religioso Fenomenologia della religione Filosofia della religione Fede Homo religiosus Importanza della religione per stato Preghiera Psicologia della religione Religione di Stato Religioni maggiori Religioni per nazione Rivelazione Rito Santuario Sacrificio Scienza delle religioni Storia delle religioni Sacro Sociologia della religione Teologia Uscita dalla religione Altri progettiModifica Collabora a Wikisource Wikisource contiene di argomento religioso Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni sulla religione Collabora a Wikizionario Wikizionario contiene il lemma di dizionario «religione» Collabora a Wikinotizie Wikinotizie contiene notizie di attualità su argomenti di religione Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla religione Collabora a Wikivoyage Wikivoyage contiene informazioni turistiche su religione Wikiversity contiene materiale del Corso di laurea in Scienza delle Religioni, Facolta' di Lettere e Filosofia Collabora a Wikibooks Wikibooks contiene un approfondimento sulla storia della nozione di religione Collabora a Wikibooks Wikibooks contiene un libro su Le religioni e il sacro Collegamenti esterniModifica religione, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata ( EN ) Religione, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN ,  FR ) Religione, su Enciclopedia canadese. Modifica su Wikidata ( EN ) Religione, su The Encyclopedia of Science Fiction. Modifica su Wikidata ( EN ) Opere riguardanti Religione, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata ( EN ) Religione, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata ( EN ) Kevin Schilbrack, The Concept of Religion, in Edward N. Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI), Università di Stanford. Dale Tuggu, Theories of Religious Diversity, su Internet Encyclopedia of Philosophy. Centro Studi sulle Nuove Religioni (CESNUR), su cesnur.org. Controllo di autoritàThesaurus BNCF 7544 · LCCN( EN ) sh85112549 · GND ( DE ) 4049396-9 ·BNE ( ES ) XX524493 (data) · BNF( FR ) cb11963568t (data) · J9U( EN ,  HE ) 987007529427605171 (topic) · NDL( EN ,  JA ) 00572394   Portale Religioni: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Religioni Ultima modifica 6 giorni fa di Ontoraul PAGINE CORRELATE Religione romana credenze del popolo romano  Storia delle religioni Dio entità divina, essere supremo e oggetto di fede  Wikipedia Il contenutoWikipedia Ricerca Religione romana credenze del popolo romano Lingua Segui Modifica La religione romana è l'insieme dei fenomeni religiosi propri dell'antica Roma considerati nel loro evolvere come varietà di culti, questi correlati allo sviluppo politico e sociale della città e del suo popolo[1][2].   Giove Tonante in una scultura risalente al 100 a.C. circa. Le origini della città, e quindi della storia e della religione di Roma, sono controverse. Recentemente l'archeologo italiano Andrea Carandini[3] sembrerebbe aver quantomeno dimostrato di poter datare l'origine di Roma all'VIII secolo a.C., saldando quindi le sue conclusioni, basate sugli scavi da lui condotti nella zona del Palatino, all'età di fondazione stabilita dal racconto tradizionale[4][5].  Le origini della religione romana vanno individuate nei culti dei popoli pre-indoeuropei stanziati in Italia[6], nelle tradizioni religiose dei popoli indoeuropei[7] che, probabilmente a partire dal XV secolo a.C.[8], migrarono nella penisola, nelle civiltà etrusca[9] e della Grecia[10] e nelle influenze delle civiltà del Vicino Oriente occorse lungo i secoli.  La religione romana cessò di essere la religione "ufficiale" all'interno dell'Impero romano con l'editto di Tessalonica e i successivi editti promulgati a partire dal 380 dall'imperatore romano convertito al cristianesimo Teodosio I[11], il quale proibì e perseguitò tutti i culti non cristiani professati nell'Impero, soprattutto quelli pagani[12]. Precedentemente (362-363) c'era stato il vano tentativo dell'imperatore Giuliano di riformare la religione pagana per contrapporla efficacemente al cristianesimo, ormai ampiamente diffuso.  Una religione civile L'espressione "religione romana" è di conio moderno. Il termine italiano "religione" possiede tuttavia la sua chiara etimologia nel termine latino religio ma, nel caso del termine latino, esso esprime una nozione circoscritta alla cura nei confronti dell'esecuzione del rito a favore degli dei, rito che, per tradizione, va ripetuto finché non risulti correttamente eseguito[13], e in questo senso i Romani collegavano al termine religioil vissuto di timore nei confronti della sfera del sacro, sfera propria del rito e quindi della religione stessa[14]:  (LA)  «Religio est, quae superioris naturae, quam divinam vocant, curam caerimoniamque effert»  (IT)  «Religio è tutto ciò che riguarda la cura e la venerazione rivolte a un essere superiore la cui natura definiamo divina»  (Cicerone, De inventione. II,161) Pertanto, l'integrità e la prosperità di Roma (monarchica, repubblicana, imperiale) erano la finalità dello Stato e, a questo scopo, doveri civili e religiosi coincidevano: lo Stato si è attribuito il diritto di stabilire e specificare qual è il sacro e pertanto la religione romana è una religione civica, una religione che ha carattere pubblico e, di conseguenza, nella organizzazione istituzionale di Roma è presente anche un apparato religioso"[15].   La nozione moderna di "religione" è invece più complessa e problematica[16] andando a coprire un più ampio spettro di significati:  «Le concezioni religiose si esprimono in simboli, in miti, in forme rituali e rappresentazioni artistiche che formano sistemi generali di orientamento del pensiero e di spiegazione del mondo, di valori ideali e di modelli di riferimento»  (Enrico Comba, Antropologia delle religioni. Un'introduzione. Bari, Laterza, 2008, p. 3) Precisare la differenza di "contenuto" tra il termine latino religio e quello di uso comune e moderno di "religione" rende conto della caratteristica unica dei contenuti religiosi del vivere romano:  «La religione romana (o più in generale greco-romana) può essere caratterizzata da due elementi: è una religione sociale ed è una religione fatta di atti di culto. Religione sociale, essa è praticata dall'uomo in quanto membro di una comunità e non in quanto singolo individuo, persona; è squisitamente una religione di partecipazione e nient'altro che questo. Il luogo dove si esercita la vita religiosa del romano è la famiglia, l'associazione professionale o di culto, e soprattutto, la comunità politica.»  (John Scheid, La religione a Roma. Bari, Laterza, 1983, p. 8) Ne consegue che per i Romani la religio non aveva molto a che fare con quello che noi indichiamo come credenza religiosa individuale in quanto è lo Stato a essere il tramite tra l'individuo e la divinità[17]:  «L'atteggiamento religioso del romano va [...] distinto dal sistema della fede. Religio non equivale a credo.»  (Robert Schilling, Rites, Cultes, Dieux de Rome. Parigi, Klincksieck, 1979, p.74; cit. in John Scheid, Op.cit., p. 8) Il sentimento religioso romano (pietas) verte dunque nella forte volontà di garantire il successo alla respublica mediante la scrupolosa osservanza della religio, dei suoi culti, dei suoi riti, della sua tradizione, osservanza che consente di ottenere il favore degli dei e garantire la pax deum (pax deorum)[18]. Tale concordia con gli dei determinata dalla scrupolosa osservanza della religio e dei suoi riti è testimoniata, per i Romani, dal successo di Roma nei confronti delle altre città e nel mondo.  (LA)  «...sed pietate ac religione atque una sapientia, quod deorum numine omnia regi gubernarique perspeximus, omnes gentes nationesque superavimus.»  (IT)  «... ma è nel sentimento religioso e nell'osservanza del culto e pure in questa saggezza eccezionale che ci ha fatto intendere appieno che tutto è retto e governato dalla volontà divina, che noi abbiamo superato tutti i popoli e tutte le nazioni.»  (Cicerone, De haruspicum responso, 9; traduzione di Giovanni Bellardi, in Cicerone, Le orazioni vol. III, Torino, UTET, 1975, pp. 302-305) Il che fa concludere a Cicerone:  (LA)  «Et si conferre volumus nostra cum externis, ceteris rebus aut pares aut etiam inferiores reperiemur, religione, id est cultu deorum, multo superiores.»  (IT)  «E se vogliamo confrontare la nostra cultura con quella delle popolazioni straniere, risulterà che siamo uguali o anche inferiori sotto ogni altro aspetto, ma che siamo molto superiori per quello che concerne la religione, cioè il culto degli dei.»  (Cicerone, De natura deorum. II, 8; traduzione di Cesare Marco Calcante. Milano, Rizzoli, 2007, pp. 156-7) La "mitologia" romana: le fabulae La nozione di "sacro" (sakros) nella cultura romana Lapis niger stele (modificato).JPG  Qui sopra il cippo del Lapis Niger risalente al VI secolo a.C. che riporta un'iscrizione bustrofedica. In questo reperto archeologico compare per la prima volta il termine sakros (Forum inscription (dettaglio).jpg: sakros es)[19]. Dal termine latino arcaico sakros originano due successivi termini latini: sacer e sanctus. Lo sviluppo del termine sakros, nel suo variegarsi di significati procede, per quanto inerisce al sanctus per via del suo participio sancio che è collegato a sakros per mezzo di un infisso nasale[20]. Ma sacer e sanctus, pur provenendo dalla stessa radice sak, possiedono dei significati originari molto diversi. Il primo, sacer, è ben descritto da SESTO POMPEO FESTO nel suo “De verborum significatu” dove precisa che: «Homo sacer is est, quem populus iudicavit ob maleficium; neque fas est eum immolari, sed, qui occidit, parricidii non damnatur». Quindi, e in questo caso, l'uomo sacro è colui che portando una colpa infamante che lo espelle dalla comunità umana deve essere allontanato. Non lo si può perseguire, ma non si può perseguire nemmeno colui che lo uccide. L'homo sacer non appartiene, non è perseguito, né è tutelato dalla comunità umana. Sacer è quindi ciò che appartiene ad 'altro' rispetto agli uomini, appartiene agli Dei, come gli animali del sacrificium (rendere sacer). Nel caso di sacer la sua radice sak inerisce a ciò che viene stabilito (quindi ciò che è sak) come non attinente agli uomini. Sanctus invece, come spiega il Digesto, è tutto ciò che deve essere protetto dalle offese degli uomini. È sanctaquell'insieme di cose che sono sottomesse a una sanzione. Esse non sono né sacre, né profane. Esse non sono comunque consacrate agli Dei, non appartengono a loro. Ma sanctus non è nemmeno profano, deve essere protetto dal profano e rappresenta il limite che circonda il sacer anche se non lo riguarda. Sacer è tutto ciò che appartiene quindi a un mondo fuori dall'umano: dies sacra, mons sacer. Mentre sanctus non appartiene al divino: lex sancta, murus sanctus. Sanctus è tutto ciò che è proibito, stabilito, sanzionato dagli uomini e, con questo, anche sanctus si relaziona al radicale indoeuropeo sak. Ma col tempo, sacer e sanctus si sovrappongono. Sanctus non è più solo il "muro" che delimita il sacer ma entra esso stesso in contatto col divino: dall'eroe morto sanctus, all'oracolo sanctus, ma anche Deus sanctus. Su questi due termini, sacer e sanctus, si fonda un ulteriore termine, questo dall'etimologia incerta, religio, ovvero quell'insieme di riti, simboli e significati che consentono all'uomo romano di comprendere il "cosmo", di stabilirne i contenuti e di mettersi in relazione con esso e con gli Dei. Così la città di Roma diviene essa stessa sacra in quanto avvolta dalla majestas che il dio Iupiter ha consegnato al suo fondatore, Romolo. Attraverso le sue conquiste, la città di Roma offre una collocazione agli uomini nello spazio "sacro" da essa rappresentato. La sfera del sacer-sanctus romano appartiene al sacerdosche, nel mondo romano unitamente all'imperator[21] si occupa delle res sacrae che consentono di rispettare gli impegni verso gli Dei. Così sacer divengono le vittime dei "sacrifici", gli altari e le loro fiamme, l'acqua purificatrice, gli incensi e le stesse vesti dei "sacerdoti". Mentre sanctus è riferito alle persone: i re, i magistrati, i senatori (pater sancti) e da questi alle stesse divinità. La radice di sakros, è il radicale indoeuropeo *sak il quale indica qualcosa a cui è stata conferita validità ovvero che acquisisce il dato di fatto reale, suo fondamento e conforme al cosmo[22]. Da qui anche il termine, sempre latino, di sancire evidenziato nelle leggi e negli accordi. Seguendo questo insieme di significati, il sakrossancisce un'alterità, un essere "altro" e "diverso" rispetto all'ordinario, al comune, al profano[23]. Il termine latino arcaico sakros corrisponde all'ittita saklai, al greco hagois, al gotico sakan[24]. La presenza di una mitologia romana che prescindesse da quella greca è stato oggetto di dibattito fin dall'antichità. Il retore greco Dionigi di Alicarnasso (I secolo a.C.) ha negato questa possibilità attribuendo a Romolo, fondatore della città di Roma, l'espressa intenzione di cancellare qualsivoglia racconto mitico che attribuisse agli dei le condotte sconvenienti degli uomini[25]:  (GRC)  «τοὺς δὲ παραδεδομένους περὶ αὐτῶν μύθους, ἐν οἷς βλασφημίαι τινὲς ἔνεισι κατ´ αὐτῶν ἢ κακηγορίαι, πονηροὺς καὶ ἀνωφελεῖς καὶ ἀσχήμονας ὑπολαβὼν εἶναι καὶ οὐχ ὅτι θεῶν ἀλλ´ οὐδ´ ἀνθρώπων ἀγαθῶν ἀξίους, ἅπαντας ἐξέβαλε καὶ παρεσκεύασε τοὺς ἀνθρώπους {τὰ} κράτιστα περὶ θεῶν λέγειν τε καὶ φρονεῖν μηδὲν αὐτοῖς προσάπτοντας ἀνάξιον ἐπιτήδευμα τῆς μακαρίας φύσεως. Οὔτε γὰρ Οὐρανὸς ἐκτεμνόμενος ὑπὸ τῶν ἑαυτοῦ παίδων παρὰ Ῥωμαίοις λέγεται οὔτε Κρόνος ἀφανίζων τὰς ἑαυτοῦ γονὰς φόβῳ τῆς ἐξ αὐτῶν ἐπιθέσεως οὔτε Ζεὺς καταλύων τὴν Κρόνου δυναστείαν καὶ κατακλείων ἐν τῷ δεσμωτηρίῳ τοῦ Ταρτάρου τὸν ἑαυτοῦ πατέρα οὐδέ γε πόλεμοι καὶ τραύματα καὶ δεσμοὶ καὶ θητεῖαι θεῶν παρ´ ἀνθρώποις»  (IT)  «Censurò tutti quei miti che si tramandano sugli dèi, in cui erano offese e accuse contro di essi, ritenendoli empi, dannosi, offensivi e non degni degli dèi e neppure degli uomini giusti. Prescrisse inoltre che gli uomini pensassero e parlassero riguardo agli dèi nel modo più rispettoso possibile, evitando di attribuire loro una pratica indegna della loro natura divina. Presso i Romani infatti non si racconta che Urano fu evirato dai figli né che Crono massacrò i figli per paura di essere detronizzato, che Zeus pose fine alla supremazia di Crono, che era suo padre, rinchiudendolo nelle carceri del Tartaro, non si raccontano neppure guerre, né ferite, né patti, né la loro servitù presso gli uomini.»  (Dionigi di Alicarnasso, II, 18-19; traduzione di Elisabetta Guzzi, p.94.)  Calco in gesso della fronte del "Sarcofago Mattei" (III secolo d.C.), conservato presso il Museo della civiltà romana (Roma). L'originale del calco è murato nello scalone principale di Palazzo Mattei in Roma. Questa fronte del sarcofago intende raffigurare una delle fabulae fondative della civiltà romana: il dio Mars (Marte) che si avvicina a Rhea Silvia (Rea Silvia) addormentata[26]. I gemelli Romulus (Romolo) e Remus (Remo) saranno il frutto della relazione tra il dio e Rhea Silvia, figlia di Numitor (Numitore), questi discendente dell'eroe troiano Aeneas (Enea) e re dei Latini. Allo stesso modo il filologo tedesco Georg Wissowa[27] e lo studioso tedesco Carl Koch[28] hanno diffuso in età moderna l'idea che i Romani non avessero in origine una propria mitologia. Diversamente il filologo francese Georges Dumézil in varie opere aventi come oggetto la religione romana[29] ha invece ritenuto di considerare la presenza di una mitologia latina e quindi romana come diretta eredità di quella indoeuropea, al pari di quella vedica o di quella scandinava, successivamente il contatto con la cultura religiosa e mitologica greca avrebbe fatto dimenticare ai Romani questi loro racconti mitici basati su una trasmissione di tipo orale. Lo storico delle religioni italiano Angelo Brelich[30] ha ritenuto di individuare una mitologia propria dei Latini che, seppur priva di ricchezza come quella greca, è comunque parte autentica e originaria di quel popolo. Lo storico delle religioni italiano Dario Sabbatucci[31]riprende di fatto le conclusioni di Koch quando individua nei Romani e negli Egiziani due popoli che hanno concentrato nel "rito" religioso il contenuto "mitico" non estraendone, a differenza dei Greci, il racconto mitologico. Più recentemente lo storico delle religioni olandese Jan Nicolaas Bremmer[32] ritiene che i popoli indoeuropei e quindi di eredità indoeuropea, tra questi anche i Latini e i Romani, non abbiano mai posseduto dei racconti teogonici e cosmogonici se non in forma assolutamente rudimentale, la particolarità della mitologia greca risiederebbe quindi nel fatto di averli elaborati sull'impronta di quelli appartenenti alle antiche civiltà orientali. Allo stesso modo Mary Bread[33] ha criticato le conclusioni di Dumézil sulla presenza di una mitologia indoeuropea, collegata all'ideologia tripartita, presente anche nella Roma arcaica.  Di certo a partire dall'VIII/VII secolo a.C. si osserva la penetrazione di racconti mitici greci in Italia centrale con i reperti archeologici che li raffigurano[34][35]. Nel VI secolo a.C. l'influenza greca emerge in modo decisamente impressionante con la costruzione del tempio a Iupiter Optimus Maximus al Campidoglio[36].  Andrea Carandini ritiene di individuare una precisa cesura tra la mitologia originaria del Lazio e quella successiva determinata dall'influenza greca:  «Ma a partire da un certo momento la creatività mitica originaria si esaurisce e gli ulteriori sviluppi cominciano a perdere autenticità, per cui viene a prodursi una cesura. Questa cesura cade a nostro avviso nel Lazio al tempo dei Tarquini quando avvengono manipolazioni del mito indigeno ed intrusioni di miti greci paragonabili a un grosso intervento chirurgico nella cultura del tempo.»  (Andrea Carandini, La nascita di Roma, p. 48) Le mediazione etrusca all'epoca dei Tarquini, per mezzo della quale entrano nella religione romana anche nozioni mitiche proprie dei Greci, era già stata evidenziata da Mircea Eliade:  «Sotto la dominazione etrusca perde di attualità la vecchia triade costituita da Giove, Marte e Quirino, che viene sostituita dalla triade formata da Giove, Giunone e Minerva, istituita all'epoca dei Tarquini. È evidente l'influenza etrusco-latina, che del resto apporta alcuni elementi greci. Le divinità hanno ora delle statue: Juppiter Optimus Maximus, come d'ora innanzi sarà chiamato, è presentato ai Romani sotto l'immagine etruschizzata dello Zeus greco.»  (Mircea Eliade, Storia delle idee e delle credenze religiose, vol. II, p. 128) Se quindi già a partire dall'VIII/VII secolo a.C. i racconti mitologici greci, questi decisamente influenzati dal contatto della civiltà greca con quelle orientali, segnatamente con la civiltà mesopotamica[37], penetrano nell'Italia centrale determinando la successiva e decisiva influenza della mitologia greca sulle idee religiose latine, resta che alcuni racconti di natura mitica, alcuni dei quali anche di possibile eredità indoeuropea, possano essere appartenuti alla cultura orale latina arcaica e poi ripresi e in parte riformulati dai letterati e dagli antichisti romani dei secoli successivi.  L'accezione moderna del termine "mito" inerisce a racconti tradizionali che hanno come oggetto dei contenuti di tipo significativo[38], il più delle volte afferenti al campo teogonico e cosmogonico[39], e comunque inerente al sacro e quindi del religioso[40]:  «Il mito esprime un segreto proprio delle origini, che conduce ai confini tra gli uomini e gli dei.»  (Jacques Vidal, Mito, in  Dizionario delle religioni(a cura di Paul Poupard). Milano, Mondadori, 2007, p. 1232) «Il mito si distingue dalla leggenda, dalla fiaba, dalla favola, dalla saga, pur contenendo in varia misura, elementi di ciascuno di questi generi letterari. [...] Tutti questi tipi di racconto hanno in comune il fatto di non essere portatori di quei contenuti di verità che rendono il mito profondamente coinvolgente sul piano esistenziale e religioso»  (Carlo Prandi, Mito in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo), Torino, Einaudi, 1993, p.494) Il termine moderno "mito" risale al greco μύθος (mýthos)[41] laddove, invece, i Romani utilizzano il termine fabula (pl. fabulae) che possiede origini nel verbo for, "parlare" di contenuti religiosi[42]. Se fabulaper i Romani è quindi il "racconto" di natura tradizionale circondato da un'atmosfera religiosa, esso possiede l'ambivalenza di essere anche il "racconto" leggendario che si oppone a historia[43], il "racconto" fondato storicamente. Ne consegue che il fondamento di verità di una fabula è lasciato all'uditore che ne stabilisce il criterio di attendibilità, questo stabilito dalla tradizione. Così Livio, in Ad Urbe Condita (I), ricorda che tali fabulae fondative non si possono né adfirmare (confermare), né refellere (confutare).  Le fabulae fondative di Roma si riscontrano sostanzialmente coerenti in una letteratura che prosegue per circa sei secoli[44]. Tali fabulae narrano di un primo re dei Latini, Ianus (Giano), cui segue un secondo re giunto esule dal mare, Saturnus (Saturno), il quale condivise con Ianus il regno. Figlio di Saturnus fu Picus (Pico), a sua volta padre di Faunus (Fauno) che generò il re eponimo dei Latini, Latinus (Latino). A partire da Ianus, questi re divini introdussero nel Lazio la civiltà, quindi l'agricoltura, le leggi, i culti, fondando città.  EvoluzioneModifica Lo sviluppo storico della religione romana passò per quattro fasi: una prima protostorica, una seconda fase dall'VIII secolo a.C. al VI secolo a.C., contrassegnata dall'influenza delle religioni autoctone; una terza contraddistinta dall'assimilazione di idee e pratiche religiose etrusche e greche; una quarta, durante la quale si affermò il culto dell'imperatore e si diffusero le religioni misteriche di provenienza orientale.  Età protostoricaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Fondazione di Roma. Nell'età protostorica ancora prima della fondazione di Roma, quando nel territorio laziale c'erano solo tribù, nel territorio dei colli si credeva nell'intervenire nella vita di tutti i giorni di forze soprannaturali tipicamente magico-pagane. Queste forze non erano tuttavia personificate in divinità ma ancora indistinte e solo col rafforzarsi dei contatti con altre popolazioni, tra cui i Greci (nell'VIII secolo a.C. poi nel IV-III secolo a.C.), i Sabini e gli Etruschi, tali forze cominceranno a essere personificate in oggetti e, solo a Repubblica inoltrata, in soggetti antropomorfi. Sino ad allora erano viste come forze chiamate numen o al plurale numina, grandi in numero e ciascuna avente il suo compito nella vita di tutti i giorni.  Età arcaicaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Età regia di Roma. La fase arcaica fu caratterizzata da una tradizione religiosa legata soprattutto all'ambito agreste, tipica dei culti indigeni mediterranei, sulla quale si inserì il nucleo di origine indoeuropea. Per la tradizione romana si deve a Numa Pompilio, il secondo re di Roma, la sistemazione e l'iscrizione delle norme religiose in un unico corpo di leggi scritte, il Commentarius, che avrebbe portato alla definizione di otto ordini religiosi: i Curiati, i Flamini, i Celeres, le Vestali, gli Auguri, i Salii, i Feziali e i Pontefici[45].   Busto di Giano bifronte, culto istituito da Numa Pompilio[46] Gli dei principali e più antichi venerati nel periodo arcaico, la cosiddetta "triade arcaica", erano Giove(Iupiter), Marte (Mars) e Quirino (Quirinus), quella che Georges Dumézil definisce invece “triade indoeuropea”[47]. Proprio a Iupiter Feretrius (garante dei giuramenti) è dedicato il santuario cittadino di più antica consacrazione: stando a Tito Livio era stato proprio Romolo a fondarlo sul colle Palatino[48], così come fu responsabile della creazione del culto di Iupiter Stator (che arresta la fuga dai combattimenti)[49].  Tra le divinità maschili troviamo Liber Pater, Fauno, Giano (Ianus)[46], Saturno, Silvano, Robigus, Consus (il dio del silo in cui si racchiude il frumento), Nettuno (in origine dio delle acque dolci, solo dopo l'apporto ellenizzante dio del mare[50]), Fons (dio delle sorgenti e dei pozzi[51]), Vulcano (Volcanus, dio del fuoco devastatore[52]).  In questa fase primitiva della religione romana è riscontrabile la venerazione di numerose divinità femminili: Giunone (Iuno) in diversi e specifici aspetti (Iuno Pronuba, Iuno Lucina, Iuno Caprotina, Iuno Moneta)[53], Bellona, Tellus e Cerere (Ceres), Flora, Opi (l'abbondanza personificata), Pales (dea delle greggi), Vesta[46], Anna Perenna, Diana Nemorensis(Diana dei boschi, dea italica , introdotta secondo la tradizione da Servio Tullio come dea lunare[54]), Fortuna (portata in città da Servio Tullio, con vari culti entro il pomoerium), la Dea Dia (la dea “luminosa” del cielo chiaro[55]), la dea Agenoria (la dea rappresentante dello sviluppo).  Frequenti sono le coppie di divinità legate alla fertilità poiché essa era ritenuta per natura duplice: se in natura esistono maschio e femmina dovevano esserci anche maschio e femmina per ogni aspetto della fertilità divina. Ecco così Tellus e Tellumo, Caeres e Cerus, Pomona e Pomo, Liber Pater e Libera. In queste coppie il secondo termine rimane sempre una figura secondaria, minore, una creazione artificiale dovuta ai sacerdoti teologi più che alla reale devozione[56].  Il periodo delle origini è caratterizzato anche dalla presenza di numina, divinità indeterminate, come i Larie i Penati.  Età repubblicanaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Repubblica romana. La mancanza di un "pantheon" definito favorì l'assorbimento delle divinità etrusche, come Venere(Turan), e soprattutto greche. A causa della grande tolleranza e capacità di assimilazione, tipiche della religione romana, alcuni dèi romani furono assimilati a quelli greci, acquisendone l'aspetto, la personalità e i tratti distintivi, come nel caso di Giunone assimilata a Era; altre divinità, invece, furono importate ex novo, come nel caso dei Dioscuri. Il controllo dello Stato sulla religione, infatti, non proibiva l'introduzione di culti stranieri, anzi tendeva a favorirla, a condizione che questi non costituissero un pericolo sociale e politico. Nel II secolo a.C. furono ad esempio proibiti i baccanali con Senatus consultum de Bacchanalibusdel 186 a.C. perché durante tali riti gli adepti praticavano la violenza sessuale reciproca (sodomia compresa), specialmente sui neofiti, e ciò era in contrasto con le leggi romane che impedivano tali atti tra cittadini, pur permettendole nei confronti degli schiavi, mentre il culto dionisiaco fu represso con la forza.  Età alto imperialeModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Alto Impero romano.  L'imperatore Commodorappresentato come Ercole La crisi della religione romana, iniziatasi nella tarda età repubblicana, s'intensificò in età imperiale, dopo che Augusto aveva provato a darle nuovo vigore.  «[Augusto] ripristinò alcune antiche tradizioni religiose che erano cadute in disuso, come l'augurio della Salute, la dignità del flamine diale, la cerimonia dei Lupercalia, dei Ludi Saeculares e dei Compitalia. Vietò ai giovani imberbi di correre ai Lupercali e sia ai ragazzi, sia alle ragazze di partecipare alle rappresentazioni notturne dei Ludi Saeculares, senza essere accompagnati da un adulto della famiglia. Stabilì che i Lari Compitali fossero adornati di fiori due volte all'anno, in primavera ed estate.»  (Svetonio, Augustus, 31.) Le cause del lento degrado della religione pubblica furono molteplici. Già da qualche tempo vari culti misterici di provenienza medio-orientale, quali quelli di Cibele, Iside e Mitra, erano entrati a far parte del ricco patrimonio religioso romano.  Col tempo le nuove religioni assunsero sempre più importanza per le loro caratteristiche escatologiche e soteriologiche in risposta alle insorgenti esigenze della religiosità dell'individuo, al quale la vecchia religione non offriva che riti vuoti di significato. La critica alla religione tradizionale veniva anche dalle correnti filosofiche dell'Ellenismo, che fornivano risposte intorno a temi propri della sfera religiosa, come la concezione dell'anima e la natura degli dei.  Un'altra caratteristica tipica del periodo fu quella del culto imperiale. Dalla divinizzazione post-mortem di Gaio Giulio Cesare e di Ottaviano Augusto si arrivò all'assimilazione del culto dell'imperatore con quello del Sole e alla teocrazia dioclezianea.  Età tardo imperialeModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Tardo Impero romano. Nel 287 circa Diocleziano assunse il titolo di Iovius, Massimiano quello di Herculius[57][58]. Il titolo doveva probabilmente richiamare alcune caratteristiche del sovrano da cui era usato: a Diocleziano, associato a Giove, era riservato il ruolo principale di pianificare e comandare; Massimiano, assimilato a Ercole, avrebbe avuto il ruolo di eseguire "eroicamente" le disposizioni del collega[59]. Malgrado queste connotazioni religiose, gli imperatori non erano "divinità", in accordo con le caratteristiche del culto imperiale romano, sebbene potessero essere salutati come tali nei panegirici imperiali; erano invece visti come rappresentanti delle divinità, incaricati di eseguire la loro volontà sulla Terra[60]. Vero è che Diocleziano elevò la sua dignità imperiale al di sopra del livello umano e della tradizione romana. Egli voleva risultare intoccabile. Soltanto lui risultava dominus et deus, signore e dio, tanto che a tutti coloro che lo circondavano fu attribuita una dignità sacrale: il palazzo divenne sacrum palatium e i suoi consiglieri sacrum consistorium[61][62]. Segni evidenti di questa nuova qualificazione monarchico-divina furono il cerimoniale di corte, le insegne e le vesti dell'imperatore. Egli, infatti, al posto della solita porpora, indossò abiti di seta ricamati d'oro, calzature ricamate d'oro con pietre preziose[63]. Il suo trono poi si elevava dal suolo del sacrum palatium di Nicomedia.[64] Veniva, infine, venerato come un dio, da parenti e dignitari, attraverso la proschinesi, una forma di adorazione in ginocchio, ai piedi del sovrano[62][65].  Nella congerie sincretistica dell'impero durante il III secolo, permeata da dottrine neoplatoniche, e gnostiche, fece la sua comparsa il cristianesimo. La nuova religione andò lentamente affermandosi quale culto di Stato, con la conseguente fine della religione romana, da ora indicata spregiativamente come "pagana", sancito, nel IV e V secolo, dalla chiusura dei templi e dalla proibizione, sotto pena capitale, di professare religioni diverse da quella cristiana.  Flavio Claudio Giuliano, discendente del cristiano Costantino I, tentò di restaurare la religione romana in forma ellenizzata a Costantinopoli, ma la sua morte prematura nel 363 pose fine al progetto. Teodosio Iemanò nel 380 l'editto di Tessalonica per la parte orientale, rendendo il cristianesimo unica religione di Stato, poi nel 391-92 con i decreti teodosianicominciarono le persecuzioni ai danni dei pagani nell'Impero romano; infine nel 394, i decreti furono estesi alla parte occidentale, dove stava avvenendo specialmente a Roma una rinascita pagana.  A partire dal XX secolo emersero correnti neopagane, come la Via romana agli dei e il neo-ellenismo.  Organizzazione religiosaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Sacerdozio (religione romana). Secondo la tradizione, fu Numa Pompilio a istituire i vari sacerdozi e a stabilire i riti e le cerimonie annuali[66]. Tipica espressione dell'assunzione del fenomeno religioso da parte della comunità è il calendario, risalente alla fine del VI secolo a.C. e organizzato in maniera da dividere l'anno in giorni fasti e nefasti con l'indicazione delle varie feste e cerimonie sacre[66].  Collegi sacerdotali Augusto nelle vesti di pontefice massimo La gestione dei riti religiosi era affidata ai vari collegi sacerdotali dell'antica Roma, i quali costituivano l'ossatura della complessa organizzazione religiosa romana. Al primo posto della gerarchia religiosa troviamo il Rex Sacrorum, sacerdote al quale erano affidate le funzioni religiose compiute un tempo.  Flamini, che si dividevano in tre maggiori e dodici minori, erano sacerdoti addetti ciascuno al culto di una specifica divinità e per questo non sono un collegio ma solo un insieme di sacerdozi individuali[67]; Pontefici[66], in numero di sedici, con a capo il Pontefice massimo, presiedevano alla sorveglianza e al governo del culto religioso; Auguri[66] , in numero di sedici sotto Gaio Giulio Cesare, addetti all'interpretazione degli auspici e alla verifica del consenso degli dei; Vestali[46] , sei sacerdotesse consacrate alla dea Vesta; Decemviri o Quimdecemviri sacris faciundis, addetti alla divinazione e alla interpretazione dei Libri sibillini; Epuloni, addetti ai banchetti sacri. SodaliziA Roma vi erano quattro grandi confraternite religiose, che avevano la gestione di specifiche cerimonie sacre.  Arvali, (Fratres Arvales), ("fratelli dei campi" o "fratelli di Romolo"), in numero di dodici, erano sacerdoti addetti al culto della Dea Dia, una divinità arcaica romana, più tardi identificata con Cerere. Durante il mese di maggio compivano un'antichissima cerimonia di purificazione dei campi, gli Arvalia. Luperci, presiedevano la festa di purificazione e fecondazione dei Lupercalia, che si teneva il 15 febbraio, il mese dei morti, divisi in Quintiali e Fabiani. Salii[66] (da salire, ballare, saltare), sacerdoti guerrieri di Marte, divisi in due gruppi da dodici detti Collini e Palatini. Nei mesi di marzo e ottobre i sacerdoti portavano in processione per la città i dodici ancilia, dodici scudi di cui il primo donato da Marte al re Numa Pompilio, i restanti copie fatte costruire dallo stesso Numa per evitare che il primo venisse rubato. La processione si fermava in luoghi prestabiliti in cui i Salii intonavano il Carmen saliare ed eseguivano una danza a tre tempi (tripudium)[68]. Feziali (Fetiales), venti membri addetti a trattare con il nemico. La guerra per essere Bellum Iustumdoveva essere dichiarata secondo il rito corretto, il Pater Patratus pronunciava una formula mentre scagliava il giavellotto in territorio nemico. Dal momento che, per motivi pratici, non era sempre possibile compiere questo rito, un peregrinusvenne costretto ad acquistare un appezzamento di terreno presso il teatro di Marcello, qui fu costruita una colonna, Columna Bellica, che rappresentava il territorio nemico, in questo luogo si poteva quindi svolgere il rito. Feste e cerimonieMagnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Festività romane.  Suovetaurilia, Museo del Louvre Delle 45 feste maggiori (feriae publicae) le più importanti, oltre a quelle suddette, erano quelle del mese di dicembre, i Saturnalia, quelle dedicate ai defunti, in febbraio, come i Ferialia e i Parentalia e quelle connesse al ciclo agrario, come i Cerialia e i Vinalia di aprile o gli Opiconsivia di agosto.  Sulla base delle fonti classiche si è potuto individuare quali tra le numerose festività del calendario romano vedevano un'ampia partecipazione di popolo. Queste feste sono la corsa dei Lupercalia (15 febbraio), i Feralia (21 febbraio) celebrati in famiglia, i Quirinalia(17 febbraio) celebrati nelle curie, i Matronalia (1º marzo) in occasione delle quali le schiave venivano servite dalle padrone di casa, i Liberalia (17 marzo) spesso associata alla festa familiare della maggiore età del figlio maschio, i Matralia (11 giugno) con la processione delle donne, così come i Vestalia (9-15 giugno), i Poplifugia (5 luglio) festa popolare, i Neptunalia (23 luglio), i Volcanalia (23 agosto) e infine i Saturnalia (17 dicembre), la cui vasta partecipazione di popolo è attestata da numerose fonti[69].  Durante le cerimonie sacre spesso venivano praticati sacrifici animali e si offrivano alle divinità cibi e libagioni. La stessa città di Roma veniva purificata con una cerimonia, la lustratio, in caso di prodigi e calamità. Sovente anche i giochi circensi (ludi) avevano luogo durante le feste, come nel caso dell'anniversario (dies natalis) del Tempio di Giove Ottimo Massimo, in concomitanza del quale si svolgevano i Ludi Magni.  Pratiche religiose «Cumque omnis populi Romani religio in sacra et in auspicia divisa sit, tertium adiunctum sit, si quid praedictionis causa ex portentis et monstris Sibyllae interpretes haruspicesve monuerunt, harum ego religionum nullam umquam contemnendam putavi mihique ita persuasi, Romulum auspiciis, Numam sacris constitutis fundamenta iecisse nostrae civitatis, quae numquam profecto sine summa placatione deorum inmortalium tanta esse potuisset.»  (Cicerone, De natura deorum, III, 5) Tra le pratiche religiose dei Romani forse la più importante era l'interpretazione dei segni e dei presagi, che indicavano il volere degli dei. Prima di intraprendere qualsiasi azione rilevante era infatti necessario conoscere la volontà delle divinità e assicurarsene la benevolenza con riti adeguati. Le pratiche più seguite riguardavano:  il volo degli uccelli: l'augure tracciava delle linee nell'aria con un bastone ricurvo (lituus, vedi Lituo), delimitando una porzione di cielo, che scrutava per interpretare l'eventuale passaggio di uccelli; la lettura delle viscere degli animali: solitamente un fegato di un animale sacrificato veniva osservato dagli aruspici di provenienza etrusca per comprendere il volere del dio; i prodigi: qualsiasi prodigio o evento straordinario, quali calamità naturali, epidemie, eclissi, ecc., era considerato una manifestazione del favore o della collera divina ed era compito dei sacerdoti cercare di interpretare tali segni. Lo spazio sacro Edicola dedicata ai Lari nella Casa dei Vettii a Pompei Lo spazio sacro per i Romani era il templum, un luogo consacrato, orientato secondo i punti cardinali, secondo il rito dell'inaugurazione, che corrispondeva allo spazio sacro del cielo. Gli edifici di culto romani erano di vari tipi e funzioni. L'altare o ara era la struttura sacra dedicata alle cerimonie religiose, alle offerte e ai sacrifici.  Eretti dapprima presso le fonti e nei boschi, progressivamente gli altari furono collocati all'interno delle città, nei luoghi pubblici, agli incroci delle strade e davanti ai templi. Numerose erano anche le aediculae e i sacella, che riproducevano in piccolo le facciate dei templi. Il principale edificio cultuale era rappresentato dall'aedes, la vera e propria dimora del dio, che sorgeva sul templum, l'area sacra inaugurata. Col tempo i due termini diventarono sinonimi per indicare l'edificio sacro.  Il tempio romano risente inizialmente dei modelli etruschi, ma presto vengono introdotti elementi dall'architettura greca ellenistica. La più marcata differenza del tempio romano rispetto a quello greco è la sua sopraelevazione su un alto podio, accessibile da una scalinata spesso frontale. Inoltre si tende a dare maggiore importanza alla facciata, mentre il retro è spesso addossato a un muro di recinzione e privo dunque del colonnato. «“Roman religion” is an analytical concept that is used to describe religious phenomena in the ancient city of Rome and to relate the growing variety of cults to the political and social structure of the city.»  (Robert Schilling (1987) Jörg Rüpke (2005), Roman Religio, in Encyclopedia of Religion, vol.12. New York, Macmillan, 2005, p. 7895) ^ Sul considerare la "religione romana" strettamente collegata alla città di Roma:  «Although Rome gradually became the dominant power in Italy during the third century BCE, as well as the capital of an empire during the second century BCE, its religious institutions and their administrative scope only occasionally extended beyond the city and its nearby surroundings (ager Romanus).»  (Robert Schilling (1987) Jörg Rüpke (2005), Roman religion, in Encyclopedia of Religion, vol. 12. New York, Macmillan, 2005, p. 7895) Ma anche:  «La religione romana esiste solo a Roma o là dove stanno i Romani»  (John Scheid, La religione a Roma. Bari, Laterza, 1983, pp. 13-4) ^ Cfr. Andrea Carandini, La nascita di Roma. Dèi, Lari, eroi e uomini all'alba di una civiltà. Torino, Einuadi, 2003; Milano, Mondadori, 2010. ^ La datazione al 753 a.C. risale all'erudito romano Marco Terenzio Varrone (I secolo a.C.). Altre datazioni come quelle proposte da Catone, Dionigi di Alicarnasso e Polibio non si discostano molto. Fabio Pittore indica il 748-747, Cincio Alimento il 729-728, Timeo si spinge fino all'814-813. ^ Per una sintesi, cfr. Cristiano Viglietti, L'eta dei re in La grande storia dell'antichità -Roma (a cura di Umberto Eco), vol. 9, pp.43 e sgg. ^ Così Mircea Eliade in Storia delle idee e delle credenze religiose, vol. II, p. 111: «orbene, l'etnia latina da cui è nato il popolo romano, è il risultato di una mescolanza fra le popolazioni neolitiche autoctone e gli invasori indoeuropei scesi dai paesi transalpini»; diversamente Georges Dumézil, in La religione romana arcaica, p. 69-70: «A differenza dei greci che invasero il mondo minoico, le diverse bande di indoeuropei che discesero in Italia non dovettero certamente affrontare grandi civiltà. Coloro che occuparono il sito di Roma probabilmente non erano neppure stati preceduti da un popolamento denso e instabile; tradizioni come il racconto su Caco inducono a pensare che i pochi indigeni accampati sulle rive del Tevere siano stati semplicemente e sommariamente eliminati come lo sarebbero stati, agli antipodi, i tasmaniani dai mercanti venuti dall'Europa.» ^ Per un'introduzione alle religione degli Indoeuropei cfr. Jean Loicq, Religione degli Indoeuropei in  Dizionario delle religioni (a cura di Paul Poupard). Milano, Mondadori, 2007, pp. 891-908; Renato Gendre, Indoeuropei in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993 pp.371 e sgg.; Regis Boyer, Il mondo indoeuropeo in L'uomo indoeuropeo e il sacro, in Trattato di antropologia del sacro (a cura di Julien Ries) vol. 3. Milano, Jaca Book, 1991, pp. 7 e sgg. ^ André Martinet, L'indoeuropeo. Lingue, popoli culture, Bari, Laterza, 1989, pp. 78-79; Francisco Villar, Gli Indoeuropei, Bologna, il Mulino, 1997 p. 480. ^ Per le decisive influenze della cultura religiosa etrusca su quella romana cfr. Marta Sordi, L'homo romanus: religione, diritto, e sacro, in Le civiltà del Mediterraneo e il sacro., in Trattato di antropologia del sacro (a cura di Julien Ries) vol. 3. Milano, Jaca Book, 1991, pp. 7 e sgg. ^ Per quanto attiene alla decisiva influenza della mitologia greca sulla religione romana si rimanda alle conclusioni di Georges Dumézil in La religione romana arcaica, Milano, Rizzoli, 2001, pp. 63 e sgg. ^ Cfr. al riguardo Salvatore Pricoco, in Storia del cristianesimo (a cura di Giovanni Filoramo) vol. 1, Bari, Laterza, 2008, pp. 321 e sgg. ^ Gli editti contro gli eretici e gli apostati furono in seguito raccolti nel sedicesimo libro del Codice teodosiano del 438. ^ «Per i Romani religio stava a indicare una serie di precetti e di proibizioni e, in senso lato, precisione, rigida osservanza, sollecitudine, venerazione e timore degli dèi.»  (Mircea Eliade, Religione in Enciclopedia del novecento. Istituto enciclopedico italiano, 1982, pag. 121) ^ Enrico Montanari, Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo, Torino, Einaudi, 1993, pag. 642-644 ^ Pietro Virili, La politica religiosa dello Stato romano, Nuova Archeologia (inserti), marzo/aprile 2013. ^ «Ogni tentativo di definire il concetto di "religione", circoscrivendo l'area semantica che esso comprende, non può prescindere dalla constatazione che esso, al pari di altri concetti fondamentali e generali della storia delle religioni e della scienza della religione, ha una origine storica precisa e suoi peculiari sviluppi, che ne condizionano l'estensione e l'utilizzo. [...] Considerata questa prospettiva, la definizione della "religione" è per sua natura operativa e non reale: essa, cioè, non persegue lo scopo di cogliere la "realtà" della religione, ma di definire in modo provvisorio, come work in progress, che cosa sia "religione" in quelle società e in quelle tradizioni oggetto di indagine e che si differenziano nei loro esiti e nelle loro manifestazioni dai modi a noi abituali.»  (Giovanni Filoramo, Religione in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pag.620) ^ In tal senso Pierre Boyancé, Etudes sur la religion romaine, Roma, École française de Rome, 1972, p.28. ^ Deum al posto di deorum per l'arcaicità del genitivo. ^ Cfr. Julien Ries in Saggio di definizione del sacro. Opera Omnia. Vol. II. Milano, Jaca Book, 2007, pag.3: «Sul Lapis Niger, scoperto a Roma nel 1899 vicino al Comitium, 20 metri prima dell'Arco di Trionfo di Settimio Severo, nel luogo che si dice sia la tomba di Romolo, risalente all'epoca dei re, figura la parola sakros: da questa parola deriverà tutta la terminologia relativa alla sfera del sacro.» ^ Cfr. Émile Benveniste: «Questo presente in latino in -io con infisso nasale sta a *sak come jungiu 'unire' sta a jug in lituano; il procedimento è ben noto.», in le Vocabulaire des institutions indo-européennes (2 voll., 1969), Paris, Minuit. Ed. italiana (a cura di Mariantonia Liborio) Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino, Einaudi, 1981, pag. 426-7. ^ Qui inteso come ricolmo di augus, o ojas, dopo l'inauguratio, ovvero pieno della "forza", della "potenza", che gli consente di avere relazioni con il sakros, quindi non nell'accezione molto più tarda riferita prima al ruolo militare e poi politico di alcune personalità della Storia romana. ^ Julien Ries, Saggio di definizione del sacro, in Grande dizionario delle Religioni (a cura di Paul Poupard). Assisi, Cittadella-Piemme, 1990 pagg. 1847-1856 ^ Julien Ries, Saggio di definizione del sacro, Op.cit.. ^ Julien Ries, Saggio di definizione del sacro, Op.cit. ^ Dionigi di Alicarnasso, II, 18-19 ^ Questa versione della fabula è in Ovidio, Fasti, III, 11 e sgg. ^ Religion und Kultus der Römer, 1902 ^ In Der römische Jupiter del 1937. ^ Una riassuntiva è La Religion romaine archaïque, avec un appendice sur la religion des Étrusques, Payot, 1966, edito in Italia dalla Rizzoli di Milano con il titolo La religione romana arcaica. Miti, leggende, realtà della vita religiosa romana. Con un'appendice sulla religione degli etruschi; in tal senso cfr. p. 59 edizione del 2001. ^ In Tre variazioni romane sul tema delle originidel 1955 con revisioni fino al 1977, Roma, Editori Riuniti, 2010. ^ Ad esempio in Mito, rito e storia, Roma, Bulzoni, 1978. ^ Insieme a Nicholas Horsfall in Roman Myth and Mythography, University of London Institute of Classical Studies, Bulletin Supplements S. No.52, 1987. ^ Cfr. ad esempio Early Rome, In Religions of Rome I vol. (con John North e Simon Price), Cambridge, Cambridge University Press, 1998, pp. 14 e sgg. ^ In tal senso cfr. Mauro Menichetti, Archeologia del potere. Re, immagini e miti a Roma e in Etruria in età arcaica, Roma, Longanesi, 1994 ^ Da ricordare che la stabile presenza dei Greci nelle colonie italiane è databile fin dall'VIII secolo a.C. ^ «The most impressive testimony to early Rome’s relation to the Mediterranean world dominated by the Greeks is the building project of the Capitoline temple of Jupiter Optimus Maximus (Jove [Iove] the Best and Greatest), Juno, and Minerva, dateable to the latter part of the sixth century. By its sheer size the temple competes with the largest Greek sanctuaries, and the grouping of deities suggests that that was intended.»  (Robert Schilling (1987) Jörg Rüpke (2005), Roman religion, in Encyclopedia of Religion, vol.12. New York, Macmillan, 2005, p. 7895) ^ In tal senso e ad esempio cfr. Charles Penglase, Greek Myths and Mesopotamia: Parallels and Influence in the Homeric Hymns and Hesiod, Londra, Routledge, 2005. ^ «Myth is a traditional tale with secondary, partial reference to something of collective importance.» Walter Burkert, Structure and History in Greek Mythology and Ritual. Berkeley, University of California Press, 1979, p. 23. ^ Per il livello teocosmogonico cfr. Carlo Prandi, Mito in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo), Torino, Einaudi, 1993, p.492 e sgg. ^ Come "fondamentale indicatore religioso" e come "irruzione della dimensione del sacro" cfr. Carlo Prandi, Mito in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo), Torino, Einaudi, 1993, p.494 ^ Da considerare che il termine "mito" (μύθος, mýthos) possiede in Omero ed Esiodo il significato di "racconto", "discorso", "storia" (cfr. «per gli antichi greci μύθος era semplicemente "la parola", la "storia", sinonimo di λόγος o ἔπος; un μυθολόγος, è un narratore di storie» Fritz Graf, Il mito in Grecia Bari, Laterza, 2007, 1; cfr. «"suite de paroles qui ont un sens, propos, discours", associé à ἔπος qui désigne le mot, la parole, la forme, en s'en distinguant...» Pierre Chantraine, Dictionnaire Etymologique de la Langue Grecque, p. 718). Un racconto "vero" (μυθολογεύω, Odissea XII, 451; così Chantraine (Dictionnaire Etymologique de la Langue Grecque, 718: «"raconter une histoire (vraie)", dérivation en εύω pour des raisons métriques».), pronunciato in modo autorevole (cfr. «in Omero mýthos designa nella maggior parte delle sue attestazioni, un discorso pronunciato in pubblico, in posizione di autorità, da condottieri nell'assemblea o eroi sul campo di battaglia: è un discorso di potere, e impone obbedienza per il prestigio dell'oratore.» Maria Michela Sassi, Gli inizi della filosofia: in Grecia, Torino, Boringhieri, 2009, p.50), perché «non c'è nulla di più vero e di più reale di un racconto declamato da un vecchio re saggio»(Giacomo Camuri, Mito in Enciclopedia Filosofica, vol.8, Milano 2006, pag.7492-3). Nella Teogoniaè μύθος ciò con cui si rivolgono le dee Muse al pastore Esiodo prima di trasformarlo in "cantore ispirato" (cfr. 23-5: Τόνδε δέ με πρώτιστα θεαὶ πρὸς μῦθον ἔειπον) ^ Deriva *for, il suo valore religioso è messo in evidenza da Émile Benveniste (in  Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, vol. II, Torino, Einaudi, 1981, p.386). Dall'arcaico *for deriva anche fatus e fas ma anche fama e facundus; il suo corrispettivo greco antico è phēmi, pháto, ma manca completamente in indoiranico il che lo attesta nell'indoeuropeo di parte centrale (vedi anche l'armeno bay da *bati). ^ Termine e nozione di eredità greca. ^ Angelo Brelich,op.cit. p. 83; per un'esaustiva rassegna dei testi Brelich rimanda ad Albert Schwegler, Römische Geschichte, Tübingen, 1853, Vol. I, pp. 212 e sgg. Cfr., comunque, Virgilio Eneide, VII 45 e sgg. 177 e sgg.; VIII, 319 e sgg. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, II, 63-73. ^ a b c d Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 2.3. ^ George Dumezil, La religione romana arcaica, p. 137 segg. ^ Tito Livio, 1, 10, 5-7 ^ Jacqueline Champeaux, La religione dei romani, p. 23 ^ Jacqueline Champeaux, p. 32 ^ Jacqueline Champeaux, p. 32-33 ^ Jacqueline Champeaux, p. 33 ^ Jacqueline Champeaux, p. 25-26 ^ Jacqueline Champeaux, p. 37 ^ Jacqueline Champeaux, p. 44 ^ Jacqueline Champeaux, p. 29 ^ Aurelio Vittore, Epitome 40, 10; Aurelio Vittore, Caesares, 39.18; Lattanzio, De mortibus persecutorum, 8 e 52.3; [1]Panegyrici latini, II, XI, 20. ^ Bowman, "Diocletian and the First Tetrarchy" (CAH), 70–71; Liebeschuetz, 235–52, 240–43; Odahl 2004, pp. 43-44; Williams 1997, pp. 58-59. ^ Barnes 1981, pp. 11–12; Bowman, "Diocletian and the First Tetrarchy" (CAH), 70–71; Odahl 2004, p. 43; Southern 2001, pp. 136-137; Williams 1997, p. 58. ^ Barnes 1981, p. 11; Cascio, "The New State of Diocletian and Constantine" (CAH), 172. ^ Aurelio Vittore, Caesares, 39.4. ^ a b E.Horst, Costantino il Grande, p.49. ^ Aurelio Vittore, Caesares, 39.2-4; Eutropio, IX, 26; Zonara, XII, 31. ^ . ^ Aurelio Vittore, Caesares, 39.2-4; Eutropio, IX, 26; Eumenio, Panegyrici latini, V, 11. ^ a b c d e Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 2.2. ^ Jacqueline Champeaux, p. 39 ^ Jacqueline Champeaux, p. 43 ^ Jörg Rüpke. La religione dei Romani, Torino, Einaudi, Montero, Sabino Perea (a cura di), Romana religio = Religio romanorum: diccionario bibliográfico de Religión Romana, Madrid, Servicio de publicaciones, Universidad Complutense, 1999. Fonti primarie Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I. Tito Livio, Ab Urbe condita libri. Fonti storiografiche moderne R. Bloch, La religione romana, in Le religioni del mondo classico, Laterza, Bari 1993 A. Brelich, Tre variazioni romane sul tema delle origini, Editori Riuniti, Roma 2010 J. Champeaux, La religione dei romani, Il Mulino, Bologna 2002 R. Del Ponte, Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica, ECIG, Genova 1985 R. Del Ponte, La religione dei romani, Rusconi, Milano 1992 G. Dumezil, La religione romana arcaica, Rizzoli, Milano, 2001 D. Feeney, Letteratura e religione nell'antica Roma, Salerno, Roma 1998 K. Kerényi, La religione antica nelle sue linee fondamentali, Astrolabio, Roma, 1951 U. Lugli, Miti velati. La mitologia romana come problema storiografico, ECIG, Genova 1996 D. Sabbatucci, Sommario di storia delle religioni, Il Bagatto, Roma, 1985 D. Sabbatucci, Mistica agraria e demistificazione, La goliardica editrice, Roma, 1986 D. Sabbatucci, La religione di Roma antica, Il Saggiatore, Milano, 1989 J. Scheid, La religione a Roma, Laterza, Roma-Bari 2001 Voci correlateModifica Mitologia romana Via romana agli dei Sacerdozio (religione romana) Sacro (Romani) Dies religiosus Religione romana, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Religio romana, su novaroma Portale Antica Roma   Portale Religioni Flamine floreale Palatua Flamine pomonale Wikipedia Il contenutoGrice: “The Italians take ‘natural theology’ for granted; at Oxford, as Webb pointed out in his very first Wilde lecture on natural theology, things ain’t that easy, and they are not meant to be easy by the lecture founder, Dr. Wilde. Webb analyses Wilde’s letter in some detail. There’s naturalism and natural theology, there’s revealed theology, but there’s also civil theology, and it’s nice Webb’s main source is Varro!” Grice: “Most of the best Italian philosophers have been very much ANTI-ROMA; in part influenced by classical culture, but more so by the German protestant movement, which also had affinities with the Italian passion for ‘l’antico’” “Ironically, Roma is considered hardly a representative of romanita!” Cf. the neo-paganism of Evola, which is meant to represent romanita. -- Luigi Maria Epicoco. Epicoco. Keywords: Wilde readership in natural religion. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Epicoco” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Epitetto – Roman slave – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Upon freedom, he studied philosophy under Musonio Rufo, but he was expelled from Rome under Domiziano. For some reason, the emperor Antonino took a liking to his mode of philosophising, even though, of course, due to their different classes, they never met in the flesh.

