Grice
ed Eccelo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucania). Filosofo italiano. According to Giamblico,
a Pythagorean. It is thought that fragments of a text attributed to POLO di
Lucania may have been written by Eccelo.
Grice
ed Eccecrate – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a
Pythagorean.
Grice ed Eco – la rosa segnata -- il nome del nome –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Alessandria).
Filosofo italiano. Grice: “Eco thought that his “Guglielmo da Bascavilla” was a
clever composite of Holmes, who deciphered the enigma of the Baskervilles, and
William Occam – and has his tutee claim that he died of the black plague – but
Gal has now discovered he did not!” -- Eco philosophised at the oldest varsity,
BolognaGrice: “Of course, ‘varsity’ is over-rated, as I’m sure Cicero would
agree!” -- Grice: “I would not call Eco a philosopher, since his dissertation
is on aesthetics in Aquinas! Plus, he wrote a novel!” -- scuola bolognese-- possibly,
after Speranza, one of the most Griceian of Italian philosophers (Only Speranza
calls himself an Oxonian, rather!“Surely alma mater trumps all!”). Figlio di Giulio, un impiegato nelle Ferrovie, e Rita
Bisio, conseguì la maturità al liceo classico Giovanni Plana di Alessandria,
sua città natale. Tra i suoi compagni di classe, vi era il fisarmonicista
Gianni Coscia, con il quale scrisse spettacoli di rivista. In gioventù fu
impegnato nella GIAC (l'allora ramo giovanile dell'Azione Cattolica) e nei
primi anni cinquanta fu chiamato tra i responsabili nazionali del movimento
studentesco dell'AC (progenitore dell'attuale MSAC). Abbandonò l'incarico (così
come avevano fatto Carlo Carretto e Mario Rossi) in polemica con Luigi Gedda.
Durante i suoi studi universitari su Tommaso d'Aquino, smise di credere in Dio
e lasciò definitivamente la Chiesa cattolica; in una nota ironica, in seguito
commentò: «si può dire che lui Tommaso d'Aquino mi abbia miracolosamente curato
dalla fede». Laureatosi in filosofia a Torino (agli esami riportò
sempre 30/30, anche con lode, tranne quattro casi: filosofia teoretica e
letteratura latina, in cui ottenne 29/30, e storia della letteratura italiana e
pedagogia, entrambi superati con 27/30)
con relatore Pareyson e tesi sull'estetica di San Tommaso d'Aquino
(controrelatore Augusto Guzzo), cominciò a interessarsi di filosofia e cultura
medievale, campo d'indagine mai più abbandonato (vedi il volume Dall'albero al
labirinto), anche se successivamente si dedicò allo studio semiotico della
cultura popolare contemporanea e all'indagine critica sullo sperimentalismo letterario
e artistico. Pubblicò il suo primo libro, un'estensione della sua tesi di
laurea dal titolo Il problema estetico in San Tommaso. Partecipò e vinse
un concorso della Rai per l'assunzione di telecronisti e nuovi funzionari; con
Eco vi entrarono anche Furio Colombo e Gianni Vattimo. Tutti e tre
abbandonarono l'ente televisivo entro la fine degli anni cinquanta. Nel
concorso successivo entrarono Emmanuele Milano, Fabiano Fabiani, Angelo
Guglielmi, e molti altri. I vincitori dei primi concorsi furono in seguito
etichettati come i "corsari" perché seguirono un corso di formazione
diretto da Pier Emilio Gennarini e avrebbero dovuto, secondo le intenzioni del
dirigente Filiberto Guala, "svecchiare" i programmi. Con altri
ingressi successivi, come quelli di Gianni Serra, Emilio Garroni e Luigi
Silori, questi giovani intellettuali innovarono davvero l'ambiente culturale
della televisione, ancora molto legato a personalità provenienti dall'EIAR,
venendo in seguito considerati come i veri promotori della centralità della RAI
nel sistema culturale italiano. Dall'esperienza lavorativa in RAI,
incluse amicizie con membri del Gruppo 63, Eco trasse spunto per molti scritti,
tra cui il celebre articolo Fenomenologia di Mike Bongiorno. Codirettore
editoriale della casa editrice Bompiani. Pubblicò il saggio Opera aperta che,
con sorpresa dello stesso autore, ebbe notevole risonanza a livello
internazionale e diede le basi teoriche al Gruppo 63, movimento d'avanguardia
letterario e artistico italiano che suscitò interesse negli ambienti critico-letterari
anche per le polemiche che destò criticando fortemente autori all'epoca già
"consacrati" dalla fama come Carlo Cassola, Giorgio Bassani e Vasco
Pratolini, ironicamente definiti "Liale", con riferimento a Liala,
autrice di romanzi rosa. Ebbe inizio anche la sua carriera universitaria
che lo portò a tenere corsi, in qualità di professore incaricato, in diverse
università italiane: Torino, Milano, Firenze e, infine, Bologna dove ha
ottenuto la cattedra di Semiotica, diventando Professore. All'Bologna è stato
fra i fondatori del primo corso di laurea in DAMS, poi è stato direttore
dell'Istituto di Comunicazione e spettacolo del DAMS, e in seguito ha dato
inizio al corso di laurea in Scienze della comunicazione. Infine è divenuto
Presidente della Scuola Superiore di Studi Umanistici, fondata nel 2000, che
coordina l'attività dei dottorati bolognesi del settore umanistico, e dove ha
ideato il Master in Editoria Cartacea e Digitale. Nel corso degli anni ha
insegnato come professore invitato alla New York University, Northwestern
University, Columbia University, Yale, Harvard (Norton lectures sponsored by
the Department of Romance Languages), University of California-San Diego,
Cambridge, Oxford – Weidenfeld lectures at the female-only St. Anne’s, São
Paulo e Rio de Janeiro, La Plata e Buenos Aires, Collège de France, École
normale supérieure (Parigi). Nell'ottobre 2007 si è ritirato dall'insegnamento
per limiti di età. Dalla fine degli anni cinquanta, Eco cominciò a
interessarsi all'influenza dei mass media nella cultura di massa, su cui
pubblicò articoli in diversi giornali e riviste, poi in gran parte confluiti in
Diario minimo e Apocalittici e integrati. Apocalittici e integrati (che ebbe
una nuova edizione) analizzò con taglio sociologico le comunicazioni di massa.
Il tema era già stato affrontato in Diario minimo, che includeva tra gli altri
il breve articolo Fenomenologia di Mike Bongiorno. Sullo stesso tema, ssvolse
a New York il seminario Per una guerriglia semiologica, in seguito pubblicato
ne Il costume di casa e frequentemente citato nelle discussioni sulla
controcultura e la resistenza al potere dei mass media. Significativa fu
anche la sua attenzione per le correlazioni tra dittatura e cultura di massa ne
Il fascismo eterno, capitolo del saggio Cinque scritti morali, dove individuava
le caratteristiche, ricorrenti nel tempo, del cosiddetto "fascismo
eterno", o "Ur-fascismo": il culto della tradizione, il rifiuto
del modernismo, il culto dell'azione per l'azione, il disaccordo come
tradimento, la paura delle differenze, l'appello alle classi medie frustrate,
l'ossessione del complotto, il machismo, il "populismo qualitativo Tv e
Internet" e altre ancora; da esse e dalle loro combinazioni, secondo Eco,
è possibile anche "smascherare" le forme di fascismo che si
riproducono da sempre "in ogni parte del mondo". In
un'intervista del 24 aprile mise in
evidenza la sua visione rispetto a, della quale Eco si definiva un "utente
compulsivo", e al mondo dell'open source. Pubblicò il suo primo libro
di teoria semiotica, La struttura assente, cui seguirono il fondamentale Trattato
di semiotica generale e gli articoli per l'Enciclopedia Einaudi poi riuniti in
Semiotica e filosofia del linguaggio. Fondò VersusQuaderni di studi
semiotici, una delle maggiori riviste internazionali di semiotica, rimanendone
direttore responsabile e membro del comitato scientifico fino alla morte. È
anche stato segretario, vicepresidente e dal 1994 presidente onorario della
IASS/AIS ("International Association for Semiotic Studies"). È stato
invitato a tenere le prestigiose conferenze Tanner (Cambridge), Norton
(Harvard), Goggio (Toronto), Weidenfeld lectures on comparative literature and
translation, sponsored by the female-only college St. Anne’s (Oxford,) e
Richard Ellmann (Università Emory). Collaborò sin dalla sua fondazione,
nel 1955, al settimanale L'Espresso, sul quale tenne in ultima pagina la
rubrica La bustina di minerva (nella quale, tra l'altro, dichiarò di aver
contribuito personalmente alla propria voce su ), ai giornali Il Giorno, La
Stampa, Corriere della Sera, la Repubblica, il manifesto e a innumerevoli riviste
internazionali specializzate, tra cui Semiotica (fondata da Thomas Albert
Sebeok), Poetics Today, Degrès, Structuralist Review, Text, Communications
(rivista parigina del EHESS), Problemi dell'informazione, Word & Images, o
riviste letterarie e di dibattito culturale quali Quindici, Il Verri (fondata
da Luciano Anceschi), Alfabeta, Il cavallo di Troia, ecc. Collaborò alla
collana "Fare l'Europa" diretta da Jacques Le Goff con lo studio La
ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, in cui si espresse a favore dell'utilizzo
dell'esperanto. Tradusse gli Esercizi di stile di Raymond Queneau (nel 1983) e
Sylvie di Gérard de Nerval (entrambi presso Einaudi) e introdusse opere di
numerosi scrittori e di artisti. Ha anche collaborato con i musicisti Luciano
Berio e Sylvano Bussotti. I suoi dibattiti, spesso dal tono divertito,
con Luciano Nanni, Omar Calabrese, Paolo Fabbri, Ugo Volli, Francesco Leonetti,
Nanni Balestrini, Guido Almansi, Achille Bonito Oliva o Maria Corti, tanto per
nominarne alcuni, hanno aggiunto contributi non scritti alla storia degli
intellettuali italiani, soprattutto quando sfioravano argomenti non consueti (o
almeno non ritenuti tali prima dell'intervento di Eco), come la figura di James
Bond, l'enigmistica, la fisiognomica, la serialità televisiva, il romanzo
d'appendice, il fumetto, il labirinto, la menzogna, le società segrete o più
seriamente gli annosi concetti di abduzione, di canone e di classico.[senza fonte]
Grande appassionato del fumetto Dylan Dog, a Eco è stato fatto tributo sul
numero 136 attraverso il personaggio Humbert Coe, che ha affiancato
l'indagatore dell'incubo in un'indagine sull'origine delle lingue del mondo. È
stato inoltre amico del pittore e autore di fumetti Andrea Pazienza che fu suo
allievo al DAMS di Bologna, e ha scritto la prefazione a libri di Hugo Pratt,
Charles Monroe Schulz, Jules Feiffer e Raymond Peynet. Scrisse la presentazione
di "Cuore" a fumetti, di F. Bonzi e Alain Denis, pubblicata su "Linus".Esordì
nella narrativa. Il suo primo romanzo, Il nome della rosa, riscontrò un grande
successo sia presso la critica sia presso il pubblico, tanto da divenire un
best seller internazionale tradotto in 47 lingue e venduto in trenta milioni di
copie. Il nome della rosa è stato anche tra i finalisti del prestigioso Edgar
Award nel 1984 e ha vinto il Premio Strega.[26] Dal lavoro fu tratto anche un
celebre film con Sean Connery. Pubblicò il suo secondo romanzo, Il
pendolo di Foucault, satira dell'interpretazione paranoica dei fatti veri o
leggendari della storia e delle sindromi del complotto. Questa critica
dell'interpretazione incontrollata viene ripresa in opere teoriche sulla
ricezione (cfr. I limiti dell'interpretazione). Romanzi successivi sono L'isola
del giorno prima (1994), Baudolino (2000), La misteriosa fiamma della regina
Loana, Il cimitero di Praga () e Numero zero (), tutti editi in italiano da
Bompiani. Nel è stata pubblicata
una versione "riveduta e corretta" del suo primo romanzo Il nome
della rosa, con una nota finale dello stesso Eco che, mantenendo stile e
struttura narrativa, è intervenuto a eliminare ripetizioni ed errori, a
modificare l'impianto delle citazioni latine e la descrizione della faccia del
bibliotecario per togliere un riferimento neogotico. Molte opere furono
dedicate alle teorie della narrazione e della letteratura: Il superuomo di
massa, Lector in fabula, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Sulla
letteratura, Dire quasi la stessa cosa (sulla traduzione). È stato inoltre
precursore e divulgatore dell'applicazione della tecnologia alla
scrittura. In contemporanea alla nomina di "guest curator"
(curatore ospite) del Louvre, dove organizzò una serie di eventi e
manifestazioni culturali, uscì per Bompiani Vertigine della lista, pubblicato
in quattordici paesi del mondo. Nel
Bompiani pubblicò una raccolta dal titolo Costruire il nemico e altri
scritti occasionali, che raccoglie saggi occasionali che spaziano nei vari
interessi dell'autore, come quello per la narratologia e il feuilleton
ottocentesco. Il primo saggio riprende temi già presenti ne Il cimitero di
Praga. Muore nella sua casa di Milano a causa di un tumore del pancreas
che lo aveva colpito due anni prima. I funerali laici si sono svolti nel Castello Sforzesco di Milano, dove
migliaia di persone si sono recate per l'ultimo saluto. Sono state eseguite due
composizioni alla viola da gamba e al clavicembalo: Couplets de folies (Les
folies d'Espagne) dalla Suite n. 1 in re maggiore dai Pièces de viole, Livre II
di Marin Marais e La Folia dalla Sonata per violino e basso continuo in re minore,
di Arcangelo Corelli. Nel proprio testamento Eco ha chiesto ai suoi familiari
di non autorizzare né promuovere, per i dieci anni successivi alla sua morte alcun
seminario o conferenza su di lui. Il corpo di Eco è stato infine cremato. La
moglie, Renate Eco-Ramge, rifiutando la proposta di tumularne le ceneri nel
Civico Mausoleo Garbin, ex edicola privata del Cimitero Monumentale di Milano
ora provvista di piccole cellette destinate a ceneri o resti ossei di
personalità artistiche illustri, ne ha preferito la conservazione privata, con
il progetto di costruire un'edicola di famiglia nel medesimo cimitero. Nei suoi
romanzi, Eco racconta storie realmente accadute o leggende che hanno come
protagonisti personaggi storici o inventati. Inserisce nelle sue opere accesi
dibattiti filosofici sull'esistenza del vuoto, di Dio o sulla natura
dell'universo. Attratto da temi piuttosto misteriosi e oscuri (i
cavalieri Templari, il sacro Graal, la sacra Sindone ecc.), nei suoi romanzi
gli scienziati e gli uomini che hanno fatto la storia sono spesso trattati con
indifferenza dai contemporanei. L'umorismo è l'arma letteraria preferita
dallo scrittore di Alessandria, che inserisce innumerevoli citazioni e
collegamenti a opere di vario genere, conosciute quasi esclusivamente da
filologi e bibliofili. Ciò rende romanzi come Il nome della rosa o L'isola del
giorno prima un turbinio variopinto di nozioni di carattere storico, filosofico,
artistico e matematico. Centrale ne Il nome della rosa è la questione del
riso, post-modernisticamente declinata. Ne Il pendolo di Foucault Eco
affronta temi come la ricerca del sacro Graal e la storia dei cavalieri
Templari, facendo numerosi cenni ai misteri dell'età antica e moderna,
rivisitati in chiave parodistica. Ne L'isola del giorno prima l'umanità
intera è simboleggiata dal naufrago Roberto de la Grive, che cerca un'isola al
di fuori del tempo e dello spazio. In Baudolino dà vita ad un picaresco
personaggio medioevale tutto dedito alla ricerca di un paradiso terrestre (il
regno leggendario di Prete Giovanni). Ne La misteriosa fiamma della
regina Loana riflette sulla forza e sull'essenza stessa del ricordo, rivolto,
in questo caso, ad episodi del XX secolo. Il cimitero di Praga è
incentrato sulla natura del complotto e, in particolar modo, sulla storia
'europea' del popolo ebraico. Il suo ultimo romanzo, Numero zero,
riprendendo temi da sempre cari all'autore (il falso, la costruzione del
complotto e delle notizie) si sofferma sulla storia italiana recente, narrando
fatti realmente accaduti, ma riletti attraverso una chiave
complottistica. Fu tra i 757 firmatari della lettera aperta a L'Espresso
sul caso Pinelli e successivamente della autodenuncia di solidarietà a Lotta
Continua, in cui una cinquantina di firmatari esprimevano solidarietà verso
alcuni militanti e direttori responsabili del giornale, inquisiti per
istigazione a delinquere. I firmatari si autodenunciavano alla magistratura
dicendo di condividere il contenuto dell'articolo. Peraltro le severe critiche
di Eco al terrorismo e ai vari progetti di lotta armata sono contenute in una
serie di articoli scritti sul settimanale L'Espresso e su Repubblica, specie ai
tempi del caso Moro (articoli poi ripubblicati nel volume Sette anni di
desiderio). In effetti l'arma che ha caratterizzato l'impegno politico di Eco è
diventata l'analisi critica dei discorsi politici e delle comunicazioni di
massa. Questo impegno è sintetizzato nella metafora della guerriglia
semiologica dove si sostiene che non è tanto importante cambiare il contenuto
dei messaggi alla fonte ma cercare di animare la loro analisi là dove essi
arrivano (la formula era: non serve occupare la televisione, bisogna occupare
una sedia davanti a ogni televisore). In questo senso la guerriglia semiologica
è una forma di critica sociale attraverso l'educazione alla ricezione. Partecipa
alle attività dell'associazione Libertà e Giustizia, di cui è uno dei fondatori
e garanti più noti, partecipando attivamente tramite le sue iniziative al
dibattito politico-culturale italiano. Il suo libro A passo di gambero contiene
le critiche a quello che lui definisce populismo berlusconiano, alla politica
di Bush, al cosiddetto scontro tra etnie e religioni. Nel, nelle settimane
delle rivolte arabe, durante una conferenza stampa registrata alla Fiera del
libro di Gerusalemme, scatena una polemica politica la sua risposta a un
giornalista italiano che gli domanda se condivida il paragone fra Berlusconi e
Mubarak, avanzato da alcuni: "Il paragone potrebbe essere fatto con
Hitler: anche lui giunse al potere con libere elezioni";[36] lo stesso
Eco, dalle colonne de l'Espresso, smentirà tale dichiarazione chiarendo le circostanze
della sua risposta. Eco faceva parte dell'associazione Aspen Institute Italia. Cavaliere
di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana nastrino per
uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della
Repubblica italiana — Roma, 9Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e
dell'artenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'oro ai benemeriti della
cultura e dell'arte — Roma. Onorificenze straniere Commendatore dell'Ordine
delle Arti e delle Lettere (Francia)nastrino per uniforme ordinariaCommendatore
dell'Ordine delle Arti e delle Lettere (Francia), Cavaliere dell'Ordine pour le
Mérite für Wissenschaften und Künste (Repubblica Federale di Germania)nastrino
per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine pour le Mérite für Wissenschaften
und Künste (Repubblica Federale di Germania), Premio Principe delle Asturie per
la comunicazione e l'umanistica (Spagna)nastrino per uniforme ordinariaPremio
Principe delle Asturie per la comunicazione e l'umanistica (Spagna), Ufficiale
dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) nastrino per uniforme
ordinariaUfficiale dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia), Gran croce al
merito con placca dell'Ordine al merito della Repubblica Federale di
Germanianastrino per uniforme ordinariaGran croce al merito con placca dell'Ordine
al merito della Repubblica Federale di Germania, Commendatore dell'Ordine della
Legion d'Onore (Francia) nastrino per uniforme ordinaria Commendatore
dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia), Parigi. Cittadinanze onorarie Monte
Cerignone, Nizza Monferrato, San Leo, 11 giugno. Torre Pellice,. Lauree Eco ha
ricevuto 40 lauree honoris causa da prestigiose università europee e americane,
come quella del, che gli è stata conferita dall'Università federale del Rio
Grande do Sul, di Porto Alegre, in Brasile. In occasione della laurea in
comunicazione conferita da Torino, Umberto Eco ha rilasciato severi giudizi sui
social del Web che, a suo dire, possono essere utilizzati da «legioni di
imbecilli» per porsi sullo stesso piano di un vincitore di un Premio Nobel. Le
affermazioni di Eco hanno suscitato approvazioni ma anche vivaci discussioni. Affiliazioni
e sodalizi accademici Umberto Eco è stato membro onorario (Honorary Trustee)
della James Joyce Association, dell'Accademia delle Scienze di Bologna, dell'Academia
Europea de Yuste, dell'American Academy of Arts and Letters, dell'Académie
royale des sciences, des lettres et des beaux-arts de Belgique, della Polska
Akademia Umiejętności ("Accademia polacca della Arti"), "Fellow"
del St Anne's, Oxford e socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Eco è stato
inoltre membro onorario del CICAP. Altro Gli è stato dedicato l'asteroide
13069 Umbertoeco, scoperto nel dall'astronomo belga Eric Walter Elst. Il
12 aprile 2008 è stato nominato Duca dell'Isola del Giorno Prima del regno di
Redonda dal re Xavier. Nel il
comune di Milano ha deciso che il suo nome venga iscritto nel Pantheon di
Milano, all'interno del cimitero monumentale. Eco ha scritto numerosi saggi di
filosofia, semiotica, linguistica, estetica: Il problema estetico in San
Tommaso, Torino, Edizioni di Filosofia, poi Il problema estetico in Tommaso d'Aquino, 2ª
ed., Milano, Bompiani, Filosofi in libertà, come Dedalus, Torino, Taylor, poi
in Il secondo diario minimo. Sviluppo dell'estetica medievale, in Momenti e
problemi di storia dell'estetica, I, Dall'antichità classica al Barocco,
Milano, Marzorati, Arte e bellezza nell'estetica medievale, Milano, Bompiani, Storia
figurata delle invenzioni. Dalla selce scheggiata al volo spaziale, e con G. B.
Zorzoli, Milano, Bompiani, Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle
poetiche contemporanee, Milano, Bompiani, Diario minimo, Milano, A. Mondadori
(include i saggi Fenomenologia di Mike Bongiorno e Elogio di Franti)
Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, Il caso Bond. [Le origini, la
natura, gli effetti del fenomeno 007], e con Oreste del Buono, Milano,
Bompiani, Le poetiche di Joyce. Dalla "Summa" al "Finnegans
Wake", Milano, Bompiani (ed. modificata sulla base della seconda parte di
Opera aperta) Appunti per una semiologia delle comunicazioni visive, Milano,
Bompiani (poi in La struttura assente) L'Italie par elle-meme. A portrait of
Italy. Autoritratto dell'Italia, e con Giulio Carlo Argan, Guido Piovene, Luigi
Chiarini, Vittorio Gregotti e altri, Milano, Bompiani, La struttura assente,
Milano, Bompiani, La definizione dell'arte, Milano, Mursia, L'arte come
mestiere, a cura di, Milano, Bompiani, I sistemi di segni e lo strutturalismo
sovietico, e con Remo Faccani, Milano, Bompiani, L'industria della cultura, a cura
di, Milano, Bompiani, Le forme del contenuto,
Milano, Bompiani, I fumetti di Mao, e con Jean Chesneaux e Gino Nebiolo, Bari,
Laterza, Cent'anni dopo. Il ritorno dell'intreccio, e con Cesare Sughi, Milano,
Bompiani, Documenti su il nuovo Medioevo, con Francesco Alberoni, Furio Colombo
e Giuseppe Sacco, Milano, Bompiani, Estetica e teoria dell'informazione, a cura
di, Milano, Bompiani, I pampini bugiardi. Indagine sui libri al di sopra di
ogni sospetto: i testi delle scuole elementari, e con Marisa Bonazzi, Rimini,
Guaraldi, Il segno, Milano, Isedi; Milano, A. Mondadori, Il costume di casa.
Evidenze e misteri dell'ideologia italiana, Milano, Bompiani, Beato di Liébana.
Miniature del Beato de Fernando I y Sancha. Codice B.N. Madrid Vit. 14-2, testo
e commenti alle tavole di, Milano, Franco Maria Ricci, Eugenio Carmi. Una
pittura di paesaggio?, Milano, Prearo, Trattato di semiotica generale, Milano,
Bompiani, Il superuomo di massa. Studi sul romanzo popolare, Roma, Cooperativa
Scrittori, Milano, Bompiani, Stelle & stellette. La via lattea mormorò,
illustrazioni di Philippe Druillet, Conegliano Treviso, Quadragono Libri, Storia
di una rivoluzione mai esistita. L'esperimento Vaduz. Appunti del Servizio opinioni,
Roma, Rai, Servizio Opinioni, Dalla periferia dell'impero, Milano, Bompiani, Come
si fa una tesi di laurea, Milano, Bompiani, Carolina Invernizio, Matilde Serao,
Liala, con altri, Firenze, La nuova Italia, Lector in fabula, Milano, Bompiani,
De bibliotheca, Milano, Comune di Milano, Postille al nome della rosa, Milano,
Bompiani, Il segno dei tre, Milano,
Bompiani, Sette anni di desiderio. [Cronache], Milano, Bompiani, 1983.
Semiotica e filosofia del linguaggio, Torino, Einaudi, Sugli specchi e altri saggi, Milano, Bompiani,
Lo strano caso della Hanau 1609, Milano, Bompiani, Saggio in Leggere i Promessi
sposi. Analisi semiotiche, Giovanni Manetti, Milano, Gruppo editoriale Fabbri-Bompiani-Sonzogno,
I limiti dell'interpretazione, Milano, Bompiani, Vocali, con Soluzioni felici
di Paolo Domenico Malvinni, Napoli, Collana "Clessidra" di Alfredo Guida
Ed., Il secondo diario minimo, Milano, Bompiani, Interpretation and
Overinterpretation, Cambridge, Cambridge University Press, La memoria vegetale,
Milano, Rovello, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea,
Roma-Bari, Laterza, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano, Povero
Pinocchio. Giochi linguistici di studenti del Corso di Comunicazione, a cura
di, Modena, Comix, In cosa crede chi non crede?, con Carlo Maria Martini, Roma,
Liberal, Kant e l'ornitorinco, Milano, Bompiani, Cinque scritti morali, Milano,
Bompiani, Talking of Joyce, con Liberato Santoro-Brienza, Dublin, University
College Dublin Press, Serendipities. Language and Lunacy, New York, Columbia
University Press, Tra menzogna e ironia, Milano, Bompiani, La bustina di
minerva, Milano, Bompiani, Riflessioni
sulla bibliofilia, Milano, Rovello, Diario minimo, Secondo diario minimo,
Bustina di minerva e altre parodie da
raccolte in tedesco) Sulla letteratura, Milano, Bompiani, Guerre sante,
passione e ragione. Pensieri sparsi sulla superiorità culturale; Scenari di una
guerra globale, in Islam e Occidente. Riflessioni per la convivenza, Roma-Bari,
Laterza, Bellezza. Storia di un'idea dell'Occidente, CD-ROM a cura di, Milano,
Motta On Line, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani,
Mouse or Rat?, Translation as Negociation, London, Weidenfeld & Nicolson (Experiences
in translation e saggi selezionati da Dire quasi la stessa cosa) Storia della
bellezza, a cura di, testi di Umberto Eco e Girolamo de Michele, Milano, Bompiani,
Il linguaggio della Terra Australe, Milano, Bompiani, Il codice Temesvar,
Milano, Rovello, Nel segno della parola, con Daniele Del Giudice e Gianfranco
Ravasi, a cura e con un saggio di Ivano Dionigi, Milano, BUR, 2A passo di
gambero. Guerre calde e populismo mediatico, Collana Overlook, Milano, Bompiani,
La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia, Milano, Rovello, Sator
Arepo eccetera, Roma, Nottetempo, Storia della bruttezza, a cura di, Milano,
Bompiani, La cospirazione impossibile, con Piergiorgio Odifreddi, Michael
Shermer, James Randi, Paolo Attivissimo, Lorenzo Montali, Francesco Grassi,
Andrea Ferrero e Stefano Bagnasco, Massimo Polidoro, Casale Monferrato, Piemme,
Dall'albero al labirinto. Studi storici sul segno e l'interpretazione, Milano, Bompiani,
Historia. La grande storia della civiltà europea, e con altri, 9 voll., Milano,
Motta, Storia della civiltà europea, e con altri, 18 voll., Milano, Corriere
della Sera, Nebbia, e con Remo Ceserani, con la collaborazione di Francesco
Ghelli e un saggio di Antonio Costa, Torino, Einaudi (antologia letteraria di
racconti a tema) Non sperate di liberarvi dei libri, con Jean-Claude Carrière,
Milano, Bompiani, Vertigine della lista, Milano, Bompiani, Il Medioevo, a cura
di, 4 voll., Milano, Encyclomedia, La grande Storia, a cura di, 28 voll.,
Milano, Corriere della Sera,. Costruire il nemico e altri scritti occasionali,
Milano, Bompiani, Scritti sul pensiero medievale, Collana Il pensiero
occidentale, Milano, Bompiani, L'età moderna e contemporanea, a cura di, 22
voll., Roma, Gruppo editoriale L'Espresso, -. Storia delle terre e dei luoghi
leggendari, Milano, Bompiani, Da dove si comincia?, con Stefano Bartezzaghi,
Roma, La Repubblica,. Riflessioni sul dolore, Bologna, ASMEPA, La filosofia e
le sue storie, e con Riccardo Fedriga, 3 voll., Roma-Bari, Laterza, Pape Satàn
Aleppe. Cronache di una società liquida, Milano, La nave di Teseo, Come
viaggiare con un salmone, Milano, La nave di Teseo, Sulle spalle dei giganti,
Collana I fari, Milano, La nave di Teseo, Il fascismo eterno, Collana Le onde,
Milano, La nave di Teseo, Cinque scritti morali, Bompiani, Sulla televisione.
Scritti, Gianfranco Marrone, Collana I fari, Milano, La Nave di Teseo, Narrativa
Il nome della rosa, Milano, Bompiani, Il pendolo di Foucault, Milano, Bompiani,L'isola
del giorno prima, Milano, Bompiani, Baudolino, Milano, Bompiani, La misteriosa
fiamma della regina Loana. Romanzo illustrato, Milano, Bompiani, Il cimitero di
Praga, Milano, Bompiani, Numero zero, Milano, Bompiani, Narrativa per
l'infanzia La bomba e il generale, illustrazioni di Eugenio Carmi, Milano,
Bompiani, I tre cosmonauti, illustrazioni di Eugenio Carmi, Milano, Bompiani,
1966. Ammazza l'uccellino, come Dedalus, illustrazioni di Monica Sangberg,
Milano, Bompiani, Gli gnomi di Gnu, illustrazioni di Eugenio Carmi, Milano, Bompiani,
Tre racconti, Milano, Fabbri (raccolta
dei tre precedenti) La storia de "I promessi sposi", raccontata da,
Torino-Roma, Scuola Holden-La biblioteca di Repubblica-L'Espresso, Traduzioni
Raymond Queneau, Esercizi di stile, Torino, Einaudi. Claudio Gerino, Morto lo
scrittore Umberto Eco. Ci mancherà il suo sguardo nel mondo, in la Repubblica, Massimo
Delfino e Emma Camagna, Alessandria piange Umberto Eco, in La Stampa, Cosimo Di
Bari, "A passo di critica: il modello di media education nell'opera di
Umberto Eco", Firenze, Èco, Umberto, in TreccaniEnciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.su tuttoggi.info. 30 ottobre. 'Il nome della rosa' debutta su Rai1 e
conquista gli ascolti della prima serata, su la Repubblica, 5 marzo. 30 gennaio. quotidiano la Stampa; Gianni Coscia: «quando
suono col mio amico Umberto Eco», su genova.mentelocale. «È il lato dolente e
angoscioso di un uomo che è cresciuto nell'Azione Cattolica, che l'ha lasciata
in polemica con il grande Gedda; un uomo, Eco, che ha studiatodiconoTommaso
d'Aquino, e che un giorno se n'è uscito dalla Chiesa proclamandosi orgogliosamente
ateo, o se si preferisce, agnostico.» (In Rassegna stampa cattolica: Mario
Palmaro, Eco è solo un refuso, 2 «His new book touches on politics, but also on
faith. Raised Catholic, Eco has long since left the church. "Even though
I'm still in love with that world, I stopped believing in God in my 20s after
my doctoral studies on St. Thomas Aquinas. You could say he miraculously cured
me of my faith..."» «Il suo nuovo libro tratta di politica, ma anche
di fede. Cresciuto nel cattolicesimo, Eco ha lasciato da tempo la Chiesa.
"Anche se io sono ancora innamorato di quel mondo, ho smesso di credere in
Dio durante i miei anni 20, dopo i miei studi universitari su Tommaso d'Aquino.
Potete dire che egli mi ha miracolosamente curato dalla mia fede..."»
(Articolo in Time) Liukkonen, Petri,
Umberto Eco. Pseudonym: Dedalus in. Eco,
quando l'Torino gli consegnò il libretto con 27 in letteratura italiana, su la
Repubblica, 2Antonio Galdo, Saranno potenti? Storia, declino e nuovi
protagonisti della classe dirigente italiana, Sperling & Kupfer,
Milano Giuseppe Antonio Camerino, ECO, Umberto, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
"Riparte il Master in Editoria, ideato da Umberto Eco" Capozzi Bondanella, Cinque scritti morali,
Bompiani Intervista a Umberto EcoWikinotizie, su it.wikinews.org. Umberto Eco, Ho sposato?, «l'Espresso», 4Con
lo pseudonimo di Dedalus: Dedalus e il manifesto, su ilmanifesto, Ostini,
Sclavi citazione: "Sto leggendo un libro [In cosa crede chi non crede,
N.d.R.] di Umberto Eco che mi è arrivato dall'Italia. Curioso no? Ha il mio
stesso nome e il cognome è l'anagramma del mio..." Umberto Eco, su premiostrega.Italian Writer
Umberto Eco is the Louvre's New Guest Curator
Emma Camagna, La morte di Eco, il ricordo di Gianni Coscia, in La Stampa.
L'ultimo saluto a Umberto Eco: "Grazie maestro", in La Stampa, Marco
Del Corona, «Follie di Spagna»: ecco che cos'è la musica suonata per Umberto
Eco, su Corriere della Sera. Umberto Eco, la richiesta nel testamento:
"Non autorizzate convegni su di me per i prossimi 10 anni", su Il
Fatto Quotidiano. La lettera della vedova Eco al Comune, in Corriere della
Sera. Pinelli, Calabresi e l'eskimo in redazione Archiviato il 19 gennaio in., opinione, Bruno Pischedda, Come leggere
Il nome della rosa di Umberto Eco, Mursia, La struttura assente, "Eco a Gerusalemme attacca il Cavaliere.
È polemica", di Francesco Battistini (dal Corriere della Sera) Corriere
della Sera Berlusconi, Hitler e io, su
l'Espresso. Comitato Esecutivo | Aspen Institute Italia, su aspeninstitute. 20
fSito web del Quirinale: dettaglio decorato.
Sito web del Quirinale: dettaglio decorato. Umberto Eco all'Eliseo
onorato da Sarkozy con Legion D'Honneur, su liberoquotidiano). Curriculum Vitae, su umbertoeco. Unibo e
Brasile: Laurea ad honorem a Eco, su magazine.unibo. Umberto Eco contro i
social: "Hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli", su Il
Fatto Quotidiano. Il problema di Umberto Eco con internet, su Il Post. Imbecilli e non, tutto il mondo è social, su
LaStampa. 2Serena Vitale e Umberto Eco entrano nell'Accademia dei Lincei, , Il
Giornale. Decise all'unanimità le 15
personalità illustri da iscrivere nel Pantheon di Milano, su comune.milano,
Opere: Bondanella, Peter, Umberto
Eco and the Open Text: Semiotics, Fiction, Popular Culture Capozzi, Rocco, Eco's
Prophetic Vision of Mass Culture in McLuhan Studies: Premier Issue, Antonio
Galdo, Saranno potenti? Storia, declino e nuovi protagonisti della classe
dirigente italiana, Sperling & Kupfer, Milano Alberto Ostini, Umberto Eco e Tiziano Sclavi.
Un dialogo, in Dylan Dog, indocili sentimenti, arcane paure, Milano, Euresis,
1998. Tiziano Sclavi, Bruno Brindisi, Lassù qualcuno ci chiama, Dylan Dog n.
136, Milano, Sergio Bonelli Editore, Film Walt Dey e l'ItaliaUna storia
d'amore (): viene mostrata un'intervista durante lo "speciale Walt
Dey" con Ettore Della Giovanna e Gianni Rodari Luigi Bauco, Francesco Millocca, Dizionario
del «Pendolo di Foucault», Milano, Corbo, Manlio Talamo, I segreti del Pendolo,
Napoli, Simone, Francesco Pansa, Anna Vinci, Effetto Eco, Roma, Nuova Edizione
del Gallo; Marco Testi, "Il romanzo al passato": medioevo e
invenzione in tre autori contemporanei in Analisi letteraria, 27, Roma,
Bulzoni, Walter Pedullà, «L'utilitaria di Eco» in Le caramelle di Musil, Milano,
Rizzoli, Salman Rushdie, «Umberto Eco» in Imaginary Homelands: Essays and
Criticism 1981-1991, Londra, Penguin, 1992. Bruno Pischedda, Come leggere «Il
nome della rosa» di Umberto Eco, Milano, Mursia, 1994. Jean Petitot, Paolo
Fabbri, Nel nome del senso. Intorno all'opera di Umberto Eco, Milano, Sansoni, Antonio
Sorella, Umberto Eco. Sponde remote e nuovi orizzonti, Pescara, Tracce, Roberto Rampi, L'ornitorinco. Umberto Eco,
Peirce e la conoscenza congetturale, M & B Publishing, Milano; Marco
Sonzogni, Echi di Eco, Balerna, Edizione Ulivo, Cinzia Bianchi, Clare Vassallo,
“Umberto Eco's interpretative semiotics: Interpretation, encyclopedia,
translation”, in Semiotica. Journal of the International Association for
Semiotic Studies (Berlin/New York: Mouton de Gruyter), Peter Bondanella,
Umberto Eco and the open text. Semiotics, fiction, popular culture, Cambridge,
Cambridge University Press, Peter Bondanella, New Essays on Umberto Eco,
Cambridge, Cambridge University Press, Jean-Jacques Brochier, Umberto Eco. Du
semiologue au romancier, in Le Nouveau Magazine Littéraire, Michael Caesar,
Umberto Eco. Philosophy, Semiotics and the Work of Fiction, Cambridge, Polity
Press, Rocco Capozzi, Reading Eco. An Anthology, Bloomington, Indiana University
Press, Michele Castelnovi, La mappa della biblioteca: geografia reale ed
immaginaria secondo Umberto Eco, in Miscellanea di Storia delle esplorazioni n.
LX, Genova, Remo Ceserani, Eco e il postmoderno consapevole in Raccontare il
postmoderno, Torino, Bollati Boringhieri, Michele Cogo, Fenomenologia di
Umberto Eco. Indagine sulle origini di un mito intellettuale contemporaneo.
Introduzione di Paolo Fabbri. Bologna, Baskerville, Furio Colombo, «L'isola del
giorno prima», in La rivista dei libri; Roberto Cotroneo, La diffidenza come sistema.
Saggio sulla narrativa di Umberto Eco, Milano, Anabasi, Roberto Cotroneo, Eco:
due o tre cose che so di lui, Milano, Bompiani, Teresa de Lauretis, Umberto Eco, Firenze, La
Nuova Italia, Nunzio Dell'Erba, Alla ricerca delle fonti del romanzo "Il
Cimitero di Praga", in Id., L'eco della storia. Saggi di critica storica:
massoneria, anarchia, fascismo e comunismo, Universitas Studiorum, Mantova, Cosimo
Di Bari, A passo di critica. Il modello di Media Education nell'opera di
Umberto Eco, Firenze, Firenze University Press, Richard Ellmann, Murder in the
Monastery?, in The New York Review of Books Lorenzo Flabbi, La disposizione del
sapere di Umberto Eco, in Atlante dei movimenti culturali. C. Cretella ePieri,
Clueb, Bologna, Cristina Farronato, Eco's Chaosmos, Toronto, University of
Toronto Press, Franco Forchetti, Il segno e la rosa. I segreti della narrativa
di Umberto Eco, Roma, Castelvecchi, Grit Fröhlich, Umberto Eco.
PhilosophieÄsthetikSemiotik, Paderborn, Wilhelm Fink Verlag, Margherita Ganeri,
Il «caso» Eco, Palermo, Palumbo. Alfredo Giuliani, «Scherzare col fuoco» in
Autunno del novecento, Milano, Feltrinelli, Renato Giovannoli, Saggi su «Il
Nome della Rosa», Milano, Bompiani, Fabio Izzo, Eco a perdere, Associazione Culturale
Il Foglio, Paolo Jachia, Umberto Eco. Arte semiotica letteratura, San Cesario,
Manni, Anna Maria Lorusso, Umberto Eco. Temi, problemi e percorsi semiotici,
Roma, Carocci, Patrizia Magli et. al., Semiotica: Storia Teoria
Interpretazione. Saggi intorno a Umberto Eco, Milano, Bompiani; Sandro Montalto,
Umberto Eco: l'uomo che sapeva troppo, Pisa, ETS; Franco Musarra et al., Eco in
fabula. Umberto Eco in the Humanities. Umberto Eco dans les sciences humaines.
Umberto Eco nelle scienze umane, Proceedings of the International Conference, Leuven,
Leuven U.P. e Firenze, Franco Cesati Editore, Claudio Paolucci, Umberto Eco.
Tra ordine e avventura, Milano, Feltrinelli, Semiotica Monte Cerignone, luogo
di residenza Struttura (semiotica) umbertoeco.
Umberto Eco, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Umberto Eco, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Umberto Eco, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Umberto Eco, su The Encyclopedia of Science
Fiction. Umberto Eco, su BeWeb,
Conferenza Episcopale Italiana. Opere di
Umberto Eco, su Liber Liber. Opere su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere Pubblicazioni su Persée, Ministère de
l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation. di Umberto Eco, su Internet Speculative
Fiction Database, Al von Ruff. Umberto Eco (autore), su Goodreads. Umberto Eco
(personaggio), su Goodreads. italiana di Umberto Eco, su Catalogo Vegetti della
letteratura fantastica, Fantascienza.com.
Registrazioni di Umberto Eco, su RadioRadicale, Radio Radicale. Umberto
Eco, su Internet Movie Database, IMDb.com. Umberto Eco, su AllMovie, All Media
Network; Umberto Eco, su filmportal.de.
Eco, Umberto, in Lessico del XXI secolo, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, -. "La bustina di minerva": la rubrica periodica di Eco su
L'Espresso, L'Espresso. 10 gennaio. signosemio.comSignoBiografia di Umberto Eco
e la presentazione della sua teoria semiotica, su signosemio.com).
Approfondimento, su italialibri.net. Curiosità (anche la
"cacopedia"in PDF), su bibliotecheoggi. Opere in TecaLibri/1, su
tecalibri.info. Opere in TecaLibri/2, su tecalibri.info. Considerazioni su:
"Non sperate di liberarvi dei libri", su antonietta.philo.unibo ).
Golem L'indispensabile (il sito della rivista)rivista online diretta da Umberto
Eco, Renato Mannheimer, Carlo Bertelli, Danco Singer Un articolo di Eco su, su
espresso.repubblica. encyclomedia, su encyclomedia. Il «questionario Proust» a
Umberto Eco, su elapsus. Umberto Eco, in Perlentaucher, Perlentaucher Medien
GmbH. Opere di Umberto Eco V D M Vincitori del Premio Strega V D M Vincitori
internazionali del Prix Médicis V D M Vincitori del Premio Bancarella V D M
Vincitori del Premio Cesare Pavese V D M Vincitori del Premio di Stato
austriaco per la letteratura europea V D M Vincitori del Premio Mediterraneo per
stranieri, Europeana agent/base/ Filosofia Giallo Giallo Letteratura Eco provides a bridge between
Graeco-Roman philosophy and Grice! Eco is one of the few philosophers who
considers the very origins of philosophy in Bolognaand straight from RomeOn
top, Eco is one of the first to generalise most of Grice’s topics under
‘communication,’ rather than using the Anglo-Saxon ‘mean’ that does not really
belong in the Graeco-Roman tradition. Eco cites H. P. Grice in “Cognitive
constraints of communication.” Umberto b.2,
philosopher, intellectual historian, and novelist. A leading figure in
the field of semiotics, the general theory of signs. Eco has devoted most of
his vast production to the notion of interpretation and its role in
communication. In the 0s, building on the idea that an active process of
interpretation is required to take any sign as a sign, he pioneered
reader-oriented criticism The Open Work, 2, 6; The Role of the Reader, 9 and
championed a holistic view of meaning, holding that all of the interpreter’s
beliefs, i.e., his encyclopedia, are potentially relevant to word meaning. In
the 0s, equally influenced by Peirce and the
structuralists, he offered a unified theory of signs A Theory of
Semiotics, 6, aiming at grounding the study of communication in general. He
opposed the idea of communication as a natural process, steering a middle way
between realism and idealism, particularly of the Sapir-Whorf variety. The
issue of realism looms large also in his recent work. In The Limits of
Interpretation 0 and Interpretation and Overinterpretation 2, he attacks
deconstructionism. Kant and the Platypus 7 defends a “contractarian” form of
realism, holding that the reader’s interpretation, driven by the Peircean
regulative idea of objectivity and collaborating with the speaker’s
underdetermined intentions, is needed to fix reference. In his historical
essays, ranging from medieval aesthetics The Aesthetics of Thomas Aquinas, 6 to
the attempts at constructing artificial and “perfect” languages The Search for
the Perfect Language, 3 to medieval semiotics, he traces the origins of some
central notions in contemporary philosophy of language e.g., meaning, symbol,
denotation and such recent concerns as the language of mind and translation, to
larger issues in the history of philosophy. All his novels are pervaded by
philosophical queries, such as Is the world an ordered whole? The Name of the
Rose, 0, and How much interpretation can one tolerate without falling prey to
some conspiracy syndrome? Foucault’s Pendulum, 8. Everywhere, he engages the
reader in the game of controlled interpretations. “Il nome della rosa” is about
the dark ages in Northern Italy, where the monks were the only to find a slight
interest in philosophy, unlike the barbaric Lombards!” -- Il problema
estetico in San Tommaso. Torino: Edizioni di Filosofia. 2d revised ed.: Il
problema estetico in Tommaso d'Aquino. Milano: Bompiani, I97O. Translations:
The Aesthetics of Thomas Aquinas. Cambridge: Harvard U.P., 1988 and London:
Radius, 1988 (Revised). Le problème esthétique chez Thomas d'Aquin. Paris: PUF,
1993 (Revised). Zetemata Aisthetikes ston Thoma Akinati. Athena: Ekdoseis
Gnose, 1993. Estetici problem u Tome Akvinskoga. Zagreb: Nakladni Zavod Globus
2001 1958 Filosofi in libertà. Torino: Taylor (now in Il secondo diario minimo)
Traslations: Filozofia frywolna. Kraków: Wydawnictwo M 2004. 1959
"Sviluppo dell'estetica medievale." In Momenti e problemi di storia
dell'estetica. Milano: Marzorati. Translation: Art and Beauty in the Middle
Ages. London-New Haven: Yale U.P., 1985. Evoliuzija srednevekovoi estetiki.
Saing Petersburg: Asbuna Klassika 2004 2d revised ed.: Arte e bellezza
nell'estetica medievale. Milano: Bompiani, 1987. Translations: Arte e Beleza na
estetica medieval. Lisboa: Presença, 1989. Arte e beleza na estetica medieval.
Rio: Globo, 1989. New edition Rio: Record 2010 Kunst en Schoonheid in de
Middleeuwen. Amsterdam:Bakker, 1989. Arte i bellesa en l'estética medieval.
Barcelona: Destino, 1990 Kunst und Schonheit im Mittelater. München: Hanser,
1991 Umetnosti i lepo u estetici srednjeg veka. Novi Sad: Svetovi 1992. Techne
kai kallos sten Aisthetike tou Mesaiona. Athena: Ekdoseis Gnose, 1992. Sztuka i
piękno w średniowieczu. Kraków: Znak, 1994 Art et beauté dans l'esthétique
médiévale. Paris: Grasset, 1997. Arte y belleza en la estética medieval.
Barcelona: Lumen 1997. Menas ir grozis vduramziu estetikoje. Vilnius: Baltos
Lakos, 1997. Ortaçağ estetiğinde sanat ve güzellik. Instanbul: Ca Yayýinlarý
1998 Umení a krasa ve stredoveké estetice. Praha: Argo, 1998. 7
Chungseui Mowa. Seoul: The Open Books 1998. Arta si frumosul in estetica
medievala. Bucuresti: Meridiana, 1999. Chusei bigakushi. Tokyo: Janiritsu shobo
2001 Műveszet és szépség a középkori esztétikában. Budapest: Európa Könyvkiadó
2002. Middelalderens Aestetik. Copenhagen: Forum 2003. Iskusstvo i krasota v
Spednevekovoҋ estetike.Moskva:Corpus 2014 1962 Opera aperta. Milano: Bompiani
(2d revised edition 1967according to the French edition 1965, 1971, 4th revised
edition 1976. This first edition also contained Le poetiche di Joyce, then as a
different book). Translations: L'Oeuvre ouverte. Paris: Seuil, I965 (revised
translation). Obra abierta. Barcelona: Seix & Barral, 1966(from the 1962
ed.) Otvoreno Djelo. Sarajevo: Veselin Maslesa, 1966 (from the 1962 ed.) Obra
aberta. São Paulo: Perspectiva, I968 (from the 1967 ed.) Opera Deschisa.
Bucuresti: Editura Pentru Literatura Universala, 1968 (from the 1967 ed.)
Dzieło otwarte. Warszawa: Czytelnik, 1973 (from the 1967 ed.). New edition, WAB
2008 Das Offene Kunstwerk. Frankfurt: Suhrkamp, 1973 (from the 1967 ed. with
the essay on Joyce). Obra abierta. Barcelona, Caracas, Mexico: Ariel, 1979
(from the 1976 ed.) Hirakareta Sakuhin. Tokyo: Seidosha, 1984 (from the 1976
ed.) The open work. Cambridge: Harvard U.P., 1989 (from the 1976 ed., with
other essays added). Obra aberta. Lisboa: Difel, 1989 (from the 1976 ed.). Açik
Yapit. Istanbul: Kabalci, 1992 (from American ed.). New translation from
Italian, Istanbul: Can Yayýnlarý 2001. Yeolin Yesool Jakpoom. Seoul:
Saemulgyol, 1995 (partial tr. from the German edition). Nyitott mü. Budapest:
Europa Könyvkiadó, 1998 (from the 1976 ed.). Atviras kūrinys. Vilnius: Tyto alba
2004 Otevřené dílo. Praha: Argo 2015 1963 Diario minimo. Milano: Mondadori.
Revised edition, Milano: Mondadori, 1975. Translations: Diario Minimo. Madrid:
Horizonte, 1964 and Peninsula, 1973 (abridged). Diario Minimo. Lisboa: Difel,
1984. Pastiches et postiches. Paris: Messidor, 1988 (enlarged). Paris: 10/18,
1996. Platon im Striptease-Lokal. München: Hanser, 1990. Kultürknäk: Liten
guide till den livade kultura. Stockholm: Brombergs 1990. Med Platon til
striptease. Copenhagen: Forum, 1991. Unberuto eko no buntai renshu. Tokyo:
Sinchosha, 1992 (partial tr.). Onderste boven. Kleine kroniek 1. Amsterdam:
Backer, 1992. Diari minim. Barcelona: Destino 1993. 8 Misreadings.
London:Cape and New York: Harcourt 1993. Plato in de bananenbar. Parodien en
travestieen. Amsterdam: Ooievaar pockethouse 1996. Partial tr. Yanlis okumalar.
Istanbul: Can Yayýnlarý, 1996. Proto Elachisto Emerologio. Athens: Ellenika
Grammata, 1999. Yanlyþ okumalar: Demene. Istambul: Can Yayýnlarý 1999. Iz
minmimalnog dnevnika. Beograd: Narodna Knjiga, 2000. Sämtiliche Glossen un
Parodien. München: Hanser, 2001 (complete edition with Diario Mimimo, Secondo
Diario Minimo, Bustina di Minerva and other German collections of parodies) Wu
du. Taibei shi: Huang guan wen hua chu ban she (Taiwan. Crown) 2001. Babylonskỳ
rozhovor. Bratislava: Kalligram (with a choice of Il secondo Diario Min imo)
2003 Jurnal sumar. Bucuresti: Humanitas 2004 Chagun ilgi. Seoul: The Open Books
2004. Minipäevik. Tallinn: Varrak 200 (Chinese tr in simplified characters). Shangai:
Sanhui Culture 2006 Diariusz najmniejszy. Kraków: Wydawnictwo Znak 2007 e
Filozofia frywolna. Kraków: Wydawnictwo M 2004. (Hebrew tr.) Or Yehuda:
Kinneret 2010 Diário mínimo. O segundo Diário mínimo. Rio de Janeiro: Record
2012 1964 Apocalittici e integrati. Milano: Bompiani. Revised edition, Milano:
Bompiani, 1977. Translations: Apocalipticos e integrados ante la cultura de
masas. Barcelona: Lumen, 1969. Apocalipticos e integrados. São Paulo:
Perspectiva, 1970 (partial) Apokalyptiker und Integrierte. Frankfurt: Fischer,
1984 (revised). Kinsores kai therapontes. Athina: Ekdoseis Gnosi, 1987. De
Structuur van de Slechte Smaak. Amsterdam: Bert Bakker, 1988 (revised).
Apocalipticos e integrados. Lisboa: Difel, 1991. Apocalypse Postponed.
Bloomington: Indiana U.P., 1994 (partial tr. with other texts). Sunupi ieketo
jolhaguin itta. Seoul: Saemulgyol 1994; Umberto Eco Mania Collection. Seoul:
Open Books 2009 Skeptikové a těšitelé. Praha: Nakladatelstvì Svoboda, 1995.
Praha: Argo 2006 . Apocaliptici şi integraţi. Bucuresti: Polirom 2008
Apokaliptycy i dostosowani. Komunikacja masowa a teorie kultury masowej.
Warszawa: WAB 2010 (Korean tr) Umberto Eco Mania Collection. Seoul: Open Books
2009 1965 Le poetiche di Joyce. Milano: Bompiani. Revised edition of the second
part of 1962. Translations: Gendai sakkaron: James Joyce / Kutani Saiichi.
Tokyo: Hayakawa 1974. The Aesthetics of Chaosmos. Tulsa Monograph Series,
Oklhaoma University. Now as The Middle Ages of J.Joyce. London:
Hutchinson and Cambridge: Harvard U.P., 1989. 9 De poëtica van
Joyce. Amsterdam: Bakker, 1990. E poietike tou Tzainms Tzoys. Athen:Delfini,
1993. Las poeticas de Joyce. Barcelona: Lumen, 1993. Poetyki Joyce’a. Warszawa:
Wydawnictwo KR, 1998. Poetiki Djoisa. Moskva: Symposium 2003 1967 Appunti per
una semiologia delle comunicazioni visive. Milano: Bompiani. (Now in La
struttura assente). Translations: Alýmlama göstergebilimi. Istanbul: Düzlem
1991 1968 La struttura assente. Milano: Bompiani. Last revised edition, I983.
Translations: Voprosy filosofii / [edited by] Kh. F. Sabirov. Kazan’ : The
Institut, 1970 (partial translation) Den frånvarande strukturen. Lund:
B.Cavefors 1971 (Revised). Peizaz Semiotyczny. Warszawa: PIW, 1972. La
estructura ausente. Barcelona: Lumen, 1972 (Revised). Debolsillo 2011 A
estrutura ausente. São Paulo: Perspectiva, 1971. La structure absente. Paris:
Mercure, 1972 (revised). Einführung in die Semiotik. München: Fink, 1972
(Revised). Kultura, informacija, komunikacija. Beograd: Nolit, 1973. Nieobecna
struktura (revised ed.). Warszawa: Wydawnictwo KR, 1996. Otsutstvujušcaja
struktura. Sankt-Peterburg: Petropolis, 1998. Now Sankt-Peterburg: Symposium
2004 Kihowa Hyundai Yesul. Seoul: The Open Books 1998 1968 La definizione
dell'arte. Milano: Mursia. Translations: La definicion del arte. Madrid:
Martinez Roca, 197O. A definiçao da arte. Lisboa: Ediçoes 7O, 1981. La
definición del arte. Barcelona: Destino 2001 Sztuka. Kraków: Wydawnictwo M 2008
1971 Le forme del contenuto. Milano: Bompiani. Translations: As formas do contenido.
São Paulo: Perspectiva, 1974. 1971 Il segno. Milano: Isedi. 2d edition, Milano:
Mondadori. Translations: Signo. Barcelona: Labor, 1976. O signo. Lisboa:
Presença, 1977. Zeichen. Frankfurt: Suhrkamp, 1977. Le signe. Bruxelles: Labor,
1988; Paris: Livre de Poche, 1992. Kigoron nyumon: Kigo gainen no rekishi to
bunseki. Tokyo: Jiritsu shobo 1997 10 Kihowa Kaenyumkwa Yeoksa.
Seoul: The Open Books 2000. 1973 Il costume di casa. Milano: Bompiani.
Translations, with parts of Dalla periferia dell'Impero and Sette anni di
desiderio): Pealkiri rais hüperreaaalsusse. Tallin: Wagabund 1977 Viagem na
irrealidade cotidiana. Rio: Nova Fronteira, 1984. Matka arkipaivan
epatoddellisunten. Helsinki: Soderstrom, 1985. De alledaagse Onwerkelijkheid.
Amsterdam: Bakker, 1985. Uber Gott und die Welt. München: Hanser, 1985. La
guerre du faux. Paris: Grasset, 1985. Travels in Hyperreality. New York:
Harcourt, 1986. La estrategia de la illusion. Barcelona: Lumen, 1986. Bolsillo
2012. Viagem na irrealidade cotidiana. Lisboa: Difel, 1986. Vad kostar ett
mästerverk? Stockholm: Bromberg, 1987. Middelalderens genkomst. Copenhagen:
Forum, 1988. Günlük Yasamdan Sanata. Instambul: Adam, 199 (with other
artic1icles). Az új középkor. Budapest: Europa, 1992 Semiologia życia
codziennego. Warszawa: Czytelnik, 1996 Reis Rüperreaalsusse. Tallin:Vayalun,
1997 Ortaçaδý Düþlemek. Istanbul: Ca Yayýinlarý, 1996. Svakodnema semiotika.
Beoigrad: Narodna knijga 2001. Podziemni bogowie. Warszawa: Czytelnik 2007 1973
Beato di Liébana. Milano: F.M. Ricci. Translations: Beatus de Liébana. Paris:
Ricci, 1982. El Beato de Liébana. Barcelona: Ricci, I983. E Apokalipse tou
Ioanne. Thessalonikes: Ekdotikos Organismos, 1989 1975 Trattato di semiotica
generale. Milano: Bompiani. 1976 A Theory of Semiotics. Bloomington: Indiana
U.P., and London: Macmillan, 1977. (Original english version of the above
Trattato). Translations: Tratado de semiotica general. Barcelona: Lumen, I977.
Mexico: Debolsillo 2005 Tratado geral de semiotica. São Paulo: Perspectiva,
I980. Kigoron. Tokyo: Inawami Shoten, I980. Tratat de semiotica generala.
Bucuresti: Editura stintifica si enciclopedica, 1982. Kihihak Iron. Seoul:
Moonhak kwa Jiseong 1985 (from English). Semiotik. München. Fink, 1987. Fu hao
xue li lun. Beijing : Zhong guo ren min da xue chu ban she 1990 La production
des signes. Paris: Livre de Poche, 1992 (partial tr.) 11 Traktat po
obsha semiotika. Sofija: Haika i Istorystvo, 1993 Theoria semeiotikes. Athens:
Gnosis, 1994. O teoria a semioticii. Bucuresti: Editura Meridiane (from
English) 2003 Teorie sémiotiky. Brno: Janáčkova akademie 2004 Teoria semiotyki.
Kraków: Wydawnictwo Uniwersytetu Jagiellońskiego 2009 1976 Il superuomo di
massa. Milano: Cooperativa Scrittori. Revised ed., Milano: Bompiani, 1978.
Translations: O uperanthropos ton mazon, Athens: Gnosis, 1988. O superhomen das
massas. Lisboa: Difel, 1990. O super-homem de massa. São Paulo: Perspectiva,
1991. De Superman au Surhomme. Paris: Grasset, 1993. Daejungui Superman. Seoul:
T`ukpyolsi : Yollin ch`aektul 1994; Umberto Eco Mania Collection. Seoul: Open
Books 2009 El superhombre de masas. Barcelona: Lumen, 1995. Debolsillo 2012.
Superman w literaturze masowej. Warszawa: PIW, 1996. Kraków: Wydawnictwo Znak
2008 1977 Dalla periferia dell'impero. Milano: Bompiani. Translations, with
parts of Il costume di casa, Sette anni di desiderio and Travels in
Hyperreality: Viagem na irrealidade cotidiana. Rio: Nova Fronteira, 1984. Matka
arkipaivan epatoddellisunten. Helsinki: Soderstrom, 1985. De alledaagse
Onwerkelijkheid. Amsterdam: Bakker, 1985. Uber Gott und die Welt. München:
Hanser, 1985. La guerre du faux. Paris: Grasset, 1985. Travels in Hyperreality.
New York: Harcourt, 1986. La estrategia de la illusion. Barcelona: Lumen, 1986.
Viagem na irrealidade cotidiana. Lisboa: Difel, 1986. Vad kostar ett
mästerverk? Stockholm: Bromberg, 1987. Middelalderens genkomst. Copenhagen:
Forum, 1988. Günlük Yasamdan Sanata. Instambul: Adam, 1991. Az új középkor.
Budapest: Europa 1992, 2008 Posuto modanin ga senoun junseinga. Seoul T`ukpyolsi
: Saemulgyol, 1993; Umberto Eco Mania Collection. Seoul: Open Books 2009
Semiologia życia codziennego. Warszawa: Czytelnik, 1996. Ortaçagi Düslemek.
Istanbul: Can Sanat Yayýinlarý, 1996. Reis Rüperreaalsusse. Tallin:Vayalun,
1997 Svakodnevna Semiotika. Beograd: Narodna knjiga 2001. 1977 Come si fa una
tesi di laurea. Milano: Bompiani. Como se faz uma tese. Lisboa: Presença, 1980.
São Paulo: Perspectiva, 1983. Como se hace una tesis. Barcelona: Gedisa, 1983
12 Hoe Schrijf ik Een Scriptie. Amsterdam: Bakker, 1985. Wie man
eine wissenschaftliche Abschulssarbeit schreib. Heidelberg: Müller, 1988.
Oppineisunde Osoittaminen: Eli Miten Tukielma Tedhään. Helsinki:
Ylioppilaspavelu, 1989 Ronbun saho: Chosa kenkyu shippitsu no gijutsu to
tejun.Tokyo : Jiritsu shobo, 1990 Hogyan irjunk szakdolgozatot? Budapest:
Gondolat, 1991. Nonmoon jaksongbub langui. Seoul T`ukpyolsi: Yollin ch‘aektul
1991 Pos ginetai mia diplomatike ergasia. Athens: Nesos, 1994. Cegune mitavan
yek payan name-ye tahsili nevesht. Teheran University of Science and Industry
1996 Jak napsat diplomovu praci. Prague: Votobia, 1997. Kunsten at scrive
speciale. Copenhagen: Akademisk Forlag, 1997. Cum se face o tezã de licentã.
Bucarest: Pontica, 2000. Kan napiscat' diplomnuju rabotu. Moskva: Universitet, 2001;
Moskva: Symposium 2004. Kako napišemo diplomsko nalogo. Ljubljana: ValeNovak
2003 Kunsten á skrive en akademisk oppgave. Oslo: Idem Forlag 2002. Da xue
sheng ru he xie bi ye lun wen. Beijing : Hua ling chu ban she 2003 Kā uzeakstīt
diplomdarbu. Riga: Jāņa Rozes 2006 Cum se face o teză de licenţă. Bucuresti:
Polirom 2006 Si shkruhet një punim diplome. Tirana: Disuria 2006. Jak napisać
pracę dyplomową. Warszawa: Wydawnictwo Uniwersytetu Warszawskiego 2007 Kak ce
nuwe gunlomna rabona. Sophia:Trud 2013 1979 The Role of the Reader.
Bloomington: Indiana U.P. and London: Hutchinson, 1981 (Containing essays from
Opera aperta, Apocalittici e integrati, Forme del contenuto, Lector in Fabula,
Il Superuomo di massa). Translations Rol' čintača. Lviv: Litonic 2004 1979
Lector in fabula. Milano: Bompiani. Translations: Lector in fabula. Barcelona:
Lumen, 1981. Leitura do texto literario. Lisboa: Presença, 1983. Lector in
fabula. Paris: Grasset, 1985. Lector in fabula. São Paulo: Perspectiva, 1986.
Lector in fabula. München: Hanser, 1987. Lector in fabula. Amsterdam: Bert
Bakker, 1989. Lector in fabula. Bucarest: Univers, 1991. Monogatari ni okeru
dokusha. Tokyo: Seidosha, 1993. Lector in fabula. Warszawa: Państwowy Instytut
Wydawniczy, 1994 Sosol sokui Dogja. Seoul: The Open Books 1996. al-Qari fi
al-hikayah: al-taadud al-tawili fi al- nusus al-hikaiyah. al-Dar al-Bayda
[Casablanca] : al-Markaz al- 13 Thaqafi al-Arabi 1996 Lector in
fabula. Tartu: Ulikooli Kirjastus 2005ù Pol' citatelja. Moskva: Symposium 2005
Lector in fabula. Praha: Academia 2010 1980 "Function and sign: the
semiotics of architecture"; "A componential analysis of the
architectural sign /column/". In: Broadbent, G., et al., eds., Signs,
symbols and architecture. New York: Wiley. 1980 E semeiologia sten kathemerine
zoe. Tessaloniki: Malliares (selected essays). 1980 Il nome della rosa. Milano:
Bompiani (Commented edition, ed. by Costantino Marmo. Milano: Edizioni
Scolastiche Fabbri, 1990). Revised edition Milano: Bompiani 2011. Translations:
Le nom de la rose. Paris: Grasset, 1982. Revised ed. Grasset 2011 Der Name der
Rose. Munchen: Hanser, 1982. For nearsighted people, Wien, Ueberreuter 2006 El
nombre de la rosa. Barcelona: Lumen, 1982. The Name of the Rose. New York:
Harcourt, 1983, London: Secker & Warburg, 1983 (Vintage Classics 2004,
Everyman Library 2006). Mariner Books, N.Y.: Harcourt 2014 Rosens Namn.
Stockholm: Brombergs, 1983. Ruusun Nimi.Helsinki: Söderström, 1983. De Naam van
de Roos. Amsterdam: Bert Bakker, 1983. Now Amsterdam: Prometheus 2005 O Nome da
Rosa. Lisboa: Difel, 1983. Lisboa: Gradiva 2011 O Nome da Rosa. Rio de Janeiro:
Nova Fronteira, 1983. New edition 2006. Record 2009. Revised ed. Bolsillo 2012
Rosens Navn. Copenhagen: Forum, 1984. Rosens Navn. Oslo: Tiden, 1984. Numele
trandafirului. Cluj-Napoca: Dacia, 1984 (revised ed. Bucuresti: Polirom 2002).
Ime rože. Ljubljana: Mladiska, 1984. Ime ruzie. Zagreb: Graficki Zavod
Hrvatske, 1984. Nafn Rosarinnar. Reykyjavik: Svart ahvitu, 1984. To onoma toy
rodoy. Athenai: Ekdosei Geose, 1985. El Nom de la Rosa. Barcelona: Libres a Óm,
1985; Destino 2007. Imeto na rozata. Sophia: Narodna Kultura, 1985; Sophia:
Bard 2002; Sophia: Dneven-Trud 2005). Der Name der Rose. Berlin: Volk und Welt,
1985. Gulun Adi. Istambul: Can Yayýnlarý, 1986. Mei gui de ming zi. (First
mainland Chinese edition of Il Nome della Rosa, from English) Taibei shi :
Huang guan chu ban she (Taiwan: Crown), 1983,1986. Chongqing (Beijing):
Chongqing chu an she, 1987; 2000. (Simplified characters) (tr from English) SL:
Zuoija Chubanshe 2001. Tr from Italian. Shanghai Publishing House 2009. Revised
ed from Italian. Taiwan: Crown 2014 Nam-e gol-e sorkh. Teheran: Shabaviz 1986
14 Imie róży. Warszawa: PIW, 1987. Warszawa: Noir sur Blanc 2004
and Kolekcja Gazety Wyborczej 2004 Shem ha-vered. Tel Aviv: Zemora Bitan, 1987.
Iméno růže. Praha: Odeon, 1985. Praha: Český klub, Praha 1999. Praha: Argo 2014
Imja ros'i. Inostrannaja Literatura 8-9, Moskwa, 1988; Moskwa: Izdatel'stvo
Knijaja Palata, 1989; St.Petersbourg, Symposium, 1997, 2004; CD edition,
Moskwa: Bibliofonika 2006; Moskwa: Corpus Astrel 2011. Illustrated ed. Moskva:
Act A rozsa neve. Budapest: Europa Könyvkiado, 1988. Bara no namae. Tokyo:
Sogensha 1990. Tên Gùa Dóa Hông. Thàn pho Ho Chì Minh: Nhà xuãt bán tré 1989.
Hanoi: vh, 2013 Meno ruze. Bratislava: Tatran, 1991. Bratislava: Vydavatelstvo
Slovart, 2000. Rozes vardas. Vilnius: Leidykla Alna, 1991. Janmi ui irum.
Seoul:Open Books, 1991. (Arab tr.). Le Barto: Turki, 1991 (Arab pirate edition
with the title “Sex in the monastery”, 1999 ?) Umja ros'i. Minsk: Scaz, 1993.
(Korean tr) Seoul: Open Books 1993 Emri i trëndafilit. Tirana: Botimet 'Elena
Gjika', 1996. Also Bibliotheka 'Koha ditore' 2005 Roosì nìmì. Tallinn: Eesti
Raamat, 1997. Rozes vards (with Postcript). Riga: Jana Rozes Apgads, 1998 (Thai
translation) Lighthouse Publishing, 2010. Ime Ruže. Beograd: Paideia 2000.
Eilse päeva saar. Tallin: Eesti Ramat 2003. Im'ja rosi. Karkiv: Folio 2006.
Revised ed. 2023 Umeto na rozata. Skopje: Tabernakyl 2006 (Georgian tr) 2011
Qizilgülün adi. Baku: Qanun Naşiyyati 2012 (Libanese tr.) Beirut: Dar al kitab
aljadid 2014 1981 De Bibliotheca. Biblioteca Civica di Milano (non commercial
edition) Translations: De Bibliotheca. Caen: L'Echoppe 1986. Die Bibliothek.
München: Hanser 1987 De bibliotheek. Amsterdam: Bakker 1988 O bibliotece.
Woclav: Ossolineum 1990 1983 Postille al nome della rosa. Added to the pocket
italian edition, 1984. Translations: Nachschrift zum NdR. München: Hanser,
1984. Postscript to The Name of the Rose. New York: Harcourt, 1984. 15
Pós-escrito a ONdR. Rio: Nova Fronteira, 1984. Naschrift bij DNvdR.
Amsterdam: Bakker, 1984. PS till RN. Stockholm: Bromberg, 1985. Apostillas a
ENdlR. Barcelona: Lumen, 1985. Efterskrift til RN. Copenhagen: Forum, 1985.
Reflections on the Name of the Rose. London: Secker, 1985. Epimythio sto Onoma
toy Rodoy. Athena: Ekdoseis Gnose, 1985. Now Ellenika Grammata 2005
Szeljegysetek a Rozsa Nevèhez. In Nagy Vilag, 1987/4. Randbemerkinger till
Rosens mavn. Oslo, 1998. Apostille au Nom de la Rose. Paris: Grasset. Porque O
Nome da Rosa? Lisboa: Difel, s.d. Bara no namae oboegaki. Tokyo : Jiritsu shobo
1994 Jangumiui Irum Ch’angjak Note. Seoul: T`ukpyolsi: Yollin ch`aektul (Open
Books) 1993 Sametki na lorjah ‘Imeni ros’i. Saint Petersburg: Symposium 2002;
Moskwa: Corpus Astrel’ 2011 Järelkiri Roosi Timele In Akadeemia 6 (Tartu). 2004
(Simplified Chinese Edition) Sganghai: Translatuion Publishing House 2009
(Libanese tr) Beirut: Dar al kitab al jadid 2013 Glosy do “Imienia róży”.
Literatura na Świecie nr 12, 1985 1983 Sette anni di desiderio. Milano:
Bompiani. Translations, with parts of Il costume di casa and Dalla periferia
dell'Impero): Viagem na irrealidade cotidiana. Rio: Nova Fronteira, 1984. Matka
arkipaivan epatoddellisunten. Helsinki: Soderstrom, 1985. De alledaagse
Onwerkelijkheid. Amsterdam: Bakker, 1985. Uber Gott und die Welt. München:
Hanser, 1985. La guerre du faux. Paris: Grasset, 1985. Travels in Hyperreality.
New York: Harcourt, 1986. La estrategia de la illusion. Barcelona: Lumen, 1986.
Viagem na irrealidade cotidiana. Lisboa: Difel, 1986. Vad kostar ett
mästerverk? Stockholm: Bromberg, 1987. Middelalderens genkomst. Copenhagen:
Forum, 1988. Günlük Yasamdan Sanata. Instambul: Adam, 1991. Az új középkor.
Budapest: Europa, 1992 Semiologia życia codziennego. Warszawa: Czytelnik, 1966.
Ortaçadý düplemek. Istambul: Can Yayýnlarý 1996 Reis Rüperreaalsusse.
Tallin:Vayalun, 1997 Ortaçagi Düslemek. Istanbul: Ca Yayýinlarý, 1996 (with
other articles). Svakodnema semiotika. Beoigrad: Narodna knijga 2001. 1984
Semiotica e filosofia del linguaggio. Einaudi: Torino, 1984. 16
Translations: Semiotics and the Philosophy of Language. Bloomington:
Indiana U.P., 1984 Semiotik und Philosophie der Sprache. München: Fink, 1985.
Kihohakkwa Eoneo Chulhak. Seoul: Chunga, 1987 (from English). Sémiotique et
philosophie du langage. Paris: PUF, 1988. Semiótica i filosofia del llenguatge.
Barcelona: Laia, 1988. Semiotica y filosofia del lenguaje. Barcelona: Lumen,
1990. Semiotica & Filosofia da linguagem. São Paulo: Atica, 1991. Semyotyka
y fylosofyja na ezuka. Sofia: Hayka i iskysstvo, 1993. Semiotica e Filosofia da
linguagem. Lisboa: Difel, 1991. Kigoron to gengo tetsugaku. Tokyo: Kokubunsha,
1996. (Arab Trabnslation) AOT, Arab Organisation for Translation 2005 (Korean
tr) in Umberto Eco Mania Collection. Seoul: Open Books 2009 1984 Conceito de
texto. São Paulo: Queiroz. Translations: Tekusuto no gainen : Kigoron imiron
tekusuto ron e no josetsu. Osaka: Jiritsu-shobo, 1993. 1985 Sugli specchi e
altri saggi. Milano: Bompiani. Translations: Dels miralls. Barcelona: Destino,
1987. Ueber Spiegel. München: Hanser, 1988. De los espejos. Barcelona: Lumen,
1988. Sobre os espelhos e outros ensaios. Lisboa: Difel, 1989. Inovacija u
serjalu. Rijeka: Pedagoski Fakultet u Rijeka 1989-9 Sobre os espelhos e outros
ensaios. Rio de Janeiro: Nova Fronteira, 1989. Wat Spiegels betreft. Amsterdam:
Bakker, 1991. Om spejle. Copenhagen: Forum, 1991. O zrcdlech a jiné eseje.
Prague: Mlada Fronta 2002 (partial tr.). Posuto modanin ga senoun junseinga.
Seoul: Saemulgyol 1993 (Korean tr) Umberto Eco Mania Collection. Seoul: Open
Books 2009 Po drugiej stronie lustra i inne eseje. Znak, reprezentacja, iluzja,
obraz. Warszawa: WAB 2012 1987 Streit der Interpretationen. Universitätverlag
Konstanz GMBH. 1987 Notes sur la sémiotique de la reception. Paris: Actes
Sémiotiques ix, 81. 1987 Jie gou zhu yi he fu hao xue : Dian ying wen ji. Np:
San lien shu dian chu ban fa xing (Chinese edition of various articles
originally in English and French 1988 Il pendolo di Foucault. Milano: Bompiani.
Translations: Foucault's Pendulum. New York: Harcourt, 1989; London: Secker and
Warburg, 1989. Das Foucaultsche Pendel. München: Hanser, 1989. 17
Foucaults Pendel. Stockholm: Brombergs, 1989. Foucaults Pendel. Oslo:
Tiden Norsk Forlag, 1989. Pockett ed. 2005 El pendel de Foucault. Barcelona:
Destino, 1989. El pendolo de Foucault. Barcelona: Lumen-Bompiani, 1989.
Foucaults Pendul. Copenhagen: Forum, 1989. O pendulo de Foucault. Rio: Record,
1989. Best Bolso 2009 O pendulo de Foucault. Lisboa: Difel, 1989. To Ekkremes
tou Fouko. Athens: Ekdoseis Gnose, 1989. Athens: Ellenika Grammata 2000.
Foucault's Pendulum. The Signed First Edition Society. The Franklin Library,
1989. De Slinger van Foucault. Amsterdam: Bert Bakker, 1989. Now Amsterdam:
Prometheus 2005. Foucaultin heiluri. Helsinki: Söderström, 1990. P`uk`o ui
ch'u. Seoul T`ukpyolsi : Yollin ch`aektul 1990 Le pendule de Foucault. Paris:
Grasset, 1990 (Livre de Poche 1992). Ha-metultelet shel fuko. Or Yehuda:
Kinneret, 1991) Pendulul lui Foucault, Constanta: Editura Pontica, 1991.
Revised ed. Polirom 2005 Foucaultovo kyvadlo. Praha: Odeon, 1991. A
Foucault-Jnga. Budapest: Europa, 1992. Maxalomo na Phyko. Sofia: Narodna
Kyltyra, 1992 (Sophia: Bard 2001). Fuge bai. First Chinese edition. Taibei shi
: Huang guan wen xue chu ban you xian gong si (Taiwan, Crown), 1992, 2006 Fuko
no furiko. Tokyo, Bungei shunju, 1993. Paperback 1999. Foucault Sarkaci.
Istanbul: Can Yayýnlarý, 1992. Foucaultovo Kyvadlo. Bratislava: Slovensy
Spisovatel, 1992; Vydavatel’slo Slovart 2002.. Foucaultui Chu. Seoul: Open
Books, 1993, 1990 Wahadlo Foucaulta. Warszawa: PIW, 1993. Also Warszawa: Noir
sur Blanc, 2002. Majatnik Fuko. Inostrannaja Literatura 7-9, 1995. Fuko
svytuokle. Vilnius: Tyto Alba, 1995. Majatnik Fuko. Zug, pirate translation and
edition, 1995. Avang-e Fuko. Teheran: Shabaviz 1998 Majatnik Fuko. Saint
Petersburg: Symposium, 1998. Authorized edition and translation. CD edition,
Moskva, Bibliofonika 2006. Moskva : Astrel' 2012 Fuko Svārsts. Riga: Jāņa Rozes
2001. Fuge bai. Beijing: Zuo jia chu ban she, 2001 (simplified characters)
Fukoovo Klatno. Beograd: Naradona knjiga 2002. Foucaultovo Njihalo. Zagreb:
Izvori 2003. Foucaltovo nihalo. Ljubljana: Mladinska 2005 Fukooboto Nišalo.
Skopje:Tabernaku 2007 Foucault’s Pendulum. Yogykarta: Bentang 2010 18
1989 Im Labyrinth der Vernunft. Texte über Kunst und Zeichen. Leipzig:
Reclam. (Selected essays) 1989 Lo strano caso della Hanau 1609. Milano:
Bompiani. Translations: L'énigme de la Hanau 1609. Paris: Bailly, 1990. El
estraño caso de la Hanau 1609. Madrid: Ollero, 1989. 1990 Auf dem Wege zu einem
Neuen Mittelater. München: DTV Grossdruk (selected essays). 1990 Jie gou zhu yi
he fu hao xue: Dian ying wen ji. Taibei shi : Jiu da wen hua gu fen, you xien gong
si. (Chinese edition of various original English and French articles) 1990 I
limiti dell'interpretazione. Milano: Bompiani. Translations: Els limits de la
interpretació. Barcelona: Destino, 1991. The limits of interpretation.
Bloomington: Indiana U.P.,1990. Les limites de l'interpretation. Paris:
Grasset, 1992. Die Grenzen der Interpretation. München: Hanser, 1992. Los
limites de la interpretacion. Barcelona: Lumen, 1992. Os limites da
interpretaçao. Lisboa: Difel, 1992. Ta oria tes ermeneias. Athena: Ekdoseis
Gnose, 1992. De Grenzen van de Interpretatie. Amsterdam: Bakker, 1993. Haesokui
Hangye. Seoul: Yollin ch`aektul 1995. Limitele interpretârii. Costanta: Editura
pontica, 1996. Os limites da interpretação. São Paulo: Perspectiva, 1996.
Czytanie świata. Kraków: Znak,1999 (also from Sugli specchi and other sources)
Granice tumačenja. Beograd: Paideia 2001. Meze interpretace. Praha: Univerzita
Karlova v Praze, 2004 Limitele interpretării. Bucuresti: Polirom 2007 1991
Stelle e stellette. Genova: Melangolo. 1991 Vocali. Napoli: Guida. 1992 Il
secondo diario minimo. Milano: Bompiani. Translations: Stora stjärnor och små.
Stockholm: Bromberg, 1992 Deytero ellachisto emerologio. Athena: Ekdoseis
Gnose, 1992. Wie man mit einem Lachs verreist. München: Hanser, 1993.
Omgekeerde wereld. Amsterdam: Bakker, 1993 (partial). Op reis met een zalm.
Amsterdam: Bakker, 1998 (partial) Hvordan man rejser med en laks. Copenhagen:
Forum, 1993. Zapiski na pudełku od zapałek. Poznań: Historia i Sztuka, 1993
(partial tr.) O segundo Diario Minimo. Lisboa: Difel, 1993. 19 O
segundo Diario Minimo. Rio de Janeiro: Record, 1993. El segon diari minim.
Barcelona: Destino, 1994. How to travel with a salmon. New York: Hacourt Brace
and London: Secker, 1994 (partial) Dommedag er naer. Oslo: Tiden, 1994. Bábeli
Beszélgetés. Budapest: Europa, 1994 (partial, with parts of Diario Minimo)
Segundo Diario Minimo. Barcelona: Lumen, 1994. Barcelona: Bolsillo 2014
Diariusz Najmniejszy. Krakow: Znak, 1995 (partial, with parts of Diario Minimo)
Yoneowa Yogaenghanun Bangbeob. Seul:T`ukpyolsi : Yollin ch`aektul 1995 (partial
tr.). Miten Käy. Helsinki: Söderström, 1995 (partial). Somon baligyyla
yolculuk. Istanbul: Can Yayýnlarý, 1996. Le-tayel 'im dag salmon. Or Yehuda:
Kinneret 1997 Trzecie zapiski na pudelku od zapalek. Poznan: Historia i Sztuka,
1997 (partial tr.) Comment voyager avec un saumon. Paris: Grasset, 1998
(partial). Hvordan det ender hvordan det begynder. Copenhagen: Forum, 1998
(partial with other essays). Dai zhu xie yu qu lü xing. Taibei shi : Huang guan
wen hua chu ban you xian gong si (Taiwan: Crown), 2000 Sesangeu Bobodeulege
Uismeyeonseo Hwanaeneun Bamgbeob. Seoul: Open Books 1999 (tr. from French).
Kako putovati s lososom i drugi korisni savjeti.. Zagreb: Izvori 1999.
Sämtiliche Glossen un Parodien. München: Hanser, 2001 (complete edition with
Diario Mimimo, Secondo Diario Minimo, Bustina di Minerva and other German
collections of parodies) Iz minimalnog dnevnika. Beograd: Narodna knjiga 2000
(partial tr.) Babylonskỳ rozhovor. Bratislava: Kalligram (a choice, with Diario
Minimo) Minumea sfantului Baudolino. Bucuresti: Humanitas 2000. Dai zhu xie yu
qu lü xing . Tr in simplified characters. Guilin: Guangxi University Press and
Shanghai Sanhui Culture & Press 2004 Minunea Sfântului Baudolino.
Bucuresti: Humanitas 2011 (partial tr.) 1992 Interpretation and
overinterpretation. Cambridge: Cambridge U.P. Translations: Over interpretatie.
Kampen: Kok Agora, 1992. Eko no yomi to fukayomi. Tokyo: Iwanami Shoten, 1993.
Interpretaçao e sobreinterpretaçao. Lisboa: Presença, 1993. Zwischen Autor und
Text. München: Hanser, 1994. Ermeneia kai Yperermeneia. Athens: Ellenika
Grammata, 1993. Fortolkning og overfoltolkning. Gylling: Systime, 1995
Interpretación y sobreinterpretación. Cambridge: Cambridge U.P., 1995.
Interpretazione e sovrainterpretazione. Milano: Bompiani, 1995. Interpretation
et surinterpretation. Paris: PUF, 1995. Quanshi yu goudou quanshi Complex
characters. Xianggang: Niujin da xue chuban she 1995 20 Simplified
characters. Beijing: Sanlian 1997 Other Simplified characters Chinese edition.
SDX Joint Publishing Company 2005 Yorum ve aşiri yorum. Instanbul: Can
Yayýnlarý, 1996. Interpretacja i nadinterpretacja. Kraków: Wydawnictwo Znak,
1996 Haesokiran Muoinka. Seoul: The Open Books 1997. 1992 La memoria vegetale.
Limited edition. Milano: Edizioni Rovello. 1993 La ricerca della lingua
perfetta nella cultura europea. Bari: Laterza, 1993. Translations: Die Suche
nach der vollkommemen Sprache. München: Beck, 1994. La busqueda de la lengua
perfecta en la cultura europea. Barcelona: Critica, 1994. La recherche de la
langue parfaite dans la culture européenne. Paris: Seuil, 1994 The search for
the perfect language. Oxford: Blackwell, 1995. Avrupa kültürkünde kusursuz del
arayisi. Istambul: AFA 1995 Kanzen gengo no tankyu. Tokyo: Heibonsha 1995.
Europa en de volmaakte taal.Amsterdam: Agon, 1995 E Anazétese tes Teléias
Glossas. Athens: Ellenika Grammata, 1995. A tökeletes nyelv keresére. Budapest:
Atlantisz Könyvkiado 1998. A procura da lìngua perfeita. Lisboa: Presença,
1996. Also Bauru: Signo, 2001. La sercado de la perfecta lengvo. Pisa.
Edistudio, 1996. Hedlani dokonalého jazyka v evropské kulture. Praha: Lidové
noviny 2001 W poszukiwaniu języka uniwersalnego. Warszawa: Marabut 2002.
Warszawa:Aletheia 2013 In cautarea limbij perfecte. Bucuresti: Polirom 2002. U
potrai savršenim jezikom. Zagreb: Hena Com 2004 Poiski soverscennogo zyka.
Saint Petersburg: Alexandria 2007 Në kërkim të gjuhës se përkryer në kulturën
europiane. Tiranë:Dituria 2008 1993 Ton augousto den Uparchoun eideseis.
Thessalonike: Parateretés (selected articles). 1994 Apocalypse Postponed.
Bloomington: Indiana U.P. (selected essays edited by R. Lumley) 1994 Six Walks
in the Fictional Woods. Cambridge: Harvard U.P., 1994. Translations: Sei
passeggiate nei boschi narrativi. Milano: Bompiani, 1994. Im Wald der
Fiktionen. München: Hanser, 1994 Seis paseos pelos bosques da ficção. São
Paulo: Companhia das letras, 1994. Sehs turer i fortellingenes shoger. Oslo:
Tiden, 1994. Zes wandelingen door fictieve bossen. Amsterdam: Bakker 1994. Exi
periplaneseis sto dasos tes afegeses. Athens: Ellenika Grammata, 1994. Anlati
ormanlarinda alti gezinti. Istanbul: Can Yayýnlarý, 1995. Sześć przechadzek po
lesie fickcji. Kraków: Wydawnictwo Znak, 1995 Seis paseos nos bosques da
ficção. Lisboa: Difel, 1995. 21 Hat séta a fikció erdejében.
Budapest: Európa, 1995. Six promenades dans les bois du roman et ailleurs.
Paris: Grasset, 1996. Eko no bungaku kogi : Shosetsu no mori sansaku. Tokyo: Iwanami
Shoten, 1996.. Paperback 2013. Sase plimbări prin pădurea narativa. Costanţa:
Pontica, 1997. Šest procházek literárnimi lesy. Olomuc: Votobia 1997 Sis
passejades pels boscoss de la ficció. Barcelona: Destino, 1997. (Korean tr.).
Seoul: The Open Books 1998 Sesk sprehodov skozi pripovedne gozdove. Ljubljana:
Literarno-umenisko drustvo literatura 1999. (Arab translation) 2001 You you
xiao shuo lin. Taibei shi : Shi bao wen hua chu ban qi ye gu fen you xian gong
si. Taiwan: China Times 2000 Simplified characters Chinese edition. SDX Joint
Publishing Company 2005 Ŝestv progulok v literaturnvih lesah. Saint Petersburg:
Symposium 2002. Šest šetniji kroz narativnu šumu. Beograd: Narodna Knijiga 2003
(Chinese tr., simplified characters) SDX Joint Publishing Company 2005 Šest
šetnji pripovjednim šumama. Zagreb: Algoritma 2005 Seks vandringer i fiktionens
skov. Copenhagen: Alinea 2006 Hat séta a fikció erdejében. Budapest: Europa
2007 Gjashtë shëtitje në pyjet e tregimtarisë. Tirana:Dituria 2002ù Kuuss
jalutuskäiku kirjandusmetsades. Tallinn: Kiriastus Varrak 2009 1994 L'isola del
giorno prima. Milano: Bompiani Translations: To nesi tes proegoumenes emeras.
Athens: Gnosis, 1994. Athens: Ellenika Grammata 2000. Het Eiland van de Vorige
dag. Amsterdam: Bakker, 1995. Amsterdam:Ooievaar, 20001. A ilha do dia
anterior. Rio de Janeiro: Record, 1995. Pocket ed. BestBolso 2010. Die Insel
des vorigen Tages. München: Hanser, 1995. Øen af i går. Copenhagen: Forum, 1995
A ilha do dia antes. Lisboa: Difel, 1995 The Island of the Day Before. New
York: Harcourt Brace and London: Secker and Warburg 1995. La isla del dia de
antes. Barcelona: Lumen, 1995. Also Biblioteca Viajero ABC 2004. L'illa del dia
abans. Barcelona: Destino, 1995. Edellisen päivän saari. Helsinki: Werner
Söderström, 1995. Øya fra dagen før. Oslo: Tiden, 1995. Pocket ed. 2005 Ostrvo
dana predašnjeg. Beograd: Centar za geopoetiku, 1995. Insula din ziua de ieri.
Constanta: Editura Pontica, 1995. New edition, Bucuresti, Polirom 2009
Gårdagens ö. Stockholm: Brombergs, 1995. Ostrov vcerejsiho dne. Praha: Simon
and Simon, 1995. L' île du jour d'avant. Paris: Grasset, 1996. 22
Ostrovot od pretchodinot deh. Scopje: Detsca Padost, 1995 Önceki günün
adasi. Istanbul: Can Yayýnlarý, 1995. Wyspa dnia poprzedniego. Warszawa: PIW,
1995; Warszawa: Noir sur Blanc 2003 Ha-i chel yom ha-etmol. Or Yehuda:
Kinneret, 1995 Jonnalui Som. Seoul: Open Books 1996 Ostoviem ot proedeshinja
den. Sofia: Khemus, 1997. Jazire-ye ruz-e pishin. Ahvaz (iranian): Nash-i Tir
1997 Otok prethodnoga dana. Zagreb: Izvori, 1997 Ostrov vcerajsieho dna.
Bratislava: Slovart, 1998. A tegnap Szigete. Budapest: Europa Könyvkiadó, 1998.
Zuo ri zhi dao. Taiwan: Crown, 1998 Vakarykstes dienos sala. Vilnius: Tyto
Alba, 1998. Zenjitsu shima.Tokyo: Bungei Shunju, 1999. Ostrov Nakanune.
Saint-Petersburg: Symposium, 1999. CD edition, Moskva, Bibliofonika 2006.
Astel’ 2012 Jazirat al-yawm al-sabiq. Tarabulus : Dar Uya (Tripoli) 2000 Zuo ri
zhi dao. Simplified characters). Beijing : Zuo jia chu ban she, 2001 Ostrovbt
ot prediscinja. Sophia:Bard 2003. Eilse päeva saar. Tallinn: Eesti Raamat 2003
Otok prejšniega dne. Ljubljana: Mladinska Knijiga 2007 1996 In cosa crede chi
non crede? (with Carlo Maria Martini). Roma: Liberal. 2d edition Milano:
zzzzzzzzzBompiani 2014 Translations: En qué cren los que non creen? Mexico:
Taurus 1997. Croire en quoi? Paris: Payot & Rivages, 1988. En què creuen
els qui no creuen. Barcelona: Empóries, 1997. Woran glaubt wer nicht glaubt?
Wien: Zsolnay, 1998 and München: Hanser, 1999. Ti pisteúei autós pou den pisteúei;
Athena: Ellenika Grammata, 1998. Als we niet geloven, wat geloven we dan?
Amsterdam: Prometheus, 2000. En que creen los que non creen? Madrid: Temas de
Hoy 1997. Mueoseul Mideul Geosinga. Seoul: The Oper Books 1998. Wyspa dnia
poprzedniego. Warszawa: PIW, 1995; Warszawa: Noir sur Blanc 2003 Belief or
Nonbelief? New York: Arcade, 2000. Miben hisz aki nem hisz? Budapest: Europa
2000. In ce cred cei care nu cred? Iasi: Polirom 2001. U sto vjeruje tko ne
vjeruje? Zagreb: Izvori 2001. Mihin uskot jos et usko? Turku: Kirja- Aurora
2002. Xin yang huo fei xin yang : zhe xue da shi yu shu ji zhu jiao de dui tan.
Taibei Shi : Jiu jing chu ban she gu fen you xian gong si 2002 23
(Georgian tr) 2012 1997 Cinque scritti morali. Milano: Bompiani Translations:
Pénte ethika Keimena. Athens: Ellenika Grammata, 1997. Cinco escritos morais.
Lisboa: Difel, 1997. Vier moralische Schriften. München: Hanser, 1998. Cinc
escrits morals. Barcelona: Destino 1998. Spisi o moralu. Beograd; Paideia 1998
Cinco escritos morales. Barcelona: Lumen, 1998. Barcelona: Debolsillo 2006
Piat’ esse na tem’i etiki. Saint Petersburg: Symposium, 1998. Moskva: Astrel
2012 Cinco escritos morais. Rio de Janeiro: Record, 1998. Moralske Tanker.
Copenhagen: Forum, 1998. Vijf Morele Dilemmas. Amsterdam: Bakker, 1998. Beş
ahlak yazisi. Istanbul: Can Yayýnlarý, 1998. Öt írás az erkölcsröl. Budapest:
Europa, 1998. Eien no fashizumu. Tokyo: Inawami Shoten, 1998. Spisi o
moralu.Beograd: Paideia, 1998 Pet moralni eseta. Sofia: Lik, 1999. Fyra
moraliska betraktelser. Stockholm: Brombergs, 1999. Pieae pism moralnych.
Krakow: Spoleczny Instytut, Wydawniczy Znak 1999. Fire moralske betraktninger.
Oslo: Tiden Norsk, 2000. Pjat’ essje na tjem’i etiki. Saint Petersbourg:
Simposium, 2000. Cinq questions de morale. Paris: Grasset, 2000. Five Moral
Pieces.. London: Secker and Warburg, New York, Harcourt Brace 2001. Ljatv essie
naa teml’i etiki. Saint Petersburg: Symposium 2002 Nugu rul wihayo chong ul
ullina mutchi mapsida. Seoul:The Open Books 2003 Pät’ úvah o morálke. Bratislava:
Kalligram 2004 Cinci serieri morale. Bucuresti. Humanitas 2005 Pięć pism
moralnych. Kraków: Wydawnictwo Znak 2008 1997 Kant e l’ornitorinco. Milano:
Bompiani. Translations: Kant e o ornitorrinco. Rio de Janeiro: Record, sd. Kant
i l’ornitorinc. Barcelona: Destino, 1999. Kant et l’ornithorynque. Paris:
Grasset, 1999. Kant and the Platypus. New York: Harcourt and London: Secker
1999. London: Vintage 2000. Kant y l’ornitorrinco. Barcelona: Lumen, 1999.
Barcelona: Debolsillo 2013. Kant e o ornitorrinco. Lisboa: Difel 1999. Kant és
a kacsacsörü emlös. Budapest: Europa, 1999. 24 O Kant & o
ornithorygchos. Athens: Ellenika Grammata 1999. Kant und das Schnabeltier.
München: Hanser 2000. Kant og næbdyret. Copenhague: Forum 2000. Kant en het
vogelbekdier. Amsterdam: Bakker, 2001. Kant i kljunar. Beograd: Paideia 2000
Kant si ornitorincul. Constanta: Editura Pontica 2002. Second revised edition ,
Bucuresti: Polirom 2010 Kanto to kamonohashi. Tokyo: Iwanami Shoten 2003. Kant
u itučecovkata. Sofia: 2004 (Korean tr.) Seoul: Open Books 2005 Kant a
ptakopyzxk. Praha: Argo 2011 Kant a dziobak. Warszawa: Aletheia 2012 1998
Talking of Joyce (with Liberato Santoro). Dublin: University College Dublin
Press. 1998 Gesammelte Streichholbriefe. München: Hanser, 1998. 1998
Serendipities. Language and Lunacy. New York: Columbia U.P. and London:
Weidenfeld, 1999. Translations: Serendipities. Japanese tr. Tokyo: Ihei
Taniguchi 2008. 1998 Tra menzogna e ironia. Milano: Bompiani. Translations Lüge
und ironie. München: Hanser, 1999. Entre a mentira e a ironia. Lisboa: Difel,
2000. Entre mentira e ironia. Barcelona: Lumen, 2000. Metaxú pseúdous kai
eironeìas. Athens: Ellenika Grammata 2000. Između laži i ironije. Beograd:
Paideia 2000. Nadsolge hagiui julgoum. Seoul:The Open Books 2003 Entre a
mentira e a ironia. Rio de Janeiro: Record 2006 Između laži I ironije. Zagreb:
Izvori 2004 2000 La bustina di Minerva. Milano: Bompiani. Translations:
Streichholzbriefe. München: Hanser 1990 (partial tr:) Semeiomata. Tessaloniki:
Ekdoticos 1990 (partial). Tou augusto den uparchoun edeseis. Tessaloniki:
Paraterlté 1993. Partial Drugie zapiski na pudełku od zapałek. Poznań: Historia
i Sztuka. 1994 Das alte Buch und das Meer. München: Hanser 1995 (partial tr.)
Neue Streichholzbriefe. München: DTV 1997 (partial tr.). Gesammelte
Streichholzbriefe. München: DTV 1998 (partial tr.) Derrick oder die
Leidenschaft für das Mittelmass. München: Hanser 2000 (partial). Gyufalevelek.
Budapest: Europa, 2001 (partial). 25 Derrick oder die Leidenschaft
für das Mittelmass: Streichholzbriefe 1990-2000. München: Hanser 2000.
Sämtiliche Glossen un Parodien. München: Hanser, 2001 (complete edition with
Diario Mimimo, Secondo Diario Minimo, Bustina di Minerva and other German
collections of parodies) Pliculetul Minervei. Bucuresti: Humanitas 2004 Zhi hui
nu shen de mo fa dai. Taibei shi: Hang guan chu ban she (Taiwan: Crown) 2004
Mineruba songnyanggap. Seoul: The Open Books 2004 Poznámky na krabičkách od
sirek. Praha: Argo 2008 Kartoniki Minerv’i. Moskva: Symposium 2008 2000 Den nye
Middelalderem og andre essays. Oslo: Tiden Norske (selected essays). 2000 Mein
verrücktes Italien. Berlin: Wagenbach (selected essays) 2000 Mysl a smysl.
Praha: Moravia press (selected essays) 2000 Baudolino. Milano: Bompiani
Translations: Bodolino. Riga: Jãņa Rozes apgadas 2000 Baudolino. Amsterdam:
Bakker, 2001 Baudolino. Athen: Ellinika Grammata, 2001. Baudolino. Bucuresti:
Pontica, 2001; Polirom 2007 Baudolino. Barcelona: Lumen, 2001. Debolsillo 2003.
Baudolino. Barcelona: Destino, 2001. Baudolino. München: Hanser, 2001.
Baudolino. Stockholm: Bromberg, 2001. Baudolino. Rio de Janeiro: Record, 2001.
Baudolino. Warszawa: Noir sur Blanc, 2001. Baudolino. Bratislava: Slovart,
2001. Baudolino. Beograd. Narodna Knjiga 2001. Baudolino. Zagreb:Izvori 2001
Baudolino. Paris: Grasset, 2002. Baudolino. Copenhagen: Forum 2002. Baudolino.
Lisboa: Difel 2002 Baudolino. Seoul: The Open Books 2002 Baudolinas. Vilnius:
Tyto Alba 2002. Baudolino. New York: Harcourt and London: Secker and Warburg
2002. Baudolino. Helsinki: Sőderstrőm 2002 Baudolino. Oslo: Tiden Norsk Forlag
2002. Baudulinu. Arabic Cultural Center Morocco and North Africa 2003
Baudolino. Istanbul: Doğan Kitap 2003. Baudolino. Budapest: Europa Könyvkiadó
2003. Baudolino. Ljublijana: Mladinska Knijga 2002 26 Baudolino.
Moskva: Symposium 2003. CD edition, Moskva, Bibliofonika 2006. Moskva: Astrel’
2012 Baudolino. Tallinn: Warrak 2003 Baudolino. Sophia: Bard 2003. Baudolino.
Taibei shi: Huang guan chu ban she (Taiwan: Crown) 2004 (Hebrew tr.) Or Yehuda:
Kinneret 2005 Baudolino. Yogyakarta: Bentang Pustaka 2006. Baudolino. Shanghai:
Translation Publishing House 2007 Bavdolino. Charkiv: Folio 2009 (Japanese tr.)
Tokio: Iwanami Shoten, 2 vol 2010. 2000 Experiences in translation. Toronto:
Toronto U.P. 2001 Riflessioni sulla bibliofilia. Limited edition. Milano:
Edizioni Rovello. 2002 Sulla letteratura. Milano: Bompiani. Translations Sobre
la literatura. Barcelona: Destino 2002 Perí logotechnías. Athens: Ellenica
Grammata, 2002. Sobre literatura. Barcelona: RequeR Editorial 2002. Bolsillo
2005, 2013 Sobre Literatura. Lisboa: Difel 2002 O književnosti. Beograd:
Narodna knjiga 2002. Die Bücher und das Paradies. München: Hanser 2003. Sobre a
literatura. Rio de Janeiro: Record 2003. BestBolso 2013 De la littérature.
Paris: Grasset 2003 O literaturze. Warszawa: Muza 2003 Over literatuur.
Amsterdam: Bert Bakker 2003. Si shkruaj. Partial tr. Prishtine: Aikd 2003.
Tankar om literatur. Stockholm: Brombergs 2004 O literatuře. Praha: Argo 2004
La Mancha és Bàbel Között Irodalomról. Budapest: Europa Könyvkiadó 2004 Om
Litteratur. Oslo: Tiden, 2004 On Literature. New York: Harcourt and London:
Secker 2004 (Korean tr.) Seoul: The Open Books 2005 O literaturi. Tržič Učila
international 2005 (Chinese tr.) Taiwan: Crown 2008 Për letërsinë. Tiranë:
Dituria 2007 2003 Dire quasi la stessa cosa. Milano: Bompiani. Empeiries
metáphrasis: Athens: Ellenica Grommata 2003 Dizer quasi a mesma coisa. Lisboa:
Difel 2005 Scasat' pocti to je samoe. Moeskva: Simposium 2006 Quasi dasselbe
mit anderen Worten. München. Hanser 2006. DTV 2009 27
Otprilike isto: iskustva prevođenja. Zagreb: Algoritam 2006 Të thuash
gati të njëjtën gjë. Përvoja përkthimi. Tirana: Dituria 2006 Quase a mesma
coisa.. Rio: Editora Record 2007 Dire presque la même chose. Paris: Grasset
2007. Pocket ed. Livre de Poche 2010 Decir casi lo mismo. Barcelona: Lumen
2008. Ediccion Debolsillo 2009. A spune cam acelaşi lucru. Bucuresti: Polirom
2008 (Korean tr.) Seoul: Open Books 2010 (Arab tr.). Arab Organization for
Translation 2012 2003 Mouse or Rat? Translation as Negotiation. London:
Weidenfeld and Nicolson 2003, Phoenix paperback 2004 (With Experiences in
Translation, partial version of Dire quasi la stessa cosa) 2004 Il linguaggio
della terra australe. Limited edition. Milano: Bompiani 2004 La misteriosa
fiamma della regina Loana. Milano: Bompiani. Paperback ed. 2006 Translations:
Die geheimnisvolle Flamme der Königin Loana. München: Hanser 2004 Drottning
Loanas mystika eld. Stockholm: Brombergs 2004 La misteriosa flama de la reina
Loana. Barcelona: Destino 2004 Misterioasa flacără a reginei Loana. Bucarest:
Polirom/Pontica 2004 La misteriosa llama de la reina Loana. Barcelona: Lumen
2005 La mysterieuse flamme de la reine Loana. Paris: Grasset 2005. Livre de
Poche 2006 De mysterieuze vlam van konoingin Loana. Amsterdam: Prometheus 2005
The Mysterious Flame of Queen Loana. NewYork: Harcourt; London: Secker 2005;
London: Vintage 2006. E musteriodes floga tes basilissas Loana. Athens:
Ellenika Grammata 2005, Athens: Psychologios 2012 A misteriosa chama da rainha
Loana. Rio: Record 2005 Dronning Loanas mystiske flamme. Copenhagen: Forum 2005
A misteriosa chama da rainha Loana. Lisboa: Difel 2005 Kuningatar Loanan
arvoituksellinen liekki. Helsinki: Söderstrom 2005 Kraliçe Loana'nin gizemli
alevi. Istanbul: Doğan Kitap 2005 Tayemnýplamen královny Loany. Praha: Argo
2005. Tajemniczy płomień królowej Loany. Warszawa: Noir sur Blanc 2005 Tjuplný
plameň král'ovnej Loany. Bratislava: Vydavatel'stvo Slovart 2005 Paslaptingoji
karalienės Loanos liepsna. Vilnius: Tyto Alba, 2006 Dronning Loanas mystiske
flame. Oslo: Tiden 2006 Srivnostni plamen kraaljice Loane. Lublijana: Mladinska
Knijiga 2006 Tajanstveni plamen kraljice Loane. Zagreb: Izvori 2006 Loana
királynő titokzatos tüze. Budapest: Europa 2007 (Korean tr.) Seoul: Open Books
Tanistbennoe plamja zarizvi Loany. St. Petersburg: Symposium 2008. Moskva: Ast
2013 (Chinese tr) Taiwan: Crown 2009 28 Tanistveniot plamen na
kralishata Loana. Skopje: Begemot 2011. Kēninienes Loanas Mistiskā liesma.
Riga: Roses 2013 2006 A passo di gambero. Milano: Bompiani. Milano: Mondolibri
2006 Translations À reculons comme une écrevisse. Paris: Grasset 2006. Livre de
Poche 2008. Rakiem. Gorąca wojna i populizm mediów. Warszawa: Wydawnictwo WAB
2007. A passo de cangrejo. Lisboa: Difel 2007. A passo de caranguejo. Lisboa.
Gradiva 2012 Im Krebsgang voran. München: Hanser 2007. DTV 2011 A paso de
cangrejo. Barcelona: Debate 2007. Barcelona: Debolsillo 2008. Me to bēma tou
káboura. Athena: Ellēnika Grammata 2006 Înainte ca racul. Bucuresti: Class 2007
Tordele og ulemper ved dǿden. Copenhagen: Forum 2007 Turning back the clock.
New York: Harcourt & London: Secker 2007. London: Vintage 2008 Poln'y
dazan. Moskwa: Eksmo 2007 Kräftgånd. Stockholm: Brombergs 2008 Po rakovi poti.
Ljubljana: Mladinska 2009 (Chinese edition) Taiwan: Krown 2011 Br’šča li se
časobnik’t nazad. Sophia: Ciela 2010 (Korean tr.) Seoul: Open Books 2012 A paso
de caranguejo. Lisboa Gradiva 2012 Yengeç Adɪmlarɪyla. Istanbul: DK 2012 Poliyi
nazad! Moskva: Astrel 2012 (Chinese simplified ed.). Lijangbook 2012 (Japanese
tr) Tokyo: Inawami Shoten 2013 Po rakovi poti. Ljubljana Mladinska Knjiga 2009
2006 Sator Arepo eccetera.Roma: Nottetempo. 2006 Schüsse mit
Empfangsbescheinigung. München: Hanser 2006 La memoria vegetale. Milano:
Rovello. Ed. I Grandi Tascabili Bompiani 2011. Translations: Anamvéseis epí
kártou. Athena: Ellenica Grammata 2007 Die Kunst des Büchenrliebens. München:
Hanser 2009 (partial tr.) Memoria vegetală. Bucuresti: Rao 2008 A memória vegetal.
Rio: Record 2010 (Complex chinese ed.) Taiwan: Crown 2012 (Chinese simplified
characters). Beijin: Ylin Press 2014 2007 Dall'albero al labirinto. Milano:
Bompiani Translations: Apo to dentro ston labyrintho. Athens: Ellenika Grammata
2008 29 Od drzewa do labiryntu. Warszawa: Aletheia 2009 De la
arbore spre labirint. Iaşi: Polirom 2009 De l'arbre au labyrinthe. Tr by Hélène
Sauvage. Paris: Grasset 2010. Livre de Poche 2011 Od stromu k labyrintu. Praha:
Argo Do árvore ao labirinto. Rio: Record 2013 From the tree to the labyrinth.
Cambridge: Harvard U.P. 2014 2008 Mój 1968. Po drugiej stronie muru. Kraków:
Wydawnictwo Literackie. 2009 Vertigine della Lista. Milano: Bompiani
Translations: Vertige de la liste. Paris: Flammarion 2009 The infinity of lists.
New York: Rizzoli International 2009 Die unendliche Liste. München: Hanser
2009. DTV edition 2011. Vertigo. Lista infinita. Bucuresti: Rao 2009 El vertigo
de las listas. Barcelona: Lumen 2009 A lista mamora. Budapest: Europa 2009
Vertigo. Moskwa: Slobo/Slovo 2009 Budiště Seznamů. Praha: Argo 2009 A vertigem
das listas. Lisboa: Difel 2009 Szaleństwo katalogowania. Poznań: Rebis 2009 De
betovering van lijsten. Amsterdam: Bakker 2009: A vertigem das listas. Rio:
Record 2010 O omorphias tes listas. Athena:Ekdoseis Kastanioti 2010 Sarakstu
Karuselis: Riga: Jäņa Rozes 2010-09-18 Korean tr. Seoul: Open Books 2010.
Beskrajni Spiskovi, Beograd: Plato 2011 Vrtinec Seznamov, Ljubljana:Modrijan
2011 (Simplified Chinese edition) Beijing: CentralCompilation and Translation
Press 2013 2009 Cultura y Semiotica. Madrid: Circulo de Bella Artes. 2010 La
storia dei Promessi Sposi raccontata da Umberto Eco. Roma: Repubblica. La
historia de Los Novios explicada por Umberto Eco. Barcelona: Anagrama 2012 A
historia de Os noivos contada par Umberto Eco. Rio de Janeiro: Galera 2012
Odryrenn’ie. Moskwa: Astrel’ A historia de Os noivos contada par Umberto Eco.
Rio de Janeiro: Galera 2012 2010 Il cimitero di Praga. Milano: Bompiani.
Vintage edition 2011. Translations: El cemeterio de Praga. Barcelona: Lumen
2010 El cementiri de Praga. Barcelona:RosadelVents 2010 De Begrafplaats van
Praag. Amsterdam: Prometheus 2011 30 To koimitirio tes Pragas.
Atina: Ekdoseis Psychogios 2010 Le cimetière de Prague. Paris :Grasset 2011.
Livre de Poche 2011. Der Friedhof in Prag. München: Hanser 2011. Büchergild sd.
O cemitério de Praga. Lisboa: Gradiva 2011 Gravlunden i Praha. Copenhagen:
Tiden 2011 The Prague Cemetery. New York and London: Harcourt & Secker
2011. Vintage 2012. Large print edition AudioGo Ltd 2012 Begravningsplatsen I
Prag. Stockholm. Bromberg 2011 Prag Mezarliği. Istambul: DK 2011 Praz’kij
cvintar. Kharkiv: Folio 2011 Cmentarz w Pradze. Warszawa: Noir sur Blanc 2011
Pražský hřbitov. Praha: Argo 2011 O cemitério de Praga. Rio de Janeiro: Record
2011 Pražskoe kladvišče. Moskwa: Astrel 2012 Cimitirul din Praga. Bucuresti:
Polirom 2911. Paperback 2013. Prāgas kapsēta. Rigā: Jānas Rozes 2011 Prahan
kalmisto. Helsinki: Söderström 2012 Kirkegården I Prag. Copenhagen: Rosinante
2012 (Hebrew tr) Or Yehuda: Kinneret 2012 Praško pokopališče. Ljubljana:
Mladinska kniga 2012 Praško groblje. Podgorica: Nova Knjiga 2012 Praško
groblje. Zagreb: Mozaik knjiga 2012 Pražsky cintorín. Bratislava: Slovart 2012
(Korean tr) Seoul: Open Books 2013 (Chinese tr) Taipei: Crown 2013 Prahos
kapines. Vilnius: Tyto Alba 2012 (Libanese tr) Beirut: Dar al kitab al jadid
2014 2010 Una tromba sulle colline. Limited editon of a chapter of Il pendolo
di Foucault. Milano: Rovello 2011 Perché l’isola non viene mai trovata. Limited
edition. Milano: Rovello 2011 Confessions of a Young Novelist. Cambridge:
Harvard U.P. Translations: Confesiones de un joven novelista. Barcelona: Lumen
2011. Debolsillo 2014 (Korean tr) Seoul: Chungrim 2011 Bekenntnisse eines
jungen Scheiftstellers. Münche: Hanser 2011 Genç bir romancinin İtiraflari.
Istanbul: Edebiyat İnceleme 2011 Confesiunile unui tînăr Romancier. Bucuresti:
Polirom 2011 Bekentenissen vane en Jonge Roman-schijver. Amsterdam: Bert Bakker
2011 Anlati ormanlarinda alti gezinti. Istanbul: Can 2011 31
Wyznania młodego pisarza. Warszawa: Śviat Książki 2011 Exomologiseis enos
neou muthistoriographou. Athena: Ekdoseis Patake 2011 Confissões de um jovem
escritor. Lisboa: Horizonte 2012 Noore romaanikirjalu pihtimused. Tanapäev 2011
Confissões de um jovem romancista. São Paulo: Cosae Naify 2013 Ispovesti mladog
romanopisca. Beograd: Glasnik 2013 Confessions d’un jeune romancier. Paris:
Grasset 2013 Zpověd’ mladého romanopisce. Praha : Argo 2012 (Chinese tr.
Simplified Characters) Beijng: Beijging Imaginist Time Culture Company.
(Chinese complex characters). Taiwan: Business Weekly Publications 2014 2011
Costruire il nemico. Milano: Bompiani. Ed. Mondolibri 2011 Cum ne costruim
duşmanul. Bucuresti. Polirom 2011: Construir o inimigo. Lisboa: Gradiva
2011-12-17 Kataskeuazontas ton exthro. Athena: Psichologios 2011 Wymyślanie
wrogów. Poznań: Dom Wydawniczy Rebis 2011 Sukurti priešą ir kiti proginiai
rašiniai. Vilnius: Tyto Alba 2011 Ellenséget alkotni és más alkalmi frások.
Budapest: Európa Könivkiadó 2011 Inventing the Enemy. New York: Houghton and
Mifflin Harcourt. London: Harvill Secker 2012 Het creëren van de vijand.
Amsterdam Bert Bakker 2012 Ustvarjanje sovražnikov. Ljubljana: Mladinska Kniga
2012 Vytváreni nepřítele a jiné příležitosné texty. Praha: Argo 2013 Construire
l’ennemi. Paris: Grasset 2014 Die Fabrication des Feindes. München: Hanser 2014
Sotvori seb’e vraga. Moskva: Act 2014 (Korean tr.. Seul: Open Books 2014) Da
stborim Brata. Sofia: Bard 2013 Düşman Yaratmak. Istanbul: Dogan Kitar 2014
2012 Scritti sul pensiero medievale. Milano: Bompiani 2013 Storia delle terre e
dei luoghi leggendari. Milano: Bompiani Translations: The Book of legendary
lands. London: MacLeose Press2013 The Book of legendary lands. New York:
Rizzoli 2013 Geschiedenis van imaginaire landen en plaatsen.
Amsterdam:Prometeus 2013 Dĕjny legendárních zemí a míst. Praha: Argo 2013 Die
Geschichte der legendären Länden und Städte. München: Hanser 2013 Historia das
terras e lugares legendarios. Tr by Eliana Aguiar. Rio de Janeiro: Record 2013
Istorija illiusii lerendarniie mesta, semli I strain. Moskva: Slovo 2013
Istoria mitskin zemalja. Beograd: Vulkan 2014 32 Istoria
Tǎrǎmurilor și locurilor legendare.Bucuresti: Editura Rao 2014 2014 Riflessioni
sul dolore. Bologna: Asmepa 2014 Numero zero. Milano: Bompiani Storia figurata
delle invenzioni. Ed. by .U.Eco and G.B.Zorzoli. Milano: Bompiani.
Translations: The Picture History of Inventions. New York: Macmillan, 1963. The
Pictorial History of Inventions. London: Weidenfeld, 1962 Uppfinningarnas
Historia. Stockholm: Natur och Kultur, s.d. Opfindensernes Historie.
Copenhagen: Gyldendal, s.d. Histoire illustrée des inventions. Paris: Laffont,
I961. Zum Nutzen des Menschen. Bern: Scherz, 1963. Geschiedenis der
uitvindingen in woord en beeld. Brussel: Belgisch Agentenschaap von Grote
Encyclopedieen, 1965. Historia ilustrada de los inventos. Buenos Aires: Fabril,
1962. 1965 Il caso Bond. Edited by O.Del Buono and U.Eco. Milano: Bompiani.
Translations: Proceso a James Bond. Barcelona: Fontanella, 1965. Der Fall James
Bond. München: DTV, 1966. The Bond Affair. London: Macdonald, 1966 (Unreliable
translation). 1966 La bomba e il generale, with Eugenio Carmi. Milano: Bompiani
(revised edition, 1988) Translations: H e bomba kai o strategos. Athens:
Gnosis, 1989, Ellenika grammata 2004. A bomba e o general. Lisboa: Quetzal
1989. The bomb and the general. New York: Harcourt 1989; London : Secker &
Warburg, 1989 Bakudan to shogun. Tokyo: TBS 1990 Poktan kuwa jamgun. Seoul:
Open Books 1991. 1966 I tre cosmonauti, with Eugenio Carmi. Milano: Bompiani
(revised edition, 1988) Translations Die drei Kosmonauten. Frankfurt: Insel,
1971 Los tres astronautas. Buenos Aires: Ed. de la flor, 1973 (without Carmi's
drawings). Les trois cosmonautes. Paris: Grasset, 1989. With La bombe et le
géneral at Les gnomes de Gnou, 2008./ De tre astronauterna. Stockholm:
Brombergs, 1989. Los tres cosmonautas. Barcelona: Destino, 1989. Os tres
cosmonautas. Lisboa: Quetzal, 1989. The three astronauts. New York: Harcourt 1989,
London : Secker & Warburg, 1989 Oi treis astronautes. Athens: Gnosis, 1989.
Sannin no uchu hikoshi. Tokyo: TBS 1990 Oi treis kosmonaytes. Athens: Ellenika
Grammata 2004 34 1967 L’Italie par elle-meme. A portrait of Italy.
Autoritratto dell'Italia. Edited by Umberto Eco, Giulio Carlo Argan, Guido
Piovene, Luigi Chiarini, Vittorio Gregotti ed al. Milano: Bompiani.
Translations: Eko no itaria annai. Tokyo : Jiritsu shobo, 1988 1969 L'arte come
mestiere. Edited by U.Eco. Milano: Bompiani. 1969 I sistemi di segni e lo
strutturalismo sovietico. Ed. by U.Eco and R.Faccani. Milano: Bompiani. 1969
L'Industria della cultura. Edited by U.Eco. Milano: Bompiani. 1969 Dove e
quando? Indagine sperimentale su due diverse edizioni di un servizio di
'Almanacco'. Edited by U.Eco et al. Roma: Rai, Servizio Programmi
Sperimentali-Servizio Opinioni. 1970 Socialismo y consolacion. Edited by U.Eco.
Barcelona: Tusquets. 1971 I fumetti di Mao. Edited by G.Nebiolo, U.Eco and J.
Chesneaux. Bari: Laterza. Translations: Das Mädchen aus der Volkskommune.
Reinbek: Rowohlt, 1972. Los comics de Mao. Barcelona: Gili, 1976. 1972
Cent'anni dopo. Il ritorno dell'intreccio. Ed. by U.Eco and C.Sughi. Milano:
Almanacco Bompiani. 1972 I pampini bugiardi. Edited by U.Eco and M.Bonazzi.
Rimini: Guaraldi. Translations: Las verdades que mientem. Buenos Aires: Tiempo
Contemporaneo 1974. Mentiras que parecen verdades. Sao Paulo: Summus 1980. 1972
Estetica e teoria dell'informazione. Edited by U.Eco. Milano: Bompiani. 1973
Eugenio Carmi:una pittura di paesaggio? Edited by U.Eco. Milano: Prearo. 1976
Storia di una rivoluzione mai esistita: l'esperimento Vaduz. Edited by U.Eco et
al. Roma: Rai, Servizio Opinioni. 1979 Invernizio, Serao, Liala. A cura di
U.Eco, I.Pezzini, M.P.Pozzato, M. Federzoni. Il Castoro. Firenze: La Nuova
Italia. 1979 A Semiotic Landscape. Edited by.S. Chatman, U. Eco and J.M.
Klinkenberg. Proceedings of the First Congress of IASS-AIS, Milano, 1974. The
Hague: Mouton. 1983 The Sign of Three. Peirce, Holmes, Dupin. Edited by U. Eco
and T.A.Sebeok. Bloomington:Indiana U. P. Translations: Il segno dei tre.
Milano: Bompiani 1983. Der Zirkel oder Im Zeichen der Drei. München: Fink, 1985
El signo de los tres. Barcelona: Lumen, 1989. Sannin no kigo: Dupan homuzu
pasu. Tokyo : Tokyo tosho, 1990 O signo de tres. São Paulo: Perspectiva 1991
Nori wa churi ui kihohak: Kihoro kaduk chan sesang ui iherul yhaie. Seoul:
Inkansaram, 1994 1983 Raymond Queneau, Esercizi di stile. Introduction and
translation. Torino: Einaudi, 1983. 1984 Carnival! Edited by Thomas A. Sebeok
(Texts by Umberto Eco, V.V. Ivanov, Monica Rector). Berlin ; New York ;
Amsterdam : Mouton publishers 35 Translations: Kanibaru! Tokyo :
Iwanami shoten, 1987 Carnaval! Tezlonte: Fondo de cultura economica, 1989 1988
Meaning and mental representations. Edited by U. Eco, M. Santambrogio and P.
Violi. Bloomington: Indiana U.P. 1989 On the medieval theory of signs. Edited
by U.Eco and C. Marmo. Amsterdam: Benjamins, 1989. 1992 Gli gnomi di Gnu, with
Eugenio Carmi. Milano: Bompiani. Translations: Gnuttarna på Gnu. Stockholm:
Brombergs, 1992 The gnomes of gnù. Milano: Bompiani-Stefanel, 1992 Le gnomes de
Gnou. Paris: Grasset, 1993 Os gnomos de Gnu. Lisboa: Presença, 1992. Los Gnomos
de Gnu. Barcelona: Lumen, 1994. De Gnomen van Gnu. Amsterdam: Bakker, 1992. Die
Gnome von Gnu. Bompiani/Stefanel, 1992. Oi nanoi toy Gnou. Athens: Gnosis,
1992. Now Athens: Ellenika Grammata 2004 Kobito no hoshi nieu.
Bompiani/Stefanel 1992. Gnomy z planety Gnu. Wrocław: Wydawnictwo Dolnośląskie,
1994 Els gnoms de Gnu. Barcelona: Lumen, 1992. Os gnomos de Gnu. Lisboa:
Presença, 1992 1995 Povero Pinocchio. Edited by U.Eco. Modena: Comix, 1995.
1998 Entretiens sur la fin des temps, avec J.C. Carrière, J. Delumeau, S.J.
Gould, par C. David, F. Lenoir, J.-p. de Tonnac. Paris: Fayard. Translations:
La fin dels temps. Barcelona: Empuries-Anagrama, 1999. Pensieri sulla fine dei
tempi. Milano: Bompiani 1999 Entrevista sobre a fim dos tempos. Rio: Rocco,
1999. Das Ende der Zeit. Kön: DuMont, 1999. Mo shi tan. Beijing: Zhong guo wen
chu ban she 1999. Conversations about the end of time. Harmondsworth: Allen
Lane. The Penguin Press 1999. Sigan ui chongmal : Saeroun milleniom e taehan
negaji nonui. Seoul: Kkullio, 1999 Synomilíes gia to télos toy krónoy. Athens:
Ekdotikos Organismos Libani, 1999. O fim dos tempos. Lisboa: Terramar 1999.
Zamanlarin sonu üstüne söyleşiler. Istanbul: Can Yayýnlarý 2000. Rozmowy o
końcu czasów. Wrocław: Wydawnictwo Dolnośląskie, 2000. 1999 Gérard de Nerval,
Sylvie , Translation and Postface. Torino: Einaudi 1999. 2002 Islam e
occidente. Riflessioni per la convivenza. With M. Camdessus, J. Daniel and A.
Riccardi. Roma: Laterza. 2004 Tre racconti.Milano: Bompiani. New edition of La
Bomba e il generale, I tre cosmonauti, Gli gnomi di gnu. 36 Translations:
Trei Povestiri. Bucuresti: Polirom 2005 Trzy Opowieści. Poznan: Dom Wydawniczy
Rebis 2005 Cecü' nün Yer Cüceleri. Istanbul: Yky 2005. Korean translation.
Seoul: Momo 2005 Tres contos. Sao Paulo: Berlendis & Vertecchia 2007 Três
pequenas histórias. Lisboa: Caderno 2007 Los Tres Tosmonautas e Contes Mei.
Ortès: Per Noste Edicions 2011 Geschichten fur aufgeweckte Kinder . München:
Hanser 2012 (Chinese tr.) 2001 Tri Skazki. Moskva : OGI 2013 Tri opovidki. Kiev
: Laurus 2013 (Iranian tr.) Teheran:Hatami Abolhassan 2014 2004 Storia della
bellezza, ed. b.y U.Eco. Milano:Bompiani. Vintage 2012 Translations: Histoire
de beauté: Paris: Flammarion, 2004 Die Geschichte der Schönheit. München:
Hanser, 2004. History of Beauty. NewYork: Rizzoli, 2004 On Beauty. History of a
Western idea. London: Secker & Warburg, 2004 Skjønnhetens Historie. (Oslo):
Kagge, 2004 História da belleza. Lisboa: Difel 2003 Historia de la belleza.
Barcelona: Lumen 2004 (ed de bolsillo 2010) Iστορια τησ ομορφιασ. Athens:
Ekdoseis Kastanioti 2004 Povijest ljepote. Zagreb: Hena Com 2004 Istorija
lepote. Beograd: Plato 2004 A szépség története. Budapest: Europa 2005 História
da belleza. São Paulo: Record 2004; Circulo de Leitores 2005. Historia piękna.
Poznań: Rebis 2005 De Geschiedenis van de Schoonheid. Abakker 2005 (Corean
Translation) Seoul: Open Books 2005 Om Skönhet. Stockholm: Brombergs 2005
Skønhedens historie. Amsterdam: Ascheoug 2005 Dějiny krásy. Praha: Argo 2005.
Historia frumuseţii. Bucuresti: Enciclopedian RAO 2005 (Japanese tr.) Tokyo 2005
Skǿnhedens historie. Ascheoug Dansk Forlag 2005 Istorija krasotvi. Moskva:
Slovo 2005 Zgodovina Lepote. Ljubliana: Modrijan 2006 37 (Chinese
tr.) Taiwan 2006 Ilu ajalugu. Tallinn: Eesti 2006 Güzelliğin tarihi. Istanbul:
Doğan Kitapçilik 2006 Istorija na krasotata. Sofia: Kibea 2006 (Chinese
simplified characters) Shanghai: Central Compilation and Translation Press 2006
Deutscher Taschenbuch Verlag 2006 (Hebrew tr. Or Yehuda: Kinneret 2010 2007
Storia della bruttezza. Ed. by U. Eco.Milano: Bompiani Translations: On
ugliness. New York: Rizzoli international 2007 On ugliness. London: Secker 2007
Histoire de la laideur. Paris: Flammarion 2007 Die Geschichte der Hässlickheit.
München: Hanser 2007 Istoria Urâtului. Bucuresti: Enciclopedia rao 2007 Istoria
tēs Asxēmias. Athena: Ekdoseis Kastaniōtē 2007 Istyorija Yrodstva. Moskva:
Slovo 2007 Des Geschiedenis van de Lelijkheid. Amsterdam: Bakker 2007 Dĕjiny
ošlivosti. Praha: Argo A rútság törtenete. Budapest: Europa 2007 Istorija
ružnoće. Beograd: Plato 2007 História da feiúra. Rio de Janeiro: Record 2007
História do feio. Lisboa: Difel 2007 Historia de la fealdad. Barcelona: Lumen Historia
brzydoty Poznan: Rebis 2007 Kauneuden istoria. Helsinki: WSOY 2008 Korean
transl. Seoul: Open Books Neglītuma vēsture. Riga: Jāņa Rozes. Zgodoviuna
Grdega. Ljublijana: Modrijan 2008 Inetuse Ajalugu. Tallinn: Eesti
Entsüklopeediakirjastus Om Fulhet. Stockholm: Brombergs 2008 Chinese transl.
Taiwan: Linking 2008 Simplified ChineseEdition: Central Compilation and
Translation Press (Hebrew translation) Or Yehuda: Kinneret 2The Art of Fiction
No 197. Interview with Lila Azam Zaganeh. The Paris Review 185, pp.74-109. 2009
N’esperez pas vous debarrasser des livres (entretiens avec Jean-Claude
Carrière). Paris: Grasset. Club Edition. Livre de Poche. Translations: Non
sperate di liberarvi dei libri. Milano: Bompiani 2009. Edition Mondolibri. Nadie
acabará con los libros. Barcelona: Lumen Knih se jen tak nezbavíme. Praha: Argo
2010 Complex Chinese Edition. Taiwan: Crown Die grosse Zukunft des Buches.
Munich: Hanser DTV Simplified Chinese Edition. Guangxi Normal University Press
2010 Não contem com o fim do livro. Rio de Janeiro. Record Ne nadeiytes’
izbavit’sja ot knig! Moskva: Symposium. Min elpizete na apallageite apo ta
biblia. Athena: Ekdotikos Organismos Libani Nie myśl, że książki znikną.
Warszawa: WAB 2010 Nu speraţi că veţi scăpa de cărti. Bucuresti: Humanitas 2010
(Japanese transl.) Tokyo: Hankyu Communications Korean tr. Seoul: Open Boks. This
is not the end of the book. London: Harvill Secker Vintage Books Ne rémelje,
hogy megsza badul a könyvektől. Budapest: Europa Konyvkiado 2010 Nesitikėkite
atsiktatyti knygų. Leydikla: Zara 2011 Kitaplardan kurtulabileceğinizi
sanmayin. Istanbul: Can Yainlari Tova ne e kpajat na knigite. Sophia:
Enthusiast Nebbia, with Remo Ceserani eds. Torino: Einaudi Il Cinquecento
(Editor) . Corriere della Sera Historia (Editor). Milano: Motta 2009 Il
Medioevo (Editor) La Biblioteca di Repubblica-L’Espresso. Il Medioevo. Encyclomedia
Publishers.Translations: Idade Media: Barbaros, Cristao e Muçulmanos.
Alfragide;, Dom Quixote, Idade Media: Catedrais, Cavaleiros e Cidades,
Alfragide: Dom Quixote 2013, Idade Media: Castelos, Mercadores e
Poetas.Alfragide: Dom Quixote Ortacag: Barbarlar, Hiristiyanlar, Muslumanlar,
Istanbul: ALFA Oetacag: Katedraller, Svalyeler, Sehirler),Istanbul:ALFA La
grande Storia (Editor). 14 voll. Corriere della Sera 2012 L’antichità. Grecia
(Editor). Milano: Encyclomedia L’età moderna e contemporanea (Editor). La
Biblioteca di Repubblica-L’Espresso Il Settecento. Il secolo delle rivoluzioni.
2 voll. Milano: Encyclomedia (with Fedriga,
eds.) Storia della filosofia. 3Roma Laterza. Milano: EM (with Pezzini) El museo. Madrid: Casimiro (with Fedriga, eds.) La filosofia e le sue
storie. Roma: LaterzaUmberto Eco.
Keywords: il nome del nome, lingua perfetta; semiotica, la rosa segnata --. Refs.:
Umberto Eco on H. P. Grice in “Cognitive constraints on communication,” Luigi Speranza,
"Grice ed Eco: semantica filosofica," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice
ed Ecebolio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Tutor of Giuliano. More of
a sophist, he appears to have had flexible religious convictions (or none) –
Giuliano recalls: “He may be a pagan or a Galileian as the political climate
demands!”
Grice
ed Efanto – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotona). Filosofo italiano. According to Iamblicus,
a Pythagorean. He appears to be the same person referreed to by Ippolito as
Efanto di Siracusa. According to Ippolito, Efanto believes it is impossible to
have an accurate knowledge of things, but also believed that everything in the
world is formed by size, shape, and capacity. He claims that the world is a
sphere, the most perfect of all geometrical shapes, reflecting the fact that it
was the product of a divine mind, which as also source of all movement. A work
on kings attributed to him may be a a different author.
Grice ed Egea – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotona). Filosofo italiano. According to Iamblichus of Chalcis (“Vita di
Pitagora”), a Pythagorean.
Grice ed Egnazio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Egnazio was a follower of the Garden. He wrote a
poem, “The rerum natura.” It bears some resemblances to the work of the same
name by Lucrezio and is generally thought to have been written after it.
Grice ed Eirisco – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Metaponto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean.
Grice ed Elandro – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to Giamblico.
Grice
ed Eliano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Praeneste). Filosofo italiano. Claudio Elio was a
teacer of rhetoric. However, he was also a popular and prolific author, and
some of his writings, mainly comprising collections of anecdotes, survive. In
his more philosophical works he took the line of the Porch. ELIO – Miscelanea
storica – ed. Wilson, Loeb Classical Library).
Elcasai
– Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A gnostic. One of his followers, Alcibiades,
brought a book by him to Rome, claiming that its contents had been revealed to
Elcasai by an angel. The cult he founded believed in reincarnation and that
Pythagorean science provides a means of predicting the future. There was also a
magical healing side to the cult, and it claimed to be able to cure rabies.
Grice
ed Eleucadio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ravenna). Filosofo italiano. A philosopher.
Grice
ed Elicon – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by
Giamblico. He was renowned as a legislator and helped to revise the
constitution of Reggio.
Grice
ed Eliodoro – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Porch. During Nero’s
principate. Eliodoro seems to have been an informer with regard to at least one
of the many plots of th period.
Grice
ed Eliodoro – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The Garden. A close friend
of Adriano. He succeeded Popillio Teotimo as Garden Master (or Tyrant).
Grice
ed Elpidio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Elpidio was a philosopher
with whom Giuliano was in correspondence.
Grice
ed Elvidio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). FIlosofo italiano. Elvidio Prisco – The son in
law of Thrasea Peto. Porch, involved in politics, he spent periods in exile,
but was admired as a man of principle.
Grice
ed Emina – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Lucio Cassio Emina – a
Pythagorean and a historian.
Grice
ed Empedotimo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. According to Eraclide
di Ponto, Empedotimo has a vision that reveals the structure of the universe.
Grice ed Ennea – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo
italiano. According to Iamblicus of Chalcis, Aeneas was a Pythagorean.
Grice ed Ennio – Roma -- il
primo filosofo inglese, il primo filosofo latino – filosofia italiana – Luigi
Speranza. Quinto Ennio poeta, drammaturgo e scrittore romano Lingua Segui
Modifica Quinto Ennio (in latino: Quintus Ennius; Rudiae, 16 luglio 239 a.C. –
Roma, 8 ottobre 169 a.C.) è stato un poeta, drammaturgo e scrittore romano.
Viene considerato, fin dall'antichità, il padre della letteratura latina,
poiché fu il primo poeta ad usare la lingua latina come lingua letteraria in
competizione con quella greca. Ennio che ascolta Omero, immaginato
da Raffaello nel Parnaso, Stanze Vaticane Biografia Modifica Quinto Ennio
nacque nel 239 a.C. a Rudiae, nei pressi di Lecce, città dell'antica Calabria
(l'attuale Salento, corrispondente alla Puglia meridionale) in cui allora
convivevano tre culture: quella greca che aveva come centro maggiore Taranto,
quella osca dei centri minori indigeni italici, e quella dell'occupante
romano[1]: Aulo Gellio testimonia infatti che Ennio, pur vantandosi di discendere
da Messapo (eroe eponimo della Messapia e dei Messapi)[2], era solito dire di
possedere "tre cuori" (tria corda), poiché sapeva parlare in greco,
in latino e in osco[3]. Durante la seconda guerra punica militò in
Sardegna e nel 204 a.C. vi conobbe Catone il Censore, che lo portò con sé a
Roma[4]. Qui ottenne la protezione di illustri uomini politici quali Scipione
l'Africano e, poco tempo dopo, entrò in contatto con altri aristocratici del
circolo degli Scipioni, filoelleni, come Marco Fulvio Nobiliore. Queste amicizie
lo posero in conflitto con Catone, diffidente nei confronti delle altre culture
e di quella greca in particolare. Nel 189 a.C. Marco Fulvio Nobiliore,
nella guerra contro la Lega etolica, condusse con sé Ennio come poeta al
seguito, con il compito cioè di celebrare le gesta del generale (come in
effetti fece nella tragedia praetexta Ambracia). Questo scandalizzò Catone in
quanto comportamento contrario al costume degli avi, al mos maiorum. Cinque
anni dopo Quinto Fulvio Nobiliore, figlio di Marco, gli assegnò dei terreni
presso la colonia da lui dedotta a Pesaro e gli fece conferire la cittadinanza
romana. Riconoscente, Ennio espresse orgogliosamente questa concessione:
(LA) «Nos sumus Romani qui fuimus ante Rudini» (IT) «Sono cittadino
di Roma, io che un tempo fui cittadino di Rudiae» (Quinto Ennio,
Annales[5]) Ennio, messo a capo del collegium scribarum histrionumque,
trascorse gli anni della vecchiaia in relativa orgogliosa miseria, con una sola
serva al suo servizio, attendendo alla composizione delle sue tragedie e del
poema epico: (LA) «Annos septuaginta natus - tot enim vixit Ennius
- ita ferebat duo quae maxima putantur onera, paupertatem et senectutem, ut eis
paene delectari videretur» (IT) «A settant'anni - tanti, infatti,
ne visse - Ennio sopportava la povertà e la vecchiaia, che si suole considerare
come le cose più moleste, quasi sembrando che ne godesse» (Cicerone, De
Senectute, 14 - trad. A. D'Andria) Tra i suoi discepoli ricordiamo il nipote
(figlio di sua sorella), il tragediografo e pittore Marco Pacuvio, e il
commediografo Cecilio Stazio (con cui condivise l'abitazione).
Sofferente di gotta, Ennio morì a Roma nel 169 a.C. Per i suoi meriti,
oltre che per l'amicizia personale, fu sepolto nella tomba degli Scipioni, sull'antica
Via Appia, dove fu raffigurato da un busto su cui era inciso un epitaffio in
distici elegiaci che Cicerone credeva composto dallo stesso Ennio:
(LA) «Aspicite, o cives, senis Enni imaginis formam: hic vestrum panxit
maxima facta patrum. Nemo me lacrumis decoret, nec funera fletu faxit. Cur?
Volito vivus per ora virum» (IT) «Ecco, o cittadini, i tratti
dell'effigie del vecchio Ennio: costui le massime gesta cantò dei vostri padri.
Nessuno di lacrime mi onori, né la mia morte pianga. Perché? Volo vivo tra le
bocche degli uomini» (Quinto Ennio) Opere Modifica Cosiddetta testa
di Ennio, dal sepolcro degli Scipioni sull'Appia. Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Storia della letteratura latina (240
- 78 a.C.). Ennio sperimentò numerosi generi letterari, molti dei quali a Roma
erano poco conosciuti o del tutto sconosciuti, pertanto è stato definito il
vero padre della Letteratura latina[6]. Della maggior parte di
queste sue opere rimangono solo pochi frammenti e titoli. Per quanto
riguarda l'epica, si conoscono gli Annales e lo Scipio[7]. Gli Annales
furono il poema nazionale del popolo romano prima che fosse composta l'Eneide
(29-19 a.C.). Ennio narrava la storia di Roma anno per anno, come spiega lo
stesso titolo, dalle origini sino al 171, sino a poco prima della morte del
poeta, dunque, avvenuta nel 169 a.C., e si ispira al modello greco, come farà
poi Virgilio. L'opera era strutturata in 18 libri, suddivisi in tre gruppi di
sei, detti esadi, ma rimangono solo 600 versi dei circa 30 000 originali.
Nel proemio posto all'inizio dell'opera Ennio racconta che Omero stesso gli era
apparso in sogno per rivelargli di essersi reincarnato in lui dopo avergli
esposto la dottrina pitagorica della metempsicosi, ovvero della transmigrazione
delle anime. Mentre nei primi libri sono raccontati gli eventi che vanno dalle
origini all'invasione di Pirro (280-272), nei successivi il racconto arriva
fino al 171 a.C., due anni prima della morte del poeta. Nel proemio della
seconda esade, poi, Ennio polemizza con coloro che lo criticavano per aver
introdotto l'esametro, polemizzando contro gli autori che scrivevano in saturni
- con chiaro riferimento a Nevio, che comunque omaggiava, non ripetendo la
narrazione della prima guerra punica - e racconta gli eventi dalle guerre
puniche sino alla seconda guerra macedonica, mentre la terza esade è quasi del
tutto andata perduta. Per quanto riguarda le composizioni drammatiche,
per concorde affermazione degli antichi, Ennio eccelleva nella tragedia, con
composizioni come Alexander, Andromaca prigioniera, Medea, Tieste, Achille,
Aiace, Il riscatto di Ettore, Ecuba, Ifigenia, Telamone, Telefo. A parte, come
praetextae, Sabinae[8] e Ambracia[9]. Che non fosse un grande poeta comico, lo
testimonia il fatto che restano solo pochissimi versi e due titoli di commedie,
la Caupunculae e il Pancratiastes. Alla poesia dotta appartenevano titoli
come Epicharmus ed Euhemerus, di tono filosofico, gli Hedyphagetica[10], o
ancora, sul versante della poesia disimpegnata, le Saturae e gli
Epigrammi[11]. Il mondo poetico e concettuale di Ennio Modifica Ennio fu
il primo poeta latino a scrivere un poema in esametri, il metro di Omero, che
fu poi utilizzato da tutti i poeti epici successivi: il suo capolavoro, gli Annales,
fu il primo poema epico a narrare la storia di Roma dalle origini facendo di
Ennio il "vate" di Roma e tra i principali modelli stilistici del De
rerum natura di Lucrezio e dell'Eneide di Virgilio. Scrisse numerose commedie e
tragedie di cui restano pochi frammenti, e da altri frammenti si ritiene che
abbia scritto anche alcune satire, anticipando addirittura Lucilio, considerato
il padre del genere. (LA) «O Tite tute Tati tibi tanta
tyranne tulisti!» (IT) «O Tito Tazio, tiranno, tu ti attirasti
disgrazie tanto grandi!» (Quinto Ennio) Poiché i frammenti a noi
pervenuti sono pochi e giunti per tradizione indiretta, non siamo capaci di
valutare la struttura compositiva del poema maggiore e le tecniche della
narrazione, ma emergono con sufficiente chiarezza le caratteristiche della
lingua e lo stile elevato e solenne, che appaiono frutto di un geniale
contemperamento di tratti tipicamente latini e audaci innovazioni grecizzanti.