 

Grice ed Eraclide – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Eraclide wrote a large work expounding the empiricist philosophy which attracted the admiration of Galeno.

 

Grice ed Eraclio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Cinargo. He invited the emperor Giuliano to one of his lectures, hoping to make an impression. He did, but it was an unfavouable one, and Julian duly produced a written piece critical of him.

 

Grice ed Era – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano Era was of the Cinargo, and emulated the antics of Diogene the sophist by publicly criticizing emperor Tito in a packed Roman theatre. Unfortunately for Era, whereas Diogenes had only been flogged, Era was beheaded.

 

Grice ed Erato – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo romano. A Pythagorean, according to Giamblico.

 

Grice ed Ercole – difesa della metafisica – transnaturalia -- esologia, essologia, e sinautologia – filosofia italiana Luigi Speranza (Spinazzola). Filosofo italiano. Grice: “I like it when Ercole emphasizes that bit in De Interpretatione which I love – every ‘logos’ is ‘significant’ (significativo, semantikos, -- adds Ercole quoting from the Greek) of this or that – even a prayer!” -- Grice: “I must say I love Ercole; for one, he expands on my idea of the longitudinal unity of philosophy, being an Oxfordian Hegelian, almost, he thinks history can be regarded LOGICALLY: scepticism has to follow dogmatism – this is pretty interesting; for another, he tutored for years on the very same topics I did, notably “De interpretation” and “Categoriae” – The former being a theory of semiotics, of course!” – Studia a Napoli. Si interessa per Hegel. A Berlino si perfeziona sotto Michelet, Trendelenburg, e Mommsen. Adere anche alla "Società filosofica hegeliana". Insegna a Pavia e Torino. Dall'hegelismo iniziale, con l'affermarsi del positivismo, passa a posizioni di adesione all'evoluzionismo di Darwin e di Spencer. Polemizza con il teismo, giudicato contraddittorio e illusorio, manifesta interesse per la riforma del liceo classico secondo Pestalozzi (Ercole attaca Pestalozzi e defende Fröbel. Altre opere: Alcune proposte di riforma nella istruzione secondaria, Pavia, Stabilimento tipografico Successori Bizzoni); “La pena di morte e la sua abolizione dichiarate teoricamente e storicamente secondo la filosofia hegeliana, Milano, U. Hoepli); “Il teismo filosofico cristiano. Teoricamente e storicamente considerato, con speciale riguardo a Tommaso e al teismo italiano” (Torino, Loescher); “L'educazione del bambino secondo Pestalozzi, Fröbel e Spencer” (Roma, Tipografia della Reale Accademia dei Lincei); “L'origine del pitagorismo” (Roma, Tipografia Terme Diocleziane di G. Balbi); “La filosofia della natura di Ceretti” (Torino, Unione tipografico-editrice); “La panlogica di Ceretti” (Torino, Fratelli Bocca); “L'esologia di Ceretti”; “L’essologia di Ceretti”, “La sinautologia di Ceretti”, “Cerettiana”; La logica aristotelica, la logica kantiana ed hegeliana e la logica matematica (Torino, Vincenzo Bona), “La logica algebraica”. Dizionario Biografico degli Italiani.  Il Ceretti fino a pochi anni fa era un uomo quasi del tutto sconosciuto. Io mi consolo immensamente a vedere come egli mano mano venga non solo conosciuto ma anche apprezzato, giacchè merita davvero e l'uno e l'altro.  È probabile che parecchi di quelli, cui capiti nelle mani questa Sinossi dell' enciclopedia speculativa conoscano ancor poco, o fors’anche men di poco, l'autore della medesima. Io non posso certamente in questa Introduzione entrare nelle particolarità della sua persona e degli scritti suoi, si perché la natura e i limiti di uno scritto introduttivo non lo permetterebbero, si perchè ho già pubblicata intorno a lui un'opera abbastanza voluminosa (1), alla quale chi voglia può avere ricorso.  Ciò non ostante, non posso a meno di pur riferirmici brevemente, e riferirmi sopratutto al suo general pensiere, ed ai suoi scritti; perchè, essendo egli passato  (1) Notizia degli scritti e del pensiero filosofico di PIETRO CERETTI, accompagnata da un cenno autobiografico del medesimo, intitolato: < La mia celebrità » per PASQUALE D'ERCOLE, Torino -- per diverse fasi di si fatto pensiere, non si potrebbe, senza tal ricordo, convenientemente collocare e giudicare questa sua Sinossi.  Quanto alla persona, tanto da invogliare a conoscerla chi ancora non la conosca, mi limiterò a ricordarla con pochissime parole. Nato ad Intra nel 1823, educato nella puerizia e nell'adolescenza da preti e gesuiti, usci, dall'educazione e istruzione loro, l'uomo meno informato allo spirito de'medesimi. Più che coll'opera altrui si è istruito coll'opera propria: sì che può dirsi ch'egli è stato il vero autodidattico.  In giovinezza viaggiò, e per anni, quasi tutta l'Europa a piedi, da una parte, studiandone le diverse genti ne’loro costumi e prodotti scientifici e letterari, dall'altra, vedendone la natura nelle sue diverse forme e manifestazioni.  Ed è, certo, da tal visione ch'egli acquistò un grande amore agli studi naturali, ne'quali riesci a procacciarsi vaste e profonde conoscenze. I predetti viaggi gli furono tanto più fruttuosi, in quanto egli, accanto allo studio de'costumi e delle scienze e lettere de'moderni popoli europei, ne studiava, apprendeva e parlava anche le lingue. Le quali lingue moderne, congiunte ad antiche è classiche, ch'ei pure conobbe (sanscrito, ebraico, latino e greco), divenner poi una mirabile, solida e fruttuosa base pe'suoi studi d'ogni sorta, specialmente filosofici. Ebbe mente assai varia, cioè poetica, filosofica e letteraria, e fu indubbiamente un'alta e cospicua individualità, segnatamente dal lato del pensiero filosofico. Egli è stato, infatti, un fortissimo pensatore e ad un tempo un fecondissimo scrittore. Ha scritto una quantità veramente sorprendente di opere (1), appunto di contenuto filosofico, poetico e letterario. Nel letterario comprendo anche un certo numero di opere sociali, le quali son tra filosofiche e letterarie, e sotto forma di romanzi, commedie, biografie, ecc., propugnano una riforma sociale basantesi su principii filosofici.  In una dozzina d'anni, dal 1854 al 1866 circa cominciò a pubblicar qualcuna di tali opere, e propriamente, di contenuto poetico, un poemetto intitolato: Il Pellegrinaggio in Italia ed alcune Liriche, e di contenuto filosofico, i tre primi volumi di un'opera scritta in latino intitolata : Pasaelogices specimen. Gli scritti poetici pubblicò sotto il pseudonimo di Alessandro Goreni, lo scritto filosofico sotto il pseudonimo di Theophilus Eleutherus; e, quel che più importa, si de' primi che del secondo non ne mise in pubblico (così comincia a comprendersi l'oscurità del Ceretti) che pochissimi esemplari, quasi a scandagliar primamente con essi la pubblica opinione.  De' primi qualche giudizio, e abbastanza favorevole, venne fuori, e poi non se ne parlò più; del secondo, che io sappia, non se ne parlò punto, e credo che non lo lesse nessuno. L'autore stesso, in una sua umoristica autobiografia, riferendosi specialmente a questa  (1) L'elenco compiuto di esse si trova nella mia citata Notizia, ecc., p. xxvi SS., e tra grandi e piccole non sono meno di una quarantina. opera filosofica, dice: « Tuttochè questi volumi non fossero letti da nessuno, furono però variamente interpretati, e da taluni supposti essere inintelligibili pel proprio autore; perciò mi guadagnarono la fama della madre notte, che non lascia vedere cosa veruna » (1). Dopo questa prima, quasi ignorata pubblicazione, non pubblico, anzi non volle pubblicare più nulla; e cosi si finisce di spiegare la predetta oscurità.  Singolare uomo! rispetto a quest'ultima, più che dispiacersene, egli n'era contentissimo, e quasi ne gioiva, avendosela persin proposta per scopo, secondo l'adagio (che sovente ripeteva): Bene vive chi bene si nasconde. E meglio di lui veramente non si era nascosto nessuno; giacchè nel suo oscuro e silenzioso recesso ei volgeva ed agitava nella mente tutto un mondo vastissimo di idee poetiche, filosofiche, storiche, sociali, umane. E, lavoratore infaticabile e costante, queste idee veniva solertemente scrivendo, finchè ha potuto scrivere egli stesso, e dettando, quando non potè più scrivere. Giacchè, colto nel 1874 da una paralisi, da prima leggera, ma pur spietatamente progressiva, dovette a poco a poco smettere lo scrivere e ridursi a dettare i pensieri, che ancor sempre l'occuparono fino alla morte, avvenuta nel 1884.  Quanto agli scritti, omettendo di allegare i poeticoletterari, che non è qui il luogo e l'intento, ricordo i principali filosofici. La citata opera latina doveva essere  (1) La mia celebrità, pag. 101, allegata alla mia citata opera.  di otto volumi, ma egli non ne scrisse che propriamente cinque e non ne pubblicò che tre soli. Oltre ad essa e ad un'altra opera filosofica, intitolata : Idea circa la natura e la genesi della Forza, e rimasta incompiuta, scrisse questa Sinossi dell' enciclopedia speculativa; Sogni e Favole (il titolo par letterario, ma è opera filosofica e voluminosa); Considerazioni circa il sistema generale dello spirito e circa il sistema della natura entro i limiti della riflessione; Insegnamento filosofico; Stramberie filosofiche, e parecchie altre minori.  Nella gran massa de'suoi scritti il pensiere del Cerelti non rimase stazionario e inalterato, ma si mutò anzi non poco, e passò per diverse fasi. Le quali (comprendendovi anche il pensiero poetico, sociale e letterario) si possono riassumere in quattro o cinque, e sono la fase poetica; la fase filosofica hegeliana; la fase filosofica di transizione; la fase utopistica e riformativa sociale; e finalmente la fase detta del sistema contemplativo (filosofica anch'essa).  La fase poetica fu la prima della mente del Ceretti, e la prima si per aspirazioni che per studi e produzioni. Ciocchè si è notato rispetto alla generale evoluzione della sua mente, va notato anche di questa specifica fase poetica, in quanto egli passò per varii stadii e varie maniere di concezione e corrispondente produzione poetica, cominciando dalla leopardiana e foscoliana, passando un po' per quella di Giusti e finendo con una concezione e forma poetica umoristicofilosofica.  Quanto alla fase filosofica hegeliana, ella è dalla sua propria designazione indicata chiarissimamente da se stessa. Il Ceretti ne' suoi svariati, larghi e profondi studi filosofici giunse ad accogliere come risultato finale di essi la filosofia hegeliana; e nell'alta Italia è stato, credo, il solo hegeliano, o certamente il solo notevole hegeliano. Tanto più che egli non si limitò alla pura e semplice riproduzione dell'hegelianismo, ma si allargò ed elevò ad una propria produzione sotto il nome di riformazione del medesimo (1).  Ma ecco che il Ceretti nella fase filosofica in genere subisce di bel nuovo una evoluzione, la quale passa per diversi stadii, ognuno de'quali è una specifica fase filosofica. Egli stesso crede che questi stadii o queste specifiche fasi sien due, l'una hegeliana, ch'egli designa come « speculazione hegeliana», l'altra di allontanamento da essa, ch'egli designa come di « divorzio dalle idee hegeliane » 2).  Io però (come ho ampiamente mostrato nella mia citata Notizia), modificando e integrando l'istesso pensiere dell'autore, dico che queste fasi specifiche del suo  [ocr errors] (1) Nella prefazione alle Grullerie poetiche, pubblicate in Torino in questi giorni pei tipi di Bona, alla pag. ix, riferendosi ai suoi studi filosotici nella storia filosofica passata e recente, dice: « Le ultime fasi della filosofia ellenica, del neoplatonismo, dell'idealismo germanico, e soprattutto dell'hegelianismo, guadagnarono il mio spirito, che indi prese le mosse per un ulteriore sviluppo speculativo, e si costituì in proprio sistema ».  (2) Vedi La mia celebrità, pag. 92 e 107.  pensiere filosofico son tre, cioè la hegeliana, una seconda, che ho appellata di transizione, e finalmente quella del sistema contemplativo.  Or la Sinossi, che si pubblica presentemente, è un'opera che cade appunto nella fase di transizione del pensiere filosofico di Ceretti; e di ciò fra poco. Quanto al così detto sistema contemplativo cerettiano, che non entra neppur esso nella considerazione e nei limiti della mia Introduzione, rimando il lettore a ciocchè ne ho scritto nella mia Notizia, segnatamente a pagina cccxxix ss.  Qui mi limito a dir solo che esso è un complesso di idee stoiche, pessimistiche e subbiettivistiche, ed il subbiettivismo poi (già cominciato nella fase di transizione) è spinto a tale estremo da essere un subbiettivismo più immaginativo che pensivo. In filosofia il Ceretti cominciò coll’Idealismo assoluto hegeliano, procedè, attraverso l'Idealismo obbiettivo di Schelling, verso l'Idealismo subbiettivo di Fichte (fase di transizione); e questo Idealismo subbiettivo esagerò poi verso il sistema contemplativo nel senso predetto.  La fase utopistico-sociale è pure in grosso e chiaramente designata dalla sua denominazione stessa. Infatti, il Ceretti in essa propugna uno stato sociale e una relativa costituzione, che non sono lontani da quelli della repubblica di Platone, ossia da una società civile addirittura utopistica.  Poste queste generalità, vengo allo scopo principale di questa Introduzione, cioè quello di riferirmi in modo  [ocr errors] particolare alla Sinossi da me edita. Senonchè, come questa non s'intenderebbe ed apprezzerebbe bene, se non mi riferissi all'antecedente pensiere filosofico cereltiano, del quale ella è, in parte, continuazione, in parte, deviazione, cosi comincerò da quest'ultimo.  L'antecedente pensiere, che fu anche il primo, come è detto, è stato l'hegeliano. Però è stato parimenti detto che il Ceretti non accolse l'hegelianismo come un semplice riproduttore di esso, ma come un riformatore del medesimo. Ora, che cosa pensava egli dell'hegelianismo? pensava che, nella storica evoluzione filosofica il  pensiere hegeliano rappresentasse il momento culminante, il pensiere speculativo più puro, però non ancora tanto puro, quanto è richiesto dal Logo assoluto (1).  Da questo modo di apprezzare il pensiere hegeliano, da lui accolto, seguivano due cose. L'una che, benchè rispetto a tutto il rimanente pensiere, il pensiere hegeliano fosse il più elevato e il più compiuto, pur non era interamente compiuto, era ancora difettivo. L'altra, che bisognava correggerne i difetti ed integrarlo. La correzione e la integrazione sono appunto la riforma dell'hegelianismo, quale il Ceretti la intende; e la esecuzione di ciò costituisce un proprio sistema filosofico, che è il sistema panlogico cerettiano.  [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors] (1) Logus hegelianus (aveva egli detto nella citata opera latina, vol. I, pag. 685) est cogitationis cogitatio magis pura quam omnis hactenus a philosophia prolata logica cogitatio, nondum vero quantum logus absolutus requirit. Chi non ha l'edizione latina confronti la traduzione italiana, vol. I, Prolegomeni, pag. 875.I difetti, che il filosofo intrese trovava nel filosofo di Stoccarda si estendevano a tutte le tre parti della filosofia di quest'ultimo, alla Logica, alla Natura ed allo Spirito.  Rispetto alla Logica ei trovava i seguenti. Primo: la Nozione (ossia l'Idea) hegeliana si genera dialetticamente in sè stessa in modo inconscio. Ora, il Ceretti trova giusto che la Nozione si generi dialetticamente in sè e da sè; ma ritiene però vizioso ed irrazionale il prodursi dialettico di una Nozione che non si conosce Nozione (di un'Idea che non si conosce Idea). Secondo: la trattazione logica, nel suo processo dialettico, è una astratta semplice esplicazione delle categorie, mentrechè, per essere vera e concreta, dovrebb' essere, secondo il Ceretti, un processo di esplicazione ed implicazione. Terzo: la predetta trattazione costituisce piuttosto un logo astratto, che si esplica e riassume astrattamente in un risultato, anzichè affermarsi in tutti i momenti del corso esplicativo.  Se questi difetti si guardino nel loro complesso e si esprimano in linguaggio più comune, essi si riducono alla rimproverata incoscienza e astrazione (non concretezza) del processo dell'Idea logica hegeliana. Il rimedio a questi vizii (e questo è uno de' punti della riforma hegeliana) è per lui, primamente che la Nozione o l'Idea logica sia accompagnata da coscienza, secondamente che il processo dialettico logico fosse esplicativo ed implicativo ad un tempo, in terzo luogo, che tal processo logico non lo si vedesse ed esprimesse in un semplice risultato, ma che si veda, affermi e verifichi in ogni singolo momento del suo corso.  Rispetto alla Natura (e corrispondente filosofia), ei trova il general difetto che il processo dialettico, che Hegel segue in questa, è anche astratto (come nella Logica) e non locca le concretezza della Natura istessa. La filosofia della Natura pel Ceretti non dev'essere, come per Hegel, un’Idea raccoglientesi in sè stessa dal suo Esser-altro, ossia dalla sua esteriorità, ma dev'essere anche e piuttosto un veramente naturare l'Idea logica. L' emendazione a tal difetto s'intende bene che pel Ceretti consista nell'effettuare il processo naturale della Nozione o dell'Idea in guisa che questa realmente si obbiettivi e concreti nell'esteriore realtà.  Finalmente, rispetto allo Spirito, il filosofo intrese trova, lasciando da banda qualche vizio secondario, due vizii principali. Il primo è che, nel processo dialettico hegeliano, lo Spirito sorga in ultimo come un risultato, invece di sorgere e costituirsi in tutta la serie evolutiva dello Spirito stesso. Il secondo è che lo Spirito non raggiunga quella libertà, nella cui essenza il filosofo tedesco lo fa massimamente consistere. Anche qui l'emendazione consiste nel rimuovere i notati difetti, e però far sì che lo Spirito si costituisca tale nella suc: cession graduale della sua evoluzione e raggiunga veramente la libertà.  lo qui allego senza discutere: qualche vizio rilevato anche a me è parso reale, altri no: rimando per questo il lettore alla mia opera sul Ceretti e lì, in una discussione piuttosto ampia in proposito (1), veda e giudichi da sè stesso.  Come effettua ora il Ceretti la emendazione dei predetti vizii e la conseguente riforma dell'hegelianismo?  Come segue.  Va innanzi tutto notato che egli nella riforma non vuole uscire dall'hegelianismo istesso; e qui ha ragione, e mostra uno sguardo filosofico veramente speculativo e profondo. Giacchè ei pensa, e giustamente, che i sistemi filosofici tutti costituiscono e debbono costituire tanti singoli, ma pur necessari momenti di un solo universale Principio, di una sola universale Idea, di un solo universale Pensiere. L'hegeliano è stato l'ultimo pensiere e l'ultimo principio, comprensivo di Tutti gli antecedenti. Chi vuole, ora, seguire la catena storica della filosofia deve riattaccarsi a quest'ultimo, e questo stesso, pur accogliendolo, ulteriormente sviluppare in sè stesso. E cosi fa egli.  Di fatto, oltre al pensiere hegeliano or rilevato e da lui accolto del significato della storia filosofica e de' sistemi che lo compongono, ha accolto anche il principio, pur hegeliano, di tre generali forme di sistemi, vale a dire il sistema dommatico, lo scettico e l'idealistico. Ha, inoltre, accolto il pensiere hegeliano fondamentale della triplice forma del principio assoluto, forma logica, naturale e spirituale, non che la conseguente triparti  (1) Citata Notizia, pag. ex ss. Vi troverà anche i corrispondenti luoghi latini dell'opera del Ceretti,  zione e trattazione di tutta la materia filosofica. Ha parimenti accolto il concetto enciclopedico della filosofia, il metodo dialettico con la nota tricotomia che lo accompagna, ed altri principii. Ma, ciò non ostante, egli sviluppa ulteriormente, modifica e riforma l'hegelianismo.  Punti importanti della riforma son primamente l'Assoluto ed il Logo: e chi è a notizia delle cose hegeliane, intende bene che con essi il Ceretti non si colloca punto fuori dell'hegelianismo, ma si pone anzi nel cuore del medesimo. Imperocchè l'Assoluto (già importantissimo in tutta la filosofia tedesca) è, notoriamente, l’un capo della filosofia hegeliana, mentre, d'altra parte, l’Idea, segnatamente logica (il Logo, insomma), ne è l'altro. Assoluto e Logo dunque, ossia riunendo, e giustamente, i due, il Logo assoluto diviene in Ceretti il Principio e pernio di tutta la sua concezione riformativa. Questa concezione, s'intende, vien da lui sistematicamente disegnata ed effettuata; e il sistema che ne risulta è un Panlogismo, ossia una universale considerazione speculativa del Logo.  Il Logo è cosi il nuovo principio, che il filosofo intrese pone innanzi, modificando l'Idea hegeliana e specialmente allargando, anzi addirittura universalizzando l'Idea logica di Hegel. Se non che, accanto al Logo troviamo in Ceretti una seconda designazione di tal nuovo principio, ed è quella di Coscienza. Come questa seconda designazione comincia già ad essere importante nella prima fase filosofica del Ceretti (nella hegeliana) e divien poscia prevalentemente determinante nella seconda (in quella di transizione, in cui cade la Sinossi); cosi vuol essere chiarito come la stia con questi principii, che apparentemente paion due (Logo e Coscienza) e realmente sono il solo principio novello cerettiano.  Si noti che uno de' punti cardinali cerettiani della riforma è che l'Idea o la Nozione logica sia non già inconscia, come in Hegel, ma conscia. Si pensi, d'altra parte, che il principio cerettiano (sorgente dall'hegeliano e modificante l'hegeliano istesso) è, come s'è visto, il Logo assoluto. Ora, tal Logo assoluto (secondo il vizio antecedentemente rilevato e la relativa emendazione) il Ceretti lo vuol conscio; ed allora è un passaggio più che naturale, è una naturale esigenza che il Logo assoluto conscio sia e divenga in lui Coscienza (non certo subbiettiva od obbiettiva, ma assoluta).  In tal guisa Logo assoluto e Coscienza pel filosofo intrese costituiscono in fondo un sol principio, e sono il suo novello principio emergente dall'hegeliano. Dico emergente dall'hegeliano, anche perchè, notoriamente, in Hegel, accanto all'Idea, che è posta come principio assoluto, spicca come tale anche lo Spirito (der Geist). Or lo Spirito è l'Idea conscia. Quando si vede la cosa cosi, può dirsi che si in Hegel che in Ceretti spiccano due principii, almeno due speciali denominazioni di un sol principio, che son poi in fondo un sol principio. Cioè, in Hegel spiccano Idea e Spirito, che son poi (l'unico principio) l'Idea spirituale, ossia conscia; e in Ceretti spiccano il Logo e la Coscienza, che son poi (pur un unico principio) il Logo conscio, o puramente e semplicemente la Coscienza.  Che poi e come poi il Ceretti colla Coscienza crede di porre innanzi un principio diverso dallo Spirito di Hegel, o almeno più largo dello Spirito, lo vedremo più innanzi. Ora, pel progresso del discorso, è necessario rilevare primamente un'altra cosa: ed è che dei predetti due principii cerettiani (che in fondo son poi uno), il primo o Logo assoluto è quello che dà più specialmente denominazione, concezione e sistemazione alla fase hegeliana del Ceretti, ossia al Panlogismo: ed il secondo, o la Coscienza (pur già appariscente nella predetta prima fase), è quello che dà più specialmente l'intonazione, la concezione e la sistemazione della seconda fase, cioè di quella di transizione, in cui cade la Sinossi. Il che vuol dire, in altri termini, che il Logo informa prevalentemente il sistema panlogico dell'opera latina, Pasaelogices specimen (prima fase), e la Coscienza informa più particolarmente la presente opera italiana della Sinossi.  Diamo ora brevemente uno sguardo al sistema panlogico, che per me costituisce ancor sempre il più poderoso, più originale e più speculativo pensiere Per veder ciò, naturalmente, non bisogna limitarsi al fuggevolissimo e magrissimo cenno che ne fo qui; ma bisogna leggere l'opera cerettiana, alla quale un buon aiuto, mi lusingo di dirlo, è la mia citata Notizia.  del Ceretti: il quale sguardo ci agevolerà l'entrata nel pensiere della presente opera sinottica.  Il Logo per lui è tutto, è l'universale realtà, è l'assoluta realtà; e la filosofia è la scienza che considera appunto il Logo nella sua universalità ed assolutezza. Il Logo ha tre forme di esistenza, cioè è Logo in sé, Logo fuori di sè, Logo per sè; forme, che pel Ceretti hanno anche il significato e valore di essere il Logo nella sua Subbiettività, il Logo nella sua Obbiettività (obbiettivazione, estrinsecazione), il Logo nella unità di Subbiettività e Obbiettività.  Si consideri l'Idea hegeliana e le sue note forme, e si troverà che il Ceretti attribuisce al suo Logo quelle stesse forme di esistenza che Hegel attribuiva alla sua Idea. Si pensi un'altra cosa. L'Idea di Hegel è Pensiere ed Essere insieme: può dirsi però che essa è prevalentemente Pensiere nella Logica, prevalentemente Essere nella Natura, prevalentemente Coscienza nello Spirito. Il Logo di Ceretti è pur Pensiere ed Essere, ma, starei per dire, colla prevalente anzi colla essenziale caratteristica di Pensiere: il Logo é essenzialmente pensivo (senza cessare di essere essente), e però è essenzialmente conscio, è essenzialmente Coscienza. L'Idea logica di Hegel non è conscia; l'Idea naturale del medesimo non è neppure conscia; conscia è soltanto la sua Idea spirituale. Il Logo cerettiano invece è sempre Pensiere ed è sempre Coscienza in tutte le sue forme di esistenza, che, come fondamentali, sono le tre predette.  Queste tre forme di esistenza, speculativamente considerate, costituiscono poi tre parti della filosofia, ciascuna delle quali è una speciale considerazion del Logo. Le quali parti, designate con nomi un po' singolari, ma, in fondo, pur veri, sono la Esologia (da eis, és dentro), o dottrina del Logo in sè, del Logo considerato dentro di sė, la Essologia da (85w, fuori) o dottrina del Logo fuori di sè, e finalmente la Sinautologia (da cúv e aviós, con, stesso) o dottrina del Logo con sè.  A maggiore intelligenza di queste tre parti, rilevo che il concetto e il relativo obbietto di esse son dal loro autore espressi in una maniera, che è pur degna di considerazione, e che, del resto, discende dall'anzidetto. Si è già visto come il Logo cerettiano, benchè genericamente contenga in sè gli elementi dell'essere e del pensiere, pure prevalentemente e più specificamente è pensiere. Conformemente a ciò, il filosofo intrese designa il concetto e obbietto delle tre mentovate parti appunto dal lato del pensiere, e dice che la Esologia è la considerazione speculativa del pensiere del pensiere; la  (1) Lo dice Logo con sè, ma la espressione ha quel medesimo significato che ha in Hegel quella (del terzo momento) di in sè e per sè. Qui il lettore può intender meglio ciocchè si è detto innanzi del significato ed estensione del Panlogismo cerettiano. Infatti, queste tre parti, che sono tutte, e le sole, dottrine del Logo, nel loro complesso costituiscono la Panlogica (Pasaelogice o Pasalogice: titolo dell'opera latina); onde il Panlogismo. Intende anche un'altra cosa, cioè, la relazione intima di queste tre parti con le hegeliane, in quanto la Esologia corrisponde alla Logica (Logik) di Hegel, la Essologia corrisponde alla filosofia della Natura (Naturphilosophie) e finalmente la Sinautologia corrisponde alla filosofia dello Spirito (Geistesphilosophie) del medesimo.  Essologia, un'altrettale considerazione del pensiere del pensato, e finalmente la Sinautologia è la considerazione speculativa del pensiere del pensante.  Sempre dunque considerazion del pensiere: Il pensiere del pensiere esprime il pensiere nella sua subbiettività; il pensiere del pensato è la considerazione pensiva del pensiere come obbiettivato; e l'ultima è la considerazion del pensiere come unità di subbietto e obbietto (di pensiere subbiettivo e pensiere obbiettivo).  Ciò posto, ecco ora come l'autore pensa e determina la materia di queste tre parti: nel dir delle quali, dirò qualche cosa di più della prima od Esologia, perchè essa nella susseguente Sinossi apparisce poco o punto.  Esologia. Questa è la logica cerettiana, nella quale la coscienza logica, come Coscienza del Logo in genere, è essenzialmente pensante (essentialiter cogitativa, come egli dice). La Coscienza logica è da lui definita quale Coscienza di sè e di altro non ancora esteriore a sè stessa, cioè, non ancora estrinsecata (non ancora divenuta Logo naturale, Natura).  Ei distingue ora l’Esologia in tre parti, che (sempre dal Logo, che è in fondo ad esse) appella Prologia, Dialogia e Autologia. La prima considera il Logo esologico nella astratta identità del pensiero; la seconda lo considera nella differenza del pensiero istesso, la terza lo considera come sintesi della identità e della differenza del pensiero.  Queste tre ultime, ragguagliate alle parti della Logica hegeliana, corrispondono alla sfera del Concetto, a quella dell'Essere e a quella dell’Essenza. Il Concetto in Hegel tien l'ultimo posto; invece, tiene il primo il Ceretti col nome di Prologia.  La Prologia cerettiana (vicinamente alla dottrina hegeliana del Concetto) è dottrina della Proposizione, del Giudizio e del Sillogismo. Il Ceretti comincia dalla Prologia, ed in questa dalla Proposizione, in quanto pensa che il Primo prologico (come dice egli; noi diremmo in generale il Primo logico) non è nè l'Essere di Hegel e Rosmini, nè l'Io di Fichte, nè la schellinghiana Identità dell'Ideale e del Reale; ma è la Proposizione, ch'ei pensa come qualcosa di più semplice e primitivo del Giudizio stesso.  Non entro nelle particolarità nè nell'apprezzamento della cosa; mi limito a far risaltare soltanto il pensiero cerettiano. Non posso però a meno di richiamare l'attenzione del lettore sulla triplicità che pervade (come già in Hegel) la trattazione filosofica cerettiana, la quale triplicità, come si scorge qui, cosi segue in tutta la susseguente trattazione. È inutile dire che, trattando di questa parte, l’autore entra nelle particolarità della teoria si della proposizione, si specialmente del giudizio e del sillogismo.  La Dialogia è la dottrina dell'Essere e considera questo (come già Hegel) siccome distinto ne' subordinati principii o momenti di Qualità, Quantità e Modalità (1), ne'quali, alla lor volta, vengono suddistinti e  La Modalità è la misura hegeliana (das Maas): già Rosenkranz l'avea appellata anche Modalità.speculativamente considerati altri principii subordinati, come qualcosa, il limite, il quanto, la realtà, la sostanza, la essenza, la necessità, ecc.  Chi è pratico delle cose hegeliane, si accorge che il Ceretti anche in questa seconda parte ha fatto degli spostamenti, trasportando e trattando sotto la sfera dell'Essere principii (e persin l'essenza stessa), che in Hegel ricorrono sotto quella dell'Essenza. La cagion di ciò, a mio credere, è che il Ceretti tratta tutta la materia logica (anzi tutta la materia filosofica) secondo i tre momenti della Posizione, della Riflessione e della Concezione. Così facendo, ha potuto accogliere i principii o momenti hegeliani dell’Essenza (la quale, notoriamente, è la sfera della riflessione) sotto il proprio Essere, considerato appunto secondo il momento della riflessione; ossia ha potuto accoglierli sotto l'Essere riflesso.  L'Autologia finalmente, che è pensata come unità della Prologia e della Dialogia, tratta de'tre principii del Sapere, Volere, Agire. S'intende bene che anche in questi vengono distinti, rilevati e trattati altri momenti subordinati come Sapere immediato, mediato e assoluto, Volere subbiettivo, obbiettivo, ecc. I tre principii predetti pur ricorrono nella Logica hegeliana, ma in una guisa e sfera subordinata, mentre qui abbracciano una intera sfera logica per sè, e costituiscono il punto culminante ed unitivo di tutto il pensiere esologico (ossia logico).  Questa parte del sistema panlogico cerettiano non rimane poi così magra ed astratta, come potrebbe sembrare, ma si addentra nella storia, e viene additata in questa la evoluzione di tutte le categorie logiche (esologiche) trattate. Io qui naturalmente non posso entrare nelle particolarità: di più ho detto nella mia Notizia degli scritti e del pensiere filosofico di Ceretti; ma anche in questa fui piuttosto scarso. Ora si è pubblicata in italiano questa parte della filosofia cerettiana sotto il nome di Esologia, ed essa sola comprende ben mille e dugento pagine. Io cercherò un'altra occasione in cui discorrere più lungamente di quest'opera e paragonarla con la Logica hegeliana, dalla quale prende il general pensiere e il generale andamento, ma della quale vuol essere, e in parte è, una modificazione.  EssOLOGIA. La Natura è il Logo obbiettivato: però la dice anche Non-Logo, ossia l'opposto (il negativo) del Logo subbiettivo. La designa parimenti come Coscienza in forma d'Incoscienza, ossia, in fondo, di Coscienza ancora inconscia. Che la dice Coscienza, dopo tutto l'anzidetto, s'intende benissimo; perchè la Coscienza non è che il Logo conscio in genere, salvo poi a passare per diversi gradi della Coscienza, cominciando dalla incoscienza. Questo stato ancora inconscio della Coscienza della Natura è incluso nella mentovata designazione, che, cioè, questa sia Coscienza in forma di incoscienza. Qualche cosa di consimile egli esprime, quando la designa anche come Coscienza dormente.  Distingue la Natura (alla hegeliana) in meccanica, fisica, organica o, come anche si esprime, in Logo meccanico, Logo fisico e Logo organico; e la tratta speculativamente in queste tre forme. Il punto culminante della Natura è la Vita, il cui Logo supremo, dice egli, è l'organo sensorio. Col senso poi (che è funzione e manifestazione di quest'organo) si esce dalla sfera della Natura propriamente detta e si entra in quella dello Spirito, ossia della Coscienza del Logo conscio, e però del pensiero del pensante, la cui speculativa trattazione è la  SINAUTOLOGIA. Il concetto della sinautologia dall'anzidetto è chiarissimo e si riassume in questo, che il pensiero del pensante da essa considerato esprime la concretezza del pensiero istesso, cioè la Coscienza altuosa di quello Spirito (di quel Pensiero), che nella Esologia e nella Essologia era ancora inconscio.  Le parti in cui si suddivide la Sinautologia sono l'Antropologia, l’Antropopedeutica e l'Antroposofia. Queste stesse tre parti sono ulteriormente divise in altre subordinate, trattandosi in ciascuna in grosso quei principii che nell' hegelianismo fan parte dello Spirito e della filosofia dello Spirito. Nelle particolarità io rinunzio di entrare, tanto più che la maggior parte di esse entrano nella Sinossi, che si presenta ora al pubblico.  Con ciocchè è detto, che io lascio senza apprezzamento, è stato certo il lettore messo nel caso di conoscere quelle antecedenze, delle quali la Sinossi, da una parte, è continuazione, dall'altra, ulteriore modificazione, e veniamo dunque alla presente opera sinottica.  Rispetto a questa vi sono due punti a cui mi riferirò: l'uno è quello dell'opera da me prestata nella pubblicazione di essa: l'altro è quello di dare una idea generica del suo contenuto e di rilevare alcune cose che mi paiono degne di nota.  Per ciò che concerne il primo punto, il manoscritto che mi fu consegnato, di indicazioni del contenuto e dello scopo dell'opera non portava che soltanto il titolo generale di essa, cioè Synossi dell'Encyclopedia speculativa. Non aveva prefazione od altra indicazione di sorta, ma cominciava subito col primo paragrafo, e così senz'altro continuava in sussecutivi paragrafi fino all'ultimo.  Or bene, io ho creduto utile di fare innanzi tutto due piccole innovazioni: primamente, di ammodernare l'ortografia dell'autore; secondamente di fornire l'opera di intestazioni.  Quanto all'ortografia, il Ceretti era un uomo, dirò cosi, stampato sul classico, e però rispetto ad essa ha ancora ritenuto le forme latine e greche. Gli è per ciò che, conformemente al saggio ricorrente nel titolo predetto, egli scriveva analysi, systema, sympathia, philosophia, abysso, e via dicendo. Adduceva anche le ragioni di ciò, e, in una scrittura umoristica (1), riferendosi a questo punto, pregava che lo « si lasciasse spropositare a suo agio, perchè la sua crassa ignoranza di orthographia italiana non gli permetteva di fare altrimenti ».  Senza che io mi distenda su questo punto, il lettore intenderà che al nostro tempo una tale ortografia non poteva trovar favore presso il pubblico. L'autore stesso,  (1) Nella Prefazione ai Sogni e Favole (ancora inediti, ma che si pubblicheranno fra non molto).  del resto, non l'aveva seguita neppur egli in tutte le sue scritture italiane. Per esempio, non l'aveva seguita nè in una sua prima opera filosofica italiana, rimasta incompiuta (intitolata Idea circa la genesi e la natura della Forza), nè in qualche opera letteraria de' primi tempi (poniamo, nelle Lettere d'un profugo): in generale poi non l'ha mai seguita nelle sue opere poetiche italiane. Io poteva dunque senza scrupoli innovarla.  Quanto alle intestazioni, mi sono parse utilissime anch'esse. Il Ceretti è uno scrittore molto difficile, è sovente oscuro. Leggere una sua opera senza intestazioni di sorta, tranne quella del titolo generale, è una cosa che non invoglia il lettore. Gli è perciò che, ad agevolare a questo l'intelligenza e la lettura della medesima, ho diviso innanzi tutto l'opera nelle grandi e generali parti che la costituiscono, e ho dato loro le rispettive intestazioni; poscia ho fatto lo stesso coi paragrafi, dando, sia ad un solo sia a più insieme, la intestazione corrispondente al pensiere da essi espresso.  Per la giusta lezione del testo mi son dato tutta la cura possibile. Non una, ma ben molte volte sono intoppato in difficoltà: tanto più che il manoscritto era scritto da un amanuense. Nelle difficoltà ho fatto fare scrupolosi raffronti coll'originale, nei quali la figlia dell'illustre filosofo, tuttora amorosamente intenta alla pubblicazione delle opere paterne, mi ha prestato valido aiuto (1). Ma,  (1) Ad onor del vero, mi piace di far noto che l'opera della figlia verso il padre non è soltanto di riconoscenza filiale, ma di intelligente ad onta del buon volere e degli aiuti, mi è rimasto qualche scrupolo, che in questo o quel luogo qualche mancamento od inesattezza vi sia rimasto.  Quanto a mancamento, mi cade in acconcio di potere affermare siccome una verità, che, per chi conosce le opere filosofiche cerettiane, quelle che susseguono l'opera latina in genere si risentono un po' tutte di qualche mancamento rispetto all'ordinamento e all'integrità del pensiere. Questo, secondo me, proviene da più cagioni: l’una, che, avendo ogni scrittore un momento culminante nella sua attività intellettiva, il Ceretti lo ha avuto nell'opera latina: l'altra che, avendo egli, dopo la pubblicazione de' tre primi volumi di questa, fermamente deliberato di non pubblicar più nulla, ha creduto che le sue opere rimanessero inedite; e con tal credenza la cura di esse è minore: una terza, che negli ultimi dieci anni di vita (in cui cadono quasi tutte le opere filosofiche italiane, compresa la Sinossi) egli fu travagliato dalla mentovata infermità.  Continuando a dire dell'opera da me prestata, rilevo che, per l'accennata difficoltà e talvolta anche oscurità del pensiere dell'autore, vi ho pure aggiunto delle note illustrative, ove mi son parse necessarie od almeno utili.  E finalmente, un po' per la ragione ora detta, un po' per continuare a far conoscere la persona é gli scritti del Ceretti, un po' per agevolare al lettore l'entrata nel  prestazione, come ha anche dimostrato, benchè ella lo abbia taciuto, nella mentovata pubblicazione delle Grullerie poetiche, non che delle Poesie giovanili, apparse contemporaneamente ad esse.  pensiere della Sinossi, vi ho preposta la Introduzione che sta ora leggendo.  Per ciocchè concerne il secondo punto, quello del contenuto, comincio col richiamare innanzi tutto l'attenzione del lettore sul principio costitutivo della Sinossi, cioè, la Coscienza; principio, come ho già detto innanzi, che l'autore crede distintivo della propria filosofia da quella di Hegel, il quale, invece, pone in genere l’Idea, e più specificamente l'Idea conscia, ossia lo Spirito.  Ebbene, dal poco che ho detto, antecedentemente e da altro che ho qui taciuto, posso affermare che la differenza che il Ceretti vuol vedere tra la sua Coscienza e lo Spirito di Hegel a me non pare così essenziale, certo, non così grande, come egli pensa. E che la cosa sia cosi lo voglio confermare con le stesse parole dell'autore. Nella sua Autobiografia, opera interessante e ricca di notizie sul corso de'suoi pensieri, egli stesso dice: « In quel tempo io seppi (1) che l’Assoluto è la Coscienza, e la Coscienza nel suo svolgimento è, correttamente parlando, una storia, ma fui lontano dal distinguere la Coscienza dallo spirito e considerare lo spirito come un momento storico della Coscienza. Per me la Coscienza era un ente, piuttosto che il termine generale, la cui distinzione costituisce gli enti ».  È chiaro dunque che una distinzione vera dei due principii non l'aveva ancor fatta. Però qualche cosa di  (1) La mia celebrità citata, pag. 89. Il tempo di cui parla è verso il 1870, certo, dopo la pubblicazione de' tre primi volumi dell'opera latina, pubblicazione che cessò il 1867,  distintivo cominciava ad andargli pel capo. Di fatto, egli afferma in altro luogo dell'opera, che verso quel tempo di cui si sta parlando « principiava a balenargli l'idea di una Coscienza più generale dello spirito, Coscienza, della quale lo spirito fosse uno storico momento. Quest'idea gli era balenata molto tempo prima, ma piuttosto come un'imagine dell'idealità che come una categorica avvertenza, la quale avvertenza principiò in questo tempo ed ebbe il suo categorico fondamento anzitutto nell'infinito nulla, sopra il quale riposa la nostra cogitabilità » (1).  Da questo luogo, che conferma il primo, non solo emerge ulteriormente che la distinzione ei non l'aveva ancor veramente fatta nell'opera latina, ma fa capire che in questa (ov'egli pure aveva cominciato a parlare di tal distinzione) la distinzione era come un primo baleno di pensiere presentatosi alla mente e intraveduto, non però ancora veramente visto, compreso' e consciamente fermato. È questo veramente un punto, che io non aveva neppur nella mia Notizia così determinatamente ancora indicato e, sopratutto, documentato; son lieto, che mi si è presentata l'occasione di farlo qui.  Ora, è nella Sinossi che il Ceretti è veramente conscio di tal distinzione, ed è in essa che la Coscienza predomina e spicca come l'universale e fondamentale principio  (1) Loc. cit., pag. 104. Può parere strano che il Ceretti faccia poggiare la cogitabilità sull'infinito nulla. Lo strano sparisce, quando si pensa che per lui l'infinito nulla è uno de' modi di designare l'essere indeterminato. Ora, il pensiere è appunto o una determinazione dell'essere indeterminato, o una ulteriore determinazione dell'essere già determinato.  di tutto l'Essere e di tutto lo Scibile (Pensiero). E la ragion principale della distinzione, come si scorgerà dalla lettura dell'opera, consiste per lui specialmente in ciò: Che, giusto perchè la Coscienza è l'universale ed assoluta realtà, l'unico universale essere, ella accoglie sotto di sè l'istesso spirito come uno de' propri momenti, una delle proprie manifestazioni e forme di esistenza (1). Ad intendere ciò, e in generale la larghezza della Coscienza cerettiana, allego volentieri il seguente luogo, nel quale ei dice che il filosofo speculativo « considera l'animale come un momento definito nel sistema della Natura, la Natura come un momento nel sistema spirituale, e lo Spirito come un sistema nel sistema della Coscienza » (2).  Ora può meglio comprendere il lettore, perchè io, nel dividere la Sinossi in Tre Parti e nel dare a ciascuna di esse la relativa intestazione, ho sempre fatto entrare la Coscienza. Del resto, l'istesso autore dice che: « la Coscienza, sendo il termine più generale, che possibilita l'essere e l'esistenza, deve necessariamente essere il termine più generale, nella cui distinzione si distingue logicamente l'Enciclopedia speculativa » (3).  Volendo ora con un breve cenno introdurre il lettore nel contenuto della Sinossi, rilevo innanzi tutto che le tre grandi Parti, nelle quali ella è divisa, sono la Coscienza universale, ossia i Principii logici o logico-metafisici, che  (1) Vedi in questo stesso volume appresso $ 21, pag. 10.  (2) Si confrontino specialmente il g 164 e la mia relativa nota, non che il S 203.  (3) Sinossi, $ 163, pag. 124,  voglian dirsi (Logica); la Coscienza naturale, ossia i Principii naturali (Natura); e la Coscienza spirituale o Principii spirituali (Spirito).  Quanto alla Coscienza universale e ai corrispondenti principii logici, l'autore non entra in particolarità, anzi non ne espone addirittura la dottrina. Si limita soltanto ad indicare innanzi tutto le forme dello scibile e le corrispondenti verità; poscia a designare alcune verità logiche supreme; indi ad accennare in genere la natura della speculazione logica; e finalmente ad una divisione del pensiere sistematico logico.  Rispetto alle forme dello scibile (ch'ei distingue in a) scibile estetico e religioso; b) scibile empirico-induttivo, e c) scibile speculativo), pone che la forma speculativa, che è l'unica e vera filosofica, è quella « che non con: tiene se non verità necessitate dal pensiero in sè stesso, indipendente da qualsivoglia autorità esteriore ». Queste verità necessitate poi ricorrono propriamente, od almeno in modo speciale, nella Logica. E delle tre indicate Parti e corrispondenti discipline filosofiche ei pensa che « la scienza veramente speculativa è la Logica, e le discipline della Natura e dello Spirito non possono contenere verità speculative, ossia necessarie, se non in quanto siano ridotte alla loro radicalità logica », vale a dire, alla forma o tipo logico.  Quanto alle verità logiche supreme, elle si concentrano nel mentovato principio della Coscienza.  E, di fatto, ei pone come verità prima e radice di tutte le altre verità, e ad un tempo come « verità generalis sima della speculazione », questa, che a è contenuta nella proposizione: L'assoluto è coscienza ». E pone quindi come a verità più particolare, ma non meno necessaria », quest'altra, « la quale è nella proposizione: La verità assoluta è nella coscienza pensante » (1). A queste due proposizioni se ne può aggiungere una terza, che, benchè ricorra in fin dell'opera, pure è con esse intimamente legata; ed è che a nulla è e nulla può essere fuori della Coscienza » (2).  Quanto alla natura della Logica, ei l'indica, e mi pare eccellentemente, siccome il « sistema generale della cogitabilità », o, come anche dice, « della pura cogitabilità ».  Finalmente l'autore, non entrando nelle esposizioni di tal sistema, ma limitandosi alla partizione di esso in tre cicli, designa il primo siccome « la categoria pura dell'Essere indefinito, l'essere generale qualitativo e quantitativo v: il secondo come « l'Ente, ossia l'Essere finito, per il quale il pensiero si definisce in pensieri particolari reciprocamente differenziati ed opposti »: il terzo come a l'unità del pensiero infinito col pensiero finito, nella quale unità il pensiero s'individualizza » (3). Questa individuazione, soggiunge, estrinsecandosi, genera la Natura.  (1) La Coscienza pensante è per lui la Coscienza razionale o concettiva, com'ei la dice, a differenza delle forme inferiori di Coscienza, cioè la Coscienza riflessa e la Coscienza sentimentale (quest'ultima abbraccia la Coscienza estetica e si estende alla religiosa).  (2) Sinossi, S 203, pag. 218.  (3) Vedi Sinossi, pag. 1-12.   [blocks in formation] Passando a trattare della Coscienza naturale o Natura, ne dà una definizione, in cui si sente l'influsso fichtiano, definendola, cioè, siccome «l'Idea scissa in due termini, che hanno l'apparenza della separazione », e che sono a l’lo e il Non-Io » (1). Quanto alla partizione però, divide ancora hegelianamente la Natura in a) meccanica, b) fisica, c) biologica (organica).  Cominciando a dir della prima, tocca innanzi tutto della considerazione estetica della Natura istessa, di quella considerazione, che attribuisce ai corpi celesti vita e persin coscienza. Tocca parimenti della considerazione riflessa (o empirico-induttiva), la quale, oppostamente alla prima, considera la Natura come disanimata e puramente meccanica. Son due considerazioni ch'ei tiene per egualmente false, ritenendo invece per unicamente vera la considerazione speculativa.  Conformemente a quest'ultima, piglia le mosse da’ principii primitivi e condizioni prime della Natura, che sono lo Spazio, il Tempo, il Movimento, la Forza; quattro principii che nella loro unità costituiscono poi la Materia. Questi principii ei riunisce in guisa da ricordare addirittura la consimile unione di Spencer, la quale, del resto, prima che spenceriana, è stata già hegeliana.  Si addentra poscia vieppiù nella Natura, e la considera nella vita e nel movimento dei corpi celesti. Ribatte la considerazione estetica, che attribuisce a  « Vita e Coscienza analoga all’umana », siccome  questi  (1) Sinossi, $ 28, pag. 13.  [ocr errors] fantastica. Rispetto alla Vita di essi, rileva egli, la speculazione (e considerazione speculativa) a ritiene giusto » che « i corpi celesti.... debbano possedere necessariamente la propria vita, dalla quale abbiano il proprio movimento, la propria forza e le proprie fasi formali ma respinge interamente che « detta vita possa essere analoga all'animale ed alla vegetale » (1).  Passa quindi a considerare, secondo la speculazione, la Coscienza nei corpi celesti; e, anche qui, pur ammettendo una generica coscienza ne' medesimi, dice che « la Coscienza propria de' corpi celesti non può sotto verun rapporto somigliare a quella degli animali e delle piante ». Ritiene però che « l'armonia generale de’loro rapporti cinematici e induttivamente anche dinamici prova evidentemente che sono regolati non solo dalla coscienza, ma anche dalla coscienza pensante e razionale » (2).  Allontanandosi, ciocchè qui dice l'autore, non poco dalle comuni intuizioni, è bene di rilevare e determinare ulteriormente il suo pensiere e la ragione del suo pensiere, non che la ragione, per la quale egli respinge anche la considerazione riflessa della Natura (che è poi in grosso la considerazione delle scienze naturali). Riattaccandosi a quest'ultima, dice che, se la considerazione estetica attribuisce vita e coscienza agli astri, sbagliandosi nel modo dell'attribuzione, la riflessione spegne  (1) Sinossi, § 41, pag. 22 e seg. (2) Sinossi, $ 42, pag. 23.  addirittura l’una e l'altra. Imperocchè essa, nella concezione e considerazione della natura, è dominata « dalla cardinale irrazionalità » di considerare il pianeta terrestre « come un ente meccanico e fisico, e non mai come un organismo planetario vivente e cosciente di vita e coscienza propria, altra dalla vegetabile ed animale » (1). L'autore attribuisce alla riflessione l'errore della « diremzione (scissione) della Natura e della Coscienza », per cui « deve necessariamente considerare i singoli fenomeni come altri da quelli della Vita e della Coscienza o (2).  Diversa poi, a senso dell'autore, è la speculativa considerazione si della Natura in genere, che dell'ordine terrestre. In quanto che « la speculazione, ponendo il principio generale, che la Natura e l'Idea della Natura sono reciproci fattori, deve conchiudere necessariamente che una Natura qualsivoglia non può esistere se non come viva e cosciente. Le diverse specifiche nature sono appunto differenziate dalle differenze specifiche della loro vita e coscienza ». E, conformemente a ciò, rileva i diversi gradi di vita e coscienza de' corpi celesti, de' minerali, delle piante, degli animali.  « La speculazione (aggiunge egli) concepisce che nessuna esistenza è possibile se non in quanto sia Coscienza, e nessuna Coscienza è possibile se non come un sistematico svolgimento dall’una nell'altra determi  (1) Sinossi, $ 49, pag. 30.  (2) Sinossi, $ 52, pag. 32.   nazione, locchè è Vita ». Mette però in rilievo che « Vita e Coscienza nella speculazione non sono menomamente limitate all'analogia del processo vegeto-animale; epperciò, dicendo che i corpi celesti, il globo terrestre e le materie terrestri sono vive e coscienti, non intendiamo dire che un numero finito di organismi componga un tale organismo, ma semplicemente che tutta la natura è organica, viva e cosciente, e conseguentemente ogni organismo è principio e fine di altri organismi, cosi nel proprio totale, come in ciascuna minima particella divisibile all'infinito » (1).  Non men lontano dalle comuni intuizioni è ciocchè segue sotto il titolo di anatomia, fisiologia e psicologia del globo. Si badi però che a si fatte denominazioni il Ceretti non attribuisce il significato che lor comunemente corrisponde. La ragione, per la quale egli ha adoperate le predette denominazioni è ch'ei considera il globo siccome un organismo vivo e cosciente. Di fatto ei dice: « Considerando il globo come un individuo organico vivo e cosciente, si conchiude necessariamente che vi sia un'anatomia, una fisiologia ed una psicologia del globo ». Avverte però ch'egli « usa questi vocaboli in un significato più generale che non in quello della vita vegeto-animale » (2). E quanto all'espressione di psicologia del globe, che è quella che più delle altre urta le comuni intuizioni, egli ne giustifica e chiarisce  (1) Sinossi, $ 53, pag. 29 e seg.  (2) Loc. cit., $ 59, pag. 36. il significato come segue. « Dobbiamo per prima cosa notare, dic'egli, che non intendiamo parlare di psicologia nel significato analogo a quello dell'animalità, ma usiamo questo vocabolo nel significato amplissimo di coscienza vivente. Cosi, per es., la bestia pratica, nell'uso della sua facoltà locomotiva, esattamente le regole matematiche della statica; ma questo non vuol dire che la bestia possegga qualche nozione di matematica e di meccanica razionale; ella non possiede veruna nozione riflessa, ma semplicemente il senso regolativo della statica, requisito della pratica della locomozione; ma non è una regola teorica; ossia una Coscienza riflessa della medesima. In questo significato generalissimo di coscienza la terra possiede la sua psicologia, non altrimenti che ogni individuo vivente » (1).  Da tutto ciocchè il Ceretti dice intorno a coscienza degli astri in genere e a coscienza e corrispondente psicologia della terra in ispecie, se ne deduce ch'egli attribuisce sì ai primi che alla seconda quella coscienza ch'egli nel luogo ultimamente allegato chiama coscienza vivente, cioè una coscienza che si caratterizza e risume nella vita, una coscienza che potrebbe chiamarsi inconscia. E questa è quella coscienza che antecedentemente io stesso ho designata come generica, non già come specificata e molto meno come individuata.  Ad intender ciò, si pensi che per Ceretti il principio universale della realtà (qui nella Sinossi) è appunto la  (1) Sinossi, $ 74, pag. 47.  Coscienza come universale ed assoluta. In quanto la Coscienza è universale ed assoluta, è già Coscienza la Natura stessa, che è una delle forme di manifestazione ed esistenza della Coscienza. Se è così, è ben naturale ch'ei pensi come cosciente (genericamente, non individuamente gli astri tutti, anzi le cose tutte. Ma la Coscienza della Natura, nelle formazioni siderali della medesima, non si è ancora individuata, soggettivata , ossia è una coscienza che non è ancora presente a sè stessa, non è consapevole di sè stessa, è una Coscienza ancora inconscia.  Ora, il Ceretti pensa che tutto il processo della Coscienza naturale o, come comunemente diciamo, della Natura, consiste appunto nella graduale individuazione e soggettivazione di questa Coscienza. Nella terra ed in genere nella natura minerale tale individuazione, almeno tal vera e reale individuazione non è ancora avvenuta e ne cerca e segua i relativi gradi evolutivi. « Il primo esordio, secondo lui, della Coscienza verso una propria individuazione, oltre l'individuazione planetaria, appare nella vita vegetativa» (1). E questo esordio è, a tal riguardo, si poca cosa, chè, benchè la pianta abbia « un'individualità distinta dall'individualità planetaria, quest'individualità si manifesta tuttavia equivocamente nella vita vegetabile » (2). E di questa equivocità arreca varie ragioni.  (1) Sinossi, $ 80, pag. 52. '  (2) Sinossi, $ 85, pag. 55.   Additata l'individuazione nella pianta, passa ad additarla nella ulteriore e superiore forma di esistenza della animalità. È primamente nell'organismo animale che, secondo il Ceretti, avviene la compiuta individuazione, la quale, si noti, non è ancora soggettivazione in tutta l'animalità. La soggettivazione, che è il grado supremo dell'individuazione, da una parte, « si palesa progressivamente nelle specie superiori », dall'altra, si manifesta nella sua vera compiutezza soltanto nell’uomo; il quale nella serie zoologica è a l'ultimo frutto, ossia il massimo sviluppo psichico dell'animalità » (1). « Quando l'animale, dic'egli, arriva definitivamente alla soggettivazione della propria Coscienza, ossia al suo Io distinto categoricamente dal Non-Io, entra categoricamente nella Coscienza spirituale. Questo passaggio costituisce la creazione dell'uomo, e solamente questo passaggio colla propria manifestazione può significare un soggetto umano » (2).  Con l'antecedente esposizione il Ceretti, nella Evoluzione della Coscienza, esce dalla Coscienza naturale ed entra nella Coscienza spirituale, cioè nella terza parte dell'opera. In questa, cominciando colla distinzione di senso e pensiero, vien subito all'additamento delle forme, 0, com'ei le dice, fasi dello spirito, le quali per lui sono il sentimento, l'intelletto ed il concetto. Il concetto è la facoltà razionale, a distinzione della intellettiva, secondo  (1) Loc. cit., $ 96, 106, 107, pag. 61 e seg.  (2) Sinossi, $ 115, pag. 76.   che ciò s'intende nell'hegelianismo. Il sentimento è da lui inteso in senso più largo del senso, tanto che designa come momenti del sentimento l'attenzione, la memoria e l'immaginazione. Così inteso, il sentimento viene ad esser come una funzione media tra il senso e l’intelletto, quella funzione che costituisce come il passaggio dalla coscienza senziente alla cogitante (1), e che perciò somiglia quella che i tedeschi chiamano facoltà rappresentativa (Vorstellungsvermögen).  Segue l'evoluzione della Coscienza spirituale in quelle forme che, secondo la terminologia hegeliana, fan parte dello spirito soggettivo, come linguaggio e suoi stadii; stato primitivo dell'uomo (primitiva coscienza umana); sonno, sogno e veglia ; temperamento; specifiche disposizioni mentali, tra le quali piglia di mira anche il genio nella sua distinzione dall'ingegno; carattere e criterio.  Dopo di ciò passa alla considerazione di quei principii che possono designarsi come costitutivi della Coscienza oggettiva (oggettivata), che corrispondono a quelli del cosi detto spirito oggettivo hegeliano, e che il Ceretti in questa Sinossi risume ne' tre di Morale, Diritto, Ragione. La Morale regola i rapporti sociali degl'individui consociati, ma soltanto siccome regola interiore alla Coscienza. Il Diritto, facendosi indipendente dalla interiorità della Coscienza morale, statuisce  (1) Ei dice di fatto: « La Coscienza che dalla sensazione si svolge nella mentalità si sistematizza in un sentimento pressochè comune alla umanità ». Sinossi, S 128.  una legge che divien comune e normativa nei rapporti esteriori del corpo sociale. La Ragione concilia le esigenze della Morale e del Diritto, cioè dell'elemento soggettivo e dell'elemento oggettivo della civile società (1).  Continuando, l'autore segue l'evoluzione della Coscienza spirituale nella sua costituzione sociale. Da prima rileva e determina i gradi evolutivi di questa ultima nel regime patriarcale, strategico (militare) e politico. Poscia viene alla determinazione della ragione, la quale è « come il fattore essenziale del buono e del giusto contenuto » nelle organizzazioni sociali. Alla ragione disposa la coltura, in quanto l'una e l'altra si suppongono e svolgono insieme. « La ragione, com’ei si esprime, reclama un libero svolgimento della coltura e la coltura è il corpo della ragione; questa e quella sono reciproche esigenze, epperciò non si possono reciprocamente realizzare se non in quanto concorrono nell'unità del proprio sistema » (2). Termina questa parte con la distinzione, la determinazione ed il rapporto dello scibile delle discipline finite e dello scibile speculativo.  Assolta questa parte della Coscienza spirituale, passa all'ultima e suprema della medesima, che è quella che si riferisce all'Arte, alla Religione ed alla Filosofia, o, che vale lo stesso, alla Coscienza artistica, religiosa, filosofica. Ciascuna di queste tre ei considera non solo  (1) Sinossi, § 139, pag. 96 e seg.  (2) Sinossi, S 134, pag. 113. nel suo principio, ma anche nella sua storica evoluzione. Gli stadii di si fatta evoluzione sono in genere l'asiatico, il pagano, il cristiano; e quindi arte, religione e filosofia asiatica; arte, religione e filosofia pagana; arte, religione e filosofia cristiana.  Quanto all'arte, egli accenna non solo all'arte in genere, ma anche alle diverse forme di arte, additandone l'evoluzione appunto ne' predetti stadii asiatico, pagano e cristiano.  Il medesimo fa per la religione, e qualificando la religione e le religioni asiatiche per naturalistiche, la religione e le religioni pagane per antropomorfistiche, la religione e le diverse forme religiose cristiane per spiritualistiche.  E finalmente, quanto alla filosofia, rilevato il generale concetto di essa e il suo legame coll'arte e colla religione, viene a toccare della sua storica evoluzione. Comincia dalla filosofia asiatica, nella quale dà importanza alla filosofia indiana, essendo questa nell’Asia « la sola che si possa considerare come un tentativo di speculazione esordiente. Ella si distingue in tre grandi periodi, di cui il primo è teologicamente ortodosso, epperò armonizza colla religione costituita; il secondo ed il terzo consistono di sistemi teoretici, che però non negano il principio fondamentale della religione, alla quale contradicono » (1).  Passa alla filosofia pagana, la quale si risume essen  (1) Sinossi, S 191, pag. 188 e seg.  zialmente nella greca, e nella quale la speculazione non s'ispira, come l'indiana, alla teologia, ma « si sente perfettamente libera da ogni prestatuto, da ogni estrinseco alla speculazione » stessa. E ciò si mostra fin dall'inizio della filosofia greca, nella quale « i primi filosofi furono fisici non teologi ». Ella « si distingue in tre grandi cicli. Nel primo è speculazione naturalistico-noologica. Nel secondo è speculazione etica. Nel terzo è speculazione pneumatologica » (1).  Termina colla filosofia cristiana, nella quale, secondo lui, « le speculazioni dei teologi, la così detta filosofia scolastica, non appartengono positivamente alla filosofia, ma piuttosto a quello che si direbbe teologia speculativa », Più vicina al punto di vista filosofico própriamente detto, come poggiante sulla ragione, è la a nuova speculazione », o quella del Rinascimento. Questa « esordi con una semplice rinnovazione della ellenica filosofia ); ma in alcune speculazioni« si distingue per la forma delle nuove filosofie », come in Giordano Bruno, in Giacobbe Böhm e in qualche altro.  Quello però che fonda la filosofia cristiana propria mente detta è Cartesio, al quale poi si riattaccano i posteriori moderni filosofi per ulteriormente svilupparla. « La filosofia cristiana differisce dall’ellenica; perocchè questa si svolse nel piano dell'Idea fisica o metafisica e della sua identità realizzata nel mondo, quella si svolge nel piano dello Spirito concreto, ossia  (1) Sinossi, $ 195, pag. 192 e seg.  unità distinta dell'Idea in sè stessa (metafisica) colla Idea fuori di sè stessa (Natura). Questa concreta unità prima è realizzazione dei suoi termini separabili, che astrattamente si svolgono in astrazioni fisiche o metafisiche; poscia è concreta unità dei suoi termini indirimibili e distinti » (1).  Questa è la tela del pensiere filosofico della Sinossi dell'enciclopedia speculativa. Ora, a complemento della cosa, credo ancora utile di rilevare alcuni punti ed alcune opinioni dell'autore, che mi sembrano degni di nota.  Primamente mi riferisco al punto concernente le idee cerettiane sugli astri in genere e sulla terra in ispecie, e propriamente riguardo all'animazione e persin coscienza che l'autore ha vedute in essi.  Innanzi tutto allego un luogo di un'altra opera di lui: in questo si dice chiaramente come egli intende l’evoluzione planetaria, la quale poi non è altro che l'evoluzione di ciocchè si nella Sinossi, si in questa mia Introduzione si è appellata la Coscienza naturale. « La mia astronomia, dic'egli, ossia perlustrazione de' corpi celesti, non somiglia punto alla disciplina finita (cioè all'astronomia de' naturalisti) di questo nome, ma si riferisce semplicemente alle più arrischiate ipotesi circa la genesi di quei corpi. L'idea fondamentale è che le varie età di un corpo celeste corrispondono alle varie qualificazioni di nebulosa, sole, pianeta, e cosi oltre, e conseguentemente anche i vari fenomeni sulla superficie di esso appartengono a  (1) Sinossi, $ 199, pag. 204 e seg.  vari momenti della sua età. Cosi, per es., la vita fitozoica e la storia umana sarebbero una fenomenale momentaneità della vita planetaria sopra il globo, che oggidi dagli uomini si chiama Terra » (1).  Or qui si dice che la vita non solo vegetale ed animale, ossia vegeto-sensitiva, ma la stessa vita pensiva umana è una manifestazione planetaria, che si concreta sulla terra: il che è come dire in altri termini che nella terra vi sono fenomeni sensitivi e pensivi. In conseguenza di ciò il Ceretti ha parlato di vita e coscienza degli astri, vita e coscienza del pianeta terrestre; come, d'altra parte, conformemente a ciò, ha parlato di anatomia, fisiologia e psicologia della terra.  È indubitato che queste ultime espressioni suonano un po'stranamente, e più stranamente ancora suonavano alcuni decennii addietro. Però, a misura che si fa strada nella scienza il realismo e l'evoluzione, quelle espressioni van mano mano perdendo non poco della loro stranezza. Siam giunti a tale, che leggiamo, e senza meraviglia (io almeno non me ne meraviglio, (simiglianti cose in libri seriissimi, che veggono la luce negli stessi nostri giorni. Uno di siffatti libri (che io credo seriissimo e raccomando a chi no'l conosce ancora), è, per esempio, il « Cosmos die Wellentwickelung nach monistisch-psychologischen Principien auf Grundlage der exakten Naturforschung dargestellt von D. Hermann Wolff. Leipzig 1890. Zwei Bände ».  (1) La mia celebrità già citata, pag. 66 e seg.  Ebbene, il Wolff parla anch'egli non solo di psicologia animale, ma anche di psicologia della pianta e psicologia della cellula. Notoriamente, di quest'ultima ha parlato e scritto Ernesto Haeckel, seguito poi da altri. Ma con ciò siamo nella natura organica. Il Wolff va ancora più innanzi e parla anche di fisiologia della natura inorganica (si badi bene, inorganica) (1). E non si arresta neppur qui: parla persino di segni di manifestazioni psichiche nella natura inorganica: e, dopo avere additati questi segni, anche coll'appoggio di Copernico, Herschel, Haeckel, Schopenhauer, viene alla conclusione che nella natura inorganica c'è un fondo psichico (einen psychologischen Hintergrund der anorganischen Natur) (2). Siffatte manifestazioni, secondo il Wolff, « non sono però segni di una esistenza individuale animata, ma comuni manifestazioni di specie » o generi (3). Anche il Ceretti pensa la cosa in grosso allo stesso modo; giacchè la sua Coscienza degli astri e della terra non è individuale, ma generica come ho fatto innanzi rilevare.  Fo considerare, inoltre, come ora si parli non poco di Panpsichismo: chi è a notizia della recente letteralura filosofica, lo sa. Lo spirito universale di Hegel (der Weltgeist), lo spiritualismo assoluto del medesimo sono imparentati con si fatte intuizioni. Non vi è meno imparentato l'Inconscio del vivente filosofo Eduardo di Hartmann; giacchè l'Inconscio contiene in sè un ele  (1) Vedi dell'Opera citata del Wolff, vol. I, pag. 239 e seg., 245 e seg,  (2) Loc. cit., specialmente a pag. 334.  (3) Al secondo volume di detta Opera, pag. 145, mento pensivo e spirituale che, foss’anche inconsciamente (e, del resto, nella natura dev'essere cosi), si manifesta ed agisce nel mondo materiale.  Altra intima parentela con queste intuizioni ha l'attuale e assai generale Monismo; perchè col Monismo si ha un solo principio superiore, che è spirituale e materiale, conscio ed inconscio insieme, e che è presente ed agente così nell'animale e nell'uomo, come anche nella pianta e nel minerale. Sicchè dunque bisogna guardare e giudicare con sentimenti amichevoli ed indulgenti ciocchè il Ceretti dice intorno all'animazione e coscienza degli astri.  L'aver testè ricordato il nome di Eduardo di Hartmann accanto a quello di Hegel, mi fa andar per  la mente, che accanto a questi due va collocato immediatamente il Ceretti, e propriamente, da una parte, come contrapposto a quello, dall'altra, come unito a quello nella comune provenienza da Hegel. È indubitato che entrambi  provengono da questo, ma si noti, che vi provengono, propugnando ciascuno un principio opposto a quello dell'altro: Eduardo di Hartmann, propugnando l’Inconscio, Ceretti la Coscienza, ossia il Conscio. È questo un punto assai degno di considerazione, ma che meriterebbe uno sviluppo, il quale non può entrare in questa Introduzione. Prego però che gli rivolgano la mente coloro che ora conoscono il Ceretti, fino a poco fa sconosciuto. Cercherò un'altra occasione, nella quale ritornerò su di ciò.  Un altro punto, che si collega ai precedenti e pure degno di rilievo da parte del Ceretti è il dichiarare e ribatter ch'ei fa come assurda la « supposizione d'una natura meramente inorganica, cieca e macchinale » (1). Con questa dichiarazione egli si fa, sia direttamente, sia indirettamente, oppugnatore del Positivismo e dell'Evoluzionismo, in quanto meccanici. E in ciò bisogna unirsi interamente a lui. Io non ispregio punto, anzi pregio moltissimo le dottrine positivistiche ed evoluzionistiche: e persin dichiaro novellamente (l'ho già fatto altra volta) che accolgo l'evoluzionismo disposato all'hegelianismo sotto il generale concetto e processo di evoluzione finale. Ma ritengo immensamente irrazionale l'evoluzionismo meccanico, col quale non solo non si possono spiegare i prodotti superiori della realtà, l'arte, la religione, la scienza, la vita domestica e sociale ecc., ma neppure la vita animale e vegetale, e diventano inesplicabili gli stessi prodotti minerali nelle ordinate formazioni dei medesimi.  Già l'antichità al meccanismo atomistico e in genere naturalistico aveva giustamente contrapposta la finalità, specialmente nelle scuole platonica ed aristotelica. Il principio finale, che fu accolto ne' tempi e filosofi posteriori, è stato nell'ultima filosofia accentuato specialmente da Schelling ed Hegel, che han visto ed affermato nella natura un finale, razionale e progressivo organizzarsi della medesima in tutte le sue maravigliose forme.  L'evoluzionismo con Spencer ha assai progredito a  [blocks in formation] riguardo de’due grandi filosofi tedeschi in moltissimi rispetti; ma, d'altra parte, col meccanismo ha immensamente regredito rispetto ad essi. Chi sarà l'uomo ragionevole che potrà pensare che la scienza si possa costituire meccanicamente ed automaticamente? Ebbene è proprio cosi che dee pensarne la costituzione e formazione chi accetta il meccanismo comtiano e spenceriano; giacchè da’principii comtiani e spenceriani riguardo alla scienza non ne discende altra conseguenza. Innanzi a una tale assurdità o debbon cadere senz'altro il Positivismo e l'Evoluzionismo, o bisogna, come io penso, integrarli colla finalità. Per ciocchè concerne questo mio pensiere, sono lieto d'incontrarmi nella stessa idea con un uomo assai rispettabile e favorevolmente noto nella scienza, col Vacherot. Il quale, pur movendo dall'hegelianismo, è giunto (nel Nouveau spiritualisme) per altra via a quella conclusione (all'Évolution finale), cui songiunto anch'io(1).  Altro punto che voglio rilevare è quello dell'opinione del Ceretti rispetto all'origine e natura della specie; e lo fo volentieri, perchè si tratta di cosa oggi tanto dibattuta. Rispetto a questo punto parrebbe che egli si discostasse tanto da Hegel quanto da Darwin; ma a me sembra che, in fondo, ei riesca alla stessa idea di quest'ultimo. Il Ceretti dice: «È assurdo supporre che una specie si  (1) Vedi Le nouveau spiritualisme del VACHEROT, Paris 1884, specialmente il capitolo intitolato l'Évolution finale, pag. 359. Nell'istesso anno 1884, nel mio Teismo filosofico cristiano, senza che io sapessi nulla del filosofo francese, ho sostenuto (vedi pag. 414 in nota) lo stesso principio, con la stessa espressione di evoluzione finale.  tramuti in un'altra come tale, perocchè le specie sono mere distinzioni teoriche del nostro intelletto. La natura, come disse un sommo naturalista, non facit saltum » ecc. Con ciò parrebbe quasi quasi che non ammettesse vere specie di sorta e non si accordasse col darwinismo. Ma, d'altra parte, ei soggiunge: « La vera trasformazione della specie non si deve investigare nelle specie come lali, ma piuttosto ne'minimi termini della specie, ossia nelle variazioni individuali. Queste variazioni, tuttochè lentissime, modificano col volgere de' secoli le specie » (1).  Ora a me pare che l'opinione cerettiana si converta colla darwiniana: perchè secondo i darwinisti le modificazioni alle specie provengono e non possono d'altronde provenire che dagl'individui.  Un altro punto non meno dibattuto e controverso è ai di nostri quello della religione; e mi piace di rilevare l'opinione cerettiana in proposito. Innanzi tutto egli è contrario ad ogni religione filosofica o scientifica che voglia dirsi. « Provate, dic'egli, a istituire un culto, ossia una pubblica credenza filosoficamente ragionata; e voi fallirete senza dubbio al vostro scopo, perocchè la Coscienza pubblica non è disposta a un filosofico sistema ». E  per tal rispetto può dirsi ch'ei si oppone al positivismo, a dir vero, non a quello del fondatore del medesimo, perchè Comte ammetteva la ragion di essere della religione, ma al comunale positivismo, che vuol sostituita la religione colla scienza. E, venendo poi ad esprimere  (1) Sinossi, $ 185, pag. 174 e seg.  il suo pensiere su tale importante argomento, ei dice: « La religione che conviene al nostro tempo e alla nostra civiltà non può essere una religione di miti e di misteri. Non può essere una rivelazione miracolosa d'un tempo e d'un luogo, epperciò non può essere una religione autorizzata da un codice e da una tradizione. Il solo fondamento religioso, tuttavia reale del nostro spirito, è l'idealismo trascendentale, per es., la credenza in una Coscienza e Ragione generale che governa il mondo: è questa il nostro Dio superstite come Dio, possibile oggetto d'una credenza religiosa » (1).  Probabilmente il lettore troverà che anche questa religione proposta dal Ceretti (e che abbastanza generalmente, e da un pezzo, la si propone ed anche coltiva da filosofi, scienziati e uomini colti) senta un po' del filosofico anch'essa. Io, per parte mia, penso  lo  pensava anche il filosofo intrese) che la religione in genere sorge dalla coscienza popolare. E siccome questa non è nè può essere mai filosofica o scientifica che dir si voglia; così una religione scientifica, quale la vogliono i predetti comunali positivisti, è una chimera e, per giunta, assolutamente contraria alla coscienza del popolo, che costituisce qualitativamente e quantitativamente la larga base e la gran massa de' credenti.  Questi sono i punti principali e le relative opinioni dell'autore, che io voleva in ispecial modo rilevare: altri tralascio.  (1) Sinossi, $ 108, pag. 71 e seg. Prima di terminare questa già lunga Introduzione, non posso a meno di rivolgere ancora l'attenzione del lettore sulla posizione della Sinossi nel complesso e nel corso del pensiere filosofico dell'autore, non che sulle ragioni che hanno consigliata la pubblicazione dell'opera.  Quanto alla posizione, ho già detto che essa rappresenta una fase o momento di transizione dall'idealismo assoluto hegeliano (già accolto dall'autore ed espresso, pur già con modificazione, nella sua opera latina) ad un assoluto idealismo subbiettivo, o ad un assoluto subbiettivismo, assai vicino a quello di Fichte. Ho pur già detto che tal passaggio segue attraverso dello schellinghianismo, del quale son visibili alcuni vestigi nella presente opera. Il lettore che leggerà attentamente questa ultima, scorgerà la cosa da sè stesso. Se non che io voglio ulteriormente rilevare che questo punto io l'ho già rilevato nella mia opera sul Ceretti, e, per non tornare a dir lo stesso, rimando il lettore a questa (1).  Quanto alle ragioni della pubblicazione (oltre al desiderio, anzi volere della figlia del filosofo, la quale crede dovere filiale di cooperare a far conoscere e pregiare il suo genitore), elle son varie. L'una è che, benchè ella sia un'opera indubbiamente inferiore alla latina, ciò non di meno, con tutta la stessa sproporzione che ha nelle tre parti che la costituiscono, è pur sempre tale da meritare di essere conosciuta. Una seconda è che,  (1) Alla più volte citata notizia, e propriamente alle pagine clxxx e seg., CXCIII e seg.  siccome essa rappresenta una delle fasi di transizione del pensiere filosofico cerettiano, cosi, per conoscer questo tutto intero, era necessaria la pubblicazione di essa ; tanto più che essa, tra le opere filosofiche che si riferiscono a tal fase, è una delle migliori. Una terza ragione è questa, che, accanto all'Enciclopedia filosofica latina, è bene che se ne conosca di lui anche una italiana. Una quarta è che, essendo rimasta incompiuta l'opera latina, specialmente per la parte che concerne la filosofia dello spirito, era opportuno di pubblicare la Sinossi, che si estende anche a questa parte. A dir vero, le idee sulla filosofia dello spirito nell'opera latina sarebbero state più vicine alle hegeliane, ma un generico fondo hegeliano v'è in grosso anche nella Sinossi. Un'ultima ragione è questa che, come nella pubblicazione dell'opera latina in traduzione italiana, assai probabilmente non si andrà più in là del secondo volume (dell’Esologia, o logica del Ceretti), perchè il terzo (la Essologia o filosofia della natura) è rimasto incompiuto, così la Sinossi si adatta ad esser come la continuazione della stessa opera latina tradotta. E si adatta tanto più, in quanto questa giunge, come abbiam detto, fino alla logica, che è trattata ampiamente; e la Sinossi, invece, appena accennando la logica, tratta più estesamente la filosofia della natura e quella dello spirito, specialmente quest'ultima. E non è improbabile che il Ceretti stesso, per avere appunto largamente trattata la logica nell'opera latina, ne abbia poi fatto appena un piccolo cenno nella Sinossi, che fu scritta dopo.  Termino esprimendo il voto, che una così eminente individualità filosofica, poetica e letteraria, quale fu il Ceretti, venga sempre più conosciuta ed apprezzata. Per conoscerla però ed apprezzarla degnamente, non bisogna arrestarsi ad una sola delle sue opere, ma bisogna abbracciarle tutte; giacchè, essendo stata la sua individualità assai varia e complessa, bisogna vederla e conoscerla nella varietà e nel complesso delle sue opere.  Dividerò e tratterò in "varii punti la quintuplice forma di Logica enunciata nel  titolo.   Il primo punto è che questa quintuplice forma di Logica si riattacca nel modo  più intimo al mio scritto già pubblicato ed intitolato: L'Essere evolutivo finale come  tentamento di una nuova concezione ed orientazione del pensiero filosofico uscente dal-  l' Hegelianismo. E si riattacca in guisa che la concezione, la posizione e la soluzione  delle indicate forme logiche dipendono in tutto e per tutto dal medesimo.   Il secondo punto concerne la importanza della trattazione delle enunciate forme  logiche.   La importanza, quanto alla Lo gica aristotelica, è addirittura imm ensa, in quanto  sì fatta Logica conta ormai 24 secoli di esis tenza, di ammirazione e di attuazione  nel pensiero umano in genere e nel pensiero filosofico in ispecie.   Per ciocché concerne la importanza della Logica kantiana, benché questa, rela-  tivamente al tempo, conti poco più di un secolo di esistenza, pur la sua importanza  è assai grande, in quanto, da una parte, continua ed ulteriormente esplica la Logica  aristotelica, dall'altra, prepara la via, l'indirizzo e la stessa materia alla susseguente  Logica di Hegel.   Quanto poi alla Logica hegeliana, se la sua importanza rispetto al tempo è  immensamente minore della aristotelica, e, relativamente, della stessa kantiana, con-  tando appena circa un secolo di vita, pur non di meno, considerata come entit à del  fatto logico in se stesso, è grandissima anch' essa. Giacché, la Logica hegeliana, da  una parte ; riattaccandosi e contrapponendosi com e_ reale od ontolog ica alla aristotelica  ritenuta e detta formale, e, dall'altra, sviluppando, integrando e realizzando in un  compiuto organismo dialettico il tentativo ontologico kantiano, è divenuta il più impor-  tante fatto e pensiero logico de' tempi nostri. Quanto alla importanza della cosi detta Logica matematica, tale importanza  rispetto al tempo è di bel nuovo assai minore non solo della 24 volte secolare ari-  stotelica, e della poco più che secolare kantiana, ma della stessa secolare hegeliana.  Giacche la Logica detta matematica conta soltanto pochi decennii di vita, ed anzi,  nella sua ultima determinata forma, appena una ventina d'anni.   E da ultimo, per ciocche concerne la importanza della Logica indiana, tale impor-  tanza è grandissima anch'essa; in primo luogo, perchè la Logica indiana è una reale  e vera forma logica distinta dalle altre, e pensata ed esercitata da un popolo anti-  chissimo tuttora pensante e logicante con essa; in secondo luogo, perchè, rispetto  alla universale evoluzione della Logica in genere, la Logica indiana è la prima ma-  nifestazione, avente ragion di essere come le altre. A queste ragioni essenziali potrei  aggiunger l'altra di opportunità ; ed è che essa è assai poco conosciuta, ed è invece  degnissima di esserlo, il che avverrà coll'accenno mentovato della medesima.   Un'ultima considerazione rispetto alle predette forme logiche, e specialmente  rispetto alla sequela storica delle medesime, è la seguente. Che, cioè, benché la  indiana sia la prima in ordine di tempo, pur non nuoce, anzi giova di esporla, e trat-  tarla in ultimo, perchè essendo essa di un tipo abbastanza dissimile dalle altre enun-  ciate, sarà più agevole di intenderne ed apprezzarne la natura dopo aver esposte  quelle che rappresentano lo sviluppo maturo e razionale rispetto ad essa.   Il terso punto concerne lo scopo della trattazione delle predette Logiche. Il quale  scopo è quello di determinare quale è la vera natura di ciascuna di esse, consi-  derandole sì dal punto di vista storico, epperò evolutivo, sì dal punto di vista  teoretico.   Di tutti questi punti dunque tratterò separatamente, cominciando dalla Logica  aristotelica.  Aristotele è detto il Padre della Logica.   Sorge subito la quistione : Ma non_cI è_ un' altra_ L ogica prima _della sua ? e se ce  n'è un'altra, in qual relazione sono quest'altra e la aristotelica, da una parte, dal  punto di vista della anteriorità e della posteriorità, dall'altra, dal punto di vista della  evoluzione storica dall'una all'altra ?   La risposta a tal quistione sarà più opportunamente fatta e compresa dopo la  trattazione e giudicazione di tutte le predette Logiche. E veniamo alla Logica ari-  stotelica.   Innanzi tutto è bene di allegare le Fonti della nostra esposizione e trattazione.   Tutti intendono che la prima ed essenzial Fonte è Aristotele stesso e questa  noi avrem sempre presente nel testo originale. Aggiungiamo solo che, come Aristo-  tele, specialmente attraverso del Medio evo e del Rinascimento, è stato ripensato e  riferito nella famosa traduzione latina " interpretibus variis „, riconosciuta come giusta interpretatrice del grande filosofo greco, cosi noi ci serviremo anche di questa,  allegandola persino ordinariamente accanto al testo greco.   La edizione de' due testi che noi abbiam presente e seguiamo è quella della  « Academia Regia Borussica, Berolini, 1831-1836 „ fatta da Emanuele Becker e da  Cristiano Augusto Brandis.   Altre Fonti importantissime sono le seguenti:   Severino Boezio (l'infelice e insigne filosofo, condannato a morte e fatto uccidere  dal re Teodorico). Egli è uno de' più benemeriti della Logica aristotelica come tradut-  tore e illustratore degli scritti logici di Aristotele: Arist. Stag., Organimi, Boethio  Sever. interp. età, Venetiis, 1547.   Geschichte der Logik etc, von D/ Cari Prantl, che è un'opera addirittura mo-  numentale nel suo genere.   System der Logik und Geschichte der Logischen Lehren von D. r Friedrich Ueberweg,  4 e Àufl., Bonn, 1874: opera eccellente anche questa, dovuta al merito e alla giusta  fama di quell'uomo, che ha lasciato durevole traccia di sè anche nella Storia della  Filosofia.   Aristotelis Organon etc, edidit Theodorus Waitz Philos. Dr. Lipsiae, MDCCCXL1V:  importantissima e stimatissima opera in due volumi contenenti il testo greco e il  commento di lui al medesimo.   D. r Eduard Zeller, Die Philosophie der Griechen etc, nella quale (zweiter Theil,  zweite Abtheilung) vi è un volume speciale, di quasi un migliaio di pagine, trattante  di Aristotele.   Dello stesso Zeller è fonte anche preziosa il suo Grundriss der Geschichte der  griechischen Philosophie, specialmente nella 10 a edizione del 1911 (Leipzig) elaborata  (bearbeitet) dal D. r Franz Lortzing.   Trendelenburg, Elemento logìces Arist., Berolini, 1836, 9* ediz. 1892 : notissima   e importante operetta.   Barthélemy Saint-Hilaire, Logique d'Aristote, traduite, ecc. 4 voi.   Alle Fonti già indicate, che son le più importanti, aggiungerò quella del nostro  Galluppi che ha due' opere sulla Logica, luna quella degli Elementi di Filosofia, in  cui ha- una lunga trattazione della Logica pura; l'altra, amplissima, quella delle  Lezioni di Logica e metafisica; e, occasionalmente, forse anche qualche altra Fonte,  per esempio quella di Ruggiero Bonghi.   E ora vengo alla indicazione ed esposizione degli scritti logici aristotelici.  Gli scritti logici o V Organo (tò òqyavov) della filosofia aristotelica.  È opportuno riferire una osservazione che fa il Waitz [Arist. Org., II, 293 ss.),  e che accoglie e riferisce anche il Zeller (nel suo terzo volume precitato, pag. 187,  nota 3), sulle denominazioni di Logica ed Organo. Questi cioè dice che 8 presso gli  « espositori greci fino al sesto secolo „ non si trova ne l'una nè l'altra di queste deno-  minazioni come l'espressione tecnica e generalmente accettata degli scritti logici di  Aristotele : ma che però più tardi questi vengono " già denominati organici {òqya-  « vmd), perchè essi si riferiscono all' òqyavov (ovvero sM'ÒQyavixòv fiégog) tpOo-  ■ aotplag ».  Ciò posto, gli scritti logici costituenti l'Organo sono:   1° Le Categorie (KaziqyoQiaì);   2° De Interpretatione {LTeoì c EQH7]vslag) ;   3° I Primi Analitici (due libri) : 'AvaÀvzixà nqózEQa ;   4° 1 Secondi (o Posteriori) Analitici: 'AvaXvzmà vazEqa;   5° I Topici (8 libri): Tomxd;   6° 8U Elenchi Sofistici (De Sophisticis elenchis): Uocpiozixoì "EÀsyxot.   Le Categorie. Questa prima parte degli scritti logici aristotelici è importantis-  sima, perchè essa costituisce come un anello di congiunzione tra la Logica e la Me-  tafisica di Aristotele. Il lor significato e la loro estensione appartengono e si allar-  gano ad entrambe queste parti del pensiero filosofico aristotelico.   Il significato è che essi esprimono i supremi pensabili, cioè, i supremi concetti  sotto cui cadono e si aggruppano nel nostro pensiere gli ogge tti della universale  realtà.   Il numero di tali supremi pensabili, ovvero delle categorie, secondo Arist., è,  notoriamente, di dieci: infatti, egli dice (Kateg., cap. 4, all'inizio): zwv xazà firjóe-  filav ovfMiÀoxrjv Xeyofièvoìv è'xaozov tfzoi oiaiav ar\\iaivu ?} noaòv ^ noìbv fj tiqóq  zi f} nov ^ note f} xeìo&cu è'xEiv fj noietv ^ nda%Eiv. La traduzione latina men-  tovata di questo luogo suona : " Eorum quae sine coniunctione dicuntur, unumquodque  " aut substantiam significat aut quantum aut quale aut ad aliquid aut ubi aut quando  " aut situm esse aut habere aut agere aut pati „ ■   Il predetto numero e la denominazione delle Categorie son anche riferiti in modo  chiaro e preciso nei Topici (I, 9, al principio) come segue: è'azi óè zavza (scilic. zà  yévrj %&v xazr}yoQiùv) %òv àoid-fiòv déxa, zi èazi, noaòv, noiòv, JiQÓg zi, nov, nozè,  xeìo&at, e%eiv, noisìv, nào%siv (1).   Per lo scopo che io mi propongo non posso entrare in tutte le particolarità,  nelle quali entra la maravigliosa mente analizzatrice di Aristotele. Ma come rias-  suntivo dell'essenziale a tal riguardo allegherò il seguente luogo del Zeller (loc.  cit., pag. 267).   " Fra le singole Categorie, dice questo, la più importante è di gran lunga la  * SQstg^za, della quale in seguito dovrà parlarsi più diffusamente. La Sostanza, in  " senso stretto, è sostanza singola. Ciocche si lascia dividere in parti è un Quanto  " (ein Quantum) ; se queste parti son divise (getrennt), il Quantum è discreto, una Moltitudine (Menge); se esse sono insiem congiunte, il Quantum è una Grandezza;  " se sono in una determinata posizione (&éoig), la Grandezza è spaziale; se poi le  " parti son soltanto in un ordine (zd^ig) senza posizione, allora la Grandezza non e     (1) Vedi pei due luoghi greci Zeller, 3° voi, citato, pag. 259; e nel testo greco stesso, vedi  Arist., KaTijy., cap. 4° e Tonino, al luogo indicato. »   Secondo il gusto e l'uso de' versi memoriali, queste 10 Categorie furono espresse dal seguente  distico :   Àrbor sex servos calore refrigerat ustos ;  Cras ruri stabo, sed tunicatus ero.  spaziale (ist eine unràumliche). L'Indiviso (das Ungetheilte) o l'Unità, per mezzo  di cui vien conosciuta (erkannt) la Grandezza, è la Misura della Grandezza stessa;  ed è questa appunto la nota distintiva della Grandezza, che essa è misurabile, che  ha una Misura. Come la Quantità spetta (zukommt) al Tutto sostanzialmente di-  visibile, così la Qualità esprime le distinzioni mediante le quali vien diviso il Tutto.  Giacché per Qualità in senso stretto Aristotele non intende altro che la nota distin-  tiva, o la determinazione più vicina, in cui si specifica un dato Generale. E come  le due specie principali delle Qualità egli designa quelle che esprimono una deter-  minazione essenziale, e quelle altre che esprimono un movimento od attività. In  altro luogo egli novera quattro determinazioni qualitative come le principali; ma  - queste però si lasciano sottordinare a quelle due. Siccome nota propria della Qua-  ■ lità vien considerato il contrapposto di Simile e Dissimile. Del resto, l'istesso Ari-   * stotele è imbarazzato nel conterminare questa Categoria verso altre. Al Relativo  " appartiene tutto ciò, la cui propria natura o essenza (Wesen) consiste in un deter-  « minato comportarsi verso altro; e come tale il Rektivp_è quella. Categoria cui   * corrisnonde la minima realtà. Aristotele distingue di esso tre specie, le quali però  « si lasciano" ridurre a due. Ma in ciò egli non rimane eguale a sè stesso ; ed ancor   * meno sa evitare più di una miscela (Vermischung) con altre Categorie, ovvero ot-   * tenere una nota sicura di quella costituente il Relativo. Le altre Categorie furono   * da Aristotele sì brevemente trattate nello Scritto delle Categorie, che anche noi  " non possiamo trattarne più diffusamente „.   E basti di ciocche concerne le Categorie, e passo a dire del secondo scritto del-  l'Orbaco, cioè del   " IIeqì èqiirivtiac, „, o De Interpretatiom. Rispetto al tempo in cui fu composto  questo scritto, è bene di rilevare, che esso fu composto dopo gli Analitici, come lo  stesso Aristotele dice chiaramente ed esplicitamente al cap. 10 di questi.   L'oggetto di questo piccolo trattato dell' Ermemia è la £rojosizione, e non . nel  senso di pura e semplice pr oposizione grammatica le, ma di proposizione logica od  esprimente un pensiere logico.   Aristotele, analizzatore per eccellenza, comincia coll'esaminare e stabilire ^li  elementi della proposizione stessa, i quali non sono altro che i nomi delle cose. E  comincia a farlo con una osservazione importantissima intorno al nome (tò ovo/ia)  e al verbo (tò §fj/ta), la quale è che i nomi prima della loro unione, sia tra loro sia  col verbo, non esprimono nulla di vero e di falso. Ed anzi, secondo lui, quando si  dice nome (dvo/ia) in senso lato, vi si comprende anche il verbo IIzqì yàg   (die' egli al Capo I dell' Ermeneia) oév&EOiv k<xì òia'iQEoiv èan tò ipsvóog xal tò àAy&és  (nella corrispondente traduzione latina: * nam in compositione et divisione est ve-   " ritas aut falsitas „).   Quando poi col collegamento e colla divisione delle parole,, Qffàa d<jLnomi, co-  mincia la verità e la falsità, allora il noma, come specificamente logico, è propria-  mente Uyog. Uno scrittore che ha rilevata bene la differenza di òvofia e di Myog  e il Biese {Die Philosophie des Aristoteles, Berlin, 1835, I Bd., p. 55 e 90), dicendo  che " Uyog designa la parola in quanto è espressiva del pensiere „. In altri termini,  kóyog è la parola logica per eccellenza. Altra cosa notevolissima è che, secondo Aristotele (IIeqì 'Eq^veiag, c. 4), ogni  discorso, Àóyog, è significativo di alcun che (arjfiavxixóg) ; ... ma non ogni discorso  è enunciativo, giudicativo (dnotpavxixóg), sì bene quello che ha che fare {imdq%£i)  col vero e col falso. E soggiunge, ad esempio, che la preghiera {eb%<t\, deprecatio)  è certamente un discorso, ma non è nè vera nè falsa. Son dunque la verità e la  falsità che costituiscono la proposizione logica, o il giudizio, il quale senza di esse  non sorgerebbe nè verrebbe ad esistenza.   Che il g iudizio sia da Aristotele così concepito, ha una importanza straordinaria  rispetto alla quistione della Logica formale e della Logica reale od ontologica.   Comunemente si dice che la Logica di Aristotele è formale. Ciò è vero in certi limiti  e non in tutto e per tutto. Infatti, il dire che un giudizio è tale soltanto rispetto  alla verità ed alla falsità, vai tanto quanto dire che un giudizio è vero o falso se-  condo che esso è conforme o non conforme alle coso, ossia alla realtà. Per forma  che un giudizio non potrebbe neppure aver luogo, se, a così dire, non sorgesse ed  anzi non fosse prodotto dalle stesse cose reali.   Il Trendelenburg, autorevolissimo in tal materia, dice (1): " Senza un tal rap-  " porto alle cose non v'è alcun giudizio ». E, conformemente a ciò, lo stesso Tren-  delenburg ne' suoi Ehm. logie. Arisi., p. 63, aggiunge: Aristotelem, qui quidem enun-  ciationis naturam in rerum peritate positam esse voluit etc. Del resto, già in antico  aveva pensato ed espresso lo stesso Boezio (nel cit. Arisi. Stag. Organum, etc. pag. 6)  dicendo: " Sed denominationes istae (seilic. categoriae) ex rebus pendent etc. „   Ciò posto, passiamo a dire del giudizio, o, che vale lo stesso, della proposizione'  logica. E per l'esposizione di questo punto, ne' limiti dello scopo che ci proponiamo,  ci varremo degli stessi Analitici, i quali furon composti prima dell'Ermeneia, e nei  quali Aristotele ne aveva appunto trattato.   La Proposizione (Ilqóxamg) (2). La definizione che ne dà Aristotele è la seguente :  Ilqóxamg [tèv odv èaxl Zóyog xaxatpaxixòg fj dnocpaxixòg xivòg xaxd xivog : cioè: " La  ; proposizione è un discorso affermante o negante alcunché di alcunché „. E la fa-  mosa traduzione latina ha: " Propositio igitur est oratio affirmans vel negans aliquid  " de aliquo „.   Subito appresso, determinando l'estensione e la specifica natura della proposi-  zione, o del predetto discorso, dice: otixog de f xa&óÀov $ èv fiéqei j} dòióqiaxog.  Àéyo) de xad-óÀov fiev xò navxì i) (irjóevì fmaq%£iv, èv fiéqei de xò xivl % (irj navxì  iindqxeiv, àdióqiaxov òh xò Ò7iàq%eiv | fifj vnàq%eiv dvev xov xa&óAov, 1} xaxà fiéqog,  oìov xò xCùv èvavxiav slvai xrjv ctvxrjv èniax^firjv $ xò xrjv ^dovijv fifj eìvai dyadòv.  Cioè, nella traduzione latina: " Haec (scilic. oratio) autem aut est universalis, aut  " in parte (particolare), aut indefinita, universale appello omni aut nullo inesse, in  * parte vero, alicui aut non alicui aut non omni inesse, indefinitum autem, inesse  " aut non inesse absque universali aut particulari nota, veluti contrariorum eandem  t esse scientiam, aut voluptatem non esse bònum „.     (1) In Erlauterungen zu den Elementen d. aristot. Logik, 2 e Aufl. Beri., 1861, pag. 6.   (2) In Waitz, Aristotelis Organon etc, voi. I, pag. 368, vi è una interessante nota sulla voce  jiQÓiuais e le corrispondenti in Cicerone, negli Stoici ecc.     „ T ™< T* *ma*m Tf ATJTTANA ED HEGELIANA, ECC.   E qtì ad ulteriore intelligenza della eosa, debbo ricordare al lettore la famosa  finzione dello quattro forme di posizioni ohe rappresen ano una parte „ levan e  nella funzione del Sillogismo, cioè la Svenale affermativa, la umversaU nevai m la   7er 9 ouóle colle uote iniziali di a, e, i, o, prendendo « ed i da afnrnro ed e ed o da   "^Urliamo egualmente l'attenzione del lettore su di un'alt» parlar ^ricor-  rente poco appresso nel luogo stesso e riattaccante* a ciocche e teste detto che  ZTu dire di una cosa ohe è interamente in un'altra vai tanto quanto due che  essa interamente attribuita ad un'altra «-** -W*? « «•   ohe il re che una cesa non è in alcun modo frrt nHj B ™ lta °'  uanto dire che essa non è in alcun modo attribuita all'altra. Tott, ricenoscerann  TelTe due espressioni de. e del «* la ^   oorrisnondente espressione latina del Didum de amni et de nullo (2). .   Tvendo testò detto che nel trattare della Logica aristotelica m sare, limitato   ai punti fondamentali, Ve *V^SJS!^^^^^1  tale e che non posso a meno di riferire. Onesto concerne le regole della conversione  t esse e ricorre (ibid.) al paragrafo secondo; e per migliore intelligenza ed appre -  zam nt'o le allego nella sua integrità. Però nell'allegarie, s> perche e comunemente  neTa la lingua Francese, si per la grande autorità che ha un traduttore delle opere  aristoWi'he, quale è il B~mv ok S^-H^rna, mi valgo della tradu-   ZÌ °" Oomte tonte proposition (eoa, quest'ultimo) exprime quo la obese est sim-   ■ moment ou quelle est nécessairement, en qu'elle peut étre; et que dans tonte  •I pTee d'attributien, les prepesitions sont afflrmatives ou negative*: comme, de  - plus les prepesitions afflrmativee et négatives sont tant6t nmverselles, tentot par   • Mières tantot indéterminées, il y a necessitò ,ue la proposto simple umver-   • et privative pnisse se eonvertir en ses prepres termes; par exemple, s, neon   ■ nWsir Test un bien, il faut nécessairement anssi qu'aucun bien ne soit un plaisir.   ■ Crepo tion afiirmative doit anssi se convertir, non pas en umverselle, ma,   • L narticulière; si, par exemple, tout plaisir est un bien, il faut anssi quo qnelqne  . U sl un piparmi les prepesitions particella, ,'afnrmative se cenver   • nécessairement en particulière ; car si quelqne plars.r est un   • „ue quelqne bien soit un plaisir. Mais il n'y a pas de couversion necessaire peur   • a prTpositien privative: en effet, si homme n'est pas attrihnable qnelqne animai,  . il ne s'ensnit pas qne animai ne soit pas attribuable à qnelqne homnie.   ■ La règie (cosi ibidem, al paragrafo terzo) sera la meme encore pour les p.o     (1) Notoriamente in queste Ufiene delle Scolo, si esprime™ ciò, dicendo:   A.serit a, no B »t «, veruni universiditer «mbo:  Aisorit i. nogut o, Ter™ particulantei ambo.   (2) Il si.eiao.to di „..t. ».'*. & — « * "»» 6 <* e """"     positions nécessaires, c'est-à-dire que l'universelle privative se convertii en uni-  ! vergelle, et que chacune des deux affirmatives se convertit en parti culière... Quant  ' à la P r oposition particulière privative elle ne peut ici non plus se convertir, par  " la mème raison que nous avons dite plus haut.   ■ Pour les propositions contingentes, comme contingent se prend dans bien des  " sens, puisque nous disons que le non-nécessaire et le possible sont contingente,   * la conversion de toutes les propositions affirmatives se fera ici de la mème ma-  8 niòre... La règie change pour la conversion des négatives; mais elle est encore la   * mènie P° ur les Propositions où les choses sont dites contingentes, soit parce que  " nécessairement elles ne sont pas, soit parce qu'elles ne sont pas nécessairement.  *! Par exemple, si l'on dit que l'homme peut ne pas ètre cheval, et que la blancheur  [ peut a ' étre à aucun vètement, de ces deux choses lune nécessairement n'est pas,  " l'autre n'est pas nécessairement. Ici donc la convertion a lieù de la mème ma-  " mete. En effet, si ètre cheval peut n 'appartenir à aucun homme, ètre homme peut   * n'appartenir aussi à aucun cheval; et si blancheur peut n'ètre à aucun vètement,  ' vétem ent aussi peut n'ètre à aucune blancheur. Autrement, s'il n'y a nécessité que  '• vétemen t soit à quelque blancheur, blancheur aussi sera nécessairement à quelque   * véfcemen t- C'est ce qu'on a démontré plus haut. Au contraire, pour les choses que  " l'on dit contingentes, parce qu'elles sont le plus habituellement et naturellement  " de telle facon, ce qui est la définition que nous donnona de contingent, il n'en   * sera plus de mème pour les conversions négatives. Ainsi la proposition unìversèlle  " privative ne se convertit pas, et la proposition particulière se convertit. Ceci de-  ! viendra évident quand nous traiterons du contingent. Bornons-nous ici à constater,  " a P rès tout ce <l ui précède, que pouvoir n'ètre à aucune chose ou pouvoir n'ètre'  " pas à quelque chose, ont la force d'affirmation. C'est que le verbe pouvoir est  " place dans la proposition comme le verbe ètre; et que le verbe ètre, à quelques   * attributions qu'on l'ajoute, forme toujours et absolument une affirmation : par   * exemple, ceci est non bon, ceci est non blanc; ou, d'une manière toute generale,  « ceci est non cela. Du reste cotte théorie sera reprise et confirmée plus loin. Mais,  " quant aux conversions, ces propositions contingentes seront comme les autres pro-  " positions „.   E ciò basti per lo scopo propostomi, delle proposizioni, e passo a dire dell'ele-  mento del termine.   Il Termine (8qo S ). Questo è definito da Aristotele (ibidem), così: "Ogov óè xalib  rig ov diaAvztai $ 7tQÓ%aai Sì oìov %ó re xaTiryoQoépevov xal %ò xaWoi xait]yoQel-rcu  f] nQoa'uèefiévov % òuuQovftévov %ov elvai mei elvai. Ossia: Io chiamo termine  quello in cui la proposizione si scioglie, cioè l'attributo, e quello a cui si attribuisce,  sia che si aggiunga sia che si separi Tessere o il non essere (nella traduzione latina:  « Terminum vero appello in quem dissolvitur propositio, ut attributum et id cui at-  ■ tribuitur, sive adiiciatur sive separetur verbum esse vel non esse „). L'attributo e  quello a cui si attribuisce sono ciocche comunemente chiamiamo il predicato ed il  soggetto.   Ciocche è qui allegato intorno al termine concerne il concetto e la definizione  del medesimo. Ma vi sono altre particolarità essenziali che si riferiscono ad esso. Se non che, come queste si riferiscono più direttamente al Sillogismo, e si inten-  dono meglio dopo aver detto di questo, così io passo a dir prima di questo.   Il Sillogismo (avUoy^óg). - Prima di venire ad Aristotele stesso, è bene  ricordare un importante luogo di Boezio, il qual luogo è tanto più importante, m  quanto si riferisce alla natura non solo del Sillogismo, ma anche degli Analitici, che  sono la teoria del Sillogismo stesso.   " Duo sunt, dice Boezio (1), in syllogismo, tamquam in homine corpus et animus.  « In corpore est materia et dispositio ac ordo partium: in animo vis et vita et  « actio. In superiorità Analyticis (Primi Analitici) Aristoteles velut de syllogismi  « praecipit corpore, hoc est, de partibus, deque illarum nexu et compostone : ideoque  « priora nominantur. In his autem posterioribus, hoc est, interionbus, et magis re-  « conditis de anima ipsa syllogismi, nempe de demonstratione , de vi et efficacia  « rationis. Analytici libri sub Aristotelis nomine multi olim circumferebantur, sed hi  « quatuor ex orationis filo, totiusque praecipiendi rationis modo ac facie, Aristoteli  " sunt adiudicati, caeteris reiectis „. _   Veniamo ora ad Aristotele stesso, e primamente alla stupenda definizione che  egli dà del Sillogismo, la quale è e rimarrà sempre una delle più belle, più precise  e più espressive della vera natura del medesimo.   SvUoyiOfiòg èé hon Xóyog (2) èv § Ts&évwv tivùv foeqóv fi wv ^ifiévcov ég  àvdyxyg ov^aivzi *$ mvw rfvai. Cioè (in italiano): Il Sillogismo è un discorso,  nel quale, posto alcun che, segue necessariamente qualcosa d'altro da quel che e  posto, perciò solo che è posto. E la corrispondente traduzione latina ha: " Syllo-  « gismus autem est oratio, in qua quibusdam positis aliud quiddam diversum ab us  " quae posita sunt, necessario accidit eo quod haec sunt „.   A spiegar meglio il modo e la necessità della consecuzione, Aristotele (nella  predetta traduzione) soggiunge subito in continuazione: '< Dico autem eo quod haec  " sunt, propter haec evenire, ac propter haec evenire intelligo, nullo esterno ter-  " mino opus esse ut sit necessaria consecutio Il caso della consecuzione necessaria  senza bisogno di altro termine esteriore è poi quello che costituisce il Sillogismo  perfetto (léAeiog ovXXoyiafióg), come Aristotele lo appella.   Che il Sillogismo imperfetto (cheftfc) si possa poi ridurre al perfetto coi mezzi  da Aristotele indicati, è cosa a tutti nota, che occorre appena di rilevare.   Invece è bene di rilevare intorno al concetto aristotelico del Sillogismo alcune  cose degnissime di attenzione. La prima è che il rapporto delle proposizioni o de*  -iudizii sillogistici ed il procedimento de' medesimi son tali che costituiscono una  necessaria connessità. Il che importa che il Sillogismo non è un fatto accidentale,  ma è tale che ha una necessaria ragion di essere. La seconda è che la conclusione  non è una ripetizione e riproduzione delle due premesse, ma esprime altro da quel  che è espresso da esse: insomma, esprime un principio nuovo. Questa seconda cosa  è tanto più importante, in quanto in tempi posteriori ad Aristotele è stata messa     (1) In Abist. Stag., Organum, già mentovato, pag.   (2) Dic'egli subito all'inizio dei Primi analitici.  innanzi la opinione (1) che nella conclusione non si contenga un novello principio,  ma soltanto la ripetizione del contenuto delle premesse. Una terza cosa è che la  parola conclusione è a prendere ed intendere nel vero" significato di inclusione di uno  de' termini negli altri due : per forma che la conclusione esprime addirittura il vero  chiudersi de' termini l'un nell'altro.   E giacche si è accennato al concetto del Sillogismo, è hene di accennare anche  al concetto del Sofisma, il cui concetto è proprio l'opposto di quello del Sillogismo.  Infatti, il concetto di quest'ultimo, come si è visto, è costituito da ciò, che le due  premesse conducono ad una necessaria conclusione. Il concetto del Sofisma (tò oó-  <piafia) (2), al contrario, è costituito da ciò, che la conclusione è in contraddizione  colle premesse, che, cioè, queste non concludono rettamente, e però concludono fal-  samente. Ma del Sofisma si dirà più ampiamente in seguito.   Ora è opportuno di ritornare alla esposizione dei Termini, ad integrazione di  ciocche di questi è stato teste detto. I Termini di un Sillogismo son tre, e non pos-  sono essere più di tre (Sqol tQsìc;). I quali tre hanno un contenuto od estensione  diversa; e sono il termine maggiore (fist^ov àxqov), il minore (è'Àanov) e il medio  (%ò \ièaov). Aristotele li designa anche puramente e semplicemente coi nomi di  primo (tò TiQ&'cov), ultimo (tò ia%a%ov) e medio (tò [aégov).   Il numero di soli tre termini non vien contradetto neppure dal caso del Poli-  sillogismo, nel quale vi possono essere più medii. Perchè i più medii son ciascuno  sempre il medio di un solo Sillogismo nei varii Sillogismi costituenti il Polisillo-  gismo stesso, cominciando dal cosidetto Prosillogismo e terminando coll'Episillogismo.   Indicata la denominazione e l'estensione de' Termini, la maravigliosa e precisa  mente aristotelica passa alla definizione di essi, che è la seguente:   * Aèyoy de fisl^ov \iev àxqov èv tò fièaov èativ, e'àccttov de tò imo tò fièaov  òv... KaÀà) óè fièaov fièv o xal aèxò èv àÀÀ(p xal écÀAo èv to-ùto) èativ, 8 xal %f\  &éoei yiyvEtai fièaov. axqog oh tò aè%ó te èv dAÀq> ov xal èv & àXXo èaiiv (3).  Cioè (in italiano): Chiamo (termine) maggiore quello in cui è (contenuto) il medio;   e (termine) minore quello che è accolto nel medio Chiamo termine medio quello   il quale è esso stesso in un altro, e nel quale è alla sua volta un altro, che divien  medio anche per posizione. Chiamo poi estremi sì quello che è in altro, sì quello in  cui è altro. E la nota traduzione latina ha : " Maius extremum appello, in quo medium  " est, minus autem quod est sub medio... Voco autem medium quod et ipsum est  " in alio, cum aliud in ipso sit, et positione quoque sit medium. Estrema autem  " appello et id quod est in alio, et id in quo est aliud „.   L'esser medio per posizione vuole uno schiarimento, che fa comprendere come  questa espressione aristotelica nella dizione greca è perfettamente esatta. Infatti,  nella prima Figura sillogistica (che è quella del Sillogismo perfetto) noi diciamo:  B (l'uomo) è A (mortale); C (Pietro) è B: dunque C è A.   Aristotele, invece, nella dizione greca dice:   A vale di B; B vale di C; dunque A vale di C.     (1) Opinione già espressa dagli antichi scettici, e poi ripetuta ne' tempi moderni.   (2) Amst, Top., 8, 11.   (3) Ibid., paragr. 4.     Sicch, dna,a, U medio -» nt .a vera   Ma questa popone medtana non e q»> ^ ^ come   la conclusione. ; Qfflntfismo Aristotele ne fa cadere   Però, ooanto a -amerò * che ne. Sillogismo non   tatto il poso «olle promesse, e penano m p u» Ae e dimostraai(m e ed ogni   vi sono ohe A» proposizioni. E dopo aver dette ^consta, e ogn   Siilogismo di soli tre termini (nella tradazmne '^^Zm^J^,:   ■ 8 iCplan.mestotiams y llo S ismnmoe„stareexdaabas propos t,on » ^ p   preponi ohe 4 »i sono indahhiamen e ^ ^ adsu .   • mini sunt doae propomtiones (o. yaQ r?«S »v » 3ec nndnm priama t„r, at i„i,i.dictnmest,adper a eiendos «J**»^^^^, Lia eipa.es pro^ositiones ^ * -^J^TlC^ » —   : ffs :^^r^ti~ - *U-r + — -   ? dimidia pars propositionum „. _ . . , , q:ii ft „i Bm0 la Logica aristo-   ::' "re S?- " — ""•   seguenti otto (ricorrenti in tutte le Logiche delle Scuole).   Termina esto triple*, medius, maiorque, minorque;  Latius hos quam praemissae concludo non vult;  Nequaquam medium capiat concludo oportet;  Jtot semel, mot iterum medi™ generalità esto;  Utraque si praemissa neget, mail inde sequetur;  Ambae affirmantes nequeunt generare negantem;  Nil sequitur geminis ex particulanbus unquam;  Peiorem sequitur semper conclusio partem.   ki igiene di ,neste rogo.e si a^ «ohe ^  le cosi dette diverse forme di Sillogismo, cerne sono 1 Enhmema, V   pag. 95 seg.), ne allego £££££ oviaiano: . SOTV are potai: perderò   Dd»~~ _«* ^^tldolo .11. forma sillogistica di tre prepo-  " an possim, rogas „ ? & lo spiega, nuu   taPP itit:::v:c: o u^^  lettore ne trova in tutte le Logiche che vanno per le Scuole; e passo a dire delle  Figure sillogistiche pur ricorrenti negli Analitici, e intimamente connesse col Sil-  logismo.   Le Figure (%à affiliata) sillogistiche.   Secondo Aristotele il Sillogismo è di tal natura che si distingue in tre Figure  sillogistiche, delle quali la prima {o%i\fia jiqùxov) poggia sul Sillogismo perfetto,  la seconda e la terza (axVP® devtegov e o%ruia tohov) poggiano sul Sillogismo im-  perfetto.   E qui è necessario di rilevare una cosa, che a primo aspetto pare di poco mo-  mento, ma che è invece importantissima. Ed è che Aristotele nella esposizione e  dimostrazione delle predette tre Figure si serve come simboli delle lettere dell'Al-  fabeto greco, specialmente delle prime tre del medesimo a, /?, y.   Il significato dell'adoperamento di tali simboli, specialmente per l'applicazione di  queste alle Matematiche, sarà detto tra poco.   Tornando alle Figure, è bene avvertire che Aristotele per esse si vale in com-  plesso degli stessi esempi allegati per triplicità di termini, dovendo ciascun di questi  rappresentare uno de' tre termini sillogistici.   Così, per darne una idea, nella prima Figura (ove adopera i simboli alfabetici a, p, y)  si vale de' termini piacere - bene - animale ; animale - uomo - cavallo ; scienza - linea -  medicina; bene - abito - sapienza ; bene - abito - ignoranza; bianco - cigno - neve.   Nella seconda Figura (ove adopera i simboli alfabetici <5, e, £, ecc.) si vale di  questi esempi, animale - cavallo - uomo ; animale - inanimato - uomo ; animale - scienza -  animale selvaggio; corvo - neve - bianco.   Nella terza Figura (ove adopera i simboli alfabetici n, q, o) si vale di bel nuovo  degli stessi esempi, che ricorrono nella prima e nella seconda.   E, per essere quanto è possibile esatti, soggiungo che nelle stesse due Fi-  gure seconda e terza, oltre agli indicati simboli alfabetici, si vale anche dei primi  tre a, /?, y.   La conclusione cui giunge Aristotele nelle indicate operazioni è che " tutti i   * sillogismi imperfetti diventan perfetti mediante la prima Figura (nel famoso testo   * latino : perspicuum est omnes imperfectos syllogismos perfici per primam figuram) „ .   La maravigliosa analisi di Aristotele intorno al Sillogismo non si arresta a ciò,  ma si estende alla considerazione e determinazione di altre forme del medesimo,  quali sono il Sillogismo per Analogia, il Sillogismo per Riduzione all'impossibile, quello  per Induzione, per Ipotesi, per Verisimiglianza, ecc. Ma noi non possiamo entrare  anche nella considerazione di queste forme speciali sillogistiche, e passiamo a consi-  derare la seconda delle tre predette cose.   Questa seconda è quella concernente la diretta relazione delle Scienze matema-  tiche colla prima Figura, o, che vale lo stesso, col Sillogismo perfetto : il qual punto  è da Aristotele trattato nel Primo degli Analitici Posteriori.   Prima di riferire da questi ciocche concerne le Matematiche, rilevo che Aristo-  tele anche per queste, come ha fatto per le altre discipline, si vale di esempi per  chiarire e determinare la cosa. Se non che gli esempi che egli arreca per esse sono sopratutto di natura matematica. Infatti (nel paragrafo 5 ibid.) allega i seguenti  esempi tratti dal punto, dalla linea, dal triangolo, ecc.: K Triangulo, dio'egli nella famosa traduzione latina, inest linea et lineae punctum; ed anche: Triangulo,   * qua est triangumm, insunt duo recti, quia per se triangulum est aequale duobus  " recti s, etc. ».   Ed è, inoltre, oltremodo importante per la determinazione della natura delle  Scienze matematiche, che per lui (ibid., paragr. 13) Me Scienze matematiche versano  " intorno alle forme, perchè le cose matematiche non sono in alcun soggetto „ (" etenim  " scientiae mathematicae circa formas versantur, quia res mathematicae non sunt in   * ullo subiecto „) (1).   Ciò posto, venendo alla considerazione della diretta relazione delle Scienze mate-  matiche col Sillogismo e colle Figure sillogistiche, dice (ibid., paragr. 14): « Delle  8 Figure la prima è attissima a produrre la scnenza; imperocché le Scienze matematiche \  " effettuano le dimostrazioni .mediante tal Figura, come V aritmetic a, la geometria^ e |  « l'ottica „ (nel testo latino: " Ex figuris autem prima est ad scientiam gignendam   * aptissima ; nam mathematicae scientiae per hanc figuram demonstrationes afferunt   * ut arithmetica et geometria et optice   Passo alla terza ed ultima delle tre cose predette, a quella, cioè, concernente  la formazione della conoscenza. La qual formazione è dal grande filosofo (al paragr. 19,  ultimo degli Analitici Posteriori) espressa come segue: " Dal senso si genera la  " memoria Ma dalla memoria, formatasi dalla ripetuta riproduzione della stessa   * cosa, si genera l'esperienza; giacche molte memorie costituiscono una sola esperienza.   * Se non che, dalla esperienza si genera il principio dell'arte e della scienza;   ' dell'arte, se spetta alle cose della generazione (2); della scienza, se spetta a ciocche  «è,; (nella traduzione latina: " ex sensu igitur fit memoria ex memoria vero   * saepe eiusdem rei facta fit experientia; multae enim memoriae numero sunt una   * experientia; at vero experientia fit principium artis et scientiae, artis, si per-   * tineat ad generationem, scientiae, si pertineat ad id quod est „) (3).   La considerazione dell'arte è ciocche con stupenda designazione poco appresso  è denominato <5ófa, mentre la considerazione della scienza è appellata Àoyiafióg (4).   Ed ora è tempo che veniamo a determinare quale è in Aristotele il significato  dell'adoperamento dei simboli alfabetici come espressione del Sillogismo e delle Figure  sillogistiche. Ebbene, tal significato, brevemente indicato nella sua genericità, è che  le proposizioni del Sillogismo (le premesse e la illazione) in tutte le Figure sillogi-  stiche di questo vengono intese e adoperate in Forma universale, ossia in forma  estensibile ed applicabile a tutti gli elementi della Realtà.   Ora, questi elementi sono tre, il quantitativo, il qualitativo, e l'unità di entrambi,  ossia il modale (il modo, la misura). Che questo triplice elemento sia costitutivo     (1) E subbie tto ...vai. qui obbietta, cioè, singola e determinata ,_cosa_del_la realtà.   (2) La generazione concerne il sorgere e perirò delle cose.   (3) " Id qnod est „ nel corrispondente greco rò.Sv, e ciocche nell'Hegelianismo, e propriamente  nella Logica hegeliana, è stato designato come das Sein an und fiir sich.   (4) Anche questa denominazione di Àoyurpós è degna della più grande considerazione, perche  Aristotele ha già con essa additato e determinato l'elemento logico come elemento scientifico per  eccellenza, lasciando all'arte il carattere di elemento soltanto opinativo.  della Realtà, emerge indirettamente dalla stessa tavola aristotelica de' giudizii, cioè  de' giudizii quantitativi, qualitativi e modali, come più chiaramente si sono appellati  nelle posteriori Logiche aristoteliche delle Scuole.   Qui basti l'avere accennato di ciò; le importanti applicazioni che ne derivano  rispetto alla Scienza matematica e alla voluta corrispondente Logica matematica le  faremo, quando giungeremo alla esposizione e giudicazione di quest'ultima; e ritor-  niamo per ora all'argomento delle Figure sillogistiche, per prendere in considerazione,  da una parte, i Modi, dall'altra, il Numero di esse.   Quanto ai Modi, è di bel nuovo il caso di dire che essi sono comunemente al-  legati e discussi in tutte le Logiche aristoteliche delle Scuole. Fra i tanti uomini  autorevoli che potrei citare a tal riguardo, rimando il lettore alla citata Logica e  Storia della dottrina logica di Friedrich Ueberweg, che ne tratta ampiamente a  pp. 296-344. Ma, per un breve ricordo di questo punto della Sillogistica, mi varrò  invece del nostro insigne Galluppi, il quale, nelle Lezioni di Logica e Metafisica,  Milano, Voi. I, pp. 358-385, espone tal dottrina con la solita sua lucidezza e preci-  sione. Della sua esposizione e discussione di questa materia, io riferirò brevemente  1 essenziale.   " Il Modo del sillogismo (dice egli, p. 36) consiste nella disposizione delle tre   * proposizioni secondo le loro quattro differenze A, E, I, 0 „.   Ora, * secondo la dottrina delle combinazioni, quattro termini quali sono A, E,  " I, 0, venendo presi tre a tre, non possono diversamente disporsi in più di 64 ma-   * niere ; ma di queste 64 maniere, 54 sono escluse dalle regole generali sillogistiche „  che sono state innanzi allegate: " restano perciò soli dieci Modi concludenti „.   Ma ciò non vuol dire " che solo dieci sieno le specie de' Sillogismi, perchè un  " solo di questi Modi può formare diverse specie „, secondo la varia disposizione de'  tre termini innanzi detta.   E qui il nostro Galluppi dispone addirittura i tre termini secondo le possibili  combinazioni, e ne risulta una tavola di 64 Modi, emergenti dalle quattro Figure  sillogistiche, delle quali egli indica anche brevemente le diverse regole.   A questo breve cenno aggiungo però volentieri due cose: l'una, alcuni versi  memoriali dei Modi delle quattro Figure: l'altra, un esempio di Sillogismi secondo i  predetti Modi.   I versi memoriali, fra i tanti, li allega Federico Ueberweg, loc. cit., p. 343 seg.,  come segue:   Barbara, Celarent primae, Darii Ferioque.  Cesare, Camestres, Pestino, Baroco secundae.  Tertia grande sonans recitat Darapt, Felapton,  Disamis, Datisi, Bocardo, Ferison. Quartae  Sunt Bamalip, Caleraes, Dimatis, Fesapo, Fresison.   Dinanzi a queste parole stranissime e non additanti per se stesse alcun senso,  il buon Galluppi fa la seguente sensata osservazione: " Queste formole (dic'egli,  " ibid., p. 368), di cui la prima cominciava infelicemente con barbara, sembreranno in  " effetto oggi molto barbare. Esse hanno ricevuto più ingiurie in un secolo, che onore  " in mille anni; esse hanno terminato col cadere in un intiero obblio; coloro che oggi le volgono in ridicolo non si hanno sempre dato la pena di meditarle... Il filo-   * sofo che riflette con attenzione sulle regole dell'antica Logica è sorpreso nel vedere  " sino dove gli autori avevano portato l'analisi del ragionamento. Colla più severa   * imparzialità alcuno non può impedirsi di convenire che ciascuna di queste regole   * era di una rigorosa esattezza, e che il loro insieme era sì completo che una sola  ■ delle forme possibili del ragionamento non era loro sfuggita. Aristotele, senza dubbio  u non aveva sovente il soccorso dell'esperienza : era questa la disgrazia del secolo, nel   * quale egli nacque; ma egli è stato forse il pensatore più profondo, il genio più   * eminentemente didattico che si sia mostrato sull'orizzonte della filosofia. Io dubito  8 che siensi innalzate dopo teoriche sì belle come quelle di cui egli ci ha lasciato il   * modello „.   Quanto alla profondità e genialità di Aristotele, il Galluppi ha perfettamente  ragione, e queste due doti spiccano di tale luce e verità proprio nella sillogistica  aristotelica e ne' Modi della medesima, che i posteri non hanno avuto ad aggiungervi  nulla, o nulla d'importante. Solo che, contrariamente al Galluppi, che accoglie il  pensi'ere, da non pochi seguito, delle quattro Figure, il grande Stagirita non ne  ammette che tre con tre soli corrispondenti Modi (1). Ma del Numero delle Figure  e de' Modi fra poco. Un esempio, intanto, del ragionare e concludere secondo le quattro  Figure, è pel Galluppi il seguente:     (1) La tavola aristotelica dei Modi, quale ricorre in Waitz, Arisi. Organon, voi. I, pag. 385  (rilevando le espressioni tecniche di nata navtòg, **** m óevòg ecc., sia colle corrispondenti De omm  et de nullo ecc., sia colle note quattro iniziali A, E, I, 0), è la seguente:     I. a', tò A xatà jiavTÒg tov B,  tò B %mà navTÒg tov P,   tò A narà navtòg tov P.   