Ricorre spesso ad arcaismi internazionali, tratti distintivi di derivazione omerica
(tanto che si presenta nel proemio come Omero redivivo, e Orazio stesso lo
definisce alter Homerus, "altro Omero"). Infatti fu ritenuto uno dei
principali fautori dell'ellenizzazione; nonostante Catone fosse uno degli
scrittori più attaccati alla cultura romana, riconobbe e apprezzò in Ennio le
doti intellettuali. Pare che fu Ennio ad introdurre l'esametronella letteratura
latina, formando i suoi versi anche solo con degli spondei (infatti sono detti
versi olospondaici). In Ennio abbondano le metafore, sempre molto
presenti nei poemi epici, le allitterazioni e l'uso della retorica. Note
Modifica ^ La vita: Ennio e i suoi continuatori, su sapere.it, De Agostini
Editore S.p.A. URL consultato il 28 dicembre 2020 (archiviato il 5 settembre
2018). ^ Quinto Ennio, Annali (Libri IX–XVIII). Commentari. Volume IV. Napoli:
Liguori Editore, pp. 316 e ss. ^ Quintus Ennius tria corda habere sese dicebat,
quod loqui Graece et Osce et Latine sciret("Quinto Ennio diceva di avere
tre anime in quanto parlava greco, osco e latino") - Aulus Gellius, Noctes
Atticae 17.17. ^ Cornelio Nepote, Catone, I 4. ^ v. 525 Skutsch. ^ Quinto
Orazio Flacco ^ Poemetto epico-encomiastico, del quale restano solo 14 versi,
dedicato a Publio Cornelio Scipione, nel quale il condottiero viene descritto
come perfetto exemplum di vir romanus ^ Trattava il ratto delle Sabine. ^
Trattava le gesta di Marco Fulvio Nobiliore in una spedizione contro gli Etoli
nel 189 a.C., culminata nella presa della città di Ambracia. ^ Catalogo di cose
buone da mangiare, redatto con vena salottiera e decisamente superficiale, come
evidente dall'unico frammento pervenutoci, di 11 versi, in Apuleio, De magia,
11. ^ Componimenti in distici elegiaci che si rifacevano a momenti particolari
della vita dell'autore. Voci correlate Modifica Rudiae Sepolcro degli Scipioni Ènnio,
Quinto, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata Nicola Terzaghi, ENNIO, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1932. Modifica su Wikidata
Ennio, Quinto, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Quinto
Ennio, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su
Wikidata ( LA ) Opere di Quinto Ennio, su Musisque Deoque. Opere di Quinto
Ennio, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Opere di Quinto Ennio,
su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata ( EN ) Opere di
Quinto Ennio, su Open Library, Internet Archive. I frammenti degli annali editi
e illustrati da Luigi Valmaggi, Torino, Casa Editrice Ermanno Loescher, 1900. (
EN , LA ) Remains of old latin. Vol. 1: Aennius and Caecilius, E.
H. Warmington (a cura di), Cambridge-London, 1935, pagg. 1-465. Ennianae Poesis
Reliquiae, Johannes Vahlen (a cura di), Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri,
1854 e 1903². Portale Antica Roma Portale Biografie
Portale Letteratura Portale Lingua latina Portale
Teatro. Annales (Ennio) poema epico scritto dall'autore latino Quinto
Ennio Marco Fulvio Nobiliore politico romano Ambracia (Ennio)
Wikipedia Il contenuto. Quinto Ennio was a famous arly Roman poet. In his
poems, he demonstrates a familiarity with various ideas from philosophy and
helped to introduce these to the Roman world. Ennio. Keywords: il primo
filosofo inglese, il primo filosofo latino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed
Ennio”, The Swimming-Pool Library.
Grice ed Emiliani – semiotica – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Lugo). Filosofo
italiano. Grice: “I like Emiliani; of course in proper English we don’t
pluralise ‘meanings’! But he speaks of ‘significati,’ which is literate! The
vernacular Italian is ‘segno,’ and the ‘ficare’ is also learned latinate! Gotta
love him!” Dio è la mia speranza Anch'io
vivo nella speranza di avere amici in cielo che pregano per me e che attendono
di unirsi a me nella nostra comune patria. Dobbiamo sempre ricordare che questa
vita terrena è soltanto un passaggio verso la nostra vera patria che è quella
celeste. La Madonna è apparsa e ha parlato a moltissimi veggenti di molti
popoli e nelle più svariate circostanze, come una persona viva, che promette,
annunzia, loda, esorta, profetizza, prega, guida e protegge dai pericoli,
risana i malati, opera i miracoli, piange, invita alla conversione ed alla
penitenza, aiuta ad avvicinarsi a Cristo, suo Figlio. La mia sicura bussola è
camminare sulla strada della carità in ogni circostanza della vita. La presenza
in noi dello Spirito Santo è la caparra della nostra vita eterna futura. Solo
Dio resta. Egli è l'unica roccia a cui mi posso aggrappare per non essere
travolto dai flutti tempestosi in mezzo ai quali galleggio. Alessandro Emiliani, Dio è la mia speranza,
Edizioni Studio Domenicano. Nel suo saggio sul
segnato, valore, communicazione e ragionamento, Emiliani presenta un'analisi del
‘segnato,’ topico della semiotica. Il segnato è
un modo di una correlazione astratta posta dall'attività razionale
intersoggettiva e cooperativa con cui un contenuto e intenzionato e strutturato
in ordine al valore della profferenza e alla correttezza del ragionamiento
conversazionale. La forme logica non è innata,
né e un atto o evento psichico soggettivo, ma una struttura intersoggetiva
astratta e relazionale, invariante intersoggettivamente. Il segnato (non il
‘segno’) fonda la correttezza del ragionamiento conversazionale (colloquenza –
dialettica), segnato dal segno di una operazione (negans, negatum, negatore; connettivi,
-- conjunctum, congiutivo, disjunctum, disgiuntivo, ‘if’ filoniano, il quantificatore
universale o totale (ogni), il quantificatore parziale o essitenziale (G.
jemand), il descrittore, descriptum) non è
privo di ‘segnato’. Il segno di negazione, p. es., ‘non’, segna la negazione.
‘Non piove’ segna che non è il caso che piove.
Il segno (‘non’) ha come UNICO segnato quello che s’esprime nella forma logica
(explicatura, no implicatura). L’intensionale e il contenuto nozionale di ciò
che è mentato o segnato, distinto dal segnato estensionale o funzionale – e
spiegabile in una teoria di mondi possibili. Pensatile sempre dentro e mediante
una determinata struttura logicha. L’atto de denotare (referire) e l’atto di
predicare sono le due elementi di un complesso proposizionale (“Fido is
shaggy”). Un oggetto dell'universo di riferimento, considerato reale nel modo
più ampio (valore di una variabile). Il valore di una profferenza è spiegato da
una teoria della correpondenza. Il valore di soddisfacibilità e parte del meta-languaggio che presuppone la sintassi, la
semantica, e la prammatica. Lo scopo del griceanismo: il segnato. Fondamento
della introduzione del segnato, simbolo mono-semantico, simbolo bi-semantico,
simbolo tri-semantico, segnato del termine, segnato della formula del
linguaggio. Relazione estensione/intensione, referenza e predicazione. Il
valore della profferenza di soddisfacibilità e
meta-linguistico. Rapporto tra sintassi, semantica e pragmmatica – linguaggi-
oggeto e meta-linguaggio. Il linguaggio di una teoria del ragionamiento
formalizzata elementare – Sistema G-hp. Calcolo di predicati di primo ordine
con identità.
Sintassi di una generica teoria del ragionamento normalizzata
elementare. Simbolo primitivo. Definizione ricorsiva del termine, definizione
ricorsiva della formula del sistema G-hp. Termine aperto e termine chiuso.
Formula aperta e formula chiusa. Profferenza semplice, proferrenza complessa.
Componente deduttivo, induttivo ed adduttivo di una generica teoria del
ragionamiento elementare (G. R. I. C. E. – gruppo per la ricerca dell’inferenza
e la comprensione elementare). Il segnato di una profferenza in romano ed
italiano (Piove). Il segnato intenzionale di una profferenza semiotica
comunicativa, distinzione tra atto intenzionale dell'io e forma intenzionale
con cui ciò che è segnato e compressibile dal ‘tu’, intenzionalità e
consapevolezza, forma intenzionale, contenuto intenzionato. Profferenza e modalità
intenzionale. Tre dimensioni del segnato nella profferenza comunicativa; Il
segnato della profferennza assertiva (il simbolo di Frege),L’assertivo di una
profferenza semplice. Segnato intensionale (il senso fregeiano) di una
profferenza semplice. Il topico o denotatum di una profferenza semplice (“The
dog is shaggy”). Il segnato logico del termine, il segnato intensionale del
termine, il segnato referenziale del termine, ragioni che giustificano
l'introduzione di una descrizione chiusa nel Sistema G-hp di una teoria del
ragionamento Normalizzata elementare. Il segnato logico, intensionale e
referenziale del segno predicativo (‘shaggy’), il segnato logico del segno
predicativo, il segnato intensionale del segno predicativo, Relazione tra
segnato logico e segnato intensionale del segno predicativo. Il segnato
referenziale del segno predicativo, rapporti tra il segno intensionale e il
referente o denotatum or relatum di un segno predicativo. Il segnato del segno mono-sematico.
Il segnato logico del segno del negare
(cf. Grice, “Negation and Privation”). Il segnato logico di una operazione di
connessione fra sintagme: le particelle coordinante ‘e’, ‘o,’ e subbordinante,
‘se’, il segnato del segno di quantificazione totale o universale, ‘ogni’ – il
segnato del segno di quantificazione sustituzionale parziale o esistenziale
(Ex), Il segnato del segno dell’articolo definito (‘il’), descrizione, el
segnato logico dei segni ausiliari, il segnato intensionale e referenziale di
una profferenza complessa, il segnato intensionale di una profferenza
complessa; il denotatum di un profferenza complessa. Refutazione delle
impostazione convenzionalista (in termini di implicatura convenzionale) di
Strawson circa l'interpretazione del formalismo. Ragioni della inadeguatezza
dell’approccio di Strawson, interpretazione logica, interpretazione intensionale
e interpretation referenziale della semantica di una teoria dell’inferenza elementare,
interpretazione intensionale del linguaggio di una teoria, interpretazione
referenziale del linguaggio di una teoria, il valore di satisfactorieta di una
profferenza nel sistema G-hp nel quadro del meta-linguaggio. I requisiti della
definizione del valore di soddisfacibilità; condizioni
che rendono la definizione di ‘soddisfacibile’ adeguata al contenuto della
nozione intuitiva, condizioni che devono essere soddisfatte perché la
definizione del valore sia formalmente sana. Il valore di soddisfacibile associato
a una profferenza del sisstema G-hp. Considerazioni sulla definizione del
valore di soddisfacibile, distinzione tra concetto di soddisfacibilità e criterio di soddisfacibilità. Il valore di soddisfacibilità associato ad una profferenza non è ‘segnato’ dalla
profferenza o profferente a cui è associata, il soddisfacibile rispetto alla
profferenza a cui a associate non e ‘segnato’, ma un valore. Il soddisfacibile è
meta-linguistico, profferenza soddisfacibile, relazione tra profferenza
soddisfacibile e ragionamento sano. Il principio di bivalenza (Tertium non
datur – il terzo incluso). Stato del problema: la polemica Grice/Strawson. Il valore
di soddisfacibilità è associabile soltanto
alla profferenza per la quale il communicatore o profferente (implicans,
implicaturus) segna che p o q, il valore di soddisfacibilità e associabile a
ogni profferenza. Critica di un sistema bivalente che accetta la categoria
confuse di “lacuna” di valore di soddisfacibilità. Bivalenza e il sistema considerato
poli-valente. Bivalenza e l’intuizionismo di Lemmon e Dummett. Communicazione e
segnato, rapporto tra materia e forma dell’espressione per la quale il
communicatore o profferente o implicaturus segna (empiega) che p o q e il
rispettivo segnato. Il segnato come
criterio per determinare la primitività di un
simbolo, Le regole o teoremii di formazione sintattica d’introduzione e
eliminazione, il teorema del ragionamiento sano definito dalla sintassi e il
segnato logico. Communicazione naturale, segnare artificiale, arbitrario, non
naturale, e segnato. Natura, genesi, funzione e invarianza della forma e
struttura logica. Natura, genesi e funzione della forma predicativa (“Fido is
shaggy”), natura, genesi e funzione della forma soggettiva o topica, natura,
genesi e funzione della forma logica semplice, Natura, genesi e funzione della
forma logica espressa da un simbolo mono-semantico di operazione logica, Rapporto
tra l'attività dell'io intenzionante (implicaturus, e la struttura logica
intesa come modalità con cui il contenuto e intenzionato (“He went to bed and
took off his boots”). L'invarianza della forme o struttura logica.
Wikipedia Ricerca Significato Lingua Segui Modifica Ulteriori
informazioni Questa voce o sezione sull'argomento linguistica è priva o carente
di note e riferimenti bibliografici puntuali. «Noi non sappiamo che cosa
significano le parole più semplici, tranne quando amiamo e desideriamo.»
Emiliani, “Significati e verità dei linguaggi delle teorie deduttive(Ralph
Waldo Emerson) Il significato è un concetto espresso mediante segni che possono
essere grafici, verbali-orali, o mediante cenni e gesti. Il significato
permette di capire o esprimere il senso, il valore o il contenuto del segno.
Secondo il linguista ginevrino Ferdinand de Saussure, il segno linguistico è
costituito dall'unione di un significato (un concetto, cioè la nozione mentale
che abbiamo di un determinato oggetto) con un significante (cioè una forma
sonora, o un'immagine uditiva). Il triangolo semiotico In semantica
(la disciplina che studia i rapporti tra segni e oggetti), secondo il classico
modello a tre elementi, il significato è la nozione o immagine mentale generica
che possediamo di un oggetto, la quale media tra la parola e la cosa. Ad es. il
concetto di albero ci dà modo di riconoscerlo sia che si tratti di una quercia
sia di un melo. Il significato è indicato graficamente o foneticamente dal
significante, mentre l’albero reale al di fuori della sfera linguistica è detto
referente. Va notato che mentre significato e significante sono sempre
presenti, il referente può mancare o cessare di esistere (es. nelle parole
“Napoleone” o “unicorno”). In semiotica, il significato è uno dei vertici
del triangolo semiotico postulato da Charles Peirce, come mostrato nella figura
accanto. Per quanto riguarda la porzione di realtà indicata, si distingue
in genere tra: denotazione, ovvero ciò che una parola indica in quanto
tale (uomo, e il suo significato di animale razionale); riferimento, ovvero ciò
che una parola indica in una frase determinata (quell'uomo è alto). BibliografiaModifica
Gottlob Frege, Senso, funzione e concetto, (edizione originale 1892). Giorgio
Graffi; Sergio Scalise, Le lingue e il linguaggio. Bologna, Il Mulino, 2002.
ISBN 88-15-09579-9 Charles Kay Ogden e Ivor Armstrong Richards, Il significato
del significato. Studio dell'influsso del linguaggio sul pensiero e della
scienza del simbolismo, con saggi in appendice di B. Malinowski e F. G.
Crookshank, trad. Luca Pavolini, Milano, Il Saggiatore, 1966 (orig.: The
Meaning of Meaning. A Study of the Influence of Language upon Thought and of
the Science of Symbolism, London, Routledge & Kegan Paul, 1923). Ferdinand
de Saussure, Corso di linguistica generale, Bari, Laterza, 1970, (edizione
originale 1916). Voci correlateModifica Disambiguazione Semantica Semantica
lessicale Significato (psicologia) Struttura (semiotica) Triangolo semiotico
Altri progettiModifica Collabora a Wikizionario Wikizionario contiene il lemma
di dizionario «significato» Portale Linguistica: accedi alle voci
di Wikipedia che trattano di linguistica Ultima modifica 6 mesi fa di Dedda71
PAGINE CORRELATE Segno concetto base della semiotica Significante
Triangolo semiotico Wikipedia Il contenuto Grice: “Alessandro Emiliani
should be distinguished from Alessandro Emiliani. Alessandro Emiliani is a
philosopher; Alessandro Emiliani is a semiotician!” Alessandro Emiliani. Emiliani.
Keywords: semiotica, Dr. Wilde, Wilde lectures on religion? That’s after Henry
Wilde, not a doctor? He was a doctor: “Dr. Henry Wilde” -- -- -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice ed Emiliani” – The Swimming-Pool Library.
Grice
ed Emon – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorian according
to Giamblico.
Grice
ed Empedo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico.
Grice
ed Endio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico.
Grice ed Enriques – implicatura
arimmetica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Livorno). Filosofo italiano. Grice:
“I like Enriques; of course his “Problemi della scienza’ implicates that
philosophy does not have any!” Il Dipartimento "Federigo
Enriques" di Matematica dell'Università degli Studi di Milano, via
Saldini, Milano. Nato in una famiglia ebrea, si trasferì a Pisa. Suo fratello
Paolo Enriques, uno zoologo, fu padre di Enzo Enriques Agnoletti e Anna Maria
Enriques Agnoletti. Dopo gli studi liceali, compì gli studi universitari a Pisa
e la Scuola Normale Superiore. Si laurea. Frequenta in seguito un anno di
perfezionamento a Pisa e uno a Roma, dove ebbe modo di incontrare e collaborare
con Castelnuovo. Inizia inoltre a collaborare con Cremona, Segre e Amaldi.
Lincei. Insegna a Bologna. Fu invitato presso l'Roma, per occupare la
cattedra di matematiche superiori e di geometria superiore. Venne invitato da Neurath
a divenire un collaboratore dell'Encyclopaedia of Unified Science, la cui
pubblicazione era stata individuata come lo strumento per lo sviluppo del
movimento per l'unità della scienza (cf. Grice, “Einheit des Wissenschaft”).
Quando però furono promulgate le leggi razziali anti-ebraiche, e espulso
dall'insegnamento e da qualsiasi altra occupazione legata all'attività
culturale. Durante l'occupazione tedesca fu dapprima nascosto in casa di Frajese e poi a San Giovanni in Laterano. Insegna
a Roma nella scuola ebraica clandestina fondata da Castelnuovo per i giovani
ebrei estromessi dalle università italiane, e riusce a pubblicare alcuni
articoli in forma anonima sul Periodico delle Matematiche, di cui era stato
direttore. Torna a insegnare. Tra i fondatori della scuola italiana di
geometria algebrica, allarga gli orizzonti del dibattito scientifico
occupandosi di filosofia, storia e didattica della matematica. Fonda la Società
filosofica italiana (di cui fu presidente), assieme a Bruni, Dionisi, Rignano e
Giardina fonda la rivista internazionale Rivista di Scienza ed e nominato
direttore del Periodico di matematiche, organo della Mathesis. Diresse, tra
l'altro, la sezione di matematica dell'Enciclopedia Italiana. Fu un
filosofo di notevole livello e la sua fama fu internazionalmente riconosciuta.
I suoi contributi allo sviluppo della geometria algebrica furono rilevanti, per
importanza e originalità. Il periodo in cui si trova a vivere era un periodo di
cambiamenti epocali, cambiamenti che interessarono anche i concetti base della
matematica e della fisica. Enriques recepì immediatamente la portata delle
novità introdotte dalle opere di Einstein, che fu da lui invitato a tenere una
conferenza a Bologna. Nel campo dei fondamenti della matematica si ricordano i
testi scolastici di grande diffusione, rivolto all'insegnamento nei licei e
scuole superiori, nei quali la geometria euclidea, l'algebra elementare e la
trigonometria vengono presentate con il metodo razionale deduttivo. Fra le sue
opere più diffuse di matematica elementare si ricordano: Questioni
riguardanti le matematiche elementare, Questioni riguardanti la geometria elementare,
Bologna Zanichelli); Elementi di Geometria ad uso delle scuole superiori (con
U. Amaldi), Zanichelli Bologna e successive edizioni e ristampe); Nozioni di matematica ad uso dei licei moderni
(con U. Amaldi), Zanichelli Bologna); Gli elementi di Euclide e la critica
antica e moderna (Roma e Bologna, Le matematiche nella storia e nella cultura,
Bologna. Come opere principali di matematica superiore si ricordano in
particolare: Lezioni di geometria proiettiva, (it, de). Lezioni di geometria
descrittiva, Bologna, Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle
funzioni algebriche. Bologna. Lezioni di geometria descrittiva, Le superficie
algebriche, Oltre alla sua attività come matematico, sviluppa significative
ricerche di epistemologia, storia della scienza e filosofia della scienza.
Questo suo impegno per il rinnovamento della cultura, avvenne in un periodo non
facile, sia per gli eventi bellici, sia per la cultura dominante nella prima
metà del Novecento, caratterizzata dalla filosofia idealistica e dal ridotto
interesse verso la cultura scientifica. Fra le sue numerose saggi in queste
materie si ricordano: Problemi della scienza” (Zanichelli, Bologna); “Razionalismo
e storicismo in "Rivista di Scienza", Zanichelli, Bologna, Il
pragmatismo in "Scientia", Zanichelli, Bologna); “Scienza e
razionalismo, Zanichelli, Bologna. Matematiche e teoria della conoscenza in
"Scientia", Zanichelli, Bologna); “Per la storia della logica,
Zanichelli, Bologna. Storia del pensiero scientifico, Bologna, scritta con G.
Santillana. Il significato della storia del pensiero scientifico, Bologna, ripubblicato
da Barbieri, La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni,
Bologna. Le dottrine di Democrito d'Abdera. Testi e commenti, con M. Mazziotti,
ripubblicato per Edizioni immanenza. Sviluppò una corrente di pensiero vicina
al razionalismo. Assieme a Peano si può considerare uno dei principali filosofi
italiani che si sono dedicati allo studio della logica e della filosofia della
scienza nella prima metà del Novecento. Ha messo in luce due aspetti fondamentali
del pensiero scientifico nella prima
metà del sec XX: la sempre maggiore specializzazione delle discipline fisiche,
tecniche, ecc. e la tendenza al rinnovamento che si è avuta sia nei fondamenti
della matematica, sia nella fisica moderna. Assieme a Bruni, Dionisi, Giardina
e Rignano, fonda la rivista di ricerca e divulgazione scientifica Rivista di
scienza (rinominata successivamente Scientia), con l'obiettivo dichiarato di
superare le divisioni disciplinari in nome dell'unità del sapere e contro
l'eccessiva specializzazione accademica. Contro codesti criterii ristretti
intende reagire soprattutto il movimento nuovo di pensiero verso la sintesi;
una Filosofia libera da legami diretti coi sistemi tradizionali, sorge appunto
a promuovere la coordinazione del lavoro, la critica dei metodi e delle teorie,
e ad affermare un apprezzamento più largo dei problemi della Scienza. Pel quale
il particolarismo stesso viene compreso in un aspetto più adeguato nella interezza
del processo scientifico. (Programma, Rivista di Scienza). Condusse la rivista,
quando un articolo di Rignano sulle cause della guerra lo costrinse a
rassegnare le dimissioni. Torna alla direzione alla morte di quest'ultimo e
sotto sua esplicita richiesta fino al’anno delle leggi razziali. Abbandonato
ogni incarico, ritorna infine alla guida di Scientia a due anni dalla morte. Il
primo saggio significativo dedicato da Enriques a questioni di metodo e
filosofia della conoscenza è l'opera Problemi della scienza nella quale compie
un'analisi articolata delle varie discipline della matematica, della geometria,
della meccanica, della fisica edella chimica alla fine del XIX secolo. Mette in
evidenza l'importanza che lo scienziato deve analizzare con la massima
attenzione, sia i fondamenti logici e sperimentali delle diverse
discipline, sia il contesto storico e le situazioni in cui i principi
scientifici sono stati scoperti. In quest'opera Enriques indica che una
visione dinamica della scienza, porta naturalmente nel terreno della storia. I
fondamenti della scienza quindi non possono essere capiti completamente se non
si analizza anche il contesto storico e culturale nel quale sono stati
formulati. L'opera ebbe maggiore fortuna e diffusione all'estero, che non in
Italia, dominata agli inizi del Novecento dalla cultura letteraria e della
filosofia idealistica. Il suo pensiero trova riscontro nelle teorie
elaborate dai massimi epistemologi filosofi fra cui Popper, Lakatos e Kuhn. In
particolare nel pensiero di Lakatos e di Kuhn viene sviluppata la concezione
della formazione storica dei concetti scientifici, come opera di più autori e
ricercatori, che in un determinato periodo storico elaborano una serie di
principi-base sui quali viene sviluppata una teoria ipotetico-deduttiva e le
successive verifiche sperimentali. Importante è anche la presa di
posizione sia rispetto alla filosofie idealistiche del ‘900, che hanno
tralasciato gli aspetti della filosofia della scienza, sia la sua posizione
critica rispetto alla filosofia di Kant. In particolare, critica il concetto di
giudizio sintetico a priori di Kant (Critica della ragion pura). Secondo
Enriques, i principi fondamentali delle scienze sono elaborazioni razionali
derivate per induzione dall'esperienza e dalla percezione sensoriale e non sono
giudizi sintetici a priori. In questo saggio porta alcuni esempio fondamentali.
I postulati della geometria sono generalizzazioni, per astrazione, di semplici
esperienze geometriche, che ogni allievo compie fin dalle prime osservazioni
razionali del mondo esterno, svolte anche in ambito scolastico. I principi
della geometria sono generalizzazioni di esperienze sensoriali concrete.
Allo stesso modo anche i principi della Fisica e della Chimica derivano
direttamente da generalizzazioni di esperimenti reali. Ad esempio la Legge di
conservazione della massa dovuta a Lavoisier non è un giudizio sintetico a
priori, come crede Kant. È noto infatti che deriva da semplici esperimenti
fisici, svolti pesando i composti chimici prima e dopo una reazione
chimica. La nuova impostazione razionalistica e storica fu avviata in
Italia da Enriques, in Francia da Duhem e in Austria da Mach e da altri autori
riunitisi intorno al Circolo di Vienna. Fu poi sviluppata ulteriormente in
Italia da Geymonat e dalla sua scuola milanese che ha ripreso gli studi di
Enriques, sviluppando i temi di storia della scienza e di filosofia della scienza.
Un'altro saggio fondamentale è Per la storia della logica che mette in evidenza
l'importanza della deduzione, della induzione e gli altri aspetti
interpretativi ed epistemologici della logica. Il saggio ha un approccio
storico e descrittivo della logica è ricco di citazioni originali, e affronta
questo difficile argomento anche con una certa ironia ed eleganza letteraria.
Nell'opera, sono illustrati in modo semplice e sintetico i contributi portati a
questa disciplina dai vari filosofi nelle varie epoche. Si può considerare uno
dei pochi testi in cui la materia è esposta in modo chiaro, essenziale e
interessante. Di notevole interesse per le fonti storiche citate e per la
narrazione della genesi dei concetti scientifici sono la serie di opere
dedicate alla storia della scienza. Il primo saggio fu la “Storia del pensiero
scientifico” scritto in collaborazione con G. Santilana. Quest'opera ripercorre
la storia delle scienze matematiche, geometriche, astronomiche, meccaniche e
fisiche dall'antica Grecia fino ai giorni nostri, con numerose citazioni e
fonti storiche degli autori originari. A esso seguirono altri testi di
approfondimento, fra cui, “Il significato della storia del pensiero scientifico
e La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni; Lineamenti
di filosofia della scienza. Dei numerosi saggi dedicati agli aspetti filosofici
della scienza si desumono i principali lineamenti del suo pensiero
razionalista, che, a titolo orientativo si possono cercare di sintetizzare nei
seguenti punti: Equilibrio fra intuizione e ragionamento logico. Nelle
opere scientifiche gli argomenti sono esposti in modo intuitivo, evidenziando i
motivi sperimentali e oggettivi alla base di alcuni concetti astratti. Dopo la
descrizione dei suoi principi, si sviluppa poi la materia con criteri logici,
deducendo razionalmente le principali leggi, teoremi e applicazioni. Questo
carattere, comune anche ai grandi scienziati del passato (Galilei, Cartesio,
Newton, Eulero, Coulomb, ecc.) contraddistingue il metodo di Enriques, rispetto
agli indirizzi formalisti che si sono avuti nella logica e nella
matematica del XX secolo. Problema della specializzazione delle scienze: ha
colto questo aspetto critico delle numerose edeterogenee discipline
scientifiche nel XIX e XX secolo. Per superare il problema della eccessiva
frammentazione del sapere ha proposto di ripensare i concetti fondamentali
della fisica, della geometria, della matematica e delle altre scienze naturali
con criteri unitari, approfondendone il significato intuitivo, sperimentale e
la sua genesi storica. Approccio storico alla conoscenza scientifica. Questo
aspetto caratterizza il metodo di Enriques, che ha sviluppato con passione e
impegno moltissimi aspetti di storia della scienza. La storia della scienza fa
parte della scienza stessa. Per capire veramente un teorema non è sufficiente
capire solo la sua dimostrazione, ma anche il contesto storico nel quale è
stato formulato, quali sono stati i problemi tecnici che hanno portato alla sua
formulazione e come sono stati risolti tali problemi con l'applicazione delle
teorie scientifiche. Sviluppato in Italia il nuovo approccio di storia della
scienza avviato da Mach e da Duhem, precursori del gruppo di filosofi e
scienziati Professore del Circolo di Vienna. Valenza fisica dei concetti
geometrici. La geometria può essere considerata come il primo capitolo della
fisica, diversamente dai matematici e filosofici formalisti che la considerano
una scienza astratta. L'orientamento formalista nella geometria è stato
delineato da Kant (Critica della ragion pura) per il quale i postulati
geometrici non derivano solo dall'esperienza visiva, ma sono giudizi sintetici
a priori di carattere soggettivo e indipendenti dalle percezioni sensoriali. La
tesi di Kant è stata discussa dai massimi esperti di filosofia teoretica con
orientamenti contrastanti. Nel XIX secolo in opposizione a Kant si è delineato
un approccio fisico-sperimentale ai principi geometrici, al quale hanno aderito
molti storici e filosofi della scienza. Ha contribuito alla riscoperta del
significato più autentico, di carattere storico, intuitivo e sperimentale alla
base della geometria, della matematica e delle scienze fisiche. Contributi su
Scientia Articoli “Eredità ed evoluzione” su amshistorica.cib.unibo. “I numeri
e l'infinito” su amshistorica.cib.unibo. “Il pragmatismo” su
amshistorica.cib.unibo. “Il principio di ragion sufficiente” su
amshistorica.cib.unibo. “Il problema della realtà” su amshistorica.cib.unibo. “Il
significato della critica dei principii nello sviluppo delle matematiche” su
amshistorica.cib.unibo. “Importanza della storia del pensiero scientifico nella
cultura nazionale” su amshistorica.cib.unibo.
su amshistorica.cib.unibo. “L'infinito
nella storia del pensiero” su amshistorica.cib.unibo. La filosofia positiva e
la classificazione delle scienze, I motivi della filosofia di Eugenio Rignano,
su amshistorica.cib.unibo. Recensioni (in francese) Ailly (D'),Imago mundi, Aliotta, A. L'esperienza
nella scienza, nella religione e nella morale, su amshistorica.cib.unibo. Archibald, R. C. Outline of the History of
Mathematics, su amshistorica.cib.unibo.
Bignone, E. L'Aristotele perduto
e la formazione filosofica di Epicuro, su amshistorica.cib.unibo. Blanche, R. Le rationalisme de Wewell, su
amshistorica.cib.unibo. Bouasse H.Bachot
et bachotage, su amshistorica.cib.unibo.
Brunetet Mieli, A. Histoire des Sciences. Antiquite, su
amshistorica.cib.unibo. Brunschwig, L. De
la connaissance de soi, su amshistorica.cib.unibo. Carbonara, C. Scienza e filosofia ai principi
dell'età moderna, su amshistorica.cib.unibo.
Carnap, R. L'ancienne et la nouvelle logique, su
amshistorica.cib.unibo. Carnap, R. La
Science et la Metaphysique devant l'analyse logique du langage, su
amshistorica.cib.unibo. Caullery, M. La
science francaise depuis le XVII siecle, su amshistorica.cib.unibo. Collected papers of Charles Sanders Peirce,
su amshistorica.cib.unibo.
Correspondance duMarin Mersenne, su amshistorica.cib.unibo. CournotConsiderations sur la marche des idees
et des evenements dans les temps modernes, su amshistorica.cib.unibo. Crowter, J. G.British Scientists of the
Nineteenth Century, su amshistorica.cib.unibo.
D'Amato, F. Studi di storia della filosofia, su
amshistorica.cib.unibo. De Waard,
G.L'experience barometrique, ses antecedents et ses explications, su
amshistorica.cib.unibo. Del Vecchio Veneziani,
AGaetano Negri, su amshistorica.cib.unibo.
Della Volpe, G. La filosofia dell'esperienza di Davide Hume, su
amshistorica.cib.unibo. Della Volpe, G. La
filosofia dell'esperienza di Davide Hume, su amshistorica.cib.unibo. Dingler, H.Philosophie der Logik und
Arithmetik, su amshistorica.cib.unibo.
Dugas, R.Essai sur l'imcomprehension mathematique, su
amshistorica.cib.unibo. Fano, G. Geometria
non euclidea, su amshistorica.cib.unibo.
Frank, Ph. Theorie de la connaissance et physique moderne, su
amshistorica.cib.unibo. Galilei, G. Opere,
su amshistorica.cib.unibo. Ginzburg, B. The
Adventure of Science, su amshistorica.cib.unibo. Gli atomisti. Frammenti e testimonianze, su
amshistorica.cib.unibo. Gregory, J.
C.Combustion from Heracleitos to Lavoisier, su amshistorica.cib.unibo. Hahn, H. Logique, mathematique et
connaissance de la realite, su amshistorica.cib.unibo. Heidel, W. A.The heroic Age of Science, su
amshistorica.cib.unibo. Hessenberger, G.
Grundlagen der Geometrie, su amshistorica.cib.unibo. I frammenti degli stoici antichi, su
amshistorica.cib.unibo. Jaffe, H. Natural
Law as controlled but not determined by Experiment, su
amshistorica.cib.unibo. James W. Philosophie
de l'experience, su amshistorica.cib.unibo.
Janek, A. Die realitat vom Standpunkte des Efallelismus, su
amshistorica.cib.unibo. Keyser, C.
J.Mathematics and the Question of Cosmic Mind, with other Essays, su
amshistorica.cib.unibo. La philosophie
de Giovanni Vailati, su amshistorica.cib.unibo.
La philosophie de la nature, su amshistorica.cib.unibo. Le Bon G. La Revolution Francaise et la
psychologie des revolutions, su amshistorica.cib.unibo. Lecat, M.Erreurs de mathematiciens des
origines a nos jours, su amshistorica.cib.unibo. Lennhardt, H.La nature de la connaissance et
l'erreur initiale des theories, su amshistorica.cib.unibo. Liebert, A. Philosophie des Unterrichtes, su
amshistorica.cib.unibo. Maiocco F. L.Le
leggi di Mendel e l'eredita, su amshistorica.cib.unibo. Marshall, C. E.Microbiology, su
amshistorica.cib.unibo. Matematiche e
teoria della conoscenza, su amshistorica.cib.unibo. Metz, A. Meyerson, une nouvelle philosophie
de la connaissance, su amshistorica.cib.unibo.
Metzger, H. La philosophie de la matiere chez Lavoisier, su
amshistorica.cib.unibo. Meyerson, E. Du
cheminement de la pensee, su amshistorica.cib.unibo. Ness, A.Erkenntnis und Wissenschaftliches
Verhalten, su amshistorica.cib.unibo.
Nordstrom, J.Moyen age et Renaissance, su amshistorica.cib.unibo. Platone e la teoria della scienza, su
amshistorica.cib.unibo. Reflexions sur
l'art d'ecrire un traite: a propos d'un traite de mathematiques, su
amshistorica.cib.unibo. Rensi, G. Le
ragioni dell'Irrazionalismo, su amshistorica.cib.unibo. Rey, A.Rey, A.Les mathematiques en Grece au
milieu du V siecle, su amshistorica.cib.unibo.
Servien, P.Principes d'esthetique. Problemes d'art et langage des
sciences, su amshistorica.cib.unibo.
Smith, D. E.The Poetry of Mathematics and other Essays, su
amshistorica.cib.unibo. Spirito, U. Scienza
e filosofia, su amshistorica.cib.unibo.
Stefanini, L. Platone, su amshistorica.cib.unibo. Stefanini, L. Platone, su
amshistorica.cib.unibo. Tannery, P.Puor
l'histoire de la science hellène, su amshistorica.cib.unibo. Wind, E. Das Experiment und die Metaphysik,
su amshistorica.cib.unibo. Wolf, A. A
History of Science, Technology and Philosophy in the 16 and 17 Centuries, su
amshistorica.cib.unibo.L'autore ha curato una decina di manuali didattici di
geometria e algebra elementare e oltre 20 trattati di matematica superiore. Ha
inoltre pubblicato un'ampia serie di testi di storia e di filosofia della
scienza e numerosi articoli specializzati. L'elenco completo delle sue opere
comprende oltre 300 titoli, fra saggi, articoli e trattati
scientifici. Questo testo proviene
da Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di
Storia della Scienza di Firenze Spoglio di articoli e recensioni disponibile
sul Catalogo Italiano dei Periodici (ACNP). Informazioni sulla storia
editoriale di Scientia. Silvia Haia Antonucci e Giuliana Piperno Beer, Sapere
ed essere nella Roma razzista. Gli ebrei nelle scuole e nell’università, Roma,
Gangemi editore, Collana Roma ebraica-7,
Tina Nastasi,Federico Enriquez e la civetta di Atena, ed plus,Pisa, Comunità
ebraica di Livorno. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Federigo Enriques / Federigo
Enriques (altra versione), in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Federigo Enriques, su MacTutor,
University of St Andrews, Scotland. Federigo Enriques, su Mathematics Genealogy
Project, North Dakota State University.
Opere di Federigo Enriques, su Liber Liber. Opere di Federigo Enriques, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Opere di Federigo Enriques, Gaspare Polizzi, ENRIQUES, Federigo,
in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana,. Edizione nazionale delle opere. Digitalizzazione
completa di Scientia e Rivista di Scienza su AMS Historica. Sito ufficiale del
Centro Studi Enriques di Livorno. "Le Armonie Nascoste", un recente
documentario su Enriques su lalimonaia.pisa. Coloro che s'immergono nella dialettica, dice Aristone di Chio, fanno
come i mangiatori di gamberi: per un boccone di polpa perdono il loro tempo sopra
un mucchio di scaglie. Ma Hamilton, riportando il motto, vi aggiunge
un’osservazione che non sembra aver perduto valore ai nostri giorni. Da noi,
dice, il filosofo perde il tempo senza nemmeno gustare un boccone di polpa.
Infatti il filosofo che ha percorso gli studi romani antichi classici,
domanderebbe invano alla dialettica che gli fu insegnata, un concetto adeguato
di quello che è l’ordinamento di un calcolo deduttiva come la geometria, nonché
una spiegazione del significato e del valore dei principi che s’incontrano in
la geometria. Che cosa e una definizione, un’assioma, un postulato? Che posto
occupano nell’organismo della teoria dialettica? Quali sono i criteri che
presiedono alla loro scelta o che permettono di giudicare della loro
accettabilità? Tutte queste domande rimangono senza risposta, pel filosofo, se
pure ad esse si alluse vagamente da qualche oscura dottrina del concetto. Certo
esse non ricevono lume dalle minute classificazioni sillogistiche, per mezzo
delle quali egli vien abilitato, quando mai, a verificare ciò che non ha alcun
bisogno di verifica, cioè la coerenza formale di una dimostrazione geometrica.
Ora è essenziale rilevare che il filosofo, ponendosi il problema dell’ordinamento
della propria disciplina, si ritrova in faccia alla dialettica nella posizione
stessa dei filosofi che hanno lavorato a costruirne l’edifizio, giacche lo sviluppo
della dottrina del ragionamento procede appunto dalla critica dei filosofi che
hanno riflettuto intorno alla natura e all’ordine della consequenza logica. Come
padre della dialettica viene designato Aristotele. Ma Aristotele non può essere
ritenuto se non raccoglitore e sistematore di ciò che nella dialettica e
elaborato prima di lui, qualunque sia il contributo originale che può aver
recato al sistema. L'affermazione precedente apparirà tosto giustificata quando
si ricordi che le matematiche avevano raggiunto, già all’epoca di Platone, uno
sviluppo assai elevato, [Il vanto che Aristotele dà a sè stesso (al termine
degli Elenchi Sophistici) di aver creato una nuova scienza, appare, a chi legga
tutto il paragrafo, riferirsi in modo stretto alla scienza della discussione o
dialettica o collequenza e ad ogni modo non prova nulla contro il nostro
asserto. La logica degli anlichi fiacche — a partire da Ippocrate di Chio — si
cominciò a scrivere trattazioni dei suoi Elementi. Anche, che anzi, proprio
all'epoca di Platone, ed in più o meno stretta connessione coll’accademia da
cui pure usce Aristotele, alcune teorie aritmetiche furono oggetto di una
profonda elaborazione critica (Eudosso, Teeteto...), che costituisce il
precedente storico degli Elementi d'Euclide. Anche, che, d’altra parte, la
dialettica aveva ricevuto uno straordinario sviluppo nelle discussioni dei
Sofisti, sia presso i primi insegnanti salariati che presero tal nome, filosofi
— come Protagora dì Abdera — sostenitori dell’ empirismo avverso il
razionalismo metafisico del circolo di Velia, sia, più specialmente, presso i
Megarici ed altri pensatori affini, che, in connessione coi circoli socratici,
ripresero e svolsero in un modo formalistico la veduta veliatica. La finezza di
alcuni sofismi attribuiti a filosofi di Velia, basterebbe da sola a
testimoniare della profondità dell’analisi da essi ragggiunta, di fronte a cui
fanno talora meschina figura le spiegazioni o confutazioni d’Aristotele negli
Elenchi Sophistici. Aggiungasi che le stesse polemiche aristoteliche contro
avversari non nominati (per esempio, intorno alla necessità e al carattere dei
principi negli Analytica posteriora) valgono ad indicare che il problema logico
dell’ordinamento di un calcolo analitico-deduttivo si dibatte secondo vedute
diverse, alcune delle quali si riveleranno — ad un esame approfondito — più
vicine alle vedute moderne, in confronto a quelle adottate dal filosofo di
Stagira. I trattati d’Aristotele, che furono raccolti sotto il nome comprensivo
di Organo, manifestano la doppia origine, dalla critica dell’aritmetica e dalla
pratica della colloquenza. Infatti, i primi due saggi (Categoriae e De
Interpretatione) si riferiscono alla classificazione o tassonomia delle
espressione isolate e della proposizione, formando quasi una introduzione a
tutta l’opera. I due saggi successivi (Analytica priora e Analytica posteriora)
svolgono appunto la colloquenza come calcolo, quale risulta dall’analisi del
ragionamento. Invece i due saggi (Topica ed Elenchi Sophistici) concernono
l’arte della colloquenza o argomentare, mirante — non all’analitico ma soltanto
al ‘desirabile’ ed al ‘credibile’ o ‘probabile’ in rapporto alla pratica della
colloquenza. Aristotele ritiene per quest’arte il nome eleatico-platonico di
‘colloquenza’, mentre distingue col nome di propedeutica analitica – lo studio
dell’analitico -- l’esame del procedimento della scienza dimostrativa, in cui
dalla possibilità della scienza si desumono le condizioni del suo ordinamento
questo senso è stato ripreso da Kant in quella parte della Critica della ragion
pura che costituisce l’Analitica trascendentale. L’espressione ‘logicus’ è
usato dal nostro per designare procedimenti del discorso che, non partendo da principi,
non hanno valore dimostrativo. Ma quest’espressione s'incontra, già prima,
[Quest’osservazione è fatta da Pranll, Geschichte der Logik. La logica degli antichi
nel titolo di un saggio di Democrito d’Abdera: rtepi Xoytxwv i) xavwv. E nella misura in cui
si può ammettere che Aristotele ne abbia conservato il ‘significato’,
rivelerebbe una diversa cocezione (più relativa e formale) del ragionamento: la
quale s’incontra di fatto dopo Aristotele, e spalmente presso gli Stoici. Ora
questi filosofi, appunto a partire da Zenone Cizio, designano come “to logikón”
quella parte della filosofia che ha relazione al “logo” o discorso, e che
comprende questioni attinenti al ragionamento e questioni rettoriche o di
grammatical della profundita; mentre la scuola contemporanea di Epicuro ha
tratto sicuramente da Democrito il nome di canonica, con cui designa le regole
del metodo. Siffatte osservazioni, tendono a mostrare che l’influenza della vasta
opera aristotelica sui successori, non fu così esclusiva come di solito si
ammette, e c’inviterà a ricercare in questi stessi successori il riflesso delle
opinioni più antiche, ed in particolare di quelle del maestro d’Abdera. Per
formarsi un concetto dell’origine della logica, sarebbe interessante di
ricercare se e quali ([Diels, Die Fragmente der Vorsokraliker: Dem.A 33, B.
10^. Diog. Laert. VII, 33 (In Arnim, Diogenes, 16). CO Aggiungeremo che Prantl opina
che il nome proprio vj, come appellativo della scienza del ragionamento, o come
nome comprensivo di esso e della rettorica, introduca piuttosto dai tardi
peripatetici che dagli stoici] rapporti sieno interceduti fra la critica dei
matematici e le sottili disquisizioni e implicature dei sofisti. Clairaut, per
spiegare il rigore del ragionamento di Euclide, notta: ce geomètre avait à
convaincre des Sophistes obstinés qui se faisaient une gioire de se lefuser aux
vérités le plus évidentes. Houel ripette che la forma dogmatica d’Euclide è
dovuta a “sa préoccupation de fermer avant tout la bouche à des sophistes que
la Grece avait le tori de prendre au sérieux.” “De là,” egli aggiunge, “son
habitude de demontrer toujours qu' une chose ne peul pas ótre au lieu de
demontrer qu’ elle est.” Queste affermazioni sono state frequentemente contestate,
giacche è difficile riconoscere che i sofisti abbiano esercitato un'influenza
diretta, non dico sopra Euclide, ma nemmeno sopra i geometri, suoi predecessori,
che hanno elaborato criticamente la scienza matematica. Tuttavia si può citare,
a questo proposito, qualche accenno ad una polemica antimatematica di Protagora
e di Antifonte tendente a restituire (avverso la filosofia razionalistica) il
carattere empirico (alla Mills, i. e., sintetico, non analitico) ai concetti
della geometria: argomenti dello [Elementi de geometrie, Parigi] [Essai
critique sur les Principes fondamenlaux de la Géométrie” Parigi] Nondimeno i
rapporti amichevoli di Protagora col matematico Teodoro di Cirene sono attestati
da Platone: Teeteto 161 b 162 a. (Aristotele, Met. II, 2. (20). Cfr. Simplicio
in Aristotele Phys.: Diels B. 13. La logica degli antichi] stesso genere
vedonsi comunemente ripetuti dagli empiristi» e — per quanto concerne
l'antichità — si trovano raccolti da Sesto Empirico (‘). Ma, qualunque veduta
si abbia intorno alle idee espresse da Clairaut e da Hoiiel (che sono errate
almeno per quel che concerne la svalutazione del movimento sofistico I), un
altro nesso, più importante, appare fra la critica logica dei matematici e la
dialettica dei sofisti, poiché l’una e l’altra sono generate insieme dalla
filosofia di Velia. Infatti Zenone di Velia, è additato, dallo stesso
Aristotele, come inventore di quell’arte litigiosa che è la dialettica e,
d’altra parte, l’analisi penetrante di Tannery e di Zeuthen sui celebri
argomenti intorno al moto (la dicotomia, l’Achille, la freccia, ecc.), ha messo
in evidenza il loro significato e valore matematico, sicché il sottile
dialettico in cui la tradizione non ha veduto che un ragionatore ‘paradossale’,
si scopre ai nostri occhi come iniziatore di quell’ ordine di considerazioni
che costituisce l'analisi infinitesimale. Ed é sommamente istruttivo
riconoscere che proprio dalle considerazioni infinitesimali — in cui il
pensiero i trova esposto a non sospettate fallacie — trae origine la critica
del ragionamento, onde ne esce fuori la sco¬ perta del principio di contraddizione
e il procedimento [Adversus Aialhcmaticos, I. III. (2 ) Cfr. Diog., L., Vili,
57; Sesto Adv., Math., VII, 6 (in Diels, Zenone, A, IO); Aristotele ed. Didot]
di riduzione all'assurdo, o eliminazione della negazione. Democrito che
spingerà innanzi l’analisi infinitesimale, scoprendo il volume della piramide,
viene parimente ricordato da Diogene Laerzio come prosecutore della dialettica
zenoniana. Ma importa spiegare, sia pure con brevità, come le origini
dell’analisi infinitesimale si riattacchino ad un critica dei principi della
geometria, a cui pertanto viene a connettersi lo sviluppo della logica. La dimostrazione
delle cose che qui asseriamo si troverà nei lavori degli storici sopra citati, ed
anche in altri nostri scritti, in cui abbiamo trattato più particoiar-mente
questo soggetto. Secondo le notizie che ci vengono fornite da Proclo, nel
commento al primo libro dell' Euclide, le principali teorie geometriche che
costituiscono gli Elementi furono elaborate dai pitagorici e ricevettero già a
Crotone uno sviluppo dimostrativo. Zeuthen suppone che il punto di partenza di
questo sviluppo sia stato il tentativo di stabilire in generale la relazione
fra i quadrati dell’ipotenusa e dei cateti del triangolo rettangolo, nota sotto
il nome di teorema di Pitagora. D’altronde vi sono numerosi indizi che la
geometria pitagorica avesse come fondamento una teoria delle proporzioni (symmetria,
o della misura o analogia), basata sopra un concetto EMPIRICO del punto-esteso,
preso come [Cfr. Enriques, Il procedimento di riduzione all'assurdo, Bollettino
della Mathesis ».Cfr. in ispecie Tannery, Pour la Science hellcne, cap. X. La
logica degli antichi] elemento unitario di tutte le cose (monade). Così l’affermazione
pitagorica che le cose sono numeri è da interpretare nel senso che un corpo, o
una figura geometrica, che in questo stadio della filosofia si pensa in maniera
concreta, e un aggregato di punti, cioè unità aventi posizione. Ma l’ipotesi monadica
traeva con se la commensurabilità (simmetria) di due segmenti qualsiansi, che
appunto rendeva senz' altro possibile la misura, e questa conseguenza doveva
urtarsi — nel stesso circolo pitagorico— colla scoperta che la diagonale e il
lato del quadrato sono incommensurabili. Ora, mentre i pitagorici si
affaticavano intorno a questa difficoltà, altri filosofi che del resto sono usciti
dai medesimi circoli, iniziano la critica dei concetti geometrici, riconoscendo
che un ragionamento, il quale voglia mantenersi immune da contraddizioni, deve
riguardare il punto come privo di estensione, la linea come lunghezza senza
larghezza, la superficie senza spessore, e di qui vengoo naturalmente condotti
alle prime considerazioni infinitesimali. Questi critici razionalisti sono i
filosofi di Velia: Parmenide e il suo discepolo, l’italiano Zenone. La loro
speculazione segna un punto decisivo nella storia della filosofìa, perocché
essa proclama nettamente, per la prima volta, i diritti della ragione: il ragionamento
coerente viene assunto [Parmenide è annoverato fra i pitagorici nel catalogo di
Giarablico (Diels, Pyth, 45, A.) e delle sue relazioni con altri pitagorici ci
viene attestato da Diogene Laerzio. Senz’ altro a misura della verità, cioè
dell' esistenza metafisica, distinta e contrapposta all’ opinione probabile che
si riferisce alla realtà sensibile. Da questo razionalismo, per cui il pensiero
non esita a staccarsi dalle apparenze fenomeniche per serbare rigida fede ai
suoi principi, nasce — come si è detto — il metodo dialettico, che è il germe
della logica. La quale ebbe a svilupparsi di poi, mentre fervevano le
controversie fra empiristi e razionalisti, e — per opera di questi — si
proseguiva lo sviluppo dell analisi infinitesimale (Democrito), e se ne indagava
criticamente i principi (Eudosso). Ma, poiché questa critica — toccando alla
teoria fondamentale degli incommensurabili e delle proporzioni — veniva ad
involgere l’intiero problema dell’assetto rigoroso della geometria, la ricerca
logica non poteva limitarsi all’ analisi dei sottili procedimenti implicaturali
della deduzione, anzi doveva naturalmente estendersi all’ordinamento della
scienza e alla valutazione dei suoi principi. In rapporto a ciò che precede
riescono sommamente espressivi ed interessanti i giudizii di Plato ne, sebbene
forse, si sia esagerata dallo Zeuthen l’influenza che il filosofo ateniese può.
“Sur la riforme qu' a subie la malhématique de Platon à Euclide et gràce à
laquelle elle est devenue Science raisonnée, “Memorie dell’ Accademia di
Copenhagen”)] avere esercitato su pensatori matematici quali Eudosso Teeteto,
allorché designa il movimento critico el tempo col nome di riforma platonica
dèlle matematiche. Riferiamo alcuni passi della Republica 510. Quelli che si
occupano di geometria e di aritmetica ecc. assumono il “pari” ed il “dispari”,
e le figure e tre specie di angoli, e altri simili supposti nelle dimostrazioni;
e come avendone certa scienza questi supposti li prendono per base, e quasi
fossero evidenti non pensano affato a darne alcuna ragione, nè a se stessi, nè
agli altri; anzi, di qui partendo, ordinatamente dimostrano lutto il resto
giungendo infine a ciò che si proponevano di dimostrare. Essi si valgono, per
ciò, di figure visibili, e ragionano su di esse, non ad esse pensando, ma a
quelle di cui queste sono l’immagine, ragionando sul quadrato in se stesso e
sulla sua diagonale, anziché su quello o quella che disegnano; e cosìutte le
figure che formano o disegnano (quasi ombre o immagini specchiate dall' acqua),
tutte le adoperano come rappresentazioni, cercando di vedere attraverso di esse
i loro originali, che non sono visibili se nndall’intelligenza (5:cV3ix).... ».
(511). Questa specie invero io la dicevo intelligibile, e intendevo dire che
l’anima nell’ investigazione di essa, è costretta a valersi di remesse. Ci
valiamo dell’ed. Didot e della trad. it. edita da Laterza, che riportiamo con
lievi modificazioni. non procede al principio, perchè non è in grado di andare
oltre alle premesse, ma si vale, come d’ immagini, degli originali appartenenti
al mondo di quaggiù, da esse imitali, valutandoli e stimandoli come eidenti di
fronte a quelle,” mentre “il ragionamento che usa la forza della dialettica,
considerando le remesse non come principi ma soltanto come pre¬ esse — quasi
punti d’ appoggio e di partenza — giunge a ciò che più non ha premesse, cioè al
principio universale, e raggiuntolo e tenendosi fermo alle conseguenze che ne
derivano, perviene al fine senza far uso di nessun sensibile, cioè procede
dalle idee stesse alle idee attraverso le idee, per finire alle idee. Di qui la
distinzione posta fra la ragione del dialettico (vo’jc, vóy}oic) e
l’intelligenza del geometra (3:xvo:s() che sta di mezzo fra l’opinione e la
ragione”. La stessa distinzione ritorna in: Rep. (533c,...): la geometria e le
scienze affini sognano rispetto all’ essere, ma è imposibile che lo vedano ad
occhi aperti, intanto che si valgono di postulati e li tengon fermi, mentre non
sanno renderne conto. Veramente la disciplina, che ignora il suo principio, e
che ha la fine e il mezzo legato a ciò che non sa, come si potrebbe chiamarla
scienza?... ».Vi è qualche difficoltà a comprendere queste vedute. Anzitutto
giova respingere l’ interpretazione più comune, che stabilisce una differenza
radicale fra la ragione del dialettico e l’intelligenza del geometra, giacché
non si riesce a dare alcun significato alle idee platoniche, se non ammettendo
che esse esistano nello stesso modo in cui si afferma l’esistenza di rapporti o
di forme matematiche nella natura. L' apparente contraddizione fra questo modo
d'intendere la dottrina e le parole del testo sopra accennato, si toglie
ammettendo che il posto inferiore attribuito alle matematiche di fronte alla
dialettica, si riferisca non tanto alle matematiche pure, costruibili come
scienze (pafW’yiJ.aT*) secondo l’ideale del nostro, quanto alle matematiche
considerate come arti (zl'/yy.:). Ed in appoggio a tale veduta si possono
citare altri passi dello stesso dialogo, p. es.: Rep. (527) anche coloro che sono poco profondi in
geometria, non metteranno in dubbio che questa scienza è tutto il contrario di
quanto parrebbe dalla terminologia che usano quelli che la professano. È una
terminologia troppo ridicola e misera, perchè — quasi si trattasse di scopo
pratico — parlano sempre di quadrare, di prolungare o di aggiungere. Invece
tutta la scienza si coltiva collo scopo di conoscere”. Ma qual’ è l’ordinamento
della geometria vagheggiato da Platone? su che base vorrebbe egli edificarne i
principi? I passi citati indicano assai chiaramente che per conferire alla
scienza un valore razionale, il filosofo [Cfr. G. Milhaud: Les philosophes
géometres de la Grece. Parigi, Alcan; Enriques: Scienza e razionalismo,
Bologna, Zanichelli] vorrebbe eliminare quelle domande che si pongono a
fondamento delle dimostrazioni, sotto il nome di postulati (axioma), mercè cui
si assume la possibilità di certe costruzioni, facendo appello ad operazioni
pratiche sopra modelli sensibili. La base della geometria, edificata secondo i
criteri della dialettica, consisterebbe duue in pure definizioni (il procedimento
dialettico ha appunto come scopo di definire i concetti !) o in principi
evidenti — quali gli assiomi — che Platone riguarderebbe come conoscenze innate,
giusta la teoria della reminiscenza (annamnesis) esposta nel Menone. In tal
guisa le proprietà elementari che una figure visibile ha porto occasione di
riconoscere, merce 1 intelligenza ideahzzatrice (dianoia), apparirebbero
fondate sulla pura ragione (nous). Rivolgendoci agli Analytica di Aristotele,
vi troveremo notizie più precise sui criteri adottati dai geometri nell
ordinamento logico della scienza, criteri che sara interessante di raffrontare
a quelli che appaiono, in atto, negli Elementi euclidei. Già al principio degli
Analytica priora, l’autore definisce il concetto della scienza di cui imprende
lo studio. Anzitutto e da dire il soggetto e lo scopo di questo studio: il
soggetto è la dimostrazione e lo scopo è la scienza dimostrativa (à~:a~y.tirj
à7to8sM~:xf/). Quindi, negli stessi Analytica priora, viene a stabilire la
teoria del sillogismo (teorico o aletico, e pratico o volitivo), e passa poi ad
esaminare — nei posteriora — l’ordinamento delle scienze deduttive, riferendosi
perciò continuamente alle matematiche. Quest’ ultimo trattato, che qui occorre
specialmente esaminare, si apre coll’ enunciato che ogni conoscenza razionale,
sia insegnata, sia acquistata, deriva sempre da conoscenze anteriori. L'osservazione
mostra che ciò è vero di tutte le scienze. Infatti questo è il procedimento
delle matematiche e, senza eccezione, di tutte le altre arti. Ora dal concetto
stesso del sapere segue necessariamente che la scienza dimostrativa procede da
principi veri, da principi immediati, più noti che la conclusione, di cui sono
la causa ed a cui precedono. Aristotele (ibidem, 1, 3) esamina e respinge le
obiezioni di due specie di avversari di questa dottrina, i quali pretendono o
che non vi sieno principi e però che la dimostrazione riesca impossibile, dando
luogo ad un regresso all’ infinito; o, all' opposto, che il procedimento della
dimostrazione sia affatto relativo, sicché i principi possano provarsi partendo
dalle conclusioni, così come le conclusioni dai principi: ciò che egli dice dar
luogo ad un circolo vizioso. Sarebbe assai interessante conoscere gli avversari
[Cfr. Enriques: Il concetto della Logica dimostrativa secondo Aristotele in «
Rivista di filosofia ») An. post. I, 2 (6). a cui il nostro si riferisce. Forse
la prima obiezione apparteneva alla polemica antimatematica di filosofi
empiristi, mentre la seconda potrebbe essersi presentata nei circoli megarici
(imbevuti del relativismo veliatico) ovvero a Democrito o ad altri matematici,
critici dei principi della scienza. Ad ogni modo, della veduta qui espressa —
che è solo apparentemente illogica — ci colpisce l'analogia che essa presenta
con talune vedute moderne. Aristotele combatte questo relativismo, poiché tutta
la sua metafisica, ispirata alla dottrina platonica delle idee, e soggiacente
alla sua logica, reagisce appunto alle tendenze relativistiche delle speculazioni,
che dalla scienza presocratica erano passate nel dominio del costume e delle
credenze religiose, in guisa da minacciare le condizioni della vita sociale nel
mondo ellenico. Il parallelismo che i veleiatici avevano scorto fra il logo o
ragione e l’essere, e che i sofisti (avversari e prosecutori) avevano
interpretato nel modo di proiettare nella realtà l’arbitrario che è proprio
della libera critica, riceve, nella dottrina socratico-platonica, una
interpretazione inversa. Infattim la
teoria ontologica delle idee, suppone un ordine assoluto di consistenza che
stanno di fronte alla ragione come dati, sopra cui esso ha da modellare
l’ordine della propria scienza. Così dunque Platone vede nella classificazione
delle forme geometriche un modello della gerarchia delle specie naturali, la
quale si rispecchia nquel procedimento più generale di “divisione” (diaresis) e
di definizione (horismos) che costituisce la dialettica. Ed analogamente per
Aristotele, il rapporto necessario ed irrversibile fra causa ed effetto,
offerto dalla natura, si riflette nel rapporto fa premesse (p) e conseguenze (q)
della scienza dimostrativa (p implicat q); la quale perciò possiede un ordine
naturale che non può essere invertito, onde i suoi principi appariscno
assolutamente indimostrabili, An. post. I, 2 (9): Bisogna che i principi da cui
si parte sieno indimostrabili. Altrimenti, non possedendone la dimostrazione,
on potrebbero ritenersi noti, poiché sapere in modo non accidentale le cose di
cui la dimostrazione è posibile, è possederne la dimostrazione, Ora,
proseguendo l’esame degli Analityca posteriora, veniamo istruiti più
precisamente che i principi della scienza, si lasciano distinguere in più
specie. Primo, i Termini o definizioni (3 poi), cioè supposizioni del ‘significato’
(semiosis,segno) dell’espressione (in linguaggio moderno: assunzioni di
concetti primitivi non definiti) e definizione propriamente detta. Secondo, Supposizioni
d’esistenza del genere e delle sue modificazioni, cioè delle cose designate dai
termini. Terzo, Proposizioni immediate che occorre necessariamente [La teoria
logica della definizione è trattata da Aristotele in An. post. II, e specie nei
Capi 9 e 12: dove si pscrive la regola di restringere successivamente l’estensione
del genere aggiungendo — nell’ordine naturale — la differenza specifica che lo
delimitano, fino a che esse circoscrivano, nel loro insieme, l’estensione del soggetto
da definire] riamete conoscere per apprendere qualsiasi cosa, le quali vengono
chiamate assiomi (ófiwpaTsc) giacché vi sono proposizioni di tal natura e ad
esse si riserva abitualmente questo nome. Infine anche ipotesi o postulati
(odr^i-istra), che s'introducono effettivamente nell’ insegnameto delle
matematiche (o anche nella discussione) domandando al discente di ammettere
l'esistenza di qualche cosa di cui egli non abbia alcuna idea, ovvero abbia
un’idea contraria. Qui d concetto d Aristotele riesce alquantscuro, iacché da
una parte egli sembra ammettere (come Platone) che un postulato potrebbe essere
eliminato * postulato... e ciò che si pone senza dimostrazione, quantunque
potrebbe dimostrarsi, e di cui ci si serve senz’ averlo dimostrato » (I, 10 (8)
); e d’ altra parte (riferendo evidentemente le vedute dei geometri) egli
avverte che una definizione non e un’ ipotesi perchè non dice se la cosa
definita esista oppur no. Ma probabilmente il suo pensiero è che il sapere
dovrebbe edificarsi su quelle sole supposizioni d'esistenza che hanno carattere
di necessità, essendo vere di per sé stesse (xaO’ alili), le quali non si
possono considerare come ipotesi o postulati.. (1, 10(7)), imperocché la
dimostrazione si rivolge non alla parola esteriore, ma alla parola interiore
dell’animo. Con ciò il Nostro fa appello a quel sentimento d’evidenza del
pensiero che Platone. Usalo dai pitagorici secondo Giamblico (in Diels, D, 6). ha
rappresentato come intima sincerità nel Teeteto, servendosi quasi delle stesse
parole. Tuttavia Aristotele critica la teoria platonica della reminiscenza, negando
che vi siano conoscenze innate. La conoscenza universale dei principi viene per
lui acquisita indubbiamente dalla sensazione. Essa si produce mercè l’unità
dell’ esperienza che sussiste nell' anima, nonostante la molteplicità degli
oggetti, in forza della facoltà di fissare ciò che vi è di simile o d’identico
nei particolari e di riconoscerlo come dato del pensiero. (An. post. 11, 15
(5,6, 7)). Ciò non toglie all’ assoluta verità che l'intelligenza idealizzatrice
(òtavaa), fondamento della scienza, conferisce ai suoi principi (II, 1-5 (8)). Alle
dottrine d’Aristotele giova paragonare quelle che appariscono nell’ ordinamento
degli Elementi di Euclide: Il ragionare è un discorso che l'anima rivolge a sè
stessa, per sè, intorno alle cose che consideri nemmeno in sogno hai ardito
dire a te stesso che il dispari è pari, o altra simile cosa. An. priora II, 21 (7)
e An. post. I, I (7). Heiberg, Euclidis opera omnia, Teubner, Lipsia, Secondo
le indicazioni del commentatore Proclo di Bisanziom Euclide sarebbe vissuto in
Alessandria al tempo del re Tolomeo. Le opere di Aristotele che conosciamo sembrano
appartenere all’ultimo decennio della sua vita. Nei quali si trovano tre specie
di principi: 1) termini o definizioni (Spot): 2) postulati 3) nozioni comuni
(y.otvof Ivvoiat). Non è qui il luogo per sottoporre ad un’analisi appiofondita
queste premesse, che — a dir vero — sono lungi dall’apparire soddisfacenti,
tanto che da Tannery si è perfino messo in dubbio la loro autenticità; solo,
riferendoci alla critica che ne ha fatto lo Zeuthen, Limiteremo ad alcune
osservazioni logiche. Ma anzitutto vogliamo arrestarci un momento sopra una
questione di parole. Non pochi si meravigliano che Euclide usa l’espressione
‘nozione comune’ per designare quelli che Aristotele chiama (coi matematici
pitagorici) * assiomi», tanto più che — si dice — l’espressione « evvow »
compare solo più tardi nel linguaggio degli Stoici. Ora non è fuor di luogo
rilevare che la stessa espressione si trova pure in Democrito. Il rilievo
assume interesse per la circostanza che Democrito compose, circa cent’anni
prima d’ Euclide, degli Elementi, che non sono annoverati nel sunto storico di
Proclo, ma di cui Trasillo ci ha conservato i titoli (:J ); tanto più che
questi lasciano (*) Clr. Hisloire dea malhimallquea traci, dal danese di Mascari
(Parigi, Gauthier-Villars): n. 14, 69 94. Cfr. Sesto in Diels, A, III. (3 )
rsti>|isi?t>t(óv (A, li?), Api0|io£, IIspl à/.dyfev Ypxfijitòv stai
vxowùv A, li (cfr. Diels B, II", II 0, I |P)] scorgere un ordinamento
della materia simile a quello adottato dallo stesso Euclide. Non sembra fuor di
luogo congetturare che nella terminologia democritea gli assiomi venissero
appunto designati come nozione o nozione comune, e che il geometra
alessandrino, imprendendo a sistemare la stessa materia, in rapporto ai
progressi critici del secolo, abbia conservato la denominazione del suo
illustre predecessore: al quale di preferenza doveva guardare. Diciamo ora che
la distinzione fra le nozioni comuni o gli assiomi, e i postulati, viene spiegata
da Gemino in Proclo come analoga a quella fra teoremi e problemi, o fra
identità e equazioni, in quanto i primi porgono delle relazioni, per cui certe
proprietà resultano conciute come conseguenza di altre date, laddove i secondi
assegnano costruzioni elementari, ciò che, nel concetto dei antichi, significa
affermare l’ esistenza di enti particolari cui s’impongono certe condizioni. Questo
carattere costruttivo sembra mancare soltanto al post. 4 (tutti gli ngoli retti
sono uguali fra loro); ma Zeulhen spiega come in tale affermazione debba
vedersi un complemento del post. 2, nel modo di affermare che il prolungamento
di una retta è unico. In appoggio della nostra veduta può valere, forse, un
passo del noto commento. Prodi Diadoclii in primum Euclidis Elemenorum librato
commentarii (ed. Friedlein), in cui sembra che Proclo alluda all'uso dei
geometri di chiamare nozione comune ciò che Aristotele chiama assioma. Cfr.
Vailati, Scritti, Proclo osserva pure che gli assiomi e i postulati
differiscono anche per essere: questi, principi particolari della geometria, e
quelli, principi comuni alle varie scienze; infatti si tratta qui delle
proprietà generali dell uguaglianza e diseguaglianza fra grandezze. Infine la
distinzione fra le due specie di principi si accorda anche col criterio
d'Aristotele, che riconosce negli assiomi delle verità cessarie ed indimostrabili,
perchè evidenti di per se (xocS' èx jvx), e nei postulati delle verità —
partecipanti ad un’ altra specie di evidenza (sensibile) — che non risultano
ugualmente dviyxw dal significato dei termini che vi figurano: la natura del principio,
enunciato da Euclide come nozione comune, sembra infatti rispondere a questo
criterio. Ma se taluni geometri (al dire dello stesso Proclo) recusavano di
distinguere assioma e postulato, mancano tuttavia indizi per affermare che essi
respingessero il significato che Aristotele e probabilmente altri ancora
(secondo la metafisica del senso comune) attaccavano a codesta distinzione,
così come lo respinge la critica moderna, che per tale motivo appunto —
considera ugualmente le proposizioni primitive della scienza quali postulati,
da ricevere, in una qualsiasi teoria deduttiva, come dati anteriori allo
sviluppo della teoria stessa. Un piccolo lume ci è recato in tali questioni dal
riferimento dello stesso Proclo circa un tentativo di dimostrare l'assioma I
(cose uguali ad una terza sono uguali fra loro), che sarebbe stato fatto da
Apollonio. Infatti della tentata dimostrazione viene porto il seguente cenno. Sia
a uguale a b, e b uguale a c; dico che a è uguale a c. Invero a occupa Io
stesso luogo (córto;) di b, e così b occupa lo stesso luogo di c; quindi anche
a occupa lo stesso luogo di c. Questo ragionamento indicherebbe forse che
Apollonio voleva ricondurre il concetto euclideo di ‘eguaglianza’ geometrica al
caso della sovrapponibilità delle figure, facendo appello ad esperienze ideali
di movimento, mercè cui poteva iludersi di ridurre ad una pura proposizione
identica la proprietà transitiva di quella relazione. Mentre il ricorso a
siffatte esperienze ci avverte appunto (con Helmholtz e Stolz) che il detto
assioma 1 ha un significato o carattere sintetico e non può ritenersi come una
semplice proposizione analitica (vera per definizione). Comunque il rifermento
accennato lascia presumere che la critica dei principi sia stata spinta innanzi
da Apollonio, dopo Euclide, con quella penetrazione di cui volentieri siamo
disposti ad accreditare il grande geometra iPerga. Ritorniamo all' Euclide per
esaminare, in breve, i principi eh' egli ha designato col nome horós: termine o
definizione. Se essi vengono considerati come definizione, non si può a meno di
rilevarne la manchevolezza, poiché non offrono, spesso, che descrizioni atte a
indicare la genesi psicologica dei concetti. Così, p. es., in 3 e 3, dove si
dice che gli estremi di una linea sono punti, e che gli estremi di una
superficie sono linee. Ma, verosimilmente, queste ed altre spiegazioni sono da
considerare in rapporto alla tradizione storica precedente, come un richiamo
dei caratteri per cui gli enti delia geometria razionale appaiono idealizzazioni
dell'esperienza: p. es. le I, 2, 5 stanno a ricordare che — secondo il risultato
della critica veliatica il punto è inesteso, la linea è lunghezza senza
larghezza, e la superficie non ha spessore. Anche quelle che si presentano come
definizioni propriamente dette, non ottemperano sempre al criterio fondamentale
enunciato da Aristotele, che l’insieme degli attributi restringa l’estensione
del genere in guisa da non appartenere ad alcun concetto più esteso. Per questo
motivo sembra insufficiente la def. 4, inea retta è quella che e posta ugualmente
rispetto ai suoi punti. Imperocché, se s interpreta come si usa comunemente, retta
è quella linea che è divisa in due parti uguali da qualsiasi uo punto’, si
enuncia una proprietà non caratteristica della retta, che appartiene anche
all’elica (cfr. Apollonio in Proclo: 105, 5). Ora conviene aggiungere che
Euclide, non soltanto suppone l’esistenza di ciò che viene immediatamente
designato da alcuni termini, ma sembra anche introdurre surrettiziamente alcune
ipotesi esistenziali, per mezzo di definizioni, laddove — per analogia coi
criteri seguiti in altri casi — si sarebbe aspettata l'esplicita introduzione
di un postulato. Ciò accade, in ispecie, per quel che riguarda le intersezioni
di rette e circoli, le assunoni adoperate nelle prop. I, 12, 22 sembrando giustificarsi
(secondo che osserva ) Cfr. Proclo 1. linea II] Zeuthen) mediante la
definizione (15) del circolo come figura piana compresa da una sola linea. Ma
non giova insistere su tali difetti, che apparten¬ gono all’esecuzione e non
modificano i criteri logici del disegno. Restando nell’ordine d’idee euclideo,
avremmo soltanto da completare i postulati coll’ enunciare esplicitamente i
casi d'esistenza delle interse¬ zioni di rette e cerchi o di due cerchi, che si
offrono nelle costruzioni elementari. Interessa piuttosto di rile¬ vare come
queste ipotesi esistenziali, che la geometria antica introduceva nei singoli
casi, mercè appropriate costruzioni, oggi si lasciano dedurre da un unico principio
generale di continuità, onde l'affermazione d’esistenza si libera dalla ricerca
dei mezzi costruttivi, complicantisi colla natura del problema. E questo un
progresso conforme all'indirizzo preconizzato da Platone, che— come si è visto
— repugnava appunto da ciò che sa di pratico o di meccanico nella formu¬
lazione dei postulati. Nota. A complemento di quel che si è detto intorno alla
geometria euclidea, aggiungeremo che Archimede (5) sembra classificare e
distinguere i principi in modo diverso, poiché (in una lettera a (Cfr. p. e*.
I* art. 5° di G. Vii a li nelle Questioni riguardanti le matematiche elementari
raccolte e coordinate daF. Enriques Voi. J, Bologna, Zahelli. De sphaera et
cilindro in « Archiinedis opera omnia cum commentari^ Eutocii », ed. Heiberg.
Lipsia, 1910. Cfr. The Work* of Archimedes, e. Heath, Cambridge, Capitolo I
Dositeo) chima «assiomi» (à^:ih\i.xTx) le definizioni accompagnate da
supposizioni d’esistenza: p. es. esi¬ stono linee piane che giacciono tutte da
una parte ecc., e queste si dicono concave; mentre poi dà il nome di *
assunzioni » (Aa|l3*V0;xsva) a taluni principi (teoremi precednemente stabiliti
o postulati, assai eleganti) da cui muove la sua trattazione: p. es. la retta è
la linea più breve tra due punti. Il commento d’Eutocio restituisce agli
àfjuojtara archimedei il nome di opy. ConsiderazioSe ora, riguardando
soprattutto ai secondi Analitici d’Aristotele e agli Elementi d’Euclide,
cerchiamo di esprimere le nostre impressioni in un giudizio sintetico sulla
logica degli antichi, domandandoci fino a che punto i loro criteri ci sembrino
accettabili o esaurienti, siamo condotti alle seguenti riflessioni. La logica
dei antichi suppone un ingenuo realismo per cui il pensiero appare come la
copia o la visione di una natura esterna. Così il numero dai pitagorici e lo
spazio continuo dagli eleati, sono pensati in concreto, ad imitazione di quella
sostanza cosmica che viene figurata costituire il sostrato naturale (la epa:;)
di tutte le cose. La supposizione realistica è tipicamente espresa nella teoria
delle idee di Platone, che (orma infine la metafisica soggiacente alla logica
d'Aristotele. Da essa deriva il carat¬ tere di necessità dei principi, e quindi
la pretesa di un ordine naturale della scienza, facente capo a pre- messe
assolutamente indimostrabili; la qual pretesa viene corretta, almeno in parte,
nelle vedute dei geometri. Ma dallo
stesso realismo, ha origine la radicale manchevolezza della teoria della
definizione. Poiché le oscunta del trattato di Aristotele e le imperfezioni
dell’Euclide, in enere gli errori della critica che si riscontrano in tali
opere, si possono riattaccare a codesto presupposto, quasi a comune radice. Si
ammette infatti che le parole rispondano ad enti di un mondo intelligibile
trascendente il soggetto, che si tratta di fissare univocament Di qui il
criterio che la deduzione logica debba tener presenti, non soltanto le premesse
esplicitamente enunciate come assiomi o postulati, bensì anche il significato
dei termini su cui si ragiona, vedendo, attraverso di essi, quella realtà
(geometrica ecc.) che è oggetto del pensiero. Ma ciò significa autorizzare nel
ragionamento inconfessati appelli all' intuizione, che, dichiarati, si
tradurrebbero in nuovi assiomi. Ora, se l'intuizione (o visione del
significato) rimane sempre presupposta nel ragionamento, quando mai potremo
assicurarci che gli assiomi formino un sistema completo? A stretto rigore di
tale domanda non si riesce neanche a definire il senso ! E quindi non si
comprende perchè si senta il bisogno di enunciare — a preferenza di altri —
alcuni fra gli assiomi, che pure sono dichiarati evidenti, necessari ecc. ecc. Aggiungiamo
che anche l’analisi aristotelica del ragionamento, facente capo alla teoria del
sillogismo (An. priora) sta pure in relazione col presup¬ posto metafisico
della logica. E specialmente colla circostanza che i Greci, in generale,
immaginarono la realtà intelligibile rappresentata dalla scienza, sul tipo statico
della classificazione delle forme geome¬ triche: tale è infatti il carattere
dell’ ontologia eleatica, che imprime il suo suggello sulla dottrina platonica
non superata veramente da Aristotele. Soltanto Democrito, come diremo più
avanti, si solleva al concetto di una scienza razionale del moto, ma le sue
vedute filosofiche non trovano adeguato sviluppo se non due mila anni più
tardi, all epoca della Rinascita. Qui conviene rilevare che le critiche mosse
alla teoria sillogistica dagli empiristi inglesi (da Bacone a Mill), opponenti
alla deduzione 1 induzione generahzzatrice dell’esperienza, hanno fatto perder
di vista ciò che manca all’ analisi aristotelica del ragionamento, pur
riguardato nelle forme rigorose, che sole appartengono — secondo il concetto
del filosofo greco alla logica dimostrativa propriamente detta. Infatti i brevi
cenni che Aristotele dedica all’induzione (completa), negli Analylica priora,
non suppliscono certo all’analisi delle operazioni logiche costruttive
(significate da particelle come « e », o » ecc.) che accanto al sillogismo
ricorrono nello sviluppo delle dimostrazioni matematiche. La quale lacuna torna
a (i) Cfr. Cli. Werner, Aristotele et V ideallsme plalonicien, Alcan, Parigi]
riflettersi sulla teoria delle definizioni, che appunto esprimono codesto lavoro
costruttivo del pensiero. Infine giova rilevare che l’anzidetto realismo si
riflette in una concezione ingenua del linguaggio: la filosofia greca — sia che
abbia ammesso l'origine naturale della lingua (come Platone nel Cratilo), sia
che abbia rilevato ciò che vi è di convenzionale nelle parole (come Democrito e
Aristotele) — non riesce a scorgere la varietà essenziale delle lingue, che
tiene ai diversi modi di rappresentazione delle cose ed esprimendo la libera attività
del soggetto, dà origine all'intraducibilità. Dice infatti Aristotele: De
Inlerpretatione, 1. Una espressione e una l'immagine delle modificazioni
dell'anima. L’espressioni differiscono fra loro. Ma una modificazione
dell’anima, di cui l’espressione e i SEGNO immediato, e identica per tutti gli
uomini, come sono identiche per tutti le cose che quelle modificazioni
esattamente rappresentano. E chiaro come una siffatta dottrina spieghi quella
confusione fra analisi logica e analisi del linguaggio, Proclo, nel commento al “Cratilo”, riferisce
appunto questa opinione di Democrito, basata auiromonimia e la sinonimia di una
espressione E1 e una espressione E2, sul cambiamento dei nomi e sul difetto di
analogia nella formazione di certe espressioni verbali. (Cfr. le note al Cratilo
di Cousin). De Interpretatione, 2 (1), che culmina nel concetto aristotelico di
trarre dalla forma o materia dell’espressione grammaticale una classificazione o tassonomia di questa o
quella categoria. In ciò che precede ci siamo fermati a studiare il pensiero
degli antichi traverso le sistemazioni scientifiche che sono a noi pervenute.
Ma, per l’intelligenza dello sviluppo ulteriore che la logica riceve nelle
scuole filosofiche dopo Aristotele, conviene tener conto dell'influsso che i
predecessori del Stagirita sembrano aver esercitato sul movimento delle idee.
Infatti codesto sviluppo si lascia definire, nlle sue linee generali, come
tendente a liberare il pensiero dall ontologismo, che pure sopravvive in
qualche modo alla ideologia platonico-aristotelica, nella misura in cui tale
filosofia esprime la metafisica del senso comune. E l’anzidetta tendenza
liberatrice si esplica in un progresso verso il formalismo logico, che procede
dallo studio degli schemi discorsivi, formante oggetto degli Analytica priora.
Questo progresso si avverte già nei primi paripatetici, come Eudemo, lo
scrittore di una storia delle matematiche, e Teofrasto il raccoglitore delle
opinioni dei fisici, ma più largamente ancora negli Stoici, in cui è pure
passata 1 eredita dei dialettici megarici. Questo progresso si avverte anchein
una revisione dei principi della teoria della conoscenza, che ha per oggetto
l’origine e il valore dei concetto generale da cui muove la scienza dimostrativa:
qui soprattutto vengono in luce delle vedute che debbono essere riattaccate ai
grandi predecessori di Platone e di Aristotele; sulle quali l’interesse della
questione c invita a fermarci. Ora, se ci volgiamo a riostruire induttivamente
le idee di codesti predecessori, la figura di Democrito d'Abdera, deve
attirare, sovra ogni altra, la nostra attenzione. Democrito, vissuto 40 anni
dopo Anassagora e 25 anni dopo il suo concittadino Protagora che è il maggiore
rappresentante della sofistica), deve esser considerato come un contemporaneo di
Platone. Così, soltanto i pregiudizii dominanti la ricostruzione della storia
della filosofia greco-romana nel secolo decimonono, hanno impedito di stdare
più da vicino i rapporti fra Democrito e Platone, relegando Democrito tra i pre-socratici
e perfino tra i pre-sofisti, in onta alla cronologia. Democrito è il ande
fondatore dell’atomismo, in cui ha tuttavia come precursore Leucippo, e che fu
svolta da lui come una teoria cinetica cosmologica. Attraverso questa dottrina
Democrito agiunse ad una rigorosa concezione del determinismo meccanico, e
verosimilmente he alla scoperta di principi (massa, inerzia) chalileo. Fanno eccezione
Windelband e Burnel, che restituiscono airAbderita il suo posto cronologico, ma
che tuttavia non sembrano arne un apprezzamento proporzionato all' importanza
del suo lavoro scientifico] ha riostruito due mil’ anni più tardi, riprendendo
le intuizioni fondamentali del lontano predecessore. Per il suo rigido
meccanicismo, con esclusione di ogni teleologia, Democrito viene considerato
come il padre del materialismo, e da ciò appunto ha origine il pregiudizio da
cui in ispecie la storia svoltasi sotto l’nfluenza hegeliana, nel secolo
decimonono, non ha saputo mai emanciparsi completamente. Quantunque un esame
accurato avrebbe permesso di riconoscere ello stesso Democrito anche il padre
dello spiritualismo (così come Leibniz sembra avere intuito!) e forse anche di
far risalire a lui l’argomento per l’immortalita dell’anima basato sulla sua
semplicità o in-divis-ibilità, che s'incontra nel Fedone 78, b, c. Le opere di
Democrito, di cui ci sono trasmessi i titoli da Trasillo, formano una mole
imponente e si riferiscono ai più svariati argomenti, dalle matematiche alla fisica,
alle scienze naturali, all’agricoltura, alla teoria dei segno e
dell’espressione, la dialettica, la grammatica, alla poetica, alla teoria della
conoscenza ecc. ecc.; fra i frammenti più belli sono da annoverare quelli
morali, conservatici da Stobeo. La posizione filosofica di Democrito, per ciò
che concerne la teoria della conoscenza, resulta dalla testimonianza di Sesto
Empirico, laddove egli parla di Democrito e Platone sostenitori della verità
degli intelligibili (ià vorjra) in contraddizione con Protagora [Di ciò mi
propongo fornire altrove la prova col confront dei testi aristotelici] aora. Si
tratta dunque di un razionalismo, che si contrappone all’ empirismo protagoreo.
Ma, poichè a sua volta questo empirismo dei sofisti era sorto come una reazione
di caratere “positivistico” al razionalismo metafisico della scuola di Velia, è
naturale che Democrito avesse a tener conto dell’ esigenza fondamentale che i
sofisti avevano formulato. Democrito non posse semplicemente riprendere come
materia della scienza una Verità (£M)0s:a) indifferente rispetto all’opinione
(doxa) che si riferisce alle cose sensibili, ma doveva invece cercare una
razionalizzazione dell’empirico, cioè una verità atta a salvare i fenomeni
(ofttTe'.v ~ì 6|JtSV«); e siffatta veduta si poteva esprimere nel linguaggio
tecnico del tempo, dando per compito alla scienza l’opinione vera, o inverata
mediante il ragionamento. Appunto questa teoria della scienza come lii^x (isià
Xóyo'j, viene riferita e discussa da Platone nel “Teeteto”, ed una comparazione
analitica del testo con altri dello stesso Platone e di Aristotele, prova che
il riferimento deve essere attribuito a Democrito. Ma, poiché la spiegazione
razionale dei fenomeni suppone dei concetti, per mezzo dei quali si unifichi la
rappresentazione delle cose del mondo empirico, si può domandare su che
Democrito ne basasse il ossesso da parte dal soggeto percipiente. Qui soccorono
alcune indicazioni. /. ' (l ) Diel. A. 59 i eh. A. 114. (! ) Cfr. Enriques: La
teoria democritea delta scienza nel dialoghi di 'Platone, Rivista di Filosofia,
n. I. 1) Anzitutto Democrito viene additato da Aristotele come il primo a
trattare delle definizioni di cose fisiche, mentre ei ci dice che con Socrate
crebbe l'uso del definire e si estese soprattutto alle nozioni morali. Conviene
intendere che Democrito inizia quel modo di definire proprio della scuola socratica,
in cui si ricercano i caratteri comuni delle cose che rispondono al definito; è
più difficile dire se lo stesso Democrito, come Socrate, facesse anche appello
alla nozione comune che tutti gli uomini si formano in rapporto a dati oggetti;
e tuttavia questo criterio ei ben poteva derivare da Eraclito, cui lo stesso Socrate
sembra avere attinto. In un frammento della già citata opera logica di
Democrito rtsp: àoyrxtòv noi xzvwv che ci è statmandato da Sesto, vengono
distinte due speecie, di conoscenza, l’una relativa all’intelligenza (à7j;
Siavaas), l’altra alla sensazione (Ò:à rwv aìofi^oetov). Dice precisamente
Democrito: “Vi sono due forme della conoscenza: una conoscenza pura o legittima
(yvyjafyj) ed una adombrata spuria (av.v.ri). Appartengono a quest’ ultima
forma adombrata spuria le cinque sensi: la vista (visum), l’udito (uditum), il
gusto (gustatum), l’odorato (odoratum), il tattoo (tactum). Ma la conoscenza pura
è completamente distinta. Ed aggiunge ce questa conoscenza pura è relativa ad
un (') Mtt. I, 4, (3), De Partibus Animalium I, 1 (ed. Didot, t. IH, pag. 223,
2). (! ) In Diel» B. II) orbano di pensiero più raffinato che prende il posto
di un vedere o di un udire o gustare o odorre o tastare nel più piccolo
(mettendoci così in rapporto colla vera natura delle cose, cioè cogli atomi. Anche
in altri modi Democrito esprime la relazione fra le due forme del conoscere;
per esempio ove dice che « apparenza (vòptoi) il colore, apparenza il dolce,
apparenza l'amaro. In realtà soltanto gli atomi e il vuoto. Ma poi, facendo
parlare i sensi contro l’intelligenza, soggiunge povera me, prendendo da noi la
tua fede, tu vuoi confonderci; la tua vittoria è la tua caduta. Troviamo qui una
notizia estremamente interessante. Democrito, al pari di Platone e di
Aristotele, e prima di loro, dibatteva il problema dell'origine dell’idea.
Democrito non si fermava, come il filosofo ateniese alla supposizione della
conoscenze innata (teoria della reminiscenza -- anamnesis), anzi piuttosto
sembra derivare la idea dalla sensazione, sicché è lecito pensare che a lui
possa aver attinto Aristotele la veduta che gli abbiam visto esprimere in An.
Post. Il, 15. Ma, mentre in Aristotele non si vede come possa conciliarsi
questa dottrina colla dignità attribuita alla nozione induttivamente
acquistata, che debbe costituire le premesse necessarie della scienza dimostrativa,
ciò che sappiamo intorno alla teoria delle sensazione di Democrito (in rapporto
alla fondamentale (*) Galeno in Die!» B. 125; cfr. Sesto in Diels B. 9.] supposizione
atomica) e ben atto a sciogliere la difficoltà. Ammetteva infatti il Nostro, che la sensazione in generale derivassero da
piccole immagini (sKoiXa) emesse dai corpi e proprie ad impressionare gli
organi dei cinque sensi ed anche lo stesso pensiero in quella guisa in cui la
luce impressiona una lastra fotografica. L’immagini rispondente alla conoscenza
inteligibile partenti direttamente dagli atomi — sono di natura più fine. Si
comprende quindi che esse possano liberarsi dalla mescolanza colle immagini più
grossolane che colpiscono i cinque sensi, quando il confronto di sensazioni
ripetute, in rapporto ad una molteplicità di cose, permette di fissare i
caratteri comuni che definiscono il concetto. Che effettivamente Democrito riconoscesse
il valore logico del concetto, quasi come anticipazioni dell'esperienza,
resulta anche dalla testimonianza di Diotimo in Sesto (VII, 1401), che egli
assumeva come criterio della comprensione delle cose oscure il fenomeno, e come
criterio della ricerca'il concetto, èvvoia xpurr/pwv Z,r\vtpzwq. Qui è notevole
lo del termine. Ivvotoe che già notammo a proposto della designazione di
y.oiw.l Ivvs:% adoperata da Euclide per gli assiomi, giacche abbiam pur detto
che codesto termine non si trova nella [Cfr. p. et. Aetiui in Diel», A. 30. (2
) Diels, A. III. 37]letteratura filosofica di Platone ed Aristotele, ma invece,
più tardi, presso gli Stoici. Appunto ad un’opera di Crisippo 7tepì £?jT^7S(0£
sembra fare allusione Plutarco presso Olimpiodoro, dove dice che gli Stoici
allegano a causa di ciò (cioè della possibilità di arrivare a cose che non si
conoscono) le nozioni fisiche: tàj qjuaixà; èvvofa?. D’altronde Diogoene
Laerzio (VII, 54) (c’informa che Crisippo dice esservi DUE criteri della
verità, la sensazione e il concetto. Qui in cambio di svvoia viene adoperata
l’espressione TtpóXvjtjt:?, che ricorre anche presso gli Epicurei, designando
l’anticipazione dell’esperienza. Ora il significato preciso che gli Stoici
davano alle ÈVV 3 tati, si può rilevare, per esempio, da un passo del De
Civitate Dei di S. Agostino dove si parla di coloro che riposero la verità nei
sensi, cioè degli Epicurei e degli stessi Stoici. Qui cum vehementer aaerint
sollertiam disputando quam dialecticam nominant, a corporis sensibus eam
ducendam putarunt, hinc asseverantes animum concipere notiones, quas appellant
èvvo'st;, earum rerum scilicet quas definiendo explicant. Da questi riferimenti
sembra potersi dedurre che gli Stoici abbiano adottato, al pari di Aristotele,
la dottrina democritea dell’ origine sensibile dei concetti – nihil est in
intellectu quod prior non fuerit in sensi (l ) Cfr. Arnim, Stoicorum veterani
fragmenta. Voi. II, n. 104. Crisippo, discepolo di Zenone Cizio (280-209 a.
C.).In Arnim, op. c. 105. In Arnim, 106. (cui soltanto gli Epicurei
conservarono come fondamento l’ipotesi delle piccole immagini), ma spogliando i
concetti di quella dignità superiore che il razionalista cerca conferire agli
intelligibili; così, per loro, la dimostrazione scientifica (àiróSs:^;) viene
ridotta, per dirla con Cicerone, ad una “ratio, quae ex rebus perceptis ad id,
quod non percipiebatur, adducit.” In
corrispondenza di queste vedute, di carattere più empirico, è interessante
rilevare come si modifichi la dottrina democritea della scienza, che Zenone
Cizio dice essere una comprensione sicura e ferma e immutabile dalla ragione »
(à,u£-*sov ùttò Àóyo j /./.- ovvero anche un possesso immutabile dalla ragione,
nell’accoglienza delle rappresentazioni » (èv a>xvT5tTO)v r.ozz- a&o. Pertanto
gli Stoici non giunsero a quello schietto empirismo, che si vede accolto da
Epicuro, per cui è accettata sempre come vera ogni sensazione o apparenza:
richiesero anzi che all apparenza si aggiunga 1 assenso volontario dell animo, che
per il saggia ha motivo nell identità fra la ragione individuale e la Ragione o
logos universale. Così il concetto eracliteo del logos, che la scuola Arnim,
111. () Riferimenti di Sesto e Diogene Laerzio in Arnim: Zeno- Citius, n. 68.
(' ) Cfr. Sesto e Cicerone in Arnim: Zeno Citius, nn. 63 e 61. 3] stoica ha fatto proprio, doveva pur sempre
conservare al pensiero una certa dignità, e quindi facilitare il trapasso alla
veduta posteriore degli eclettici (Cicerone), per cui le commune notio vengono
ritenute non più come uniformità della natura bensì come idea innata,
attestanti la reminiscenza della vera origine divina dell' uomo, onde la teoria
stoica (ritornando in effetto a Platone) viene a fondersi colla neoplatonica.
Più direttamente degli Stoici (che pure ne derivarono il principio del
determinismo universale) si riattaccano a Democrito gli Epicurei, che ne adottarono
la teoria atomica, spogliata bensì del suo più profondo significato meccanico.
Ma, come abbiamo già accennato, Epicuro e lungi dal razionalismo del maestro
d’Abdera. La sua “Canonica” comprende poche regole di cui abbiamo chiaro riferimento
da Sesto Empirico, e che Gassendi ha ricostruito con precisione nella sua
Logica. Riferiamo la parte essenziale dei canoni epicurei così formulate.
Sensus nunquam fallitur. Opinio est consequens sensum, sensiomque superadiecta,
in quam veritas aut falsitas cadit. Opinio illa vera est, cui vel suffragata, vel
non refragatur sensus evidentia. Petri Gassendi Opera Omnia, Firenze. 1277,
Voi. 1. Pari 1, De Logicae origine el varietale]. Omnis quae in mente est
anticipatio, seu prae-notio, dependet a sensibus, idque vel incursione, vel
proportione, vel similitudine, vel compositione. (Questo stesso modo di
formazione dei concetti appare negli Stoici). Anticipatio est ipsa rei nodo,
sive definitio. Est anticipatio in omni ratiocinadoe principium. Quod inevidens
est, ex rei evidenti anticipaticele demonstrari debet. Qui è notevole 1 appello
all’evidenza sensibile (ev%ex) che viene così assunta come criterio di verità.
Nonostante la modificazione subita, è facile riconoscervi lo stesso criterio di
Democrito che contrapponendo la conoscenza pura o legittima alla conoscenza
oscura, viene appunto a ritenere la chiarezza delle idee come segno del loro
valore: senonchè quella che per Democrito era chiarezza di concepimento,
diviene per Epicuro chiarezza sensibile. Toccherà poi a Descartes di ritornare
al criterio dell’evidenza (cf. Grice, “Descartes on clear and distinct
perception) rispetto al pensiero, riguardando come vera la idea chiara e
distinta (l’aggiunta deriva dal Teeteto 209c-2l0). Dopo aver parlato degli
Stoici e degli Epicurei, ci convien dire degli [Notisi che già in Teofrasto si
applica il criterio dell’evidenza tanto all’intelligenza che al senso. (Cfr.
Sesto Adv. Malh.)] scettici i qual per verità non formano ugualmente una setta
o scuola chiusa, ma — a partire da Pirrone d’Elide e dal suo amico Timone —
ofno tuttavia una certa continuità di tradizione critica, mantenendo di fronte
alle filosofie dogmatiche un atteggiamento di dubbio metodico. No Diogene, ma Arcesilao
di Pitane e Carneade (che venne ambasciatore a Roma nel 155 a. C.), portarono
la filosofia scettica nella media Accademia – e che fascina a Scipione! Più
tardi incontriamo Enesidemo di Cnosso, Agrippa, e finalmente Sesto Empirico che
riassume tutto questo movimento nella sua opera pregevole, fonte cospicua di
notizie per la storia della filosofia romana. I rapporti esteriori che la
tradizione segnala fra Pirrone e qualche democriteo come Nausifane, nonché le
tendenze scettiche che si attribuiscono ad altri democritei (Metrodoro,
Anassarco) indicano già una certa dipendenza della scepsi da Democrito.
D’altronde il legame appare prima di tutto nel motivo morale che ispira la
riserva degli scettici di fronte alla vera natura delle cose, giacche la
sospensione del giudizio mirava a conquistare quella atarassia o
imperturbabilità dell' animo, che si riduce infine alla vittoria sulle
passioni, inculcata dall'Abderita. Ma il apporto teorico della scepsi con
Democrito resulta da ciò che questi aveva ridotto la realtà alla materia
indifferente degli atomi, negando le qualità sensibili; un passo ulteriore
della critica (riportantealla posizione di Protagora) doveva naturalmente
estendere il dubbio anche a quelle proprietà primarie in cui il grande atomista
aveva scorto l'oggetto intel¬ ligibile della conoscenza. E certo questo
sviluppo era suggerito dal contrasto fra le vedute dei due razio¬ nalisti,
sorti a combattere l’empirismo protagoreo: Democrito e Platone. Giacche questi
riteneva proprio come intelligibili quelle stesse qualità (ipostatizzate sotto
il nome di idea) che 1 altro aveva con¬ siderato vane apparenze. Inoltre, anche
nello stesso sistema democriteo, si può riconoscere 1 origine della critica che
investirà gli intelligibili, se — come siamo stati tratti induttivamente ad
ammettere — l’Abderita faceva pur nascere 1 intelligenza dai sensi. In tal
guisa il pensiero antico avrebbe percorso una via non lon¬ tana da quella per
cui il pensiero moderno giunse dalla posizione di Galileo, di Descartes e di
Locke (i quali ripresero la distinzione fra la qualità primaria e le qualità seconda)
alla critica di Berkeley, che — attraverso la teoria della visione - riusciva a
negare anche il significato trascendente di codesto sostrato geometrico della
materia. La teoria degli scettici, si noti, non nega affatto il mondo
fenomenico, bensì oppugna la pretesa dei dogmatici di affermare qualcosa della
verità o della natura delle cose in se stesse. La critica che essi svolgono a
tale scopo, rilevando ciò che vi è di relativo nei criterii della verità,
costituisce in gran parte un acquisto durevole per la dottrina della conoscenza:
lo La logica degli antichispirito che l’anima è affine a quello del positivismo
moderno, salvo il sentimento che la veduta di una scienza più progredita ispira
oggi ai critici della metafìsica. Ma per la storia della logica interessa
soprattutto esaminare gli argomenti di Carneade contro il concetto aristotelico
della dimostrazione: intorno ai quali siamo informati da Sesto Empirico. Ricompare
qui l’idea, già affacciata dai predecessori di Aristotele e da questi
oppugnata, che ogni prova dia luogo ad un regressus in infmitum, poiché ogni
premessa deve essere dedotta da un’altra premessa. E questo argo¬ mento prende
forza dalla negazione di ogni certezza immediata, alla quale gli scettici
pervengono (come si è accennato) mercè la veduta che i concetti su cui si
ragiona traggono pure origine dal senso, onde 1 incer¬ tezza della sensazione
si riflette anche sull intelligenza. Quindi viene presa in esame l'opinione che
sia lecito fondare la scienza sopra ipotesi, e che queste sieno fatte ferme e
valide dalla verità delle conseguenze che se ne deducono. Il passo di Sesto che
critica questa opinione non dice chi ne sia l’autore; ma resulta assai chiaro
che essa deve riferirsi particolar¬ mente ai fìsici matematici, e vi è forse
qualche motivo di attribuirla già a Democrito, che per primo propose alla
scienza il compito di spiegare razionalmente i feno¬ meni. Infatti abbiamo già
accennato che questi appunto (i) Adv. Math. VII, 159-189 e Vili in ispecie
367-463. (s ) Vili, 375] potesse essere preso di mira da Aristotele, ove
eicontesta che voler provare le premesse mediante le conclusioni costituisce un
circolo vizioso (*). Di nuovo Cameade riprende la tesi aristotelica, notando
che dal vero si può dedurre il falso; e certo l'argomento — in stretta logica —
non potrebbe essere confutato. Ma, per quanto o scettico sia portato a dare il
maggior peso a questa constatazione negativa, Cameade non vi si arresta. Dopo
aver negato l'esistenza di criteri assolutamente certi del vero e del falso,
egli accorda pure alla conoscenza un valore probabile; e questo valore lo
riconosce, in primo luogo, ad ogni rappresentazione dotata di sufficiente
evidenza, ma in grado più alto alle catene di rappresentazioni legate 1’una
all'altra in un sistema logico (ibidem, VII, 176 e seg.). Non diverso è, in
ultima analisi, il cri¬ terio positivo con cui anche oggi possiamo giudicare il
valore delle teorie scientifiche: soltanto appare, ai nostri tempi, un
atteggiamento più fiducioso, che è in rapporto collo sviluppo della trattazione
matematica della fisica; mentre il sentimento degli scettici risponde ad una
scienza meno evoluta, ed anche — piuttosto che alla mentalità di matematici — a
quella dei circoli medici, in cui Io scetticismo antico ebbe acco¬ glienza.
Effettivamente l’uso di ipotesi, il cui valore probabile viene desunto dalla
verifica sperimentale delle conseguenze che ne dipendono, caratterizza il
metodo deduttivo-sperimentale della scienza moderna. L. c. An. posi., I, 2] quale
si disegna in Kepler, Galileo e Descartes. L' esame intorno allo sviluppo della
logica post-aristotelica, in cui abbiamo cercato l'influsso delle idee di
qualche predecessore, ci ha mostrato che in verità il realismo logico di
Aristotele è stato superato dallo stesso pensiero greco; il quale ha toccato
posizioni affatto conformi alle più alte vedute moderne. Ma della critica
speciaente istituita dai geometri dopo Euclide, abbiamo notizie troppo scarse per
misurarne il significato; e secondo le apparenze dobbiamo ammettere che le fini
ricerche di Apollonio su questo soggetto non abbiano trovato prosecutori.
D’altra parte l’opera dei filosofi che hanno riflettuto sulla scienza, nella
filosofia romana, non aderendo propriamente ad uno sviluppo scientifico, e
tanto meno matematico, prese spesso quella forma negativa che nel modo più
raffinato ci presenta la dottrina scettica. Infatti per osservatori cui non sia
dato di riprendere e di proseguire il pensiero profondo dei più antichi filosofi
matematici, la confutazione di un ordine di verità necessario, quale è affermato
da Aristotele, deve apparire una confutazione dell stessa possibilità della
scienza. Resta nondimeno un esempio pieno d’interesse nella storia, quello che
ci viene offerto dalla scuola stoica, per cui la trattazione formale della
logica si associa ad una dottrina empirica della conoscenza. E, se codesto
sviluppo formale approda ad un arido schematismo (di fronte a cui comprendiamo
il disprezzo della dialettica manifestato dallo stoico Aristone di Chio),
tuttavia non si può disconoscere il valore dell’analisi logico-grammaticale
dell’espressione, mercè cui si riesce a scorgere in qualche modo nel
linguaggio, l’espressione di una attività costrittiva. Fino a che punto gli
stici sieno proceduti su questa via, non vogliamo qui esaminare. Ma certo si
scopre in essi quella distinzione fra subiettivo ed inter-soggettivo, che
riapparire agli inizii dell’epoca moderna, come fondamento della filosofia.
Dalla storia della filosofia romana si passa, senza indugiarci al movimento
delle idee che accompagna la rinascita della scienza, agli inizi dell’ Evo
moderno. Basta rilevare il carattere generale degli sviluppi che la dialettica riceve
nel periodo intermedio (medius aevus), arido se non del tutto infecondo. Diremo
per ciò come la logica aristotelico-stoica fu introdotta dal filosofo romano
Boezio presso i Romani. La traduzione di Boezio del greco al romano dei primi
due trattati dell’Organum (Categoriae e De Interpretatione – the only two that
Grice lectured on with J. L. Austin and P. F. Strawson), nonché dell’Isagoge di
Porfirio [arbor griceana], e i commenti con cui egli stesso ed altri scrittori
neo-platonici accompagnarono codesti scritti (nel senso della tecnica formale,
secondo la tradizione stoica), costituiscono il fondamento della cultura del
più antico (alto) Medio Evo. Del resto, la cultura generale sembra ^ppjesentata
da un certo numero di enciclopedie clella bassa antichità, come quella di Marciano
Capella, nelle quali si tratta delle sette artes liberales che, nel tirocinio
scolastico, formarono il trivio (I. grammatica, II. Rettorica, III. Dialettica)
ed il quadrivio (IV. Aritmetica. V. Geometria. VI. Astronomia. VII.
Musica). Specialmente degno di nota che
questa prima parte del Medio Evo non ha conosciuto, nè le altre opere (logiche,
fisiche ecc.) di Aristotile, nè le opere originali di Platone, fuori del “Timeo”,
tradotto in romano da Calcidio. Più tardi, il Rinascimento umanistico doveva
venir fecondato mercè una conoscenza diretta dei testi, in seguito alla caduta
dell’impero romano d'Oriente, che addusse numerosi profughi segnatamente in
Italia. Ora nella logica scolastica due aspetti sono degni di nota. Primo,la
progressiva elaborazione della tecnica formale, acuitasi mercè sottili
distinzioni. Secondo, la grande questione della realtà degli universali, di cui
a stento riusciamo a comprendere il carattere drammatico, traverso la forma
aridamente schematica delle discussioni. Sorvoleremo affatto sul primo punto,
sebbene sarebbe interessante per la storia della dialettica, di mostrare, per
esempio, in Buridano il riconoscimento della proprietà distributiva della
particella (adverbium) ‘non’ (~) rispetto a “et” (/\) e “vel” (\/). non (p et
q), ~ (p /\ q) ≡ non p vel non p (~p \/ q).
(notizia segnalatmi da Vacca) o di cercare simili analisi in Paolo
Veneto. Ma, quanto alla questione della realta degl’universale, diremo che si
tratta dell'antica questionollevata dalla ideologia platonico-aristotelica, se
all’idea generali corrisponde una realtà. La quale questione fu riaccesada un
passo dell’Isagoge di Porfirio (I, 3). “E anzitutto, per ciò che riguarda il
genero o la specie, io evito di ricercare se esiste di per sè, ovvero se esiste
soltanto come pure nozione; e — ammettendo che esista di per sè — se
apartengano alla cosa corporea o incorporee; e infine se abbiano esistenza
separata ovvero solo nella cosa corporea sensibile. E una questione troppo
profonda che esigerebbe uno studio differente da questo e troppo este. Nel
vasto intreccio della polemica medioevale appare che il nominalista (negante la
realtà dell’universale) rappresentano, in generale, le tendenze scientifiche,
avverso il misticismo platonizzante del realista. Ciò è vero soprattutto per
riguardo ai rinnovatori del nominalismo nel secolo come Guglielmo Occam e Giovanni
Buridano, rettore dell'Università di Parigi, ai quali è dovuta la teoria che ha
preso il nome di terminismo. Il terminista (che si accosta al concettualismo di
Abelardo) ritiene i concetto (o termino) come un segno intersoggettivo (signa)
della singola cose, o di una classe di cose, realmente esistenti. La dialettica
si riferisce soltanto alle reazione di questo segno della cose (Occam,
Quodlibeta V. 5). Occam avverte pue che l’espressione assume il suo proprio
significato nella proposizione, e spesso in unione a qualche altro termine. Terminus
conceptus est intentio seu passio animae aliquid NATURALITER SIGNIFICANSaut
consignificans, nata esse pars propositionis. Sifftta dottrina supera lo
stretto nominalismo e tuttavia nega il realismo: cioè nega che il ‘significato’
(o ‘signato’) dell’espressione sia da
cercare nella sua comprensione o connotazione, ossia nell’ insieme delle note o
attributi, di cui esso esprimerebbe l'unità sostanziale; e
si afferra invece all’estensione o denotazione (denotatum, relatum), cioè all’
insieme delle cose rappresentati dall’espressione (‘homo’), che — sotto la
specie di certe reali somiglianze — vengono vramente unificati. Al lume di
questa veduta, la definizione scolastica, discendente dal astratto generale universale
al concreto particulare individuo, e la logica stessa perdono importanza: onde
è fatto invito a volgersi dalla spiegazione dell’espressione al concreto della
esperienza. Ciò spiega abbastanza l’interesse appassionato della polemica
intorno agli universali che nel mondo sociale e morale deve rivendicare la
libertà dell'individuo soffocata dalla tirannia delle istituzioni e dall'autorità
delle credenze e dell’insegnamento tradizionale. Nulla sembra più proprio a
favorire un tale affrancamento degli spiriti, che abbattere alla radice
l’albero della deduzione infeconda, triviale, analitica, ricostruendo induttivamente
tutto il sapere. Onde la stessa tendenza si continua ed esplica nella reazione
anti-aristotelica (platonista) degli umanisti italiani purificatori della
logica dalla sottigliezza o implicatura scolastica (Valla, Agricola, Vives) e
si manifesta poi in nuove forme nella rinascita del movimento scientifico. Studio
storico preliminare SeaR Edizioni Quanto segue è, nella
sostanza, il contenuto di una conferenza tenuta a Palermo presso
ristituto Platone il 31 maggio 1986 e successivamente, verso la fine
di queiranno, riprodotto in un numero limitato di co¬ pie, con
aggiunte note critiche e documentarie, per le «Dispense di Arx» di
Messina, edite da Salvatore Ruta. Oggi il testo viene
ripresentato con maggiore digni¬ tà tipografica e tiratura, onde
favorirne la diffusione, con poche modifiche e aggiunte, in questa nuova
col¬ lana della Sear di Scandiano. Poiché è certamente la
prima volta che con una certa organicità viene affrontato questo
argomento, il presente scritto può a ben diritto definirsi una
novità. Tuttavia, dal momento che il nostro testo viene
presentato come uno «studio storico preliminare», il lettore potrà
dedurne che: a) i dati storici, biografici e letterari, le notizie
contenute ed ogni altra informa¬ zione non sono frutto di fantasia o di
illazioni avven¬ tate, ma desumibili nella loro grande maggioranza
da fonti documentarie (come dimostrato dai miei stessi
riferimenti); b) Tinsieme costituisce, d'altra parte, qualcosa di non
definitivo, in quanto suscettibile di essere ampliato ed ulteriormente
specificato da suc¬ cessive indagini e approfondimenti di maggior
respiro. Bisogna peraltro subito aggiungere che anche a molte
notizie documentarie non sarei pervenuto se non avessi tenuto conto, nel
corso di più anni, di indicazioni, suggerimenti, informazioni pervenutimi
per via amichevole o riservata. Quanto qui esposto, tuttavia, non fa
parte di alcun segreto esclusivo — come vorrebbero alcuni — bensì del
patrimonio sto¬ rico della nazione italica e come tale lo offriamo
alla meditazione di quei lettori che vorranno o sapranno trovarvi
spunto di interesse interiore, nonché agli sto¬ rici «laici», perché
almeno in questa occasione si ren¬ dano conto del tipo di dimensione occulta
che corre parallela e interferisce nelle vicende della storia:
nella fattispecie, prendano atto dell 'esistenza, sinora igno¬
rata, delle correnti esoteriche che tentarono di dare al fascismo
queiranima priva di compromessi che non fu capace di far sua. Renato
del Ponte Entrando il Sole nei Gemelli — Nella prefazione da
lui posta ad un recente lavoro dedicato soprattutto alla cosiddetta
«Nuova Dstra», il noto politologo Giorgio Galli, a cui si deve senza
dubbio riconoscere una notevole apertura mentale e un’intelligente
operazione culturale volta alla riscoperta di alcune tematiche proprie
della de¬ stra tradizionale, ha potuto osservare come alla «Nuova
Destra» sia mancata «precisamente una ri¬ lettura della componente
“magica” ed “esoterica” della cultura di destra». La «Nuova Destra» si
trove¬ rebbe anzi, attualmente, «in difficoltà sul piano pro¬
priamente politico forse anche perché ha trascurato l’analisi di fenomeni
ai quali si dimostrava sensibi¬ le (...) la destra tradizionalista
“esoterica’^): tale fal¬ limento, dunque, sarebbe implicito nel
«completo abbandono di un bagaglio culturale di indubbia ri¬
levanza» (1). Tale diagnosi ci pare esatta e le acute
osservazioni del Galli (al quale si debbono anche tentativi di pe¬
netrare nel mondo oggi ancor poco conosciuto, pro¬ prio perché poco
adeguatamente studiato, dell’eso- (1) G. GALLI, prefaz. a: MONICA
ZUCCHINALI, A destra in Ita¬ lia, Sugarco Edizioni, Milano 1986, pp.
7-14. Tale lavoro non merita, di per sé, alcuna annotazione di rilievo,
essendo molto superficiale e limi¬ tato nel settore dedicato alia «destra
radicale» (e in questo largamente superato da precedenti pubblicazioni,
per quanto decisamente a sini¬ stra, come La destra radicale, a cura di
F. Ferraresi, che è del 1984), ec¬ cessivamente ampio e parziale nei
confronti della cosiddetta «Nuova Destra», mentre la «destra
tradizionale» è pressoché inesistente. In so¬ stanza, ciò che dà rilievo
al libro, sono le poche notazioni preliminari del Galli, che peraltro
suonano da campana a morto per i profeti della fine del «mito
incapacitante»... terismo del III Reich) (2), che ben difficilmente,
del resto, potrebbero essere recepite nella loro portata da quanto
sopravvive della «Nuova Destra», pro¬ prio per la sua impostazione
profana e modernista (per non parlare della destra «tecnocratica»
missina, per sua intrinseca natura da sempre impermeabile ad ogni
discorso «intelligente») (3), potranno ser- (2) In una relazione
sul tema tenuta nel giugno 1984 a Torino (pare per la Fondazione
Agnelli), il cui testo abbiamo potuto leggere, il Galli osserva come «la
storiografia ufficiale e accademica abbia sempre esita¬ to a muoversi in
questa direzione, appunto per il timore di spostarsi dal piano della
storia a quello della fantasia». Ciononostante il Galli, che dunque
sembra muoversi tra i primi al di fuori di tale logica paralizzan¬ te,
afferma come «vi siano sufficienti elementi per una riflessione stori¬ ca
organica sulla componente esoterica soprattutto dei nazismo, mentre per
quanto riguarda il fascismo italiano questa riflessione potrebbe con¬
cernere esclusivamente la personalità di Julius Evola». 11 presente volu¬
metto dovrebbe dunque servire ad ampliare le prospettive conoscitive del
Galli e di quanti altri si interessino di tali tematiche proprio
sull’ulti¬ mo punto, quello concernente il fascismo. Circa poi le
correnti esoteri¬ che del nazismo, bisognerebbe intanto distinguere fra
ciò che ha prece¬ duto la sua presa del potere, le gerarchie ufficiali
dello Stato ed alcuni settori delle SS. In base a ricerche che stiamo
effettuando, possiamo an¬ ticipare che tali correnti esoteriche poggiano
su fondamenta assai fragi¬ li, contrariamente a quel che potrebbe pensare
il Galli stesso, che in que¬ sto caso pare essere rimasto vittima di
alcune «ingenuità» propalate sul¬ la scia del famigerato Mattino dei
Maghi di Pauwels e Bergier. Per un discorso preliminare su quanto andiamo
dicendo, si veda ora il mio sag¬ gio su La realtà storica della «Società
Thule», in introduzione alla pri¬ ma traduzione italiana di: Prima che
Hitler venisse di Rudolf von Se- bottendorff. Edizioni Delta-Arktos,
Torino 1987. Su Evola e certi am¬ bienti delle SS, pubblicherò in seguito
documenti provenienti dall’archi¬ vio di stato tedesco (Quartier Generale
di Himmler), in cui tali temati¬ che saranno ulteriormente
trattate. (3) In un recente articolo che vuole costituire una sorta
di recensione del libro della Zucchinali, un anonimo missino cosi
sintetizza gli interes- 14 virci qui da spunto
iniziale per una breve indagine preliminare, necessariamente per ora
limitata, su una corrente di pensiero indubbiamente assai mino¬
ritaria, ieri ed oggi, in Italia, ma come è stato di re¬ cente sottolineato,
«nel contempo assolutamente ne¬ cessaria per l’Italia» (4), che ha svolto
ed è destinata a svolgere ancora una funzione molto importante, per
non dire essenziale, per la nostra nazione: quella della conservazione
dtXV identità delle nostre radici. Essa, se è stata opacizzata nelle
masse e in una classe dirigente sclerotizzata e corrotta per
incapaci¬ tà e colpevole negligenza, nondimeno persiste im¬ mutata,
come presenze e immagini primordiali, ne¬ gli archetipi divini che
presiedono alle nostre sorti. Il compito di tale minoranza, al di là
della pura e semplice azione conservativa, è stato quello di saper
ridestare nei momenti opportuni quelle immagini, sì che divenissero
presenze vive ed operanti, concretiz¬ zandole nelle nuove realtà della
nazione italica. Si tratta delle immagini primordiali e delle
epifa¬ nie divine del Lazio e dell 'Italia delle origini, ovvero
della Saturnia tellus: quelle che hanno reso possibile la manifestazione
sul nostro suolo della tradizione di Roma — che simboli, funzioni ed
attribuzioni si e i tentativi controcorrente del Galli: «A cosa
ciò possa condurre in concreto, è imprevedibile. Forse a nulla» (in
«Proposta», I, 2, marzo- aprile 1986, p. 95). (4) Conventum
Italicum, comunicato anonimo in «Arthos», XII- XIII, 27-28 (1983-84), p.
85. hanno reso evidente essere emanazione della Tradi¬ zione
primordiale (5) — ed il suo rinnovellarsi attra¬ verso i tempi.
Il precedente riferimento del Galli all’esoterismo è, nel nostro
caso, più che pertinente, dal momento che la trasmissione e perpetuazione
della tradizione romana, almeno negli ultimi quindici secoli, ha
po¬ tuto avvenire, per motivi ben comprensibili, per via segreta,
cioè esoterica e di necessità sotto forme e vie anche molto diverse. Se
oggi si può parlare di «de¬ stra» esoterica è soltanto perché, per
circostanze sto¬ riche particolari, in un ambito (peraltro, assai
ri¬ stretto) della destra del nostro secolo certe tematiche hanno
potuto trovare parziale ospitalità (6): va da sé — e non sarebbe il caso
di insistervi sopra — che la .tradizione di cui tali correnti sono
portatrici si situa ben al di là e al di sopra di ogni miserabile
dialettica fra destra e sinistra, termini e concetti di derivazione
parlamentare moderna e quindi del tutto inadeguati ad inquadrare forme di
realtà spirituali quali quelle a cui ci riferiamo. Tuttavia,
dal momento che il presente intende es¬ sere semplicemente uno «studio
storico» su tale cor- (5) Per tali evidenziazioni, debbo rimandare
ad alcuni capitoli del mio Dèi e miti italici. Il ed., ECIG, Genova 1986,
specialmente in con¬ nessione con le figure di Giano e Saturno (con il
ciclo a lui connesso). (6) Si deve peraltro notare che ad interessi
esoterici inerenti anche alla tradizione romana non furono aliene certe
personalità della «sinistra storica» e nel corso della nostra esposizione
non mancherà un esempio concreto. 16 rente,
dovremo fare solo riferimenti indiretti e limi¬ tati al suo lato
esoterico, quanto invece insistere sui suoi riflessi politici, culturali
e religiosi. L’abbiamo definita «corrente tradizionalista ro¬
mana» (7) nel Novecento: un’élite che ha in ogni ca¬ so lasciato una sua
impronta in una certa epoca e che, nell’incertezza del «pensiero debole»
attuale, potrebbe ancora essere portatrice di un messaggio
radicalmente alternativo, poiché radicalmente (e qui l’espressione va
intesa, con coscienza di causa, nel suo pieno valore etimologico, a
radicibus) orientata contro gli pseudovalori che reggono la scena del
mondo moderno. Non è mio compito qui riassumere i termini
della questione intorno alla possibilità della trasmissione della
sacralità e della tradizione di Roma dall’epoca degli ultimi sapienti
pagani sino ai nostri giorni: è uno studio che, in riferimento
soprattutto alle gentes dei Simmachi, dei Nicomachi, dei Pretestati ed
altri, abbiamo da anni iniziato in varie riviste e pubblica-
(7) Derivo l’espressione di «corrente tradizionalista romana» dal po¬
deroso (e ponderoso) lavoro di P. DI VONA, Evola e Guénon. Tradizio¬ ne e
civiltà, Napoli 1985, pp. 179-210, in cui, nel VI cap., intitolato ap¬
punto Il tradizionalismo romano, l’A. studia la «corrente romana del
tradizionalismo, ad opera di Reghini, Evola e De Giorgio». È evidente che
col termine «corrente» noi non intendiamo riferirci (se non in singo¬ li
casi, che ben preciseremo) ad una linea di pensiero omogenea, bene
organizzata in un gruppo unitario e compatto dalle caratteristiche co¬
muni, ideologicamente e politicamente parlando, ma ad una tendenza che
potè assumere aspetti e sfaccettature diverse, come proprio i casi di
Reghini, Evola e De Giorgio (e non sono certo gli unici) sono a dimo¬
strare. zioni (8) e che non mancherà di ulteriori sviluppi. In
questa sede sarà sufficiente fare rapido riferi¬ mento a quell’epoca
gravida di grandi e decisive tra¬ sformazioni che fu il Rinascimento
italiano. È so¬ prattutto nel corso del XV secolo che tradizioni
oc¬ culte, sopravissute per secoli nel più grande segreto, paiono
ricevere nuova linfa e l’impulso ad una nuo¬ va manifestazione dal
contatto con personalità del¬ l’Oriente europeo di altissima rilevanza
intellettuale, come quella di Giorgio Gemisto Pletone, il grande
rivitalizzatore della filosofia platonica negli ultimi anni dell’Impero d’Oriente
e fondatore di un cena¬ colo esoterico a Mistra, la medievale erede
dell’anti¬ ca Sparta, all’interno del quale, oltre a conservare
testi dell’antichità pagana (come le opere dell’impe¬ ratore Giuliano,
che vi venivano trascritte), si cele¬ bravano veri e propri riti e si
elevavano inni in onore degli dèi olimpici (9). La figura e
la funzione di Giorgio Gemisto Pleto¬ ne sono ancora troppo poco note in
generale e, in Italia, non ancora studiate (10). In genere, ci si
limi- (8) Cfr. ad esempio: R. DEL PONTE, Sulla continuità della
tradizio¬ ne sacrale romana, parti I e II, in «Arthos», voi. V, numeri 21
e 25 (1980-82), pp. 1-13, 275-281; parte III, voi. VI, n. 29(1985), pp.
149-157; vedi anche: Q. AURELIO SIMMACO, RelazionesuH’altare della
Vitto¬ ria, con un’introduzione di R. del Ponte su Simmaco e isuoi tempi.
Edi¬ zioni del Basilisco, Genova 1987. (9) Si tenga conto che
nel sud del Peloponneso sono attestati, a livello popolare, culti nei
confronti degli dèi classici sino al IX secolo della no¬ stra era.
(10) In lingua italiana mancano ancora del tutto studi
approfonditi. 18 ta a citare, a proposito di lui, la
sua partecipazione al Concilio di Firenze e l’istituzione dell’Accademia
Platonica Fiorentina, che ebbe sede nella villa di Ca- reggi (o «delle
Cariti», o «Muse»), concepita da Co¬ simo il Vecchio e realizzata da
Lorenzo il Magnifico su suggestione del Pletone. Ma gli effetti
dovettero essere ancora più interessanti e gravidi di conseguen¬
ze, se si considerino i legami, ad esempio, fra Gior¬ gio Gemisto Pletone
e Sigismondo Pandolfo Mala- testa. Signore di Rimini: colui che ne
sottrarrà il ca¬ davere agli Ottomani (1464), i quali avevano occu¬
pato Mistra nel 1460, onde deporlo pietosamente in un’arca marmorea del
suo famoso «Tempio Malate¬ stiano». Lo stesso Malatesta dovette pure
essere in rapporto con la ben nota «Accademia Romana» di Pomponio
Leto (11), propugnatore, scrive il von Pa- stor, del «romanesimo
nazionale antico». Il capo Ci si dovrà pertanto limitare a
rimandare a: B. KIESZKOWSKI, Studi sul platonismo del Rinascimento in
Italia (vedi soprattutto cap. II), Sansoni, Firenze 1936; P. FENILI,
Bisanzio e la corrente tradizionale del Rinascimento, in «Vie della
Tradizione», X, 39 (1980), pp. 139-147 (ci viene comunicato ora, che a
cura dello stesso P. Fenili è in corso di stampa un’antologia di brani di
Pletone, dal titolo «Paganitas», lo squarcio nelle tenebre, per Basala
Editore di Roma). Di recente, ci è ca¬ pitato di leggere in un’insolita
pubblicazione, una rivistina satirica di si¬ nistra, un reportage da
Mistra singolarmente informato e documentato su Gemisto Pletone e la sua
scuola (cfr. P.LO SARDO, La repubblica dei Magi. Da Sparta alla Firenze
del '400, in «Frigidaire», 56-57, luglio- agosto 1985, pp. 55-63).
(11) Per mezzo del Platina (definito da Pomponio pater sanctissi-
mus), 1 ’Accademia Romana intratteneva rapporti col Malatesta, il
quale dell’Accademia Romana, riporta il von Pastori «spregiava
la religione cristiana ed usciva in vio¬ lenti discorsi contro i suoi
seguaci... venerava il ge¬ nio della città di Roma. (...) Quale
rappresentante di queU’umanesimo, che gravitava verso il pagane¬
simo, si schierarono ben presto attorno a Pompo¬ nio un certo numero di
giovani, spiriti liberi dalle idee e dai costumi mezzo pagani. (...) Gli
iniziati consideravano la loro dotta società come un vero collegio
sacerdotale alla foggia antica, con alla te¬ sta un pontefice massimo,
alla quale dignità fu elevato Pomponio Leto» (12). Si noti
che sembra certa l’adesione alla cerchia del Leto del principe Francesco
Colonna, Signore di Pa- lestrina, l’antica Praeneste, dai più ritenuto
l’autore della celeberrima Hypnerotomachia Poliphili, un te¬ sto
molto citato, ma molto poco letto e soprattutto compreso, dove, in ogni
modo, una sapienza ermeti¬ ca si sposa all’esaltazione, non tanto
filosofica. fu notoriamente nemico dei papi e ammiratore del
movimento pagano di Mistra (cfr. F. Masai, Pléthon et le platonisme de
Mistra, Paris 1956, p. 344, nota. L’opera del Masai è a tutt’oggi la più
completa esistente sulla dottrina e la figura di Giorgio Gemisto
Pletone). Si noti che il Pla¬ tina fu allievo a Firenze dell’Argiropulo,
discepolo di Pletone, e che un altro antico discepolo, il Cardinal
Bessarione, si prodigò per la liberazio¬ ne da Castel Sant’Angelo dei
membri dell’Accademia Romana nel 1468, dopo che furono accusati dal papa
Paolo II — non senza fondamento — di «paganesimo». 11 Masai (op. cit., p.
343) si domanda se l’Accade¬ mia Romana «non fosse in qualche modo una
filiale di quella di Mistra». (12) L. von PASTOR, Storia dei
Papi, voi. II, Roma 1911, pp. 308-309. 20 quanto
mistica, del mondo della paganità romano¬ italica, culminante nella
visione di Venere Genitrice. Se si rifletta al fatto che Francesco
Colonna, rea¬ lizzatore fra il 1490 e il 1500 del nuovo imponente
palazzo gentilizio eretto sulle rovine del tempio di Fortuna Primigenia
(ancora oggi ben identificabili nelle strutture originali), vantava
discendenza diret¬ ta dalla gens Julia e quindi da Venere (13), si
potrà allora intravedere come l’apporto vivificante della corrente
sapienziale reintrodotta in Italia da Gemi¬ sto Pletone si fosse incontrato
col retaggio gentilizio di una tradizione antichissima, gelosamente
custodi¬ to nel silenzio dei secoli col tramite di alcune fami¬
glie nobiliari italiane, in ispecie laziali, generosa¬ mente
fruttificando: nel senso di spingere ad un rin¬ novamento tradizionale
non solo l’Italia, ma persi¬ no, ad un certo momento, lo stesso papato,
se avven¬ ti 3) Risulterà forse sorprendente apprendere come i
Colonna posse¬ dessero ancora fino ai nostri giorni (è documentato almeno
sino al 1927) il «feudo» originale di Giulio Cesare, Boville (Frattocchie
d’Alba- no). Sempre fino al 1927 era visibile nel giardino Colonna al
Quirinale l’aitare antico dedicato al Vediove della gens Julia (notizie
ricavate da: P. COLONNA, I Colonna, Roma 1927, pp. 5-6). Tolomeo 1
Colonna ostentava il titolo di Romanorum consul excellentissimus e Julia
stirpe progenitus (cfr. P. FEDELE, s.v. Colonna, in «Enciclopedia
Italiana», X, 1931). Ha compiuto un’attenta analisi deWHypnerotomachia
Poli¬ phili (editio princeps nel 1499, presso Manuzio) come opera di
France¬ sco Colonna, M. CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma
1980. Si veda anche: OLIMPIA PELOSI, Il sogno di Polifilo: una quéte
del¬ l’umanesimo, ed. Palladio, s.l. 1978. A.C. Ambesi, in
considerazione della dimensione iniziatica dell’opera di Francesco
Colonna, la conside¬ ra come un’anticipazione cifrata del movimento dei
Rosacroce (/ Rosa¬ croce, Milano 1982, pp. 76 e sgg.). ne che poco
mancò che salisse al soglio pontificio quel cardinale Giuseppe Bassarione
che fu discepolo diretto di Giorgio Gemisto Pletone, da lui
giudicato, come scrisse in una lettera privata ai figli del mae¬
stro dopo la sua morte, «il più grande dei Greci do¬ po Platone»
(14). Ma altri tempi tristi dovevano giungere, tempi in cui
sarebbe stato più prudente tacere, come dimo¬ strò il bagliore delle
fiamme in Campo dei Fiori, av¬ volgenti nell’anno di Cristo 1600 il
corpo, ma non l’animo, di Giordano Bruno, rivivificatore generoso,
ma impaziente, di dottrine orfico-pitagoriche, che trovavano analoga eco
— frutto di una linfa non mai del tutto estinta nell’Italia Meridionale —
nella poesia e nella prosa dell’irruente frate calabrese Tommaso
Campanella, lui pure oggetto di odiose persecuzioni.
Bisognerà giungere sino all’unità d’Italia, parzial¬ mente
realizzatasi nel 1870 con la fine della millena¬ ria usurpazione
temporale dei papi, per trovare una situazione mutata. A questo punto
bisogna chiarire una volta per tutte, con la maggiore evidenza, che
dal punto di vista del tradizionalismo romano l’uni¬ tà d’Italia —
indipendentemente dai modi con cui (14) Si dovrà ricordare che il
Bessarione raccolse cum pietate nel suo studio le opere e i manoscritti
del maestro, in particolare alcuni fram¬ menti apertamente pagani delle
Leggi, dotandone poi la Biblioteca Marciana da lui fondata, a
Venezia. 22 potè in effetti verificarsi (modi spesso
arbitrari e prevaricatori della dignità e delle sacrosante autono¬
mie di diverse popolazioni italiche) e dall’azione di certe forze
sospette (Carboneria, massoneria e sette varie) che per i loro fini
occulti poterono agevolarla — era e rimane condizione imprescindibile e
necessa¬ ria per ritornare alla realtà geopolitica dell’Italia au-
gustea (e dantesca): quindi per propiziare il rimani¬ festarsi nella
Saturnia tellus di quelle forze divine che ab origine a quella realtà
geografica — consa¬ crata dalla volontà degli dèi indigeti — sono
legate. È un dato che si dovrà tenere ben presente, per
meglio intendere certi fatti che avremo modo di esporre in seguito.
Intanto, negli ultimi anni del XIX secolo è nell’a¬ ria qualcosa
di nuovo e antico insieme, che verrà av¬ vertito dalle anime più
sensibili. Fra queste, il grande poeta Giovanni Pascoli, con
un equilibrio ed una compostezza veramente classi¬ ci, valendosi di una
sensibilità non inferiore a quella con cui in quegli stessi anni
conduceva l’esegesi di certi lati occulti della dantesca Commedia, con il
se¬ guente sonetto (e col corrispondente testo in esame¬ tri
latini, da noi non riprodotto) celebrava in una semplice aula scolastica
la solennità «L’aratro è fermo: il toro d’arar sazio, leva il fumido muso
ad una branca d’olmo; la vacca mugge a lungo, stanca, e n’echeggia
il frondifero Palazio. Una mano sull’asta, una sull’anca del
toro, l’arator guarda lo spazio: sotto lui, verde acquitrinoso il
Lazio; là, sul monte, una lunga breccia bianca. È Alba. Passa
l’Albula tranquilla, sì che ognun ode un picchio che percuote
nell’Argileto l’acero sonoro. Sopra il Tarpeio un bosco al
sole brilla, come un incendio. Scende a larghe ruote l’aquila nera
in un polverio d’oro» (15). Allo scadere del secolo, nel 1899, è un
fatto nuovo di ordine archeologico il punto di riferimento im¬
portante ed essenziale per il secolo che sta per aprir¬ si: la scoperta
nel Foro da parte dell’archeologo Gia¬ como Boni (un nome che non dovremo
scordare) del cippo arcaico sotto il cosiddetto Lapis Niger (VI
sec. a.C.), in cui l’iscrizione in caratteri antichi del termi¬ ne
RECHI ( = regi) attesta documentariamente l’ef¬ fettiva esistenza in Roma
della monarchia e, con quanto ne consegue, la sostanziale fondatezza
della tradizione annalistica romana, trasmessa nel corso di
innumerevoli generazioni, dai primi Annales Ma¬ ximi dei pontefici sino a
Tito Livio e, al termine del- (15) G. PASCOLI, Antico sempre
nuovo. Scritti vari di argomento latino, Zanichelli, Bologna 1925, p. 29.
11 lettore esperto potrà notare come in pochi versi il poeta abbia saputo
sapientemente concentrare particolari nomi evocativi di determinate
realtà primordiali dell’Urbe. 24 l’Impero
d’Occidente, alle ultime gentes sacerdotali ed a quegli estremi devoti
raccoglitori e trasmettitori della sapienza delle origini, come poterono
essere un Macrobio ed un Marziano Capella nel V secolo. È
come se, fisicamente, una parte di tradizione ro¬ mana si esponesse
improvvisamente alla luce del so¬ le a smentire l’incredulità e
l’ipercriticismo della scuola tedesca, che, in nome di un presunto
realismo scientifico, aveva respinto in blocco le più antiche
memorie patrie, e soprattutto dei suoi squallidi se¬ guaci italiani, come
quell’Ettore Pais che nella sua Storia di Roma (ristampata innumerevoli
volte fino in piena epoca fascista) aveva negato ogni tradizione da
una parte, costruendo dall’altra fantastici castelli in aria, senza
alcuna base, né storica, né filologica. Risulta che Giacomo Boni fu
in corrispondenza con un altro principe romano, pioniere degli studi
islamici e deputato al parlamento nei banchi della sinistra: Leone
Caetani duca di Sermoneta, principe di Teano, marito di una principessa
Colonna. Suo nonno, Michelangelo Caetani, era stato l’au¬
tore di un fortunato opuscolo di esegesi dantesca sin dal 1852, dove si
sosteneva l’identità di Enea col dantesco «messo del cielo» che apre le
porte della Città di Dite con «l’aurea verghetta» degli iniziati di
Eieusi (16): quello stesso che nel 1870, già vecchio e quasi cieco, fu il
latore a Vittorio Emanuele II dei (16) Cfr. M. CAETANI di
SERMONETA, Tre chiose nella Divina Commedia di Dante Alighieri, II ed.,
Lapi, Città di Castello risultati del plebiscito che sanciva l’unione di
Roma all’Italia. Proprio Leone Caetani sarebbe stato
l’autorevole tramite attraverso cui si sarebbero manifestate al¬
l’interno della Fratellanza Terapeutica di Myriam (operativa proprio
negli anni della scoperta del La¬ pis Niger) fondata da Giuliano Kremmerz
(cioè Ciro Formisano di Portici) — che la definì talvolta come
Schola Italica — determinate influenze derivanti dall’antica tradizione
romano-italica se, come scrive l’esoterista Marco Daffi {alias il conte
Libero Ric- ciardelli) (17) è lui il misterioso «Ottaviano» (altro
riferimento alla gens Julia!) autore nel 1910, nella ri¬ vista
«Commentarium» diretta dal Kremmerz, di un articolo sul dio Pan e di una
lettera di congedo dalla redazione in cui egli riafferma in tali termini
la pro¬ ti?) «Sotto tale pseudonimo si nascondeva persona
veramente auto¬ revole, autorevolissimo collega di ricerche ermetiche di
Kremmerz tanto da potere essere ritenuto portavoce di sede superiore
(...) Don Leone Caetani, Duca di Sermoneta, Principe di Teano» (M. DAFFI,
Giuliano Kremmerz e la Fr+Tr+ di Myriam, a cura di G.M.G., Alkaest,
Genova 1981, pp. 62 e 84). Gli scritti firmati da «Ottaviano» in
«.Commenta¬ rium» sono tre: La divinazionepantéa (n. 1 del 25 luglio
1910), Per Giu¬ seppe Francesco Borri (n. 3 del 25 agosto 1910),
Gnosticismo e inizia¬ zione (n. 8-10 di novembre-dicembre 1910). In
quest’ultimo scritto, con¬ sistente in una lettera di congedo come
collaboratore della rivista, si ri¬ manda all’opera di un altro
personaggio che, come «Ottaviano», doveva riconnettersi allo stesso
ambiente iniziatico gravitante alle spalle dell’or¬ ganismo kremmerziano:
l’avvocato Giustiniano Lebano, autore di un curioso libretto intitolato
Dell’Inferno: Cristo vi discese colla sola ani¬ ma o anche col corpo?
(Torre Annunziata 1899), in cui nuovamente si accenna al «ramoscello
dorato del segreto, ossia la voce mistica di con¬ venzione» (p. 66) che
Enea presenta a Proscrpina. 26 pria fede
pagana: «... non sono che pagano e ammiratore del paga¬
nesimo e divido il mondo in volgo e sapienti (...) volgo, che i miei
antenati simboleggiavano nel ca¬ ne e lo pingevano alla catena sul
vestibolo del Do- mus familiae con la nota scritta: Cave canem; ca¬
ne perché latra, addenta e lacera» (18). In quegli stessi anni (a
partire dal 1905) era co¬ minciata l’attività pubblicistica ed iniziatica
di Ar¬ turo Reghini (1878-1946). La sua importanza fra i più
autorevoli esponenti europei della Tradizione, e del filone
romano-italico in particolare, risiede cer¬ tamente non tanto nel
tentativo, vano e fatalmente destinato all’insuccesso, per quanto
disinteressato, di rivitalizzare la massoneria al suo interno (19),
quanto nell’attenzione da lui portata allo studio ed (18)
OTTAVIANO, Gnosticismo e iniziazione, cit., p. 210. (19) Tentativo
che si concretizzò soprattutto con la creazione del Rito Filosofico
Italiano, fondato nel 1909 dal Reghini, Edoardo Frosini ed altri (il 20
ottobre 1911 vi sarà accolto come membro onorario Aleister Crowley...),
ma dall’esistenza effimera, dal momento che sin dal 1919 si fuse con la
massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato di Piazza del Gesù. 11
Reghini seguirà le sorti e le direttive di Piazza del Gesù di Raoul
Palermi, molto favorevole nei confronti del fascismo, sino ai
provvedimenti contro le società segrete del 1925. Giovanni Papini ha de¬
dicato alcune pagine nel contempo pungenti e commosse ad Arturo Re¬ ghini
di cui fu amico negli anni giovanili, cosi concludendo: «Arturo Reghini
visse, povero e solitario, una vita di pensiero e di sogno: anch’e¬ gli
difese e incarnò, a suo modo, il “primato dello spirituale’’. Nessuno di
quelli che lo conobbero potrà dimenticarlo» (Passato remoto (1885- 1914),
ed. L’Arco, Firenze 1948, p. 129).alla riscoperta della tradizione classica e
romana, che gli era stato dato in compito di rivitalizzare «in
segreto», così come egli stesso si esprime in una let¬ tera inviata ad
Augusto Agabiti e pubblicata nel nu¬ mero di aprile 1914 di
«Ultra»: «sai bene come il nostro lavoro, puramente meta¬
fisico e quindi naturalmente esoterico, sia rimasto sempre e
volontariamente segreto» (20). In tal modo il Reghini ben si
inseriva nel filone della corrente tradizionalista romana, in quella
sua variante che si può legittimamente definire «orfico-
pitagorica» (21), col contributo di numerosi scritti, soprattutto sulla
numerologia pitagorica, sparsi fra molti articoli e opere impegnative,
come Per la resti¬ tuzione della geometria pitagorica (1935; rist.
1978), I numeri sacri della tradizione pitagorica massonica
(postumo 1947; rist. 1978), Aritmosofia (postumo (20) A. REGHINI,
La «tradizione italica», in «Ultra», Vili, 2 (aprile 1914), p. 69.