IL tì'. TÒ A xatà fAfi&svòg zov B,  tò A xatà navzòg zov P,   rò B xazà fiydevòg zov P.   y'. tò A xatà /^ijóevòg zov B,  zò A xazà Tivòg tov P,   zò B xatà Tivòg tov P ov.   III. tò A xazà navzòg tov P,   tò B xazà navzòg zov V,   zò A xazà zivòg zov B,   y' . zò A xazà zivòg zov P,  zò B xazà navzòg tov P,   zò A xazà Tivòg zov B.   e', zò A xazà zivòg tov P ov,  tò B xazà navTÒg zov P,   tò A nata zivòg tov B oli     §. tò A nata ^ijóevòg zov B,  tò B xarà navTÒg tov P,   tò A xazà /^tjdevòg tov P.   /5'. rò A xazà navzòg tov B,  tò A %aTà j^rjÒEVÒg zov P,   tò B naia fA,t]devòg zov P.   5'. tò A xazà navzòg tov B,  zò A xazà zivòg zov P off,   tò B xazà zivòg zov P oi!.   zò A xazà [A,t]Sevòg tov P,  tò B xazà navzòg tov P,   tò A xarà zivòg tov B ov.   ò". tò A nata navTÒg zov P,  zò B xazà zivòg tov P,   tò A xazà Tivòg tov B.   zò A xarà fifiòsvòg zov T,  tò B xazà zivòg tov P,   tò A xatà tivòg tov B oil.Figura   (avente il medio come sogg. del magg. e predio, del minore)   Ogni sostanza pensante è semplice,  L'anima umana è sostanza pensante,  L'anima umana è dunque semplice.   II Figura   (avente il medio come predicato de' due estremi)  Niun corpo è una sostanza pensante,  L'anima umana è una sostanza pensante,  L'anima umana dunque non è corpo.   Ili Figura   (avente il medio come soggetto de' due estremi)  Ogni sostanza pensante è semplice,  Ogni sostanza pensante è indistruttibile,  Dunque qualche sostanza indistruttibile è semplice.   IV Figura   (avente il medio come predio, del maggiore e sogg. del minore)   Qualche essere semplice è sostanza pensante,   Ogni sostanza pensante è attiva,   Dunque alcune sostanze attive sono esseri semplici.   Il numero delle Figure e de' Modi. — Il lettore ha visto a pie' di pagina le tre  Figure e i tre corrispondenti Modi aristotelici allegati dal Waitz. Del Waitz riferisco  volentieri una osservazione concernente la seconda e la terza Figura, nelle quali ei dice  (loc. cit.): " ultimum modum secundae et quintum tertiae Figurae non demonstrari nisi  8 deductione facta ad absurdum „.   Galluppi, come si è visto, ha opinato doversi ammetter come valida anche la  quarta figura e i corrispondenti Modi. Ma, francamente detto, il Sillogismo, ch'egli  ne arreca ad esempio, da una parte, cammina stentatamente, dall'altra, è di difficile  comprensione. In generale, potrebbe dirsi che la mente umana nel suo naturale proce-  dimento logico non ragiona in quel modo. E un ragionamento logico che contraria  la natura nè può considerarsi come il migliore, nè deve ammettersi come buon proce-  dimento logico.   À conferma di tale osservazione rilevo che in generale i grandi filosofi si son  tenuti alla aristotelica triplità di Figure e di Modi.   Notoriamente, è stato il famoso medico Claudio Galeno di Pergamo (1) quello  che ha così " legato il suo nome alla Dottrina del Sillogismo (2), che apparisce in  " quasi tutti i compendii della Logica, anche ne' più triviali. Galeno, cioè, secondo   * l'espressione comune, ha accresciuto il numero delle tre Figure aristoteliche del Sillo-  " gismo categorico coll'aggiunzione di una quarta, nella quale il concetto (o termine)  " medio è predicato della maggiore e soggetto della minore „. Soggiunge che " la   * notizia di tale innovazione „ " non si trova in tutta la Letteratura greco-romana „,     (1) Zellek, Grundriss d. Gesch. d. Griechischen Phiìosophie, nella citata 10" ediz. del 1911 del  Loktzing, pag. 298, come anni di nascita e di morte 131-201 d. C.   (2) Così Prantl, Gesch. der Logìlc, età, I Bd., pag. 570 s.     ECC.     117     e che proviene da fonte arabica, e propriamente da Averroe. Il quale Averroe, per  Giunta ne fa menzione proprio nella confutazione che fa della quarta Figura.   Alcune altre particolarità importanti tanto rispetto ai Modi, quanto rispetto alle   Figure sono le seguenti.   Quanto ai Modi, Aristotele, per ognuna delle tre Figure da lui ammesse e cor-  rispondentemente alle possibili combinazioni delle loro proposizioni secondo le indi-  cate lettere A E I 0, ha trovato che i Modi valevoli, perchè non contrarli alle otto  regole sillogistiche, sono 4 per la prima Figura, 4 per la seconda e 6 per la terza,  in tutto dunque quattordici.   Galluppi, che (con Galeno) ha ammesso la quarta Figura, ha anch'egli esaminato  le combinazioni e Modi che son possibili e valevoli in questa; ed ha trovato che,  accanto ai molti Modi contrarli alle otto regole sillogistiche, ve ne sono però 5 validi;  sicché il nostro filosofo napoletano, invece di 14, ammette 19 Modi validi.   Quanto poi alle Figure, va considerato un ultimo punto importante, cioè, quello  della riduzione della 2* e 3 a Figura, che danno sillogismi imperfetti, alla l a che   sola li dà perfetti. ,   Ora, tal riduzione, secondo Aristotele, avviene per mezzo di conversione: Azi yaq  ytyvstai òià %fjs dvvunqof^g ovUoyiGfióg, dic'egli, Anal. Pr., I, cap. 7.   Inoltre, la conversione può avvenire in due modi, cioè, o estensivamente, ovvero  per riduzione all'assurdo òemtix&$ % tov àòvvàiov).   E da ultimo, secondo lui, " tutti i sillogismi, quando sono rettamente convertiti,  « si riducono a sillogismi universali della prima figura „ {tpaveQÒv ovv fot 7zdv%eg  àva%Sf\aov%ai eig rovs & %<$ nqcbto? oxfipan xa&óXov ovMoyiopovg).   Di quest'ultimo punto, a maggior intelligenza e a complemento della cosa, allego  la solita traduzione latina non soltanto de' passi corrispondenti a quelli da me alle-  gati in greco, ma anche della rimanente parte, che è dimostrativa e illustrativa dei  medesimi La traduzione suona così: « Semper enim fit syllogismus per conversionem,  « praeterea manifestimi est pronuntiatum indefinitum prò attributivo particulari  « acceptum efficere eundem syllogismum in omnibus figurili, item perspicuum est  « omnes imperfectos syllogismos perfici per primam figuram. aut enim demonstratione  " aut per impossibile perficiuntur omnes: utroque autem modo fit prima figura, ac  « demonstratione quidem si perficiantur, fit prima figura, quia sic omnes perficie-  « bantur per conversionem: conversio autem efficiebat primam figuram. si vero per  « impossibile confirmentur, adhuc fit prima figura, quia posito quod falsum est, syl-  " logismus conficitur in prima figura, ut in postrema figura si tò a ac tò p omni y,  « probatur tò a inesse alicui p. nam si tò a insit nulli 0 ac tò § omni y, tò a  « inerit nulli y. sed antea positura erat omni inesse, similiter fit etiam in alns. licet  • etiam reducere omnes syllogismos ad syllogismos universales primae fìgurae. nam  » qui fiunt in secunda figura, sine dubio per illos perficiuntur, non tamen omnes  « eodem modo, sed universales converso pronuntiato privativo, particularmm autem  « uterque per deductionem ad impossibile, particulares autem primae fìgurae perfì-  » ciuntur quidem per se ipsos, sed licet etiam secunda figura eos confirmare ducendo  « ad impossibile, ut si tò a inest omni |3 ac tò p alicui y, tò a inerit alieni y. nam  » si nulli insit, omni autem fi insit, certe nulli y tò § inerit: hoc enim scimus per  « secundam figuram. similiter enim in privativo syllogismo erit demonstratm. nam  si zò a nulli | ac %b 0 alicui y inest, tò a alicui y non inerit. etenim si omni  ■ insit ac nulli § insit, zò § nulli y inerit: hoc enim erat media figura, itaque cum  " omnes sillogismi mediae figurae reducantur ad syllogismos universales primae  1 figurae, particulares autem primae ad syllogismos secundae, perspicuum est etiam  " syllogismos particulares primae figurae reduci ad syllogismos universales primae  " figurae. qui vero fiunt in tertia figura, terminis quidem universaliter acceptis statim  " per eos syllogismos perficiuntur, terminis autem in parte sumptis perficiuntur per  " syllogismos particulares primae figurae. hi vero ad illos reducti sunt: quapropter  " ad eosdem reducentur etiam syllogismi particulares tertiae figurae. perspicuum  " igitur est omnes reduci ad syllogismos universales primae figurae „.   E ora, ritenendo di aver detto a sufficienza della Sillogistica aristotelica, passo  a dire del quinto scritto dell'Organo, cioè di quello de' Topici.     I Topici {Tonino). — Di questo scritto del grande Stagirita Boezio (loc. cit., p. 7)  dà la seguente notevole informazione e giudicazione: " Topica: hoc est, loci, unde  " ducuntur argumenta. Opus est octo voluminibus distinctum, varium sane, hoc est,  " multae eruditionis et observationis rerum diversarum. Sed ut illa omnia primus  " ipse pariebat, non potuit tam multa simul edere, simul expolire : itaque relieta est  " velut ingens quaedam materia et dives, ad extruendum pulcherrimum aedificium   Questo giudizio di Boezio, primamente, è vero, come il lettore stesso se ne  convincerà dal cenno che noi faremo de' Topici; secondamente, ha grande importanza  anche per l'influenza da Boezio esercitata nell'insegnamento logico delle Scuole cri-  stiane medioevali (1). Accanto al giudizio di Boezio debbo riferirne un altro vera-  mente acuto e profondo di Trantl {Gesch. d. Logik im Abendlande, t** Bd., 1855,  Leipzig, pag. 341) sulla grandezza speculativa della mente di Aristotele. Prantl dice  che ■ la superiorità {Ueberlegenheit) della mente di lui era capace di esaminare secondo  " il concetto {begrifflich) e di costruire teoricamente secondo concetti adeguati anche campi (Gebiete) ed aspirazioni che sono al di sotto della speculazione propriamente  " detta », come sono il campo e la materia de' Topici.   Rispetto a' Topici riferisco volentieri anche una circostanza rilevata dal Zeller (2),  che cioè,il 5° libro de' Topici rimastoci non provenga da Aristotele, come dimostra  " Pplug, de Ar. Topicorum libro V (1908) „. Ma, ciò nonostante, noi ne accenneremo  egualmente.   Cominciando dal Libro I, Aristotele subito nel primo paragrafo indica lo scopo  de' Topici in genere, il quale scopo è quello di trovare il metodo di argomentare  di ogni problema proposto dajrobabili je£ èvóófrv), e disputarne in guisa da non  dir nulla di ripugnante. Nella traduzione latina il predetto scopo è indicato così:  * Propositum huius tractationis est invenire methodum per quam possimus argumentari     (1) Tale influenza viene attestata da tutte le parti; la confermano, tra gli altri, Friedrich  Ueberweg-Heinze nel Grundriss d. Gesch. d. Philosoph., 8° Aufl., das Alterthum, Beri., 1894, p. 213.   (2) Nel Grundriss d. Gesch. d. GriecMsohen Philosophie della citata ediz. 10% 1911 del Loetzino,  pag. 174.  « de omni proposito problemate ex probabilibus, et ipsi disputationem sustinentes   " nihil dicamus repugnans „ (1). _   E soggiunge doversi innanzi tutto dire " che cosa sia il Sillogismo „, estenden-  dosi intorno a questo ed indicarne le diverse specie, ecc. E non ha torto di dire del  Sillogismo, della sua natura, delle sue specie, ecc.; perchè, se lo scopo della tratta-  zione de Topici è quello di trovare il metodo di argomentare, foss'anche da' probabili,  l'argomentare è un sillogizzare, e quindi bisogna conoscere come si sillogizza, ecc.  Ed in generale il lettore vedrà che in questi Topici si tratta di una grande quantità  di cose di cui si è già trattato nelle Categorie, nell'Ermeneia e negli Analitici tanto   Primi quanto Secondi.   Intanto Aristotele, sempre preciso, dice subito ivi stesso che cosa debba inten-  dersi per probabile. E lo determina dicendo (nella traduzione latina): " Probabile  « autem sunt ea quae videntur omnibus vel plerisque vel sapientibus, atque his vel  « omnibus vel plerisque vel maxime notis et claris „.   Nel secondo paragrafo investiga e determina « a quante e quali cose sia ntite  « questa trattazione , de' Topici. E statuisce che ella sia " utilis ad tna, ad exerci-  « tationem, ad congressi, ad philosophicas scientias. quod igitur ad exemtationem  « sit utilis, ex his perspicuum est, quoniam hanc methodum habentes facile de omni  « re proposita poterimus argumentari, ad congressi autem, quia multorum opmiombus  » enumerata, non ex alienis sed ex propriis singulorum sententns poterimus cum  « eis a-ere refellentes quod non recte dicere nobis videtur. ad philosophicas autem  « scientias, 'quia cum poterimus in utramque partem dubitare, facile in smgulis per-   " spiciemus veruni et falsum „.   Il predetto metodo, soggiunge egli nel terzo paragrafo, sarà perfettamente pos-  seduto, quando lo si adoprerà nella retorica e nella medicina, come fanno l'oratore  e il medico.   Ho rilevata volentieri questa circostanza della retorica e dell oratore, perche  tutti sanno come questa materia trattata ne' Topici è passata realmente, se non m  tutto certo in buona parte nella Retorica: Retorica, che specialmente noi vecchi  abbiamo studiata, con qualche profitto sì, ma anche con non poca pedanteria d'in- \  segnanti e d'insegnamento.   Sono stato piuttosto diffuso nella indicazione di queste generalità del 1° Libro  de' Topici per dare una idea della trattazione e del modo di trattazione de' mede-  simi. Ma ora procederò più speditamente e più brevemente, fermandomi però alquanto  di più ne' punti di maggiore importanza.   Nel paragrafo 4 continua ad occuparsi di sillogismi e di proposizioni, ma con  riguardo ai principii comuni ad entrambi, come sono il genere, il proprio, l'accidente,  Indifferenza, la definizione, ecc.; e nei seguenti paragr. 5 e 6 determina e illustra  siffatti principii.   Nel paragr. 7 pone il quesito: 11 Quot modis idem dicatur , ; e lo risolve dicendo:     (1) Quanto alla materia de' problemi proposti, anch'essa, secondo l'uso delle Scuole, fu espressa  nel seguente verso memoriale:   Quis? quid? ubi? quibus auxilds? cur? quomodo? quando? Videri autem possit idem, ut typo expìicem, tripertito distributum esse, aut enim numero aut specie aut genere idem soliti sumus appellare, etc.   Più avanti al paragr. 9 si propone di definire i generi delle Categorie, e di indi-  carne il numero, che è di dieci; e il relativo luogo è stato già riferito.   Nei paragr. susseguenti determina la natura della proposizione dialettica, del  sillogismo dialettico, della tesi (determinata al paragr. 11 come " sententia alieuius  * nobihs philosophi , ut dicebat Antisthenes ,).   Nel seguente paragr. 12 si propone di " esplicare quot sint rationum dialecti-  « «tram species „; e in seguito si occupa ancora de 3 generi delle proposizioni, per  quindi occuparsi nel paragr. 17 della somiglianza (e propriamente della « similitudo consideranda in iis quae sunt in diversis generica „). E con ciò si chiude la consi-  derazione del 1° Libro.   Il lettore che consideri bene la trattazione aristotelica deve convenire nell'acu-  tezza e giustezza del giudizio di Boezio intorno ai Topici.   Libro II. Nel primo paragrafo di questo, Aristotele torna ad occuparsi de' pro-  blemi, in quanto « alia (scilic. problemata) sunt universali», alia particularia „ ; e si  fa a considerarli ne' diversi rispetti della generalità e della particolarità.   Nei paragrafi immediatamente susseguenti torna a considerare i varii modi  secondo cui alcunché si dica, sia quantitativamente sia qualitativamente.   Ma nel paragr. 7 passa a considerare un punto importantissimo, e propriamente  quello concernente:   La Opposizione e il Principio di contraddizione: il qual punto è da lui considerato  ne più minuti casi ed aspetti, con relative distinzioni, suddistinzioni ecc.; e noi ne  riferiremo con qualche ampiezza.   ' Q uoniam au * em contraria (dic'egli, nella traduz. latina) sex modis inter se   * coniunguntur, contrarietatem autem efficiunt quattuor modis coniuncta, oportet  " accipere contraria prout expedit evertenti et adstruenti. sex igitur modis ea coniungi  " manifestum est. aut enim utrumque utrique contrariorum iungitur, atque hoc bi-  " fariam, ut de amicis bene mereri et de inimicis male, vel contra de amicis male et de inimicis bene, autem ambo de uno, et hoc quoque bifariam, ut de amicis  ' bene mereri et de amicis male, vel de inimicis bene mereri et de inimicis male.  " aut autem de ambobus, et hoc quoque bifariam, ut de amicis bene et de inimicis   • bene, vel de amicis male et de inimicis male, primae igitur duae coniunctiones  " quas dixi, non faciunt contrarietatem : de amicis enim bene mereri et de inimicis  " male non sunt contraria, cum ambo sint optabilia et eorundem morum effectus „ (badi  il lettore alla circostanza e corrispondente espressione del morum effectus, che net  testo greco suona: d/upóreQa yÙQ aÌQ£%à Hai zoì) av%ov ij9ov S ). « neque item contraria sunt de amicis male et de inimicis bene mereri. nani et haec sunt ambo fugienda  " et eorundem morum effectus „.   E Aristotele nelle dette distinzioni e suddistinzioni non si arresta neppur qui,  ma procede ad altre, che noi omettiamo di riferire.   N Se non che, continuando a parlare de' contrari!, passa a considerarli da quel  rispetto, che è stato appellato i\ principio di contraddizione, sostenendo: " fieri nequit  " ut contraria simul eidem subiecto insint „ (cioè, nel corrispondente testo greco:  àòvvaiov yàq tàvavxia djia t$ ai>%$ òndgxeiv).   E trattandosi di un principio tanto importante, che, per giunta ha avuto poste-  riormente una rigida e non sempre bene intesa applicazione, voglio allegarlo anche  nella forma più compiuta in cui ricorre in Metaph. Iti, 3; cioè: xò yàg afixò djm bjia,Q%Eiv xe xal [ir] vnaQxeiv àóvvaxov %(p avxòì uaì xaxà xò avx ó (nella traduzione  latina: " idem enim simul inesse et non inesse eidem et secundum idem impossibile  " est „). E soggiunge poco appresso che questo è il più certo di tutti i principii: avxr\  ài] naa&v èaxl ^E§aioxdxmj xcov àq%(àv (traduz. latina : " hoc autem est omnium prin-  " cipiorum certissimum „).   Noti però il lettore che, per non fraintendere il principio aristotelico di contrad-  dizione, si deve aver presente ciocche Aristotele ha detto teste, che, cioè gli opposti  non sono contraddittorii, epperò non escludentisi (poniamo, come amici e nemici)  quando siffatti opposti sono morum effectus, ossia effetto della natura di essi. L'uomo,  per chiarire ancor meglio l'esempio, ha nella propria natura umana l'essere amico  ed anche l'essere nemico, come per sua natura può esser buono e può essere anche  cattivo. Non sarà l'una e l'altra cosa ééfia, nel medesimo tempo; ma l'uomo è però  pur sempre il medesimo soggetto, che .ora è amico ora nemico, ora buono ora cat-  tivo: ed inoltre, è amico e buono ne' tali e tali uomini, ed è nemico e cattivo ne'  tali e tali altri uomini.   E basti di questo importantissimo punto.   Ne' paragrafi immediatamente susseguenti si continua a parlare dell'opposizione,  si accenna anche alle simiglianze, e non ricorre altro di rilevante. Passo a dire del   Libro III. Aristotele apre questo Libro col quesito di ciocche sia migliore e più  desiderabile, e, per giunta, di esaminare e a tal riguardo " sermonem instituere   * (paragr. 1) non de iis quae longe inter se distant et magnam differentiam habent...,  " sed de iis quae vicina sunt „. E risolve la quistione dicendo che " quod est diuturnius   * et constantius, magis est eligendum quam quod est minus tale „.   E nella elezione è certo anche di peso " quod eligat vir prudens, aut lex recta...,  aut ii qui in uno quoque genere scientes sunt „.   Ne' due seguenti paragrafi continua in grosso l'esame e soluzione dell'istesso  quesito, per poi venire, ne' paragrafi 4 e 5, a prendere in considerazione i luoghi  utili a conoscere ciocche debba eleggersi e ciocche fuggirsi. E statuisce (paragr. 5):   * Sumendi sunt loci de eo quod magis vel maius est quam maxime universales. sic enim sumpti ad plura problemata utiles erunt „.   E questa è la sostanza della ricerca e soluzione del quesito proposto in questo  Libro. Passo al   Libro IV. E qui posso essere ancora più breve di quel che sono stato nell'an-  tecedente Libro. Giacche in questo IV si torna a discorrere " de iis quae ad genus  " et proprium pertinent „, colla considerazione di differenze, specie, distinzioni e  suddistinzioni di casi, di esempii, di applicazioni (anche al principio di contraddizione),  che servono ad illustrare e confermare il proposto quesito. E si giunge così al   Libro V (che, come è detto innanzi, non proverrebbe da Aristotele).   Ma in questo stesso Libro V non vi sono altri argomenti veramente nuovi, ma  si torna a trattare di quelli antecedentemente trattati.   Infatti questo Libro comincia così: " Utrum autem proprium sit necne id quod   * est propositum, ex his locis quos deinceps exponemus considerandum est „. E       prosegue dicendo: * Proponitur autem proprium vel per se et semper, vel per com-  " parationem cum altero et interdum „. E passa ad investigare e determinare, quando  il proprio è per sè, quando per comparazione, ecc.   E ne' seguenti paragrafi 2, 3 e 4 continua ancor sempre il discorso intorno al  proprio ne' suoi più diversi aspetti e rapporti : ne' quali aspetti e rapporti non manca  la considerazione de' principii contrarii (fatta nel paragrafo 6), e de' principii con-  trarli relativamente al proprio, per scorgere " an contrarium sit contrarii proprium „ etc.   In grosso è lo stesso nel paragrafo 7, in cui " ex casibus refellitur, si ille casus  " non est illius casus .proprium „ etc.   E finalmente, nel nono ed ultimo paragrafo, " refellitur, si quis potestate proprium  " tradidit, etiam ad id quod non est rettulit illud potestate proprium, cum potestas  " rei quae non est, inesse nequeat „ etc.   Rispetto alla predetta opinione di Pflug accennata dal Zeller, dico rispetto a  tale opinione, non contro ad essa, mi permetto di fare una personale osservazione.  Ed è che, leggendo e considerando attentamente questo V Libro, la materia, il modo  di pensarla, ordinarla, distinguerla e suddistinguerla ne' suoi varii rispetti e rapporti,  si mostra, da una parte, interamente simile a quella degli antecedenti Libri topici,  dall'altra, interamente conforme alla mente di Aristotele.   Ed ora vengo al   Libeo VI. Questo si inizia coll'argomento delle definizioni, e si continua tutto  con esse ; ma queste stesse vengono di bel nuovo considerate ed esaminate con rife-  rimento al proprio, al genere, alle differenze, ecc. Trattandosi di un argomento che ha  della importanza, e che si addentra nella natura delle definizioni e nelle diverse  parti costitutive di esse, allegherò un lungo luogo, in cui ciò è effettuato.   Della trattazione dunque * quae ad definitiones pertinet quinque sunt partes.  " vel enim definitio reprehenditur, quia omnino non vere dicitur, de quo nomen,  14 etiam oratio, quandoquidem oportet hominis definitionem de omni homine vere  " dicitur. vel quia cum sit aliquod genus, non collocavit rem definitam in genere  " aut non collocavit in proprio geuere, quoniam debet is qui definit, cum in genere  " definitum collocaverit, differentias adiungere, si quidem eorum quae in definitione  " ponuntur, maxime genus videtur rei definitae essentiam declarare ; vel quia oratio  " non est propria (nam oportet definitionem propriam esse, quemadmodum et supra  u fuit); vel quia, cum omnia quae dixi perfecerit, tamen non definivit, nec dixit  " quidditatern rei definitae. reliquum est praeterea definitionis vitium, si definivit  " quidem, non tamen recte definivit. an igitur de quo nomen dicitur, non etiam  " oratio vere dicatur, ex locis ad accidens pertiuentibus considerandum est. nam ibi  8 quoque omnis consideratio in eo consistit ut intelligatur utrum sit verum an non  " verum. cum enim disserendo ostendimus accidens inesse, dicimus esse verum. cum  " autem ostendimus non inesse, dicimus non esse verum. an autem non in proprio  " genere posuerit, vel non propria sit oratio tradita, ex dictis locis, qui ad genus  " et ad proprium pertinent considerandum est. reliquum est ut dicamus quomodo  " disquiri debeat an non sit definitum, vel an non recte sit definitum, etc. „.   Nel susseguente paragr. 2 vien la considerazione dell' omonimo, del simmetrico, con  le corrispondenti definizioni. Qui stesso Aristotele si fa a considerar la definizione in  rapporto al sillogismo, e se in tal rapporto essa sia fatta chiaramente od oscuramente ecc. Ne' paragrafi 3 e 4 continua sempre l'argomento delle definizioni. Nel para-  grafo 5 si considera la definizione del corpo, determinandolo (come si è poi sempre  ripetuto e si ripete tuttora, meno il caso presentemente considerato da Zollner ed  altri, della cosi detta 4 a dimensione) siccome « id quod habet tres dimensiones „.   Nel paragr. 6 Aristotele fissa l'attenzione alle differenze, in quanto in esse  ' considerandum est an generis differentias dixerit „. Se tali differenze non sono  state indicate e precisate, non vi sarebbe stata vera definizione.   Nei susseguenti paragrafi continua sempre lo stesso argomento delle definizioni,  con esemplificazioni intorno all'abito (paragr. 9), alla simigliala (paragr. 10), e si  termina con la considerazione della composizione delle cose, della quale, per avere  una giusta definizione, bisogna indicare tutti gli elementi che la costituiscono. E così  si passa al   Libro VII. — Gli argomenti di questo Libro sono anch'essi suppergiù i medesimi  di quelli trattati negli antecedenti Libri con speciale riguardo all' Oratoria, la quale  naturalmente vien congiunta coi modi e forme di sillogizzare, obbiettare, ecc., col  consueto riguardo ai generi, specie, differenze, opposizioni, casi tali o tali altri.   Ecco, infatti, come al principio del Libro è enunciata la materia da considerare  in essa : " Utrum autem id de quo agitur sit idem an diversum, secundum eum modum   * qui inter modos supra de eodem expositos est maxime proprius, nunc dicendum  « est. dicebatur autem maxime proprie idem esse quod est numero unum, considerare  « autem oportet atque argumenta sumere ex casibus et coniugatis et oppositis. nam  « si iustitia est idem quod fortitudo, etiam iustus est idem quod fortis, et iuste idem  " quod fortiter. similis ratio est oppositorum etc. J. Qui stesso vien la volta di pren-  dere in considerazione anche il sorgere e perire " ortus et interitus „ delle cose.  Poco appresso ricorre un riferimento anche alle cose che accadono : " nam quae  " alteri accidunt, etiam alteri accidere debent „. E ciò vien messo ivi stesso in rela-  zione anche colle Categorie, in quanto " videre oportet an non in uno categoriae  ' genere ambo sint, sed alterum qualitatem, alterum quantitatem vel ad aliquid   * relationem declaret „.   Al paragrafo 3 vien la considerazione della definizione e del sillogismo, pur  con riferimento ai generi, alle specie, alle differenze, non che ai contrarii, alle diffe-  renze contrarie, ecc.   Al paragrafo 4 si ritorna sui luoghi atti a disputa, oratoria, ecc., ma con riferi-  mento all'aiuto della memoria. Infatti statuisce : " Maxime autem locorum omnium  » apti sunt ii quos nunc dixi, necnon ex casibus et coniugatis. Ideoque maxime me-  « moria tenere et in promptu habere oportet hos locos (utilissimi enim sunt ad  « plurima problemata), atque etiam ex ceteris eos qui sunt maxime communes, quo-  " niam inter reliquos sunt efficacissimi „.   Nel seguente ed ultimo paragrafo 5 ricorrono ulteriori considerazioni pur attinenti  a definizione, sillogismo, a genere, proprio, ecc.; e con esse si chiude il Libro.   Libro Vili. — L'argomento principale di questo Libro de' Topici è la disposi-  zione della materia del discorso, con riguardo speciale ad interrogazioni, risposte,  e ritrovamento (inventio) di quegli argomenti che spettano ed importano al dialettico,  al filosofo. E quale argomento conduce naturalmente Aristotele a connettervi, come  d'ordinario, i modi di argomentare, sillogizzare, ecc. Ma sentiamo Aristotele stesso. Egli indica (nella traduzione latina) lo scopo e la materia della trattazione con  queste parole : " Post haec de dispositene, et quomodo interrogare oportet, dicendum  " est. primum autem debet is qui interrogaturus est, locum invenire ex quo argu-  s mentetur, deinde interrogare et disponere singula ipse per se, tertio et postremo  " haec dicere contra alterum. ac loci quidem inventio aeque ad philosophum et ad  " dialecticum pertinet, eorum autem quae inventa fuerunt dispositio et interrogatio  " dialectici est propria, quoniam hoc totum adversus alterum est : philosopho autem  " et ei qui ipse secum veritatem inquirit, curae non est, si vera sint et nota ea ex  " quibus efficitur syllogismus, nec tamen ea ponat is qui respondet, propterea quod  " propinqua sint quaestioni ab initio propositae ac provideat quod eventurum sit.  " quin immo fortasse dat operam ut axiomata sint maxime nota et problemati pro-  * pinqua, quandoquidem ex his Constant syllogismi qui scientiam pariunt ,,   Sillogismo senza proposizioni intanto non si dà ; perciò Aristotele rivolge la sua  attenzione a queste. Di queste ve n'ha di necessarie ed anche di non necessarie.  " Necessariae autem „, dic'egli, * dicuntur eae ex quibus syllogismus conficitur. quae vero praeter has sumuntur, quattuor sunt : vel enim sumuntur inductionis causa,  " ut detur quod est universale, vel ut amplificete oratio, vel ut celetur conclusio,  " vel ut magis perspicua sit oratio etc. „.   Nell'anzidetto si contiene il pensiere aristotelico di questo Libro, e s'intende  che ciocche segue non può essere che l'ulteriore e più ampia esplicazione di ciò con  applicazione a singoli casi e quesiti ed a singole corrispondenti soluzioni.   A conferma di ciò, nel paragrafo 2 si pone che nel dissertare " utendum syllo-  " gismo apud dialecticos potius quam apud multos ; contra inductione apud multos  " potius „. Si fanno di ciò, ad illustrazione, applicazioni a casi vari, poniamo al caso  della salute, valetudo, della malattia, morbum, ecc. Quanto alla natura della proposi-  zione dialettica e al corrispondente elemento dialettico, si dice poco appresso : " Pro-  " positio enim dialectica est, ad quam respondere licet etiam aut non „.   Al paragrafo 3 si prendono in considerazione le hypoiheses, le captiosae argu-  mentationes con riferimento ai principia ultima, da cui tutte le dimostrazioni e tutti  i principi subordinati traggono origine e ragione probativa. " Nam cetera (scilic.  " principia) per haec probantur, ipsa vero per alia probari non possunt „.   Nel paragrafo 4, riferendosi all'interrogare e rispondere, dice: " De responsione  " autem primun determinandum est, quod eius sit officium qui recte respondet, quemad-  " modum eius qui recte interrogai est autem interroganti^ ita disputationem deducere,  " ut respondentem cogat maxime incredibilia dicere ex iis quae praeter thesim sunt necessaria ; respondentis vero, ne sua culpa videatur evenire quod absurdum vel praeter opinionem est, sed propter thesim „.   L'istesso argomento dell'interrogare e rispondere viene svolto nei paragrafi 5, 6  e seguenti con ulteriori considerazioni di altri casi e rispetti.   Ma più innanzi nel paragrafo 11, a proposito della reprehensio argumentationis,  ricorre l'accenno ad argomentazioni false e vere nel senso ed intendimento di ciocche  si è discorso ed esposto negli Analitici ; e il corrispondente luogo, relativo a molti  modi di argomentazione, è degno di essere riferito e suona così : " Qui vero „, dice  Aristotele, " ex falsis verum concludunt, non possunt iure reprehendi, quoniam falsum  " quidem semper necesse est ex falsis concludi, sed verum licet interdum etiam ex falsis concludere : hoc autera est perspiciram ex Analyticis. quando autem argumentatio quae dieta est, alicuius rei est demonstratio, si quid aliud sit quod nihil   * cum conclusione probanda commune habeat, profecto non erit ex eo syllogismus.   * sin autem videatur, sophisma erit, non demonstratio. est autem philosophema syllo-   * gismus demonstrativus, epicheirema vero syllogismus dialecticus, sophisma syllo-   * gismus contentiosus, aporema syllogismus dialecticus contradictionis „.   Per ragione del tecnicismo di queste ultime espressioni della Logica aristotelica,  allego quest'ultima parte del luogo nel testo greco, il quale suona così : "Eati òe  (piloaócprifia (lèv ovÀÀoyiafiòg ànoòeimixóg, km%eiqrnia òè avlkoyiofiòg òiaXemmóg,  oóqjiofia òè cvAZoyiofiòg ègiormóg, ànóqrifia òe ovZAoyiofiòg òialemwòg àvwpdoewg.   Nel seguente paragrafo 12 si stabilisce come massima che 8 argumentatio est  " perspicua uno modo, eoque maxime vulgari, si ita concludat ut nihil amplius opor-  " teat interrogare „. E dopo altre consimili considerazioni si conclude il Libro Vili  con quest'altra massima di carattere generale : - oportet paratas argumentationes  " habere adversus eiusmodi problemata, in quibus cum paucae argumentationes  " suppetant, adversus plurima problemata utiles erunt. hae vero sunt argumenta-  " tiones universales, et quas assumere ex rebus passim obviis difficile est „.   Dopo siffatte, se non diffuse, certo sufficienti indicazioni sulla materia, sullo  scopo e sul modo di trattazione de' Topici, passo a dire degli Elenchi Sofistici.   JUeqì t&v ooyiauxwv èÀéy%ù)v. — Anche per questa parte, come ho fatto per  le altre, della Logica aristotelica comincio coll'allegare un notevole giudizio di Boezio,  il quale (loc. cit., p. 7) dice: * Elenchus multa significai sed hoc loco prò redar-  14 gutione sumitur. Libri sunt duo, ad cavendas sophisticas captiones, et ne in disse-  " rendo falsa prò veris per ignorationem colligamus, aut admittamus. Huic operi  * initium dedit Plato in Euthydemo : ostenduntur illic pauci quidem doli disputatoris  " captiosi : Aristoteles autem rem omnem, ut solet, a primis initiis complexus,  " digessit in ordinem et formulas „.   A questo giudizio di Boezio si unisce Prantl. il quale colla sua autorità in tal  materia, lo allarga ed integra con altre importanti osservazioni. La qual cosa egli  fa nella pagina 346 della sua citata opera Gesch. d. Logik, età, voi. I, primamente,  osservando come questi Elenchi Sofistici si colleghino intimamente ai Libri topici  in genere ed al Libro Vili in ispecie ; e secondamente, esponendo in un breve e  succoso cenno la materia e lo scopo de' medesimi.   Ma vi è stato in Italia un uomo, che, riattaccandosi ai due nominati scrittori,  ha fatta una traduzione eccellente de' primi 14 capitoli degli Elenchi, facendovi pre-  cedere un elaborato ed illustrativo proemio, corredando i capitoli stessi di sommarli  ragionati abbastanza diffusi, estendendosi a dar sommarli anche de' rimanenti venti  capitoli, e, per giunta, a confermare ed illustrare il tutto con note amplissime e  dottissime, nelle quali è abbracciata tutta la parte storica dell'argomento, fino al  secolo XIII inclusivamente.   Quest'uomo, veramente sommo e a tutti noto, è Buggero Bonghi, il quale non  solo mostrò vastità di dottrina in questo speciale argomento della Logica aristotelica,  ma ha allargato ed approfondito i suoi studi nella traduzione e illustrazione delle  opere di Platone e della Metafisica di Aristotele, traducendo ed illustrando quasi tutte  le opere del primo, e i primi sei Libri della Metafisica del secondo. E, per giunta, fortificò i suoi studi filosofici, oltre che collo studio della Storia della Filosofia fino  agli ultimi tempi inclusivamente, anche colle sue amplissime conoscenze di Storia  di tutti i tempi, e con un'ampia erudizione nelle altre discipline dello scibile.   La esposizione che io, per assolvere il mio scopo e compito, farò di questi  Elenchi, consisterà in tre diversi cenni : il primo, quello di valermi della traduzione  italiana stessa e delle corrispondenti illustrazioni del Bonghi ; quale migliore e più  sicura guida nell'adempimento del mio scopo ? il secondo, nell'allegamento di un  brevissimo luogo del Boezio, riportato in nota dallo stesso Bonghi, luogo che ser-  virà alla indicazione delle espressioni latine de' sofismi trattati da Aristotele ; il terzo,  nell'allegamento di un luogo importantissimo dell'Ueberweg, nel quale, in breve e  succoso cenno, sono distinti e illustrati tutti i sofismi con le relative denominazioni  greche. E vengo alla esposizione.   Cominciando dal Bonghi, è bene ed utile di rilevare alcune importanti afferma-  zioni e considerazioni di lui in riattaccamento a Boezio, a Prantl, allo stesso sorgere  e costituirsi della Sofistica, ed anche a Socrate, Platone ed Aristotele in quanto  riferentisi alla medesima.   Per ciocche concerne il sorgere e costituirsi della Sofìstica, benché egli ricordi  cose note, pur voglio ricordar le parole di lui. Prodico, Gorgia e Protagora (dic'egli  nella prima parte dell'Introduzione alla traduzione dell' Eutidemo, pag. 15) " per i  " primi accettarono i nomi di sofisti e fondarono la sofistica „. E, come essa 8 è il  " principio e il fondamento dell' 'eloquenza e il più grande stimolo e sprone di coltura,  " essi furono maestri di eloquenza, e diffonditori di cultura in tutta la Grecia ».   Senonchè, pur troppo la sofistica degenerò in eristica. Ora, Platone (ibid., pag. 18)  " si oppose a questa perversione di giudizii „ : tanto più che " non si sarebbe potuto  " mai far intendere il valore di Socrate, fino a che questa confusione avesse preoccu-  " pato le menti „. Si aggiunga a ciò, che quando " in Grecia si moltiplicò il numero  " di quei professori o maestri che si ripromettevano d'insegnare al cittadino la miglior  " maniera di condursi per se e per gli altri nello stato „, nacque una gran " contra-  " rietà d'opinioni ne' nuovi metodi d'insegnamento „. E da questa, e dal " nome di  8 uno degli Eristici che vi discorre „ trasse origine YEutidemo di Platone.   Vengo ora alle Confutazioni Sofistiche.   Nell'avvertenza alle Confutazioni Sofistiche, come Bonghi traduce il trattato jieqì  %ùv oocpMmxcòv èÀéyx<op (1), egli dice di essere stato indotto alla traduzione * dal  " pensiero, che avrebbe potuto riuscire di molto interesse e utilità il vedere come una  " mente così sottile, investigatrice, sistematica (come quella di Aristotele) abbia per  " la prima volta messo ordine e luce in una materia per sè così complicata e buia,  " com'è questa del ragionamento usato a inganno altrui. Neil' Eutidemo Platone aveva  " rappresentata l'arte ; nelle Confutazioni Sofistiche Aristotele, che vi ricorda tante volte  " l' Eutidemo e Platone, ne dette la teorica „.   Soggiunge, Aristotele " non esser facile in nessuno suo scritto; e questo è uno  " di quelli ne 1 quali è più difficile „. Indicando la ragione, i limiti e il modo come ha  Vedi Dialoghi di Platone, trad. da Ruggero Bonghi, voi. IV (continuaz.), Eutidemo, 2* ediz.;  Aristotele, il primo Libro Delle Confutazioni Sofistiche, ecc. Torino-Roma-Firenze, Fratelli Bocca. condotto la propria opera, dice essergli • mancato il tempo „ di condurre a termine  la traduzione ; ma che, ciò non ostante, " la trattazione teorica de' sofismi è ne' primi  " (14 capitoli) compiuta „ essendo 8 nei seguenti (venti capitoli) solo indicate le vie  « praticamente utili a cavarsene fuori „ ; e che, per giunta, come si è detto, anche per  questi ultimi ha aggiunto " lunghi sommari! „ ; sì che il lettore finisce per aver  conoscenza di tutta la materia dell'ultimo trattato logico di Aristotele.  Ora ecco i punti sostanziali di questo.   Aristotele nel Primo Capitolo, paragrafo 1, di questo dice che "prende a   • discorrere.... delle Confutazioni Sofistiche e di quelle che paiono bensì confutazioni,  " ma sono paralogismi e non confutazioni , .   E nel seguente paragrafo 2 fonda questo suo giudizio con questa osservazione :  " Che de' sillogismi alcuni son veramente tali, altri paiono e non sono, è manifesto ;  " chè come questa apparenza ha luogo nelle altre cose per una cotal simiglianza,   • così accade ancora nei ragionamenti. E difatti, la persona, che altri hanno aitante, altri col gonfiarsi e acconciarsi.... paiono averla.... E delle cose inanimate è del  " pari ; chè di queste quale è argento e oro davvero ; quale non lo è, ma pare al  « senso ; per mo' d'esempio, d'argento quelle di stagno e di piombo ; d'oro quelle   * tinte di giallo „. E allo stesso modo, sillogismi e confutazioni, quali sono, quali  non sono, ma paiono per l'imperizia.   « Dappoiché (continua egli nel paragrafo 3, indicando la ragione dottrinale della   * differenza di sillogismo e confutazione, ossia di sofismo) il sillogismo si compone  " di alcune premesse per modo, che di necessità per via di esse proposizioni dica qualcosa di diverso dalle proposizioni ; e confutazione è sillogismo in cui si con-  " traddice la conclusione „.   Nel paragrafo 4, cominciando ad enumerare le cause, dice che di queste « una   " fonte è più copiosa e comune di tutte, quella per via di vocaboli I vocaboli   « sono finiti di numero e i ragionamenti altresì ; dove gli oggetti sono infiniti ; sicché  " è necessario che un solo ragionamento e un unico nome significhi più oggetti „.   Nel paragrafo 5 fa ulteriori esemplificazioni sulla sofistica, che si intendono e spie-  gano con ciocche è detto innanzi.   Ma passando ad indicare ,! le specie de' ragionamenti sofistici „ Aristotele dice che di quelli "che occorrono nel conversare, v'ha quattro generi: didascalici, dialettici, pir astici ed eristici. Sono: Didascalico – “insegnativo” --  quello ragionmento che si sillogizzano da' principi propri di ciascuna disciplina e NON DALL’OPINIONE DI CHI RESPONDE  (chè chi impara, deve credere) :   " Dialettico” – “discorsivo” --  quell ragionamento che da proposizioni probabili sillogizzano la contradittoria:   "drastico” – “tentativo” --  quell ragionmento conversazionale che lo fa da proposizioni AMMESSE DA CHI RISPONDE " e necessarie a sapere da chi ha la scienza (e in che modo si è chiarito altrove):   "eristico” – “contenzioso” – quel ragionamento conversazionale che sillogizzano (o paiono sillogizzare) da proposizioni ammesse solo in apparenza, ma non in realtà, Ricordando che di un ragionamento apodittico – “dimostrativo” -- s'è discorso negli Analitici, del dialettico e del pirastico altrove, dice doversi discorrere al presente del ragionamento conversazionale “agonistico” – “garoso” -- e del ragionmaneto conversazionale “eristico” o “contenzioso.” E ciò fa, Aristotele, proponendosi di fermare quante sono le mire di quelli che gareggiano e si puntigliano nel ragionare, dice che queste son V di numero: I confutazione II falsità III paradosso IV solecismo V il farcianciare chi conversi teco (e questo è il costringerlo a dire più volte il medesimo)  o non la realtà, ma l'apparenza di ciascuna di queste cose. E, spiegando le cinque generi di ragionmento, dice che quello che sopratutto si propongono, è di parere di confutare. In secondo luogo, di mostrare che uno dica il falso in qualcosa. Terzo, di tirarlo a un paradosso. Quarto, di fargli commettere un solecismo -- e questo è il fare che chi risponde, per effetto del ragionamento, BARBARIZZA. Per ultimo, il fargli dire più volte la stessa cosa. Venendo all’indicazione dei modi di confutare, dice esservene di due sorte. Gli uni stanno nella dizione, gli altri fuori della dizione. Indicando VIII i motivi che per effetto della dizione generano un falso vedere, dice che di essi ve n'ha VI; e sono I equivocazione – aequi-vocal --, II anfibologia,  III composizione IV divisione V accento VI figura della dizione. E la prova di ciò s'ha per induzione E ne' susseguenti paragrafi chiarisce e illustra con esempi i predetti sofismi della dizione. Passa dopo il nostro filosofo alla designazione  dei paralogismi fuori della dizione e ne novera VII specie: I dell'accidente,  II dal dirsi una cosa in assoluto o non in assoluto ma per un certo modo  o posto o tempo o rispetto, III dall'ignoranza della confutazione IV dal susseguente V dalla petizion di principio VI dal porre la, non causa come causa; VII dal fare di più interrogazioni una sola. E anche per questi paralogismi Aristotele fa illustrazioni  ed esemplificazioni. Notevole è in questo ciocche Aristotele statuisce intorno  all'ultimo de' paralogismi allegati, cioè intorno a quelli che nascono dal fare di due interrogazioni una sola. Rispetto a questi, quando resti nascosto che son più, e come se fossero una sola, le si dia una unica risposta; benché rispetto a  tal caso riconosca che in alcune è facile scorgere che son più, ma in altre meno. Aristotele pone l'alternativa che " o  " s'hanno a distinguere così i sillogismi e confutazioni apparenti come si è detto  e fatto negli antecedenti paragrafi, o a ridurre tutti all'ignoranza della confutazione, ponendo per principio questa: che v' è modo di risolvere tutti i modi che se ne son detti, nella definizione della confutazione. E l'alternativa e corrispondente soluzione proposta vien discussa a proposito degli altri ultimi paralogismi  allegati. Si continua a prendere in considerazione altri degli allegati paralogismi, come quelli dall'equivocazione, dall'anfibolia, dalla composizione e dalla divisione, dall'accento e dalla figura della dizione, dall'accidente, ecc. si indica il modo di conoscerli e confutarli. Poiché sappiamo per quante vie si generino i sillogismi apparenti, sappiamo altresì per quante si possano generare i sillogismi e le confutazioni sofistiche. E dico sillogismo e confutazione sofistica non solo il sillogismo  o la confutazione che appare e non è, ma anche quello che è bensì, ma proprio della cosa appare soltanto. E cotesti sono quelli che non confutano secondo la cosa, e non mostrano che altri l'ignora, che era il caso della pirastica. Ora, la pìrastica è parte della dialettica. Questa può sillogizzare il falso per ragione dell' igno ranza di chi rende ragione. Invece, le confutazioni sofistiche, quando anche sillgizzino la contradizione, non fanno manifesto se altri ignora, poiché anche chi sa,  impacciano con siffatte argomentazioni. E che gli otteniamo collo stesso metodo, è chiaro. Dappoiché per quante vie appare a chi ascolta, che si siano sillogizzate appunto le proposizioni di cui gli s'era fatta interrogazione, per altrettante potrebbe altresì parere a chi risponda. Sicché per queste, o tutte o alcune, verran fuori sillogismi falsi, che quello che uno non interrogato crede d'aver conceduto, interrogato lo conce- [derebbe. Eccettochè in alcuni paralogismi succede insieme che si dimandi quello che manca, e la falsità si chiarisca, come in quelli dalla dizione e dal solecismo. Si fanno consimili considerazioni intorno ad altri paralogismi, come quelli risultanti dall'accidente, dal conseguente, ecc. Aristotele statuisce che da quanti luoghi si traggano confutazioni di quelli che son confutati, non bisogna provarsi a determinarlo senza la cognizione delle cose tutte. Ora, ciò non è di nessun'arte; stantechè le scienze sieno infinite forse, sicché è chiaro che anche  le dimostrazioni son tali. E di confutazioni ve n'ha anche di vere; stantechè quante cose v'ha luogo  " a dimostrare, tante v'ha luogo a confutare a chi asserisca il contraddittorio del  " vero ; p. es., se uno ha asserito commensurabile il diametro, altri lo confuterebbe col   * dimostrare eh' è incommensurabile. Sicché bisognerà essere scienti d'ogni cosa, ecc. „.   " Però (paragrafo 2) , anche le confutazioni false saranno del pari infinite ; chè   * v'ha secondo ciascuna arte il sillogismo falso; p. es., secondo geometria il geo-  8 metrico, secondo medicina il medico ; e dico secondo ciascun'arte quello secondo*  " i principi di essa ,. E ne' seguenti paragrafi, su questi stessi principi stabiliti, si  fanno consimili considerazioni. Aristotele pone in discussione e srisolve la seguente  importante quistione intorno a ragionamenti relativi al vocabolo e al pensiero : " Non   * v' ha ; dic'egli, tra i ragionamenti la differenza che taluni dicono ; alcuni ragionamenti riferirsi al vocabolo, altri al pensiero ; chè è assurdo il pensare, che altri  " sono i ragionamenti che si riferiscono al vocabolo, e altri quelli al pensiero, e   * non già i medesimi „.   " Poiché (paragrafo 2) , che è egli mai il non riferirsi al pensiero se non quando   * uno non usi del vocabolo nel senso cui l'interrogato ha consentito, credendo che   * fosse quello che avesse nella interrogazione? Ora, questo stesso è riferirsi al voca-   * bolo. E riferirsi al pensiero è, quando l'altro pensi quello cui egli ha consentito, ecc. „.   E ne' paragrafi immediatamente seguenti viene confermando ciò con ulteriori non  meno acute illustrazioni ed applicazioni, delle quali voglio rilevare l'applicazione che  ne fa alle Matematiche, che attirano in modo speciale la nostra attenzione per la  trattazione della così detta Logica matematica. " I ragionamenti nelle matematiche,   * dice infatti Aristotele al paragrafo 7, si riferiscono al pensiero o no ? E se ad uno   D'Ercole. c      I t " ang03 ° SÌgDÌfichÌ PÌÙ C0S6 ' 6 non ha che esso sia la figura flì   della quale s'è concluso, che son due retti rnWn , ■ ! tì g ura 0)>   " al pensiero di questo o no? ' '«Wonamento s'è egli diretto   =' a ™a (Paragrafo 2) ,1 comune a piii cose secondo ciascuna è dialettico- eh   «ut 71 m aPPa T a ' è ^ - D °" d6 " » ritornare suìl' TZ a h   W * ^conducono , so/fe « stessi, ehe . preflggm(Iosi vinler a „ S ni   ■nodo, sappiano a tatto „ come appunto • fauno gli eristici 8  SousUcTche "f T" Ò SOt ' ile, Se,Tat °' ""-*»■*' » mesta m at"eria degli Elenchi  ci : lc n T' ° ^ *S C, ' eata SÌCC ° m8 ** * "' Ksta ^ r te 8 log I   ' ehe alcuno di! f!l , P m08trare (dic ' e S li . iafatti, al paragrafo 1)   cacca adatta a co ; che quelli che parlano a caso, errano di più ' e parlano a  caso, quando non si siano proposto nulla P P &   • e il" TJIZTJ''J!T S ^° " a "' abbatteraÌ 1 " na Wsita ° a » paradosso  ' dir r„Zo s are ' er v 7 T°" Pr ° P0SM0M 0gge "° ^ mt.rroga.iene, ma   • d'attacco ! ' S ° ,mParare ; daF P° Ì<!hè ^ acquisizione dà „,„do   di £ r:i n ~:ir che A " istotek abbk ~— « -**   • lnog„ A Lelirr t (COntÌ , n ° a ArÌ8t ° tele " Paragraf ° 4 » Cle "no dica falso, è proprio  luogo quello aojsfco, ,1 menare a tali cose, che s'abbia contro osse copia di aL  m „ta z ,o„, ; e ,„esto vi sarà modo di farlo bene e non bene, seconTs l So     ed ™2 Z deÌTuak 8 ; £S* '"T ** *" relali ™ alla   ' luto f, i " '' lJeVa " lat ° Paradossastico come segue - ■ Il   (1) La qual S gu ,a, se lo noti i, lettore, rappresenterebbe qui Trento del vocabolo.     81     LA LOGICA ARISTOTELICA, LA LOGICA KANTIANA ED HEGELIANA, ECC.     1essere cosa bella secondo legge, ma secondo natura non bella. Sicché bisogna chi   * parla secondo natura, affrontarlo secondo legge ; e chi secondo legge, menarlo alla  a natura; giacche vi sia luogo a dir paradossi ne' due modi „.   Capitolo XIII. — In questo Capitolo si tratta di un argomento che par futile,  cioè quello del cianciare; eppur questo dà luogo a una acuta e teorica disamina della  sofìstica da parte di Aristotele.   Prima di allegare le parole del grande filosofo, allego una osservazione inter-  pretativa che fa il Bonghi in proposito, e che è questa : Col cianciare, cioè, dice  quest'ultimo, " si passa al quarto fine del sofista, che è il forzare l'avversario a dir  " più volte la stessa cosa, che torna al cianciare o infilzar parole senza senso. Il presupposto di tali sofismi è che il vocabolo è tutt'uno colla sua definizione e quello  " non differisce in nulla da questa, sicché si può in una proposizione surrogare l'uno   * all'altra. P. es. doppio si definisce doppio di metà : ora, se la definizione può essere  8 surrogata al definito, noi possiamo definirlo : doppio di metà di metà ; e da capo  41 doppio di metà di metà e così in infinito „.   Ciò posto, ecco ciocche dice Aristotele (al paragrafo 2) intorno al discorrere  per puro cianciare : * Tutti i siffatti discorsi vogliono far questo ; se non differisce  " per nulla il dire il vocabolo o la definizione, doppio e doppio di metà è tutt'uno;   se adunque è doppio di metà, sarà doppio di metà di metà ; e di novo, se in luogo  " di doppio, si ponga doppio di metà si sarà detto tre volte : doppio di metà di metà  " di metà(l). Ed evvi egli il desiderio del piacevole? Ora, questo è appetito del   * piacevole; dunque, desiderio è appetito del piacevole del piacevole, ecc. L'argomento di Aristotele è il Solecismo e la sofisticazione in cui può incorrersi con esso. Aristotele parla e ragiona in questo modo. Questo, cioè, il  Solecismo, v'è luogo a farlo e a parere senza farlo, e a non parere facendolo. Ssiccome diceva Protagora, se ò fiijvig e ò s**Pff sono un mascolino ; giacché chi  " dice oi)Aofiévt]v solecizza secondo lui, ma agli altri non pare ; chi ovÀó/ievov pare  bensì, ma non SOLECIZZA. (Si noti che firjvig e JvfjÀrji son propriamente femminili).  Sicché è chiaro che uno potrebbe ad arte far questo ; per il che  molti ragionamenti pur non sillogizzando un solecismo paiono di sillogizzarlo, sic-   * come nelle confutazioni „.   * I solecismi apparenti (paragrafo 4) hanno occasione pressoché tutti dal vóde,   * e quando la desinenza non manifesta né maschio nè femmina, ma il di mezzo. Difatti  ofirog significa maschio ed a%%r\ femmina ; ma tomo vuole bensì significare il di   " mezzo, pure spesso significa anche l'uno o l'altro di quelli : p. es. , che è %ov%o ?  Calliope, legno, Corisco. D'altronde, del maschile e del femminile le desinenze de' casi    Qui mi par di vedere Aristotele (senza menomare la fina osservazione e interpretazione del  nostro Bonghi) riferirsi al famoso dialettico Zenone eleate, del quale uno degli argomenti famosi,  quello cioè del non potersi andare da un punto all'altro dello spazio, era pensato e condotto  appunto in tal guisa: cioè, di non potersi percorrere l'intero spazio senza giungere alla metà di  questo, non potersi giungere a questa metà senza percorrere la metà di questa metà, e così non  potersi giungere a questa seconda senza percorrere la metà della metà della metà, ecc. in infinito,  il che era impossibile a fare in un tempo finito." differiscono tutte, ma del genere di mezzo quali sì, quali no. Ed ecco che spesso,  " essendosi lor concesso %ov%o, sillogizzano, come se fosse stato detto %ov%ov ; e del  " pari una desinenza in luogo d'un' altra. E il paralogismo si genera perchè il tóóe  * è comune a più desinenze ; giacche tomo significa quando ovzog quando zovxov.  8 Però deve significare quando l'uno e quando l'altro ; con è oixog, con essere iqviqv,  8 per es., è KoQioxog, essere Koqioxov. E nei vocaboli femminili del pari ; e in quelli,  " che son bensì d'utensili, ma però hanno appellazione femminile o maschile. Dap-  8 poiché tutti quelli che terminano in o e in v, hanno soli l'appellazione da utensili,  8 come ^vkov, o%oiviov ; ma quelli che non così, l'hanno maschile o femminile, di  8 cui applichiamo alcuni agli utensili ; p. es. daxòg è vocabolo maschile, xÀhrj fem-  " minile. Per il che anche rispetto a questi differirà del pari l'è e l'essere „.   " E in un certo modo (paragrafo 5) il solecismo è simile alle confutazioni tratte  8 dal prendere per simili cose non simili. Giacché come a queste accade di sole-  8 cizzare sulle cose, così a quello su' vocaboli ; chè uomo e bianco sono e cosa e  8 vocabolo „. Sicché è manifesto che da simili desinenze bisogna sforzarsi di  " sillogizzare il solecismo.   " Le specie, dunque, de' discorsi contenziosi e le parti delle specie e i modi son  8 quelli che si son detti „.   Con questi quattordici Capitoli finisce la parte teorica degli Elenchi Solistici, e  che, come si è detto, nei seguenti venti Capitoli si espone e fa l'applicazione dei  primi quattordici. Io ometto di esporre anche questa parte applicativa, ritenendo suffi-  ciente pel mio scopo la conoscenza della teoria.   Passo perciò al secondo punto del triplice cenno che io voleva fare degli Elenchi  predetti, cioè alla indicazione latina de' paralogismi o sofismi, secondo la indicazione  di Boezio. Questi infatti (vedi Bonghi, nota 129 alle Confutazioni Sofistiche, pag. 529)  indica le tredici denominazioni sofistiche di Aristotele così : 1° Aequivocatio ; 2° amphi-  bolia; 3° compositio; 4° divisto; 5° accentus; 6° figura dictionis; 7° propter accidens;  8° propter id quod simpliciter vel non simpliciter ; 9° propter redargutionis ignorantiam ;  10° propter consequens ; 11° propter id quod est in principio sumere ; 12° propter id  quod non est causa ut causam ponere, ovvero, propter non causam ut causam; 13° propter  phires interrogationes unam facere.   In questa stessa nota 129 il Bonghi ha un notevole accenno ad Alberto Magno,  che pure scrisse degli Elenchi Sofistici. E altri accenni non meno notevoli ha nella  nota 160 per Alfarabi ; nella nota 161 per S. Tommaso ; e nella nota 163 per Duns  Scotus, il cui tractatus logicae è l'ultimo nella Scolastica, e che è intitolato De sillo-  gismo sophistico sive fallaciis.   Ed ora pongo termine alla mia esposizione coll'allegamento dello stupendo e  comprensivo luogo dell'TJEBERWEG (Syst. d. Logik u. Gesch. d. Logischen Lehren, citato,  pag. 370), che suona come segue:   " Aristotele nel suo scritto tisqì xtbv ao(pia%iKù>v èXèy%(àv si è fatto guidare  8 nelle diverse parti del medesimo dallo speciale riguardo ai sofismi molto disputati  " al suo tempo. Egli definisce (Top. Vili, 11) il oócpiofia come avÀÀoyia/iòg EQiatixóg,  " e divide i Sofismi in due Classi principali : naqà tìjv As^iv e è'^co vrjg Àé^ecog.   " Alla Prima Classe principale novera (De Soph. Elench., c. 4) come appartenenti sei specie: ófihìvvfila (aequi vocatio), àfMpifioXia (ambiguitas) , ovv&soig (fallacia a  8 sensu diviso ad sensum compositum), diaigeoig (fallacia a sensu composito ad sensum  " divisum), jiQoacpòia (accentus), a%f[na vf/g Aé^sojg (figura dictionis) : de' quali Sofismi  " però il terzo ed il quarto (la confusione del senso distributivo e del collettivo,  " ovvero la confusione di ciocche vale in modo speciale di tutti i singoli od in ogni  " singolo rapporto, e di ciocche vale della generalità come tale), in quanto appar-  " tenenti alle fallaciis secundum dictionem, si lasciano aggruppare (subsumere) sotto  " il concetto dell'anfibolia nel senso indicato di sopra. (Per ayfifiaza zfjg Aé^scog  " Aristotele intende qui le forme grammaticali de' nomi e de' verbi, e, secondo  " Poet. c. 19, in modo speciale le proposizioni grammaticali fondate sui diversi rap-  8 porti di Predicato con Soggetto : proposizioni grammaticali, alla cui espressione  " servono in parte i Modi verbali, come Comando, Preghiera, Minaccia, Enunciazione,  " Domanda e Risposta).   " Alla Seconda Glasse principale, cioè ai Sofismi è'^oy xfjg Àé^eag, Aristotele novera  " come appartenenti le seguenti sette specie : naqà tò avfi^s^rjìióg (fallacia rationis  " ex accidente), tò ànX&g fj [lì] àicl&g (a dicto simpliciter ad dictum secundum quid),  " fj tov èXéy%ov àyvoia (ignoratio elenchi), naqà tò èuó/À,evov (fallacia rationis ex   * consequente ad antecedens), tò èv àQ%fj Aafifiàveiv, aheìa&ai (petitio principii),  " tò /li] ahiov Ti&épai (fallacia de non causa ut causa), tò tó tiàeiù) èqo)%fji4,ma ev  " noielv (fallacia plurium interrogationum).   Se non che questi errori sono in parte errori di dimostrazione (Beweisfehler ;  " ved. appresso paragr. 137). Degli errori indicati adduce Aristotele stesso esempi  " nel suo scritto tieqì %<òv ao<pianxò)v èXéy%(av ; si può paragonare con esso il Dialogo  " di Platone (o di un platonico) Eutidemo. Antiche e moderne esemplificazioni, però   * in gran parte già fatte, dà il Fries {System der Logik, paragr. 109). Una diffusa ed esatta disamina di Sofismi si trova in Mill, Log. trad. da Schiel, 2 (e 3) Ediz.,  " pag. 398-432. Rispetto al carattere nebuloso e confuso di parecchie moderne spe-   * culazioni, e rispetto ad innumerevoli sofismi, per mezzo de' quali, dato l'insolvibile  " compito di derivare il pieno dal vuoto, si è creduto di ottenere l'apparenza di una   * soluzione, ha detto il Trendelenbtjrg (Eri. su den Ehm. der Arisi. Log., 1842, p. 69)  " con ragione : * Sarebbe tempo di tradurre secondo il tempo moderno (iris Moderne)  " lo scritto aristotelico degli Elenchi Sofistici „. Questo compito è stato risolto soltanto in modo unilaterale mediante Y Antibarbarus logicus von Cajus, 1851 ; 2 a Ediz.,  " 1° fase, 1853, comunque il suo autore nel campo del pensiero filosofico sappia  " esercitare con destrezza di Polizia certe funzioni (polizeiliche) di vigilanza s .   Chiudo la mia considerazione ed esposizione della logica del lizao, e concludo  dicendo che questi punti fondamentali del pensiero logico del lizeo e la corrispondente legislazione del medesimo sono addirittura una immortale creazione, che non  i soli 24 secoli passati han già confermata e glorificata, ma che continueranno a  confermare e glorificare anche i secoli venturi. Grice: “How can people speak of ‘mathematical logic’ when Russell says that mathematics rests on logic?!” – logica aritmetica, aritmetica logica – His exposition of ‘logica aristotelica’ is impressive, and overlaps with Grice/Strawson’s seminars on Categoriae and De Interpretatione. His editorial work on Ceretti is excellent. He has written on some other Italian philosophers, too. Pasquale D’Ercole. Ercole. Keywords: difesa della metafisica, panlogica, esologia, essologia, sinautologia.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ercole” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Ermino – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Porch. Contemporary of Plotino. He confined his activities mainly to teaching and wrote little or nothing.