(21) Allo stesso modo, di tradizione ermetica «egizio-ellenistica»
si potrebbe parlare per il filone essenzialmente seguito dalla
corrente kremmerziana. È chiaro come nessuna di queste correnti possa
preten¬ dere di identificarsi con il filone centrale deWa tradizione
romana (come vorrebbero, ad esempio, certi continuatori del Reghini dei
nostri giorni), rappresentandone, semmai, corollari concentrici ed
espressioni validis¬ sime, ma essenzialmente periferiche. Il nucleo della
tradizione romana è altra cosa: può includere tutto ciò, ma al tempo
stesso ne è al di sopra nella sua essenza originaria. Per cercare di
comprendere la cosa, si dovrà riflettere sul simbolismo e sulla funzione
del dio Giano, non per caso divinità unica e propria della sacra terra
laziale.) ed il tuttora inedito Dei numeri pitagorici (22). Con
questa attività egli avrebbe perseguito la mis¬ sione affidatagli da
un’antica scuola iniziatica di tra¬ dizione pitagorica della Magna Grecia
(23) allorché, ancora giovane e studente a Pisa, fu avvicinato da
colui che sarebbe divenuto il suo maestro spirituale: Amedeo Rocco
Armentano (24), calabrese, ufficiale dell’esercito all’epoca in cui lo
conobbe il Reghini. Ad Amedeo Armentano (1886-1966)
apparteneva (22) Di recente, per il quarantesimo anniversario
della scomparsa del Reghini (1986), è stata edita una raccolta di suoi
scritti vari: Paganesi¬ mo, pitagorismo, massoneria, ed. Mantinea, Fumari
1986, a cura del¬ l’Associazione Pitagorica, un gruppo costituitosi solo
nel giugno 1984 con un poco iniziatico «atto notarile» (sic), ma che
vanta diretta discen¬ denza dal gruppo del Reghini. La raccolta è stata
purtroppo eseguita con dilettantismo, senza criteri ed inquadramenti
storico-filologici e gli scritti reghiniani (uno addirittura incompleto)
non seguono nè un ordi¬ ne logico, nè cronologico. Il saggio suW
Interdizione pitagorica delle fa¬ ve si potrà leggere ora completo in «Arthos»
n. 30 (1986, ma stampato 1987). (23) DIOGENE LAERZIO (Vili,
56) ricorda come il pensiero di Pi¬ tagora avesse trovato accoglienza
presso gli Italioti della Magna Grecia: «Come dice Alcidamante tutti
onorano i sapienti. Così i Pari onorano Archiloco, che pur era blasfemo,
e i Chii Omero, che era d’altra città (...) e gli Italioti Pitagora» (Die
fragmente der Vorsokratiker, a cura di H. Diels-W. Kranz; trad. ital.
Bari 1981, v. I). (24) Per alcune notizie su Armentano (ed una sua
foto), cfr. R. SE- STITO, A.R.A., il Maestro, in Ygieia, bollettino
interno dell’Associazio¬ ne Pitagorica, 111, 1-4 (1986), pp. 1-3. Di
Armentano si vedano le Massi¬ me di scienza iniziatica, commentate dal
Reghini in vari numeri di «Atanòr» ed «Ignis» (1924-25). Negli anni Trenta
Armentano lasciò l’I¬ talia per il Brasile, dove morì. È sintomatico come
anche «Ottaviano» in quel periodo si sarebbe allontanato dall’Italia
stanziandosi a Vancou¬ ver in Canada. 29
quella misteriosa «torre in mezzo al mare. Una ve¬ detta
diroccata, su di uno scoglio deserto» (25) dove, con gran dispiacere di
Sibilla Aleramo, il giovane protagonista del romanzo Amo, dunque sono
(Mon¬ dadori, Milano 1927), «Luciano» {alias Giulio Pari¬ se),
avrebbe dovuto «diventare mago» in compagnia di un amico non nominato,
vale a dire proprio il Reghini. Fu proprio nella torre di
Scalea, in Calabria, che il Reghini rivide nell’estate 1926 il testo
della tradu¬ zione italiana deirOccw//flr Phylosophia di Agrippa, a
cui premise un ampio saggio di quasi duecento pa¬ gine su E.C. Agrippa e
la sua magia. Vi scriveva, fra l’altro: «E perciò, in noi,
il senso della romanità si fonde con quello aristocratico e iniziatico
nel renderci fieramente avversi a certe alleanze, acquiescenze e
deviazioni. Forse si avvicina il tempo in cui sarà possibile di rimettere
un po’ a posto le cose, e noi speriamo che ci venga consentito, una
qualche vol¬ ta, di riportare alla luce qualche segno dell’esoteri¬
smo romano. Quanto alla permanenza di una “tradizione romana”, si vorrà
ammettere che se una tradizione iniziatica romana pagana ha potu¬
to perpetuarsi, non può averlo fatto che nel più as¬ soluto mistero. Non
è quindi il caso di interloquire con affermazioni e negazioni»
(26). (25) S. ALERAMO, Amo, dunque sono, cit., p. 15. Cfr. p. 50:
«Lu¬ ciano, Luciano, e tu vuoi essere mago! M’hai detto d’aver già
operato fantastiche cose, fantastiche a narrarsi, ma realmente
accadute». (26) A. REGHINI, E.C. Agrippa e la sua magia, in: E.C.
AGRIPPA, Il 1914 è un anno molto importante, sotto diversi aspetti,
per i tentativi di rivivificazione della tradi¬ zione italica. Nel numero
di gennaio-febbraio 1914 di «Salamandra», in un articolo dal titolo
fortuna¬ to, poi ripreso da Evola, Imperialismo pagano, il Re¬
ghini coglieva occasione, scagliandosi contro il par¬ lamentarismo ed il
suffragio universale che favoriva cattolici e socialisti, di riaffermare
l’unità e l’immu¬ tabilità della tradizione pagana in Italia, che, sempre
ricollegata nella sua visione al pitagorismo, si sareb¬ be trasmessa
attraverso le figure di alcuni grandi ini¬ ziati sino ai nostri giorni
(27). In ottobre, dalle pagi¬ ne di «Ultra», precisava nello stesso
tempo, in un importante articolo dottrinario, che: «Il
linguaggio e la razza non sono le cause della superiorità metafisica,
essa appare connaturata al luogo, al suolo, all’aria stessa. Roma, Roma
caput mundi, la città eterna, si manifesta anche storica¬ mente
come una di queste regioni magnetiche del¬ la terra. (...) Se noi
parleremo del mito aureo e so¬ lare in Egitto, Caldea e Grecia prima di
occuparci della sapienza romana, non è perché questa derivi da
quella, ché il meno non può dare il più» (28). Lm Filosofia
occulta o la Magia, voi. I, rist. Mediterranee, Roma 1972, pp.
XCIII-XClV, nota. (27) L’articolo fu poi ripubblicato in «Atanòr»,
I, 3 (marzo 1924), pp. 69-85 (oggi nella ristampa anastatica a cura
dell’omonima casa edi¬ trice di Roma). (28) A. REGHINI, Del
simbolismo e della filologia in rapporto alla sapienza metafisica, in
«Ultra», Vili, 5 (ottobre 1914), p. 506.Intanto, nella notte del solstizio
d’inverno del 1913, si era verificato un insolito episodio, gravido
di future conseguenze: in seguito a misteriose indi¬ cazioni, nei pressi
di un antico sepolcro sull’Appia Antica era stato rinvenuto, a cura di
«Ekatlos» (29), accuratamente celato e protetto da un involucro im¬
permeabile, uno scettro regale di arcaica fattura e i segni di un
rituale. «Ed il rito — riporta «Ekatlos» (30) — fu celebra¬
to per mesi e mesi, ogni notte, senza sosta. E noi sentimmo,
meravigliati, accorrervi forze di guerra e forze di vittoria; e vedemmo
balenar nella sua lu¬ ce le figure vetuste ed auguste degli “Eroi”
della razza nostra romana; e un “segno che non può fal¬ lire” fu
sigillo per il ponte di salda pietra che uo¬ mini sconosciuti costruivano
per essi nel silenzio profondo della notte, giorno per giorno».
«Il significato, le vere intenzioni e le origini di tali
(29) Lasciamo ogni responsabilità circa l’identificazione di «Eka¬ tlos»
con il principe Leone Caetani, già da noi incontrato, all’anonimo autore
(si tratta, peraltro, certamente di C. Mutti, fanatico integralista
islamico) di una postilla alla parziale traduzione francese della rivista
evoliana «Krur» (TRANSILVANUS 1984, A propos de l’article d’Eka- tlos,
seguito da una Note sur Leone Caetani, in: J. EVOLA, Tous les écrits de
«Ur» & «Krur», 111 [Krur 1929], Arché, Milano 1985, pp. 475- 486).
Ancor più lasciamo all’autore di tali tristi note (in cui ancora una
volta si dimostra come tra fanatismo religioso e via iniziatica esista un
divario invalicabile) la pesante responsabilità delle poco ragguardevoli
espressioni usate nei confronti del benemerito principe romano. (30)
EKATLOS, La «Grande Orma»: la scena e le quinte, in «Krur», I, 12
(dicembre 1929), pp. 353-355, oggi in: GRUPPO di UR, Introdu¬ zione alla
Magia, voi. Ili, Roma 1971, pp. 380-383. 32 riti
pongono un problema», osserva il Di Vona (31), «ma il loro fine immediato
fu esplicito, e come tale è stato dichiarato. (...) Esso fu compiuto nel
dovuto modo da un gruppo che si propose di dirigere verso la
vittoria italiana la I Guerra Mondiale». Ma l’episodio ha un
seguito: il 23 marzo 1919 (giorno in cui cade la festa romana del
Tubilustrium, o consacrazione delle trombe di guerra) fu fondato a
Milano, nella famosa riunione di Piazza Sansepol- cro, il primo Fascio di
Combattimento (dal 1921 de¬ nominato Partito Nazionale Fascista). Fra gli
astanti vi fu chi, emanazione dello stesso gruppo che aveva
riesumato l’antico rituale, preannuncio a Benito Mussolini: «Voisarete
Console d’Italia». E fu la stes¬ sa persona che, qualche mese dopo la
Marcia su Ro¬ ma, il 23 maggio 1923, vestita di rosso, offrì al
Capo del Governo un’arcaica ascia etrusca, con «le dodici verghe di
betulla secondo la prescrizione rituale le¬ gate con strisce di cuoio
rosso» (32). Con tale atto dal sapore sacrale, come è
evidente. (31) P. DI VONA, Evola e Guénon, cit., p. 202.
(32) EKATLOS, art. cit., p. 382, nota. La notizia è riportata con
altri particolari nel «Piccolo» di Roma del 23-24 maggio 1923, p. 2 [cfr.
Ap¬ pendice 1]. Particolare curioso: la sera stessa del 23 maggio
Mussolini parti in aereo alla volta di Udine, onde potere inaugurare il
giorno dopo, 24 maggio, anniversario dell ’entrata in guerra, il
monumentale cimitero di Redipuglia, alla presenza del Duca d’Aosta. La
sera del 24, sulla via del ritorno verso Roma, l’aereo fu costretto, da
un inspiegabile guasto, ad un atterraggio di fortuna nei pressi di
Cerveteri, cioè l’antica etrusca Cere, donde forse proveniva l’arcaico
fascio.le correnti più occulte portatrici della tradizione ro¬ mana
avrebbero voluto propiziare una restaurazione in senso «pagano» del
fascismo. Altri episodi concomitanti concorrono a rafforza¬
re questa supposizione. Dopo essere stata composta proprio nel 1914, fra
il 21 aprile ed il 6 maggio 1923 (altre significative coincidenze di
date), fu rappre¬ sentata sul Palatino la tragedia Rumori: Romae
sa- crae origines (il solo terzo atto), col beneplacito e la
presenza plaudente di Benito Mussolini. La tragedia (o, meglio, alla
latina, il Carmen solutum) risulta opera di un certo «Ignis» (pseudonimo
sotto cui si celerebbe l’avvocato Ruggero Musmeci Ferrari Bra¬ vo),
che risulta godere di appoggi assai influenti, co¬ me quello di Ardengo
Soffici [cfr. Appendice 11], e appare, specialmente in quel terzo carmen
che fu re¬ citato, più che una semplice rappresentazione sceni¬ ca,
un vero e proprio atto rituale: un rito di consa¬ crazione, certamente
denotante nell’autore, o nei gruppi restati nell’ombra di cui egli era
emanazione, una conoscenza non solo filologica della tradizione
romana (si pensi che in intermezzi scenici vengono cantati, al suono di
flauti, i versi ianuli e iunonii dei Fratres Arvales), ma anche di certi
suoi lati occulti, come lascia intendere il rito di incisione su
lamine auree dei nomi arcani deU’Urbe e l’esegesi, voluta- mente
incompleta, dei significati del nome di Roma. Quest’azione, occulta
e palese, sulle gerarchie fa¬ sciste affinché i simboli da esse evocate,
come l’aqui¬ la o il fascio, non restassero puro orpello di facciata,
continuerà sino al 1929, che è anche l’anno in cui Rumon verrà pubblicata,
in splendida edizione uffi¬ ciale, dalla Libreria del Littorio, con i
frontespizi or¬ nati di caratteri arcaici romani, disegnati
apposita¬ mente nel 1923 da Giacomo Boni, lo scopritore del Lapis
Niger già da noi incontrato, il quale avrà il pri¬ vilegio poco dopo,
alla sua morte (1925), di essere inumato sul Palatino stesso (33).
Ancora noteremo come sintomatica l’uscita, nello stesso 1923, della
Apologia del paganesimo (Formig- gini, Roma) di Giovanni Costa, futuro
collaboratore delle iniziative pubblicistiche di Evola [cfr.
Appendi¬ ce III]. Fra il 1924 e il 1925 uscirono le due
riviste «di stu¬ di iniziatici» «Atanòr» ed «Ignis», dirette da
Arturo Reghini, e in cui iniziò una collaborazione il giovane
Evola: affronteranno con un rigore ed una serietà inconsuete, per
l’eterogeneo ambiente spiritualista dell’epoca, tematiche e discipline
esoteriche di parti¬ colare interesse: vi comparvero, per la prima volta
in Italia, scritti di René Guénon, fra cui a puntate, pri¬ ma
ancora che in Francia, L'esoterismo di Dante. È peraltro evidente come il
contenuto di queste riviste non avesse un valore puramente speculativo,
come dimostrano gli scritti di «Luce» suirO/7M5 magicum (Gli
specchi - Le erbe) negli ultimi due numeri di (33) Fu proprio
Giacomo Boni che, risalendo ai modelli d’origine, mi¬ se a punto il
prototipo del fascio romano (oggi al Museo dell’Impero) per il Regime
Fascista: è quello che compare sulle monete da due lire di quel periodo
(cfr. V. BRACCO, L’archeologia del Regime, Volpe, Roma «Ignis», che
preludono a quelli del successivo Grup¬ po di Ur. Ma intanto l’auspicata
svolta in senso pa¬ gano da parte del fascismo sperata dalla
corrente tradizionalista romana non solo stenta a verificarsi, anzi
è messa pericolosamente in forse dalle mene de¬ gli ambienti cattolici e
clericali. Nel n. 5 del maggio 1924 di «Atanòr» Reghini con parole di
fuoco de¬ preca alcune espressioni pronunciate da Mussolini in
occasione del Natale di Roma: «Il colle del Campidoglio, egli ha
detto, "‘dopo il Golgota, è certamente da secoli il più sacro
alle genti civiir. In questo modo l’On. Mussolini, in¬ vece di
esaltare la romanità, perviene piuttosto ad irriderla ed a vilipenderla.
(...) Noi ci rifiutiamo di subordinare ad una collinetta asiatica il
sacro colle del Campidoglio». E nel n. 7 di luglio, dopo il
delitto Matteotti: «... ecco un clamoroso delitto politico viene
a sconvolgere la vita della nazione, ad agitare gli ani¬ mi. (...)
Investito da popolari e da ogni gradazione di democratici, a Mussolini
non resterebbe che battere la via dell’imperialismo ghibellino, se
non esistesse un partito che già lo sta esautorando... tengano ben
presente i nostri nemici che, nono¬ stante la loro enorme potenza e tutte
le loro pro¬ dezze, esiste ancor oggi, come è esistita in passato,
traendo le sue radici da quelle profondità interiori che il ferro e il
fuoco non tangono, la stessa catena iniziatica pagana e pitagorica,
inutilmente e seco¬ larmente perseguitata». L’ordine del
giorno Bodrero e le successive leggi 36 sulle società
segrete tolgono ulteriore spazio all’atti¬ vità pubblicistica del
Reghini, che peraltro conflui¬ sce, fra il 1927 e il 1928, nel «Gruppo di
Ur», for¬ malmente diretto da Julius Evola. A noi qui non
interessa tanto esaminare il lavoro di ricerca esoterico svolto dal
Gruppo di Ur, cui par¬ teciparono, come è noto, personalità
appartenenti alle principali correnti esoteriche operanti in quegli
anni in Italia, dai pitagorici ai kremmerziani, dagli steineriani
(antroposofi) ai cattolici eterodossi come il De Giorgio, quanto
sottolineare come in quella se¬ de dovesse essere stato, almeno in parte,
ripreso il programma di influenzare per via sottile le gerarchie
del fascismo, nel senso già voluto dal gruppo mani¬ festatosi nel 1913
con la testimonianza di «Ekatlos» (che, non lo si dimentichi, viene
riportata proprio nel terzo dei volumi che raccolgono le testimonianze
di tutto il gruppo — in apparenza slegata da esse — successivamente
apparse col titolo di Introduzione alla Magia). In un inserto per i
lettori comparso nel n. 11-12 di «Ur» (1927), Evola poteva scrivere:
«... possiamo dire che una Grande Forza, oggi più che mai, cerca un
punto di sbocco in seno a quella bar¬ barie, che è la cosidetta
“civilizzazione” contempo¬ ranea — e chi ci sostiene, collabora di fatto
ad una opera che trascende di certo ciascuna delle nostre stesse
persone particolari». Del resto, molti anni più tardi, Evola stesso
di¬ chiarerà piuttosto esplicitamente nella sua autobio¬ grafia
spirituale che l’intento del Gruppo era stato quello, oltre a «destare
una forza superiore dr servire d’ausilio al lavoro individuale di ciascuno», di
far sì che «su quella specie di corpo psichico che si vole¬ va
creare, potesse innestarsi per evocazione, una vera influenza dall’alto»,
sì che «non sarebbe stata esclu¬ sa la possibilità di esercitare, dietro
le quinte, un’a¬ zione perfino sulle forze predominanti nell’ambien¬te
generale» (34). Un’indagine ben più approfondi¬ ta, come si vede,
meriterebbe di essere svolta sugli evidenti tentativi di
rivitalizzazione, all’interno del Grupo di Ur (35), delle radici
esoteriche e dei conte¬ nuti iniziatici della tradizione romana: a parte
i con¬ tributi dello stesso Evola (che firmerà come «EA» e, pare,
anche come «AGARDA» e «lAGLA»), di cui ricordiamo l’importante saggio
(nel HI volume) Sul «sacro» nella tradizione romana, ancora una volta
fondamentale resta l’apporto del Reghini (che firma come «PIETRO NEGRI»):
egli, nella relazione Sul¬ la tradizione occidentale, sulla scorta di
un’attenta esegesi delle fonti antiche (soprattutto Macrobio) e di
personali acute intuizioni, nonché di probabili «trasmissioni»
iniziatiche, non esiterà ad indicare nel mito di Saturno il «luogo» ove è
racchiuso il sen¬ so e il massimo mistero iniziatico della
tradizione (34) J. EVOLA, Il cammino del cinabro, Milano 1972 (li
ed.), p. 88. (35) Un esame generale, storico-bibliografico, sul
Gruppo di Ur è sta¬ to da me compiuto in lingua tedesca, come studio
introduttivo alla ver¬ sione tedesca del I volume di Introduzione alla
Magia (Ansata Verlag, Interlaken 1985). Si tratta del notevole
ampliamento, riveduto e corret¬ to, di un mio precedente studio già
apparso in «Arthos» n. 4-5 (1973-74). 38
romana, un’indicazione utilizzata e sviluppata ulte¬ riormente nel nostro
recente Dèi e miti italici. Intanto, nella seconda metà del 1927,
una serie di articoli polemici sui nuovi rapporti tra fascismo e
chiesa cattolica, che Evola aveva pubblicato in «Cri¬ tica fascista» di
Bottai e in «Vita Nova» di Leandro Arpinati, e la successiva comparsa,
nella primavera del 1928, di Imperialismo pagano, che quegli
articoli raccoglieva e sviluppava, riversarono proprio sul Gruppo
di Ur pesanti attacchi clericali, fra cui è in¬ teressante segnalare
quello particolarmente violento e ambiguo, del futuro papa Paolo VI,
Giovanni Bat¬ tista Montini, allora assistente centrale
ecclesiasti¬ co della Federazione Universitari Cattolici Italiani
(F.U.C.I.), che aveva come organo culturale la rivista «Studium»
(redazione a Roma e a Brescia). Dalle pagine di «Studium» il Montini
accusava «i maghi» riuniti attorno a Evola di «abuso di pensiero e di
pa¬ rola (...) di aberrazioni retoriche, di rievocazioni fa¬
natiche e di superstiziose magie» (36). (36) G.B.M., Filosofia:
una nuova rivista, in «Studium», XXIV, 6 (giugno 1928), pp. 323-324.
Oltre che del futuro Paolo VI (certamente il più nefasto fra i papi di
questo secolo), apparvero in «Studium» anche gli attacchi del futuro
ministro democristiano del dopoguerra Guido Gonella {Un difensore del
paganesimo, ivi, gennaio 1928, pp. 28-31; // nuovo colpo di testa di un
filosofo pagano, ivi, aprile 1928, pp. 203- 208), cui Evola replicò —
dopo averlo definito «un tale il cui nome esprime felicemente che vesti
gli si confacciano più che non quelle della romana virilità» —
nell'«Appendice Polemica» di Imperialismo paga¬ no. Contro Imperialismo
pagano (le nostre citazioni sono tratte dalla ristampa del 1978, presso
Ar di Padova) si scomodò tutto Ventourage del giornalismo clericale, da
«L’Osservatore Romano» a «L’Avvenire», Imperialismo pagano fu l’ultimo deciso,
inequivo¬ cabile e tragico appello da parte di esponenti della
«corrente tradizionalista romana», prima del triste compromesso del
Concordato, affinché il fascismo, come si esprimeva Evola, «cominciasse
ad assumere la romanità integralmente e a permearne tutta la co¬
scienza nazionale», così che il terreno fosse «pronto per comprendere e
realizzare ciò che, nella gerarchia delle classi e degli esseri, sta più
su: per comprendere e realizzare il lato sacro, spirituale, iniziatico
della Tradizione» (p. 162). A questo scopo Evola non ri¬ sparmiava
taglienti critiche alle gerarchie del Regime: «Il fascismo è
sorto dal basso, da esigenze confuse e da forze brute scatenate dalla
guerra europea. Il fascismo si è alimentato di compromessi, si è
ali¬ mentato di retorica, si è alimentato di piccole am¬ bizioni di
piccole persone. L’organismo statale che ha costituito è spesso incerto,
maldestro, violento, non libero, non scevro da equivoci» (p. 13).
Di più: Evola, nel 1928, prevedeva addirittura gli al
«Cittadino» di Genova, nonché tutta la pubblicistica fascista fautrice
dell’intesa col Vaticano, da «Educazione fascista» a «Bibliografia fasci¬
sta», sino alla stessa bottaiana «Critica fascista» che aveva ospitato i
primi articoli evoliani. 40 esiti e gli sviluppi
della Seconda Guerra Mondiale: «L’Inghilterra e l’America,
focolari temibili dei pericolo europeo, dovrebbero essere le prime
ad essere stroncate, ma non occorre di certo spendere troppe parole
per mostrare che esito avrebbe una simiie avventura sulla base
dell’attuale stato di fat¬ to. Data la meccanizzazione della guerra
moder¬ na, le sue possibilità si compenetrano strettamente con la
potenza industriale ed economica delle grandi nazioni...» (pp. 88-89).
Era dunque necessario che il fascismo, che «bene o male ha messo su
un corpo. Ma... non ha ancora un'anima» (p. 13), si rivolgesse senza
esitazioni a quella della Roma precristiana prima che fosse trop¬
po tardi, sì da «eleggere l'Aquila e il fascio e non le due chiavi e la
mitria a simbolo della sua rivolu¬ zione» (p. 138). «Nostro
Dio può essere quello aristocratico dei Romani, il Dio dei patrizi, che
si prega in piedi e a fronte alta, e che si porta alla testa delle
legioni vittoriose — non il patrono dei miserabili e degli afflitti
che si implora ai piedi del crocifisso, nella disfatta di tutto il
proprio animo» (p. 163). L’il febbraio 1929 il governo di Mussolini
firma¬ va a nome del Re d’Italia, dal 1870 considerato dai papi un
«usurpatore», il cosiddetto Coneordato con la Chiesa Cattolica (37) e
nasceva il monstrum giuri- (37) Che il cosiddetto Concordato abbia
sortito un effetto a dir poco nefasto sulle sorti, non solo dello stesso
fascismo (come le vicende stori- dico della Citta del Vaticano (38).
Veniva con ciò tolta ogni speranza residua di azione all’interno
de¬ gli ambienti ufficiali, sia da parte di Evola che di Re- ghini
e di altri autorevoli esponenti, restati per lo più in ombra, del
«tradizionalismo romano»: alcuni di loro, come già si è accennato in
nota, abbandonaro¬ no per sempre l’Italia per il Nuovo Continente
nel corso degli anni Trenta. Restava il «programma minimo»
indicato ancora da Evola in Imperialismo pagano, secondo cui il fa¬
scismo avrebbe dovuto: «promuovere studi di critica e di storia,
non parti- giana, ma fredda, chirurgica, sull’essenza del cri¬
stianesimo (...). Contemporaneamente dovrebbe promuovere studi, ricerche,
divulgazioni sopra il lato spirituale della paganità, sopra la sua
visione vera della vita» (p. 125). che successive ben presto
dimostrarono, avvalorando i timori di Reghini e di Evola), ma della
stessa Italia del dopoguerra, lo sperimentiamo an¬ cora oggi sulla nostra
pelle, dopo che un quarantennale dominio clericale-borghese ha
provveduto, quasi in ogni campo, ad addormenta¬ re la coscienza delle
«masse» ed a stroncare, con un autentico «terrori¬ smo di Stato»,
qualsiasi velleità di reazione delle minoranze coscienti della necessità
di mutare uno stato di cose ormai incancrenito. (38) «Mussolini non
si era reso conto che prima di lui uomini non so¬ lo autoritari, ma dal
potere assoluto — gli Ottoni, gli Svevi, perfino Carlo V ecc. — si erano
dovuti pentire di ogni intesa, patto e transazio¬ ne con la Santa Sede.
(...) ogni intesa tra Santa Sede e Stato italiano avrebbe significato
unicamente il riconoscimento giuridico della validità 42
Chi avesse pensato che la «Scuola di Mistica Fa¬ scista», fondata
significativamente poco dopo la «Conciliazione», nell’aprile 1930
nell’ambito del G.U.F. di Milano per opera di Nicolò Giani, avrebbe
svolto una funzione del genere, avrebbe dovuto ben presto ricredersi
amaramente. In realtà, il sentimen¬ to religioso dichiarato di quella che
avrebbe voluto costituire Vélite politico-intellettuale del fascismo
si configurava con precisione come cattolico. Lo di¬ chiara, in una
maniera che non potrebbe essere più esplicita, lo stesso fratello del
«Duce», Arnaldo Mussolini, in un discorso tenuto alla Scuola nel
1931: «La nostra esistenza deve essere inquadrata in una
marcia solida che sente la collaborazione della gente generosa e audace,
che obbedisce al coman¬ do e tiene gli occhi fissi in alto, perché ogni
cosa nostra, vicina o lontana, piccola o grande, contin¬ gente od
eterna, nasce e finisce in Dio. E non parlo qui del Dio generico che si
chiama talvolta per sminuirlo Infinito, Cosmo, Essenza, ma di Dio
nostro Signore, creatore del cielo e della terra, e del suo Figliolo che
un giorno premierà nei regni ultraterreni le nostre poche virtù e
perdonerà, spe¬ riamo, i molti difetti legati alle vicende della
no¬ stra esistenza terrena» (39). dei principii su cui si
fonda l’ingerenza della Chiesa nelle questioni del¬ lo Stato italiano»
(N. SERVENTI, Dal potere temporale alla repubblica conciliare. Volpe,
Roma 1974, p. 42). (39) Cfr. «11 Popolo d’Italia» del 1° dicembre
1931. Sulla «Scuola di Mistica Fascista», si veda: D. MARCHESINI, La
scuola dei gerarchi, Feltrinelli, Milano. E il filosofo Armando Carlini,
discutendo della nuova mistica, ravvisava la nota più originale del
fa¬ scismo proprio nel suo presupposto «religioso, anzi cristiano,
anzi cattolico» (40); perché «il Dio di Mussolini vuol essere quello
definito dai due dogmi fondamentali della nostra religione (...): il
dogma trinitario e quello cristologico» (41). Quel programma
che abbiamo detto «minimo» cercherà Evola più tardi in parte di compiere
con l’organizzare il lavoro di alcuni suoi insigni collabo¬ ratori
attorno al «Diorama filosofico», la pagina speciale che, con uscita
irregolare e alterna, quindi¬ cinale e mensile, curò per dieci anni, dal
1934 al 1943, all’interno del quotidiano cremonese di Fari¬ nacci,
«11 Regime Fascista». La tematica della tradi¬ zione romana, esaminata
nei suo simboli, nei suoi miti, nella sua forza spirituale, ritorna qui
frequen¬ temente negli scritti dello stesso Evola, di Giovanni
Costa (già da noi incontrato), di Massimo Scaligero e di diversi
collaboratori stranieri, come Edmund Dodsworth (appartenente alla
famiglia reale britan¬ nica) e lo storico tedesco Franz Altheim.
Analoghe collaborazioni sono fornite dall’allora giovane An¬ gelo
Brelich, in quell’epoca sconosciuto, ma destina¬ to nel dopoguerra a
ricoprire degnamente l’impor- (40) A. CARLINI, Mistica fascista,
in «Archivio di studi corporati¬ vi», voi. XI (1940), p. 299.
(41) ID., Saggio sul pensiero fUosofico e religoso del fascismo,
Roma 1942, p. 56. 44 tante cattedra, che fu del
Pettazzoni, di Storia delle Religioni nell’Università di Roma, e da Guido
De Giorgio, già collaboratore di «Ur» e di altre iniziati¬ ve
evoliane. Nel contesto della corrente da noi defi¬ nita del
«tradizionalismo romano» il De Giorgio oc¬ cupa una posizione piuttosto
anomala e tale che il Reghini avrebbe visto con sospetto: egli infatti
con¬ cepisce in Roma la sede eterna, geografica e storica, ma
soprattutto metafisica, in grado di unire in sé stessa la religione
pagana e il cristianesimo, tesi ela¬ borata soprattutto ne La tradizione
romana, uscita postuma solo nel 1973 (42). D’altra parte, è lo
stesso De Giorgio a ribadire con sorprendente sicurezza la
persistenza del culto di Vesta in un misterioso cen¬ tro, nascosto e
inaccessibile: «Il fuoco di Vesta (...) arde inaccessibilmente
nel Tempio nascosto ove nessuno sguardo profano sa- (42)
L’uscita alle stampe di questa edizione (presentata come Ed. Fla- men,
Milano 1973) offre contorni alquanto misteriosi. In ogni caso, il
manoscritto dell’opera sarebbe stato consegnato all’autore della nota
introduttiva, «ASILAS» (che corrisponderebbe ad uno degli ispiratori del
«Gruppo dei Dioscuri» e nel contempo autore di due dei fascicoli omonimi
[si veda poi]), da un antico componente del Gruppo di Ur, che noi sappiamo
corrispondere al «TAURULUS» del 1929, cioè Corallo Reginelli, tuttora
vivente. L’uscita della Tradizione romana, in ogni modo, è stata 1
’occasione per una salutare riflessione sul tema da parte dell’ambiente
tradizionali¬ sta nella prima metà degli anni Settanta, sia da parte
cattolica (si veda¬ no il bollettino «Il rogo», operante fra il 1974 e il
1976 e la successiva rivista «Excalibur»), sia da parte propriamente
«pagana» (si veda la no¬ stra recensione dell’opera del De Giorgio,
confortata da un parere di Evola, in «Arthos» n. 8: essenziale come punto
di ripresa del discorso sulle origini della tradizione
romana). prebbe penetrare e a lui deve l’Europa intera la sua vita e
il prolungamento della sua agonia. Da questo fuoco occulto partono
scintille che alimentano le crisi e risollevano periodicamente l’esigenza
del ri¬ torno alla Romanità attraverso le varie vicende di cui
s’intesse la storia delle nazioni europee conside¬ rata geneticamente,
internamente e non sul piano li¬ mitatissimo della contingenza dei fatti
e degli uomini» (43). Queir immane conflitto, già previsto
da Evola nel 1928, e che anche il De Giorgio giudicava del tutto
inefficace, «se non addirittura letale per lo spirito e il nome di Roma»
(44), avrà in effetti come risultato più manifesto, per i fini dello
studio che qui andia¬ mo conducendo, di occultare del tutto le fila
della corrente di pensiero di cui siamo andati ripercorren¬ do la
trama. Solo verso la fine degli anni Sessanta è proprio la
ristampa dell’evoliano Imperialismo pagano (e la scelta pare
significativa), curata nel 1968 dal «Cen¬ tro Studi Ordine Nuovo» di
Messina (45), a tentare (43) G. DE GIORGIO, op. di., p. 245 (vedi
anche pp. 239 e 243). (44) ibidem, p. 296. (45)
L’edizione, ciclostilata, con copertina stampata in azzurro, venne tolta
subito dalla circolazione in quanto non autorizzata da Evola: la si può
considerare oggi una vera rarità bibliografica. di riannodare i termini di
un antico discorso: «L’angoscioso grido d’allarme rivolto
dall’Autore in quel lontano 1928 a Benito Mussolini per met¬ terlo
in guardia contro il ventilato proposito della cosiddetta
“Conciliazione’)) — si afferma nell’a¬ nonima introduzione — «risuona
oggi con inusi¬ tata attualità e fa si che Imperialismo pagano ven¬
ga guardato come un oracolo». Ed è proprio provenendo dalle fila di
«Ordine Nuovo», un’organizzazione che lo stesso Evola ha tenuto in
buona considerazione (46) — almeno fino a che, sul finire del 1969, la
sua ala borghese¬ modernista, condotta da Rauti, non confluì nel
MSI (47) — che comincia ad agire, tra la fine degli anni Sessanta ed i
primi anni Settanta, il «Gruppo dei Dioscuri», con sede principale a Roma
e dirama¬ zioni a Napoli e Messina. Pare assodato che all’in¬ terno
del «Gruppo dei Dioscuri» venissero riprese - (46) Cfr. J. EVOLA,
Il cammino del cinabro, cit., p. 212: «L’unico gruppo che dottrinalmente
ha tenuto fermo senza scendere in compro¬ messi è quello che si è
chiamato AeWOrdine Nuovo». (47) L’interesse dei «tradizionalisti
romani» nei confronti di «Ordine Nuovo» si esaurisce sin dall’inizio
degli anni Settanta, allorché, da una parte, la frazione rautiana
rientrata nei ranghi del MSI si isterilì in fatui ed estenuanti «giochi
di potere» (!?) all’interno del partito e in decla¬ mazioni
populistico-giovanilistiche (non a caso la cosiddetta «Nuova Destra»
proviene quasi esclusivamente da quell’ambiente torpido ed ambiguamente
compromissorio), dall’altra, la frazione «movimentista» ed extraparlamentare
condotta da Clemente Oraziani ed altri si smarrì nelle velleità
inconcludenti e pericolose della «lotta di popolo», con conseguente ed
inevitabile suo annientamento da parte del Potere vero. tematiche e pratiche
operative già in uso nel «Grup¬ po di Ur» ed è perlomeno probabile che lo
stesso Evola ne fosse al corrente. Fatto sta che nei quattro
«Fascicoli dei Dioscuri», usciti in quel torno di tempo, l’idea di Roma
da una parte e di un Centro nascosto dall’altra, a cui il tra¬
dizionalismo dovrebbe far riferimento, ritornano con grande
evidenza. Per l’anonimo autore del primo «Fascicolo dei
Dioscuri», intitolato Rivoluzione tradizionale e sov¬ versione (Centro di
Ordine Nuovo, Roma 1969), il più grande dei meriti di Evola è
quello: «di avere rammentato il destino di Roma quale
portatrice dell’Impero Sacro Universale e di avere tratto da tale verità
le necessarie conseguenze in ordine alle idee-forza che devono essere
mobilitate per una vera rivoluzione tradizionale» (p. 20).
Qualche anno dopo, al termine del terzo «Fasci¬ colo» intitolato
Impeto della vera cultura (tradotto poi anche in francese nel 1979), il
mito di Roma vie¬ ne additato come l’unico che sia in grado di
condur¬ re ad una superiore unità gli sforzi di tutti i tradizio¬
nalisti italiani: «a tutti i tradizionalisti, anziché proporre uno
dei tanti miti soggetti a rapido e facile logoramento, si può
ricordare la presenza di una forza spirituale perennemente viva e
operante, quella stessa che il mondo classico ed il medio-evo definirono
l’AE- TERNITAS ROMAE» (p. 18). 48 Il «Gruppo
dei Dioscuri» ebbe notevole impor¬ tanza come cosciente riconnessione
alle precedenti esperienze sapienziali e come indicazione, per
taluni elementi particolarmente sensibili dell’area della de¬ stra
radicale, di possibili indirizzi e sbocchi futuri del «tradizionalismo
romano», anche se la partico¬ lare via operativa scelta e, soprattutto,
la mancata qualificazione di taluni componenti, porterà ben presto
alla distruzione dall’interno del Gruppo stes¬ so, di cui non si sentirà
più parlare già prima della metà degli anni Settanta (ci viene detto che
frange disperse del gruppo continuerebbero a sussistere so¬
prattutto a Napoli). È tuttavia da supporre che alcu¬ ni dei gruppi
periferici, sia pure trasformati, ne ab¬ biano continuato il retaggio se,
ad esempio, a Messi¬ na nel 1975, molto probabilmente nell’ambito di
al¬ cuni dei vecchi membri del «Gruppo dei Dioscuri» viene
elaborato un testo dottrinale ed operativo, a circolazione interna, sotto
forma di «lezioni» di un maestro a un discepolo, piuttosto interessante.
La via romana degli dèi: «Diremo anzitutto dell’essenza della
tua religiosi¬ tà, fornendo alla tua mente profonda gli argomen¬ ti
per una serie di esercizi di meditazione affinché con saldo cuore, tu
possa prepararti all’assolvi¬ mento del rito» (48) [cfr. anche Appendice
IV]. (48) N.N., La via romana degli dèi. Istituto di Psicologia
Superiore Operativa, Messina 1975 (ciclostilato ad uso interno),E
certamente non priva di connessioni genetiche col gruppo romano appare la
sortita, improvvisa, verso la fine degli anni Settanta, nella stessa
Messi¬ na, del «Gruppo Arx», successivamente editore del periodico
«La Cittadella» e degli omonimi quader¬ ni, in cui senza alcuna
attenuazione i possibili itine¬ rari di approccio alla «via romana degli
dèi» sono indicati attraverso la cosciente riappropriazione del-
Vanimus romano-italico, rivissuto nel rito stesso, e nel rigetto, sostanziale
e formale, di ogni adesione a forme anche esteriori del culto
cristiano. Quanto segue è storia dei nostri giorni, dal mo¬
mento che proprio con l’inizio degli anni Ottanta vi è stata una nuova
cosciente ripresa del moderno «movimento tradizionalista romano», una cui
rima¬ nifestazione «pubblica» si estrinsicherà in una data ed in un
luogo alquanto significativi. Infatti nel 1981, il 1° marzo (data in cui
iniziava l’anno sacro romano), a Cortona (donde in epoca
primordiale Dardano, figlio di Giove, si sarebbe mosso alla volta
della Troade) si tenne un importante Convegno di studi sulla Tradizione
italica e romana (49), che, a (49) Gli Atti sono stati pubblicati
nel numero speciale triplo di «Ar- thos» n. 22-24, daU’omonimo titolo, di
pp. 192. Per una sintetica analisi sulla diversa valenza del termine
«italico» nei vari interventi, cfr. R. DEL PONTE, Che cos’è la tradizione
italical, in «Vie della Tradizio¬ ne» parte l’emergenza di differenti
prese di posizone dei tradizionalisti presenti, ebbe il merito di
riproporre la questione — non puramente dottrinale o formale — di
una cosciente riconnessione aWaurea catena Saturni della tradizione
indigena da parte di chi, pur in quest’epoca di totale dissoluzione di
ogni valore, intenda coscientemente riassumere il fardello delle
proprie radici etniche e spirituali. Successivamente ad un nuovo
Convegno, tenutosi nel dicembre 1981 a Messina, sul Sacro in Virgilio (50),
la rielaborazio¬ ne dottrinale e la ridefinizione concettuale dei
valori difesi dagli attuali esponenti del «tradizionalismo romano»
(di cui è parte cospicua anche l’apparire alle stampe di alcune collane
di libri specifiche) (51) si è spostata su un piano più interiore, ma la
loro presenza è destinata a riaffiorare a livello di influen¬ za
sottile e indiretta di gruppi o ambienti eticamente sensibili di un’area
superante i limiti stessi del mon¬ do della «destra politica».
Il futuro dimostrerà se la funzione di questa mi¬ noranza (ben
cosciente di esserlo) si limiterà ad una (50) Gli Atti sono stati
pubblicati in buona parte nel numero speciale di «Arthos» n. 20 (uscito
successivamente al n. 22-24), daH’omonimo titolo, di pp. 72.
(51) Ci limiteremo a ricordare la collana «1 Dioscuri» per le ECIG
di Genova, in cui figurano L’oltretomba dei pagani di C. Pascal, il
mio Dèi e miti italici. La religiosità arcaica dell ’Eliade di N. D’Anna
e Arca¬ na Urbis di M. Baistrocchi (in stampa); o quella di «Studi
Pagani» del Basilisco di Genova, in cui sono comparsi testi di antichi
(Giuliano Au¬ gusto, Giamblico, Simmaco, Porfirio) e di moderni (Guidi,
De Angelis, Beghini, Evola ecc.). pura e semplice azione di testimonianza,
sia pure «scomoda» per molte cattive coscienze. Il «mito ca¬
pacitante» di Roma, come l’antica fenice, è destina¬ to a risorgere
continuamente dalle sue ceneri, poiché riposa nella mente feconda degli
dèi archegeti di questa terra. Appendici
documentarie Da: «Il Piccolo» di Roma, 23-24 maggio 1923, p.
2: «Il Fascio littorio a Mussolini» Il giorno 19
scorso, presentata dall’esimia prof.a Regina Terrazzi, fu dall’on.
Mussolini ricevuta la dott.a prof.a Cesarina Ribulsi, che offriva al
Presi¬ dente del Consiglio come augurio per la data del XXIV Maggio
un fascio littorio da lei esattamente ricostruito secondo le indicazioni
storiche e icono¬ grafiche. L’ascia di bronzo è proveniente
da una tomba etrusca bimillenaria ed ha la forma sacra col foro per
la legatura al manico: alcuni esemplari simili so¬ no conservati nel
nostro Museo Kircheriano. Le dodici verghe di betulla, secondo la
prescrizio¬ ne rituale, sono legate con stringhe di cuoio rosso che
formano al sommo un cappio per poter appen¬ dere il fascio, come nel
bassorilievo per la scala del Palazzo Capitolino dei Conservatori.
Il fascio ricomposto con elementi antichissimi e nuovissimi è stato
offerto al Duce come simbolo del¬ la sua opera organica di ricostruzione
dei valori del¬ la nostra stirpe allacciando le vetuste origini alle
for¬ me più vibranti dell’attività gagliarda e rinnovata che prende
le mosse dal XXIV Maggio 1915. La rudezza espressiva del Fascio è
ingentilita dal contrasto tra il verde della patina bronzea e il
rosso del cuoio che ricorda la stessa armonica tonalità che
producono le colonne di porfido presso la porta di bronzo àcWheroon di
Romolo, figlio di Massenzio, al Foro Romano. L’offerta era
accompagnata da una epigrafe latina dedicatoria composta dall’offerente,
la quale nel¬ l’Università Popolare fascista svolge una fervida
opera di propaganda di romanità viva. Il Duce gradì l’augurio ed il
voto accogliendoli colla sua consueta serena nobiltà, non senza un
se¬ gno della vivacità del sorridente suo spirito latino: «Lei mi
ha dato una lezione di storia» — osservò in tono scherzoso. Singolari
parole in bocca di chi dà e darà non poco a fare agli storici
futuri. (La notizia è riportata in una rubrica dedicata a «I
solenni riti del XXIV Maggio», senza indicazione di paternità). Da:
IGNIS, Rumori. Sacrae Romae origines, tra¬ gedia in cinque carmi.
Editrice Libreria del Littorio, Roma 1929. pag. non numerata,
IV dopo il frontespizio: LETTERA DI ARDENGO SOFFICI A S.E.
MUSSOLINI Mio caro Presidente, (...) permettimi ti dia,
scritte e sottoscritte anche da me, che ne resto garante, al¬ cune
prove di pregi eccezionali della tragedia, che, in fondo, in un vero
poema epico delle origini, è l’esal¬ tazione di oggi della nostra stirpe.
Comincio da un mio giudizio, già a te noto; Rumori è tragedia roma¬
na che può stare a paro col Giulio Cesare di Shake¬ speare (...) ti fo
osservare che il titolo di Poeta di Ro¬ ma, dato da Jean Carrère ad
ignis, si è dato solo a Virgilio e ad Orazio: Augusto, vive, oggi, tra
noi tut¬ ti in ispirito, più per questi due poeti, da lui protetti,
che per la sua politica imperiale. E tu vedi come Rumori sia stato
giudicato, prima ancora che esistessero l’idea e la forza fascista, tragedia
degna di Roma quando competenti — dai nostri a Carrère, ed a me che sono
l’ultimo al giudi¬ zio del 1923 — corrono all’iperbolico per lodare
Ru¬ mori di ignis bisogna concludere che ci si trova da¬ vanti ad
un’opera d’arte somma, e per fortuna nostra, d’arte italiana — opera che è,
anche per se stessa, di alto significato politico, e di spirito fascista
(...) Mi rileggo, e mi credo, caro Presidente ed amico carissimo, di
averti scritto una lettera storica. Fai che non sia stata scritta invano,
ma invece il tuo no¬ me vada unito a quello della tragedia Rumori,
al poema di Roma e degno di Roma: e di questo lega¬ me in avvenire,
spero che tu possa essere un po’ gra¬ to al tuo affezionato amico e
devoto ARDENGO SOFFICI pag. successiva non numerata:
IL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI Caro Soffici, bisogna
assolutamente far marciare Rumori. 11 Governo appoggia fervidissimamente
l’iniziativa perché essa rientra nel grande quadro della rinascita
nazionale. Saluti fascisti e cordialissimi. f.to
MUSSOLINI Roma, 7 marzo AUGURE Manifesto è dunque: amor
— essere — ROMA. Se tutte move, ed incende, le create cose... legge
si è — Amor — dell’universo vita... così, un tanto Nome, a noi
predice: dono di regno e potestà sovra ogni terra, e dello spirito,
e d’imperio. Confirmato si è, per te, prodigioso il
vaticinio. Non pronunciati mai più sien i Nomi occulti... su la
Città terribili chiamerebbero fortune... Li trasmettano, oralmente,
i Pontefici ai Pontefici. Né mai più, tu, l’eccelso pronuncia Nome
palese, se concluso non avrai, prima, il solco sacro. Permesso e
commesso mi è: Nunziare, allora, in gran letizia, al Popolo... quel
Nome che licito non più mi è dire quando, già per tre volte,
qui, in tre diversi suoni, de la gran Madre nostra il Nome risonò.
{Dispiega le dita della sinistra, ad una ad una, per numerare i
significati del nome). Di significati cinque: È... ’l
Nome palese, latore, con l’occulto: Chiama la Città: Valentia...
Ròbure... Virtù! e ancor: Madre... Mamma... Alma Nutrice!
Vostra — nei nomi vostri — oh Re! suoi fondatori... Come del grande
Rumon: URBE: la Città del Fiume! {Pausa)
Ammirate! se gli Dei saputo abbiano addensare, in così breve Verbo,
sì pieni... tanti arcani. Mirifici! donando Nomi nove:
in quattro occulti ed un — Medio — palese, e quando, nove,
siamo al Rito. Ili Da: G. COSTA, Apologia del paganesimo, Formìggini.
Il pagano è, per definizione, buono. Né un greco, né un romano avrebbero
concepito che l’uomo po¬ tesse esser qualcosa di diverso da ciò, che in
lui liti¬ gassero per così dire due nature, che la manifestazione esterna
fosse diversa dall’interna, che né nella vita individuale, né in quella sociale
vi fossero mezzi termini, transazioni, compromessi. Esso è quello
che naturalmente è, cioè buono, come ideale supre¬ mo della vita, come
dovere, come necessaria fatalità insita nelle cose umane. Egli vive
quindi la vita interamente, dolorosamente, gioiosamente a un tempo, con
un pragmatismo sano e forte che non ammette ipocrisie, doppiezze,
scuse. Solamente all’uomo cosiddetto moderno è stato
concesso, per virtù di dottrine religiose e culturali che si sono formate
a lui d’intorno, una distinzione ed una separazione del suo essere
intimo, spirituale, psicologico, dal suo essere apparente, esteriore,
ma¬ teriale. All’antico quando di questa scissione appar¬ ve per un
momento la possibilità, egli ne cacciò da sé l’idea, ne biasimò perfino
la concezione. La concezione pagana della vita ha fatto
perciò l’uomo tutto d’un pezzo, ne ha affermato il caratte¬ re, ne
ha provocato 1 ’azione. Ecco perché la vita nel paganesimo ha avuto tutto
il suo massimo sviluppo ed è stata accettata non come un male, ma come
un bene che bisognava con interezza di carattere vivere interamente
e sanamente per sé e per gli altri. pag. 91: Per
stabilire l’equilibrio l’uomo deve tornare al paganesimo poiché il
cristianesimo si è mostrato di¬ vina opera cui le sue spalle non sanno
sottostare. Ma paganesimo è sincerità e l’uomo deve ritornare ad
essere sincero. Il cozzo a cui l’ha costretto per due millenni il suo
desiderio di seguire il messaggio cristiano e la sua manifesta impotenza
di non saper¬ lo fare, deve risolversi in armonia se egli vuol
sanare in sé l’eterno dissidio. Lo spirito e la carne debbono avere
il medesimo valore ed il loro prevalere non può essere determinato che da
circostanze speciali di in¬ dividuo, di momento e di luogo che l’uomo può
in- travvedere, non deve violare con convinta testardag¬ gine.
L’equilibrio di queste forze, l’esteriore e l’interiore, quindi, deve essere
nella dottrina, come nella vita, assoluto. Da: Im via romana
degli dèi, ciclostilato anonimo, Messina
pagg. 41-42: L'immagine di un dio è lo stemma della Forza
che essa rappresenta. A tutti i fini pratici tali immagini sono
personae, perché qualsiasi cosa possano essere nella realtà esse sono
state personalizzate e forme di pensiero sono state proiettate su un
altro piano (...) Alcune di queste immagini e le loro
attribuzioni sono così antiche e sono state costruite con tanta
ricchezza di lavoro sottile da essere capaci di rico¬ struirsi da se
stesse, durante l’eventuale lavoro di meditazione, che l’allievo può fare
su una divinità. Resta un minimo «invito», un minimo stimolo, per¬
ché il meccanismo scatti e l’immagine si ricompon¬ ga, sia pure su un
piano semplicemente psichico. Così, della limatura di ferro, dispersa su
un piano, si raccoglie intorno ad un magnete che venga posto in
mezzo. Se il magnete è forte esso attirerà i granelli anche se essi sono
pochi e molto distanti... AMKDKO R(K ( () ARMKM ANO (imda
«Ygieia», Reghini Piscio littorio a Mussolini n florno If
»cor*o. pr^eniaU dalla tsl- bjU prof.» Rcidna Trmiizl. fa rtalTon.
Maa. aOltnl rlotwta la doti.» pmf.» Osarina RI- baiai cba offriva
al Proatdanta dr’. Conti¬ guo romo aufurln la data de) Mabfio «n falcio
littorio da lei eaattamcDte licoatndto lecoudo la lodicaslonl
atorictie e leooograflclia. l.‘aicla di bronra k prorenlenU
dm aoa tomba etmaca hlmtneoarta ed ba la forma aorra eoi foro per
la Vantura hi manico: alcool eaamplan slmili sono coosenrat: :.«!
nostro Ma.*«o Klrcberiamo. é La dodict verace di l>ctulla.
ascondo la prescrizione rit'iale. sono legala con tiri¬ sele ^
cuoio rosso cba formano al tonimo ua cappio per poter appendere fi
fascio, conta nel ba.MorUiero per la acala del Pa lazzo Capitolino
dd Conaenalori. Il fascio ricomposto con elementi antl-
fhlHilmt a nuoTltaUnl k stato offerto al Dora come simbolo della saa
opera onra- ntea di rieoatruztona del valori della no- Mra attrpa
allacciando le veia«ie origini alla fonn* più vibranti dell'attività
ga- giarda a rinnovata cha prendo la mosse Là rudezza espressiva
dal Fascio è in- gantlHta dal contrasto tra (I verde della patind
bronsea e U rosso del molo che ri¬ corda la stes.aa armonica tonalità che
pm- doeono le colonne di porfido presso la por¬ ta di bronzo deD'brroon
di Itomdlo, figlio 41 Massenzio al foro romano. L'oflerla efa
accompagnata da ani epl- graia latina dedicatoria composta dall'or-
farente. la quale nell'UntvcnUtà Popolare faartsta avolga una fervida
opera di pro- pafgada di romani Ih viva. n Duca gradi
raugorto a fi voto acro- Mlaodoll colla sua consueta serena
nobiltà. 2«m senza tm segno della vivacità del sor> ridaots ano
spirito latino: • Let mi ba dato nna testone di storia • — osservò In
tono aehanoao. Btngolart parole In bocca di r.hl db a darà non poca
a fare agli storici fu- tnrl Riproduzione da «11
Piccolo». V. pag. 55. Grice: “Like Reghini, of the movimento
tradizionalista romano, Enriques was, for different reasons, all into
Pythagoras’s ‘arimmetica’!” -- Federigo Enriques. Enriques. Keywords: implicature
arimmetica, unity of science, history of logic, foundations of mathematics, the
synthetic a priori. Grice e Enriques su Peirce, l’arimmetica pitagorica,
Reghini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Enriques” – The Swimming-Pool
Library.
Grice ed Enzo – l’uomo – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Burano).
Filosofo. Grice: “I like Enzo; for one, his “Ubi es?” is a classic – only in
Italy they take the Bible so seriously – “Ubi es” can be interpreted literally
– sans implicature. And that’s what Enzo does.”. Figlio di Alessandro, vetraio
a Murano, un mestiere estremamente usurante, morirà appena cinquantenne. Uomo
concreto e critico nella sua essenziale bontà.
La madre, Flaminia Vio, è una bravissima maestra merlettaia. Da lei apprende
il rigore e lo spirito di rispetto verso l'istituzione. È lei, una cattolica laica,
che vive al servizio della Chiesa, ad accompagnarlo dalle suore perché serva come chierichetto
alla prima Messa. È lei che accoglie la proposta del parroco di mandarelo in
seminario a Venezia per permettergli di continuare gli studi, ma preferisce
ritardarne l'entrata e chiede alla nipote di ospitare a Venezia il cugino che
posse così frequentare i primi anni come esterno. Negli anni di studio
ginnasiale, si imbatte per la seconda
volta nella lettura della Bibbia. Il primo contatto era stato quando, aveva
deciso di leggere ai fratelli, nella traduzione di Martini, una vecchia Bibbia
trovata in casa, per accompagnarli al sonno. Il contatto è più corposo e
sistematico, ma come la lettura lo entusiasma e nello stesso tempo lo delude,
intuisce infatti la mancanza di adeguate conoscenze e strumenti concettuali per
poter penetrare pienamente il messaggio biblico. Ha la stessa reazione anche
quando, finito il liceo, sceglie gli studi, dove la lettura della Bibbia è
seria e critica, ma rimane, per importanza, sempre la seconda o la terza
materia dopo la dogmatica e la morale. Viene mandato a fare cura pastorale come
vicario cooperatore a Caorle, dove accoglie 350 alluvionati del Polesine. Qui,
meta preferita di turisti tedeschi, studia da auto-didatta la lingua tedesca
per meglio servire la Chiesa. Viene trasferito con lo stesso incarico nella
vicina frazioncina di Ca' Cotoni per divergenze con il parroco di Caorle e nella
popolare parrocchia di S. Giuseppe di Castello a Venezia. Aveva conosciuto
questa comunità quando vi era stato per una stazione quaresimale con il
patriarca Piazza e l'accoglienza ostile degli operai verso una personalità
vista come filo0fascista aveva reso necessaria la scorta della polizia. A S.
Giuseppe di Castello compera un appartamento, indebitandosi, per fare patronato
con doposcuola tutti i pomeriggi sino alle 20, e a sera gli incontri con i
ragazzi più grandi. Insegna al Lido e poi nella vicina "P.F.Calvi",
organizzando anche uno spettacolo per un concorso al teatro "Goldoni".
Il vicario generale Gottardi, dopo essersi consultato con monsignore Capovilla,
segretario del cardinale Roncalli, gli comunica che andrà a studiare a Roma. Gottardi
era stato suo insegnante di teologia e scienze bibliche in seminario e aveva
conosciuto il suo profondo interesse per gli studi biblici, ne aveva poi apprezzato
il saggio, “La 'Giustificazione' nella Lettera ai Romani” in cui analizza le
varie interpretazioni bibliche in maniera dia-cronica risalendo sino alle
tradizioni patristiche. Le due omelie di Carlo a S. Giuseppe di Castello
ascoltate dallo stesso vicario generale avevano poi confermato quella
scelta. A Roma è ospite presso il
Pontificio Collegio Nepomuceno in via Concordia ed è lì che lo viene a
prelevare Capovilla per una visita guidata alla città, alla vigilia del
Conclave da cui uscirà papa Roncalli. A fargli da cicerone è proprio il futuro
papa Giovanni XXIII e le bellezze della città illustrate da una guida tanto
preziosa assieme al paterno congedo di Capovilla costituiranno il ricordo più
bello della sua vita. Consegue la Licenza con una tesi su "I Carismi"
e contemporaneamente i corsi in scienze bibliche presso il Pontificio Istituto
Biblico, dove perfeziona lo studio dell'ebraico già iniziato in seminario, ma
soprattutto ha l'incontro, decisivo per i suoi studi, con il grande biblista
Schoekel. Segue i corsi del quinto anno che gli avrebbero permesso di redigere
il saggio su "Grazia e benevolenza" per la laurea, tesi che non può
però portare a termine perché torna a Venezia, chiamato da Urbani a svolgere la
funzione di vicerettore del Seminario Patriarcale, nel burrascoso periodo tra
il rettorato di Vecchi e Villa. Da vicerettore del seminario insegna anche
scienze bibliche, diviene in seguito pro-rettore, sino a quando chiede di
essere sollevato dall'incarico per poter assistere la madre paralizzata ed è
quindi ascritto alla parrocchia di S. Zaccaria, dove abiterà con la madre. Qui
si fa promotore dell'allestimento e della conduzione di un teatro,
dell'organizzazione del cinema per ragazzi, del cineforum, dell'istituzione
della biblioteca, mentre cura anche l'esecuzione di opere di risanamento e
ristrutturazione di tutti gli ambienti frequentati dai ragazzi. Continua ad
insegnare in seminario, e dal rettore viene mandato nel Benedektiner Kloster di
Metten a Degendorf (Germania) per preparare alla maturità i seminaristi che
studiano la lingua italiana. Compensa l'esiguo stipendio con l'insegnamento
nella scuola pubblica, come il liceo classico "M. Polo", dove matura
la sua sottoscrizione delle tesi del "Manifesto". Viene nominato
patriarca di Venezia Luciani e pochi giorni dopo il suo insediamento emerge il
suo diverso sentire con Enzo, che, nella mensile lezione culturale al clero,
trattando il tema della "Consumatio saeculi" o secolarizzazione nella
Bibbia, provoca una dura reazione del presule. Dà le dimissioni
dall'insegnamento in seminario, dapprima ritirate, perché lui, che da tempo nella santa messa
pratica l'omelia dialogata, non si sente in consonanza con le direttive
indicategli. Sino a questo momento i patriarchi veneziani che avevano conosciuto
Carlo, Piazza, Agostini, Roncalli ed Urbani, gli avevano dimostrato la loro
stima. Proprio Urbani aveva chiesto ad Enzo un commentario al Vangelo di Marco.
Sin dagli inizi, accompagna la vita sacerdotale di Carlo una costante e intensa
cura pastorale, rivolta sia ai ragazzi che agli adulti, e non solo nelle sue
sedi parrocchiali. Più che trentennale è a questo proposito la collaborazione
che gli chiede Marangoni nella parrocchia di Marghera, nel quartiere Cita, nei
difficili anni Settanta e, dagli anni Ottanta, a San Giacomo dell'Orio a
Venezia, a testimoniare la stima e l'affetto maturati dagli anni del seminario.
Si laurea a Venezia con “Alle origini dell'utopia messianica. Insegna a
Venezia, Oriago, Mestre e Giudecca. Va in pensione dall'insegnamento. Tiene a Venezia dei cicli di seminari di
esegesi biblica nell'ambito dei corsi tenuti dal prof. Arnaldo Petterlini, da
Madera, e allo IUAV di Venezia seminari di antropologia biblica ed esegesi
invitato da Rizzi. Sudia filosofia scolastica, propedeutica alla teologia. Nel
manuale di Calcagno, "Elementa philosophiae scolasticae" trova il
capitolo dedicato alla filosofia immanentistica, che considera Dio la natura o
non considera affatto Dio e considera solo la natura. Lo colpisce Spinoza per
la sua vita nascosta, dimessa, umile, scriveva infatti solo per gli amici. Ne
legge l"Ethica more geometrico", commentata da G. Gentile, più facile
a reperire perché considerata meno sospetta del "Tractatus theologicus politicus"
che studia in seguito, dedicando particolare attenzione al capitolo "De
interpretatione". Spinoza afferma che la Bibbia va letta e interpretata con
la Bibbia, era quanto Enzo aveva intuito sin da ragazzo, ma aveva abbandonato
quella strada in seminario dove si praticava il metodo storico-critico. A Roma,
il Nuovo Testamento viene studiato ed interpretato secondo il metodo della
storia delle forme che applica al testo biblico le regole dello scrivere
greco-latino, mentre per il Vecchio Testamento si segue la teoria dei generi letterari.
Incontra Schoekel, insegnante di teologia, esegesi ed ermeneutica biblica, che ha
un'attenzione speciale alle particolarità stilistiche e semantiche del lessico
biblico che schiudono un nuovo orizzonte metodologico e tematico. Considera
fondamentale per la comprensione dell'intera Bibbia lo studio dei primi tre
capitoli di Genesi e incoraggia Enzo, verso cui dimostra profonda stima e
un'amicizia che durerà sino alla propria scomparsa, ad affinarne l'esegesi e a
continuare il suo lavoro. Torna a Venezia con l'intenzione di mettere a frutto
quanto appreso applicando le indicazioni metodologiche spinoziane. Gli studi su
Genesi 1-3 vengono pubblicati in "Biblica". La interpretazione di
Genesi è alla base di diversi testi, dalla tesi di laurea, all'articolo su Servitium,
al testo "Adamo dove sei?" In parallelo decide di approfondire la
connessione tra i testi di Genesi e il vangelo di Matteo e scrive diversi
appunti che continuamente rivede nel corso degli anni. Da questi nasce il
progetto "La generazione di Gesù Cristo nel vangelo di Matteo". Altre
opere: “Testo e interpretazione in Weber e Bultmann, Unicopli, Milano); Alle
origini dell'utopia messianica, Antenore, Padova); Sulla nascita della
filosofia medievale, Venezia 1984 Sitz im Leben e interpretazione, Venezi); “Individuo
e comunità, nella riflessione biblica delle scritture antiche Servitium:
Quaderni di ricerca spirituale, Adamo dove sei?, il Saggiatore, Milano); La
terza delle dieci parole di “Esodo” 20 nell’interpretazione di Gesù in Le
parole dell'essere: per Emanuele Severino Petterlini A., Brianese G. e Goggi
G., Pearson Italia S.p.a Il Progetto di Mondo e di Uomo delle Generazioni di
Israele (Genesi 1-4), Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo
secondo Matteo. I. Gli Inizi, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo
nel Vangelo secondo Matteo. II. La Legge, Mimesis, Milano, Le prime dieci
parole di YHWH a Israele in Panta, Decalogo, Donà M. e Toffolo R.,
Bompiani, La Generazione di Gesù Cristo
nel Vangelo secondo Matteo. III. La Regola dell'Apostolo, Mimesis, Milano, La
Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. IV. Il Regno dei Cieli,
Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. V.
La Ecclesia di Gesù Cristo, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel
Vangelo secondo Matteo. VII. La consegna del figlio dell'Adamo, Mimesis,
Milano, Genere adamico. Riflessioni sui testi fondativi della tradizione
spirituale occidentale che si trovano nei primi quattro capitoli di Genesi,
Servitium: Quaderni di ricerca spirituale,
Interventi alla radio Giuda: consegnare e tradire: Marco 14,43-52 con
Ludwig Monti, 3 marzo Sulla barca le
parole del regno Matteo 13, con Romano Madera, Le parole del regno Matteo 13; Due
lezioni bibliche: Il “mondo” del nostro Dio, Rovato e L’ “uomo” del nostro Dio,
Rovato, Lo Spirito di Cristo nel
progetto messianico, comunità della parrocchia di S. Giacomo, Venezia La
rivelazione secondo la Bibbia, Università degli studi di Venezia, Dipartimento
di filosofia e Teoria della scienza, Seminario sul “Der Mann Moses und die
monotheistische religion”, Incontro tra Carlo Enzo e Romano Madera, 13 marzo,
IUAV (Venezia) ‘ôLaM, il progetto consegnato, Le decadi, dieci incontri con
pensatori eccellenti sul tema “Le potenze invisibili”, IUAV (Venezia) Scritti
su Carlo Enzo e testimonianze Tagliapietra A. La Bibbia, libro sempre “aperto”,
Gazzettino Tattara G. e altri Per una rilettura del vangelo di Matteo, Mosaico
di pace (on line), Madera R. Date al
cielo quello che è del cielo, L’Unità, Gnoli A. Rileggere la Bibbia, La
Repubblica Della Pergola F. Parola di biblista,
Della Pergola F. La Bibbia svelata,
e in Left, Lamonaca L. Su una nuova lettura della Genesi, Patrignani C.
Laicità: il biblista Carlo Enzo batte i marxisti ratzingheriani, MorettoUn mondo possibile, Della Pergola F.
Il problema dell’unicità e della trascendenza di Dio nella Bibbia ebraica, Della
Pergola F. Il Dio del nulla Tattara G. e altri Gesù e le donne nel vangelo di
Matteo, Della Pergola F. La lunga
battaglia contro la Bibbia e in Left, 1 aprile
Video Da Burano a Roma, parte I, dal progetto Memoro. La Banca della
Memoria La prima visita di Roma, parte II, dal progetto Memoro. La Banca della
Memoria Dal Biblico a Baruch Spinoza, parte III, dal progetto Memoro. La Banca
della Memoria Gesù Maestro ed Elohîm dell'Ecclesìa, parte IV, dal progetto Memoro.
La Banca della Memoria Vai, vai per te, parte V, dal progetto Memoro. La Banca
della Memoria Dalla Bibbia Ebraica alla generazione di Gesù Cristo.
Un'intervista di Romano Màdera La Bibbia non dice quello che ci hanno fatto
credere. Un’intervista a Carlo Enzo Date
al cielo quello che è del cielo di Romano Madera, in L'Unità, Rileggere la
Bibbia di Antonio Gnoli, in La Repubblica. j DISCORSO DELLA RELIGIONE
ANTICA DE ROMANI, ’fcSbr lnjìeme <rrn
altro Difcorfo della CaUrametatione , f£) difciplma militare, % agni,
& efferati] an- tichi di detti Xomani, Comporti in Franzefc dal
S.Gugliclmo Choul,GcntiJhuomo Li onde, & Bagty delle Montagne del
Dclfinato, 'otti in Toscano da M. Gabriel Simeoni Fiorentino.
di Medaglie & Figure , tirare de i marmi amichi, quali fi
trouano à Roma , & nella Francia. IN LIONE, APPRESSO ROVILLIO. Armoiries
dudiB S.(juiUdume du Choul. hi'* BEATVS. J m I
r I r Hi. alla christianissim a et
ScreniiTìma Rcinadi Francia, Macia ma Cateri- na de Medici,
Guglielmo Rouillio humiliflìmofcruitore,(aIutc & con^ 'c'N
tentezza Tempi- '% terna. i ^4. purità & dolcetta della
lingua Tofcana pare che fia di prefenre ( Chnfiianifima Reina) falira in
tanto pregio, che doppo la (^re- ca (èj? la Latina fi Toscani medesimi Jludian - dolaci
ingegnano ogni giorno di renderla più bella y i letterati firanieriì
ammirano, (gj ( come hanno fatta t*Ariofio,il "Bembo, fèd il
Sennaz&aro') ne iloro ferini cercano di imitarla, & in fomma, non fi
troua natione à cui non piaccia cjuafi ogni opera compofiapiù tofio in toscano,
che in altra inguada ejuale cofa conofco io tffere ogni dt più yera
nel fare Jìampare {gfi mandare fuora i miei libri ,nafcendo ( co- me io
credo) <juefio,che poche altre lingue fi pronunziano (tfi fcriuono di
\na medefima maniera, come fanno la Latina & In Toscana, le quali
oltre di ciò hanno Vna certa conformità inferno per la vicinità delle
‘Provincie, che nelfignificato, nel fittone , Qf nell'accento fi poffono
meritamente nominare f or elle. Jtla fi come ogniTofianofe non ben
letterato, non può ne parlare, ne fcriuere bene, cofi e gran felicità disdire
le parole, (gfi leggetegli ferirti di colui che Tofcano (gr letterato fi
ritrova. Traitjuah ha vendo io fempre dito per tale filmare
Jrfejftre (jabncl Symeoni da gli h ut miniì tram ente dotti, oltre à
quelli ' & I ig* 10 che io medefimo ne
ho cognosiuto, (gl egli da fe (leffo ha di' mojlro in più opere fue
fampate in Francia & in Italia, mi fon mojfo à gregario di tradurre in
toscano il libro della Religione antica de Romani, prima composo in Frange fe
dal S. (julielmo Choul,2?agly delle montagne del T> elfinato, la quale
fatica volentieri egli ha fui ito profanarne anchoragia fece dellaltromio libro
della Caframetatione de romani, pur e comporlo dal medesimo autore. Là onde, considerando
futilità grande che di tal libro fi può cauare, egl masime havendolo fiampato
nella più bella forma che io ho saputo imaginare, ho pre/i ardire di
dedicarlo à ZJ.Jrf- parendomi [fe fi debbo hauer ri- guardo che il
prefente habbia qualche proportione con la perdona a cui fi prefenta) non poter
più degnamente quello mio conuenire ad altri che a ZJ.M. come lettura non
meno nobile, che V rile alla Republica, potendo percofi fatti mezzi cono
fiere, che la grandezza & profferita dell’imperio romano non nacque
ctaltroue, che dalla virtù deltarmi proprie, dallagiufitia, (gl dal culto
frequente (anchora chefaljo, altrettanto che 11 noffro ordinato
dalla chiesa catholica, e falutifero (gl vero } della Religione dei loro
falfi Z>q,i quali o come creature (deificando gli fiocchi i loro co fi buoni
come cartiui lmper adori} o come inanimati numi [adorando & temendole
felle, i Fianeti, la forte, (gir gl'accidenti h umani} fe bene non
haueuono poffanza d aiutarli, nondimeno fi vede che fomnipotenre
&> Vero 2 )io, hauendo più riguardo alla /implicita & buono
animo loro t ch e alla loro cieca credenza ,tion anchora illuminata
dal Vero Mefiia gli fauoriua fempre (gl aiuraua, non altrimenti che
io lo priego al prefente che al Re, à U.JM.(gl à tutta la fua regia &
bella prole doni fanitàconrinoua, allegrezza fini# fineffl longa vita. Di
Lione el dì }0.dùdgofio,itf8. Difcor, 'S:5Stata comune
opcnionc d’alcuni hiftori ci antichi che lano, primo Re de Latini,
forte el primo che caificaflc tempio a Dio. Alcuni altri hanno voluto che
quello faccflìno in Candia Foraneo & Dionigi,& che di qui tutte
le republichc, i Principi, & gl’imperatori di buona voluntà, fegunarterodi
poi à fare templi magnifìchi, ornatifsimi & ricchi: tra cuttii quali i
Romani principalmente oflcruorno fopta ognicofa le cerimo- nie,
& culto della Religione, mettendo ogni loro sforfo nel fare chiefc grandi
& merauigliofc, come anchora hoggi fi vede per quella piùintcra &
più bclla, chc in Ra marecc fare M. Agrippa, genero d’Ortauiano
Imp.da; luy chiamata Panteone, & da noi fi oggi la Ritonda rispetto
alla fua forma.. Quello tepio di fuoraecompo- no di mattoni, & dentro
folcua eflcre ornato di marmi di diuerfi colori, con certe cappcflettc,in
ogniuna delle quali era porta laftatua et vno Diodi quel tempo: ma
fopra tutte vi era venerata quella di Mtncrua*fatrada- uorio per
lemanidcl celcbratiflìmo fcultorc FidiaGrc- co:5 e dart'altrapartc quella
di Venerei gl orecchi della A 3 Imo prima
inuentore it templi Tempio dt M.Agrip- JW.P tfó t
Ud- ititi dtUa Perla di Cleopatra. Torma er ricchezza del
Panteone dedicato i Gioite. Sacrilegio di Costantino
impera. quale pendeua la Pcrla, chc auanzò à Cleopatra Rana
d’Egitto , la quale Augufto haucua per quello effetto fatta diuiderc in
due parti, non hauendo potuto trouar- nein tutto il mondo vn’altra che la
fomigliaflc.Concio Ila che la compagna di quella mangiata da
Cleopatra nel conuitodi Marcantonio pefaflc mezza oncia, che fono l
x x x. carati, & folfc (limata cento fcllerti j , di lc- flertij che
al modo nollro varrebbono cc. cinquanta mila feudi. Di quella Perla
Icriuendo Plinio ncll’v ni. libro dcH’Hilloria naturale, dice che ella
era di co lì ma- rauigliofa grandezza Se bellezza, che la Natura non
ha- ucua mai fatto opera ne più perfetta ne più pretiofa. Ma
tornando al proposto del nollro tempio , dico che egli ha le porte di
bronzo di fmifurata groflezza & altczza,con colonne innanzi nel medelìmo
modo fmifu- ratcrte quali nel principio lolcuono ellèrc x v i. ma
hoggi à x n i. fono ridottc, conciolìa che due ne fumo guade dal fuoco ,
& la terza non fi fa ciò che ne lìa fe- guito. Le traui , architraui
& cornici di querto mirabile tempio erano ùmilmente di bronzo dorato,
& finalmcn te fu la fua principale dedicatone à Giowc Vincitore,
ò Vendicatore, quantunque Dione fcriua che Agrippa lo facerte fare
in honorc d’Augudo. Collantino terzo dipoi, Imperatore & nipote
d’Hcraclio,Ieuò la copertu- radi qucdotcmpio,la quale era di piadrc
d’argento , & interne con molte rtaruedi marmo & di bronzo, che
feruiuonodi bellezza & d’ornamento àRoma, le fece metrere lòpra mare
pcnlàndo diportarle in Codanti- nopoli,il q naie facrilegio non volendo
lafciare impuni- to Iddio, fece che in Siracufa , Città di Sicilia , lì
morì Codand Coftantino,& tante cofefìngulari Se rare fumo
rapite dall'armata dei barbari corfali,& portatelo Egitto. Coi!
fece quello Iceleratifhmo-tyrano più danno invi r. gior- nichcegli (lette
in Roma, che in c c.anni non haucuor- no fatto i Corti & tante altre
barbare narioni. L’archi- tettura di quello tempio (per quello che io ne
hò potuto conofccre)è fopra tutte l'altre bene intefa & mirabile ,
lì come anchora li può vedere inRoma,& vedranno qui quelli,che
non vi fono (lati, per la medaglia di detto Agrippa^riprcfcntata qui
difottoal naturale. MARCO AGRIPPA. BRONZO. Vn’altro firmici
quello tempio fece già fare (pacan- do per Atene) HadrianoImpcratote,il
quale dedicò li- milmcnteà tutti gli Dij,.&lo cinfc di c x x. colonne
di marmo Frigiano,conporrichi&loggieintorno per pai- feggiare al
coperto, limili àichioftri delle nollre chiefe. Fece oltre à quello nel
detto tempio vnn libreria, Se dal fuonomcvngynnafio ornato di cento
colonnedi mar- T empio d‘- H adnano.
Librrrié d'HadrU- no.
•HMSfri.v, 8 raufanU. mo che egli haucua,comc fcriuc
negl’ Attici Paufiinia? fatte condurre di Libia: foggiugncndo il detto
Autore che il nome d’Hadriano fi trouaua per infino nel tem- pio
comune à tuttegli Dijila quale verità apparile an- chora per le medaglie
Greche, quiui battute per memo- ria di cofi nobile edificio:& nelle
quali fi vede il*? «fcp.,, chcè il portale della chicfii, con altre
letrerc Greche, che diconoKoiNON&moTNiAs, cioè tempio com-
muneà ruttigli Dij. HADRIANO GRECO. BRONZO.
BRONZO. Ma.lafciando (lare i templi dedicati à tutti quelli
fal- fi Dij & Demonij , pieni di fuperftitioni & di bugie,
venghiamo (blamente à confiderarc la grandezza & Tempio di ma g n
ificcnza di quello di Salomone, il quale di ricchcz Sélmonc. ^ ^bellezza
ha pafiito tutti gl’altri ,conciofia chcncl- l’ Arca douc erano ferrate
le leggi & comandamenti di Dio,fi vedeuono infinite pietre pretiofedi
grandifiìmo pregio, pregio, &
l’Arca medefima era coperta di grolle piaftre tutte d’oro.Quiui
fimilmcnte era vna tauola tutta do- ro malficcio con
innumcrabili vali d’oro & d’argento, di stlomo - calici , ampolle,
& altre cofe, che leruiuono nell’ammi- Bf ' niftrationc &
cerimonie de i facrificij. Vncandellicre S andiflimo d’oro, del
quale vlciuonotre rami da ogni to con altrettante lucerne, figurate per i
fette pianeti, tra le quali quella del mezzo4'o ftcnuta dal tronco ,
era più grande à mifura che il Sole e più bello di tutte l’al- tre
ltelle. Et tutte quelle cofe furono portatcfdoppo la Tempio del prefa di
Giudea) innanzi ài trionfo di Velpafiano & di Titofuo figliuolo,
&pofte nel tempio della PaceàRo- ma, &di poi {colpite nell’Arco
trionfale di marmo, edi- ficato in honoredi Tito Vepafiano dal Senato
Roma- no, il quale Arco con molti facrificij fi vede anchora quafi
tutto intero. Quello tempio di Pace, del quale tra l’altrccofe piu
IT eccellenti della Città di Roma Plinio ha fatto mentione Minio.
nc lxxxvi.librodeirHi(lorianaturalc,abbruciò nel tc- H aodUno. podi
Commodo Imp.Sicomc fcriue Herodiano,fog- giugnendo ch’eglicrafopra
ogn’altro ricchiflìmo &or- natiflìmo di (lame & altre cofc belle
coli dentro >comc fuora,ficomc anchora fi puoconofccrc per le
meda- glie de due fopradetti padre & figliuolo Imperatori.
V E S TTqvTZd R ITR u TT^i Z> f xArco
Triomplfdle di Tito in Ronu. i BRONZO. BRON ZO.
Della bontà & valore di quelli d uc Principi , che rir
duflero(comecdetto)turtala Giudea fotro l’obedicnza de Romani, &
della miferabile prefa &diftruttioncdcl tcjnpio di Salomone, ha Icritto
affai à pieno Iofcpho nel fuo libro, che tratta della guerra de i
Giudei. VESPA SIA NO. "C T I T O. ARGENTO.
, BRONZO. Il VESPASIANO. TITO.
bronzo. argento. VESPASIANO.
BRONZO. ARGENTO. AMA i }
Jtt *A T l ST *A Z^nTTTZa, quale è nelle mani Je fautore.
gradiftìmo piacere Vefpafiano fopradetto neir p ^ f
edificare & ornare quello tempio di Pace, di tutte le piu J tUaltm »
belIecole,ch’ei potette haucrc,come quello, che doppo ve- la prefadi
Giudca,haucua mcfl'o in pace tutto il mondo: il che moftrano anchora le
Medaglie battute al Tuo tem po cofidi bronzo,comed'oro,tralcqualifcne
trouano alcune colfimulacrodclla pace, accompagnato da lette- re
che dicono,PACi orbis ter rar vm. & in alcune altre fi vede la Pace
con vn torchio accclo in mano, che abbrucia & diftrugge vn fafeio
d’archi, di frcccic, di cela tc,di fcudi,& di corazze con altri
inftrumenti della guer- ra^ nell'altra mano ha vn ramo d’vliuo &
lettere che moftrano la pace d’Augufto, con quelle parole, pax ptee.
avgvsti. VES. VÌfSPÀS I A NO. DOMINANO.
BRONZO. BRONZO. Et li come Vefpalìano ha di fopra
figurata la pace eoa Lvliuo &col Caduceo di Mercurio, coli Tito la
difegnà poi con vn ramo di Palma. Pace nutrì- Quelle
fono tutte le figure antiche della pace, tanto cc detta feti
dcfidcratadaogniuno,comequelIa cheè nutrice della ctu pubti- p U bIi caV
tilita,&con lafclicitàdellaquale fi conferma il mondo.La pace è
quella, per la quale la Natura Huma- na va crefcendojlc richezzc
fimilmcnte multiplicano,la virtù VESPASIANO.
TITO. BRONZO. virtù c in pregio, & finalmente ella
contiene in (e tutte le colcbuone,chcfipoflonodefidcrarein quello
mondo. Et che ciò fia vero, ficonolce, che nel tempo di pace
fiorifeono affai piu i begli ingcgni,& i principi fauorifeo no piu i
letterathcomc quelli , che intrattenendo coli i virtuofi, i lettori
publici, &crcfccndo il numcrodeCol legi&dcllclcuolc,conolcono
pcrtal mezzo, haucreà reltare immortali,elTcndoilibri come vna tromba
per- petua à gl’orccchi de noftri fucccflori : fi come lenza quelli
vegliamo che non farebbe piu memoria de nomi & fatti di Filippo, ò
Aleflandro Re di Macedoni a,diCe (are, ne di Pompeo, di Cyro , de Perii ,
ne de Greci:& la gloria &grandezzade Romani col nome di tanti
huomi ni eccellenti farebbegia del tutto fpentaxhec quella co-
là(Signore illuftriflìmo)Ia quale vi può portare maggio re gloria &
honore,facendoammacftrarc & introdurre nelle buone lettere il
figliuolo del Re, che meritamente fua MaelU haconftituito lòtto
ladifciplina & cuftodia voftra:dclla quale tornando à propofito della
noftra pa- ce,dico che Augnilo Cefarc prima fu quello, che fece fa
re l’altare della Pace in Roma, & Agrippa Tacerebbe , fi
comcanchoradimoftra Ouidio nei Tuoi Falli, doue ci dice,
Ipfum no s carmen deduxit ‘Pack ad /tram, Hac erit a mtnjis
jìnefecunda dies. Veggonfi le forme di quello altare perle
Medaglie diTiberio,battutcin honore d’Augulto, quali limili à
quelle di Nerone , doue fono lettere che dicono pace avgvsti p erpet v a,
& nell’altra, ara pacis. TI >5
Lf Intere C T letterati rendono il nome de U
principi im- mortale. V Altare d Pace.
Ouidio. TIBERIO. N E R O N ET
BRONZO. Tempio di Numa Pompilio fu il primo che
infegno di pace edi Un °uJrI & ^ crm ° ^ r ^P‘° Lano,iI quale (come
fcriue Pro - tL ? copio)era quadro &grandecomc vna Capella,
tutto di bronzo,& tanto alto, quanto la ftatua di ramedi Iano
vi potefle ilare dentro, la quale non era lunga piu di cinque
piedi,& con due vifi,l’vno riuolto allenente, & all’occa fo
l’altro ronde ci fu detto Gemino ,& del quale Plinio nel libro xx x
v.de l'hifloria naturale ha cofì fatto men- tione.
unmgcmi' Ianni geminiti a 'Numd Rege dicdttts , qui pdeii, belli que
dr~ gumenro colitur. Augufto A V G V S T O.
BRONZO. Haucua quello tcpio due porte di
bronzo, Icquali in tempo di pace ftauano chiulc, & aperte in quello
della gucrra,ficomc anchora lì vede in Virgilio,doucei dice, Sunt
gemina belli porta. Furono quelle pone tre volte fermate al tepo de
Ro- manica prima lotto Numa, la feconda fotto il Conlòlo Tito
Manlio,& la terza & vltimafotto Augullo,quado piacque al
Signorc&fabbricatorc del’ vniucrlo,vcro au tore& di pace & di
luce, pigliare carne humana: della quale cola lafciò mcmoriail
fucccflorcd’ Augullo(dop- po che ei fu deificato) facccndo battere
medaglie, nelle quali lì veggono due mani llrettcinfieme,convn Cadu
eco nel mezzo, & due corni d’abbondanza con parole, che dicono , p a
x. Significando che dalla concordia dipende la copia di tutù quanti i
beni. Caduceo inftgm pace.
Bavgvsto: ARGENTO. Tito
Liuio lcriue,che doppofa guerra Adliaca,hauc- % do Ccfarc pacificato il
mondo per mare & per terra, fer- mò il tepio di Iano. Et Nerone
dipoi lenza haucrc rigar- do à la pace,mofi:rò per la Icrittura delle fuc
medaglie, & la figura del tepio di Iano,d’haucrc{bFo rcnduto
lapacc Umilmente per mare & per terra al Popolo Romano^,
facendo fcolpire coli fatte parole ,pace popvlo ROMANO TERRA
MARIQVE PARTA, I A- NVM CIVSIT. NERONE. DI
BRONZO. Tro . ip Trouafi vn
Marmo in Roma di colore bia co & ton- do/! quale mie parfo di
riprefcntarc qui innanzi, per moftrarcla differenza delle parole che gli
fono intor- no, limili nondimeno nel fenfo à quelle, che nella
meda- glia di Nerone habbiamo viftequi fopra, ianvm c l v-
SIT PACE pRIVS POPVtO ROMANO VBIQVE PARTA. Plinio nel
libro xxm. dell’hiftoria naturale (feri- IANO uendo di Iano gemino) dice
che i Romani nella pri- * min0 ‘ magucrra,chchcbbonocon i
Cartagincfi,fcciono bat- tere molte medaglie di bronzo, da vn de lati
delle quali era la teda di Iano con due vili, & dall’altro la
poppa d'vnanauecon quella parola, Roma. Si trouano ancora
medaglie di Iano,ncllc quali fi ri- prefentano nauili & trofei'Ja
deferittion delle quali fi vedrà piu allongo nel libro de l’Antiquità di
Roma, il quali’ Autor mcttra torto in luce. MEDAGLIA DI I A
Na BRONZO. La caufa perche Iano fi
depingeua con due vili, ella- ta affai benedichiarata da Plucarcho nel
libro delle lue Ijjjf*** quilUoni,doucdicc chcqùcflo nacque perche Iano
era B a Uno con due uijì.
Ouidio. Berofo. Uno Dio- deli pace .
IO (lato i! primo che
haucua rend u ti i collumi rozzi delle pedone piu ciuili , dando loro
leggi, & inoltrando che per la commodita de mari Se de fiumi
gl'huomini potc- uono hauerc Tempre abbondanza di tutte le cofc ,
tranf- portandolc d’vn luogo ad altro. Alcuni altri dicono che
arriuando Saturnoin Italia in vna naue,& infegnando a Iano l’arte
dcllagricultura, & altre cole vtili & buone, lancio prclèpcr
compagno nella Monarchia, & per eterna memoria del Tuo- nome, fece
battere medaglie con due vilì,& nel roueTeio la nauecon la quale
Satur- no era venuto in Italia:di che anchora. pare che habbia.
rcnduto teftimonio Ouidio,doueci dice, ±At bona pojleritds Unum
formante in are Hofitis aduentum tejlificata Dei. Io
nondimeno m’accofterci piu volentieri all’oppe- nionc di Macrobio, che
dice cnc Iano Tu (colpito con due vift,percflere Rato vn Re molto Tauio ,
che confi- dcrado le cole pallatc,giudicaua Se prouedeua à quel- lo
che doucuaaucnircjchc e certo, quella prudenza, la quale epiuneccflaria
àtuttc le noftre attioni : laonde confidcrado la varictadcllc leggi Se
manierede collumi de gli huominbparc che quafimcriramcntelanollravi-
ta fi polla aflomigliare alla figura di Iano con due vili.
ScriueBcroTo.che Iano Tu chiamatoDio di pace Se di co cordia,doppo che
Romolo &Tatios’accordornoinfie mcj&che per la pacc& vnioncchc
quelli due popoli ha - ucuonofatta l’vnacon l'altro, l’imagine di Iano Tu
Tcol- pita con due vifi,& nel tépo pure di Romolo fatta di le-
gnoTolamcte/ccondo ilcollumc de grantichi,volendo mollrare Se
fignificarcchclapoucrtaè amica diDio, come
zi come quelle che contienile in fe l’honcftà , & la
pace, quello che conferma Tibullo ne Tuoi verfi > douepar-
ritmilo. landò dellantichcimagini degli Dei, dice. Ne
pudeatprifco Vos ejjìe e Jìipite fatto s. Sic Reterei fedes
incoluijhs aui. Tunc meline renuere fdem } cttm paupere culeu
S tabarin exigua ligneus adcDetts. N urna di poi fu quello, che
fece fare quxfta imagine di bronzo da Mamurio Ofco ,grandi(hmo maeftro di
Ju xm<t. fondere ilbronzo&iIramc,ilquaIcda Numa fu chia-
mato àRomaperfondcrcfimilrnentei xn.ancili,che di poi foleuono portare
nei facrificij r faccrdoti detti Salij, come noi moftraremo apprclfo piu
dillcfamcntc nel difcorlo de noftrifacerdotij. Quello Iano fu
chiamato anchora quadriforme, & dipinto con quattro vili, come quello
che haueua fi- gnoreggiato da tutti iquattro angoli del Mondo,
nella qualeforma di poi Ip riprefentò anchora Hadriano nel- le fuc
Medaglie. M. A VRELIO. DIOCLETIANO.
HADRI ANO. BRONZO. Etpcrchcgia dal Signore
Iacopo Strada Mantova- no, grandiflìmo & diligente amatore
&inueftigato delle cofe antiche, mi fu altre volte donata la figura
d’ tempio di Ianoquadrifrontc, però mie parfo di fentarlo qui fotto
al naturale, ocr maggiore inrell del lettore.
~Ò CON z 4 - Hauendo à baldanza fcritto de templi
della Pace &di Iano,ragionercmo al preferite di quelli della Dea
Cócor dia, alla quale gli Antichi ne edificarono tati, che non ha
rebbono mai fineà volerli tutti recitare.Ma purccomin- ciando da
quello,che in Roma per tcftamcnro di Liuia c oneordu ^ ua ^ a< ^
re & mo g^ c d’Augufto,fece fare Tiberio impe- sto da radore, diremo,
chele la concordia & la pace fono vnà Tiberio.
mcdefimacola,eipotrcbbceflcreforfc quello, del quale Dionr. Dione
haragionato nel libro l v i. dell’ hiftoria Roma- na, fcolpito per le
medaglie di molti Imperadori, nelle quali fi vède la concordia con vna
tazza in mano, in le- gno della fuadcità,& nell’altra tiene vn Corno
d’abbon- danza,fignificatorc della copia di tutti i beni, quando
gli huomimfonoinvnionc: vedefianchora qualche volta con due figure
, che fi danno la mano I’vna all’altra : nel modo che fi vede qui difotto
, potrà il lettor vedere la concordia. «—
wm . aj Et perla medaglia di
Bronzo, di Caracalla, potrà ve- der il lettore la concordia tra lui &
il Tuo fratello Geta, lignificata per la mano delira che fidano l’vno
all’altro, accompagnati da vna vettoria che gli corona améduc.
''che mollrala vettoria d Inghilterra, douc erano Ita- ti tutti
infieme. Nelle McdagliediM. Antonio Triumuiro lì troua
anchorala tefta di Concordia da vn Iato , Se dall’altro duemani ftrette
infieme con vn caduceo nel mezzo, & lettere che dicono, m a r c v s
antonivs, caivs B L I C AE CON- .r
Auicuncaltrepure del mede/ìmo hanno fcolpita la
Concordia con ducfcrpichc cingono vn’altarc , fopraal quale e polla la tcftad
Auguflo, lignificando la con- cordia del Triumuirato:& nelle medaglie
d'Augufto li figura dei- vedcanchorala concordia, che con vna mano
tiene U Contar- cornocopia,&con l’altra prclcnta de frutti
àiTriumui ri,quali furono Lepido, Cclarc& Antonio, per mollra
rechc dalla loro vnionc nafceua il bene della R ca,&di tutta fhumana
generinone, fpecificato mili parole, salvs generis h v m a
*7 MARCO ANTONIO. ARGENTO.
AVGVSTO T RI V MV IRÒ. ARGENTO.
Ma volendo vedere quanto folle {limata la concor- dia
àccmpiantichi &da gl'imperatori Romani, & dagli Efferati loro,
riguardiamo alle altre medaglie , che fole- uono fare, in alcune delle
quali fi vedeuano cofi fatte parole, concordia miei tv m , con
vnavettoriache coronaua con due mani à vn tempo medefimoj due
Imperatòri , lignificando d’haucre vinto per fvnionc &
vir Concordi* degli folda- ti
Romani, I & virtù de loro fo!dati:& in altre
fi troua la concor- dia con due infegne militari in mano, & le
medefime parole. SEVERIN A.
ARGENTO. C^V I N T I L I S. ARGENTO B—i.
11* a* ’•/ .. »-••*•• 19 Hcbbono Tempre
tutti i piu faur Imperatori quefta ferma Ipcranza^he nella concordia de
foldati confi- ftcuono tutte le vettoric Se la falutc del popolo
Roma- no, & pcròfareplicauono fpcflbcon limile medaglia.
HADRIANO BRONZO. BRONZO. Per alficurarfi poi meglio
deirvnionc degli Efferati loro , gli faccuono giurare per mezzo i
facrificij, non trouando colà che piu gli. faccflc temere, quanto
la religione.. , A quefta concordia dcdicomo glantichi fa
Cornac- C om<tcchU chia,&di qui nalce chcEliano ha Icritto che
gl'anticht dcdUaual- ncl far matrimonio inuocauono quello vccello.Il Po-
^ Con<0, ’ Iitiano fcrittorc diligcntiffimo fa. nelle lue Mifccllancc
mcntionediqucftoi& per mcglioprouarlo, dice haucrc veduta vna
medaglia doro della minore Fauftina, figli- uola di M. Aurelio, Semoglic
di L.Vcro,ncI rouefeio della quale era vna Cornacchia con lettere, che
diccuo- no, concordi a. Et perche io n’ho vn altra limile nel- fc
mani, però mie parfo riprcfcntarla qui difotto. Fauftina. La
quale colà per p UMU vo ! u 1 , ° ^ompagnarc la fopradcrra Medaglia
con moglie di vn alcra d orodl Plautilla Augufta, figliuola di
Plaudo, cauviu Jaqualc fiotto Scucro goucrnò tutto Tlmpcrio Roma-
** P ' fu poi moglie d' Anronino Caracalla, figliuolo di Scucro
Impcratore,douc fipotravedcrcinchcmodo fi dauano la fede in fiegno di
concordia due pcrfionc ma- ritate,con quelle parole, felix
concordia. ’ : FA VSTIN A. doro.
PLA VTILLA. D ORO. Vfauono
. 31 .' Vfauono limilmcntcgrimpcratori di {tendere la man
drittafoprale infegne dciloro foldati , inoltrando 1 vni~ onc
&concordiache doucuaclfcrcin vn Campo, & dal- lequali nalceuono
quali tutte le vettoric loro, li come io ho già inoltro nel dilcorfo
pallàto , che io feci del modo del campare antiquo de Romani;
TRAIANO. FILIPPO. ARGENTO. BRONZO.
Erano à Roma anchora moiri altri Templi , come quello della Speranza col
Tuo limulacro, adorato da i Romani nel modo, che li vedcperlc
mcdaglied’Hadria- no,d’Anronino Pio, di Traiano & di Plotina, con
limili fcritturc, spes popvli roman \ y spes Temp i 0 a
PVBLICA, SPES AVGVSTA. Spirane. HA 3i
HADRIANO. ANTONINO PIO. BRONZO. BRONZO.
Per mezzo di tutte le fopralcrittc imprefe noihabbia- comegtd n mo
conolciuto chiaramente come gl’antichi figura- gli Tu uono laPace ,Ia
Concordia,&la Speranza, reità à mo- Ttdc. ftrare hora come da quelli
era dipinta la Fede. Facccuo- no quello per mezzo di due mani
diritte congiunte in- terne, nclmodoqualichclioggianchora fanno i
nollri orefici in certi anelletti d’oro: ma l’accompagnauono i
Romani con l’H onore, con la Verità , & con l’Amore, come a Roma li
vede anchora hoggi fcolpito in vn mar- mo bianco.
FICV de gl* Antichi romani. F I (j Z/ It D E L L
<A FEDE ritratta da yn marmo antiquo in Roma.
lo non midiltcnderò piu oltre nel inoltrare candì , modi, in
quanti gl’antichi dipingcuono la fedc,& malfi- mccol caduceo, &
con le mani, macontenterommifo- lamenredi ripreientare come priuatamentc
& publica- mcnte ella fu figurata & intrattenuta da i buoni &
cat- tiui Imperatori con fuperflue Ipcfc, nella maniera che lì PLOTINA
BRONZA VESPASIANO. DOMI TI ANO BRONZO
BRONZO. ohi» da vede per la medaglia di Com modo
Imperatore,}! qua - lTj «Unte k con larghiflimi promeflc la foleua
comperare da soli ni, fuoi !bldati,nel modo che fi vede qui difotto.
, -iiDBlnrfj .'ro'ur.icni.IRVW •|f.i Z incuci i
nhs-7'i:-' ìbdo fosiru.rn sfj&rvr/ ac O !tiu
0 • E;n.».v ’ ' : * i ; ili i ,j& ti i
rjjscjj Hadriano, 1 fclijiàojrn
HADRIANO. COMMODO. BRONZO. BRONZO.
Tra tutte le medaglie che io tengo piucare,io n’ho * vna
d’argcnto,donatami già dal S.TcforicroGrolicro, (iugulari flìmo
amatore delle co fc antiche, nelle quale fi vede daduc lati fcolpitc le
mani in legno di concor- dia,con lettere, che ncll’vno dicono , fidis e x
er- oi t v v m, & nell’altro, fide s provino i a rvm. La quale
cola come rara,& poco vifla da coloro, che fi dilettano delle
mcdaglie,potcndo arrecare loro qualche r 1 marauiglia,pcrò fara caufa
che io narrerò qui le cagio- ni, ond^ ella fu in tal modo battuta.
Quello era che volendo le Prouincic, alla guardia De f critlio ,
delle quali erano ordinate le legioni Romane, ogn’an- Ze- no
reiterare la fede & patti che haueuonoinficme, face- uono nel
melò di Gennaio battere cofi fatte monete : & infogno diconcordia ne
faccuono prefente l’vno all’altro. MEDAGLIE.
D'ARGENTO. il primo che edificate mai tempio alla
Fedepubliea, piddcUdfe- fu NumaPompiliOjfi come recita HalicarnalTco,
quiui de fatto U facendo lacrificio alle fpefe del comune , doue i Saccr-
N|WM ‘ doti detti Flamini facrificauono fenza fare fangue, vedi- ti
di panni bianchi, & portati in vn carro con vna mano coperta
cerimoniofamentc,pcrmoftrarechc la fede pu- blica,comc cofafagranon fi
debbe violare. Ma perche io mi trouohaucre detto di
foprachegrantichiftimor- hono- no l'honorc come Dio,&gli fecero vn
tempio ,come à re. conferuatore della fede promefla: però
àconfermatio- ne di quello dico,chc chi di ciò dubitate , vada à
vedere cicerone, il fecondo libro, che Cicerone ha fatto della nkura
de r. Liuto." gli Dei.Marccllo anchora(comc Icriuc Liuio) fu
quello T 'd* m 1" che f ccc vn tem P‘° a ^ a v * rc,a ^ a lfl
lonorc > & Mario no,*iUvir vn’altro fimilc,come fi vede nelle
medaglie di Vitcllio, tù cr ho- jougfono due figurcttejl’vna delle quali
mezza ignuda Tifici, tiene nella mano delira vn’hafla,& nella
finillravn Cor tbonorea- noc0 pja,con il piè deliro fopra vno morrionc:
l’altra detta utrta. ^ l atoraan co con vnmorrione in tcfta,ha vna
halla nella mano manca, & nella ritta vn fccttro,Ie gambe
ar- mate, & il pie ritto fopra vna tcftugginc,con lettere che
dicono, ho nos et vi rtvs. Vcggonfi Umilmen- te nelle medaglie d’Antonino
Pio dipinte Iefigure del- l’honore con il tuo corno d’Abondanza, il quale
tie- ne nella mano mancatchccrinfegnachc portano tutti i noftri Dei
& Dee. VITELLIO. M. A VRELIO. BRONZO.
Fu anticamente collocato il tempio di virtù innanzi T . en !f ,, ' 0
& à quello dell’honorc, lignificando che all’honorc & di-
gnità mondane, non fi può facilmente peruenirc lenza il mezzo di virtùràpropofito
della quale materia io ho tra l’altrc vna medaglia di Gordiano , nel
rouefeio della quale c vn'HercoIc ignudo , appoggiato fopra la fua
jj mazza ,& fopra al braccioha la pelle del Iione,con lette
coUfìgura rcinrorno che dicono, virtvti avgvs.ti. Ma per le t0 **
medaglie di Traiano, d’Hadriano, di M. Aurelio, & di Filippo fi vede
che la virtù c dipinta in altri modi come qui di lotto. FILIPPO.
GORDIANO." ARGENTO. ARGENTO. Per la dili-
gizafeuie- ne al fine deU'impre- r<-
Come gfan tichi ordi- nauono le eafe [agre 4
iloro Dif. Tempio di Mercurio cr di Bac-
co. Per la medaglia fopradettadi M. Aurelio & quella
di Filippo, fi vede l’Imperatore vcftito della Tua corazza, vn
morrionein tcfta,vn’hafta in mano,& accompagna- to da Tuoi foldati
paflarc fòpravn ponte innanzi à tutti, perfornirela fuaimprefaja quale ha
figurata per le pa- role che dicono, vi rtvs a vgvsti. Et per l’altra
me- daglia di Filippo fi vede il padre & figliuolo correre à
cauallo leggiermente, per moftrare la diligenza ,con la quale ei veniuono
à capo di tutte le loro imprefc,con li- mili parole, virtvs
avgvstorvm. Ma lafciando qui l’interpreratione di tutte
quelle cole , farà piu à propofito tornare alla noflra religione,
& moftrare, fecondo Virruuio, come &douc gl’antichi foleuono fare
iTcpli ài loro Dij,comc quello di Mer- curio nel mercato-.cT A pollo
& di Bacco vicino al Thea- trord’Hercolc nella Citta , douc anchora
non eranoi gynnafij ne gl’anfitcatri : di Marte fuora della terra:
di Venere allacampagna,&à Cerere fopra al porto fuora della
Città, eleggendo femprcluoghi,doue non frequen taflino
35 taffino molto Icpcrfone,fcgià noi riccrcauala ncceffità
de facrificij , & i quali fi guardauono rcligiofamcntc &
cattamente. Il medefimo Autore fcriuendo dcH'archi- tettura dcrcmpli nel
fuo terzo & quarto libro dice,chc a Mmerua,à Marte, &à Hercolcfi
doueua ofleruar l’or- dine Dorico:à Venere, Flora.Profcrpina , & le N
ymfc de Fonti, Corintio, cioè con le colonne Toltili, dilicate, pu-
lite^ ornate de fogliami perla morbidezza delle Dee: & fé Ionico, à
Giunone & Diana, fi doueua nondimeno in ciò alla mediocrità haucrc
riguardo: fcriuendo an- chora appretto le regioni &quarticri,verfo i
quali doue- uono edere volti colifatti templi, altari, ftatuc,& altre
fì- gurccelcfti, per fare loro facrificij : circa che fi conofce,
che nella loro diucrfa& fuperttitiofa religione errorno grandemente i
Romani,& molto piu il popolo, ncll’ha- uerc conofccza d vn folo &
vero Dio, come piu oftina- to in quella imprcffionc che vna volta ha
fattada cagio- ne del quale errore dichiarò affai bene Prudétio ne
Tuoi verfi, quando ditte, Puerorum infanti a primo
Errorem curri latte hibit,gujlauerat inter Uagìtus de ftrre mola.
Madi tutti i Templi che fumo in Roma edificati , il piu celebrato
fu quello di Giouc Capitolino,cofi chia- mato per cffcrc ftato fatto in
Campidoglio, fi come fi vede per la medaglia d’Aurclia Qmrina, Monaca Ve
- ftalc,douc cfcolpito Gioue nel mczzodcl fuo tempio a fcdere,fatto
in forma quadrata con la factta in vna ma- no, & nell’altra vno
feettro con lettere che dicono, iyppi- ter. o p t iu vi max.
capjtolinvs. C 4 Tempio di Minerva,
di Marte , CT d’HcT' cole, di ve- nere, di fio ra , c
di Proftrpina. Errore de Romani nel la
religio- ne. Pruduti io. Tempio
di Gioue Ca- pitolino. Tempio di Giove Veti
dicatore , Olympico, CT Tonile. AVRELIA QVlRINA,
VESTALE. ARGENTO. Quello tempio fu prima deftinato da
TarquinoPu- fco,&dipoi edificato da Tarquino Superbo in forma
quadra, & ogni faccia di CC. piedi con rrc ordini di co- lonne, fi
come lì troua nelle medaglie di Traiano, nel- le quali lìveggono fopra al
detto tempio molti trofei, carri trionfali, vetrorie, & altre cofc
belle. Vna altra mc- daglialìmilmente lì troua di Gioue Vincitore, ò
Ven- dicatore, la quale fece battere Alelìàndro Scuero, figli- uolo
di Mammear&r altre di Gioue Olympico & To- nante, fatte da Augufio,
comepiu àlungo lì vedrà nel mio libro delle Antichità di Roma.
Traiano r* fe, TRAIANO.
ALESS. SEVERO. BRONZO. 4 »
BRONZO. A V G v h O, AVGVST 67 argento.
MEDA. DE PETIHVS. ARGENTO.
« N 5 4 +
'(co- pura tito- lano
tcile pio, che : de
yit k TEMPIO Z> I Cj 1 0 V
E, ritratto dalli Antico. Spefa fatta nel tempia di
Gioue. Cofe ftngu- l ari nelté- pio di Gio- ue
Capito- lino* h aUcmdf feo.
Tlinio . Dicono gl Hiftoriciche Tarquinofuperbo (pcfc nel- la
fondanone di quello tempio x L.mila libre d’argento, nel quale oltre
all’altre cole lingolari fi vedeua vna ftatua d’oro aita dieci piedi, vi.
Tazze di fmeraldo, vi. vali mur rini, che Pompeo portò d’ Alia, truffando
di quella pro- uincia,&vnmatello,o velie di Porpora tanto bella,
che melìa àparagonc con l altre d‘ Aureliano Imperatore, le faceua
parere di colore di cenere pi u tolto che di fcarlac- tordella quale
velie dicono che era già fiato fatto vn pre fcntc (come di cofa rara) dal
Rcd’IndiaàqucIlodcPcr- fiani,&chc quello dipoi l’haucua donata al
detto Im- pcratorc.Era fimilmcntc in quello tempio vna calìa di
marmo, guardata da x.huomini,ch’ci chiamauono Dc- ccmuiri, nella quale
erano i libri Sibillini , contrccap- pellcttc legrctc d’vna medefima
maniera, douenon era lecito à neffuno d'entrarc(comc fcriue
HaIicarnalTeo)fi: non à ifaccrdotidelmcdcfimotépio.NcH'vnadi quelle
Cappelle, cioè quclladcl mezzo, era lartatuadiGioue, nell’altra ama
diritta Mincrua, Stalla finiftra Giunone: douc afferma Plinio hauerc
veduto vn cane di bronzo, che c5 arte marauigliofa fabbricato fi Icccaua
vna ferita. Io nonlafcicrò di fcriucrecomcrAquilafutragral-
tri vccelli dedicata à Gioue,non volédo gli antichi ligni- ficare altra
cofa , fc non che come l’Aquila è Reina de gli vccelli, coli Gioue c
Signore di tutti gli altri Dij,fi co- me hanno mofiro non folamcntci
Romani, mai Gre- ci anchorancllc loro medaglie. Àlefian ALESSAND.
RE DI GLI EPIROTI." ARGENTO. Non voglio
mancare d’aucrtire il Icttorecomc Gio- ue,Giunone,&Mincruafurno
figurati da gli antichi per tre animalirquali furono , per la ductta
Minerua, per Giunone il Pagonc, & per Gioue l’Aquila, fi come
fi vede in vna medaglia d Antonino Pio. ANTONINO
PIO. V arieti deli Aqui- la falla
tef- ta di Cio- Vcdefianchora in dì molte medaglie,
tanto di Con- foli, comcd’Impcratori,che l’Aquila c poftafopra la
fa- cttadi Giouc,altroucchcella porta il Tuo fimulacro ò fi- gura
filila tcfta , & in altri luoghi lctcftedi Giouc &di Giunone
fopra le due alle. Per la figura d’vna Pila antica che fi vede qui
di fiotto, Giouc c accompagnato della fina Aquila, &Giunonc dal
fuo Pagone,doue c Nettuno col fuo tridente, &pre- fientc al
fiicrificio inficme con Mercurio, col fiuo cadu- ceo, & col Cappello
chiamato Galero da i Latini. V Z>’ V N ? 1 ÌTJl .
"> fica ritratta et\n marmo di Roma. H
AD AVGVSTO. argento. re Den cnc Scappella di
Giunone foflefeome e detto) nel tempio di Giouc, nodimeno haueua
anch’ella il Tuo tempioàpartCjComefi vede nella medaglia di bronzo
d’Augufto,doueè il tempio di Giunone arrichito dinan zi di quattro
colonne Doriche, & nel fregio e tale inferir zione,i vn o n
i.conilnomcdcmacftri di HI ROMANI. HADR. GRECO.
BRONZO. BRONZO. [ 4*
DELLA RELIGIÓNE AVGVSTO' n r n m i
n Et come l’Aquila era di Gioue , coli il
pagonc&lo bruzzolo furono cólagrati à Giu none, come fi vede
nel- le medaglie di Fauftina,diGiuliaPia,&di Filippo Impe
ratorc,& il Tuo carro tirato per i Tuoi pauoni, di che ha fatto
mentione Ouidio, * Halili Saturnia curru Ingrediturliquidum
fauonibus aera fiBis. FAVSTI NA FILIPPO ARGENTO G1VLIA PIA.
FAVSTINA ARGENTO. BRONZO. FAVSTINA.
BRONZO. ARGENTO. MINER- A
Mincrua(comc c detto) per eflcrc dedicata la Ci- v A - uctta , nafccua
che nelle Medaglie degli Atcniefi fi ve- JJ“J dcua da vn lato la teda
della Dea , & dall’altro il detto Minena. vccello con lettere Greche
che diccuano ,athna, cóli nominata da loro Minerua:&come m olirà il
rouefeio de la prima medaglia, la Ciuctta vola con Tali fpanfe ,
& tenendo vn ramo di Palma co i picdi.Pcr i! volodi la Ci-
uettagli Ateniefi ftimauano il fimbolo de la vittoria. D
5 ° Giouc Vincitore. Mintruj
nutrice. Lypnuco. MONETA ATHENIESE.
ARGENTO. MONETA ATHENIESE.
ARGENTO. Ec fi come Gioue fu da Greci & Romani
chiamato Vincitorc,quadolo faccuono dipingere con vna vetro- ria
nella mano diritta , & nell’altra vn’hafta in luogo di fccttro,cofi
fu Mincrua figurata da loro vettoriofa, ac- compagnandola con vna
vcttoria,ncl modo che fi vede per le medaglie di Lyfimaco , vno de
fucccflbri d’Alef- fandro Magno , doue da vn lato è la fua teda con
vn i Diade u. Diadema, &dua corna, in
fegno di grande honore , per haucrc fermato & ritenuto vn toro per le
corna, il qua- le (cappato delle manidi colui , che lo menauaper
fare facrificio ad Aleflandro,fi fuggiua. LISIMACO.
ARGENTO. LYSIMACO. BRONZO. Erano
principali tutori & auocatidella Città di Ro- ma G ioue, Mi nenia,
& Giunone, &di qui nafccchePol- lioneha fcrittonel libro della
fua Architettura, che il D a ' Si luogo più
a!to,dal quale fi poteua meglio {coprire & Icorgcrc tutto il fito di
Roma, quale c il Capidoglio ,fu eletto per edificami il tempio di quelli
tre dij.Ondc tor- ntdiToZ riandò alla ftolta fupcrllitione de Gentili ,
che non fola- nL mente adororno Giouecomc Dio omnipotéte,ne fi con
tcntomo’di dedicarli l'Aquila,come Reina di tutti gl’ vc-
cclI»,penlàndolo maggiore di tutti glabri Dij,ma gli con Ammone f a g
rorno ancho il Montone, chiamadolo Iuppiter Am- moni mettendolo
fopraquello à fcderccon lo Icettro in mano. Nacque quello vocabulo Ammon
dalla rena, che i Greci chiamano «w** .ciochc Plinio (fcriuendo del
Tale Ammoniaco nelxi i. libro) ha meglio dichiarato in quello modo.
Ergo ^AEtbiogU fuhie&d ^AJricd^mmonUci Ucrynum Jìiìldt in
drenti [un, inde etto, nomine w Ammonii oraculo iuxtd quod gignitur
drhor. Quantunque Tinterpreted’ A rato Latino, ò Ballo, ó
Celare che fi fbflcjfcriuachc quello fia il Montone, che anchora di poi
fu meflb il primo tra i legni cclelli per ha uerc infognata a Bacco
Tacquaperilfuo ElTercito,chc da lui condotto per la Libya fi moriua di
fete,fi come piu à pieno potrà il lettore vedere nel mijibro di
Q^Curtio, o xv 1 1. di Diodoro Siciliano, ò nel 11 1. lib. che
Arriano ha Icritto de fatti d’ AlclTandro Magno. Meda. MED..
D’HAD. BATTVTA IN GRECIA, BRONZO. BRONZO.
Fuanchoraà Gioue dedicata la Capra, per hauerlo t* c*pré nutrito
del Tuo Iartc,ondc ei fu detto Egiuco,& da Greci ùtyic X t f,Ia quale
capra intendcuono quella della Nymfa Amaltea^he l’haucua allcuato, A come
afferma Gcrma nico Celare ncAioi vcrA d’ Arato, douc ci dice,
-lUaputatur Nutrix ejje louu/i 'vere luppicer infdm
Ubera Crete* muljìt fidi^ima capra, Sy dere qua clarograrum
cejlaturalumnum. Il che moftrarono anchora meglio Filippo Se Valc-
riano Imperatori , facendo nelle loro medaglie mettere vna volta la Capra
fola con lettere che dicono , io v i conservatori a v cvsT i, &
altrouc la Capra che portaua addoffo vn Gioue à modo di fanciullo con
altre lettere à quello modo , iovi crescenti. Vi
V 54 Gioite vit-
tore. Calcidonio dittico.
DELLA’ FILIPPO. ARGENTO.
RELIGIONE VALERI ANO. ARGENTO.
Attribuì Umilmente molti altri nomi & dignità la fu-
perftitiofa antichità à quello Gioue,vna volta chiaman dolo
Vcttoriofojcome quelli che péfauono che ei donaf fclcvcttoricj&cohlo
fugurauonoconvna Vettoriain mano,& con vno fccttro nell’altra:&
vn’altra volta face uonolaVcttoriachccoronaualuid’vnacoronad’Allo- ro,(ì
come io lapoflo moftrare (colpita in vn mio Calci donio antico, poco
minorcd’vna medagliada quale pie- tra anticamente fu confcgrata à Gioue
Fulguratorc,per vfeirne il fuoco, onde i noftri Soldati
l'adopranoancho ra hoegi all’archibufo. CALCAL CIDONIO ANTICO
BRONZO MEDA. GRECA. BRONZO. DOMITIANO.
BRONZO. MARCO AVRELIO. BRONZO.
BRONZa cottegli Per le medaglie qui appreflo , fi vede
Gioue mezzo * *** * *'• ignudo di Copra, & dalla cintura in giù
vcftito,chc fta à ciò**. federe nel mezzo di quattro elementi , tenendo
da vna mano vna hafta , & l’altra la ripofa Copra la tefta de l'
A- quila,fi comclalcultturalo dimoftra peri due carri ce- ledi
dclSo!c,& delaLuna:& per i due fimulachri che fono Cotto i Cuoi
piedi, lignifica gl’altri due elementi, cioè , l’acqua & la terra ,
hauendo il Z odiaco attorno, doue Cono riprefentati i dodici Cegni
ideili. Et la ca- gion perche riprefentauano cofi Gioue, era,
chcgl’an- tichi nella loro miftica & occulta theolo^ia volcuono
lignificare, che le cole lupcriori debbono a gli huomini efìcrc celate,
& Colamcnte manifcftc à Dio. Mafuadi- uinità & tutte le Cuc
potenze, ci ha moftrato Alcxan- dro figliuolo di Mammea per i Cuoi
medaglioni bat- tuti in Grecia, doue fi veggono da vn lato caratteri
ab- bre DE GL’ ANTICHI ROMANI. 57
breuiati, che dicono XrTOKPA'Tnp K^riAP ma'pkos atpe*aioì iebaitòs
a* AEfg a n a po z , che iLatinihan no interpretato ,imperator caesar
marcvs AVRELIVS AVGVSTVS ALEXANDER. Alexandr o mamme
a. bronzo. I Greci chiamorono Gioue per
varij nomi, malfima- mcncci Siraculànijcomc recita Tito Liuio nel
quarto libro della terza Dccadctcon ciò Ila, che hebbero il tem- t empio
di pio di Gioue detto Olimpio,alcrimcnti Eleo , celebrato
primajpcril Tuo oracolo, & dapoi per i giochi publici che lìfaccuono
in Elide , nel Campo di Pifar&di là e ve- nuto il nome di Gioue
Elco,come lì potrà vedere per la medaglia Greca polla quidifotto,nelìa
quale lì troua da la bandadritta il lìmolacrodi la teila di Gioue con
que- Gioue Ite lettere Grechc,s e rs iAET02 > chcfignificano J ciovE
^ ELEO.EtncI rouefcio elcolpito il fuo Folgore & l’Aqui- la con
tale inlcrizionc,zr paro sion: la quale cifaap- parircchela città di
Siracufa portògrandiflimo honorc a Giouc Eleo, à cui fece edificare
vn cofi bcllilfimo tèni pio,& battere fimili medaglie in fua eterna
memoria. MEDA. DE I SIRACVSANI. BRONZO.
SttBd fot»- tiferà di Giouc.
Per le medaglie d’argento che furono battute per Lucio
Lentulo,& Caio Marcello Confoli,fi troua la te- tta di Giouc d'vna
banda con tale inflizione, ivcio L E N T V L Oj CAIO MARCELLO C
ONSVL I» b v s. &da l’altra è vn Giouc coi fuo Folgore nella
man dritta,& l’Aquila nell’altra , &innanzi aìui vno
piccolo altare,& dietro laftella falutifcra,laquale c polla nel
fe- condo luogo tra le fteile erranti: lignificando tutte que- lle
cofc vn facrificio fatto per detti Confoli à Giouc, per caula del Folgore
caduto fopra il fuo tempio Capitoli- no à Roma.
Meda? ss> MEDA. DI L.
LENTVLO, ET C. MARCELLO, CONSOLI. ARGENTO.
I Romani chiamorono quello Giouc Confèruato- Gioite cc%> re , fi
come noi leggiamo nelle medaglie di Diocletiano { enutort ' Si di
Gordiano Imp.che lo dipinlcro ritto eon due faeffe nella man delira,
& nella finiftra vn’hafta, infieme col medefimo Imperatore fiotto la
cuftodia fua,& lettere che dicono, io vi conservatori.
Nclrouelciodcl- l’altra medaglia di Diocletiano fi troua vn’altro limile
Giouc, che prclènta vna vetraria, la quale ha fiotto i pie- di
vnglobo,&Gioue {aquila vicina àifiioi: fi come Li- cinio ne fece
battere vn’altra,doue l'aquila hain becco vna Corona d’allòro &
lettere in quella guifa, ioyi CONSERVATORI AVGVSTORVM
NOSTRORVM. Domi *DOMITI ANO ANTON. PIO.
ARGENTO. ARGENTO. GORDIANO.
BRONZO. ARGENTO. MASSIMIANO • LICINIO.
ARGENTO. ARGENTO. Oltre à Vettoriofo,Fulguratorc, ò Fulminatore, fu
Dìutrfe po anchora chiamato Statore, Propugnatore, Vendicatore dl
& Cuftode,Anxur, ò Auxur. Et come Marte Vincitore fu honoraro
da Romani, coll ancora fu adorato da loro Gioue Vendicatore, perche da
lui erano punitele cole Gl - owf v j_ malfatte.
tote. GORDIANO. ARGENTO.
ALESS. SEVERO. ARGENTO. GORDIANO.
DIOCLETIANO. argento. ARGENTO.
Del Seneca, CJ. della
religione Del foprafiguratoGioueCullodc nella medagliadi
Nerone, ha fatto mentionc Seneca, nel fuo fecondo li- bro delle qucflioni
naturali,douecidice: Quem Iouem tnteUigunr cujlodem rettorémtjue
\niuerf. Qucllo,chc parimente fi vede nelle medaglie d Ha-
driano, douc Gioue c dipinto à Ledere nel fuo Trono conia filetta in mano
dritta, Se lettere chcdicono, ivpi- ter cvstos. Vcfpafiano le fece
battere con inferi - zion diffcrcntc,chc dice, iovis cvstos.
Cicerone. NERO. ORO.
VESPASIANO. ARGENTO. Ma quanto à
Gioue Statore, cofi chiamato, perche, mediante lui, fi confcrua
ognicofinli vede che Cicero- ne ne fece anch’egli mcntione nclloratione,
cheei fece innanzi che andare in cfiglio:doue ei dille; O Gioue
Sta- torc,quale i noftri antichi cofi chiamarono , come con-
fèruatoredi quello Imperio,& dalle mura del cui rem- pio io tenni
difcollo le violéti imprefedi Cati!ina,dop- po che Romolo l’hebbe
edificato nel palagio , apprefib la vettoria hauuta de Sabini, io ti
priego d’cllcrc in aiuto alla Rcpublica & Città diRoma, Stame in
tutte le dif- gratie mie. yltore
P'S . <r 3 Vlcorc fu chiamato, &
honorato da Romani come Marce, per edere l’vno & l’altro vendicatore
delle cofe mal fatte: & in Italia , maTTimamcntc nel territorio
Ca- pouano detto Auxur,& figurato il Tuo lìmulacrope r vn Auxun
fanciullctto lenza barba, del qualefcce mentione Vie- Virgilio. gilio
nell’ viij.libro dell’ Encida, quando dille: Cyneumejue iugum^uets
I uff iter ^Auxttrus aruis r Pr<efìdet. Et è ancor Giouc
coli (colpito (opra vna medaglia d’argentodi Pania, da vn lato della
quale fi vedeà fede- re nel fuo T rono con vna tazza nella mano mra,&
nel- la manca lo fcettro,con vna corona di Quercia, o d’Vlt-
uo,ilchc non ho potutotroppo bene difccrnerc,per la piccolezza della
mcdagliarnondimeno Phornuto affer- machefolamcnccGiouccra coronato
d’Vliuo,in fegno di perpetuitàrperchc egli è Tempre verde, & tiene
qual- che poco del colore cclcltc. ME DATgTi E DI P ANSAI
ARGENTO. Tempio d'Augufto in Alcjptn
ària. EtlicomcGiouchaucua in Roma (come e dctto)iI
Tuo tempio magnifico , & era chiamato Scruatorc Se Conlcruatorc,coli
in Alcflandria nera vn’altró limile conlagratofcome fcriuc Filone nel
libro della Tua lega- tioncà Caio Ccfarc) à A uguftoConfcruatorc,
chiama- to hauuto in vcncrationcda i nauiganti.Era quello
grandillimo & altiflìmo tempio pollo innanzi al Porto,picno di Tau
ole offerta, di pitture cxccllcnti,& di flacuc marauigliofamentcfabricatc,&
ornate d’argento Se d’oro, con portichi Se loggic per Ilare al coperto,
& palleggiare, & vna libraria accompagnata dagradilEmc
làlc,portali,bofchetti,& lunghe vie, che di lontano por-
geuonofpcranzadi falutc à tutti i nauiganti,che volc- uono pigliare porto
in Alcflandria: benché quali per tutto il modo foflcro flati dirizati
& fatti molti altri tem pii in memoria d’Augufto & per eternità
del fuo nome, li come li troua nelle medaglie battute al tempo di
Ti- berio, il quale cominciò vn tempio in honorc fuo che Caligula
fornì poi,& Io confagro al fuo nomccon ofH- cij Se facrificij pieni
di pietà Se di rcIigione,il che ei con- ferma perle fuc medagIie,doucda
vn Iato è il lìmula- cro della pietà à federe con vna tazza nella man
dritta, & la fianca ripofafopra vnfanciuIIctto,che moftral'of
fido pio che Caligula faccuainuerfo i fuoi parenti , con quelle parole,
e. caesar divi avgvsti prone- POS AVCVSTVS PONTIF EX MAXIMVS TRIBVNIT1
A POTESTATE QVARTVM PATER PATR1AE. & poi quella altra
appreflo folamcntc, pietas. Dall’altro Ia- Sdtrificio to mC£ ^ a g*
ia fi vede fi tempio d’Augufto flato ri- diCéU&uU. ccuuto (comeci
penfauono) tra gli Dci:& nel mezzodi detto
Librario b.Uifiinu d'AuguJlo.
Tempio tA ugujlo (omincUto per Tibe- rio, cr
for- nito per C4 ligula. - *"*
<r 5 detto tempio vn’altare,fopra al quale
c vn Buc,tcnuto da colui che n’haucua la cura, chiamato
Vittimario,con vnfaccrdotc chemoftra di volere fa me facrificio,
teneri do vna razza nella mano deftra,& dietro alle fpalc vn
miniftro con vnvafopcrriccuercilfanguc della beftia. AVG
VSTO. ORO. MED ÀGLI ÒNI DI TIBERIO.
Tempio dkugujlo reflituito per A
nto~ nino. Comminciando dipoi quello tempio col tempo
à rovinare, Antonino Pio lo fece inftaurarc, fi come h ve- de per
le Tue medaglie d’argento, d’oro, & di bronzo, douc fono lettere che
dicono .templvm divi avgVsti restitvtvm. Ne contento di qucfto, ne
fece fare vn’altroad Adriano fuo predcceflbrc,comc ricordeuolc de benefici),
che haucua riccuuti da lui. Anto »
c-j ANTONINO PIO. BRONZO. Oltre à quelli
templi , furono anchora fatti molti altari in honored’Augulto, per
moftraremaggiormen- imiti de te, & per diuerfe vie la fua eternità
con quelle parole, providentia, hauendo quei Romani quella vana
opinione, chela deitàd’Augullo potcflèloro concedere tutto
quello,dichehaueuonobifogno per laucnire. tu»-, -Et coli per tutte l’altre
medaglie de gli Imperatori; che erano (lati à modo loro deificati,
folcuono gl’anti- chi (colpire quelli altari in legno della loro
deificatione-. Deferivo* Scriuc Apulco nel dogma di Platone
, chela proui- XkJu denzanon è altroché vnafenccnza diuinachc
mantie- ne femprcfelice colui,checlla piglia vna volta iti cura:
& altri hanno detto che folamenteriguardaua Se pcnlà- Dtuodi
uaalIecofeaucnire:ma i dannati Epicuri£al(amcntecre- zpÙHro. deuonochcDio
non haueflc alcuna cura de mortali. Ond’io à propofito di quella
Prouidenza mi ricordo ha- uerctra molte altre pietre intagliate,
cheiofcrboin ho- nore dell’antichità, vn Diafpro, nel quale è (colpita
vna vtformU* formica con tre fpighc in bocca,fignificatricc della
Pro- K de Polii- uidenza-.la quale pietra fu altre volte trouata ne i
fonda- de*K4. menti d’vna delle torri cheio ho fatte farcnclla mia
cafa della Maddalena, che per edere cofa anttchitfìma &
rà- ra,mi c parlo farla ritrarre qui Cotto al naturale. —
Diafpro Et perche Plotina ha già comporti in
4. libri della Prouidenza, inoltrando che tanto le piccole come le
grancofe cranogoucrnate per il Dio di natura, io rimet- terò il lettore à
quella lcttione,& ritornando al propoli - to mio, dico chegl’antichi
riputorno la Prouidenza per Dea, come anchora ha inoltrato Cicerone nel
libro del- la naturadegli DcijOndcpcrla Tua figurabile clafem-
bianzad’vna matrona ftolata , ò velata & dritta , che in vnamano
hàlolccttro,&con l’altra moftra vn globo, chcgli Ita à piedi, pare
che voglia lignificare che la Pro- uidenza goucrna tutto il mondo, come
vna buona ma- dre di famiglia, nel modo, che nelle loro medaglie la
fi- gurorno (benché con diuerlì atti) Traiano & Pertinace Imperatori.
r. ;• - fiorini. PROVI
DENZA. Cietront. Alcuni altri Imperatori,
comeTito, la fecionodipin gereconvntymone& vn globo, inoltrando come
ella gouernaua il mondo. Antonino Pio la figurò per vna filetta di
Giouc accompagnata da molte altre. A leda n- droScucroper vn vaio pieno
di fpighe,& Probo & Fio riano per vna fcminaftolatacon vn globo
in mano,vn fccttro &vn Corno d’abbondanza.
rrouidtnz'* diuerfmen tc pinta da antichi.
Caracal Ei mi parrebbcinuano affaticare
,fc io non auertiflì 0 « lettore della pazza fuperftitionc de gli aderbi
Roma ni,i quali durante la vita de i loro Imperaton, o buoni, o
catti u i,cKc ci follerò, in ogni modo non lalciauonodi fare loro
templi,ttatue & altari , & doppo la morte di
lànftificarli,attribuendofaIfamentc loro nomi dibuo ni Principiai
fondatori di pace, & (non ottante che ha - ueflino maltrattato il
Scnato,& Popolo Roman o)di re E 4
CONSE CRATIO- NB. V<tra f a
. flit ione ir Romani nel fanttfi- tar loro
^ imperato^ ri. FLORI AN
A HI S S. MAMM EAT BUON Z O.
. ftauratori della Città di Roma, fteome auenne di Lu-
cio Settimio Scuero,il quale oltre aireflcrehuomobar-
baro,beftiale,homicida,&che di fimplice foldàto pcr- ucnnealla
dignità deilTmpcrio, ingannò & tradì Clo- dio Albino gcntilhuomo
Romano per venire à capo dei fuoidifegni, &: nondimeno s’attribuì
& fece dare più per paurache per volontà dal Senato Romano tùt-
ti i titoli di buono Imperatore. S A R G E N
T < 3*23 ‘ Ma che diremo noi di
quello Monftro di Natura co- minciato & non finito,il quale doppo la
fua morte fu connumerato daRomaninelnumerodei buoni Dei,& del
quale foleuadirc Nerone, che l'haueua fatto auelc- nare, che egli era ftato
fatto Dio p c r mezzo del boccone d’vn fungo? clodio;
ORO. Et per contrario furono i buoni Principi,
di T raiano, Antonino Pio,& Marco Aurelio, che per le loro virtù
&: buoni coftumi,mcritarono d’cflcre chiamati ottimi Im- c .
pcratori,& canonizati,fe lecitaméte fifolfc potuto ciò fa re.
Trai quali è pur degno d’clTcrc Tempre nominato& ricordato il nome d
Antonino Pio , lolito dire che piu tofto volcuacolcruarc &faluare la
vita d vn Cittadino, che ammazarc mille defuoinimici. Parola certamente £
Antonino piena di pietà & degna d’vn buono Imperatore, come
cglicra,&:comclo chiamòil Senato, facendoli dirizarc come à Traiano,
vnaColonna,& Templi nel modo che £ Antonino fi vede qui di
fono. 'i .... e $ c w • . • • r
0 amo moftraco cornea! tempo anticogli
ucrrdctì Inipcratorieranoconfngrati,&diuentauonoDijdoppo
^TLi ]aI . 0r ° m05tCj& comc * Romani faccuono tem pii &al-
tio di ttm - rar * * n Sonore loro coni /àcnficij de vitelli
ficdegl’agncl-' & Reonfegnado loro Sacerdoti & Flammini nel modS
che di Celare A ugufto ha già fcrirro Prudcnrio^diccndo: Prudenti».
Hunemorem V ererum docili Um aiate fejnuta ? olì eritas t men fa t atque
adytit } & fiamme^ tris ANTONINO PIO. BRONZO.
ON. PIO. BRONZO.
Uuguft 75 \AuguJlum col nitritalo
placa uù tgd agno: Strafa ad puluinar iacuit, refj>onfa
popofcit. Tcjlantur tituli,prod»nt confulta Scnatus Cafareum
louis ad ) fecitm Jlatuentia templum. Equanto al reità della
conftgratione , chiamata da Greci & della quale ha le ritto
minutamente He radiano al vij.capitolo del iii j.Iibro,mi è parlo
non fola- ménrc di figurarla cjui fottoal naturale, ritratta dalle
me- daglieantiche d’Antonino Pio,& dt M. Aurelio, ma tra- durla
in volgare,pcr maggiore intelligenza del lettore. ANTON; Pia M-
AVRELIOl ' BRONZO. BRONZ O.
c Soleuono i Romani confagrarc doppo la morte
lo- ro tuttiquclli Imperatori, i quali làlciauono i figliuoli
heredi dell' Imperio, in quello modo penlando efTcre ri-- ceuutr nel
numero de loto fallì DijrEa Citta tiftta vcftita abruno,&picna di
dolore &di lamenti, folennemente fatta fàrcvnaimaginediccra limile al
morto Imperato re, la poneua dentro a vn ricco letto d’auorio,lcuato
in alto aU’cntrarc del palagio Imperiale. Era quello letto coperto
di prctiofì panni d’oro &dcntroui quella ima- gine
H erodiano. b o«».f W «HV
Ccrimonù de Roma* nella mori de loro l« fe
rotori. - 7 6 DELLA RELIGIONE ginc pallida
àguifa quali di ammalato Imperatore/! ri- polaua,haucndo dal lato manco à
ledere tutti i Senato ri vcftiti di bruno,chequiuigran parte del giorno
dimo rauono.Et dal lato deliro tutte le Donne Romane, cias- cuna
fecondo ladignità & grado dcloro padri,ò mariti, . fenza
ornamento alcuno d’anelli, maniglie, ò catene d’oro,ma fedamente
vcftircdi bianco leggicrmetc(qualì come portano in tal calo le getildonne
in Francia)# tue te piene di maninconia. Durauono quelle cerimonie
vij.giorni,nel qual tempo i Medici ogni giorno s’apprcf fauonóalla bara,
fingendo di toccare il polfo all’amma- lato,# mollrando che gli andaua
fempre peggiorando. Ma fubito che ci diccuono quello cflèrc fpirato, i
primi letto i Up4 Senatori lì lcuauono il letto Tulle fpallc, portandolo
nel YtZ'ZÌ? ^ av ‘ a ^ acra ^ no al Mercato vecchio, douc i
Magillrati tutori Romani Toleuono fpogliarlidelladignitàdi tutti i
loro. officij.Erano in quello luogo da due lati fatti certi pal-
chi con ilcalc,dai’vn de quali tutti i piu nobili giouani & patritij
Romani, & dall’altro le piu illullri donne canta- Himi tan- uonoHynni
& Cantici Iamctcuoli# pietofi,nelmodo, tati nette po che s’vla
ncllcpópe funebri. Dopo quello i Senatori di pt funebri. nuouo fa
lcuauono la bara fullc Ipallc, &la portauono fuora della Città in vn
luogo chiamato il capo di Mar- te,douecravn tabernacolo quadro fatto di
gradirmi legni fcccjii,& ripieno di fcrméti.di paglia, & di
falcine, & di fuora riccamctc adorno di cortinclauorarc d'oro,
di flatucd’auorio,#altrediuerfcdipinturc.Sopraàque Ho tabernacolo n’era
vn altro lìmile,ma piu piccolo,& riccamente acconcio come
l'altro,cccetto che haueua le porte & le fincllre aperte, & coli
di mano in mano mó- taua H77
tauapiù alto nel mcdclimo modo fempre diminoedo. Potrebbe!! quella
ftruttura ailbmigliarc à certe Torri fondate in marc,ò fopra ài Porti,
chiamate da moderni, Fanali, dagl’antichi Phari,douela notte Hanno
acccfi lu TJnaU mi perfarefeorta a inauiganti.Portato adunque ildet-
chiamati to letto fopra al fecondo ftaggio.quiui fpargcuono gra-
dequantitàdi fpcticrie,diprofùmi,difrutti,d’hcrbc, & d’vngucnti
odoriferi di tutte leparri del Mondo, facen- doqualì à gara di chi più ,
ò meglio, porc/Tc honorare, & fare quello vltimo prefente al
loro Imperatorc.Fat- to quello, lì moueuono certi Caualicri à corfa
intorno al tabernacolo, facendo vn modo di Morcfcha tonda, MortfAé
Pyrricada gli antichi nominata:& apprefib à quelli fa- ryntt4 ' ceuono
il mcdelìmo i Cocchi, ò carrette , fopra lequali i carrettieri erano
vcllitidiporpora,8cdi velluto chcrmi- lì,con mafchcrc fomiglianti à i
Capitani , & principi che haueuonogià fcruito il morto Imperatore. Et
con finite tutte quelle ccrimonie,colui che doueua fuccedcre all’-
Imperio, pigliato vn torchio accefo in mano,mettcua il fuoco nel
Tabernacolo, & il limile faccuono tuttigl'al- trhpoidi mano, in
manoùl quale per la materia tato fec- ca,& le cofc vnte deprofumi,
& olij profumati, leuaua { j, e fubito le fiamme in alto,pcr
mezzo lequali, vfcitavn’ A- t* quila viua del minore & più alto
Tabernacolo, fc n’an- « daua volando in verfo il cielo , quiui di terra
portando i cieli (come crcdeua &gridauala lloltitia de Romani nql
me delìmo tempo) l’anima del loro Imperatore), il quale poi coli
adorauono come Dio,& gli faccuono altari & templi,
come e detto di fopra. » C rwr,-* r-’ìRtn v
7 8 '’ M. AVRELIO. F AVSTINA 4U«
tu 1 - PERTINAX. BRONZO.
F AVSTINA. ARGENTO. Crédcuonoi Romani
qiicfto mi fieri o non Iblam" elfere vcro,ma molti giurauono hauerc
veduto vfeire del fuoco l’anima dell Imperatore , & altri
pagauono huomini à polla per confermare coli fatta bugia, diccn -
do che l’Axjuila di Gioue l’haucua portata in Ciclo, & coli ecco in
cheniodofu anchora canonizato Seucro lottizzo* collocato nel numcrodegli
Dei, inlìcmccon moltialrri Imperatori & Imperatrici ch’elPopo.Ro.
fece fàlir per forza 9
COM forza alciclo nel medefimo modo che Scucro. Ma ri
- tornando alla materia de noftri templi, doppo haucrc fcritto de i
più trionfanti di tu tti,cioc,di quello di Giouc Capitolino , di quel
d'Augufto à Roma&in Alcflan- dria,del Pantcone^ di quello della Pace,
ci reftai vede- Tempio «K rcil marauigliofo di Diana Efcfiamcllà fu perba
edifica ^j c pg % rione del quale concorfcro tutti i Re,Potcntati,&
Repu blichc dell* Alia maggiore, contribuendo ogniuno per
lafuaparrc/olamcntcmoflidalzelo di religionc,qua'n- tunquepcr Ja
fuagrandezza folle a pena tornito in CC. anni,& fondato rifpetto a i
tremuoti in vn Pantano, tal- mente che ci fu connumcrato per vno dei
lette miracov li del Mondo, & di poifcolpito in piu medaglie di
di- ucrfi Imperatori. “ CLAVDia ‘ ' A R G E N T
O. stnr. *4 • Ma pcrcbeil fimulacro
interodi Diana,qualc era nel Àmpio degli Efcfij,nonfi. può
interamcce {cingere nel le med agliedi pi ntedi fo p ra,mi cpàrfódi
farlo-hilthopa di nuouo ritrarre qui di fotto nel modo , che io
ihoirt e ” due '.Ikimfc K.OII
8o DELLA RELtGIO due medaglie Grechc,l’ vna di C5modo,S: l
aura a nn - tonino Pio , nell'vna delle quali e Icritto aptemhx e
«• e x i a n , cioè, Diana degli Efelìj , & nell’altra quella l ola
parola, e « e s i a spedendo tutte l’altrc lettere perdute.
ANTOM. PIO. COMMODO. BRONZO.
Dtfcrizìon del tempio di Diana. Era la
lunghezza di quello tempio ccccxxv. piedi, & la larghezza e e x x.
ornato di e x x v 1 1 . colóne, ogniu- naalta lx. piedi, & nondimeno
fu abbruciato da quel- lo fcclcrato Eroftrato,folamentc per dire che egli
hau ua fatto qualche cofa degna di mctporia:bcnche di poi fu
rillaurato & rifatto anchora piu bello da Dinocratc, Celebrati!)
Architettore d’Alellandro Magno. Quiui aduque lolc- cUDianf* L, ono
ogn'anno, nel giorno che lì cclcbraua la fella di ~ Diana, trouarlì tutti
i giouani ,& fanciulle , vergini del paefe,vcllitidibiaco,doucfpeflò
lìmaritauono iUcrne? Il fimulacro ò imagine di quella Dea fu fccodo
le fue dignità & qualità dipinto & figurato da gli antichi in
di- uerfe manierc,lt come ella fu pariméte chiamata perdi; JSSL.
uer/I nomi.ConciòlìachcquàdoIaLunaera tutta pie- na, la dilegnauono per
la lua chiarezza con vno tor- chio v
8x chioaccelo in ambedue le mani, come fi vede nelle mc-
dagliedi GiuliaPia, moglie di Seuero Imperatore, con lettere chedicono,
di an a lvcifera. GIVLIA PIA. argento.
BRONZO. Et per inoltrare anchora meglio che Diana
&la LlT- na eranoinqucl tempo vna mcdefimacofa,ioho fatto qui
mettere vn'altra medaglia di brózo della mecfefima Giulia, nella quale e
ferino, lvna lvcifer a,&ìI(uo carro tirato daducccruic,
chcfignificauono checll'cra Dea della caccia, quantunque l’interprete
d’Arato hab- bia detto che quello fignificaua la fila leggerezza.
Ma quadogl’antichila figurauono poico vnolpiedcinma no,& vn
ccruio apprcfio,voleuono lignificare che cac- ciando, ella pigliaua &
ammazzauai ccrui pcrforza,no minadola »^óa«c, & per memoria che ella
era la prima cacciatricc,fofpcndcuono le corna de cerui dinanzi
al fuò tepio.DclIa quale cofahauendo affai à baftazadif- corfo nel
libro , che per comandamento di fua Maefli iohò fittodella naturadc
giammai! ferochpcrò rimette rò il lectorcà vederne quello, chcion’hò
quiui trattato. MEDAGLI E D’H OSTILIO. ARGENTO. Trouanfi
anchoradelle medaglie , doue Dinnac di- pinta, òfcolpitacon Io fpiede, in
legno che ella foleua ammazzarci cingùiali, diche fa chiaro
rcflimoniolamc daglia di Gcta Triumuiro, nella quale da vn lato è
fcol- pita la tefta di Diana , & dall’altro vn cinguialc ,
ferito d’vno fpiede in vna fpalla con vn cane appreffo.