 

Grice ed Ermodoro – Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. He was a pupil of Plato of whom he wrote a biography. He also wrote a history of mathematics. According to Suda, he took Plato’s books and sold them.

 

Grice ed Erode – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Erode Attico – One of the richest and best connected people in the Roman empire. More of a sophist and a friend of philosophers than a philosopher himself. He condemned the Porch philosophers for their lack of feeling.

 

Grice ed Eschine – Roma – filosofia antica – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Giannantoni, G. (1990), Socratis et Socraticorum Reliquiae, iv (Elenchos. Collana di testi e studi sul pensiero antico diretta da Gabriele Giannantoni 18: Naples). 'L' Alcibiade di Eschine e la letteratura socratica su Alcibiade'. In G. Giannantoni and M. Narcy (eds.), Lezioni Socratiche (Elenchos. Collana di testi e studi sul pensiero antico diretta da Gabriele Giannantoni 26: Naples. Aeschines of Neapolis (Naples) –According to Diogene Laerzio, Eschine was a Platonist and favourite pupil of Melantio di Rodi. He seems to have been the same person as the Eschine said by Plutarco to have studied under Carneade.

 

Grice ed Esimo – Roma – filosofia antica – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. An undated inscription found at Pergamum refers to Claudio Esimo as a philosopher.

 

Grice ed Estieo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean. Suda says he was the father of Archita di Taranto.

 