GETA TRIVMVIR 83 Quando i Romani
figurauono Diana cacciatrice, ordinariamente la folcuono accópagnared’vn
turchaf- fo,d’vn , arco,& di frccciccon vn cane da ghignerei fc -
gugio,(cnzaraiiirode quali non fi può cacciarci come mortra la medaglia
qui di lotto. med 7 ~d f C~P OS T VMO.
ARGENTO. Ma nelle medaglie d’Augurto fi vede vna
volta Dia- na figurata tutta ritta in habito virginale, con l'arco
in vna mano , & con l’altra /opra al turcharto, facendo le- gno
di cauarne vna freccia pcrtirare,&: nel mezzo lette- re, che
dicono/iM pera t or DECiEs,&di fotto,sici- x.i a. & altre che
dicono , im perator vNDEciEs.Et L nel rouefciod’vn altra fi vede con la
velie alzata, vnar- sthukitl co in vna mano , & nell’altro vno
fccttro, vn can da giu- * gnerc,& gli rtiualcrti infino à mezza gamba
, colà prò- £ 1 pria per lei come cacciatrice, &i quali daPolluccfono
An<lro »”- ftati Endiomidi chiamati. des ' AVGVSTO.
Tra cucce le medaglie d oro, che fanno ìjjj.furnorro uaccàTolofa,
& rraquelleche mi vennero nelle mani, io ne hò vna,nclla quale da vn
lato è fimaginc di Diana, col Tuo arco & la faretra,*: dall'altro vn
tempio, nel cui mezzo c vn trofeo naualc,in cima al quale è vna
celata antica:& della prua della natte, c fitto vn tronco come
vno Itile con due rami, vno riuclliro d’vna corazza, & da l’altro
pendono due dardi & vna rotelIa:& à pie del tron co è vn Ancora
da vn lato,& vn timone da J aItro,in le- gno della rotta di Sello
Pompeo, quando Ccfarc Augu- ro racquiftò la Sicilia, la quale in mezzo al
frontilpi- Tri gSbe, c *° ^ mc J c h mo tempio e figurata per tre gambe,
con impresici lettere che dicono,i mper ator . c ae s ar,co!ì
fignifi- UsùiU can do che Augullo ringratiaua Diana della vettoria
hauutadc nimici Tuoi. - av AVGVSTO.
Et nc rouefci delle medaglie battute in honoredt Mar cello, fi vede
parimente-vn facardote, chccon due mani lebrato in prclcnra al tempia di
Diana vn altro trofeo di Sicilia, s *” a *- ringratiandola delI’Kauuta
vittoria di Siracu(a,&dcl te- foro portatone à Roma,iI quale-fu
{limato tanto, quan- to quello che i Romani cauorno di Cartagine.
* MAJICELLINO BRONZO.. *6 DELLA RELIGIONE
Animali tonfatati i Diana. Solcuono gl
antichi placare Diana imolando la cer- iliaci daino, il ccruio,& il
toro,tutci animali confècrati lei, fi come tcftimoncranno le medaglie
Latine & chc,che io ho fatto ritrarre qui di lotto. FILIPPO.
BRONCO. Tempi o di Scriuc Strabonc nel x ri 1 1.
libro della fua Cofmògra to“ra*ro~ & 1 che quello tempio cra fondato
nclflfola d’Icaria & polon. chiamato Tstupóirtxor. Et Tito Liuio neh
ni. della quinta Decade , lo chiamò parimente Tauropolum , & Tauro
poli* i ficrificij,chclifaccuonoà Diana. Dionilìo nondime- no nel
fuo libro de Sicu Orbis dice,chc Diana non fu chia mataTauropoU dalla
regione, ma dalla quantità de tori, ehcvinalceuonofotto la fua protezione
:& però detta dum Tau eguale colà appari Ice vera per la medaglia
Gre ca qui di fottojdoue fono lettere, che dicono, e petp i-
IÓN DAMASI AZ. MED MEDAGLIA GRECA D I
DIANA. ARGENTO. Chequcfto
fiavcro,& che Diana Ila (lata chiamata TaurofoloSybiTdurof oliai Tuoi
facrificij dal toro che l’era confagrato,come il cane, dimoftra anchora
Diodoro nel iti. libro, douc parlando della Rcina delle Amazo- nc
dice, che ella faceua ogni giorno cflcrcitarc le Tue ver- gini
allacaccia, acciò chcpiu facilmente tollcraflino il difagio dcllarme
& della guerra , facendo le fare vn cer- to facrificio, che ella
chiamò T*opej 3 fojo.,benchc gl’ Autori tanto Greci come Latini
habbinoconfufi tutti quelli no mi Tdurouoliumjduropolum, &
Tauropobolum, & malli me Suidane i Collcttanei, chiamando Diana
Tduroholosfal Toro(quello che anchora conferma Euftathio) il quale
l’era facrificato, come fi vede nella medaglia d’argento ' d’ Aulo
Pofthumo, nella quale fi vede da vnlato Diana con vna luna in teda,
l’arco & il turcafTo:& dall'altro il fa orifìcio del toro, nel
modo, che fi vede qui di fotro. F 4
Sacrifìci» di Diati» ordinato da la regi, na deli
a- mazonc. Diana chi» mata Tau- robolos
. A VLO PO STHVMO. - ~ i ARGENTO.
eia, & ma/firneàLettora,doue fe nc vede grandi/fim» Tùtro gì -
quantità, donatimi già da Pietro GiIio,huomo dotto Se deVanuZ g ranc * c
amatore delle cofc antiche, fi conofcechcifacri- ti ficij fatti
anticamente da i facendoti alla madre degli Dij congrande
apparecchio,crano chiamati TAuroj>olium& •>- • altre volte
Taurtuolium , &non folamente à Diana Cibelc,maanchoraàMinerua,
volendo maflìmamente credere àSuidas: benché di coli fatti fiicrificij io
habbia, aliai diftefamete fcritto negli Epigrammi, che io hò rac-'
colti di tutta la Francia. *. LeBor* inpropugrutcttlo \rbis. matri
devm pomp. philvmenae t*VAE PRIMA EECTORAE TAVROBOIIVM F e e
r T. . tìdi°G4f!o fedeli àiichora in vna piccola chiefa di S.
Tomafo giuu mezza rouinata nella medefima terra, vn’altro epitaffio
in vna S* hi vna colonna, che regge l’altare
grande, per il quale fi conolce che i Decurioni di quel tempo , cioè
gouucr- torì della Tcrra,feciono il facrificiodi Tauropolium alla
madre degliDij per la falutc diGordiano Imperato- re, & di Sabina
Tranquillina Tua moglie. In facelle D.Thanutnunc diruto in
columna i aitarli vijìrur. 1 PRO SALVTE I MP. ANTONINI
GOR- < DI ANI PII FEL A V G V. TOTIVSCHE^ DOMVS DI VI N
A£, PROQVE STATV C li V 1 T- LACTOR. TAVROPOLIVM FECIT ÒRDO LACT.
D. N. GORDIANO II. ET POMPEIANO COS. VI. 1D. DEC. CV- "
RANTIB. M. EROTIO ET FESTO CA- » NINIO SACÈRD. Di
quella Sabina Tranquillina ho io veduto altre yolte yna medaglia
d’argento, & vno Epitaffio fatto in quello modo, FVRIAE
SABINAE TR AN QV 1 LLIN AE SANCTISSIMAE A V G. CONIVGI DOMI- NI N.
M. ANTONINI GORDIANI PII FEL1CIS INVICTI A V G V STI DECVRIA- LES
AEDILIVM PLEBIS C ERI ALI VM DEVOTI NVM1NI MAIESTATICHE EO- R
VM. Trouafià Roma vn gran marmo antico fcolpitoin
otfmzion honorc della madredegli Dei,douelì fa mentione del- *
cibele Taurouohum,& quiui lì vede l’imagine della Dea co-
ronata d’vna Torre con vn tamburo nella man manca appoggiato
fopra alla fuacolcia,& con la ritta tiene cer- te fpighe di grano, à
federe fui fuo carro tirato da due liooi,& accompagnata del fuo Atis,
che tiene vna palla in mano, & cappeggiato à vn Pino, come albero
con- F 5 Carro de la madre
de gli Dei , ti- rato di duo leoni.
Dichiara- tionedel'in fegna de la madre de gli
Dei. {agrato arale Dea, à caufa della monragnad’Ida, eh
ciò Candia, òdi quella di Frigia, abondantifiime ambedue
diPinij&doue cllac adorata principalmente per Dea,' & dedicatele
le Pine, onde Marciale ha detto di quelle parlando, Toma
fumus Cybeles. Ma quanto à i due Iioniche tirano il Tuo carro
,co-. mefcriuc Virgilio, Et iunBi rerum dominai
fubiereleones. voltano i Greci lignificare, che non fi troua cofi
Acrile terra,chc ben coltiuata,non diuenti fertile & buona. La
torre lignifica leCitta & edifìci j de quali la terra è orna- taci
tamburo la mondezza della terra, benché alcuni veglino che ciò lignifichi
i venti rinchiufiui dentro, & le fpighe,ch© la terra fola è quella
che nutrifee l’huomo. Figura .u :• '• :•> FJG y R A~ D E LA MADRE DE
I DEI R I 7 R ATTA del marmo artico, il qual fi vede in Roma
ntll’ecchiefa di S.Sebafliano. M. d: M. L ET ATTINIS
L. CORNELIVS SCIPIO OREITVS V. C. AVGVR TAVROBOLIVM
SIVE CRIOBOLIVM , FECIT DIE IIII. KAL. MART. TVSCO ET ANNVLLINO
COSS. Cibelt tOf- riU.
Nell’altra medaglia pure Greca li vede da vn lato Cibelc
torrira,& dall’altro il folgore di Giouc con al- tre facttc, la quale
c tanto vecchia & frulla, che non lì c potuto cauare alcun fenfo
delle parole Greche. Meda Vari I nomi de
la madre dei Dei. Diana con- feruatrice,
adorata in Sieilia. Chiamaronlagl’antichi madre degli
Dei, perche in guifadi madreche nutriteci figlìuoli.la terra
limilmcn- te nutrilcetuttigrhuomini & animali del Mondo, coli
dice Furnuto.I «Greci & Romani le dettono più nomi & attribuirne
diuerfe virtù.chiamandola Cibelc, Cere- re,^ Terra,Prolcrpina,
&fecondo Lucretio, madre delle beftie. Veda, &Diana:il che li
vede & conferma per due medaglie di bronzo Greche, ncll’vna delle
quali c Dia- na da vn lato con quelle parole, 2 atei p a, & da
l’altro il folgorc,dcdicatole cornea Velia ,& limili parole x i
aeqi a r a ©ojc a e n 2, ci oc , medaglia battuta dal Agatoclc in
honoredi Diana confcruatrice. Nel tempo, che io Faceuo quello 33cor|oi mi
fumo mc faglie clonate alcune medaglie d’argento, di quelle, che viti-
doro & inamente furono trouateà Reims, tutte quafi di Seuc-
trouute°t ro,di Giuliani CaracaHa,di Geta,8t diMacrino. Et per-
chcrracfleio netrouaitrc,doue livedcCibelc convnfolgorc in mano,& à
federe fopra vn qucflc parole , ind mi cparfo non fuora di
fotto. L’vna. GLIA GRECA.
bronzo. if pino con- L’vna dell altre due medaglie e dì Giulia,
nella quale madre dc*i ^ vc< ^ c Cibclc tortila in compagnia di due
lioni & àfc- Dd. dere fopra vna Tedia con vn ramo di pino in vna
mano, & nell altra lo fcctcro,chcclIa appoggia fopra il Tuo
tam buro,3c lettere che dicono intorno ,mater devm. Il medefìmo
rouefeio nella medaglia di Fauftina e quali del tutto foni iglianteà
quello. ARGENTO. BRONZO.
Figuro MED. DI C. VOLTEIO. ARGENTO.;
ANTO. Pio. BRONZO. p JJ W
Figurornoanchoragl’antichiil lìmulacro di quella Cibcìe con
vn gran numero dipoppe,fignificando‘ che cllanutricaua tutto il Mondo,
con vn a torrefalla tefta, due Honi Copra i bracci , & diuerfr
animali incorno, produtei da lei come Dea della Natura, & di più
due ccruie ài piedi, che moftrauono che Diana, & quella erano
vnamedchmacolà.Ncl qual modo nonhd mot- to tempo che ella fu ricrouata in
vna grotta ancichiflì- maàRomadadipinturadellaqualemi donò altra
vol- ta M. Antonio Fantuflì dipintore Romano, la quale io ho polla
nel miolibro de la Natura de gli dèi , per dame la villa à .gli amatori
dell’antichità. Furono tutte quelle forme attribuite à Dianacondiuertì
nomi di triforme, come per il tellimoniodiPaufania la chiamò
Alcamc- nc:& Virgilio, dichiarandoci che in cielo lì chiamaua
Luna, in terra. Diana,& nell’inferno Profcrpina , coli laf : ciò
fcritto, Tergeminamque Hccaten>trU ùrginìs or a Tfidnx.
Et perche la figuradi Diana, ritratta da vn marmò antico,!! vedrà
meglio nelnollro primo libro dell anti- chitàdiRoma, io non nelcriùero
qui altro , ma fola- mence dirò come fotto la deità & nome d’Hccate i
più ricchi Romani foleuono ogni mefe far facrificio à Dia- na,
mettendo fopra i canti delle llradc della Città, pane & altre
cofe,chcfubito da ipoueri erano leuaje via , co- me fcriuc Ateneo,
llimando che Diana, la Luna, & Pro- ferpina fodero vna mcdclima
coCa. Hauendoà baftanza parlato di Diana , & defìderan- -
do venire alladcfcrittionc degli altri Dij, comincieremo da ^inerita* la
quale fccondoi Poeti, nacque.de l capo diGio
55 Dea di m- tura. Diana
tri- forme. Paufinid. Virgilio.
Sacrifìcio fattoi Dia na fotto il nome di He
tate. Ateneo. MINER- VA.
di Giouc, pcreflcrcrintcllctto collocato nella certa dell* huomo.
Armaronla oltre à quello gl’antichi d’vno feu- do, nclqnalcera il capo di
Mcdufa,moftradochcrhuo- mo fauiodcbbecon force animo & intrepido vifo
refi- ftcrc aU’aucrficà,& à nimici.il pennachio che ella hauc*
ua fopra al morrionc , fignificaua rornamenro di tutte lefciczc,
&cofcaItenclccruclIo dcH‘huomo:le tre vedi differenti l’vna
all’altra, che la Capienza debbe clferefc- grcta,&l'hafta che ella
haucua in mano, che l’huomo fauio guarda, con fiderà, & batte di
lontano & con van- drdicXt*! taggto. Mala Ciuctta le fu dedicata
(come habbiamo Mintrtu. detto) per moftrarcche la Capienza cuopre con le
tene- bre il fuolplcndore-.i qualitutti lignificati pare chedcf-
criucffc affai bene Ouidio nel Certo libro della fua Mc- tamorfofi,
quando dille, ^t fili datelypeumjat acuta cuflidis hafiam,
Datgaleam capiti, defendituragide pettus, ‘PercuJìa'mejuefua
fimulàt decufiide ferrarti. Edere cu mi; accia factum canentis
oliua , Jrfirartque deos «perù vittoria finis. Minmu
Scriuc Varronc che Mincrua fu quella , che fondò ie untoti Atcne,&
per ciò fu chiamata, aohn a quafi idxraìoe rrdfOt- i- Atene. r e, che voi
dire, vergine immortale, àcaufa chcfcomc fcriue Fulgentio) la
ìapienza non muore mai. Di qui ha voluto Porfirio dire, che Mincrua none
altro che la vir- tù del fole, mediante la quale lafapienza entra &
pene- tra dentro alcuorcdcH’huomo, là onde nafcendodalla
fommkàdcU’aria : però fi vede che i Poeti hanno finto che Mincrua c vfcitadelcapodiGiouc.
I Filici dicono chela virtùintellccciuaècollocata nel cerucllo
deliquio mo,comc denrroalia principale fortezza del redo
del corpo. Chiamaronla Umilmente gl’antichi Bellona, BrBofl4 cioè
Dea della guerra, lignificando chei Soldati debbo- d « * u no non fidamente
edere del continouo armati Spederei- S* frr <- caci, ma proueduri di
configlio: &rprima chccominciarc vn imprcfa,cdàminarc molto bene le
forze del nimico: quello che confermò anchora Saludio dicendo, che
ei bifogna prima configliarfi,& doppo il configlio, & la
deliberationc fatta mandar predo ad effetto ìlfuo dife- gno.Lacaufà
perche gl’hiftorici l’hanno fatta fondatri- ce d’Atcnc, è, che dicono che
nafccndo difeordia tra lei & Nettuno, di chi douede porre nome alla
Città, gli Dei fimedono in mezzo per pacificarli, &giudicorno che
Ncttu- qualc di loro due produrrebbe cofa piu vtilc alla detta Vaim
terra, quello le douede dare il nome, per il che pcrcoccn- do la terra,
& facendo nafcerc Nettuno vn cauallo, & Minerua l’vIiuo,fu
fententiato chcl’vliuo, piu che il ca- uallo fodènccedirio & vtile
alla vita humana,& cofi re- do la Dea vincitrice, con attribuirle
l’vliuo & cdcrechia- mata Pacifera, come fi vede nelle medaglie di M.
Aure- vulimit - Iio,& di Commodo Imperatore. - 4 ut
1 q ncrua. f • *. • T V * 1 t\ e k \ l A ,|f I. fi , * . I .. '• •• 1 • "• «f; IM ,1 - f . n
L M. AVRELIO. COMMODO. BRONZO.
Ttfle di mi Scriue Plinio che infino alfuo tempo duraua
ancho- ra la celcbrationc della fella & giuochi di Minerua,
tjuatria. chiamati Quinquatrij, quali erano, che i fanciulli facen- do
vacationc dalle fcuolc & da gli ftudij porrauono la mancia ài loro
maellri in honore della Dea,come quel Jache aiutaua la mcmoriarciò che
Quintiliano a! 1 1 1. li- bro^ nefuoi falli Ouidio anchora meglio ha
dichia- rato, quando ci dice, 'Pallata nunc putrì tener a j
ornate p nella: Qui lene placarit Palla Ja,Jolhuerir.
L’occafione fopradetta della difeordia di Mincrua nettv- & di
Nettuno, pare che mi porgea conuencuolcmare- « n o. ria di ragionare
anchora di quello Dio,il quale (come il Delfino fcriuc Higinio) fi
dipingevi con vn Delfino fotto il dedicato ì piede 5 ò la "mano
mancaappogiataui fopra, hauendo il nettano, tric | enrc nc lJ a r j t ta
, fi come dimollrano i rouefei delle medaglie di M Agrippa.
M.Agr M. AGRIPPA. BRONZO. Fu Umilmente da gl’antichi
dipinto Nettuno con uettunodi vn Tridente & vna Acroftolia (ornamento
antico di galea) in mano , come fi vede ne rouefei di due mie te cr
una medaglie d’argento, l'vnad’ A ugufi:o,& l’altra di Vefpa*
fiano.douc fono lettere che dicono, neptvno redv- ci, in fegnodi
ringratiare lo Dio del felice ritorno dal- le imprefe nauali.
Acrojlolta dagli anti- chi.
AVGVSTO. VESPASIANO. ARGENTO.
G z 100 ut
-inai* : vufciiut 4t- Attribuirno
parimente grantichiii Tridente a Nct- mttuno 4 tuno,,n %no dello feettro
, & ancho per efl'erc vno in- perfetttro. frumento molto ncceflario à
i marinai, dipingendolo vna volta pacifico>& vn’altra adirato
,come fi vede per le medaglie di Pompeo doppol’imprela fatta, & la
vet- roria hanuta de Corlali, donc da vii Iato fono lettere, che
dicono, MAGNVS IMPERATOR ITERVM-.& dell’altro, PRAEFECTVS CLASSIS ET
O ilARITIMAE EX SENATVSCONSV MED. DI PO MP
ioi Io ho tra molte pietre antiche, intagliate di diuerfc
Ag<tu <m- forci, l’Agata di forco figu rata , nella quale è il
mcdelìmo Nettunoà ledere, con vn braccio appoggiato fopra vn tmo*
va Co alta maniera d'vn fiume,& doppo quella vna Cor-
niolaanticadicolorcdi rubino, nella quale cvn Nettu- no fui fuo carro,
tirato da due caualli, nel modo , ch’egli tumori- è anchora figurato in
vna medaglia di M. Agrippa con rito dà <a - lertcrc che dicono
aeqvoris me omnipotens. AGATA. CORNIOLO.
M. AGRIPPA. arg e n t o. . v."“ v -
-m * .... VA
monete ioz N rtttmo i
fiutilo. La caufa perche glancichi dedicorno il causilo à Nettuno,
fu,perchc ci fu il primo che trouò il modo di domarli &frenarli, come
dice Virgilio nel y.dil'EncidL / ungir eejuos curru geni tot fumanti a.
<jue addir Frana f'eris ì manilupjue omnes ejfundit babenat.
Fanno vera teflimonanza di quello, ’ Tarcntini, nelle quali
da vn lato fi vede Nettuno uallo,& dall’altro Taras fuo figliuolo
fopra vn Delfino. HÌppOCTé- tid.
Confutili. Nettuno in h entore di tutte
del tuuigtr. A iNettunocauanere recionoiKomanjgia vn
tem- pio,comc fi leggein Haficarnalco,&chiamaronogl’Ar cadi) il
dì della fila fella Higgocratia , fi come gl'antichi Confualia , nel
quale tempo tutti i causili > muli, & mule non erano in modo
alcuno adoperati à rrauagliare,' madai garzoni di Italia condotti à
moftra per tuttala Città di Roma con la teda coperta di fiori &
ornata di ghirlande con ricchi fornimenti. Scriuc Diodoro che
Nettuno fu il primo che trouò l’arte del nauigarc& didrizarc vna
armata di marc,& che . 103 ' che per
quello ci fu fatto da Giouc Ammiraglio del ma- re^ di poi adoratocome
Dio.Et per le due medaglie, & vn Niccolo, figurate qui Cotto,
vollono glantichi li- gnificare che Nettuno haucua poflanza tanto in mare
Ncttuno ^ quanto in terra,figurando vn caualloconla coda tor-
gnordrima ta & diuifà in due partidnfegno de iduc Elementi,
l’vno (quale e la terra) ripreientato dinanzi per il cauailo, &
l’altro (qual’ è il marc)difcgnato dietro per la coda in forma di
Delfino. ANTICO NICCOLO. Qi CREPERIO.
GALLIENO. Quando i Romani volcuono moftrarc di ringratia-
rcNettuno di qualche vettoriahauuta in mare, lo facc- uono Scolpire nelle
loro medagliedavn lacoconil Tri- dente^ dall’altro mctteuono
vnaVcttoriafulla poppai d’vnaNaucmel quale modolofcciono già fare
Deme- trio, Augufto Ccfarc,Vcfpafiano , & Tito fuo figliuolo.
Imp.Rom. MED. DI DEMETRIO. ARGENTO.
AVGVSTO. VESPASIANO. ARGENTO. ARGENTO.
Ritor I E serv- ir API a
Machione 105 Ritornando à gl’altri noflri
Dij,& loro templi, altari & fimulachrijdiciamo chcEfculapio Dio
della fa nità,fu il primo chctrouò l’vfo della Medicina,
infcgnataglifor fc prima da qualche Dio flato innazi à lui. Quelli al
rem po di Homero fi vcdcchcnon era anchora flato collo- cato nel
numcrodegli Dei,cóciofìa che il detto Poeta fa medicare àPconcle piaghe
di Marte. Ma quadoci parla diMachaonc,figliuolo d’ÈfcuIapio,ci lo chiama
huomo Ma(hégj figliuolo d’EfcuIàpio Medico, chctrouò molti rimedij
figliuolo ncccflarij perla fanità dcllhuomo , & lo fa tato
eccellete in quella arte, che ci dice che rifufcitaua i morti .Dice Lat
Stantio. tantiochc Efculapio nacque di padre & di madrc,chcn6
fumo da perfonaconofciuti,& coli lafciato in mezzo à vn campo,&
trouato da certi cacciatori, fu dato i n guar- dia à Chironc
Centauro,chcgl’infegnò lar te di medica- renella quale vfarono dipoi
fempregl’antichi fino al tc- pod’Hippocrate,che la riduflc alla fua
perfezionc.L’ha- Kippocratt birationed’EfcuIapiofugiààRaugiacittàdi
Schiauonia, Umdu^a & dagli antichi chiamata Epidauro,doue ci
fucòfiigra- * pnfctno to, fattogli vn tempio, & vna flarua d’oro
& d’auorio per " f * le mani di Trafimcdc,cccclIcntiflìmo(comc
fcriuc Pau fàniajfculcorcdi queltcpo, &natiuo dcll’IfoladiParos.
^ef^iuio Eufebio nondimeno lo vedi &dipinfenel modo, che in
nedeiima- marmo bianco fi vede anchora à Roma,& in molte me
daglic & pietre antiche, cioè vcflitod’vn mantello alla do Eufebio. Greca,
con vn baflonc in mano, & fopra al quale(attor- cigliato d’ vna
ferpe)pare che il Dio s’appoggi, nella ma- niera che io l’hò in vn’altra
belliffima Corniola, &in vno Niccolo, ritratti qui di forco al
naturale. G 5 .ori oia/ì
Jr ioc ‘CORNIOLA ANT. NICCOLO ANT.
Tornato. Microbio. I a Ciuciti
dedicata ì Efculapio. Significai™ la fcrpc (fecondo
Fornuto) che fi come quelle fi fpogliano & mutano la icorza, cofi
auiehedc Mcdccichc riducono gl’ammalaci dalla malaria alla fa-
ttiti, rendendo loro vn corpo nuouo. Altri voglionoche fi come la ferpe
lignifica laprudcza,cofi bifogni al buo Medico edere prudente circa alia
finità d’vna perfona. Ma Plinio rede vn’altra ragione, cioè che la fcrpc
fia de- dicata à Efculapio per edere buona a molte mcdicinc:&
Macrobio dice che quello e, perche la ferpe ha la villa fiottile, come
bifiogna che habbia il Medico nella cura d’vn infermo, &chc il
battone fignifica,chcvn huomo ammalato ha bifiogno di nutrimento che Io
fiollcnga, in modo,ch’ei non caggiaaffatto.EtEufebio,chcilba-
ftonegl’è attribuito, come quello che ^er appoggiarli e ncccdario à
vn’ammalato. Fu oltre a quello dedicata à Eficulapio la Ciuctta,
lignificando che il medico debbe edere vigilante più la notte che il
giorno intorno all'in- fcrmo.fi come lì vede ne rouefici delle medaghedi
Nero nc,&di Vitcllio. Nerone.
107 NERONE. VITE L LrO. * ORO. BRONZO.
Vcdc(i anchoraà Roma nel mezzo del Teuero vn’I- foletta à
modo d’vna galeotta, cioè larga nel mezzo,lua- ga due ottani di miglio,
appuntata da bado , & piu larga di fopra, à modo d’vna poppacL’vna
naue:la quale Ifola fu già confagrata à E(culapio,ati!ina,dop- po
che Romolo l’hebbe edificato nel palagio , apprefib la vettoria hauuta de
Sabini, io ti priego d’cllcrc in aiuto alla Rcpublica & Città diRoma,
Stame in tutte le dif- gratie mie. yltore
P'S <r 3 Vlcorc fu chiamato,
& honorato da Romani come Marce, per edere l’vno & l’altro
vendicatore delle cofe mal fatte: & in Italia , maTTimamcntc nel
territorio Ca- pouano detto Auxur,& figurato il Tuo lìmulacrope r vn
Auxun fanciullctto lenza barba, del qualefcce mentione Vie-
Virgilio. gilio nell’ viij.libro dell’ Encida, quando dille:
Cyneumejue iugum^uets I uff iter ^Auxttrus aruis r
Pr<efìdet. Et è ancor Giouc coli (colpito (opra vna
medaglia d’argentodi Pania, da vn lato della quale fi vedeà fede-
re nel fuo T rono con vna tazza nella mano mra,& nel- la manca lo
fcettro,con vna corona di Quercia, o d’Vlt- uo,ilchc non ho potutotroppo
bene difccrnerc,per la piccolezza della mcdagliarnondimeno Phornuto
affer- machefolamcnccGiouccra coronato d’Vliuo,in fegno di
perpetuitàrperchc egli è Tempre verde, & tiene qual- che poco del
colore cclcltc. ME DATgTi E DI P ANSAI ARGENTO.
Et Ti *4 Tempio
d'Augufto in Alcjptn ària. EtlicomcGiouchaucua
in Roma (come e dctto)iI Tuo tempio magnifico , & era chiamato
Scruatorc Se Conlcruatorc,coli in Alcflandria nera vn’altró limile
conlagratofcome fcriuc Filone nel libro della Tua lega- tioncà Caio
Ccfarc) à A uguftoConfcruatorc, chiama- to hauuto in vcncrationcda i
nauiganti.Era quello grandillimo & altiflìmo tempio pollo
innanzi al Porto,picno di Tau ole offerta, di pitture cxccllcnti,&
di flacuc marauigliofamentcfabricatc,& ornate d’argento Se
d’oro, con portichi Se loggic per Ilare al coperto, & palleggiare,
& vna libraria accompagnata dagradilEmc làlc,portali,bofchetti,&
lunghe vie, che di lontano por- geuonofpcranzadi falutc à tutti i nauiganti,che
volc- uono pigliare porto in Alcflandria: benché quali per tutto il
modo foflcro flati dirizati & fatti molti altri tem pii in memoria
d’Augufto & per eternità del fuo nome, li come li troua nelle
medaglie battute al tempo di Ti- berio, il quale cominciò vn tempio in
honorc fuo che Caligula fornì poi,& Io confagro al fuo nomccon
ofH- cij Se facrificij pieni di pietà Se di rcIigione,il che ei
con- ferma perle fuc medagIie,doucda vn Iato è il lìmula- cro della
pietà à federe con vna tazza nella man dritta, & la fianca
ripofafopra vnfanciuIIctto,che moftral'of fido pio che Caligula
faccuainuerfo i fuoi parenti , con quelle parole, e. caesar divi avgvsti
prone- POS AVCVSTVS PONTIF EX MAXIMVS TRIBVNIT1 A POTESTATE QVARTVM
PATER PATR1AE. & poi quella altra appreflo folamcntc, pietas.
Dall’altro Ia- Sdtrificio to mC£ ^ a g* ia fi vede fi tempio
d’Augufto flato ri- diCéU&uU. ccuuto (comeci penfauono) tra gli
Dci:& nel mezzodi detto Librario
b.Uifiinu d'AuguJlo. Tempio tA ugujlo
(omincUto per Tibe- rio, cr for- nito per C4
ligula. -. <r 5 detto tempio vn’altare,fopra al
quale c vn Buc,tcnuto da colui che n’haucua la cura, chiamato
Vittimario,con vnfaccrdotc chemoftra di volere fa me facrificio,
teneri do vna razza nella mano deftra,& dietro alle fpalc vn
miniftro con vnvafopcrriccuercilfanguc della beftia. AVG
VSTO. ORO. MED ÀGLI
ÒNI DI TIBERIO. Tempio dkugujlo
reflituito per A nto~ nino.
Comminciando dipoi quello tempio col tempo à rovinare, Antonino Pio lo
fece inftaurarc, fi come h ve- de per le Tue medaglie d’argento, d’oro,
& di bronzo, douc fono lettere che dicono .templvm divi avgVsti
restitvtvm. Ne contento di qucfto, ne fece fare vn’altroad Adriano fuo
predcceflbrc,comc ricordeuolc de benefici), che haucua riccuuti da
lui. Anto »
. c-j ANTONINO PIO. BRONZO.
Oltre à quelli templi , furono anchora fatti molti altari in
honored’Augulto, per moftraremaggiormen- imiti de te, & per diuerfe
vie la fua eternità con quelle parole, providentia, hauendo quei Romani
quella vana opinione, chela deitàd’Augullo potcflèloro concedere
tutto quello,dichehaueuonobifogno per laucnire.
tu»-, -ilKrTivb'Jì / Et coli
per tutte l’altre medaglie de gli Imperatori; che erano (lati à modo loro
deificati, folcuono gl’anti- chi (colpire quelli altari in legno della
loro deificatione-. Deferivo* Scriuc Apulco nel dogma di
Platone , chela proui- XkJu denzanon è altroché vnafenccnza diuinachc mantie-
ne femprcfelice colui,checlla piglia vna volta iti cura: & altri
hanno detto che folamenteriguardaua Se pcnlà- Dtuodi uaalIecofeaucnire:ma
i dannati Epicuri£al(amcntecre- zpÙHro. deuonochcDio non haueflc alcuna
cura de mortali. Ond’io à propofito di quella Prouidenza mi ricordo
ha- uerctra molte altre pietre intagliate, cheiofcrboin ho- nore
dell’antichità, vn Diafpro, nel quale è (colpita vna vtformU* formica con
tre fpighc in bocca,fignificatricc della Pro- K de Polii- uidenza-.la
quale pietra fu altre volte trouata ne i fonda- de*K4. menti d’vna delle
torri cheio ho fatte farcnclla mia cafa della Maddalena, che per
edere cofa anttchitfìma & rà- ra,mi c parlo farla ritrarre qui Cotto
al naturale. — Diafpro .
Et perche Plotina ha già comporti in 4. libri della
Prouidenza, inoltrando che tanto le piccole come le grancofe
cranogoucrnate per il Dio di natura, io rimet- terò il lettore à quella
lcttione,& ritornando al propoli - to mio, dico chegl’antichi
riputorno la Prouidenza per Dea, come anchora ha inoltrato Cicerone nel
libro del- la naturadegli DcijOndcpcrla Tua figurabile clafem-
bianzad’vna matrona ftolata , ò velata & dritta , che in vnamano
hàlolccttro,&con l’altra moftra vn globo, chcgli Ita à piedi, pare
che voglia lignificare che la Pro- uidenza goucrna tutto il mondo, come
vna buona ma- dre di famiglia, nel modo, che nelle loro medaglie la
fi- gurorno (benché con diuerlì atti) Traiano & Pertinace
Imperatori. r. ;• - fiorini.
PROVI DENZA. Cietront. 'V '
> r ! Alcuni altri Imperatori,
comeTito, la fecionodipin gereconvntymone& vn globo, inoltrando come
ella gouernaua il mondo. Antonino Pio la figurò per vna filetta di
Giouc accompagnata da molte altre. A leda n- droScucroper vn vaio pieno
di fpighe,& Probo & Fio riano per vna fcminaftolatacon vn globo
in mano,vn fccttro &vn Corno d’abbondanza.
rrouidtnz'* diuerfmen tc pinta da antichi.
Caracal Ei mi parrebbcinuano affaticare
,fc io non auertiflì 0 « lettore della pazza fuperftitionc de gli aderbi
Roma ni,i quali durante la vita de i loro Imperaton, o buoni, o
catti u i,cKc ci follerò, in ogni modo non lalciauonodi fare loro
templi,ttatue & altari , & doppo la morte di lànftificarli,attribuendofaIfamentc
loro nomi dibuo ni Principiai fondatori di pace, & (non ottante che
ha - ueflino maltrattato il Scnato,& Popolo Roman o)di re
E 4 CONSE CRATIO- NB.
V<tra f a . flit ione ir Romani nel
fanttfi- tar loro ^ imperato^ ri.
FLORI AN A S S. MAMM EAT BUON Z
O. . ftauratori della Città di Roma, fteome auenne di
Lu- cio Settimio Scuero,il quale oltre aireflcrehuomobar-
baro,beftiale,homicida,&che di fimplice foldàto pcr- ucnnealla
dignità deilTmpcrio, ingannò & tradì Clo- dio Albino gcntilhuomo
Romano per venire à capo dei fuoidifegni, &: nondimeno s’attribuì
& fece dare più per paurache per volontà dal Senato Romano tùt-
ti i titoli di buono Imperatore. S ARGENT
< 3*23 ‘ 73 Ma che diremo
noi di quello Monftro di Natura co- minciato & non finito,il quale
doppo la fua morte fu connumerato daRomaninelnumerodei buoni
Dei,& del quale foleuadirc Nerone, che l'haueua fatto auelc-
nare, che egli era ftato fatto Dio p c r mezzo del boccone d’vn
fungo? clodio; ORO. Et per
contrario furono i buoni Principi, di T raiano, Antonino Pio,& Marco
Aurelio, che per le loro virtù &: buoni coftumi,mcritarono d’cflcre
chiamati ottimi Im- c . pcratori,& canonizati,fe lecitaméte
fifolfc potuto ciò fa re. Trai quali è pur degno d’clTcrc Tempre
nominato& ricordato il nome d Antonino Pio , lolito dire che
piu tofto volcuacolcruarc &faluare la vita d vn Cittadino, che
ammazarc mille defuoinimici. Parola certamente £ Antonino piena di pietà
& degna d’vn buono Imperatore, come cglicra,&:comclo chiamòil
Senato, facendoli dirizarc come à Traiano, vnaColonna,& Templi nel
modo che £ Antonino fi vede qui di fono. amo moftraco
cornea! tempo anticogli ucrrdctì
Inipcratorieranoconfngrati,&diuentauonoDijdoppo ^TLi ]aI . 0r °
m05tCj& comc * Romani faccuono tem pii &al- tio di ttm - rar * *
n Sonore loro coni /àcnficij de vitelli ficdegl’agncl-' & Reonfegnado
loro Sacerdoti & Flammini nel modS che di Celare A ugufto ha già
fcrirro Prudcnrio^diccndo: Prudenti». Hunemorem V ererum docili Um aiate
fejnuta ? olì eritas t men fa t atque adytit } & fiamme^ tris
ANTONINO PIO. BRONZO. ON.
PIO. BRONZO. Uuguft
75 \AuguJlum col nitritalo placa uù tgd
agno: Strafa ad puluinar iacuit, refj>onfa popofcit.
Tcjlantur tituli,prod»nt confulta Scnatus Cafareum louis ad )
fecitm Jlatuentia templum. Equanto al reità della conftgratione ,
chiamata da Greci & della quale ha le ritto minutamente He
radiano al vij.capitolo del iii j.Iibro,mi è parlo non fola- ménrc
di figurarla cjui fottoal naturale, ritratta dalle me- daglieantiche
d’Antonino Pio,& dt M. Aurelio, ma tra- durla in volgare,pcr maggiore
intelligenza del lettore. ANTON; Pia M- AVRELIOl '
BRONZO. BRONZ O. c
Soleuono i Romani confagrarc doppo la morte lo- ro tuttiquclli
Imperatori, i quali làlciauono i figliuoli heredi dell' Imperio, in
quello modo penlando efTcre ri-- ceuutr nel numero de loto fallì DijrEa
Citta tiftta vcftita abruno,&picna di dolore &di lamenti,
folennemente fatta fàrcvnaimaginediccra limile al morto Imperato
re, la poneua dentro a vn ricco letto d’auorio,lcuato in alto aU’cntrarc
del palagio Imperiale. Era quello letto coperto di prctiofì panni d’oro
&dcntroui quella ima- gine H erodiano.
b o«».f W «HV Ccrimonù de
Roma* nella mori de loro l« fe rotori. - 7
6 DELLA RELIGIONE ginc pallida àguifa quali di ammalato
Imperatore/! ri- polaua,haucndo dal lato manco à ledere tutti i
Senato ri vcftiti di bruno,chequiuigran parte del giorno dimo
rauono.Et dal lato deliro tutte le Donne Romane, cias- cuna fecondo
ladignità & grado dcloro padri,ò mariti, . fenza ornamento
alcuno d’anelli, maniglie, ò catene d’oro,ma fedamente vcftircdi bianco
leggicrmetc(qualì come portano in tal calo le getildonne in Francia)#
tue te piene di maninconia. Durauono quelle cerimonie
vij.giorni,nel qual tempo i Medici ogni giorno s’apprcf fauonóalla bara,
fingendo di toccare il polfo all’amma- lato,# mollrando che gli andaua
fempre peggiorando. Ma fubito che ci diccuono quello cflèrc fpirato, i
primi letto i Up4 Senatori lì lcuauono il letto Tulle fpallc, portandolo
nel YtZ'ZÌ? ^ av ‘ a ^ acra ^ no al Mercato vecchio, douc i
Magillrati tutori Romani Toleuono fpogliarlidelladignitàdi tutti i
loro. officij.Erano in quello luogo da due lati fatti certi pal-
chi con ilcalc,dai’vn de quali tutti i piu nobili giouani & patritij
Romani, & dall’altro le piu illullri donne canta- Himi tan- uonoHynni
& Cantici Iamctcuoli# pietofi,nelmodo, tati nette po che s’vla
ncllcpópe funebri. Dopo quello i Senatori di pt funebri. nuouo fa
lcuauono la bara fullc Ipallc, &la portauono fuora della Città in vn
luogo chiamato il capo di Mar- te,douecravn tabernacolo quadro fatto di
gradirmi legni fcccjii,& ripieno di fcrméti.di paglia, & di
falcine, & di fuora riccamctc adorno di cortinclauorarc d'oro,
di flatucd’auorio,#altrediuerfcdipinturc.Sopraàque Ho tabernacolo n’era
vn altro lìmile,ma piu piccolo,& riccamente acconcio come
l'altro,cccetto che haueua le porte & le fincllre aperte, & coli
di mano in mano mó- taua H77
tauapiù alto nel mcdclimo modo fempre diminoedo. Potrebbe!! quella
ftruttura ailbmigliarc à certe Torri fondate in marc,ò fopra ài Porti,
chiamate da moderni, Fanali, dagl’antichi Phari,douela notte Hanno
acccfi lu TJnaU mi perfarefeorta a inauiganti.Portato adunque ildet-
chiamati to letto fopra al fecondo ftaggio.quiui fpargcuono gra-
dequantitàdi fpcticrie,diprofùmi,difrutti,d’hcrbc, & d’vngucnti
odoriferi di tutte leparri del Mondo, facen- doqualì à gara di chi più ,
ò meglio, porc/Tc honorare, & fare quello vltimo prefente al
loro Imperatorc.Fat- to quello, lì moueuono certi Caualicri à corfa
intorno al tabernacolo, facendo vn modo di Morcfcha tonda, MortfAé
Pyrricada gli antichi nominata:& apprefib à quelli fa- ryntt4 '
ceuono il mcdelìmo i Cocchi, ò carrette , fopra lequali i carrettieri
erano vcllitidiporpora,8cdi velluto chcrmi- lì,con mafchcrc fomiglianti à
i Capitani , & principi che haueuonogià fcruito il morto Imperatore.
Et con finite tutte quelle ccrimonie,colui che doueua fuccedcre all’-
Imperio, pigliato vn torchio accefo in mano,mettcua il fuoco nel
Tabernacolo, & il limile faccuono tuttigl'al- trhpoidi mano, in
manoùl quale per la materia tato fec- ca,& le cofc vnte deprofumi,
& olij profumati, leuaua { j, e fubito le fiamme in alto,pcr
mezzo lequali, vfcitavn’ A- t* quila viua del minore & più alto
Tabernacolo, fc n’an- « daua volando in verfo il cielo , quiui di terra
portando i cieli (come crcdeua &gridauala lloltitia de Romani nql
me delìmo tempo) l’anima del loro Imperatore), il quale poi coli
adorauono come Dio,& gli faccuono altari & templi,
come e detto di fopra. » C rwr,-* r-’ìRtn
M. AVRELIO. F
AVSTINA 4U« tu 1 -
PERTINAX. BRONZO. F AVSTINA.
ARGENTO. Crédcuonoi Romani qiicfto mi fieri o non
Iblam" elfere vcro,ma molti giurauono hauerc veduto vfeire del
fuoco l’anima dell Imperatore , & altri pagauono huomini à polla per
confermare coli fatta bugia, diccn - do che l’Axjuila di Gioue l’haucua
portata in Ciclo, & coli ecco in cheniodofu anchora canonizato
Seucro lottizzo* collocato nel numcrodegli Dei, inlìcmccon
moltialrri Imperatori & Imperatrici ch’elPopo.Ro. fece fàlir
per forza COM forza alciclo
nel medefimo modo che Scucro. Ma ri - tornando alla materia de noftri
templi, doppo haucrc fcritto de i più trionfanti di tu tti,cioc,di quello
di Giouc Capitolino , di quel d'Augufto à Roma&in Alcflan-
dria,del Pantcone^ di quello della Pace, ci reftai vede- Tempio «K rcil
marauigliofo di Diana Efcfiamcllà fu perba edifica ^j c pg % rione del
quale concorfcro tutti i Re,Potcntati,& Repu blichc dell* Alia
maggiore, contribuendo ogniuno per lafuaparrc/olamcntcmoflidalzelo di
religionc,qua'n- tunquepcr Ja fuagrandezza folle a pena tornito in
CC. anni,& fondato rifpetto a i tremuoti in vn Pantano, tal-
mente che ci fu connumcrato per vno dei lette miracov li del Mondo, &
di poifcolpito in piu medaglie di di- ucrfi Imperatori. “
CLAVDia ‘ ' ARGENTO. stnr. *4
• Ma pcrcbeil fimulacro interodi Diana,qualc era nel Àmpio
degli Efcfij,nonfi. può interamcce {cingere nel le med agliedi pi ntedi
fo p ra,mi cpàrfódi farlo-hilthopa di nuouo ritrarre qui di fotto nel
modo , che io ihoirt e ” due '.Ikimfc
K.OII 8o DELLA RELtGIO due
medaglie Grechc,l’ vna di C5modo,S: l aura a nn - tonino Pio , nell'vna
delle quali e Icritto aptemhx e «• e x i a n , cioè, Diana degli Efelìj ,
& nell’altra quella l ola parola, e « e s i a spedendo tutte l’altrc
lettere perdute. ANTOM. PIO. COMMODO.
BRONZO. Dtfcrizìon del tempio di
Diana. Era la lunghezza di quello tempio ccccxxv.
piedi, & la larghezza e e x x. ornato di e x x v 1 1 . colóne,
ogniu- naalta lx. piedi, & nondimeno fu abbruciato da quel- lo
fcclcrato Eroftrato,folamentc per dire che egli hau ua fatto qualche cofa
degna di mctporia:bcnche di poi fu rillaurato & rifatto anchora piu
bello da Dinocratc, Celebrati!) Architettore d’Alellandro Magno. Quiui
aduque lolc- cUDianf* L, ono ogn'anno, nel giorno che lì cclcbraua la
fella di ~ Diana, trouarlì tutti i giouani ,& fanciulle , vergini
del paefe,vcllitidibiaco,doucfpeflò lìmaritauono iUcrne? Il
fimulacro ò imagine di quella Dea fu fccodo le fue dignità & qualità
dipinto & figurato da gli antichi in di- uerfe manierc,lt come ella
fu pariméte chiamata perdi; JSSL. uer/I nomi.ConciòlìachcquàdoIaLunaera
tutta pie- na, la dilegnauono per la lua chiarezza con vno tor-
chio v 8x chioaccelo in ambedue le
mani, come fi vede nelle mc- dagliedi GiuliaPia, moglie di Seuero
Imperatore, con lettere chedicono, di an a lvcifera. GIVLIA
PIA. argento. BRONZO.
Et per inoltrare anchora meglio che Diana &la LlT- na eranoinqucl
tempo vna mcdefimacofa,ioho fatto qui mettere vn'altra medaglia di brózo
della mecfefima Giulia, nella quale e ferino, lvna lvcifer
a,&ìI(uo carro tirato daducccruic, chcfignificauono checll'cra
Dea della caccia, quantunque l’interprete d’Arato hab- bia detto che
quello fignificaua la fila leggerezza. Ma quadogl’antichila figurauono
poico vnolpiedcinma no,& vn ccruio apprcfio,voleuono lignificare che
cac- ciando, ella pigliaua & ammazzauai ccrui pcrforza,no
minadola »^óa«c, & per memoria che ella era la prima
cacciatricc,fofpcndcuono le corna de cerui dinanzi al fuò
tepio.DclIa quale cofahauendo affai à baftazadif- corfo nel libro , che
per comandamento di fua Maefli iohò fittodella naturadc giammai!
ferochpcrò rimette rò il lectorcà vederne quello, chcion’hò quiui
trattato. MED AGLI E D’H OSTILIO. ARGENTO.Trouanfi
anchoradelle medaglie , doue Dinnac di- pinta, òfcolpitacon Io fpiede, in
legno che ella foleua ammazzarci cingùiali, diche fa chiaro
rcflimoniolamc daglia di Gcta Triumuiro, nella quale da vn lato è
fcol- pita la tefta di Diana , & dall’altro vn cinguialc ,
ferito d’vno fpiede in vna fpalla con vn cane appreffo.
GETA TRIVMVIR 83 Quando i Romani
figurauono Diana cacciatrice, ordinariamente la folcuono accópagnared’vn
turchaf- fo,d’vn , arco,& di frccciccon vn cane da ghignerei fc -
gugio,(cnzaraiiirode quali non fi può cacciarci come mortra la medaglia
qui di lotto. med 7 ~d f C~P OS T VMO.
ARGENTO. Ma nelle medaglie d’Augurto fi vede vna
volta Dia- na figurata tutta ritta in habito virginale, con l'arco
in vna mano , & con l’altra /opra al turcharto, facendo le- gno
di cauarne vna freccia pcrtirare,&: nel mezzo lette- re, che
dicono/iM pera t or DECiEs,&di fotto,sici- x.i a. & altre che
dicono , im perator vNDEciEs.Et L nel rouefciod’vn altra fi vede con la
velie alzata, vnar- sthukitl co in vna mano , & nell’altro vno
fccttro, vn can da giu- * gnerc,& gli rtiualcrti infino à mezza gamba
, colà prò- £ 1 pria per lei come cacciatrice, &i quali daPolluccfono
An<lro »”- ftati Endiomidi chiamati. des ' A V G V S T
O. Tra cucce le medaglie d oro, che fanno
ìjjj.furnorro uaccàTolofa, & rraquelleche mi vennero nelle
mani, io ne hò vna,nclla quale da vn lato è fimaginc di Diana, col
Tuo arco & la faretra,*: dall'altro vn tempio, nel cui mezzo c vn
trofeo naualc,in cima al quale è vna celata antica:& della prua della
natte, c fitto vn tronco come vno Itile con due rami, vno riuclliro d’vna
corazza, & da l’altro pendono due dardi & vna rotelIa:& à pie
del tron co è vn Ancora da vn lato,& vn timone da J aItro,in
le- gno della rotta di Sello Pompeo, quando Ccfarc Augu- ro
racquiftò la Sicilia, la quale in mezzo al frontilpi- Tri gSbe, c *° ^ mc
J c h mo tempio e figurata per tre gambe, con impresici lettere che
dicono,i mper ator . c ae s ar,co!ì fignifi- UsùiU can do che Augullo
ringratiaua Diana della vettoria hauutadc nimici Tuoi. -
av AVGVSTO. Et nc rouefci delle medaglie
battute in honoredt Mar cello, fi vede parimente-vn facardote, chccon due
mani lebrato in prclcnra al tempia di Diana vn altro trofeo di Sicilia, s
*” a *- ringratiandola delI’Kauuta vittoria di Siracu(a,&dcl
te- foro portatone à Roma,iI quale-fu {limato tanto, quan- to
quello che i Romani cauorno di Cartagine. * MAJICELLINO,. ~
BRONZO.. Animali tonfatati i
Diana. Solcuono gl antichi placare Diana imolando la
cer- iliaci daino, il ccruio,& il toro,tutci animali confècrati
lei, fi come tcftimoncranno le medaglie Latine & chc,che io ho fatto
ritrarre qui di lotto. FILIPPO. BRONCO.
Tempi o di Scriuc Strabonc nel x ri 1 1. libro della fua
Cofmògra to“ra*ro~ & 1 che quello tempio cra fondato nclflfola
d’Icaria & polon. chiamato Tstupóirtxor. Et Tito Liuio neh ni. della
quinta Decade , lo chiamò parimente Tauropolum , & Tauro poli*
i ficrificij,chclifaccuonoà Diana. Dionilìo nondime- no nel fuo libro de
Sicu Orbis dice,chc Diana non fu chia mataTauropoU dalla regione, ma
dalla quantità de tori, ehcvinalceuonofotto la fua protezione :& però
detta dum Tau eguale colà appari Ice vera per la medaglia Gre
ca qui di fottojdoue fono lettere, che dicono, e petp i- IÓN
DAMASI AZ. MED f vi.
MED AGLIA GRECA D I DIANA. ARGENTO.
Chequcfto fiavcro,& che Diana Ila (lata chiamata
TaurofoloSybiTdurof oliai Tuoi facrificij dal toro che l’era
confagrato,come il cane, dimoftra anchora Diodoro nel iti. libro, douc
parlando della Rcina delle Amazo- nc dice, che ella faceua ogni giorno
cflcrcitarc le Tue ver- gini allacaccia, acciò chcpiu facilmente
tollcraflino il difagio dcllarme & della guerra , facendo le fare vn
cer- to facrificio, che ella chiamò T*opej 3 fojo.,benchc gl’
Autori tanto Greci come Latini habbinoconfufi tutti quelli no mi
Tdurouoliumjduropolum, & Tauropobolum, & malli me Suidane i
Collcttanei, chiamando Diana Tduroholosfal Toro(quello che anchora
conferma Euftathio) il quale l’era facrificato, come fi vede nella
medaglia d’argento ' d’ Aulo Pofthumo, nella quale fi vede da vnlato
Diana con vna luna in teda, l’arco & il turcafTo:& dall'altro il
fa orifìcio del toro, nel modo, che fi vede qui di fotro. F
4 Sacrifìci» di Diati» ordinato da la
regi, na deli a- mazonc. Diana chi» mata
Tau- robolos . tttJICi * * : v
ni' I $8 . A VLO PO
STHVMO. - ~ i ARGENTO. eia, &
ma/firneàLettora,doue fe nc vede grandi/fim» Tùtro gì - quantità,
donatimi già da Pietro GiIio,huomo dotto Se deVanuZ g ranc * c amatore
delle cofc antiche, fi conofcechcifacri- ti ficij fatti anticamente da i
facendoti alla madre degli Dij congrande apparecchio,crano chiamati
TAuroj>olium& •>- • altre volte Taurtuolium , &non
folamente à Diana Cibelc,maanchoraàMinerua, volendo
maflìmamente credere àSuidas: benché di coli fatti fiicrificij io habbia,
aliai diftefamete fcritto negli Epigrammi, che io hò rac-' colti di tutta
la Francia. * 'a • ; ' b - •• . „ j ( . t . * e*
V. ... LeBor* inpropugrutcttlo \rbis. matri devm pomp.
philvmenae t*VAE PRIMA EECTORAE TAVROBOIIVM F e e r T.
. tìdi°G4f!o fedeli àiichora in vna piccola chiefa di S.
Tomafo giuu mezza rouinata nella medefima terra, vn’altro epitaffio
in vna S* hi vna colonna, che regge
l’altare grande, per il quale fi conolce che i Decurioni di quel tempo ,
cioè gouucr- torì della Tcrra,feciono il facrificiodi Tauropolium
alla madre degliDij per la falutc diGordiano Imperato- re, & di
Sabina Tranquillina Tua moglie. In facelle D.Thanutnunc
diruto in columna i aitarli vijìrur. 1 PRO SALVTE I MP.
ANTONINI GOR- < DI ANI PII FEL A V G V. TOTIVSCHE^ DOMVS
DI VI N A£, PROQVE STATV C li V 1 T- LACTOR. TAVROPOLIVM FECIT ÒRDO
LACT. D. N. GORDIANO II. ET POMPEIANO COS. VI. 1D. DEC. CV- "
RANTIB. M. EROTIO ET FESTO CA- » NINIO SACÈRD. Di
quella Sabina Tranquillina ho io veduto altre yolte yna medaglia
d’argento, & vno Epitaffio fatto in quello modo, FVRIAE
SABINAE TR AN QV 1 LLIN AE SANCTISSIMAE A V G. CONIVGI DOMI- NI N.
M. ANTONINI GORDIANI PII FEL1CIS INVICTI A V G V STI DECVRIA- LES
AEDILIVM PLEBIS C ERI ALI VM DEVOTI NVM1NI MAIESTATICHE EO- R
VM. Trouafià Roma vn gran marmo antico fcolpitoin
otfmzion honorc della madredegli Dei,douelì fa mentione del- *
cibele Taurouohum,& quiui lì vede l’imagine della Dea co-
ronata d’vna Torre con vn tamburo nella man manca appoggiato
fopra alla fuacolcia,& con la ritta tiene cer- te fpighe di grano, à
federe fui fuo carro tirato da due liooi,& accompagnata del fuo Atis,
che tiene vna palla in mano, & cappeggiato à vn Pino, come albero
con- F 5 90 Carro
de la madre de gli Dei , ti- rato di duo leoni.
Dichiara- tionedel'in fegna de la madre de
gli Dei. {agrato arale Dea, à caufa della monragnad’Ida, eh
ciò Candia, òdi quella di Frigia, abondantifiime ambedue
diPinij&doue cllac adorata principalmente per Dea,' & dedicatele
le Pine, onde Marciale ha detto di quelle parlando, Toma
fumus Cybeles. Ma quanto à i due Iioniche tirano il Tuo carro
,co-. mefcriuc Virgilio, Et iunBi rerum dominai
fubiereleones. voltano i Greci lignificare, che non fi troua cofi
Acrile terra,chc ben coltiuata,non diuenti fertile & buona. La
torre lignifica leCitta & edifìci j de quali la terra è orna- taci
tamburo la mondezza della terra, benché alcuni veglino che ciò lignifichi
i venti rinchiufiui dentro, & le fpighe,ch© la terra fola è quella
che nutrifee l’huomo. Figura : - FJG y R
A~ D E LA MADRE DE I DEI R I 7 R ATTA del marmo artico, il qual fi vede
in Roma ntll’ecchiefa di S.Sebafliano. M. d: M. L ET
ATTINIS L. CORNELIVS SCIPIO OREITVS V. C. AVGVR
TAVROBOLIVM SIVE CRIOBOLIVM , FECIT DIE IIII. KAL. MART.
TVSCO ET ANNVLLINO COSS. Cibelt tOf-
riU. Nell’altra medaglia pure Greca li vede da vn lato
Cibelc torrira,& dall’altro il folgore di Giouc con al- tre facttc,
la quale c tanto vecchia & frulla, che non lì c potuto cauare alcun
fenfo delle parole Greche. Meda Vari I
nomi de la madre dei Dei. Diana con-
feruatrice, adorata in Sieilia.
Chiamaronlagl’antichi madre degli Dei, perche in guifadi madreche
nutriteci figlìuoli.la terra limilmcn- te nutrilcetuttigrhuomini &
animali del Mondo, coli dice Furnuto.I «Greci & Romani le dettono più
nomi & attribuirne diuerfe virtù.chiamandola Cibelc, Cere- re,^
Terra,Prolcrpina, &fecondo Lucretio, madre delle beftie. Veda,
&Diana:il che li vede & conferma per due medaglie di bronzo
Greche, ncll’vna delle quali c Dia- na da vn lato con quelle parole, 2
atei p a, & da l’altro il folgorc,dcdicatole cornea Velia ,&
limili parole x i aeqi a r a ©ojc a e n 2, ci oc , medaglia battuta
dal Agatoclc in honoredi Diana confcruatrice. Nel tempo, che
io Faceuo quello 33cor|oi mi fumo mc faglie clonate alcune medaglie
d’argento, di quelle, che viti- doro & inamente furono trouateà
Reims, tutte quafi di Seuc- trouute°t ro,di Giuliani CaracaHa,di Geta,8t
diMacrino. Et per- chcrracfleio netrouaitrc,doue livedcCibelc
convnfolgorc in mano,& à federe fopra vn qucflc parole , ind mi
cparfo non fuora di fotto. L’vna.
GLIA GRECA. bronzo. V «A
» if pino con- L’vna dell altre due medaglie
e dì Giulia, nella quale madre dc*i ^ vc< ^ c Cibclc tortila in
compagnia di due lioni & àfc- Dd. dere fopra vna Tedia con vn ramo di
pino in vna mano, & nell altra lo fcctcro,chcclIa appoggia
fopra il Tuo tam buro,3c lettere che dicono intorno ,mater devm. Il
medefìmo rouefeio nella medaglia di Fauftina e quali del tutto foni
iglianteà quello. ARGENTO. BRONZO.
Figuro MED. DI C. VOLTEIO. ARGENTO.;
ANTO. Pio. BRONZO. p JJ W
DE GL’ANTICHI DOMANI. Figurornoanchoragl’antichiil
lìmulacro di quella Cibcìe con vn gran numero dipoppe,fignificando‘
che cllanutricaua tutto il Mondo, con vn a torrefalla tefta, due
Honi Copra i bracci , & diuerfr animali incorno, produtei da lei come
Dea della Natura, & di più due ccruie ài piedi, che moftrauono che
Diana, & quella erano vnamedchmacolà.Ncl qual modo nonhd mot-
to tempo che ella fu ricrouata in vna grotta ancichiflì-
maàRomadadipinturadellaqualemi donò altra vol- ta M. Antonio Fantuflì
dipintore Romano, la quale io ho polla nel miolibro de la Natura de gli
dèi , per dame la villa à .gli amatori dell’antichità. Furono tutte
quelle forme attribuite à Dianacondiuertì nomi di triforme, come
per il tellimoniodiPaufania la chiamò Alcamc- nc:& Virgilio,
dichiarandoci che in cielo lì chiamaua Luna, in terra. Diana,&
nell’inferno Profcrpina , coli laf : ciò fcritto,
Tergeminamque Hccaten>trU ùrginìs or a Tfidnx. Et perche
la figuradi Diana, ritratta da vn marmò antico,!! vedrà meglio nelnollro
primo libro dell anti- chitàdiRoma, io non nelcriùero qui altro , ma
fola- mence dirò come fotto la deità & nome d’Hccate i più
ricchi Romani foleuono ogni mefe far facrificio à Dia- na, mettendo fopra
i canti delle llradc della Città, pane & altre cofe,chcfubito da
ipoueri erano leuaje via , co- me fcriuc Ateneo, llimando che Diana, la
Luna, & Pro- ferpina fodero vna mcdclima coCa. Hauendoà
baftanza parlato di Diana , & defìderan- - do venire alladcfcrittionc
degli altri Dij, comincieremo da ^inerita* la quale fccondoi Poeti,
nacque.de l capo diGio 55 Dea
di m- tura. Diana tri- forme.
Paufinid. Virgilio. Sacrifìcio fattoi Dia
na fotto il nome di He tate. Ateneo.
MINER- VA. di Giouc, pcreflcrcrintcllctto
collocato nella certa dell* huomo. Armaronla oltre à quello gl’antichi
d’vno feu- do, nclqnalcera il capo di Mcdufa,moftradochcrhuo- mo
fauiodcbbecon force animo & intrepido vifo refi- ftcrc
aU’aucrficà,& à nimici.il pennachio che ella hauc* ua fopra al
morrionc , fignificaua rornamenro di tutte lefciczc,
&cofcaItenclccruclIo dcH‘huomo:le tre vedi differenti l’vna
all’altra, che la Capienza debbe clferefc- grcta,&l'hafta che ella
haucua in mano, che l’huomo fauio guarda, con fiderà, & batte di
lontano & con van- drdicXt*! taggto. Mala Ciuctta le fu dedicata
(come habbiamo Mintrtu. detto) per moftrarcche la Capienza cuopre con le
tene- bre il fuolplcndore-.i qualitutti lignificati pare chedcf-
criucffc affai bene Ouidio nel Certo libro della fua Mc- tamorfofi,
quando dille, ^t fili datelypeumjat acuta cuflidis hafiam,
Datgaleam capiti, defendituragide pettus, ‘PercuJìa'mejuefua
fimulàt decufiide ferrarti. Edere cu mi; accia factum canentis
oliua , Jrfirartque deos «perù vittoria finis. Minmu
Scriuc Varronc che Mincrua fu quella , che fondò ie untoti Atcne,&
per ciò fu chiamata, aohn a quafi idxraìoe rrdfOt- i- Atene. r e, che voi
dire, vergine immortale, àcaufa chcfcomc fcriue Fulgentio) la
ìapienza non muore mai. Di qui ha voluto Porfirio dire, che Mincrua none
altro che la vir- tù del fole, mediante la quale lafapienza entra &
pene- tra dentro alcuorcdcH’huomo, là onde nafcendodalla
fommkàdcU’aria : però fi vede che i Poeti hanno finto che Mincrua c
vfcitadelcapodiGiouc. I Filici dicono chela virtùintellccciuaècollocata
nel cerucllo deliquio mo,comc denrroalia principale fortezza del
redo del corpo. Chiamaronla Umilmente gl’antichi Bellona, BrBofl4
cioè Dea della guerra, lignificando chei Soldati debbo- d « * u no non
fidamente edere del continouo armati Spederei- S* frr <- caci, ma
proueduri di configlio: &rprima chccominciarc vn imprcfa,cdàminarc
molto bene le forze del nimico: quello che confermò anchora Saludio
dicendo, che ei bifogna prima configliarfi,& doppo il configlio,
& la deliberationc fatta mandar predo ad effetto ìlfuo dife-
gno.Lacaufà perche gl’hiftorici l’hanno fatta fondatri- ce d’Atcnc, è,
che dicono che nafccndo difeordia tra lei & Nettuno, di chi douede
porre nome alla Città, gli Dei fimedono in mezzo per pacificarli,
&giudicorno che Ncttu- qualc di loro due produrrebbe cofa piu vtilc
alla detta Vaim terra, quello le douede dare il nome, per il che
pcrcoccn- do la terra, & facendo nafcerc Nettuno vn cauallo,
& Minerua l’vIiuo,fu fententiato chcl’vliuo, piu che il
ca- uallo fodènccedirio & vtile alla vita humana,& cofi re-
do la Dea vincitrice, con attribuirle l’vliuo & cdcrechia- mata
Pacifera, come fi vede nelle medaglie di M. Aure- vulimit -
Iio,& di Commodo Imperatore. - 4 ut 1 q ncrua.
fM. AVRELIO. COMMODO. BRONZO. Ttfle di mi
Scriue Plinio che infino alfuo tempo duraua ancho- ra la celcbrationc
della fella & giuochi di Minerua, tjuatria. chiamati Quinquatrij,
quali erano, che i fanciulli facen- do vacationc dalle fcuolc & da
gli ftudij porrauono la mancia ài loro maellri in honore della Dea,come
quel Jache aiutaua la mcmoriarciò che Quintiliano a! 1 1 1. li-
bro^ nefuoi falli Ouidio anchora meglio ha dichia- rato, quando ci
dice, 'Pallata nunc putrì tener a j ornate p nella: Qui
lene placarit Palla Ja,Jolhuerir. L’occafione fopradetta della
difeordia di Mincrua nettv- & di Nettuno, pare che mi porgea
conuencuolcmare- « n o. ria di ragionare anchora di quello Dio,il quale
(come il Delfino fcriuc Higinio) fi dipingevi con vn Delfino fotto
il dedicato ì piede 5 ò la "mano mancaappogiataui fopra, hauendo
il nettano, tric | enrc nc lJ a r j t ta , fi come dimollrano i rouefei
delle medaglie di M Agrippa. M.Agr
IM. A G R I P P A. BRONZO.
Fu Umilmente da gl’antichi dipinto Nettuno con uettunodi vn
Tridente & vna Acroftolia (ornamento antico di galea) in mano , come
fi vede ne rouefei di due mie te cr una medaglie d’argento, l'vnad’ A
ugufi:o,& l’altra di Vefpa* fiano.douc fono lettere che dicono,
neptvno redv- ci, in fegnodi ringratiare lo Dio del felice ritorno
dal- le imprefe nauali. Acrojlolta dagli
anti- chi. AVGVSTO.
VESPASIANO. ARGENTO. G z
100 ut -inai* :
vufciiut 4t- Attribuirno parimente grantichiii Tridente a
Nct- mttuno 4 tuno,,n %no dello feettro , & ancho per efl'erc vno
in- perfetttro. frumento molto ncceflario à i marinai, dipingendolo
vna volta pacifico>& vn’altra adirato ,come fi vede per le
medaglie di Pompeo doppol’imprela fatta, & la vet- roria hanuta de
Corlali, donc da vii Iato fono lettere, che dicono, MAGNVS IMPERATOR
ITERVM-.& dell’altro, PRAEFECTVS CLASSIS ET O ilARITIMAE EX
SENATVSCONSV MED. DI PO MP ioi Io
ho tra molte pietre antiche, intagliate di diuerfc Ag<tu <m- forci,
l’Agata di forco figu rata , nella quale è il mcdelìmo Nettunoà ledere,
con vn braccio appoggiato fopra vn tmo* va Co alta maniera d'vn
fiume,& doppo quella vna Cor- niolaanticadicolorcdi rubino, nella
quale cvn Nettu- no fui fuo carro, tirato da due caualli, nel modo ,
ch’egli tumori- è anchora figurato in vna medaglia di M. Agrippa con rito
dà <a - lertcrc che dicono aeqvoris me omnipotens.
AGATA. CORNIOLO. M. AGRIPPA. arg e
n t o. . v."“ v - -m * ....
VA monete
ioz N rtttmo i fiutilo. La
caufa perche glancichi dedicorno il causilo à Nettuno, fu,perchc ci fu il
primo che trouò il modo di domarli &frenarli, come dice Virgilio nel
y.dil'EncidL / ungir eejuos curru geni tot fumanti a. <jue addir
Frana f'eris ì manilupjue omnes ejfundit babenat. Fanno vera
teflimonanza di quello, ’ Tarcntini, nelle quali da vn lato fi vede
Nettuno uallo,& dall’altro Taras fuo figliuolo fopra vn
Delfino. HÌppOCTé- tid.
Confutili. Nettuno in h entore di tutte
del tuuigtr. A iNettunocauanere recionoiKomanjgia vn
tem- pio,comc fi leggein Haficarnalco,&chiamaronogl’Ar cadi) il
dì della fila fella Higgocratia , fi come gl'antichi Confualia , nel
quale tempo tutti i causili > muli, & mule non erano in modo
alcuno adoperati à rrauagliare,' madai garzoni di Italia condotti à
moftra per tuttala Città di Roma con la teda coperta di fiori &
ornata di ghirlande con ricchi fornimenti. Scriuc Diodoro che
Nettuno fu il primo che trouò l’arte del nauigarc& didrizarc vna
armata di marc,& che D E GL’ ANTICHI ROMANI.
103 ' che per quello ci fu fatto da Giouc Ammiraglio del ma- re^ di
poi adoratocome Dio.Et per le due medaglie, & vn Niccolo,
figurate qui Cotto, vollono glantichi li- gnificare che Nettuno haucua
poflanza tanto in mare Ncttuno ^ quanto in terra,figurando vn
caualloconla coda tor- gnordrima ta & diuifà in due partidnfegno de
iduc Elementi, l’vno (quale e la terra) ripreientato dinanzi per il
cauailo, & l’altro (qual’ è il marc)difcgnato dietro per la coda
in forma di Delfino. ANTICO NICCOLO.
Qi CREPERIO. GALLIENO Quando i Romani volcuono moftrarc di
ringratia- rcNettuno di qualche vettoriahauuta in mare, lo facc-
uono Scolpire nelle loro medagliedavn lacoconil Tri- dente^ dall’altro
mctteuono vnaVcttoriafulla poppai d’vnaNaucmel quale modolofcciono già
fare Deme- trio, Augufto Ccfarc,Vcfpafiano , & Tito fuo
figliuolo. Imp.Rom. MED. DI DEMETRIO.
ARGENTO. AVGVSTO. VESPASIANO. ARGENTO.
ARGENTO. Ritor I E
serv- ir API a Machione DE GL’
ANTICHI ROMANI. 105 Ritornando à gl’altri noflri Dij,& loro templi,
altari & fimulachrijdiciamo chcEfculapio Dio della fa nità,fu il
primo chctrouò l’vfo della Medicina, infcgnataglifor fc prima da qualche
Dio flato innazi à lui. Quelli al rem po di Homero fi vcdcchcnon era
anchora flato collo- cato nel numcrodegli Dei,cóciofìa che il detto Poeta
fa medicare àPconcle piaghe di Marte. Ma quadoci parla
diMachaonc,figliuolo d’ÈfcuIapio,ci lo chiama huomo Ma(hégj figliuolo
d’EfcuIàpio Medico, chctrouò molti rimedij figliuolo ncccflarij perla
fanità dcllhuomo , & lo fa tato eccellete in quella arte, che ci dice
che rifufcitaua i morti .Dice Lat Stantio. tantiochc Efculapio nacque di
padre & di madrc,chcn6 fumo da perfonaconofciuti,& coli lafciato
in mezzo à vn campo,& trouato da certi cacciatori, fu dato i n
guar- dia à Chironc Centauro,chcgl’infegnò lar te di medica-
renella quale vfarono dipoi fempregl’antichi fino al tc-
pod’Hippocrate,che la riduflc alla fua perfezionc.L’ha- Kippocratt
birationed’EfcuIapiofugiààRaugiacittàdi Schiauonia, Umdu^a & dagli
antichi chiamata Epidauro,doue ci fucòfiigra- * pnfctno to, fattogli vn
tempio, & vna flarua d’oro & d’auorio per " f * le mani di
Trafimcdc,cccclIcntiflìmo(comc fcriuc Pau fàniajfculcorcdi queltcpo,
&natiuo dcll’IfoladiParos. ^ef^iuio Eufebio nondimeno lo vedi
&dipinfenel modo, che in nedeiima- marmo bianco fi vede anchora à Roma,&
in molte me daglic & pietre antiche, cioè vcflitod’vn mantello alla
do Eufebio. Greca, con vn baflonc in mano, & fopra al
quale(attor- cigliato d’ vna ferpe)pare che il Dio s’appoggi, nella
ma- niera che io l’hò in vn’altra belliffima Corniola, &in vno
Niccolo, ritratti qui di forco al naturale. G 5
.ori oia/ì Jr ioc ‘CORNIOLA ANT.
NICCOLO ANT. Tornato. Microbio.
I a Ciuciti dedicata ì Efculapio.
Significai™ la fcrpc (fecondo Fornuto) che fi come quelle fi
fpogliano & mutano la icorza, cofi auiehedc Mcdccichc riducono
gl’ammalaci dalla malaria alla fa- ttiti, rendendo loro vn corpo nuouo.
Altri voglionoche fi come la ferpe lignifica laprudcza,cofi bifogni al
buo Medico edere prudente circa alia finità d’vna perfona. Ma
Plinio rede vn’altra ragione, cioè che la fcrpc fia de- dicata à
Efculapio per edere buona a molte mcdicinc:& Macrobio dice che quello
e, perche la ferpe ha la villa fiottile, come bifiogna che habbia il
Medico nella cura d’vn infermo, &chc il battone fignifica,chcvn
huomo ammalato ha bifiogno di nutrimento che Io fiollcnga, in
modo,ch’ei non caggiaaffatto.EtEufebio,chcilba- ftonegl’è attribuito,
come quello che ^er appoggiarli e ncccdario à vn’ammalato. Fu oltre a
quello dedicata à Eficulapio la Ciuctta, lignificando che il medico debbe
edere vigilante più la notte che il giorno intorno all'in- fcrmo.fi come
lì vede ne rouefici delle medaghedi Nero nc,&di Vitcllio.
Nerone. NERONE. VITE L LrO. *
ORO. BRONZO. Vcdc(i anchoraà Roma nel mezzo
del Teuero vn’I- foletta à modo d’vna galeotta, cioè larga nel
mezzo,lua- ga due ottani di miglio, appuntata da bado , & piu
larga di fopra, à modo d’vna poppacL’vna naue:la quale Ifola fu già
confagrata à E(culapio,doppo che il fuo lìmula- cro fuilato condotto à
RomafQttolafbrma d’vnalcr- pc,òpiùtoftod'vnDcmonio:in honorcdcl quale
fedo* no già i Raugei battere monete con la lèrpc &: conlctre-
re Greche, che diceuono epuat pio N,la. quale Città
(comclcriueLiuio)fufoIàmenre nobilitata dal tempio
d’Efculapiojlontanodaquellacinque miglia,douecon molte cerimonie fu
adorato come Dio. MON. Simulacro
d'Efculapù portato fa Roma. Moneta é i Epidauri
Quelle parole Greche attorpatop o taaepia-
•NOS, r A A A I E NO X , O TAAEPIA NOJ KAJXAPES.nOH dinotano
altra co(à,fc nonchcVaIeriano Imp.fccc bat- tere quella medaglia con
l’effigie Tua &rde due Tuoi figli- uoli Gallieno & Va!criano J
& i tre tcpli nel rouelcio con tali parole Greche, tpix neokopoi
nikomhaeon: lignificano chetrc guardiani de detti tcpli pregauono
pcrlafanità & falute(figurataperlafcrpe)dc fopradetti tre
Impcradori. iTP I C N t^KD k PvA-N
Nel Vittri di ThafiU.
. io* Ncllhorto dcllachielàdi S.BartoIomeo,che c
ncll’l- fola nominata di (opra, fi vede anchora vna nauicclladi
pietra Thaflìa,chcè molto (limata per la varietà de (uoi colori, nella
qualcdavnlato fi vede (colpita vna ferpe, che alcuni vogliono che fia delle
reliquie del tempio già detto d’Efculapio : &quafi Tempre nelle
medaglie de gli Imperatori fi trouala ferpe con la fanità,chc fiotto
figura SANITA> d’ElcuI.tpiogli fa làcrificiorò veramente la
ticneabbrac- ciata, lignificando che da quello Dio dipendeua la
fani- tàfiola. Anton, pio.
BRONZO. M. AVRELIO. ARGEN TO.
M. AC ILI A. ARGENTO. ARGENTO.
Sono no Medaglio- ne din.
Aurelio trouato in JU ione. P ub. Vitto
re. Sono forfcfei mcfi,ch’eflcndomi portato vna
vecchia medaglia di M. AureIio,ft:ata crociata nc fondamenti del la
vecchia zecca di Lione, mi e parfo di farla ritrarre qui di
fottoalnaturalc,pcrfarc meglio intendere àgl’ama- tori del l'antichità in
che modo,fotro colore d’vna ferpe, gl’antichi fingeuonodi fare facrificio
iEfcuIapio per le manidiMinerua,con vna tazza in mano coperta d’vno
vliuo.&dinazi la Vcttoria,chc porta vn’altra tazza pie- na di frutte.
MEDAGLIONI. M. AVRELIO. COMMODO. Non fi
potendo lenza la finità fare bene alcuna cofa, pare che meritamente ella
debbia haucre luogo tra tanti altri Dijril tempio della qualefcome fcriué
Publio Vic- tore)era nclvi.quartiere della Città di Roma, quantun-
que Domitiano le ne faccfTc edificare vn’altro piccolo , 1 doppo il
pericolo che egli haueua portato nella venuta di ViteUioàRoma.
DO. Ili CASTI-
TÀ. L’habitodi quella Dea con l’imagine Tua,
(colpita nelle medaglie di Giulia Pia, Donna di Scuero Impera-
tore, fu limile à quello d’vna Donna vedouaaflifafopra vna Tedia con lo
feettro in mano, & due colóbc appref- fo, lignificando che come la
colomba c bianca & pura, ^ fo/om _ coli la caftitàdcbbe edere fenza
macchiarla Donna da bt j imbolo bene fcmplicc&purafimilmentc.
dictjUu. gTvlia PIA. ARGENTO.
DOMITIANO. ARGENTO. Quelli, che hanno
dichiarata la Caftità, dicono che dtu cajli - ella c vna virtù, che
cfccd’vn buon cuorc:& piu torto co- fentc di patirc,chc fare atto
lontano dall’honcrto &dal- l'honore.Et le pure egli auicne che
cllafia forzata, non per quello riccue alcun torto, non fi potédo
corrompe- re il cuore accompagnato da vna buona indiamone &
nutrimentoialla quale (come cofa fimilmente chara & li ber P
ret ' 0 ^ a )g^ an fi c ^*^ cttcr0 P cr cópagna la Libcrtà,chia« T a.
madola,comc l'altrc, Dea, amata & cerca da tutti i begli
ingegniionde ci non farebbe polfibile di fcriucre à pieno
lacontentczza di colui, che viuendo liberamente lenza ambinone, fi
contenta di quello checglihà, ncconofcc perfona che per Pallidità de beni
di quello mòdo (fotto- poftiaU‘inuidia& alla fortuna) gli porta
comandare, & farlo pervn poco di bene incorrere
ingrandirtìmima- li, quello che anchorapcr Euripide c ftato dottamente
Euripide. dichiarato,douc ci dice: 'Ham hberum effe, maximum dico
bonum: Quoti fi quii ejl pauper,puter fe diuirem. Et
Cicerone ne Tuoi Paradofli dichiarando la Libertà fimilmente dille, che
la vera libertà non era alerò chcpo Tempio di tere viucrecomc l’huom
volcua.il tépiodi quella Dea uberei. cra nc j m 5 tc Aucntino, ornato di
molte ftatue &r cotóne di bronzo, onde per l’orazione che Cicerone
fece à i Pó- tcfici per la fuacafa, fi conofcc come Claudio
l’haucua conlagrataalla Dea Libertàd’habito della qualeerad’v-
naDonnacon vna Itola, òvn velo addoflb,vn’haftain vna mano, & nell
altra vn capello, folitodarfi àiferui, che erano liberati da i padroni,
quantunque alcuni altri habbino detto che forte vna campana.*
GAL. «5
Chequcfìocappcllofairein legno della Libertà(fì co il cappella me io ho
più chiaramente inoltrato nella fine del mio li bro dell’antichità di
Roma)lì vede nelle medaglie battu rein honoredi Brutto libcratoredella
Patri a,& di Ccfa- quidi fotto al naturale.
CALIGVLA. BRONZO:
GALBA. ~ TRAIANO. BRONZO- ARGENTO. cnc
delia libertà nalcc la felicità, io accompa- FELICI gneròqucltacon
quella^ inoltrerò cornei Romani L- TA ‘ fcciono vn tempio &
vn’alcare,dcl quale fcriuendoPli- H - iM •. nio
dice che la (latua della Dea Felicità,crafl:ata fatta da rufits! °
Archcfilao Pla(les,& coftata à Luculloix.gran fcfter- tij, (limando i
Romani cflcre all'hora i tempi felici , & la vera Felicità regnare
per tutto, quando i loro Imperato- ri haucuono viuuto,ò regnato
lungamente:quando ha- ueuonogencratibci figliuoli,&foggiagati, &
vinti i lo- ro nimicijondclapaccpublica regnaua: quando fi feo-
priua qualche tradimento òcogiuratione contro all lm perio,& quando
egli era abbondanza di grano, ò le naui cariche di quello, & d’altre
mercanzie arriuauono al portod'Oftiaàfaluamento. FAVSTIN
A. BRONZO. BRONZO. CARACALLA.
TACITO. ARGENTO. ARGENTO. wj ANTON. PIO.
SEV.ERO. BRONZO. ARGENTO. Maqucllacla vera
felicità quando la Giuftitia regna in vn Reame, laqualefa che
gl'imperatori, i Rc,& le Re ^ia* 71 publichc durano
Iungamente:ondegl’antichifoIeuono i Principi dire che Giouc fenza la
Giuftitia non farebbe potuto fta reinciclo,nclaRepublicain piede pu re
vn’h ora. E v la Giuftitia vna perpetua & ferma volontà di fare
ragione adogniuno, &viuédo virtuofamente, non fare torto à
perfona , rendendo àciafcuno quello che c fuo. Della Giuftitia fono nate
due leggi , l’vna publica , & priuata Lfgg[ fUm l’altra. La publica c
di por méte alla comunefalutc de- blica&pri gli ftati,& la
priuata è quella (come anchoras’accordail uiU ‘ Iurifc5fuIto)de i
particulari. Quella cóccrnc la religio- ne, le colè fagrc,i Sacerdoti
& iMagiftrati:& quella è fon data fulla ragione naturale,
ciuile,&: humana:della qua- le fc piace al lettore di fapcrne piu
oltre, legga Plutarco, v lutano. doue,fcriucndo della dottrina de
principi, moftra aflài: chiaramente quantoprctioIa,fanta , Se
ncccflariacofa è la Giuftitia :lacui forza è tale, che ella regna in
inferno (doue non èvirtùalcuna)quiuicflTendo cadi gate le fcc-
H » rr n:i n* DELLA
RELIGIONE leratczzc degli huomini fecondo i meriti &
grandezze loro.Quefla a Juque volcdo (colpire, ò dipingercglan-
tichija (aceuono con vna taflàin vna mano, che era la gruatMgii r ‘ tta :
& nella manca le dauono lo feettro , ponendola à intubi u federe in
vna Tedia nel modo, che l’hà figurata Hadria- Giujìitia, no nc jj c f uc
mC( J a gIi C- quelli che non hanno co- gnitione delle cole antiche,
l'hanno figurata nel modo, che fi vede hoggi, cioè con la fpada & le
bilancic,che fo - no propriamente le infegne,con le quali foleua
l’Equi- tà cflèrcdifcgnatadagl’antichi. TIBERIO.
BRONZO. BRONZO. I HADRI ANO- ALE
X.M A M M E A. »7 ARGENTO.
BRONZO. Che l’Equità folle dipinta nel
modòdettodi fopra,& E ^ in luogo dilpadacon vn corno
d’abbondanza, li vede ta. per le medaglie di Gordiano & di Filippo,
non altriméti che fi folle in limile modo il fimulacro della Dea Mone
rain quelle di Collante ,& di Diocleciano,con lettere, che diccuono,
sacra moneta avgvstorvm et nontuf *- CAESARVM NOSTRORVM. fr<
* GORDIANO. ARGENTO.
FILIPPO. BRONZO. «MITCJb
MS COSTANTE. DI OC LETI A N O. BRONZO.
MED. D I T. A R G E N — Volendo
t»TlmpcracoriRomani dare cimorc ài talli £!$Z ficittori delle
mon'ete,hlccuono in quelle (colpire le ima perfori f, inj
lorojconfidciando che non e cola che piu ìmpedll- ZX. ca
l'abbondanza de iviueciin vna -Città, quanto la mo- ‘ inugini nel nc
rafalfa,aftcncndofi gl'huomini forcOicn di portami u lormonc ^ j oro mcrc
hantic:chec pure vn peccato troppo cnor-
me,chcgrhuomlnifalfificatori(portando fi gran danno all’vniuerfale per
vno vtile particularcjcorrópino quek lo che
-irJP» DE GL’ ANTICHI ROMANI. u*
Io che l'ingiuria dei tempo, nela terra, ne il fuoco non hanno potuto
ne {apuro guaftare.Et di qui nacque chei rrimuin Romani crearono tre
huomini,da loro detti T riumuiri, * te mone- fopraie monete con autorità
di fare battere oro, argéto & bronzo, come fi vede per le medaglie di
Celare Dit- A VGVSTO BH.ONZO.
L'officio di Macftri delle monete era di
guardare,& fa reproua selle erano di buona lega, prima che farle
fta- pare,& poi ch'elle erano battute, selle erano di pefo :
on- d’io penfo che Aùgufto, volendo che quella buona vfim za fi
mantcneflc Tempre conia maelHdcirimperio Ro- mano, ^erò lafirinflè a i
Triumuiri delle monete quella autorità accompagnata dalla poflànzade
Tribuni, co- me fi vede perle medaglie battuteda M. Saluto Otonc,
CaioPlotio Ruffo, &diuerfi altri. t
■> UO della religione AVGVSTO.
' BRONZO. BRONZO. Trouanfi anchora molte altre
medaglie lenza l'ima- ginc d’Augufto,per le quali fi conolcc quello edere
vc- ro,chc noi habbiamo fcritto qui di fopra,&maflìmc per
lcparole,chc accompagnate d’vna corona ciuica, dico- no, avgvstvs tri
bvnitja pot est a t e. & dal- l’altro lato , AERE, ARGENTO, AVRÒ
FLAVO FE- RVNTO. A V.GVST O. ~ BRONZO.
BRONZO. Pc l'cr i quali tcftimonij chiaramente vergiamo
che tale autorità di fare battere monete , pcfarlc,& e {lami-
narle, apparteneua anticamente à i Tribuni , & mafiì- tnc che tra le
loro leggi fi trouano fcrittc cofi fatte pa- hrggi (fr _ role,
TRIBVNI SVNTO DOMI, PECVNIAM PVBLI- ttnuirali. CAM CVSTODIVNTO, &!
più baffo, AES, ARGENTVM, AVRVMYE PVBLICE SIGNANTO. Erano
tutti huomini da bene & virtuofi quelli, à qua • li gl’imperatori
concedcuono cofi fatto Magiftrato, con pcrmifiìoncdi fare mettere nelle
medaglie i nomi> loro, per piùficurtà delle monetc,& perche il
popolo conofirefie quando &fotto quali huomini erano fiate
battute.Pur nondimeno mancò col tempo ( come fan- no tuttel'altrc^quefta
buona vfanza,& pallate le meda- gliedi Claudio & di Neronc,non fi
trouò neviddepiù l’Equità dipinta con la bilancia in mano.
BRONZO. NERONE. BRONZO.
Soleuono tutti i buoni Principi & Imperatori Ro- mani vifitando
le Prouincic fuggette alloro Imperio H 5 ua
DELLA RELIGIONE fare lcrcparationi per tutto doue erano neceflàrie,&
fo- pra tutto liuiHtarc Je monete , & farne battere dcllc :
nuouc per le Città principali in ogni regione. Ciò che strabane, conferma
Strabonc, quando ci dice, che i Principi Ro- mani lèdono battere monete
d’argento & d’oro nella Luigixm- G*ttà di Lioneda quale cofa imitò
Luigi mi. Impera- perutorc 4 . tore & Principe virtuofo &
bellicolb, amato da tutto il Rrdì ma mondo, quantunque sfortunato fi
trouafleneH’imprelà che ci fece in Vnghcria. Somigliò molto quello
buon Principe Hadriano Imperatore, con ciò lìa che ei fece-*
a#aiviaggi,&nominòlcterrc principali, che egli hauc-ì ua rillaurateal
fuo tempo nelle fue monetc.Et ficomei buoni Principi Romani ficeuono
fcolpirc le* infegne della Religione nelieloro medaglie,colì quello
religio- fó Imperatore mctteua nelle fue monete da vn lato vn
tempio con la figura d’vna Crocc,& parole che diccuo- no, c hristi an
a re Li ciò. & dall’altro , vna Croce maggiore con qucllcaltrc parole
> lvdovicvs impe- rator. MED. DI LVIGI IMPERATORE 1 1 1 iT
RE DI FRANCIA. ARGENTO. Non è molto tempo éhc
vn lauoratore di terranei vafo piena paefedi Lione, trouò lauorado vnltio
campo, vicino à vna tcrricciuola chiamata Anfa,vn gran vafo di terra
troultoa'p- pieno di medaglie d’argéto del detto Imperatore, delle
quali(haucdoncio vnaparte)mi e parfo non fuora'pro- Uour ' polito di
moftrarne qui di Lotto lcflempio al Lettore. ~ MONETA DI LVÌGÌ IlÌL
' ‘ Mone li 4 MONETA
DEL MEDESIMO. ARGENTO. tini
A' ri. c icerone. Volle
quello magnanimo & virtuolo Principe (coli valorofamencc operando,
& facendo officio di pio & catholico) moftrarcà i Tuoi fucceflòri
in che modo fi debbe imitare la virtù, honorare la memoria de
gl'anti- chi, portare riucréza alla R cligionc,tcmerc Dio, &
ama re la Republica& la Patria: Quello, che anchora ci ha
infegnato Cicerone dicendo, nel fuo libro della Natura Diffinitio i-
degli Dei,chc leflcrc pio none altro che la riucrenza w dì vut*. c | ie
no | debbiamo hauercà Dio, à i noftri maggiori, ài pitturi de parenti,à
gl amici,& alla patria. Quella virtù fu dipinta da Antonino Pio in
habito di Matrona, ò dona vedoua conia fua verte lunga, vnturibulo in
mano, chiamalo da i Latini ^cerrafic dinanzi vnaltarc cinto d’vn
fefto- nccol fuoco accefo pcrfacrificare. Antonino
Wt -r.'- . JWjr . ' £ -pr • Xttrr 4.
onci/ ANTONINO PIO. HADRIANO.
BRONZO. ARGENTO. diariamente nel libro della Cita di
Dio, dice chela vera pietà non è altrochel’adoratione d’vnfolo
Dio,creato- re del ciclo & della terra, ribattendo & dannando
l’op- pinioni de gl’antichi Romaniche cglihauclfino inRo- ma(comc
afferma Prudcntio)tanti templi &alcari,quah indenti*. ti penlàuono
edere Dij nella Naturaci che tutta volta fivcdechcnalceuada buona
intentione, facendo que- llo per religione : della quale cofa ci fan fede
le meda- glicdi Giulio Ccfare, di Pompeo, d’Augufto, di Vclpa- ln f egnt
^ lìano, d’Hadriano, d’Antonino Pio, & di Màico Aure- l*
rtii&io- lio,pienc d’antichi inftrumenti di religione, come
d’vn cappello,d’vn lituo, d’vn prcfcriculo, d’vn fimpulo,d’vn
coIccllo,chiamatoiVr^//vr,di taze & validi molte fort£ dequah (come
cofa aliai nota) non bilognagià fare più lunga mcntione.
j - GIV. ANTONINO PIO. M.
AVRELIO. argento. Argento. PtlUdioii Da
l’atto pio di religione, venendo à quello che fi Tnia. debbe vfareinuerfo
i padri, noi ne faremo qui fede per lemcdaghe di M.Herennio, che
portò fuo padre Tulle fpalle,& per quelle di Cefare,doue fi vede
Enea, che fi- milmente portò Anchife nel medcfimo modo, portan-
doin manpil Palladio di Troiarondc Vergiliolcrifle, ^At t>w
^ÀeneAs. M. HE- DE GL'ANTICHI
ROMANI. 12.7 M. HERENNIO. GIVLIO
CESARE. ARGENTO. ARGENTO. Quello medefimo
ateo pio pare che habbia concefi. Co la Natura infino à gl’animali
bruti, onde veggiamo che la Cicogna fofticne & nutrifee il padre
& la madre vitti di u nella loro vecchiezza: Cofa da farebene
arroflìre , & c,f0 £' w * vergognare gl’ingrati, che rendono male per
bene ài loro benefattori:& da fare adirare infino à Dio, al
quale temendo anchora di non difpiacere i Romani, fi vede vieti di
che fumo amorcuoli & grati fimilmente ne i proprij fi- «<« » nfa
gliuoli,& maflìme Antonino Pio,nel rouefeio d’vna medaglia, nel quale
fi vede la Pietà con due figliuoli in braccio, & due altri ài
piedi:Et nelle medagliedi Domi- na, & di Sabina moglie di Traiano fi
vede anchora la Pietà figurata in diuerfe maniere.
Anton. i ~ ‘ AV -
ÌJÌ3K fcl & * l»,°
ì'r* iz* ANTON. PIO. M. AVRELIO. BRONZO.
DOMITI A. ARGENTO. ARGENTO. S A
BINA. bronzo.
' .Tv DE G’LANTICHI ROMANI. izp Per le medaglie
battute di Titofigliuolo di Vefpafia - no, fi vede la Pietà che mette
inficine d’accordo i duo fratelli Dominano & Tito, dandoli la mano
l’vno ali ai tro,pcr mofirare l’amore, il quale debbono duo fratelli
portare I’vno all’altro. TITO. B R
O N 2 0. ma. Vlinio.
CLE- MENZA. Era il tempio della Dea Pietà
in Roma, fatto da At- t mpio di tilio fulla piaza,douc era fiata la cala
di quella figliuo- ******** la, che haueua già dato la poppa à Tuo padre
in prigio- nc,conIafua fiatuachcriprcfenraua latto piccolo vlà- to
da lei, & col quale(comcdice Plinio) non fi può fare comparatione
alcuna.Et perche dalla pietà nafee lami*. fericordia& la clcméza,hò
giudicato. non fuora di prò- poficoaccópagnarecon qucfti eflcmpli la
cella di Giu- lio Celare(comc quello ched’humanicà&di clemenza
pafiò tuttii Principi del mondo) ftampatain vna meda- glia di Tiberio ,
aggiugnendoci vna Temenza antica degna d’efierclcritta con lettere d’oro,
fi come era in vn BcUifiima marmo, che diccua ,nihil est qvod magis
ftntmùu I 1 DECI AT
PRINCIPEM QVAM LIBERALITAS ET ole menti a. Etnei vero,non è cofa
nel mondo piu E retiofa & piùconueneuoleà vn Principe che la
libera- ta & la mifcricordia. TIBERIO.
BRONZO. V I T E L L I O. ARGENTO.
Da quelli atti pij inuerfo la rcligione,il padre, la
ma- drc,i parenti & la Patria,proccdc poi l’eternità de nomi di
coloro, che fono fiati tali,fi come ci hanno dimoftra- to i Romani per
ifimulacri delle loro vcttoric, perle fcftc & giuochi fccolari,
penanti magnifichi & ricchi templi &cdifitij, ne i quali faccuono
fcolpirc f Eternità come vna Dea in habito di matrona, con vn’hafta
nella man dritta,& nell’altra vn Corno d'abbondanza, & il
pie manco (opravnglobo.Alcuni altri l’hanno figura- ta con due teAe in
mano, fi come fi vede in vna meda- aliad'Hadriano, °
Tito TITO VESPA. FAVST1NA. rii. Et Filippo
Imperatore riprcfentò l’eternità ne i fuot giuochi Secolari fopra vno
elefante^ quale fignificaua vna longa & cjuafi eterna vita. I Romani
la difpinfero con duo elefanti, & alcune volte conduolioni
cnetira- uono il cirro de glImperatorc> o Imperatrice eh
crano> fiati deificati. W I
x TER- RA. Gl' titubi
ftcnficaut noi la ter- T4.
: TJt GfVLIA PIA. FILIPPO. E*
certo,cofa molco difficile (confìderato il numero fìgrandedcgli Dij
antichi) di potere crollare Je meda- glie àpropofito di cutrùpurc
fermando la mia imprefa, io m ingegnerò di ripreientarci tutte quelle,
nelle quali furono figurati gli Dij.ò Dee à modo loro, che portor-
noqunlche vrilcalIJuimana natura, come la terra, alla qualcfc ono vn
tempio, & in luogo che a' glabri Dcifà- crificauono con l’inccnfo J
& altri buoni odori, à quella fàceuono fàcrificio de femi, eccetto che
delle faue, & al- tre colè aromatiche : là onde per la medaglia che
fece ftamjxtrcCómodo in honorc della tcrra,fi vede che ei la fece a
giacere in terra mezza ignuda , come cola ftabilc con vn
braccioappoggiato (opra vn vafo,dcl quale efee vna vite,&con Tauro
ripofà fopra vn globo celefte, in- torno al quale fono un. piccole figure
che le prefenra- ' no TvnadclTvuc, l’altra delle fpighccon vna corona
di fiori, l altra vn vaio pieno di liquore,*: l’vltimac la Vct-
toriaconvnramodi palma & lettere che dicono, te l- tvs stabilts, lignificando
che tutte quelle cofechc la tetra produce/onoper lavitadelThuomo.
MEDAGLIONE CO M MODO.
Perhaucre affai lungamente trattato delle feite Ce- C e r e* reali
nel mio libro dell’Antichità di Roma, io non nc RE * parlerò qui altrimente,
contentandomi folamétc di met tcrc innanzi il rouefeio della medaglia di
C. Mcmmio c nummi» Edile Curulc, nella quale fi vede Cerere che hà in vna
^naltQt mano tre fpighe,& nell'altra vn torchio accefo, &il pie
rc»u. manco fopra vna ferpe, con parole che dicono , mem- I 3
MIVS. AEDILI5 C £ R. £ A L I A PR.IMVS F E C I .tJ Ma per altre
medaglie tanto diVoltcio,chedi Panfa, fi vede femprc Cerere con due
torchi nel fuo carro, tirato da due lerpi.Etin due altre medaglie fi
trouacon la ve- de alzata, con due torchi, & à i piedi la manica di
Tara- ti porto co tro,& nell’ altra ilporco,òla porca, che gli
antichi le fo- enrere. * Ictiono racrificare,pcrchcguada le biade: onde
Ouidio haferitro, Prima Ceres grauid* gauifaejì fanguine
porca, i Ulra fuas merita cade nocentu opes. debutiti ^
comc cra p cr mcdh d’ammazare il porco, coli era fcfo fra li proibito
d’immolarei buoi nellàcrificio di Cerere, per- Roawni. chelauorano Se non
guadano i beni della terra, onde ouidio. Ouidio xiel 1 1 1 1. de Fadi
fende anchora, kA bone fuccintti cultros remouete minijìri:
%os aree, ignauamfacrijì care fuem. lAptd mgo cern ix non efl
ferienda fecuri: ZJiuaCi&J in dura fape laboret humo. *
« Ve. ME MED. h Óf>ì
» » ùueihi Cerere e la Pace, con ciò
lìache la guerra porga impedimento al lauoratore di
coltiuare&lcminare i campi, eflendo conrtretto di fug- girli
&faluarc dentro ài bofchj.,0 fu per i monti i Tuoi beftiami. Quello
che Umilmente ha bene fcrittoOui- dio nel u n. deludi Farti, doucei
dice, Pace Cerei Uta \os orate coloni . ‘Perpetuam
pacem,pacifì cum <jue Z)eum. EtTibullo quel medelìmo nella
x.Elegia> Intere a pax ama coldt,pax candida p)
Z)uxit aratura fub tuga curila boues. Et poco piu
difetto, ‘Pace bidens fornir yue Vigent-jit trijtta
Stillini in tenebra occupat arma Jìtics. Quando gl’antichi
dipingcuono la Pace col Cadu- ceo, vi aggiugneuonolcfpighcdigranojil
corno d’ab- bondanza, lignificando che la Pace era quella,chcf ce-
lia multiplicarc il grano & le frutte per la vitadcU'hua- i , - \ I 4 uloitioJ -
PACE. L4 guerra contraria à Cerere.
Ouùlio» ’i h t%J*v Tibullo »
BACCO. Il buco fi reificato , Bieco. mojondc
il raedelìmo Tibullo nella x.Elegiaparimen- tc dille,
^irnobispax alma y>eni,Jj>icdmejue tenero, ‘P erfluat
pomis candidai ante [mot. OTTO.
ARGENTO. VESPASIANO. ARGENTO.
Et lì come Cerere haueua la corona di ipighe per in- fegna,&
per vittima la T roia,colì al atdrc Libero, altri- mente detto Bacco, lì
ponetiaintcfta Ta corona d’Ellcra, & il becco à i piedini quale gl
era £acrificato,perchc gua- ita le vignc,ondc Virgilio dille,
Saccho caper omnibus ari* Caditur. Et nel
rouclcio della medaglia di Molò lì vede vn faccrdote col Tuo habito
innanzi à vn’alrarc riucllito d’vn fellone, che con vna mano tiene il
Jituo,&: con l’al- tra il lìmpulo con vn becco innanzi,tcnutoda
vnmini- llro per lacrificarlo.Etio tra l’altrc mie cofc ho longua-
menteferbato vna Corniola antica, nella quale c vn Sa- tiro , che conduce
vn becco fuiralrarc,doue e il fuoco aCccfo per lacrifìcarlo allo Dio
Bacco. Corniola «57 CORNIOLA
ANTICA. f 'Wm. ir ■ Ma perche
di Bacco in diuerfe manicre,come farebbe à dire, in for- e «to'. ma
d'vn fanciullo che abbraccia vn grappolo d’vue,& vn'altra volracome
vngiouane co vn ramo di Pino, nel modo che fi potrà vedere nel libro, che
io ho comporto in Latino delle Imagini de gli Dei antichi:però mi e
par fo di ripreientare qui al naturale il piccolo Bacco di
bronzo,chc ioguardo(comc cofa fi ngu la re & arti fitio* f
à)tra le mie ftatuc & medaglie antiche. l'iCLOLO MMOLACRO DI
BACCO. d’antichi lo leuono dipingercilfimulacrò .
Ciltuv. il V Vogliono
gl’ancichiffigurado Bacco in quello modo) lignificare che vn'huomo troppo
fuggetto al vino,diué- ta limile à vnfanciuIlo,chcnon fa quello clic
fifa. Tro- uomi anchora due Niccoli antichi, i quali riprefentano
quello Bacco ignudo con vnbaftoncin manometto da i Latini Tyrfo,&
nell'altra vn grappolo d’vuc,& intorno kMcIto' a ^ r,lcc *° vni P e ^
c di Tigre, animale particularmentc Bièco. 0 4 confacraro à Bacco.Et
quanto alle Baccanti , ò Bacchi- dc,o Mimalonidcschc cclcbrauono la fella
di Bacco, io ^ ne metterò qui fotto l’eflcmpio d’vna medaglia
Greca, & M , chegiàmi donò M.Giulio di Calcftan da Parma
,gran- - • • diflimo amatore delle cole antiche idoue da vn laro c
Bacco incoronato d HeIIera,& lettere Greche, chedico- nó avì un, cioè
libcro,& dall’altro fono le Baccanti,chc ballano, facendo vn prclcntc
à Dionifio (chccofi ancho ra era chiamato Bacco)con vn fuoco, in fegno di
facrifì- cio , & lettere che dicono aiowvio acpds. che vuol
dire, Donod Dionifio. • ••••’. .• • » i ,* * *" ,
NICCOLI ANTICHI. Medaglia . m
MEDAGLIA GRECA. ARGENTO. Et per glabri
due medaglioni di Bacco porti qui di fiotto, dequali vno e di Nerone,
& l’alerò d’Antonino Pio, fi vedrano lefefte Baccanali, &vn Bacco
nel Tuo car buccmmIì. rotiraroda d ue Pantere (animali dedicati à lui)
accom- pagnato de Tuoi Satiri con tutto il Tuo mifterio : &
qual- che volta per due tigri, comcdice Propcrtio , parlando
d'Ariadna rapita da Bacco, Lynciius in c*lnm \c&d \ArUdna.
tu'u. Et per le medaglie di Filippo &di Gallieno fi vede
anchora il tigre, il qual ripreienta Bacco, con lettere che dicono
, LI BERO PATRI CONSERVATORI A VQV- - sti, rimettendo il lettorcal
mio primo libro dell’Antichità di Roma,doucpiù lungamente io hòdifeorfo di a
J querti Baccanali. , » . V , ME ' - 1 . ’»t
4 - k 140 V
km LIBERA- LITÀ.
XAuitdeU Oberatiti. FILIPPO
MEDAGLIONI. NERO. ANTONINO PIO. Si come
daCcrerc]& Bacco nalce l’abbondanza d’o- gni cofa,cofi
dall’abbondanza dipende la liberalità, Dea delidcrata & cara acuito
il mondo , la quale tira à le il cuore dcH'huomo.comc la Calamita il
ferro, tanto che lìnoà quelli che habitano nelle eftreme parti del
mon- do per la loro liberalità ne vengono lodati, anchora che non
lì fpcri cofa alcunadaloro:!! come vituperati &in poca Rima fono
quelli , che fono tutti lepolti nella loro GALLIENO.
BRONZO auaritia.Là onde fé noi porremo ben mente allo
fplcn- Liberalità dorè della liberalitàdi Celare, d’Augulto, di Tito,di
Vef pafiano,di Traiano,&d’Alcflandro di Mammca,trouer rcmoch’ei
dura infino a hoggi, ne hard forza il tepo che fi fponga mai : della
quale cola fé alcuno dubicalfc, va- da à leggere Tranquillo, & vedrà
come Auguftohauc- sartorio ua per vfanzadi diltribuirc fpefl'o al popufo
Romano vnagrandiffimafommadidan«iri,dai Latini chiamata Congiarium
, da Tofeanila mancia, & dai Franccfi larghe zarlc quali quando fi
dauonoà i foldati, fi chiamauono Donatiuojcomc fi vede in più luoghi nel
libro di Taci to,douc parlando di Cefarcgiouanedice,0»^/Wr///»7^.
pulo,Z)onariuHm mtlitibus iedit.'Hc mai mancòquefio li- beralifiimo
Principe nel Tuo Imperio, che palio cin- quanta anni, di donare quella
mancia, dilhibuendot.il volta xxx. piccoli feftcrtij per huomo , altre
volte x l. & altre volte, e CL.comediceSuetonio , tantoché
non crafanciullo(purccheci pallafic xi i. anni) che non ha- ueffe
qualche colarla quale vlanza fu conferuata da tut- ti glabri Imperatori
buoni &cattiui,chc voleuonoha- licre lagratia del populo Romano ,come
fi inoltrano le Medaglie di Commodo, di Ncronc.di Tito, di Traia-
no, d’Hadriano,d’ Antonino Pio,di M. Aurelio, &: dimoi ti altri, i
quali tutti farebbono tropo lunghi à raccon- Congiario
. Liberalità di Augufto Ce fare.
tare. TI IV
t/i liberatiti di il. Aure Ito
. Pittiti* de U Liberati ti. TITO.
TRAIANO. BRONZO. RRONZO. La
maggioredillributioncnon Ci faccua croppafpcf- fò,mala minore fi benc,comchà
{cricco Succoniordalla quale liberalità cofi vfacainuerfoilpopolo,nafceua
che Ipefio finoà i cacciui Imperacori erano màtenuti in ilia- co
&difefi da lui,& da foldaci nella pacc,& doppo hauc
rcccrminaca qualche pericolofa & difficileimprefa, nel quale
ccmpoquafiordinariamcnccdauono quello con- ciario, & faceuono quello
donaciuo. Onde era le mie medaglie io in ho vna di M. Aurclio,doucfi vede
che egli baucua vlaca quella liberalità già fecce voice, figurando
nelrouefcio di detea medaglia la Liberalicà,vellita d vna velia funga,.
come falere Dee > con lettere che dicono, liberalitas avgvsti s epti m
a. nel modo che anchora fi vede nelle medaglie di Gordiano minore,
& Tacito Imperatore con altre limili parole, cioè, li b e-
RALITAS AVGVSTI T ERTI A ET QVARTA, CÌÒ che anchora fccionoin
vna altra maniera Filippo il pa- dre & figliuolo, come fi vede per le
lor medaglie pólle qui appreflo. M.Au
DE GL’ANTIC HI ROMANI. *43 M. AVRELIO.
GORDIANO. BRONZO. BRONZO. tt nella medaglia a
Adriano &: d’ Alcflandro Seuero Liberatiti fi veggono ìin.figurc,
onde la maggiore è quella dell’- dl 0 Had J]ff Im pcratoreà federe
fopravna Tedia, con vnruotolodi [miro. * carta in vnamano,& con l'altra
moftra di donare qual- che cofaà vno,chc fi prefenta innanzi àlui:la
qualità & Comma della quale,parc che fia figurata per i punti,
che fi veggono notati nel rialto doue ci tiene i piedi,! quali fa
cilmente potrebbono cflère il numero de feftcrtij:& l’al-
tro FILIPPO PADRE. FILIP. FIGLIVOLO.
i44 DELLA RELIGIONE trochemoftradilalire, e colui che riceuc il
donatiuo conlimaginc ritta della Liberalità da vn lato, che tiene
vn Dado in mano con limili parole, liberalità* a ve v s t i ;
\ Dentizio- ne di nobili tì.
HADRI ANO. BRONZO. ALESS.
SEVERO. BRONZO. Ugge de Macedoni/-
Ugge delle Amazzoni, crdrglt Sey ti.
Il Dado, portato dalla Liberalità, è tanto conofciu- to,che io non
ne parlerò piu oltrc,dcliderofo di moftra- re che la liberalità nafee da
nobilità di cuore: la quale co là fola ha cauGito che i nobili virtuofi
fono (lati hono- rati comegiufo, onde c vfcitalapoflanza reale,&
tutti gli altri principati, che mediante la Giu fona & l’Equità
hanno mantenuti i loro fuggetti 3 6r quelli difelì dai loro nimici.Di qui
nafee che tutti coloro , che afpirano alla lode & alia gloria, li
danno volentieri all'eflcrcitio della guerra, per eflèrc tanto
priuilegiati:ondeiMacedonijfo leuono condannare colui àportarcvna corda
in luogo di cinturaci quale no hauefle fatto qualchccola hono-
rcuolc alla guerra. Alle Amazzoni non era permclTo maritarli , fe prima
non haueuono fuperato vn loro nimico. i
45 nimico. EttragliScyti non era lecito a perfona toccare la tazza
òvafovfato nei facrificij, che non hauc/Tc alla guerra meritato qualche
honorc. Di tutte quelle cofc fanno fedele hiftorieRomanc,douefi leggono
le qua- lità de premi) che fi dauonoà coloniche haueuono fat-
toqualchc fcruitio alla Rcpubl.come erano le corone c " 0 "'
ciuichc,Ie trionfali,Ic murali, & le nauali,infieme con ti- KomLi.
toli,cpiteti Sellarne, che fàccuono fede della virtù loro: onde non c da
marauigliarfi,fe Roma venne in coli fat- ta grandezza, poi che di grado
ingrado dTaltaua & ho^ norauai Tuoi foldati, fino alla dignità
dell’Imperio,& il Confido ò Imperatore riftoraua il buon foldaco con
ca- tene d’oro,maniglie, corone, & ricchi fornimenti dica-
ualli,fi come moltra vn’Epitaffio che fi vede in Turino, inoltratomi già
dal Symeonc,il cui tenore è quello, C. G A V IO L. F.
STEL. SILVANO PRIMIPILARI LEG. Vili. A VG. TRIBVNO
COHOR. II. VIGILVM TRI B V NO COH. XIII. VRBAN. TRIBVNO COH.
XII. PRAE TOR. DONIS DONATO A DIVO CLAVD. BELLO
BRITANNICO TORQVIBVS ARM1LLIS PHALERIS CORONA AVREA PATRONO
COLON. D D Et fi come dei buoni Temi nalcono anchora i
buoni frutti,cofideglihuominivirtuofinafconoinobili,purc che
fianoeflercitati nelle lettere cneH'armi:lequali qua- do fono
accompagnate infieme, fanno chela no bilità fia K
Cicerone. Dichiara- tione delti nobiliti.
Tlinio. Cornelio Nipote.
Tullio. luuenale. Annotile.
perfetta & duri fiempiternamentc.Stimauafi amicameli te
la nobilita che nafceua dalla gcncrofità del fanguc,di- fcgnata da
Cicerone nelle fue Topiche à qucflo modo, C tntile s fune, qui inter fe
todem nomine funr, quia! ingenui s oriundi funr quorum maiorum nemo
feruitutem feruiuit,qui capire non funr diminuti. La quale definitionc
dice Tul- lio edere nata daSccuolaPontefice,&io l’hò
intcrpreca- ra in quello modo, Nobili fono coloro che ha no vn me •
defimo nome, che nafeono di padri & madri liberi, glan tichide quali
non hanno mai fcruiro,nccambiato di (la to,conciò fia che la mtitatione
faccia perdere la nobili- ta & la gctilczza , la quale gl'antichi
riprefentauono per leimaginijdaloro portate nelle pompe funeralide
loro maggiori, come recita Plinio nel xx x ix.librodeUHiflo' ria
naturale , Se Cornelio Nipote nel libro de gli Huomi ni illuflri.il quale
parlando di Portio Catone òìcc, Ima- go buius funeri* grati*
producifolet. Della quale oppenione canchora M.Tullio, Se gl’antichi
chiamorno tali ima- gi ni Stemmata, come fi vede in lu uenale, quando
beffan doli di tale nobilita fienza l’operc nobili, dice.
Stemmata quid ' fucilanti quid prodejl Pontice longo Sanguine
cenferifè) pt&os o fendere vultas Jrfaiorum?& fante s in curri!
us ^AemilUnosI Ariflotilc nondimeno nclv.libro della Politica
dicc,che nobili fono coloro, i preccfTori de quali fono flati, ò
ric- chi,ò virtuofi:effcndolc ricchezze neceffarie per foccor rere
la Rcpnblica,&vfiarelalibcra!ità, la quale fenza la ricchezza non può
flare.Etfc qualcuno domadafleche differenza c tra la nobilita
d’AriflotileSr di Sceuola, tifi- pondo, che Ariflótile domanda la
ricchezza, &Sceu ola non: nonrattclochc la
nobilita può viucrccon la pouertà: benché col tempo poi(volendofì palcerc
di quello fumo di direche fono nobili) fi muoiam di fame : onde
nafee che gli antichi faui hanno Icritto che la vera nobilita
condite nella virtù,comc quella, alla quale non può mai mancarc:& quello
è quello di che ragiona luucnale, di- cendo: Tota licet
Veteres exornent indizile cera tria:nohiliras fola efyOtque Vmca v
ireos. Conciò lìachcl’huomovitiofocheprcdicalafua nobi- lita,
mediante i fattidefuoi antccclTori,condannafeme- delìmo,non fendo egli
virtuofo,& lì può dire di lui quel locherifpofe Anacarfeà vn’altro
che lo chiamaua bar- Rìjpofta baro,& nato nella Scytia,chc fu tale,
la mia patria ****&& COME BARBARA MI ARRECCA QVALCHE 1
N- f AMIA, MA TV FAI D 1 S H O N OR E ALEA T V A che e' tanto
nobile et c e nti l e. Circa che bifogna conchiudere che la vera nobilita
c quella, g* che procede dalla virtù propria, nel modo cheproua
Boetionelm. libro di Confolatione,doucei dice,^?#^ Jì quid ejl in
nobilitate bonumjd arhitror effe folum,vr impo- rta noi? dii us necefuudo
vide a tur, ne a maiorum V ir tute dege- nerent. il quale propofito
feguita dicendo, TJmu enim rerum pater ejl, XJnus
cuntta mmiBrat-. J Ile dedir Tinello radiati Dediti cornua
Luna: 1 He h ornine s & ferri* Omne
liumanumgenus m terris Similifurgit ah or tu. K
i i 4 » Dedit fè) fiderà Calo: Hic claufit
membri! animo s Celfafedepetitos. Mortale! igitur
cunBos Edit nobile germen. Quid gentts féj proauos Jlrepifù
? Si primordia 'vejlra ^yiutorénujue Deum fieftes,
Nullus degener exrat , Ni 'finn peiora fouens
‘Propriumdeferat ortum. Parmi d’aucrtirc qui il lettore della
differenza eh ed tra nobile & generoforcon ciò fia che A riftotilc
nel prin- cipio dell’Hiltoria degli animali,fcriue che nobile è
quel ladifftren lo che c nato di buona razza, & colui gencrofo che
non ** traligna dalla fua razzala buona , ò cattiua , allegando
fccrii gt l'eflcmpiodcl lupo& dcllione. Il lupo (dice egli)
farà ne ^[ 0 '. chiamato generofo, ma ignobile.Gcnerofo, perche non
deihpò ©• digcncra dalla fua cattiua razza:& ignobile perche egli
e ieliiooe. nato di cattiuo feme.Ma il Itone lì può dire nobile &
gc- nerofo inficme.Nobilc,perchcè vfeito di buonfeme, &
gencrofo, perche non digcncra dal fuo femeronde nafee che fi comclc virtù
dell’animo meritano d’eflcrc lodate con parole, l’opere virtuofe
richieggono d’cficrc hono- ratecon i fatti.Cocludédo chcegli è
impoffibile che vn principe, fia gràde quato vuole, poffa nobilitare
vn’huo- mo che vuole edere villano : laqualc nobilita ci ha aliai
bene dichiarata in vna fua medaglia Antonino Gcta, figliuolo di
Seuerojhaucndo fatta dipingere la nobilita inhabitod’vnaDonnada
benc,conlofcetrro nella mano dirirra. & nellamanca il fimulacro di Mincrua
, per inoltrare chelarmc& lelcccerefonoduccofe ccccllcn-
'ti/dallcquali debbe Tempre eflcrc l'huomo nobile ac- compagnato.
GETA O natura tegli huo.miiu
e la no - genio» pinta conieruata&.crc(ciuta, però non
fàràimpertintn- tetrattarc anchqra qualche colà dello Dio di Natura,
G°iró d io chiamato dagl antichi Genio, & il quale ftimaronopa-
dredegli huomini,& figliuolo diDiorpenfandoncllalo ro rèligiòncehc
ciafcuno haueffe particolarmente vn ge nÌGk& vno intelletto diuerfo Se
propriojcomc lì vede per la medaglia di Nerone, nella quale òlcritto,
genio a v- cvsTijin quelle d’AntoninoPio, genio senatvs, in quelle
di Collantino, genio pop vii rom ani^ in quelledi Claudio, genio
exerci t v vMrfigù- ^ ^ ^ randolo mezzo vcllito& mezzo ignudo, con
vno altare ^io. innanzi A: yiì fuocojvna tazza nella manodiritta, &
nel- ,• - ;; » j l’altra vn Corno d’abbondanza, nel modo che Thà dipia to
A m rhi ano Marcelli no nel xxv. libro che egli ha fatta 'di Giuliano
Imperatore.. " K * •n
ANT. PIO, BRONZO. NERONE
BRONZO. COSTANTINO CLAVDIO
Scriuc Ccnforinoncl libro da lui fatto De die nau- tiche (ubico che noi
nasciamo, noi fiamo accompagnati da vngcnio,chcciconducc,guarda & non
mai ci abbati donna. Altri hanno detto, & maflìme Fiacco nel lib.chc
lares. cilafeiò à Ccfarc de lniigitdmtntìi>che Lare & Genio era b
KtUde. no vnamedefima cofa.Et Euclide vuole che ogni huo- mohabbia due
Lari, cioè l’vn buono & l’altro catriuo, chiamado il buono
Larc,&: il cattiuo Lemure, come noi hoggi anchora diciamo buono
Angelo & cattiuo;à pro- { jofito dei quali Icriuc Plutarcbo
nella vita di Bruto } chc a notte mentre che ci penfaua con vna lucerna
accerti alle facccdc della guerra jgl’apjjarfc vno fpirito in for-
ma d’vna perfona tragica, & più grado che il naturateci quale fubito
domandò Bruto (comehuomo intrepido che egli era)chi egli folle , ò quello
che ci cercaflc , & che quello rilpofc,Io folio il tuocattiuo Genio,
il quale tu ve drai à Filippo:di che non punto fpauctatoBrutogli
dif- fe,Adunqucti vcdròioinquelluogoul che auennepot innanzi eh’
eimoriflc:& di quella mcdelima oppcnione fono flati & fonoi
noftriTcologi, cioè che noi flamo Tempre accompagnati (cornee detto) da
vno Angelo buono, che ci guida al bcne,& da vn cattiuo, che ci mena
al male.Platone parlando di Socrate loleuadire,chein lui era vno fpirito,
ò Genio particularc & diucrlo da glaltri-Nel tempo de Romani non era
lccito(comelcri uc il Iurifconfulto fotto il titolo T)e \ erborarti
oUigationi- bus) di giurare per i Lari, ne per il Genio del Principe,
ri- putando qucfto giuramento grandiflìmo, però chefàcc- dolo&
fapendofl, erano puniti graueméte, laonde rom peuonograntichi più torto
il giuramento fitto fotto il nome d’ogni loro Iddio, che Torto il Genio
del Principe lorojlìcomehàmoftro Tertulliano nella Apologia da lui
fatta contro à i Gentili, &Ouidio parlando della cu- ra che hanno di
noi i noftri Genij,quando ci dice: Et vigiUntnoJìnt frmper in \rbt
Ldres. Da quelli Lari fuchiamato Larario quel luogo à par- te
&fcgreto nelle cafe,doue gl’antichi adorauonoiloro K 4
>5* Lare c r L( mure- Buoni c
r canini fal- liti. Genio appi rato 4 Bru-
to. P Ul* Difefo di giurar
per il genio de t'imperato, re trai Ro- mani.
Tertullia- no. Gnidio,
f$i, Xf tjfmdro Dij domcftici & particulari,il che hà
confermato Spar- baHfMin tiano, quando nella vita d’AlelIandro figliuolo
di Mam- fui Urtino mea, dice che egli haucua nel luo Larario l’imagine
di GUfuchrf- Giefu Chrifto con quelle d’altri Dij.Ne è molto tempo
fio. che in Lione fui monte della croce di Colle fu trouara vna
Lucerna ant cadi bronzo che mi fu donata , nella quale erano fcrittc coli
fatte pa rolc, l a ri b v s sacrvm . 1 con altre più baflc,^ più piccole,
che lignificandola pu blica felicità de Romani, dicono, p ve lic /e
telici* tati ro m a n or v M,nel modo che lì vede qui di fottoi
' ~LV CE jTiTJl JL KT1 ' di H ronzo , trovata in Lione
Canno LARI B V S SACRVM P. F.
ROMAN. Stima 5 r 153
Stimarono gl’antichichei Lari follerò figliuoli della iUri pgiil
Luna & di Mercurio, come fi vedeindiuerfi Autori , la «oli di uh
quale oppenione mi porge materia di parlare di Mer- curio lecondo la
Teologia de gl’antichi , che volcuonò mercv- che la ftella di quello
Pianeta facelle gli huomini elo- R 1 °* ìquenti
&grAmbalciatori,maflìmamente quando egl( stella dì èra congiunto col
Sole & con Gioue,comeper contra- rio volcuonoche ci folle dannofo
cficndo accompagna to da Martc,ò da Saturno Et lacaufa perdici Poeti
nan ilo attribuito à Mercurio Ambalciator de gli Dei il ca- duceo,
il cappello chiamato Galero da Latini, & laiicaf capo & ài piedi,
è, pcrchevolcuono lignificar, che fico- me vn’vcccllo vola
leggiermcntepcr l’aria, coli la paro- Jafàcilmcnte efee della bocca
d’vn’huomo eloquente. I Greci lo chiamornoe PMH2,cioé interprete ,
ò Tur- uermet. cimanno,&Dio della Mercatura, perche le parole
fo- no quelle che fono mezzane d fare comperare, ò vende- menadi»-
revnacofa. *'• a 7 r ~~" N T O.
coprilo di Plauto nondimcmo & glabri Icmtori più antichi
Mercurio hanno chiamato il cappello Pccafo, come fi vede perle ntafo.
Icntture di piu marmi antichi che dicono, cvm m e r- cvrio
petasato, volendo lignificare cheli co- me il cappello cuoprclatcfta,cofi
le parole fcruono per coprirli & giuflificarlì contro alle falfc
calunnie degli huomini maligni & inuidiolì. Altri hanno detto,
che quello cappello lignificauache vn buono Ambafciado- redoueua
goucrnarli nelle fuc faccédc fegrctamente:& il Caduceo che Mercurio
ha in mano,Ia pace che il piu delle volte lì tratta per mezzo d hu omini
eloquenti, co- me lì vede in diuerle medaglie de glantichi. V
E S P A S l A N O. FOSTVMO. ARGENTO. BRONZO.
ylìnio Della lignificatione delle dueferpi intornoai Cadu-
ceo ha Icritto Plinioallài diftefamentc,& però io (come cofa fu
peritinola) rimetterò il lettore à quella lezione: . . &
pcrfaperncla fauoIa,àHiginio, il qualenel Tuo libro t adirò in
Agronomico ha fatto il medelìmo, confermando che f'gnadip*- J Caduceo fu
concedo à Mercurio in légno della pace: ~ ‘ " " la
i 5f la quale volendo dipingere gl’imperatori nelle
loro monete,&moArarecncei n’erano flati autori,faceuono battere
nelle monete la Dea di Felicità, con vn Caduceo peuci-
invnamano,&neira!travncornod’abbondanza,figni- T A - ficandochc nella
pace publica non fi (ènte careflia. G A L B A. " TITO.
BRONZO. BRON ZO. Ne i Comenrari j di Celare fi troua
fcritto che i Fran- ccfi adorornoMercurio/rome inucncore di tutte
Farti, & guida de camini , (limando che egli hauefle gran pof-
fanza per fare ricchi i mercanti, ciò chcconferma Plinio nclxxxnii. libro
dellHiftoria naturale, parlando de coloflì&ftatue antiche, &
doueei dice, che Scnodoro haueuanel Tuo tempo Superato in grandezza di
fiatue tutti glabri fculcori,haucndo inx.anni fatto in Auuer- nia
quella di Mercurio d'altezza di c c c c. piedi.Solc
uonooltreàqucflograntichi attribuire il galloà Mcrcù rio,figni beando che
i mercanti debbono edere vigilati ti&folliciti lamattinaàbuon’hora,
volendo arricchire &farc bene le faccende loro. Tra le mie pietre
antiche, io ho Mercurio dorato da
franctjì. Plinio. Scnodoro fcultor
ec- ctUauifii. mo. Statua di Mercurio fatta
in AuMernia. ij<r io Ho vn
Niccolo &dùe Corniole, ncllequalrfono le fi- gure di Mercurio. Nel
Niccolo fi vede con vna boria in mano,& nell’altra il caduceo. Et
nella Corniolaàfc- dcre fopravn granchio marino: con il caduceo in
vna mano, & con l’altra tiene l'vno de piedi del granchio; col
cappello in tefta.Per Mercurio c fignificata la paro Ja,& per il
granchio, che i mercanti non fi debbono af- frettare nelle parole, ne
(penderci loro danari fenzacon fidcratione. I
fi s / * < /.r
V i > 7 Sono (lati alcuni altroché hanno
detto che l’eloquen zà fu attribuita à Mcrcurio,pcrelfere (lato ii primo
che haueua ordinate & meflè le parole inficine per ifprime- fei
concetti della mente, deformare vna bella oratione, ncceflaria à
gl'Auocati & Procuratori , & pero dille Vi- truuiocheil fuo
tempio lì doueua edificare preflò alle piazze. Grande fu
certamente la curiofità & fupcrlìitionc de gl’antichijvolendoche
Gioue finalmente fignificaflè il ciclo, &Giunone l’aria, per
cflerecofi vicino l’vnoallal- tro:Nettuno il mare:&Plutonela terra,
8c che la mo- gi ie di Netruno folle Salaria, & quella di Plutone
Profcr- 1 >ina,fi come Giunone di Gioue, alla quale attribuirno
a cura delle Donne grollèjinuocandola in quel tempo cheell’crano vicine à
partorire , & poi che il figliuolo era nato (come Diodoro afferma)
lalciandone la cura à Dinna,ncl modo che fi può vedere per l'hynno fatto
da Callimaco in honore della Dea. Et quando le Donne Romane che non
potcuonoingrauidare,voleuono ha- uere figliuoli,cllc andauono al tempiodi
Giunone,chia mata Luci na,douc llaua vn facerdotc detto Lupcrcalc,
che fattole fpogliare tutte ignude & dillcndcre in terra, le
pcrcoteuacon vna sferza fitta di cuoio di becco,co- me fi vede per le
medaglie di Lucilla : ne i rouefei delle quali fi vede Giunone à federe
in habito didonna ve- douacol fuo lecttroinmano comeRcina,&
nellaltra vna sferza & lettere che dicono ,ivnoni lvcinae.
Lucilla Menurio Dio d’rio ' quenza.
Vitruuio. GIVNO- NE.
Giunone * - iutrice de le dine gr 4 uide.
Diuotione de le donne Romane 4 Giunone
Lucina» *J« DELLA RELIGIONE L VC I
L L A~ BRONZO. BRONZO. cerimonie Quando
quelli facerdoti Lupercali corrcuono per dt faccrdo- mezzo le llradc,
erano tutti ignudi,eccctto le parti vcr- t« Lupcrca- g 0 g no f ejC h c
erano coperte di pelli di beccbi,llati faenfi cati fu l'altare di
Giunonc.Et delle coreggie che haueua- no
Era pure grande quella luperllitionc chele Donne Romane pcnlalTino
(clTcndo coli battute da ifacerdoti di Giunone)
d’hauereàingrauidare,&chc la felicità piu grande era di hauer molti
figliuoli, come fi vede perle infraferittte Medaglie. FA V S
T I N A. GIVLIA M A MME A. ARfitNTO. BRONZO 155 no in
manoandauono pcrcotcdo le mani delle Donne che le norgeuono loro per
ingrauidarc. Era qucfto luogo chiamato Lupcrcale nel palagio di Roma,
& de- dicato allo Dio Lupino, chiamato altrimenti daiRo-
maniPan Lyceo.Pcròchequiui haucuono già- poppa- tala lupa Romolo &
Remo, come moftrano le piccole imagini Fatte di bronzo, che hoggi anchora
fi veggono in Campidoglio , & le molte medaglie di Confoli
& d’imperatori. ME DAGL ÌE Di' D io
lupino ò nero, Pan Lyceo. MEDA. DI SESTO P
lOmI l(Zo
DE LA RELIGI ONE DOMITI ANO. HADRI
ANO. Fu Romolo di poi la Tua morte conlagrato &
meflo nel numero de gli Dei, come fi vede perle medaglie d’Anconino
Pio, nelle quali è Romolo veftito come vn Marte,che tiene da vna mano
vn’hafta & dall’altra vn trofeo fullcfpallc con quelle parole ,
romvlo avg. ANTO N I N G~P To. BRONZO.
BRONZO. La lini plici ta degl’antichi fu tale,
che non badando roma. j oro j iaue r C deificato Romolo, fcciono
anchoradiuerfi templi à Roma, & la chiamorno Dea, dipingendola
vna r volta DE GL’ANTIC HI ROMANI, k;i volta
vcttoriofa con vna hafta in vna mano,& nell altra vna vcttoria che
l’incoronaua di lauro , & altra volta con vn globo, in fegno della
Monarchia,& limili paro - le* r o m ae AE T E R N AE.
NERONE. ARGENTO. FILIPPO.
ARGENTO. Roma eter no. Et
nelle medaglie di Malfientiofitrouano Umilmen- te più templi dedicati i
Roma eterna, la quale i lèdere fopra certe infegne militari,&convn
morrione in tcfla, hi in vna mano lo ficctcro,& nell’altra vn globo,
che ella prefenta all’Imperatore coronato d’alloro, lignificando
che egli era conferuatore del Mondo, come fi vede per ni ff entio vna
Prouincia foggiogata che ei tiene fiotto i piedi , il ‘onferu*- dardoche
egli hi in vna mano,& dell’altra piglia ilglo bordino con la fiua
corazza & mantello militare , & lettere intorno che dicono ,
conservatori vrbis AE T E R N AE. \C l
MA SSENTIO. BRONZO. BRON ZO.
Vcfpafiano fimilmcntcfccc (lampare nelle Tue meda SdTRoM gta Roma
con vn celatone incapo, la veflecinta, mez- nrOr meda- za ignuda, lo
feettro in mano, gli (liualetti in piedi , col glie di ve- Teuero
prediche havn giunco in manovella appog- frajìin 0 . gj ata ( a f cttc co
ijj ? lettere che dicono , Roma.Ec nelle medaglie d’Hadrianofi vcdeconvn
ramo d'allo- ro nella mano manca,& nell altra vna Vetcoria con
vn globo fotto i piedi. VESPA’ iiti
M. AVRELIO. BRONZO. Mentre che io fcriucuo
quelle cofc,mi fu donata vna KmJi. 4 medaglia di bronzo, nella qualeda vn
Iato è la teftadel Sole,& dall’altro vna Luna convn globo, & due
(Ielle r opra,con lettere fottoche dicono, Roma, lignifican- te le
vectorie & fatti de Romani rifplcndeuono , co- ll Sole per tutto il
mondo, &erano (àliti (ino al cielo. ITALIA.
MEDAGLIA DI ROMA? BRONZO. Non ballando à
i Romani haucrc figurata Roma in tanti modijfcciono quel limile d’Italia,
coronàdola co- me Reina del mondo à federe fopra vn globo (Iellato,
& mezza ignuda con vnofcettro&vn corno d’abbódan- za,in
fegno della fertilità del paefe d’Italia, come fi vede nelle medaglie
d’Antonino Pio. ANTONINO PIO. B R O N Z O.
BRONZO. Volendo à pieno narrare le Iodi di queda
Prouincia, noi ci diuertiremo troppo dal nodro intento principale:
Pur D E GUANTI CHI ROMANI. i<r 5 Pur
nondimeno non lafciercmo di recitare qui quei yerfi che il Petrarca ,
tornando di Proucnzain Italia, Pt(Wrt , cantò arriuato falla cima del Mon
Gencua,in quello modo, Saluecard T)eo tellnsfdnBifimd
ftlue, Teìlus tuta honis } teUus metuenddfuperbis »
Tellus nobilibus multum genero f or oris . Ne manco voglio
lafciare in dietro che Collanti- no Impciatorc fece battere medaglie di
bronzo in Ro- ma,nelle quali da vn lato è la lupa che lecca Romolo
& Remo mentre ch’ci la poppanoj&rdall’altro la Tua te- tta. Et in
Collantinopoli Umilmente dipoi fece batte- re monete d’argento &
d’oro con la Tua tetta , & lettere che dicono, constantinopolis, lì
come in quel Jc di Roma haueua metto, vr b s koma. Ver
fi iti Vttrarcd in lode i'itn- IU.
COSTANTINO. BRONZO. ARGENTO.
ScriueStrabone(parlado d’Italia) che in quettaPro- uincia fitroua il
temperamento dell'aria migliore che in altro luogorl’abbondanza delle
fontane & de bagni ft «* falubri,per Jacommodità&fanità
dell'huomo, i frutti i L 3 1 66 buonijc
mine-di cuttii metalli, & marmi di diucrfi co- ìtJid gU lori, onde
non fcnza ragione, è ella Hata Regina del rtgin* del mondo , producendo
tutte le cofc neceflarie alla vita mondo. humana:huomini eccellenti
ncllarmc, & nelle lettere, nella pittura, (cultura, architettura,
& in tutte lecofe più rare&fingulari,lc quali con molti libri
farebbono an- chorain piede, fe la maladctta & barbara natione
de Gotti, non l’haueflc tante volte corla & moleftata.Ma perche
di fopranoici trouiamo hauere aliai ragionato vetto- delle
Vcttorieicolpitc per tante medaglie, non faràfuo- radi proposto
(feguitando il fubietto della noftra ma- teria) di (criucrecomeanchora
quella fu da gli antichi riputata vergine & Dea, & fattili più
templi nella Gre- . pittura del cia,douc (comefcriucTaufaniaró^tf/Và)
ella fu adora- la vetto- figuratacon l’alie,vna corona d’ Alloro in vna
ma-" no,& nell’altra vna Palma, ’& lotto i piedi vn
globo :an- chora che Domitiano la facelTc dipingere con vnCor-
nocopia,fignificando che dalla Vettoria nafee l’abbon- danza delle
cofc. DOMITIANO. BRONZO. BRONZO.
ic 7 tc perii rouelcio della medaglia d’argento
diL.Ho- ftilioli troua la Vettoria figurata con vn Caduceo in vna
delle maniche lignificala pace di Mercurio, Se ncL- l’altra vn trofeo
delle fpoglie d i ninnici , modrando-chc la guerra & la Vertoria
apportano la pace. JL. H O S T I L 1 O. A R G F.
N T O. DOMITIANO. BRONZO.
Ma Tuo Imperatore la feccfcolpire nelle fue meda- vittore del glie
d’argento con vna palma & corona d’Alloro fenza 'alimonie quellochc
no voleua chcella difpartiffc mai da.ìui: Se co fi la dipinfero gli
Atenicfi (come dice Pau- fania nelle fue Attiche) per quella medefima
ragione. '“VÈSPA SI ANO. ' TITO VESPA - . -L
# ics Labaro in l cm,c medaglie doro io n’ho
vna d’Auguflo,’ ftSM pria- nel rouefeio della quale e vna Vetcoria
Copra vn globo cipde de & l’alie aperte per volare, con vna corona
d’Alloro in ri«per<- vna mano ^ nell’altra il Labaro, infegna dcll’I
mpera- tore,che i Franzefi Hoggi dicono Cornetta, folita por- tarli
innanzi al Principe, quando in perfona fi trouaua alla guerra, come
inoltrano le lettere che intorno alla, medaglia dicono, i mperator
c Nella declinatiòne dell’Imperio Romano,commin-'
linoni ciorno di P oi gl’l m P cratori a fare <ii P in 8 ere l’Aquila
in tT quello labaro, come fi vede nel rouefeio della medaglia
di Maflcntiojdouc fi vede armato della corazza, & velie
militare con il Labaro in vna mano,& nell altra vn ra- mo d’Alloro,le
gambe armate , & vna Prouincia , ò ni- mico folto i piedi, &
lettere che dkono, victqru 1 AVGVSTI LIBERATORI ROM ANOIVM.
Bctt che dipoi folle vinto da Collantino Imperatore , in
virtù d’vna Croce , ò figlilo moftrato al detto Co- , - "
llantino i<r? {lamino in vifionc , & ancho
perche fu aiutato affai i lf'g»optr da 1 medefimi Romani, & chiamato
in Italia, non potè- ^n 0 ^ Un do più fopportarela tyrannide di coli
crudele huomo. Haucndo coli Coflantino reftituito nella fua dignità
Tlmperio, fi fece Chrifliano , & volle che tutti gl abri cojUntino
adoraffino Chrilto, al quale edificò piuchiefc, & per l’innanzi portò
lemprcin tutte lefucimprcle il Labaro (0 Ui tempii pcrinfegna,di
fcarlatto, & d’oro con quello carattere» fesche non lignifica altro
fe non il nome & la virtù di christ o, accompagnata da lettere, A.
& w .cioè , che sìgnìficatio il principio & la fine di tutte le
cole è Di o, & ancho per- nf<u, “ n che i Greci feriuendo il
nome di Chrillo , cominciano per X.la prima lettera diqucllo.Onde molti
hanno er- rato intorno à quello, dicedo che tal fegno era vna Cro-
ce d’oro che Collantino haueua fatta lare partendo di Francia per andare
à combattere in Italia con Malfen- tio. Vfarono poiifucccfiori di
Collantino lungo tempo quella infogna, come fi vede per le monete di
Collante» nelle quali èl lmpcratorc armato col mantello digucr- ra,
vna Vettoriain mano, che lo vuole incoronare d’Al loro,& in vna altra
tiene il labaro col fopradetto fegno di Collantino , pofando i piedi
fulla prua d’vna galea» il tinjone dcllaquale tiene in mano vna Vettoria,
& let - tcrecbc dicono, f elix temporvm reparatio* V, ■’
L x * 7 ° MASSENTIO.
ARGENTO. COSTANTE. ARGENTO.
G'udUno Dccentio,Coftanzo,& altri Imperatori di poi infino
àpojìata. £ j tempi di Giuliano A portata vfarono Tempre quella
inlègna&figillodi Coftantino con limili parole, s a lvs DOM INO
RV M NOSTRORVM AVGVSTORVM LVCET, COSTANZO. DECENTIO.
BRONZO. BRONZO. s. a mbro- Chetale figillo
forte il fegno diChrifto , dimoftra S. I 10 ' Ambrogio nel v.
libro, & nella Epiftola xxix. che egli
fcriuciTeodofioImpcratorc,&Prudétio nei Tuoi verfi àquerto
modo: Chrijhts . i 7 x Chrijlus
purpureum gemmanti textiu in auro , Signabat labarum,clypeorum
infignia Chrijlus £crip[erat,ardebat fummis crux addita crijlis.
Era quello flcndardo fatto di fcta pagonazza chermi fina con vna
frangia d’oro tutto intorno, ornata di pie- tre pretiofe,nel mezzo del
quale era la Croce di Chrifto fatea di riite uo,& nel mezzo di quella
ricamato il fegno ■di Coftantino,&cofi legata fullacima d’vna lancia
do- rata fi portauain tutte le guerre dinazià fopradetti Im-
peratori, quali nel modo che fanno hoggi gli ftcndardi, dedicati chià vn
Santocchi àvn’altrod’alcu ne religio iccompagnie. Ma ritornando
all’imagini delle noftrc comedipin Vettorie,dicochegrantichi
ladipinferoin formad’An gclo con l’alic,& bene fpefioà federe fopra
le fpogliede torio. nimici con vn trofeo dinanzi, il petto fcopcrto,con
vna palma, &vno feudo &paroleche diceuono,vicTORi a a vg vs
ti, nel modo che l’ha dcfcrittaClaudiano quan- cUudiano. do ci
dice: Jpfa Duci [aerai ZJittoria panderetalos, Et palma
viridi gaudens & amica trophaù. Cujlos imperij 'virgo qua fola
mederii ZJulneribuijnullumque docesfentire dolore m. Et
Plinio dille, Eaborem in vittoria nemo fentit. MEDAGLIONE DI
M. IONE COMMODO. avremo.
BRON/O. Et perche la vettoria non fi può
acquetare IcnzaFati- t ° ca >f enza virtu,ne lènza forza, non farà
fuora di propofi- figura codi ragionare qui d’HcrcoIe, che ne guadagnò
tante in <l ucfto raodo > onclc » Romani volédo figurare la
virtiUo ualauirtù leuono dipingere il fuo fimulacro appoggiato fopra
al fuo ballone,& la pelle d’vn lioneauiiuppata intorno al
braccio, & altre volte tenédo abbracciato Anteo, il qua- le vccifc,
come dice Giuucnalc, - Ceraie il us ctquat H erettiti
^Anteum pronti a tellure tenenti*. Nel quale modo lo
dipinfcroanchora nelle loro meda- glie Hadriano& Poftumio, con quelle
parole, hercvli MACVSANO, HA D.
DE HADRIANÒ. POSTVMIO. BRONZO. BRONZO.
Et fi come la mazza & in lione fono due cofc fortiflì- Pm .
mc,& la virtù e fiata Tempre figurata ignuda, come quel tribuirono la
che non cerca ricchczzc,ma immortalità,gloria,& ho norc,comc fi è
vifto in vn marmo antico che dice, vi r- U pelle del T VS NVDO
HOMINE CONTENTA EST, Cofi el’antichi volendo moftrare la virtù
d’Hercole , doppo la morte lo figurorno ignudo , con la pelle del lione
& con la mazza, &. la mazza & la pelle infiemc,comc fi
ve- de per le medaglie qui di fiotto. PRIN.
Ss. JW/ »74 PRINCIPESSA DI
MACEDONIA. BRONZO. BRONZO.
Q^CINCINNIO III. VIR. AVGVSTO. argento.
ARGENTO. mix* di Fu chiamata da Greci quella
mazza psrraAc*, la quale Htrcole g lamichi fpeflè volte (dipingendo
Hercolc)accompa-] Ja Greci gnorono d’vn trofeo,&Hercolecon vn
ramod’Alloro Kbopalos. nc J} a ma dritta,& nella finiftra la
mazza,& vna pelle di lione,chiamandolo Vincitore: & volédo per la
mazza anchora lignificare la prudenza, conia quale fi gouer- naua
in tutte le fucimprefe. ;; i C. AN.
i 75 uaif
f [lor llc<5 n»
ifltf Vii C. A NT IO. MEDAGLIONE DI
ARGENTO. COMMODO. Apulco lo nominò cercatore del
mondo, domatore Epitetili de gl
huomini,&dclIcbeflieferoci:&:Tcocrito,occifore di lioni & di
tori, come moftrano le medaglie (lampare a puleo. in honorc fuo,ncI modo
che fi vede qui di Cotto. t tonilo. MED. GRECA. C.
BRONZO. POBLITIO. ARGENTO.
tk ^ | iv laVttUia i/wiv»»*» » «■»»». w v< »
»•»» pelle di lione & della mazza, fu, perche in quel
tempo nons’vfauonoaltrearmijche le pelli dcgranimalifalua-
tichi> per coprire il corpo : & i baffoni per offendere i
nimici, i 7 <r Arme che nimici^ vendicare
l’ingiurie. Et perche Homcro con o mo ^‘ a ^ cr * P° ct * hanno
fcritto.chc Hcrcolccauò Cerbe "L Suo ro cane con tre
teftejdell’inferno^crò mi c parfo non HtrcoU. fuoradi propofito
riprefentare qui appreso la figura d’vna pietra antica, fiatami mandata
da Narbona,&ri- trouata in quel tempo che fi cauauono i fondaméti de
i baftioni di quellaCittà,nel modo che fivede qui di fiotto.
S1MVLACRO DI HERCOLE ET DI Cerbcro.ririrato d’vn mattilo antico di
Natbona. “Interpretarono i Teologi antichi quclfo Cerbero
per tutti i vitij,lfati fupcrati & vinti della virtù d’HercoIe, co
me più apertamente potrà il lettore vedere nel trattato * che hà fatto
Lilio Gregorio Ferrarefe della vita d’Herco rarefi leda (fatua del quale
fu altrimenti dipinta con tre palle nella mano diritta, &nclla manca
la mazza, volendo Lffr ; wr . perle tre palle lignificare la virtù di tre
colè, cioè, lènza tudiHcrto ira,fenza auaritia,& lenza defiderij
vitiofironde ancho- k ’ ra hoggi li vedeà Roma vna fua (fatua di bronzo
con vna palla in mano trouata, non e lungo tepo,douc era flato il
fuo grade altare fulla piaza del mercato de buoi. Fu oltra à quelfo
dedicato à Hercole il Popolo albero di po o[g A fpctic di Salicio, del
quale i fiacerdoti Sali; fi faceuono ferro dedica girlandc, volédo fare à
Hercole làcrificio, come ha mo- t0 * Hfrf0 " ffro Virgilio, doueci
dice, “ Tunc Sali) ad canta inceri fa altaria circuì n
*?opuleid adfunt tuinRi tempora ramit. Soggiugncndo altroue,
Copulai ^Alcida gratif ima. La quale cofa fi conferma ancora
meglio per la me- daglia Greca d’HcrcoIe, nella quale da vn Iato c la
fua telfa coronata di popolo con la pelle di lione intorno ai
collo,& dall’altro il Zodiaco con tutti iluoi fegni , & Fe- tonte
caduto del carro del fole con ini i.caualli, la fac- cia del fole, &
lettere intorno che dicono, a’at'nata z h t n n, lignificando che ei
cercauacofc impolfibilipcr le forze fiumane. M
MED. GRECA D’HERCOLE. BRONZO.
BRONZO. Fuanchoradipintoquefto Hercoledagl’antichiGrc
cicon la pelle della teda del lionc in capo, in cambio di celata, vn’arco,vn
turcaflo,& la mazza,volendo lignifi- care che la virtù dell huomo
fcrcifccdi lontano. MED. GRECA BRONZO.
D’HERCOLE BRONZO. Non
V . r ,.t* mi
t'W. §* T* 1 ■ » • ■ b
i^v flfr m m
17* * Non porto fare che (criucdo d'HcrcoIe, non mi ricor
di&non mi rida anchora dellabertialità di Commodo Imperatore,
che vanamente afpirando aU’immorralita p * zz u del Tuo
nomc,8,Tendo emulatore, ò più torto iuuidiofo £ della virtù
d’Hercole,rinuntiò il cognome fuo Droprio, &della carta
fua:&in luogo di Comodo figliuolo di M. Aurelio, vollceflcrc
chiamato Hcrcole figliuolo di Gio- uc:& lartciando I'habito
d’imperatore Romano, fi veftì d’vna pelle di lionc, portò vna mazza in
mano:&mefco landò le vcfti di porpora ricamate d oro con quella
altra, non fi vergognò d’vfcircin pub!ico,& mortrarfi al popo
Io per tutto, come fi vede per le file medaglie d oro,d’ar- gcnto,&
di brozo, nelle quali da vn lato eia fua iella ac- concia come quella
d'Hercolecoil la pelle del lione, & d’allaltro l’arco, il turcaflo,le
freccierà mazza, & lettere che dicono, h e r c v l 1 romano
avgvsto. ■p , • . . ■ ■ MEDAGLIONE DI COMMODO.
bronzo. bronzo. M z
i8o Dione. Colonie
Commo- dma. COMMODO.
BRONZO. Ne contento anchora Commodo di quello,
vollc(co me ferine Dionc)eflerc chiamato Hercolc fondatore di Roma,
facendo battere monete, nelle quali fi vedeua in habito d’Hercolc
condurre due buoi, in fegno di nuoua colonia, Scche ci voleua mettere
nuoui habitatori in Roma, la qualcchiamò Commodiana,&Cómodiani
i Tuoi faldati, comefi vedepcr le lettere, chcdicono,coLo N I A
LVCII ANTONINI COM MODIAN A. & altrO- UC, HERCVLES ROMANVS
COND1TOR. COMMODO. Ma quello chein quello
moltrò anchora più la Tua pazia, furono i titoli,! quaIi(fcriuendo al
Senato Roma- nojs'atcribuiua in quello modo, IMPERATOR CAESAR
LVCIVS AELIVS AVRELIVS COMMODVS AVGVSTVS PIVS FELIX SARMATICVS
GERMANICVS MA- XIMVS BRITANNICVS PACATOR ORB1S TERRARVM INVICTVS
ROMANVS HER- CVLES PONTIFEX MAXIMVS TRIBVNI- TIAE POTESTATIS XVIII.
IMPERATOR Vili. CONSVL VII. PATER PATRIAE CON- SVL1BVS PRAETORIBVS
TRIBVNIS PLE- BIS SENATVIQ^VE C.OMMODIANO FELI- CI SALVTEM. Andando
poi per paefe. lì faccua portare innanzi la mazza,& la pelle di lionc
, onde mol- te ftatuegli furono fatte alla fomiglianza dell’altro
Hcr cole antico.Dal quale propofìto ritornando à quello del noftro
Hcrcole vcro,& lanciando in dietro tutte le fauo- lepcr accodarci
alla verità deirhiiloria,diciamo che(lc- condoHalicarnalTeo)Hcrcolcfu vno
eccellente Capita no, il qualcardito&fauiotrouàdofi vn efferato
gagliar do,pigliauapiaccrcd’andarc per il mondo, riformando i
cattiuicoflumide gl’huomini , ipegnendo i Tiranni,! ladri , & giada
Alni coll Greci , come Barbari , & Latini: edificando
nuouecittà:& drizzando per publica vtilità (quello che è il debito
d’ogni buon Principe) i camini, & fiumi che guadarono il paefcrdella
virtù del quale, qua- tuque iohaueffi deliberato nó fare coli lungo dffeorfo*
nondimenoilgran numero di mcda^licchc iomitroua di lui, mi
conllringono,per piacere ai letterati amatori delle cofc antiche, di
leguitarc & mettere inanzi Hcrco- le,chiamato da i Franiceli
Ogmionffccondo la narratio- r. ri M
3 . rou[' r8i
I nomi is- tituii che fi duua Com- modo.
Qual fu hcrcole fe- condo li Hi fonografi.
hcrcole Gallico . l
i$zne di Luciano oratore &Filofofo Greco, il fenfo della come i
Fri quale fatto prima latino da Erafmo, è tale: I Francefi in « fi
dipinfe loro lingua hanno chiamato Hercole Ogmion,& l’han- roucrtole.
n0 formato in vn modo molto nuotio & Urano, però che ei l'hanno
figurato vecchio , canuto , & decrepito, tutto caluo dinanzi, con
pochi capelli , dietro "rinzuto, & cotto dal Sole come vn
contadino vecchio, o marinic rc,tantocheinaItracofa non pare Hercole
fenon per l’habitochc ci porta, veftito d’vna pelle di lionecon la
mazza, l’arco tefo, & il turcafiòda quale cola io harciccr tamentc
penfaro che folle Hata fatta da i Francefi in dc- Htrtolc rifione &
difprcgio di quei Grcci,chc haueuono fcritto negno^l ^ oro Hercole
haueuafeorfo come virtcitorc ilRe- f ranci*, gno di Francia, {ciò
non hauclfi villo vn numero infini- to di huomini,& di donne
legate per gl’orccchicon cate- • nuzzcd’oro,& d’ambra alla lingua
d’HercoIe, lenza fa- re non folamcntc légno d’cllérccofi menate contro
alla loro voglia, & di volere rompere i legami, ma parendo che
tutti facclfinoà gara di follccitarc il palTo piu di lui, dubitando
nonrcllarc indietro, anzi leccando lecatenc, comecola grata, métrcchc
Hercole col vifo volto inuer fo loro gli guardaua tutti allcgramentcril
quale miflcrio mentre che coli riguardato arrccaua marauiglia à
Lucia no, dice che vn altro Filofofo Francclc,ma dotto in Grc-
co,fc gli fece innanzi & dille. Amico io ti voglio dichia- rare la
difficultà di quella dipintura: Sappi che noi altri Francefi non
attribuiamo l’eloquenza à Mercurio, co- me vo i a Ic r i Greci folcre
fare, ma à Hercole, come qucl- édanreolc. lo che è più robullodi
Mercuriodà onde tu non «debbi marauigliarc fe tu lo vedi vecchio, con
ciofiajchel’clo- quen qucnza rade voice è ne i
giouani,eflendo offufcaci dalle tenebred’ignoranza,ondc la lingua de
vecchi lènza paf- jfione pronuncia più
cleganrcmcnrcifuoiconcerti,cncc il lignificaco di quella pitcura, volendo
inoltrare, che il parlare ornaco li eira apprcflo le perfone
perlaconue- nicnza,che hàlalinguacongl’orecchi.Ncmcno ci debbi
marauigliarc,ncbialimarc Hcrcolc, che egli habbia la lingua
toraca,conlidcrandoche noi vfiamo nelle nollre Comedicdidire,che cucci
coloro hanno bucara la lin- gua che parlono aflai,& bene, come faceua
Hcrcole:che per ciò(lecondo l’opinione di noi alcri Francclì ) lì rcn-
Hfrf0 / f dcua luggecce cucce lenarionij&orrcneuaciòcheglipia tot fuo
fcrf ccua, mediate léfóttìliflìmc & ingegniolc ragione ch'ci
{àpcuaallcgarc,&concireperfuadercleperfone,la qua- ti™* i fe
leacucezza & foccigliczza d’ingegno c figuraca perle huom *
freccie, per l’arco & pel curcalTo:onde voi alcri Greci lo-
Iecedirechela parola c pennucacome vndardodaqua- lcinccrprecacione ci
fcruiràhora Umilmente per ilcriuc redellefrecc^&dclrarcod’ApollojCon
le quali am- mazzo il TerpencePitone,& per ciò daHomcrofu decco
L0> ^oWu^«,cioècheiciraua lonrano:&i Greci Io figu-
rornoinquello modo, come fi vede per le medaglie di Nerone, doue da vn
laro c dipinco con vna corona d’al- loro, il curcaflo Tulle fpalle &
la ftella di Febo, con lectcrc che dicono, a no a aon snrHP.cioc Apollo
Conferua tore,lì come i Greci vfarono faquila,& ilfolgorc nel
me defimoTenfo. A • , M 4
CLAVD. NERONE. ARGENTO. MEDAGLIA
GRECA. BRONZO. Apollo dio di
[oiukori di lira. Quella lira fu attribuirai
Apollo, perche gl'antichi penfornoche cifofle Dio de fonatori,
dipingendolo an- cora con i capei lunghi fenza barbala lira, & vn
ramo d alloro in mano,& vn altra volta con vna tazza & vna,
velie lunga fino à i piedi, per mollrare la fua deità.
AN I l ANTON.
PIO. CARACALLA. ARGENTO. ARGENTO. - Mai
Grecigh attribuirne non folamcntclalloro per vdHoroc 5 la fauoladi
Dafne, ma per la virtù della pianta Tempre f*sr*to ai verde, volendo
mollare l'ctcrnftà del Sole, & perche - 1 ella feruiua nella
purificatone de i facrificij, & perche la è mai touo factranonla
tocca,comciha fcritto Plinio:& pcrchcdi U f* u ~ quella s’ornauonoi
turcaflì, le citare, &i cappelli de gli L'alloro de Imperatori,
quando trionfauono con vn ramo d’alloro dic .* t0 * * in mano, onde il
medefimo Plinio la chiamò Portina- ea delle cale de i Cefiiri & de
Pontefici , & nuntiatrice di \ vettoria, conciò fia chela
coróna d'alloro foleua ariti- 1 camente Ilare legata dinanzialpalagio
de gli Imperato- ri, con quella di Quercia in mezzo, come fi vede per
il tcftimoniod’Ouidio nel primo libro del Mctarriorfo- o iddio.
(co douc ci dice, * JMediamtjtie tuebere ejuercum.
Delle quali corone fi rrouano tutte piene le monete de
gl'imperatori in quello modo, < M j v: c'n;.m
r.ll.i: r.:iv i; .«•- ... otr.ooiop tic DE LA
RELIGIONE A VGVSTO. BRONZO. ARGENTO.
Plinio. Inodore di
rdUoroftfc ttiU pejle. Dbterpcpà ture de U
flatua d'Ar pollo. Probo. La virtù
di qucfta pianta c tale, che fc nel tempo di peftc(comc fcriue Plinio)
i’huomo (blamente l'odora Se porta fcco,ei non può hauerc malc:&: per
certo fi legge che cflendo vnagranpeftein Roma, Commodo fi ritirò à
Laurentojcoficonhgliacoda i medici Tuoi, per cflcrc quel luogo abbondante
d’allori. Et quanto alì’imagine d'Apollojoltrc aU’arcoJefrccciej Se la
lira, con la quale lo (oleuonodipingcregl’antichi, l’Imperatore
Gallieno (volendo moftrarela (ua im prefa d’Oriéte) lofecefcol-
pire informa di Ccntauro,con la lira in vna mano, & nell'altra vna
palla con quefte parole., apollini co- miti, moftrando che egli andaua
col fauorc del Sole. Ma Probo lo dipinfc Copra vn carro con piu razzi in
ca- po, & con la briglia in mano di n n.caualli, chiaman- dolo
luuitto con quefte parole, soli invicto. Et glabri Imperatori , come
Coftantino , Aureliano Se Crifpo ftamporno nelle loro medaglie il Sole
ignudo, coronato di razzi, con vna palla nella mano diritta, Se
nella DE G L' ANTICHI ROMANI. 187 nella
manca vnasfcrza, con limili parole, soli invi- cto coMiTi,
fignificando,che con 1 aiuto d Apol- lo egli haueuono vinto
&lbttomeflcdiucrfe regioni. GALLIENO.
BRONZO. COSTANTINO. BRONZO-
PROBO. BRONZO. A VP EL I AN O.
BRONZO. , Ec perche alcuni hanno detto che il tempio
del Soìè Tempio del era in forma tonda, però mi èparlbdiriprefénrarequi
la SoIe ' medaglia di M.Antonio Triumuiro, nella qualeha fi-
figurato il Sole in vn.tcmpio quadrato,& accompaqna- to da limili.
parole, in. v ir r, p. c. cioc, trxvm- vir
i38 vir reipvblicae c ons tit v e n d ae, &dalf altro
Ia- to, MARCVS ANTONIVS 1MPERATOR. M. ANTONIO TRIVMV
IRÒ. ARGENTO. Moneta di I Rodianidipinfono nelle
loro monete il Sole coni KodianL razzi j n capo, lenza barba, &
con i capei lunghi da vn lato, & dall’altro (colpirnovna rolà,Hora in
vn modo,& horain vnoalcrocon quelle parolcpoamN apizto-
KPITOI, Se POAION, MONET ARO PI A N A. '
VVù OiT^ v iV MONE DE
GL' ANTICHI ROMANI. <i8j> MONETA RODI ANA.
BRONZO. ALTRA MON. RODIANA.
ARGENTO. Etne roucfci delle medaglie d’oro di
Traiano, Ha- Vorlpat ' driano>& Aureliano Imperatori fi troua (
fecondo l'v- u°mc2gul fanza de Greci) fcolpito I Oriente per la faccia
del So- de limpt- le,con lettere che dicono , o r i e n s. Ma in quelle
di ratoru Lucio Plaucio fi vede la tetta d’Apollo accompagnara
dadueferpi,comcPythio, & nelroucfcio della medefi- ma medaglia vna
Vettoria,che tiene per la briglia i ca- • ualli del Sole.
TRA Coloffo Rodi- T R A I A N CL A V R E L 1 A N O.
ORO. ARGENTO. , ' Non erTlaTnaTaTintcntionedi
fcriuerc altrimenti del * ColofTodiRodi,il quale era la flatuad Apollo,
perche io ne haueua già parlato.nel fecondo mio libro dell An-
tichità di Roma,maeflèndomi flato predato vn certo libro Greco
antichiflìmo,& lenza Autorc/critto a ma- no da M Giorgiodi Vauzelles
Caualierc di Rodi, &h- ■ onore della Torretta, quale egli haueua
portatodi Grc- cia,non ho voluto mancare di communicarc a gl
altri huomini
ì*r huomini quello, che io ne ho ritratto intorno à quello,
nel modo che fcguc: Tra gl’altri miracoli del mon- do (dice egli)
era il Coloflo di bronzo dentro à Rodi Deferito- fatto in honorcdel Sole,
da Colalìe in dodici anni,& al- todi fettanta cubiti. La bafeche lo
fofteneua era trian a. golare , & ciafcuno lato (ottenuto da fettanta
colon- ne di marmo. La (tatua era tutta vota dentro & fatta à
(cala à vite, per la quale fi faliuafinoà la cima:&quiui erano
diuerfi ftromenti, che in verfi Iambici faccuo- no vna mufica foaue. In
quella (tatua, la quale era volta inuerfo Egitto , fi vedeua tutto il
paefedella Si- ria, & i nauili che andauono in Egitto, mediate vno
fpec- chioche ella haucua legato intorno al collo , cttcndo del retto
tutta ignuda, con vnafpada nella mano diritta, & nella manca
vn’hafta lunga,tanto che la (pefa cofta- ua ccc. Talenti d’oro. Aucnne di
poi, che doppo cin- quanta anni, che ella era ftatafatta,ellafu metta per
ter- ra da vntremuoto, che durò vii. giorni , & coli rotta in
Mirrile piu parti (ì trouauono pochi huomini, che potettmo ab- trmuoto
' tracciare vnodei fuoi diti grottì,& colui che ne compe- rò i
pezzi del bronzo, ne caricò 500. Camelli.Ma ritor- nando al noftro
Apollo, & alla diferenzachc egli hebbe rifiorii* con
Marfiafonatore,come ha fcritto Apulco,nel primo ** A P °£ 9 libr.de fuoi
Floridi, dico che à cottui parcua edere coli eccellente, che accecato
dalla fua infolenza , non fi ver- gognò di volere competere nella mufica
cori vntanto . v Dio,allaprc(cnza delle mule, le quali, data la
fentenza in fauorc d’ A pollo,fcciono che legato Marfiaad vno al- M
- bcro per punirlo (come ci meritaua) della fua temerità,
fiortiutt. lo (corticaflc, nel modo che ha moftrato Ouidio ne i. t:
fuoi isn . Tuoi Farti, dicendo, o uidio.
‘Prouocat & e Phcebum i < Phxbo fuperante pependin . Cafa
recejprunt a cute membra fua. Et Nerone nel fuofuggello, del quale
la figura cpofta qui di fotto. sy OO LL LO DI NERONE RlTR
ATTO d’ t ma pietra tattica. Dipingeuono
fimilmcntcgrancichi Apollo accom- dtUc°Mufe pagnato bene (peflo dalle
Mule, volendo inoltrare che con Apollo, tra lui Sdoro, è vna naturale
conuentione, fi comcmo- Virgilio, rtrò Vergilioall’horache della natura
di quelle ragio- nando dille, In medio rejìdens compleBìtur
omnia ‘Phccbut. l*. ùv/è Le quali però fumo da gl’antichi vergini
figurate(co- ucrgini. mc h a fcritto Phumuto) perche il frutto
delle feienze « . ' nafee , 1*3 nafcc dal giuditio
dell’ingegno, & perche la virtù occul ta fi contenta del fuo
ornamento naturale: &: che l'ha- bitationc delie Mule uer i monti
&; per i bofchi,non fi- gnifica altrove non cal gli huominipiù dotti
& ccccl- imonti. lenti viuono,& vanno volentieri foli,&
feparati dalla ignoranza della plebe, (blamente (come dille il
Petrar- ca)al vii guadagno intenta, imaginandofi la (ciocca, che le
lue ricchezze le habbinoà infondere ad vn tratto la fapienza,& la
dottrina nel capo , perii che diuenuta infolcntillìma, & volendo
riprendere quei, che fanno più dilei, rimane alla finelcorbacchiata &
fcorticata, co- me vna bcllia della propria pellciilqualc
propofitocoti fermò Plutarcho quando fcrilTechei templi delle Mufe
non fi trouauono altrouc le non lontani alle Citta , & a i eradichi
de gli huomini plebci:& Orfeo & Proclo ha- no voluto che le Mufe
fodero le prime inucntrici della gionc . rc ■ rcligionc,dclla quale
ritorneremo fubito a parlare, che noi haremo inoltrata la figura del
Trepie,ò Tripode d'Apollojgià tanto celebrato & venerato da
gl’antichi. S Apollo, Di quello adunque fi vede il difegno nelle
medaglie d’argento di Vitcllio,& di Vefpafiano,& (quello che
io Rimo anchora più cofa rara) in vn dialpro rollò antico che io hò
meco , douc egli e figurato con vna cornac- a j chia,la lira,& vn
ramo d’alloro, tutte cofe conlagrate à a pollo, lui, come qui fi
vede. * N t>4 DIASPRO ANTICO.
VITELLI O. ARGENTO. VESPASIANO:
ARGENTO. Il iimu Tf
» Il fimulacro del Sole, che i Fenicij chiamorno nella ìtsoledrt - loro
lingua HeliogabaIo,fu portato à Roma dall’Impe- latore Antonino, coli
chiamato anchora lui, il quale nel (,«/„* monte Palatino gli fece fare vn
tempio (come fcriuc Lampridio)& qui volle che non folamcntci Romani,
r ma i Chriftiani & Giudei facchino tutti i loro facrificij,
non per altra ragione, fe non perche nella fuagiouanez- rèpio dedi za
egli era flato fatto fàcerdotc del Sole , honorato & ** s ®:
tenuto in grande riuerenzada i Fenicij, però che gl’ha-
tiero&mo» ueuono fatto vn tempio marauigliofo di pietre quadra-
Antonino te, & (come fcriuc nel 5. libro Herodiano) ornato dar-
gento,d’oro,& di pietre prctiofè : onde io ho tra le mie le. due
medaglie d’argento del detto Imperatore, nelle quali fi vede in abito di
fàcerdotc di Fenicia facrilicare al Sole con vna tazza in vna mano,&
nell’altra vn ra- mo d’a!loro,&fopra l’altare, doue c il fuoco
accefo,fi Vede il Sole,& lettere che dicono ncll’vna delle
meda- glie, svmmvs sa cer do s, & nell’altra, invictvs sacerdos
,chc fono i medefimi epiteti del Sole. HELIOG A B A
LÒ. ARGENTO. FORT V NA.
t5rf Io nonmidiftcnderò più oltre àfcriucre la vita fede-
rata di quello Imperatore, ma bene mi dorrò del cieco & tirannico
arbitrio della Fortuna, che lo meflc in quel luogo che ci non
mcriraua,ficomcanchora veggiamo che ella fa di molti altri à i tempi
no(lri,onde gl’antichi volendo moltrarc la fua portanza , & come ella
gouer- naua tutte le cofe del mondo, la dipinfcro con vn corno
pitta* de d’abbondanza in vnamano,& nell'altra con vn timone U
fortund. Ji nauc fopra vna palla. TRAIANO BRONZO.
HADRIANO. ORO. ARGENTO.
ANTON. PIO. ARGENTO. 1*7 F,u Umilmente figurata
da glantichi à federe in terra col comocopia,& vn braccio appogiato
fopra vnaruo- ta,per moflrarc la fua inconftanza , & limili
parole, fORTVNAE red ver. Et di qui nacque che A pel le Aprile rr-
cclcbratilfimo pittore Greco,domandato perche hauc- uadipinta la Fortuna
à federe, rifpof? chchaucuaciò fatto per che ella non haucua mai
ripofo. ANTON. GETA TRAIANO. argento. argento.
Ma quella che noi habbiamo chiamata Fortun a, i Greci
lachiamorno sella folle fiata buona,*«^ w, ^ ^ *»»comc fi vedrà per vno
intaglio antico portato di Gre- fortuna cia,& donatomi da Frate
Andrea Thcuet d’Angulcmc, nel ritorno del fuo viaggio di Ierufalem.con
molte al- Caladi tre medaglie antiche, che io moftrerò ritratte, nel
libro che io hò fatto dell’Antichità di Roma, accompagnan- do in
quello mezzo la nollra Fortuna d’vnDiafpro , & d’vna Corniola
antica,doueella c fcolpita con vn cor- no d’abbondanza, & vn ramo
d’alloro, lignificando DIASPRO antico, corni O-
LA ANTICA. La fortuna accompa- gnava il
Ut to diCefa- ri. Vlinio.
Difftnition de la fortu- na. Arijlofane.
Tempio fu- perbo de la Fortuna in
Prenefte. Vcdcfi per l'hifìorie che vna Fortuna tutta doro
acr compagnaua Tempre il Ietto de gl’imperatori , & che quando
ci veniuonoà morire, in Tua prefenza eraporta- taàiloro
fuccelforr.ondePlinio la chiama leggiera, in- conftante,&fallacc,come
quella che fauorilcei manco degnirnon dimeno , alla verità, la Fortuna
non c altro che la prouidenza di Dio , dalla quale fecondo i noftri
iteriti noi riceuiamo male,ò benè.Et la caufa perche gl'antichila
dipinfono anchora cieca, fu per la cagione nominata di fopra-di che ha
molto bene icritto Arifto- fahe nel fuo Plutone,DiodcIleRicchezze:il
quale argu • mento hà Tradotto Luciano nel fuo Mifarftropos.il det-
to Ariftofanc fcriue che quando Giouc donale richczzo à i buoni, ei fi
moftra zoppo, & porgedoleà icattiui,cor- re leggiermente. A‘
Prtfncftc anticamente fu il fupérbo . tempio di Fortuna cdificatoda Sylla
, con la Tua ftatuà di bronzo dorata, la quale èra di tanta eccellenza
cheli foleuadire perproucrbio(volendolodarc vna cofaben
dorata w> dorata) la doratura Prcneltina. Nc contento Sylla
di quello, cominciò à fare il pauimento di detto tempio di
Mufaico,chegl’antichi chiamorno Lytoftrates , con mirabili figure di
diuerlì colorali comcPlimo (parlando dei pauimenti) fcriuc nel xxxv.
capitolo del xxxvi. li- bro dcH’Hiftoria naturale. Et perche la Fortuna
può molto nella guerra, però mie parfo di collocarla preffo lo Dio
Marte, al quale i Romani feciono fare diucrli
templi,&dandoglifacerdoti , detti Salijdo chiamorno vna volta
Vincitore, all'hora cheei porrà vna Vettoria (lilla mano:vn’altra volta
Propugnatore, Vendicatore, &Pacatore, quando egli haucua nella mano
dritta vn ramod’vliuoj&nellaltrala fuahalla con la corazza à i
piedi, & dinanzi targhe, rotelle, & il celatone,con vn pen
nacchio,& lettere cnedicono , Marti pacatori, li- gnificando che
quelli che vanno alla guerra, li debbono lenza paura moftrarc à
inimici. M« [aito. MARTE-
Epiteti di Marte. Qui ua al- la
guerra non deve ha tter paura. V 1TELLI O.
ANTON. PIO. zoo L’haftachc
eiportauafu chiamata Qiiiris dai Sabi- ni,& Romolo Quirino,comefi
vede per le infralcrittc medaglic,doue egli è dipinto tutto armato , per
fignifi- care,che lui era vendicatore, nel modo che lo chiama- rono
i Romani. QniriJ. Marte QH* rtno.
ANTON. PIO. BRONZO. V
aoi GORDIANO. ALEX. MAMMEA. BRONZO.
HADRI ANO. ARGENTO. CLAVDIO. BRONZO Il
tempio di Marte Vendicatore fu fatto i Roma per Tépioetifì Cefare
Auguftoin forma tóda,à cau fa della gucrra.chc egli haueua giurata concra
Filippo, per vendicare fuopa da a ugufto dre,come fcriue Suctonio,&
Ouidionci Falli, doue ei Ct f* re ’ dice Tempi d feresfè) me
vittore Vocaberis Ultori ouidio. Uoueraty&fufoUtnt ab
bojlereJit. Scriue Dione neliniUibrodellHiftoriaRomana, che OÌ9at
» N 5 ARGENTO. r pmfr.
101 DELLA RELIGIONE Celare Augufto edificò quello tempio in
Campidoglio} & vi fece portare gli ftendardi &inlcgne militari,
con l’Aquila deRomanirondeil Senato dipoi volendo an- chora
maggiormente honorare Ja fua memoria, vi fece condurre il carro fui quale
egli haueua trionfato. A VG V STO. L. - CTN NX ARGENTO.
ARGENTO. Si come gi’antichi dipinlero Marte, nelle maniere
già ville di fopra, chiamandolo infieme con Giouc Vendica torc
& Propugnatore, & in molti altri modi Greci & La- ùniche
forebbono troppo lunghi à raccontare, coli dir
pin AVGVSTO. ' , . Ci , ' *
ARGENTO. . *>3 jpingendo Venere,
la chiamorno Vincitrice, con la Vet- raria, Io feeeero & appogiata
fopra vno grande feudo, & v e n b - altra volta con vn morrionc in
luogo di Vettoria,ò con R E * vna palla, in figno che ella haucua
fupcrate in bellezza tutte Falere Dee. Il fuo carro,fecondoil direde
Poeti, era carro div e tratto daduocigni:Ecper tanto dice Ouidio,
- JuriBif^ue per dir A cygnis 'C arpie iter. CARACALLA
M ACNVR B FcX nere tratto da duo ti- gni.
PLAVTILLA. FA VSTINA. La Ve
io4 venere La Venere chei Greci chiamorno Afroditi ,i Latini
1 hanno detta Dea di bcllcza,&di gencratione,nata(fec6 do i
Poeti)dclla fchiuma del marerEt Cicerone nel libro della Natura de gli
Dei,parlado di i n i. Venere, dice che Tempio di l’vna fu figliuola del
Cielo,& di Giouc,&haucre vifto il eMc* hi o tempio in Elide:
l’altra vfeita della fchiuma del mare: la terza di Gioue& Dione
moglie di Volcano:& la quar ta Siriaca di Siro nominato Allarte,chc
fu quella mari-J D*r vene* tat ‘™l bello Adonc.MaPlatone nel fuo Conuiuio
hàpo re fecondo fto due Venere, vna cclefteche incita
gl’huominialbuo vintone. no amorc> & l’altra terrena che gli muouc
al piacererdi- cendo chela prima fenza madre fu figliuola del
CicIo,& venere uc- 1^ altradi Dione &diGioue:Iaquale 1
Fenicijvenerauo- ne rata Tcnicij. ta
dai no afiai, per cflere (lata moglie d’ Adone, & Adone nato nel
pacic loro, onde in memoria della mortedi quello
lamentandoli lefaccuono facrificio:le quali fàuololc opinioni &
fu perftitioni lanciando tutte in dietro, ven- ghiamoà vedere come fenfa
laVcttoriala dipinfcCe- fare Dittatore nellefue medaglie.
ARGENTO GIVLIO CESARE. Et ne
ANTICio*
Et ne i rouelci delle medaglie d’argento di Cefa re mi - norc,fi
veggono due Cupidi condurre il carro di Vene- corrodi ut re volando,
& lei che ticncabbracciato il fuofccttro con 11,. lo d 4
duo lettere che dicono, lvc n ivli lvcii filii. cupidi.
Gl VL. CESARE. ARGENTO. AVGVSTO.
ARGENTO. Auguftodipoi dedicò à Giulio Celare il
tempio di Tempio di Venere Genitrice, coli adorata da i Romani, &alla
qua- j' n ' rede ' le haucua Cefarc fatto vn bullo di perle, le quali
(come A u g u ji 0 fcriue Plinio nel libro xxx vi. dell Hilloria
naturategli Ctfurt, haueua portate d’Inghilterra, hauendo prima
farrofa- bricarla detta figura diVenere Genitrice da Archefi-
lào:& per la fretta di dedicarla,non fi fendo potuta for- nire, coll
imperfetta la collocò nel mezzo del fuo Foro. AVGVSTO CES
ANT I- NOVS. Tempio £ fAntinoo
magnifico e di fiotto da Adriano, fopra il Ni lo.
Taufania in Arta£ck. Io non hareì altrimenti qui
fcritto d’ Antinoo , quali tunqucHadriano Imperatore lo faccflegià
deificare, fc 10 non mi forti per forte ritrouate due fue medaglie,
che 11 detto Imper.fcce battere in honoredi quello, doppo
chcei fu morto, accompagnando Hadriano nellafuapc regrinationc fopra al
Nilo:il quale non cotento di que- llo, & doppo haucrlo pianto molti
giorni, gli fece edifi- care vn tempio, &vno altare, con vna Città
chiamata dal fuo nome,douc meflè faccrdoti & Flamini per farti
làcrificio:&in Arcadia nella Città di Mantinea feccfir milmcntc
vn’altro tempio celebratiflìmo, con ftatuc ne igynnafij,& per tutta
la Città fono nome di Dionifio, come narra Paufania.EtpcriI rouefeio
dvnamcdaglia ch’io mi trouoncllcmanijè riprefentato il tempio ma-
gnifico eh Hadrianp fece edificare fopra il Nilo in fuo honore,&
adornare & arricchire di belle ftatue& inda- gini, con
talcinfcrittione,AAPiANos okoaomhìen, che voi dire, adrianvs constrvxit,
frdifottoil tempio de gl’ Antichi romani.
tempio è vnCrocodilo, animale particolare del fiume Nilo, nel quale
mori Antinoo. MEDAGLIONE GRECO CANTI NO O.
k MEDAGLIONE GRECO D-ANTINOO.
Antmoo tu Ma nell'altra fua medaglia fi vede vn
giouane di Biti toin b iti- n i a Ji marauigliofa bellezza con lettere
Greche che dico nO,OZTIAlOZ MAPKEAA02 O IEPETt TOT AN * »
or. & dall’altro lato, t 012 axaioxx an e ©hke , cioè ,
HOSTILIVS MARCELLVS SACERDOS ANTIN0I acheis dic avit , &
nel rouefeio della medaglia c il eauJb fcolpito il cauallo Pcgafo,&
Mercurio con i talari & il regdfo. Caduceo. DAGLIONE
GRE D'ANTJNOO. Fina i °9
Finalmente per l'intera cognitionc de i templi anti- chi, quanto alla
religione io ne ho farti ritrarre 1 1 1 i.qui di lotto, de quali
pcreflère le medaglie logore, non ho potuto tirare (enfo alcuno.
CL. NERONE. TITO. BRONZO. BRONZO.
SEVERO. bronzo. bronzo. L’ vicini o di
quelli quartro templi,fattoin forma ron VESTA - da,parequafi limile à
quello di Velia tanto riuerira da r Romani, per ripofare là dentro
Iaftatuadi Mi nenia, fta- ta portata, da T roia:& la quale era in
tanta vencrationc O — - no
Tempio di Pace abbru ciato. DELLA
RELIGIONE che mai huomo non l’haucua vida.Nondimeno quado
abbrucici il tempio della Pace, il fuoco s’appicò anchora à qucfto,onde
le vergini Vedali prefo il Palladio, & con cdo paflandoperla via facra,
lofaluornofìno al palagio dcirimpcratorcj&vcdefi il Tuo ritrattone
irouefei del- le medaglie di Vcfpafiano,& di Giulia Pia, che non è
al- troche vna piccola datua di PaIlas,con l’hadainvna mano, &
nell’altra vno brocchiere. VESPASIANO. GIVLIA PIA.
ARGENTO. ARGENTO. CLAVDIO. VESPASIANO.
ARGENTO. BRONZO. Fedo DE
GL'ANTICHI ROMANI. in Fccionogl’antichi quello tempio di Vefta informa
Tempio di tonda,llimando che tale Dea folTe la terra, & il primo
fu Numaà corniciarlo per addolcire, lòtto Ipctie direligio ne, la
ferocità de Tuoi fuggetti. EVINTO ARGENTO.
NERONE. ORO. VESPASIANO.
ORO. ~ L’entrata dfq nello tempio era vietata à
gl’liuomini, comeànoi hoggiquclla deMunilleridcIIc nollre Mo- ^
nache già (late riformate :& il numero delle Vertali fu drOcvrfia-
ncl principio mi.&dipoiv i.& coli durò lungarni nte, w - O
‘ z mi come mollrano le medaglie di Fauftina , &
di Lucilla^ ùiu'vr/lì nc ^ c c I ua ^ fi vede il loro modo di
facrificare,con i loro li. vefti menti bianchi.chia mari dai Latini
Sufftul* , lun- ghetti & quadrati , tanto che le ne potcuono
coprire la iella, & Maflìma tralalrrefcome farebbe tra le noftrc
la BadefTa)hauere come prima il fympulo (vafo ordinato peri
facrificij)in mano, & l’altra innanzi alci, chela ri- guardaci
turibulo in mano Umilmente detto ^cerradi Latini, col quale(facendoalIa
Dcafacrificio)dà lo incen- do alla Dea fopra all’altare, dipinto inficmc
concila nel modo che fi vede. '-'FAVSTINA: medaglione
di BRONZO. LV CILLA. Augmcntornocoltcmpo quelle
Vertali fino al nume fiali orditi* ro di vcnth&bifognaua per edere
Monache cheellefof tt al [imi- £ no natc Ji padre libero non feruo,
vergini, & lènza ma fta. 1 Vt ~ cula alcuna nella loro pcrfona,&
d’età di Tei anni fino à dieci, nel qual tempo era loro infegnato 1 vfo
del facrifi- care,comc moflra la medaglia di Fauftina, netta quale
fi vede la piccola Vellalc riceuuta dentro al Munifleroda
quale zi
3 quale à capo d’altri X. anni faceua làcrificio , & ncl-
l’vltimo della fua vecchiezza inlègnaua all'altre que- fiomedefimo,con
qucftaconditionc,chcinxxx. anni vajffti io. fi
poceuonomaritare,quatunquc(pcrquellochc filcg- jj IHp p 0 u ge^tutte
quelle che cxercitorno quella vita, furono sfor uano mari - lunate &.
capitorno male. Etpcrchedi fopra habbiamo ttrc ‘ detto che la principale
di Ioro,cioè la Badeffa fu da i Ro mani chiamata Maflìma : noi prouerremo
quello per due Epitaffi antichi fiati ritrouati à Roma nel noftro
tempo ,1’vno de i quali comincia, &fornilcc in quello modo.
Epitaffio di Fiatila Manilla U e fiale. FL. MANI LI AE
V V. MAXIMAE, CV1VS EGRE- * G1AM SANCTIMONIAM ET VENERABILEM MORVM
D1S C1PLLNAM INDEOS Q^VOQ^. PERVIGILEM ADMINISTRATIONEM SENA-
TVSLAVDANDO COMPROBAV1T AEM1LIVS FRATER ET RVFINVS FRATER ET FLAV1I
SILVANVS ET H IR E N E V S S O R O R 1 S FILII A' M I LI TU S OB EXIMIAM
ERGA SE l’IETA- TEM PRAESTANTIAM Q^_. Epitaffio di
Claudia Elia Claudiana ZJ e fiale. CL. AE LI AE CLAVDIANAE V
V. MAX. RELI- GIOS1SSIMAE BENLGN1SS1MAE Q__. CVIVS RITVS ET PLENAM
SACRORVM ERGA DEOS ADMINISTRATIONEM VRBIS AE- TERNAE LA V DI B V S
SS. COMPROBATA OCTAVIA HONORATA V V. D1V1NIS AD- MON1TIONIBVS
SEMPER PROVECTA. Erano quelle vergini Veftali hauute in grandilfima
vcnerationcdal popolo Romano, come fi vede nelquin venerano - to libro
della prima Deca, di Tito Liuio, douc èferitto wrfoUv* c b c
rincontrandole vna volta à piede Albino huomopo fiali. polare,comadòalla
moglie & a i figliuoli di Icéderedel carro, perfarui fiilircfopra
levcftali: &quefto aueniua pcrlarfucrcnzachc i Romani portali ono al
fuoco pcr- fuoco per - p Ctuo ,che ledette Monache tcncuono Tempre accefo,d
pttU °' qualcfe per dilgratialafciauonofpegncrc, elle erano dal
gran Pontefice acerbamcte caftigare,quantunquc ogni r inoiutio-
annofoflTcda loro rinouato,quafi nel modo che foglia- ne del fuoco
mofarenoidcl gran cero di Pafqua.Su l’altare degli He U fitto fan brei
fimilmcntcftaua Tempre il lumeaccefo,fignifican- no in anno . do che le
grafie di Dio Ita no Tempre per gl'huominiap- parecchiatc tanto di dì,
che di notte:& nella miftica Tco logia de gl’antichi Verta non
fignificaua altroché fuoco, ilquale(comedicc Furnuto) perche nel Tuo
continouo mouimcnto per le medefimo non genera nulla,però era dalle
vernini guardato : &i Poeti anchora (parlandodi fuoco. Vefta)l’hanno
Tempre prefa & intefa in qucfto fcnlo,co- me fi vede in
Ouidio,quando ci dice, ’Nectu aliud "vejlam ejuampuram
intelligejlammdm, ‘Natdque de fiamma, corpora nulla. vides.
Iure igìtur virgo e[,(jua [emina nulla remittìt, *tiec capirà
comires virginitatis amar, dciic’vc- Anzi furono quelle Veftali in tata
auroriti,chelpcf- flali. Co pacificornoinficmeil Popolo Romano
nelle guerre ciuili:& ho ollèruato io che,quado entrauono la
prima Lt ve fiali volta in Muniftero fi tofauono, come anchora hoggi
fan togate. no ] c Monache noftre: ne era loro permelTo di
lafciarfi piu DE GL’ ANTICHI ROMANI.
più crefcereicapegIi,comcfi vede in Plinio , quando al xvi.Iibro
dcH’Hiftorianaturale fcriue: Antiquior lothos efiejua C<t pillata
dicìtur,quoniam xirginum Uejìalium ad ea capillus defertur.\\ vitto loro
vfciuadal publico, & durò quella vfanza (ino al tépodiTeodalio
Imp.chriftiano, al quale mandorno iGécilhuomini Romani Symmaco
Patritio per ambalciacorc fìnoà Milano (doue all’hora faceua refideza il
detto Impcratore^pregandolodi con- fcruarc i priuilegi alle loro Vertali,
acciò che elle potelfi- no cflèguire i teliamoti &lafciati ftati loro
fatti da diucr Ce pcrfone,però che i loro beni potcuono cflcrc tali,
che di quello che farebbe auanzato loro, harebbono potu- to aiutare
molte pouere pcrfonc,& guardare che aliai di loro nonfoflero andate
mendicando per Roma, & po- tendo giouare anchora à
iforerticri.Nondimcnofu tan to in quello roftinationedcH’Imperatore,che
Symma- co non potette ottenere il defiderio Tuo, ne del Popolo
Romano:& cofì fumo tolte alle Vertali tutte l’entrate, di che egli
dolédofl nella fua oratione,dice limili parole: Honorauerat lex parentum
TJejlales virgines,ac minitlros Deorum vittu modico, iu fi fijue
priudegmfijtt muneris huius integriti yfque ad degentres trapelerai.
Soggiugnen- do più baffo. : Sequura ejl hoc fames puhlica , &
Jf>em prouinciarum omnium me fi agra decepit,. 'Non fìtnt hac
"pitia terrarum , nihil imput ernia aufiu , nec rubigofe - getibus
ohfuit , nec auena frugei necauit. Sacrilegio annus exaruit. Ne cefi enim
fiit perire omnibus quod religioni- bus negabatur. Quid tale
proauipertulerunt,cum religtonum miniftros honor publicus pafeeretì A' i
quali argu menti rifpofe poi affai bene Prudentio,moftrando che
innan* O 4 ir 5 Le
Veftali haue ujno lor vitto dal publico. Teodofìo
imp. Cbri- ftiano. Symmaco patritio am bafi.
Amba f. di Symmaco nulla . Aifrojìa
de Prudcntioi Symmaco- zi che il Palladio, ncVcfta , ne lari,
ne Dei penati follerò itati portaci àRoma,ilportod’Hoftiacra
picnodinaui- li carichi digrano,i granai pieni iìmilmétc,&
tanta gran de abbondanza di viueri erano in Roma,chc neiTunofo
reitiero che vi venifle per vederci giuochi Circciì,non morì di
famc,& che fc tal volta la terra iterile non ren- derla le biade in
abbondanza, naiceuaqueito,ò per cagio Trudtntio. ne dcH'aria.ò per
altri accidenti naturali, il cheanchora meglio dichiara nel principio del
iuo libro fecondo, do- ue dice parlando contro àSymmaco:
Ultima legati defitta dolore querela ejl , ! Palladiu quod
farra focu,vel quod fip'u ipfs U irgimbm } caìlifque torti alimenta
negentur. h XJeJlales foluù faudenturfumptibus ignei.
Doppo laqualc rifpoitadcicriucndo la vita & modi ho- nciti
delle vergini Vertali, dice in quello modo: Qua nunc Oefalis fu
virginità tu bone fot, 2)ifcutiam,qua lege regat decus omne pudori*.
kA c primum parua teneri i capiuntur in annis, lAnte Voluntati* propria,
quam libera feda Laude pudiciria feruens,(Q amore Deorum, 1
tifa maritandi condemnat vincala fexus. Captiutts pudor ingrata
addicitur arit , ‘Nec contenta perir miferisfed adempta voluptas
, Corporii intatti meni non intatta tene tur.
’Necrequies dar uri Ila torli , quii ut innuba cacum ZJulnuiy&'
amiffat fujjnratfoemina redat. Tum,quianon totum JJ>es falua
interfeit ignem, Nam refdes quandoquefaccs adolere licebir,
Feda Dtfcrizio- ne della ui ■ ta delle
Ve fiali. FeJldrjue decrepiti s offendere flammea canti
Tempore prafcripto, membra intemerata retjuirens , Tandem virgineam
fajlidit Zdejìa feneBam, 2)um rhalamit habilis timuit Vigor, irrita
nuUns Foecundauit amor materno vifcera par tu , Tdubir anta
veterana [acro perfunBa labore , 2)efertisejue foca, tjuibus ejl famulata
tuuentus, Transfert emerita* ad f ultra iugalia rugar,
Z)ifcit &• in gelido noua nupra repefcere leBo. Intere a
dum torta vagos ligat infula crine s, Fataléfjue adoler primas innupta
facerdos, Fertur per mediai vt publica pompa platea t.
Rilento refdens, molli scejue ore reteBo Imputar attonita virgo
ffeBabilis Vrbi: Inde ad concejfum cauea pudoralmus expers
Sanguina, it pietas hominum vifura cruento s Congrejfu, morte fjue,^d
vulnera Vendita pajlu Spellatura facris oculisfed & illa
Verendis, Vittarum infignU phalerufuiturtjue lanifis. 0
tenerum mirimene animarne onfurgit ad iBus, Et tjuoties viBorferrum
iugulo inferir ,illd T)elicias ait effe fuas,peBufe]ue incentri
TJirgo mode fi a iubet conuerfo pollice rampi, *He lateat pars
‘itila anima vitalibus ima girini impreffd dum palpitar enfe
fecutor. Hoc illud mentum efl,tjuod continuare feruntur
Excubiat, Lari] prò maiejlate palati], Quod redimane viram
populi.procertimaue falutem, ‘Perfundunr quia colla comis bene, Voi bene
cingane Tempora taniolrsjtf litia crinibue addane. 9 5
p ompa iti le V filali nel tempo di Pruden-
ti. Di qual ma feria fabri- cauono gli
antichi le imagini. p aufania in Arcadie if. \A
uite è mtn fugget ta à corro- sione. U8 Et
quia fubterhumum lujlrales rejlibus Ombrìi In fldmmam tuguUnt
pecuJes,&' murmurc mifeent. Quello c tutto quello che Prudentio
fcriue della fuper (licione & pompa delle Vertali , che acconcic
lafciua- mente andauono fopra i loro cocchi, o carrette à vede- re
tutte le felle St giuochi cheli faceuono ne i circhi & Amfiteatri
& (oltre à quello che fi conuienc all’habi- to,& l’animo pio de i
religiofi)pigliauono piacere di vedere i gladiatori combattere con le
beftic feroci, & ammazare le pcrfone,ondc Prudentio nella fine de
ver- fi fopradetti priega l'Imperatore di tor via coli fatti
fpettacoli crudeli, dicendo in quello modo, Te precor ^ Aufonij
T)ux ^Auguftifìme regni, TJtum trifie ftcrttm tube *s ,yt exter a
rolli. Hauendo à baftanza fcritto de templi, & nomi de
gli Dei & Dee de gl’antichi Romani ,rcfta à vedere, & faperela
materia della quale ei fabricauono le imagini Sellarne loro. Qucfteerano
(come IcriucPaufania) dc- bano,d’arcipreflb,di cedro, di quercia, di
loto,di milacc, & di boflolo , anchora che Teofrafto vi aggiunga
la radice deU’vliuo per le ftatue minori, & Plinio la vitc^
quando ci dice dhauere veduto nella Città di Polo- nia il fimulacro antichiflìmo
di Gioue fatto di legno di vite : la quale cofa io crederrei facilmente
potere effere fiata vera , confiderato che Ce gl‘antichi eleggeuono
i fopradetti legnami, come quelli che durauono aflai, la vite fenza
dubbio, è quella che è men fuggetta alla cor- rozionc,ficome fi è villo
per diuerfe fperienze, quan- tunque la ftatua di Mercurio in Arcadia non
forte fatta d’alcuno de i fopradetti legnami , ma di quello che c
chiama zip chiamato Thya,& da Homcro Troìetbes ; la
fpctic del rhya. quale è limile aH’arcipreflb di rami, di foglie, d'odore
& di frutto,&comcfcriueTcofrafto, tenuto in pregio per
l’odore tra tutti quelli, che nafeono nella contrada di
Cyrcne,foggiugnendo che della Tua radice fi faccuo- no anchora mille
intagli & cofc pretiofe. Vfiirono fi Gli antichi milmcntc gl’antichi
di fare ftatue di cera & di falc, onde u b aron ? di non è molto
tempo che in vna grotta prefloà Volterra i magni & nefurno alcune
ritrouatc, fi come anchora fi trouano molte cole antiche di vetro, tra le
quali io ho vn vafo fatto in forma della teftad’vn Moro, & ripieno il
fondo di certa compofitionc anticaglie fa molto di buono, il
qualccon molti altri fu trouatogiànel Delfinaroin ca- la del fignore
della Motta, che ne fece prefente alla buo- na memoriadi Monfignore d’Orliens.
Adopcrorno ol- tre à quello gl’antichi nelle imagini loro, l’oro,
l’argcto, il bronzo,il ferro, lo llagno,il piombo, l’auorio,
&ìater ra grafia detta arzilla, accompagnandole permaggiorc
ornamento de iloro templi, di pietre pretiolè, & final- mente fi
feruirono d’ogni forte di marmi, portati dilon tani paefi. Dal quale
ragionamento venendo al modo
&ordinedelorofacerdoti,&facrificij,dircmo cheque- f^dlu Ili fumo
diuerfi,comeil maggiore,& minore Pontefice, Romani. Flamini,
&Archiflamini, che tcneuono i primi ordini fagri:gl’Auguri per
gl’vccelli:i Salijper Marte, & altri preti particulari (quali
come i noftri Canonici) che fur- r rr lì 1 • i i . . . . .
Sacerdoti no afiegnati alla memoria de loro Imperatori, da poi che
Augnati» egl'erano fiati deificati, come gl’Auguftali
d’Augufto, gl’Heluiani d'Heluio,gr Antoniani d'Antonino, gl’Au -
TulTiìanU rcliani d’ Aurelio, & i Fauftiniani di Faufiina ,
tutti oidi- f*»fiinia- na nati per la
religione, pietà, & fàntità, la quale Cicerone interpreta per la
fciéza d’adorare i loro Dei, ò più rollo demonij,& per fare
facrificij, cerimonie fagre,dedicatio-
n',confasrationi,(uppIicarioni,proccflìoni, voti &altre loro vane
pompe diaboliche, & vane fupcrllitioni. Sicrrdotio
ic i futi Amili. QUffto fi- enfi do
è detto da Li tini. Ambir tuli fieri. 2)
e s^t Cervo ti 1 et fz^ti Ornali elei facrificio chiamato isi
mheruale . Omolofuil primo inuentorc di quello ordinc,8c
dicreare il primo facerdotc per i facrificij publici intorno alle
terrc,& al- le biade , acciochc elle crcfccffino in
maggiore abbondanza , pigliando per infegna vna corona,
ògirlanda di fpighe, legata con vn cintolo bianco, ne palfauono il
numerodi xn. Quelli cofì fatti faccrdoti,&il modo del loro facrificio
era tale. Il primo di quelli facerdoti accompagnato da tutti
graltri,&r coronato d’vna girlandadi quercia , cantando le Iodi di
Cerere con vna troia,© vna vacca pregna cir- cundaua tre voltci campi
pieni di biade, & doppo ha- uerebeuto del vino,& del latte
innanzi che fegarc le biade/acrificauaà Cerere la troia, ò la vacca. Et
il pa- ftorcvolendoalficurarcilfuo belliame dalla rogna & da
tutte altre malattie, gli fpruzaua prima 1 acqua fopra, &di poifatta
vnafaccellinad’aIloro,& di fauina mefeo- lata con zolfo
I’acccndeua,& tre volte circondando il Tuo belliame con certi verlì
facri Io profumaua,facrifi- candoneH’vltimo vna torta di miglio, & di
latte alla Dea Pale,auocata dei pallori, credendo in quello modo
rende , in rendere ficuro( come e detto) il Tuo
gregge da tutti quanti i mali. ~1d E q L‘ V g V X I, ET Z>
E U lor dignità. Verta fpetie di religione fu portata à Ro-
cicerone ma & inlegnata da i Tolcani , la quale A»g»re.
Cicerone (per eflèrc flato di quefto or- dinc^ Icriue nel libro della
Natura de rate di prò gli Dei, 8i doue egli hi parlato de Diin-
^tf^aiKo natione,cllerc fiata tanto venerata da Romaniche non mani.
harebbono mai fatto, ne deliberato cofa alcuna dentro o fuora di Roma,che
prima non haueflìno prefo l’Au- gurio. Anzi venne quella dignità in tale
riputatione, rifpetro allhonorc & vtile , che ne riceucuono
quelli eh erano Auguri,che i primi Romani cercauono d’en- trare in
quefto laccrdotio, come fi vede per le medaglie di Pompeo, &di Ccfarc
Dittatore, che vi mcllèanchora M. Antonio & Lepido, nelle quali fi
troua il lituo(bafto- m. Anio- ne torto & limile alpaftoralcdeinoftri
vclcoui^ilfym- pulo,i 1 cappelloni vafo,&i pulcini , tutte infegne
che moftrano la dignità &cofe necclfaric à quefto officio.
IL LI * «► IL L 1 TU 0, S USTORI B
UV- gurale degli antichi Romani. GIVLIO CESARE.
POMPEO. argento. a r r. f. n t o. M. AVR.
zz 5 M. AVR. ANTONINO, ET AEL. VERO.
RESTI T. ARGENTO. ARGENTO.
ARGENTO. M. ANTONIO. ARGENTO.
ARGENTO. Erano Nuwfro
de gli Auguri. Augurato- rio.
jJtuoJbajlo ne Augura- le. zi 4 Erano in
quello Collegio degli Auguri tre nel prin- cipio diputati,àcaufia delle
treTribu,&di poi quattro comeficriueHalicarnalèo. Madomandando il
popolo col tempo che quello numero folle crclciuto, ve nefuro no
aggiunti cinque della Plebe & mi. Patri tij, & coll continouò
dipoi femprequeftavfanza di noueinterpre- ti de gli Dei fino alla fine.
Il luogo, nel qualcfipiglia- uono gl’Augurijieraà modod’vn tempio, douc
l’Au- guratore ftaua àlcdcrccon latclla velata, & il Lituo in
mano,col quale fegnaua 1 quattro angoli del ciclo, eficn- do veftito
d’vna verta doppia, & lunga,tintain Scarlat- to, &chiamata Lena,
o Trabea da i Latini, come fi vede nelle medaglie di M. Antonio ,
con tale infcrizione, MARCVS ANTONIVS LVCII FILIVS MARCI NEPOS,
AVGVR 1MPERATOR T E R T 1 V M. Et in vn’altra fi vede la terta del Sole ,
con tali parole abbrcuiatc,TRlVMViR REIPVBLICAE consti. TVENDAE
CONSVL DESIGNATVS ITE R VM ET TERTIVM: & figurate con altre di
LcntuloSpin- ter,nel modo che fi vede qui di fiotto. m.
anto"n ia ARGENTO. Lcntu
LENTVLO SPINTE R.. ARGENTO.
ARGENTO. Ec per venire alla conclùfione di quanto io voglio
vtjtidift- fcriuerc de gl’Augurij, io metterò qui dinanzi la. figura
a»* ritrattadVnàmedagliad’argétod’AuguJfto, nella quale SUuU ' fi
veggono ifacerdoti conlorovcfti lunghe, & il fimpu I . lo , &
lituo in mano x tutti inrtrumenti accomodati alla loro
religione, • -V P • H] k ■
i fi Wc
ite • xXrGygt ET SACERDOTI. CHE. PORTANO L'Vfitt- gnt tltld
religioni per mejlrdr U fitti. Quanto all’augurio de Galletti , & del
loro beccare, onde gl’Aurpici de i Romani folcuono pigiare l’augu-
rio, & giudicare delle cofefuture,anchora che io ne hab- bia
ragionato qui difopra,&chciociò ftimicofa ridicu la, vana & piena
di fuperftitionc, io nondimeno non ho voluto mancare per fatisfatione del
lettore & de gli amatori delle buone lettere di moftrarne qui
Ja.prefen- te figura. P a FiayK^f È ITA
ATT A Dt-LL c/f JUXD^GtliA D'iAM- gmtt iiJU.Lef ìit rriummrt.
- • - — I Romani hcbbcro in tale
venerationc i lacerdoti drepolli allo Aufpicio, che ei fondauono tutto il
loro giuditiodcllccolcaucnire & di quello che doucuono
fare,(opra il beccare de polli, non cominciando alcuna imprefa che prima
non hauclTìno prefo quello augu- rio,ncl quale fé vedeu ono beccarli
allegra mentc,piglia * uonotalcofaperbuonfcgno,&lcalrrimentiaccadcua,
ne de ro- non faccuono in quel giorno cola alcuna. L’huomo, che
baueua la cura di quelli polli, li chiama ua pvll a • Rio, & la
gabbia, ò Hia douc erano rinchinlì, cavea tVL l aria, fatta nella
medelìma forma diqucliachclì vede di marmo nella loggia del palagio dei
Cardinale Cclìsin Roma,accompagnara d’vn bcllilHmo epitaffio pollo
qui di Lotto nel modo chefegue, wt I.
0 ST1U *P ZJ L L ria, ritratta <Tì>n marmo antico in Roma
. M. POMPEIO M. F. ANI ASPRO > LEG.
XV. APOLLlNAR.> COH. III. PR. PRIMOP. LEG. III. CYREN PRAEF. CASTR.
LEG. XV. VICTR. ATIMETVS LIO. PVLLAR1VS FECIT ET SIBI
ET M. POMPEIO M. F. ET C1NCIAE COL. ASPRO SATVRNINAE ,
FILIO SVO ET VXORI SVAE ■ M. POMPEIO M. F COL. ASPRO FILIO
MINGRI U.varro. 1 fdctrioti
differenti fecondo le dijferentìt de gli Dij.
Ornamen- to del fla- mine Dia- le.
Del Flamine Diale. Sacerdoti di Giouc& di Marte fumo
ora- dinari, & chiamati Flamini da Numa Pompilio: onde Varrone
nel libro della Lingua Latina dicc,chcgrantichi hebbe- ro tanti
Flamini j. quanti haueuono Difc come il Diale di Gioue,il Marnale di
Marte, il Quiri- nale di Romolo, il Volcanale dì V òlcano, & molti
altri alla differenza de noltri che noi chiamiauono Vcfcoui,
Archiuefcoui, Patriarchi, Cardinali. Mail Senatodipoi ordinò
anchora Flamini à ^'Imperatori diati da loro deificati-come gl’Auguftali
per Augufto,& gl’ Antoni- ni per Antoninoctra quali il Diale era
meglio vellico de gl'altri, & haucua la fua Tedia d’auorio, ordinata
loia- mente per i Magiftfaci, &il Flamine lolo portauail cap-
pello biancojfcnza.il quale non gli era lecito vfeire fuo- ra
dicafa- CAP .«Sw -'-v -
. z)i CAPPELLO DEL FLAMINE ritratto et i>n fregio
antico di marmo eh e in /Lorna. De Sali],
Ra tutti quelli faccrdoti ne fece Numa
anchorax 1 1. chiamati Salij,da i Etiti Io Icnni,che ei faccuorio ne i
loro facrificij. Et dipoi Tulio Hbftilro gli crebbe infì- noà x
xiiil & di x x 1 1 n. alla fine flir- tanti che feciono vngran
Collegio^, ne potcuono cfleredi quello ordine le non quelli, che non
haueuo- no padre ne madre. Di quelli Icriué Tito Liuio, egli
andauono cantando & ballando per mezzo la Ara- ba, & cantando
veri! Saliarij n<*l melodi Marzo porra- uono in mano lo feudo célerte
1 chiamato , zHncilè ì in ho- norc di Marte, come lìvedeDtr le medaglie
d’Àu’truAn <^efaxe,& d’Antonino nmm Poi»
pii infittiti iSalif. Tutto fillio.
Anale, jcu- ànrrltM* 1
A VG. CESARE. ARGENTO. A N T. PIO.
BRONZO. totani*- L’acconciatura di quelli
Salijcra vna velie honorc- turddis*- uo I Cj di calore pagonazzo, con vna
celata in capo,& quando ballauono pcrcoteuono i loro feudi con
vna daga,o pugnale che portauonoin mano. Uj,
■< Sdendoti tbumeti
Epuloni. 2>e \ij. h uomini Epuloni. Er
quanto fi è potuto conofccre, quello ordine d’Epuloni era vna fpetie di
faccr- doti,trouatida i Pontefici ppr ordinare! conuicichei Romani
faccuono,cclebran do le fede de i loro Dij, annuntiando il giorno
nel quale fi doueua fare la cena di Gioue:doucfc per fortuna accadcua che
la folcnnità non foflcintcra- mcnte oflcruata,con ledebite cerimonie, ci
lo diccuono à i Pontefici, che rimediauono à tutto ; quantunque i i
lutili*. GrccigHchiamaflbno piuto{ltì»^«f«, cioè,faccrdoti di buon tem
po, che fare facnficio à i loro Dij. L. CAL
xjj L. CALDO SEPTEMVIR EPVLONE. ARGENTO.
Vedeli la memoria di coftuianchorahoggi in Roma Vir<tm ^ e • 1 _
| \ c ' c * . . , ittica che per le paroleinragliarcin vna Guglia,
o Piramide di mar fìutdcint *■ jno quadrata, che fono tali, opvs a
bsolvtvm D i E _ «irto*. BVS CxXX. EX TBSTAM. C. CORNELII
TRIB. pleb. septemviri epvlon v m> le quali interpreta* tc
voltano dire,ch'ella fu fatta in ex xx. giorni per tc> ftamenro di
Caio Cornelio,Tribuno della plebe, & del numero di quelli v 1 1.
Epuloni, moftrando l’autorità & portanza che egli haucuono con limili
parole, tv c ivs CALDVS SEPTEMVIR EPVtONVM. De due y cl
xv. huomini. Tarquino fumo ordinati due
mini per fare fieri ficiorà quali ne agg Zeftio & Licinio Tribù
olì fletterò lino à temp Sylla,chc veneaggiunfcv.altri lcuan donc
duciamo che in tutto furnox v.lacerdoci fulamcn M buoni- tc:l’officio de
quali era d» leggere & interpretare i librila- P 3
mento il tm. — J»< tf- cri;
oSibilIini:&rifpondcre & consigliare al popolo Ro mano tutte le
cole dubbiofcjaffiftcndoiifacrificijd'A* pollo.romcmoftra il Tri podeftampato
nelle medaglie di Vitcllio & di Velpafiano con lettere che
dicono» qvindecim vir sacris fAc ivndis. \ ; v
VITELLIO. VESPASIANOTli '*■ • ARGENTO. ARGENTO.
* Del gran ‘Pontefice. Ra tutti i
Pontefici creaci da Numa nc fu fatto vno più grande degl altri,il qua*
lecol tempo venne in tanta riputatone chenonpoteua eflerne alcuno
fenonSe t l cttione Ba^aa a natorc,& cofi m orendo glabri
Pontefici drigri fon minori ncelcggeuonovn’altro.come fanno hoggi i
nc *É“cZ* ftri Cardinali vn Papa. Haueua quello gran Pontefice 5
cura delle eofc Sagre, coli priuatc come publiche» delle ^ . cerimonie,
prodigi], rnortorijjd’intcrpretarc le cofc diui? hp.u *
nc,fegnare,{criucrc accomandarci qualialtari&r Dij fi * doucuono fare
i facrificij : & Sopra tutto. por mente 8t ■ ’ prohibire
a : x J5 prohibirc che nuoue
vfanze non entragno in Roma perdifturbatc,o corrompere le
cerimoniedclla loro pri ma religione & loro Dij : della quale
autorità ha ferino non ricette- Cicerone nel Po ratio ne che fece
per conto della fua prò U0 "‘ 0n ^ 0tte pria cala in quello
modo» Cum multa, diuimtusfponnfi- cerimonie ces.amaiorilms no (lri«
inuenta arane inftirura fune, rum mini rt ^~ , . , J v , , 1 . / _
1 gwnr. praclanns quam quod )>o; @T religioni bui Deorum
immorta- lium , (g) flemma Xeipuhlica pratjfe \>oluerunt,'vt
ampi fimi clarifiimi Citte; ReipuMicabene gerendo , ‘Pontifico s
reli- gione; fapienttr interpretando , Rempuilicam conferttarenr.
Laonde per meglio inoltrare la lua autorità & dignità chcgl’antichi
(timauono tanta, eiportaua vn cappello, fatto nel modo che lì vede per le
medaglie di Celare Die tatore in compagnia del fimpulo& lettereche
dicono, ^fg^UnPò CAESAR IM0ERATOR PONTIFEX MAXIMVS. All
teficc. chora che in altre medaglie fi vegghino la tazza, il
cappcl lo, il limpulo,&: il lituo , come proprie infegne del
gran Pontefice. GIVL. CESARE. ARGENTO
argento li „ Non ottante quello fi
veggono anchora affai meglio cappella ^ quelle inlègnc della religione,
& cappello del gran Potè u$xT ° ^ ce nc » fregi di marmo , che fono
in Roma {colpite in quello modo. .MM
CAPPELLO 2) E L ‘Pontefice. ■
• • confetta- La confccratione di quello
Pontefice è tanto ridicu- tione dipo la & llrana,che ella merita
d’efièrc tutta interamente di- “rldentio. mollrata nel medefimo modo che
l’hà ferina Pruden- tio:il quale dice che quello Pontefice nel fuo habito
P5- tificale,con la miccra in tc(la,& la velie alzata entraoain
vna foflà,fopra la quale era vn pótedi legno tutto bue- cato,douc dal
Victimario era condotto vn toro ornato Horr Mi tutro fi° r * > &
d’oroin torno alcapo , che il detto coa- ctto,& del fangue co
fi caldo che n’v • cr i bufehi del ponte,cra il detto Pon
teficc cerimonie ductorctcriuanelp
Mti - feiua & trapclaua p Cenativi
loridi. il tordo di * litato libo.
*37 teficc tutto imbrattato con fregartene gl’occhi 3 gI’orec-
chUclabia & la bocca, & coll vfeendo fu ora coli fpor- cho &
brutto,& molto terribile a riguardare, era da tut- to il popolo
falutato & adorato. L’altre cerimonie , fatte per i
piccoliPontcfici,Flamini,Archiflamini & albera- no i conuiti
magnificamente apparecchiati, de quali hi jfcritro Macrobio dicendo, che
all'entrare della Cenale tifici, prime viuande prefentate erano fpinofi
di mare, dipoi s P ino fì & peloridi & fpondili,fpetic di nicchi
, o chiocciole mari- spo ^ c p* ne,& tordi,chc i Romani ftimorno cofi
dilicato cibo, che venuti in tauolalafciauono ogni altra viuanda ,
& pc^trouarli mcgliori nel tempo d'Auguftogli riempie- uono
dentro di più buòne cofe. Dipoi feruiuòno fpara- gi con vna gallina
grafia, oingraflàta àpoda, la quale vfanza leuò via pcrleggc & bando
publico Caio Annio cjjoAmifa Eannio, volendo che le galline fi
mangiaflero,comc elle ramo. erano trouatc,dclmodode iquai conuiti
chivuole an- chorapiù àpieno vederne lniftoria, legga Varrone &
ColumcIla,doucegli infognano tutti i modi della gola. Doppo quelle
colè veniuono piatti d’oftrighe, peloridi, che ci chiama , Salanos nigros
ffialbos, fpondilos&gly- BaUnL comandas,fpetie di nicchi &
d'altri pefei che non fi pof- fano (non fendo in vfo) altrimenti
dichiarare al nortro BeccafiebU tepo, bcccafichi, colombcllc,vn’arifta di
porco, cingialc, rorpórj . capretti, bcccafichi impattati,
po!ipi,oporpori et murici «i [angue del (angue de quali gPantichi
faccuono lo fcarlatto , & de quali fcriuédo Seneca nella prima
Epiftoladel x 1 1 1 1. libro dice , marauigliandofi della gola degli
huomini, O quanteforti di Conchili portati di lontani paefi palla-
zfcUmatti noper loftomacodell’huqmo,chclbno ben poucri d’in *
Seneca. gegno. gegno,&dilgratiati poi che
maggiore hanno lappemo che il ventre .El fccòdo piatto era d’vna teda di
cinguia- Ic,vn piatto di pelei fritti nella padella: vn piatto di
Som- sommta. mataj f atta delie poppe d'vna troia, che haucflTc
figliato frclcamente,lequali erano (limate tanto migliori quan- to
più erano piene di latte. Doppo quelle leruiuonoi petti dcH'anitre
faluatiche,ccrucllid’animali Jeifi , lepri, vani detta molti vccelli
arroftiti,con pani della Marca d’Ancona, ^Ancona. * quali fifaccuo no di
farina ftcmpcrata noue giorni ncl^ latifana,oalica,&poiarroftica con
zibibbo in vna pen- tlinio. toladi terra dentro alfornoja quale (come
dice Plinio) non fi poteua poi altrimenti disfarete mangiare fc non
meda nel lattc,o nell’acqua & nel mclIe.Et taleerail mo do del cenare
& l’apparecchio delle viuandede Pontefi- ci, ripiene d’vn fi grande
numero di viuande mefeokte. 2) e fi cerdoti ^ugttjldli^ di
loro collegio* I berlo Celare fu quello chccrcò prima,
il collegio defàccrdoti Augullalijdoppò Ihauerc edificato vn ten^io ad
Augu- ro, che C,. Caligu la co nfiigrò dipoi ap- porne fi
vede rUerio c» fare fondi glihngyfU
predo la morte di Tiberio per la fua medaglia di bronzo..CESARE.
CALIGVLA. BRONZO. BRONZO. Scriuc Strabono nell
in.Iibro della Tua Geografia che Tempio à LyoncdoucilRodano&laSona fi
congiungono in- * A w* ficmc ,fu fatto vn altare, &vn tempio doppo la
morte ’^yoM? d’Augufto,&quiui porta vnaftatua da tutte JcProuin-
cic della Francia, la quale cofa m’hà fatto penfitre che quello
poteflèeflereilluogOjdoucchoggilaBadiad’Ai- colonne di né,rifpctto alle
gran colonne di getto che vi fi veggono w dentro:&quiui penfcrei io
che folle fiato il collegio de i faccrdoti Auguftali, come chiaramente
dimoftra vna pietra antica di marmo, eh e fi vede nella chiefa delle
Mo nache di S. Pietro, in Lyonc, IO VI O. M.
> (VADCINNIVS VRBId FIL. MARTINVS SEQ.
SACER.DOS ROM AE ET A VG. AD ARAM AD CONFLV ENTES ARA.
RIS ET RHODANI FLAMEN ff. V 1 R IN CIVITATE SE QJ/AN OR
VM. Ter Per il
(opra (cricco epitaffio (ì conofcc , che non Co Ia-
menccàRoma&àLyonc,mapcr tutto il mondodoppo la morte d'Auguflogli
furono edificati templi, dcrizati a ^ CiU ' con vn collegio di Sacerdoti
detti Stxtum-'vir't^iu Ut. gujlalesjin honored’Auguflo, comcanchora fi
vedein vna pietra fcritta alla porta di S.Giufto in Lyone,in que-
llo modo, D. M. C AL VISI AE VBRICAE ET MEMORI AE
S A N C TISSI MAE P. POMPONIVS GEME LLl N VS limi. V I R A V G.
LVGD. À CONIVGI CARISSIMAE ET INCOMPARABILI POS
VIT. Tranquillo Quello collegio de gl’ Augurali venne col tempo
in sagio gA tanto credito, che( fecondo che fcriuc Tranquillo)
Scr- ba A«gW * gj 0 G a lb a innanzi che fode Imperatore, vi.
volleencrare dentro, & fu riceuutotraifàcerdoti Auguflali ,de
quali inficmecol Scflumuiratohaucndo àbaflanzafcritto,& maffime
neh n.libr.delle mie Antichità di Roraacócro all’oppenione dclI’Alciato
nelm. libro.del Codice, & moftroqual’era
rautoritàdcDecurioni,&comeei dona uono&diftribuiuono quelli
offici) perle Prouincic,tor nero à parlare della Cittàdi Lyone,la quale
doppo ede- re data popolata daPlanco per ordine del Senato Ro-
mano, paflò di grandezza, di magnificenza, & di richez- za tutte
raltrcterrcdelmondo,rifpettoallefierc& traffi- chi che fempre fono
flati in edà fatti , come ^iùi I Ugo io ho moflro ne detti mici libri
dell’Antichità di Roma, cdcndoobligatodi pagare quello debito alla mia
patria. De Aleuto. lodi
della Città di Lyooe. X 2) e
Sacerdoti di Cy Itele Madre degli Dei. Sacerdoti di quella dea fumo
detti Gal- li^ Archigalio il maggiore di loro:i qua li nel
principio della primaucra (come recita Herodiano)vfauonoogn’anno fa
re vnagran fella in honoredi quella, por il lìmulacro.o ftatua della,
acompngnato dalle più prctiolè cole, che haueuono in cala, come
vali riccamente lauorati d’oro & d’argento, elfendo permef- foà
ogniuno di traucllirlì & vcltirlì in che modoglipia- ccua celebrando
quella fella,la quale chiamarono Me- galejìa&ioè, maggiore di tutte
lai tre. Quella fu folcnne- mcntc già fatta da Com modo Impalipoi che
cghhcbbc (campato dallacongiurationedi Materno, & fattoli ta-
gliare la tella, però che clTo Commodo volendo ringra- tiare la dea del
pericolo paflàto,portò egli medelìmo tue tele reliquicdi quella, & il
popolo fecegrandi/Tima alle- grezza & diuerlì giuochiper la falutc
del Principe, chia- mandoli Seteria, cioè,facrifìcij di falutc:dcllc
quali ceri- monie chi vuole più largamente fapere, legga ilxxix.
libro delle Decadi di Liuio.Vedclì adunque che l’officio di tutti quelli
faccrdoti non era altro che fare facrificio à i loro demonij più rollo
che Dij,inlIcmecon procef- fìoni& orationi, oringratiamenti di
qualche vetroria hauuta, opcr mitigare l’ira dclcielo : portando
innanzi il lìmulacro di Giouc,& fu per i canti delle vie
pofando- lo fopra certi altari,quafì comc noi hoggi vlìamo di fa •
re per lafèlla del corpo di Chrillo,anchora che non con uenga quelle vere
& lecite à quelle falfc & profane ceri- ci
Calli, Sacer doli di Cy- bele. Tejla in ho nore
di <jne /la Dea. MrgalcfU.
Sacrificio di falutc d't to Sotcria. Tifo Limo.
Qual tra l'officio d'i faccrdoti. Cofiumi
de gli antichi guardati in trancio.
Ordine del le procreo ni degli an- tichi.
Nel I-libr. degli F ajli. monic aflomigliare.Et
à quello propofito io mi ricordo hauere veduta vna medaglia di Dominano,
nel rouclcio della quale era vna proceflìone fatta da i Romani,do-
uc fi vedeuono innanzi à tutti i fanciulli chetici, & poi i
fiiccrdoti più vecchi in habito, & getto dicaminarei tutti con vna
girlanda in tcfta.in mano vn ramo d’allo; ro,& l’Imperatore ncll’vltimo,
vettito di (carlatro:onde none dubbio alcuno che i prieghi, l'offerte, i
voti,i facri- ficij,& l'orationi fono i mezzi, per i quali
s’arriuaàgl’o-, recchi di Dio: quello che afiai bene haferitto
Ouidio quando ei dice, Fleti itur ir ar ut 'voce rogante
Deut. Sape Iouem \idi,cum fetta mietere pellet Fulmina, th ur
e dato fujlinuijjemanttm. L’orationeha tanta forza,fccondo
Pittagora,chc media te quella fiorirono tutte falere virtù, & ella
conduce l’huomo infino al cielo, eflendo fatta con fede inuerfo
Dio.il quale c quello che ci fa forti contro àtutte le pafi*. fioni&r
dilgratie humane,rifufcitandoinnoi Iafpcran- za che faremo difefi da
lui,&per mezzo dcH’orationcfà remo ripieni di carità con animo di
correggerci de no- ftri errori, &nó tornare piùà peccare, comchabbiamo
fatto per il pattato, trouàdoci tanto fortificati.che cofi fa cilmentenon
potremo piùcrrarc:Sc finalmente delibe- rando di viueregiuftamentc, &
accompagnarci con la temperanza con fermo propofito di vincere tutti
gl’tn- fortunijchecipoccttìnoaueniredi Dio, eflendo ragionc- uole
che fotte ringratiato colui,checidaua&dona tutti i beni, il che non
fi può fare per altro mezzo migliore. fittene, che quello
dcll’orationc:ilchc cófcrmò finalmente Pi* F de
loratione fecondo Pit tagora . cone
tonedicendo,chcà l’huomoera ncccflàrio d’honorarc,
& riuerirc Dio,volcndolo hauerc con elfo Iui,& prolpc murre
in rare in ogni atrionc:ondc fi vede che quelli che di que- ;ìfi
fto non hanno curarono il più delle volte dilgratiati, ne damentode fono
mai eflauditi da Dio, come per contrario fortunati o felici tutti coloro
che ricorrono à Dio, come moftra Homcrodicendo, o't «
èiriT<i'S»T«i, ixdtut Ti<t>u»r iu-n. Cioè, coluièeffauditodaDio,cheolIcruaifuoi
precetti. colui indi Era parimente l’officio di quelli fiiccrdou di
fare ogni [ 0 h ^ e ^\ annoi voti publicidoppoleCalendidi Gennaio, come
fuoiprtut- fcnueTacito nelfcfto libro de fuoi Annali, & Plinio Se
*«• condo nel fuo Panegirico, dicendo che i Romani vfauo atiiom*
nodi nominarci voti perl’eternità. deH'Impcrio , per la rL fanità de
Cittadini, & principalmente per Ja falutc de Principi, che è quello
che i Latini propriamente hanno detto, Nuncupare ìord, facendo facrificij
publici : onde 2T* 0 * nafccche fi trouano lettere diuerfe fcritte in
quella for- ma , vota PVBLICA, QVIN QV ENNAL1A, DECEN- N ALI A,
VICENN ALIA, TRICENNALIA, QVADRI* c e nn a l i a , come fi vede in
più medaglie di Impera - severo geta:
ARGENTO. ARGENTO. CRISPO. GIVLIANO.
BRONZO . ARGENTO.* CONSTANTI NO. GIVLIANO.
BRONZO.' BRONZO. Mallìm/a MAòSIMIANO.
DIOCLETlANO. BRONZO. BRONZO. ___ Faccuanfi
quefle cerimonie da ifaccrdoti &? Flami- ni vertici nel loro habito
(accrdotalc alla pri Lenza de- Confoli, Pretori &Cenfori, che
pigliauono il votopubli cp innanzi à tutto il popolo Romano. CARAC
ALL A. bronzo MEDAGLIONE DI CR
tSPINA. ' Tutti iM agi tirati di poifaceuonofcriuerequeftLvo
ìuotiferit- ri in vn marmo>o in vna tauola di ramc.battendo meda
wlicchc mollrauono gl’anni domadati per ricominciar- uolc di t *■
li,cio<ì di cinque in cinque anni, di x.di xx.di xxx. &tal Wf *
Ovolta iniìnoàxL. come moftrano le medaglieri Maf- fentio &
Dccentio,neIlcqualic ferino, votis qvin- QVENNAL1BYS MVLTiS D E C E
NN A LI B VS, ornate di cappelletti guarniti nella fommitàdel
laboro,& intór- no lettere che dicono, v ictorue do minouvm
NOSTRORVM AVCVSTORVM ET CAESARVM. M ASSENTI O. DECENTI
O. BRONZO- BRONZO. *47 $CUZ> O 7)1 FORM .A
oliale gratto del marmo antico . TERi
Etpcr le medaglie d* Antonino Pio &. di M. Aurelio Ci veggono i
voti fatti per zo.anni conejueftc parole,v ot a syscepta vicennalia,&
iUàcerdotc il qual prò-, metto de render i voti.
; i- ■' ,|K3Kl L'/ * v
Ó Q. 4 é
MS della religione FLAVIO Gl VL IO
CRISPO ” BRONZO. BRONZO.. Tra l’altrc mie
medaglie ione hòdue d’argento l’vna di Valente & l’altra di Teodono
Irap.ne rouefei delle, voti# jo. fi veggono i voti di
xxx.&2fxxx.anni,conrimagi tir 4 m ne di Roma à federe,chc tiene
vn globo io mano con la croce difopra , lignificando [imperio de principi
Chri- ftiani. VALENTE. TEODOSIO. Quello
elici faccrdotidomandauonoin quelli voti inliemecol popolosa lunghezza di
vita per gl’impe- ratori. Ronwiù w lor
uoti,<ì gli Dei. a*? ratori , ficurtà
dell’Imperio , la grandezza della cala de cfcr donni i i.Principi,la
fortezza delleflercito^a fidelità del Sena- <<4 " 4no ' to,la
bontà del popolosa pace del mondo, & Iavctto- ria contro à
nimici,comc li vede per le medaglie polle quidi fopra,doue habbiamo
villo, vie tori a domi- NORVM NOSTROR VM AVGVSTORVM ET CAE-
s a r v m, in maniera che quelli voti hanno durato infi- no
àhogg’,&fubito che i Romani erano giunti al ter- mine di elfi, di
nuouo ringratiauono Dio,& (come fcri- uc Plinio Secondo à
Traiano)faceuono altari con facri p /&„•„ $ f _ ficij, balli, fede
& conuiti, dimando opera rcligiofa & pia,quello che piu torto fi
doucua profano Si empio KO manintt giudicare, poi che egli haueuono
licenzadi fare ogni ma ringratù - lcicon ciò fia infino che negli
Anfiteatri i carcerieri correuòno per il circo, le bertic feroci erano
ammaza- noti «iu- te, i gladiatori sbranati, & gli Imperatori faliti
lopra vn piut, ‘ palco ragionauono di dare la Mancia ai-popolo , che
fdtrimnti gridaua ad alta voce, c<w ?~ Denofins dnnu
dugedt ubi I uff iter dnnos. Latino, cr Et mentre che fi faceuono
quelli voti, il Pontefice era tramo di - vcftito d’vna verta lina tutta
bianca, & lunga fino ài piedijfignificando la fermezza d’vna
rifplendcnte virtù: za. & de gli altriiàcerdoti chi cantaua
hymni &peani,chi fonaua flauti, chi la lira, o la ceterajn tanto che
il mini- ftrodcl facrificio tcneua vn bue,& vn’alcro detto
vitti- roario lammazaua,comc fi potrà vedere nelle Meda- glie di
Dominano, & di Geta per la cclebrarionc de i cMtuu* loro giuochi,
& fcfte feculari. ™ bi 5 ri.
» ■ -enfe- r*b% tljrm 4 FtGVRA ritratta
h t* (/^ gmochifeciLm d\yt*g*fb. iiiiiii
DOMITI A N O ANT. GETA
BRONZO. BRONZO. domiti ano:
BRONZO. BRONZÒ. Facendoli quelli facrificij , tutto il
popolo in Geme con l lmperatorc fi
inginocchiaua.&adorauono i loro fallì Dij,come lì vede
nelle mcdagliedi Dominano. DOMI Sagrauono
nmilmcntc le imagini de i loro Dij > non firn* togli per amore di
quelle (come dice Platone) ma perche elle fomigliauono le deità di
quelli, come noi hoggi figuria- mo le no(lre,& tral’altrc cofc
venerauono affai la faetta di Gioueffimaginedellaqualccra confagràta dal
gran d! UtoZ Pontefice, (limando che per quella via il popolo
&lc fiumi!*» biade farebbono accurati dalla tempefta del ciclo,
co- 4i Romam. me fa vc dcpcr le medaglie qui di fotto. TV G V
S T o! A N T. P 1 0~ A’ que ijj A' quello
mcdcfimo effetto quello che i Cetili oflci> ùauono& crcdcuono
nella loro fupcrftitiofa religione, noi l’vfiamo hoggi nella
conlàcrationcdcllc noftrc cam Confacra- panc, (limando che fonate caccino
il mal tempo, fi co- me egli vfauono ilfalc,l’acqua&gli cflorcifmi,pcnfan
• do che cacciafiìno i cattiui (piriti d intorno à i luoghi,
& à le perfone:ondcio mi marauiglio grandemente che tanti begli
ingegni, & valorofi faui,& prudenti huomi- ni, come fumo i
Romani, penlàflino ((appendo la licen tiofa& dishonefta vita di
Gioue) che egli hauefle forza La uta 4 di tonare, danneggiare, mandare
laette, & beneficare le ^ iou * co le humanc,chiamandolo Ottimo,
Mafiìmo & Omni potente , & perche più torto non crcdefiìnodi poi
che Chrifto era già nato di molto tempo, che come illoro
Efculapiojchci fcciono volare al cielo per forza, non hrrtligio. poteflè
più torto Giefu Chrifto hauere rifulcitato i mor- • ti,& che ci
folTc figliuolo d’vna vergine, come ei diceuo - no che vergine era Verta
&madrc de gli Dei, & chcno- ftro Signore haueua alluminato vn
cicco, come egli af- fermauono hauere veduto fare quello medefimo
mi- racolo à Vcfpafiano in Alertandria.Ma tutta quella in-
credulità nafceua dal demonio che gl’accccaua. Ha- ucndo aliai à balla
nzaoflcruato & Icritto de l’ordine di quelli facerdoti,facrificij
& voti , i quali erano anchora, che fecondo lefortune che egli
haueuono (campate & la qualità de voti fatti, egli appicauono alle
mura de haucr t /Um templi le tauole,douc erano dipinti tutti i cali, fi
come pato qual - hoggi fi coftuma in Fiorenza, & in molte altre
chicfe f . he ca f° * d'Italia,ondcHoratio fcriflc; Fortiuw.
Me rnr qual ca gioitegli ut fichi facri
* ficomo. Cerimonie del ftcrifi-
ciò. Moti. Plinio nel 17. libr.de
tHifioria tutur. N«n»M fa- cùfico il primo 4 Dio,
fecon- do il diredi Plinio. Microbio. Virgilio.
purgatione degli anti- chi con l'oc qua
ffiarfa. Jrfe tabula facer ZJ attua paria indicai h umida
Sufj>endiJJe potenti ZJefimenta maria Dee. Refla à vedere
tutte le cerimonie & inftrumcnti vfad da glantichi ne i loro
làcrificij,i quali fc alcuno mi do- mandali! perche erano fatti,
rifponderei per tre cofc. La prima,pcr honore di Diod’altraper vtilcdel
faccrdote, che impetrauafanitàper il Principc,& per il
popoIo;co- mc cofa più prctiofa tra l’altre, & la terza , per
doman- dare perdono à Dio dcgl’crrori commcflì, pregandolo di
volere fanarc l’alma inferma. Era adunque il princi- pio di quello
facrificio che il prete innanzi, che ammaz- zare la bcflia,lcmcttcua fui
capo , o Culla fronte della farina, dell’orzo arroflito,& del fale
tutti mcfcolati in- ficine, la quale millura gl antichi chiamorono
Mola, come fi vede in Plinio, quando ei dice, che Numa fu il primo
chcfacrificò à Dio col grano, & lo pregò con la mola falatarnondimeno
innanzi che fàcrificareil faccr- dote fi lauaua,& quando volcua
folamcntc rappacifi- care l'ira de gli Dei,o rallegrarli fi gettaua
l'acqua fopra» come fcriuc Macrobio,& Vcrgilio parlando di
Didone apparecchiata per fare facrificio, ^yfnnam,cara mihi
nutrixfuc fi fi e fororem. Die corpus properet fluuialifargere
lympha. Etaltroue quando il detto Poeta parla della fèpoltura
di Mifeno,ci moftra come gl’ailìilenti al facrificio erano purgati dal
facerdote con l’acqua fparfa convn ramo d’vliuo,o d’alloro nel modo
chefeguev Idem ter focios pura circumtulit inda, Spar
$pdrgen$rortleHÌ,(èfr rtmoftlicìi olia*, _ \ Mai
Romani di jjoì in luogo di quelli rami vfarono vn’afperge, limile a
quella che fi colliima hoggi nelle nollre chicle, come li vede in più
medaglie & fregi an- tichi che fono à Romaà quello modo.Quelta
alperge llaua ncll’acqua,douc prima era /la- ro fpcntovn torchio
accerojchchaueuaferuiro al làcri- ficiofu l’altare. Et di qui
nacque l’acqua di Mercurio . predo alla porta Appia,della quale via ua il
popolo Ro" « £££ manoinuocando Mercurio, & penfando coli
fcanccl- s ^ rr fi i ~ Ure i peccati leggieri & fpccialmcnre la fede
rotta , & le ‘ÌZ bugic.Oltrc a quello ho olléruato che gl’antichi
driza- uono innanzi ài loro templi vna Pila magnifica, douc del
continouo teneuonol’acqua, con la quale li tocca- uono prima che entrare
nel tempio per fare fa orificio. A %}(
‘PILLjl T 1 2t sAT DEL ' marmo antico. *
I !» ir
Vfauonodi poi vn’altro vafctto minore & portatile. li con acqua,
limile à quello che portano anchora hoggi uà nelle chicfc &
fuora i noftri preti. 1 1 Fi g V a sin
ir tot tf VI 257
FigVK^l 2)' UK VASETTO portàtile a tenere l acqua [aera.
Ma gl’Hebrcià l’entrare de loro templi vfauonovn Tind gran
vafo fatto in forma di Tina, chiamato da i Latini altrimenti lal>rum ì
del quale i facerdoti che andauono per (acrilica- re pigliando dell’acqua
lì lauauono le mani,& i piedi, & il modo di volendola benedire vi
gittauono dentro le cenere della f ar l ac ì u4 vittima arfa,& di
quella con vn ramo d’hifopo bagna- degli h «- uonogl’alfiftenti, benché
io ho ofleruatoche nella fine trfi * de loro facrifìcij, quando il fuoco
era per mancare, vi gittauono fopra certe fcheggicdi cedro, hifopo ,
& co- rnino, & della cenere diqucfte tre cofefaceuono
l’acqua facra.Douec danotarcchein tutti i facrifìcij antichi lì
rrèfortidi trouauono tre forti di purgationi,cioè di pino, di zolfo,
pmrgationi & d’acqua, quello che conferma Plinio nel vi. libro
quando ei dice che la teda, o vero pino tra tutti gl’albc- ri, che fanno
la ragia, è molto grato per il fuo fuoco nei R
i5 8 vrodo. facrificij. Del zolfo (come dice Proclo) vfarono i
faccr- doticon 1 alphalto o bitume, & acqua di mare nelle loro
purificationi,pcrchc il zolfo per l’acutezzadcf fuo odo- zoìfo. ^ re ha
forza di purificare.Et Plinio /criue che il zolfo è buonoalla religione
&per purgare le cafe col fuo fu- mo. Oltre a quello i fàccrdoti
ftauono conrinenri & di- giunauono prima checntrarc al
facrificio,ondc volen- ti»* ^.° ^ uma Pom P'^° pregare perla ricolta
& facrificnre, Tompj&di s aftenne prima dal mangiare della carne,
& dalle don- GiulUno nc. Et Giuliano Imperarore(fe noi vogliamo
crede- spartùno. re a Spaziano) fi contentò prima che andare al
facri- ficio di cenare d’hcrbe & di pere folamenteicon ciò fia
(come dice Porfirio) che l'vfo della carne nuoca piùto- fto alla
fanità chele gioui,confiderato che le infermità nenzf. afii ' fi N
g uarifcon ° benc fpàfo per dieta. Et cofi per fobrie- ta,pcr carità,
& religione debbiamo cercare di purgare, & nettare l’anima ,
acciochc ella viua ficura contro ì ogni pericolo che le poteflè auenirc,
cacciando da noi . tutti i penfierichecipo{Tonoporrarepregiudicio,&o£
fufcarci 1 ingegno & la ragione, confiderato che I’afti-
nenzaguardal huomo di peccare, la /obrietà fa finge - TauoUfu- gno
fottile,&ildigiunoperl’eflèmpiodellatauoIa/agra bru'dì ri- & ^ 0
^ r,a ^ e P‘ ta g or,c, >cifa viucrc lungamente. La legge tagorid. de
i Bracmani era tale, che ella non patiua , che alcuno ugge de entraflè
nelloro collegi o,chc non potelfe aftenerfi dalla diunto i carne, dal
vino, & dal peccato. Et le noi porremo ben hjUncnzi. mente al x xx v.
libro di Tito Liuio, noi troueremo il digiuno c ^ c il digiuno fu
oflcruato per «lamichi, quando ei di- ojjWo ce, che comandando il Senato
all’officio de’Dicci huo- Sf anti ' mini di riguardare i libri
Sibillini,pcr intendere il /igni- iìcato d'alca ni
prodigaci rilpofono,chc bilognaua di cinque in cinque anni ordinare i
digiuni in honore del- la Dea Cerere. Ma quanto alla continenza, ella c
vtile all’anima &r al corpo,comc inoltrarono ilaccrdori de- gli
Atenielì chiamati Hierofantes , i quali lìcallrauono h icrofdn* col bere
il fugo di la cicuta.Ne balla quello (blamente, Us ‘ che ei bifogna
fpogliarlì d’ogni affezione & pallìone particulare , come dice
Cicerone nelle Tue queltioni cicerone • Tulculanc, chiamandole
pcllifercmallattie dell’animo: ondeincambio,che gl’antichi
penlauonodilauare con l’acqua i loro peccati , lauiamo noi con la
penitenzai penitenza noltri euori/eguitandoin quella la Temenza di
Seneca. èilueromo in Thiefte,dooc ei dice, t&fi'ì /£ Qutm
poenitet peccajje,pene e/l innocens.. Iute. La quale cofa ci
feruira di vero zolfo , Se vera bitume , Seneta * come Icriflc Ouidio,nel
libro </r Tonto, ouidio. Sape leuant pcenas,ereptd<jue lumia*
reddunt, Cùm bene peccati poenieuijje V idear. Vlauono
anchora gl’antichi rElcmolìna , come ferme Spartiano nella vita d’Antonino
Caracalla, dicendo, s P* rtiano ' 'Nontenaxin Urgitionem , non lentus in
eleemofynam. Ec La limojìn* Homcro narra d’vn giouaneche s’adira con
Anrinoo “ ^P r< \“ Proco, perche egli haucua ingiuriato vn pouero huo-
m tr^gU mo, che gli domandaua la limolala innanzi aH’vfcio R- 0
'"*'"*"»- della Tua cala, inoltrandogli che Diocclclle
lopunireb- *** ** be.E' certo che i laccrdotidc Gentili innanzi che fare
tf*eerdo i i facrifìcio lì confeflauonod’hauereerrato,domandando
(come dice Pitagora & Orfeo) ài loro Dij Tempre cofe facrip.care
giulle,doppo la quale confcdionc publica il preteche u f auAno ld andaua
innanzi & miniltraualecole fagre vfaua di f lr co ^ c P ,onr ‘
R a 2.60 silcntio ne - mili parole, hoc age , per
fare che il popolo tacef- <'ir™ ncl fc,& ftclfc intento à i
facrificij, facccndo fare largo con grf . 7 vna bacchcttaùlqualcfilentioè
neceffario nelle cofcfa- grc,come Icriuc Ver^ilio quando dice,
Hinc fida filtntia fiacris. Non elfendo dubbio alcuno che
ogni bene procede rune ft- d a l poco parlare. Et coli il prete comandaua
fautrtfa- trfto. crù,ò funere linguis , che altro non è (come dice
Fedo) che honafiari, le quali parole io ho vfate latine per
non vfeirefuora de termini antichi circa ài facrificij, maflì- «
inamente che i noftri poethvolcndo dire filentio, vfa- rono aliai quello
\cxbo fiauere. Finalmente quando il -, . prete s’appreflaua all’altare
per facrificare, ei lo trouaua ornato in quello modo, FigVX^i
2 ) 1 U ^ LT^XE 0 nato de fiefioni,come fi vede nel marmo antico
Menandro. Et il faccrdotc era coronato d’herbe chiamate
ver- verbene. bene, per edere appropriate,& (limate felici ne i
facrifì- cij.Ie quali coglieuono in luoghi fagri : quantunque noi
impropriamente parlando chiamiamo verbene Tallo- ro,Tvliuo,& la
mortine, nondimeno Mcnandro afferma che quello era proprio la mortine
vfata nelle loropurifi cationi infieme col Pcntafìlo,chc noi diciamo
cinque foglie:anzi erano gTantichi d'oppinione che Tvliuo foflè
proprietà albero tanto netto &puro,che fcvna meretrice, o altra
^Muo. femina impudica lo toccaua , o piantaua,non portadè frutto,
& fi fcccadè.Et benché gTantichi ornaffino i lo- ro altari di quede
foglie , pur nondimeno (limauono che ogni Dio haueife la fua hcrba,&
albero particularc: comeGioue Te(cuIo,ch’è vna fpctiedi quercia,
Apollo l’alloro, Minerua Tvliuo, Venere la mortinc,àcaufadel fuo
buono odore,Pan il pino, & gli Dei infernali Tarci- preflò, per non
rimettere mai quefla pianta vna volta f° tagliato tagliata, non più che
vn morto non e buono à nulla: Bacco Tcllera,& Hercolcil popolo
nominato di (opra. veUeraeo- Stimauonoparimentechc ogni loro Dio hauede
vna- * nimale proprio, come Bacco la capra,o ilbecco, perche ogni
dìo I Romani eonfatraro - no ad ogni Dio
la fua berba. Varcipref- ei nuoce alle vigne.
Cerere la troia, perche guadale *» biade, Diana ilceruio & il cane,
Nettunodl cauallo per proprio. le ragioni allegate di
fopra,Fauno,laca^l,Gioue il to- ro, Efculapio il gallo,
& Ifis , Tocha. NclTimmolaré adunque, o (àcrificarc quedi animali, il
Flamine, o fa'- cerdoteera veditod’vna vede di lino bianca,
chiamata da Latini lignificando che la purità e grata
àDio,& perche ogni colà che efee della terra , è nel fuo t fce di
u principiopura & nettadaquaje vfanza c anchora hoggi terra ' m
~ R 3 “ t0 ' Zdi trai noftri preti nella
popa di loro faenfieij, & nel prin cipio che egli entrano all'altare
: & vogliono alcuni che gl'Egittij ne fodero inuctori,vfando le dette
velli ne i fa- crificij d’vn lino detto A^/flWjonde fu detta la vede
Xylin* rUnio. nel modo che lo IcriuePlinionel xvi ni. libro
dell’Hi- cucrone. fLoria naturale. He Cicerone dice nel libro delle
Leggi, che il colore bipco e molto grato à Dio:&r che le vedi
colorate non debbono fcruire le non à gl'huomini di HrfWfo de
guerra:fomma, che quello habito faccrdotalecra fi lun- [kcerdoti
go,ched’ogni parte dracinaua per terra, come lì vede per la prclcnte
figura. SACRIFICIO TIRATO DEL MARMO ARTI, co Ài
Jlom*. Veluuon a * 3
Veftiuonfi ancora quelli faccrdoti d’vna tonaca dr-
pinta,&foprala tonaca vna falcia intorno al petto, fi
comcparlandodiNuma Pompilio ha fcritto Tito Li- uio,dicendo che ei creò à
Giouc vn Flamine Diale per- petuo, vcftillo d’vna bella verte , &gli
donò la Iella Cu- rulc:& clic oltre à quello ordinò xii. preti Salij
per fa- re lacrificio à Marte, vertendoli d’vna tonaca dipinta con
vna falcia di rame intorno al petto, quali nella ma- niera che vlàno
hoggi i noftri facerdori.ma di feta orna- ta d’argento, & d’oro,
& di piecre pretiofe.Ornolli Umil- mente d’vn cappello di la nabiàca,
chiamato Albogalc- ro,il quale perche à caufa del troppo caldo non
pote- uono Iellate fopportare,fi legauono vn filo intorno al
capo,non ellendo loro lecito d’andare lènza nulla in te- rta,nondimeno
bifognaua che idi delle felle lo portafli- no,pcr moftrare meglio la
dignità facerdotale: oltre à tutte quelle cofe bifognaua che il facerdore
antico ha- uerteil caporafo/ccondoil modo degli Egitti] , come
fcriuono Herodoto&Plinio,dicendo che altroue i pre- ti portauonoi
capcgli,main Egitto nonronde Com- modo Antonino volendo portare (come
fcriue Lam- pridio)rimagined’Anubi,bifognòchefiradefie il capo: ia
quale cola gl’interpreti della Icrittura (aera , & mallì- mc S.
Hieronimo hanno interpretata che la tefta rafa non vuole altro
lignificare,, che la depofitionc di tutti i penficri & cofe
temporali, & che la corona, ò cherica de ipreti fignificala corona
del cielo. Ma ritornan- do alle cerimonie de noftri facrificij antichi ,
dico che quando fi veniua à facri ficare , il facerdore voltando-
li dallaltarc inuerfo il popolo, fi mcttcua la mano al- R 4
Tonaca do i fateraori. Tito Lir.
MÌO. A Ihogale- royucjlimtn to del fla-
mine Diale* Alfacerdo- te non tra lecito an- dar con
la tefta ignu- da. il facerdo- te antico
baueua la tejta rafa. Commodo fi fece ra- dere il
ca- po. Hieroni- mo. Cherica de
freti. Segno di fi- lmilo. *?4
DELLA RELIGIONE la bocca, lignificandoli il filcntio, quali nel modo che
fi sonatori volgono i preti di noftra religione : nel quale mezzo *
"io. ^ auc ‘ & ^ cctcrc fonauono,i quali flauti ne i facrificij
erano di boflolo : & nelle fede & giuochi fècolari d’àr-
ornamento g cnto > & la vittima paffo à paflo andaua caminando
4riu uitti- verfo l’altare ornata di fiori intorno al capo, & certi
pa- m ' ternoftri dorati, che le penderono dalla punta de corni,
efifendo condotta da i vittimarij mezi vediti d’altre pelli ntn ,
JU di beftie,chc egli haueuonogia facrificate, comcmoftra Ouidio
dicendo, -Induraque cornilus auro vaglio. Vittima.
EtVergilio, vlinio. ^ ft atUdm ante ar4S dUrata fronte
iuuencum. Quello che ha confermato Umilmente Plinio , nel
xxxiii. libro deH’Hiftoria naturale, douc ci dice, che non fi penfaua nel
fuo tempo ad altra colà che trouare vna gran bcftia,con le corna
doratc,pcr farne honore & facrificio «à gli Dij immortali nel modo
che fi vede qui difotto. FIG V DE
GL ANTICHI ROMANI. is 5 • FiCjVR^ YlrTZrrfZi IdeZ marmo
antico, che fi vede in Roma. Mala viteima minore cheli
doneua imolareà qual- i» oUtione che Dio,era coronata d’vn ramo delle
foglie dell albero dedicato arale Dio,o veramente d’vna falcia di
lana, chiamata infula, dalla quale pendeuonoduc bendedette Tal viti
da Greci, & Vitu & a i Latini, & fe menata all'alta- re Lenza
clfcre legara(quantunquc per l’adietro ella lo fo ledè ellèrcjcome
inoltra Iuuenaledicendo, Sei proctil extenfum perulans <j uatìt
hojìia funem.) segni di ella faccua refiltcza d’accoltarlì , o fi
fuggiua,o che per-, colla gridaua,o cadcua da vn’altro lato che quello,
che lime de ro dilègnauono i Romanici pélauono quello cllere mal- mani
• R 5 Virgilio . 1
Vittima ri j dowrjli- t duerno le bejUcperle
vittime. Tranquil- lo. Audacia di Ceftre.
Btfticpiù utili ithuo
a<r<? ‘l’augurio,# illacrificio non grato à gli Dij,
nondimeno non lafciauonod’ammazzarlaful luogo medcfìmo,do- ue era
fopragiunta, come per contrario,pigliauonoin bcne/c pacientcmente ella
afpcrtaua il colporqucllo che ha moftro Vcrgilio in quel verfo,chc
dice. Et duElus cornu Jldbit fteer bircus dJ dir dm.
& Hadriano Imperatore nelle fuc medaglie. MED. GRECA
D’HAD~RIANO. BRONZO. _____ BRONZO Dipoi per
ouuiare à quefli dubbi) , Scnondiftur- barei {acri fìcij,ordinorno gli
antichi i vittimarij à po- lla, che domellicauono le beftie, & coli
facilmente le conduceuonoaH‘altare:quantunque Celare del fuggire, o
non fuggire della vittima(come lèriucTraquilh faceflèconto,&non
IalcialTedi combattere doue rione lì prefentaua : anzi fumo gl’antichi in
quelli, riolì , che prima che itnolare vna bcftia.la poneuo
mentedaleapo lino ài piedi, accioche ella folle fènz "^ , ~ula,&
coli pcnfauonodouerc cflerc molto piùgra- Ioro Dij.Etfurono le vittime
vfatedai Romani,!* ;a,la troiani bue, &la capra,comebellicpiù
man- fuece z6 7 fuctc& facili à
condurre douc l’huomo vuole, & an- no, trono cho come beftìe più
vtili alla vira dcH’huomo, con ciò lìache le pecore danno il latte &
la lana, & i buoi lauora- p t u e de «- noia terra , & del jfelo
delle capre gl’antichi faccuono ft roniin feltri per la pioggia, &
delle pelle dccaftroni cucite in- v ^ 0 ‘* , ^ oUd ficme , i foldati
mantelli perla guerra.Et coli nelprin cipio del facrificio illàcerdotc
Romano veniua all’al- tare velato Scoronato d’alloro in compagnia del
coro di fanciulli^ fonatori di flauti & di ccrere.che fonauo-
no&cantauono,come moftralaprefcnte medaglia di Longino Triumuiro.
ti Romani perla gu nr ra. LONGINO
TRIVMVIRO. ARGENTO. ARGENTO. Oltre
àqueflo non farebbe parfo interamente buo- no ilfacrificiOjfc illaccrdore
non haueflè tenuta la ma- no fu l’altare , come ha moftro Vergilio nel 4.
dell’ Ac- vtrgilio. neid.doueei dice: Talli ut orantem JiBis
ardfijue tenentem ’ * ^duJtit omniporens.
Volta soltuono i Voltaua Umilmente il iàcerdotc il
vifo all’Oriente nel g^Umt P rc g arc gli Di j, -fida mattina di
buon’hora, {limando titutxr f*- gl’antichi che quello folle il tempo
proprio, nel quale gli ucrfrorié- Dci lecndeuono nel tempio perricctiere
& vdirc i prie* te. ghi,& voti di queflo
&dic]ucllo:Ia<]uaIev{anzahabbia Forano, moritenutaanchora noi
ncllanoflra Rcligione:& Por- fino ha voluto che le ftatue &
entrate de templi fiano tutte volte aH’OrientCjConforme in
<juc{lo(feben miri- cordo)con Vitru uio. ' FiqLm^t
TlTt^T^l Z> L- la colonna di Traiano.
tifine 1 Doppo quello il facerdote pigliaua tra le
corna della vittima del pelo, & lo gitrauafoprail fuoco accelo,
nel modo che ha fcritto Vergilio quando dice. Et fummat
carpens mediti inter comua feto*» Jgnibta imponitfacris.
La quale fuffumigatione fatta con altre di frutti & biade
primaticcie, chiamate dai Greci come fi vede per la prelènte
figura. i Co Virgilio .
Fl^VR^A T> E COLTURE, don erano polle le primicie ftj
fruttijnnanzi cine facrifìcafiino. Gl’antichi
penfauono quelto cflcreaugurio di futura fertilità, rendendo gratic à gli
Dij d’cflcrc arriuati in vn tempo più ciuile,& più bcllo,nel quale in
cambio di ghi ande & d’orzo potcuono mangiare viuande più dili-
catc. I granelli di quello orzo mclcolati con Tale ( Sic
mifcel a 7 o Cerche mef tnifìellam inteìligunt Oraci
ex hordeo, & f*le> mar eri am ) Ronuni f- fichiamauono
Ole&cUle,\ quali coli magiauonagl'an- orzo con il tichi,prima che
folle in vfo il macinare. Ne vi mefcola- rt ficrifi- uono *1 P cr h
fertilità, eflcfndo cola (Ieri le, nc manco àj. per ringratiaregli
Dij,ma perche lo Rimarono vn lega- Uftlcriprc mc £ f e£ , no d’amicitia ,
& di qui nafceua che innanzi à game dumi gl hofti&aglamici
liprclentaua il (ale prima che tutte citu. l’altrccofè, volendo /igni
ficare la fermezza dcH’amici- tia,& moltrarechecomedi più acque
fijfavn corpofo- Iidò(quajc c il (ale)cofi della volontà di più perfone
fi genera vna perfetta concordia & amicitia. il medefimo
faccrdote d ipoi gittaua tra le corna della vittima la mo- la, &
verfaua del vino,comehà moftroVergilio, douc ei dice.
Simbolo di ucraamici- tu. Mola.
Vrobatione -Frontone inuergit vinafacerdos. della uitti -
lignificando per quello che la vittima era crcfciuta in di ma "
gnitàr&ancho lo faceuonopcr prouarc fecllahaucua paura ,
{limando che lenza la mola il ficrificio non era . . grato à i loro
Dij:&: il vino era portato in vn vafo detto l 0 . Prcfcriculo,per
vnodei miniflridel lacnficio,nclmodo chcfe ne veggono à Roma invìi
marmo antico. VUSO VUSO, Tinnirò DEL M^tR- mo
antico-, chiamato ^ref inculo. Ma innanzi che il prete
fpargefleil vinofu la tcftadel- Ia vittima,
eil’aflàggiauacoì/ìmpulojchceravnaltro pie s imputo. colovafo ,
fatto nel modo che fi vede qui difotto,& ri- tratto da diuerfi marmi
& medaglie antiche. SI MTV LI TIRATI D‘V 2ST fregio
dntico cine in Roma. Ne man t 7 i
i Ro»Mn{ Ne manco fi faceuono quelli fiicrificij fenza fuoco, il
non fucrifi- q Ua J c era dilegnc (ceche porte fu l'altarc,fi come
vfiamo ““fuoco, anchora hoggi ne i noftri facrificij (non per
ouuiareallc tcnebre,ma per moftrarc nell’adoratione fegno di gioia)
& come fi vede per il candeliere de gl’antichi, fatto in quella
forma, CERVELLI ERE, RITRUT- to del nurmo antico.
M ^ Lclegnedel detto facrificiononpoteuonoc/Ièred’v- téttiu
o tu- liuo,d’alIoro,ne di quercia, perche gl’antichi ftimauono *’"*•
che tutti quelli alberi faceflìnocattiuoaugurio:& quan- fidccold il
do il facerdote racccndcua,pigliaua vna fiaccola di pi- P in0 \ • no
guardando bene di non errare fecondo l’ordine delle Cerimonie ’o ,
• i , i i< -t primdch oc loro cerimonie antiche ,doppo le quali
il prete toccaua eiderUuit- | a k e ftj aC0 n vn coltello, dalla iella
per infino allacoda, yergìlìo, come ha moftro Virgilio, douc dice»
Et V 273
(. -Et tempora ferro ' Stimma notar pecudum.
Comandando dipoi al vittimano di mettere i coltelli fo pra alla
bcftia,come dinuouo ha inoltrato Virgilio qua do dice,
Supponunr alif cultros , Et di qui c nato che gl’antichi
diceuono mattare, cioè crefccre,percotcndo la viteima con vn maglio/atto
nel modochefi vede qui difotto, MAGLIO ET SCURE
con quali ammazzinone le Vittime. Non era
lecito à i miniftri di percuotere la vittima» ^ fé il faccrdote non
Io comandaua;gI habiti de quali per i mnìjbi cflerc differenti , mi è
parfo inoltrarne la figura qui di- d, ff eTtnte > (beco.
S *74 FICfV'R^l Z>’ l
MJlslJSTXJ del facrifdo, ritratta del marmo antico.
Et tutti quelli ch’andauono innanzi 1 . grand jfacrifì cijdicenro
buoi, chiamati Hecntombc,ciòè trombet ti, fonatori di flauti, o dicorni,
& quei chcconduccuo no le vittime , óccheporrauono i vali, Se altre
cofe ne ceflaric per il ficrificio, èrano differen temerne corona
ti, 6i vcftiri *ncl modo che fi vedc.qui difolto, H
eeatobr. SO no innanzi alle
vittime, Quella vittima era bene fpellbammazata di
coltello, colteUochi fubico che il làcerdotc comandaua di ferirla nella
gola, Sf " il quale coltello, chiamato Seeejpira, era limile à
quello ritratto da i marmi & fregi antichi , che fi veggono in
Roma. S a ■v zf? Wf i <K1 / X r z J ! qjj
^ L 1 ammazzino le vittime. Etalcunialtri
tcneuonograndillìmi bacini da loro detti difchi,per riceucre gli
inteftini della beftia,Ia forma de quali Ci vede in Italia & in
Francia in molti luoghi fatta à quello modo. S
Tutte quelle colè non erano fatte lènza millerio, con ciò lìa,chc doppo
haucre glatichi lacrificato i buoi, per Mijitrio memoria del facrificio,&
in honorede loro Dij faccuo- no f u I luogo (colpire 1 bacini, &:i
tcfchidc buoi, có fcfto* pojitnticni. # . c • . \ | . r , . .
nnntorno.comeinpiulati li vede mgran marmi anti- chi, & maflìme
fopraà gl’archi delle pone di S.Giufto in Lyonc. 2) 1
S CO, 0 2 CI Fregio *7* FX3 q io TTYZTro Wltm
marmo antico eh' è in Lyone. • Pelle
detto vittima in- Alcuni alcri,lcQrticatada
vittima/accuorio rtietrère la pclleconl’altreinfegne della religione,
dormendo bene fpeffone i templi fopra le dette pelli, per affettare la
ri- religione. fpofta de iloro Dij,come mollraVerglio, quando dice,
y ‘Pellihus ine uh ut t JlratisJomnofque perirne. S 4
vìD l “ UT'' I Giu Etficomeletcftedc
buoi erano quiui collocate per moftrare la pietà & la religione,
& tutte le loro cerimo- nie vfate nei facrificij, colici
mctteuonoanchora quelle de caftroni facrificati,fi come fi vede nel
fopradetto fre- gio, onde io ho fatta ritrarre la prefente figura.
a i ,/V'y, '■ ' . ^ x yfq i8o' /. TESCHIO DEL' TO
X q mejfo tra le infegne della religione. ito ‘ I Giudei (come fcriue Straberne
al vi. libr.)haueuo- i Giudei no anch’eglino quella vfanza di dormire ne
i tcmpli,& di vegliami dentro , come faccuono i Romani , perche
tomcTUo- ■ comehà detto Cicerone, gli Dei parlano (blamente à mni '
coloro che ei trouano dormendo : la quale vfiinza (co- me (criucEufebio
Panfilo) fu dipoi tolta via daCoftan E “A bio tino,auertito de i maliche
fotto colore di bene fi face- uono là dentro. ‘PELLE
PELLAI VITTIMAI.Vltimamcnte il fiicerdotefaceuarizarc vna gran ta- uola
chiamata EncUhrnjz ome i vafi , che fcruiuono per ifacrificij, fumo detti
EncUbria, , fopra la quale faceua porre la vittima (parata
percercarcdiligctemente gl’in- QsoUinte- teftini (quali erano il cuore,iI
polmone &il fegato)con vn coltello di ferro,& cognofcerc fe gli
Dei s’erano con- * tentati del facrificio & pacificatila i
Greci (come' fcri- ue Paufania) appreflo hauere guardati gl’inteftini de
Taufaù. glagnclli, capretti, & vitelli, folcuono predire le
cofc ■;.v: - - _ S 5 jl8i della religione officio de
future.EfgrArufpicioflcruauonofolamentclc fiamme t^nelfacri' delfuoco,dal
q ua le era la vittima abbruciata. Hauen- ficio. do i faccrdoti coli bene
effeminati gl’intcftini , faccuo- no diuiderele membra della beftia,
& quelle coperte di farina,& polle in vn paniere, ne faceuono
offerta à c o- lui,chehaueua fatto il fecrificio,&cofì (limauono la
vit- tima pcrfetta.il coItcIlo,col quale era la vittimafquar-
DoUbré tata, fu chiamato Dolabra ‘Pontifici* , fi come Tito Liuio
ponfj/icu, ha nominato quello, col quale fe le tagliaua la gola , Se-
ua,yel a fecando SeceJj>ir*.}Az i coltelli, coni quali s’am-
mazzauonoi piccoli animali, fumo detti Cultrii come ottico nel hàmoftro
Ouidio quando ci dice, il TrJff ‘ ‘PercuJJufque [augnine cultros
form, lnficit. Et de gl abri coltelli che feruiuono alla caccia,
detti Ve- natori) cultriy ha fatto mcntione Tranquillo nella vita
di Claudio, douc ei dice , Reperti eejuejlri ordinuduoin pu- hlico cum
dolane & "venatorio cultro. Solamente i Giudei
Coltelli di nelle loro circuncifioni vfaronoi coltcllidi pietra.
putra per * e™™"' ~SCVRE ET COLTELLA [A N TJ CH ì\
Laltro Ì83 L altro coltello , col quale
era fquartata la vittima, coltelli per era fatto nel modo,che fi vede qui
(otto. uìttim ^ ^ LTXO CO LTE L LO ^ANTICO.
Inuitami la diuerfitàdi quelli co!telIi,& per fare pia- piwr p f
j ccreàgl’amatori delle cofe antichc,à riprefentare quindi de
coltelli forco la figura dei coltelli antichi, che i vittimarij porta-
* uono appiccati alla cintura in quello modo.
COL i8 4 della religion e • COTTE L Li CHE
‘PORT^V^'HO w »*» ordinariamente i ZJittìmarij alla cintura.
4 Etfc alcuno purefteflc anchora in dubbio del
mo- do di quelli facrificij, mi è parfo di riprefcntarc qui al
naturale quello che fi è potuto ritrarre della colonna di Traiano à Roma.
. S.JCR 1 Bh>'ob -A. ih' iup 31 l MI 51 ■1141^♦Ha
. ; t pn jnnr. 3 KV)*j f ■ :J. ^ 'ff ’ !:Ì,W MJtll
11 * 03 1 n I : ,obomofbop ni Mina; ; sjbinoàiq ; :
onta* . zfy s uc r i fTcTo~~u wr
Tcori fxZf ttò dalla colonna diTr alano.
Riguardata la vittima, & fatto preferite al facrifica- tore di pezzi
migliori , il prete gli faceua abbruciare fu l'altare, quantunque
benefpclfo la carne reftaflè i i fa- ccrdoti doppoil (angue fparfo fu
l'alrare,come hi tno- ftro Vergilio quando ei dice, Sanguinis
@r [acri patera*. Mane gran &crificij .dntida i la
vittima h gittaua tutta intera dentro al fuoco , come hi dimoftroil
mcdefimo Poeta dicendo, Etfolida imponunt taurorum inferra fammi
s. La ittLa quale carne non era
coli torto porta dentro a 1 fuo- frtu ì'tc- co, che il prete vifpargcua
fopra delì incenfo del corto, nerliiuen- & altre cole odorifere, che
ci pigliaua dentro à vna caf- fetta detta ^ cetra da i Lati n i,& de
noi hoggi Turibulum , come moftrala predente figura, , t ~ .
~ ‘ d C S S E TT yA DOVE TEMEVANO ifacerdoti line enfi.
W ’ : il uino in Qucfto iflccnfo,o profummo
(comeio penfo) s’ab- ufo ntl fa- bruciaua per amorzarc il cattiuo odore
della carne «rifido, abbruciata, doppo il quale il facerdote vcrfauadcl
vino rane in mag fu l’altare , & all’hora fi ftimaua fornito il
facrifici tono in ma g LU I aitare , oc auuuia u muuw lumuu
n facrificio, gior pregio quantunque il più perfetto & maggiore era
tenuto quel mi Curi - j Q ^ c j lc ^faccuad’vnatroiajd’vn toro,d’vn
becco, &d’vn montone, & appreflo àgl’Ateniefi d’vna troia.d’vn
mon- tone & d’vn toro,chiamatodai Romani Solitaurilia , &
fatto da Cenfori ogni cinqueanni,pcrluftrarc,o purga- re la Città di
Roma, come qui lo dimoftra la figura, "" ■'* “ ' ~ “ SjLCZi
nel facrifi ào . Solitaurilia.
SACRIFICIO CHIAMA TO S 0 L 1- taurihajirato dui marmo antico.
~ Qiì e ft ovoca bolo,folo,dirnoflra laqualirà delfacrU
ficio, cioc che egli era perfetto & intero, conciofia che Solum in
lingua T ulca lìgnificaua intero, come dimoierà . Solum - Tito liuio,
chiamando gli ftrali fohferrei,cioè tutti di T i itoiiuio. ferro.Nel
refto & vlrimo de làcrificij i medclìmi preti apparecchiauono la
cena, alla quale era permeilo di Ctnd ^ i trouarfì à ciafcuno, che era
flato prelènte aIlacrificio:& preti Ro- di quel che auanzaua,poteua
il facrificarorcportarc & mnu donare ài parenti, &à gli
amici,qualì come li fa nella < noftra religione hoggi del pane
,che ogni domcnicair diftri
nijlribu- diftribuifce per Icchicfc.il modo del loro mangiare craj
tionejetta nc l tempio ftauono tutti ritti con certi panetti ton- ati
anti * diin mano, mentre che ficantauono d’altra parte le lo- «*>*• di
di Dio , facendo cuocere la loro carne dentro à vn vafo detto Olld,&.
da noi Pentola, nel modo che da i marmi antichi ella fi vede ritratta qui
difotco. • PENTOLA DOVE 1 S UCÌtl El- ettori ftceuano
cuocere Ucarne de li facrijìcij. Hauendo anchora olìcruato
per la icultura d'vn'al- tro marmo antico, che fi vede fopra la porta
della chicia di Bcauieu ixn. leghe di Lyone.comcdoppo che la vit-
tima era fiata pofta morta lu l’altare, il vittimario fe la caricaua fu
le (palle,& la portaua per metterla in pezzi, & farla cuocere,
come fi vede pcrilgiouane vittima- rio,che porta la pentola & la
mcfiola,& il facrificatorc noUfiU- il paniere douc era la mola falata
, però mi è parlo di u, riprefentarne qui la figura al naturale.
r • ~ ■ Eigv 4 > M
Me FiqUR^l T12tUT<st' D'V'N fico eh’ è
/opra la porta de la chiefa di Tcauiett in Seauiolois. . J
Cerere lulus^ per le biadc,di Venere Ereriches,c ioc picn d’amore,
& di Bacco, Dityramhus : benché grimbriachi h yanl de haucuono i loro
hynni à parte, i quali Ariltofanc inXd- ba chiamati *ft**yÌHunct , à caufa
che i Greci chiamano e». 4 >1 tremito de la tefta*p>*a'>irr,
& mangiare & bere J troppo. H ora appreflo à tutte quelle
cole, il prete, liccn- venilio. tiaua ogniuno,comc moftra Vcrgilio,
quando dice, -Dixutjue nouifiirru vtrl> 4 . 1* il
fine del ^ et: volendo mollrarccheil facrificio eraforni-
fecrifieio. to,comehoggi anchora fanno i noftri preti alla fine
del- la mefla, quando dicono, ItemiJJa e fi. In quelli templi tra
l’altrc era vna Tedia à parte dinanzi all’altare, perii ^ Principe,
o quello che tencua la giuftitia, intorno ali ai- r tare vn coro,
& nel rcfto del tempio erano portichi ® Ioggie,doucil popolo
lpaflcggiaua,afpcttando che lì fa- ^ celle il lacrificio. Et
certamente che Te noi mettiamo ^ ogni induftria & facciamo ogni
grande fpela per Tare ^ bei palagi, &: belle cafe,tanto più
douerremo ingegnarci ^ di fare beile chielc, Scorationi à Dio , per
intrattenere Religione co *‘ * a P‘ cta, * a religione & la
mifericordia,come ci hati degli enti- noinfegnatoCefarc Augufto,Vclpafiano,Ncrua,&M.
'Jf ehi impero Aurelio, tutti buoni & diuoti Impcratori,pcr
quanto li tifarne- vede nelle loro medaglie, doue fono tutte infegne
della gnifiebité- antica loro religione, nel modo che fi trouano qui
di- fottO; ANTON.
A Pf- 2*1 ANTON. PIO. M. AVRELIO.
ARGENTO. ARGENTO. « Ma perche gl’ Egitcij fono
(lati i primi , che Icuando Religione gl’occhi in verfo ilcielo,&
affifando la mente nella co- E S‘*' gnitione di Dio.trouorno molte
cerimonie, & modi di religione:pcrò ho giudicato non fuora di
propofito , Io fcriuere qui neH’vlfimo qualche colà di loro: &
come penfando che il Sole & la Luna fodero Dij ,chiamorno
quello Ofiris,& quell’altra Ifis, adorata poi infino à Ro- ^ s '
ma,come fi vede per la infraferitta mcdaglia,dclla qua- le io ho fcritto
altroue adai largamente. MEDAGLIA DEL
CINOCEFALO. ARGENTO. T 2 Et Commodo Imperatore (come fcriuc
Spartiano) hpiiorò molto tra gli altri facrificij, quello di quella
Dea, come fi vede nelU fua medaglia , doue ella tiene vna sfera in mano,
come madre di tutti Parti, & vn vaio, ovcroamfora piena di Ipighe,
lignificando la fertilità d’Egitto. BRONZO.
BRONZO. L’vfanza de gl’Egitij nell’adorarc i loro
Dij,fu nel principio pura &femplice,fenza effuzione di fanguc,
o vfare altra crudeltà, però che egli offeriuono fu l'altare quei
mcdcfimi frutti, che ei magiauono, il che fecio- noanchora tal voltai
Romani, come dimoftra Iaprc- fente figura: & abbruciando le radici
& le foglie infic- mc,guardauonoi frutti offerti all’altare,
pacificando gli Dei celefti col fumo fidamente. v
pinzi fo- gli Egitti/ nelTadora- rt » loro
X>ij. s^Cz/ SACRIFICIO 2)1
FRVTTI TIRATO del marmo antico di Roma. Scriue
Porfirio che in quel primo tempo non erano Porfirio. invfo ne rincenfo,nc
Iamyrra,nc la cannellate il zol- fine il zafferano, ma l'hcrba verta, la
quale moftraua » la potenza della cerra,& tale facrificio quale
fi faccua propriamente delle herbe fi chiamaua da Greci 5v*t*.
Di poi vennero Hipcrbio & Prometeo che trouorno il Hipfr&io
modo di Eterificare le bclfic,& di conofcere selle erano intere
&fane,& il facrificio grato à gli Disperò chefcil fiacri fi tato-
toro rifiuta u a la farina, o le capre i ceci,chc erano pre- acif ~
(curati loro , giudicauono il facrificio ne le beftie edere buono.Dipoi
offerirno myrra &: zafferano, & ndl'vlti- T 3 .
Cerimonie degli Egit- ti f, i felli'
tarloroDij ld mattina. Vitruuio. Itore certe
per far ora tione,cr ci tare. P linio.
Tacito. Macrobio, Marcelli- no,
Cojlume t Orfeo à far giurare i forejiitri
entrido nel la fua reli gione. L ecofebuo
ne commu- nicate ima Ugni, perdo nolorripu-
tatione. mofcciono vna vera beccheria dei facrificij loro. L’al-
tre cerimonie de gl’Egittij erano di falutare la mattina i loro Dij,il
quale modo da gl’antichi fu detto adoratio- nc,comc moftra Vitruuio nel
in i. libro della Aia Ar- chitettura,doueci vuole che i templi de gli Dei
fiano prdl'o alle ftrade macftrc:acciochc i paflànti gli pollino
più commodamentc falutare & adorareda quale vfanza pare che habbino
ritenuta i noftri preti,diccndo il mat-
tutino,&terza&feda,comcgrEgirtijfaccuonoorationc la prima,
feconda & terza hora, cantando hynni & altri canti, fitti in
laude del loro Dci,& fcritti (come fcriuc Plinio) ne i loro libri di
Rcligione,per figure & caratte- ri di beftic,d’vccelli,& d’altre
cofe, che Tacito, Macro- bio & Marcellino chiamano Hycrogliphice ,
come an- chora fi può vedere ne i loro obclifci, o vero piramidi
& guglie, delle quali ragiona Plinio al x x x v i. hb.dcl- fHiftoria
naturale in quello modo,Gl’intagli, caratteri, & imagini,chc noi
veggiamo, fono lettere de gl’Egittij fcnzaordine& inrclligcnza di perfona,fcnondi
coloro che crono prepolli alla religione. Et Orfeo (come narra
Firmico) mollrando à gli huominiforellieri,chc entra - uono nella fua
religione, i lecreti & miflerij di quella, gli faceua prima folla
portadel tempio giurare, che non riuclcrebbono maicofa,che egli hauellìno
veduta ài profani, cioè à quellichcnon erano dell’ordine loro:&
certamente non fenza ragione, conlìdcraco come le co- le buone perdono di
rìputationcquando ellcfonocoftì municatc à huomini ignorami,
incredulfonuidioii, per- fidi & maligni. Vlauono oltre à quello
gl’Egittij, che pi- gIiauonogl’ordinifacri,di pigliare anchora
prefentida ogniuno. a* 5 ogniuno,& poi
faccuonovn conuitoà tutti quelli , che erano flati prefentialle cerimonie
loro: &il gran facer- dote (come noi diremo hoggi vno de i noftri
vefcoui) infegnaua poi lorc^ciò che ci doueflìno fare, dandoli vn
libro, o ruotolo , come quelli che vfauono i Giudei. I Romani poi
(come habbiamo detto) haueuono altri vigniti de ordini tra loro, come il
maggiore & minori Pontefici, flamini,archiflamini,& protoflamini,
limili alnoftro Papa, cardinali, patriarchharchinefcoui, vefcoui ,
abbati* priori, canonici & altri , à i quali porta uono molto
ho- nore& obbediuonogl’antichigrandemcntr-.ondc Cice- rone
fcriuc,che la religione fu quella che fece coli gran- urrllgim di i
Romani, anchora che egli haueflino affili nationifu- periori à loro in
molte cofe. Pofledcuono parimente gl’antichi benefici) con la difpenfa
del maggiore Ponte- eB fìce,come fi vede in T ranquillo nella vita di
Claudio, & doti Antichi in Tito Liuio, quando ci dice che il
figliuolo di Fabio Maflimo haueua due bencficij,quando ci fu fatto
Pon- tefice:i quali benefici) erano di fi gran valuta, che non fo-
lamentc ei poteuono intrattenere le loro cafc& famiglie
magnificamcnte,ma peruenire alle fbmmc dignità de i loro trionfi,
nonlafciando perqueftodi tenere altri of- fici) fecolari &
publichhandarc alla guerra, & fare mer- canti a, fecondo che
roccafionc fi prefcntaua:& erano quefli bcneficijdiduefortid’vnaVfa
fuggettaalla colla- tionedcPonteficbde la Rcpublica,& degli
Imperatori, & l'ahra reftaua libera & hcreditaria di mano
in mano à R 0m JT « i fucceflorijche chiamorno tali facerdotij
Gentilirij,& tuamentr. quafi al modo noftro patronati:de quali hà
coli parlato Cicerone, nel libro de ^Aruftìcum reftonfìs, Ei fono (dice
citarne. , che hanno fattoi T 4 egli) in
qucfto ordine molte perfone intrjte de facrificij Gentilicij in
quello iftclTotcmpio.Nc e dama- tntjiaf. rauigliarfi fc l’enrrattc di
quelli benefici j antichi erano cofi grandi, confidcraro che quando i
Romani veniuo- noa fondarctcpli o munillerj,ci gli jfotauono
digran- dilfimi beni, cofi indanari,& penfioni,comcin
tcrre& altre cole (labi li, & i Re &gl Imperatori le faccuono
fi- jonluioni a quelle , che in Francia fi chiamono Fondationi
rtélL Realidcntratte delle quali fi coinè fono rifeofTe & pa- gate
dai Riceuitori del Dominio, cofi quelle de Roma- ni paflàuono per le mani
de Queftori,o Telorieri, fi co- coUcgìdd m x c m °ft ra Tito Liuio,quando
ei dice che Numa ordi- ne V rftaii no i Collegi de i Flamini & delle
vergini Vcftali,&: aflc- - N ^ id4 £ n ° foro entrate &
prouifionidei beni publicida quale vfanza non bifogna dubitare che non
fo/Iè poi oflerua- ta & matcnuta da gl altri fondatori che vennono
do- cSformiti P° lui. Concludendo che fc noi porremo ben mente,noi
troucrrcmo & vedremo che gl’ordini della noflra reli- Gentili con
gionefonóin moire cole limili à quelli de gl’antichi Egit k nojircin
tij,&Romani,comclbno i camicide pretine ftolcde piì- netejecherichc
ralc, che i Franzcfi, chiamano Corone, lo inclinare della tcfla,
volgendoli all altare, il principio & la fine del facrificio, i
prieghi,i voti,l’orationi , gl’fiy ti- ni, le mufichc delle
voci,ifuonicomequellidegli orga- ni,^ proccfIìoni,& molte altre
cofc,chc vn buono fipiri- to potrà facilmente ricorre, hauendo
bcneconlidera- tc quelle cerimonie & qucIle:ecccttoche quelle de
Gcn-’ df ti,icrano ^«tlupcrfiitiofe, ma lenollre fono Chri- g
aitili. diane & catholichc, eflèndo fatte inhonoredi Dio Pa-
dre Omnitenrc, &di Gicfu Chrillofoo figliuolo,à cui fiagloria
etcrnalmente. Grice: “There are many issues about philosophical theology, as we
may call it. The romans were into cult, rather than religion – they didn’t even
know where ‘religio’ came from, and Lucrezio famously disagreed with Cicero –
It seems it was all about killing livestock in lieu of humans, as the
barbarians did!” -- Grice: “Enzo should
concentrate a bit on how the ancient Romans dealt with their civil religion.
Roma and romanitas. Carlo Enzo. Enzo. Keywords: l’uomo, essegesi, ermeneutica,
i quattro sensi – from Genesis to Revelations: a new discourse on metaphysics,
eschatology – perhaps Moses got more than the 10 comm from Sinai --. Ebraismo e
romanita – romanita pagana – la teologia naturale dei romani antichi – la
religione civile dei romani – I simboli della religione romana pagana --. La religione
ufficiale della Roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Enzo” – The
Swimming-Pool Library.
Grice ed Epicaride –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Epicaride is said to have been
a Pythagorean who solved the problem of not being allowed to eat living things
by killing those things first!
Grice ed Epicarmo – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. He wrote comedies. He achieved
a reputation as a philosopher through several works. He was one of the seven
sages (according to Hippoboto) and may have been a Pythagorean.
Grice ed Epicoco – la
religione civile dei romani -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Mesagne). Filosofo italiano. Grice:
“I like Epicoco; he has a way with words – e.g. ‘only the sick heal.” Is that
synthetic a priori?” Grice: “My favourite is Epicoco’s emphasis on some symbols,
like blood, and Canova’s Eros – and ‘l’amore che decide.’ Insegna a San Carlo
Borromeo all'Aquila. Altre opere: Vergine
Madre figlia del tuo figlio; Itaca editrice; Jesu dulcis memoria; Itaca
editrice; Il grido di Benedetto XVI; con Michele G. Masciarelli; Tau editrice; Futuro
presente. Contributi sull'enciclica Spe salvi di Benedetto XVI; con Angelo
Amato e Paola Bignardi; Tau editrice; L'Immacolata perfezione. Sentieri in
preparazione alla festa dell'Immacolata; Tau editrice Io vedo il tuo volto. Arte e liturgia; Tau
editrice Ex coelesti virtute.
Miscellanea di studi in onore di S. E. Mons. Giuseppe Molinari nel Suo 50º di
Sacerdozio; Tau editrice Etty Hillesum.
Introduzione ad una donna; Tau editrice
Piccola introduzione alla Bibbia; Tau editrice Qualcuno accenda la luce. Conversazioni
sull'Enciclica Lumen Fidei di papa Francesco; Tau editrice Giovanni Paolo II. Ricordi di un papa santo;
con Mons. Piero Marini; Tau editrice La
misericordia ha un volto. Il Giubileo straordinario della Misericordia secondo
papa Francesco; Tau editrice Preghiere
di ogni giorno; Tau editrice Nati per
amare. I giovani raccontano la famiglia; LUP
Solo i malati guariscono. L'umano del (non) credente; San Paolo,
Milano Educare è meglio che curare; Tau
editrice, La malattia è un dono di vita.
Storia di Teresa Ruocco; Tau editrice La
stella, il cammino, il bambino. Il natale del viandante; San Paolo, Milano Quello che sei per me. Parole sull'intimità;
San Paolo, Milano Amen. La Parola che
salva; San Paolo, Milano Sale non miele.
Per una fede che brucia; San Paolo, Milano. Telemaco non si sbagliava. O del
perché la giovinezza non è una malattia; San Paolo, Milano L’amore che decide; Tau editrice, Camminando tra pastori e Re Magi. Trenta
piccole meditazioni e un "quaderno" per la riflessione personale: un
percorso di preparazione al Natale, San Paolo, Cinisello Balsamo, Qualcuno a cui guardare. Per una spiritualità
della testimonianza, Città Nuova, Roma,. Note
A L'Aquila Epicoco diventa il nuovo preside dell’Istituto Superiore
Scienze Religiose, Giovani: don Epicoco (filosofo), “proporre un incontro che
può cambiare la loro vita”, in Servizio Informazione Religiosa, 11 settembre. Intervista a Il Faro di Roma Scheda in Itaca
libri Scheda sito San Paolo Scheda del docente nel sito dell'Università
Pontificia Articolo incarichi diocesani Intervista a Credere Sito della Parrocchia Universitaria L'Aquila Incarichi nel Sito Ufficiale della Diocesi, su
diocesilaquila. Scheda sul profilo di don Luigi Maria Epicoco Radio Radicale Comunicato stampa Sito Rai Caterpillar Rai Due intervento a NemoNessuno escluso in
prima serata Membri Cavalieri della Luce
Archiviato il 18 gennaio in. Testimonianza nella rivista Credere Roma Sette sul nuovo Messalino edito da San
Paolo Intervista e nuovo libro sul sito
Aleteia La prefazione di Massimo
Recalcati al libro di don Luigi Maria Epicoco
Don Epicoco nuovo preside dell’Issr L’Aquila Conferenza di don Luigi Maria Epicoco a Nizza
il 13 novembre. Wikipedia Ricerca Religione sistema di credenze e attività
umane nei confronti di una o più entità sovrannaturali Lingua Segui Modifica La
religione è un costrutto sociale formato da quell'insieme di credenze, vissuti,
riti che coinvolgono l'essere umano, o una comunità, nell'esperienza di ciò che
viene considerato sacro, in modo speciale con la divinità, oppure è
quell'insieme di contenuti, riti, rappresentazioni che, nell'insieme, entrano a
far parte di un determinato culto.[1] Alcuni simboli religiosi. Da
sinistra a destra, dall'alto verso il basso: Cristianesimo, ebraismo, induismo,
bahaismo, Islam, Neopaganesimo, Taoismo, Shintoismo, Buddismo, Sikhismo,
Brahmanesimo, Giainismo, Ayyavazhi, Wicca, Templari e Chiesa Nativa Polacca Va
tenuto presente che «il concetto di religione non è definibile astrattamente,
cioè al di fuori di una posizione culturale storicamente determinata e di un
riferimento a determinate formazioni storiche».[1] Lo studio delle
"religioni" è oggetto della "Scienza delle religioni" mentre
lo sviluppo storico delle religioni è oggetto della "Storia delle
religioni". EtimologiaModifica Marco Tullio Cicerone(106
a.C.-43 a.C.), fu il primo autore a proporre un significato etimologico,
collegato all'attenzione verso ciò che riguardava gli dèi, e una definizione
del termine religio. Lattanzio (250-327), apologeta cristiano, criticò
l'etimologia di "religione" proposta da Cicerone, ritenendo che
questo termine dovesse essere riferito al "legame" tra l'uomo e la divinità.