Grice ed Esposito – il Sistema dell’in/differenza – filosofia italiana – Luigi Speranza (Piano di Sorrento). Filosofo italiano. Grice: “I like Esposito; of course, his ‘origine della filosofia italiana’ owes a bit to the historians of Roman literature and that infamous embassy of the very best of Grecianism: Carneade, Critolao, and Diogene!” 599 ab urbe condita!”. Parte dalla constatazione dell'esaurirsi del tradizionale lessico della politica e dalla consapevolezza della necessità di una sua diversa formulazione. Su questo presupposto, si incentra sulla ripresa e sulla rielaborazione di questa tradizione all'interno di nuove esigenze, a partire da una re-interpretazione delle categorie classiche della filosofia. A tal fine nelle sue opere lascia interagire saperi e linguaggi differenti, dalla filosofia alla letteratura, all'arte, alla poesia, all'antropologia, alla teologia.  Dopo i primi studi su Vico e Machiavelli, il suo lavoro si è concentrato intorno a quattro nuclei tematici. L'impolitico viene inteso come rovescio impensato dalla politica. Le riflessioni su questo tema sono confluite in “Categorie dell'impolitico” (il Mulino, Bologna), Nove pensieri sulla politica (Bologna, il Mulino), “L'origine della politica” (Roma, Donzelli).  La filosofia della comunità e biopolitica sono confluite in una trilogia. “Communitas: origine e destino della comunita” (Einaudi, Torino)” è un tentativo concettuale di ridefinire il concetto di comunità, al di fuori di ogni riferimento ai comunitarismi passati e presenti, privilegiando piuttosto gli filosofi da Rousseau a Kant, da Heidegger a Bataillein cui prevale una concezione della comunità in quanto legge comune dell' “essere insieme”, ma anche la coscienza tragica di ciò che contiene di irrealizzabile da un punto di vista politico. “Immunitas: protezione e negazione della vita” (Einaudi, Torino) è una lettura biopolitica dei conflitti in seno al corpo sociale. “Immunitas” persegue il lavoro di scavo teorico cominciato in Communitas e pone la categoria dell'immunità al centro di questa riflessione sulle contraddittorie strategie di difesa della società rispetto ai rischi, reali e immaginari, che la insidiano. In questo senso l’immunizzazione è allo stesso tempo una protezione e una negazione della vita che rischia sempre di diventare una sorta di malattia immune del corpo sociale. “Bios: biopolitica e filosofia” (Einaudi, Torino) è una rilettura, a partire di Foucault, della storia del pensiero biopolitico alla luce del concetto d'immunità. Essendo l'immunitas una protezione negativa della vita, la biopolitica che ne incorpora le procedure è sempre a rischio di trasformarsi in tanato-politica. Ciò non toglie che possa profilarsi una, sia pur problematica, nozione affermativa di bio-politica.  Al concetto di persona e di impersonale ha dedicato “Terza persona: politica della vita e filosofia dell’impersonale” (Einaudi, Torino) e “Due. La macchina della teologia politica e il posto del pensiero” (Einaudi, Torino) e “Le persone e le cose” (Einaudi, Torino). A partire da una critica del concetto, giuridico romano di persona, inteso come un dispositivo che separa la vita umana da se stessa, l’impersonale è inteso come la forma di una possibile ri-unificazione tra corpi. e persona.  Nel dittico costituito da “Pensiero vivente. Origine a attualità della filosofia italiana” (Einaudi, Torino) e “Da fuori. Una filosofia per l'Europa” (Einaudi, Torino) ha ricostruito i caratteri prevalenti della tradizione filosofica italiana, a partire da Machiavelli, Bruno e Vico, fino a quella che viene definita Italian Theory. Essi riguardano la connessione tra le categorie di storia, politica e vita. Altre opere: La politica e la storia. Machiavelli e Vico (Liguori, Napoli); Termini della politica. Comunità, immunità, biopolitica (Mimesis, Milano); “Politica e negazione: per una filosofia affermativa” (Einaudi, Torino); “La filosofia italiana come problema: da  Spaventa all’Italian Theory, "Giornale Critico di Storia delle Idee"; “Protezione e negazione della vita (Einaudi, Turin), più largamente, documenti di tutti gli interventi ripresi, con le risposte dell'autore).Politiche della vita sul margine pericoloso dell'impersonale, di Ciccarelli per il «Centro per la Riforma dello Stato». Treccani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. The category of applicational generality relates to Esposito’s concept of the im-PERSONAL. La terza persona is not a person like “I” and “thou”.  Grice uses ‘person’ generally, “Someone (i. e. I) is hearing a noise). “Someone” is (Ex) with the addition of ‘person’. A sock is not a someone; a rose bush is not a someone – a dog is not for Grice a someone. But then ‘someone’ is a solecism.  Esposito considers the communication and community alla Tonnies. Grice knows the connection community and communication, when he criticizes Stevenson for trying to define the Anglo-Saxon ‘meaning,’ circularly, in terms of ‘communication. – The problem of the third person is fascinating. Obviously a grammarian’s mistake – a grammarian usually not knowing anything about philosophy, used philosophical concepts – such as person – first person for “I” is ok, second person for “Thou” is okay – when it comes to verbs, and pronouns, “The chair is comfy” (La sedia e comoda.) – there is nothing personal about a chair being personal. It is not true that someone is comfortable (jemand). – there’s nothing personal about this. Since Homer, prosôpon [πϱόσωπоν], etymologically “what is opposite the gaze,” has designated the human “face” in particular, and then, metaphorically, the “façade” of a building, and synechdochically, the whole “person” bearing the face. Another remarkable semantic extension is that of the theatrical “mask” (Aristotle, Poetics 1449a36), leading in turn to the meaning “character in a drama” (Alexandrian stage directions for dramatic works regularly included the list of the prosôpa tou dramatos [πϱόσωπα τоῦ δϱάματоς]), and then to a narrative. Its Latin equivalent, persona, refers in its turn to the mask that makes the voice resonate (personare), before it designates a character, a personality, and a grammatical person (Varro). The meaning of the compound prosôpopoiein [πϱоσωπо-πоιεῖν]—“to compose in direct discourse,” that is, to make the characters speak themselves—clearly shows that the dramatic meaning of prosôpon had a particularly great influence on the history of the word. In any event, it seems quite likely that when grammarians adopted prosôpon to designate the grammatical “person,” they were thinking of the dialogue situation characteristic of the theatrical text, which makes use of the alternation “I-you”: the face-to-face encounter between person(age)s is rooted in the category of the “person” (see SUBJECT, Box 6). Whereas terms like “tense” (chronos [χϱόνоς]) and “case” (ptôsis [πτῶσις]) are attested before they appear in strictly grammatical texts, this is not the case for prosôpon used to refer to the “person” as a linguistic category. On the other hand, in the earliest grammatical texts, and in a way that remains perfectly stable later on, prosôpon is adopted to describe both the protagonists of the dialogue and the marks, both pronomial and verbal, of their inscription in the linguistic material. In fact, the main difficulty encountered by grammarians regarding the notion of prosôpon seems to have been how properly to articulate reference to real persons occupying differentiated positions in linguistic exchange (speaker, addressee, other) with reference to the person as a grammatical mark. This difficulty occurs notably in a quarrel about definition. In the Technê attributed to Dionysius Thrax (Grammatici Graeci 1.1 [chap. 13, p. 51.3 Uhlig = 57.18 Lallot]), the verbal accident of prosôpon is defined as follows: Prosôpa tria, prôton, deuteron, triton; prôton men aph’ hou ho logos, deuteron de pros hon ho logos, triton de peri hou ho logos [Пϱόσωπα τϱία, πϱῶτоν, δεύτεϱоν, τϱίτоν· πϱῶτоν μὲν ἀφ’ оὗ ὁ λόγоς, δεύτεϱоν δὲ πϱὸς ὃν ὁ λόγоς, τϱίτоν δὲ πεϱὶ оὗ ὁ λόγоς]. There are three persons: first, second, third. The first is the one from whom the utterance comes, the second, the one to whom it is addressed, the third, the one about whom he is speaking. This minimal definition clearly sets forth the two protagonists of the dialogue, distinguishing them by their position in the exchange, and introduces without special precaution a third position, characterized as constituting the subject matter of the utterance. The parallelism of the three definitions—a simple pronoun for each “person”—masks the lack of symmetry between the (real) first and second persons and the third person; the latter, as Benveniste pointed out (Problèmes de linguistique générale, 228), may very well not be a “person” in the strictest sense. This definition, which remained canonical for several centuries, was attacked by Apollonius Dyscolus, who completed it as follows (I adopt the formulation in Choeroboscos [Grammatici Graeci 4.2 (p. 10.27 Uhlig)], a Byzantine witness to the Alexandrian master): Prôton men aph’ hou ho logos peri emou tou prosphônountos, deuteron de pros hon ho logos peri autou tou prosphônoumenou, triton de peri hou ho logos mête prosphônountos mête prosphônoumenou [πϱῶτоν μὲν ἀφ’ оὗ ὁ λόγоς πεϱὶ ἐμоῦ τоῦ πϱоσφωνоῦντоς, δεύτεϱоν δὲ πϱὸς ὃν ὁ λόγоς πεϱὶ αὐτоῦ τоῦ πϱоσφωνоυμένоυ, τϱίτоν δὲ πεϱὶ оὗ ὁ λόγоς μήτε πϱοσφωνοῦντος μήτε πϱоσφωνоυμένоυ].) The first person is the one from whom the utterance comes meaning me, the speaker, the second, the one who to whom the utterance is addressed meaning the addressee himself, the third the one about whom the utterance speaks and who is neither the speaker nor the addressee. Apollonius’s arrangement contributes useful explanations: (a) each “person,” including the first two, can be the subject of the utterance; (b) the third is defined negatively as being neither the first nor the second (which implicitly opens up the possibility that it is a “person” only in an extended sense, insofar as it does not need to be competent as an interlocutor); (c) the overlap of enunciation and enunciated is explicit: there is a first person when the utterance refers to the enunciator-source, a second person when it refers to the addressee, and a third when it refers to someone or something else. Despite the incontestable advance represented by Apollonius’s revision, it nonetheless leaves an ambiguity regarding the designatum of prosôpon: are we talking about extralinguistic entities, “persons” engaging in dialogue or not, or are we talking about linguistic entities, “accidents” of the conjugated verb and the pronomial paradigm (personal pronouns)? Apparently the former, which is surprising coming from a grammarian who prides himself on correcting another grammarian. In fact, there is hardly any doubt that in Apollonius, the ambiguity I mentioned is still attached to the term prosôpon. Consider the following text, taken from Apollonius’s Syntax 3.59 (Grammatici Graeci 2.2 [p. 325.5–7 Uhlig]): Ta gar meteilêphota prosôpa tou pragmatos eis prosôpa anemeristhê, peripatô, peripateis, peripatei [τά γὰϱ μετειληφότα πϱόσωπα τоῦ πϱάγματоς εἰς πϱόσωπα ἀνεμεϱίσθη, πεϱιπατῶ, πεϱιπατεῖς, πεϱιπατεῖ]. The persons who take part in the act [of walking] are distributed into persons: I walk, you walk, he/she walks. We can interpret this to mean that in a group of persons—extralinguistic entities— who are walking, every utterance concerning the walk will elicit the appearance of verb endings distributing the walkers among the three grammatical persons: such is the alchemy of Apollonius’s prosôpon. Jean Lallot BIBLIOGRAPHY Benveniste, Émile. “Structure des relations de personne dans le verbe.” Chap. 18 in Problèmes de linguistique générale, 225–36. Paris: Gallimard, 1966. Translation by M. A. Meek: Problems in General Linguistics. Coral Gables, FL: University of Miami Press, 1971. Grammatici Graeci. Edited by A. Hilgard, R. Schneider, G. Uhlig, and A. Lentz. Leipzig: Teubner, 1878–1902. Reprint, Hildesheim, Ger.: Olms, 1965. Lallot, Jean. La grammaire de Denys le Thrace. Paris: Le Centre National de la Recherche Scientifique.  Wikipedia Ricerca Liberté, Égalité, Fraternité motto della Francia Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento società non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Liberté, Égalité, Fraternité (in italiano Libertà, Uguaglianza, Fratellanza) è un celebre motto risalente al Settecento e associato in particolare all'epoca della Rivoluzione francese, divenuto poi il motto nazionaledella Repubblica Francese.   Testo esposto su un cartello che annunciava la vendita dei biens nationaux, ovvero di quei possedimenti e domini della Chiesa (edifici, oggetti, terreni e foreste) che furono confiscati dopo la Rivoluzione francese (1793). All'epoca, il motto fu talvolta mutato in Libertà, Egualità, Fraternità, o Morte: ma quest'ultima parte fu poi abbandonata perché troppo fortemente associata con il regime del Terrore LibertàModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Libertà. La prima parola del motto repubblicano francese è "Liberté", che fu all'inizio concepita secondo l'idea liberale. La Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789) la definiva così: «La libertà consiste nel potere di fare ciò che non nuoce ai diritti altrui». «Vivere liberi o morire» fu un grande motto repubblicano, adottato nello stemma originale del Club dei Giacobini. Sotto il governo giacobino-montagnardodel Comitato di salute pubblica, di cui Maximilien de Robespierre fu il leader più importante (cosiddetto regime del Terrore), divenne famoso il motto: «Nessuna libertà per i nemici di essa».  UguaglianzaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Uguaglianza sociale.  Timpano di una chiesa con un'iscrizione risalente al 1905, anno della legge sulla separazione tra Chiesa e Stato Secondo termine del motto repubblicano, la parola "Égalité", significa che la legge è uguale per tutti e le differenze per nascita o condizione sociale vengono abolite (egualitarismo); ognuno ha il dovere di contribuire alle spese dello Stato in proporzione a quanto possiede. Il principio teoricamente era già presente nel concetto di Stato di diritto, ma con la Rivoluzione Francese venne praticamente messo in atto.  FratellanzaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Fraternità. Nella Dichiarazione dei diritti e doveri del cittadino, parte integrante e iniziale della Costituzione dell'anno III (1795), la parola "Fraternité", terzo elemento del motto repubblicano, è definita così: "Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi" (cosiddetta etica della reciprocità)  Origini e usoModifica I primi contenuti riferibili al motto Liberté, Égalité, Fraternité sono presenti nel saggio pubblicato nel 1774 a Londra da Jean-Paul Marat, Work wherein the clandestine and villainous attempts of princes to ruin liberty are pointed out ("Opera in cui s'illustrano i sotterranei e scellerati tentativi dei prìncipi di cancellare la libertà"), che egli pubblicherà poi in francese col titolo più noto Les chaînes de l'esclavage("Le catene della schiavitù"), dove si anticipavano i temi dell'azione politica: una violenta presa di posizione contro il dispotismo a favore della sovranità popolare e dell'uguaglianza. Successivamente, nel libro La Costituzione, o Progetto di Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789 vengono ripresi e perfezionati gli ideali di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza che verranno progressivamente adottati a motto e simbolo. La prima formulazione del motto è attribuita a Camille Desmoulins (l'inventore anche della coccarda tricolore francese) per la Festa del 14 luglio 1790, anniversario della presa della Bastiglia.[1]  Sebbene Liberté, Égalité, Fraternité sia un motto nato dalla Rivoluzione francese e usato nella Prima repubblica, occorre attendere la IIIe République (Terza Repubblica) perché venga adottato come simbolo ufficiale: prima di allora il motto subisce una battuta d'arresto, insieme ai principi fondanti della Repubblica. L'Impero e la Restaurazione trascurarono la valorizzazione legislativa del motto, che ritorna alla pubblica ribalta solo nel 1848 grazie alla penna di Pierre Leroux, all'epoca rappresentante del popolo in seno alla Assemblée Nationale (Assemblea Nazionale). Egli partecipa attivamente al percorso di riconoscimento del motto come principio costituente della Seconda Repubblica.  Nell'ambito di una repubblica a cui sovente si pospone l'aggettivo "operaia", il motto acquista significati più ampi: l'adozione del suffragio universale estende a tutti la Liberté di scelta politica. La Commission du Luxembourg (Commissione del Luxembourg), nel promuovere le Associazioni Operaie (antenate delle cooperative di produzione), estende l'Égalité ai domini specifici dell'economia e della società. Infine, per mezzo di uno Stato che assegna la sovranità al popolo, la Fraternité esprime il senso della solidarietà e modera i potenziali ardori estremisti delle altre due sorelle. Mentre in passato si tendeva a privilegiare l'Égalité o la Liberté, questa fase storica vede la Francia percorrere la strada della democrazia con un maggiore equilibrio.  Tuttavia, ancora una volta, la Repubblica si divide: la repressione popolare del giugno 1848 e il ritorno dell'Empire rimettono in vigore la filosofia e la portata sociale del triplice motto. È necessario che trascorrano ancora dei decenni per arrivare a vedere, nel 1880, la celebre massima incisa sui frontoni di tutti gli edifici pubblici. Poi, le Costituzioni del 1946 e 1958riconoscono autorevolmente il valore che il triplice motto ha per la storia del Paese d'oltralpe.  Liberté, Égalité, Fraternité rappresentano un valore così grande da travalicare i confini della Francia, sono simboli che hanno portata e rilevanza universali. Questo motto, nato dalla fucina d'idee della rivoluzione francese, è un caposaldo irrinunciabile della moderna cultura dell'Occidente.  Alcune repubbliche sorelle della Francia rivoluzionaria come la Repubblica Cisalpina napoleonica e la Repubblica Napoletana adottarono un motto simile ("Libertà Eguaglianza" e "Libertà e Uguaglianza").  NoteModifica ^ Yannick Bosc, «Sur le principe de fraternité», 19 janvier 2010. Voci correlateModifica Emblemi della Francia Motti nazionali Altri progettiModifica Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Liberté, Égalité, Fraternité Collegamenti esterniModifica liberte, egalite, fraternite, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata ( EN ) Liberté, Égalité, Fraternité, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata (IT)  Il motto della Repubblica francese - Il sito ufficiale della Francia ( FR ) Liberté, Égalité, Fraternité, su Les symboles de la République française, Présidence de la République - Élysée.fr. URL consultato il 9 giugno 2010 (archiviato dall' url originale  il 4 aprile 2010).   Portale Francia   Portale Rivoluzione francese Ultima modifica 4 giorni fa di Vituzzu PAGINE CORRELATE Emblemi della Francia Révolution nationale Stemma di Haiti Wikipedia Il contenutoWikipedia Ricerca Uguaglianza sociale ordinamento per cui tutte le persone di una società godono degli stessi diritti e doveri Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce sugli argomenti diritti umani e sociologia è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sugli argomenti diritto e sociologia è priva o carente di note e riferimenti bibliografici puntuali. L'uguaglianza sociale - che si applica ai diritti e ai doveri della persona, considerati in termini di giustizia- è un ideale che dà ad ognuno, indipendentemente dalla sua posizione sociale e dalla sua provenienza, la possibilità di essere considerato alla pari di tutti gli altri individui in ogni contesto. Si tratta di un ideale presente, almeno come tale, in tutti i paesi civilizzati, come rivendicazione di pari dignità individuale e sociale per tutti.   Luigi Taparelli d'Azeglio Mentre il concetto di giustizia sociale può essere ricondotto alla teologia di sant'Agostino e alla filosofia di Thomas Paine, il termine "giustizia sociale" iniziò ad essere esplicitamente utilizzato negli anni '80 del 1700. Al sacerdote gesuita Luigi Taparelli viene tipicamente riconosciuto l'aver coniato il termine, che si è poi diffuso durante i moti rivoluzionari del 1848attraverso le opere di Antonio Rosmini.[1][2]  StoriaModifica Studi antropologici su siti archeologici indicano l'esistenza di una sostanziale uguaglianza nelle società di cacciatori-raccoglitori mentre con l'avvento dell'agricoltura si rilevano gli inizi delle disuguaglianze[3].  Concetti di baseModifica L'uguaglianza sociale è una situazione per cui tutti gli individui all'interno di società o gruppi specifici isolati debbano avere lo stesso stato di rispettabilità sociale. Come minimo, l'uguaglianza sociale comprende la parità di diritti umani e individuali secondo la legge. Esempi sono la sicurezza, il diritto di voto, la libertà di parola e di riunione, e dei diritti di proprietà. Tuttavia, essa comprende anche l'accesso all'istruzione, l'assistenza sanitaria e altri basilari diritti sociali, ed inoltre pari opportunità e obblighi.  Genere sessuale, orientamento sessuale, età, origine, casta o classe, reddito e proprietà, lingua, religione, convinzioni, opinioni, salute o disabilità non devono tradursi in una disparità di trattamento. Un problema aperto è la disuguaglianza orizzontale, la disuguaglianza di due persone della stessa origine e capacità. Nel mondo contemporaneo, poi, "i confini dell’uguaglianza sociale si spostano in avanti: dopo le importanti conquiste dei diritti sociali, legate alle lotte di emancipazione dei lavoratori e alla costruzione dei moderni welfare state, si apre oggi un piano di azione per una emancipazione ulteriore, che ha caratteristiche più sottili e insieme più profonde: quelle della agibilità effettiva dei diritti sociali formalmente sanciti e del pieno dispiegamento delle capacità individuali ancora compresse o sotto-utilizzate per una larga parte della popolazione. In questi termini appare evidente la natura «universalistica» delle nuove politiche, come politiche per la promozione delle capacità e l’empowerment di tutti i cittadini. Il principio universalistico dunque è costitutivo dell’approccio di queste nuove politiche"[4].  In filosofiaModifica L'uguaglianza in termini aristotelici è l'analogia delle parti da attribuire a soggetti uguali rispetto a qualche caratteristica specifica (eguaglianza proporzionale) o la pura uguaglianza matematica. Ci sono diverse forme di uguaglianza relative alle persone e alle situazioni sociali. Per esempio, si può considerare la parità tra i sessi per quanto riguarda l'accesso al lavoro; le persone interessate sono di sesso opposto, la cui situazione sociale comune è l'accesso all'occupazione. Allo stesso modo, la parità di opportunità, in senso generale, implica l'idea che le persone dovrebbero essere nelle stesse condizioni di partenza nella vita, ovvero che tutti dovrebbero avere pari opportunità indipendentemente dalla loro nascita e successione.  Peraltro, una perfetta uguaglianza sociale è una situazione ideale che, per vari motivi, non ha riscontro in alcuna società odierna. Le ragioni di ciò sono ampiamente dibattute: circostanze concrete, addotte per il perpetrarsi della disuguaglianza sociale, sono comunemente ritenute l'economia, l'immigrazione/emigrazione, la politica estera e gli altri vincoli di cui soffre la politica nazionale.  Storia delle ideeModifica L'uguaglianza sociale è un obiettivo politico soprattutto dei partiti di ispirazione socialista in tutte le sue variegature storiche. Il concetto di uguaglianza anche in massoneria è estremamente importante, divenendone uno dei cardini unitamente alla tolleranzaed alla fratellanza. Le battaglie in questa direzione hanno avuto un apice con l'abolizione dei privilegi della rivoluzione americana del 1791. La prima parla di Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, versione francese del 1789, comincia così: Les hommes naissent et demeurent libres e lala7  en droits (Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti). In antitesi vi è il concetto di gerarchiameritocratica tipico della destra, mentre un sincretismo può considerarsi il "comunitarismo". Un controesempio di uguaglianza sociale è stata ritenuta la disuguaglianza sociale dell'Europa medievale.  MedioevoModifica Il concetto di uguaglianza tra le persone si riscontra anche in epoca medievale. Si tratta di un concetto ereditato dall'epoca della cavalleria (che raggiunse il suo apice durante il XII secolo), dove grande importanza aveva l'ideale secondo cui la vera nobiltà sgorgava dal cuore delle persone, i quali quindi sarebbero stati al fondo tutti uguali.  «...tu vedrai noi d'una massa di carne tutti la carne avere, e da uno medesimo Creatore tutte l'anime con iguali forze, con iguali potenzie, con iguali virtù create. La virtù primieramente noi, che tutti nascemmo e nasciamo iguali, ne distinse;»  (Boccaccio, Decameron) Tra gli studiosi dell'epoca medievale c'è chi (si può citare Huizinga) rintraccia in quei documenti che testimoniano la diffusione di questo principio i presupposti per poter parlare dell'esistenza di un ideale egualitaristico già in epoca medievale.[6] Se così fosse, nonostante la grande diffusione nella letteratura di corte dell'epoca, andrebbe comunque sottolineato come questo primitivo concetto di uguaglianza si limiti tuttavia a una mera considerazione di natura morale, senza che sia minimamente avvertita la necessità, da parte di chi abbraccia tale ideale (nella fattispecie i membri della nobiltà), di attivarsi per operare attivamente sulla società per ridurre le disuguaglianze esistenti. Ciò si può anche spiegare in base al fatto che durante il Medioevo dominava nella cultura popolare e nobiliare una visione della società divisa in classi, regolate da rapporti gerarchici ben precisi secondo un ordine che non poteva essere messo in discussione, in quanto emanazione diretta della Divinità[7]. Rimanendo nell'ambito di questa interpretazione, l'unica nozione diffusa relativa all'uguaglianza tra le persone, al di fuori dei già nominati ideali nobiliari, è l'uguaglianza di tutti di fronte alla morte.  Nella Costituzione italianaModifica In Italia il principio è riconosciuto nell'art. 3 della Costituzione il quale afferma che:  «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»  (eguaglianza in senso formale)  Quest'articolo esprime il principio di uguaglianza in base al quale non devono essere attuate discriminazioni di alcun genere tra i cittadini. Tale principio può apparire scontato ma ci sono state, anche in tempi recenti, situazioni in cui esso non era assolutamente riconosciuto.  Concludendo, poi, che:  «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana»  (eguaglianza in senso sostanziale. Paine, Agrarian Justice, Printed by R. Folwell, for Benjamin Franklin Bache. ^ J. Zajda, S. Majhanovich, V. Rust, Education and Social Justice, 2006, ISBN 1-4020-4721-5 ^ Kohler,et al., Greather post-Neolithic wealth disparaties in Eurasia than in North America and Mesoamerica , Nature, 2017, 551, 619-622, in Chiara Volpato, Le radici psicologiche della disuguaglianza,Introduzione, 2019, ed.Laterza, Bari, Paci e E. Pugliese (a cura di), Welfare e promozione delle capacità, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 25-26. ^ Domenico V. Ripa Montesano, Vademecum di Loggia, Roma, Edizione Gran Loggia Phoenix, 2009, ISBN 978-88-905059-0-4. ^ L'autunno del Medioevo,  p. 82. ^ L'autunno del Medioevo,  p. 77. ^ Tra i contributi alla stesura di questa parte della norma costituzionale si ricorda quello di Massimo Severo Giannini, offerto su richiesta del costituente Lelio Basso. Ritenendosi da parte socialista che fosse “un tradimento fermarci all'enunciazione dell'uguaglianza formale”, ma non essendo “pensabile una norma di garanzia dell'uguaglianza economica e sociale, che presupponeva un tipo di Stato allora e anche oggi inesistente”, Giannini propose due soluzioni alternative: la prima più spinta, che impegnava la Repubblica a offrire a tutti i cittadini “uguali posizioni economiche e sociali di partenza”; l'altra che corrispondeva al testo poi accolto. E senza una minima carica retorica noterà che “non avevamo intenzione di fare del nuovo, ma solo di affermare un principio di dinamica dell'azione dei pubblici poteri per una società più giusta” (Cesare Pinelli, Lavare la testa all'asino, in Mondoperaio, n. 11-12/2015, p. 36). BibliografiaModifica Carlo Crosato, L'uguale dignità degli uomini. Per una riconsiderazione del fondamento di una politica morale, ed. Cittadella, Assisi 2013. Huizinga, L'autunno del Medioevo, Roma, Newton Compton, 2011   [1919] , p. 82. John Rawls, Una teoria della giustizia, in Sebastiano Maffettone (a cura di), Universale economica, traduzione di Ugo Santini, 5ª ed., Milano, Feltrinelli, Rousseau, Il contratto sociale, in Universale economica, traduzione di Jole Bertolazzi, introduzione di Alberto Burgio, 12ª ed., Milano, Feltrinelli, Alberto Burgio, Eguaglianza, interesse, unanimità. La politica di Rousseau, Napoli, Bibliopolis, 1989, ISBN 9788870882094. Accademia nazionale dei Lincei, Disuguaglianze e classi sociali: la ricerca in Italia e nelle democrazie avanzate, in Atti dei convegni lincei, Roma, Bardi, 2020, ISBN 9788821812026. Voci correlateModifica Differenziazione sociale Disuguaglianza sociale Distribuzione della ricchezza#Disuguaglianza Egualitarismo Potere Stratificazione sociale Società (sociologia) Pari opportunità Femminismo Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni sull'uguaglianza Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sull'uguaglianza Collegamenti esterniModifica Eguaglianza, su Enciclopedia Treccani, Portale Diritto   Portale Politica   Portale Sociologia Egualitarismo dottrina politico-sociale che propone la parità di diritti e opportunità degli individui  Una teoria della giustizia Uguaglianza di genere in Azerbaigian Wikipedia Il contenutoeguaglianza Condizione per cui ogni individuo o collettività deve essere considerato alla stregua di tutti gli altri, e cioè pari, soprattutto nei diritti civili, politici, sociali ed economici. L'eguaglianza di tutti davanti alla legge è, assieme alla libertà, un diritto fondamentale dell'uomo e una delle regole-base di una convivenza democratica. In Italia l'eguaglianza è garantita dall'articolo 3 della Costituzione. Le costituzioni democratiche assicurano inoltre l'eguaglianza dei cittadini attraverso la libera partecipazione alla vita politica e mirano a garantire pari opportunità nella vita sociale, cioè a offrire a tutti le stesse possibilità di crescita e di affermazione personale e professionale.  eguaglianza formale e politica  Di eguaglianza si parla in molti sensi: innanzitutto come eguaglianza formale e politica. La prima consiste nel fatto che tutti i membri della società sono assolutamente eguali nei diritti e nei doveri senza distinzione di sesso, origine, razza, ricchezza, convinzioni religiose o politiche, e non devono subire discriminazioni. L'eguaglianza politica, invece, sta nel fatto che ogni cittadino ha uguale diritto di voto e può a sua volta essere eletto. Questi ideali di libertà e di eguaglianza si sono venuti affermando in Europa e negli Stati Uniti alla fine del Settecento, dopo una lunga lotta contro i regimi monarchici e assolutistici (e contro la Gran Bretagna per le colonie americane) che riconoscevano, tra l'altro, privilegi e differenze di status giuridico alle classi aristocratiche. Gli ideali di eguaglianza hanno trovato espressione nelle dichiarazioni dei diritti della storia inglese (a cominciare dalla Magna charta libertatum, 1215) e soprattutto nella Dichiarazione d'indipendenza americana (1776) e nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino approvata dall'Assemblea costituente francese nel 1789, in cui l'enunciazione di tali principi gettava le basi di un nuovo ordine politico.  APPROFONDIMENTO di Stefano De Luca  Entrata nella cultura occidentale con lo stoicismo e soprattutto con il cristianesimo (che considera tutti gli uomini dotati della stessa dignità, in quanto figli di un medesimo Padre), l'idea che gli uomini siano eguali tra loro ha giocato un ruolo decisivo nelle vicende sociali e politiche soltanto a partire dal Seicento. I principali pensatori politici del 17° e 18° sec. (da T. Hobbes a J. Locke, da J.-J. Rousseau a I. Kant) partono dall'ipotesi che gli uomini siano liberi ed eguali e di conseguenza pongono l'origine dello Stato in un accordo volontario (il patto o contratto) stipulato dagli individui stessi. Mentre per Platone e Aristotele esisteva una gerarchia 'naturale' (fondata sull'intelligenza e sul sapere) tra chi è adatto al comando e chi è adatto all'obbedienza - gerarchia che durante il Medioevo si irrigidì nel criterio ereditario, fondato sulla nascita - per i moderni pensatori contrattualisti gli uomini dispongono di eguali diritti e di conseguenza l'ordine sociale e politico è qualcosa di 'artificiale', che gli individui costruiscono tramite accordi.  Queste idee troveranno spettacolare applicazione nelle due grandi rivoluzioni moderne, quella americana e quella francese, i cui più famosi documenti si aprono con un solenne richiamo all'idea di eguaglianza. All'inizio della Dichiarazione d'indipendenza americana (1776) troviamo un elenco di 'verità' autoevidenti, la prima delle quali è "che tutti gli uomini sono creati uguali"; e nel primo articolo della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789) troviamo proclamato il principio secondo cui "gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti".  1. Diverse interpretazioni di una stessa idea  Il principio dell'eguaglianza si rivelò ben presto suscettibile di varie interpretazioni: esso poteva infatti essere invocato sul piano civile, come eguaglianza di fronte alla legge e nei diritti di libertà (garanzie giudiziarie, libertà di coscienza, libertà di iniziativa economica); oppure sul piano politico, come eguale partecipazione al potere tramite il diritto di voto; oppure, sul piano sociale, come eguaglianza nel possesso di risorse economiche. La richiesta dell'eguaglianza civile ha caratterizzato, tra 18° e 19° sec., i movimenti politici di ispirazione liberale, la cui principale preoccupazione era la tutela della libertà individuale da ogni forma di potere collettivo; l'eguaglianza politica - con la connessa richiesta del suffragio universale - è stata invece, nella seconda metà del 19° sec., la ragion d'essere dei movimenti democratici, i quali consideravano la partecipazione di tutti al potere politico (cioè l'autogoverno collettivo) la forma più alta di libertà; l'eguaglianza sociale, infine, è stata la bandiera dei movimenti socialisti, che hanno teorizzato - sino alla metà del 20° sec. - la scomparsa della proprietà privata e del libero mercato, nella convinzione che la vera libertà potesse scaturire soltanto dall'eguale possesso delle risorse economiche e non dal possesso di 'diritti astratti'.  Tra questi diversi tipi di eguaglianza, la differenza più grande è quella che separa l'eguaglianza formale da quella sostanziale. L'eguaglianza nei diritti civili e politici è un'eguaglianza formale, perché riguarda la sfera dei diritti e non quella dei beni; di conseguenza, è compatibile con un grado più o meno ampio di diseguaglianza sociale. Il fatto di essere eguali di fronte alla legge e nelle libertà individuali significa che ogni individuo non subisce discriminazioni e che dispone delle stesse facoltà: ma quanto ai risultati, sul piano sociale, questi dipenderanno dal suo impegno e dalla sua abilità. Anche l'eguaglianza politica non incide direttamente sulla sfera sociale, sebbene la partecipazione di tutti al voto (e quindi, indirettamente, alle decisioni legislative) possa far prevalere politiche di ridistribuzione della ricchezza. L'eguaglianza sociale, invece, è un'eguaglianza di tipo sostanziale, giacché non riguarda i diritti, ma i bisogni, e si traduce nell'eguale distribuzione dei beni: poiché si tratta di una forma radicale di eguaglianza, in questo caso si è soliti parlare di egualitarismo.  2. Diritti sociali e pari opportunità  Se per gran parte del 19° sec. lo scontro è stato soprattutto tra liberali e democratici (divisi dal tema del suffragio universale), nel secolo successivo lo scontro è stato tra liberali e democratici da un lato e socialisti e comunisti dall'altro, divisi dal tema dei diritti civili, dei diritti politici e della libertà economica: dal punto di vista dei socialisti e dei comunisti, infatti, l'eguaglianza civile e politica era soltanto una maschera degli interessi economici della borghesia, i quali determinavano la più reale e oppressiva delle diseguaglianze. Nel corso del Novecento, tuttavia, sono sorte correnti di socialismo democratico o riformista, che non rifiutavano i diritti conquistati da liberali e democratici, ma pensavano piuttosto a integrarli con una serie di diritti e politiche sociali (diritti sindacali, istruzione, assistenza sanitaria e pensionistica, assegni di disoccupazione, servizi sociali), il cui scopo è correggere gli squilibri dell'economia di mercato e ridurre le diseguaglianze sociali. Per altro verso, anche nel pensiero liberale si è manifestata una maggiore sensibilità sociale, che si è concretata nel principio dell'eguaglianza delle opportunità, che mira (attraverso le borse di studio, i prestiti d'onore e altri strumenti) a dotare tutti gli individui delle stesse possibilità, cioè ad eguagliare i punti di partenza.  A partire dagli anni Sessanta del Novecento, il tema dell'eguaglianza ha giocato un ruolo decisivo nella questione femminile, ossia nella lotta per eliminare le discriminazioni e le diseguaglianze tra uomini e donne sul piano dei rapporti personali e dei ruoli pubblici. Il tema delle 'pari opportunità', in questo ambito, ha avuto negli ultimi anni un grande risalto: sono sorte infatti apposite istituzioni il cui scopo è garantire, per le donne, eguali possibilità di carriera nel settore pubblico e privato e una maggiore presenza nella vita politica (a livello locale e nazionale).egualitarismo Concezione politico-sociale tendente a realizzare, accanto all’uguaglianza di diritto sancita dalle norme costituzionali o legislative, una uguaglianza di fatto, fondata sull’equa ripartizione dei beni e delle fortune tra tutti i membri di una società. L’egualitarismo affonda le sue radici nell’Illuminismo e nella Rivoluzione francese e ha ricevuto particolare impulso dai movimenti socialisti.   1. Egualitarismo salariale Tipo di politica sindacale mirante a ridurre le differenze retributive tra le diverse qualifiche nell’ambito di una categoria o nell’insieme dei lavoratori dipendenti. In Italia si è parlato di egualitarismo salariale per gli aumenti retributivi in cifra fissa previsti dai contratti collettivi di lavoro (1969-79) e per l’unicità del punto di contingenza (1975-86).Roberto Esposito. Esposito. Keywords: fascismo, il Sistema dell’in/differenza, Vico, Spaventa, Machiavelli, Bruno. Tanato-ethics, tanato-politica, three features of the conversational imperative: generality: formal generality, applicational generality, conceptual generality. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Esposito” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Eudemo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The father of Publio Elio Aristides. A philosopher. Antonino liked him.

 

Grice ed Eudemo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of Galen. Lizio.

 

Grice d Eudico – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. A Pythagorean, according to Giamblico.

 

Grice ed Eudosso – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Pupil of Archita di Taranto.

 

Grice ed Eulogio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Little is known about him other that he was a philosopher and that the emperor Leo I arranged for him to be supported at public expense.

 

Grice ed Eumenio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma) FIlosofo italiano. He studied philosophy alongside Pharianus and Giuliano.

 

Grice ed Eufemo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to Giamblico.

 

Grice ed Eurimedon – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to Giamblico.

 

Grice ed Eurifamo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. According to Giamblico, Eurifamo was a disciple of Pythagoras. As an indication of how seriously Pythagoreans took any agreement, Giamblico relates how Eurifamo once asked Lisi of Taranto to wait for him outside the temple of Era. Lisi agreed. Eurifamo forgot all about him and returned the next day to find Lisi still waiting there. Some fragments of a work on life supposedly by him have survived.

 

Grice ed Eurifemo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean.

 

Grice ed Eurito – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. The information concerning Eurito is extremely confused. Giamblico describes him as a pupil of both Pythagora and Filolao di Crotona. He is variously described as coming from Taranto, Metaponto, and Crotone. According to Diogene Laerzio, Plato visits Filolao and Eurito in Italia. The connections with Pythagoreanism and Italy are constants, but unless Eurito lived an ionordinately long time, it seems safer to assume either that two people by the same name have been confused with each other, or that some of the information is simply wrong. The association with Filolao is widely attested and seems unlikely to be wholly mistaken.

 

Grice ed Eusebio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Eusebio was the tutor of Sidonio and Probo. He had his own schoot at Arelate (Arles).

 

Grice ed Eusebio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend and teacher of Giuliano.

 

Grice ed Eustatio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Appears in the Saturnalia of Macrobius.

 

Grice ed Eutino – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. Pythagorean according to Giamblico.

 

Grice ed Eutino – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Pythagorean according to Giamblico. 

 

Grice ed Eutosion – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. A Pythagorean according to Giamblico.

 

Grice ed Eutropio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of Sidonius. Chastised by Sidonius for manifesting an indifference to public service that smacked of The Garden.

 

Grice ed Evagrio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Evagrio was an aristocratic philosopher based in Rome.

 

Grice ed Evandro – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean according to Giamblico.

 

Grice ed Evandro – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean, according to Giamblico.

 

Grice ed Evanor – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari) – Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico.

 

Grice ed Evareto – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Quinto Elio Egrilio Evareto was a philosopher in Rome, a friend of the lawyer and legal scholar Publio Salvio Giuliano.

 

Grice ed Evete – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. A Pythagorean according to Giamblico.

 