Il termine religione deriva dal latino relìgio, la cui etimologia non è del
tutto chiarita[2]. Secondo Cicerone, la parola originerebbe dal verbo
relegere, ossia "ripercorrere" o "rileggere", intendendo
una riconsiderazione diligente di ciò che riguarda il culto degli dèi[3]:
(LA) «qui autem omnia quae ad cultum deorum pertinerent diligenter
retractarent et tamquam relegerent, sunt dicti religiosi ex relegendo, ut
elegantes ex eligendo, diligendo diligentes, ex intelligendo
intelligentes» (IT) «invece coloro che riconsideravano con cura e,
per così dire, ripercorrevano tutto ciò che riguarda il culto degli dei furono
detti religiosi da relegere, come elegante deriva da eligere (scegliere),
diligente da diligere(prendersi cura di), intelligente da
intelligere(comprendere)» (Cicerone. De natura deorum II, 28; traduzione
in italiano di Cesare Marco Calcante in Cicerone. La natura divina. Milano,
Rizzoli, 2007, pagg. 214-5) Jean Paulhan evidenzia come Lucrezio fece invece
derivare religio dalla radice di re-ligare, nel significato «dei legami che
uniscono gli uomini a certe pratiche»[3] – derivazione che fu poi ritenuta tale
anche da Lattanzio e Servio Mario Onorato (però col significato di «legarsi nei
confronti degli dei»[4]). Secondo Michael von Albrecht, da essa, poiché verbo
contrario all'idea di liberazione, Lucrezio ne derivò il significato negativo,
del quale è: «molto grafica l'espressione religione refrenatus (5, 114), che
rispecchia le inibizioni al pensiero filosofico causate dal paganesimo: l'uomo
è trattenuto, impedito, essendo le sue mani letteralmente "legate dietro
la schiena"». Inoltre «parla spesso dei “nodi stretti” [...]della religio,
dai quali Epicuro avrebbe liberato l'umanità».[5][6] Un significato simile le
aveva attribuito lo storico greco Polibio, dando alla religione, ma con
particolare riguardo alla tradizione e ai costumi dei Romani, il senso di un
instrumentum regni.[7] Nello specifico Lattanzio (250-327)[8], che fu ripreso
anche da Agostino d'Ippona (354-430)[9], correggendo Cicerone, sostiene:
(LA) «Hoc vinculo pietatis obstiicti Deo et religati sumus ; unde ipsa
religio nomen accepit, non ut Cicero interpretatus est, a relegendo.»
(IT) «Con questo vincolo di pietà siamo stretti e legati (religati) a
Dio: da ciò prese nome religio, e non secondo l'interpretazione di Cicerone, da
relegendo.» (Lattanzio. Divinae institutiones IV, 28. Traduzione di
Giovanni Filoramo. Le scienze delle religioni. Brescia, Morcelliana, 1997,
pag.286) Così lo studioso Luigi Alici (1950-) mette a confronto la lettura
etimologica offerta da Agostino in De civitate Dei X,3, che si richiama a Cicerone,
con quella di Lattanzio il quale "preferisce insistere sull'idea primitiva
di 'ciò che lega' di fronte agli dèi": «tale legame sarebbe pure
indicato dall'uso simbolico delle vitae, cioè delle bende con cui si coprivano
il capo i sacerdoti» (Luigi Alici. Nota 5 in Agostino. La città di Dio.
Milano, Bompiani, 2004, pag.462) Tuttavia lo storico delle religioni italiano
Enrico Montanari (1942-) osserva che: «Etimologicamente, religio non
deriva da religare('legarsi faccia a faccia con gli dèi'): questa
interpretazione, di fonte cristiana (Lattanzio), fu attribuita agli antichi, ma
sulla base del nuovo culto monoteistico.» (Enrico Montanari. Roma. Il
concetto di "religio" a Roma. In Dizionario delle religioni (a cura
di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pag.642) Quindi, per Enrico
Montanari, l'origine del termine "religione" è da ricercarsi nella
coppia dei termini religere/relegere intesi come "raccogliere
nuovamente", "rileggere"[10] osservare "con scrupolo e
coscienziosità l'esecuzione di un atto"[11] e quindi eseguire con
attenzione l'"atto religioso". Furono i primi teologi cristiani, nel
IV secolo, a rovesciare il significato originario del termine per collegarlo al
nuovo credo[12]. Allo stesso modo osservò Gerardus van der Leeuw(1890-1950)
che coniando l'espressione homo religiosus lo oppose all'homo negligens:
«Possiamo quindi intendere la definizione del giurista Masurio Sabino:
religiosum est, quod propter sanctitatem aliquam remotum ac sepositum a nobis
est. Ecco precisamente in che cosa consiste il sacro. Usargli sempre debiti
riguardi: è questo l'elemento principale della relazione fra l'uomo e lo
straordinario. L'etimologia più verosimile fa derivare la parola religio da
relegere, osservare, stare attenti; homo religiosus è il contrario di homo negligens.»
(Gerardus van der Leeuw. Phanomenologie der Religion (1933). In italiano:
Gerardus van der Leeuw. Fenomenologia della religione. Torino, Boringhieri,
2002, pag.30) Storia della definizioneModificaOccidenteModifica Grecia
anticaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Religione dell'antica Grecia. Il termine che nella lingua greca moderna indica
la "religione" è θρησκεία (thrēskeia). Tale termine è collegato a
θρησκός (thrēskos; "pio", "timoroso di Dio"). Quindi anche
se nella cultura religiosa greco-antica non esisteva un termine che riassumesse
quello che noi intendiamo oggi per "religione"[13], thrēskeia[14]
possedeva tuttavia un ruolo e un significato precisi[15]: indicava la modalità
formale con cui andava celebrato il culto a favore degli dèi[16]. Scopo del
culto religioso greco era infatti quello di mantenere la concordia con gli dèi:
non celebrare loro il culto significava provocarne l'ira, da qui il
"timore della divinità" (θρησκός) che lo stesso culto provocava in
quanto connesso con la dimensione del sacro. Roma anticaModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Religione
romana Monaci manichei intenti a copiare testi sacri, con un'iscrizione
in sogdiano (manoscritto da Khocho, Bacino del Tarim). Il manicheismofu una
religione perseguitata, al pari di altre, nell'Impero romano in quanto
contrastava con il mos maiorum. La concezione romana di "religione"
(religio) corrisponde alla cura nei confronti dell'esecuzione del rito a favore
degli dèi, rito che, per tradizione, va ripetuto finché non risulti
correttamente eseguito[17]. In questo senso i romani collegavano al termine di
"religione" un senso di timore nei confronti della sfera del sacro,
sfera propria del rito e quindi della religione stessa[18]. In un ambito
più aperto i romani accoglievano comunque tutti i riti che non contrastassero
con il mos maiorum dei tradizionali riti religiosi, ovvero con il costume degli
antenati. Quando nuovi riti, e quindi novae religiones, venivano a contrastare
con il mos maiorum questi venivano proibiti: fu il caso, ad esempio e di volta
in volta, delle religioni ebraica, cristiana, manichea e dei riti
bacchanalia[19]. La prima definizione del termine "religione",
ovvero del suo originario termine latino religio, la dobbiamo a Cicerone il
quale nel De inventione così la esprime: (LA) «Religio est, quae
superioris naturae, quam divinam vocant, curam caerimoniamque effert»
(IT) «Religio è tutto ciò che riguarda la cura e la venerazione rivolti
ad un essere superiore la cui natura definiamo divina» (Cicerone. De
inventione. II,161) Con l'epicureo Lucrezio (98 a.C.-55 a.C.) si affaccia una
prima critica alla nozione di religione intesa qui come un elemento che sottomette
l'uomo per mezzo della paura e da cui il filosofo deve
liberarsi[20]: «Humana ante oculos foede cum vita iacere / in
terris oppressa gravi sub religione / quae caput a caeli regionibus ostendebat
/ horribili super aspectu mortalibus istans, / primum Graius homo mortalis
tollere contra est / oculos ausus primusque obsistere contra» «La vita umana giaceva sulla terra alla vista
di tutti turpemente schiacciata dall'opprimente religione, che mostrava il capo
dalle regioni celesti, con orribile faccia incombendo dall'alto sui mortali. Un
uomo greco[21] per la prima volta osò levare contro di lei gli occhi mortali, e
per primo resistere contro di lei.» (Lucrezio. De rerum natura I,62-7.
Traduzione di Francesco Giancotti in Lucrezio. La natura. Milano, Garzanti,
2006, pagg. 4-5) (LA) «primum quod magnis doceo de rebus et artis
religionum animum nodis exsolvere pergo»
«prima di tutto in quanto grandi cose insegno, e tento di sciogliere
l'animo dai nodi stretti della religione» (Lucrezio. De rerum natura
I,932) Occidente cristianoModifica Massacre saint Barthelemy di François
Dubois (1529–1584) conservato presso il Musée cantonal des Beaux-Arts di
Losanna. A seguito dei massacri provocati dalle Guerre di religione i pensatori
francesi del XVII secolo misero in dubbio la sovrapposizione delle nozioni di
civiltà e religione fino a quel momento in vigore. Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:Cristianesimo. Ebrei in
preghiera il giorno dello Yom Kippur, opera di Maurycy Gottlieb(1856–1879).
Nell'Occidente cristiano, l'Ebraismo, come l'Islām, verrà indicato come una
religione solo a partire dal XVII secolo. Le prime comunità cristiane non
utilizzarono il termine religio per indicare le proprie credenze e pratiche
religiose[22]. Con il tempo, tuttavia, diffusamente a partire dal IV secolo, il
Cristianesimo adottò tale termine nell'accezione indicata da Lattanzio,
individuandone l'unicità in quanto la "religione" era l'unica via di
salvezza per l'uomo. La relazione tra religio cristiana e quelle dei
culti o delle "filosofie" precedenti fu variamente interpretata dagli
esegeti cristiani. Giustino (II secolo)[23], ma anche Clemente Alessandrino e
Origene, sostennero che partecipando tutti gli uomini al "Verbo"
coloro che tra questi vissero secondo "ragione" erano comunque dei
cristiani[24]. Con Tertulliano (III secolo) la prospettiva cambiò e le
differenze tra mondo "antico" e il mondo dopo la
"rivelazione" cristiana furono decisamente accentuate. Con
Agostino d'Ippona (354-430), ma già precedentemente con Basilio, Gregorio
Nazianzeno e Gregorio di Nissa, il pensiero platonico rappresentò per i teologi
cristiani un esempio della comprensibilità di cosa fosse la vera
"religione"[25]. Rispetto ai significati del termine
"religione" nel mondo cristiano, lo storico delle religioni svizzero
Michel Despland osserva che: «Diventato cristiano l'Impero, si trovano
presso i cristiani tre accezioni della parola. La religione è un ordine
pubblico mantenuto dall'imperatore cristiano che instaura sulla terra la
legislazione voluta da Dio (idea imperiale). Può anche essere l'eros dell'anima
individuale verso Dio (idea mistica). Infine religio può designare la
disciplina propria ai battezzati che hanno fatto voto di perfezione e sono
diventati eremiti o cenobiti (Monachesimo).» (Michel Despland. Religione.
Storia dell'idea in Occidente, in Dictionnaire des Religions (a cura di Jacques
Vidal). Parigi, Presses universitaires de France, 1984. In italiano: Dizionario
delle religioni. Milano, Mondadori, 2007, pagg. 1539 e segg.) Quindi se inizialmente
il termine "religione" è assegnato esclusivamente agli ordini
religiosi[26], a partire dalla Francia il termine accoglie dapprima anche quei
pellegrini o cavalieri che se ne mostrano degni attraverso il mantenimento dei
loro voti, poi i mercanti onesti e gli sposi fedeli, aprendo così il termine
all'intero mondo laicale che osserva con scrupolo i precetti della
Chiesa. Con la Scolastica la "religione" venne collocata tra le
"virtù morali" inserite nella "giustizia" in quanto essa
rende a Dio l'onore e l'attenzione che gli sono "dovuti" esprimendosi
con atti esteriori, come la liturgia o il voto, ed atti interiori, come la
preghiera o la devozione[27]. Infine il termine "religione"
diviene sinonimo di "civiltà". Con la Riforma protestante a partire
dal XVI secolo il termine "religione" è assegnato a due confessioni
cristiane distinte, e solo con il XVII secolo l'Ebraismo e l'Islām saranno
considerate "religioni"[28]. Le Guerre di religione del XVI
secolo provocarono in Francia l'abbandono dell'idea che il termine
"religione" potesse essere sovrapponibile a quello di civiltà e, ad
incominciare dal XVII secolo, alcuni intellettuali francesi avviarono una
critica serrata al valore stesso della religione[28]. «Vive forze
nazionali si risvegliano e insorgono contro l'adattamento compiuto dopo le
guerre di religione. Da allora la religione è vista come riguardante
un'autorità oppressiva, la fede come una credenza poco ragionevole, anzi quasi
irragionevole. In Francia, le intelligenze cominciano a preferire la civiltà
alla religione. E c'è la tendenza a credere che quanto l'uomo più si
civilizzerà tanto meno sarà incline alla religione.» (Michel Despland.
Op.cit.) Occidente moderno e contemporaneoModifica A partire dal XVII secolo,
la Modernità attribuisce valore supremo alla razionalità affrontando con questo
strumento conoscitivo anche l'alveo della religione che così viene sottoposto
al suo esame. Se da una parte autori come Gottfried Wilhelm von Leibniz
(1645-1716) e Nicolas Malebranche (1638-1715) dopo l'analisi razionale
esaltarono i valori religiosi, altri, come ad esempio John Locke (1632-1704) o
Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), utilizzarono la "ragione" per
spogliare la "religione" dei suoi contenuti non giustificabili razionalmente.
Altri autori, come l'irlandese John Toland (1670-1722) o il francese Voltaire
(1694-1778) furono propugnatori del deismo, una lettura decisamente
razionalista della religione. Con David Hume (1711-1776) vi fu un rifiuto
dei contenuti razionali della religione, nell'insieme considerata un fenomeno
del tutto irrazionale, nato dai timori propri dell'uomo nei confronti
dell'universo. Partendo dal giudizio di "irrazionalismo" della
religione, in Occidente, con ad esempio Julien Offray de La Mettrie (1709-1751)
o Claude-Adrien Helvétius(1715-1771), si affacciarono le prime critiche
radicali alla religione che portarono all'affermazione dell'ateismo. In
questo ambito Paul Henri Thiry d'Holbach (1723-1789) giunse a sostenere
che: «L'idea di un Dio terribile, raffigurato come un despota, ha dovuto
rendere inevitabilmente malvagi i suoi sudditi. La paura non crea che schiavi
[...] che credono che tutto divenga lecito quando si tratta o di guadagnarsi la
benevolenza del loro Signore, o di sottrarsi ai suoi temuti castighi. La
nozione di un Dio-tiranno non può produrre che schiavi meschini, infelici,
rissosi, intolleranti.» (Holbach, Il buon senso, a cura di S. Timpanaro,
Garzanti 1985, p.150) Culture non occidentaliModifica Nelle culture non
occidentali il termine "religione" viene reso con termini che non
hanno la stessa etimologia latina. Così, se in Occidente, fatto salvo la lingua
greca, il termine "religione" ha ovunque origine dal latino religio,
l'etimologia del termine ebraico origina invece da un termine proprio
dell'antico persiano, allo stesso modo l'arabo dove il termine
"religione" origina dall'avestico. Nelle lingue del Subcontinente
indiano invece il termine "religione" viene reso con termini di
origine sanscrita e, in Estremo Oriente, con termini di origine cinese.
Vicino e Medio OrienteModifica In lingua ebraica il termine occidentale
"religione" viene reso come(alfabeto ebraico) traslitterato in
caratteri latini come dath. Tale termine compare alcune volte nel Tanakh, così
nel Libro di Ester Il re ordinò che così fosse fatto. Il decreto (dath) fu
promulgato a Susa. I dieci figli di Amàn furono appesi al palo.» (Libro
di Ester, IX,14) In questo verso (dath) sta per "editto",
"legge", "decreto". L'ebraico dath deriva dall'avestico e
dall'antico persiano dāta[29]. Il termine avestico dāta possiede in
quella lingua sempre il significato di "legge" o di "legge di
Ahura Mazdā"[30], ovvero legge del Dio unico e supremo dello
Zoroastrismo. (AE) «ahmya zaothre baresmanaêca mãthrem speñtem
ashhvarenanghem âyese ýeshti, dâtem vîdôyûm âyese ýeshti, dâtem zarathushtri
âyese ýeshti, darekhãm upayanãm âyese ýeshti, daênãm vanguhîm mâzdayasnîm âyese
ýeshti.» (IT) «Con questo zaothra e baresman desidero questo Yasna
per il generoso Manthra, il più glorioso e lo desidero per Dāta, la Legge, la
più gloriosa, santificata Aša, istituita contro i daēva, e per la legge
insegnata da Zarathuštra. Desidero, questo Yasna, per Upayana, l'antica
tradizione mazdea, e per Daēna, la santa religione mazdea.» (Avestā II,
13. Traduzione di Arnaldo Alberti, in Avestā. Torino, UTET, 2008, pag.96) In
lingua araba il termine occidentale "religione" viene reso come دين
(alfabeto arabo) traslitterato in caratteri latini come dīn. Oggi ho
perfezionato la vostra religione ( dīn) compiendo per voi il mio beneficio e ho
scelto per voi l'Islām come religione ( dīn)» (Corano V,3) Il termine
arabo dīn deriva dal medio persiano dēn[31]. In lingua persiana il
termine occidentale "religione" viene reso come دین (alfabeto
arabo-persiano) traslitterato in caratteri latini come dīn. Tale termine deriva
dal termine medio persiano dēnche, a sua volta, deriva dall'avestico daēnā che
in quella antica lingua significa "religione" intesa come splendore,
luminosità di Ahura Mazdā. Daēnā a sua volta proviene, nella medesima lingua,
dalla radice dāy(vedere). (AE) «nivaêdhayemi hañkârayemi mãthrahe
speñtahe ashaonô verezyanguhahe dâtahe vîdaêvahe dâtahe zarathushtrôish
darekhayå upayanayå daênayå vanghuyå mâzdayasnôish» (IT) «Annuncio
e celebro in lode del benefico ed efficace Manthra, ašavan, rivelazione contro
i daēva; rivelazione che viene da Zarathuštra, e in lode di Daēna, la buona
religione mazdea, che ha un'antica Tradizione» (Avestā I, 13. Traduzione
di Arnaldo Alberti, in Avestā. Torino, UTET, 2008, pag.92) Subcontinente
indiano Modifica
La bandiera dell'India. Al centro della bandiera è collocato, raffigurato in
blu, il Čakra di Aśokaovvero il sigillo che compare negli editti promulgati
dall'imperatore indiano Aśoka (304-232 a.C.) e che rappresenta il Dharmačakra,
la "Ruota del Dharma". Nella lingua hindi, la lingua ufficiale e più
diffusa dell'India, il termine occidentale "religione" viene reso
come (alfabeto devanagari) traslitterato in caratteri latini come Dharma.
«È abbastanza difficile trovare un'unica parola nell'area dell'Asia meridionale
che denoti ciò che in italiano è definito "religione", un termine
effettivamente piuttosto vago e dall'ampio raggio semantico. Forse il termine
più appropriato potrebbe essere il sanscrito dharma, traducibile in diversi
modi, tutti pertinenti alle idee e alle pratiche religiose indiane»
(William K. Mahony. Induismo, "Enciclopedia delle Religioni" vol. 9:
"Dharma induista". Milano, Jaca Book, 2006, pag.99) Gianluca Magi
precisa tuttavia che il termine Dharma «è più ampio e complesso di quello
cristiano di religione e, dall'altro, meno giuridico delle attuali concezioni
occidentali di "dovere" o di "norma", poiché privilegia la
consapevolezza e la libertà piuttosto che il concetto di religio od
obbligo» (in Dharma, "Enciclopedia filosofica" vol.3. Milano,
Bompiani. Il termine Dharma è usato nella maggior parte delle religioni di
origine indiana per indicare tali contesti religiosi: Induismo Sanātana
Dharma), Buddhismo Buddha Dharma), Giainismo Jain Dharma) e Sikhismo (Sikh
Dharma). Ma anche per indicare le religioni occidentali come l'Ebraismo
(Dharma ebraico) o il Cristianesimo (Dharma cristiano) Il termine Dharma
deriva dalla radice sanscrita dhṛtraducibile in italiano come "fornire una
base", ovvero come "fondamento della realtà",
"verità", "obbligo morale", "giusto", "come
le cose sono" oppure "come le cose dovrebbero essere". O
guardiani dell'ordine cosmico (Ṛta), o Dei le cui leggi (Dharma) sono sempre
realizzate, voi salite sul vasto carro del cielo più alto; a chi, Mitra e Varuṇa,
mostrate il vostro favore, la pioggia del cielo dona abbondanza di miele»
(Ṛgveda, V 63,1 a-c) Estremo Orientesānjiào yījiào Tre religioni (insegnamenti)
una religione (insegnamento). Confucio (Kǒng Qiū) e Lǎozǐ proteggono il Buddha
Śākyamuni Shìjiāmóuní) infante. Rotolo dipinto su seta, Dinastia Ming
conservato presso il British Museum di Londra. Scrittura oracolare su
ossa, all'origine del carattere cinese
(zǐ, bambino). Il carattere cineseche indica la singola
"religione" è (jiào) e si compone, oltre del carattere (zǐ), del carattere (lǎo, vecchio), il tutto ad indicare
l'insegnamento. In lingua cinese il termine occidentale "religione" viene
reso come , traslitterato in caratteri latini in zōngjiào (Wade-Giles
tsung-chiao). Da questa lingua il termine religione viene così reso nelle altre lingue
estremo-orientali in: lingua giapponese shūkyō; lingua coreana jonggyo lingua vietnamita tôn giáo. In lingua
cinese (jiào) rende anche il khotanesedeśanā, a sua volta resa del sanscrito
deśayati(causativo del verbo di III classe diś: "mostrare",
"assegnare", "esibire", "rivelare") e anche il
sanscritośāsana (insegnamento). Il carattere è formato da (zǐ, bambino, dove la figura
stilizzata è avvolta in fasce e agita le braccia), (lǎo, vecchio). Mentre (zōng) indica "scuola",
"tradizione acclarata", "religione" quindi
"insegnamento di una tradizione acclarata/religione". Il carattere
cinese (zōng) è formato dai
caratteri (mián, tetto di un edificio) e
( shì "altare", oggi nel significato di "mostrare") a sua
volta composto da (altare primitivo) con
ai lati (gocce di sangue o di
libagioni); il tutto a significare "edificio che contiene un
altare". Le singole religioni vengono indicate dal nome che le
caratterizza seguite dal carattere (jiào): Buddhismo (Fójiào da Fó Buddha),
Confucianesimo (Rújiào, da Rú, letterato confuciano), Daoismo (Dàojiào da Dào)
Cristianesimo (Jīdūjiāo da Jīdū Cristo),
Ebraismo ( Yóutàijiào da Yóutài Giuda),
Islām (Yīsīlánjiāo da Yīsīlán Islām). DescrizioneModifica Il dibattito
sulla nozione di religioneModifica La nozione di "religione" è
problematica e dibattuta. Da un punto di vista fenomenologico-religioso
il termine "religione" è collegato alla nozione di sacro:
«Secondo Nathan Söderblom, Rudolf Otto e Mircea Eliade, la religione è per
l'uomo la percezione di un "totalmente Altro"; ciò ha come
conseguenza un'esperienza del sacro che a sua volta dà luogo a un comportamento
sui generis. Questa esperienza, non riconducibile ad altre, caratterizza l'homo
religiosus delle diverse culture storiche dell'umanità. In tale prospettiva,
ogni religione è inseparabile dall'homo religiosus, poiché essa sottende e
traduce la sua Weltanschauung (Georges Dumézil). La religione elabora una
spiegazione del destino umano (Geo Widengren) e conduce a un comportamento che
attraverso miti, riti e simboli attualizza l'esperienza del sacro.»
(Julien Ries. Le origini, le religioni. Milano, Jaca Book, 1992, pagg.7-23) Da
un punto di vista storico-religioso la nozione di "religione" è
collegata al suo esprimersi storico: «Ogni tentativo di definire il
concetto di "religione", circoscrivendo l'area semantica che esso
comprende, non può prescindere dalla constatazione che esso, al pari di altri
concetti fondamentali e generali della storia delle religionie della scienza
della religione, ha una origine storica precisa e suoi peculiari sviluppi, che ne
condizionano l'estensione e l'utilizzo. [...] Considerata questa prospettiva,
la definizione della "religione" è per sua natura operativa e non
reale: essa, cioè, non persegue lo scopo di cogliere la "realtà"
della religione, ma di definire in modo provvisorio, come work in progress, che
cosa sia "religione" in quelle società e in quelle tradizioni oggetto
di indagine e che si differenziano nei loro esiti e nelle loro manifestazioni
dai modi a noi abituali.» (Giovanni Filoramo. Religione in Dizionario
delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pag.620)
Da un punto di vista antropologico-religioso la "religione"
corrisponde al suo modo peculiare di manifestarsi nella cultura: «Le
concezioni religiose si esprimono in simboli, in miti, in forme rituali e
rappresentazioni artistiche che formano sistemi generali di orientamento del
pensiero e di spiegazione del mondo, di valori ideali e di modelli di
riferimento» (Enrico Comba. Antropologia delle religioni.
Un'introduzione. Bari, Laterza, 2008, pag.3) Anche se come evidenzia lo stesso
Enrico Comba: «Non è dunque possibile stabilire un criterio assoluto per
distinguere i sistemi religiosi da quelli non religiosi nel vasto repertorio
delle culture umane» (Enrico Comba. Op.cit. pag.28) Quindi, come notano
Carlo Tullio Altan e Marcello Massenzio, il fenomeno della religione:
«come forma specifica della cultura umana, ovunque presente nella storia e
nella geografia, è un fenomeno estremamente complesso, che va studiato con
molteplici procedure, mano a mano che queste ci vengono offerte dal progresso
degli studi delle scienze umane, senza pretendere di dire mai in proposito
l'ultima parola, come accade per un lavoro che sia costantemente in corso
d'opera.» (Carlo Tullio Altan e Marcello Massenzio. Religioni Simboli
Società: Sul fondamento dell'esperienza religiosa. Milano, Feltrinelli, 1998,
pagg. 71-2) Analisi filosoficaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: scienze delle religioni Natura problematica della
definizione di "religione" Max Weber (1864-1920) sostenne
che la definizione di "religione" si può declinare alla fine della
ricerca su di essa. Leszek Kołakowski(1927-2009) ha osservato che, come
per altri ambiti umanistici, difficilmente si potrà addivenire ad una
definizione condivisa del termine "religione". La definizione moderna
del termine "religione" è problematica e controversa: «Definire
la religione è compito tanto ineludibile quanto improbo. È infatti evidente
che, se una definizione non può prendere il posto di una indagine, quest'ultima
non può avere luogo in assenza di una definizione.» (Giovanni Filoramo.
Op.cit 1993, pag.621) Già Max Weber aveva sostenuto che: «Una definizione
di ciò che la religione 'è' non può trovarsi all'inizio, ma caso mai, alla fine
di un'indagine come quella che segue.» (Max Weber. Economia e società
Milano, Comunità, 1968, pag.411. (prima ed. 1922)) Melford E. Spiro (1920-)[32]
e Benson Saler[33]obiettano in proposito che quando non si definisce l'oggetto
di indagine in modo esplicito si finisce per definirlo in modo implicito.
Lo storico polacco Leszek Kołakowski (1927-2009) rileva invece che:
«Studiando le attività umane nessuno dei concetti di cui disponiamo può essere
definito con assoluta precisione, e, sotto questo aspetto, 'religione' non si
trova in una situazione peggiore di "arte", "società",
"storia", "politica", "scienza",
"linguaggio" e innumerevoli altre parole. Ogni definizione della
religione deve essere fino ad un certo punto, arbitraria, e, per quanto
scrupolosamente tentiamo di far sì che si conformi all'impiego attuale della
parola nel linguaggio comune, molte persone riterranno che la nostra
definizione comprenda troppo o troppo poco.» (Leszek Kołakowski. Se non
esiste Dio. Bologna, Il Mulino, 1997) Le spiegazioni sulla natura e le ragioni
dell'esistenza dei credi religiosi Ulteriori informazioni Questa sezione
sull'argomento religione è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo
le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento.
Il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach (1804-1872) sosteneva che: la religione
consiste di idee e valori prodotti dagli esseri umani, erroneamente proiettati
su forze e personificazioni divine. Dio sarebbe quindi la costruzione di un
Super uomo (uomo potenziato con attribuiti ideali dati dall'uomo stesso). È una
forma di alienazione (che non ha lo stesso significato attribuito da Marx), in
quanto la religione estranea l'uomo da sé stesso facendogli credere di non
essere in prima persona: l'uomo è sottomesso da sé stesso. La religione si
trova ad essere dunque un rifugio dell'uomo di fronte alla durezza della realtà
quotidiana. Karl Marx (1818-1883) affermò che: la Religione è «il gemito
della creatura oppressa, l'animo di un mondo senza cuore, così come è lo
spirito d'una condizione di vita priva di spiritualità. Essa è l'oppio dei
popoli»[34]. Secondo l'ottica di Max Weber (1864-1920): le Religioni
mondiali sarebbero capaci di raccogliere vaste masse di credenti e di
influenzare il corso della storia universale. Weber non crede che la religione
sia una forza conservatrice (Karl Marx), bensì crede che essa possa provocare
enormi trasformazioni sociali: La religione influisce sulla vita sociale ed
economica. Il Puritanesimo e il protestantesimo, ad esempio, furono all'origine
del modo di pensare capitalistico. Ne ”L'etica protestante e lo spirito del
capitalismo” Weber discusse ampiamente l'influenza del cristianesimo sulla
storia dell'Occidente moderno. Weber scoprì che effettivamente alcune religioni
sono caratterizzate da un ascetismo ultramondano, che privilegia la fuga dai
problemi terreni, distogliendo gli sforzi dallo sviluppo economico. Il
cristianesimo sarebbe una religione di salvezza per Weber, poiché è incentrata
sulla convinzione che gli esseri umani possano essere salvati purché scelgano
la fede e seguano le sue prescrizioni morali. Le religioni di salvezza
presentano un aspetto rivoluzionario perché sono caratterizzate da un ascetismo
intramondano, cioè uno spirito religioso che privilegia la condotta virtuosa in
questo mondo. Le religioni asiatiche invece avevano un atteggiamento di
passività rispetto all'esistente. Tra le riflessioni contemporanee,
particolarmente interessante è la spiegazione del fenomeno religioso proposta
da Marcel Gauchet a iniziare dall'opera del 1985 Il Disincanto del mondo[35]:
secondo lo storico-filosofo francese, la religione non è né una tensione
individuale verso il trascendente, né una costruzione funzionale alla
giustificazione del potere. La religione va invece intesa, in una prospettiva
storica e antropologica, come maniera particolare di strutturazione dello
spazio sociale e umano. In particolare la forma più pura di religione è da
rintracciare negli animismi che caratterizzano quelle società che Pierre
Clastres definisce “contro lo Stato”. Nelle società di questo tipo, la legge
viene cioè fatta risalire a un tempo e a forze assolutamente altre rispetto al
presente e nessun membro della società può quindi rivendicare un rapporto
privilegiato con il trascendente. La nascita di un'istanza separata del potere
è indisgiungibile da una trasformazione della religione: dopo tali
trasformazioni, il mondo terreno e la realtà trascendente entrano in rapporto.
La religione, che nella sua forma più pura era un disinnescamento totale
dell'instabilità sociale, una rimozione assoluta della divisione attraverso
l'assolutizzazione della separazione terreno/trascendente, si apre a quella che
Gauchet definisce l'uscita dalla religione. Alcuni termini classificatori
e descrittivi delle religioniModifica Edward Burnett Tylor introdusse,
nel 1871, la nozione di "animismo". Il teologo calvinista
svizzero Pierre Viret (1511-1571) che, nel suo Instruction chrétienne del 1564
introdusse il termine "deismo". Friedrich Schelling nel 1842
introdusse per primo il termine "enoteismo" poi ripreso e diffuso
dall'indologo Friedrich Max Müller (1823-1900). John Toland(1670-1722)
nel suo Socinianism Truly Stated. By a pantheist (1705) utilizzò per primo la
nozione di "panteismo". AnimismoModifica "Animismo"
(dall'inglese animism, a sua volta dal latino anĭma) è il termine introdotto
nello studio delle religioni primitive dall'antropologo inglese Edward Burnett
Tylor (1832-1917) che, nel 1871 nel suo Primitive Culture: Researches into the
Development of Mythology, Philosophy, Religion, Language, Art and Custom, lo
utilizzò per indicare quella prima forma di credenza spirituale
("anima" o "forza vitale") che viene riscontrata in oggetti
o luoghi. In tal senso la teoria di Tylor si opponeva a quella di Herbert
Spencer(1820-1903) che invece poneva nell'ateismo le convinzioni degli uomini
primitivi[36]. La teoria "animistica", già messa in discussione
da Marcel Mauss (1872-1950) e da James Frazer (1854-1941), è rifiutata oggi
dalla maggior parte degli antropologi. Tuttavia, come nota Jacques
Vidal[37] «in mancanza di altre espressioni l'uso del termine rimane
frequente.» Carlo Prandi[38] nota anche come tale termine venga
utilizzato per indicare le credenze religiose dell'Africa subsahariana, quelle
afrobrasiliane e quelle attinenti alle culture dell'Oceania.
AteismoModifica Esistono religioni atee, per considerarle tali prevale la
definizione legata al culto piuttosto che al sacro, e l'interpretazione
strettamente etimologica su quella abituale di "atteggiamento
antireligioso".[39]. Nel 1993 durante i lavori del Parlamento Mondiale
delle Religioni (PoWR) i buddisti, guidati dal Dalai Lama, protestarono contro
l’uso del termine Dio che essi rifiutano, concordando solo su quello di Realtà
suprema[40]. DeismoModifica Il termine "Deismo" (dal francese
déisme, a sua volta dal latino deus[41]) fu coniato dal teologo calvinista
svizzero di lingua francese Pierre Viret (1511-1571) che nella sua Instruction
chrétienne (Ginevra, 1564) lo utilizzò per indicare un gruppo che si opponeva
agli "ateisti", ma Viret descrisse questo "gruppo" come di
coloro che pur credendo in un Dio unico e creatore rigettavano la fede in Gesù
Cristo. Il poeta inglese John Dryden (1631-1700), in Religio Laici del
1682 definì il "Deismo" come la credenza in un Dio creatore
rifiutando qualsivoglia dottrina propugnata dalla tradizione e dalla
rivelazione. Con la pubblicazione del Dictionnaire historique et critique
(Rotterdam, 1697) di Pierre Bayle (1647-1706), che riprese la nozione di Déisme
(s.v. "Viret"), il termine si diffuse ampiamente nella cultura
europea. Tuttavia il significato di "Deismo" ha posseduto, di
volta in volta, connotazioni diverse. Allen W. Wood[42]ne ha identificate
quattro: credenza in un Essere supremo privo di tutti gli attributi di
personalità (come intelletto e volontà); credenza in un Dio, ma rifiuto di
qualsiasi cura provvidenziale da parte di questi per il mondo; fede in un Dio,
ma negazione di ogni vita futura; credenza in un Dio, ma rifiuto di tutti gli
altri articoli di fede religiosa. Molti filosofi e scienziati, per lo più
illuministi del Settecento, sostennero tali posizioni; varianti
istituzionalizzate del "Deismo" sono il Culto dell'Essere supremo
durante la Rivoluzione francese e la spiritualità della Massoneria.
EnoteismoModifica "Enoteismo" (dal tedesco henotheismus, a sua volta
dal greco εἷς eîs + θεός theós "un dio") fu il termine coniato dal
Friedrich Schelling (1775-1854) in Philosophie der Mythologie und der
Offenbarung(1842) per indicare un "monoteismo " rudimentale sorto
durante la preistoria della coscienza e precedente al "monoteismo
evoluto" e al politeismo. In questo senso il termine si presenta simile a
quello di Urmonotheimus ovvero "monoteismo primordiale" elaborato nel
1912 dall'antropologo e sacerdote Wilhelm Schmidt. Successivamente,
l'indologo tedesco Friedrich Max Müller (1823-1900) utilizzò questo termine[43]
per indicare una pratica propria del Ṛgveda consistente nell'isolare una
divinità rispetto alle altre durante le invocazioni rituali. Nel suo
significato storico-religioso, "enoteismo" occorre ad indicare quella
forma di culto per cui una divinità viene, durante il rito, momentaneamente
isolata e privilegiata rispetto alle altre, assurgendo così a divinità
principale. MonoteismoModifica Il termine Monoteismo (neologismo greco,
dal grecoμόνος, mónos = unico, solo e θεός theós = dio) caratterizza quelle
religioni che propugnano l'esistenza di una singola divinità. André
Lalande (1867-1963) ha così descritto, nel suo Vocabulaire technique et
critique de la philosophie, revu par MM. les membres et correspondants de la
Société française de philosophie et publié, avec leurs corrections et
observations par André Lalande, membre de l'Institut, professeur à la Sorbonne,
secrétaire général de la Société (2 volumi) Parigi, 1927, il termine
"monoteismo": «Dottrina filosofica o religiosa che ammette un
solo Dio, distinto dal mondo» Il tema, controverso, è quali possano
essere le religioni ascrivibili a questo contesto. Dopo una disamina di tale
problema, Paolo Scarpi così chiosa: «In questa prospettiva, pertanto
conviene limitare l'uso del termine monoteismo alle forme religiose che
storicamente si sono affermate come tali e che hanno elaborato una speculazione
teologica finalizzata alla dimostrazione dell'unicità di Dio» Intendendo
in questa prospettiva sostanzialmente l'Ebraismo, il Cristianesimo e l'Islām.
Di tutt'altro avviso è invece, ad esempio, Theodore M. Ludwig che nella
Encyclopedia of Religion nata dal progetto internazionale proposto da Mircea
Eliade include, sia nell'edizione del 1987 che nella seconda edizione del 2005,
nella voce Monotheism[44], altre religioni oltre quelle qui sopra citate come
lo Zoroastrismo, la Religione greca nella forma di alcuni culti e nel pensiero
di alcuni teologi greci, la Religione egizia del culto di Aton, il Buddhismo
nella forma della Terra Pura, l'Induismo in alcune sue particolari
manifestazioni e il Sikhismo. PanteismoModifica Il termine Panteismo
(dall'inglese pantheism a sua volta dal greco παν pan + θεός theós = tutto Dio)
letteralmente significa "tutto è Dio". Tale termine fu derivato da
analogo termine, pantheistic, utilizzato dal filosofo irlandese John Toland
(1670-1722) nel suo Socinianism Truly Stated. By a pantheist (1705), ed ebbe
larga diffusione in Europa durante le polemiche inerenti al Deismo. Oggi
il termine "Panteismo" occorre come termine tecnico-descrittivo per
individuare quei credi religiosi, o filosofico-religiosi, che individuano una
divinità che abbraccia ogni cosa, ovvero Dio che compenetra ogni aspetto e
luogo dell'universo rendendo così sacro ogni aspetto dell'esistente, anche
quello naturale[45]. Sono imparentati ad esso i termini di
"panenteismo", termine coniato nel 1828 da Karl Krause per indicare
una visione in cui Dio è sia immanente che trascendente. e di
"monismo", genericamente ogni dottrina unitaria che presuppone
un'unica sostanza, nella fattispecie la concezione di un unico Dio impersonale
ed ozioso [46]. PoliteismoModifica Il termine "politeismo" è
attestato nelle lingue moderne per la prima volta nella lingua francese
(polythéisme) a partire dal XVI secolo[47]. Il termine polythéisme fu coniato
dal giurista e filosofo francese Jean Bodin, e quindi utilizzato per la prima volta
nel suo De la démonomanie des sorciers (Parigi, 1580), per poi finire nei
dizionari come il Dictionnaire universel françois et latin (Nancy 1740), il
Dictionnaire philosophique di Voltaire (Londra 1764) e, l'Encyclopédie di
D'Alembert e Diredot (seconda metà del XVIII secolo), la cui voce polytheisme è
curata dallo stesso Voltaire. Utilizzato in ambito teologico in opposizione a
quello di "monoteismo"; entra nella lingua italiana nel XVIII
secolo[48]. Il termine polythéisme, quindi "politeismo", è
formato da termini derivati dal greco antico: πολύς (polys) + θεοί (theoi) ad
indicare "molti dèi"; quindi da polytheia, termine coniato dal
filosofo giudaico di lingua greca Filone di Alessandria (20 a.C.-50 d.C.) per
indicare la differenza tra l'unicità di Dio nell'Ebraismo rispetto alla nozione
pluralistica dello stesso propria delle religioni antiche[49], tale termine fu
poi ripreso dagli scrittori cristiani (ad esempio da Origene in Contra
Celsum). Tale termine indica quelle religioni che ammettono l'esistenza
di più dèi a cui destinare i culti. Non vi rientra pertanto il Dualismo, che
nella versione classica del Manicheismo vede il mondo retto da due principi
opposti in lotta tra loro, il Male e il Bene, quest'ultimo destinato a
trionfare alla fine dei giorni. Il termine Dualismo viene inoltre esteso ad
eresie quali gli Gnostici e i Catari, che nell'esaltare la figura del male
distinguono nettamente tra spirito e materia, ma trattandosi di Cristiani, per
quanto borderline, vanno inclusi tra i Monoteisti. Religioni (in ordine alfabetico)
con maggior numero di fedeliModifica BuddhismoModifica Il Buddhismo nel
mondo Il Buddhismo è una religione che comprende una varietà di tradizioni,
credenze e pratiche, in gran parte basata sugli insegnamenti attribuiti a
Siddhārtha Gautama, vissuto nel Nepal intorno al VI secolo a.C., comunemente
appellato come il Buddha, ossia "il Risvegliato". Le numerose
scuole dottrinarie afferenti a questa religione si fondano e si differenziano
in base alle raccolte scritturali riportate nei Canoni buddhisti e agli
insegnamenti tradizionali trasmessi all'interno delle stesse scuole. Le
due grandi differenziazioni all'interno del Buddhismo riguardano le correnti
Theravāda, presente prevalentemente in Sri Lanka, Thailandia, Cambogia, Myanmar
e Laos, e Mahāyāna, presente invece prevalentemente in Cina, Tibet, Giappone,
Corea, Vietnam e Mongolia. CristianesimoModifica I cristiani nel
mondo per nazione Il Cristianesimo è la religione più diffusa nel mondo, in
particolare in Occidente (Europa, Americhe, Oceania). Le forme storiche del
cristianesimo sono molteplici, ma è possibile indicare quattro principali
suddivisioni: il Cattolicesimo, il Protestantesimo, l'Ortodossia e
l'Anglicanesimo. Oltre a queste quattro suddivisioni, esistono alcuni credi che
si riallacciano al Cristianesimo ma non sono classificati nelle quattro
categorie principali, tra cui Mormonismo e i Testimoni di Geova. Tutte
queste tradizioni cristiane riconoscono, seppure con piccole varianti, che il
loro fondatore, Gesù di Nazaret, è il Figlio di Dio, e lo riconoscono come
Signore. Credono altresì, a parte i Testimoni di Geova, i Mormoni e i
Protestanti Unitari, che Dio è uno in tre persone: il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo. Inoltre, tenendo presente che la Bibbia protestante ha 7
libri in meno della Bibbia cattolica, considerano la Bibbia un testo ispirato
da Dio. La Bibbia dei cristiani è composta dall'Antico Testamento, il quale
corrisponde alla Septuaginta, versione e adattamento in lingua greca della
Bibbia ebraica con l'aggiunta di ulteriori libri[50], e dal Nuovo Testamento:
quest'ultimo ruota interamente sulla figura di Gesù Cristo e del suo
"lieto annuncio" (Vangelo). InduismoModifica Induismo nel
mondo L'Induismo è un insieme di dottrine, credenze e pratiche religiose e
filosofico-religiose che hanno avuto origine in India, luogo dove risiede la
maggioranza dei suoi fedeli. Secondo la tradizione, questa religione è eterna
(Sanātana dharma, religione eterna) non avendo né un principio né una
fine. L'Induismo fa riferimento ad un insieme di testi sacriche per
tradizione suddivide in Śruti e in Smṛti. Tra questi testi occorre ricordare in
particolar modo i Veda, le Upaniṣad e la Bhagavadgītā.
IslamModifica Presenza musulmana nel mondo L'Islam è la più recente delle
tre principali religioni monoteiste originarie del Vicino Oriente. Ha come
principale riferimento il Corano considerato libro sacro. Il testo in lingua
araba, una raccolta di predicazioni orali, è relativamente breve rispetto ai
testi sacri ebraici o indù. Il termine Islam significa letteralmente
"sottomissione", intesa come fedeltà alla parola di Dio. L'Islam
condivide con l'Ebraismo e il Cristianesimo gran parte della tradizione
dell'Antico Testamento, legittimando il riferimento biblicosecondo cui Isacco
(progenitore degli israeliti) e Ismaele (progenitore degli arabi) erano
entrambi figli di Abramo. Riconosce la vita e le opere di Gesùritenendolo però
un profeta. La figura di riferimento dell'Islam è Muhammad (Maometto), vissuto
nel VII secolo nella penisola arabica, di cui la Sunna raccoglie gli aneddoti.
Le due suddivisioni principali di questa religione sono l'Islam sunnita e
l'Islam sciita. Altre religioniModifica Altre importanti religioni,
diffuse soprattutto in Asiasono: Animismo Bahá'í Confucianesimo Culti
sincretici africani Ebraismo Ermetismo Esoterismo Giainismo Gnosticismo
Manicheismo Mitraismo Shintoismo Sikhismo Taoismo Zoroastrismo Nuovi movimenti
religiosiModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Nuovo movimento religioso. Bambini di Dio Chiesa dell'unificazione
Meditazione trascendentale Movimento raeliano Neopaganesimo Organizzazione
Sathya Sai Pastafarianesimo Rajneeshismo Rastafarianesimo Sahaja Yoga
Scientology Testimoni di Geova Wicca NoteModifica ^ a b Religione, in Treccani.it
– Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il
6 settembre 2020. ^ Sull'etimologia di "religio" si possono vedere
gli studi di Huguette Fugier, Recherches sur l'expression du sacré dans la
langue latine, Saint-Amand, Ch.A. Bedy, 1963, pp. 172-179 e Godo Lieberg,
"Considerazioni sull'etimologia e sul significato di religio",
Rivista di Filologia Classica, (102) 1974, pp. 34-57. ^ a b Jean Paulhan, Il
segreto delle parole, a cura di Paolo Bagni, postfazione di Adriano Marchetti,
Firenze, Alinea editrice, 1999, p. 45, ISBN 88-8125-300-3. ^ ««le fait de se
lier vis-à-vis des dieux», symbolisé par l'emploi des uittæ et des στέμματα
dans le culte.» (( FR ) Alfred Ernout e Antoine Meillet, Dictionnaire
étymologique de la langue latine - Histoire des mots ( PDF ), ristampa della IV
edizione, in nuovo formato, aggiornata e corretta da Jacques André (1985),
Parigi, Klincksieck, 2001 [1932] , p. 569, ISBN 2-252-03359-2. URL
consultato il 24 luglio 2013.) ^ Michael von Albrecht, Terror et pavor:
politica e religione in Lucrezio ( PDF ), su basnico.files.wordpress.com, ETS,
2005, 238-239. URL consultato il 5 giugno 2017. ^ cfr. anche ( EN ) Robert
Schilling, The Roman Religion, in Claas Jouco Bleeker e Geo Widengren (a cura
di), Historia Religionum I - Religions of the Past, vol. 1, 2ª ed., Leiden, E.
J. Brill, 1988 [1969] , p. 443, ISBN 978-90-04-08928-0. URL
consultato il 5 giugno 2017. ^ Polibio, Storie, VI 56. ^ Concetta Aloe Spada,
“L’uso di religio e religiones nella polemica antipagana de Lattanzio”, in Ugo
Bianchi (ed.), The Notion of «Religion» in Comparative Research. Roma: 'L'Erma'
di Bretschneider, 1994, pp. 459-463. ^ Retractationes I, 13. Anche se in De
civitate DeiX,3 Agostino segue invece l'etimologia offerta da Cicerone:
«Eleggendo quindi Dio, o piuttosto rieleggendolo (da cui verrebbe il termine
religione) avendolo perduto per nostra negligenza» (Agostino. La città di
Dio. Milano, Bompiani, 2004, pag.462) ^ Cfr. anche Giovanni Filoramo. Che cos'è
la religione. Torino, Einaudi, 2004, pag.81-2. ^ Giovanni Filoramo. Op.cit.
1993. ^ Giovanni Filoramo. Op.cit. 2004 pag.82 nota 2; Op.cit. 1993, pag. 624;
Le scienze delle religioni. Brescia, Morcelliana, 1997, pag.286 ^ Cfr., ad
esempio, Paolo Scarpi. Grecia (religione) in Dizionario delle religioni (a cura
di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, p. 350. ^ Dialetto ionico. ^
Questo tuttavia al di fuori del dialetto attico, cfr. in tal senso e per una
più approfondita disamina dei termini Walter Burkert, La creazione del sacro,
pp. 491 e sgg. ^ «Tutti questi dati si intrecciano e completano la nozione che
la parola thrēskeia evoca di per sé stessa: quella di 'osservanza, regola della
pratica religiosa'. La parola si ricollega a un tema verbale che denota
l'attenzione al rito, la preoccupazione di restare fedeli a una regola.» Émile
Benveniste. Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, voll. II. Torino,
Einaudi, 1976, p.487. ^ «Per i Romani religio stava a indicare una serie di
precetti e di proibizioni e, in senso lato, precisione, rigida osservanza,
sollecitudine, venerazione e timore degli dèi.» (Mircea Eliade. Religione
in Enciclopedia del novecento. Istituto enciclopedico italiano, 1982, pag.121)
^ Enrico Montanari. Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo).
Torino, Einaudi, 1993, pag. 642-4 ^ Enrico Montanari. Op.cit., pag. 642-4 ^ Va
precisato tuttavia che gli epicurei non negavano l'esistenza delle divinità
quanto piuttosto affermavano la loro lontananza e il loro disinteresse nei
confronti degli uomini. ^ Si riferisce ad Epicuro. ^ Michel Despland.
Religione. Storia dell'idea in Occidente, in Dictionnaire des Religions (a cura
di Jacques Vidal). Parigi, Presses universitaires de France, 1984. In italiano:
Dizionario delle religioni. Milano, Mondadori, 2007, pagg. 1539 e segg. ^ I
Apologeticum XLVI, 3 e 4. ^ Tra questi Giustino cita esplicitamente Socrateed
Eraclito: «Coloro che hanno vissuto secondo il Logos sono cristiani, anche se
sono stati considerati atei, come, tra i Greci, Socrate ed Eraclito, ad altri
simili, e tra i barbari, Abramo, Anania, Azaria, Misael, Elia, e molti altri
ancora, dei quali ora non elenchiamo le opere e i nomi, sapendo che sarebbe
troppo lungo. Di conseguenza coloro che hanno vissuto prima di Cristo, ma non
secondo il Logos, sono stati malvagi, nemici di Cristo e assassini di quelli
che vivevano secondo il Logos; al contrario coloro, quelli che hanno vissuto e
vivono secondo il Logos sono cristiani, non soggetti a paure e
turbamenti» (Giustino. Apologia I, 47,3 e 4. Traduzione di Giuseppe
Girgenti in Giustino Apologie. Milano, Rusconi, 1995, pagg. 125-7) . ^ Cfr. a
titolo esemplificativo Agostino d'Ippona. De vera religione 1-3. ^ «Nel XIII
sec. una religione è un Ordine religioso» (Michel Despland. Op.cit..) ^
Antonin-Dalmace Sertillanges. La philosophie morale de saint Thomas d'Aquin.
Parigi, 1947. ^ a b Michel Despland. Op.cit.. ^ F. Brown, S. R. Driver, Ch. A.
Briggs. A Hebrew and English Lexicon of the Old Testament. Oxford, Clarendon
Press, 1968 ^ Dāta' nella Encyclopædia Iranica. ^ «DlN, I. Definition and
general notion. It is usual to emphasize three distinct senses of din: (i)
judgment, retribution; (2) custom, sage; (3) religion. The first refers to the
Hebraeo-Aramaic root, the second to the Arabic root ddna, dayn (debt, money
owing), the third to the Pehlevi dēn(revelation, religion). This third
etymology has been exploited by Noldeke and Vollers.» (Louis Gardet.
Encyclopedia of Islam, vol.2. Leiden, Brill, 1991, pag.253) ^ Melford E. Spiro.
Religion: problems of definition and explanation, in M. Banton (a cura di)
Anthropological Approaches to the study of Religion. London, Tavistock, 1966,
pag. 90-1. ^ Benson Saler. Conceptualizing Religion: Immanent Anthropologist,
Trascendent Natives, and Unbounded Categories. Leiden, Brill, 1993, pagg. 28-9.
^ Karl Marx, "Introduzione" alla Critica della filosofia hegeliana
del diritto pubblico, in Opere filosofiche giovanili, Torino, Einaudi 1969. ^
(traduzione italiana Einaudi 1992) ^ Kees W. Bolle. Animism and Animatism.
Encyclopedia of Religion vo.1. NY, Macmillan, 2005 (1987) pagg. 362 e segg. ^
Dictionnaire des Religions (a cura di Jacques Vidal). Parigi, Presses
universitaires de France, 1984. In italiano: Dizionario delle religioni.
Milano, Mondadori, 2007, pag. 60. ^ Carlo Prandi. Dizionario delle religioni (a
cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pag.37 ^ Giancarlo Bascone,
Manualetto di storia religiosa: introduzione ^ Hans Küng, Ciò che credo,
Rizzoli: cap. 6 ^ La sua etimologia è del tutto simile a quello di
"Teismo" derivando quest'ultimo dal greco théose il primo dal latino
deus. ^ Encyclopedia of Religion, vol.4. NY, Macmillan, 2005, pag. 2251-2 ^
Friedrich Max Müller. Selected Essays on Language, Mythology and Religion, vol.
2, Londra, 1881. ^ Theodore M. Ludwig. Monotheism, in Encyclopedia of Religion
vol.9. NY, Macmillan, 2005, pagg. 6155 e segg. ^ H. P. Owen. Concepts of Deity.
Londra, Macmillan, 1971. ^ Maria Vittoria Cerutti, Storia delle religioni,
EDUCatt: 2. 4 ^ Paolo Scarpi, Politeismo in Dizionario delle religioni, Torino,
Einaudi, 1993, p. 573. ^ Alberto Nocentini, L'Etimologico, Firenze, Le Monnier,
2010 edizione elettronica ^ Gabriella Pironti. Il "linguaggio" del
politeismo in Grecia: mito e religione vol.6 della Grande Storia dell'antichità
(a cura di Umberto Eco). Milano, Encyclomedia Publishers/RCS, 2011, pag.22. ^
Da tener presente che la Bibbia protestantecontiene una differente raccolta di
libri rispetto a quella, ad esempio, cattolica.
BibliografiaModifica Ugo Bianchi (a cura di), The Notion of 'Religion' in
Comparative Research. Selected Proceedings of the 16. Congress of the
International Association for the History of Religions, Rome, 3.-8. September,
1990, Roma, 'L'Erma' di Bretschneider, 1994. Angelo Brelich, Introduzione alla
storia delle religioni, Roma-Bari, Editori Laterza, 1991. Walter Burkert, La
creazione del sacro, Milano, Adelphi, 2003. Yves Coppens, Origines de l'homme -
De la matière à la conscience, Paris, De Vive Voix, 2010. Yves Coppens, La
preistoria dell'uomo, Milano, Jaca Book, 2011. Alfonso Maria Di Nola,
Attraverso la storia delle religioni, Roma, Di Renzo Editore, 1996. Ambrogio
Donini, Lineamenti di storia delle religioni, Roma, Editori Riuniti, 1959.
Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni, Torino, Bollati Boringhieri,
1999. Giovanni Filoramo, Storia delle religioni, Roma-Bari, Editori Laterza,
1994. GiovanniFiloramo, Maria Chiara Giorda e Natale Spineto (a cura di),
Manuale di Scienze della religione, Brescia, Morcelliana, 2019. Voci correlateModifica
Ateismo Antropologia delle religioni Credenza religiosa Critiche alla religione
Culto Dio Divinità Fanatismo religioso Fenomenologia della religione Filosofia
della religione Fede Homo religiosus Importanza della religione per stato
Preghiera Psicologia della religione Religione di Stato Religioni maggiori
Religioni per nazione Rivelazione Rito Santuario Sacrificio Scienza delle
religioni Storia delle religioni Sacro Sociologia della religione Teologia
Uscita dalla religione Altri progettiModifica Collabora a Wikisource Wikisource
contiene di argomento religioso Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene
citazioni sulla religione Collabora a Wikizionario Wikizionario contiene il
lemma di dizionario «religione» Collabora a Wikinotizie Wikinotizie contiene
notizie di attualità su argomenti di religione Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla religione Collabora a
Wikivoyage Wikivoyage contiene informazioni turistiche su religione Wikiversity
contiene materiale del Corso di laurea in Scienza delle Religioni, Facolta' di
Lettere e Filosofia Collabora a Wikibooks Wikibooks contiene un approfondimento
sulla storia della nozione di religione Collabora a Wikibooks Wikibooks
contiene un libro su Le religioni e il sacro Collegamenti esterniModifica
religione, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata ( EN ) Religione, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN , FR ) Religione,
su Enciclopedia canadese. Modifica su Wikidata ( EN ) Religione, su The
Encyclopedia of Science Fiction. Modifica su Wikidata ( EN ) Opere riguardanti
Religione, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata ( EN )
Religione, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su
Wikidata ( EN ) Kevin Schilbrack, The Concept of Religion, in Edward N. Zalta
(a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of
Language and Information (CSLI), Università di Stanford. Dale Tuggu, Theories
of Religious Diversity, su Internet Encyclopedia of Philosophy. Centro Studi
sulle Nuove Religioni (CESNUR), su cesnur.org. Controllo di autoritàThesaurus
BNCF 7544 · LCCN( EN ) sh85112549 · GND ( DE ) 4049396-9 ·BNE ( ES ) XX524493 (data)
· BNF( FR ) cb11963568t (data) · J9U( EN , HE ) 987007529427605171
(topic) · NDL( EN , JA ) 00572394 Portale Religioni: accedi
alle voci di Wikipedia che trattano di Religioni Ultima modifica 6 giorni fa di
Ontoraul PAGINE CORRELATE Religione romana credenze del popolo romano
Storia delle religioni Dio entità divina, essere supremo e oggetto di
fede Wikipedia Il contenutoWikipedia Ricerca Religione romana credenze
del popolo romano Lingua Segui Modifica La religione romana è l'insieme dei
fenomeni religiosi propri dell'antica Roma considerati nel loro evolvere come
varietà di culti, questi correlati allo sviluppo politico e sociale della città
e del suo popolo[1][2]. Giove Tonante in una scultura risalente al
100 a.C. circa. Le origini della città, e quindi della storia e della religione
di Roma, sono controverse. Recentemente l'archeologo italiano Andrea
Carandini[3] sembrerebbe aver quantomeno dimostrato di poter datare l'origine
di Roma all'VIII secolo a.C., saldando quindi le sue conclusioni, basate sugli
scavi da lui condotti nella zona del Palatino, all'età di fondazione stabilita
dal racconto tradizionale[4][5]. Le origini della religione romana vanno
individuate nei culti dei popoli pre-indoeuropei stanziati in Italia[6], nelle
tradizioni religiose dei popoli indoeuropei[7] che, probabilmente a partire dal
XV secolo a.C.[8], migrarono nella penisola, nelle civiltà etrusca[9] e della
Grecia[10] e nelle influenze delle civiltà del Vicino Oriente occorse lungo i
secoli. La religione romana cessò di essere la religione
"ufficiale" all'interno dell'Impero romano con l'editto di
Tessalonica e i successivi editti promulgati a partire dal 380 dall'imperatore
romano convertito al cristianesimo Teodosio I[11], il quale proibì e perseguitò
tutti i culti non cristiani professati nell'Impero, soprattutto quelli
pagani[12]. Precedentemente (362-363) c'era stato il vano tentativo
dell'imperatore Giuliano di riformare la religione pagana per contrapporla
efficacemente al cristianesimo, ormai ampiamente diffuso. Una religione
civile L'espressione "religione romana" è di conio moderno. Il
termine italiano "religione" possiede tuttavia la sua chiara
etimologia nel termine latino religio ma, nel caso del termine latino, esso
esprime una nozione circoscritta alla cura nei confronti dell'esecuzione del
rito a favore degli dei, rito che, per tradizione, va ripetuto finché non
risulti correttamente eseguito[13], e in questo senso i Romani collegavano al
termine religioil vissuto di timore nei confronti della sfera del sacro, sfera
propria del rito e quindi della religione stessa[14]: (LA) «Religio
est, quae superioris naturae, quam divinam vocant, curam caerimoniamque
effert» (IT) «Religio è tutto ciò che riguarda la cura e la
venerazione rivolte a un essere superiore la cui natura definiamo divina»
(Cicerone, De inventione. II,161) Pertanto, l'integrità e la prosperità di Roma
(monarchica, repubblicana, imperiale) erano la finalità dello Stato e, a questo
scopo, doveri civili e religiosi coincidevano: lo Stato si è attribuito il
diritto di stabilire e specificare qual è il sacro e pertanto la religione
romana è una religione civica, una religione che ha carattere pubblico e, di
conseguenza, nella organizzazione istituzionale di Roma è presente anche un
apparato religioso"[15]. La nozione moderna di
"religione" è invece più complessa e problematica[16] andando a
coprire un più ampio spettro di significati: «Le concezioni religiose si
esprimono in simboli, in miti, in forme rituali e rappresentazioni artistiche
che formano sistemi generali di orientamento del pensiero e di spiegazione del
mondo, di valori ideali e di modelli di riferimento» (Enrico Comba,
Antropologia delle religioni. Un'introduzione. Bari, Laterza, 2008, p. 3)
Precisare la differenza di "contenuto" tra il termine latino religio
e quello di uso comune e moderno di "religione" rende conto della
caratteristica unica dei contenuti religiosi del vivere romano: «La
religione romana (o più in generale greco-romana) può essere caratterizzata da
due elementi: è una religione sociale ed è una religione fatta di atti di
culto. Religione sociale, essa è praticata dall'uomo in quanto membro di una
comunità e non in quanto singolo individuo, persona; è squisitamente una
religione di partecipazione e nient'altro che questo. Il luogo dove si esercita
la vita religiosa del romano è la famiglia, l'associazione professionale o di
culto, e soprattutto, la comunità politica.» (John Scheid, La religione a
Roma. Bari, Laterza, 1983, p. 8) Ne consegue che per i Romani la religio non
aveva molto a che fare con quello che noi indichiamo come credenza religiosa
individuale in quanto è lo Stato a essere il tramite tra l'individuo e la
divinità[17]: «L'atteggiamento religioso del romano va [...] distinto dal
sistema della fede. Religio non equivale a credo.» (Robert Schilling,
Rites, Cultes, Dieux de Rome. Parigi, Klincksieck, 1979, p.74; cit. in John
Scheid, Op.cit., p. 8) Il sentimento religioso romano (pietas) verte dunque
nella forte volontà di garantire il successo alla respublica mediante la
scrupolosa osservanza della religio, dei suoi culti, dei suoi riti, della sua
tradizione, osservanza che consente di ottenere il favore degli dei e garantire
la pax deum (pax deorum)[18]. Tale concordia con gli dei determinata dalla
scrupolosa osservanza della religio e dei suoi riti è testimoniata, per i
Romani, dal successo di Roma nei confronti delle altre città e nel mondo.
(LA) «...sed pietate ac religione atque una sapientia, quod deorum numine
omnia regi gubernarique perspeximus, omnes gentes nationesque
superavimus.» (IT) «... ma è nel sentimento religioso e
nell'osservanza del culto e pure in questa saggezza eccezionale che ci ha fatto
intendere appieno che tutto è retto e governato dalla volontà divina, che noi
abbiamo superato tutti i popoli e tutte le nazioni.» (Cicerone, De
haruspicum responso, 9; traduzione di Giovanni Bellardi, in Cicerone, Le
orazioni vol. III, Torino, UTET, 1975, pp. 302-305) Il che fa concludere a
Cicerone: (LA) «Et si conferre volumus nostra cum externis, ceteris
rebus aut pares aut etiam inferiores reperiemur, religione, id est cultu
deorum, multo superiores.» (IT) «E se vogliamo confrontare la
nostra cultura con quella delle popolazioni straniere, risulterà che siamo
uguali o anche inferiori sotto ogni altro aspetto, ma che siamo molto superiori
per quello che concerne la religione, cioè il culto degli dei.»
(Cicerone, De natura deorum. II, 8; traduzione di Cesare Marco Calcante.
Milano, Rizzoli, 2007, pp. 156-7) La "mitologia" romana: le fabulae La
nozione di "sacro" (sakros) nella cultura romana Lapis niger stele
(modificato).JPG Qui sopra il cippo del Lapis Niger risalente al VI
secolo a.C. che riporta un'iscrizione bustrofedica. In questo reperto
archeologico compare per la prima volta il termine sakros (Forum inscription
(dettaglio).jpg: sakros es)[19]. Dal termine latino arcaico sakros originano
due successivi termini latini: sacer e sanctus. Lo sviluppo del termine sakros,
nel suo variegarsi di significati procede, per quanto inerisce al sanctus per
via del suo participio sancio che è collegato a sakros per mezzo di un infisso
nasale[20]. Ma sacer e sanctus, pur provenendo dalla stessa radice sak,
possiedono dei significati originari molto diversi. Il primo, sacer, è ben
descritto da SESTO POMPEO FESTO nel suo “De verborum significatu” dove precisa
che: «Homo sacer is est, quem populus iudicavit ob maleficium; neque fas est
eum immolari, sed, qui occidit, parricidii non damnatur». Quindi, e in questo
caso, l'uomo sacro è colui che portando una colpa infamante che lo espelle
dalla comunità umana deve essere allontanato. Non lo si può perseguire, ma non
si può perseguire nemmeno colui che lo uccide. L'homo sacer non appartiene, non
è perseguito, né è tutelato dalla comunità umana. Sacer è quindi ciò che
appartiene ad 'altro' rispetto agli uomini, appartiene agli Dei, come gli
animali del sacrificium (rendere sacer). Nel caso di sacer la sua radice sak
inerisce a ciò che viene stabilito (quindi ciò che è sak) come non attinente
agli uomini. Sanctus invece, come spiega il Digesto, è tutto ciò che deve
essere protetto dalle offese degli uomini. È sanctaquell'insieme di cose che
sono sottomesse a una sanzione. Esse non sono né sacre, né profane. Esse non
sono comunque consacrate agli Dei, non appartengono a loro. Ma sanctus non è
nemmeno profano, deve essere protetto dal profano e rappresenta il limite che
circonda il sacer anche se non lo riguarda. Sacer è tutto ciò che appartiene
quindi a un mondo fuori dall'umano: dies sacra, mons sacer. Mentre sanctus non
appartiene al divino: lex sancta, murus sanctus. Sanctus è tutto ciò che è
proibito, stabilito, sanzionato dagli uomini e, con questo, anche sanctus si
relaziona al radicale indoeuropeo sak. Ma col tempo, sacer e sanctus si
sovrappongono. Sanctus non è più solo il "muro" che delimita il sacer
ma entra esso stesso in contatto col divino: dall'eroe morto sanctus,
all'oracolo sanctus, ma anche Deus sanctus. Su questi due termini, sacer e
sanctus, si fonda un ulteriore termine, questo dall'etimologia incerta,
religio, ovvero quell'insieme di riti, simboli e significati che consentono
all'uomo romano di comprendere il "cosmo", di stabilirne i contenuti
e di mettersi in relazione con esso e con gli Dei. Così la città di Roma
diviene essa stessa sacra in quanto avvolta dalla majestas che il dio Iupiter
ha consegnato al suo fondatore, Romolo. Attraverso le sue conquiste, la città
di Roma offre una collocazione agli uomini nello spazio "sacro" da
essa rappresentato. La sfera del sacer-sanctus romano appartiene al
sacerdosche, nel mondo romano unitamente all'imperator[21] si occupa delle res
sacrae che consentono di rispettare gli impegni verso gli Dei. Così sacer
divengono le vittime dei "sacrifici", gli altari e le loro fiamme,
l'acqua purificatrice, gli incensi e le stesse vesti dei "sacerdoti".
Mentre sanctus è riferito alle persone: i re, i magistrati, i senatori (pater
sancti) e da questi alle stesse divinità. La radice di sakros, è il radicale
indoeuropeo *sak il quale indica qualcosa a cui è stata conferita validità
ovvero che acquisisce il dato di fatto reale, suo fondamento e conforme al
cosmo[22]. Da qui anche il termine, sempre latino, di sancire evidenziato nelle
leggi e negli accordi. Seguendo questo insieme di significati, il sakrossancisce
un'alterità, un essere "altro" e "diverso" rispetto
all'ordinario, al comune, al profano[23]. Il termine latino arcaico sakros
corrisponde all'ittita saklai, al greco hagois, al gotico sakan[24]. La
presenza di una mitologia romana che prescindesse da quella greca è stato
oggetto di dibattito fin dall'antichità. Il retore greco Dionigi di Alicarnasso
(I secolo a.C.) ha negato questa possibilità attribuendo a Romolo, fondatore
della città di Roma, l'espressa intenzione di cancellare qualsivoglia racconto
mitico che attribuisse agli dei le condotte sconvenienti degli
uomini[25]: (GRC) «τοὺς δὲ παραδεδομένους περὶ αὐτῶν μύθους, ἐν οἷς
βλασφημίαι τινὲς ἔνεισι κατ´ αὐτῶν ἢ κακηγορίαι, πονηροὺς καὶ ἀνωφελεῖς καὶ ἀσχήμονας
ὑπολαβὼν εἶναι καὶ οὐχ ὅτι θεῶν ἀλλ´ οὐδ´ ἀνθρώπων ἀγαθῶν ἀξίους, ἅπαντας ἐξέβαλε
καὶ παρεσκεύασε τοὺς ἀνθρώπους {τὰ} κράτιστα περὶ θεῶν λέγειν τε καὶ φρονεῖν
μηδὲν αὐτοῖς προσάπτοντας ἀνάξιον ἐπιτήδευμα τῆς μακαρίας φύσεως. Οὔτε γὰρ Οὐρανὸς
ἐκτεμνόμενος ὑπὸ τῶν ἑαυτοῦ παίδων παρὰ Ῥωμαίοις λέγεται οὔτε Κρόνος ἀφανίζων τὰς
ἑαυτοῦ γονὰς φόβῳ τῆς ἐξ αὐτῶν ἐπιθέσεως οὔτε Ζεὺς καταλύων τὴν Κρόνου
δυναστείαν καὶ κατακλείων ἐν τῷ δεσμωτηρίῳ τοῦ Ταρτάρου τὸν ἑαυτοῦ πατέρα οὐδέ
γε πόλεμοι καὶ τραύματα καὶ δεσμοὶ καὶ θητεῖαι θεῶν παρ´ ἀνθρώποις»
(IT) «Censurò tutti quei miti che si tramandano sugli dèi, in cui erano
offese e accuse contro di essi, ritenendoli empi, dannosi, offensivi e non
degni degli dèi e neppure degli uomini giusti. Prescrisse inoltre che gli
uomini pensassero e parlassero riguardo agli dèi nel modo più rispettoso
possibile, evitando di attribuire loro una pratica indegna della loro natura
divina. Presso i Romani infatti non si racconta che Urano fu evirato dai figli
né che Crono massacrò i figli per paura di essere detronizzato, che Zeus pose
fine alla supremazia di Crono, che era suo padre, rinchiudendolo nelle carceri
del Tartaro, non si raccontano neppure guerre, né ferite, né patti, né la loro
servitù presso gli uomini.» (Dionigi di Alicarnasso, II, 18-19;
traduzione di Elisabetta Guzzi, p.94.) Calco in gesso della fronte del
"Sarcofago Mattei" (III secolo d.C.), conservato presso il Museo
della civiltà romana (Roma). L'originale del calco è murato nello scalone
principale di Palazzo Mattei in Roma. Questa fronte del sarcofago intende
raffigurare una delle fabulae fondative della civiltà romana: il dio Mars
(Marte) che si avvicina a Rhea Silvia (Rea Silvia) addormentata[26]. I gemelli
Romulus (Romolo) e Remus (Remo) saranno il frutto della relazione tra il dio e
Rhea Silvia, figlia di Numitor (Numitore), questi discendente dell'eroe troiano
Aeneas (Enea) e re dei Latini. Allo stesso modo il filologo tedesco Georg
Wissowa[27] e lo studioso tedesco Carl Koch[28] hanno diffuso in età moderna
l'idea che i Romani non avessero in origine una propria mitologia. Diversamente
il filologo francese Georges Dumézil in varie opere aventi come oggetto la
religione romana[29] ha invece ritenuto di considerare la presenza di una
mitologia latina e quindi romana come diretta eredità di quella indoeuropea, al
pari di quella vedica o di quella scandinava, successivamente il contatto con
la cultura religiosa e mitologica greca avrebbe fatto dimenticare ai Romani
questi loro racconti mitici basati su una trasmissione di tipo orale. Lo
storico delle religioni italiano Angelo Brelich[30] ha ritenuto di individuare
una mitologia propria dei Latini che, seppur priva di ricchezza come quella
greca, è comunque parte autentica e originaria di quel popolo. Lo storico delle
religioni italiano Dario Sabbatucci[31]riprende di fatto le conclusioni di Koch
quando individua nei Romani e negli Egiziani due popoli che hanno concentrato
nel "rito" religioso il contenuto "mitico" non estraendone,
a differenza dei Greci, il racconto mitologico. Più recentemente lo storico
delle religioni olandese Jan Nicolaas Bremmer[32] ritiene che i popoli
indoeuropei e quindi di eredità indoeuropea, tra questi anche i Latini e i
Romani, non abbiano mai posseduto dei racconti teogonici e cosmogonici se non
in forma assolutamente rudimentale, la particolarità della mitologia greca
risiederebbe quindi nel fatto di averli elaborati sull'impronta di quelli
appartenenti alle antiche civiltà orientali. Allo stesso modo Mary Bread[33] ha
criticato le conclusioni di Dumézil sulla presenza di una mitologia
indoeuropea, collegata all'ideologia tripartita, presente anche nella Roma
arcaica. Di certo a partire dall'VIII/VII secolo a.C. si osserva la
penetrazione di racconti mitici greci in Italia centrale con i reperti
archeologici che li raffigurano[34][35]. Nel VI secolo a.C. l'influenza greca
emerge in modo decisamente impressionante con la costruzione del tempio a
Iupiter Optimus Maximus al Campidoglio[36]. Andrea Carandini ritiene di
individuare una precisa cesura tra la mitologia originaria del Lazio e quella
successiva determinata dall'influenza greca: «Ma a partire da un certo
momento la creatività mitica originaria si esaurisce e gli ulteriori sviluppi
cominciano a perdere autenticità, per cui viene a prodursi una cesura. Questa
cesura cade a nostro avviso nel Lazio al tempo dei Tarquini quando avvengono
manipolazioni del mito indigeno ed intrusioni di miti greci paragonabili a un
grosso intervento chirurgico nella cultura del tempo.» (Andrea Carandini,
La nascita di Roma, p. 48) Le mediazione etrusca all'epoca dei Tarquini, per
mezzo della quale entrano nella religione romana anche nozioni mitiche proprie
dei Greci, era già stata evidenziata da Mircea Eliade: «Sotto la
dominazione etrusca perde di attualità la vecchia triade costituita da Giove,
Marte e Quirino, che viene sostituita dalla triade formata da Giove, Giunone e
Minerva, istituita all'epoca dei Tarquini. È evidente l'influenza
etrusco-latina, che del resto apporta alcuni elementi greci. Le divinità hanno
ora delle statue: Juppiter Optimus Maximus, come d'ora innanzi sarà chiamato, è
presentato ai Romani sotto l'immagine etruschizzata dello Zeus greco.»
(Mircea Eliade, Storia delle idee e delle credenze religiose, vol. II, p. 128)
Se quindi già a partire dall'VIII/VII secolo a.C. i racconti mitologici greci,
questi decisamente influenzati dal contatto della civiltà greca con quelle
orientali, segnatamente con la civiltà mesopotamica[37], penetrano nell'Italia
centrale determinando la successiva e decisiva influenza della mitologia greca sulle
idee religiose latine, resta che alcuni racconti di natura mitica, alcuni dei
quali anche di possibile eredità indoeuropea, possano essere appartenuti alla
cultura orale latina arcaica e poi ripresi e in parte riformulati dai letterati
e dagli antichisti romani dei secoli successivi. L'accezione moderna del
termine "mito" inerisce a racconti tradizionali che hanno come
oggetto dei contenuti di tipo significativo[38], il più delle volte afferenti
al campo teogonico e cosmogonico[39], e comunque inerente al sacro e quindi del
religioso[40]: «Il mito esprime un segreto proprio delle origini, che
conduce ai confini tra gli uomini e gli dei.» (Jacques Vidal, Mito,
in Dizionario delle religioni(a cura di Paul Poupard). Milano, Mondadori,
2007, p. 1232) «Il mito si distingue dalla leggenda, dalla fiaba, dalla favola,
dalla saga, pur contenendo in varia misura, elementi di ciascuno di questi
generi letterari. [...] Tutti questi tipi di racconto hanno in comune il fatto
di non essere portatori di quei contenuti di verità che rendono il mito
profondamente coinvolgente sul piano esistenziale e religioso» (Carlo
Prandi, Mito in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo),
Torino, Einaudi, 1993, p.494) Il termine moderno "mito" risale al
greco μύθος (mýthos)[41] laddove, invece, i Romani utilizzano il termine fabula
(pl. fabulae) che possiede origini nel verbo for, "parlare" di
contenuti religiosi[42]. Se fabulaper i Romani è quindi il "racconto"
di natura tradizionale circondato da un'atmosfera religiosa, esso possiede
l'ambivalenza di essere anche il "racconto" leggendario che si oppone
a historia[43], il "racconto" fondato storicamente. Ne consegue che
il fondamento di verità di una fabula è lasciato all'uditore che ne stabilisce
il criterio di attendibilità, questo stabilito dalla tradizione. Così Livio, in
Ad Urbe Condita (I), ricorda che tali fabulae fondative non si possono né
adfirmare (confermare), né refellere (confutare). Le fabulae fondative di
Roma si riscontrano sostanzialmente coerenti in una letteratura che prosegue
per circa sei secoli[44]. Tali fabulae narrano di un primo re dei Latini, Ianus
(Giano), cui segue un secondo re giunto esule dal mare, Saturnus (Saturno), il
quale condivise con Ianus il regno. Figlio di Saturnus fu Picus (Pico), a sua
volta padre di Faunus (Fauno) che generò il re eponimo dei Latini, Latinus
(Latino). A partire da Ianus, questi re divini introdussero nel Lazio la
civiltà, quindi l'agricoltura, le leggi, i culti, fondando città.
EvoluzioneModifica Lo sviluppo storico della religione romana passò per quattro
fasi: una prima protostorica, una seconda fase dall'VIII secolo a.C. al VI
secolo a.C., contrassegnata dall'influenza delle religioni autoctone; una terza
contraddistinta dall'assimilazione di idee e pratiche religiose etrusche e
greche; una quarta, durante la quale si affermò il culto dell'imperatore e si
diffusero le religioni misteriche di provenienza orientale. Età
protostoricaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Fondazione di Roma. Nell'età protostorica ancora prima della fondazione di
Roma, quando nel territorio laziale c'erano solo tribù, nel territorio dei
colli si credeva nell'intervenire nella vita di tutti i giorni di forze
soprannaturali tipicamente magico-pagane. Queste forze non erano tuttavia
personificate in divinità ma ancora indistinte e solo col rafforzarsi dei
contatti con altre popolazioni, tra cui i Greci (nell'VIII secolo a.C. poi nel
IV-III secolo a.C.), i Sabini e gli Etruschi, tali forze cominceranno a essere
personificate in oggetti e, solo a Repubblica inoltrata, in soggetti
antropomorfi. Sino ad allora erano viste come forze chiamate numen o al plurale
numina, grandi in numero e ciascuna avente il suo compito nella vita di tutti i
giorni. Età arcaicaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Età regia di Roma. La fase arcaica fu caratterizzata da
una tradizione religiosa legata soprattutto all'ambito agreste, tipica dei
culti indigeni mediterranei, sulla quale si inserì il nucleo di origine
indoeuropea. Per la tradizione romana si deve a Numa Pompilio, il secondo re di
Roma, la sistemazione e l'iscrizione delle norme religiose in un unico corpo di
leggi scritte, il Commentarius, che avrebbe portato alla definizione di otto
ordini religiosi: i Curiati, i Flamini, i Celeres, le Vestali, gli Auguri, i
Salii, i Feziali e i Pontefici[45]. Busto di Giano bifronte, culto
istituito da Numa Pompilio[46] Gli dei principali e più antichi venerati nel
periodo arcaico, la cosiddetta "triade arcaica", erano
Giove(Iupiter), Marte (Mars) e Quirino (Quirinus), quella che Georges Dumézil
definisce invece “triade indoeuropea”[47]. Proprio a Iupiter Feretrius (garante
dei giuramenti) è dedicato il santuario cittadino di più antica consacrazione:
stando a Tito Livio era stato proprio Romolo a fondarlo sul colle Palatino[48],
così come fu responsabile della creazione del culto di Iupiter Stator (che
arresta la fuga dai combattimenti)[49]. Tra le divinità maschili troviamo
Liber Pater, Fauno, Giano (Ianus)[46], Saturno, Silvano, Robigus, Consus (il
dio del silo in cui si racchiude il frumento), Nettuno (in origine dio delle
acque dolci, solo dopo l'apporto ellenizzante dio del mare[50]), Fons (dio
delle sorgenti e dei pozzi[51]), Vulcano (Volcanus, dio del fuoco
devastatore[52]). In questa fase primitiva della religione romana è
riscontrabile la venerazione di numerose divinità femminili: Giunone (Iuno) in
diversi e specifici aspetti (Iuno Pronuba, Iuno Lucina, Iuno Caprotina, Iuno
Moneta)[53], Bellona, Tellus e Cerere (Ceres), Flora, Opi (l'abbondanza
personificata), Pales (dea delle greggi), Vesta[46], Anna Perenna, Diana
Nemorensis(Diana dei boschi, dea italica , introdotta secondo la tradizione da
Servio Tullio come dea lunare[54]), Fortuna (portata in città da Servio Tullio,
con vari culti entro il pomoerium), la Dea Dia (la dea “luminosa” del cielo
chiaro[55]), la dea Agenoria (la dea rappresentante dello sviluppo).
Frequenti sono le coppie di divinità legate alla fertilità poiché essa era
ritenuta per natura duplice: se in natura esistono maschio e femmina dovevano
esserci anche maschio e femmina per ogni aspetto della fertilità divina. Ecco
così Tellus e Tellumo, Caeres e Cerus, Pomona e Pomo, Liber Pater e Libera. In
queste coppie il secondo termine rimane sempre una figura secondaria, minore,
una creazione artificiale dovuta ai sacerdoti teologi più che alla reale
devozione[56]. Il periodo delle origini è caratterizzato anche dalla
presenza di numina, divinità indeterminate, come i Larie i Penati. Età
repubblicanaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Repubblica romana. La mancanza di un "pantheon" definito
favorì l'assorbimento delle divinità etrusche, come Venere(Turan), e soprattutto
greche. A causa della grande tolleranza e capacità di assimilazione, tipiche
della religione romana, alcuni dèi romani furono assimilati a quelli greci,
acquisendone l'aspetto, la personalità e i tratti distintivi, come nel caso di
Giunone assimilata a Era; altre divinità, invece, furono importate ex novo,
come nel caso dei Dioscuri. Il controllo dello Stato sulla religione, infatti,
non proibiva l'introduzione di culti stranieri, anzi tendeva a favorirla, a
condizione che questi non costituissero un pericolo sociale e politico. Nel II
secolo a.C. furono ad esempio proibiti i baccanali con Senatus consultum de
Bacchanalibusdel 186 a.C. perché durante tali riti gli adepti praticavano la
violenza sessuale reciproca (sodomia compresa), specialmente sui neofiti, e ciò
era in contrasto con le leggi romane che impedivano tali atti tra cittadini,
pur permettendole nei confronti degli schiavi, mentre il culto dionisiaco fu
represso con la forza. Età alto imperialeModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Alto Impero romano.
L'imperatore Commodorappresentato come Ercole La crisi della religione romana,
iniziatasi nella tarda età repubblicana, s'intensificò in età imperiale, dopo
che Augusto aveva provato a darle nuovo vigore. «[Augusto] ripristinò
alcune antiche tradizioni religiose che erano cadute in disuso, come l'augurio
della Salute, la dignità del flamine diale, la cerimonia dei Lupercalia, dei
Ludi Saeculares e dei Compitalia. Vietò ai giovani imberbi di correre ai
Lupercali e sia ai ragazzi, sia alle ragazze di partecipare alle
rappresentazioni notturne dei Ludi Saeculares, senza essere accompagnati da un
adulto della famiglia. Stabilì che i Lari Compitali fossero adornati di fiori
due volte all'anno, in primavera ed estate.» (Svetonio, Augustus, 31.) Le
cause del lento degrado della religione pubblica furono molteplici. Già da
qualche tempo vari culti misterici di provenienza medio-orientale, quali quelli
di Cibele, Iside e Mitra, erano entrati a far parte del ricco patrimonio
religioso romano. Col tempo le nuove religioni assunsero sempre più
importanza per le loro caratteristiche escatologiche e soteriologiche in
risposta alle insorgenti esigenze della religiosità dell'individuo, al quale la
vecchia religione non offriva che riti vuoti di significato. La critica alla
religione tradizionale veniva anche dalle correnti filosofiche dell'Ellenismo,
che fornivano risposte intorno a temi propri della sfera religiosa, come la
concezione dell'anima e la natura degli dei. Un'altra caratteristica
tipica del periodo fu quella del culto imperiale. Dalla divinizzazione
post-mortem di Gaio Giulio Cesare e di Ottaviano Augusto si arrivò
all'assimilazione del culto dell'imperatore con quello del Sole e alla
teocrazia dioclezianea. Età tardo imperialeModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Tardo Impero romano. Nel 287 circa
Diocleziano assunse il titolo di Iovius, Massimiano quello di
Herculius[57][58]. Il titolo doveva probabilmente richiamare alcune
caratteristiche del sovrano da cui era usato: a Diocleziano, associato a Giove,
era riservato il ruolo principale di pianificare e comandare; Massimiano,
assimilato a Ercole, avrebbe avuto il ruolo di eseguire "eroicamente"
le disposizioni del collega[59]. Malgrado queste connotazioni religiose, gli
imperatori non erano "divinità", in accordo con le caratteristiche
del culto imperiale romano, sebbene potessero essere salutati come tali nei
panegirici imperiali; erano invece visti come rappresentanti delle divinità, incaricati
di eseguire la loro volontà sulla Terra[60]. Vero è che Diocleziano elevò la
sua dignità imperiale al di sopra del livello umano e della tradizione romana.
Egli voleva risultare intoccabile. Soltanto lui risultava dominus et deus,
signore e dio, tanto che a tutti coloro che lo circondavano fu attribuita una
dignità sacrale: il palazzo divenne sacrum palatium e i suoi consiglieri sacrum
consistorium[61][62]. Segni evidenti di questa nuova qualificazione
monarchico-divina furono il cerimoniale di corte, le insegne e le vesti
dell'imperatore. Egli, infatti, al posto della solita porpora, indossò abiti di
seta ricamati d'oro, calzature ricamate d'oro con pietre preziose[63]. Il suo
trono poi si elevava dal suolo del sacrum palatium di Nicomedia.[64] Veniva, infine,
venerato come un dio, da parenti e dignitari, attraverso la proschinesi, una
forma di adorazione in ginocchio, ai piedi del sovrano[62][65]. Nella
congerie sincretistica dell'impero durante il III secolo, permeata da dottrine
neoplatoniche, e gnostiche, fece la sua comparsa il cristianesimo. La nuova
religione andò lentamente affermandosi quale culto di Stato, con la conseguente
fine della religione romana, da ora indicata spregiativamente come
"pagana", sancito, nel IV e V secolo, dalla chiusura dei templi e
dalla proibizione, sotto pena capitale, di professare religioni diverse da
quella cristiana. Flavio Claudio Giuliano, discendente del cristiano
Costantino I, tentò di restaurare la religione romana in forma ellenizzata a
Costantinopoli, ma la sua morte prematura nel 363 pose fine al progetto.
Teodosio Iemanò nel 380 l'editto di Tessalonica per la parte orientale,
rendendo il cristianesimo unica religione di Stato, poi nel 391-92 con i
decreti teodosianicominciarono le persecuzioni ai danni dei pagani nell'Impero
romano; infine nel 394, i decreti furono estesi alla parte occidentale, dove
stava avvenendo specialmente a Roma una rinascita pagana. A partire dal
XX secolo emersero correnti neopagane, come la Via romana agli dei e il
neo-ellenismo. Organizzazione religiosaModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Sacerdozio (religione romana).
Secondo la tradizione, fu Numa Pompilio a istituire i vari sacerdozi e a
stabilire i riti e le cerimonie annuali[66]. Tipica espressione dell'assunzione
del fenomeno religioso da parte della comunità è il calendario, risalente alla
fine del VI secolo a.C. e organizzato in maniera da dividere l'anno in giorni
fasti e nefasti con l'indicazione delle varie feste e cerimonie
sacre[66]. Collegi sacerdotali Augusto nelle vesti di pontefice massimo
La gestione dei riti religiosi era affidata ai vari collegi sacerdotali
dell'antica Roma, i quali costituivano l'ossatura della complessa
organizzazione religiosa romana. Al primo posto della gerarchia religiosa troviamo
il Rex Sacrorum, sacerdote al quale erano affidate le funzioni religiose
compiute un tempo. Flamini, che si dividevano in tre maggiori e dodici
minori, erano sacerdoti addetti ciascuno al culto di una specifica divinità e
per questo non sono un collegio ma solo un insieme di sacerdozi
individuali[67]; Pontefici[66], in numero di sedici, con a capo il Pontefice
massimo, presiedevano alla sorveglianza e al governo del culto religioso;
Auguri[66] , in numero di sedici sotto Gaio Giulio Cesare, addetti all'interpretazione
degli auspici e alla verifica del consenso degli dei; Vestali[46] , sei
sacerdotesse consacrate alla dea Vesta; Decemviri o Quimdecemviri sacris
faciundis, addetti alla divinazione e alla interpretazione dei Libri sibillini;
Epuloni, addetti ai banchetti sacri. SodaliziA Roma vi erano quattro grandi
confraternite religiose, che avevano la gestione di specifiche cerimonie
sacre. Arvali, (Fratres Arvales), ("fratelli dei campi" o
"fratelli di Romolo"), in numero di dodici, erano sacerdoti addetti
al culto della Dea Dia, una divinità arcaica romana, più tardi identificata con
Cerere. Durante il mese di maggio compivano un'antichissima cerimonia di
purificazione dei campi, gli Arvalia. Luperci, presiedevano la festa di
purificazione e fecondazione dei Lupercalia, che si teneva il 15 febbraio, il
mese dei morti, divisi in Quintiali e Fabiani. Salii[66] (da salire, ballare,
saltare), sacerdoti guerrieri di Marte, divisi in due gruppi da dodici detti
Collini e Palatini. Nei mesi di marzo e ottobre i sacerdoti portavano in
processione per la città i dodici ancilia, dodici scudi di cui il primo donato
da Marte al re Numa Pompilio, i restanti copie fatte costruire dallo stesso
Numa per evitare che il primo venisse rubato. La processione si fermava in luoghi
prestabiliti in cui i Salii intonavano il Carmen saliare ed eseguivano una
danza a tre tempi (tripudium)[68]. Feziali (Fetiales), venti membri addetti a
trattare con il nemico. La guerra per essere Bellum Iustumdoveva essere
dichiarata secondo il rito corretto, il Pater Patratus pronunciava una formula
mentre scagliava il giavellotto in territorio nemico. Dal momento che, per
motivi pratici, non era sempre possibile compiere questo rito, un
peregrinusvenne costretto ad acquistare un appezzamento di terreno presso il
teatro di Marcello, qui fu costruita una colonna, Columna Bellica, che
rappresentava il territorio nemico, in questo luogo si poteva quindi svolgere
il rito. Feste e cerimonieMagnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Festività romane. Suovetaurilia, Museo del Louvre Delle 45
feste maggiori (feriae publicae) le più importanti, oltre a quelle suddette,
erano quelle del mese di dicembre, i Saturnalia, quelle dedicate ai defunti, in
febbraio, come i Ferialia e i Parentalia e quelle connesse al ciclo agrario,
come i Cerialia e i Vinalia di aprile o gli Opiconsivia di agosto. Sulla
base delle fonti classiche si è potuto individuare quali tra le numerose
festività del calendario romano vedevano un'ampia partecipazione di popolo.
Queste feste sono la corsa dei Lupercalia (15 febbraio), i Feralia (21
febbraio) celebrati in famiglia, i Quirinalia(17 febbraio) celebrati nelle
curie, i Matronalia (1º marzo) in occasione delle quali le schiave venivano
servite dalle padrone di casa, i Liberalia (17 marzo) spesso associata alla
festa familiare della maggiore età del figlio maschio, i Matralia (11 giugno)
con la processione delle donne, così come i Vestalia (9-15 giugno), i
Poplifugia (5 luglio) festa popolare, i Neptunalia (23 luglio), i Volcanalia
(23 agosto) e infine i Saturnalia (17 dicembre), la cui vasta partecipazione di
popolo è attestata da numerose fonti[69]. Durante le cerimonie sacre
spesso venivano praticati sacrifici animali e si offrivano alle divinità cibi e
libagioni. La stessa città di Roma veniva purificata con una cerimonia, la
lustratio, in caso di prodigi e calamità. Sovente anche i giochi circensi
(ludi) avevano luogo durante le feste, come nel caso dell'anniversario (dies
natalis) del Tempio di Giove Ottimo Massimo, in concomitanza del quale si
svolgevano i Ludi Magni. Pratiche religiose «Cumque omnis populi Romani
religio in sacra et in auspicia divisa sit, tertium adiunctum sit, si quid
praedictionis causa ex portentis et monstris Sibyllae interpretes haruspicesve
monuerunt, harum ego religionum nullam umquam contemnendam putavi mihique ita
persuasi, Romulum auspiciis, Numam sacris constitutis fundamenta iecisse
nostrae civitatis, quae numquam profecto sine summa placatione deorum
inmortalium tanta esse potuisset.» (Cicerone, De natura deorum, III, 5)
Tra le pratiche religiose dei Romani forse la più importante era
l'interpretazione dei segni e dei presagi, che indicavano il volere degli dei.
Prima di intraprendere qualsiasi azione rilevante era infatti necessario
conoscere la volontà delle divinità e assicurarsene la benevolenza con riti
adeguati. Le pratiche più seguite riguardavano: il volo degli uccelli:
l'augure tracciava delle linee nell'aria con un bastone ricurvo (lituus, vedi
Lituo), delimitando una porzione di cielo, che scrutava per interpretare
l'eventuale passaggio di uccelli; la lettura delle viscere degli animali:
solitamente un fegato di un animale sacrificato veniva osservato dagli aruspici
di provenienza etrusca per comprendere il volere del dio; i prodigi: qualsiasi
prodigio o evento straordinario, quali calamità naturali, epidemie, eclissi,
ecc., era considerato una manifestazione del favore o della collera divina ed
era compito dei sacerdoti cercare di interpretare tali segni. Lo spazio sacro Edicola
dedicata ai Lari nella Casa dei Vettii a Pompei Lo spazio sacro per i Romani
era il templum, un luogo consacrato, orientato secondo i punti cardinali,
secondo il rito dell'inaugurazione, che corrispondeva allo spazio sacro del
cielo. Gli edifici di culto romani erano di vari tipi e funzioni. L'altare o
ara era la struttura sacra dedicata alle cerimonie religiose, alle offerte e ai
sacrifici. Eretti dapprima presso le fonti e nei boschi, progressivamente
gli altari furono collocati all'interno delle città, nei luoghi pubblici, agli
incroci delle strade e davanti ai templi. Numerose erano anche le aediculae e i
sacella, che riproducevano in piccolo le facciate dei templi. Il principale
edificio cultuale era rappresentato dall'aedes, la vera e propria dimora del
dio, che sorgeva sul templum, l'area sacra inaugurata. Col tempo i due termini
diventarono sinonimi per indicare l'edificio sacro. Il tempio romano
risente inizialmente dei modelli etruschi, ma presto vengono introdotti
elementi dall'architettura greca ellenistica. La più marcata differenza del
tempio romano rispetto a quello greco è la sua sopraelevazione su un alto
podio, accessibile da una scalinata spesso frontale. Inoltre si tende a dare
maggiore importanza alla facciata, mentre il retro è spesso addossato a un muro
di recinzione e privo dunque del colonnato. «“Roman religion” is an
analytical concept that is used to describe religious phenomena in the ancient
city of Rome and to relate the growing variety of cults to the political and
social structure of the city.» (Robert Schilling (1987) Jörg Rüpke
(2005), Roman Religio, in Encyclopedia of Religion, vol.12. New York,
Macmillan, 2005, p. 7895) ^ Sul considerare la "religione romana"
strettamente collegata alla città di Roma: «Although Rome gradually
became the dominant power in Italy during the third century BCE, as well as the
capital of an empire during the second century BCE, its religious institutions
and their administrative scope only occasionally extended beyond the city and
its nearby surroundings (ager Romanus).» (Robert Schilling (1987) Jörg
Rüpke (2005), Roman religion, in Encyclopedia of Religion, vol. 12. New York,
Macmillan, 2005, p. 7895) Ma anche: «La religione romana esiste solo a
Roma o là dove stanno i Romani» (John Scheid, La religione a Roma. Bari,
Laterza, 1983, pp. 13-4) ^ Cfr. Andrea Carandini, La nascita di Roma. Dèi,
Lari, eroi e uomini all'alba di una civiltà. Torino, Einuadi, 2003; Milano,
Mondadori, 2010. ^ La datazione al 753 a.C. risale all'erudito romano Marco
Terenzio Varrone (I secolo a.C.). Altre datazioni come quelle proposte da
Catone, Dionigi di Alicarnasso e Polibio non si discostano molto. Fabio Pittore
indica il 748-747, Cincio Alimento il 729-728, Timeo si spinge fino
all'814-813. ^ Per una sintesi, cfr. Cristiano Viglietti, L'eta dei re in La
grande storia dell'antichità -Roma (a cura di Umberto Eco), vol. 9, pp.43 e
sgg. ^ Così Mircea Eliade in Storia delle idee e delle credenze religiose, vol.
II, p. 111: «orbene, l'etnia latina da cui è nato il popolo romano, è il
risultato di una mescolanza fra le popolazioni neolitiche autoctone e gli
invasori indoeuropei scesi dai paesi transalpini»; diversamente Georges
Dumézil, in La religione romana arcaica, p. 69-70: «A differenza dei greci che
invasero il mondo minoico, le diverse bande di indoeuropei che discesero in
Italia non dovettero certamente affrontare grandi civiltà. Coloro che
occuparono il sito di Roma probabilmente non erano neppure stati preceduti da
un popolamento denso e instabile; tradizioni come il racconto su Caco inducono
a pensare che i pochi indigeni accampati sulle rive del Tevere siano stati
semplicemente e sommariamente eliminati come lo sarebbero stati, agli antipodi,
i tasmaniani dai mercanti venuti dall'Europa.» ^ Per un'introduzione alle
religione degli Indoeuropei cfr. Jean Loicq, Religione degli Indoeuropei
in Dizionario delle religioni (a cura di Paul Poupard). Milano,
Mondadori, 2007, pp. 891-908; Renato Gendre, Indoeuropei in Dizionario delle
religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993 pp.371 e sgg.;
Regis Boyer, Il mondo indoeuropeo in L'uomo indoeuropeo e il sacro, in Trattato
di antropologia del sacro (a cura di Julien Ries) vol. 3. Milano, Jaca Book,
1991, pp. 7 e sgg. ^ André Martinet, L'indoeuropeo. Lingue, popoli culture,
Bari, Laterza, 1989, pp. 78-79; Francisco Villar, Gli Indoeuropei, Bologna, il
Mulino, 1997 p. 480. ^ Per le decisive influenze della cultura religiosa
etrusca su quella romana cfr. Marta Sordi, L'homo romanus: religione, diritto, e
sacro, in Le civiltà del Mediterraneo e il sacro., in Trattato di antropologia
del sacro (a cura di Julien Ries) vol. 3. Milano, Jaca Book, 1991, pp. 7 e sgg.
^ Per quanto attiene alla decisiva influenza della mitologia greca sulla
religione romana si rimanda alle conclusioni di Georges Dumézil in La religione
romana arcaica, Milano, Rizzoli, 2001, pp. 63 e sgg. ^ Cfr. al riguardo
Salvatore Pricoco, in Storia del cristianesimo (a cura di Giovanni Filoramo)
vol. 1, Bari, Laterza, 2008, pp. 321 e sgg. ^ Gli editti contro gli eretici e
gli apostati furono in seguito raccolti nel sedicesimo libro del Codice
teodosiano del 438. ^ «Per i Romani religio stava a indicare una serie di
precetti e di proibizioni e, in senso lato, precisione, rigida osservanza, sollecitudine,
venerazione e timore degli dèi.» (Mircea Eliade, Religione in
Enciclopedia del novecento. Istituto enciclopedico italiano, 1982, pag. 121) ^
Enrico Montanari, Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo,
Torino, Einaudi, 1993, pag. 642-644 ^ Pietro Virili, La politica religiosa
dello Stato romano, Nuova Archeologia (inserti), marzo/aprile 2013. ^ «Ogni
tentativo di definire il concetto di "religione", circoscrivendo
l'area semantica che esso comprende, non può prescindere dalla constatazione
che esso, al pari di altri concetti fondamentali e generali della storia delle
religioni e della scienza della religione, ha una origine storica precisa e
suoi peculiari sviluppi, che ne condizionano l'estensione e l'utilizzo. [...]
Considerata questa prospettiva, la definizione della "religione" è
per sua natura operativa e non reale: essa, cioè, non persegue lo scopo di
cogliere la "realtà" della religione, ma di definire in modo
provvisorio, come work in progress, che cosa sia "religione" in
quelle società e in quelle tradizioni oggetto di indagine e che si
differenziano nei loro esiti e nelle loro manifestazioni dai modi a noi
abituali.» (Giovanni Filoramo, Religione in Dizionario delle religioni (a
cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pag.620) ^ In tal senso
Pierre Boyancé, Etudes sur la religion romaine, Roma, École française de Rome,
1972, p.28. ^ Deum al posto di deorum per l'arcaicità del genitivo. ^ Cfr.
Julien Ries in Saggio di definizione del sacro. Opera Omnia. Vol. II. Milano,
Jaca Book, 2007, pag.3: «Sul Lapis Niger, scoperto a Roma nel 1899 vicino al
Comitium, 20 metri prima dell'Arco di Trionfo di Settimio Severo, nel luogo che
si dice sia la tomba di Romolo, risalente all'epoca dei re, figura la parola
sakros: da questa parola deriverà tutta la terminologia relativa alla sfera del
sacro.» ^ Cfr. Émile Benveniste: «Questo presente in latino in -io con infisso
nasale sta a *sak come jungiu 'unire' sta a jug in lituano; il procedimento è
ben noto.», in le Vocabulaire des institutions indo-européennes (2 voll.,
1969), Paris, Minuit. Ed. italiana (a cura di Mariantonia Liborio) Il
vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino, Einaudi, 1981, pag. 426-7. ^
Qui inteso come ricolmo di augus, o ojas, dopo l'inauguratio, ovvero pieno
della "forza", della "potenza", che gli consente di avere
relazioni con il sakros, quindi non nell'accezione molto più tarda riferita
prima al ruolo militare e poi politico di alcune personalità della Storia
romana. ^ Julien Ries, Saggio di definizione del sacro, in Grande dizionario
delle Religioni (a cura di Paul Poupard). Assisi, Cittadella-Piemme, 1990 pagg.
1847-1856 ^ Julien Ries, Saggio di definizione del sacro, Op.cit.. ^ Julien
Ries, Saggio di definizione del sacro, Op.cit. ^ Dionigi di Alicarnasso, II,
18-19 ^ Questa versione della fabula è in Ovidio, Fasti, III, 11 e sgg. ^
Religion und Kultus der Römer, 1902 ^ In Der römische Jupiter del 1937. ^ Una
riassuntiva è La Religion romaine archaïque, avec un appendice sur la religion
des Étrusques, Payot, 1966, edito in Italia dalla Rizzoli di Milano con il
titolo La religione romana arcaica. Miti, leggende, realtà della vita religiosa
romana. Con un'appendice sulla religione degli etruschi; in tal senso cfr. p.
59 edizione del 2001. ^ In Tre variazioni romane sul tema delle originidel 1955
con revisioni fino al 1977, Roma, Editori Riuniti, 2010. ^ Ad esempio in Mito,
rito e storia, Roma, Bulzoni, 1978. ^ Insieme a Nicholas Horsfall in Roman Myth
and Mythography, University of London Institute of Classical Studies, Bulletin
Supplements S. No.52, 1987. ^ Cfr. ad esempio Early Rome, In Religions of Rome
I vol. (con John North e Simon Price), Cambridge, Cambridge University Press,
1998, pp. 14 e sgg. ^ In tal senso cfr. Mauro Menichetti, Archeologia del
potere. Re, immagini e miti a Roma e in Etruria in età arcaica, Roma,
Longanesi, 1994 ^ Da ricordare che la stabile presenza dei Greci nelle colonie
italiane è databile fin dall'VIII secolo a.C. ^ «The most impressive testimony
to early Rome’s relation to the Mediterranean world dominated by the Greeks is
the building project of the Capitoline temple of Jupiter Optimus Maximus (Jove
[Iove] the Best and Greatest), Juno, and Minerva, dateable to the latter part
of the sixth century. By its sheer size the temple competes with the largest
Greek sanctuaries, and the grouping of deities suggests that that was
intended.» (Robert Schilling (1987) Jörg Rüpke (2005), Roman religion, in
Encyclopedia of Religion, vol.12. New York, Macmillan, 2005, p. 7895) ^ In tal
senso e ad esempio cfr. Charles Penglase, Greek Myths and Mesopotamia:
Parallels and Influence in the Homeric Hymns and Hesiod, Londra, Routledge,
2005. ^ «Myth is a traditional tale with secondary, partial reference to
something of collective importance.» Walter Burkert, Structure and History in
Greek Mythology and Ritual. Berkeley, University of California Press, 1979, p.
23. ^ Per il livello teocosmogonico cfr. Carlo Prandi, Mito in Dizionario delle
religioni (a cura di Giovanni Filoramo), Torino, Einaudi, 1993, p.492 e sgg. ^
Come "fondamentale indicatore religioso" e come "irruzione della
dimensione del sacro" cfr. Carlo Prandi, Mito in Dizionario delle
religioni (a cura di Giovanni Filoramo), Torino, Einaudi, 1993, p.494 ^ Da
considerare che il termine "mito" (μύθος, mýthos) possiede in Omero
ed Esiodo il significato di "racconto", "discorso",
"storia" (cfr. «per gli antichi greci μύθος era semplicemente
"la parola", la "storia", sinonimo di λόγος o ἔπος; un
μυθολόγος, è un narratore di storie» Fritz Graf, Il mito in Grecia Bari,
Laterza, 2007, 1; cfr. «"suite de paroles qui ont un sens, propos,
discours", associé à ἔπος qui désigne le mot, la parole, la forme, en s'en
distinguant...» Pierre Chantraine, Dictionnaire Etymologique de la Langue
Grecque, p. 718). Un racconto "vero" (μυθολογεύω, Odissea XII, 451;
così Chantraine (Dictionnaire Etymologique de la Langue Grecque, 718:
«"raconter une histoire (vraie)", dérivation en εύω pour des raisons
métriques».), pronunciato in modo autorevole (cfr. «in Omero mýthos designa
nella maggior parte delle sue attestazioni, un discorso pronunciato in
pubblico, in posizione di autorità, da condottieri nell'assemblea o eroi sul
campo di battaglia: è un discorso di potere, e impone obbedienza per il
prestigio dell'oratore.» Maria Michela Sassi, Gli inizi della filosofia: in
Grecia, Torino, Boringhieri, 2009, p.50), perché «non c'è nulla di più vero e
di più reale di un racconto declamato da un vecchio re saggio»(Giacomo Camuri,
Mito in Enciclopedia Filosofica, vol.8, Milano 2006, pag.7492-3). Nella
Teogoniaè μύθος ciò con cui si rivolgono le dee Muse al pastore Esiodo prima di
trasformarlo in "cantore ispirato" (cfr. 23-5: Τόνδε δέ με πρώτιστα
θεαὶ πρὸς μῦθον ἔειπον) ^ Deriva *for, il suo valore religioso è messo in
evidenza da Émile Benveniste (in Il vocabolario delle istituzioni
indoeuropee, vol. II, Torino, Einaudi, 1981, p.386). Dall'arcaico *for deriva
anche fatus e fas ma anche fama e facundus; il suo corrispettivo greco antico è
phēmi, pháto, ma manca completamente in indoiranico il che lo attesta
nell'indoeuropeo di parte centrale (vedi anche l'armeno bay da *bati). ^
Termine e nozione di eredità greca. ^ Angelo Brelich,op.cit. p. 83; per
un'esaustiva rassegna dei testi Brelich rimanda ad Albert Schwegler, Römische
Geschichte, Tübingen, 1853, Vol. I, pp. 212 e sgg. Cfr., comunque, Virgilio
Eneide, VII 45 e sgg. 177 e sgg.; VIII, 319 e sgg. ^ Dionigi di Alicarnasso,
Antichità romane, II, 63-73. ^ a b c d Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum
omnium annorum DCC, I, 2.3. ^ George Dumezil, La religione romana arcaica, p.
137 segg. ^ Tito Livio, 1, 10, 5-7 ^ Jacqueline Champeaux, La religione dei
romani, p. 23 ^ Jacqueline Champeaux, p. 32 ^ Jacqueline Champeaux, p. 32-33 ^
Jacqueline Champeaux, p. 33 ^ Jacqueline Champeaux, p. 25-26 ^ Jacqueline
Champeaux, p. 37 ^ Jacqueline Champeaux, p. 44 ^ Jacqueline Champeaux, p. 29 ^
Aurelio Vittore, Epitome 40, 10; Aurelio Vittore, Caesares, 39.18; Lattanzio,
De mortibus persecutorum, 8 e 52.3; [1]Panegyrici latini, II, XI, 20. ^ Bowman,
"Diocletian and the First Tetrarchy" (CAH), 70–71; Liebeschuetz,
235–52, 240–43; Odahl 2004, pp. 43-44; Williams 1997, pp. 58-59. ^ Barnes 1981,
pp. 11–12; Bowman, "Diocletian and the First Tetrarchy" (CAH), 70–71;
Odahl 2004, p. 43; Southern 2001, pp. 136-137; Williams 1997, p. 58. ^ Barnes
1981, p. 11; Cascio, "The New State of Diocletian and Constantine"
(CAH), 172. ^ Aurelio Vittore, Caesares, 39.4. ^ a b E.Horst, Costantino il
Grande, p.49. ^ Aurelio Vittore, Caesares, 39.2-4; Eutropio, IX, 26; Zonara,
XII, 31. ^ . ^ Aurelio Vittore, Caesares, 39.2-4; Eutropio, IX, 26; Eumenio,
Panegyrici latini, V, 11. ^ a b c d e Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum
omnium annorum DCC, I, 2.2. ^ Jacqueline Champeaux, p. 39 ^ Jacqueline
Champeaux, p. 43 ^ Jörg Rüpke. La religione dei Romani, Torino, Einaudi, Montero,
Sabino Perea (a cura di), Romana religio = Religio romanorum: diccionario
bibliográfico de Religión Romana, Madrid, Servicio de publicaciones,
Universidad Complutense, 1999. Fonti primarie Floro, Epitoma de Tito Livio
bellorum omnium annorum DCC, I. Tito Livio, Ab Urbe condita libri. Fonti
storiografiche moderne R. Bloch, La religione romana, in Le religioni del mondo
classico, Laterza, Bari 1993 A. Brelich, Tre variazioni romane sul tema delle
origini, Editori Riuniti, Roma 2010 J. Champeaux, La religione dei romani, Il
Mulino, Bologna 2002 R. Del Ponte, Dei e miti italici. Archetipi e forme della
sacralità romano-italica, ECIG, Genova 1985 R. Del Ponte, La religione dei
romani, Rusconi, Milano 1992 G. Dumezil, La religione romana arcaica, Rizzoli,
Milano, 2001 D. Feeney, Letteratura e religione nell'antica Roma, Salerno, Roma
1998 K. Kerényi, La religione antica nelle sue linee fondamentali, Astrolabio,
Roma, 1951 U. Lugli, Miti velati. La mitologia romana come problema
storiografico, ECIG, Genova 1996 D. Sabbatucci, Sommario di storia delle
religioni, Il Bagatto, Roma, 1985 D. Sabbatucci, Mistica agraria e
demistificazione, La goliardica editrice, Roma, 1986 D. Sabbatucci, La
religione di Roma antica, Il Saggiatore, Milano, 1989 J. Scheid, La religione a
Roma, Laterza, Roma-Bari 2001 Voci correlateModifica Mitologia romana Via
romana agli dei Sacerdozio (religione romana) Sacro (Romani) Dies religiosus Religione
romana, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su
Wikidata Religio romana, su novaroma Portale Antica Roma Portale
Religioni Flamine floreale Palatua Flamine pomonale Wikipedia Il contenutoGrice: “The Italians take ‘natural theology’ for
granted; at Oxford, as Webb pointed out in his very first Wilde lecture on
natural theology, things ain’t that easy, and they are not meant to be easy by
the lecture founder, Dr. Wilde. Webb analyses Wilde’s letter in some detail.
There’s naturalism and natural theology, there’s revealed theology, but there’s
also civil theology, and it’s nice Webb’s main source is Varro!” Grice: “Most
of the best Italian philosophers have been very much ANTI-ROMA; in part
influenced by classical culture, but more so by the German protestant movement,
which also had affinities with the Italian passion for ‘l’antico’” “Ironically,
Roma is considered hardly a representative of romanita!” Cf. the neo-paganism
of Evola, which is meant to represent romanita. -- Luigi Maria Epicoco. Epicoco.
Keywords: Wilde readership in natural religion. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
ed Epicoco” – The Swimming-Pool Library.
Grice ed Epitetto –
Roman slave – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Upon
freedom, he studied philosophy under Musonio Rufo, but he was expelled from
Rome under Domiziano. For some reason, the emperor Antonino took a liking to
his mode of philosophising, even though, of course, due to their different
classes, they never met in the flesh.
Grice ed Eraclide – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Eraclide wrote a large work
expounding the empiricist philosophy which attracted the admiration of Galeno.
Grice ed Eraclio – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Cinargo. He invited the emperor
Giuliano to one of his lectures, hoping to make an impression. He did, but it
was an unfavouable one, and Julian duly produced a written piece critical of
him.
Grice ed Era – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano Era was of the Cinargo, and emulated
the antics of Diogene the sophist by publicly criticizing emperor Tito in a
packed Roman theatre. Unfortunately for Era, whereas Diogenes had only been
flogged, Era was beheaded.
Grice ed Erato – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo romano. A Pythagorean, according to
Giamblico.
Grice ed Ercole – difesa della
metafisica – transnaturalia -- esologia, essologia, e sinautologia – filosofia
italiana Luigi Speranza (Spinazzola).
Filosofo italiano. Grice: “I like it when Ercole emphasizes that bit in De
Interpretatione which I love – every ‘logos’ is ‘significant’ (significativo,
semantikos, -- adds Ercole quoting from the Greek) of this or that – even a
prayer!” -- Grice: “I must say I love Ercole; for one, he expands on my idea of
the longitudinal unity of philosophy, being an Oxfordian Hegelian, almost, he
thinks history can be regarded LOGICALLY: scepticism has to follow dogmatism –
this is pretty interesting; for another, he tutored for years on the very same
topics I did, notably “De interpretation” and “Categoriae” – The former being a
theory of semiotics, of course!” – Studia a Napoli. Si interessa per Hegel. A
Berlino si perfeziona sotto Michelet, Trendelenburg, e Mommsen. Adere anche
alla "Società filosofica hegeliana". Insegna a Pavia e Torino. Dall'hegelismo
iniziale, con l'affermarsi del positivismo, passa a posizioni di adesione
all'evoluzionismo di Darwin e di Spencer. Polemizza con il teismo, giudicato
contraddittorio e illusorio, manifesta interesse per la riforma del liceo
classico secondo Pestalozzi (Ercole attaca Pestalozzi e defende Fröbel. Altre
opere: Alcune proposte di riforma nella istruzione secondaria, Pavia,
Stabilimento tipografico Successori Bizzoni); “La pena di morte e la sua abolizione
dichiarate teoricamente e storicamente secondo la filosofia hegeliana, Milano,
U. Hoepli); “Il teismo filosofico cristiano. Teoricamente e storicamente
considerato, con speciale riguardo a Tommaso e al teismo italiano” (Torino,
Loescher); “L'educazione del bambino secondo Pestalozzi, Fröbel e Spencer” (Roma,
Tipografia della Reale Accademia dei Lincei); “L'origine del pitagorismo” (Roma,
Tipografia Terme Diocleziane di G. Balbi); “La filosofia della natura di
Ceretti” (Torino, Unione tipografico-editrice); “La panlogica di Ceretti”
(Torino, Fratelli Bocca); “L'esologia di Ceretti”; “L’essologia di Ceretti”, “La
sinautologia di Ceretti”, “Cerettiana”; La logica aristotelica, la logica
kantiana ed hegeliana e la logica matematica (Torino, Vincenzo Bona), “La
logica algebraica”. Dizionario Biografico degli Italiani. Il Ceretti fino a pochi anni fa era un uomo
quasi del tutto sconosciuto. Io mi consolo immensamente a vedere come egli mano
mano venga non solo conosciuto ma anche apprezzato, giacchè merita davvero e
l'uno e l'altro. È probabile che parecchi di quelli, cui capiti nelle
mani questa Sinossi dell' enciclopedia speculativa conoscano ancor poco, o
fors’anche men di poco, l'autore della medesima. Io non posso certamente in
questa Introduzione entrare nelle particolarità della sua persona e degli
scritti suoi, si perché la natura e i limiti di uno scritto introduttivo non lo
permetterebbero, si perchè ho già pubblicata intorno a lui un'opera abbastanza
voluminosa (1), alla quale chi voglia può avere ricorso. Ciò non ostante,
non posso a meno di pur riferirmici brevemente, e riferirmi sopratutto al suo
general pensiere, ed ai suoi scritti; perchè, essendo egli passato (1)
Notizia degli scritti e del pensiero filosofico di PIETRO CERETTI, accompagnata
da un cenno autobiografico del medesimo, intitolato: < La mia celebrità »
per PASQUALE D'ERCOLE, Torino -- per diverse fasi di si fatto pensiere, non si
potrebbe, senza tal ricordo, convenientemente collocare e giudicare questa sua
Sinossi. Quanto alla persona, tanto da invogliare a conoscerla chi ancora
non la conosca, mi limiterò a ricordarla con pochissime parole. Nato ad Intra
nel 1823, educato nella puerizia e nell'adolescenza da preti e gesuiti, usci,
dall'educazione e istruzione loro, l'uomo meno informato allo spirito
de'medesimi. Più che coll'opera altrui si è istruito coll'opera propria: sì che
può dirsi ch'egli è stato il vero autodidattico. In giovinezza viaggiò, e
per anni, quasi tutta l'Europa a piedi, da una parte, studiandone le diverse
genti ne’loro costumi e prodotti scientifici e letterari, dall'altra, vedendone
la natura nelle sue diverse forme e manifestazioni. Ed è, certo, da tal
visione ch'egli acquistò un grande amore agli studi naturali, ne'quali riesci a
procacciarsi vaste e profonde conoscenze. I predetti viaggi gli furono tanto
più fruttuosi, in quanto egli, accanto allo studio de'costumi e delle scienze e
lettere de'moderni popoli europei, ne studiava, apprendeva e parlava anche le
lingue. Le quali lingue moderne, congiunte ad antiche è classiche, ch'ei pure
conobbe (sanscrito, ebraico, latino e greco), divenner poi una mirabile, solida
e fruttuosa base pe'suoi studi d'ogni sorta, specialmente filosofici. Ebbe
mente assai varia, cioè poetica, filosofica e letteraria, e fu indubbiamente
un'alta e cospicua individualità, segnatamente dal lato del pensiero
filosofico. Egli è stato, infatti, un fortissimo pensatore e ad un tempo un
fecondissimo scrittore. Ha scritto una quantità veramente sorprendente di opere
(1), appunto di contenuto filosofico, poetico e letterario. Nel letterario
comprendo anche un certo numero di opere sociali, le quali son tra filosofiche
e letterarie, e sotto forma di romanzi, commedie, biografie, ecc., propugnano
una riforma sociale basantesi su principii filosofici. In una dozzina
d'anni, dal 1854 al 1866 circa cominciò a pubblicar qualcuna di tali opere, e
propriamente, di contenuto poetico, un poemetto intitolato: Il Pellegrinaggio
in Italia ed alcune Liriche, e di contenuto filosofico, i tre primi volumi di
un'opera scritta in latino intitolata : Pasaelogices specimen. Gli scritti
poetici pubblicò sotto il pseudonimo di Alessandro Goreni, lo scritto
filosofico sotto il pseudonimo di Theophilus Eleutherus; e, quel che più
importa, si de' primi che del secondo non ne mise in pubblico (così comincia a
comprendersi l'oscurità del Ceretti) che pochissimi esemplari, quasi a
scandagliar primamente con essi la pubblica opinione. De' primi qualche
giudizio, e abbastanza favorevole, venne fuori, e poi non se ne parlò più; del
secondo, che io sappia, non se ne parlò punto, e credo che non lo lesse
nessuno. L'autore stesso, in una sua umoristica autobiografia, riferendosi
specialmente a questa (1) L'elenco compiuto di esse si trova nella mia
citata Notizia, ecc., p. xxvi SS., e tra grandi e piccole non sono meno di una
quarantina. opera filosofica, dice: « Tuttochè questi volumi non fossero
letti da nessuno, furono però variamente interpretati, e da taluni supposti
essere inintelligibili pel proprio autore; perciò mi guadagnarono la fama della
madre notte, che non lascia vedere cosa veruna » (1). Dopo questa prima, quasi
ignorata pubblicazione, non pubblico, anzi non volle pubblicare più nulla; e
cosi si finisce di spiegare la predetta oscurità. Singolare uomo!
rispetto a quest'ultima, più che dispiacersene, egli n'era contentissimo, e
quasi ne gioiva, avendosela persin proposta per scopo, secondo l'adagio (che
sovente ripeteva): Bene vive chi bene si nasconde. E meglio di lui veramente
non si era nascosto nessuno; giacchè nel suo oscuro e silenzioso recesso ei
volgeva ed agitava nella mente tutto un mondo vastissimo di idee poetiche,
filosofiche, storiche, sociali, umane. E, lavoratore infaticabile e costante,
queste idee veniva solertemente scrivendo, finchè ha potuto scrivere egli
stesso, e dettando, quando non potè più scrivere. Giacchè, colto nel 1874 da
una paralisi, da prima leggera, ma pur spietatamente progressiva, dovette a
poco a poco smettere lo scrivere e ridursi a dettare i pensieri, che ancor
sempre l'occuparono fino alla morte, avvenuta nel 1884. Quanto agli
scritti, omettendo di allegare i poeticoletterari, che non è qui il luogo e
l'intento, ricordo i principali filosofici. La citata opera latina doveva
essere (1) La mia celebrità, pag. 101, allegata alla mia citata
opera. di otto volumi, ma egli non ne scrisse che propriamente cinque e
non ne pubblicò che tre soli. Oltre ad essa e ad un'altra opera filosofica,
intitolata : Idea circa la natura e la genesi della Forza, e rimasta incompiuta,
scrisse questa Sinossi dell' enciclopedia speculativa; Sogni e Favole (il
titolo par letterario, ma è opera filosofica e voluminosa); Considerazioni
circa il sistema generale dello spirito e circa il sistema della natura entro i
limiti della riflessione; Insegnamento filosofico; Stramberie filosofiche, e
parecchie altre minori. Nella gran massa de'suoi scritti il pensiere del
Cerelti non rimase stazionario e inalterato, ma si mutò anzi non poco, e passò
per diverse fasi. Le quali (comprendendovi anche il pensiero poetico, sociale e
letterario) si possono riassumere in quattro o cinque, e sono la fase poetica;
la fase filosofica hegeliana; la fase filosofica di transizione; la fase
utopistica e riformativa sociale; e finalmente la fase detta del sistema
contemplativo (filosofica anch'essa). La fase poetica fu la prima della
mente del Ceretti, e la prima si per aspirazioni che per studi e produzioni.
Ciocchè si è notato rispetto alla generale evoluzione della sua mente, va
notato anche di questa specifica fase poetica, in quanto egli passò per varii
stadii e varie maniere di concezione e corrispondente produzione poetica,
cominciando dalla leopardiana e foscoliana, passando un po' per quella di
Giusti e finendo con una concezione e forma poetica umoristicofilosofica.
Quanto alla fase filosofica hegeliana, ella è dalla sua propria designazione
indicata chiarissimamente da se stessa. Il Ceretti ne' suoi svariati, larghi e
profondi studi filosofici giunse ad accogliere come risultato finale di essi la
filosofia hegeliana; e nell'alta Italia è stato, credo, il solo hegeliano, o
certamente il solo notevole hegeliano. Tanto più che egli non si limitò alla
pura e semplice riproduzione dell'hegelianismo, ma si allargò ed elevò ad una
propria produzione sotto il nome di riformazione del medesimo (1). Ma
ecco che il Ceretti nella fase filosofica in genere subisce di bel nuovo una
evoluzione, la quale passa per diversi stadii, ognuno de'quali è una specifica
fase filosofica. Egli stesso crede che questi stadii o queste specifiche fasi
sien due, l'una hegeliana, ch'egli designa come « speculazione hegeliana»,
l'altra di allontanamento da essa, ch'egli designa come di « divorzio dalle
idee hegeliane » 2). Io però (come ho ampiamente mostrato nella mia
citata Notizia), modificando e integrando l'istesso pensiere dell'autore, dico
che queste fasi specifiche del suo [ocr errors] (1) Nella prefazione alle
Grullerie poetiche, pubblicate in Torino in questi giorni pei tipi di Bona,
alla pag. ix, riferendosi ai suoi studi filosotici nella storia filosofica
passata e recente, dice: « Le ultime fasi della filosofia ellenica, del
neoplatonismo, dell'idealismo germanico, e soprattutto dell'hegelianismo,
guadagnarono il mio spirito, che indi prese le mosse per un ulteriore sviluppo
speculativo, e si costituì in proprio sistema ». (2) Vedi La mia
celebrità, pag. 92 e 107. pensiere filosofico son tre, cioè la hegeliana,
una seconda, che ho appellata di transizione, e finalmente quella del sistema
contemplativo. Or la Sinossi, che si pubblica presentemente, è un'opera
che cade appunto nella fase di transizione del pensiere filosofico di Ceretti;
e di ciò fra poco. Quanto al così detto sistema contemplativo cerettiano, che
non entra neppur esso nella considerazione e nei limiti della mia Introduzione,
rimando il lettore a ciocchè ne ho scritto nella mia Notizia, segnatamente a
pagina cccxxix ss. Qui mi limito a dir solo che esso è un complesso di
idee stoiche, pessimistiche e subbiettivistiche, ed il subbiettivismo poi (già
cominciato nella fase di transizione) è spinto a tale estremo da essere un
subbiettivismo più immaginativo che pensivo. In filosofia il Ceretti cominciò
coll’Idealismo assoluto hegeliano, procedè, attraverso l'Idealismo obbiettivo
di Schelling, verso l'Idealismo subbiettivo di Fichte (fase di transizione); e
questo Idealismo subbiettivo esagerò poi verso il sistema contemplativo nel
senso predetto. La fase utopistico-sociale è pure in grosso e chiaramente
designata dalla sua denominazione stessa. Infatti, il Ceretti in essa propugna
uno stato sociale e una relativa costituzione, che non sono lontani da quelli
della repubblica di Platone, ossia da una società civile addirittura
utopistica. Poste queste generalità, vengo allo scopo principale di
questa Introduzione, cioè quello di riferirmi in modo [ocr errors]
particolare alla Sinossi da me edita. Senonchè, come questa non s'intenderebbe
ed apprezzerebbe bene, se non mi riferissi all'antecedente pensiere filosofico
cereltiano, del quale ella è, in parte, continuazione, in parte, deviazione,
cosi comincerò da quest'ultimo. L'antecedente pensiere, che fu anche il
primo, come è detto, è stato l'hegeliano. Però è stato parimenti detto che il
Ceretti non accolse l'hegelianismo come un semplice riproduttore di esso, ma
come un riformatore del medesimo. Ora, che cosa pensava egli dell'hegelianismo?
pensava che, nella storica evoluzione filosofica il pensiere hegeliano
rappresentasse il momento culminante, il pensiere speculativo più puro, però
non ancora tanto puro, quanto è richiesto dal Logo assoluto (1). Da
questo modo di apprezzare il pensiere hegeliano, da lui accolto, seguivano due
cose. L'una che, benchè rispetto a tutto il rimanente pensiere, il pensiere
hegeliano fosse il più elevato e il più compiuto, pur non era interamente
compiuto, era ancora difettivo. L'altra, che bisognava correggerne i difetti ed
integrarlo. La correzione e la integrazione sono appunto la riforma
dell'hegelianismo, quale il Ceretti la intende; e la esecuzione di ciò
costituisce un proprio sistema filosofico, che è il sistema panlogico
cerettiano. [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors] (1) Logus
hegelianus (aveva egli detto nella citata opera latina, vol. I, pag. 685) est
cogitationis cogitatio magis pura quam omnis hactenus a philosophia prolata
logica cogitatio, nondum vero quantum logus absolutus requirit. Chi non ha
l'edizione latina confronti la traduzione italiana, vol. I, Prolegomeni, pag.
875.I difetti, che il filosofo intrese trovava nel filosofo di Stoccarda si
estendevano a tutte le tre parti della filosofia di quest'ultimo, alla Logica,
alla Natura ed allo Spirito. Rispetto alla Logica ei trovava i seguenti.
Primo: la Nozione (ossia l'Idea) hegeliana si genera dialetticamente in sè
stessa in modo inconscio. Ora, il Ceretti trova giusto che la Nozione si generi
dialetticamente in sè e da sè; ma ritiene però vizioso ed irrazionale il
prodursi dialettico di una Nozione che non si conosce Nozione (di un'Idea che
non si conosce Idea). Secondo: la trattazione logica, nel suo processo dialettico,
è una astratta semplice esplicazione delle categorie, mentrechè, per essere
vera e concreta, dovrebb' essere, secondo il Ceretti, un processo di
esplicazione ed implicazione. Terzo: la predetta trattazione costituisce
piuttosto un logo astratto, che si esplica e riassume astrattamente in un
risultato, anzichè affermarsi in tutti i momenti del corso esplicativo.
Se questi difetti si guardino nel loro complesso e si esprimano in linguaggio
più comune, essi si riducono alla rimproverata incoscienza e astrazione (non
concretezza) del processo dell'Idea logica hegeliana. Il rimedio a questi vizii
(e questo è uno de' punti della riforma hegeliana) è per lui, primamente che la
Nozione o l'Idea logica sia accompagnata da coscienza, secondamente che il processo
dialettico logico fosse esplicativo ed implicativo ad un tempo, in terzo luogo,
che tal processo logico non lo si vedesse ed esprimesse in un semplice
risultato, ma che si veda, affermi e verifichi in ogni singolo momento del suo
corso. Rispetto alla Natura (e corrispondente filosofia), ei trova il
general difetto che il processo dialettico, che Hegel segue in questa, è anche
astratto (come nella Logica) e non locca le concretezza della Natura istessa.
La filosofia della Natura pel Ceretti non dev'essere, come per Hegel, un’Idea
raccoglientesi in sè stessa dal suo Esser-altro, ossia dalla sua esteriorità,
ma dev'essere anche e piuttosto un veramente naturare l'Idea logica. L'
emendazione a tal difetto s'intende bene che pel Ceretti consista nell'effettuare
il processo naturale della Nozione o dell'Idea in guisa che questa realmente si
obbiettivi e concreti nell'esteriore realtà. Finalmente, rispetto allo
Spirito, il filosofo intrese trova, lasciando da banda qualche vizio
secondario, due vizii principali. Il primo è che, nel processo dialettico
hegeliano, lo Spirito sorga in ultimo come un risultato, invece di sorgere e
costituirsi in tutta la serie evolutiva dello Spirito stesso. Il secondo è che
lo Spirito non raggiunga quella libertà, nella cui essenza il filosofo tedesco
lo fa massimamente consistere. Anche qui l'emendazione consiste nel rimuovere i
notati difetti, e però far sì che lo Spirito si costituisca tale nella suc:
cession graduale della sua evoluzione e raggiunga veramente la libertà.
lo qui allego senza discutere: qualche vizio rilevato anche a me è parso reale,
altri no: rimando per questo il lettore alla mia opera sul Ceretti e lì, in una
discussione piuttosto ampia in proposito (1), veda e giudichi da sè
stesso. Come effettua ora il Ceretti la emendazione dei predetti vizii e
la conseguente riforma dell'hegelianismo? Come segue. Va innanzi
tutto notato che egli nella riforma non vuole uscire dall'hegelianismo istesso;
e qui ha ragione, e mostra uno sguardo filosofico veramente speculativo e
profondo. Giacchè ei pensa, e giustamente, che i sistemi filosofici tutti
costituiscono e debbono costituire tanti singoli, ma pur necessari momenti di
un solo universale Principio, di una sola universale Idea, di un solo
universale Pensiere. L'hegeliano è stato l'ultimo pensiere e l'ultimo
principio, comprensivo di Tutti gli antecedenti. Chi vuole, ora, seguire la
catena storica della filosofia deve riattaccarsi a quest'ultimo, e questo
stesso, pur accogliendolo, ulteriormente sviluppare in sè stesso. E cosi fa
egli. Di fatto, oltre al pensiere hegeliano or rilevato e da lui accolto
del significato della storia filosofica e de' sistemi che lo compongono, ha
accolto anche il principio, pur hegeliano, di tre generali forme di sistemi,
vale a dire il sistema dommatico, lo scettico e l'idealistico. Ha, inoltre,
accolto il pensiere hegeliano fondamentale della triplice forma del principio
assoluto, forma logica, naturale e spirituale, non che la conseguente
triparti (1) Citata Notizia, pag. ex ss. Vi troverà anche i
corrispondenti luoghi latini dell'opera del Ceretti, zione e trattazione
di tutta la materia filosofica. Ha parimenti accolto il concetto enciclopedico
della filosofia, il metodo dialettico con la nota tricotomia che lo accompagna,
ed altri principii. Ma, ciò non ostante, egli sviluppa ulteriormente, modifica
e riforma l'hegelianismo. Punti importanti della riforma son primamente
l'Assoluto ed il Logo: e chi è a notizia delle cose hegeliane, intende bene che
con essi il Ceretti non si colloca punto fuori dell'hegelianismo, ma si pone
anzi nel cuore del medesimo. Imperocchè l'Assoluto (già importantissimo in
tutta la filosofia tedesca) è, notoriamente, l’un capo della filosofia
hegeliana, mentre, d'altra parte, l’Idea, segnatamente logica (il Logo,
insomma), ne è l'altro. Assoluto e Logo dunque, ossia riunendo, e giustamente,
i due, il Logo assoluto diviene in Ceretti il Principio e pernio di tutta la
sua concezione riformativa. Questa concezione, s'intende, vien da lui
sistematicamente disegnata ed effettuata; e il sistema che ne risulta è un
Panlogismo, ossia una universale considerazione speculativa del Logo. Il
Logo è cosi il nuovo principio, che il filosofo intrese pone innanzi,
modificando l'Idea hegeliana e specialmente allargando, anzi addirittura
universalizzando l'Idea logica di Hegel. Se non che, accanto al Logo troviamo
in Ceretti una seconda designazione di tal nuovo principio, ed è quella di
Coscienza. Come questa seconda designazione comincia già ad essere importante
nella prima fase filosofica del Ceretti (nella hegeliana) e divien poscia
prevalentemente determinante nella seconda (in quella di transizione, in cui
cade la Sinossi); cosi vuol essere chiarito come la stia con questi principii,
che apparentemente paion due (Logo e Coscienza) e realmente sono il solo
principio novello cerettiano. Si noti che uno de' punti cardinali
cerettiani della riforma è che l'Idea o la Nozione logica sia non già
inconscia, come in Hegel, ma conscia. Si pensi, d'altra parte, che il principio
cerettiano (sorgente dall'hegeliano e modificante l'hegeliano istesso) è, come
s'è visto, il Logo assoluto. Ora, tal Logo assoluto (secondo il vizio
antecedentemente rilevato e la relativa emendazione) il Ceretti lo vuol
conscio; ed allora è un passaggio più che naturale, è una naturale esigenza che
il Logo assoluto conscio sia e divenga in lui Coscienza (non certo subbiettiva
od obbiettiva, ma assoluta). In tal guisa Logo assoluto e Coscienza pel
filosofo intrese costituiscono in fondo un sol principio, e sono il suo novello
principio emergente dall'hegeliano. Dico emergente dall'hegeliano, anche
perchè, notoriamente, in Hegel, accanto all'Idea, che è posta come principio
assoluto, spicca come tale anche lo Spirito (der Geist). Or lo Spirito è l'Idea
conscia. Quando si vede la cosa cosi, può dirsi che si in Hegel che in Ceretti
spiccano due principii, almeno due speciali denominazioni di un sol principio,
che son poi in fondo un sol principio. Cioè, in Hegel spiccano Idea e Spirito,
che son poi (l'unico principio) l'Idea spirituale, ossia conscia; e
in Ceretti spiccano il Logo e la Coscienza, che son poi (pur un unico
principio) il Logo conscio, o puramente e semplicemente la Coscienza. Che
poi e come poi il Ceretti colla Coscienza crede di porre innanzi un principio
diverso dallo Spirito di Hegel, o almeno più largo dello Spirito, lo vedremo
più innanzi. Ora, pel progresso del discorso, è necessario rilevare primamente
un'altra cosa: ed è che dei predetti due principii cerettiani (che in fondo son
poi uno), il primo o Logo assoluto è quello che dà più specialmente
denominazione, concezione e sistemazione alla fase hegeliana del Ceretti, ossia
al Panlogismo: ed il secondo, o la Coscienza (pur già appariscente nella
predetta prima fase), è quello che dà più specialmente l'intonazione, la
concezione e la sistemazione della seconda fase, cioè di quella di transizione,
in cui cade la Sinossi. Il che vuol dire, in altri termini, che il Logo informa
prevalentemente il sistema panlogico dell'opera latina, Pasaelogices specimen
(prima fase), e la Coscienza informa più particolarmente la presente opera
italiana della Sinossi. Diamo ora brevemente uno sguardo al sistema
panlogico, che per me costituisce ancor sempre il più poderoso, più originale e
più speculativo pensiere Per veder ciò, naturalmente, non bisogna limitarsi al
fuggevolissimo e magrissimo cenno che ne fo qui; ma bisogna leggere l'opera
cerettiana, alla quale un buon aiuto, mi lusingo di dirlo, è la mia citata
Notizia. del Ceretti: il quale sguardo ci agevolerà l'entrata nel
pensiere della presente opera sinottica. Il Logo per lui è tutto, è
l'universale realtà, è l'assoluta realtà; e la filosofia è la scienza che
considera appunto il Logo nella sua universalità ed assolutezza. Il Logo ha tre
forme di esistenza, cioè è Logo in sé, Logo fuori di sè, Logo per sè; forme,
che pel Ceretti hanno anche il significato e valore di essere il Logo nella sua
Subbiettività, il Logo nella sua Obbiettività (obbiettivazione,
estrinsecazione), il Logo nella unità di Subbiettività e Obbiettività. Si
consideri l'Idea hegeliana e le sue note forme, e si troverà che il Ceretti
attribuisce al suo Logo quelle stesse forme di esistenza che Hegel attribuiva
alla sua Idea. Si pensi un'altra cosa. L'Idea di Hegel è Pensiere ed Essere insieme:
può dirsi però che essa è prevalentemente Pensiere nella Logica,
prevalentemente Essere nella Natura, prevalentemente Coscienza nello Spirito.
Il Logo di Ceretti è pur Pensiere ed Essere, ma, starei per dire, colla
prevalente anzi colla essenziale caratteristica di Pensiere: il Logo é
essenzialmente pensivo (senza cessare di essere essente), e però è
essenzialmente conscio, è essenzialmente Coscienza. L'Idea logica di Hegel non
è conscia; l'Idea naturale del medesimo non è neppure conscia; conscia è soltanto
la sua Idea spirituale. Il Logo cerettiano invece è sempre Pensiere ed è sempre
Coscienza in tutte le sue forme di esistenza, che, come fondamentali, sono le
tre predette. Queste tre forme di esistenza, speculativamente
considerate, costituiscono poi tre parti della filosofia, ciascuna delle quali
è una speciale considerazion del Logo. Le quali parti, designate con nomi un
po' singolari, ma, in fondo, pur veri, sono la Esologia (da eis, és dentro), o
dottrina del Logo in sè, del Logo considerato dentro di sė, la Essologia da
(85w, fuori) o dottrina del Logo fuori di sè, e finalmente la Sinautologia (da
cúv e aviós, con, stesso) o dottrina del Logo con sè. A maggiore
intelligenza di queste tre parti, rilevo che il concetto e il relativo obbietto
di esse son dal loro autore espressi in una maniera, che è pur degna di
considerazione, e che, del resto, discende dall'anzidetto. Si è già visto come
il Logo cerettiano, benchè genericamente contenga in sè gli elementi
dell'essere e del pensiere, pure prevalentemente e più specificamente è
pensiere. Conformemente a ciò, il filosofo intrese designa il concetto e
obbietto delle tre mentovate parti appunto dal lato del pensiere, e dice che la
Esologia è la considerazione speculativa del pensiere del pensiere; la
(1) Lo dice Logo con sè, ma la espressione ha quel medesimo significato che ha
in Hegel quella (del terzo momento) di in sè e per sè. Qui il lettore può
intender meglio ciocchè si è detto innanzi del significato ed estensione del
Panlogismo cerettiano. Infatti, queste tre parti, che sono tutte, e le sole,
dottrine del Logo, nel loro complesso costituiscono la Panlogica (Pasaelogice o
Pasalogice: titolo dell'opera latina); onde il Panlogismo. Intende anche
un'altra cosa, cioè, la relazione intima di queste tre parti con le hegeliane,
in quanto la Esologia corrisponde alla Logica (Logik) di Hegel, la Essologia
corrisponde alla filosofia della Natura (Naturphilosophie) e finalmente la
Sinautologia corrisponde alla filosofia dello Spirito (Geistesphilosophie) del
medesimo. Essologia, un'altrettale considerazione del pensiere del
pensato, e finalmente la Sinautologia è la considerazione speculativa del pensiere
del pensante. Sempre dunque considerazion del pensiere: Il pensiere del
pensiere esprime il pensiere nella sua subbiettività; il pensiere del pensato è
la considerazione pensiva del pensiere come obbiettivato; e l'ultima è la
considerazion del pensiere come unità di subbietto e obbietto (di pensiere
subbiettivo e pensiere obbiettivo). Ciò posto, ecco ora come l'autore
pensa e determina la materia di queste tre parti: nel dir delle quali, dirò
qualche cosa di più della prima od Esologia, perchè essa nella susseguente
Sinossi apparisce poco o punto. Esologia. Questa è la logica cerettiana,
nella quale la coscienza logica, come Coscienza del Logo in genere, è
essenzialmente pensante (essentialiter cogitativa, come egli dice). La
Coscienza logica è da lui definita quale Coscienza di sè e di altro non ancora
esteriore a sè stessa, cioè, non ancora estrinsecata (non ancora divenuta Logo
naturale, Natura). Ei distingue ora l’Esologia in tre parti, che (sempre
dal Logo, che è in fondo ad esse) appella Prologia, Dialogia e Autologia. La
prima considera il Logo esologico nella astratta identità del pensiero; la
seconda lo considera nella differenza del pensiero istesso, la terza lo
considera come sintesi della identità e della differenza del pensiero.
Queste tre ultime, ragguagliate alle parti della Logica hegeliana,
corrispondono alla sfera del Concetto, a quella dell'Essere e a quella
dell’Essenza. Il Concetto in Hegel tien l'ultimo posto; invece, tiene il primo
il Ceretti col nome di Prologia. La Prologia cerettiana (vicinamente alla
dottrina hegeliana del Concetto) è dottrina della Proposizione, del Giudizio e
del Sillogismo. Il Ceretti comincia dalla Prologia, ed in questa dalla
Proposizione, in quanto pensa che il Primo prologico (come dice egli; noi
diremmo in generale il Primo logico) non è nè l'Essere di Hegel e Rosmini, nè
l'Io di Fichte, nè la schellinghiana Identità dell'Ideale e del Reale; ma è la
Proposizione, ch'ei pensa come qualcosa di più semplice e primitivo del
Giudizio stesso. Non entro nelle particolarità nè nell'apprezzamento
della cosa; mi limito a far risaltare soltanto il pensiero cerettiano. Non
posso però a meno di richiamare l'attenzione del lettore sulla triplicità che
pervade (come già in Hegel) la trattazione filosofica cerettiana, la quale
triplicità, come si scorge qui, cosi segue in tutta la susseguente trattazione.
È inutile dire che, trattando di questa parte, l’autore entra nelle
particolarità della teoria si della proposizione, si specialmente del giudizio
e del sillogismo. La Dialogia è la dottrina dell'Essere e considera
questo (come già Hegel) siccome distinto ne' subordinati principii o momenti di
Qualità, Quantità e Modalità (1), ne'quali, alla lor volta, vengono suddistinti
e La Modalità è la misura hegeliana (das Maas): già Rosenkranz l'avea
appellata anche Modalità.speculativamente considerati altri principii
subordinati, come qualcosa, il limite, il quanto, la realtà, la sostanza, la
essenza, la necessità, ecc. Chi è pratico delle cose hegeliane, si
accorge che il Ceretti anche in questa seconda parte ha fatto degli
spostamenti, trasportando e trattando sotto la sfera dell'Essere principii (e
persin l'essenza stessa), che in Hegel ricorrono sotto quella dell'Essenza. La
cagion di ciò, a mio credere, è che il Ceretti tratta tutta la materia logica
(anzi tutta la materia filosofica) secondo i tre momenti della Posizione, della
Riflessione e della Concezione. Così facendo, ha potuto accogliere i principii
o momenti hegeliani dell’Essenza (la quale, notoriamente, è la sfera della
riflessione) sotto il proprio Essere, considerato appunto secondo il momento
della riflessione; ossia ha potuto accoglierli sotto l'Essere riflesso.
L'Autologia finalmente, che è pensata come unità della Prologia e della
Dialogia, tratta de'tre principii del Sapere, Volere, Agire. S'intende bene che
anche in questi vengono distinti, rilevati e trattati altri momenti subordinati
come Sapere immediato, mediato e assoluto, Volere subbiettivo, obbiettivo, ecc.
I tre principii predetti pur ricorrono nella Logica hegeliana, ma in una guisa
e sfera subordinata, mentre qui abbracciano una intera sfera logica per sè, e
costituiscono il punto culminante ed unitivo di tutto il pensiere esologico
(ossia logico). Questa parte del sistema panlogico cerettiano non rimane
poi così magra ed astratta, come potrebbe sembrare, ma si addentra nella
storia, e viene additata in questa la evoluzione di tutte le categorie logiche
(esologiche) trattate. Io qui naturalmente non posso entrare nelle
particolarità: di più ho detto nella mia Notizia degli scritti e del pensiere
filosofico di Ceretti; ma anche in questa fui piuttosto scarso. Ora si è
pubblicata in italiano questa parte della filosofia cerettiana sotto il nome di
Esologia, ed essa sola comprende ben mille e dugento pagine. Io cercherò
un'altra occasione in cui discorrere più lungamente di quest'opera e
paragonarla con la Logica hegeliana, dalla quale prende il general pensiere e
il generale andamento, ma della quale vuol essere, e in parte è, una
modificazione. EssOLOGIA. La Natura è il Logo obbiettivato: però la dice
anche Non-Logo, ossia l'opposto (il negativo) del Logo subbiettivo. La designa
parimenti come Coscienza in forma d'Incoscienza, ossia, in fondo, di Coscienza ancora
inconscia. Che la dice Coscienza, dopo tutto l'anzidetto, s'intende benissimo;
perchè la Coscienza non è che il Logo conscio in genere, salvo poi a passare
per diversi gradi della Coscienza, cominciando dalla incoscienza. Questo stato
ancora inconscio della Coscienza della Natura è incluso nella mentovata
designazione, che, cioè, questa sia Coscienza in forma di incoscienza. Qualche
cosa di consimile egli esprime, quando la designa anche come Coscienza
dormente. Distingue la Natura (alla hegeliana) in meccanica, fisica,
organica o, come anche si esprime, in Logo meccanico, Logo fisico e Logo
organico; e la tratta speculativamente in queste tre forme. Il punto culminante
della Natura è la Vita, il cui Logo supremo, dice egli, è l'organo sensorio. Col
senso poi (che è funzione e manifestazione di quest'organo) si esce dalla sfera
della Natura propriamente detta e si entra in quella dello Spirito, ossia della
Coscienza del Logo conscio, e però del pensiero del pensante, la cui
speculativa trattazione è la SINAUTOLOGIA. Il concetto della sinautologia
dall'anzidetto è chiarissimo e si riassume in questo, che il pensiero del
pensante da essa considerato esprime la concretezza del pensiero istesso, cioè
la Coscienza altuosa di quello Spirito (di quel Pensiero), che nella Esologia e
nella Essologia era ancora inconscio. Le parti in cui si suddivide la
Sinautologia sono l'Antropologia, l’Antropopedeutica e l'Antroposofia. Queste
stesse tre parti sono ulteriormente divise in altre subordinate, trattandosi in
ciascuna in grosso quei principii che nell' hegelianismo fan parte dello
Spirito e della filosofia dello Spirito. Nelle particolarità io rinunzio di
entrare, tanto più che la maggior parte di esse entrano nella Sinossi, che si
presenta ora al pubblico. Con ciocchè è detto, che io lascio senza
apprezzamento, è stato certo il lettore messo nel caso di conoscere quelle
antecedenze, delle quali la Sinossi, da una parte, è continuazione, dall'altra,
ulteriore modificazione, e veniamo dunque alla presente opera sinottica.
Rispetto a questa vi sono due punti a cui mi riferirò: l'uno è quello
dell'opera da me prestata nella pubblicazione di essa: l'altro è quello di dare
una idea generica del suo contenuto e di rilevare alcune cose che mi paiono
degne di nota. Per ciò che concerne il primo punto, il manoscritto che mi
fu consegnato, di indicazioni del contenuto e dello scopo dell'opera non
portava che soltanto il titolo generale di essa, cioè Synossi dell'Encyclopedia
speculativa. Non aveva prefazione od altra indicazione di sorta, ma cominciava
subito col primo paragrafo, e così senz'altro continuava in sussecutivi
paragrafi fino all'ultimo. Or bene, io ho creduto utile di fare innanzi
tutto due piccole innovazioni: primamente, di ammodernare l'ortografia dell'autore;
secondamente di fornire l'opera di intestazioni. Quanto all'ortografia,
il Ceretti era un uomo, dirò cosi, stampato sul classico, e però rispetto ad
essa ha ancora ritenuto le forme latine e greche. Gli è per ciò che,
conformemente al saggio ricorrente nel titolo predetto, egli scriveva analysi,
systema, sympathia, philosophia, abysso, e via dicendo. Adduceva anche le
ragioni di ciò, e, in una scrittura umoristica (1), riferendosi a questo punto,
pregava che lo « si lasciasse spropositare a suo agio, perchè la sua crassa
ignoranza di orthographia italiana non gli permetteva di fare altrimenti
». Senza che io mi distenda su questo punto, il lettore intenderà che al
nostro tempo una tale ortografia non poteva trovar favore presso il pubblico.
L'autore stesso, (1) Nella Prefazione ai Sogni e Favole (ancora inediti,
ma che si pubblicheranno fra non molto). del resto, non l'aveva seguita
neppur egli in tutte le sue scritture italiane. Per esempio, non l'aveva
seguita nè in una sua prima opera filosofica italiana, rimasta incompiuta
(intitolata Idea circa la genesi e la natura della Forza), nè in qualche opera
letteraria de' primi tempi (poniamo, nelle Lettere d'un profugo): in generale
poi non l'ha mai seguita nelle sue opere poetiche italiane. Io poteva dunque
senza scrupoli innovarla. Quanto alle intestazioni, mi sono parse
utilissime anch'esse. Il Ceretti è uno scrittore molto difficile, è sovente
oscuro. Leggere una sua opera senza intestazioni di sorta, tranne quella del
titolo generale, è una cosa che non invoglia il lettore. Gli è perciò che, ad
agevolare a questo l'intelligenza e la lettura della medesima, ho diviso
innanzi tutto l'opera nelle grandi e generali parti che la costituiscono, e ho
dato loro le rispettive intestazioni; poscia ho fatto lo stesso coi paragrafi,
dando, sia ad un solo sia a più insieme, la intestazione corrispondente al
pensiere da essi espresso. Per la giusta lezione del testo mi son dato
tutta la cura possibile. Non una, ma ben molte volte sono intoppato in
difficoltà: tanto più che il manoscritto era scritto da un amanuense. Nelle
difficoltà ho fatto fare scrupolosi raffronti coll'originale, nei quali la
figlia dell'illustre filosofo, tuttora amorosamente intenta alla pubblicazione
delle opere paterne, mi ha prestato valido aiuto (1). Ma, (1) Ad onor del
vero, mi piace di far noto che l'opera della figlia verso il padre non è
soltanto di riconoscenza filiale, ma di intelligente ad onta del buon
volere e degli aiuti, mi è rimasto qualche scrupolo, che in questo o quel luogo
qualche mancamento od inesattezza vi sia rimasto. Quanto a mancamento, mi
cade in acconcio di potere affermare siccome una verità, che, per chi conosce
le opere filosofiche cerettiane, quelle che susseguono l'opera latina in genere
si risentono un po' tutte di qualche mancamento rispetto all'ordinamento e
all'integrità del pensiere. Questo, secondo me, proviene da più cagioni: l’una,
che, avendo ogni scrittore un momento culminante nella sua attività
intellettiva, il Ceretti lo ha avuto nell'opera latina: l'altra che, avendo
egli, dopo la pubblicazione de' tre primi volumi di questa, fermamente
deliberato di non pubblicar più nulla, ha creduto che le sue opere rimanessero
inedite; e con tal credenza la cura di esse è minore: una terza, che negli
ultimi dieci anni di vita (in cui cadono quasi tutte le opere filosofiche
italiane, compresa la Sinossi) egli fu travagliato dalla mentovata
infermità. Continuando a dire dell'opera da me prestata, rilevo che, per
l'accennata difficoltà e talvolta anche oscurità del pensiere dell'autore, vi
ho pure aggiunto delle note illustrative, ove mi son parse necessarie od almeno
utili. E finalmente, un po' per la ragione ora detta, un po' per
continuare a far conoscere la persona é gli scritti del Ceretti, un po' per
agevolare al lettore l'entrata nel prestazione, come ha anche dimostrato,
benchè ella lo abbia taciuto, nella mentovata pubblicazione delle Grullerie
poetiche, non che delle Poesie giovanili, apparse contemporaneamente ad
esse. pensiere della Sinossi, vi ho preposta la Introduzione che sta ora
leggendo. Per ciocchè concerne il secondo punto, quello del contenuto,
comincio col richiamare innanzi tutto l'attenzione del lettore sul principio
costitutivo della Sinossi, cioè, la Coscienza; principio, come ho già detto
innanzi, che l'autore crede distintivo della propria filosofia da quella di
Hegel, il quale, invece, pone in genere l’Idea, e più specificamente l'Idea
conscia, ossia lo Spirito. Ebbene, dal poco che ho detto,
antecedentemente e da altro che ho qui taciuto, posso affermare che la
differenza che il Ceretti vuol vedere tra la sua Coscienza e lo Spirito di
Hegel a me non pare così essenziale, certo, non così grande, come egli pensa. E
che la cosa sia cosi lo voglio confermare con le stesse parole dell'autore.
Nella sua Autobiografia, opera interessante e ricca di notizie sul corso
de'suoi pensieri, egli stesso dice: « In quel tempo io seppi (1) che l’Assoluto
è la Coscienza, e la Coscienza nel suo svolgimento è, correttamente parlando,
una storia, ma fui lontano dal distinguere la Coscienza dallo spirito e
considerare lo spirito come un momento storico della Coscienza. Per me la
Coscienza era un ente, piuttosto che il termine generale, la cui distinzione
costituisce gli enti ». È chiaro dunque che una distinzione vera dei due
principii non l'aveva ancor fatta. Però qualche cosa di (1) La mia
celebrità citata, pag. 89. Il tempo di cui parla è verso il 1870, certo, dopo
la pubblicazione de' tre primi volumi dell'opera latina, pubblicazione che
cessò il 1867, distintivo cominciava ad andargli pel capo. Di fatto, egli
afferma in altro luogo dell'opera, che verso quel tempo di cui si sta parlando
« principiava a balenargli l'idea di una Coscienza più generale dello spirito,
Coscienza, della quale lo spirito fosse uno storico momento. Quest'idea gli era
balenata molto tempo prima, ma piuttosto come un'imagine dell'idealità che come
una categorica avvertenza, la quale avvertenza principiò in questo tempo ed
ebbe il suo categorico fondamento anzitutto nell'infinito nulla, sopra il quale
riposa la nostra cogitabilità » (1). Da questo luogo, che conferma il
primo, non solo emerge ulteriormente che la distinzione ei non l'aveva ancor
veramente fatta nell'opera latina, ma fa capire che in questa (ov'egli pure aveva
cominciato a parlare di tal distinzione) la distinzione era come un primo
baleno di pensiere presentatosi alla mente e intraveduto, non però ancora
veramente visto, compreso' e consciamente fermato. È questo veramente un punto,
che io non aveva neppur nella mia Notizia così determinatamente ancora indicato
e, sopratutto, documentato; son lieto, che mi si è presentata l'occasione di
farlo qui. Ora, è nella Sinossi che il Ceretti è veramente conscio di tal
distinzione, ed è in essa che la Coscienza predomina e spicca come l'universale
e fondamentale principio (1) Loc. cit., pag. 104. Può parere strano che
il Ceretti faccia poggiare la cogitabilità sull'infinito nulla. Lo strano
sparisce, quando si pensa che per lui l'infinito nulla è uno de' modi di designare
l'essere indeterminato. Ora, il pensiere è appunto o una determinazione
dell'essere indeterminato, o una ulteriore determinazione dell'essere già
determinato. di tutto l'Essere e di tutto lo Scibile (Pensiero). E la
ragion principale della distinzione, come si scorgerà dalla lettura dell'opera,
consiste per lui specialmente in ciò: Che, giusto perchè la Coscienza è
l'universale ed assoluta realtà, l'unico universale essere, ella accoglie sotto
di sè l'istesso spirito come uno de' propri momenti, una delle proprie
manifestazioni e forme di esistenza (1). Ad intendere ciò, e in generale la
larghezza della Coscienza cerettiana, allego volentieri il seguente luogo, nel
quale ei dice che il filosofo speculativo « considera l'animale come un momento
definito nel sistema della Natura, la Natura come un momento nel sistema
spirituale, e lo Spirito come un sistema nel sistema della Coscienza »
(2). Ora può meglio comprendere il lettore, perchè io, nel dividere la
Sinossi in Tre Parti e nel dare a ciascuna di esse la relativa intestazione, ho
sempre fatto entrare la Coscienza. Del resto, l'istesso autore dice che: « la
Coscienza, sendo il termine più generale, che possibilita l'essere e
l'esistenza, deve necessariamente essere il termine più generale, nella cui distinzione
si distingue logicamente l'Enciclopedia speculativa » (3). Volendo ora
con un breve cenno introdurre il lettore nel contenuto della Sinossi, rilevo
innanzi tutto che le tre grandi Parti, nelle quali ella è divisa, sono la
Coscienza universale, ossia i Principii logici o logico-metafisici, che
(1) Vedi in questo stesso volume appresso $ 21, pag. 10. (2) Si
confrontino specialmente il g 164 e la mia relativa nota, non che il S
203. (3) Sinossi, $ 163, pag. 124, voglian dirsi (Logica); la
Coscienza naturale, ossia i Principii naturali (Natura); e la Coscienza
spirituale o Principii spirituali (Spirito). Quanto alla Coscienza
universale e ai corrispondenti principii logici, l'autore non entra in
particolarità, anzi non ne espone addirittura la dottrina. Si limita soltanto
ad indicare innanzi tutto le forme dello scibile e le corrispondenti verità;
poscia a designare alcune verità logiche supreme; indi ad accennare in genere
la natura della speculazione logica; e finalmente ad una divisione del pensiere
sistematico logico. Rispetto alle forme dello scibile (ch'ei distingue in
a) scibile estetico e religioso; b) scibile empirico-induttivo, e c) scibile
speculativo), pone che la forma speculativa, che è l'unica e vera filosofica, è
quella « che non con: tiene se non verità necessitate dal pensiero in sè
stesso, indipendente da qualsivoglia autorità esteriore ». Queste verità
necessitate poi ricorrono propriamente, od almeno in modo speciale, nella
Logica. E delle tre indicate Parti e corrispondenti discipline filosofiche ei
pensa che « la scienza veramente speculativa è la Logica, e le discipline della
Natura e dello Spirito non possono contenere verità speculative, ossia
necessarie, se non in quanto siano ridotte alla loro radicalità logica », vale
a dire, alla forma o tipo logico. Quanto alle verità logiche supreme,
elle si concentrano nel mentovato principio della Coscienza. E, di fatto,
ei pone come verità prima e radice di tutte le altre verità, e ad un tempo come
« verità generalis sima della speculazione », questa, che a è contenuta
nella proposizione: L'assoluto è coscienza ». E pone quindi come a verità più
particolare, ma non meno necessaria », quest'altra, « la quale è nella
proposizione: La verità assoluta è nella coscienza pensante » (1). A queste due
proposizioni se ne può aggiungere una terza, che, benchè ricorra in fin
dell'opera, pure è con esse intimamente legata; ed è che a nulla è e nulla può
essere fuori della Coscienza » (2). Quanto alla natura della Logica, ei
l'indica, e mi pare eccellentemente, siccome il « sistema generale della
cogitabilità », o, come anche dice, « della pura cogitabilità ».
Finalmente l'autore, non entrando nelle esposizioni di tal sistema, ma
limitandosi alla partizione di esso in tre cicli, designa il primo siccome « la
categoria pura dell'Essere indefinito, l'essere generale qualitativo e
quantitativo v: il secondo come « l'Ente, ossia l'Essere finito, per il quale
il pensiero si definisce in pensieri particolari reciprocamente differenziati
ed opposti »: il terzo come a l'unità del pensiero infinito col pensiero
finito, nella quale unità il pensiero s'individualizza » (3). Questa
individuazione, soggiunge, estrinsecandosi, genera la Natura. (1) La
Coscienza pensante è per lui la Coscienza razionale o concettiva, com'ei la
dice, a differenza delle forme inferiori di Coscienza, cioè la Coscienza
riflessa e la Coscienza sentimentale (quest'ultima abbraccia la Coscienza
estetica e si estende alla religiosa). (2) Sinossi, S 203, pag.
218. (3) Vedi Sinossi, pag. 1-12. [blocks in formation]
Passando a trattare della Coscienza naturale o Natura, ne dà una definizione,
in cui si sente l'influsso fichtiano, definendola, cioè, siccome «l'Idea scissa
in due termini, che hanno l'apparenza della separazione », e che sono a l’lo e
il Non-Io » (1). Quanto alla partizione però, divide ancora hegelianamente la
Natura in a) meccanica, b) fisica, c) biologica (organica). Cominciando a
dir della prima, tocca innanzi tutto della considerazione estetica della Natura
istessa, di quella considerazione, che attribuisce ai corpi celesti vita e
persin coscienza. Tocca parimenti della considerazione riflessa (o
empirico-induttiva), la quale, oppostamente alla prima, considera la Natura
come disanimata e puramente meccanica. Son due considerazioni ch'ei tiene per
egualmente false, ritenendo invece per unicamente vera la considerazione
speculativa. Conformemente a quest'ultima, piglia le mosse da’ principii
primitivi e condizioni prime della Natura, che sono lo Spazio, il Tempo, il Movimento,
la Forza; quattro principii che nella loro unità costituiscono poi la Materia.
Questi principii ei riunisce in guisa da ricordare addirittura la consimile
unione di Spencer, la quale, del resto, prima che spenceriana, è stata già
hegeliana. Si addentra poscia vieppiù nella Natura, e la considera nella
vita e nel movimento dei corpi celesti. Ribatte la considerazione estetica, che
attribuisce a « Vita e Coscienza analoga all’umana », siccome
questi (1) Sinossi, $ 28, pag. 13. [ocr errors] fantastica. Rispetto
alla Vita di essi, rileva egli, la speculazione (e considerazione speculativa)
a ritiene giusto » che « i corpi celesti.... debbano possedere necessariamente
la propria vita, dalla quale abbiano il proprio movimento, la propria forza e
le proprie fasi formali ma respinge interamente che « detta vita possa essere
analoga all'animale ed alla vegetale » (1). Passa quindi a considerare,
secondo la speculazione, la Coscienza nei corpi celesti; e, anche qui, pur
ammettendo una generica coscienza ne' medesimi, dice che « la Coscienza propria
de' corpi celesti non può sotto verun rapporto somigliare a quella degli
animali e delle piante ». Ritiene però che « l'armonia generale de’loro
rapporti cinematici e induttivamente anche dinamici prova evidentemente che
sono regolati non solo dalla coscienza, ma anche dalla coscienza pensante e
razionale » (2). Allontanandosi, ciocchè qui dice l'autore, non poco
dalle comuni intuizioni, è bene di rilevare e determinare ulteriormente il suo
pensiere e la ragione del suo pensiere, non che la ragione, per la quale egli
respinge anche la considerazione riflessa della Natura (che è poi in grosso la
considerazione delle scienze naturali). Riattaccandosi a quest'ultima, dice
che, se la considerazione estetica attribuisce vita e coscienza agli astri,
sbagliandosi nel modo dell'attribuzione, la riflessione spegne (1)
Sinossi, § 41, pag. 22 e seg. (2) Sinossi, $ 42, pag. 23. addirittura
l’una e l'altra. Imperocchè essa, nella concezione e considerazione della natura,
è dominata « dalla cardinale irrazionalità » di considerare il pianeta
terrestre « come un ente meccanico e fisico, e non mai come un organismo
planetario vivente e cosciente di vita e coscienza propria, altra dalla
vegetabile ed animale » (1). L'autore attribuisce alla riflessione l'errore
della « diremzione (scissione) della Natura e della Coscienza », per cui « deve
necessariamente considerare i singoli fenomeni come altri da quelli della Vita
e della Coscienza o (2). Diversa poi, a senso dell'autore, è la speculativa
considerazione si della Natura in genere, che dell'ordine terrestre. In quanto
che « la speculazione, ponendo il principio generale, che la Natura e l'Idea
della Natura sono reciproci fattori, deve conchiudere necessariamente che una
Natura qualsivoglia non può esistere se non come viva e cosciente. Le diverse
specifiche nature sono appunto differenziate dalle differenze specifiche della
loro vita e coscienza ». E, conformemente a ciò, rileva i diversi gradi di vita
e coscienza de' corpi celesti, de' minerali, delle piante, degli animali.
« La speculazione (aggiunge egli) concepisce che nessuna esistenza è possibile
se non in quanto sia Coscienza, e nessuna Coscienza è possibile se non come un
sistematico svolgimento dall’una nell'altra determi (1) Sinossi, $ 49,
pag. 30. (2) Sinossi, $ 52, pag. 32. nazione, locchè è Vita
». Mette però in rilievo che « Vita e Coscienza nella speculazione non sono
menomamente limitate all'analogia del processo vegeto-animale; epperciò, dicendo
che i corpi celesti, il globo terrestre e le materie terrestri sono vive e
coscienti, non intendiamo dire che un numero finito di organismi componga un
tale organismo, ma semplicemente che tutta la natura è organica, viva e
cosciente, e conseguentemente ogni organismo è principio e fine di altri
organismi, cosi nel proprio totale, come in ciascuna minima particella
divisibile all'infinito » (1). Non men lontano dalle comuni intuizioni è
ciocchè segue sotto il titolo di anatomia, fisiologia e psicologia del globo.
Si badi però che a si fatte denominazioni il Ceretti non attribuisce il
significato che lor comunemente corrisponde. La ragione, per la quale egli ha
adoperate le predette denominazioni è ch'ei considera il globo siccome un
organismo vivo e cosciente. Di fatto ei dice: « Considerando il globo come un
individuo organico vivo e cosciente, si conchiude necessariamente che vi sia
un'anatomia, una fisiologia ed una psicologia del globo ». Avverte però ch'egli
« usa questi vocaboli in un significato più generale che non in quello della
vita vegeto-animale » (2). E quanto all'espressione di psicologia del globe,
che è quella che più delle altre urta le comuni intuizioni, egli ne giustifica
e chiarisce (1) Sinossi, $ 53, pag. 29 e seg. (2) Loc. cit., $ 59,
pag. 36. il significato come segue. « Dobbiamo per prima cosa notare,
dic'egli, che non intendiamo parlare di psicologia nel significato analogo a
quello dell'animalità, ma usiamo questo vocabolo nel significato amplissimo di
coscienza vivente. Cosi, per es., la bestia pratica, nell'uso della sua facoltà
locomotiva, esattamente le regole matematiche della statica; ma questo non vuol
dire che la bestia possegga qualche nozione di matematica e di meccanica
razionale; ella non possiede veruna nozione riflessa, ma semplicemente il senso
regolativo della statica, requisito della pratica della locomozione; ma non è
una regola teorica; ossia una Coscienza riflessa della medesima. In questo
significato generalissimo di coscienza la terra possiede la sua psicologia, non
altrimenti che ogni individuo vivente » (1). Da tutto ciocchè il Ceretti
dice intorno a coscienza degli astri in genere e a coscienza e corrispondente
psicologia della terra in ispecie, se ne deduce ch'egli attribuisce sì ai primi
che alla seconda quella coscienza ch'egli nel luogo ultimamente allegato chiama
coscienza vivente, cioè una coscienza che si caratterizza e risume nella vita,
una coscienza che potrebbe chiamarsi inconscia. E questa è quella coscienza che
antecedentemente io stesso ho designata come generica, non già come specificata
e molto meno come individuata. Ad intender ciò, si pensi che per Ceretti
il principio universale della realtà (qui nella Sinossi) è appunto la (1)
Sinossi, $ 74, pag. 47. Coscienza come universale ed assoluta. In quanto
la Coscienza è universale ed assoluta, è già Coscienza la Natura stessa, che è
una delle forme di manifestazione ed esistenza della Coscienza. Se è così, è
ben naturale ch'ei pensi come cosciente (genericamente, non individuamente gli
astri tutti, anzi le cose tutte. Ma la Coscienza della Natura, nelle formazioni
siderali della medesima, non si è ancora individuata, soggettivata , ossia è
una coscienza che non è ancora presente a sè stessa, non è consapevole di sè
stessa, è una Coscienza ancora inconscia. Ora, il Ceretti pensa che tutto
il processo della Coscienza naturale o, come comunemente diciamo, della Natura,
consiste appunto nella graduale individuazione e soggettivazione di questa
Coscienza. Nella terra ed in genere nella natura minerale tale individuazione, almeno
tal vera e reale individuazione non è ancora avvenuta e ne cerca e segua i
relativi gradi evolutivi. « Il primo esordio, secondo lui, della Coscienza
verso una propria individuazione, oltre l'individuazione planetaria, appare
nella vita vegetativa» (1). E questo esordio è, a tal riguardo, si poca cosa,
chè, benchè la pianta abbia « un'individualità distinta dall'individualità
planetaria, quest'individualità si manifesta tuttavia equivocamente nella vita
vegetabile » (2). E di questa equivocità arreca varie ragioni. (1)
Sinossi, $ 80, pag. 52. ' (2) Sinossi, $ 85, pag. 55.
Additata l'individuazione nella pianta, passa ad additarla nella
ulteriore e superiore forma di esistenza della animalità. È primamente
nell'organismo animale che, secondo il Ceretti, avviene la compiuta
individuazione, la quale, si noti, non è ancora soggettivazione in tutta
l'animalità. La soggettivazione, che è il grado supremo dell'individuazione, da
una parte, « si palesa progressivamente nelle specie superiori », dall'altra,
si manifesta nella sua vera compiutezza soltanto nell’uomo; il quale nella
serie zoologica è a l'ultimo frutto, ossia il massimo sviluppo psichico
dell'animalità » (1). « Quando l'animale, dic'egli, arriva definitivamente alla
soggettivazione della propria Coscienza, ossia al suo Io distinto
categoricamente dal Non-Io, entra categoricamente nella Coscienza spirituale.
Questo passaggio costituisce la creazione dell'uomo, e solamente questo
passaggio colla propria manifestazione può significare un soggetto umano »
(2). Con l'antecedente esposizione il Ceretti, nella Evoluzione della
Coscienza, esce dalla Coscienza naturale ed entra nella Coscienza spirituale,
cioè nella terza parte dell'opera. In questa, cominciando colla distinzione di
senso e pensiero, vien subito all'additamento delle forme, 0, com'ei le dice,
fasi dello spirito, le quali per lui sono il sentimento, l'intelletto ed il
concetto. Il concetto è la facoltà razionale, a distinzione della intellettiva,
secondo (1) Loc. cit., $ 96, 106, 107, pag. 61 e seg. (2) Sinossi,
$ 115, pag. 76. che ciò s'intende nell'hegelianismo. Il sentimento
è da lui inteso in senso più largo del senso, tanto che designa come momenti
del sentimento l'attenzione, la memoria e l'immaginazione. Così inteso, il
sentimento viene ad esser come una funzione media tra il senso e l’intelletto,
quella funzione che costituisce come il passaggio dalla coscienza senziente
alla cogitante (1), e che perciò somiglia quella che i tedeschi chiamano
facoltà rappresentativa (Vorstellungsvermögen). Segue l'evoluzione della
Coscienza spirituale in quelle forme che, secondo la terminologia hegeliana,
fan parte dello spirito soggettivo, come linguaggio e suoi stadii; stato
primitivo dell'uomo (primitiva coscienza umana); sonno, sogno e veglia ;
temperamento; specifiche disposizioni mentali, tra le quali piglia di mira
anche il genio nella sua distinzione dall'ingegno; carattere e criterio.
Dopo di ciò passa alla considerazione di quei principii che possono designarsi
come costitutivi della Coscienza oggettiva (oggettivata), che corrispondono a
quelli del cosi detto spirito oggettivo hegeliano, e che il Ceretti in questa
Sinossi risume ne' tre di Morale, Diritto, Ragione. La Morale regola i rapporti
sociali degl'individui consociati, ma soltanto siccome regola interiore alla
Coscienza. Il Diritto, facendosi indipendente dalla interiorità della Coscienza
morale, statuisce (1) Ei dice di fatto: « La Coscienza che dalla
sensazione si svolge nella mentalità si sistematizza in un sentimento pressochè
comune alla umanità ». Sinossi, S 128. una legge che divien comune e
normativa nei rapporti esteriori del corpo sociale. La Ragione concilia le
esigenze della Morale e del Diritto, cioè dell'elemento soggettivo e
dell'elemento oggettivo della civile società (1). Continuando, l'autore
segue l'evoluzione della Coscienza spirituale nella sua costituzione sociale.
Da prima rileva e determina i gradi evolutivi di questa ultima nel regime
patriarcale, strategico (militare) e politico. Poscia viene alla determinazione
della ragione, la quale è « come il fattore essenziale del buono e del giusto
contenuto » nelle organizzazioni sociali. Alla ragione disposa la coltura, in
quanto l'una e l'altra si suppongono e svolgono insieme. « La ragione, com’ei
si esprime, reclama un libero svolgimento della coltura e la coltura è il corpo
della ragione; questa e quella sono reciproche esigenze, epperciò non si
possono reciprocamente realizzare se non in quanto concorrono nell'unità del
proprio sistema » (2). Termina questa parte con la distinzione, la
determinazione ed il rapporto dello scibile delle discipline finite e dello
scibile speculativo. Assolta questa parte della Coscienza spirituale,
passa all'ultima e suprema della medesima, che è quella che si riferisce all'Arte,
alla Religione ed alla Filosofia, o, che vale lo stesso, alla Coscienza
artistica, religiosa, filosofica. Ciascuna di queste tre ei considera non
solo (1) Sinossi, § 139, pag. 96 e seg. (2) Sinossi, S 134, pag.
113. nel suo principio, ma anche nella sua storica evoluzione. Gli stadii
di si fatta evoluzione sono in genere l'asiatico, il pagano, il cristiano; e
quindi arte, religione e filosofia asiatica; arte, religione e filosofia
pagana; arte, religione e filosofia cristiana. Quanto all'arte, egli
accenna non solo all'arte in genere, ma anche alle diverse forme di arte,
additandone l'evoluzione appunto ne' predetti stadii asiatico, pagano e
cristiano. Il medesimo fa per la religione, e qualificando la religione e
le religioni asiatiche per naturalistiche, la religione e le religioni pagane
per antropomorfistiche, la religione e le diverse forme religiose cristiane per
spiritualistiche. E finalmente, quanto alla filosofia, rilevato il
generale concetto di essa e il suo legame coll'arte e colla religione, viene a
toccare della sua storica evoluzione. Comincia dalla filosofia asiatica, nella
quale dà importanza alla filosofia indiana, essendo questa nell’Asia « la sola
che si possa considerare come un tentativo di speculazione esordiente. Ella si
distingue in tre grandi periodi, di cui il primo è teologicamente ortodosso,
epperò armonizza colla religione costituita; il secondo ed il terzo consistono
di sistemi teoretici, che però non negano il principio fondamentale della
religione, alla quale contradicono » (1). Passa alla filosofia pagana, la
quale si risume essen (1) Sinossi, S 191, pag. 188 e seg. zialmente
nella greca, e nella quale la speculazione non s'ispira, come l'indiana, alla
teologia, ma « si sente perfettamente libera da ogni prestatuto, da ogni
estrinseco alla speculazione » stessa. E ciò si mostra fin dall'inizio della
filosofia greca, nella quale « i primi filosofi furono fisici non teologi ».
Ella « si distingue in tre grandi cicli. Nel primo è speculazione
naturalistico-noologica. Nel secondo è speculazione etica. Nel terzo è
speculazione pneumatologica » (1). Termina colla filosofia cristiana,
nella quale, secondo lui, « le speculazioni dei teologi, la così detta
filosofia scolastica, non appartengono positivamente alla filosofia, ma piuttosto
a quello che si direbbe teologia speculativa », Più vicina al punto di vista
filosofico própriamente detto, come poggiante sulla ragione, è la a nuova
speculazione », o quella del Rinascimento. Questa « esordi con una semplice
rinnovazione della ellenica filosofia ); ma in alcune speculazioni« si
distingue per la forma delle nuove filosofie », come in Giordano Bruno, in
Giacobbe Böhm e in qualche altro. Quello però che fonda la filosofia
cristiana propria mente detta è Cartesio, al quale poi si riattaccano i
posteriori moderni filosofi per ulteriormente svilupparla. « La filosofia
cristiana differisce dall’ellenica; perocchè questa si svolse nel piano
dell'Idea fisica o metafisica e della sua identità realizzata nel mondo, quella
si svolge nel piano dello Spirito concreto, ossia (1) Sinossi, $ 195,
pag. 192 e seg. unità distinta dell'Idea in sè stessa (metafisica) colla
Idea fuori di sè stessa (Natura). Questa concreta unità prima è realizzazione
dei suoi termini separabili, che astrattamente si svolgono in astrazioni
fisiche o metafisiche; poscia è concreta unità dei suoi termini indirimibili e
distinti » (1). Questa è la tela del pensiere filosofico della Sinossi
dell'enciclopedia speculativa. Ora, a complemento della cosa, credo ancora utile
di rilevare alcuni punti ed alcune opinioni dell'autore, che mi sembrano degni
di nota. Primamente mi riferisco al punto concernente le idee cerettiane
sugli astri in genere e sulla terra in ispecie, e propriamente riguardo
all'animazione e persin coscienza che l'autore ha vedute in essi. Innanzi
tutto allego un luogo di un'altra opera di lui: in questo si dice chiaramente
come egli intende l’evoluzione planetaria, la quale poi non è altro che
l'evoluzione di ciocchè si nella Sinossi, si in questa mia Introduzione si è
appellata la Coscienza naturale. « La mia astronomia, dic'egli, ossia
perlustrazione de' corpi celesti, non somiglia punto alla disciplina finita
(cioè all'astronomia de' naturalisti) di questo nome, ma si riferisce
semplicemente alle più arrischiate ipotesi circa la genesi di quei corpi.
L'idea fondamentale è che le varie età di un corpo celeste corrispondono alle
varie qualificazioni di nebulosa, sole, pianeta, e cosi oltre, e
conseguentemente anche i vari fenomeni sulla superficie di esso appartengono
a (1) Sinossi, $ 199, pag. 204 e seg. vari momenti della sua età.
Cosi, per es., la vita fitozoica e la storia umana sarebbero una fenomenale
momentaneità della vita planetaria sopra il globo, che oggidi dagli uomini si
chiama Terra » (1). Or qui si dice che la vita non solo vegetale ed
animale, ossia vegeto-sensitiva, ma la stessa vita pensiva umana è una
manifestazione planetaria, che si concreta sulla terra: il che è come dire in
altri termini che nella terra vi sono fenomeni sensitivi e pensivi. In
conseguenza di ciò il Ceretti ha parlato di vita e coscienza degli astri, vita
e coscienza del pianeta terrestre; come, d'altra parte, conformemente a ciò, ha
parlato di anatomia, fisiologia e psicologia della terra. È indubitato
che queste ultime espressioni suonano un po'stranamente, e più stranamente
ancora suonavano alcuni decennii addietro. Però, a misura che si fa strada
nella scienza il realismo e l'evoluzione, quelle espressioni van mano mano
perdendo non poco della loro stranezza. Siam giunti a tale, che leggiamo, e
senza meraviglia (io almeno non me ne meraviglio, (simiglianti cose in libri
seriissimi, che veggono la luce negli stessi nostri giorni. Uno di siffatti
libri (che io credo seriissimo e raccomando a chi no'l conosce ancora), è, per
esempio, il « Cosmos die Wellentwickelung nach monistisch-psychologischen
Principien auf Grundlage der exakten Naturforschung dargestellt von D. Hermann
Wolff. Leipzig 1890. Zwei Bände ». (1) La mia celebrità già citata, pag.
66 e seg. Ebbene, il Wolff parla anch'egli non solo di psicologia
animale, ma anche di psicologia della pianta e psicologia della cellula.
Notoriamente, di quest'ultima ha parlato e scritto Ernesto Haeckel, seguito poi
da altri. Ma con ciò siamo nella natura organica. Il Wolff va ancora più
innanzi e parla anche di fisiologia della natura inorganica (si badi bene,
inorganica) (1). E non si arresta neppur qui: parla persino di segni di
manifestazioni psichiche nella natura inorganica: e, dopo avere additati questi
segni, anche coll'appoggio di Copernico, Herschel, Haeckel, Schopenhauer, viene
alla conclusione che nella natura inorganica c'è un fondo psichico (einen
psychologischen Hintergrund der anorganischen Natur) (2). Siffatte
manifestazioni, secondo il Wolff, « non sono però segni di una esistenza
individuale animata, ma comuni manifestazioni di specie » o generi (3). Anche
il Ceretti pensa la cosa in grosso allo stesso modo; giacchè la sua Coscienza
degli astri e della terra non è individuale, ma generica come ho fatto innanzi
rilevare. Fo considerare, inoltre, come ora si parli non poco di
Panpsichismo: chi è a notizia della recente letteralura filosofica, lo sa. Lo
spirito universale di Hegel (der Weltgeist), lo spiritualismo assoluto del
medesimo sono imparentati con si fatte intuizioni. Non vi è meno imparentato
l'Inconscio del vivente filosofo Eduardo di Hartmann; giacchè l'Inconscio
contiene in sè un ele (1) Vedi dell'Opera citata del Wolff, vol. I, pag.
239 e seg., 245 e seg, (2) Loc. cit., specialmente a pag. 334. (3)
Al secondo volume di detta Opera, pag. 145, mento pensivo e spirituale
che, foss’anche inconsciamente (e, del resto, nella natura dev'essere cosi), si
manifesta ed agisce nel mondo materiale. Altra intima parentela con queste
intuizioni ha l'attuale e assai generale Monismo; perchè col Monismo si ha un
solo principio superiore, che è spirituale e materiale, conscio ed inconscio
insieme, e che è presente ed agente così nell'animale e nell'uomo, come anche
nella pianta e nel minerale. Sicchè dunque bisogna guardare e giudicare con
sentimenti amichevoli ed indulgenti ciocchè il Ceretti dice intorno
all'animazione e coscienza degli astri. L'aver testè ricordato il nome di
Eduardo di Hartmann accanto a quello di Hegel, mi fa andar per la mente,
che accanto a questi due va collocato immediatamente il Ceretti, e
propriamente, da una parte, come contrapposto a quello, dall'altra, come unito
a quello nella comune provenienza da Hegel. È indubitato che entrambi
provengono da questo, ma si noti, che vi provengono, propugnando ciascuno un
principio opposto a quello dell'altro: Eduardo di Hartmann, propugnando
l’Inconscio, Ceretti la Coscienza, ossia il Conscio. È questo un punto assai
degno di considerazione, ma che meriterebbe uno sviluppo, il quale non può
entrare in questa Introduzione. Prego però che gli rivolgano la mente coloro
che ora conoscono il Ceretti, fino a poco fa sconosciuto. Cercherò un'altra
occasione, nella quale ritornerò su di ciò. Un altro punto, che si
collega ai precedenti e pure degno di rilievo da parte del Ceretti è il
dichiarare e ribatter ch'ei fa come assurda la « supposizione d'una natura
meramente inorganica, cieca e macchinale » (1). Con questa dichiarazione egli
si fa, sia direttamente, sia indirettamente, oppugnatore del Positivismo e
dell'Evoluzionismo, in quanto meccanici. E in ciò bisogna unirsi interamente a
lui. Io non ispregio punto, anzi pregio moltissimo le dottrine positivistiche
ed evoluzionistiche: e persin dichiaro novellamente (l'ho già fatto altra
volta) che accolgo l'evoluzionismo disposato all'hegelianismo sotto il generale
concetto e processo di evoluzione finale. Ma ritengo immensamente irrazionale
l'evoluzionismo meccanico, col quale non solo non si possono spiegare i
prodotti superiori della realtà, l'arte, la religione, la scienza, la vita
domestica e sociale ecc., ma neppure la vita animale e vegetale, e diventano
inesplicabili gli stessi prodotti minerali nelle ordinate formazioni dei
medesimi. Già l'antichità al meccanismo atomistico e in genere naturalistico
aveva giustamente contrapposta la finalità, specialmente nelle scuole platonica
ed aristotelica. Il principio finale, che fu accolto ne' tempi e filosofi
posteriori, è stato nell'ultima filosofia accentuato specialmente da Schelling
ed Hegel, che han visto ed affermato nella natura un finale, razionale e
progressivo organizzarsi della medesima in tutte le sue maravigliose
forme. L'evoluzionismo con Spencer ha assai progredito a [blocks in
formation] riguardo de’due grandi filosofi tedeschi in moltissimi rispetti; ma,
d'altra parte, col meccanismo ha immensamente regredito rispetto ad essi. Chi
sarà l'uomo ragionevole che potrà pensare che la scienza si possa costituire
meccanicamente ed automaticamente? Ebbene è proprio cosi che dee pensarne la
costituzione e formazione chi accetta il meccanismo comtiano e spenceriano;
giacchè da’principii comtiani e spenceriani riguardo alla scienza non ne
discende altra conseguenza. Innanzi a una tale assurdità o debbon cadere
senz'altro il Positivismo e l'Evoluzionismo, o bisogna, come io penso,
integrarli colla finalità. Per ciocchè concerne questo mio pensiere, sono lieto
d'incontrarmi nella stessa idea con un uomo assai rispettabile e favorevolmente
noto nella scienza, col Vacherot. Il quale, pur movendo dall'hegelianismo, è
giunto (nel Nouveau spiritualisme) per altra via a quella conclusione
(all'Évolution finale), cui songiunto anch'io(1). Altro punto che voglio
rilevare è quello dell'opinione del Ceretti rispetto all'origine e natura della
specie; e lo fo volentieri, perchè si tratta di cosa oggi tanto dibattuta.
Rispetto a questo punto parrebbe che egli si discostasse tanto da Hegel quanto
da Darwin; ma a me sembra che, in fondo, ei riesca alla stessa idea di
quest'ultimo. Il Ceretti dice: «È assurdo supporre che una specie si (1)
Vedi Le nouveau spiritualisme del VACHEROT, Paris 1884, specialmente il
capitolo intitolato l'Évolution finale, pag. 359. Nell'istesso anno 1884, nel
mio Teismo filosofico cristiano, senza che io sapessi nulla del filosofo
francese, ho sostenuto (vedi pag. 414 in nota) lo stesso principio, con la
stessa espressione di evoluzione finale. tramuti in un'altra come tale,
perocchè le specie sono mere distinzioni teoriche del nostro intelletto. La
natura, come disse un sommo naturalista, non facit saltum » ecc. Con ciò
parrebbe quasi quasi che non ammettesse vere specie di sorta e non si
accordasse col darwinismo. Ma, d'altra parte, ei soggiunge: « La vera
trasformazione della specie non si deve investigare nelle specie come lali, ma
piuttosto ne'minimi termini della specie, ossia nelle variazioni individuali.
Queste variazioni, tuttochè lentissime, modificano col volgere de' secoli le
specie » (1). Ora a me pare che l'opinione cerettiana si converta colla
darwiniana: perchè secondo i darwinisti le modificazioni alle specie provengono
e non possono d'altronde provenire che dagl'individui. Un altro punto non
meno dibattuto e controverso è ai di nostri quello della religione; e mi piace
di rilevare l'opinione cerettiana in proposito. Innanzi tutto egli è contrario
ad ogni religione filosofica o scientifica che voglia dirsi. « Provate,
dic'egli, a istituire un culto, ossia una pubblica credenza filosoficamente
ragionata; e voi fallirete senza dubbio al vostro scopo, perocchè la Coscienza
pubblica non è disposta a un filosofico sistema ». E per tal rispetto può
dirsi ch'ei si oppone al positivismo, a dir vero, non a quello del fondatore
del medesimo, perchè Comte ammetteva la ragion di essere della religione, ma al
comunale positivismo, che vuol sostituita la religione colla scienza. E,
venendo poi ad esprimere (1) Sinossi, $ 185, pag. 174 e seg. il suo
pensiere su tale importante argomento, ei dice: « La religione che conviene al
nostro tempo e alla nostra civiltà non può essere una religione di miti e di
misteri. Non può essere una rivelazione miracolosa d'un tempo e d'un luogo,
epperciò non può essere una religione autorizzata da un codice e da una
tradizione. Il solo fondamento religioso, tuttavia reale del nostro spirito, è
l'idealismo trascendentale, per es., la credenza in una Coscienza e Ragione
generale che governa il mondo: è questa il nostro Dio superstite come Dio,
possibile oggetto d'una credenza religiosa » (1). Probabilmente il
lettore troverà che anche questa religione proposta dal Ceretti (e che
abbastanza generalmente, e da un pezzo, la si propone ed anche coltiva da
filosofi, scienziati e uomini colti) senta un po' del filosofico anch'essa. Io,
per parte mia, penso lo pensava anche il filosofo intrese) che la
religione in genere sorge dalla coscienza popolare. E siccome questa non è nè
può essere mai filosofica o scientifica che dir si voglia; così una religione
scientifica, quale la vogliono i predetti comunali positivisti, è una chimera
e, per giunta, assolutamente contraria alla coscienza del popolo, che
costituisce qualitativamente e quantitativamente la larga base e la gran massa
de' credenti. Questi sono i punti principali e le relative opinioni
dell'autore, che io voleva in ispecial modo rilevare: altri tralascio.
(1) Sinossi, $ 108, pag. 71 e seg. Prima di terminare questa già lunga
Introduzione, non posso a meno di rivolgere ancora l'attenzione del lettore
sulla posizione della Sinossi nel complesso e nel corso del pensiere filosofico
dell'autore, non che sulle ragioni che hanno consigliata la pubblicazione
dell'opera. Quanto alla posizione, ho già detto che essa rappresenta una
fase o momento di transizione dall'idealismo assoluto hegeliano (già accolto
dall'autore ed espresso, pur già con modificazione, nella sua opera latina) ad
un assoluto idealismo subbiettivo, o ad un assoluto subbiettivismo, assai
vicino a quello di Fichte. Ho pur già detto che tal passaggio segue attraverso
dello schellinghianismo, del quale son visibili alcuni vestigi nella presente
opera. Il lettore che leggerà attentamente questa ultima, scorgerà la cosa da
sè stesso. Se non che io voglio ulteriormente rilevare che questo punto io l'ho
già rilevato nella mia opera sul Ceretti, e, per non tornare a dir lo stesso,
rimando il lettore a questa (1). Quanto alle ragioni della pubblicazione
(oltre al desiderio, anzi volere della figlia del filosofo, la quale crede
dovere filiale di cooperare a far conoscere e pregiare il suo genitore), elle
son varie. L'una è che, benchè ella sia un'opera indubbiamente inferiore alla
latina, ciò non di meno, con tutta la stessa sproporzione che ha nelle tre
parti che la costituiscono, è pur sempre tale da meritare di essere conosciuta.
Una seconda è che, (1) Alla più volte citata notizia, e propriamente alle
pagine clxxx e seg., CXCIII e seg. siccome essa rappresenta una delle
fasi di transizione del pensiere filosofico cerettiano, cosi, per conoscer
questo tutto intero, era necessaria la pubblicazione di essa ; tanto più che
essa, tra le opere filosofiche che si riferiscono a tal fase, è una delle
migliori. Una terza ragione è questa, che, accanto all'Enciclopedia filosofica
latina, è bene che se ne conosca di lui anche una italiana. Una quarta è che,
essendo rimasta incompiuta l'opera latina, specialmente per la parte che
concerne la filosofia dello spirito, era opportuno di pubblicare la Sinossi,
che si estende anche a questa parte. A dir vero, le idee sulla filosofia dello
spirito nell'opera latina sarebbero state più vicine alle hegeliane, ma un
generico fondo hegeliano v'è in grosso anche nella Sinossi. Un'ultima ragione è
questa che, come nella pubblicazione dell'opera latina in traduzione italiana,
assai probabilmente non si andrà più in là del secondo volume (dell’Esologia, o
logica del Ceretti), perchè il terzo (la Essologia o filosofia della natura) è
rimasto incompiuto, così la Sinossi si adatta ad esser come la continuazione
della stessa opera latina tradotta. E si adatta tanto più, in quanto questa
giunge, come abbiam detto, fino alla logica, che è trattata ampiamente; e la
Sinossi, invece, appena accennando la logica, tratta più estesamente la
filosofia della natura e quella dello spirito, specialmente quest'ultima. E non
è improbabile che il Ceretti stesso, per avere appunto largamente trattata la
logica nell'opera latina, ne abbia poi fatto appena un piccolo cenno nella
Sinossi, che fu scritta dopo. Termino esprimendo il voto, che una così
eminente individualità filosofica, poetica e letteraria, quale fu il Ceretti,
venga sempre più conosciuta ed apprezzata. Per conoscerla però ed apprezzarla
degnamente, non bisogna arrestarsi ad una sola delle sue opere, ma bisogna
abbracciarle tutte; giacchè, essendo stata la sua individualità assai varia e
complessa, bisogna vederla e conoscerla nella varietà e nel complesso delle sue
opere. Dividerò e tratterò in "varii punti la quintuplice forma
di Logica enunciata nel titolo. Il primo punto è che questa
quintuplice forma di Logica si riattacca nel modo più intimo al mio
scritto già pubblicato ed intitolato: L'Essere evolutivo finale come
tentamento di una nuova concezione ed orientazione del pensiero filosofico
uscente dal- l' Hegelianismo. E si riattacca in guisa che la concezione,
la posizione e la soluzione delle indicate forme logiche dipendono in
tutto e per tutto dal medesimo. Il secondo punto concerne la
importanza della trattazione delle enunciate forme logiche.
La importanza, quanto alla Lo gica aristotelica, è addirittura imm ensa,
in quanto sì fatta Logica conta ormai 24 secoli di esis tenza, di ammirazione
e di attuazione nel pensiero umano in genere e nel pensiero filosofico in
ispecie. Per ciocché concerne la importanza della Logica kantiana,
benché questa, rela- tivamente al tempo, conti poco più di un secolo di
esistenza, pur la sua importanza è assai grande, in quanto, da una parte,
continua ed ulteriormente esplica la Logica aristotelica, dall'altra,
prepara la via, l'indirizzo e la stessa materia alla susseguente Logica
di Hegel. Quanto poi alla Logica hegeliana, se la sua importanza rispetto
al tempo è immensamente minore della aristotelica, e, relativamente,
della stessa kantiana, con- tando appena circa un secolo di vita, pur non
di meno, considerata come entit à del fatto logico in se stesso, è
grandissima anch' essa. Giacché, la Logica hegeliana, da una parte ;
riattaccandosi e contrapponendosi com e_ reale od ontolog ica alla
aristotelica ritenuta e detta formale, e, dall'altra, sviluppando,
integrando e realizzando in un compiuto organismo dialettico il tentativo
ontologico kantiano, è divenuta il più impor- tante fatto e pensiero
logico de' tempi nostri. Quanto alla importanza della cosi detta Logica
matematica, tale importanza rispetto al tempo è di bel nuovo assai minore
non solo della 24 volte secolare ari- stotelica, e della poco più che
secolare kantiana, ma della stessa secolare hegeliana. Giacche la Logica
detta matematica conta soltanto pochi decennii di vita, ed anzi, nella
sua ultima determinata forma, appena una ventina d'anni. E da
ultimo, per ciocche concerne la importanza della Logica indiana, tale
impor- tanza è grandissima anch'essa; in primo luogo, perchè la Logica
indiana è una reale e vera forma logica distinta dalle altre, e pensata
ed esercitata da un popolo anti- chissimo tuttora pensante e logicante
con essa; in secondo luogo, perchè, rispetto alla universale evoluzione
della Logica in genere, la Logica indiana è la prima ma- nifestazione,
avente ragion di essere come le altre. A queste ragioni essenziali potrei
aggiunger l'altra di opportunità ; ed è che essa è assai poco conosciuta, ed è
invece degnissima di esserlo, il che avverrà coll'accenno mentovato della
medesima. Un'ultima considerazione rispetto alle predette forme
logiche, e specialmente rispetto alla sequela storica delle medesime, è
la seguente. Che, cioè, benché la indiana sia la prima in ordine di
tempo, pur non nuoce, anzi giova di esporla, e trat- tarla in ultimo,
perchè essendo essa di un tipo abbastanza dissimile dalle altre enun-
ciate, sarà più agevole di intenderne ed apprezzarne la natura dopo aver
esposte quelle che rappresentano lo sviluppo maturo e razionale rispetto
ad essa. Il terso punto concerne lo scopo della trattazione delle
predette Logiche. Il quale scopo è quello di determinare quale è la vera
natura di ciascuna di esse, consi- derandole sì dal punto di vista
storico, epperò evolutivo, sì dal punto di vista teoretico.
Di tutti questi punti dunque tratterò separatamente, cominciando dalla
Logica aristotelica. Aristotele è detto il Padre della Logica.
Sorge subito la quistione : Ma non_cI è_ un' altra_ L ogica prima _della
sua ? e se ce n'è un'altra, in qual relazione sono quest'altra e la
aristotelica, da una parte, dal punto di vista della anteriorità e della
posteriorità, dall'altra, dal punto di vista della evoluzione storica
dall'una all'altra ? La risposta a tal quistione sarà più
opportunamente fatta e compresa dopo la trattazione e giudicazione di
tutte le predette Logiche. E veniamo alla Logica ari- stotelica.
Innanzi tutto è bene di allegare le Fonti della nostra esposizione e
trattazione. Tutti intendono che la prima ed essenzial Fonte è
Aristotele stesso e questa noi avrem sempre presente nel testo originale.
Aggiungiamo solo che, come Aristo- tele, specialmente attraverso del
Medio evo e del Rinascimento, è stato ripensato e riferito nella famosa
traduzione latina " interpretibus variis „, riconosciuta come giusta
interpretatrice del grande filosofo greco, cosi noi ci serviremo anche di
questa, allegandola persino ordinariamente accanto al testo greco.
La edizione de' due testi che noi abbiam presente e seguiamo è quella
della « Academia Regia Borussica, Berolini, 1831-1836 „ fatta da Emanuele
Becker e da Cristiano Augusto Brandis. Altre Fonti
importantissime sono le seguenti: Severino Boezio (l'infelice e
insigne filosofo, condannato a morte e fatto uccidere dal re Teodorico).
Egli è uno de' più benemeriti della Logica aristotelica come tradut- tore
e illustratore degli scritti logici di Aristotele: Arist. Stag., Organimi,
Boethio Sever. interp. età, Venetiis, 1547. Geschichte der
Logik etc, von D/ Cari Prantl, che è un'opera addirittura mo- numentale
nel suo genere. System der Logik und Geschichte der Logischen
Lehren von D. r Friedrich Ueberweg, 4 e Àufl., Bonn, 1874: opera
eccellente anche questa, dovuta al merito e alla giusta fama di
quell'uomo, che ha lasciato durevole traccia di sè anche nella Storia
della Filosofia. Aristotelis Organon etc, edidit Theodorus
Waitz Philos. Dr. Lipsiae, MDCCCXL1V: importantissima e stimatissima
opera in due volumi contenenti il testo greco e il commento di lui al
medesimo. D. r Eduard Zeller, Die Philosophie der Griechen etc,
nella quale (zweiter Theil, zweite Abtheilung) vi è un volume speciale,
di quasi un migliaio di pagine, trattante di Aristotele.
Dello stesso Zeller è fonte anche preziosa il suo Grundriss der
Geschichte der griechischen Philosophie, specialmente nella 10 a edizione
del 1911 (Leipzig) elaborata (bearbeitet) dal D. r Franz Lortzing.
Trendelenburg, Elemento logìces Arist., Berolini, 1836, 9* ediz. 1892 :
notissima e importante operetta. Barthélemy
Saint-Hilaire, Logique d'Aristote, traduite, ecc. 4 voi. Alle Fonti
già indicate, che son le più importanti, aggiungerò quella del nostro
Galluppi che ha due' opere sulla Logica, luna quella degli Elementi di
Filosofia, in cui ha- una lunga trattazione della Logica pura; l'altra,
amplissima, quella delle Lezioni di Logica e metafisica; e,
occasionalmente, forse anche qualche altra Fonte, per esempio quella di
Ruggiero Bonghi. E ora vengo alla indicazione ed esposizione degli
scritti logici aristotelici. Gli scritti logici o V Organo (tò òqyavov)
della filosofia aristotelica. È opportuno riferire una osservazione che
fa il Waitz [Arist. Org., II, 293 ss.), e che accoglie e riferisce anche
il Zeller (nel suo terzo volume precitato, pag. 187, nota 3), sulle
denominazioni di Logica ed Organo. Questi cioè dice che 8 presso gli «
espositori greci fino al sesto secolo „ non si trova ne l'una nè l'altra di
queste deno- minazioni come l'espressione tecnica e generalmente
accettata degli scritti logici di Aristotele : ma che però più tardi
questi vengono " già denominati organici {òqya- « vmd), perchè essi
si riferiscono all' òqyavov (ovvero sM'ÒQyavixòv fiégog) tpOo- ■ aotplag
». Ciò posto, gli scritti logici costituenti l'Organo sono:
1° Le Categorie (KaziqyoQiaì); 2° De Interpretatione {LTeoì c
EQH7]vslag) ; 3° I Primi Analitici (due libri) : 'AvaÀvzixà nqózEQa
; 4° 1 Secondi (o Posteriori) Analitici: 'AvaXvzmà vazEqa;
5° I Topici (8 libri): Tomxd; 6° 8U Elenchi Sofistici (De
Sophisticis elenchis): Uocpiozixoì "EÀsyxot. Le Categorie.
Questa prima parte degli scritti logici aristotelici è importantis- sima,
perchè essa costituisce come un anello di congiunzione tra la Logica e la
Me- tafisica di Aristotele. Il lor significato e la loro estensione
appartengono e si allar- gano ad entrambe queste parti del pensiero filosofico
aristotelico. Il significato è che essi esprimono i supremi
pensabili, cioè, i supremi concetti sotto cui cadono e si aggruppano nel
nostro pensiere gli ogge tti della universale realtà. Il
numero di tali supremi pensabili, ovvero delle categorie, secondo Arist.,
è, notoriamente, di dieci: infatti, egli dice (Kateg., cap. 4,
all'inizio): zwv xazà firjóe- filav ovfMiÀoxrjv Xeyofièvoìv è'xaozov
tfzoi oiaiav ar\\iaivu ?} noaòv ^ noìbv fj tiqóq zi f} nov ^ note f}
xeìo&cu è'xEiv fj noietv ^ nda%Eiv. La traduzione latina men- tovata
di questo luogo suona : " Eorum quae sine coniunctione dicuntur,
unumquodque " aut substantiam significat aut quantum aut quale aut
ad aliquid aut ubi aut quando " aut situm esse aut habere aut agere
aut pati „ ■ Il predetto numero e la denominazione delle Categorie
son anche riferiti in modo chiaro e preciso nei Topici (I, 9, al
principio) come segue: è'azi óè zavza (scilic. zà yévrj %&v
xazr}yoQiùv) %òv àoid-fiòv déxa, zi èazi, noaòv, noiòv, JiQÓg zi, nov, nozè,
xeìo&at, e%eiv, noisìv, nào%siv (1). Per lo scopo che io mi
propongo non posso entrare in tutte le particolarità, nelle quali entra
la maravigliosa mente analizzatrice di Aristotele. Ma come rias- suntivo
dell'essenziale a tal riguardo allegherò il seguente luogo del Zeller
(loc. cit., pag. 267). " Fra le singole Categorie, dice
questo, la più importante è di gran lunga la * SQstg^za, della quale in
seguito dovrà parlarsi più diffusamente. La Sostanza, in " senso
stretto, è sostanza singola. Ciocche si lascia dividere in parti è un
Quanto " (ein Quantum) ; se queste parti son divise (getrennt), il
Quantum è discreto, una Moltitudine (Menge); se esse sono insiem
congiunte, il Quantum è una Grandezza; " se sono in una determinata
posizione (&éoig), la Grandezza è spaziale; se poi le " parti
son soltanto in un ordine (zd^ig) senza posizione, allora la Grandezza non
e (1) Vedi pei due luoghi greci Zeller, 3° voi, citato, pag.
259; e nel testo greco stesso, vedi Arist., KaTijy., cap. 4° e Tonino, al
luogo indicato. » Secondo il gusto e l'uso de' versi memoriali,
queste 10 Categorie furono espresse dal seguente distico :
Àrbor sex servos calore refrigerat ustos ; Cras ruri stabo, sed
tunicatus ero. spaziale (ist eine unràumliche). L'Indiviso (das
Ungetheilte) o l'Unità, per mezzo di cui vien conosciuta (erkannt) la
Grandezza, è la Misura della Grandezza stessa; ed è questa appunto la
nota distintiva della Grandezza, che essa è misurabile, che ha una
Misura. Come la Quantità spetta (zukommt) al Tutto sostanzialmente di-
visibile, così la Qualità esprime le distinzioni mediante le quali vien diviso
il Tutto. Giacché per Qualità in senso stretto Aristotele non intende
altro che la nota distin- tiva, o la determinazione più vicina, in cui si
specifica un dato Generale. E come le due specie principali delle Qualità
egli designa quelle che esprimono una deter- minazione essenziale, e
quelle altre che esprimono un movimento od attività. In altro luogo egli
novera quattro determinazioni qualitative come le principali; ma - queste
però si lasciano sottordinare a quelle due. Siccome nota propria della
Qua- ■ lità vien considerato il contrapposto di Simile e Dissimile. Del
resto, l'istesso Ari- * stotele è imbarazzato nel conterminare
questa Categoria verso altre. Al Relativo " appartiene tutto ciò, la
cui propria natura o essenza (Wesen) consiste in un deter- « minato
comportarsi verso altro; e come tale il Rektivp_è quella. Categoria cui
* corrisnonde la minima realtà. Aristotele distingue di esso tre specie,
le quali però « si lasciano" ridurre a due. Ma in ciò egli non
rimane eguale a sè stesso ; ed ancor * meno sa evitare più di una
miscela (Vermischung) con altre Categorie, ovvero ot- * tenere una
nota sicura di quella costituente il Relativo. Le altre Categorie furono
* da Aristotele sì brevemente trattate nello Scritto delle Categorie, che
anche noi " non possiamo trattarne più diffusamente „. E
basti di ciocche concerne le Categorie, e passo a dire del secondo scritto
del- l'Orbaco, cioè del " IIeqì èqiirivtiac, „, o De
Interpretatiom. Rispetto al tempo in cui fu composto questo scritto, è
bene di rilevare, che esso fu composto dopo gli Analitici, come lo stesso
Aristotele dice chiaramente ed esplicitamente al cap. 10 di questi.
L'oggetto di questo piccolo trattato dell' Ermemia è la £rojosizione, e
non . nel senso di pura e semplice pr oposizione grammatica le, ma di
proposizione logica od esprimente un pensiere logico.
Aristotele, analizzatore per eccellenza, comincia coll'esaminare e
stabilire ^li elementi della proposizione stessa, i quali non sono altro
che i nomi delle cose. E comincia a farlo con una osservazione
importantissima intorno al nome (tò ovo/ia) e al verbo (tò §fj/ta), la
quale è che i nomi prima della loro unione, sia tra loro sia col verbo,
non esprimono nulla di vero e di falso. Ed anzi, secondo lui, quando si
dice nome (dvo/ia) in senso lato, vi si comprende anche il verbo IIzqì
yàg (die' egli al Capo I dell' Ermeneia) oév&EOiv k<xì
òia'iQEoiv èan tò ipsvóog xal tò àAy&és (nella corrispondente
traduzione latina: * nam in compositione et divisione est ve-
" ritas aut falsitas „). Quando poi col collegamento e
colla divisione delle parole,, Qffàa d<jLnomi, co- mincia la verità e
la falsità, allora il noma, come specificamente logico, è propria- mente
Uyog. Uno scrittore che ha rilevata bene la differenza di òvofia e di
Myog e il Biese {Die Philosophie des Aristoteles, Berlin, 1835, I Bd., p.
55 e 90), dicendo che " Uyog designa la parola in quanto è
espressiva del pensiere „. In altri termini, kóyog è la parola logica per
eccellenza. Altra cosa notevolissima è che, secondo Aristotele (IIeqì
'Eq^veiag, c. 4), ogni discorso, Àóyog, è significativo di alcun che
(arjfiavxixóg) ; ... ma non ogni discorso è enunciativo, giudicativo
(dnotpavxixóg), sì bene quello che ha che fare {imdq%£i) col vero e col
falso. E soggiunge, ad esempio, che la preghiera {eb%<t\, deprecatio)
è certamente un discorso, ma non è nè vera nè falsa. Son dunque la verità e la
falsità che costituiscono la proposizione logica, o il giudizio, il quale senza
di esse non sorgerebbe nè verrebbe ad esistenza. Che il g
iudizio sia da Aristotele così concepito, ha una importanza straordinaria
rispetto alla quistione della Logica formale e della Logica reale od
ontologica. Comunemente si dice che la Logica di Aristotele è
formale. Ciò è vero in certi limiti e non in tutto e per tutto. Infatti,
il dire che un giudizio è tale soltanto rispetto alla verità ed alla
falsità, vai tanto quanto dire che un giudizio è vero o falso se- condo
che esso è conforme o non conforme alle coso, ossia alla realtà. Per
forma che un giudizio non potrebbe neppure aver luogo, se, a così dire,
non sorgesse ed anzi non fosse prodotto dalle stesse cose reali.
Il Trendelenburg, autorevolissimo in tal materia, dice (1): " Senza
un tal rap- " porto alle cose non v'è alcun giudizio ». E,
conformemente a ciò, lo stesso Tren- delenburg ne' suoi Ehm. logie.
Arisi., p. 63, aggiunge: Aristotelem, qui quidem enun- ciationis naturam
in rerum peritate positam esse voluit etc. Del resto, già in antico aveva
pensato ed espresso lo stesso Boezio (nel cit. Arisi. Stag. Organum, etc. pag.
6) dicendo: " Sed denominationes istae (seilic. categoriae) ex rebus
pendent etc. „ Ciò posto, passiamo a dire del giudizio, o, che vale
lo stesso, della proposizione' logica. E per l'esposizione di questo
punto, ne' limiti dello scopo che ci proponiamo, ci varremo degli stessi
Analitici, i quali furon composti prima dell'Ermeneia, e nei quali
Aristotele ne aveva appunto trattato. La Proposizione (Ilqóxamg)
(2). La definizione che ne dà Aristotele è la seguente : Ilqóxamg [tèv
odv èaxl Zóyog xaxatpaxixòg fj dnocpaxixòg xivòg xaxd xivog : cioè: "
La ; proposizione è un discorso affermante o negante alcunché di alcunché
„. E la fa- mosa traduzione latina ha: " Propositio igitur est
oratio affirmans vel negans aliquid " de aliquo „.
Subito appresso, determinando l'estensione e la specifica natura della
proposi- zione, o del predetto discorso, dice: otixog de f xa&óÀov $
èv fiéqei j} dòióqiaxog. Àéyo) de xad-óÀov fiev xò navxì i) (irjóevì
fmaq%£iv, èv fiéqei de xò xivl % (irj navxì iindqxeiv, àdióqiaxov òh xò
Ò7iàq%eiv | fifj vnàq%eiv dvev xov xa&óAov, 1} xaxà fiéqog, oìov xò
xCùv èvavxiav slvai xrjv ctvxrjv èniax^firjv $ xò xrjv ^dovijv fifj eìvai
dyadòv. Cioè, nella traduzione latina: " Haec (scilic. oratio) autem
aut est universalis, aut " in parte (particolare), aut indefinita,
universale appello omni aut nullo inesse, in * parte vero, alicui aut non
alicui aut non omni inesse, indefinitum autem, inesse " aut non
inesse absque universali aut particulari nota, veluti contrariorum eandem
t esse scientiam, aut voluptatem non esse bònum „. (1) In
Erlauterungen zu den Elementen d. aristot. Logik, 2 e Aufl. Beri., 1861, pag.
6. (2) In Waitz, Aristotelis Organon etc, voi. I, pag. 368, vi è
una interessante nota sulla voce jiQÓiuais e le corrispondenti in
Cicerone, negli Stoici ecc. „ T ™< T* *ma*m Tf ATJTTANA
ED HEGELIANA, ECC. E qtì ad
ulteriore intelligenza della eosa, debbo ricordare al lettore la famosa
finzione dello quattro forme di posizioni ohe rappresen ano una parte „ levan
e nella funzione del Sillogismo, cioè la Svenale affermativa, la umversaU
nevai m la 7er 9 ouóle colle uote iniziali di a, e, i, o, prendendo
« ed i da afnrnro ed e ed o da "^Urliamo egualmente
l'attenzione del lettore su di un'alt» parlar ^ricor- rente poco appresso
nel luogo stesso e riattaccante* a ciocche e teste detto che ZTu dire di
una cosa ohe è interamente in un'altra vai tanto quanto due che essa
interamente attribuita ad un'altra «-** -W*? « «• ohe il re che una
cesa non è in alcun modo frrt nHj B ™ lta °' uanto dire che essa non è in
alcun modo attribuita all'altra. Tott, ricenoscerann TelTe due
espressioni de. e del «* la ^ oorrisnondente espressione latina del
Didum de amni et de nullo (2). . Tvendo testò detto che nel
trattare della Logica aristotelica m sare, limitato ai punti fondamentali,
Ve *V^SJS!^^^^^1 tale e che non posso a meno di riferire. Onesto concerne
le regole della conversione t esse e ricorre (ibid.) al paragrafo
secondo; e per migliore intelligenza ed appre - zam nt'o le allego nella
sua integrità. Però nell'allegarie, s> perche e comunemente neTa la
lingua Francese, si per la grande autorità che ha un traduttore delle
opere aristoWi'he, quale è il B~mv ok S^-H^rna, mi valgo della
tradu- ZÌ °" Oomte tonte proposition (eoa, quest'ultimo)
exprime quo la obese est sim- ■ moment ou quelle est
nécessairement, en qu'elle peut étre; et que dans tonte •I pTee
d'attributien, les prepesitions sont afflrmatives ou negative*: comme, de
- plus les prepesitions afflrmativee et négatives sont tant6t nmverselles,
tentot par • Mières tantot indéterminées, il y a necessitò ,ue la
proposto simple umver- • et privative pnisse se eonvertir en ses
prepres termes; par exemple, s, neon ■ nWsir Test un bien, il faut
nécessairement anssi qu'aucun bien ne soit un plaisir. ■ Crepo tion
afiirmative doit anssi se convertir, non pas en umverselle, ma, • L
narticulière; si, par exemple, tout plaisir est un bien, il faut anssi quo
qnelqne . U sl un piparmi les prepesitions particella, ,'afnrmative se
cenver • nécessairement en particulière ; car si quelqne plars.r
est un • „ue quelqne bien soit un plaisir. Mais il n'y a pas de
couversion necessaire peur • a prTpositien privative: en effet, si
homme n'est pas attrihnable qnelqne animai, . il ne s'ensnit pas qne
animai ne soit pas attribuable à qnelqne homnie. ■ La règie (cosi
ibidem, al paragrafo terzo) sera la meme encore pour les p.o
(1) Notoriamente in queste Ufiene delle Scolo, si esprime™ ciò,
dicendo: A.serit a, no B »t «, veruni universiditer «mbo:
Aisorit i. nogut o, Ter™ particulantei ambo. (2) Il si.eiao.to di
„..t. ».'*. & — « * "»» 6 <* e """"
positions nécessaires, c'est-à-dire que l'universelle privative se
convertii en uni- ! vergelle, et que chacune des deux affirmatives se
convertit en parti culière... Quant ' à la P r oposition particulière
privative elle ne peut ici non plus se convertir, par " la mème
raison que nous avons dite plus haut. ■ Pour les propositions
contingentes, comme contingent se prend dans bien des " sens,
puisque nous disons que le non-nécessaire et le possible sont
contingente, * la conversion de toutes les propositions
affirmatives se fera ici de la mème ma- 8 niòre... La règie change pour
la conversion des négatives; mais elle est encore la * mènie P° ur
les Propositions où les choses sont dites contingentes, soit parce que
" nécessairement elles ne sont pas, soit parce qu'elles ne sont pas
nécessairement. *! Par exemple, si l'on dit que l'homme peut ne pas ètre
cheval, et que la blancheur [ peut a ' étre à aucun vètement, de ces deux
choses lune nécessairement n'est pas, " l'autre n'est pas
nécessairement. Ici donc la convertion a lieù de la mème ma- " mete.
En effet, si ètre cheval peut n 'appartenir à aucun homme, ètre homme
peut * n'appartenir aussi à aucun cheval; et si blancheur peut
n'ètre à aucun vètement, ' vétem ent aussi peut n'ètre à aucune
blancheur. Autrement, s'il n'y a nécessité que '• vétemen t soit à
quelque blancheur, blancheur aussi sera nécessairement à quelque *
véfcemen t- C'est ce qu'on a démontré plus haut. Au contraire, pour les choses
que " l'on dit contingentes, parce qu'elles sont le plus
habituellement et naturellement " de telle facon, ce qui est la
définition que nous donnona de contingent, il n'en * sera plus de
mème pour les conversions négatives. Ainsi la proposition unìversèlle
" privative ne se convertit pas, et la proposition particulière se
convertit. Ceci de- ! viendra évident quand nous traiterons du
contingent. Bornons-nous ici à constater, " a P rès tout ce <l ui
précède, que pouvoir n'ètre à aucune chose ou pouvoir n'ètre' " pas
à quelque chose, ont la force d'affirmation. C'est que le verbe pouvoir
est " place dans la proposition comme le verbe ètre; et que le verbe
ètre, à quelques * attributions qu'on l'ajoute, forme toujours et
absolument une affirmation : par * exemple, ceci est non bon, ceci
est non blanc; ou, d'une manière toute generale, « ceci est non cela. Du
reste cotte théorie sera reprise et confirmée plus loin. Mais, "
quant aux conversions, ces propositions contingentes seront comme les autres
pro- " positions „. E ciò basti per lo scopo propostomi,
delle proposizioni, e passo a dire dell'ele- mento del termine.
Il Termine (8qo S ). Questo è definito da Aristotele (ibidem), così:
"Ogov óè xalib rig ov diaAvztai $ 7tQÓ%aai Sì oìov %ó re xaTiryoQoépevov
xal %ò xaWoi xait]yoQel-rcu f] nQoa'uèefiévov % òuuQovftévov %ov elvai
mei elvai. Ossia: Io chiamo termine quello in cui la proposizione si
scioglie, cioè l'attributo, e quello a cui si attribuisce, sia che si
aggiunga sia che si separi Tessere o il non essere (nella traduzione
latina: « Terminum vero appello in quem dissolvitur propositio, ut
attributum et id cui at- ■ tribuitur, sive adiiciatur sive separetur
verbum esse vel non esse „). L'attributo e quello a cui si attribuisce
sono ciocche comunemente chiamiamo il predicato ed il soggetto.
Ciocche è qui allegato intorno al termine concerne il concetto e la
definizione del medesimo. Ma vi sono altre particolarità essenziali che
si riferiscono ad esso. Se non che, come queste si riferiscono più
direttamente al Sillogismo, e si inten- dono meglio dopo aver detto di
questo, così io passo a dir prima di questo. Il Sillogismo
(avUoy^óg). - Prima di venire ad Aristotele stesso, è bene ricordare un
importante luogo di Boezio, il qual luogo è tanto più importante, m
quanto si riferisce alla natura non solo del Sillogismo, ma anche degli
Analitici, che sono la teoria del Sillogismo stesso. "
Duo sunt, dice Boezio (1), in syllogismo, tamquam in homine corpus et
animus. « In corpore est materia et dispositio ac ordo partium: in animo
vis et vita et « actio. In superiorità Analyticis (Primi Analitici)
Aristoteles velut de syllogismi « praecipit corpore, hoc est, de
partibus, deque illarum nexu et compostone : ideoque « priora nominantur.
In his autem posterioribus, hoc est, interionbus, et magis re- « conditis
de anima ipsa syllogismi, nempe de demonstratione , de vi et efficacia «
rationis. Analytici libri sub Aristotelis nomine multi olim circumferebantur,
sed hi « quatuor ex orationis filo, totiusque praecipiendi rationis modo
ac facie, Aristoteli " sunt adiudicati, caeteris reiectis „. _
Veniamo ora ad Aristotele stesso, e primamente alla stupenda definizione
che egli dà del Sillogismo, la quale è e rimarrà sempre una delle più
belle, più precise e più espressive della vera natura del medesimo.
SvUoyiOfiòg èé hon Xóyog (2) èv § Ts&évwv tivùv foeqóv fi wv
^ifiévcov ég àvdyxyg ov^aivzi *$ mvw rfvai. Cioè (in italiano): Il
Sillogismo è un discorso, nel quale, posto alcun che, segue
necessariamente qualcosa d'altro da quel che e posto, perciò solo che è
posto. E la corrispondente traduzione latina ha: " Syllo- « gismus
autem est oratio, in qua quibusdam positis aliud quiddam diversum ab us
" quae posita sunt, necessario accidit eo quod haec sunt „. A
spiegar meglio il modo e la necessità della consecuzione, Aristotele
(nella predetta traduzione) soggiunge subito in continuazione: '< Dico
autem eo quod haec " sunt, propter haec evenire, ac propter haec
evenire intelligo, nullo esterno ter- " mino opus esse ut sit
necessaria consecutio Il caso della consecuzione necessaria senza bisogno
di altro termine esteriore è poi quello che costituisce il Sillogismo
perfetto (léAeiog ovXXoyiafióg), come Aristotele lo appella. Che il
Sillogismo imperfetto (cheftfc) si possa poi ridurre al perfetto coi
mezzi da Aristotele indicati, è cosa a tutti nota, che occorre appena di
rilevare. Invece è bene di rilevare intorno al concetto
aristotelico del Sillogismo alcune cose degnissime di attenzione. La
prima è che il rapporto delle proposizioni o de* -iudizii sillogistici ed
il procedimento de' medesimi son tali che costituiscono una necessaria
connessità. Il che importa che il Sillogismo non è un fatto accidentale,
ma è tale che ha una necessaria ragion di essere. La seconda è che la
conclusione non è una ripetizione e riproduzione delle due premesse, ma
esprime altro da quel che è espresso da esse: insomma, esprime un
principio nuovo. Questa seconda cosa è tanto più importante, in quanto in
tempi posteriori ad Aristotele è stata messa (1) In Abist.
Stag., Organum, già mentovato, pag. (2) Dic'egli subito all'inizio
dei Primi analitici. innanzi la opinione (1) che nella conclusione non si
contenga un novello principio, ma soltanto la ripetizione del contenuto
delle premesse. Una terza cosa è che la parola conclusione è a prendere
ed intendere nel vero" significato di inclusione di uno de' termini
negli altri due : per forma che la conclusione esprime addirittura il
vero chiudersi de' termini l'un nell'altro. E giacche si è
accennato al concetto del Sillogismo, è hene di accennare anche al
concetto del Sofisma, il cui concetto è proprio l'opposto di quello del
Sillogismo. Infatti, il concetto di quest'ultimo, come si è visto, è
costituito da ciò, che le due premesse conducono ad una necessaria
conclusione. Il concetto del Sofisma (tò oó- <piafia) (2), al
contrario, è costituito da ciò, che la conclusione è in contraddizione
colle premesse, che, cioè, queste non concludono rettamente, e però concludono
fal- samente. Ma del Sofisma si dirà più ampiamente in seguito.
Ora è opportuno di ritornare alla esposizione dei Termini, ad
integrazione di ciocche di questi è stato teste detto. I Termini di un
Sillogismo son tre, e non pos- sono essere più di tre (Sqol tQsìc;). I
quali tre hanno un contenuto od estensione diversa; e sono il termine
maggiore (fist^ov àxqov), il minore (è'Àanov) e il medio (%ò \ièaov).
Aristotele li designa anche puramente e semplicemente coi nomi di primo
(tò TiQ&'cov), ultimo (tò ia%a%ov) e medio (tò [aégov). Il
numero di soli tre termini non vien contradetto neppure dal caso del
Poli- sillogismo, nel quale vi possono essere più medii. Perchè i più medii
son ciascuno sempre il medio di un solo Sillogismo nei varii Sillogismi
costituenti il Polisillo- gismo stesso, cominciando dal cosidetto
Prosillogismo e terminando coll'Episillogismo. Indicata la
denominazione e l'estensione de' Termini, la maravigliosa e precisa mente
aristotelica passa alla definizione di essi, che è la seguente: *
Aèyoy de fisl^ov \iev àxqov èv tò fièaov èativ, e'àccttov de tò imo tò
fièaov òv... KaÀà) óè fièaov fièv o xal aèxò èv àÀÀ(p xal écÀAo èv
to-ùto) èativ, 8 xal %f\ &éoei yiyvEtai fièaov. axqog oh tò aè%ó te
èv dAÀq> ov xal èv & àXXo èaiiv (3). Cioè (in italiano): Chiamo
(termine) maggiore quello in cui è (contenuto) il medio; e
(termine) minore quello che è accolto nel medio Chiamo termine medio
quello il quale è esso stesso in un altro, e nel quale è alla sua
volta un altro, che divien medio anche per posizione. Chiamo poi estremi
sì quello che è in altro, sì quello in cui è altro. E la nota traduzione
latina ha : " Maius extremum appello, in quo medium " est,
minus autem quod est sub medio... Voco autem medium quod et ipsum est
" in alio, cum aliud in ipso sit, et positione quoque sit medium. Estrema
autem " appello et id quod est in alio, et id in quo est aliud
„. L'esser medio per posizione vuole uno schiarimento, che fa
comprendere come questa espressione aristotelica nella dizione greca è
perfettamente esatta. Infatti, nella prima Figura sillogistica (che è
quella del Sillogismo perfetto) noi diciamo: B (l'uomo) è A (mortale); C
(Pietro) è B: dunque C è A. Aristotele, invece, nella dizione greca
dice: A vale di B; B vale di C; dunque A vale di C.
(1) Opinione già espressa dagli antichi scettici, e poi ripetuta ne'
tempi moderni. (2) Amst, Top., 8, 11. (3) Ibid.,
paragr. 4. Sicch, dna,a, U medio -» nt .a vera
Ma questa popone medtana non e q»> ^ ^ come la
conclusione. ; Qfflntfismo Aristotele ne fa cadere Però, ooanto a
-amerò * che ne. Sillogismo non tatto il poso «olle promesse, e
penano m p u» Ae e dimostraai(m e ed ogni vi sono ohe A»
proposizioni. E dopo aver dette ^consta, e ogn Siilogismo di soli
tre termini (nella tradazmne '^^Zm^J^,: ■ 8 iCplan.mestotiams y llo
S ismnmoe„stareexdaabas propos t,on » ^ p preponi ohe 4 »i sono
indahhiamen e ^ ^ adsu . • mini sunt doae propomtiones (o. yaQ r?«S
»v » 3ec nndnm priama t„r, at i„i,i.dictnmest,adper a eiendos «J**»^^^^,
Lia eipa.es pro^ositiones ^ * -^J^TlC^ » — : ffs :^^r^ti~ -
*U-r + — - ? dimidia pars propositionum „. _ . . , , q:ii ft „i Bm0
la Logica aristo- ::' "re S?- " — ""•
seguenti otto (ricorrenti in tutte le Logiche delle Scuole).
Termina esto triple*, medius, maiorque, minorque; Latius hos quam
praemissae concludo non vult; Nequaquam medium capiat concludo
oportet; Jtot semel, mot iterum medi™ generalità esto; Utraque si
praemissa neget, mail inde sequetur; Ambae affirmantes nequeunt generare
negantem; Nil sequitur geminis ex particulanbus unquam; Peiorem
sequitur semper conclusio partem. ki igiene di ,neste rogo.e si a^ «ohe
^ le cosi dette diverse forme di Sillogismo, cerne sono 1 Enhmema,
V pag. 95 seg.), ne allego £££££ oviaiano: . SOTV are potai:
perderò Dd»~~ _«* ^^tldolo .11. forma sillogistica di tre
prepo- " an possim, rogas „ ? & lo spiega, nuu taPP
itit:::v:c: o u^^ lettore ne trova in tutte le Logiche che vanno per
le Scuole; e passo a dire delle Figure sillogistiche pur ricorrenti negli
Analitici, e intimamente connesse col Sil- logismo. Le Figure
(%à affiliata) sillogistiche. Secondo Aristotele il Sillogismo è di
tal natura che si distingue in tre Figure sillogistiche, delle quali la
prima {o%i\fia jiqùxov) poggia sul Sillogismo perfetto, la seconda e la
terza (axVP® devtegov e o%ruia tohov) poggiano sul Sillogismo im-
perfetto. E qui è necessario di rilevare una cosa, che a primo
aspetto pare di poco mo- mento, ma che è invece importantissima. Ed è che
Aristotele nella esposizione e dimostrazione delle predette tre Figure si
serve come simboli delle lettere dell'Al- fabeto greco, specialmente
delle prime tre del medesimo a, /?, y. Il significato
dell'adoperamento di tali simboli, specialmente per l'applicazione di
queste alle Matematiche, sarà detto tra poco. Tornando alle Figure,
è bene avvertire che Aristotele per esse si vale in com- plesso degli
stessi esempi allegati per triplicità di termini, dovendo ciascun di
questi rappresentare uno de' tre termini sillogistici. Così,
per darne una idea, nella prima Figura (ove adopera i simboli alfabetici a, p,
y) si vale de' termini piacere - bene - animale ; animale - uomo -
cavallo ; scienza - linea - medicina; bene - abito - sapienza ; bene -
abito - ignoranza; bianco - cigno - neve. Nella seconda Figura (ove
adopera i simboli alfabetici <5, e, £, ecc.) si vale di questi esempi,
animale - cavallo - uomo ; animale - inanimato - uomo ; animale - scienza
- animale selvaggio; corvo - neve - bianco. Nella terza
Figura (ove adopera i simboli alfabetici n, q, o) si vale di bel nuovo
degli stessi esempi, che ricorrono nella prima e nella seconda. E,
per essere quanto è possibile esatti, soggiungo che nelle stesse due Fi-
gure seconda e terza, oltre agli indicati simboli alfabetici, si vale anche dei
primi tre a, /?, y. La conclusione cui giunge Aristotele
nelle indicate operazioni è che " tutti i * sillogismi
imperfetti diventan perfetti mediante la prima Figura (nel famoso testo
* latino : perspicuum est omnes imperfectos syllogismos perfici per
primam figuram) „ . La maravigliosa analisi di Aristotele intorno
al Sillogismo non si arresta a ciò, ma si estende alla considerazione e determinazione
di altre forme del medesimo, quali sono il Sillogismo per Analogia, il
Sillogismo per Riduzione all'impossibile, quello per Induzione, per
Ipotesi, per Verisimiglianza, ecc. Ma noi non possiamo entrare anche
nella considerazione di queste forme speciali sillogistiche, e passiamo a
consi- derare la seconda delle tre predette cose. Questa
seconda è quella concernente la diretta relazione delle Scienze matema-
tiche colla prima Figura, o, che vale lo stesso, col Sillogismo perfetto : il qual
punto è da Aristotele trattato nel Primo degli Analitici
Posteriori. Prima di riferire da questi ciocche concerne le
Matematiche, rilevo che Aristo- tele anche per queste, come ha fatto per
le altre discipline, si vale di esempi per chiarire e determinare la
cosa. Se non che gli esempi che egli arreca per esse sono sopratutto di
natura matematica. Infatti (nel paragrafo 5 ibid.) allega i seguenti
esempi tratti dal punto, dalla linea, dal triangolo, ecc.: K Triangulo,
dio'egli nella famosa traduzione latina, inest linea et lineae punctum; ed
anche: Triangulo, * qua est triangumm, insunt duo recti, quia per
se triangulum est aequale duobus " recti s, etc. ». Ed
è, inoltre, oltremodo importante per la determinazione della natura delle
Scienze matematiche, che per lui (ibid., paragr. 13) Me Scienze matematiche
versano " intorno alle forme, perchè le cose matematiche non sono in
alcun soggetto „ (" etenim " scientiae mathematicae circa
formas versantur, quia res mathematicae non sunt in * ullo subiecto
„) (1). Ciò posto, venendo alla considerazione della diretta
relazione delle Scienze mate- matiche col Sillogismo e colle Figure
sillogistiche, dice (ibid., paragr. 14): « Delle 8 Figure la prima è
attissima a produrre la scnenza; imperocché le Scienze matematiche \
" effettuano le dimostrazioni .mediante tal Figura, come V aritmetic a, la
geometria^ e | « l'ottica „ (nel testo latino: " Ex figuris autem
prima est ad scientiam gignendam * aptissima ; nam mathematicae
scientiae per hanc figuram demonstrationes afferunt * ut
arithmetica et geometria et optice Passo alla terza ed ultima delle
tre cose predette, a quella, cioè, concernente la formazione della
conoscenza. La qual formazione è dal grande filosofo (al paragr. 19,
ultimo degli Analitici Posteriori) espressa come segue: " Dal senso si
genera la " memoria Ma dalla memoria, formatasi dalla ripetuta
riproduzione della stessa * cosa, si genera l'esperienza; giacche
molte memorie costituiscono una sola esperienza. * Se non che, dalla
esperienza si genera il principio dell'arte e della scienza; '
dell'arte, se spetta alle cose della generazione (2); della scienza, se spetta
a ciocche «è,; (nella traduzione latina: " ex sensu igitur fit
memoria ex memoria vero * saepe eiusdem rei facta fit experientia;
multae enim memoriae numero sunt una * experientia; at vero
experientia fit principium artis et scientiae, artis, si per- *
tineat ad generationem, scientiae, si pertineat ad id quod est „) (3).
La considerazione dell'arte è ciocche con stupenda designazione poco
appresso è denominato <5ófa, mentre la considerazione della scienza è
appellata Àoyiafióg (4). Ed ora è tempo che veniamo a determinare
quale è in Aristotele il significato dell'adoperamento dei simboli
alfabetici come espressione del Sillogismo e delle Figure sillogistiche.
Ebbene, tal significato, brevemente indicato nella sua genericità, è che
le proposizioni del Sillogismo (le premesse e la illazione) in tutte le Figure sillogi-
stiche di questo vengono intese e adoperate in Forma universale, ossia in
forma estensibile ed applicabile a tutti gli elementi della Realtà.
Ora, questi elementi sono tre, il quantitativo, il qualitativo, e l'unità
di entrambi, ossia il modale (il modo, la misura). Che questo triplice
elemento sia costitutivo (1) E subbie tto ...vai. qui
obbietta, cioè, singola e determinata ,_cosa_del_la realtà. (2) La
generazione concerne il sorgere e perirò delle cose. (3) " Id
qnod est „ nel corrispondente greco rò.Sv, e ciocche nell'Hegelianismo, e
propriamente nella Logica hegeliana, è stato designato come das Sein an
und fiir sich. (4) Anche questa denominazione di Àoyurpós è degna
della più grande considerazione, perche Aristotele ha già con essa
additato e determinato l'elemento logico come elemento scientifico per
eccellenza, lasciando all'arte il carattere di elemento soltanto
opinativo. della Realtà, emerge indirettamente dalla stessa tavola
aristotelica de' giudizii, cioè de' giudizii quantitativi, qualitativi e
modali, come più chiaramente si sono appellati nelle posteriori Logiche
aristoteliche delle Scuole. Qui basti l'avere accennato di ciò; le
importanti applicazioni che ne derivano rispetto alla Scienza matematica
e alla voluta corrispondente Logica matematica le faremo, quando
giungeremo alla esposizione e giudicazione di quest'ultima; e ritor-
niamo per ora all'argomento delle Figure sillogistiche, per prendere in
considerazione, da una parte, i Modi, dall'altra, il Numero di
esse. Quanto ai Modi, è di bel nuovo il caso di dire che essi sono
comunemente al- legati e discussi in tutte le Logiche aristoteliche delle
Scuole. Fra i tanti uomini autorevoli che potrei citare a tal riguardo,
rimando il lettore alla citata Logica e Storia della dottrina logica di
Friedrich Ueberweg, che ne tratta ampiamente a pp. 296-344. Ma, per un
breve ricordo di questo punto della Sillogistica, mi varrò invece del
nostro insigne Galluppi, il quale, nelle Lezioni di Logica e Metafisica,
Milano, Voi. I, pp. 358-385, espone tal dottrina con la solita sua lucidezza e
preci- sione. Della sua esposizione e discussione di questa materia, io
riferirò brevemente 1 essenziale. " Il Modo del
sillogismo (dice egli, p. 36) consiste nella disposizione delle tre
* proposizioni secondo le loro quattro differenze A, E, I, 0 „.
Ora, * secondo la dottrina delle combinazioni, quattro termini quali sono
A, E, " I, 0, venendo presi tre a tre, non possono diversamente
disporsi in più di 64 ma- * niere ; ma di queste 64 maniere, 54
sono escluse dalle regole generali sillogistiche „ che sono state innanzi
allegate: " restano perciò soli dieci Modi concludenti „. Ma
ciò non vuol dire " che solo dieci sieno le specie de' Sillogismi, perchè
un " solo di questi Modi può formare diverse specie „, secondo la
varia disposizione de' tre termini innanzi detta. E qui il
nostro Galluppi dispone addirittura i tre termini secondo le possibili
combinazioni, e ne risulta una tavola di 64 Modi, emergenti dalle quattro
Figure sillogistiche, delle quali egli indica anche brevemente le diverse
regole. A questo breve cenno aggiungo però volentieri due cose:
l'una, alcuni versi memoriali dei Modi delle quattro Figure: l'altra, un
esempio di Sillogismi secondo i predetti Modi. I versi
memoriali, fra i tanti, li allega Federico Ueberweg, loc. cit., p. 343
seg., come segue: Barbara, Celarent primae, Darii
Ferioque. Cesare, Camestres, Pestino, Baroco secundae. Tertia
grande sonans recitat Darapt, Felapton, Disamis, Datisi, Bocardo,
Ferison. Quartae Sunt Bamalip, Caleraes, Dimatis, Fesapo, Fresison.
Dinanzi a queste parole stranissime e non additanti per se stesse alcun
senso, il buon Galluppi fa la seguente sensata osservazione: "
Queste formole (dic'egli, " ibid., p. 368), di cui la prima
cominciava infelicemente con barbara, sembreranno in " effetto oggi
molto barbare. Esse hanno ricevuto più ingiurie in un secolo, che onore
" in mille anni; esse hanno terminato col cadere in un intiero obblio;
coloro che oggi le volgono in ridicolo non si hanno sempre dato la pena di
meditarle... Il filo- * sofo che riflette con attenzione sulle
regole dell'antica Logica è sorpreso nel vedere " sino dove gli
autori avevano portato l'analisi del ragionamento. Colla più severa
* imparzialità alcuno non può impedirsi di convenire che ciascuna di
queste regole * era di una rigorosa esattezza, e che il loro
insieme era sì completo che una sola ■ delle forme possibili del
ragionamento non era loro sfuggita. Aristotele, senza dubbio u non aveva
sovente il soccorso dell'esperienza : era questa la disgrazia del secolo,
nel * quale egli nacque; ma egli è stato forse il pensatore più
profondo, il genio più * eminentemente didattico che si sia
mostrato sull'orizzonte della filosofia. Io dubito 8 che siensi innalzate
dopo teoriche sì belle come quelle di cui egli ci ha lasciato il *
modello „. Quanto alla profondità e genialità di Aristotele, il
Galluppi ha perfettamente ragione, e queste due doti spiccano di tale
luce e verità proprio nella sillogistica aristotelica e ne' Modi della
medesima, che i posteri non hanno avuto ad aggiungervi nulla, o nulla
d'importante. Solo che, contrariamente al Galluppi, che accoglie il
pensi'ere, da non pochi seguito, delle quattro Figure, il grande Stagirita non
ne ammette che tre con tre soli corrispondenti Modi (1). Ma del Numero
delle Figure e de' Modi fra poco. Un esempio, intanto, del ragionare e
concludere secondo le quattro Figure, è pel Galluppi il seguente:
(1) La tavola aristotelica dei Modi, quale ricorre in Waitz,
Arisi. Organon, voi. I, pag. 385 (rilevando le espressioni tecniche di
nata navtòg, **** m óevòg ecc., sia colle corrispondenti De omm et de
nullo ecc., sia colle note quattro iniziali A, E, I, 0), è la seguente:
I. a', tò A xatà jiavTÒg tov B, tò B %mà navTÒg tov P,
tò A narà navtòg tov P. IL tì'. TÒ A xatà fAfi&svòg zov
B, tò A xatà navzòg zov P, rò B xazà fiydevòg zov P.
y'. tò A xatà /^ijóevòg zov B, zò A xazà Tivòg tov P,
zò B xatà Tivòg tov P ov. III. tò A xazà navzòg tov P,
tò B xazà navzòg zov V, zò A xazà zivòg zov B, y'
. zò A xazà zivòg zov P, zò B xazà navzòg tov P, zò A xazà
Tivòg zov B. e', zò A xazà zivòg tov P ov, tò B xazà navTÒg zov
P, tò A nata zivòg tov B oli §. tò A nata
^ijóevòg zov B, tò B xarà navTÒg tov P, tò A xazà /^tjdevòg
tov P. /5'. rò A xazà navzòg tov B, tò A %aTà j^rjÒEVÒg zov
P, tò B naia fA,t]devòg zov P. 5'. tò A xazà navzòg tov
B, zò A xazà zivòg zov P off, tò B xazà zivòg zov P
oi!. zò A xazà [A,t]Sevòg tov P, tò B xazà navzòg tov
P, tò A xarà zivòg tov B ov. ò". tò A nata navTÒg
zov P, zò B xazà zivòg tov P, tò A xazà Tivòg tov B.
zò A xarà fifiòsvòg zov T, tò B xazà zivòg tov P, tò A
xatà tivòg tov B oil.Figura (avente il medio come sogg. del magg. e
predio, del minore) Ogni sostanza pensante è semplice,
L'anima umana è sostanza pensante, L'anima umana è dunque semplice.
II Figura (avente il medio come predicato de' due
estremi) Niun corpo è una sostanza pensante, L'anima umana è una
sostanza pensante, L'anima umana dunque non è corpo. Ili
Figura (avente il medio come soggetto de' due estremi) Ogni
sostanza pensante è semplice, Ogni sostanza pensante è
indistruttibile, Dunque qualche sostanza indistruttibile è
semplice. IV Figura (avente il medio come predio, del
maggiore e sogg. del minore) Qualche essere semplice è sostanza
pensante, Ogni sostanza pensante è attiva, Dunque alcune
sostanze attive sono esseri semplici. Il numero delle Figure e de'
Modi. — Il lettore ha visto a pie' di pagina le tre Figure e i tre
corrispondenti Modi aristotelici allegati dal Waitz. Del Waitz riferisco
volentieri una osservazione concernente la seconda e la terza Figura, nelle
quali ei dice (loc. cit.): " ultimum modum secundae et quintum
tertiae Figurae non demonstrari nisi 8 deductione facta ad absurdum
„. Galluppi, come si è visto, ha opinato doversi ammetter come
valida anche la quarta figura e i corrispondenti Modi. Ma, francamente
detto, il Sillogismo, ch'egli ne arreca ad esempio, da una parte, cammina
stentatamente, dall'altra, è di difficile comprensione. In generale,
potrebbe dirsi che la mente umana nel suo naturale proce- dimento logico
non ragiona in quel modo. E un ragionamento logico che contraria la
natura nè può considerarsi come il migliore, nè deve ammettersi come buon
proce- dimento logico. À conferma di tale osservazione rilevo
che in generale i grandi filosofi si son tenuti alla aristotelica
triplità di Figure e di Modi. Notoriamente, è stato il famoso
medico Claudio Galeno di Pergamo (1) quello che ha così " legato il
suo nome alla Dottrina del Sillogismo (2), che apparisce in " quasi
tutti i compendii della Logica, anche ne' più triviali. Galeno, cioè, secondo
* l'espressione comune, ha accresciuto il numero delle tre Figure
aristoteliche del Sillo- " gismo categorico coll'aggiunzione di una
quarta, nella quale il concetto (o termine) " medio è predicato
della maggiore e soggetto della minore „. Soggiunge che " la *
notizia di tale innovazione „ " non si trova in tutta la Letteratura
greco-romana „, (1) Zellek, Grundriss d. Gesch. d.
Griechischen Phiìosophie, nella citata 10" ediz. del 1911 del
Loktzing, pag. 298, come anni di nascita e di morte 131-201 d. C.
(2) Così Prantl, Gesch. der Logìlc, età, I Bd., pag. 570 s.
ECC. 117 e che proviene da fonte
arabica, e propriamente da Averroe. Il quale Averroe, per Giunta ne fa
menzione proprio nella confutazione che fa della quarta Figura.
Alcune altre particolarità importanti tanto rispetto ai Modi, quanto
rispetto alle Figure sono le seguenti. Quanto ai Modi,
Aristotele, per ognuna delle tre Figure da lui ammesse e cor-
rispondentemente alle possibili combinazioni delle loro proposizioni secondo le
indi- cate lettere A E I 0, ha trovato che i Modi valevoli, perchè non
contrarli alle otto regole sillogistiche, sono 4 per la prima Figura, 4
per la seconda e 6 per la terza, in tutto dunque quattordici.
Galluppi, che (con Galeno) ha ammesso la quarta Figura, ha anch'egli
esaminato le combinazioni e Modi che son possibili e valevoli in questa;
ed ha trovato che, accanto ai molti Modi contrarli alle otto regole
sillogistiche, ve ne sono però 5 validi; sicché il nostro filosofo napoletano,
invece di 14, ammette 19 Modi validi. Quanto poi alle Figure, va
considerato un ultimo punto importante, cioè, quello della riduzione
della 2* e 3 a Figura, che danno sillogismi imperfetti, alla l a che
sola li dà perfetti. , Ora, tal riduzione, secondo
Aristotele, avviene per mezzo di conversione: Azi yaq ytyvstai òià %fjs
dvvunqof^g ovUoyiGfióg, dic'egli, Anal. Pr., I, cap. 7. Inoltre, la
conversione può avvenire in due modi, cioè, o estensivamente, ovvero per
riduzione all'assurdo òemtix&$ % tov àòvvàiov). E da ultimo,
secondo lui, " tutti i sillogismi, quando sono rettamente
convertiti, « si riducono a sillogismi universali della prima figura „
{tpaveQÒv ovv fot 7zdv%eg àva%Sf\aov%ai eig rovs & %<$ nqcbto?
oxfipan xa&óXov ovMoyiopovg). Di quest'ultimo punto, a maggior
intelligenza e a complemento della cosa, allego la solita traduzione
latina non soltanto de' passi corrispondenti a quelli da me alle- gati in
greco, ma anche della rimanente parte, che è dimostrativa e illustrativa dei
medesimi La traduzione suona così: « Semper enim fit syllogismus per
conversionem, « praeterea manifestimi est pronuntiatum indefinitum prò
attributivo particulari « acceptum efficere eundem syllogismum in omnibus
figurili, item perspicuum est « omnes imperfectos syllogismos perfici per
primam figuram. aut enim demonstratione " aut per impossibile
perficiuntur omnes: utroque autem modo fit prima figura, ac «
demonstratione quidem si perficiantur, fit prima figura, quia sic omnes
perficie- « bantur per conversionem: conversio autem efficiebat primam
figuram. si vero per « impossibile confirmentur, adhuc fit prima figura,
quia posito quod falsum est, syl- " logismus conficitur in prima
figura, ut in postrema figura si tò a ac tò p omni y, « probatur tò a
inesse alicui p. nam si tò a insit nulli 0 ac tò § omni y, tò a « inerit
nulli y. sed antea positura erat omni inesse, similiter fit etiam in alns.
licet • etiam reducere omnes syllogismos ad syllogismos universales
primae fìgurae. nam » qui fiunt in secunda figura, sine dubio per illos
perficiuntur, non tamen omnes « eodem modo, sed universales converso
pronuntiato privativo, particularmm autem « uterque per deductionem ad
impossibile, particulares autem primae fìgurae perfì- » ciuntur quidem
per se ipsos, sed licet etiam secunda figura eos confirmare ducendo « ad
impossibile, ut si tò a inest omni |3 ac tò p alicui y, tò a inerit alieni y.
nam » si nulli insit, omni autem fi insit, certe nulli y tò § inerit: hoc
enim scimus per « secundam figuram. similiter enim in privativo
syllogismo erit demonstratm. nam si zò a nulli | ac %b 0 alicui y inest,
tò a alicui y non inerit. etenim si omni ■ insit ac nulli § insit, zò §
nulli y inerit: hoc enim erat media figura, itaque cum " omnes
sillogismi mediae figurae reducantur ad syllogismos universales primae 1
figurae, particulares autem primae ad syllogismos secundae, perspicuum est
etiam " syllogismos particulares primae figurae reduci ad
syllogismos universales primae " figurae. qui vero fiunt in tertia
figura, terminis quidem universaliter acceptis statim " per eos
syllogismos perficiuntur, terminis autem in parte sumptis perficiuntur
per " syllogismos particulares primae figurae. hi vero ad illos
reducti sunt: quapropter " ad eosdem reducentur etiam syllogismi
particulares tertiae figurae. perspicuum " igitur est omnes reduci
ad syllogismos universales primae figurae „. E ora, ritenendo di
aver detto a sufficienza della Sillogistica aristotelica, passo a dire
del quinto scritto dell'Organo, cioè di quello de' Topici. I
Topici {Tonino). — Di questo scritto del grande Stagirita Boezio (loc. cit., p.
7) dà la seguente notevole informazione e giudicazione: " Topica:
hoc est, loci, unde " ducuntur argumenta. Opus est octo voluminibus
distinctum, varium sane, hoc est, " multae eruditionis et
observationis rerum diversarum. Sed ut illa omnia primus " ipse
pariebat, non potuit tam multa simul edere, simul expolire : itaque relieta
est " velut ingens quaedam materia et dives, ad extruendum
pulcherrimum aedificium Questo giudizio di Boezio, primamente, è
vero, come il lettore stesso se ne convincerà dal cenno che noi faremo
de' Topici; secondamente, ha grande importanza anche per l'influenza da
Boezio esercitata nell'insegnamento logico delle Scuole cri- stiane
medioevali (1). Accanto al giudizio di Boezio debbo riferirne un altro
vera- mente acuto e profondo di Trantl {Gesch. d. Logik im Abendlande,
t** Bd., 1855, Leipzig, pag. 341) sulla grandezza speculativa della mente
di Aristotele. Prantl dice che ■ la superiorità {Ueberlegenheit) della
mente di lui era capace di esaminare secondo " il concetto
{begrifflich) e di costruire teoricamente secondo concetti adeguati anche campi
(Gebiete) ed aspirazioni che sono al di sotto della speculazione
propriamente " detta », come sono il campo e la materia de'
Topici. Rispetto a' Topici riferisco volentieri anche una
circostanza rilevata dal Zeller (2), che cioè,il 5° libro de' Topici
rimastoci non provenga da Aristotele, come dimostra " Pplug, de Ar.
Topicorum libro V (1908) „. Ma, ciò nonostante, noi ne accenneremo
egualmente. Cominciando dal Libro I, Aristotele subito nel primo
paragrafo indica lo scopo de' Topici in genere, il quale scopo è quello
di trovare il metodo di argomentare di ogni problema proposto dajrobabili
je£ èvóófrv), e disputarne in guisa da non dir nulla di ripugnante. Nella
traduzione latina il predetto scopo è indicato così: * Propositum huius
tractationis est invenire methodum per quam possimus argumentari
(1) Tale influenza viene attestata da tutte le parti; la confermano, tra
gli altri, Friedrich Ueberweg-Heinze nel Grundriss d. Gesch. d.
Philosoph., 8° Aufl., das Alterthum, Beri., 1894, p. 213. (2) Nel
Grundriss d. Gesch. d. GriecMsohen Philosophie della citata ediz. 10% 1911 del
Loetzino, pag. 174. « de omni proposito problemate ex
probabilibus, et ipsi disputationem sustinentes " nihil
dicamus repugnans „ (1). _ E soggiunge doversi innanzi tutto dire
" che cosa sia il Sillogismo „, estenden- dosi intorno a questo ed
indicarne le diverse specie, ecc. E non ha torto di dire del Sillogismo,
della sua natura, delle sue specie, ecc.; perchè, se lo scopo della
tratta- zione de Topici è quello di trovare il metodo di argomentare,
foss'anche da' probabili, l'argomentare è un sillogizzare, e quindi
bisogna conoscere come si sillogizza, ecc. Ed in generale il lettore
vedrà che in questi Topici si tratta di una grande quantità di cose di
cui si è già trattato nelle Categorie, nell'Ermeneia e negli Analitici
tanto Primi quanto Secondi. Intanto Aristotele, sempre
preciso, dice subito ivi stesso che cosa debba inten- dersi per
probabile. E lo determina dicendo (nella traduzione latina): "
Probabile « autem sunt ea quae videntur omnibus vel plerisque vel
sapientibus, atque his vel « omnibus vel plerisque vel maxime notis et
claris „. Nel secondo paragrafo investiga e determina « a quante e
quali cose sia ntite « questa trattazione , de' Topici. E statuisce che
ella sia " utilis ad tna, ad exerci- « tationem, ad congressi, ad
philosophicas scientias. quod igitur ad exemtationem « sit utilis, ex his
perspicuum est, quoniam hanc methodum habentes facile de omni « re
proposita poterimus argumentari, ad congressi autem, quia multorum
opmiombus » enumerata, non ex alienis sed ex propriis singulorum
sententns poterimus cum « eis a-ere refellentes quod non recte dicere
nobis videtur. ad philosophicas autem « scientias, 'quia cum poterimus in
utramque partem dubitare, facile in smgulis per- " spiciemus
veruni et falsum „. Il predetto metodo, soggiunge egli nel terzo
paragrafo, sarà perfettamente pos- seduto, quando lo si adoprerà nella
retorica e nella medicina, come fanno l'oratore e il medico.
Ho rilevata volentieri questa circostanza della retorica e dell oratore,
perche tutti sanno come questa materia trattata ne' Topici è passata
realmente, se non m tutto certo in buona parte nella Retorica: Retorica,
che specialmente noi vecchi abbiamo studiata, con qualche profitto sì, ma
anche con non poca pedanteria d'in- \ segnanti e d'insegnamento.
Sono stato piuttosto diffuso nella indicazione di queste generalità del
1° Libro de' Topici per dare una idea della trattazione e del modo di
trattazione de' mede- simi. Ma ora procederò più speditamente e più
brevemente, fermandomi però alquanto di più ne' punti di maggiore
importanza. Nel paragrafo 4 continua ad occuparsi di sillogismi e
di proposizioni, ma con riguardo ai principii comuni ad entrambi, come
sono il genere, il proprio, l'accidente, Indifferenza, la definizione,
ecc.; e nei seguenti paragr. 5 e 6 determina e illustra siffatti
principii. Nel paragr. 7 pone il quesito: 11 Quot modis idem
dicatur , ; e lo risolve dicendo: (1) Quanto alla materia
de' problemi proposti, anch'essa, secondo l'uso delle Scuole, fu espressa
nel seguente verso memoriale: Quis? quid? ubi? quibus auxilds? cur?
quomodo? quando? Videri autem possit idem, ut typo expìicem, tripertito
distributum esse, aut enim numero aut specie aut genere idem soliti sumus
appellare, etc. Più avanti al paragr. 9 si propone di definire i
generi delle Categorie, e di indi- carne il numero, che è di dieci; e il
relativo luogo è stato già riferito. Nei paragr. susseguenti
determina la natura della proposizione dialettica, del sillogismo
dialettico, della tesi (determinata al paragr. 11 come " sententia
alieuius * nobihs philosophi , ut dicebat Antisthenes ,). Nel
seguente paragr. 12 si propone di " esplicare quot sint rationum
dialecti- « «tram species „; e in seguito si occupa ancora de 3 generi
delle proposizioni, per quindi occuparsi nel paragr. 17 della somiglianza
(e propriamente della « similitudo consideranda in iis quae sunt in
diversis generica „). E con ciò si chiude la consi- derazione del 1°
Libro. Il lettore che consideri bene la trattazione aristotelica
deve convenire nell'acu- tezza e giustezza del giudizio di Boezio intorno
ai Topici. Libro II. Nel primo paragrafo di questo, Aristotele
torna ad occuparsi de' pro- blemi, in quanto « alia (scilic. problemata)
sunt universali», alia particularia „ ; e si fa a considerarli ne'
diversi rispetti della generalità e della particolarità. Nei
paragrafi immediatamente susseguenti torna a considerare i varii modi
secondo cui alcunché si dica, sia quantitativamente sia qualitativamente.
Ma nel paragr. 7 passa a considerare un punto importantissimo, e
propriamente quello concernente: La Opposizione e il
Principio di contraddizione: il qual punto è da lui considerato ne più
minuti casi ed aspetti, con relative distinzioni, suddistinzioni ecc.; e noi
ne riferiremo con qualche ampiezza. ' Q uoniam au * em
contraria (dic'egli, nella traduz. latina) sex modis inter se *
coniunguntur, contrarietatem autem efficiunt quattuor modis coniuncta,
oportet " accipere contraria prout expedit evertenti et adstruenti.
sex igitur modis ea coniungi " manifestum est. aut enim utrumque
utrique contrariorum iungitur, atque hoc bi- " fariam, ut de amicis
bene mereri et de inimicis male, vel contra de amicis male et de inimicis
bene, autem ambo de uno, et hoc quoque bifariam, ut de amicis ' bene
mereri et de amicis male, vel de inimicis bene mereri et de inimicis
male. " aut autem de ambobus, et hoc quoque bifariam, ut de amicis
bene et de inimicis • bene, vel de amicis male et de inimicis male,
primae igitur duae coniunctiones " quas dixi, non faciunt
contrarietatem : de amicis enim bene mereri et de inimicis " male
non sunt contraria, cum ambo sint optabilia et eorundem morum effectus „
(badi il lettore alla circostanza e corrispondente espressione del morum
effectus, che net testo greco suona: d/upóreQa yÙQ aÌQ£%à Hai zoì) av%ov
ij9ov S ). « neque item contraria sunt de amicis male et de inimicis bene
mereri. nani et haec sunt ambo fugienda " et eorundem morum effectus
„. E Aristotele nelle dette distinzioni e suddistinzioni non si
arresta neppur qui, ma procede ad altre, che noi omettiamo di
riferire. N Se non che, continuando a parlare de' contrari!, passa
a considerarli da quel rispetto, che è stato appellato i\ principio di
contraddizione, sostenendo: " fieri nequit " ut contraria simul
eidem subiecto insint „ (cioè, nel corrispondente testo greco: àòvvaiov
yàq tàvavxia djia t$ ai>%$ òndgxeiv). E trattandosi di un
principio tanto importante, che, per giunta ha avuto poste- riormente una
rigida e non sempre bene intesa applicazione, voglio allegarlo anche
nella forma più compiuta in cui ricorre in Metaph. Iti, 3; cioè: xò yàg afixò
djm bjia,Q%Eiv xe xal [ir] vnaQxeiv àóvvaxov %(p avxòì uaì xaxà xò avx ó
(nella traduzione latina: " idem enim simul inesse et non inesse
eidem et secundum idem impossibile " est „). E soggiunge poco
appresso che questo è il più certo di tutti i principii: avxr\ ài]
naa&v èaxl ^E§aioxdxmj xcov àq%(àv (traduz. latina : " hoc autem est
omnium prin- " cipiorum certissimum „). Noti però il
lettore che, per non fraintendere il principio aristotelico di contrad-
dizione, si deve aver presente ciocche Aristotele ha detto teste, che, cioè gli
opposti non sono contraddittorii, epperò non escludentisi (poniamo, come
amici e nemici) quando siffatti opposti sono morum effectus, ossia
effetto della natura di essi. L'uomo, per chiarire ancor meglio
l'esempio, ha nella propria natura umana l'essere amico ed anche l'essere
nemico, come per sua natura può esser buono e può essere anche cattivo.
Non sarà l'una e l'altra cosa ééfia, nel medesimo tempo; ma l'uomo è però
pur sempre il medesimo soggetto, che .ora è amico ora nemico, ora buono ora
cat- tivo: ed inoltre, è amico e buono ne' tali e tali uomini, ed è
nemico e cattivo ne' tali e tali altri uomini. E basti di
questo importantissimo punto. Ne' paragrafi immediatamente
susseguenti si continua a parlare dell'opposizione, si accenna anche alle
simiglianze, e non ricorre altro di rilevante. Passo a dire del
Libro III. Aristotele apre questo Libro col quesito di ciocche sia
migliore e più desiderabile, e, per giunta, di esaminare e a tal riguardo
" sermonem instituere * (paragr. 1) non de iis quae longe
inter se distant et magnam differentiam habent..., " sed de iis quae
vicina sunt „. E risolve la quistione dicendo che " quod est
diuturnius * et constantius, magis est eligendum quam quod est
minus tale „. E nella elezione è certo anche di peso " quod
eligat vir prudens, aut lex recta..., aut ii qui in uno quoque genere
scientes sunt „. Ne' due seguenti paragrafi continua in grosso
l'esame e soluzione dell'istesso quesito, per poi venire, ne' paragrafi 4
e 5, a prendere in considerazione i luoghi utili a conoscere ciocche
debba eleggersi e ciocche fuggirsi. E statuisce (paragr. 5): *
Sumendi sunt loci de eo quod magis vel maius est quam maxime universales.
sic enim sumpti ad plura problemata utiles erunt „. E questa è
la sostanza della ricerca e soluzione del quesito proposto in questo
Libro. Passo al Libro IV. E qui posso essere ancora più breve di
quel che sono stato nell'an- tecedente Libro. Giacche in questo IV si
torna a discorrere " de iis quae ad genus " et proprium
pertinent „, colla considerazione di differenze, specie, distinzioni e
suddistinzioni di casi, di esempii, di applicazioni (anche al principio di
contraddizione), che servono ad illustrare e confermare il proposto
quesito. E si giunge così al Libro V (che, come è detto innanzi,
non proverrebbe da Aristotele). Ma in questo stesso Libro V non vi
sono altri argomenti veramente nuovi, ma si torna a trattare di quelli
antecedentemente trattati. Infatti questo Libro comincia così: "
Utrum autem proprium sit necne id quod * est propositum, ex his
locis quos deinceps exponemus considerandum est „. E
prosegue dicendo: * Proponitur autem proprium vel per se et semper, vel
per com- " parationem cum altero et interdum „. E passa ad
investigare e determinare, quando il proprio è per sè, quando per
comparazione, ecc. E ne' seguenti paragrafi 2, 3 e 4 continua ancor
sempre il discorso intorno al proprio ne' suoi più diversi aspetti e
rapporti : ne' quali aspetti e rapporti non manca la considerazione de'
principii contrarii (fatta nel paragrafo 6), e de' principii con- trarli
relativamente al proprio, per scorgere " an contrarium sit contrarii
proprium „ etc. In grosso è lo stesso nel paragrafo 7, in cui
" ex casibus refellitur, si ille casus " non est illius casus
.proprium „ etc. E finalmente, nel nono ed ultimo paragrafo, "
refellitur, si quis potestate proprium " tradidit, etiam ad id quod
non est rettulit illud potestate proprium, cum potestas " rei quae
non est, inesse nequeat „ etc. Rispetto alla predetta opinione di
Pflug accennata dal Zeller, dico rispetto a tale opinione, non contro ad
essa, mi permetto di fare una personale osservazione. Ed è che, leggendo
e considerando attentamente questo V Libro, la materia, il modo di
pensarla, ordinarla, distinguerla e suddistinguerla ne' suoi varii rispetti e
rapporti, si mostra, da una parte, interamente simile a quella degli
antecedenti Libri topici, dall'altra, interamente conforme alla mente di
Aristotele. Ed ora vengo al Libeo VI. Questo si inizia
coll'argomento delle definizioni, e si continua tutto con esse ; ma
queste stesse vengono di bel nuovo considerate ed esaminate con rife-
rimento al proprio, al genere, alle differenze, ecc. Trattandosi di un
argomento che ha della importanza, e che si addentra nella natura delle
definizioni e nelle diverse parti costitutive di esse, allegherò un lungo
luogo, in cui ciò è effettuato. Della trattazione dunque * quae ad
definitiones pertinet quinque sunt partes. " vel enim definitio
reprehenditur, quia omnino non vere dicitur, de quo nomen, 14 etiam
oratio, quandoquidem oportet hominis definitionem de omni homine vere
" dicitur. vel quia cum sit aliquod genus, non collocavit rem definitam in
genere " aut non collocavit in proprio geuere, quoniam debet is qui
definit, cum in genere " definitum collocaverit, differentias
adiungere, si quidem eorum quae in definitione " ponuntur, maxime
genus videtur rei definitae essentiam declarare ; vel quia oratio "
non est propria (nam oportet definitionem propriam esse, quemadmodum et supra
u fuit); vel quia, cum omnia quae dixi perfecerit, tamen non definivit, nec
dixit " quidditatern rei definitae. reliquum est praeterea
definitionis vitium, si definivit " quidem, non tamen recte
definivit. an igitur de quo nomen dicitur, non etiam " oratio vere
dicatur, ex locis ad accidens pertiuentibus considerandum est. nam ibi 8
quoque omnis consideratio in eo consistit ut intelligatur utrum sit verum an
non " verum. cum enim disserendo ostendimus accidens inesse, dicimus
esse verum. cum " autem ostendimus non inesse, dicimus non esse
verum. an autem non in proprio " genere posuerit, vel non propria
sit oratio tradita, ex dictis locis, qui ad genus " et ad proprium
pertinent considerandum est. reliquum est ut dicamus quomodo "
disquiri debeat an non sit definitum, vel an non recte sit definitum, etc.
„. Nel susseguente paragr. 2 vien la considerazione dell' omonimo,
del simmetrico, con le corrispondenti definizioni. Qui stesso Aristotele
si fa a considerar la definizione in rapporto al sillogismo, e se in tal
rapporto essa sia fatta chiaramente od oscuramente ecc. Ne' paragrafi 3 e
4 continua sempre l'argomento delle definizioni. Nel para- grafo 5 si
considera la definizione del corpo, determinandolo (come si è poi sempre
ripetuto e si ripete tuttora, meno il caso presentemente considerato da Zollner
ed altri, della cosi detta 4 a dimensione) siccome « id quod habet tres
dimensiones „. Nel paragr. 6 Aristotele fissa l'attenzione alle
differenze, in quanto in esse ' considerandum est an generis differentias
dixerit „. Se tali differenze non sono state indicate e precisate, non vi
sarebbe stata vera definizione. Nei susseguenti paragrafi continua
sempre lo stesso argomento delle definizioni, con esemplificazioni
intorno all'abito (paragr. 9), alla simigliala (paragr. 10), e si termina
con la considerazione della composizione delle cose, della quale, per
avere una giusta definizione, bisogna indicare tutti gli elementi che la
costituiscono. E così si passa al Libro VII. — Gli argomenti di
questo Libro sono anch'essi suppergiù i medesimi di quelli trattati negli
antecedenti Libri con speciale riguardo all' Oratoria, la quale
naturalmente vien congiunta coi modi e forme di sillogizzare, obbiettare, ecc.,
col consueto riguardo ai generi, specie, differenze, opposizioni, casi
tali o tali altri. Ecco, infatti, come al principio del Libro è
enunciata la materia da considerare in essa : " Utrum autem id de
quo agitur sit idem an diversum, secundum eum modum * qui inter
modos supra de eodem expositos est maxime proprius, nunc dicendum « est.
dicebatur autem maxime proprie idem esse quod est numero unum,
considerare « autem oportet atque argumenta sumere ex casibus et
coniugatis et oppositis. nam « si iustitia est idem quod fortitudo, etiam
iustus est idem quod fortis, et iuste idem " quod fortiter. similis
ratio est oppositorum etc. J. Qui stesso vien la volta di pren- dere in
considerazione anche il sorgere e perire " ortus et interitus „ delle
cose. Poco appresso ricorre un riferimento anche alle cose che accadono :
" nam quae " alteri accidunt, etiam alteri accidere debent „. E
ciò vien messo ivi stesso in rela- zione anche colle Categorie, in quanto
" videre oportet an non in uno categoriae ' genere ambo sint, sed
alterum qualitatem, alterum quantitatem vel ad aliquid * relationem
declaret „. Al paragrafo 3 vien la considerazione della definizione
e del sillogismo, pur con riferimento ai generi, alle specie, alle
differenze, non che ai contrarii, alle diffe- renze contrarie, ecc.
Al paragrafo 4 si ritorna sui luoghi atti a disputa, oratoria, ecc., ma
con riferi- mento all'aiuto della memoria. Infatti statuisce : "
Maxime autem locorum omnium » apti sunt ii quos nunc dixi, necnon ex
casibus et coniugatis. Ideoque maxime me- « moria tenere et in promptu
habere oportet hos locos (utilissimi enim sunt ad « plurima problemata),
atque etiam ex ceteris eos qui sunt maxime communes, quo- " niam
inter reliquos sunt efficacissimi „. Nel seguente ed ultimo
paragrafo 5 ricorrono ulteriori considerazioni pur attinenti a definizione,
sillogismo, a genere, proprio, ecc.; e con esse si chiude il Libro.
Libro Vili. — L'argomento principale di questo Libro de' Topici è la
disposi- zione della materia del discorso, con riguardo speciale ad
interrogazioni, risposte, e ritrovamento (inventio) di quegli argomenti
che spettano ed importano al dialettico, al filosofo. E quale argomento
conduce naturalmente Aristotele a connettervi, come d'ordinario, i modi
di argomentare, sillogizzare, ecc. Ma sentiamo Aristotele stesso. Egli
indica (nella traduzione latina) lo scopo e la materia della trattazione
con queste parole : " Post haec de dispositene, et quomodo
interrogare oportet, dicendum " est. primum autem debet is qui
interrogaturus est, locum invenire ex quo argu- s mentetur, deinde
interrogare et disponere singula ipse per se, tertio et postremo "
haec dicere contra alterum. ac loci quidem inventio aeque ad philosophum et
ad " dialecticum pertinet, eorum autem quae inventa fuerunt dispositio
et interrogatio " dialectici est propria, quoniam hoc totum adversus
alterum est : philosopho autem " et ei qui ipse secum veritatem
inquirit, curae non est, si vera sint et nota ea ex " quibus
efficitur syllogismus, nec tamen ea ponat is qui respondet, propterea quod
" propinqua sint quaestioni ab initio propositae ac provideat quod
eventurum sit. " quin immo fortasse dat operam ut axiomata sint
maxime nota et problemati pro- * pinqua, quandoquidem ex his Constant
syllogismi qui scientiam pariunt ,, Sillogismo senza proposizioni
intanto non si dà ; perciò Aristotele rivolge la sua attenzione a queste.
Di queste ve n'ha di necessarie ed anche di non necessarie. "
Necessariae autem „, dic'egli, * dicuntur eae ex quibus syllogismus conficitur.
quae vero praeter has sumuntur, quattuor sunt : vel enim sumuntur
inductionis causa, " ut detur quod est universale, vel ut
amplificete oratio, vel ut celetur conclusio, " vel ut magis
perspicua sit oratio etc. „. Nell'anzidetto si contiene il pensiere
aristotelico di questo Libro, e s'intende che ciocche segue non può
essere che l'ulteriore e più ampia esplicazione di ciò con applicazione a
singoli casi e quesiti ed a singole corrispondenti soluzioni. A
conferma di ciò, nel paragrafo 2 si pone che nel dissertare " utendum
syllo- " gismo apud dialecticos potius quam apud multos ; contra
inductione apud multos " potius „. Si fanno di ciò, ad
illustrazione, applicazioni a casi vari, poniamo al caso della salute,
valetudo, della malattia, morbum, ecc. Quanto alla natura della proposi-
zione dialettica e al corrispondente elemento dialettico, si dice poco appresso
: " Pro- " positio enim dialectica est, ad quam respondere
licet etiam aut non „. Al paragrafo 3 si prendono in considerazione
le hypoiheses, le captiosae argu- mentationes con riferimento ai
principia ultima, da cui tutte le dimostrazioni e tutti i principi
subordinati traggono origine e ragione probativa. " Nam cetera
(scilic. " principia) per haec probantur, ipsa vero per alia probari
non possunt „. Nel paragrafo 4, riferendosi all'interrogare e
rispondere, dice: " De responsione " autem primun determinandum
est, quod eius sit officium qui recte respondet, quemad- " modum
eius qui recte interrogai est autem interroganti^ ita disputationem deducere,
" ut respondentem cogat maxime incredibilia dicere ex iis quae praeter
thesim sunt necessaria ; respondentis vero, ne sua culpa videatur evenire
quod absurdum vel praeter opinionem est, sed propter thesim „.
L'istesso argomento dell'interrogare e rispondere viene svolto nei paragrafi
5, 6 e seguenti con ulteriori considerazioni di altri casi e
rispetti. Ma più innanzi nel paragrafo 11, a proposito della
reprehensio argumentationis, ricorre l'accenno ad argomentazioni false e
vere nel senso ed intendimento di ciocche si è discorso ed esposto negli
Analitici ; e il corrispondente luogo, relativo a molti modi di
argomentazione, è degno di essere riferito e suona così : " Qui vero „,
dice Aristotele, " ex falsis verum concludunt, non possunt iure
reprehendi, quoniam falsum " quidem semper necesse est ex falsis
concludi, sed verum licet interdum etiam ex falsis concludere : hoc autera
est perspiciram ex Analyticis. quando autem argumentatio quae dieta est,
alicuius rei est demonstratio, si quid aliud sit quod nihil * cum
conclusione probanda commune habeat, profecto non erit ex eo syllogismus.
* sin autem videatur, sophisma erit, non demonstratio. est autem
philosophema syllo- * gismus demonstrativus, epicheirema vero
syllogismus dialecticus, sophisma syllo- * gismus contentiosus,
aporema syllogismus dialecticus contradictionis „. Per ragione del
tecnicismo di queste ultime espressioni della Logica aristotelica, allego
quest'ultima parte del luogo nel testo greco, il quale suona così : "Eati
òe (piloaócprifia (lèv ovÀÀoyiafiòg ànoòeimixóg, km%eiqrnia òè
avlkoyiofiòg òiaXemmóg, oóqjiofia òè cvAZoyiofiòg ègiormóg, ànóqrifia òe
ovZAoyiofiòg òialemwòg àvwpdoewg. Nel seguente paragrafo 12 si
stabilisce come massima che 8 argumentatio est " perspicua uno modo,
eoque maxime vulgari, si ita concludat ut nihil amplius opor- " teat
interrogare „. E dopo altre consimili considerazioni si conclude il Libro
Vili con quest'altra massima di carattere generale : - oportet paratas
argumentationes " habere adversus eiusmodi problemata, in quibus cum
paucae argumentationes " suppetant, adversus plurima problemata
utiles erunt. hae vero sunt argumenta- " tiones universales, et quas
assumere ex rebus passim obviis difficile est „. Dopo siffatte, se
non diffuse, certo sufficienti indicazioni sulla materia, sullo scopo e
sul modo di trattazione de' Topici, passo a dire degli Elenchi Sofistici.
JUeqì t&v ooyiauxwv èÀéy%ù)v. — Anche per questa parte, come ho fatto
per le altre, della Logica aristotelica comincio coll'allegare un
notevole giudizio di Boezio, il quale (loc. cit., p. 7) dice: * Elenchus
multa significai sed hoc loco prò redar- 14 gutione sumitur. Libri sunt
duo, ad cavendas sophisticas captiones, et ne in disse- " rendo
falsa prò veris per ignorationem colligamus, aut admittamus. Huic operi *
initium dedit Plato in Euthydemo : ostenduntur illic pauci quidem doli
disputatoris " captiosi : Aristoteles autem rem omnem, ut solet, a
primis initiis complexus, " digessit in ordinem et formulas „.
A questo giudizio di Boezio si unisce Prantl. il quale colla sua autorità
in tal materia, lo allarga ed integra con altre importanti osservazioni.
La qual cosa egli fa nella pagina 346 della sua citata opera Gesch. d.
Logik, età, voi. I, primamente, osservando come questi Elenchi Sofistici
si colleghino intimamente ai Libri topici in genere ed al Libro Vili in
ispecie ; e secondamente, esponendo in un breve e succoso cenno la
materia e lo scopo de' medesimi. Ma vi è stato in Italia un uomo,
che, riattaccandosi ai due nominati scrittori, ha fatta una traduzione
eccellente de' primi 14 capitoli degli Elenchi, facendovi pre- cedere un
elaborato ed illustrativo proemio, corredando i capitoli stessi di
sommarli ragionati abbastanza diffusi, estendendosi a dar sommarli anche de'
rimanenti venti capitoli, e, per giunta, a confermare ed illustrare il
tutto con note amplissime e dottissime, nelle quali è abbracciata tutta
la parte storica dell'argomento, fino al secolo XIII
inclusivamente. Quest'uomo, veramente sommo e a tutti noto, è
Buggero Bonghi, il quale non solo mostrò vastità di dottrina in questo
speciale argomento della Logica aristotelica, ma ha allargato ed
approfondito i suoi studi nella traduzione e illustrazione delle opere di
Platone e della Metafisica di Aristotele, traducendo ed illustrando quasi
tutte le opere del primo, e i primi sei Libri della Metafisica del
secondo. E, per giunta, fortificò i suoi studi filosofici, oltre che collo
studio della Storia della Filosofia fino agli ultimi tempi
inclusivamente, anche colle sue amplissime conoscenze di Storia di tutti
i tempi, e con un'ampia erudizione nelle altre discipline dello scibile.
La esposizione che io, per assolvere il mio scopo e compito, farò di
questi Elenchi, consisterà in tre diversi cenni : il primo, quello di
valermi della traduzione italiana stessa e delle corrispondenti
illustrazioni del Bonghi ; quale migliore e più sicura guida
nell'adempimento del mio scopo ? il secondo, nell'allegamento di un
brevissimo luogo del Boezio, riportato in nota dallo stesso Bonghi, luogo che
ser- virà alla indicazione delle espressioni latine de' sofismi trattati
da Aristotele ; il terzo, nell'allegamento di un luogo importantissimo
dell'Ueberweg, nel quale, in breve e succoso cenno, sono distinti e illustrati
tutti i sofismi con le relative denominazioni greche. E vengo alla
esposizione. Cominciando dal Bonghi, è bene ed utile di rilevare
alcune importanti afferma- zioni e considerazioni di lui in
riattaccamento a Boezio, a Prantl, allo stesso sorgere e costituirsi
della Sofistica, ed anche a Socrate, Platone ed Aristotele in quanto
riferentisi alla medesima. Per ciocche concerne il sorgere e
costituirsi della Sofìstica, benché egli ricordi cose note, pur voglio
ricordar le parole di lui. Prodico, Gorgia e Protagora (dic'egli nella
prima parte dell'Introduzione alla traduzione dell' Eutidemo, pag. 15) "
per i " primi accettarono i nomi di sofisti e fondarono la sofistica
„. E, come essa 8 è il " principio e il fondamento dell' 'eloquenza
e il più grande stimolo e sprone di coltura, " essi furono maestri
di eloquenza, e diffonditori di cultura in tutta la Grecia ».
Senonchè, pur troppo la sofistica degenerò in eristica. Ora, Platone (ibid.,
pag. 18) " si oppose a questa perversione di giudizii „ : tanto più
che " non si sarebbe potuto " mai far intendere il valore di
Socrate, fino a che questa confusione avesse preoccu- " pato le
menti „. Si aggiunga a ciò, che quando " in Grecia si moltiplicò il numero
" di quei professori o maestri che si ripromettevano d'insegnare al
cittadino la miglior " maniera di condursi per se e per gli altri
nello stato „, nacque una gran " contra- " rietà d'opinioni ne'
nuovi metodi d'insegnamento „. E da questa, e dal " nome di 8 uno
degli Eristici che vi discorre „ trasse origine YEutidemo di Platone.
Vengo ora alle Confutazioni Sofistiche. Nell'avvertenza alle
Confutazioni Sofistiche, come Bonghi traduce il trattato jieqì %ùv
oocpMmxcòv èÀéyx<op (1), egli dice di essere stato indotto alla traduzione *
dal " pensiero, che avrebbe potuto riuscire di molto interesse e
utilità il vedere come una " mente così sottile, investigatrice,
sistematica (come quella di Aristotele) abbia per " la prima volta
messo ordine e luce in una materia per sè così complicata e buia, "
com'è questa del ragionamento usato a inganno altrui. Neil' Eutidemo Platone
aveva " rappresentata l'arte ; nelle Confutazioni Sofistiche
Aristotele, che vi ricorda tante volte " l' Eutidemo e Platone, ne
dette la teorica „. Soggiunge, Aristotele " non esser facile
in nessuno suo scritto; e questo è uno " di quelli ne 1 quali è più
difficile „. Indicando la ragione, i limiti e il modo come ha Vedi
Dialoghi di Platone, trad. da Ruggero Bonghi, voi. IV (continuaz.), Eutidemo,
2* ediz.; Aristotele, il primo Libro Delle Confutazioni Sofistiche, ecc.
Torino-Roma-Firenze, Fratelli Bocca. condotto la propria opera, dice essergli •
mancato il tempo „ di condurre a termine la traduzione ; ma che, ciò non
ostante, " la trattazione teorica de' sofismi è ne' primi " (14
capitoli) compiuta „ essendo 8 nei seguenti (venti capitoli) solo indicate le
vie « praticamente utili a cavarsene fuori „ ; e che, per giunta, come si
è detto, anche per questi ultimi ha aggiunto " lunghi sommari! „ ;
sì che il lettore finisce per aver conoscenza di tutta la materia
dell'ultimo trattato logico di Aristotele. Ora ecco i punti sostanziali
di questo. Aristotele nel Primo Capitolo, paragrafo 1, di questo
dice che "prende a • discorrere.... delle Confutazioni
Sofistiche e di quelle che paiono bensì confutazioni, " ma sono
paralogismi e non confutazioni , . E nel seguente paragrafo 2 fonda
questo suo giudizio con questa osservazione : " Che de' sillogismi
alcuni son veramente tali, altri paiono e non sono, è manifesto ; "
chè come questa apparenza ha luogo nelle altre cose per una cotal
simiglianza, • così accade ancora nei ragionamenti. E difatti, la
persona, che altri hanno aitante, altri col gonfiarsi e acconciarsi....
paiono averla.... E delle cose inanimate è del " pari ; chè di
queste quale è argento e oro davvero ; quale non lo è, ma pare al « senso
; per mo' d'esempio, d'argento quelle di stagno e di piombo ; d'oro
quelle * tinte di giallo „. E allo stesso modo, sillogismi e
confutazioni, quali sono, quali non sono, ma paiono per
l'imperizia. « Dappoiché (continua egli nel paragrafo 3, indicando
la ragione dottrinale della * differenza di sillogismo e
confutazione, ossia di sofismo) il sillogismo si compone " di alcune
premesse per modo, che di necessità per via di esse proposizioni dica qualcosa
di diverso dalle proposizioni ; e confutazione è sillogismo in cui si
con- " traddice la conclusione „. Nel paragrafo 4,
cominciando ad enumerare le cause, dice che di queste « una "
fonte è più copiosa e comune di tutte, quella per via di vocaboli I
vocaboli « sono finiti di numero e i ragionamenti altresì ; dove
gli oggetti sono infiniti ; sicché " è necessario che un solo
ragionamento e un unico nome significhi più oggetti „. Nel
paragrafo 5 fa ulteriori esemplificazioni sulla sofistica, che si intendono e
spie- gano con ciocche è detto innanzi. Ma passando ad
indicare ,! le specie de' ragionamenti sofistici „ Aristotele dice che di
quelli "che occorrono nel conversare, v'ha quattro generi:
didascalici, dialettici, pir astici ed eristici. Sono: Didascalico – “insegnativo”
-- quello ragionmento che si
sillogizzano da' principi propri di ciascuna disciplina e NON DALL’OPINIONE
DI CHI RESPONDE (chè chi impara, deve
credere) : " Dialettico” – “discorsivo” -- quell ragionamento che da proposizioni
probabili sillogizzano la contradittoria: "drastico” – “tentativo”
-- quell ragionmento conversazionale che
lo fa da proposizioni AMMESSE DA CHI RISPONDE " e necessarie a sapere da
chi ha la scienza (e in che modo si è chiarito altrove): "eristico”
– “contenzioso” – quel ragionamento conversazionale che sillogizzano (o paiono
sillogizzare) da proposizioni ammesse solo in apparenza, ma non in realtà, Ricordando
che di un ragionamento apodittico – “dimostrativo” -- s'è discorso negli
Analitici, del dialettico e del pirastico altrove, dice doversi
discorrere al presente del ragionamento conversazionale “agonistico” – “garoso”
-- e del ragionmaneto conversazionale “eristico” o “contenzioso.” E ciò fa, Aristotele,
proponendosi di fermare quante sono le mire di quelli che gareggiano e si
puntigliano nel ragionare, dice che queste son V di numero: I confutazione
II falsità III paradosso IV solecismo V il farcianciare chi conversi teco (e
questo è il costringerlo a dire più volte il medesimo) o non la realtà, ma l'apparenza di ciascuna di
queste cose. E, spiegando le cinque generi di ragionmento, dice che quello
che sopratutto si propongono, è di parere di confutare. In secondo luogo,
di mostrare che uno dica il falso in qualcosa. Terzo, di tirarlo a un
paradosso. Quarto, di fargli commettere un solecismo -- e questo è il fare
che chi risponde, per effetto del ragionamento, BARBARIZZA. Per ultimo, il
fargli dire più volte la stessa cosa. Venendo all’indicazione dei modi di confutare,
dice esservene di due sorte. Gli uni stanno nella dizione, gli altri
fuori della dizione. Indicando VIII i motivi che per effetto della dizione
generano un falso vedere, dice che di essi ve n'ha VI; e sono I equivocazione
– aequi-vocal --, II anfibologia, III composizione IV divisione V accento
VI figura della dizione. E la prova di ciò s'ha per induzione E ne'
susseguenti paragrafi chiarisce e illustra con esempi i predetti sofismi della
dizione. Passa dopo il nostro filosofo alla designazione dei paralogismi
fuori della dizione e ne novera VII specie: I dell'accidente, II dal
dirsi una cosa in assoluto o non in assoluto ma per un certo modo o posto
o tempo o rispetto, III dall'ignoranza della confutazione IV dal susseguente
V dalla petizion di principio VI dal porre la, non causa come causa; VII dal
fare di più interrogazioni una sola. E anche per questi paralogismi Aristotele
fa illustrazioni ed esemplificazioni. Notevole è in questo ciocche
Aristotele statuisce intorno all'ultimo de' paralogismi allegati, cioè
intorno a quelli che nascono dal fare di due interrogazioni una sola. Rispetto
a questi, quando resti nascosto che son più, e come se fossero una sola, le si
dia una unica risposta; benché rispetto a tal caso riconosca che in
alcune è facile scorgere che son più, ma in altre meno. Aristotele pone
l'alternativa che " o " s'hanno a distinguere così i sillogismi
e confutazioni apparenti come si è detto e fatto negli antecedenti
paragrafi, o a ridurre tutti all'ignoranza della confutazione, ponendo per
principio questa: che v' è modo di risolvere tutti i modi che se ne son
detti, nella definizione della confutazione. E l'alternativa e corrispondente
soluzione proposta vien discussa a proposito degli altri ultimi
paralogismi allegati. Si continua a prendere in considerazione altri
degli allegati paralogismi, come quelli dall'equivocazione, dall'anfibolia,
dalla composizione e dalla divisione, dall'accento e dalla figura della
dizione, dall'accidente, ecc. si indica il modo di conoscerli e
confutarli. Poiché sappiamo per quante vie si generino i sillogismi
apparenti, sappiamo altresì per quante si possano generare i sillogismi e le
confutazioni sofistiche. E dico sillogismo e confutazione sofistica non solo il
sillogismo o la confutazione che appare e non è, ma anche quello che è
bensì, ma proprio della cosa appare soltanto. E cotesti sono quelli che
non confutano secondo la cosa, e non mostrano che altri l'ignora, che era
il caso della pirastica. Ora, la pìrastica è parte della dialettica. Questa può
sillogizzare il falso per ragione dell' igno ranza di chi rende ragione.