Grice ed Evola --romanità – l’implicatura di Romolo – filosofia romana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “Evola was a bit of a linguistic philosopher; I enjoyed his rambling on the proper use of “Latin” versus “Roman;” Evola notes that the implicatures differ. ‘Roman’ he links with Spartan, and he opposes to the formation, ‘greco-romano’ o ‘classico’ – “Latin” he applies to “lingua romana,” as Orazio and Tacitus had done!” – Grice: “If I had to think of the equivalent linguistic analysis by an English philosopher, I can only think of DeFoe, and his satire on what constitutes an Englishman! Later parodied by Gilbert and Sullivan and put to good effect in “Chariots of Fire,” where Abrams is seen referred to as “HE IS.. an Englishman! For he himself has said it!” -- - Italian philosopher – Figlio di Vincenzo e Concetta Mangiapane, barone di Castropignano. Studia a Roma. Manifesta un'opposizione a Roma, soprattutto in riferimento alla teoria del peccato e della redenzione, del sacrificio divino e della grazia. Studia filosofia. Entra in contatto con alcuni esponenti del Futurismo quali Balla e Marinetti. Partecipa alla esposizione futurista a Palazzo Cova, Milano. Rientra a Roma dopo il conflitto ed attraversa una profonda crisi esistenziale che lo porta al bordo del suicidio. Aderisce al Dadaismo ed entra in contatto epistolare con Tzara. Fonda “Bleu” Esce un saggio sull'idealismo magico. Si deve superare i limiti dell'umano per andare verso “l'oltre-uomo”.Studia la teoria e fenomenologia dell'individuo assoluto. Nel “L'uomo come Potenza” compare una concezione dell'io ispirata ai dettami del tantrismo e del taoismo.  Queste ultime opere segnano un'ulteriore svolta: passaggio da una posizione filosofica di tipo teoretico ad una di tipo pragmatico. Cerca infatti di individuare strumenti concreti per mezzo dei quali calare nella vita quotidiana la teoria dell'Individuo assoluto. Inizia un'intensa esperienza giornalistica: partecipa alla redazione di Lo Stato democratico e collabora a riviste come Ultra, Bilychnis, Ignis, Atanor e Il mondo. Frequenta i circoli esoterici romani e partecipa alla vita notturna della capitale. Disumano qual è, gelido architetto di teorie funambolesche, vanitoso, perverso, s'è trovato dinanzi a me come a cosa tutta viva, tutta schietta, mentre aveva fantasticato chissà quale avventura necrofila. E questa cosa tutta schietta l'ha turbato, l'ha commosso, segretamente. Coordina “Ur”, che si occupa di esoterismo. Conosce Reghini. Pubblica “Paganesimo.” Attacca violentemente Roma ed esorta a ritrovare la grandezza della civiltà romana. Oserà dunque Italia assumere qui, qui donde già le aquile imperiali partirono per il dominio del mondo sotto la potenza augustea, solare, regale, oserà qui riprendere la fiaccola della tradizione mediterrane? Influenzato da Guénon abbandona in seguito le tesi estremiste a favore del concetto di “tradizione" e fonda “La Torre” destinata a difendere principi sovrapolitici, in realtà una tribuna di filosofi che si battevano per una Italia più radicale e più intrepida. Critiche mosse ad alcuni personaggi del Regime dalle pagine de La Torre, provocano l'intervento di Starace che prima diffida Evola dal continuare la pubblicazione, poi proibisce a tutte le tipografie romane di stampare la rivista la cui pubblicazione, alla fine, viene sospesa. Viene sorvegliato dal regime in quanto accusato di affiliazione all'Ordo Templi Orientis ed è costretto ad assumere alcune guardie del corpo (come testimoniato da Massimo Scaligero). In Meditazioni delle vette, intende l'alpinismo come pratica ascetica e meditazione spirituale: superamento dei limiti della condizione umana attraverso l'azione e la contemplazione, che divengono due elementi inseparabili, un'ascesa che si trasforma in ascesi. Successivamente pubblica due saggi La tradizione ermetica e Maschera e volto dello spiritualismo. “La tradizione ermetica” è una disamina dell'aspetto magico, esoterico e simbolico dell'alchimia. “Il volto e la maschera” è un saggio critico su quella filosofia che invece di elevare l'uomo dal razionalismo e dal materialismo, lo portano ancora più in basso: spiritismo, teo-sofia, antropo-sofia e psicoanalisi. In “Rivolta contro il mondo” traccia un affresco della storia letta secondo lo schema ciclico tradizionale delle quattro età: oro, argento, bronzo e ferro nella tradizione occidentale. Analizza le categorie qualificanti l'uomo della tradizione e le anticha "razza divina” Esamina a fondo Il mistero del Graal e le sue implicazioni dottrinarie nelle visioni dei diversi periodi storici, impostando tutta la sua disamina sul concetto di "tradizione ghibellina dell'impero", cercando di svincolare il Graal e la sua portata simbolica da Roma. Collabora attivamente con la Scuola di mistica da Giani, tenendo alcune conferenze e figurando nel comitato di redazione della rivista Dottrina. La maggior parte degli interventi di Evola in conferenze e scritti, riguardano principalmente il concetto di “razza divina”, argomento che trova appoggio da parte di Giani. Il concetto di “mistica” rappresenta un'incongruenza potendo parlare, al più, di “etica.” Questo perché in realtà la dottrina non affronta il problema dei valori superiori, i valori del sacro, solo in relazione ai quali si può parlare di mistica. Evola ravveda nella mistica un elemento rilevatore di una spiritualità lunare e del polo femminile. E infatti il sottotitolo di Diorama filosoficola pagina prima mensile e poi quindicinale curata da Evola nel quotidiano Il Regime è: Problemi dell’etica. Una serie di scritti di Evola relativi alla scuola di mistica, sono stati pubblicati dall'editore Controcorrente e aiutano in parte a chiarire le posizioni assunte dal filosofo all'interno della suddetta corrente.  Sia in fatto o nell’ideale, esiste una opposizione fra l'uomo ariano e tradizionale europeo e l’altri. L’ariano e capace di concepire e di realizzare un'armonia fra corpo ed anima (“La civiltà occidentale”, Augustea). In “Mito del Sangue ricostruisce le concezioni sulla razza dalle civiltà fino alle teorie di Gobineau, Woltmann, de Lapouge, e Chamberlain. L'ariano (da "Arya") appartiene al corpo e lo spirito. Si esprime negativamente sul colonialismo giudicando l'Etiopia conquistata dall'Italia nient'altro che una contraffazione degenerescente di un organismo tradizionale. Critic ail materialismo zoologico. Ha una concezione dell'uomo come essere costituito da corpo, anima e spirito, dove lo spirito deve avere il primato sull’anima e il corpo. L’opportunità di questa formulazione risiede nel fatto che una razza può degenerare, anche restando biologicamente pura, se lo spirito è diminuito o obnubilat, se ha perso la propria forza, come presso certi tipi nordici. Un corpo di una data razza si liga in un individio lo spirito di un'altra razza. Respinge ogni teorizzazione del razzismo in chiave “zoologica”! ponendo il pensatore tradizionale tra coloro che «imboccata una certa strada, la seppero percorrere, in confronto con tanti che scelsero quella della menzogna, dell'insulto, del completo obnubilamento di ogni valore culturale e morale, con dignità e persino con serieta. Non è il solo a prendere le distanze dal razzismo zoologico. Altre note figure della cultura del tempo, come Acerbo, e meno note, come Mazzei, se ne dissociano. L'impostazione critica data da De Felice su questo passaggio del pensiero di Evola è particolarmente apprezzata dagli autori filo-evoliani. Anche Orano sviluppa, secondo taluni, una forma di razza divina etico-sociale che rinvia a Il mito del sangue di Evola. Primo, in ordine di tempo fu Orano. Dietro di lui, con una vena più scadente, comparvero Romanini ed Evola. C’e tre ordini di razza: corpo, anima, spirito. Dunque, Evola riprende, seppur in maniera meno esplicita, alcune delle teorie del de Gobineu che cercano di identificare una gerarchia ideale nei gruppi delle razze umane. Cio non impedisce ad Evola di avere una "doppia affiliazione" ed essere pure membro della Massoneria. Evola non aderisce al Partito e tale mancata adesione gli impedisce di arruolarsi come volontario contro l'Unione Sovietica nel corso della Seconda guerra mondiale. Critica del germanismo tuttavia l'incompletezza nell'attuazione di questo programma, non abbastanza radicale e aderente ai principi della "Tradizione".Per esempio una difesa della razza e improntata giuridicamente e il potere e derivato dal popolo e non un potere regale di origine divina come nell'ideale società ario-germanica delle origini. Teorizza dunque il tradizionalismo puro, ideale e radicale, capace di attuare i propri principi e di far trionfare la cultura romana pagana delle origini -- un impero europeo e pagano sotto la guida egemonica della Roma di Cesare. Fa ritorno nell'Italia liberata solo al termine della guerra. Essendo rigorosamente contrario all'abrogazione della Monarchia e alla trasformazione dell'Italia in una Repubblica, intraprende tentativi di influenza.Si occupa di studiare e combattere le trame occulte e antitradizionali della massoneria.  Pubblica “Impero”.Scrive Evola: “Io potevo aver difeso e potevo continuare a difendere certe concezioni in fatto di dottrina dello Stato. Si era liberi di fare il processo a tali concezioni. Ma in tal caso si dovevano far sedere sullo stesso banco degli accusati: Platone, un Metternich, un Bismarck, il Dante del De Monarchia e via dicendo.” Si tenta di effettuare una "doppia lettura" dei suoi testi: una lettura palese per il volgo ed una "esoterica" per gli "iniziati". Pubblica “Gli uomini e le rovine” che esercita grande influenza negli ambienti della destra italiana nel quale spiega la decadenza del mondo moderno in seguito alla distruzione del principio di autorità e di ogni possibilità di trascendenza per l'affermarsi del razionalismo, in contrasto con le antiche civiltà e i valori della tradizione. In “Metafisica del sesso” tratta la forza magica e potentissima dell'atto sessuale, attraverso lo studio dei simboli esteso a numerose tradizioni. L'«Operaio» in Jünger. “Cavalcare la tigre”. Scrive sul concetto metafisico ed immanente di tradizione, come Il Ghibellino. “Gli uomini e le rovine” e “Cavalcare la tigre” sono considerati due testi fondamentali grazie ai quali c'è una fattiva adesione al ribellismo anti-sistema”Pubblica Il cammino del cinabro, la sua autobiografia, e L'arco e la clava.  Assiste alla costituzione dei “dioscuri”, sodalizio dedito al ripristino della cultualità romana ed italica, di cui è uno degli ispiratori, attraverso i suoi scritti sulla romanità, il paganesimo e le idee imperiali, oltre che attraverso un particolare rapporto di intimità con i dioscuri.  Solstitivm. Evola è propugnatore del Tradizionalismo, un modello ideale e sovratemporale di società caratterizzato in senso spirituale, aristocratico e gerarchico. Tale modello si riscontra, da un punto di vista storico, in la civiltà romana. La civiltà romana non si basa su criteri economici, materiali e biologici, ma e suddivisa e gestita in base a criteri di gerarchia sociale di carattere ereditario e spirituale.  Ogni azione che avviene durante la vita biologica (il divenire) rispecchia direttamente una medesima azione di carattere metafisico (l'essere) e dunque imperitura e sovratemporale.  Il cammino dell'uomo avviene attraverso un percorso di tipo circolare. Traccia di questa teoria la si trova, ad esempio, nella teoria delle *cinque età* (dell'oro, dell'argento, del bronzo, degli eroi, del ferro). La civiltà romana, ritenuta superiora da Evola si basa dunque su una più elevata dimensione metafisica e spirituale dell'esistenza, anziché su criteri di ordine materiale. L'uomo ha la possibilità di elevarsi alla sfera divina e metafisica attraverso precise strade (il rito e l'iniziazione), utilizzando determinati strumenti (l'azione e la contemplazione) all'interno di contesti sociali predeterminati (la casta, l'impero). Non esiste differenza quantitativa tra l'uomo e il dio. Ogni uomo è un dio mortale. Ogni dio un uomo immortale. La razza e "spirituale". Rifiuta una visione zoological, in favore di un patrimonio di tendenze e attitudini che, a seconda delle influenze ambientali, giunge rebbero o meno a manifestarsi compiutamente. L'appartenenza a questa razza spiritual si individuerebbe dunque sulla base dello spirito, e in seguito del corpo, diventandone col tempo questo ultime il segno visibile. E un concetto metafisico di razza. La romanita spirituale del quale parla Evola parte appunto dal dato biologico, che gli pare ancora troppo zoologico, rozzo e deterministico, per sublimarlo e portarlo a pieno compimento sul piano dello spirito – non romano, ma romanita --, ossia sul piano metafisico. Intendeva potenziare e nobilitare la romanita, avvolgendolo in una nebulosa filosofeggiante e scrostandolo di quel tanto di ruvido zoologismo. Vengono ritrovate sette lettere da Evola a Croce (più una indirizzata all'editore Laterza. Evola invia inizialmente a Croce la richiesta di intercedere presso Laterza per la pubblicazione dei “Idealismo magico” e “Teoria dell'individuo assoluto”. La seconda e una cartolina postale di Croce ringraziandolo per il giudizio di apprezzamento sul lato formale dei due manoscritti dell’Idealismo magico e Teoria dell’individuo assoluto.  Laterza, nonostante l'appoggio favorevole di Croce, Laterza scrive una lettera  in cui precisa di volersi riservare la massima libertà di decidere anche nei riguardi di autorevoli amici. Evola scrive a Croce chiedendo aiuto per “La tradizione ermetica”, un saggio sull'alchimia. In una quarta lettera, Evola ringrazia Croce per l'interessamento. “La tradizione ermetica” esce per i tipi dell'editore barese.  Evola invia quattro lettere a Gentile. Nonostante le marcate divergenze sul piano filosofico Evola si discosta dall'attualismo gentiliano in favore di una rigida codificazione teoretica (l'idealismo magico) il pensatore tradizionale cerca un confronto con uno dei massimi esponenti del mondo accademico. Tale confronto non produce risvolti interessanti sotto il profilo speculativo in quanto i due filosofi sono su posizioni eccessivamente distanti, ed anche i presupposti dottrinali sono inconciliabili.  Il tentativo di Evola di aprire un colloquio costruttivo rimane un fiore che non sboccia. Evola cerca di costruire, pur senza risultati apprezzabili, un punto di riferimento culturale alternativo al gentilismo. Nel Cammino dei cinabro tenta di spiegare così le ragioni di questo mancato incontro.“Ogni riferimento extra-filosofico di cui il mio sistema filosofico e ricco sirve come un comodo pretesto per l'ostracismo. Si poteva liquidare con un'alzata di spalle un sistema che accordava un posto perfino al mondo dell'iniziazione, della "magia" e di altri relitti superstiziosi. Che tutto ciò da me fosse fatto valere nei termini di un rigoroso pensiero speculativo, a poco sirve. Però anche da parte mia vi e un equivoco, nei riguardi di coloro ai quali, sul piano pratico, la mia fatica speculativa posse servire a qualcosa. Si tratta di una introduzione filosofica ad un mondo non filosofico, la quale posse avere un significato nei soli rarissimi casi in cui la filosofia ultima avesse dato luogo ad una profonda crisi esistenziale. Ma vi e anche da considerare (e di questo in seguito mi resi sempre più conto) che i precedenti filosofici, cioè l'abito del pensiero astratto discorsivo, rappresentano la qualificazione più sfavorevole affinché tale crisi potesse essere superata nel senso positivo da me indicato, con un passaggio a discipline realizzatrici.” Gentile tuttavia riconosce ad Evola una certa competenza in campo esoterico-alchemico ed infatti chiede al filosofo della tradizione di curare la voce “atanor” per l'Enciclopedia Italiana. Anche alcuni allievi di Gentile riconoscono ad Evola una certa stima, in particolare Calogero. Giuli successivamente riporta altre informazioni, relative al carteggio Evola-Gentile, reperite all'interno della "Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici", occupandosi dei saggi che Evola invia con dedica a Gentile.  Invia sette lettere a Schmitt che mette in luce da una parte alcune amicizie e conoscenze in comune tra i due pensatori (Jünger, Mohler e il principe di Rohan), dall'altra il tentativo di proporre la pubblicazione in italiano del saggio di Schmitt sul tradizionalista Cortes.Tale tentativo non va in porto, così come fallisce anche il secondo progetto di pubblicare un'antologia schmittiana.  Di rilievo, all'interno dello scambio epistolare, le due divergenti visioni rispetto al ruolo dell'uomo politico e la sua autonomia. Evola interpreta il concetto di dittatura incoronata come «necessità di un potere che decida assolutamente, ma ad un livello di una dignità superiore, indicata dall'aggettivo incoronata. Per Schmidt, invece, esiste prima di tutto un passaggio significativo che porta dal concetto della legittimità del regnare a quello della dittatura. La dittatura incoronata significa solo un pis-aller pratico mai ha concepito questo espediente pragmatico come una forma di salvezza. E in questo caso così come già ampiamente esposto in Rivolta contro il mondo moderno, il costante rimando di Evola ad un fondamento trascendente dell'ordine politico rimane quell'ineliminabile discrimine che non può essere in alcun modo occultato o minimizzato. L'epistolario assume rilievo in relazione al tentativo di fornire di solidi contrafforti ideologici e culturali il mondo conservatore che, nel dopoguerra italiano, si trovava a combattere la sua battaglia politica. Entra in contatto epistolare con Benn, appartenente alla cosiddetta Rivoluzione conservatrice. Il primo incontro risale durante la tappa berlinese di un viaggio che Evola effettua in Germania. Da quell'incontro scaturisce una recensione-saggio di Benn alla versione di “Rivolta contro il mondo moderno” che appare in “Die Literatur di Stoccarda”. Nel presentare “Rivolta contro il mondo moderno”, Benn espone le sue teorie convergendo con la visione del mondo di Evola. Si ha rintracciato tre lettere da Evola a Benn. Le lettere sono importanti in quanto chiariscono la comunanza di vedute dei due autori rispetto al tema della tradizione e di una visione del mondo conservatrice, oltre al fatto che entrambi non si riconoscono nel establishment. “Sono sempre più convinto che a chi voglia difendere e realizzare senza compromessi di sorta una tradizione spirituale e aristocratica non rimanga purtroppo, oggi e nel mondo moderno, alcun margine di spazio; a meno che non si pensi unicamente a un lavoro elitario». E un tentative di riprendere, nel dopoguerra, i rapporti con i filosofi conservatori. Invia lettere a Tzara. Si tratta di una trentina di documenti tra lettere e cartoline. Molte tappe del cammino artistico del filosofo romano sono già note prima del rinvenimento della corrispondenza con Tzara: in parte perché lo stesso Evola ne parla nella sua autobiografia, in parte perché dedotte dai critici e dagli studiosi nelle partecipazioni, in qualità di articolista, che ha in alcune riviste d'arte dell'epoca: Noi, Cronache d'Attualità, Dada e Bleu. Ciò che invece non è noto prima del rinvenimento della corrispondenza, sono le modalità dell'avventura evoliana nella sfera artistica, ovvero come essa si attuò, come fu vissuta, a che mirava. L'archivio della corrispondenza tra i due artisti ha, inoltre, il pregio di colmare il vuoto di un periodo poco conosciuto di Evola. Questo vuoto si colma sia attraverso la ricostruzione di tappe cronologiche (il recupero di alcune date, partecipazioni a mostre, riviste, incontri) sia attraverso il recupero di tappe più specificamente psicologiche. In particolare quelle che portano Evola ad annunciare il proprio suicidio e che raccontano di un uomo colto nel pieno male di vivere, di una sperimentazione del travaglio interiore che l'artista vive, dove la sofferenza acuta si alterna alla disperazione. Altre opere: “Arte astratta, posizione teorica” (Roma, Maglione e Strini); La parole obscure du paysage intérieur, Roma-Zurigo, Collection Dada); Saggi sull'idealismo magico, Todi-Roma, Atanòr);  L'individuo e il divenire del mondo, Roma, Libreria di Scienze e Lettere); “L'uomo come potenza, Todi-Roma, Atanòr, “Teoria dell'individuo assoluto, Torino, Bocca); “Imperialismo pagano, Todi-Roma, Atanòr); “Fenomenologia dell'individuo assoluto” (Torino, Bocca); “La tradizione ermetica, Bari, Laterza); “Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, Torino, Bocca); “Rivolta contro il mondo moderno, Milano, Hoepli); “Tre aspetti del problema” (Roma, Mediterranee); “Il mistero del Graal, Bari, Laterza); “Il mito del sangue, Milano, Hoepli); “Indirizzi per una educazione” Napoli, Conte); “Sintesi di dottrina” (Milano, Hoepli); La dottrina del risveglio, Bari, Laterza); “Lo Yoga della potenza, Torino, Bocca); “Orientamenti, Roma, Imperium”; “Gli uomini e le rovine, Roma, Edizioni dell'Ascia); “Metafisica del sesso, Todi-Roma, Atanòr); L'«Operaio» in Jünger, Roma, Armando); “Cavalcare la tigre, Milano, Vanni Scheiwiller); Il cammino del cinabro, Milano, Vanni Scheiwiller);  “Saggio di una analisi critica” (Roma, Volpe); “L'arco e la clava, Milano, Vanni Scheiwiller); “Raâga Blanda, Milano, Vanni Scheiwiller); “Il taoismo, Roma, Mediterranee); Ricognizioni. Uomini e problemi, Roma, Mediterranee); Lao Tze, Il libro della via e della virtù, Lanciano, Carabba, Cesare Della Riviera, Il mondo magico de gli heroi, Bari, Laterza, René Guénon, La crisi del mondo moderno, Milano, Hoepli,  Emanuel Malinski, Léon De Poncins, La guerra occulta, Milano, Hoepli, Gustav Meyrink, Il Domenicano bianco, Milano, Fratelli Bocca Editori, Gustav Meyrink, La notte di Valpurga, Milano, Fratelli Bocca Editori); Johann Jakob Bachofen, La virilità (Torino, Bocca); Gustav Meyrink, L'Angelo della finestra d'Occidente, Milano, Fratelli Bocca Editori, Mircea Eliade, Lo sciamanesimo e le tecniche dell'estasi, Milano, Fratelli Bocca Editori, Ur, Introduzione alla magia come scienza dell'Io, Torino, Bocca, Otto Weininger, Sesso e carattere, Milano, Bocca, Oswald Spengler, Il tramonto dell'occidente, Milano, Longanesi,   Eduard Erkes, Credenze religiose della Cina antica, Roma, IsMEO, “Pitagora I Versi d'Oro” (Todi-Roma, Atanòr); Lao Tze, Il Libro del Principio e della sua azione, Milano, Ceschina, Gabriel Marcel, L'uomo contro l'umano, Roma, Volpe, E. Jünger, Al muro del tempo, Roma, Volpe, Hans-Joachim Schoeps, Questa fu la Prussia, Roma, Volpe, Erik Von Kuehnelt-Leddihn, L'errore democratico, Roma, Volpe); Theodor Litt, Le scienze e l'uomo, Julius Evola, Roma, Armando, Pascal Bewerly Randolph, “Magia Sexualis”, Evola, Roma, Mediterranee, K. 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Scritti sugli Indoeuropei, Roma, Fondazione Julius Evola, Critica del costume, Catania, Il Cinabro, Julius Evola, Augustea, La Stampa, Roma, Fondazione Julius Evola, Anticomunismo positivo. Scritti su bolscevismo e marxismo, Napoli, Controcorrente, ulius Evola, Il Mondo alla Rovescia (Saggi critici e recensioni), Edizioni Arya, Genova, La scuola di mistica fascista. Scritti di mistica, ascesi e libertàm Napoli, Controcorrente, Julius Evola, Le sacre radici del potere, Edizioni Arya, Genova. Evola, Civiltà americana. Scritti sugli Stati Uniti, Napoli, Controcorrente, Evola, Scritti sulla Massoneria volgare speculativa, Edizioni Arya, Genova.Julius Evola, Par delà Nietzsche, Torino, Nino Aragno Editore, Evola, Fascismo Giappone Zen. Scritti sull'Oriente, Roma, Pagine, Julius Evola, Ernst Jünger. Il combattente, l'operaio, l'anarca, Passaggio al Bosco,, Rigener Azione Evola, Evola, Il Fascismo e l'idea politica tradizionale, Documenti per il Fronte della Tradizione Fascicolo n. 7, Raido,   Julius Evola, Mussolini e il razzismo, Documenti per il Fronte della Tradizione Fascicolo, Raido, Evola, Le SS. Guardia e Ordine della rivoluzione nazionalsocialista, Documenti per il Fronte della TradizioneFascicolo, Raido,   Julius Evola, I "Castelli dell'Ordine" e i nuovi Junker, Documenti per il Fronte della Tradizione Fascicolo Raido,  Il significato di Roma per lo spirito "olimpico" germanico, Documenti per il Fronte della Tradizione Fascicolo, Raido,   Julius Evola, La Dottrina aria di Lotta e Vittoria, Documenti per il Fronte della Tradizione Fascicolo, Raido, Etica AriaOrizzonte Tradizionale, Edizioni Arya, Genova. Raccolte di lettere e carteggi Julius Evola, Lettere di Julius Evola a Girolamo Comi, Gianfranco De Turris, Roma, Fondazione Evola, Lettere di Julius Evola a Tristan Tzara, Elisabetta Valento, Roma, Fondazione Julius Evola, Lettere a Croce, Roma, Fondazione JEvola); La biblioteca esoterica. Evola Croce Laterza. Carteggi editoriali, Antonio Barbera, Roma, Fondazione Evola, Lettere a Carl Schmitt, Roma, Fondazione Julius Evola, Lettere a Gentile, Roma, Fondazione Julius Evola. Julius Evola, La Torre. Foglio di Tradizioni varie e di espressione una, Marco Tarchi, Milano, Il Falco, Claudio Mutti, Julius Evola sul fronte dell'Est, in Quaderni del Veltro, Gianfranco De Turris, La corrispondenza tra Julius Evola e Gottfried Benn, su centrostudilaruna, Gianfranco De Turris, Profilo di Julius Evola, in Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Roma, Mediterranee, Registro degli atti di nascita di Roma, Archivio di Stato di Roma  Registro degli atti di nascita di Cinisi, Archivio di Stato di Palermo  Registro degli atti di nascita di Cinisi, Archivio di Stato di Palermo  Registro degli atti di matrimonio di Cinisi, Tribunale di Palermo  Registro degli atti di nascita di Roma Archivio di Stato di Roma  Il Barone Immaginario Il Barone Immaginario,  Gianfranco De Turris, Ugo Mursia Editore, Milano,   Catalogus Baronum, pagina Vanni Scheiwiller, Nota dell'editore, in Julius Evola, Il cammino del cinabro, Milano, Scheiwiller); Julius Evola, Il cammino del cinabro, Catalogo della mostra con tutte le opere in:  Grande Esposizione Nazionale Futurista, Milano, Le Presse, Claudio Bruni, Evola Dada, in Gianfranco De Turris, Testimonianze su Evola, Roma, Mediterranee.  Julius Evola, Il cammino del cinabro. Egli prende la terra come terra, pensa alla terra, pensa sulla terra, pensa 'Mia è la terra' e si rallegra di ciò: e perché? Perché egli non la conosce, dico io. L'estinzione vale a lui come estinzione, allora egli deve non pensare all'estinzione, non pensare sull'estinzione, non pensare 'Mia è l'estinzione', non rallegrarsi dell'estinzione: e perché? Perché impari a conoscerla, dico io.” Lettere a Tzara, Roma, Edizioni Fondazione Julius Evola, Carlo Fabrizio Carli, Evola pittore tra futurismo e dadaismo, su juliusevola. Claudio Bruni, Evola Dada. Per un approfondimento: Vitaldo Conte, Maschere di Evola come percorso controcorrente, Atti del convegno di studi "Julius Evola e la politica", Alatri Emiliano Di Terlizzi. Luciano De Maria, Introduzione a: FT. Marinetti, Teoria e invenzione futurista, Milano, Mondadori,Per un approfondimento sulla produzione pittorica di Evola si rimanda a due cataloghi: Evola e l'arte delle avanguardie. Tra Futurismo, Dada e Alchimia, Roma, Fondazione Julius Evola, e Vitaldo Conte, Julius Evola. Arte come alchimia, mistica, biografia, Reggio Calabria, Iriti, Julius Evola, Il cammino del cinabro. Poi ristampati sotto forma di antologia: Gruppo di Ur, Introduzione alla magia come scienza dell'Io, Torino, Bocca, 1955.  Per una trattazione esaustiva dell'argomento si rimanda a Renato Del Ponte, Evola e il magico gruppo di Ur, Borzano, Sea R, Evola, Il cammino del cinabro. Francesco Lamendola, Alcuni aspetti del pensiero filosofico di Julius Evola. Fenomenologia dell'Individuo assoluto, Roma, Mediterranee, Alessandra Tarquini, Il Gentile dei fascisti, Bologna, Il Mulino, Giuseppe Gangi, Misteri esoterici. La tradizione ermetico-esoterica in occidente, Roma, Mediterranee, Evola, Renato Dal Ponte, Meditazioni delle vette, La Spezia, Edizioni del Tridente, Francesco Demattè, Julius Evola, Meditazioni delle vette, in Secolo d'Italia, Gianfranco De Turris, Biografia, in Gianfranco De Turris, Testimonianze su Evola, Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich, Alain de Benoist, Julius Evola, reazionario radicale e metafisico impegnato, in Julius Evola, Gianfranco De Turris, Gli uomini e le Rovine e Orientamenti, Roma, Mediterranee, La scuola di mistica fascista. Scritti di mistica, ascesi e libertà, Napoli, Controcorrente, Il fascismo quale volontà di impero e il cristianesimo, in Critica Fascista,  Silvio Bertoldi, Salò. Vita e morte della Repubblica Sociale Italiana, Milano, Rizzoli, Roberto Vivarelli, Fascismo e fascismi, in Nuova storia contemporanea, Evola stipendiato dal Duce, in Avvenire, Marco Tarchi, Evola e il fascismo: note per un percorso non ordinario, in  Cultura e fascismo. Letteratura, arti e spettacolo di un ventennio, Firenze, Ponte alle Grazie, Giuseppe Parlato, Fascismo, Nazionalsocialismo, Tradizione, in Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich, Roma, Mediterranee, Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Il Fascismo, saggio di un'analisi critica dal punto di vista della Destra, Volpe, Roma, Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, Pino Rauti e Rutilio Sermonti, Storia del fascismo, Roma, Centro Editoriale Nazionale, Giuseppe Parlato, Fascismo, Nazionalsocialismo, Tradizione. Cfr. anche, sulla critica allo stato educatore, Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich, Evola, Fascismo e Terzo Reich, Fascismo e Terzo Reich.  Gianfranco De Turris, Nota del curatore, in Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich, Per un elenco completo delle collaborazioni giornalistiche: Gianfranco De Turris, Biografia, in Gianfranco De Turris, Testimonianze su Evola, Julius Evola, Il mito del sangue, Milano, Hoepli, Evola, L'esposizione antiebraica di Monaco, "Il Regime fascista", Julius Evola, I testi del Corriere Padano, Padova, Edizioni di AR, Franco Cuomo, I Dieci. Chi erano gli scienziati italiani che firmarono il manifesto della razza, Milano, Baldini Castoldi Dalai, Julius Evola, Il mito del sangue. Julius Evola, Il mito del sangue. Il cammino del cinabro. Evola, Il cammino del cinabro, Franco Rosati, Un pessimismo giustificato? Intervista a Evola, in La Nation Européenne, Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, Renzo de Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, Gianfranco De Turris, Testimonianze su Evola, Roma, Edizioni Mediterranee e Vanni Scheiwiller, Note dell'editore in Julius Evola, Il cammino del cinabro. Tale è l'opinione di un'importante testata giornalistica italiana del tempo: Il Giornale d'Italia  (l'articolo è firmato da Adone Nosari). Il rif. si trova in: Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, opAttilio Milano, Storia degli ebrei in Italia, Torino, Einaudi, Francesco Germinario, Razza del Sangue, razza dello Spirito: Evola, l'antisemitismo e il nazionalsocialismo, Torino, Bollati Boringhieri, Alberto Lombardo, Razza del sangue, razza dello spirito, Centro Studi La Runa. Francesco Cassata, A destra del fascism: profilo politico di JEvola, Torino, Bollati Boringhieri. Gianni Scipione Rossi, Il razzista totalitario. Evola e la leggenda dell'antisemitismo spirituale, Catanzaro, Rubbettino, Furio Jesi, Cultura di destra, Milano, Garzanti,Guido Caldiron, Un filosofo buono per tutte le destre, in Avvenire, Furio Jesi. Luca Leonello Rimbotti, Linea, Massoneria e fascism: dall'intesa cordiale alla distruzione delle Logge: come nasce una «guerra di religione», Castelvecchi, Julius Evola, Per un allineamento politico-culturale dell'Italia e della Germania, in Lo Stato. Il cammino del cinabro. Fra queste la Piccola Treccani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Giorgio Bocca, La Repubblica di Mussolini, Roma-Bari, Editori Laterza, Bruno Zoratto, Julius Evola nei documenti segreti dell'Ahnenerbe, Roma, Fondazione Julius Evola,  G. De Turris, Julius Evola. Un Filosofo in Guerra, Milano, Mursia, Il cammino del cinabro, Fondazione Julius Evola, Una biografia di Julius Evola, su Fondazione Julius evola. Gianfranco De Turris, Lettere di Julius Evola a Girolamo Comi, Roma, Fondazione Julius Evola, Francesco Carnelutti, In difesa di Giulio Evola, in L'Eloquenza,  Julius Evola, Autodifesa, Roma, Edizioni Fondazione Julius Evola, Pino Rauti, Evola: una guida per domani, in Civiltà,  Gianfranco De Turris, Elogio e difesa di Evola, Roma, Mediterranee, Gianfranco De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola, op. Julius Evola, Razzismo e altri orrori (compreso il ghibellinismo), in L'Italiano, Gianfranco De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola, Felice Pallavicini, Evola, traditore dello spirito, in Corriere della Sera, Gianfranco De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola. Pino Tosca, Il cammino della Tradizione, Rimini, Il Cerchio, La via romana, Centro Studi sulle Nuove Religioni. Julius Evola, Statuto della Fondazione Julius Evola, su juliusevola, Riccardo Paradisi, Gli Arya seggono ancora al picco dell'avvoltoio, in Giovanni Conti, Evola tascabile, Roma, Settimo Sigillo, Amalia Baccelli, Ricordo dell'uomo, in Civiltà,  //lastampa// edizioni/ aosta/la-nostra- fuga- dagli-sul- monte-rosa- per- seppellire- le-ceneri-di-evola- Julius Evola, Franco Freda  Orientamentiundici punti, Padova, Edizioni di Ar, Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Enzo Collotti, Il fascismo e gli ebrei, Bari-Roma, Laterza, Alessandro Barbera, La biblioteca esoterica. Carteggi editoriali Evola-Croce-Laterza, Roma, Fondazione Julius Evola, Cesare Medail, Julius Evola: mi manda Don Benedetto, in Corriere della Sera,  Cfr. la prefazione del testo Lettere di Julius Evola a Benedetto Croce, pubblicato dalla Fondazione Evola.  Guglielmo Savelli, Cronache di un incontro mancato. Gli ardui rapporti tra l'attualismo e l'idealismo magico, su italiasociale.org, Stefano Arcella, Gentile amico e nemico, "L'Italia Settimanale", Margarete Durst, Il contributo di Julius Evola all'"Enciclopedia Italiana", in Il Veltro,  Guido Calogero, Come ci si orienta nel pensiero contemporaneo? Sansoni, Firenze, Alessandro Giuli, Evola-Gentile-Spirito: tracce di un incontro impossibile, in Annali della Fondazione Ugo Spirito. I volumi sono: Saggi sull'idealismo magico, Teoria dell'individuo assoluto, Imperialismo pagano e Fenomenologia dell'individuo assoluto.  Alberto Lombardo, Caro conservatore ti scrivo, su centrostudilaruna, Si tratta del saggio Donoso Cortes in gesamteuropäischer Interpretation, poi pubblicato in Carl Schmitt, Donoso CortésInterpretato in una prospettiva paneuropea, Milano, Adelphi, Julius Evola, Ricognizioni. Uomini e problemi, Roma, Mediterranee, C. Schmitt, Donoso Cortes Interpretato in una prospettiva paneuropea, Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Giovanni Damiano, Evola e l'utonomia del politico, Atti del convegno di studi "Evola e la politica", Alatri, Emiliano Di Terlizzi, Antonio Caracciolo, Due atteggiamenti di fronte alla modernità, in Antonio Caracciolo, Lettere di Julius Evola a Carl Schmitt, Roma, Fondazione Evola. Essere e divenire, in Julius Evola, Rivolta contro il mondo modern. Evola, infatti, oltre a Benn, scrive a Guénon, Eliade e Schmitt e Jünger. 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Documentari Dalla Trincea a Dada di Maurizio Murelli. DVD  dalla Società Editrice Barbarossa di Milano, della durata di 101 min., che ripercorre il periodo artistico di Evola. Con musiche di: Ain Soph, Kaiserbund, Roma, Wien, Zetazeroalfa.  Pio Filippani Ronconi, Reghini, Parise, Pitagorismo Tradizionalismo, Paganesimo, Via romana agli dei, Fondazione Julius evola.  Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario biografico degli italiani, Rigenerazion Evola, Centro Studi La Runa. Vatimmo, “Evola, un filosofo scomodo per tutti”; Approfondimenti sul pensiero Francesco Rosati, Intervista a Evola, su juliusevola, Giovanni Monastra, Evola tra la seduzione e l’aristocrazia. Michele Ognissanti, Luci ed ombre su Evola, su salpan.org, Alberto Lombardo, Da Rivolta contro il mondo moderno a Gli uomini e le rovine. Mario Polia, Linee per una critica al concetto di tradizione in Evola, Giano Accame, Evola e la Konservative Revolution, Luca Lionello Rimbotti, Evola così com'era, Vitaldo Conte, Maschere di Evola come percorso controcorrente, Aleksandr Dugin, Astrazione e differenziazione in Julius Evola, Opere dadaiste, futur-ism. 2artericerca. 29 dicembre. Interviste Intervista a Julius Evola, su you tube Intervista a Salvatore Tringali, su youtube Intervista a Gian Franco Lami, su youtube Quando Evola intervistò il conte Kalergi, su rigenrazione evola. ROMA. Evola parie dall’idealismo: il mondo è per lui a rappresentazione dell’Io. Ma poiché l’Io subisce  Kfa rappresentazione del mondo come nn limite e  wLffrc in essa la sua passività, s’impone all’Io l’obblitpi pratico di sciogliere la sua passività in atti-  vità riducendo il mondo sotto il comando suo, [a-  j rendo di esso l ' atto dell’Io. La tecnica di questo pro-  gresso di risoluzione del mondo nell’Io è data dal-  l’Occultismo magico. Dall’innesto dell’Idealismo classico con la Magia nasce /'Idealismo Magico di Evola.    irò I;   r„    Opere principali — Saggi sull’Idealismo magia  - L’uomo come potenza - imperialismo pagano, Todi, Atanor; Teoria dell’Individuo assoluto - Feria-  menologia dell’Individuo assoluto - Maschera e voi.  to dello spiritualismo contemporaneo, Torino, Bocca; L’indivìduo e il divenire del mondo, Roma, Li-  breria di Scienze e Lettere; La Tradizione ermetica Bari, Laterza; Rivolta contro il mondo moderno  Milano, Hoepli. — Ha diretto le riviste Ur e La  Torre. Dall'idealismo assoluto all’idealismo magico. La Grande Solitudine. Una volta che l’Io si sia costituito a prin-  cipio a sè, a centro distinto di autoriferimen-  to. il fatto stesso che egli possa comunicare  con qualcosa di altro da lui, il fatto stesso che  egli possa in generale conoscere, appare come  un singolare mistero. E poiché è evidente che  posto il soggetto da una parte, l’oggetto dal-  l’altra non vi è più alcun modo di intendere  come quella lor congiunzione, in cui consiste  il conoscere, sia possibile; e poiché d’altra  parte l’Io ha preso ormai coscienza di sè e    75    non può più tornare a quello stato di ingem )4  adesione, di compenetrazione con le cose cli f  era appunto condizionato dal suo non esser.!  si ancora posto; resta aperta una sola via al  problema della conoscenza, e cioè: negar,,  che l’idea di una realtà esistente in sè stessa  abbia un qualunque senso, affermare che ] a  sostanza delle cose consiste semplicemente  nel loro venire rappresentate o pensate dal.  l’Io, intendere dunque che l’intero sistema  mondiale, nella ricchezza sterminata delle  sue forme, con i suoi oceani, i suoi soli e ] t .  sue vie lattee, non è che un fenomeno, una ap-  parizione che è di questo Io e per questo Io,  fuori dal quale non gli si saprebbe coeren-  temente garentire alcuna consistenza. Lungo  una tale via l’uomo vede dunque venir me-  no progressivamente tutti quegli appoggi e  tutte quelle naturali evidenze su cui prima  riposava — tutto gli si fa ora dubbioso, pro-  blematico, contingente. Tutto ciò che sa, è che  egli ora si trova così e così determinato, che  questa è la sua attuale esperienza, queste le  leggi e le categorie secondo cui egli si trova  costretto a pensarla. Ma circa il fondamento  di tale determinatezza, di tali leggi e di tali  categorie, egli non sa nulla, e così nulla saprebbe garentirgli che le cose, se così sono  ed anche sono state nei casi osservati, non  possano ad un tratto cambiare, che ogni uni-     L rI )iilà cd ogni costanza non sia astratta e  precaria, c h e , fondato su una radicale contin-    g c,lZ    za , questo sistema di fenomeni e di cate-    ti» 1 '    j e non sia che un episodio fugace, disper-  mia incoercibile, imprevedibile vicenda.    in    Se, dopo di ciò, l’individuo cerca ancora  „ n punto fermo, egli soltanto nel suo « Io »    può    Irovarlo. — Il mondo è una rappresenta-    r joiie, sta bene: ma si può forse parlare di  Ljpprescnlazione, senza nello stesso punto  resupporre resistenza di un « rappresen tall-  ite». di un soggolo cioè che la rappresenti?  [n mondo è un sogno: ma ogni sogno non im-  Iplica forse un sognatore? Si può chiamare  f a | S o, illusorio, non esistente l’insieme dell’e-  sperienza — ma colui che sperimenta e affer-  ma cotesta falsità, illusione, non esistenza  non può essere, lui, falso, illusorio, non esi-  stente. Di là dall’obliquità e dalla fluttuazio-  ne delle « cose che sono e non sono » vi è dun-  que una sola certezza: 17o. Soltanto qui l’in-  dividuo, con un possesso, ha una realtà asso-  luta ed in sè stessa evidente. Di tutto il resto  _ dell’oceano sterminato dei nomi, delle for-  me e degli esseri — non vi è reale certezza:  parvenza, contingenza, violenza di un bruto,  irrazionale « esser là », tali ne sono i princi-  pi. * lo solo sono — il resto è mia rappresen-  tazione » : in ciò si può dunque intendere la  conclusione del secondo stadio della storia  della coscienza.     Prima di passar oltre, occorre rilevare v  necessità che questo momento critico deli  storia ideale dell’individuo sia portalo e vk  suto sino a fondo. Non prima che egli abbj a  di tutto dubitato e tutto negato, non prima eh,,  egli abbia fatto intorno a sè il deserto, noft  prima che di ogni realtà abbia sofferta I’j N  realtà, di ogni evidenza la precarietà, di ogi,,  luce l’oscurità: non prima che egli abbia di-  strutto ogni appoggio e ogni rifugio ed abbj a  realizzato il punto della «grande solitudine»   — non prima di ciò l’individuo può chiamar-  si veramente tale, non prima di ciò egli è un  essere autonomo ed autocosciente. E’ quest,,  atto negativo, questo assoluto strapparsi da  quanto prima gli dava consistenza — che ora  lo fa essere. Così come secondo l’energico delto dello Stirner, l’Io non è tutto, ma ciò che  distrugge tutto; per questa assoluta negatività  albeggia nell’uomo quel principio tragico che   — come fu distintamente visto dal buddhismo   — lo fa superiore all’insieme della natura ed  allo stesso regno degli « dei ».   Si può precisare il luogo di un tale Io co-  me segue. Ogni esperienza è inseparabilmen-  te accompagnata dalla nota, implicita o espli-  cita, di essere una mia esperienza. Uautorife.  rimento, l’ahamkàra della metafisica indiana,  è la condizione elementare, senza di cui non  è concepibile alcuna realtà, giacché la sola di cui posso concretamente parlare è  iella che, in un modo o nell’altro, si risolve    r eal |:l    in    ull a mia esperienza. Ora è possibile stacca-    fe cpiesto principio di autoriferimento dai  particolari contenuti delle esperienze per ri-  legarlo in un certo modo su sè stesso. Allo-  ra s i ha: IO — IO, cioè una nuda esperienza,  un possesso, qualcosa di semplice e di ineffa-  bile. Questa nuda esperienza si presuppone,  ,|i fatto e di diritto, a qualsiasi altra esperien-  za si può dire che essa è come la tela sul-  i a quale poi tutte le particolari esperienze si  ritagliano: qui si ha quel «veggente che non  -, mai veduto », quel « conoscente che non è  ina i conosciuto », quel punto di centralità pu-  ra di cui parlano le Upanishad, e rispetto a  cui ogni particolare esperienza, fenomeno o  pensiero è un « posterius », qualcosa che vie-  ne dopo e che sta alla periferia. Si badi: qui  non si tratta nè di un Io « superiore », nè di  un Io « inferiore », nè di un Io « empirico »,  nè di un Io « trascendentale », — semplici no-  mi e astrazioni concettuali — bensì del mio  I>>, di quella assoluta presenza che sono nella  profondità del mio essere individuale. Ora  che un tale Io sia qualcosa di immoltiplicabi-  lr, qualcosa che è « solo e senza un secondo »,  è troppo evidente. Parlare di altri Io da que-  sto livello è infatti contradizione in termini.  Gli altri Io, in quanto sono « altri », non so-      no « Io », bensì dei particolari contenuti p P  senti nella mia esperienza — dunque degl;  oggetti, dei « conosciuti », al più il concett  di un conoscente e di un soggetto, non il So  getto, non il conoscente quale è in sè stesso  (cioè: come autoesperienza), che, come t a |^  esso è unico e incomunicabile. Fenomeni pJj  tieolari in questo grande fenomeno, che è il  mondo a cui, come individuo, mi sveglio,   « altri Io » ne partecipano la contingenza, so-  no qualcosa il cui principio mi sfugge, di cui  non ho alcuna reale certezza (forse che ara  che i sogni non mi presentano la parvenza di  altri esseri simili a me? E non potrebbe essere  la cosidetta esperienza reale un sogno più po.  tenie e costante impresso in me, come lo sup-  pose la scepsi cartesiana, da un qualche spi-  rito?), che cadono fuori da quel centro che,  solo, può costituirmi una terra ferma nel gran  mare dell’essere. E’ questo un punto su cui  occorre richiamare particolarmente l’attenzio-  ne: colui che, o per preoccupazioni morali e  sentimentali — a dir vero riconnettentisi al-  la precedente fase dell’evidenza naturale —  o per insufficienza di riflessione critica, non  sia giunto ad estendere il dubbio sulla realtà  stessa degli altri soggetti, epperò a concepirli  come null’allro che mie rappresentazioni,  quegli non ha veramente condotto a fondo  quel distacco, di cui poco fa si è parlato, ep    .SO    però non ha ancora perfettamente realizzala  la pura essenza dell’individuale. Costui non  è ancora maturo per il passaggio alla terza  epoca giacché di nulla può avere assoluta  I certezza quei che prima non ha saputo di tul-  io dubitare.   2) La uia della Potenza. Passando dunque alla terza fase, diciamo  subito che in essa si ha un superamento del  lato negativo connesso all’adergersi dell’indi-  vidualità. Come chi una avversa vicenda aves-  se gittato sur una isola deserta incalzato, di  là dal primo sgomento, dalla volontà di vivere, va a cercare ed a creare mezzi per una  nuova esistenza, così 1 individuo, che si sen-  te ormai solo con se stesso nell’intero ambito  del mondo, può essere portato a trarre dal  proprio interno un principio che sappia fis-  sare una nuova realtà di là dall’ordine della  parvenza e della mera rappresentazione, in  cui ogni cosa ormai è andata sommersa. Que-  sto principio è: LA POTENZA DI DOMINIO.  L’Io, infatti, non è una cosa, un « dato », un  «fatto», ma, essenzialmente, un centro pro-  fondo di volontà e di potenza. Come lo dice  il Fichte, egli non è, che in quanto si pone  — e soltanto un puro porsi è, a dir vero, il  suo « essere ». Come tale si rivela, per un ulteriore autoapprofondimento, la natura di  quel punto fermo, che si è realizzato nel se-  condo stadio. Ora questo punto fermo può  comunicare la propria consistenza a quel che  non ne ha, e ciò evidentemente quando si va-  dano a riprendere secondo il rapporto pro-  prio ad una affermazione incondizionata dcl-  l’individuale i vari ordini di quella realtà, che  prima appariva irrazionalmente, in bruta con-  tingenza, senza partecipazione della volontà  dell’Io — quasi come in un sogno. Resta da  procedere ad una determinazione di questo  stadio, tale che si definisca l’oggetto della  presente trattazione, e cioè il rapporto del-  l’individuo al divenire del mondo. Nel frat-  tempo si può dire quale sia il criteiio di cer-  tezza che si impone a questo punto. Esso è  espresso dal principio: « Vi è assoluta certez-  za — ed è postulatile realtà — soltanto di  quelle cose, dell’essere o del non essere, del-  l’essere cosi o dell’essere altrimenti delle qua-  li l’Io ha in sé, in funzione di dominio, il  principio o la causa', delle altre, solamente  nella misura di ciò che in esse soddisfa ad un  tale criterio». Queste cose dipendendo infatti  interamente dalla potenza dell Io, partecipa-  no dell’intrinseca evidenza che è inerente al  nudo principio di questo.   Volendo dunque sviluppare la posizione  assunta dalla coscienza nel terzo stadio, si  ns idererà l’unica vera obbiezione incontra-  W dall 'idealismo assoluto. Nell’idealismo as-  P 0lulO si ha la dottrina che cerca di trasfor-  I re in qualcosa di positivo quel lavoro ne-  1 ,ivo di critica e di scepsi che definisce il  Secondo stadio; e ciò cessando di intendere  I il inondo come un fenomeno, come una sem-  jj cC apparizione (unica legittima conclusio-  I „ e dell’indagine critica) per intenderlo invece  [ come qualcosa di posto, di creato dall’Io. Per-  Bianto quando si parla non più di rappresenta-  la bensì di porre e di creare, entra in giuo-  Ico il concetto di una libera volontà, ed allo-  I rii sorge questo problema: lo posso ben ri-  B durre il mondo alla mia ruppi esentazione,  nui fino a che punto posso ridurlo anche alla  mia volontà ed alla mia libertà?   Qui bisogna porre un punto fondamentale,  e cioè intendere l’essenziale differenza che in-  I lercorre fra spontaneità e volontà. Si ha spon-  taneità là dove il possibile essendo identico  al reale ossia dove quel che è essendo ciò che  soltanto poteva essere, l’atto ha la forma di  I una inconvertibile compulsione, di un bruto  accadere e scatenarsi, ed è passivo, impoten-  te rispetto a sè stesso. Invece nella volontà vi  f è una eccedenza del possibile sul reale, non si  passa cioè dal possibile al reale immediata-  mente, ma un punto di autarchia, di « pote-  stas», domina l’atto come l’estrema, incondi-    zionata ragione del suo essere o del suo i 1(Jll  essere, del suo essere così o del suo essere  altrimenti come alto che è solamente uno c| e j  possibili, anzi dei compossibili. E’ importante  notare che tanto la spontaneità che la volontà  possono dirsi libere: però mentre nella spoj,.  taneità si tratta di una libertà affatto ncgatj.  va, di una libertà cioè che vuole semplicenieji.  te dire: «non essere determinato dall’ester-  no», nella volontà si ha una libertà positiva,  una libertà cioè che significa assoluta assen-  za di condizioni, siano esse interne che ester-  ne, e quindi contingenza, o, se si preferisce,  arbitrarietà dell’atto. Una volta compresa questa distinzione,  che non poggia tanto su concetti e sottiglicz-  ze intellettuali, quanto piuttosto sur un dato  immediato di coscienza, sur una evidenza in-  terna che o si ha o non si ha, quando l’idea-  lista assoluto di contro al sistema della realtà  afferma essere stato l’Io a porlo, è evidente  che egli si riferisce non ad una volontà, ma  ad una spontaneità. Egli si riferisce infatti a  quell’attività onde le cose vengono percepite  e rese intime al nostro Io, a quell’elementare  « assenso » onde ci si accorge di esse — as-  senso che se è condizione necessaria per ogni  realtà, in quanto realtà sperimentata dall'Io  (e di altra realtà noi non possiamo coerente-  mente parlare), è ben lungi dall’essere anche   r   ^dizione sufficiente. Infatti nel rappresen-  c , il reale non è dominato dal possibile, l’Io  passivo rispetto al proprio atto — non tanto  Lff ernia le cose, quanto piuttosto è come se  i L » cose si affermassero in lui. Come la passio-  ne e l’emozione, la rappresentazione è sì qual-  , sa di mio, qualcosa che io traggo dal mio  proprio interno (e fin qui arriva la legittimi-  tà dell’istanza dell’idealismo, del resto soddi-  sfatta sin dal Leibniz), ma non è me, giacché  jo non posso darla liberamente a me stesso,  giacché io non sto in rapporto di signoria alle  determinazioni di essa, onde mi si dispiega  lo spettacolo della realtà che è questa realtà,  |l0) i la realtà che io voglio. Conseguentemeu-  i c; in tanto l'idealista può dire di essere stato  [lo a « porre » la natura, in quanto egli ridu-  ce l’Io a natura, cioè in quanto di quelVlo, che.  c libertà, non sa nulla, o, per meglio dire, fa  come se non sapesse nulla, e, con evidente  paralogismo, mutua il concetto di Io con quel-  lo del principio di spontaneità. — Posso dire  di essere stato io a porre la natura, ma io in  quanto sono spontaneità, non in quanto sono  propriamente un Io, e cioè libertà e domina-  zione. — E questo è il primo punto.   I! realista, riferendosi propriamente al  punto della reale individualità, avanza dun-  que una istanza che è interamente legittima.  Egli ci pone dinnanzi ad una qualunque contingenza dell’esperienza, per es. dinnanzi a ,|  una tempesta, e ci domanda se possiamo ( |j.  re di essere stati noi a « porla ». Mentre q U j   l’idealista risponderebbe con l’affermativa   e ciò perchè, come si è detto, per lui « porre >  significa semplicemente rappresentare C o a  « libera necessità » — noi invece, riferendoti  ad un porre che il principio del dominio <•  dell’incondizionata libertà comandi, rispon-  deremmo: « Ciò, in verità, non è posto dal-  l’Io ». Altro non chiede il realista per dire su-  bito: « Poiché ciò non è posto dall’Io, vi deve  essere un “ altro ” a porlo » — ed inferisce  ad una causa reale o esistente in se stessa del-  le rappresentazioni, quale Dio, la materia, il  noumeno, ecc. Qui sta invece l’errore e il pun-  to su cui ci si permette di richiamare tutta  l’attenzione del lettore. — Dire che io, come  lo, cioè come principio sufficiente e libero,  non posso riconoscermi come causa incondi-  zionata delle rappresentazioni, non vuole af-  fatto dire che queste rappresentazioni siano  causate da « altro » e abbiano per substrato  delle cose reali o esistenti in sè stesse, ma  vuole semplicemente dire che io sono insuf-  ficiente ad una parte della mia attività, la  quale è ancora spontaneità, che una tale par-  te non è ancora MORALIZZATA, che l lo co-  me libertà in essa soffre una PRIVAZIONE.  Tutto ciò su cui non posso, tutto ciò che re-     5 j e a iia mia volontà, non è che una priva-  tone di questa volontà stessa, qualcosa di ne-  (ivo, non un essere, ma un non-essere. Per-  il realista va respinto par ime fin de non  ecevoir : egli nel suo riferirsi ad un « altro »  Dio, noumeno, sostanza, ecc. — fa del non-  ^sere un essere, chiama reale ciò che essen-  j 0 solamente una privazione della mia potenza , essendo nuH’altro che una negazione ed  ’ vuoto nel corpo immoltiplicabile della mia  attività, si dovrebbe invece, secondo giustizia,  dire irreale. Così conferma questa privazione  slcssa __ così {ugge-, all’atto che, dominando-  le, possedendole, annulla le cose (1) e redime  la privazione, egli invece sostituisce l’atto che  le riconosce e che dà loro superstiziosamente  un essere e una realtà autonoma. Proprio al  primo atto si appunta invece il criterio di cer-  tezza della terza delle fasi indicate: esso chie-  de cioè che l’Io libero e nudo dell’individuo  possa veracemente affermare il principio del-  l’idealismo assoluto, epperò dire: « In verità,  io sfesso son la causa ed il Signore di questo  mondo, in cui mi vivo ». Ma quando sarà pos-  sibile affermare ciò? Evidentemente quando  Tindividuo abbia redento in un corpo di li-    ti) Naturalmente: le annulla in quanto sono al-  tre, per affermarle invece come gesti di una vulon-  U) potente.    berla l’oscura passione del mondo, quando  abbia fatto passare la forma secondo cui egli  vive l’attività rappresentativa (quell’attività  cioè per cui si forma in lui lo spettacolo del-  l’universo), da spontaneità — da coincidenza  di possibile e reale — a nuda, incondizipnata  causalità, cioè a: volontà potente.   Ora che soltanto in una tale veduta l’atto  dell’individuo abbia un valore cosmico, e che  invece in quella del realismo all’attività ven-  ga tolto ogni vero senso e scopo, può risulta-  re ad ognuno chiaro. Infatti l’attività ha ve-  ramente un senso ed un valore soltanto là do-  ve vi è da far reale qualcosa, che già non e  tale. Questo caso si verifica appunto là dove l’altro — ossia ciò che rispecchia il limite   Come questa trasformazione, che affermiamo  essere non un mito, ma possibilità reale, possa poi  praticamente compiersi, è un problema da noi trat-  talo almeno nei limiti in cui sia possibile pub-  blicamente e genericamente trattarlo — altrove, c  che qui non trova posto. Si può dire soltanto che  è un compito a cui nè cultura, nè devozione, nè fi-  losofia, nè arte, nè morale, nè nient’altro di ciò  che gli uomini chiamano «spiritualità», può porta-  re il menomo contributo. Quanto alla filosofia, il suo  limite è l’idealismo magico, in cui perviene a rico-  noscere la propria insufficienza e a postillare la rea  lizzazione della potenza come ciò in cui i suoi mas-  simi problemi possono trovare l’unica assoluta lo-  ro soluzione.    88    Ella mia ,i,)erla — venga inteso non come  "f 1 realtà» bensì come una negazione ed un  K » 0 - allora il mondo appare come qualco-  ' l \]i incompleto, come qualcosa che chiede  E u a integrazione a quell’atto dell’individuo,  ILe 1« necessità si faccia libertà, a quello  f ii u pp° deirautoaffermazione onde l’attua-  le potente dell’Unico si estenda e riaffermi  r q U anto ne è la privazione. Se invece si po-  f c i K . 1’ « altro » in quanto tale — cioè pro-  |Ljo come quel principio che limita la mia  |j!j )ert à — sia non una privazione e un non-es-  bensì una positività e una realtà — allo-  ro tutto è già perfetto, tutto è già « essere », e  „on occorre far altro. Ogni scopo ed ogni va-  lore dell’attività e del divenire, ogni respon-  I «abilità vengono meno — giacché i vuoti del  ìmio essere non sono anche vuoti dell’essere  in generale: l\ altro», con la realtà attribui-  tagli- li riempie. Invece nell’altro caso tutto il  inondo appare come una oscura, dolorosa ri-  chiesta all’Io affinchè questi si dia a sè me-  desimo secondo potenza e, in ciò, lo attui nel-  l'essere, in ciò lo redima dalla privazione, in  ciò lo faccia reale. E il divenire — ciò che io  faccio — ha allora un valore, un valore co-    smico.   Esaminando più da vicino la posizione  realistica, si vede che essa si fonda su que-  sto presupposto: che una attività imperfetta,    una attività limitata da per sè stessa non poJ  sa venire concepita, che non appena sia p r .ì  sente una attività limitata si debba snjjju  pensare a qualcosa che sia causa di questa li.  nutazione. Infatti così sta la quistione nel problema della conoscenza: nelle cose vi è Utl  aspetto per cui esse indiscutibilmente dip,.,,.  dono dall’attività dell’Io, aspetto che si rif c .  risce al loro venire in generale rappresentale  o sperimentate; ma vi è anche un secondo  aspetto, che rappresenta un lato negativo nel-  l’attività dell’Io, riferentesi appunto aU’in 1J)(> .  tenza di percepire, non percepire o trasmutare  la percezione come si vuole. Ora su che cosa  si basa il realismo? Appunto su ciò, che à  sente il bisogno di dare una spiegazione a  questa limitazione, che esso non vuole ammet-  tere che una attività limitata, cioè una attivi-  tà incompleta, sia ciò che sta prima, e quindi  sente il bisogno di spiegare la limitazione con  qualcosa di «altro»; si riferisce dunque ad  una realtà distinta dall’Io come causa delle  rappresentazioni. Ma un tale presupposto ilei  realista è ciò che vi può essere di più contestabile. La concezione a cui si rimette è questa:  che ciò che sta prima debba essere l’assoluto  e che tutto ciò che è particolarità e finitezza  non sia concepibile altrimenti che come una  negazione operata da parte di un « altro »    L Ila pienezza di questo assoluto preesisten-  tratta cioè della posizione platonica e  te -noziana, espressa dal principio: « Ciò che  ' veramente, è l’universale; il particolare da  1 ' s è stesso non esiste, cioè: in ciò che esso  1,0 . l’universale, e in ciò che è propriamente  Articolare non è, è fredda e piatta negazio-  r s Ora ad una tale concezione si può con-  Lmporre l’altra, secondo cui non si va a pre-   ' apporre 1,asso,uto al finito e al P articolare ’  f. aim nette invece che ciò che sta prima sia  {«recisamente il finito e il particolare, intesi  *\ r ò non come qualcosa di in sè contraditto-  Ijjjo bensì come qualcosa di incompleto, non  conni qualcosa che non esiste da sè stesso,  bensì come qualcosa che già in una certa mi-  sura possiede l’essere e rispetto a cui l’asso-  luto non ne sarebbe la negazione, ma lo svi-  luppo- P unto in cui esso va a rentlere P er '  folto il proprio principio secondo un proces-  so continuo dal meno al più, dalla potenza  all’atto, da un grado più povero ad un grado  pii, intenso di attualità e di essere. Ora in una  tale concezione — che si impone dovunque  sviluppo, sintesi e divenire non siano un vuo-  to nome — a ciò che viene prima, in quanto  viene prima, inerisce un certo grado di « pri-  vazione », il quale gli è naturale e in nessun  modo chiede di venire spiegato. La sua spie-  gazione, se mai, non sta indietro — in un as-    soluto limitato dalla potenza di un « altro »  — bensì avanti — nel processo dell’incornpi^  to che si integra, della potenza che arde nel  l’atto, onde non vi è propriamente da spiega  re, ma da agire, da procedere in una più j,  tensa affermazione (1).   (1) E’ importante notare la relatività del conte!,  to di privazione. Un dato elemento non è mai p ri .  vazione in sè, ma sempre in relazione al valore del-  Pautarchia. Il passaggio ad un tale valore fa di q ll( ,|  che era positivo come spontaneità qualcosa di ne-  gativo e di «in potenza» rispetto al punto ulterio-  re. Cosi pure per chi non vuole passare dal punto  di vista logico a quello della volontà il concetto di  privazione non è intelligibile — ma allora l’ideali-  smo astratto resta l’ultima istanza. — Quando si  crede di superare la presente dottrina spiegando la  privazione con una realtà distinta, non si fa un  passo avanti ma un passo indietro, giacché si [ a  uso della categoria logica della causalità, con il chi-  questa stessa realtà diviene condizionata, logica-  mente posta dall’Io. E il cerchio si richiude e il li-  vello critico resta il limite. Si passa invece oltre  per un assoluto positivismo.   Quale è la differenza fra una cosa reale ed una  imaginata? Rappresentate, lo sono tutte e due egual-  mente; ma di là da ciò l’attività rappresentativa a  cui corrisponde la cosa reale è una attività rispet-  to a cui sono impotente. Vi sono elementi su cui  non posso. Questo è tutto.   11 problema di interpretare questo non-potcre  non lo risolviamo, perchè non lo poniamo e anzi  tacciamo di intellettualistica, di astratta, di irrile-   Si può dunque contestare il presupposto  lei realismo, si può non concedere il concel-  |. gpinoziano del finito come negazione su   : peso si basa. Poiché le cose sono, in quan-  cu* ^ f   anzitutto sono rappresentate, cosi che un   ole rispetto a ciò che davvero importa a questo  * unto ogni ricerca di tale genere. Questo è un punto  fondamentale: noi affermiamo che la spiegazione  EL] fatto che si è impotenti in certe situazioni con  •| ricorso ad un « altro » — cosa in sè, Dio, « Sto-  ricità dello spirito» et similia — è una psendospie-  Laziorie, anzi un circolo vizioso per questo: che in  noi il concetto di « altro » trae il suo senso e il suo  fondamento dal concetto di « non potere », il quale  l ciò che sta prima e di cui oggettività, cosa in sè,  ilio. ccc. non sono che tanti simboli e traduzioni  intellettuali. Le cosidette cose reali sono simboli  ,1,1 mio non-potere, della mia privazione. E’ per-  ché sperimento una privazione che chiamo reale  una cosa c non viceversa. La privazione spiega il  concetto di una realtà oggettiva e non la realtà og-  gettiva il concettò di privazione. Segue da ciò una  dichiarata professione di agnosticismo, un arre-  co dinnanzi al nudo fatto del non-potere con ri-  nuncia a spiegarlo come che sia*? Niente affatto. Ciò  che neghiamo (non perchè non ne possiamo dare  una, ma perchè tali spiegazioni non ci servono e  non ci bastano ) è la pseudospiegazione intellettuale,  che lascia i fatti come sono, che non trasforma il  rapporto reale della mia potenza con le cose. (Si  crede sul serio che la miseria e la contingenza che  dannano l’essere finito siano in qualche cosa ri-  mosse quando le si spieghino con la materia anzi-    »3    grado di attività e però di positività è già j n ,  plicito; poiché l’Io si può sperimentare imme-  diatamente come una energia, come un p r j n .  cipio di azione, come qualcosa che non chi e .  de ad altro il suo essere; poiché di diritto non  esiste un limite inconvertibile per lo svilupp,,  del potere; non vi è alcuna necessità di t ra .  scendere, in ordine al problema del conosce-  re, il concetto di una attività imperfetta (qu a .  le è la spontaneità rispetto alla volontà) che  solo, ci viene imposto da un esame positivo  e spiegare la rappresentazione con il riferi-  mento realistico ad un « altro » che la causi  e la sottenda. In ciò si avrebbe non tanto una    che con Dio. con l’ Io trascendentale anziché con  la materia, e cosi via, in simili cattive e a buon mer-  cato astrazioni?). La spiegazione che l’ idealismo mu-  gico esige è ben altra: è una spiegazione mediuntt  l’azione, una spiegazione risolutiva: è ex-plicare, os-  sia attuare, rendere perfetto: far passare in atto ciò  che è in potenza, in perfezione ciò che è imperfe-  zione, in sufficienza ciò che è insufficienza, secon-  do un processo sintetico, originale, creatore. Que-  sta è la sola, vera spiegazione. Il resto è passatempo.   Noi aspramente combattiamo tutta la rettorica  intellettuale e filosofica onde l’uomo si indugia a  discorrere intorno alla sua impotenza (ciò noi in-  tendiamo quando ci si parla di « verità », « raziona-  lità », ecc.) anziché balzare finalmente in piedi, im-  pugnarsi e, ardendola, farsi ciò che in sé è: un  Dio, un costruttore del mondo. Baione intellettuale, quanto piuttosto il  Rfjsnia infingardo di colui, che, insufficiente,    dall’atto. perciò la concezione che si presenta al ter-  s tadio dello sviluppo dell’individuale è,  tj complesso» la seguente: un continuum di  Eit’vità che ha per limiti da una parte la spon-  f c ità, dall’altra la volontà libera. La spon-  r c jtà è l’universale, la volontà libera l’indi- i ua le. Questi limiti stanno fra loro come po-  I a a d atto: tutto ciò che nell’esperienza è  Eretti vità, immediatezza, necessità, è, rispet-  to al punto dell’individuale, il non-essere ine-  [fcnte a ciò che è in potenza — e qui si com-  anderà forse a che cosa alludessero certi  fistici quando parlavano dell’ « oscura pas-  sione del mondo », dell’ « indicibile sofferen-  za dell’esistenza » in cui il corpo dell’ « Uomo  I celestiale » è crocifisso. Di una tale tenebra,  di una tale privazione, la libertà è l’a//o e la  Lm ma luminosa; e il mondo diviene, si fa  reale secondo realtà assoluta soltanto in e per  questa fiamma, cioè soltanto nella misura in  cui l’individuo, affermandosi nel punto della  potenza e della dominazione, consuma, arde  ! la sua originaria natura, fatta di spontaneità.  Da qui un punto fondamentale: Solamente  nell’ « Individuo assoluto », solamente nel-  l'«Autarca» il mondo diviene reale: la suf-  ficienza che egli si dà a sè stesso dà alla na-     tura un essere, una consistenza, una certe?*.,  e una ragione che essa, prima di lui, non p 0 .  siede già, ma chiede. Onde cercare la verità  e la certezza nella natura è un assurdo: <jj ac>  che la natura in quanto tale è privazione  axépTjotc e la certezza e la verità non l’ha i n  sè, ma nell’individuo, epperò in tanto Pi la  in quanto l’ individuo se la dia a sè stesso. //  mondo è, soltanto se egli è. Ma questo essere  egli non potrà mutuarlo da nulla, chè, avuto  «la altro, esso non sarebbe più essere, essere  essendo soltanto ciò che è da sè stesso < xxil’  aùtó); se dunque egli non si fa il salvatore di  sè stesso, nulla mai potrà salvarlo. E’ così che  la spiegazione e la verità non stanno dietro,  ma avanti — e non in un dedurre, ma in un  passare aH’atto. Tutta la natura, insieme di  esseri condizionati, insieme di esseri che si  rimettono ognuno ad altro da sè, gravita sul-  l’individuo: quei che non ha bisogno di nulla,  quei che non si appoggia su nulla — è ciò di  cui tutti gli esseri hanno bisogno, su cui tutti  gli esseri si appoggiano e con cui, nella misu-  ra in cui essi sono, sono uno. Egli solo, come  colui che ha in sè stesso il proprio principio,  come colui che è « ente di possesso », clic è  « persuaso », sostiene il peso del mondo: a lui,  che consiste, il processo universale si appen-  de e in lui trova la sua condizione, ciò per  cui dall’eternità è, ed in cui ha la sua desti    1    nazione finale. Perciò solamente nel punto  in cui l’individuo si attua nella folgorazione  jello potenza sorge una finalità, una ragione  f ii uno scopo nella natura: non prima ; è lui  che gliela dà. Essa la chiede al suo atto. Ep-  però un solo imperativo ha ormai l’indivi-  ( | U o: «SII, fatti DIO, e in ciò fa essere, SAL-  VA H mondo ».   3 ) Il mondo, atto dell’Io.   A lumeggiare questo punto, connettiamo  due ultime considerazioni, riguardanti l’una  il problema dell’essenza e dell’esistenza, l’al-  tra quello dell’uno e dei molti.   Le cose sono essenza ed esistenza. L’idea  di cento talleri e cento talleri reali non sono  evidentemente la stessa cosa. Pertanto nei  cento talleri reali, così come lo ha mostrato  Kant, non vi è logicamente compreso nulla  più che non sia nell’idea dei cento talleri. Ne  segue che in tanto si fa differenza fra gli uni  c gli altri, in quanto ci si riferisce a qualcosa  ili irreduttibile all’elemento logico. Questo  qualcosa è 1’ « esistenza », opposta all’ « essen-  za » (o, più rigorosamente, 1’ « esse existen-  tiae » opposto all’ « esse essentiae »). — Ed  ora un secondo punto. All’essenza, al « che  cosa è » di una determinata realtà principio    t)7    esplicativo è il concetto: quando una realtà  venga mediante il concetto geneticamente co-  struita in tutte le note che la individuano,  l’istanza esplicativa nell’ordine dell essenza è  esaurita. Pertanto che un oggetto di cui si sia  interamente penetrato ciò che è, sia, il nudo  fatto del suo « esser là » come oggetto reale,  ciò costituisce un punto che sfugge interamen-  te alla spiegazione razionale, è un àXcyov — e  principio esplicativo ad esso adegualo è non  il concetto, bensì la volontà o, per meglio di-  re, la potenza. Infatti il puro essere delle cose  costituisce per me un mistero fin quando esso  ha carattere di bruto dato, di qualcosa che è  là senza partecipazione del mio volere, im-  ponendosi anzi secondo violenza a questo;  breve: come una privazione della mia atti-  vità. Mentre l’essenza posso pensarla e quin-  di « costruirla », l’esistenza semplicemente la  patisco — e per questo mi costituisce una oscu-  rità. Si imagini invece una situazione in cui  possa connettere Tesserci delle cose al loro  volerle incondizionatamente, cioè in cui la  mia volontà avesse valore di potenza creatri-  ce: allora la loro esistenza di fatto di là dal  loro concetto cesserebbe di essermi un miste-  ro, essa al contrario mi sarebbe perfettamen-  te intelligibile — essa sarebbe spiegata. Es-  senza ed esistenza hanno dunque per rispetti-  vi principi esplicativi la costruzione ideale    98    . opera del pensiero e la causazione reale  l"[ 0 pera della volontà. E questo è il secon-  di punto.   ‘ Il terzo punto è il seguente, che fra costru-    F" nza od esistenza — non vi è differenza di   « nnlinnlo /lì errarlo I .MHpa ò fTÌà 1111    ideale e volontà creatrice — quindi fra    atura. ma soltanto di grado. L’idea è già un    dell’affermazione reale; e la eosiddet-  f* realtà oggettiva non è che l’affermazione    pii 1    intensa e completa di quella potenza che.    • forma elementare, determina la cosa sem-  liceinente pensata o rappresentala. La real-  tà non è che l 'atto dell’idea, ciò in cui questa  individua ed esprime interamente sè, cosi co-  pidea non è che una realtà in potenza, os-  sia U na realtà semplicemente abbozzata o al-  lo stato nascente. Fra l’una e l’altra non vi è  dunque salto, vi è invece progressività. Il pen-  derò di cento talleri e cento talleri reali non  sono evidentemente la stessa cosa — ma ciò  n0 n qualitativamente (cosi come potrebbe  pensare chi crede che il pensiero, anziché  un'Impotenza, sia l’imagine impersonale di una  realtà oggettiva) ma intensivamente, nel sen-  so che i cento talleri reali sono la più profon-  da, intensa potenza, relativa propriamente al-  l’atto magico, dell’affermazione corrisponden-  te ai cento talleri pensati. Ed ora uniamo que-  sto risultato a ciò che si è detto poco la.   Vi è una esistenza che è morte, privazione,    irrealtà — e tale è quella corrispondente  spontaneità rappresentativa, residuo .yl  prima epoca, in cui l’atto è passivo rispep ^  sé stesso, die l’Io non domina come il SUo *  gnore. Di questa esistenza non vi è certeàjj  vera: non dipendendo da me come la n»«  ne o 1 emozione, essendo un puro accade  un principio di radicale contingenza la ripr e i  de. Vi è invece una seconda esistenza, che i  quella che una volontà elevatasi a pot eri2  può incondizionatamente produrre: sola mi^ !  te questa è propriamente esistenza, realtà ajJ  solida, e solamente di essa — ove si trova L nn  giunto soltanto con se stesso in un possesso  ed in un dominio — l’Io può avere una reale)  certezza. Fra l’una e l’altra di tali esistenze  vi è l’attività mentale propriamente detta. J  In altre parole: di là dal limite ideale del re-  gno della pura necessità — della natura e  della spontaneità — come di là dalla sua  « privazione », l’individuo fruisce nell’ordine  razionale o ideale di un primo grado dell’at-    tualità sufficiente e della libertà. Questo gra-  do procede verso la sua perfezione nello svi-  luppo secondo cui la potenza si riafferma in  livelli sempre più complessi e profondi della  spontaneità — dell’antica natura o dell’uni-  versale — fino a dominare lo stesso grado  intensivo dell’esistenza reale. Allora da oscu-  ra passione e da feroce deserto fatto di pii-    Rione, il mondo si farà l'atto stesso dell’in-  Jjduo, ed in ciò sara redento e persuaso . . .    Ji l'Individuo Assoluto.    Si può raccogliere insieme nel modo se-  dente quanto si è detto.   Il punto di partenza è l’universale, il qua-  L nell’ordine della realtà non costituisce il  grado più ricco — come lo vuole il platoni-  co — ma invece il grado più povero, non il  punto di arrivo, il terniinus ad quem, ma il  punto di partenza, il terniinus a quo. In esso  s j ha infatti il semplice stato dell’essere che  trova sè stesso, che è pura spontaneità, che  nini si possiede ma, semplicemente, è. Stato  di pienezza e di luce per l’Io non ancor nato,  t presso al punto dell’individuale esso appare  invece come oscurità e morte: cosi in un pri-  mo momento esso si dissolve nel mondo della  parvenza e della mera rappresentazione; in  Jan secondo momento viene sentito come pas-  | suine infinita, come il dolore cupo e muto del-  la privazione, come l’indicibile crocifissione  nel mondo della necessità. Ma, nata da lui,  questa morte l’individuo la assume ora con    (gioia: egli è sufficiente ad essa; egli sa che  soltanto il suo proprio, sovrannaturale valore  I 1 essere fatto di possesso» ne è la causa; egli la riconosce come la materia, dalla q„ a .  lo soltanto egli potrà trarre lo splendore <ij  una vita e di una realtà assolute. Ed allora  l’oscurità gradatamente si illumina, allora  dall’abisso della necessità sorge il fiore ferri .  bile dell’Individuo assoluto. Egli si erge lei,,  tissimamente nel cielo senza stelle, liacndosj  dalla vampa di ciò che egli divora nella sua  potenza. Le cose e gli esseri muoiono nell’i,,.  tensità vertiginosa di lui che, gradatamente,  irresistibilmente, diviene — che, spaventevoh  nella sua purità, è « Signore del Sì e del K<> >  <? Dominatore dei « tre mondi ». E in lui, ente  di possesso, ente che «arde e fiammeggi! »,  il processo dell’universo avrà con il suo allo,  la sua consumazione o perfezione tinaie. I   Questo è, ad un dipresso, il senso del siste-  ma che io sostengo; nel quale da una parte  ho cercato di fondere il problema gnoseologi  co e il problema ontologico con quello etico c  della autorealizzazione o magico; dall’altra,  di rivendicare il valore dell’individuo e di far-  gli nascere la coscienza del suo compito e del-  la sua dignità cosmica. j   E’ ciò che io riconosco come verità, o, per  meglio dire, è ciò che io voglio come verità. L’individuo e il divenire del mondo, Roma, Libreria di Scienze e Lettere, 1 5) Race and the Myth of the Origins of Rome In his Life of ROMOLO, PLUTARCO writes: ROMA would not have risen to such power had it not had, in any way, a divine origin, such as to offer to the eyes of men something great and inexplicable. CICERO repeats the same thing (Nat. Deor.) and then goes on to consider (Har. Resp.) the Roman civilisation as that which surpassed every other people or nation through sacred knowledge -- omnes gentes nationesque superavivums. For the ancient Romans, SALLUSTIO has the expression “religiosissimi mortales”. On the other hand, in our day, all of that is fantasy or superstition for many serious persons and critical minds. The facts are the only thing that count for them. The mythical traditions of the ancients have no value, or they have it only insofar as it is supposed that, here and there, they are confused reflections of real events, that is to say, tangibly historical. There is, in that, a fundamental misunderstanding that is denounced by Vico, then by Schelling, still more recently by Bachofen and, finally, by the most recent school of the metaphysical interpretation of myth, and by those little known today (Guenon,Otto, Altheim, Kerenyi, etc.). According to all these philosophers, a mystical tradition is neither an arbitrary creation more or less on the poetic and fantastic plane, nor a deformation or transpositions of a historical element.. Especially in regard to origins, Bachofen points out that a symbol or a legends, if only in a dramatised form, may represent actually and truly the history of the beginnings of a nation. Not the history of events occurring materially on earth, but rather of spiritual processes that give birth to a people alongside other people although different in culture and civilization. This is history, so to say, of its prenatal period. Legend and history are tightly connected. The former proceeds through interiorisation and is dispersed through images. The latter proceeds through exteriorisation as facts, an action, or an event. An image is the result of a formative living force. A fact is organised by human thought. In a legend, one is transported by a formative force. In history, there is premeditated organisation of facts. But the legend is a part and the root of history. A legend is not poetry. Rather, a legend is a reality much vaster than history itself. The threads of the destiny of a people that unravel in the most various ways in their historical development go back to an impulse, to the creative sphere, to which the HERO of its legend is connected. Bachofen thus reveals that, even at the point in which evidence, by being recognised as a LEGEND, comes to be rejected by profane history, even when it is a positive witness to the spirit of a people. In that way, a study of a mystical tradition, using a different criterion, may lead us to an interesting conclusion from the point of view of a theory of race that is similarly not defined by the material aspects of the issues, but also addresses the inner reality of race. We want to illustrate this interpretative method with the birth of Rome --  applying it precisely to the exegesis of the legend of our origins. The legend related to the birth of Rome concentrates such a quantity of sensitive elements based on general meanings of civilisations and mythologies of the Aryan people, that a full seminar would be necessary to analyse them and clarify them adequately. Therefore, I shall point out here only the most notable themes, among which are: the miraculous birth, the theme of being saved by the waters, the wolf, the tree, the rival pair of twins. The legend of the union of a god with a mortal woman, in the present case, of MARTE with the vestal RHEA SILVIA, form which union ROMOLO and REMO are born, recurs in almost all traditions in regard to the birth of a divine heroes. GIOVE and LETONE give birth to APOLLO, GIOVE and Alcmene to ERCOLE -- ERCOLE being the symbolic hero of the Doric-Achaean Aryan peoples, and Apollo having a connection with the land of the Hyperboreans and with the primordial Nordic-Aryan races. An analogous origin, in properly Germanic traditions, is attributed to the heroic peoples of the Volsungs, to which Siegfried belongs. In the ancient royal Egyptian tradition - whose remove origin can with good reason also be considered to be Aryan and Atlantic-Occidental - every sovereign is thought to have been begotten by a god uniting with the queen. This is a mystical tradition in which the hidden meaning of the LEGEND comes to the fore, inasmuch as a miraculous birth without the help of a man, of a human father, is imagined. Since the queen has her consort, the idea that her son was conceived by a god, being awaken to life by her husband, could only indicate that he, not in his moral part, but so to say, in that eternal and divine part, had to be thought of as a type of incarnation of a decisive supernatural element that came to confer a royal dignity on him. In the case of ROMA, therefore, MARTE is such an element from above, that is, the divine representation of the principle of warrior virility. Such a force stands therefore at the origins of the Eternal City and at the basis of its secret origin, veiled by the legend: so that in some traditions form the era of the Roman Republic itself, it will be directly conceived as the son of MARTE. And this MARTE force is associated with those who may be the guardians of the sacred flame of life; symbolically, with a vestal (RHEA SILVIA). The twins ROMOLO and REMO are abandoned to the waters and are saved from the waters. Here again is a symbolic theme recurring in many traditions. Moses is saved from the waters, the Indo-Aryan hero Karna is left in a basket in the river and is saved from the waters, and so on. But the symbol contained in the most ancient Aryan tradition is especially important, i.e., the Vedic tradition, in which ascetics are depicted as supreme natures who stand on the waters. Analogous explanations and, therefore, the hidden meaning of such a symbol, can be clarified as follows. The waters have traditionally always depicted the current of time, i.e., the basic element of mortal, unstable, contingent, passionate, fleeting life. The weak man is taken from the waters and carried from the waters. The seer or HERO, the ascetic or the prophet is saved from the waters, or is capable of standing on the waters, or of not sinking in the waters. Hence, in the legend of the origins of Rome, this symbol must again characterise the divine element of the founder of Rome, his, so to speak, super-natural dignity. The twins find refuge near the fig tree – the “ficus Ruminalis” -- and are suckeld by a wolf. The word “ruminalis” contains the idea of feeding: the quality of “ruminus”, related to GIOVE, alluded to the quality of nourisher: the god who gives nourishment in Latin. But this is the most elementary aspect of the symbol. In general, in the most ancient traditions of the Aryan race, the tree is the symbol of universal life, it is the tree of the world or the cosmic tree. If it is in the form of a fig tree as it appears in the legend of Roman origins, precisely as a “fico indico”, the Banyan tree, the ashwattha tree - it is depicted as upside-down in the Indo-Aryan tradition to express that its roots are from above, in the heavens. The idea of a mystical flood from the tree is an often recurring theme: the myth of GIASONE, ERCOLE, Odin, Gilgamesh, etc. Naturally, according to the races and their spirit, this then present diverse variations. We know from the Hebraic myth that to pick and eat from the tree in order to make oneself like god is considered as the principle of guilt, abuse of power, and a curse.Things are conceived in a very different way in the myths of the Aryan race and even in the paleo-Chaldean myth of Gilgamesh. Also, in the legends of the Ghibelline Middle Ages, the heroic theme prevails and the tree often appears as that of the universal empire, reaching it in the symbolic lands of the mysterious Prester John means insuring the same dignity that the ancient Ario-Iranian rulers associated with the title of king of kings. Returning to our subject, in the legend of the twins at the origins of Rome, we therefore have the allusion to a supernatural food from the Tree - but also the Wolf. The symbol of the wolf, considered in its entirety and in all the stories that refer to her, has an ambiguous character. LUCIANO and GIULIANO recall that, in the ancient world, on the basis of the phonetic resemblance between the two words, the idea of the “lupa” and of “luce” are often associated – “lykos” – lizio --, which in Greek means wolf, sounds like “lyke,” light. But there are also figurations of the wolf a sa hellish animal, as a dark force. The wolf thus appears to us in the double aspect, symbol of a ferocious and savage nature and also as the symbol of aluminous nature. This duality is verifiable, not only in Hellenic-Mediterranean prehistory, but also in the Celtic and Nordic. In fact, on the one hand in the Nordic-Celtic and Delphic cults the wolf is connected to Apollo, i.e., to the Hyperborean, Nordic-Aryan god, simultaneously conceived as the solar god of the golden age and significantly associated by VIRGILIO with ROMAN greatness. “Sons of the wolf”, on this basis, was a designation for warrior and heroic peoples of Nordic-Germanic origins, designations that persisted even up to the epoch of the Goths and Nibelungs. Yet, on the other hand, in the Edda, the age of the wolf signifies a dark age, marking the epoch of the outbreak of savage and elementary forces, almost of the power of chaos, against the forces of the divine heroes, or Aesir. Now we can certainly also relate this quality to the principle that, according to the legend of origins, fed the twins insofar as we see it reflected in their very nature, that is, in the antagonistic duality of ROMOLO e REMO, as related to us in the legend. As others already noticed, so also the theme of a single principle from which an antithesis is differentiated, whether depicted by the antagonism of twins or, in general, of a couple, is found again in many traditions, and not rarely in respect ot particularly significant moments for the origins of a given civilisation, race, or religion. For example, we only recall that in the ancient Egyptian tradition Osiris and Set are two brothers of discord - conceived as twins - and one incarnates the luminous power of the sun, the other, a dark, “infernal”, principle, whose generation is called the “sons of the impotent revolt”. Does not something similar also show through perhaps in the ROMAN legend? ROMOLO is the one who marks the contour of ROMA as the meaning of a sacred rite and a principle of limit -- of order, of law - having received the right of putting his name to the city form the apparition of the solar number, of the XII vultures. REMO is, instead, the one who violates such a limit and is killed for this reason. One could say that the primordial force of Roman origins thus are differentiated and destroys the dark powers that are contained in themselves, affirms in its luminous aspect of order, Olympian denomination, purified warrior force. There have been attempts to see in the contrast between ROMOLO and REMO the reflection of the contrast between opposed Aryan racial forces, or of the Aryan type, and non-Aryan or pre-Aryan types. Research of this kind is without doubt interesting. Problematic in its conclusions, if it intends to remain exclusively on the plane of material facts, or archaeological and anthropological evidence. It has greater possibilities if it also penetrates legend in order to extract elements that integrate research in other domains. Naturally, in order to accomplish that, it also needs to resolve to outline general frameworks of various aspects of ancient Roman society, considering, for example, with various philosophers, somewhat probable that the social system of castes of ancient Rome has a racial substrate. In this totality, it is interesting to examine the link between the two principles, whose symbolic figurations could well be ROMOLO and REMO -- with the two hills Palatine and Aventine. The PALATINO is, as we know, ROMOLO’s hill and the AVENTINO is REMO’s. Now, according to the ancient Italic tradition, on the PALATINO, ERCOLE met the good king Evander (who significantly founded a temple of the goddess Victoria on the same Palatine hill) after having killed CACO, son of the Pelasgian (pre-Aryan) god of the subterranean fire: and Hercules conquered and killed in Cacus’ cave, located in the AVENTINO, and erected an altar to the Olympic god, to whom he was allied according to the Hellenic legend. Researchers like PIGANIOL are of the opinion that this duel between ERCOLE and CACO - with the corresponding opposition of the PALATINO and AVENTINO hills - could be a mythic transcription of the battle waged by peoples of opposing races. The mythic legend of the origins of Rome is therefore saturated with deep meaning. The triumph of ROMOLO and the death of REMO is the key to the origin hidden in Romanity - and the first episode of a dramatic, outer and inner, spiritual, social and racial battle, in part known, in part still enclosed in symbols or in an event not yet penetrated with respect to their most essential aspect - almost, we will say: with respect to the third dimension. Through this secular battle, Rome rises gradually and asserts itself in the world as a triumphal manifestation of a principle of light and of order, of an ethic and a vision of life that, in its original and uncorrupted forms, is witness to the Aryan spirit. And we know what it is, according to the most widespread tradition, the conclusion of the legend of origins. It is the apotheosis of ROMOLO, ROMOLO deified. He returned from the earth to heaven after his mortal part was destroyed by means of the dazzling fire. So what has been treated is neither fantasy, nor poetry, nor rhetoric. Analogous explanations recur in the traditions of all peoples, according to a uniformity that should lead anyone to reflection. Also in regards to ROMOLO, the legend contains a faith and a spiritual certainty. It is the meaning of a reality that, freed from the person and symbol, is not once, but will always be, and will always be present, in its greatness beyond history, the race that knows how to recall the mystery. Evola è stato il più importante teorico della rivoluzione conservatrice in Italia. Nei suoi saggi filosofici si ritrova l'utilizzazione consapevole della espressione «rivoluzione conservatrice», la  base teorica e i limiti entro cui ha senso tale definizione. Tuttavia, in Evola la rivoluzione conservatrice si dissocia nettamente dall 'ideologia italiana. La sua elaborazione del concetto di rivoluzione conservatrice è attinta direttamente dalla konservative Revolution tedesca, e ad essa si rifà espressamente, pur con alcune specifiche motivazioni. In secondo luogo, l’idea di  rivoluzione conservatrice in Evola si situa in una linea fortemente critica verso la tradizione teorica e storica italiana. A cominciare dall’idea stessa di nazione, di cui  Evola sottolinea l'eredità giacobina, egli sottopone a una critica serrata tutte le stazioni più importanti della ideologia italiana: la critica del Risorgimento, che pure è ricorrente in tutta l’ideologia italiana, è condotta da Evola  non più nel nome dell’inveramento del Risorgimento,  inteso come radicalizzazione o correzione di rotta, ma  diviene rifiuto e negazione del Risorgimento, visto come la traduzione nazionale della rivoluzione francese,  e rigettato come l'espressione di un liberalismo anti-tradizionale. Qui Evola accoglie l'eredità del pensiero contro-rivoluzionario e si situa nettamente nel solco della tradizione reazionaria, pur non condividendo il riferimento  cattolico e cristiano che la sottende. Critiche non meno nette Evola rivolge al processo unitario post-risorgimentale e a tentativi come quello crispino di generare una  sintesi tra nazional-populismo e autoritarismo. Ma la critica di Evola non si arresta nemmeno alle soglie del FASCISMO, a cui pure il suo nome è solitamente associato. Quasi tutta la critica evoliana verso il fascismo gravita  proprio sul tentativo fascista di costituire una ideologia italiana o di inserirsi nella tradizione italiana,  sia verticalmente, cioè come recupero della storia italiana, sia orizzontalmente, come tentativo di integrare le masse e tutte le diversità in una comunità nazionale. Per Evola, il fascismo non avrebbe dovuto abdicare  al suo ruolo di MINORANZA attiva, di aristocrazia, di OTTIMATI, avrebbe anzi dovuto accentuare la sua diversità, da quel  che costituiva la linea italiana risorgimentalista. La critica di Evola all'ideologia italiana, così implacabile, sconsiglierebbe dunque di ritrovare nella sua filosofia i lineamenti di quella rivoluzione conservatrice -- il filo rosso della storia italiana. Le sue scelte lo porterebbero, piuttosto, nella linea di de Maistre e de Bonald o di larga parte della filosofia mitteleuropea. Ma a questo punto si dispiega uno dei maggiori paradossi della dottrina politica evoliana: quanto più Evola  teorizza una tradizione radicalmente diversa dalla modernità e integralisticamente depurata da ogni scoria di pseudo-tradizionalismo» nazionalista e risorgimentale, tanto più Evola coniuga l’idea della tradizione con posizioni che appartengono al mondo della  rivoluzione. Rivolta, anomìa, anarchismo di destra, nichilismo attivo sono ricorrenti espressioni della filosofia evoliana che segnano un indubbio recupero della dimensione rivoluzionaria. Questo dualismo, solitamente, è stato attribuito a due tappe differenti e fondamentali della filosofia evoliana, e identificate l’una ne “Gli uomini e le rovine”, e l'altra in “Cavalcare la tigre.” Ma, più vastamente, l’intera opera evoliana si dispiega all’interno di un orizzonte antinomico, tra rivoluzione e tradizione, se si considera l'esperienza pittorica dadaista, fortemente eversiva, il periodo filosofico, con sostanziali elementi rivoluzionari e stirneriani, la valorizzazione del tantrismo nel suo aspetto più distruttivo (la via della mano sinistra). Elementi che convivono nell’opera evoliana con la ricerca e l'affermazione della tradizione, il primato dell'essere, il recupero della dimensione metafisica; o nel mondo politico con il richiamo a una concezione fondata sull'autorità, l’ordine e la gerarchia. Sul piano della dottrina  politica, l'aporia può forse trovare agevole soluzione se si tiene presente che, in un mondo sconsacrato e secolarizzato, la tradizione non può che rivelarsi come una rivoluzione e attraverso la rivoluzione. Il ritorno alla tradizione, in questo contesto, sarebbe infatti un evento  di rottura, una radicale inversione di rotta rispetto alla realtà presente. La rivoluzione sarebbe dunque per  Evola il rigetto del presente nel nome del passato; rivoluzione-restaurazione, ovvero rivoluzione nel senso dell'astronomia classica, come già ripete Evola. In uno scritto divulgativo, tra gl’ultimi di Evola, il pensatore  tradizionalista afferma. Se si vuole, ci si può riferire alla formula, solo in apparenza paradossale, di una rivoluzione conservatrice. Essa concerne tutte le iniziative che si impongono per la rimozione di situazioni  negative, fattuali, necessarie per una restaurazione. In linea di massima, si può riconoscere la coerenza di questa posizione e il rigoroso uso dell'espressione di rivoluzione conservatrice. Tuttavia, soprattutto se si tiene conto dell'orizzonte di pensiero in cui Evola utilizza  questa definizione, i due piani di rivoluzione e tradizione non sembrano poi così nettamente delineati e divisi. In Evola vi sono interpolazioni e attraversamenti: talvolta la pratica rivoluzionaria finisce col rivoltarsi contro gli stessi principi tradizionali e finisce con l'assumere valori autonomi. L’anomìa finisce con l’essere una pericolosa arma a doppio taglio. E dall’altra parte, soprattutto nell’ultimo Evola, il metodo rivoluzionario risulta spesso alterato o addirittura soppiantato  da una scelta pratica di tipo conservatore, fondata sui  parametri del salvare il salvabile, preferire il male  minore, allearsi con i moderati per combattere la sovversione, eccetera. A parte questi sconfinamenti, peraltro marginali se si considera l’itinerario evoliano nel suo complesso, Evola si pone legittimamente come il teorico principale della rivoluzione conservatrice vista da destra. Il suo pensiero è alle origini sia dell’integralismo di destra che del modernismo di destra -- in parte defluito da destra. Non si potrebbe infatti comprendere il  neo-tradizionalismo, anche quello cattolico, senza transitare per le opere di Evola imperniate sui valori della  tradizione. Ma dall'altro verso non si potrebbero comprendere neanche i fermenti della cosiddetta nuova cultura, della nuova destra o i tentativi di andare al  di là della destra e della sinistra, senza risalire a quel  filo rosso che scorre dall’Evola dadaista e iconoclasta  all’Evola filosofo, al seguace del tantrismo e soprattutto all’autore di Cavalcare la tigre. Da entrambe le posizioni, neo-tradizionaliste e moderniste, si sono staccate  frange opposte e simmetriche, che hanno parimenti rifiutato l'eredità evoliana, l'una nel nome della tradizione cattolica, l'altra nel nome della modernità assurta a valore. Se il linguaggio non e improprio e desueto, si potrebbe dire che la sua opera genera una  destra e una sinistra evoliana. È curioso osservare che i modernisti di destra ripercorrono, pur con specifici tratti, lo stesso cammino già percorso da un certo radicalismo di destra che trova in Evola elementi per fondare una scelta  rivoluzionaria in senso nazional-popolare. Il cammino  dei modernisti di destra si rivela come la versione debole (e quindi più intellettualistica, più dolce nel metodo e più esitante) di quello stesso processo di modernizzazione del pensiero evoliano, la cui versione forte è costituita proprio dal rivoluzionarismo nazional-popolare. I vari filoni dipartitisi d’Evola ritrovano oggi sul loro cammino gli stessi incroci in cui si dibatte la filosofia evoliana: trasgressioni e fedeltà, soggettività e tradizione, organicismo senza statolatria, ricomposizione comunitaria ed élitismo, rigetto dell’ideologia italiana  e insieme esigenza di radicarsi nel tessuto reale di que sta società, e così via. Le contraddizioni, mutatis mutandis, sono ancora le stesse. Per ripercorrere queste stazioni cruciali della filosofia evoliana, e proficuo attraversare le principali interpretazioni critiche della filosofia d’Evola che si possono ricondurre a quattro tesi fondamentali. In primo luogo, l'interpretazione di Evola come maestro eretico del pensiero negative. In secondo luogo, Evola visto come teorico di un neo-paganesimo anti-cristiano e anti-trascendente. In terzo luogo, Evola visto come un gentiliano minore che tenta invano di superare l'attualismo. Inine, Evola visto come l'ispiratore del neo-nazifascismo. L’accostamento tra Evola e il pensiero negativo si può  far risalire al tempo della contestazione, quando qualcuno ravvisò impressionanti simmetrie tra il pensiero  evoliano e il pensiero di MARCUSE. Simmetrie che lo stesso Evola non ha mancato di sottolineare, seppure rimarcando la radicale divergenza di fondo.  Di quel parallelo aveva parlato qualche anno fa GALLI, soffermandosi soprattutto sulle sue valenze  politiche. Da un punto di vista filosofico la collocazione di Evola nell'alveo del pensiero negativo è stata recentemente proposta da MANCINI e CACCIARI. Entrambi scorgono in NIETZSCHE il crocevia della filosofia negativa. Dopo NIETZSCHE, si potrebbe quasi parlare di un pensiero negativo di sinistra che coniuga Nietzsche con MARX, Freud e al limite STIRNER, e che si esprime, soprattutto, ma non solo, con la triade francofortese Adorno, Horkheimer e Marcuse; e un pensiero  negativo di destra che coniuga Nietzsche con i valori tradizionali e che si esprimerebbe tra gli altri con Evola, JUNGER e larga parte del pensiero rivoluzionario-conservatore. Quale sarebbe il filo comune del pensiero negativo? In primo luogo, la critica radicale della ragione e delle pretese sintetiche e costruttive della razionalità. In  secondo luogo, lo smascheramento della civiltà moderna e borghese e la rivolta contro la nostra società. In terzo luogo, lo sfaldamento della fiducia nel progresso ma  anche negli antichi appoggi; la crisi del principio di identità e di non contraddizione; indi, la concezione conflittuale e catastrofica della storia. E scavando più a fondo  si giunge alla matrice del nichilismo: la morte di Dio, la  perdita del reale, del senso e degli scopi, l'incertezza esistenziale, l'oscuramento della metafisica. I due versanti del pensiero negativo sarebbero dunque compresi nell’alveo del nichilismo. Soltanto che il  versante destro del pensiero negativo, a cominciare d’Evola, per estendersi a buona parte della rivoluzione  conservatrice, tradirebbe Nietzsche, mascherando il nichilismo nell'irrazionale e nella retorica dei valori.   A questo punto le conclusioni di un MANCINI conducono a una condanna senza appello del pensiero evoliano, le conclusioni di CACCIARI conducono invece  a un appello senza condanna agli evoliani: liberatevi dal  camuffamento irrazionalistico, liberatevi dalle vostre certezze che reggono solo sulla retorica, e procedete con occhio sgombro verso un sapere senza fondamenti, verso un nichilismo consapevolmente vissuto e accettato come destino finale. In fondo il discorso ruota intorno a un’equazione tutta  da dimostrare: l'equazione, appunto, tra Evola e il pensiero negativo. È necessario dunque affrontare la differenza radicale che allontana Evola dal pensiero negativo. Una differenza di provenienza e di approdi, di metodi e di aperture. È certamente vero che il pensiero negativo e il pensiero evoliano nascono entrambi come filosofie della crisi. Ma la crisi del pensiero negativo è la crisi di una razionalità che ha perduto la ragione, di una dialettica che  ha perso la possibilità della sintesi, di un materialismo  che ha perduto la materia, di un orizzontalismo che ha  perduto orizzonti, di una rivoluzione che ha perduto il  progetto. La crisi da cui nasce il pensiero evoliano è invece la crisi di una trascendenza che ha perduto Dio,  di un verticalismo che ha perduto il suo vertice, di un  eroismo che ha perduto gli eroi, di un Olimpo che ha  perduto gli dei, di una tradizione che ha perduto i suoi  templi, i suoi riti e i suoi uomini. Da una parte è l’orfanità della ragione che incita a ripensare i miti. Dall'altra parte l’orfanità del mito che  spinge a cercare le ragioni. In entrambe si assisto al disormeggio della storia secondo la suggestiva espressione di CIORAN. Da una parte in Evola la tradizione sembra smarrire gl’anelli che la congiungono al presente. Dall’altra parte nel pensiero negativo il progresso si separa dall’ottimismo e dal migliorismo storico e scivola nella catastrofe, nel vuoto. Ma differente è pure la reazione alla crisi. Il pensiero  negativo diviene pensiero della liberazione trasgressiva, sollecita a liberarsi dai vincoli della realtà e della ragione, oppone la ragione distruttiva come risposta alla  ragione decretante. Opposta appare invece la reazione evoliana alla crisi. Alla liberazione dal destino si oppone qui l'accettazione del destino, la fedeltà ai valori oscurati, l’azione  nonostante i frutti, la risposta eroica al nichilismo. Entrambe le vie germogliano dunque dalla crisi: ma  il pensiero evoliano induce a vivere come se i valori esistano. Il pensiero negativo induce a vivere come se non  abbia importanza avere valori. Evola scommette sui valori, il pensiero negativo rigetta la scommessa come insignificante, fuorviante, mistificatrice. Nel pensiero negativo il nichilismo è pensato e vissuto come esito finale; nel pensiero evoliano il nichilismo  è inteso come prova del fuoco, come deserto da attraversare. L’esperienza del nichilismo è rivolta in Evola a fortificare il bagaglio interiore, a essenzializzare la vita, a denudare i valori dalle incrostazioni, per ricondurli  alla nudità originaria. Il nichilismo, secondo questa prospettiva che Evola coglie da Nietzsche, dovrebbe rafforzare ciò che non riesce a spezzare. Il pensiero evoliano ha Nietzsche alle sue spalle, ombra titanica che si allunga sul suo cammino; il pensiero  negativo trova invece Nietzsche davanti a sé, scoglio insormontabile per la ragione dialettica. Ciò che in Evola è punto di partenza, che pure si allunga su tutto il  percorso, nel pensiero negativo è punto d'arrivo, oltre  il quale non si può andare. Non è un caso, poi, che il pensiero negativo si definisca tale, laddove il pensiero evoliano si autodefinisce magico: il pensiero magico è per  sua stessa vocazione rivolto a comporre, a ordinare il  mondo e non a disfarlo, a rivelare la sua segreta armo¬  nia, a concepire la libertà come attività produttiva e  creativa. Il pensiero magico risale dal caos al cosmos,  dal conflitto all’armonia, ponendosi infine come pensiero costruttivo, pensiero positivo. Il pensiero negativo al contrario dissolve il cosmos nel caos, nell'armo¬  nia scorge il contrasto, eternizza il conflitto e la catastrofe, definendosi infine come pensiero distruttivo. Nel crocevia tra magia e trascendenza, il pensiero evoliano si inviluppa in alcune contraddizioni: le forti aporie tra senso della trascendenza e immanentismo volon¬  taristico che si esprimono nell'Autarca, le tentazioni  faustiane, il pericoloso velleitarismo di chi vuole traversare l'abisso, l'etica della disperazione che si risolve talvolta in Evola in uno spiritualismo nobile ma cieco, che rigetta i frutti e le prospettive. Ma pur nella con¬  traddittorietà delle posizioni ciò che distingue radicalmente Evola dal pensiero negativo risale a una opzione  di fondo: è la opzione della trascendenza che conduce  Evola alla riscoperta del sacro. La trascendenza resta  una dimensione assente nel pensiero negativo in virtù  di una originaria opzione immanentistica mai smentita. La f iducia in una «più che vita», la scommessa sul-  r immo rt alità, la certezza del sacro, il culto dell'invisi-   bil e e de fì'eterno, accend on o in Ev ola un bag lioré me¬   t afisico che non é flato tr ovare, n el pensi ero negativo.  Alla luce del sacro, la stessa concezione eroica esce dal  campo del puro arbitrio, della mera retorica, del volere autarchico, per farsi essa stessa segno di quella certezza metafisica e metaesistenziale, espressione e testi¬  monianza che pure vacillando nel vuoto, la strada percorsa è quella che sale. Occupandosi del radicalismo di destra, «Civiltà Cattolica» ha individuato in Evola il principale ispiratore  di una nuova destra fortemente anticristiana e neo-pagana . Le argomentazioni condotte a rinforzo di questa  tesi erano attinte quasi interamente dalla lettura di iperialismo pagano. Che in Evola vi sia una forte ascendenza di tipo pagano è certamente fuori discussione: la grande valutazione del mondo greco e ROMANO, l’esaltazione della spiritualità nordica, il risalto attribuito alla figura di Federico II, sono solo alcuni tra i segnali di questa ispirazione pagana del pensiero di Evola. Tuttavia l’interpretazione di Evola come padre di un  neopaganesimo anticristiano, è semplicistica e a tratti fuorviante. Vi è in primo luogo una ragione metodologica: non si può valutare il pensiero evoliano soffermandosi sulla lettura di Imperialismo pagano, un saggio che  Evola scrisse non ae che in seguito disconobbe. Imperialismo pagano è un pamphlet fortemente polemico che risente degli umori del tempo e che si inserisce nel dibattito preconciliare. Imperialismo pagano è un'opera certamente minore rispetto ad altre opere evoliane di spessore ben  più notevole. Per comprendere Evola bisogna transitare almeno da altre cinque, sei opere ignorate da «Civiltà Cattolica».   In secondo luogo, il pensiero evoliano si alimenta di  correnti e torrenti che sarebbe improprio definire di tipo pagano: la tradizione gnostica e orfica, pitagorica,  la metafisica orientale, il buddismo. Se si vuol definire pagano, nel senso di anti-cristiano,  tutto ciò che non è cristiano, si finisce nel più piatto manicheismo.   In terzo luogo, dal complesso dell'opera evoliana non  si può dedurre un orientamento anti-cristiano e ancor  meno un orientamento anti-trascendente. Altrimenti non si comprenderebbe in Evola la lettura dei mistici cristiani, l'influenza di certo gnosticismo cristiano, l’attenzione positiva verso pensatori come Meister Eckart e  SAN GIOVANNI DELLA CROCE, la grande influenza di Carlo MICHELSTAEDTER che rivela profondissime tracce di cristianesimo.   E non si comprenderebbe il carteggio evoliano con REBORA, il ritiro di Evola in un convent, la sua difesa della Chiesa del Sillabo  (se la Chiesa fosse ancora quella del Sillabo — afferma  Evola — non ci sarebbero esitazioni a schierarsi dalla  sua parte per affermare i valori della tradizione»), ma anche della fede cristiana e del suo significato nella  nostra epoca sconsacrata.  E non si comprenderebbe infine per quali misteriose  ragioni la lettura di Evola sia stata per molti una stazione d i transito ve rso una riconversion e al cattolicesimo -- una ris coperta del sacro e del trascendente, del rito e  dell aJracE zionèr Sarà un paradosso^lha mòTti dfcoTo-  ro che hanno poi criticato il pensiero evoliano alla luce del cattolicesimo tradizionale, devono a Evola la cono¬  scenza di autori come de Maistre, Donoso Cortes, de Bo-  nald. È poi significativo che Evola condanni le franga  moderniste [del cristianesimo , colo ro che riducono la religione nell’orizzonte immanentistico de l messaggioso .  ciale, la stòricizzazione e l’umanizzazione del divino, la  teologia dellà morte di Dio, la razionalizzazione dei principi e delle tradizioni, la confusione del cr stianesimo  conjun moralistico sentimentalism o borghese.  In Evola permane, certamente, un senso di estraneità al cristianesimo, ma non di ostilità; vi è un differente tipo di spiritualità che trae alimento da differenti tradizioni. Nel cristianesimo Evola denuncia la mancanza di una  dottrina esoterica che possa affiancarsi alla religione fideistica e devozionale. Appare quindi improprio il tentativo di demonizzare il pensiero evoliano come l'espressione di una rivolta anti-cristiana con esiti immanentistici. Questa riduttiva interpretazione del pensiero evoliano rimanda a un'antitesi più vasta e insensata quando pretende di essere assoluta: l’antitesi tra paganesimo  e cristianesimo alla cui radicalità mostrano di credere  da un verso «Civiltà Cattolica» e dall'altro verso alcuni  esponenti della nouvelle droite, a cominciare da de Benoist. L'antitesi autentica e radicale della nostra epoca, in realtà, non è tra paganesimo e cristianesimo ma tra sacro e nichilismo, tra vocazione alla trascendenza e sfaldamento nell'immanenza. Per un autentico spirito cristiano la santità è intesa  come il culmine del sacro, è il gradino supremo in cui  il sacro si incarna nell'umano e si palesa nel mondo; per  una autentica religiosità di tipo pagano, la santità è una  delle più alte manifestazioni del sacro.   Per entrambi resta essenziale l'antitesi tra sacro e ni¬  chilismo. Per una spiritualità di tipo cristiano il senso elèi sacro può dirsi quasi il rosminiano sentimento fondamentale, quell'innata vocazione metafisica sulle cui basi si eleva poi la fede cristiana. Per una spiritualità di tipo pagano, il sacro può intendersi non come la base ma come il vertice verso cui  convergono le religioni, il principio metafisico di cui le  religioni sono bracci, manifestazioni, assi di una ruota. Nel pensiero contemporaneo, la distinzione di campo più rigorosa è senza dubbio quella tra pensiero ispirato alla trascendenza e pensiero esaurito nell’iimmanenza, tra pensiero fondato metafisicamente (proteso verso l'essere) e pensiero senza fondamenti o comunque fondato storicisticamente, vitalisticamente e materialisticamente (risolto dentro il divenire).  In questa distinzione di campo, il pensiero di Evola ritrova una identità molto diversa da quella che gli viene attribuita da «Civiltà Cattolica» e da taluni esponenti  del «neopaganesimo». Vi sono certamente alcune cadute immanentistiche  e superomistiche nel pensiero evoliano che in un pensatore come GUENON, ad esempio, non sono presenti: ma  il pensiero di Evola rischia l’impurità e talvolta l’incoerenza perché si cimenta con la crisi contemporanea. È  una scommessa più difficile quella di Evola, un cammino più arduo: attraversare il nostro tempo.  Questa sua scommessa può essere intesa come la sua  peculiarità più feconda e insieme come il suo limite più  netto: ma, in ogni caso, il pensiero di Evola si incammina sul l a s trada, del sacro. Un autorevole filosofo come NEGRI ha individuato in Evola un «gentiliano minore»  che tenta invano di superare l'attualismo. L’interpretazione di NEGRI ripercorre i sentieri già solcati da SPIRITO, CARLINI, E SCIACCA che appunto  a GENTILE avevano ricondotto il pensiero di Evola. Che l’ombra gigantesca di Gentile si allunghi su tutta la filosofia italiana può essere difficilmente confutabile. Persino lo spiritualismo cattolico o la filosofia della prassi di GRAMSCI mostrano i segni di quella influenza.  Ma che vi siano specifiche e preponderanti tracce di influenza su Evola è largamente inesatto.   Si deve anzi osservare il fenomeno opposto: forse non  è mai accaduto che due pensatori, vissuti nello stesso  tempo e nella stessa nazione, associati seppur genericamente in uno stesso indirizzo «filosofico» e in uno stesso ambiente storico-politico, siano stati così lontani come Gentile ed Evola.   Alle sorgenti della formazione evoliana vi sono correnti e autori in larga parte estranei a Gentile. Manca  a Gentile il riferimento alla metafisica orientale, al pensiero tradizionale e legittimista, a Stirner, a Nietzsche,  a Bachofen, a Weininger, a Michelstaedter e a tutta la  grande cultura mitteleuropea, a cominciare da Spengler e Junger.   E manca a Evola la lettura del pensiero risorgimentale, l’influenza di SPAVENTA e di MAZZINI, di GIOBERTI e  di ROSMINI, il confronto con la filosofia di Marx e con  lo storicismo, che sono invece determinanti nella formazione di Gentile. I riferimenti comuni si limitano a  certi autori dell'idealismo tedesco. In Evola l'idealismo è un episodio, seppure notevole,  inserito in un altro episodio, seppure importante, quale è il suo periodo filosofico. Se si prescinde dalle coordinate extrafilosofiche, si è già lontani dalla comprensione del pensiero evoliano.  Inoltre, va ricordato, della filosofia evoliana si occupa CROCE ma non se ne occupò mai Gentile, che non vi  riconobbe mai alcuna parentela. E della filosofia gentiliana, Evola se ne è sempre occupato in chiave critica. I suoi rilievi, le sue critiche all’attualismo sono notevoli, radicali e tutt’altro che superabili. Sul piano storico, Evola condanna del fascismo quel  che Gentile approva o addirittura egli stesso ispira. E le distanze con Gentile non si attenuarono  nemmeno quando il vento del CONCORDATO condusse  Gentile ed Evola a scontare una comune emarginazione. Come per Gentile, anche per Evola il fASCISMO e inteso come una rivoluzione conservatrice, anzi una restaurazione. Ma restaurazione non della tradizione italiana esaltata dal Risorgimento e dalla filosofia nazionale, come vuole Gentile, ma restaurazione di LA TRADIZIONE ROMANA  e ghibellina. Ovvero una restaurazione così radicale che finisce con l'essere una rivoluzione rispetto al passato più prossimo. Nel momento in cui Evola superava Gentile in radicalismo restauratore, lo supera al contempo in radicalismo rivoluzionario. Va infine considerata l'evoluzione storico-politica del  pensiero evoliano in senso aristocratico e tradizionalista, che diverge nettamente dall'evoluzione gentiliana  verso l'umanesimo del lavoro. In definitiva, se è riduttivo chiudere il pensiero evoliano nell alveo dell'idealismo, è doppiamente riduttivo e fuorviarne considerare la filosofia di Evola alla stregua di un attualismo malriuscito, un tentativo velleitario di superare Gentile. In Evola vi è ben altro. Per un tempo, EvoIa è stato conosciuto come l'ispiratore dell'attivismo neo-fascista e neo-nazista. Una definizione canonica che ha dominato nel giornalismo e nella cultura politicante, che ha trovato la sua  giustificazione teorica in filosofi come JESI ma una definizione che ancora resiste, come dimostrano certi interventi al convegno di Cuneo sulla cultura  di destra o certe pagine di un volume collettaneo sulla destra radicale. In realtà, se vi è stato un autore di destra che più ha contribuito à scongelare il neofascismo dall’ibernazione nostalgica, questi è stato proprio Evola. Da  figla prima di ogni altro filosofo, la destra  ha imparato a leggere IL FASCISMO e il nazismo in chiave critica, anche se la critica di Evola ai due fascismi é pur  sempre dal punto di vista della destra, Leggendo il  fascismo di Evola, le sue Note sul Terzo Reich, la sua  critica al nazionalismo e alla statolatria, al bonapartismo e al populismo fascista, al razzismo biologico e agl’isterismi del Fuhrer, all'idealismo gentiliano e al sentimentalismo cristiano-borghese, conoscendo le difficoltà  che Evola dovette affrontare durante il regime fascista, il radicalismo di destra ha avvertito l'esigenza di rivedere  il proprio patrimonio ideale e storico.  E leggendo Evola, quella destra ha cominciato a conoscere orizzonti più vasti, prospettive storiche e meta-storiche più ampie, nel tempo e nello spazio. Ha conosciuto filosofi e tradizioni che con il fascismo poco o  nulla avevano a che vedere. Si deve principalmente a  Evola, alle sue letture e alle sue divulgazioni, alle sue  traduzioni e ai suoi riferimenti, se quella destra ha potuto conoscere ampi filoni della cultura mitteleuropea,  a cominciare dalla konservative Revolution, grandi pilastri della sapienza orientale, solidi pensatori legittimisti e tradizionalisti. In secondo luogo, se vi è stato un autore di destra che ha meno sollecitato l'attivismo, questi è stato proprio Evola. Se un limite si deve individuare nella lezione politica di Evola esso è piuttosto di segno contrario: coloro che si sono avvicinati a Evola si sono solitamente allontanati dall’attivismo politico. Ci si avvicinava a Evola alla ricerca di fondamenti per  la propria scelta politica: ma la radicalizzazione del Po¬  litico è coincisa con il rigetto della politica.   La lettura del pensiero evoliano ha avuto infatti un  esito generalmente impolitico. Quando Evola richiama  tradizioni lontane nello spazio e nel tempo, remote età  dell'oro, inaccessibili vette del grande passato di cui  non sopravvivono più neanche tracce e vestigia, né riti  né fiaccole viventi, la tradizione finisce di essere una  radice per diventare un'idea, cessa di essere una trasmissione di valori per convertirsi in una rappresentazione concettuale, si estingue come pratica viva e rituale  per ridursi a un oggetto del puro pensare.  Tradizione è collegamento e qui diventa isolamento,  è apertura verso il mondo e qui diventa solipsismo, è  anello di congiunzione e qui diventa rottura con il  tempo. Quando Evola definisce la tradizione una discesa dell’Individuo assoluto nella concretezza storica, priva  la tradizione del suo significato metastorico e metafisico, riduce la tradizione o travestimento dell'io, a una  volizione del soggetto. Non vi è alcuna tradizione che  possa ricondursi a una soggettività. Ogni tradizione si  incarna e trascende i membri di una COMUNITA. Altrimenti tradizione non è. Quando Evola ripropone la dottrina tradizionale dei cicli storici, delle quattro età, e  ci ricorda che viviamo nell'età oscura, ci conduce davanti a un paradosso insolubile. Se aderisco fedelmente alla dottrina, devo convincermi che io non posso modificare il corso metafisico delle epoche, e quindi inutile sarà la mia azione politica, il mio impegno nel mondo. Se viceversa penso che gl’individui possono cambiare radicalmente il corso dell'epoca, la dottrina perde il suo vigore metafisico e la tradizione si piega ancora una volta al soggettivismo volontaristico.   Quando Evola sostiene che il fascismo sia stato rovinato dalla natura del popolo italiano, può avere ragione sul piano della pura teoria, ma esprime un'osservazione impolitica, riduce il fascismo a una pura categoria dello spirito, astratta dalle coordinate storiche e  temporali. La politica agisce in un dato tempo, in un dato spazio e in un dato popolo: se si dice che il tempo,  lo spazio e il popolo sono inadatti per quell'idea si fa  dell’idealismo assoluto, e si è decisamente lontani da  ogni considerazione politica. Non può esistere una politica sradicata dalla storia e dalla natura degli uomini  su cui vuole agire.  Quando Evola sostiene che la nostra patria non deve  essere quella sancita dalla nostra appartenenza naturale e territoriale, ma la vera patria è l’idea, riduce la patria, e la stessa tradizione, a un'essenza disincarnata; riduce il radicamento, architrave di ogni tradizionalismo, a puro convincimento intellettualistico. Sulla scia di queste aporie ha serpeggiato tra molti  evoliani una forma di pessimismo assoluto, una specie  di antiprovvidenza che vuole i migliori sempre perdenti, poiché il successo di un’idea, nel nostro mondo sconsacrato, sarebbe il segno del suo scadimento. Se la verità è ciò che si oppone alla storia, è fatale che la via della verità diventi la negazione della storia. Si è così  insinuata una cultura della disperazione, il mito dell’eroe perdente, del profeta inascoltato, del suicida veggente. Senza una adeguata mediazione, questi orientamenti evoliani conducono fatalmente a un esito impolitico.   E conducono a quei due opposti equivoci che inibiscono oggi il rapporto tra la cosiddetta destra radicale e la politica: da un verso lo sradicamento e dall'altro l’ibernazione. Da una parte nasce il tradizionalismo immobile, che  per inseguire il soprastorico scivola nell'a-storico, il tradizionalismo chiuso a ogni forma di attivo impegno nel  mondo e dunque un tradizionalismo senza tradizione  perché senza continuità effettiva. Ma dall'altra è nato il tentativo di disancorare la storia  dalla tradizione, di liberare l’impegno civile e politico  da ogni punto fermo, di emanciparsi da ogni appartenenza radicata.   I due pericoli sono opposti nello sviluppo ma uniti nella genesi: entrambi nascono dalla convinzione che vi sia  una frattura insanabile tra il mondo dei valori e il mondo dei fatti, tra l’ideale e il reale, fra la tradizione e la  storia.   Partendo entrambi dalla constatazione di questa frattura, le strade poi divergono: i primi seguono la via dell’imbalsamazione, del dogmatismo e fatalmente approdano all'isola immobile dell’impolitico. I secondi scelgono la via della liquefazione, del relativismo e finiscono  poi a inseguire il successo ad ogni costo, prescindendo  dai motivi di fondo per cui il successo avrebbe un senso. I due comportamenti sono fondamentalmente contrassegnati dall'individualismo e si rivelano letteralmente schizofrenici. Nascono infatti da una dissociazione di fondo tra pensiero e atto, idea e realtà, essere e  dover essere. L'esito dei primi è segnato dall'idealismo,  con la tradizione ridotta a pura rappresentazione mentale e soggettiva, disincarnata dalle sue forme visibili,  sensibili e comunitarie. L'esito dei secondi è il nominalismo, la riduzione dei valori a strumenti di locomozione, a convenzioni e volizioni del soggetto.   In questo senso va ripensata non solo la frattura posta da Evola tra i valori della tradizione e gli strumenti  della modernità. Ma occorre rimeditare anche lo iato  sancito da Evola sul piano storico-politico tra rivoluzione conservatrice e ideologia italiana. Una frattura,  quest'ultima, che ha contribuito non poco a generare a  destra quel rigetto della tradizione nazionale e quella  ricerca di autori e modelli attinti da altre tradizioni e  da altri paesi. Nell'opera in cui Evola teorizza esplicitamente i lineamenti di una rivoluzione conservatrice, vale  a dire Gli uomini e le rovine, è ribadita con forza la frattura tra ideologia italiana e rivoluzione conservatrice. Dopo aver spiegato il senso in cui si può positivamente  parlare di rivoluzione conservatrice, Evola aggiunge. Pel vero conservatore rivoluzionario è questione  di una fedeltà non a forme e istituzioni di tempi trascorsi bensì a dei princìpi. Affermazione che già presenta l’insidia del puro idealismo ovvero il disancoramento della tradizione dalla storia; ma, al limite, si può ancora condividere soprattutto se si tiene conto del passaggio da una veduta integralmente tradizionalista, e  quindi fondata sulla continuità, a una veduta rivoluzionaria conservatrice, e quindi fondata sulla consapevolezza di una frattura verificatasi fra tradizione e modernità. E ancor più si può comprendere e apprezzare  il riferimento evoliano se si ha presente il contesto a cui  Evola si rivolge: riferendosi agli ambienti del neo-fascismo, Evola invita a non confondere la difesa di valori con la nostalgica difesa di regimi e istituzioni che non  sono più presenti. Quello di Evola e un passo forse  troppo prematuro, per dissociare il mondo rivoluzionario-conservatore di destra dal puro nostalgismo.   Ma Evola si spinge ancora ben oltre. Egli giunge ad  affermare che la componente rivoluzionaria presente appunto nella rivoluzione conservatrice, va intesa  nel senso di fare tabula rasa della storia per lasciare il  posto alle pure idee. Grazie al carattere rivoluzionario  le forze attive «si presenteranno ad uno stato quasi puro, con un minimo di scorie storiche». E a questo Evola  aggiunge: «Appunto perché l’appoggio materiale consistente in un passato tradizionale ancora vivo e concretizzato in forme storiche non del tutto scadute è da  noi inesistente, la rivoluzione restauratrice dovrà presentarsi in Italia come un fenomeno anzitutto spirituale ed avente come base la pura idea. Rispetto a quel che Evola intende per tradizione, la  sua conclusione è rigorosa quanto ineccepibile. Ma altrettanto evidente è l'esito impolitico e la separazione  dalla storia che essa sancisce.   Il problema che si pone, in fondo, è questo; se si intende scegliere una strada esistenziale dissociata da  ogni impegno politico, il rigetto della ideologia italiana, e della storia italiana, è in linea di rigorosa coerenza con le idee affermate da Evola e ha una sua legittimità e dignità incontestabili. Ma se, viceversa, si intende costruire una linea politica, se si intende davvero adoperarsi per una rivoluzione conservatrice, allora è  impossibile fare il vuoto intorno e dietro a sé, recidendo i ponti con la storia del proprio paese e con la realtà  del proprio popolo. Né si può disancorare, in questa seconda ipotesi, l'idea di tradizione dalla rappresentazio¬  ne storica che ha avuto.   Occorre allora rimeditare la storia italiana, almeno  dal Risorgimento in poi, con spirito critico, senza dubbio, ma senza apocalittici dinieghi.   Né va trascurato il fatto che talvolta, a sostenere cause che meta-storicamente si possono definire negative,  possono trovarsi uomini e ragioni che hanno intrinseci  tratti di giustezza, di nobiltà e di dignità. Uomini giusti  per cause sbagliate. Articolare i giudizi, dunque, pur  senza privarli della loro globalità, e risalire alle intime  ragioni di certi accadimenti.   In questo senso la teorizzazione evoliana di una linea  rivoluzionaria conservatrice rivela tratti di insufficienza e di carenza sul piano storico-politico. Laddove invece, nelle grandi linee metafisiche e metastoriche, il  pensiero evoliano risulta ancora di inesaurita ricchezza e fecondità. J. Evola, Gli uomini e le rovine, Roma, Evola, Cavalcare la tigre, Milano Evola, Essere di destra, in «Roma», poi in Citimi scritti, Napoli cfr., Gli uomini e le rovine, cit., Galli su Evola cfr. La destra in Italia, ciLa tigre di carta  ed il drago scarlatto, Bologna.  Mancini, Il pensiero negativo e la nuova destra, Milano Cacciari, i riferimenti sono a una intervista da lui concessa a G. De Turris, Z//r-  razionale? E chi lo conosce..., in «Il Settimanale», e all'articolo È una figura complessa su Evola, apparso sempre su «Il Settimanale». Evola ha avuto un ruolo importante per la conoscenza e la diffusione  in Italia della konservative Revolution. Oltre ai suoi contributi, e ai numerosi  riferimenti sparsi nella sua opera, Evola ha tradotto in Italia II Tramonto dell’Occidente di Spengler, ha introdotto Anni decisivi dello stesso autore, h a tradotto/!/ muro del Tempo di Junger (Roma) e ha scritto un’ampia sintesi  dell 'Operaio, solo per citare alcuni dei suoi contributi.  Cioran, Storia e utopia, Milano. Il riferimento è a un editoriale anonimo ma attribuito allallora direttore della rivista, padre Bartolomeo Sorge, apparso nella «Civiltà Cattolica», Il neo-paganesimo della Nuova Destra.  Imperialismo pagano, Roma Veneziani, Julius Evola tra filosofia e tradizione, Roma. A tale proposito si veda di A. de Benoist soprattutto Come si può essere  pagani?, Roma. Negri, Evola e il superamento dell'attualismo in appendice a M. Veneziani, Julius Evola tra filosofia e tradizione. Negri si riferisce  a Evola anche nel suo Sviluppi e incidenze dell’attualismo. I riferimenti a Evola di Spirito, Carlini e Sciacca sono stati raccolti da  G. De Turris in “Omaggio a Evola,” Roma. Gentile non è il nostro filosofo, in «Tradizione», Il filosofo G. Gentile, in «Il Conciliatore», (poi in Ricognizioni, Roma).  Si vedano inoltre di Evola su Gentile: Saggi sull’idealismo magico, Roma; Il cammino del cinabro, e gli scritti Superamento  dell’idealismo e L'equivoco dell'immanenza raccolti in Diorama filosofico, cJesi, Cultura di destra. Il linguaggio delle parole senza idee, Milano Nuova destra e cultura reazionaria negli anni Ottanta, cit. Si  veda anche AA.VV., La destra radicale, Milano Evola, Il Fascismo visto dalla Destra. Con note sul Terzo Reich, Evola, Il cammino del cinabro, A proposito della teoria evoliana sulla razza è da riferire quanto emerge dai Documenti segreti del Terzo  Reich pubblicati a Roma a cura di N. Cospito e H. Werner Neulen.  In uno scritto, una nota inviata dal dirigente dell’Ufficio politico della razza  della NSDAR, dr. Gross, al ministro tedesco per l’istruzione popolare e propaganda, Evola e accusato di elaborare una teoria razziale «italiana», e fondamentalmente antitedesca. Osservando che Evola pone il primato dello spirito sul corpo, l’estensore della nota rileva che Evola aderisce all’idea della superiorità spirituale dei popoli latini e asseconda la favola della barbarie nordica in un altra forma. Dopo aver accusato Evola di teorizzare un  razzismo annacquato, privo di scientificità, antievoluzionistico, il redattore  afferma. Dalla latinità dell’autore scaturiscono concezioni che costituiscono  un atteggiamento totalmente estraneo alle visioni tedesche. Per questa ragione colpisce in molti punti la sintonia con il cattolicesimo mediterraneo e prosegue con alcuni esempi (dr. Huttig, Berlino).  Su tale idea cfr. Gli uomini e le rovine,  «Orientamenti»,  Roma. A tale proposito cfr. M. Veneziani, Prefazione all'ultima edizione di «Orientamenti», Roma  in AA.VV., Testimonianze su Evola, Roma; Evola e la generazione. Evola, Gli uomini e le rovine. The Germans do not have the concept of virility. Evola’s concept of ‘maschio’ is very complex – vir sums up best. Julius Evola. “Giulio Cesare Andrea Evola”. Keywords: romanità, virilità. pitagora, roma, origini di roma, romolo, romanità, virilità, pitagora canti d’oro, ercole, male bonding, virilita, vir, Dioscuri, castore e policce, Weininger, Buehler, homoerotic, intergenerational male bonding, tutor/tutee, hero, Aryan, European – Roma, l’implicatura di Romolo. Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Evola," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

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