Invece, le confutazioni sofistiche, quando anche sillgizzino la contradizione,
non fanno manifesto se altri ignora, poiché anche chi sa, impacciano con
siffatte argomentazioni. E che gli otteniamo collo stesso metodo, è chiaro. Dappoiché per
quante vie appare a chi ascolta, che si siano sillogizzate appunto le proposizioni
di cui gli s'era fatta interrogazione, per altrettante potrebbe altresì
parere a chi risponda. Sicché per queste, o tutte o alcune, verran fuori
sillogismi falsi, che quello che uno non interrogato crede d'aver
conceduto, interrogato lo conce- [derebbe. Eccettochè in alcuni
paralogismi succede insieme che si dimandi quello che manca, e la falsità
si chiarisca, come in quelli dalla dizione e dal solecismo. Si fanno consimili
considerazioni intorno ad altri paralogismi, come quelli risultanti
dall'accidente, dal conseguente, ecc. Aristotele statuisce che da
quanti luoghi si traggano confutazioni di quelli che son confutati, non
bisogna provarsi a determinarlo senza la cognizione delle cose tutte. Ora,
ciò non è di nessun'arte; stantechè le scienze sieno infinite forse,
sicché è chiaro che anche le dimostrazioni son tali. E di confutazioni ve
n'ha anche di vere; stantechè quante cose v'ha luogo " a dimostrare,
tante v'ha luogo a confutare a chi asserisca il contraddittorio del
" vero ; p. es., se uno ha asserito commensurabile il diametro, altri lo confuterebbe
col * dimostrare eh' è incommensurabile. Sicché bisognerà essere
scienti d'ogni cosa, ecc. „. " Però (paragrafo 2) , anche le
confutazioni false saranno del pari infinite ; chè * v'ha secondo
ciascuna arte il sillogismo falso; p. es., secondo geometria il geo- 8
metrico, secondo medicina il medico ; e dico secondo ciascun'arte quello
secondo* " i principi di essa ,. E ne' seguenti paragrafi, su questi
stessi principi stabiliti, si fanno consimili considerazioni. Aristotele
pone in discussione e srisolve la seguente importante quistione intorno a
ragionamenti relativi al vocabolo e al pensiero : " Non * v'
ha ; dic'egli, tra i ragionamenti la differenza che taluni dicono ; alcuni
ragionamenti riferirsi al vocabolo, altri al pensiero ; chè è assurdo il
pensare, che altri " sono i ragionamenti che si riferiscono al
vocabolo, e altri quelli al pensiero, e * non già i medesimi
„. " Poiché (paragrafo 2) , che è egli mai il non riferirsi al
pensiero se non quando * uno non usi del vocabolo nel senso cui
l'interrogato ha consentito, credendo che * fosse quello che avesse
nella interrogazione? Ora, questo stesso è riferirsi al voca- *
bolo. E riferirsi al pensiero è, quando l'altro pensi quello cui egli ha
consentito, ecc. „. E ne' paragrafi immediatamente seguenti viene
confermando ciò con ulteriori non meno acute illustrazioni ed
applicazioni, delle quali voglio rilevare l'applicazione che ne fa alle
Matematiche, che attirano in modo speciale la nostra attenzione per la
trattazione della così detta Logica matematica. " I ragionamenti nelle
matematiche, * dice infatti Aristotele al paragrafo 7, si
riferiscono al pensiero o no ? E se ad uno D'Ercole. c
I t " ang03 ° SÌgDÌfichÌ PÌÙ C0S6 ' 6 non ha che esso
sia la figura flì della quale s'è concluso, che son due retti rnWn
, ■ ! tì g ura 0)> " al pensiero di questo o no? '
'«Wonamento s'è egli diretto =' a ™a (Paragrafo 2) ,1 comune a piii
cose secondo ciascuna è dialettico- eh «ut 71 m aPPa T a ' è ^ - D
°" d6 " » ritornare suìl' TZ a h W * ^conducono , so/fe «
stessi, ehe . preflggm(Iosi vinler a „ S ni ■nodo, sappiano a tatto
„ come appunto • fauno gli eristici 8 SousUcTche "f T" Ò SOt '
ile, Se,Tat °' ""-*»■*' » mesta m at"eria degli Elenchi ci
: lc n T' ° ^ *S C, ' eata SÌCC ° m8 ** * "' Ksta ^ r te 8 log I
' ehe alcuno di! f!l , P m08trare (dic ' e S li . iafatti, al paragrafo
1) cacca adatta a co ; che quelli che parlano a caso, errano di più
' e parlano a caso, quando non si siano proposto nulla P P &
• e il" TJIZTJ''J!T S ^° " a "' abbatteraÌ 1 " na
Wsita ° a » paradosso ' dir r„Zo s are ' er v 7 T°" Pr ° P0SM0M 0gge
"° ^ mt.rroga.iene, ma • d'attacco ! ' S ° ,mParare ; daF P°
Ì<!hè ^ acquisizione dà „,„do di £ r:i n ~:ir che A "
istotek abbk ~— « -** • lnog„ A Lelirr t (COntÌ , n ° a ArÌ8t °
tele " Paragraf ° 4 » Cle "no dica falso, è proprio luogo
quello aojsfco, ,1 menare a tali cose, che s'abbia contro osse copia di
aL m „ta z ,o„, ; e ,„esto vi sarà modo di farlo bene e non bene, seconTs
l So ed ™2 Z deÌTuak 8 ; £S* '"T ** *" relali ™
alla ' luto f, i " '' lJeVa " lat ° Paradossastico come segue
- ■ Il (1) La qual S gu ,a, se lo noti i, lettore, rappresenterebbe
qui Trento del vocabolo. 81 LA LOGICA
ARISTOTELICA, LA LOGICA KANTIANA ED HEGELIANA, ECC. 1essere
cosa bella secondo legge, ma secondo natura non bella. Sicché bisogna chi
* parla secondo natura, affrontarlo secondo legge ; e chi secondo legge,
menarlo alla a natura; giacche vi sia luogo a dir paradossi ne' due modi
„. Capitolo XIII. — In questo Capitolo si tratta di un argomento
che par futile, cioè quello del cianciare; eppur questo dà luogo a una
acuta e teorica disamina della sofìstica da parte di Aristotele.
Prima di allegare le parole del grande filosofo, allego una osservazione
inter- pretativa che fa il Bonghi in proposito, e che è questa : Col
cianciare, cioè, dice quest'ultimo, " si passa al quarto fine del
sofista, che è il forzare l'avversario a dir " più volte la stessa
cosa, che torna al cianciare o infilzar parole senza senso. Il presupposto
di tali sofismi è che il vocabolo è tutt'uno colla sua definizione e
quello " non differisce in nulla da questa, sicché si può in una
proposizione surrogare l'uno * all'altra. P. es. doppio si
definisce doppio di metà : ora, se la definizione può essere 8 surrogata
al definito, noi possiamo definirlo : doppio di metà di metà ; e da capo
41 doppio di metà di metà e così in infinito „. Ciò posto, ecco
ciocche dice Aristotele (al paragrafo 2) intorno al discorrere per puro
cianciare : * Tutti i siffatti discorsi vogliono far questo ; se non
differisce " per nulla il dire il vocabolo o la definizione, doppio
e doppio di metà è tutt'uno; se adunque è doppio di metà, sarà
doppio di metà di metà ; e di novo, se in luogo " di doppio, si
ponga doppio di metà si sarà detto tre volte : doppio di metà di metà
" di metà(l). Ed evvi egli il desiderio del piacevole? Ora, questo è
appetito del * piacevole; dunque, desiderio è appetito del piacevole
del piacevole, ecc. L'argomento di Aristotele è il Solecismo e la sofisticazione
in cui può incorrersi con esso. Aristotele parla e ragiona in questo modo.
Questo, cioè, il Solecismo, v'è luogo a farlo e a parere senza farlo, e a
non parere facendolo. Ssiccome diceva Protagora, se ò fiijvig e ò s**Pff sono
un mascolino ; giacché chi " dice oi)Aofiévt]v solecizza secondo
lui, ma agli altri non pare ; chi ovÀó/ievov pare bensì, ma non SOLECIZZA.
(Si noti che firjvig e JvfjÀrji son propriamente femminili). Sicché è
chiaro che uno potrebbe ad arte far questo ; per il che molti
ragionamenti pur non sillogizzando un solecismo paiono di sillogizzarlo,
sic- * come nelle confutazioni „. * I solecismi
apparenti (paragrafo 4) hanno occasione pressoché tutti dal vóde, *
e quando la desinenza non manifesta né maschio nè femmina, ma il di mezzo.
Difatti ofirog significa maschio ed a%%r\ femmina ; ma tomo vuole bensì
significare il di " mezzo, pure spesso significa anche l'uno o
l'altro di quelli : p. es. , che è %ov%o ? Calliope, legno, Corisco.
D'altronde, del maschile e del femminile le desinenze de' casi Qui
mi par di vedere Aristotele (senza menomare la fina osservazione e
interpretazione del nostro Bonghi) riferirsi al famoso dialettico Zenone
eleate, del quale uno degli argomenti famosi, quello cioè del non potersi
andare da un punto all'altro dello spazio, era pensato e condotto appunto
in tal guisa: cioè, di non potersi percorrere l'intero spazio senza giungere
alla metà di questo, non potersi giungere a questa metà senza percorrere
la metà di questa metà, e così non potersi giungere a questa seconda
senza percorrere la metà della metà della metà, ecc. in infinito, il che
era impossibile a fare in un tempo finito." differiscono tutte, ma del
genere di mezzo quali sì, quali no. Ed ecco che spesso, " essendosi
lor concesso %ov%o, sillogizzano, come se fosse stato detto %ov%ov ; e
del " pari una desinenza in luogo d'un' altra. E il paralogismo si
genera perchè il tóóe * è comune a più desinenze ; giacche tomo significa
quando ovzog quando zovxov. 8 Però deve significare quando l'uno e quando
l'altro ; con è oixog, con essere iqviqv, 8 per es., è KoQioxog, essere
Koqioxov. E nei vocaboli femminili del pari ; e in quelli, " che son
bensì d'utensili, ma però hanno appellazione femminile o maschile. Dap- 8
poiché tutti quelli che terminano in o e in v, hanno soli l'appellazione da
utensili, 8 come ^vkov, o%oiviov ; ma quelli che non così, l'hanno
maschile o femminile, di 8 cui applichiamo alcuni agli utensili ; p. es.
daxòg è vocabolo maschile, xÀhrj fem- " minile. Per il che anche
rispetto a questi differirà del pari l'è e l'essere „. " E in
un certo modo (paragrafo 5) il solecismo è simile alle confutazioni
tratte 8 dal prendere per simili cose non simili. Giacché come a queste
accade di sole- 8 cizzare sulle cose, così a quello su' vocaboli ; chè
uomo e bianco sono e cosa e 8 vocabolo „. Sicché è manifesto che da
simili desinenze bisogna sforzarsi di " sillogizzare il
solecismo. " Le specie, dunque, de' discorsi contenziosi e le
parti delle specie e i modi son 8 quelli che si son detti „.
Con questi quattordici Capitoli finisce la parte teorica degli Elenchi
Solistici, e che, come si è detto, nei seguenti venti Capitoli si espone
e fa l'applicazione dei primi quattordici. Io ometto di esporre anche
questa parte applicativa, ritenendo suffi- ciente pel mio scopo la
conoscenza della teoria. Passo perciò al secondo punto del triplice
cenno che io voleva fare degli Elenchi predetti, cioè alla indicazione
latina de' paralogismi o sofismi, secondo la indicazione di Boezio.
Questi infatti (vedi Bonghi, nota 129 alle Confutazioni Sofistiche, pag.
529) indica le tredici denominazioni sofistiche di Aristotele così : 1°
Aequivocatio ; 2° amphi- bolia; 3° compositio; 4° divisto; 5° accentus;
6° figura dictionis; 7° propter accidens; 8° propter id quod simpliciter
vel non simpliciter ; 9° propter redargutionis ignorantiam ; 10° propter
consequens ; 11° propter id quod est in principio sumere ; 12° propter id
quod non est causa ut causam ponere, ovvero, propter non causam ut causam; 13°
propter phires interrogationes unam facere. In questa stessa
nota 129 il Bonghi ha un notevole accenno ad Alberto Magno, che pure
scrisse degli Elenchi Sofistici. E altri accenni non meno notevoli ha
nella nota 160 per Alfarabi ; nella nota 161 per S. Tommaso ; e nella
nota 163 per Duns Scotus, il cui tractatus logicae è l'ultimo nella
Scolastica, e che è intitolato De sillo- gismo sophistico sive
fallaciis. Ed ora pongo termine alla mia esposizione
coll'allegamento dello stupendo e comprensivo luogo dell'TJEBERWEG (Syst.
d. Logik u. Gesch. d. Logischen Lehren, citato, pag. 370), che suona come
segue: " Aristotele nel suo scritto tisqì xtbv ao(pia%iKù>v
èXèy%(àv si è fatto guidare 8 nelle diverse parti del medesimo dallo
speciale riguardo ai sofismi molto disputati " al suo tempo. Egli
definisce (Top. Vili, 11) il oócpiofia come avÀÀoyia/iòg EQiatixóg,
" e divide i Sofismi in due Classi principali : naqà tìjv As^iv e è'^co
vrjg Àé^ecog. " Alla Prima Classe principale novera (De Soph.
Elench., c. 4) come appartenenti sei specie: ófihìvvfila (aequi vocatio),
àfMpifioXia (ambiguitas) , ovv&soig (fallacia a 8 sensu diviso ad
sensum compositum), diaigeoig (fallacia a sensu composito ad sensum
" divisum), jiQoacpòia (accentus), a%f[na vf/g Aé^sojg (figura dictionis)
: de' quali Sofismi " però il terzo ed il quarto (la confusione del
senso distributivo e del collettivo, " ovvero la confusione di
ciocche vale in modo speciale di tutti i singoli od in ogni "
singolo rapporto, e di ciocche vale della generalità come tale), in quanto
appar- " tenenti alle fallaciis secundum dictionem, si lasciano
aggruppare (subsumere) sotto " il concetto dell'anfibolia nel senso
indicato di sopra. (Per ayfifiaza zfjg Aé^scog " Aristotele intende
qui le forme grammaticali de' nomi e de' verbi, e, secondo " Poet.
c. 19, in modo speciale le proposizioni grammaticali fondate sui diversi
rap- 8 porti di Predicato con Soggetto : proposizioni grammaticali, alla
cui espressione " servono in parte i Modi verbali, come Comando,
Preghiera, Minaccia, Enunciazione, " Domanda e Risposta).
" Alla Seconda Glasse principale, cioè ai Sofismi è'^oy xfjg Àé^eag,
Aristotele novera " come appartenenti le seguenti sette specie :
naqà tò avfi^s^rjìióg (fallacia rationis " ex accidente), tò
ànX&g fj [lì] àicl&g (a dicto simpliciter ad dictum secundum
quid), " fj tov èXéy%ov àyvoia (ignoratio elenchi), naqà tò
èuó/À,evov (fallacia rationis ex * consequente ad antecedens), tò
èv àQ%fj Aafifiàveiv, aheìa&ai (petitio principii), " tò /li]
ahiov Ti&épai (fallacia de non causa ut causa), tò tó tiàeiù) èqo)%fji4,ma
ev " noielv (fallacia plurium interrogationum). Se non
che questi errori sono in parte errori di dimostrazione (Beweisfehler ;
" ved. appresso paragr. 137). Degli errori indicati adduce Aristotele
stesso esempi " nel suo scritto tieqì %<òv ao<pianxò)v
èXéy%(av ; si può paragonare con esso il Dialogo " di Platone (o di
un platonico) Eutidemo. Antiche e moderne esemplificazioni, però *
in gran parte già fatte, dà il Fries {System der Logik, paragr. 109). Una
diffusa ed esatta disamina di Sofismi si trova in Mill, Log. trad. da
Schiel, 2 (e 3) Ediz., " pag. 398-432. Rispetto al carattere
nebuloso e confuso di parecchie moderne spe- * culazioni, e
rispetto ad innumerevoli sofismi, per mezzo de' quali, dato l'insolvibile
" compito di derivare il pieno dal vuoto, si è creduto di ottenere
l'apparenza di una * soluzione, ha detto il Trendelenbtjrg (Eri. su
den Ehm. der Arisi. Log., 1842, p. 69) " con ragione : * Sarebbe
tempo di tradurre secondo il tempo moderno (iris Moderne) " lo
scritto aristotelico degli Elenchi Sofistici „. Questo compito è stato risolto
soltanto in modo unilaterale mediante Y Antibarbarus logicus von Cajus, 1851 ;
2 a Ediz., " 1° fase, 1853, comunque il suo autore nel campo del
pensiero filosofico sappia " esercitare con destrezza di Polizia
certe funzioni (polizeiliche) di vigilanza s . Chiudo la mia
considerazione ed esposizione della logica del lizao, e concludo dicendo
che questi punti fondamentali del pensiero logico del lizeo e la corrispondente
legislazione del medesimo sono addirittura una immortale creazione, che
non i soli 24 secoli passati han già confermata e glorificata, ma che
continueranno a confermare e glorificare anche i secoli venturi. Grice: “How can people speak of ‘mathematical logic’
when Russell says that mathematics rests on logic?!” – logica aritmetica,
aritmetica logica – His exposition of ‘logica aristotelica’ is impressive, and
overlaps with Grice/Strawson’s seminars on Categoriae and De Interpretatione.
His editorial work on Ceretti is excellent. He has written on some other
Italian philosophers, too. Pasquale D’Ercole. Ercole. Keywords: difesa della
metafisica, panlogica, esologia, essologia, sinautologia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ercole” – The
Swimming-Pool Library.
Grice ed Ermino – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Porch. Contemporary of Plotino.
He confined his activities mainly to teaching and wrote little or nothing.
Grice ed Ermodoro – Roma
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. He was a pupil of Plato of
whom he wrote a biography. He also wrote a history of mathematics. According to
Suda, he took Plato’s books and sold them.
Grice ed Erode – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Erode Attico – One of the richest
and best connected people in the Roman empire. More of a sophist and a friend
of philosophers than a philosopher himself. He condemned the Porch philosophers
for their lack of feeling.
Grice ed Eschine – Roma
– filosofia antica – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Giannantoni, G. (1990),
Socratis et Socraticorum Reliquiae, iv (Elenchos. Collana di testi e studi sul
pensiero antico diretta da Gabriele Giannantoni 18: Naples). 'L' Alcibiade di
Eschine e la letteratura socratica su Alcibiade'. In G. Giannantoni and M.
Narcy (eds.), Lezioni Socratiche (Elenchos. Collana di testi e studi sul
pensiero antico diretta da Gabriele Giannantoni 26: Naples. Aeschines of
Neapolis (Naples) –According to Diogene Laerzio, Eschine was a Platonist and
favourite pupil of Melantio di Rodi. He seems to have been the same person as
the Eschine said by Plutarco to have studied under Carneade.
Grice ed Esimo – Roma –
filosofia antica – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. An undated inscription found at
Pergamum refers to Claudio Esimo as a philosopher.
Grice ed Estieo – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a
Pythagorean. Suda says he was the father of Archita di Taranto.
Grice ed Esposito – il Sistema
dell’in/differenza – filosofia italiana – Luigi Speranza (Piano di Sorrento). Filosofo
italiano. Grice: “I like Esposito; of course, his ‘origine della filosofia
italiana’ owes a bit to the historians of Roman literature and that infamous
embassy of the very best of Grecianism: Carneade, Critolao, and Diogene!” 599
ab urbe condita!”. Parte dalla constatazione dell'esaurirsi del tradizionale
lessico della politica e dalla consapevolezza della necessità di una sua
diversa formulazione. Su questo presupposto, si incentra sulla ripresa e sulla
rielaborazione di questa tradizione all'interno di nuove esigenze, a partire da
una re-interpretazione delle categorie classiche della filosofia. A tal fine
nelle sue opere lascia interagire saperi e linguaggi differenti, dalla
filosofia alla letteratura, all'arte, alla poesia, all'antropologia, alla
teologia. Dopo i primi studi su Vico e
Machiavelli, il suo lavoro si è concentrato intorno a quattro nuclei tematici. L'impolitico
viene inteso come rovescio impensato dalla politica. Le riflessioni su questo
tema sono confluite in “Categorie dell'impolitico” (il Mulino, Bologna), Nove
pensieri sulla politica (Bologna, il Mulino), “L'origine della politica” (Roma,
Donzelli). La filosofia della comunità e
biopolitica sono confluite in una trilogia. “Communitas: origine e destino
della comunita” (Einaudi, Torino)” è un tentativo concettuale di ridefinire il
concetto di comunità, al di fuori di ogni riferimento ai comunitarismi passati
e presenti, privilegiando piuttosto gli filosofi da Rousseau a Kant, da
Heidegger a Bataillein cui prevale una concezione della comunità in quanto
legge comune dell' “essere insieme”, ma anche la coscienza tragica di ciò che
contiene di irrealizzabile da un punto di vista politico. “Immunitas:
protezione e negazione della vita” (Einaudi, Torino) è una lettura biopolitica
dei conflitti in seno al corpo sociale. “Immunitas” persegue il lavoro di scavo
teorico cominciato in Communitas e pone la categoria dell'immunità al centro di
questa riflessione sulle contraddittorie strategie di difesa della società
rispetto ai rischi, reali e immaginari, che la insidiano. In questo senso
l’immunizzazione è allo stesso tempo una protezione e una negazione della vita
che rischia sempre di diventare una sorta di malattia immune del corpo sociale.
“Bios: biopolitica e filosofia” (Einaudi, Torino) è una rilettura, a partire di
Foucault, della storia del pensiero biopolitico alla luce del concetto d'immunità.
Essendo l'immunitas una protezione negativa della vita, la biopolitica che ne
incorpora le procedure è sempre a rischio di trasformarsi in tanato-politica.
Ciò non toglie che possa profilarsi una, sia pur problematica, nozione
affermativa di bio-politica. Al concetto
di persona e di impersonale ha dedicato “Terza persona: politica della vita e
filosofia dell’impersonale” (Einaudi, Torino) e “Due. La macchina della
teologia politica e il posto del pensiero” (Einaudi, Torino) e “Le persone e le
cose” (Einaudi, Torino). A partire da una critica del concetto, giuridico
romano di persona, inteso come un dispositivo che separa la vita umana da se
stessa, l’impersonale è inteso come la forma di una possibile ri-unificazione
tra corpi. e persona. Nel dittico
costituito da “Pensiero vivente. Origine a attualità della filosofia italiana”
(Einaudi, Torino) e “Da fuori. Una filosofia per l'Europa” (Einaudi, Torino) ha
ricostruito i caratteri prevalenti della tradizione filosofica italiana, a
partire da Machiavelli, Bruno e Vico, fino a quella che viene definita Italian
Theory. Essi riguardano la connessione tra le categorie di storia, politica e
vita. Altre opere: La politica e la storia. Machiavelli e Vico (Liguori, Napoli);
Termini della politica. Comunità, immunità, biopolitica (Mimesis, Milano);
“Politica e negazione: per una filosofia affermativa” (Einaudi, Torino); “La
filosofia italiana come problema: da Spaventa all’Italian Theory, "Giornale
Critico di Storia delle Idee"; “Protezione e negazione della vita
(Einaudi, Turin), più largamente, documenti di tutti gli interventi ripresi,
con le risposte dell'autore).Politiche della vita sul margine pericoloso
dell'impersonale, di Ciccarelli per il «Centro per la Riforma dello Stato». Treccani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. The category of applicational generality
relates to Esposito’s concept of the im-PERSONAL. La terza persona is not a
person like “I” and “thou”. Grice uses
‘person’ generally, “Someone (i. e. I) is hearing a noise). “Someone” is (Ex)
with the addition of ‘person’. A sock is not a someone; a rose bush is not a
someone – a dog is not for Grice a someone. But then ‘someone’ is a
solecism. Esposito considers the
communication and community alla Tonnies. Grice knows the connection community
and communication, when he criticizes Stevenson for trying to define the
Anglo-Saxon ‘meaning,’ circularly, in terms of ‘communication. – The problem of
the third person is fascinating. Obviously a grammarian’s mistake – a
grammarian usually not knowing anything about philosophy, used philosophical
concepts – such as person – first person for “I” is ok, second person for
“Thou” is okay – when it comes to verbs, and pronouns, “The chair is comfy” (La
sedia e comoda.) – there is nothing personal about a chair being personal. It
is not true that someone is comfortable (jemand). – there’s nothing personal
about this. Since Homer, prosôpon [πϱόσωπоν], etymologically “what is opposite
the gaze,” has designated the human “face” in particular, and then,
metaphorically, the “façade” of a building, and synechdochically, the whole
“person” bearing the face. Another remarkable semantic extension is that of the
theatrical “mask” (Aristotle, Poetics 1449a36), leading in turn to the meaning
“character in a drama” (Alexandrian stage directions for dramatic works
regularly included the list of the prosôpa tou dramatos [πϱόσωπα τоῦ δϱάματоς]),
and then to a narrative. Its Latin equivalent, persona, refers in its turn to
the mask that makes the voice resonate (personare), before it designates a
character, a personality, and a grammatical person (Varro). The meaning of the
compound prosôpopoiein [πϱоσωπо-πоιεῖν]—“to compose in direct discourse,” that
is, to make the characters speak themselves—clearly shows that the dramatic
meaning of prosôpon had a particularly great influence on the history of the
word. In any event, it seems quite likely that when grammarians adopted
prosôpon to designate the grammatical “person,” they were thinking of the
dialogue situation characteristic of the theatrical text, which makes use of
the alternation “I-you”: the face-to-face encounter between person(age)s is
rooted in the category of the “person” (see SUBJECT, Box 6). Whereas terms like
“tense” (chronos [χϱόνоς]) and “case” (ptôsis [πτῶσις]) are attested before
they appear in strictly grammatical texts, this is not the case for prosôpon
used to refer to the “person” as a linguistic category. On the other hand, in
the earliest grammatical texts, and in a way that remains perfectly stable
later on, prosôpon is adopted to describe both the protagonists of the dialogue
and the marks, both pronomial and verbal, of their inscription in the
linguistic material. In fact, the main difficulty encountered by grammarians
regarding the notion of prosôpon seems to have been how properly to articulate
reference to real persons occupying differentiated positions in linguistic
exchange (speaker, addressee, other) with reference to the person as a
grammatical mark. This difficulty occurs notably in a quarrel about definition.
In the Technê attributed to Dionysius Thrax (Grammatici Graeci 1.1 [chap. 13,
p. 51.3 Uhlig = 57.18 Lallot]), the verbal accident of prosôpon is defined as
follows: Prosôpa tria, prôton, deuteron, triton; prôton men aph’ hou ho logos,
deuteron de pros hon ho logos, triton de peri hou ho logos [Пϱόσωπα τϱία, πϱῶτоν,
δεύτεϱоν, τϱίτоν· πϱῶτоν μὲν ἀφ’ оὗ ὁ λόγоς, δεύτεϱоν δὲ πϱὸς ὃν ὁ λόγоς, τϱίτоν
δὲ πεϱὶ оὗ ὁ λόγоς]. There are three persons: first, second, third. The first
is the one from whom the utterance comes, the second, the one to whom it is
addressed, the third, the one about whom he is speaking. This minimal
definition clearly sets forth the two protagonists of the dialogue,
distinguishing them by their position in the exchange, and introduces without
special precaution a third position, characterized as constituting the subject
matter of the utterance. The parallelism of the three definitions—a simple
pronoun for each “person”—masks the lack of symmetry between the (real) first
and second persons and the third person; the latter, as Benveniste pointed out
(Problèmes de linguistique générale, 228), may very well not be a “person” in
the strictest sense. This definition, which remained canonical for several
centuries, was attacked by Apollonius Dyscolus, who completed it as follows (I
adopt the formulation in Choeroboscos [Grammatici Graeci 4.2 (p. 10.27 Uhlig)],
a Byzantine witness to the Alexandrian master): Prôton men aph’ hou ho logos
peri emou tou prosphônountos, deuteron de pros hon ho logos peri autou tou prosphônoumenou,
triton de peri hou ho logos mête prosphônountos mête prosphônoumenou [πϱῶτоν μὲν
ἀφ’ оὗ ὁ λόγоς πεϱὶ ἐμоῦ τоῦ πϱоσφωνоῦντоς, δεύτεϱоν δὲ πϱὸς ὃν ὁ λόγоς πεϱὶ αὐτоῦ
τоῦ πϱоσφωνоυμένоυ, τϱίτоν δὲ πεϱὶ оὗ ὁ λόγоς μήτε πϱοσφωνοῦντος μήτε πϱоσφωνоυμένоυ].)
The first person is the one from whom the utterance comes meaning me, the
speaker, the second, the one who to whom the utterance is addressed meaning the
addressee himself, the third the one about whom the utterance speaks and who is
neither the speaker nor the addressee. Apollonius’s arrangement contributes
useful explanations: (a) each “person,” including the first two, can be the
subject of the utterance; (b) the third is defined negatively as being neither
the first nor the second (which implicitly opens up the possibility that it is
a “person” only in an extended sense, insofar as it does not need to be
competent as an interlocutor); (c) the overlap of enunciation and enunciated is
explicit: there is a first person when the utterance refers to the
enunciator-source, a second person when it refers to the addressee, and a third
when it refers to someone or something else. Despite the incontestable advance
represented by Apollonius’s revision, it nonetheless leaves an ambiguity
regarding the designatum of prosôpon: are we talking about extralinguistic
entities, “persons” engaging in dialogue or not, or are we talking about
linguistic entities, “accidents” of the conjugated verb and the pronomial
paradigm (personal pronouns)? Apparently the former, which is surprising coming
from a grammarian who prides himself on correcting another grammarian. In fact,
there is hardly any doubt that in Apollonius, the ambiguity I mentioned is
still attached to the term prosôpon. Consider the following text, taken from
Apollonius’s Syntax 3.59 (Grammatici Graeci 2.2 [p. 325.5–7 Uhlig]): Ta gar
meteilêphota prosôpa tou pragmatos eis prosôpa anemeristhê, peripatô,
peripateis, peripatei [τά γὰϱ μετειληφότα πϱόσωπα τоῦ πϱάγματоς εἰς πϱόσωπα ἀνεμεϱίσθη,
πεϱιπατῶ, πεϱιπατεῖς, πεϱιπατεῖ]. The persons who take part in the act [of
walking] are distributed into persons: I walk, you walk, he/she walks. We can
interpret this to mean that in a group of persons—extralinguistic entities— who
are walking, every utterance concerning the walk will elicit the appearance of
verb endings distributing the walkers among the three grammatical persons: such
is the alchemy of Apollonius’s prosôpon. Jean Lallot BIBLIOGRAPHY Benveniste,
Émile. “Structure des relations de personne dans le verbe.” Chap. 18 in
Problèmes de linguistique générale, 225–36. Paris: Gallimard, 1966. Translation
by M. A. Meek: Problems in General Linguistics. Coral Gables, FL: University of
Miami Press, 1971. Grammatici Graeci. Edited by A. Hilgard, R. Schneider, G.
Uhlig, and A. Lentz. Leipzig: Teubner, 1878–1902. Reprint, Hildesheim, Ger.:
Olms, 1965. Lallot, Jean. La grammaire de Denys le Thrace. Paris: Le Centre
National de la Recherche Scientifique. Wikipedia Ricerca
Liberté, Égalité, Fraternité motto della Francia Lingua Segui Modifica
Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento società non cita le
fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Liberté, Égalité, Fraternité
(in italiano Libertà, Uguaglianza, Fratellanza) è un celebre motto risalente al
Settecento e associato in particolare all'epoca della Rivoluzione francese,
divenuto poi il motto nazionaledella Repubblica Francese. Testo
esposto su un cartello che annunciava la vendita dei biens nationaux, ovvero di
quei possedimenti e domini della Chiesa (edifici, oggetti, terreni e foreste)
che furono confiscati dopo la Rivoluzione francese (1793). All'epoca, il motto
fu talvolta mutato in Libertà, Egualità, Fraternità, o Morte: ma quest'ultima
parte fu poi abbandonata perché troppo fortemente associata con il regime del
Terrore LibertàModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Libertà. La prima parola del motto repubblicano francese è
"Liberté", che fu all'inizio concepita secondo l'idea liberale. La Dichiarazione
dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789) la definiva così: «La libertà
consiste nel potere di fare ciò che non nuoce ai diritti altrui». «Vivere
liberi o morire» fu un grande motto repubblicano, adottato nello stemma
originale del Club dei Giacobini. Sotto il governo giacobino-montagnardodel
Comitato di salute pubblica, di cui Maximilien de Robespierre fu il leader più
importante (cosiddetto regime del Terrore), divenne famoso il motto: «Nessuna
libertà per i nemici di essa». UguaglianzaModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Uguaglianza sociale. Timpano di
una chiesa con un'iscrizione risalente al 1905, anno della legge sulla
separazione tra Chiesa e Stato Secondo termine del motto repubblicano, la parola
"Égalité", significa che la legge è uguale per tutti e le differenze
per nascita o condizione sociale vengono abolite (egualitarismo); ognuno ha il
dovere di contribuire alle spese dello Stato in proporzione a quanto possiede.
Il principio teoricamente era già presente nel concetto di Stato di diritto, ma
con la Rivoluzione Francese venne praticamente messo in atto.
FratellanzaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Fraternità. Nella Dichiarazione dei diritti e doveri del cittadino,
parte integrante e iniziale della Costituzione dell'anno III (1795), la parola
"Fraternité", terzo elemento del motto repubblicano, è definita così:
"Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi"
(cosiddetta etica della reciprocità) Origini e usoModifica I primi
contenuti riferibili al motto Liberté, Égalité, Fraternité sono presenti nel
saggio pubblicato nel 1774 a Londra da Jean-Paul Marat, Work wherein the
clandestine and villainous attempts of princes to ruin liberty are pointed out
("Opera in cui s'illustrano i sotterranei e scellerati tentativi dei
prìncipi di cancellare la libertà"), che egli pubblicherà poi in francese
col titolo più noto Les chaînes de l'esclavage("Le catene della
schiavitù"), dove si anticipavano i temi dell'azione politica: una
violenta presa di posizione contro il dispotismo a favore della sovranità
popolare e dell'uguaglianza. Successivamente, nel libro La Costituzione, o
Progetto di Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789 vengono
ripresi e perfezionati gli ideali di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza che
verranno progressivamente adottati a motto e simbolo. La prima formulazione del
motto è attribuita a Camille Desmoulins (l'inventore anche della coccarda
tricolore francese) per la Festa del 14 luglio 1790, anniversario della presa
della Bastiglia.[1] Sebbene Liberté, Égalité, Fraternité sia un motto
nato dalla Rivoluzione francese e usato nella Prima repubblica, occorre
attendere la IIIe République (Terza Repubblica) perché venga adottato come simbolo
ufficiale: prima di allora il motto subisce una battuta d'arresto, insieme ai
principi fondanti della Repubblica. L'Impero e la Restaurazione trascurarono la
valorizzazione legislativa del motto, che ritorna alla pubblica ribalta solo
nel 1848 grazie alla penna di Pierre Leroux, all'epoca rappresentante del
popolo in seno alla Assemblée Nationale (Assemblea Nazionale). Egli partecipa
attivamente al percorso di riconoscimento del motto come principio costituente
della Seconda Repubblica. Nell'ambito di una repubblica a cui sovente si
pospone l'aggettivo "operaia", il motto acquista significati più
ampi: l'adozione del suffragio universale estende a tutti la Liberté di scelta
politica. La Commission du Luxembourg (Commissione del Luxembourg), nel
promuovere le Associazioni Operaie (antenate delle cooperative di produzione),
estende l'Égalité ai domini specifici dell'economia e della società. Infine,
per mezzo di uno Stato che assegna la sovranità al popolo, la Fraternité
esprime il senso della solidarietà e modera i potenziali ardori estremisti
delle altre due sorelle. Mentre in passato si tendeva a privilegiare l'Égalité
o la Liberté, questa fase storica vede la Francia percorrere la strada della
democrazia con un maggiore equilibrio. Tuttavia, ancora una volta, la
Repubblica si divide: la repressione popolare del giugno 1848 e il ritorno
dell'Empire rimettono in vigore la filosofia e la portata sociale del triplice
motto. È necessario che trascorrano ancora dei decenni per arrivare a vedere, nel
1880, la celebre massima incisa sui frontoni di tutti gli edifici pubblici.
Poi, le Costituzioni del 1946 e 1958riconoscono autorevolmente il valore che il
triplice motto ha per la storia del Paese d'oltralpe. Liberté, Égalité,
Fraternité rappresentano un valore così grande da travalicare i confini della
Francia, sono simboli che hanno portata e rilevanza universali. Questo motto,
nato dalla fucina d'idee della rivoluzione francese, è un caposaldo
irrinunciabile della moderna cultura dell'Occidente. Alcune repubbliche
sorelle della Francia rivoluzionaria come la Repubblica Cisalpina napoleonica e
la Repubblica Napoletana adottarono un motto simile ("Libertà
Eguaglianza" e "Libertà e Uguaglianza"). NoteModifica ^
Yannick Bosc, «Sur le principe de fraternité», 19 janvier 2010. Voci
correlateModifica Emblemi della Francia Motti nazionali Altri progettiModifica
Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file
su Liberté, Égalité, Fraternité Collegamenti esterniModifica liberte, egalite,
fraternite, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata ( EN ) Liberté, Égalité, Fraternité, su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata
(IT) Il motto della Repubblica francese - Il sito ufficiale della Francia
( FR ) Liberté, Égalité, Fraternité, su Les symboles de la République
française, Présidence de la République - Élysée.fr. URL consultato il 9 giugno
2010 (archiviato dall' url originale il 4 aprile 2010). Portale
Francia Portale Rivoluzione francese Ultima modifica 4 giorni fa di
Vituzzu PAGINE CORRELATE Emblemi della Francia Révolution nationale Stemma di
Haiti Wikipedia Il contenutoWikipedia Ricerca Uguaglianza sociale ordinamento
per cui tutte le persone di una società godono degli stessi diritti e doveri
Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce sugli argomenti
diritti umani e sociologia è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla
secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di
riferimento. Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sugli argomenti
diritto e sociologia è priva o carente di note e riferimenti bibliografici
puntuali. L'uguaglianza sociale - che si applica ai diritti e ai doveri della
persona, considerati in termini di giustizia- è un ideale che dà ad ognuno,
indipendentemente dalla sua posizione sociale e dalla sua provenienza, la
possibilità di essere considerato alla pari di tutti gli altri individui in
ogni contesto. Si tratta di un ideale presente, almeno come tale, in tutti i
paesi civilizzati, come rivendicazione di pari dignità individuale e sociale
per tutti. Luigi Taparelli d'Azeglio Mentre il concetto di
giustizia sociale può essere ricondotto alla teologia di sant'Agostino e alla
filosofia di Thomas Paine, il termine "giustizia sociale" iniziò ad
essere esplicitamente utilizzato negli anni '80 del 1700. Al sacerdote gesuita
Luigi Taparelli viene tipicamente riconosciuto l'aver coniato il termine, che
si è poi diffuso durante i moti rivoluzionari del 1848attraverso le opere di
Antonio Rosmini.[1][2] StoriaModifica Studi antropologici su siti
archeologici indicano l'esistenza di una sostanziale uguaglianza nelle società
di cacciatori-raccoglitori mentre con l'avvento dell'agricoltura si rilevano
gli inizi delle disuguaglianze[3]. Concetti di baseModifica L'uguaglianza
sociale è una situazione per cui tutti gli individui all'interno di società o
gruppi specifici isolati debbano avere lo stesso stato di rispettabilità
sociale. Come minimo, l'uguaglianza sociale comprende la parità di diritti
umani e individuali secondo la legge. Esempi sono la sicurezza, il diritto di
voto, la libertà di parola e di riunione, e dei diritti di proprietà. Tuttavia,
essa comprende anche l'accesso all'istruzione, l'assistenza sanitaria e altri
basilari diritti sociali, ed inoltre pari opportunità e obblighi. Genere
sessuale, orientamento sessuale, età, origine, casta o classe, reddito e
proprietà, lingua, religione, convinzioni, opinioni, salute o disabilità non devono
tradursi in una disparità di trattamento. Un problema aperto è la
disuguaglianza orizzontale, la disuguaglianza di due persone della stessa
origine e capacità. Nel mondo contemporaneo, poi, "i confini
dell’uguaglianza sociale si spostano in avanti: dopo le importanti conquiste
dei diritti sociali, legate alle lotte di emancipazione dei lavoratori e alla
costruzione dei moderni welfare state, si apre oggi un piano di azione per una
emancipazione ulteriore, che ha caratteristiche più sottili e insieme più
profonde: quelle della agibilità effettiva dei diritti sociali formalmente
sanciti e del pieno dispiegamento delle capacità individuali ancora compresse o
sotto-utilizzate per una larga parte della popolazione. In questi termini
appare evidente la natura «universalistica» delle nuove politiche, come
politiche per la promozione delle capacità e l’empowerment di tutti i
cittadini. Il principio universalistico dunque è costitutivo dell’approccio di
queste nuove politiche"[4]. In filosofiaModifica L'uguaglianza in
termini aristotelici è l'analogia delle parti da attribuire a soggetti uguali
rispetto a qualche caratteristica specifica (eguaglianza proporzionale) o la
pura uguaglianza matematica. Ci sono diverse forme di uguaglianza relative alle
persone e alle situazioni sociali. Per esempio, si può considerare la parità
tra i sessi per quanto riguarda l'accesso al lavoro; le persone interessate
sono di sesso opposto, la cui situazione sociale comune è l'accesso
all'occupazione. Allo stesso modo, la parità di opportunità, in senso generale,
implica l'idea che le persone dovrebbero essere nelle stesse condizioni di
partenza nella vita, ovvero che tutti dovrebbero avere pari opportunità
indipendentemente dalla loro nascita e successione. Peraltro, una perfetta
uguaglianza sociale è una situazione ideale che, per vari motivi, non ha
riscontro in alcuna società odierna. Le ragioni di ciò sono ampiamente
dibattute: circostanze concrete, addotte per il perpetrarsi della
disuguaglianza sociale, sono comunemente ritenute l'economia,
l'immigrazione/emigrazione, la politica estera e gli altri vincoli di cui
soffre la politica nazionale. Storia delle ideeModifica L'uguaglianza
sociale è un obiettivo politico soprattutto dei partiti di ispirazione
socialista in tutte le sue variegature storiche. Il concetto di uguaglianza
anche in massoneria è estremamente importante, divenendone uno dei cardini
unitamente alla tolleranzaed alla fratellanza. Le battaglie in questa direzione
hanno avuto un apice con l'abolizione dei privilegi della rivoluzione americana
del 1791. La prima parla di Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del
cittadino, versione francese del 1789, comincia così: Les hommes naissent et
demeurent libres e lala7 en droits (Gli uomini nascono e rimangono liberi
e uguali nei diritti). In antitesi vi è il concetto di gerarchiameritocratica
tipico della destra, mentre un sincretismo può considerarsi il
"comunitarismo". Un controesempio di uguaglianza sociale è stata
ritenuta la disuguaglianza sociale dell'Europa medievale.
MedioevoModifica Il concetto di uguaglianza tra le persone si riscontra anche
in epoca medievale. Si tratta di un concetto ereditato dall'epoca della
cavalleria (che raggiunse il suo apice durante il XII secolo), dove grande
importanza aveva l'ideale secondo cui la vera nobiltà sgorgava dal cuore delle
persone, i quali quindi sarebbero stati al fondo tutti uguali. «...tu
vedrai noi d'una massa di carne tutti la carne avere, e da uno medesimo
Creatore tutte l'anime con iguali forze, con iguali potenzie, con iguali virtù
create. La virtù primieramente noi, che tutti nascemmo e nasciamo iguali, ne
distinse;» (Boccaccio, Decameron) Tra gli studiosi dell'epoca medievale
c'è chi (si può citare Huizinga) rintraccia in quei documenti che testimoniano la
diffusione di questo principio i presupposti per poter parlare dell'esistenza
di un ideale egualitaristico già in epoca medievale.[6] Se così fosse,
nonostante la grande diffusione nella letteratura di corte dell'epoca, andrebbe
comunque sottolineato come questo primitivo concetto di uguaglianza si limiti
tuttavia a una mera considerazione di natura morale, senza che sia minimamente
avvertita la necessità, da parte di chi abbraccia tale ideale (nella
fattispecie i membri della nobiltà), di attivarsi per operare attivamente sulla
società per ridurre le disuguaglianze esistenti. Ciò si può anche spiegare in
base al fatto che durante il Medioevo dominava nella cultura popolare e
nobiliare una visione della società divisa in classi, regolate da rapporti
gerarchici ben precisi secondo un ordine che non poteva essere messo in
discussione, in quanto emanazione diretta della Divinità[7]. Rimanendo
nell'ambito di questa interpretazione, l'unica nozione diffusa relativa
all'uguaglianza tra le persone, al di fuori dei già nominati ideali nobiliari,
è l'uguaglianza di tutti di fronte alla morte. Nella Costituzione
italianaModifica In Italia il principio è riconosciuto nell'art. 3 della
Costituzione il quale afferma che: «Tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza,
di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali» (eguaglianza in senso formale) Quest'articolo esprime il
principio di uguaglianza in base al quale non devono essere attuate
discriminazioni di alcun genere tra i cittadini. Tale principio può apparire
scontato ma ci sono state, anche in tempi recenti, situazioni in cui esso non
era assolutamente riconosciuto. Concludendo, poi, che: «È compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana» (eguaglianza in senso sostanziale. Paine,
Agrarian Justice, Printed by R. Folwell, for Benjamin Franklin Bache. ^ J.
Zajda, S. Majhanovich, V. Rust, Education and Social Justice, 2006, ISBN
1-4020-4721-5 ^ Kohler,et al., Greather post-Neolithic wealth disparaties in
Eurasia than in North America and Mesoamerica , Nature, 2017, 551, 619-622, in
Chiara Volpato, Le radici psicologiche della disuguaglianza,Introduzione, 2019,
ed.Laterza, Bari, Paci e E. Pugliese (a cura di), Welfare e promozione delle
capacità, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 25-26. ^ Domenico V. Ripa Montesano,
Vademecum di Loggia, Roma, Edizione Gran Loggia Phoenix, 2009, ISBN
978-88-905059-0-4. ^ L'autunno del Medioevo, p. 82. ^ L'autunno del
Medioevo, p. 77. ^ Tra i contributi alla stesura di questa parte della
norma costituzionale si ricorda quello di Massimo Severo Giannini, offerto su
richiesta del costituente Lelio Basso. Ritenendosi da parte socialista che
fosse “un tradimento fermarci all'enunciazione dell'uguaglianza formale”, ma
non essendo “pensabile una norma di garanzia dell'uguaglianza economica e
sociale, che presupponeva un tipo di Stato allora e anche oggi inesistente”,
Giannini propose due soluzioni alternative: la prima più spinta, che impegnava
la Repubblica a offrire a tutti i cittadini “uguali posizioni economiche e
sociali di partenza”; l'altra che corrispondeva al testo poi accolto. E senza
una minima carica retorica noterà che “non avevamo intenzione di fare del
nuovo, ma solo di affermare un principio di dinamica dell'azione dei pubblici
poteri per una società più giusta” (Cesare Pinelli, Lavare la testa all'asino,
in Mondoperaio, n. 11-12/2015, p. 36). BibliografiaModifica Carlo Crosato,
L'uguale dignità degli uomini. Per una riconsiderazione del fondamento di una
politica morale, ed. Cittadella, Assisi 2013. Huizinga, L'autunno del Medioevo,
Roma, Newton Compton, 2011 [1919] , p. 82. John Rawls, Una teoria
della giustizia, in Sebastiano Maffettone (a cura di), Universale economica,
traduzione di Ugo Santini, 5ª ed., Milano, Feltrinelli, Rousseau, Il contratto
sociale, in Universale economica, traduzione di Jole Bertolazzi, introduzione
di Alberto Burgio, 12ª ed., Milano, Feltrinelli, Alberto Burgio, Eguaglianza,
interesse, unanimità. La politica di Rousseau, Napoli, Bibliopolis, 1989, ISBN
9788870882094. Accademia nazionale dei Lincei, Disuguaglianze e classi sociali:
la ricerca in Italia e nelle democrazie avanzate, in Atti dei convegni lincei,
Roma, Bardi, 2020, ISBN 9788821812026. Voci correlateModifica Differenziazione
sociale Disuguaglianza sociale Distribuzione della ricchezza#Disuguaglianza Egualitarismo
Potere Stratificazione sociale Società (sociologia) Pari opportunità Femminismo
Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni
sull'uguaglianza Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
immagini o altri file sull'uguaglianza Collegamenti esterniModifica
Eguaglianza, su Enciclopedia Treccani, Portale Diritto Portale
Politica Portale Sociologia Egualitarismo dottrina politico-sociale
che propone la parità di diritti e opportunità degli individui Una teoria
della giustizia Uguaglianza di genere in Azerbaigian Wikipedia Il
contenutoeguaglianza Condizione per cui ogni individuo o collettività deve
essere considerato alla stregua di tutti gli altri, e cioè pari, soprattutto
nei diritti civili, politici, sociali ed economici. L'eguaglianza di tutti
davanti alla legge è, assieme alla libertà, un diritto fondamentale dell'uomo e
una delle regole-base di una convivenza democratica. In Italia l'eguaglianza è
garantita dall'articolo 3 della Costituzione. Le costituzioni democratiche
assicurano inoltre l'eguaglianza dei cittadini attraverso la libera
partecipazione alla vita politica e mirano a garantire pari opportunità nella
vita sociale, cioè a offrire a tutti le stesse possibilità di crescita e di
affermazione personale e professionale. eguaglianza formale e
politica Di eguaglianza si parla in molti sensi: innanzitutto come
eguaglianza formale e politica. La prima consiste nel fatto che tutti i membri
della società sono assolutamente eguali nei diritti e nei doveri senza
distinzione di sesso, origine, razza, ricchezza, convinzioni religiose o
politiche, e non devono subire discriminazioni. L'eguaglianza politica, invece,
sta nel fatto che ogni cittadino ha uguale diritto di voto e può a sua volta
essere eletto. Questi ideali di libertà e di eguaglianza si sono venuti affermando
in Europa e negli Stati Uniti alla fine del Settecento, dopo una lunga lotta
contro i regimi monarchici e assolutistici (e contro la Gran Bretagna per le
colonie americane) che riconoscevano, tra l'altro, privilegi e differenze di
status giuridico alle classi aristocratiche. Gli ideali di eguaglianza hanno
trovato espressione nelle dichiarazioni dei diritti della storia inglese (a
cominciare dalla Magna charta libertatum, 1215) e soprattutto nella
Dichiarazione d'indipendenza americana (1776) e nella Dichiarazione dei diritti
dell'uomo e del cittadino approvata dall'Assemblea costituente francese nel
1789, in cui l'enunciazione di tali principi gettava le basi di un nuovo ordine
politico. APPROFONDIMENTO di Stefano De Luca Entrata nella cultura
occidentale con lo stoicismo e soprattutto con il cristianesimo (che considera
tutti gli uomini dotati della stessa dignità, in quanto figli di un medesimo
Padre), l'idea che gli uomini siano eguali tra loro ha giocato un ruolo
decisivo nelle vicende sociali e politiche soltanto a partire dal Seicento. I
principali pensatori politici del 17° e 18° sec. (da T. Hobbes a J. Locke, da
J.-J. Rousseau a I. Kant) partono dall'ipotesi che gli uomini siano liberi ed
eguali e di conseguenza pongono l'origine dello Stato in un accordo volontario
(il patto o contratto) stipulato dagli individui stessi. Mentre per Platone e
Aristotele esisteva una gerarchia 'naturale' (fondata sull'intelligenza e sul
sapere) tra chi è adatto al comando e chi è adatto all'obbedienza - gerarchia
che durante il Medioevo si irrigidì nel criterio ereditario, fondato sulla
nascita - per i moderni pensatori contrattualisti gli uomini dispongono di
eguali diritti e di conseguenza l'ordine sociale e politico è qualcosa di
'artificiale', che gli individui costruiscono tramite accordi. Queste
idee troveranno spettacolare applicazione nelle due grandi rivoluzioni moderne,
quella americana e quella francese, i cui più famosi documenti si aprono con un
solenne richiamo all'idea di eguaglianza. All'inizio della Dichiarazione
d'indipendenza americana (1776) troviamo un elenco di 'verità' autoevidenti, la
prima delle quali è "che tutti gli uomini sono creati uguali"; e nel
primo articolo della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789)
troviamo proclamato il principio secondo cui "gli uomini nascono e
rimangono liberi e uguali nei diritti". 1. Diverse interpretazioni
di una stessa idea Il principio dell'eguaglianza si rivelò ben presto
suscettibile di varie interpretazioni: esso poteva infatti essere invocato sul
piano civile, come eguaglianza di fronte alla legge e nei diritti di libertà
(garanzie giudiziarie, libertà di coscienza, libertà di iniziativa economica);
oppure sul piano politico, come eguale partecipazione al potere tramite il diritto
di voto; oppure, sul piano sociale, come eguaglianza nel possesso di risorse
economiche. La richiesta dell'eguaglianza civile ha caratterizzato, tra 18° e
19° sec., i movimenti politici di ispirazione liberale, la cui principale
preoccupazione era la tutela della libertà individuale da ogni forma di potere
collettivo; l'eguaglianza politica - con la connessa richiesta del suffragio
universale - è stata invece, nella seconda metà del 19° sec., la ragion
d'essere dei movimenti democratici, i quali consideravano la partecipazione di
tutti al potere politico (cioè l'autogoverno collettivo) la forma più alta di
libertà; l'eguaglianza sociale, infine, è stata la bandiera dei movimenti
socialisti, che hanno teorizzato - sino alla metà del 20° sec. - la scomparsa
della proprietà privata e del libero mercato, nella convinzione che la vera
libertà potesse scaturire soltanto dall'eguale possesso delle risorse
economiche e non dal possesso di 'diritti astratti'. Tra questi diversi
tipi di eguaglianza, la differenza più grande è quella che separa l'eguaglianza
formale da quella sostanziale. L'eguaglianza nei diritti civili e politici è
un'eguaglianza formale, perché riguarda la sfera dei diritti e non quella dei
beni; di conseguenza, è compatibile con un grado più o meno ampio di
diseguaglianza sociale. Il fatto di essere eguali di fronte alla legge e nelle
libertà individuali significa che ogni individuo non subisce discriminazioni e
che dispone delle stesse facoltà: ma quanto ai risultati, sul piano sociale,
questi dipenderanno dal suo impegno e dalla sua abilità. Anche l'eguaglianza
politica non incide direttamente sulla sfera sociale, sebbene la partecipazione
di tutti al voto (e quindi, indirettamente, alle decisioni legislative) possa
far prevalere politiche di ridistribuzione della ricchezza. L'eguaglianza
sociale, invece, è un'eguaglianza di tipo sostanziale, giacché non riguarda i
diritti, ma i bisogni, e si traduce nell'eguale distribuzione dei beni: poiché
si tratta di una forma radicale di eguaglianza, in questo caso si è soliti
parlare di egualitarismo. 2. Diritti sociali e pari opportunità Se
per gran parte del 19° sec. lo scontro è stato soprattutto tra liberali e
democratici (divisi dal tema del suffragio universale), nel secolo successivo
lo scontro è stato tra liberali e democratici da un lato e socialisti e
comunisti dall'altro, divisi dal tema dei diritti civili, dei diritti politici
e della libertà economica: dal punto di vista dei socialisti e dei comunisti,
infatti, l'eguaglianza civile e politica era soltanto una maschera degli
interessi economici della borghesia, i quali determinavano la più reale e
oppressiva delle diseguaglianze. Nel corso del Novecento, tuttavia, sono sorte
correnti di socialismo democratico o riformista, che non rifiutavano i diritti
conquistati da liberali e democratici, ma pensavano piuttosto a integrarli con
una serie di diritti e politiche sociali (diritti sindacali, istruzione,
assistenza sanitaria e pensionistica, assegni di disoccupazione, servizi
sociali), il cui scopo è correggere gli squilibri dell'economia di mercato e
ridurre le diseguaglianze sociali. Per altro verso, anche nel pensiero liberale
si è manifestata una maggiore sensibilità sociale, che si è concretata nel
principio dell'eguaglianza delle opportunità, che mira (attraverso le borse di
studio, i prestiti d'onore e altri strumenti) a dotare tutti gli individui
delle stesse possibilità, cioè ad eguagliare i punti di partenza. A
partire dagli anni Sessanta del Novecento, il tema dell'eguaglianza ha giocato
un ruolo decisivo nella questione femminile, ossia nella lotta per eliminare le
discriminazioni e le diseguaglianze tra uomini e donne sul piano dei rapporti
personali e dei ruoli pubblici. Il tema delle 'pari opportunità', in questo
ambito, ha avuto negli ultimi anni un grande risalto: sono sorte infatti
apposite istituzioni il cui scopo è garantire, per le donne, eguali possibilità
di carriera nel settore pubblico e privato e una maggiore presenza nella vita
politica (a livello locale e nazionale).egualitarismo Concezione
politico-sociale tendente a realizzare, accanto all’uguaglianza di diritto
sancita dalle norme costituzionali o legislative, una uguaglianza di fatto,
fondata sull’equa ripartizione dei beni e delle fortune tra tutti i membri di
una società. L’egualitarismo affonda le sue radici nell’Illuminismo e nella
Rivoluzione francese e ha ricevuto particolare impulso dai movimenti
socialisti. 1. Egualitarismo salariale Tipo di politica sindacale
mirante a ridurre le differenze retributive tra le diverse qualifiche
nell’ambito di una categoria o nell’insieme dei lavoratori dipendenti. In
Italia si è parlato di egualitarismo salariale per gli aumenti retributivi in
cifra fissa previsti dai contratti collettivi di lavoro (1969-79) e per
l’unicità del punto di contingenza (1975-86).Roberto
Esposito. Esposito. Keywords: fascismo, il Sistema dell’in/differenza, Vico,
Spaventa, Machiavelli, Bruno. Tanato-ethics, tanato-politica, three features of
the conversational imperative: generality: formal generality, applicational
generality, conceptual generality. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Esposito” –
The Swimming-Pool Library.
Grice ed Eudemo – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The father of Publio Elio
Aristides. A philosopher. Antonino liked him.
Grice ed Eudemo – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of Galen. Lizio.
Grice d Eudico – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. A Pythagorean, according to
Giamblico.
Grice ed Eudosso – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Pupil of Archita di Taranto.
Grice ed Eulogio – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Little is known about him other
that he was a philosopher and that the emperor Leo I arranged for him to be
supported at public expense.
Grice ed Eumenio – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma) FIlosofo italiano. He studied philosophy alongside
Pharianus and Giuliano.
Grice ed Eufemo – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to
Giamblico.
Grice ed Eurimedon –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to
Giamblico.
Grice ed Eurifamo – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. According to Giamblico,
Eurifamo was a disciple of Pythagoras. As an indication of how seriously
Pythagoreans took any agreement, Giamblico relates how Eurifamo once asked Lisi
of Taranto to wait for him outside the temple of Era. Lisi agreed. Eurifamo forgot
all about him and returned the next day to find Lisi still waiting there. Some
fragments of a work on life supposedly by him have survived.
Grice ed Eurifemo – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a
Pythagorean.
Grice ed Eurito – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. The information concerning
Eurito is extremely confused. Giamblico describes him as a pupil of both
Pythagora and Filolao di Crotona. He is variously described as coming from
Taranto, Metaponto, and Crotone. According to Diogene Laerzio, Plato visits Filolao
and Eurito in Italia. The connections with Pythagoreanism and Italy are
constants, but unless Eurito lived an ionordinately long time, it seems safer
to assume either that two people by the same name have been confused with each
other, or that some of the information is simply wrong. The association with
Filolao is widely attested and seems unlikely to be wholly mistaken.
Grice ed Eusebio – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Eusebio was the tutor of Sidonio
and Probo. He had his own schoot at Arelate (Arles).
Grice ed Eusebio – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend and teacher of Giuliano.
Grice ed Eustatio – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Appears in the Saturnalia of
Macrobius.
Grice ed Eutino – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. Pythagorean according to
Giamblico.
Grice ed Eutino – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Pythagorean according to
Giamblico.
Grice ed Eutosion – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. A Pythagorean according to
Giamblico.
Grice ed Eutropio – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of Sidonius. Chastised by
Sidonius for manifesting an indifference to public service that smacked of The
Garden.
Grice ed Evagrio – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Evagrio was an aristocratic
philosopher based in Rome.
Grice ed Evandro – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean according to
Giamblico.
Grice ed Evandro – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean, according to
Giamblico.
Grice ed Evanor – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari) – Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico.
Grice ed Evareto – Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Quinto Elio Egrilio Evareto was a
philosopher in Rome, a friend of the lawyer and legal scholar Publio Salvio
Giuliano.
Grice ed Evete – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. A Pythagorean according to
Giamblico.
Grice ed Evola --romanità – l’implicatura
di Romolo – filosofia romana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice:
“Evola was a bit of a linguistic philosopher; I enjoyed his rambling on the
proper use of “Latin” versus “Roman;” Evola notes that the implicatures differ.
‘Roman’ he links with Spartan, and he opposes to the formation, ‘greco-romano’
o ‘classico’ – “Latin” he applies to “lingua romana,” as Orazio and Tacitus had
done!” – Grice: “If I had to think of the equivalent linguistic analysis by an
English philosopher, I can only think of DeFoe, and his satire on what
constitutes an Englishman! Later parodied by Gilbert and Sullivan and put to
good effect in “Chariots of Fire,” where Abrams is seen referred to as “HE IS..
an Englishman! For he himself has said it!” -- - Italian philosopher – Figlio di Vincenzo e Concetta Mangiapane, barone
di Castropignano. Studia a Roma. Manifesta un'opposizione a Roma, soprattutto
in riferimento alla teoria del peccato e della redenzione, del sacrificio
divino e della grazia. Studia filosofia. Entra in contatto con
alcuni esponenti del Futurismo quali Balla e Marinetti. Partecipa alla
esposizione futurista a Palazzo Cova, Milano. Rientra a Roma dopo il conflitto
ed attraversa una profonda crisi esistenziale che lo porta al bordo del
suicidio. Aderisce al Dadaismo ed entra in contatto
epistolare con Tzara. Fonda “Bleu” Esce un saggio sull'idealismo magico. Si
deve superare i limiti dell'umano per andare verso “l'oltre-uomo”.Studia la teoria
e fenomenologia dell'individuo assoluto. Nel “L'uomo come Potenza”
compare una concezione dell'io ispirata ai dettami del tantrismo e del
taoismo. Queste ultime opere segnano un'ulteriore svolta: passaggio da
una posizione filosofica di tipo teoretico ad una di tipo pragmatico. Cerca
infatti di individuare strumenti concreti per mezzo dei quali calare nella vita
quotidiana la teoria dell'Individuo assoluto. Inizia un'intensa esperienza giornalistica:
partecipa alla redazione di Lo Stato democratico e collabora a riviste come
Ultra, Bilychnis, Ignis, Atanor e Il mondo. Frequenta i circoli esoterici
romani e partecipa alla vita notturna della capitale. Disumano qual è, gelido architetto
di teorie funambolesche, vanitoso, perverso, s'è trovato dinanzi a me come a
cosa tutta viva, tutta schietta, mentre aveva fantasticato chissà quale
avventura necrofila. E questa cosa tutta schietta l'ha turbato, l'ha commosso,
segretamente. Coordina “Ur”, che si occupa di esoterismo. Conosce Reghini.
Pubblica “Paganesimo.” Attacca violentemente Roma ed esorta a ritrovare la grandezza
della civiltà romana. Oserà dunque Italia assumere qui, qui donde già le aquile
imperiali partirono per il dominio del mondo sotto la potenza augustea, solare,
regale, oserà qui riprendere la fiaccola della tradizione mediterrane?
Influenzato da Guénon abbandona in seguito le tesi estremiste a favore del
concetto di “tradizione" e fonda “La Torre” destinata a difendere principi
sovrapolitici, in realtà una tribuna di filosofi che si battevano per una
Italia più radicale e più intrepida. Critiche mosse ad alcuni personaggi del
Regime dalle pagine de La Torre, provocano l'intervento di Starace che prima
diffida Evola dal continuare la pubblicazione, poi proibisce a tutte le
tipografie romane di stampare la rivista la cui pubblicazione, alla fine, viene
sospesa. Viene sorvegliato dal regime in quanto accusato di affiliazione
all'Ordo Templi Orientis ed è costretto ad assumere alcune guardie del corpo
(come testimoniato da Massimo Scaligero). In Meditazioni delle vette, intende
l'alpinismo come pratica ascetica e meditazione spirituale: superamento dei
limiti della condizione umana attraverso l'azione e la contemplazione, che
divengono due elementi inseparabili, un'ascesa che si trasforma in ascesi. Successivamente
pubblica due saggi La tradizione ermetica e Maschera e volto dello spiritualismo.
“La tradizione ermetica” è una disamina dell'aspetto magico, esoterico e simbolico
dell'alchimia. “Il volto e la maschera” è un saggio critico su quella filosofia
che invece di elevare l'uomo dal razionalismo e dal materialismo, lo portano
ancora più in basso: spiritismo, teo-sofia, antropo-sofia e psicoanalisi. In “Rivolta
contro il mondo” traccia un affresco della storia letta secondo lo schema
ciclico tradizionale delle quattro età: oro, argento, bronzo e ferro nella
tradizione occidentale. Analizza le categorie qualificanti l'uomo della
tradizione e le anticha "razza divina” Esamina a fondo Il mistero del
Graal e le sue implicazioni dottrinarie nelle visioni dei diversi periodi
storici, impostando tutta la sua disamina sul concetto di "tradizione
ghibellina dell'impero", cercando di svincolare il Graal e la sua portata
simbolica da Roma. Collabora attivamente con la Scuola di mistica da Giani,
tenendo alcune conferenze e figurando nel comitato di redazione della rivista
Dottrina. La maggior parte degli interventi di Evola in conferenze e scritti,
riguardano principalmente il concetto di “razza divina”, argomento che trova
appoggio da parte di Giani. Il concetto di “mistica” rappresenta
un'incongruenza potendo parlare, al più, di “etica.” Questo perché in realtà la
dottrina non affronta il problema dei valori superiori, i valori del sacro,
solo in relazione ai quali si può parlare di mistica. Evola ravveda nella
mistica un elemento rilevatore di una spiritualità lunare e del polo femminile.
E infatti il sottotitolo di Diorama filosoficola pagina prima mensile e poi
quindicinale curata da Evola nel quotidiano Il Regime è: Problemi dell’etica. Una
serie di scritti di Evola relativi alla scuola di mistica, sono stati
pubblicati dall'editore Controcorrente e aiutano in parte a chiarire le
posizioni assunte dal filosofo all'interno della suddetta corrente. Sia
in fatto o nell’ideale, esiste una opposizione fra l'uomo ariano e tradizionale
europeo e l’altri. L’ariano e capace di concepire e di realizzare un'armonia
fra corpo ed anima (“La civiltà occidentale”, Augustea). In “Mito del Sangue
ricostruisce le concezioni sulla razza dalle civiltà fino alle teorie di Gobineau,
Woltmann, de Lapouge, e Chamberlain. L'ariano (da "Arya") appartiene
al corpo e lo spirito. Si esprime negativamente sul colonialismo giudicando
l'Etiopia conquistata dall'Italia nient'altro che una contraffazione
degenerescente di un organismo tradizionale. Critic ail materialismo zoologico.
Ha una concezione dell'uomo come essere costituito da corpo, anima e spirito,
dove lo spirito deve avere il primato sull’anima e il corpo. L’opportunità di
questa formulazione risiede nel fatto che una razza può degenerare, anche
restando biologicamente pura, se lo spirito è diminuito o obnubilat, se ha perso
la propria forza, come presso certi tipi nordici. Un corpo di una data razza si
liga in un individio lo spirito di un'altra razza. Respinge ogni teorizzazione
del razzismo in chiave “zoologica”! ponendo il pensatore tradizionale tra
coloro che «imboccata una certa strada, la seppero percorrere, in confronto con
tanti che scelsero quella della menzogna, dell'insulto, del completo
obnubilamento di ogni valore culturale e morale, con dignità e persino con serieta.
Non è il solo a prendere le distanze dal razzismo zoologico. Altre note figure
della cultura del tempo, come Acerbo, e meno note, come Mazzei, se ne
dissociano. L'impostazione critica data da De Felice su questo passaggio del
pensiero di Evola è particolarmente apprezzata dagli autori filo-evoliani.
Anche Orano sviluppa, secondo taluni, una forma di razza divina etico-sociale
che rinvia a Il mito del sangue di Evola. Primo, in ordine di tempo fu Orano. Dietro
di lui, con una vena più scadente, comparvero Romanini ed Evola. C’e tre ordini
di razza: corpo, anima, spirito. Dunque, Evola riprende, seppur in maniera meno
esplicita, alcune delle teorie del de Gobineu che cercano di identificare una
gerarchia ideale nei gruppi delle razze umane. Cio non impedisce ad Evola di
avere una "doppia affiliazione" ed essere pure membro della
Massoneria. Evola non aderisce al Partito e tale mancata adesione gli impedisce
di arruolarsi come volontario contro l'Unione Sovietica nel corso della Seconda
guerra mondiale. Critica del germanismo tuttavia l'incompletezza
nell'attuazione di questo programma, non abbastanza radicale e aderente ai
principi della "Tradizione".Per esempio una difesa della razza e improntata
giuridicamente e il potere e derivato dal popolo e non un potere regale di
origine divina come nell'ideale società ario-germanica delle origini. Teorizza
dunque il tradizionalismo puro, ideale e radicale, capace di attuare i propri
principi e di far trionfare la cultura romana pagana delle origini -- un impero
europeo e pagano sotto la guida egemonica della Roma di Cesare. Fa ritorno
nell'Italia liberata solo al termine della guerra. Essendo rigorosamente
contrario all'abrogazione della Monarchia e alla trasformazione dell'Italia in
una Repubblica, intraprende tentativi di influenza.Si occupa di studiare e
combattere le trame occulte e antitradizionali della massoneria. Pubblica
“Impero”.Scrive Evola: “Io potevo aver difeso e potevo continuare a
difendere certe concezioni in fatto di dottrina dello Stato. Si era liberi di
fare il processo a tali concezioni. Ma in tal caso si dovevano far sedere sullo
stesso banco degli accusati: Platone, un Metternich, un Bismarck, il Dante del
De Monarchia e via dicendo.” Si tenta di effettuare una "doppia
lettura" dei suoi testi: una lettura palese per il volgo ed una "esoterica"
per gli "iniziati". Pubblica “Gli uomini e le rovine” che esercita
grande influenza negli ambienti della destra italiana nel quale spiega la
decadenza del mondo moderno in seguito alla distruzione del principio di
autorità e di ogni possibilità di trascendenza per l'affermarsi del
razionalismo, in contrasto con le antiche civiltà e i valori della tradizione. In
“Metafisica del sesso” tratta la forza magica e potentissima dell'atto
sessuale, attraverso lo studio dei simboli esteso a numerose tradizioni. L'«Operaio»
in Jünger. “Cavalcare la tigre”. Scrive sul concetto metafisico ed immanente di
tradizione, come Il Ghibellino. “Gli uomini e le rovine” e “Cavalcare la tigre”
sono considerati due testi fondamentali grazie ai quali c'è una fattiva
adesione al ribellismo anti-sistema”Pubblica Il cammino del cinabro, la sua
autobiografia, e L'arco e la clava. Assiste alla costituzione dei
“dioscuri”, sodalizio dedito al ripristino della cultualità romana ed italica,
di cui è uno degli ispiratori, attraverso i suoi scritti sulla romanità, il
paganesimo e le idee imperiali, oltre che attraverso un particolare rapporto di
intimità con i dioscuri. Solstitivm. Evola è propugnatore del
Tradizionalismo, un modello ideale e sovratemporale di società caratterizzato
in senso spirituale, aristocratico e gerarchico. Tale modello si riscontra, da
un punto di vista storico, in la civiltà romana. La civiltà romana non si basa
su criteri economici, materiali e biologici, ma e suddivisa e gestita in base a
criteri di gerarchia sociale di carattere ereditario e spirituale. Ogni
azione che avviene durante la vita biologica (il divenire) rispecchia
direttamente una medesima azione di carattere metafisico (l'essere) e dunque
imperitura e sovratemporale. Il cammino dell'uomo avviene attraverso un
percorso di tipo circolare. Traccia di questa teoria la si trova, ad esempio,
nella teoria delle *cinque età* (dell'oro, dell'argento, del bronzo, degli
eroi, del ferro). La civiltà romana, ritenuta superiora da Evola si basa dunque
su una più elevata dimensione metafisica e spirituale dell'esistenza, anziché
su criteri di ordine materiale. L'uomo ha la possibilità di elevarsi alla sfera
divina e metafisica attraverso precise strade (il rito e l'iniziazione),
utilizzando determinati strumenti (l'azione e la contemplazione) all'interno di
contesti sociali predeterminati (la casta, l'impero). Non esiste differenza
quantitativa tra l'uomo e il dio. Ogni uomo è un dio mortale. Ogni dio un uomo immortale.
La razza e "spirituale". Rifiuta una visione zoological, in favore di
un patrimonio di tendenze e attitudini che, a seconda delle influenze
ambientali, giunge rebbero o meno a manifestarsi compiutamente. L'appartenenza
a questa razza spiritual si individuerebbe dunque sulla base dello spirito, e
in seguito del corpo, diventandone col tempo questo ultime il segno visibile. E
un concetto metafisico di razza. La romanita spirituale del quale parla Evola
parte appunto dal dato biologico, che gli pare ancora troppo zoologico, rozzo e
deterministico, per sublimarlo e portarlo a pieno compimento sul piano dello
spirito – non romano, ma romanita --, ossia sul piano metafisico. Intendeva
potenziare e nobilitare la romanita, avvolgendolo in una nebulosa
filosofeggiante e scrostandolo di quel tanto di ruvido zoologismo. Vengono
ritrovate sette lettere da Evola a Croce (più una indirizzata all'editore
Laterza. Evola invia inizialmente a Croce la richiesta di intercedere presso Laterza
per la pubblicazione dei “Idealismo magico” e “Teoria dell'individuo assoluto”.
La seconda e una cartolina postale di Croce ringraziandolo per il giudizio di
apprezzamento sul lato formale dei due manoscritti dell’Idealismo magico e
Teoria dell’individuo assoluto. Laterza, nonostante l'appoggio favorevole
di Croce, Laterza scrive una lettera in
cui precisa di volersi riservare la massima libertà di decidere anche nei
riguardi di autorevoli amici. Evola scrive a Croce chiedendo aiuto per “La
tradizione ermetica”, un saggio sull'alchimia. In una quarta lettera, Evola
ringrazia Croce per l'interessamento. “La tradizione ermetica” esce per i tipi
dell'editore barese. Evola invia quattro lettere a Gentile. Nonostante le
marcate divergenze sul piano filosofico Evola si discosta dall'attualismo
gentiliano in favore di una rigida codificazione teoretica (l'idealismo magico)
il pensatore tradizionale cerca un confronto con uno dei massimi esponenti del
mondo accademico. Tale confronto non produce risvolti interessanti sotto il
profilo speculativo in quanto i due filosofi sono su posizioni eccessivamente
distanti, ed anche i presupposti dottrinali sono inconciliabili. Il
tentativo di Evola di aprire un colloquio costruttivo rimane un fiore che non
sboccia. Evola cerca di costruire, pur senza risultati apprezzabili, un punto
di riferimento culturale alternativo al gentilismo. Nel Cammino dei cinabro
tenta di spiegare così le ragioni di questo mancato incontro.“Ogni riferimento
extra-filosofico di cui il mio sistema filosofico e ricco sirve come un comodo
pretesto per l'ostracismo. Si poteva liquidare con un'alzata di spalle un
sistema che accordava un posto perfino al mondo dell'iniziazione, della
"magia" e di altri relitti superstiziosi. Che tutto ciò da me fosse
fatto valere nei termini di un rigoroso pensiero speculativo, a poco sirve.
Però anche da parte mia vi e un equivoco, nei riguardi di coloro ai quali, sul
piano pratico, la mia fatica speculativa posse servire a qualcosa. Si tratta di
una introduzione filosofica ad un mondo non filosofico, la quale posse avere un
significato nei soli rarissimi casi in cui la filosofia ultima avesse dato
luogo ad una profonda crisi esistenziale. Ma vi e anche da considerare (e di
questo in seguito mi resi sempre più conto) che i precedenti filosofici, cioè
l'abito del pensiero astratto discorsivo, rappresentano la qualificazione più
sfavorevole affinché tale crisi potesse essere superata nel senso positivo da
me indicato, con un passaggio a discipline realizzatrici.” Gentile tuttavia
riconosce ad Evola una certa competenza in campo esoterico-alchemico ed infatti
chiede al filosofo della tradizione di curare la voce “atanor” per
l'Enciclopedia Italiana. Anche alcuni allievi di Gentile riconoscono ad Evola
una certa stima, in particolare Calogero. Giuli successivamente riporta altre
informazioni, relative al carteggio Evola-Gentile, reperite all'interno della
"Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici", occupandosi
dei saggi che Evola invia con dedica a Gentile. Invia sette lettere a
Schmitt che mette in luce da una parte alcune amicizie e conoscenze in comune
tra i due pensatori (Jünger, Mohler e il principe di Rohan), dall'altra il
tentativo di proporre la pubblicazione in italiano del saggio di Schmitt sul
tradizionalista Cortes.Tale tentativo non va in porto, così come fallisce anche
il secondo progetto di pubblicare un'antologia schmittiana. Di rilievo,
all'interno dello scambio epistolare, le due divergenti visioni rispetto al
ruolo dell'uomo politico e la sua autonomia. Evola interpreta il concetto di
dittatura incoronata come «necessità di un potere che decida assolutamente, ma
ad un livello di una dignità superiore, indicata dall'aggettivo incoronata. Per
Schmidt, invece, esiste prima di tutto un passaggio significativo che porta dal
concetto della legittimità del regnare a quello della dittatura. La dittatura
incoronata significa solo un pis-aller pratico mai ha concepito questo
espediente pragmatico come una forma di salvezza. E in questo caso così come
già ampiamente esposto in Rivolta contro il mondo moderno, il costante rimando di
Evola ad un fondamento trascendente dell'ordine politico rimane quell'ineliminabile
discrimine che non può essere in alcun modo occultato o minimizzato. L'epistolario
assume rilievo in relazione al tentativo di fornire di solidi contrafforti
ideologici e culturali il mondo conservatore che, nel dopoguerra italiano, si
trovava a combattere la sua battaglia politica. Entra in contatto epistolare
con Benn, appartenente alla cosiddetta Rivoluzione conservatrice. Il primo incontro
risale durante la tappa berlinese di un viaggio che Evola effettua in Germania.
Da quell'incontro scaturisce una recensione-saggio di Benn alla versione di “Rivolta
contro il mondo moderno” che appare in “Die Literatur di Stoccarda”. Nel
presentare “Rivolta contro il mondo moderno”, Benn espone le sue teorie
convergendo con la visione del mondo di Evola. Si ha rintracciato tre lettere
da Evola a Benn. Le lettere sono importanti in quanto chiariscono la comunanza
di vedute dei due autori rispetto al tema della tradizione e di una visione del
mondo conservatrice, oltre al fatto che entrambi non si riconoscono nel
establishment. “Sono sempre più convinto che a chi voglia difendere e
realizzare senza compromessi di sorta una tradizione spirituale e aristocratica
non rimanga purtroppo, oggi e nel mondo moderno, alcun margine di spazio; a
meno che non si pensi unicamente a un lavoro elitario». E un tentative di riprendere,
nel dopoguerra, i rapporti con i filosofi conservatori. Invia lettere a Tzara. Si
tratta di una trentina di documenti tra lettere e cartoline. Molte tappe del
cammino artistico del filosofo romano sono già note prima del rinvenimento
della corrispondenza con Tzara: in parte perché lo stesso Evola ne parla nella
sua autobiografia, in parte perché dedotte dai critici e dagli studiosi nelle
partecipazioni, in qualità di articolista, che ha in alcune riviste d'arte
dell'epoca: Noi, Cronache d'Attualità, Dada e Bleu. Ciò che invece non è noto
prima del rinvenimento della corrispondenza, sono le modalità dell'avventura
evoliana nella sfera artistica, ovvero come essa si attuò, come fu vissuta, a
che mirava. L'archivio della corrispondenza tra i due artisti ha, inoltre, il
pregio di colmare il vuoto di un periodo poco conosciuto di Evola. Questo vuoto
si colma sia attraverso la ricostruzione di tappe cronologiche (il recupero di
alcune date, partecipazioni a mostre, riviste, incontri) sia attraverso il
recupero di tappe più specificamente psicologiche. In particolare quelle che
portano Evola ad annunciare il proprio suicidio e che raccontano di un uomo
colto nel pieno male di vivere, di una sperimentazione del travaglio interiore
che l'artista vive, dove la sofferenza acuta si alterna alla disperazione. Altre
opere: “Arte astratta, posizione teorica” (Roma, Maglione e Strini); La parole
obscure du paysage intérieur, Roma-Zurigo, Collection Dada); Saggi
sull'idealismo magico, Todi-Roma, Atanòr);
L'individuo e il divenire del mondo, Roma, Libreria di Scienze e
Lettere); “L'uomo come potenza, Todi-Roma, Atanòr, “Teoria dell'individuo assoluto,
Torino, Bocca); “Imperialismo pagano, Todi-Roma, Atanòr); “Fenomenologia
dell'individuo assoluto” (Torino, Bocca); “La tradizione ermetica, Bari,
Laterza); “Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, Torino, Bocca);
“Rivolta contro il mondo moderno, Milano, Hoepli); “Tre aspetti del problema” (Roma,
Mediterranee); “Il mistero del Graal, Bari, Laterza); “Il mito del sangue,
Milano, Hoepli); “Indirizzi per una educazione” Napoli, Conte); “Sintesi di
dottrina” (Milano, Hoepli); La dottrina del risveglio, Bari, Laterza); “Lo Yoga
della potenza, Torino, Bocca); “Orientamenti, Roma, Imperium”; “Gli uomini e le
rovine, Roma, Edizioni dell'Ascia); “Metafisica del sesso, Todi-Roma, Atanòr);
L'«Operaio» in Jünger, Roma, Armando); “Cavalcare la tigre, Milano, Vanni Scheiwiller);
Il cammino del cinabro, Milano, Vanni Scheiwiller); “Saggio di una analisi critica” (Roma, Volpe);
“L'arco e la clava, Milano, Vanni Scheiwiller); “Raâga Blanda, Milano, Vanni
Scheiwiller); “Il taoismo, Roma, Mediterranee); Ricognizioni. Uomini e problemi,
Roma, Mediterranee); Lao Tze, Il libro della via e della virtù, Lanciano,
Carabba, Cesare Della Riviera, Il mondo magico de gli heroi, Bari, Laterza, René
Guénon, La crisi del mondo moderno, Milano, Hoepli, Emanuel Malinski, Léon De Poncins, La guerra
occulta, Milano, Hoepli, Gustav Meyrink, Il Domenicano bianco, Milano, Fratelli
Bocca Editori, Gustav Meyrink, La notte di Valpurga, Milano, Fratelli Bocca
Editori); Johann Jakob Bachofen, La virilità (Torino, Bocca); Gustav Meyrink,
L'Angelo della finestra d'Occidente, Milano, Fratelli Bocca Editori, Mircea
Eliade, Lo sciamanesimo e le tecniche dell'estasi, Milano, Fratelli Bocca
Editori, Ur, Introduzione alla magia come scienza dell'Io, Torino, Bocca, Otto
Weininger, Sesso e carattere, Milano, Bocca, Oswald Spengler, Il tramonto
dell'occidente, Milano, Longanesi,
Eduard Erkes, Credenze religiose della Cina antica, Roma, IsMEO, “Pitagora
I Versi d'Oro” (Todi-Roma, Atanòr); Lao Tze, Il Libro del Principio e della sua
azione, Milano, Ceschina, Gabriel Marcel, L'uomo contro l'umano, Roma, Volpe, E.
Jünger, Al muro del tempo, Roma, Volpe, Hans-Joachim Schoeps, Questa fu la
Prussia, Roma, Volpe, Erik Von Kuehnelt-Leddihn, L'errore democratico, Roma,
Volpe); Theodor Litt, Le scienze e l'uomo, Julius Evola, Roma, Armando, Pascal
Bewerly Randolph, “Magia Sexualis”, Evola, Roma, Mediterranee, K. Loewenstein,
La Monarchia nello Stato moderno, Julius Evola, Roma, Volpe) Robert Reininger,
Nietzsche e il senso della vita” (Roma, Volpe); Arthur Avalon, Il mondo come
potenza, Roma, Mediterranee, Daisetsu Teitarō Suzuki, Saggi sul Buddhismo Zen
1, Roma, Mediterranee, Lu Tzu, Il mistero del fiore d'oro, Roma, Mediterranee, Lu
K'uan Yû, Lo Yoga del Tao, Roma, Mediterranee, Come “Carlo d'Altavilla”: Theodor
Litt, Istruzione tecnica e formazione umana, Roma, Armando, Gustav Meyrink,
Alla frontiera dell'Aldilà, Napoli, Casa Editrice Rocco, Theodor Litt, Eduard
Spranger, Enrico Pestalozzi, Roma, Armando, Franz Hilker, Pedagogia comparata: storia,
teoria e prassi, Roma, Armando, Jacques Ulmann, Ginnastica, educazione fisica e
sport dall'antichità ad oggi, Roma, Armando, Karlfried Graf Dürckheim, Hara: il
centro vitale dell'uomo secondo lo Zen, Roma, Mediterranee, Bernard George,
L'ondata rossa sulla Germania dell'Est, Roma, Volpe, Erik von Kuehnelt-Leddihn,
L'errore democratico, Roma, Volpe, Hans Reiner, Etica, teoria e storia, Roma,
Armando,Stephan Leibfried, L'università integrata: l'istruzione superiore nella
Repubblica federale tedesca e negli Usa,
Roma, Armando, Ernst Cassirer, Saggio sull'uomo: introduzione ad una
filosofia della cultura, Roma, Armando, Walter Wefers, Basi e idee dello Stato
spagnolo d'oggi, Roma, Volpe, François Gaucher, Idee per un movimento, Roma,
Volpe, Donald Edward Keyhoe, La verità sui dischi volanti, Milano, Atlante,
Altre: I saggi di "Bilychnis", Padova, Edizioni di Ar, I saggi della
"Nuova Antologia", Padova, Edizioni di Ar, L'idea di Stato, Padova,
Edizioni di Ar, Gerarchia e democrazia, Padova, Edizioni di Ar, Meditazioni
delle vette, La Spezia, Edizioni del Tridente, Diario, Genova, Centro Studi Evoliani,
Etica aria, Genova, Centro Studi Evoliani, L'individuo e il divenire del mondo,
Carmagnola, Edizioni Arktos, Simboli della Tradizione Occidentale, Carmagnola,
Edizioni Arktos, La via della realizzazione di sé secondo i misteri di Mitra,
Roma, Fondazione, Considerazioni sulla guerra occulta, Genova, Centro Studi
Evoliani, Le razze e il mito delle origini di Roma, Monfalcone, Sentinella, Il
problema della donna, Roma, Fondazione Julius Evola, Ultimi scritti, Napoli,
Controcorrente, La Tradizione di Roma, Padova, Edizioni di Ar, Due imperatori,
Padova, Edizioni di Ar, Cultura e politica, Roma, Fondazione Julius Evola, Citazioni
sulla Monarchia, Palermo, Edizioni Thule, L'infezione psicanalitica, Roma, Fondazione
Julius Evola, Il nichilismo attivo di Federico Nietzsche, Roma, Fondazione
Julius Evola, Lo Stato, Roma, Fondazione Julius Evola, Europa una: forma e
presupposti, Roma, Fondazione Julius Evola, La questione sociale, Roma,
Fondazione Julius Evola, Saggi di dottrina politica, Sanremo, Mizar, La satira
politica di Trilussa, Roma, Fondazione Julius Evola, Scienza ultima, Roma,
Fondazione Julius Evola, Spengler e il "Tramonto dell'Occidente",
Roma, Fondazione Julius Evola, Lo zen, Roma, Fondazione Julius Evola, I tempi e
la storia, Roma, Fondazione Julius Evola, Civiltà americana, Roma, Fondazione
Julius Evola, La forza rivoluzionaria di Roma, Roma, Fondazione Julius Evola, Scritti
sulla massoneria, Roma, Edizioni Settimo Sigillo, Oriente e occidente, Milano,
La Queste, Un maestro dei tempi moderni: René Guénon, Roma, Fondazione Julius
Evola, Julius Evola, Filosofia, etica e mistica del razzismo, Monfalcone,
Sentinella d'Italia, Monarchia, aristocrazia, tradizione, Sanremo, Casabianca, I
placebo, Roma, Fondazione Julius Evola, Gli articoli de "La Vita
Italiana" durante il periodo bellico, Treviso, Centro Studi Tradizionali, Dal
crepuscolo all'oscuramento della tradizione nipponica, Treviso, Centro Studi
Tradizionali, Il ciclo si chiude, americanismo e bolscevismo, Roma, Fondazione
Julius Evola, Il Cinabro, Julius Evola,
Il problema di oriente e occidente, Roma, Fondazione Julius Evola, Fenomenologia
della sovversione in scritti politici, Borzano, SeaR, Julius Evola, Scritti
sull'arte d'avanguardia, Roma, Fondazione Julius Evola, Esplorazioni e
disamine, gli scritti di " fascista,” Parma, Edizioni all'insegna del
veltro, Julius Evola, Esplorazioni e disamine, gli scritti di "
fascista", Parma, Edizioni all'insegna del veltro, Lo Stato, Roma,
FondazioneEvola, La tragedia della Guardia di Ferro, Roma, Fondazione Julius
Evola, Julius Evola, Scritti per "Vie della Tradizione" Palermo,
Edizioni Vie della Tradizione, Carattere, Catania, Il Cinabro, L'idealismo
realistico, Roma, Fondazione Julius Evola, Idee per una destra, Roma,
Fondazione Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich, Roma, Mediterranee, Evola, Il
"mistero iperboreo". Scritti sugli Indoeuropei, Roma, Fondazione Julius
Evola, Critica del costume, Catania, Il Cinabro, Julius Evola, Augustea, La
Stampa, Roma, Fondazione Julius Evola, Anticomunismo positivo. Scritti su bolscevismo
e marxismo, Napoli, Controcorrente, ulius Evola, Il Mondo alla Rovescia (Saggi
critici e recensioni), Edizioni Arya, Genova, La scuola di mistica fascista.
Scritti di mistica, ascesi e libertàm Napoli, Controcorrente, Julius Evola, Le
sacre radici del potere, Edizioni Arya, Genova. Evola, Civiltà americana.
Scritti sugli Stati Uniti, Napoli, Controcorrente, Evola, Scritti sulla
Massoneria volgare speculativa, Edizioni Arya, Genova.Julius Evola, Par delà
Nietzsche, Torino, Nino Aragno Editore, Evola, Fascismo Giappone Zen. Scritti
sull'Oriente, Roma, Pagine, Julius Evola, Ernst Jünger. Il combattente,
l'operaio, l'anarca, Passaggio al Bosco,, Rigener Azione Evola, Evola, Il
Fascismo e l'idea politica tradizionale, Documenti per il Fronte della
Tradizione Fascicolo n. 7, Raido,
Julius Evola, Mussolini e il razzismo, Documenti per il Fronte della
Tradizione Fascicolo, Raido, Evola, Le SS. Guardia e Ordine della rivoluzione
nazionalsocialista, Documenti per il Fronte della TradizioneFascicolo, Raido, Julius Evola, I "Castelli
dell'Ordine" e i nuovi Junker, Documenti per il Fronte della Tradizione
Fascicolo Raido, Il significato di Roma
per lo spirito "olimpico" germanico, Documenti per il Fronte della
Tradizione Fascicolo, Raido, Julius
Evola, La Dottrina aria di Lotta e Vittoria, Documenti per il Fronte della
Tradizione Fascicolo, Raido, Etica AriaOrizzonte Tradizionale, Edizioni Arya,
Genova. Raccolte di lettere e carteggi Julius Evola, Lettere di Julius Evola a
Girolamo Comi, Gianfranco De Turris, Roma, Fondazione Evola, Lettere di Julius
Evola a Tristan Tzara, Elisabetta Valento, Roma, Fondazione Julius Evola,
Lettere a Croce, Roma, Fondazione JEvola); La biblioteca esoterica. Evola Croce
Laterza. Carteggi editoriali, Antonio Barbera, Roma, Fondazione Evola, Lettere
a Carl Schmitt, Roma, Fondazione Julius Evola, Lettere a Gentile, Roma, Fondazione
Julius Evola. Julius Evola, La Torre. Foglio di Tradizioni varie e di
espressione una, Marco Tarchi, Milano, Il Falco, Claudio Mutti, Julius Evola sul
fronte dell'Est, in Quaderni del Veltro, Gianfranco De Turris, La
corrispondenza tra Julius Evola e Gottfried Benn, su centrostudilaruna, Gianfranco
De Turris, Profilo di Julius Evola, in Julius Evola, Rivolta contro il mondo
moderno, Roma, Mediterranee, Registro degli atti di nascita di Roma, Archivio
di Stato di Roma Registro degli atti di
nascita di Cinisi, Archivio di Stato di Palermo
Registro degli atti di nascita di Cinisi, Archivio di Stato di
Palermo Registro degli atti di matrimonio
di Cinisi, Tribunale di Palermo Registro
degli atti di nascita di Roma Archivio di Stato di Roma Il Barone Immaginario Il Barone
Immaginario, Gianfranco De Turris, Ugo
Mursia Editore, Milano, Catalogus Baronum,
pagina Vanni Scheiwiller, Nota dell'editore, in Julius Evola, Il cammino del
cinabro, Milano, Scheiwiller); Julius Evola, Il cammino del cinabro, Catalogo
della mostra con tutte le opere in:
Grande Esposizione Nazionale Futurista, Milano, Le Presse, Claudio
Bruni, Evola Dada, in Gianfranco De Turris, Testimonianze su Evola, Roma,
Mediterranee. Julius Evola, Il cammino
del cinabro. Egli prende la terra come terra, pensa alla terra, pensa sulla
terra, pensa 'Mia è la terra' e si rallegra di ciò: e perché? Perché egli non
la conosce, dico io. L'estinzione vale a lui come estinzione, allora egli deve
non pensare all'estinzione, non pensare sull'estinzione, non pensare 'Mia è
l'estinzione', non rallegrarsi dell'estinzione: e perché? Perché impari a conoscerla,
dico io.” Lettere a Tzara, Roma, Edizioni Fondazione Julius Evola, Carlo
Fabrizio Carli, Evola pittore tra futurismo e dadaismo, su juliusevola. Claudio
Bruni, Evola Dada. Per un approfondimento: Vitaldo Conte, Maschere di Evola
come percorso controcorrente, Atti del convegno di studi "Julius Evola e
la politica", Alatri Emiliano Di Terlizzi. Luciano De Maria, Introduzione
a: FT. Marinetti, Teoria e invenzione futurista, Milano, Mondadori,Per un
approfondimento sulla produzione pittorica di Evola si rimanda a due cataloghi:
Evola e l'arte delle avanguardie. Tra Futurismo, Dada e Alchimia, Roma,
Fondazione Julius Evola, e Vitaldo Conte, Julius Evola. Arte come alchimia,
mistica, biografia, Reggio Calabria, Iriti, Julius Evola, Il cammino del
cinabro. Poi ristampati sotto forma di antologia: Gruppo di Ur, Introduzione
alla magia come scienza dell'Io, Torino, Bocca, 1955. Per una trattazione esaustiva dell'argomento
si rimanda a Renato Del Ponte, Evola e il magico gruppo di Ur, Borzano, Sea R, Evola,
Il cammino del cinabro. Francesco Lamendola, Alcuni aspetti del pensiero
filosofico di Julius Evola. Fenomenologia dell'Individuo assoluto, Roma,
Mediterranee, Alessandra Tarquini, Il Gentile dei fascisti, Bologna, Il Mulino,
Giuseppe Gangi, Misteri esoterici. La tradizione ermetico-esoterica in
occidente, Roma, Mediterranee, Evola, Renato Dal Ponte, Meditazioni delle
vette, La Spezia, Edizioni del Tridente, Francesco Demattè, Julius Evola,
Meditazioni delle vette, in Secolo d'Italia, Gianfranco De Turris, Biografia,
in Gianfranco De Turris, Testimonianze su Evola, Julius Evola, Fascismo e Terzo
Reich, Alain de Benoist, Julius Evola, reazionario radicale e metafisico
impegnato, in Julius Evola, Gianfranco De Turris, Gli uomini e le Rovine e
Orientamenti, Roma, Mediterranee, La scuola di mistica fascista. Scritti di
mistica, ascesi e libertà, Napoli, Controcorrente, Il fascismo quale volontà di
impero e il cristianesimo, in Critica Fascista, Silvio Bertoldi, Salò. Vita e morte della
Repubblica Sociale Italiana, Milano, Rizzoli, Roberto Vivarelli, Fascismo e
fascismi, in Nuova storia contemporanea, Evola stipendiato dal Duce, in
Avvenire, Marco Tarchi, Evola e il fascismo: note per un percorso non
ordinario, in Cultura e fascismo.
Letteratura, arti e spettacolo di un ventennio, Firenze, Ponte alle Grazie, Giuseppe
Parlato, Fascismo, Nazionalsocialismo, Tradizione, in Julius Evola, Fascismo e
Terzo Reich, Roma, Mediterranee, Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani
sotto il fascismo, Il Fascismo, saggio di un'analisi critica dal punto di vista
della Destra, Volpe, Roma, Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico
sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, Pino Rauti e
Rutilio Sermonti, Storia del fascismo, Roma, Centro Editoriale Nazionale, Giuseppe
Parlato, Fascismo, Nazionalsocialismo, Tradizione. Cfr. anche, sulla critica
allo stato educatore, Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich, Evola, Fascismo e
Terzo Reich, Fascismo e Terzo Reich.
Gianfranco De Turris, Nota del curatore, in Julius Evola, Fascismo e
Terzo Reich, Per un elenco completo delle collaborazioni giornalistiche:
Gianfranco De Turris, Biografia, in Gianfranco De Turris, Testimonianze su
Evola, Julius Evola, Il mito del sangue, Milano, Hoepli, Evola, L'esposizione
antiebraica di Monaco, "Il Regime fascista", Julius Evola, I testi
del Corriere Padano, Padova, Edizioni di AR, Franco Cuomo, I Dieci. Chi erano
gli scienziati italiani che firmarono il manifesto della razza, Milano, Baldini
Castoldi Dalai, Julius Evola, Il mito del sangue. Julius Evola, Il mito del
sangue. Il cammino del cinabro. Evola, Il cammino del cinabro, Franco Rosati,
Un pessimismo giustificato? Intervista a Evola, in La Nation Européenne, Renzo
De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, Renzo
de Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, Gianfranco
De Turris, Testimonianze su Evola, Roma, Edizioni Mediterranee e Vanni
Scheiwiller, Note dell'editore in Julius Evola, Il cammino del cinabro. Tale è
l'opinione di un'importante testata giornalistica italiana del tempo: Il
Giornale d'Italia (l'articolo è firmato
da Adone Nosari). Il rif. si trova in: Renzo De Felice, Storia degli ebrei
italiani sotto il fascismo, opAttilio Milano, Storia degli ebrei in Italia,
Torino, Einaudi, Francesco Germinario, Razza del Sangue, razza dello Spirito: Evola,
l'antisemitismo e il nazionalsocialismo, Torino, Bollati Boringhieri, Alberto
Lombardo, Razza del sangue, razza dello spirito, Centro Studi La Runa. Francesco
Cassata, A destra del fascism: profilo politico di JEvola, Torino, Bollati
Boringhieri. Gianni Scipione Rossi, Il razzista totalitario. Evola e la
leggenda dell'antisemitismo spirituale, Catanzaro, Rubbettino, Furio Jesi,
Cultura di destra, Milano, Garzanti,Guido Caldiron, Un filosofo buono per tutte
le destre, in Avvenire, Furio Jesi. Luca Leonello Rimbotti, Linea, Massoneria e
fascism: dall'intesa cordiale alla distruzione delle Logge: come nasce una
«guerra di religione», Castelvecchi, Julius Evola, Per un allineamento
politico-culturale dell'Italia e della Germania, in Lo Stato. Il cammino del
cinabro. Fra queste la Piccola Treccani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Giorgio Bocca, La Repubblica di Mussolini, Roma-Bari, Editori
Laterza, Bruno Zoratto, Julius Evola nei documenti segreti dell'Ahnenerbe,
Roma, Fondazione Julius Evola, G. De
Turris, Julius Evola. Un Filosofo in Guerra, Milano, Mursia, Il cammino del
cinabro, Fondazione Julius Evola, Una biografia di Julius Evola, su Fondazione Julius
evola. Gianfranco De Turris, Lettere di Julius Evola a Girolamo Comi, Roma, Fondazione
Julius Evola, Francesco Carnelutti, In difesa di Giulio Evola, in L'Eloquenza, Julius Evola, Autodifesa, Roma, Edizioni Fondazione
Julius Evola, Pino Rauti, Evola: una guida per domani, in Civiltà, Gianfranco De Turris, Elogio e difesa di Evola,
Roma, Mediterranee, Gianfranco De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola, op. Julius
Evola, Razzismo e altri orrori (compreso il ghibellinismo), in L'Italiano, Gianfranco
De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola, Felice Pallavicini, Evola,
traditore dello spirito, in Corriere della Sera, Gianfranco De Turris, Elogio e
difesa di Julius Evola. Pino Tosca, Il cammino della Tradizione, Rimini, Il
Cerchio, La via romana, Centro Studi sulle Nuove Religioni. Julius Evola,
Statuto della Fondazione Julius Evola, su juliusevola, Riccardo Paradisi, Gli
Arya seggono ancora al picco dell'avvoltoio, in Giovanni Conti, Evola
tascabile, Roma, Settimo Sigillo, Amalia Baccelli, Ricordo dell'uomo, in
Civiltà, //lastampa// edizioni/ aosta/la-nostra-
fuga- dagli-sul- monte-rosa- per- seppellire- le-ceneri-di-evola- Julius Evola,
Franco Freda Orientamentiundici punti,
Padova, Edizioni di Ar, Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Enzo Collotti,
Il fascismo e gli ebrei, Bari-Roma, Laterza, Alessandro Barbera, La biblioteca
esoterica. Carteggi editoriali Evola-Croce-Laterza, Roma, Fondazione Julius
Evola, Cesare Medail, Julius Evola: mi manda Don Benedetto, in Corriere della
Sera, Cfr. la prefazione del testo
Lettere di Julius Evola a Benedetto Croce, pubblicato dalla Fondazione Evola. Guglielmo Savelli, Cronache di un incontro
mancato. Gli ardui rapporti tra l'attualismo e l'idealismo magico, su
italiasociale.org, Stefano Arcella, Gentile amico e nemico, "L'Italia
Settimanale", Margarete Durst, Il contributo di Julius Evola
all'"Enciclopedia Italiana", in Il Veltro, Guido Calogero, Come ci si orienta nel pensiero
contemporaneo? Sansoni, Firenze, Alessandro Giuli, Evola-Gentile-Spirito:
tracce di un incontro impossibile, in Annali della Fondazione Ugo Spirito. I
volumi sono: Saggi sull'idealismo magico, Teoria dell'individuo assoluto,
Imperialismo pagano e Fenomenologia dell'individuo assoluto. Alberto Lombardo, Caro conservatore ti
scrivo, su centrostudilaruna, Si tratta del saggio Donoso Cortes in gesamteuropäischer
Interpretation, poi pubblicato in Carl Schmitt, Donoso CortésInterpretato in
una prospettiva paneuropea, Milano, Adelphi, Julius Evola, Ricognizioni. Uomini
e problemi, Roma, Mediterranee, C. Schmitt, Donoso Cortes Interpretato in una
prospettiva paneuropea, Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Giovanni
Damiano, Evola e l'utonomia del politico, Atti del convegno di studi "Evola
e la politica", Alatri, Emiliano Di Terlizzi, Antonio Caracciolo, Due
atteggiamenti di fronte alla modernità, in Antonio Caracciolo, Lettere di
Julius Evola a Carl Schmitt, Roma, Fondazione Evola. Essere e divenire, in
Julius Evola, Rivolta contro il mondo modern. Evola, infatti, oltre a Benn,
scrive a Guénon, Eliade e Schmitt e Jünger. Julius Evola, Il cammino del
cinabro, Lettere a Tzara, Roma, Fondazione Evola, Elisabetta Valent. In italiano Adriano Tilgher, Giulio Evola, in Antologia
dei Filosofi Italiani del dopoguerra, Modena, Guanda, Gianfranco De Turris, Omaggio a Julius Evola,
Roma, Volpe, Gianfranco De Turris, Testimonianze su Evola, Roma, Mediterranee,Maura
Del Serra, L'avanguardia distonica del primo Evola, in Studi Novecenteschi, Pier
Luigi Aurea, Evola e il nichilismo, Palermo, Edizioni Thule, Piero Vassallo,
Modernità e tradizione nell'opera evoliana, Palermo, Edizioni Thule, Philippe
Baillet, Julius Evola e l'affermazione assoluta, Padova, Edizioni di Ar, Marcello
Veneziani, La ricerca dell'assoluto in Julius Evola, Palermo, Edizioni Thule, Gian
Franco Lami, Introduzione a Julius Evola, Roma, Volpe, Marcello Veneziani, Julius Evola tra filosofia
e tradizione, Roma, Ciarrapico editore, Roberto Melchionda, Il volto di
Dioniso, Roma, Basaia, Giovanni Ferracuti, Julius Evola, Rimini, Il Cerchio, Anna
Maria Jellamo, Julius Evola. Il filosofo della tradizione, in La destra radicale,
Milano, Feltrinelli, Piero Di Vona, Evola e Guénon. Tradizione e Civiltà,
Napoli, Società Editrice Napoletana, Marguerite Yourcenar, Incontri col
Tantrismo, in Il tempo grande scultore, Torino, Einaudi, Gennaro Malgieri,
Modernità e Tradizione, Roma, Settimo Sigillo, Tradizione e/o Nichilismo,
letture e ri-letture di "Cavalcare la tigre", Milano, Società
Editrice Barbarossa. Antimo Negri,
Julius Evola e la filosofia, Milano, Spirali, Luca Lo Bianco, Evola, in
Dizionario biografico degli italiani,
43, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, Marco Fraquelli, Il
filosofo proibito, tradizione e reazione nell'opera di Julius Evola, Milano,
Terziaria, Pablo Echaurren, Evola in Dada, Roma, Settimo Sigillo, Gianfranco De
Turris, Adolfo Morganti;, Julius Evola, mito, azione, civiltà, Rimini, Il Cerchio,
Elisabetta Valento, Homo Faber, Julius Evola fra arte e alchimia, Roma, Fondazione
Julius Evola, Renato Del Ponte, Evola e il magico "Gruppo di UR",
Borzano, SeaR, Sandro Consolato, Julius Evola e il buddismo, Borzano, SeaR, Delle
rovine ed oltre, saggi su Julius Evola, Roma, A. Pellicani. Gianfranco De
Turris, Elogio e difesa di Julius Evola, il Barone e i terroristi, Roma,
Mediterranee,Adriano Romualdi, Su Evola, Roma, Fondazione Julius Evola, Giovanni
Damiano, La filosofia della libertà di Evola, Padova, Edizioni di Ar, Gigi
Montonato, Comi-Evola. Un rapporto ai margini del fascismo, Lecce, Congedo, Beniamino
Di Dario, La via romana al Divino: Evola e la religione romana” (Padova,
Edizioni di Ar); Francesco Germinario, Razza del sangue, razza dello spirito,
Torino, Bollati Boringhieri, Patricia Chiantera Stutte, Julius Evola. Dal
dadaismo alla rivoluzione conservatrice, Roma, Aracne, Francesco Cassata, A
destra del fascismo. Profilo politico di Julius Evola, Torino, Bollati Boringhieri,
Giovanni Damiano, L'ora che viene. Intorno a Evola e a Spengler, Padova, Edizioni
di Ar, Sandro Consolato, Julius Evola trentanni dopo, Roma, I libri del Graal,
2004. Vitaldo Conte, Julius Evola. Arte
come alchimia, mistica, biografia, Reggio Calabria, Iriti, Thomas Dana, Julius
Evola e la tentazione razzista, Mesagne, Sulla rotta del sole, Alberto
Lombardo, Evola, gli evoliani e gli antievoliani, Roma, Nuove Idee, Gianfranco
De Turris, Esoterismo e fascismo, Roma, Mediterranee, Hans Thomas Hakl, La
questione dei rapporti fra Julius Evola e Aleister Crowley, in Arthos, n. 13,
2006, 269-289. Gianni Scipione Rossi, Il
razzista totalitario, Catanzaro, Rubbettino, 2Marco Iacona, Il maestro della
tradizione. Dialoghi su Julius Evola, Napoli, Controcorrente,Alessandra
Tarquini, Il Gentile dei fascisti, Bologna, Il Mulino, Marco Iacona, Julius
Evola e le vicende processuali legate ai Far (1951-54), in Nuova Storia Contemporanea,
Fabio Venzi, Julius Evola e la libera muratoria, Roma, Settimo Sigillo, Gianfranco
De Turris, Evola. Un filosofo in guerra, Milano, Ugo Mursia Editore, Rene
Guenon, Lettere a Julius Evola, edizioni Arktos, Heliodromos, Speciale Evola,
Catania. Documentari Dalla Trincea a Dada di Maurizio Murelli. DVD dalla Società Editrice Barbarossa di Milano,
della durata di 101 min., che ripercorre il periodo artistico di Evola. Con
musiche di: Ain Soph, Kaiserbund, Roma, Wien, Zetazeroalfa. Pio
Filippani Ronconi, Reghini, Parise, Pitagorismo Tradizionalismo, Paganesimo,
Via romana agli dei, Fondazione Julius evola.
Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani,
Rigenerazion Evola, Centro Studi La Runa. Vatimmo, “Evola, un filosofo scomodo
per tutti”; Approfondimenti sul pensiero Francesco Rosati, Intervista a Evola,
su juliusevola, Giovanni Monastra, Evola tra la seduzione e l’aristocrazia. Michele
Ognissanti, Luci ed ombre su Evola, su salpan.org, Alberto Lombardo, Da Rivolta
contro il mondo moderno a Gli uomini e le rovine. Mario Polia, Linee per una
critica al concetto di tradizione in Evola, Giano Accame, Evola e la Konservative
Revolution, Luca Lionello Rimbotti, Evola così com'era, Vitaldo Conte, Maschere
di Evola come percorso controcorrente, Aleksandr Dugin, Astrazione e
differenziazione in Julius Evola, Opere dadaiste, futur-ism. 2artericerca. 29
dicembre. Interviste Intervista a Julius Evola, su you tube Intervista a
Salvatore Tringali, su youtube Intervista a Gian Franco Lami, su youtube Quando
Evola intervistò il conte Kalergi, su rigenrazione evola. ROMA. Evola
parie dall’idealismo: il mondo è per lui a rappresentazione dell’Io. Ma
poiché l’Io subisce Kfa rappresentazione del mondo come nn limite e
wLffrc in essa la sua passività, s’impone all’Io l’obblitpi pratico di sciogliere
la sua passività in atti- vità riducendo il mondo sotto il comando suo,
[a- j rendo di esso l ' atto dell’Io. La tecnica di questo pro-
gresso di risoluzione del mondo nell’Io è data dal- l’Occultismo magico.
Dall’innesto dell’Idealismo classico con la Magia nasce /'Idealismo Magico di
Evola. irò I; r„ Opere principali — Saggi
sull’Idealismo magia - L’uomo come potenza - imperialismo pagano, Todi,
Atanor; Teoria dell’Individuo assoluto - Feria- menologia dell’Individuo
assoluto - Maschera e voi. to dello spiritualismo contemporaneo, Torino,
Bocca; L’indivìduo e il divenire del mondo, Roma, Li- breria di Scienze e
Lettere; La Tradizione ermetica Bari, Laterza; Rivolta contro il mondo
moderno Milano, Hoepli. — Ha diretto le riviste Ur e La
Torre. Dall'idealismo assoluto all’idealismo magico. La Grande
Solitudine. Una volta che l’Io si sia costituito a prin- cipio a sè,
a centro distinto di autoriferimen- to. il fatto stesso che egli possa
comunicare con qualcosa di altro da lui, il fatto stesso che egli
possa in generale conoscere, appare come un singolare mistero. E poiché è
evidente che posto il soggetto da una parte, l’oggetto dal- l’altra
non vi è più alcun modo di intendere come quella lor congiunzione, in cui
consiste il conoscere, sia possibile; e poiché d’altra parte l’Io
ha preso ormai coscienza di sè e 75 non può più
tornare a quello stato di ingem )4 adesione, di compenetrazione con le
cose cli f era appunto condizionato dal suo non esser.! si ancora
posto; resta aperta una sola via al problema della conoscenza, e cioè:
negar,, che l’idea di una realtà esistente in sè stessa abbia un
qualunque senso, affermare che ] a sostanza delle cose consiste
semplicemente nel loro venire rappresentate o pensate dal. l’Io,
intendere dunque che l’intero sistema mondiale, nella ricchezza
sterminata delle sue forme, con i suoi oceani, i suoi soli e ] t .
sue vie lattee, non è che un fenomeno, una ap- parizione che è di questo
Io e per questo Io, fuori dal quale non gli si saprebbe coeren-
temente garentire alcuna consistenza. Lungo una tale via l’uomo vede
dunque venir me- no progressivamente tutti quegli appoggi e tutte
quelle naturali evidenze su cui prima riposava — tutto gli si fa ora
dubbioso, pro- blematico, contingente. Tutto ciò che sa, è che egli
ora si trova così e così determinato, che questa è la sua attuale
esperienza, queste le leggi e le categorie secondo cui egli si
trova costretto a pensarla. Ma circa il fondamento di tale
determinatezza, di tali leggi e di tali categorie, egli non sa nulla, e
così nulla saprebbe garentirgli che le cose, se così sono ed anche sono
state nei casi osservati, non possano ad un tratto cambiare, che ogni
uni- L rI )iilà cd ogni costanza non sia astratta e
precaria, c h e , fondato su una radicale contin- g c,lZ
za , questo sistema di fenomeni e di cate- ti» 1 '
j e non sia che un episodio fugace, disper- mia incoercibile,
imprevedibile vicenda. in Se, dopo di ciò,
l’individuo cerca ancora „ n punto fermo, egli soltanto nel suo « Io
» può Irovarlo. — Il mondo è una rappresenta-
r joiie, sta bene: ma si può forse parlare di Ljpprescnlazione,
senza nello stesso punto resupporre resistenza di un « rappresen
tall- ite». di un soggolo cioè che la rappresenti? [n mondo è un
sogno: ma ogni sogno non im- Iplica forse un sognatore? Si può
chiamare f a | S o, illusorio, non esistente l’insieme dell’e-
sperienza — ma colui che sperimenta e affer- ma cotesta falsità,
illusione, non esistenza non può essere, lui, falso, illusorio, non
esi- stente. Di là dall’obliquità e dalla fluttuazio- ne delle «
cose che sono e non sono » vi è dun- que una sola certezza: 17o. Soltanto
qui l’in- dividuo, con un possesso, ha una realtà asso- luta ed in
sè stessa evidente. Di tutto il resto _ dell’oceano sterminato dei nomi,
delle for- me e degli esseri — non vi è reale certezza: parvenza,
contingenza, violenza di un bruto, irrazionale « esser là », tali ne sono
i princi- pi. * lo solo sono — il resto è mia rappresen- tazione »
: in ciò si può dunque intendere la conclusione del secondo stadio della
storia della coscienza. Prima di passar oltre, occorre
rilevare v necessità che questo momento critico deli storia ideale
dell’individuo sia portalo e vk suto sino a fondo. Non prima che egli
abbj a di tutto dubitato e tutto negato, non prima eh,, egli abbia
fatto intorno a sè il deserto, noft prima che di ogni realtà abbia
sofferta I’j N realtà, di ogni evidenza la precarietà, di ogi,,
luce l’oscurità: non prima che egli abbia di- strutto ogni appoggio e
ogni rifugio ed abbj a realizzato il punto della «grande
solitudine» — non prima di ciò l’individuo può chiamar- si
veramente tale, non prima di ciò egli è un essere autonomo ed
autocosciente. E’ quest,, atto negativo, questo assoluto strapparsi
da quanto prima gli dava consistenza — che ora lo fa essere. Così
come secondo l’energico delto dello Stirner, l’Io non è tutto, ma ciò che
distrugge tutto; per questa assoluta negatività albeggia nell’uomo quel
principio tragico che — come fu distintamente visto dal
buddhismo — lo fa superiore all’insieme della natura ed allo
stesso regno degli « dei ». Si può precisare il luogo di un tale Io
co- me segue. Ogni esperienza è inseparabilmen- te accompagnata
dalla nota, implicita o espli- cita, di essere una mia esperienza. Uautorife.
rimento, l’ahamkàra della metafisica indiana, è la condizione elementare,
senza di cui non è concepibile alcuna realtà, giacché la sola di cui
posso concretamente parlare è iella che, in un modo o nell’altro, si
risolve r eal |:l in ull a mia
esperienza. Ora è possibile stacca- fe cpiesto principio di
autoriferimento dai particolari contenuti delle esperienze per ri-
legarlo in un certo modo su sè stesso. Allo- ra s i ha: IO — IO, cioè una
nuda esperienza, un possesso, qualcosa di semplice e di ineffa-
bile. Questa nuda esperienza si presuppone, ,|i fatto e di diritto, a
qualsiasi altra esperien- za si può dire che essa è come la tela
sul- i a quale poi tutte le particolari esperienze si ritagliano:
qui si ha quel «veggente che non -, mai veduto », quel « conoscente che
non è ina i conosciuto », quel punto di centralità pu- ra di cui
parlano le Upanishad, e rispetto a cui ogni particolare esperienza,
fenomeno o pensiero è un « posterius », qualcosa che vie- ne dopo e
che sta alla periferia. Si badi: qui non si tratta nè di un Io «
superiore », nè di un Io « inferiore », nè di un Io « empirico »,
nè di un Io « trascendentale », — semplici no- mi e astrazioni
concettuali — bensì del mio I>>, di quella assoluta presenza che
sono nella profondità del mio essere individuale. Ora che un tale
Io sia qualcosa di immoltiplicabi- lr, qualcosa che è « solo e senza un
secondo », è troppo evidente. Parlare di altri Io da que- sto
livello è infatti contradizione in termini. Gli altri Io, in quanto sono
« altri », non so- no « Io », bensì dei particolari
contenuti p P senti nella mia esperienza — dunque degl; oggetti,
dei « conosciuti », al più il concett di un conoscente e di un soggetto,
non il So getto, non il conoscente quale è in sè stesso (cioè: come
autoesperienza), che, come t a |^ esso è unico e incomunicabile. Fenomeni
pJj tieolari in questo grande fenomeno, che è il mondo a cui, come
individuo, mi sveglio, « altri Io » ne partecipano la contingenza,
so- no qualcosa il cui principio mi sfugge, di cui non ho alcuna
reale certezza (forse che ara che i sogni non mi presentano la parvenza
di altri esseri simili a me? E non potrebbe essere la cosidetta
esperienza reale un sogno più po. tenie e costante impresso in me, come
lo sup- pose la scepsi cartesiana, da un qualche spi- rito?), che
cadono fuori da quel centro che, solo, può costituirmi una terra ferma
nel gran mare dell’essere. E’ questo un punto su cui occorre
richiamare particolarmente l’attenzio- ne: colui che, o per
preoccupazioni morali e sentimentali — a dir vero riconnettentisi
al- la precedente fase dell’evidenza naturale — o per insufficienza
di riflessione critica, non sia giunto ad estendere il dubbio sulla
realtà stessa degli altri soggetti, epperò a concepirli come
null’allro che mie rappresentazioni, quegli non ha veramente condotto a
fondo quel distacco, di cui poco fa si è parlato, ep
.SO però non ha ancora perfettamente realizzala la pura
essenza dell’individuale. Costui non è ancora maturo per il passaggio
alla terza epoca giacché di nulla può avere assoluta I certezza
quei che prima non ha saputo di tul- io dubitare. 2) La uia
della Potenza. Passando dunque alla terza fase, diciamo subito che in
essa si ha un superamento del lato negativo connesso all’adergersi
dell’indi- vidualità. Come chi una avversa vicenda aves- se gittato
sur una isola deserta incalzato, di là dal primo sgomento, dalla volontà
di vivere, va a cercare ed a creare mezzi per una nuova esistenza, così 1
individuo, che si sen- te ormai solo con se stesso nell’intero
ambito del mondo, può essere portato a trarre dal proprio interno
un principio che sappia fis- sare una nuova realtà di là dall’ordine
della parvenza e della mera rappresentazione, in cui ogni cosa
ormai è andata sommersa. Que- sto principio è: LA POTENZA DI
DOMINIO. L’Io, infatti, non è una cosa, un « dato », un «fatto»,
ma, essenzialmente, un centro pro- fondo di volontà e di potenza. Come lo
dice il Fichte, egli non è, che in quanto si pone — e soltanto un
puro porsi è, a dir vero, il suo « essere ». Come tale si rivela, per un
ulteriore autoapprofondimento, la natura di quel punto fermo, che si è
realizzato nel se- condo stadio. Ora questo punto fermo può
comunicare la propria consistenza a quel che non ne ha, e ciò
evidentemente quando si va- dano a riprendere secondo il rapporto
pro- prio ad una affermazione incondizionata dcl- l’individuale i
vari ordini di quella realtà, che prima appariva irrazionalmente, in
bruta con- tingenza, senza partecipazione della volontà dell’Io —
quasi come in un sogno. Resta da procedere ad una determinazione di
questo stadio, tale che si definisca l’oggetto della presente
trattazione, e cioè il rapporto del- l’individuo al divenire del mondo.
Nel frat- tempo si può dire quale sia il criteiio di cer- tezza che
si impone a questo punto. Esso è espresso dal principio: « Vi è assoluta
certez- za — ed è postulatile realtà — soltanto di quelle cose,
dell’essere o del non essere, del- l’essere cosi o dell’essere altrimenti
delle qua- li l’Io ha in sé, in funzione di dominio, il principio o
la causa', delle altre, solamente nella misura di ciò che in esse
soddisfa ad un tale criterio». Queste cose dipendendo infatti
interamente dalla potenza dell Io, partecipa- no dell’intrinseca evidenza
che è inerente al nudo principio di questo. Volendo dunque
sviluppare la posizione assunta dalla coscienza nel terzo stadio, si
ns idererà l’unica vera obbiezione incontra- W dall 'idealismo assoluto.
Nell’idealismo as- P 0lulO si ha la dottrina che cerca di trasfor-
I re in qualcosa di positivo quel lavoro ne- 1 ,ivo di critica e di
scepsi che definisce il Secondo stadio; e ciò cessando di intendere
I il inondo come un fenomeno, come una sem- jj cC apparizione (unica
legittima conclusio- I „ e dell’indagine critica) per intenderlo
invece [ come qualcosa di posto, di creato dall’Io. Per- Bianto
quando si parla non più di rappresenta- la bensì di porre e di creare,
entra in giuo- Ico il concetto di una libera volontà, ed allo- I
rii sorge questo problema: lo posso ben ri- B durre il mondo alla mia
ruppi esentazione, nui fino a che punto posso ridurlo anche alla
mia volontà ed alla mia libertà? Qui bisogna porre un punto
fondamentale, e cioè intendere l’essenziale differenza che in- I
lercorre fra spontaneità e volontà. Si ha spon- taneità là dove il
possibile essendo identico al reale ossia dove quel che è essendo ciò
che soltanto poteva essere, l’atto ha la forma di I una
inconvertibile compulsione, di un bruto accadere e scatenarsi, ed è
passivo, impoten- te rispetto a sè stesso. Invece nella volontà vi
f è una eccedenza del possibile sul reale, non si passa cioè dal
possibile al reale immediata- mente, ma un punto di autarchia, di «
pote- stas», domina l’atto come l’estrema, incondi- zionata
ragione del suo essere o del suo i 1(Jll essere, del suo essere così o
del suo essere altrimenti come alto che è solamente uno c| e j
possibili, anzi dei compossibili. E’ importante notare che tanto la
spontaneità che la volontà possono dirsi libere: però mentre nella
spoj,. taneità si tratta di una libertà affatto ncgatj. va, di una
libertà cioè che vuole semplicenieji. te dire: «non essere determinato
dall’ester- no», nella volontà si ha una libertà positiva, una
libertà cioè che significa assoluta assen- za di condizioni, siano esse
interne che ester- ne, e quindi contingenza, o, se si preferisce,
arbitrarietà dell’atto. Una volta compresa questa distinzione, che
non poggia tanto su concetti e sottiglicz- ze intellettuali, quanto
piuttosto sur un dato immediato di coscienza, sur una evidenza in-
terna che o si ha o non si ha, quando l’idea- lista assoluto di contro al
sistema della realtà afferma essere stato l’Io a porlo, è evidente
che egli si riferisce non ad una volontà, ma ad una spontaneità. Egli si
riferisce infatti a quell’attività onde le cose vengono percepite e
rese intime al nostro Io, a quell’elementare « assenso » onde ci si
accorge di esse — as- senso che se è condizione necessaria per ogni
realtà, in quanto realtà sperimentata dall'Io (e di altra realtà noi non
possiamo coerente- mente parlare), è ben lungi dall’essere
anche r ^dizione
sufficiente. Infatti nel rappresen- c , il reale non è dominato dal
possibile, l’Io passivo rispetto al proprio atto — non tanto Lff
ernia le cose, quanto piuttosto è come se i L » cose si affermassero in
lui. Come la passio- ne e l’emozione, la rappresentazione è sì
qual- , sa di mio, qualcosa che io traggo dal mio proprio interno
(e fin qui arriva la legittimi- tà dell’istanza dell’idealismo, del resto
soddi- sfatta sin dal Leibniz), ma non è me, giacché jo non posso
darla liberamente a me stesso, giacché io non sto in rapporto di signoria
alle determinazioni di essa, onde mi si dispiega lo spettacolo
della realtà che è questa realtà, |l0) i la realtà che io voglio.
Conseguentemeu- i c; in tanto l'idealista può dire di essere stato
[lo a « porre » la natura, in quanto egli ridu- ce l’Io a natura, cioè in
quanto di quelVlo, che. c libertà, non sa nulla, o, per meglio dire,
fa come se non sapesse nulla, e, con evidente paralogismo, mutua il
concetto di Io con quel- lo del principio di spontaneità. — Posso
dire di essere stato io a porre la natura, ma io in quanto sono
spontaneità, non in quanto sono propriamente un Io, e cioè libertà e
domina- zione. — E questo è il primo punto. I! realista,
riferendosi propriamente al punto della reale individualità, avanza
dun- que una istanza che è interamente legittima. Egli ci pone
dinnanzi ad una qualunque contingenza dell’esperienza, per es. dinnanzi a
,| una tempesta, e ci domanda se possiamo ( |j. re di essere stati
noi a « porla ». Mentre q U j l’idealista risponderebbe con
l’affermativa e ciò perchè, come si è detto, per lui « porre
> significa semplicemente rappresentare C o a « libera necessità
» — noi invece, riferendoti ad un porre che il principio del dominio
<• dell’incondizionata libertà comandi, rispon- deremmo: « Ciò,
in verità, non è posto dal- l’Io ». Altro non chiede il realista per dire
su- bito: « Poiché ciò non è posto dall’Io, vi deve essere un “
altro ” a porlo » — ed inferisce ad una causa reale o esistente in se
stessa del- le rappresentazioni, quale Dio, la materia, il noumeno,
ecc. Qui sta invece l’errore e il pun- to su cui ci si permette di
richiamare tutta l’attenzione del lettore. — Dire che io, come lo,
cioè come principio sufficiente e libero, non posso riconoscermi come
causa incondi- zionata delle rappresentazioni, non vuole af- fatto
dire che queste rappresentazioni siano causate da « altro » e abbiano per
substrato delle cose reali o esistenti in sè stesse, ma vuole
semplicemente dire che io sono insuf- ficiente ad una parte della mia
attività, la quale è ancora spontaneità, che una tale par- te non è
ancora MORALIZZATA, che l lo co- me libertà in essa soffre una
PRIVAZIONE. Tutto ciò su cui non posso, tutto ciò che re-
5 j e a iia mia volontà, non è che una priva- tone di questa
volontà stessa, qualcosa di ne- (ivo, non un essere, ma un non-essere.
Per- il realista va respinto par ime fin de non ecevoir : egli nel
suo riferirsi ad un « altro » Dio, noumeno, sostanza, ecc. — fa del
non- ^sere un essere, chiama reale ciò che essen- j 0 solamente una
privazione della mia potenza , essendo nuH’altro che una negazione ed ’
vuoto nel corpo immoltiplicabile della mia attività, si dovrebbe invece,
secondo giustizia, dire irreale. Così conferma questa privazione
slcssa __ così {ugge-, all’atto che, dominando- le, possedendole, annulla
le cose (1) e redime la privazione, egli invece sostituisce l’atto
che le riconosce e che dà loro superstiziosamente un essere e una
realtà autonoma. Proprio al primo atto si appunta invece il criterio di
cer- tezza della terza delle fasi indicate: esso chie- de cioè che
l’Io libero e nudo dell’individuo possa veracemente affermare il
principio del- l’idealismo assoluto, epperò dire: « In verità, io
sfesso son la causa ed il Signore di questo mondo, in cui mi vivo ». Ma
quando sarà pos- sibile affermare ciò? Evidentemente quando
Tindividuo abbia redento in un corpo di li- ti) Naturalmente: le
annulla in quanto sono al- tre, per affermarle invece come gesti di una
vulon- U) potente. berla l’oscura passione del mondo,
quando abbia fatto passare la forma secondo cui egli vive
l’attività rappresentativa (quell’attività cioè per cui si forma in lui
lo spettacolo del- l’universo), da spontaneità — da coincidenza di
possibile e reale — a nuda, incondizipnata causalità, cioè a: volontà
potente. Ora che soltanto in una tale veduta l’atto
dell’individuo abbia un valore cosmico, e che invece in quella del
realismo all’attività ven- ga tolto ogni vero senso e scopo, può
risulta- re ad ognuno chiaro. Infatti l’attività ha ve- ramente un
senso ed un valore soltanto là do- ve vi è da far reale qualcosa, che già
non e tale. Questo caso si verifica appunto là dove l’altro — ossia
ciò che rispecchia il limite Come questa trasformazione, che
affermiamo essere non un mito, ma possibilità reale, possa poi
praticamente compiersi, è un problema da noi trat- talo almeno nei limiti
in cui sia possibile pub- blicamente e genericamente trattarlo — altrove,
c che qui non trova posto. Si può dire soltanto che è un compito a
cui nè cultura, nè devozione, nè fi- losofia, nè arte, nè morale, nè
nient’altro di ciò che gli uomini chiamano «spiritualità», può
porta- re il menomo contributo. Quanto alla filosofia, il suo
limite è l’idealismo magico, in cui perviene a rico- noscere la propria
insufficienza e a postillare la rea lizzazione della potenza come ciò in
cui i suoi mas- simi problemi possono trovare l’unica assoluta lo-
ro soluzione. 88 Ella mia ,i,)erla — venga inteso non
come "f 1 realtà» bensì come una negazione ed un K » 0 -
allora il mondo appare come qualco- ' l \]i incompleto, come qualcosa che
chiede E u a integrazione a quell’atto dell’individuo, ILe 1«
necessità si faccia libertà, a quello f ii u pp° deirautoaffermazione
onde l’attua- le potente dell’Unico si estenda e riaffermi r q U
anto ne è la privazione. Se invece si po- f c i K . 1’ « altro » in
quanto tale — cioè pro- |Ljo come quel principio che limita la mia
|j!j )ert à — sia non una privazione e un non-es- bensì una positività e
una realtà — allo- ro tutto è già perfetto, tutto è già « essere »,
e „on occorre far altro. Ogni scopo ed ogni va- lore dell’attività
e del divenire, ogni respon- I «abilità vengono meno — giacché i vuoti
del ìmio essere non sono anche vuoti dell’essere in generale: l\
altro», con la realtà attribui- tagli- li riempie. Invece nell’altro caso
tutto il inondo appare come una oscura, dolorosa ri- chiesta all’Io
affinchè questi si dia a sè me- desimo secondo potenza e, in ciò, lo
attui nel- l'essere, in ciò lo redima dalla privazione, in ciò lo
faccia reale. E il divenire — ciò che io faccio — ha allora un valore, un
valore co- smico. Esaminando più da vicino la
posizione realistica, si vede che essa si fonda su que- sto
presupposto: che una attività imperfetta, una attività limitata da
per sè stessa non poJ sa venire concepita, che non appena sia p r
.ì sente una attività limitata si debba snjjju pensare a qualcosa
che sia causa di questa li. nutazione. Infatti così sta la quistione nel
problema della conoscenza: nelle cose vi è Utl aspetto per cui esse
indiscutibilmente dip,.,,. dono dall’attività dell’Io, aspetto che si rif
c . risce al loro venire in generale rappresentale o sperimentate;
ma vi è anche un secondo aspetto, che rappresenta un lato negativo
nel- l’attività dell’Io, riferentesi appunto aU’in 1J)(> . tenza
di percepire, non percepire o trasmutare la percezione come si vuole. Ora
su che cosa si basa il realismo? Appunto su ciò, che à sente il
bisogno di dare una spiegazione a questa limitazione, che esso non vuole
ammet- tere che una attività limitata, cioè una attivi- tà
incompleta, sia ciò che sta prima, e quindi sente il bisogno di spiegare
la limitazione con qualcosa di «altro»; si riferisce dunque ad una
realtà distinta dall’Io come causa delle rappresentazioni. Ma un tale
presupposto ilei realista è ciò che vi può essere di più contestabile. La
concezione a cui si rimette è questa: che ciò che sta prima debba essere
l’assoluto e che tutto ciò che è particolarità e finitezza non sia
concepibile altrimenti che come una negazione operata da parte di un «
altro » L Ila pienezza di questo assoluto preesisten- tratta
cioè della posizione platonica e te -noziana, espressa dal principio: «
Ciò che ' veramente, è l’universale; il particolare da 1 ' s è
stesso non esiste, cioè: in ciò che esso 1,0 . l’universale, e in ciò che
è propriamente Articolare non è, è fredda e piatta negazio- r s Ora
ad una tale concezione si può con- Lmporre l’altra, secondo cui non si va
a pre- ' apporre 1,asso,uto al finito e al P articolare ’ f.
aim nette invece che ciò che sta prima sia {«recisamente il finito e il
particolare, intesi *\ r ò non come qualcosa di in sè contraditto-
Ijjjo bensì come qualcosa di incompleto, non conni qualcosa che non
esiste da sè stesso, bensì come qualcosa che già in una certa mi-
sura possiede l’essere e rispetto a cui l’asso- luto non ne sarebbe la
negazione, ma lo svi- luppo- P unto in cui esso va a rentlere P er
' folto il proprio principio secondo un proces- so continuo dal
meno al più, dalla potenza all’atto, da un grado più povero ad un
grado pii, intenso di attualità e di essere. Ora in una tale
concezione — che si impone dovunque sviluppo, sintesi e divenire non
siano un vuo- to nome — a ciò che viene prima, in quanto viene
prima, inerisce un certo grado di « pri- vazione », il quale gli è
naturale e in nessun modo chiede di venire spiegato. La sua spie-
gazione, se mai, non sta indietro — in un as- soluto limitato
dalla potenza di un « altro » — bensì avanti — nel processo
dell’incornpi^ to che si integra, della potenza che arde nel
l’atto, onde non vi è propriamente da spiega re, ma da agire, da
procedere in una più j, tensa affermazione (1). (1) E’
importante notare la relatività del conte!, to di privazione. Un dato
elemento non è mai p ri . vazione in sè, ma sempre in relazione al valore
del- Pautarchia. Il passaggio ad un tale valore fa di q ll( ,| che
era positivo come spontaneità qualcosa di ne- gativo e di «in potenza»
rispetto al punto ulterio- re. Cosi pure per chi non vuole passare dal
punto di vista logico a quello della volontà il concetto di
privazione non è intelligibile — ma allora l’ideali- smo astratto resta
l’ultima istanza. — Quando si crede di superare la presente dottrina
spiegando la privazione con una realtà distinta, non si fa un passo
avanti ma un passo indietro, giacché si [ a uso della categoria logica
della causalità, con il chi- questa stessa realtà diviene condizionata,
logica- mente posta dall’Io. E il cerchio si richiude e il li-
vello critico resta il limite. Si passa invece oltre per un assoluto
positivismo. Quale è la differenza fra una cosa reale ed una
imaginata? Rappresentate, lo sono tutte e due egual- mente; ma di là da
ciò l’attività rappresentativa a cui corrisponde la cosa reale è una
attività rispet- to a cui sono impotente. Vi sono elementi su cui
non posso. Questo è tutto. 11 problema di interpretare questo
non-potcre non lo risolviamo, perchè non lo poniamo e anzi tacciamo
di intellettualistica, di astratta, di irrile- Si può dunque contestare
il presupposto lei realismo, si può non concedere il concel- |.
gpinoziano del finito come negazione su : peso si basa. Poiché le
cose sono, in quan- cu* ^ f anzitutto sono rappresentate,
cosi che un ole rispetto a ciò che davvero importa a questo *
unto ogni ricerca di tale genere. Questo è un punto fondamentale: noi
affermiamo che la spiegazione EL] fatto che si è impotenti in certe
situazioni con •| ricorso ad un « altro » — cosa in sè, Dio, « Sto-
ricità dello spirito» et similia — è una psendospie- Laziorie, anzi un
circolo vizioso per questo: che in noi il concetto di « altro » trae il
suo senso e il suo fondamento dal concetto di « non potere », il
quale l ciò che sta prima e di cui oggettività, cosa in sè, ilio.
ccc. non sono che tanti simboli e traduzioni intellettuali. Le cosidette
cose reali sono simboli ,1,1 mio non-potere, della mia privazione. E’
per- ché sperimento una privazione che chiamo reale una cosa c non
viceversa. La privazione spiega il concetto di una realtà oggettiva e non
la realtà og- gettiva il concettò di privazione. Segue da ciò una
dichiarata professione di agnosticismo, un arre- co dinnanzi al nudo
fatto del non-potere con ri- nuncia a spiegarlo come che sia*? Niente
affatto. Ciò che neghiamo (non perchè non ne possiamo dare una, ma
perchè tali spiegazioni non ci servono e non ci bastano ) è la
pseudospiegazione intellettuale, che lascia i fatti come sono, che non
trasforma il rapporto reale della mia potenza con le cose. (Si
crede sul serio che la miseria e la contingenza che dannano l’essere
finito siano in qualche cosa ri- mosse quando le si spieghino con la
materia anzi- »3 grado di attività e però di
positività è già j n , plicito; poiché l’Io si può sperimentare
imme- diatamente come una energia, come un p r j n . cipio di
azione, come qualcosa che non chi e . de ad altro il suo essere; poiché
di diritto non esiste un limite inconvertibile per lo svilupp,, del
potere; non vi è alcuna necessità di t ra . scendere, in ordine al problema
del conosce- re, il concetto di una attività imperfetta (qu a . le
è la spontaneità rispetto alla volontà) che solo, ci viene imposto da un
esame positivo e spiegare la rappresentazione con il riferi- mento
realistico ad un « altro » che la causi e la sottenda. In ciò si avrebbe
non tanto una che con Dio. con l’ Io trascendentale anziché
con la materia, e cosi via, in simili cattive e a buon mer- cato
astrazioni?). La spiegazione che l’ idealismo mu- gico esige è ben altra:
è una spiegazione mediuntt l’azione, una spiegazione risolutiva: è
ex-plicare, os- sia attuare, rendere perfetto: far passare in atto
ciò che è in potenza, in perfezione ciò che è imperfe- zione, in
sufficienza ciò che è insufficienza, secon- do un processo sintetico,
originale, creatore. Que- sta è la sola, vera spiegazione. Il resto è
passatempo. Noi aspramente combattiamo tutta la rettorica
intellettuale e filosofica onde l’uomo si indugia a discorrere intorno
alla sua impotenza (ciò noi in- tendiamo quando ci si parla di « verità
», « raziona- lità », ecc.) anziché balzare finalmente in piedi,
im- pugnarsi e, ardendola, farsi ciò che in sé è: un Dio, un
costruttore del mondo. Baione intellettuale, quanto piuttosto il Rfjsnia
infingardo di colui, che, insufficiente, dall’atto. perciò la
concezione che si presenta al ter- s tadio dello sviluppo
dell’individuale è, tj complesso» la seguente: un continuum di
Eit’vità che ha per limiti da una parte la spon- f c ità, dall’altra la
volontà libera. La spon- r c jtà è l’universale, la volontà libera
l’indi- i ua le. Questi limiti stanno fra loro come po- I a a d atto:
tutto ciò che nell’esperienza è Eretti vità, immediatezza, necessità, è,
rispet- to al punto dell’individuale, il non-essere ine- [fcnte a
ciò che è in potenza — e qui si com- anderà forse a che cosa alludessero
certi fistici quando parlavano dell’ « oscura pas- sione del mondo
», dell’ « indicibile sofferen- za dell’esistenza » in cui il corpo dell’
« Uomo I celestiale » è crocifisso. Di una tale tenebra, di una
tale privazione, la libertà è l’a//o e la Lm ma luminosa; e il mondo
diviene, si fa reale secondo realtà assoluta soltanto in e per
questa fiamma, cioè soltanto nella misura in cui l’individuo,
affermandosi nel punto della potenza e della dominazione, consuma,
arde ! la sua originaria natura, fatta di spontaneità. Da qui un
punto fondamentale: Solamente nell’ « Individuo assoluto », solamente
nel- l'«Autarca» il mondo diviene reale: la suf- ficienza che egli
si dà a sè stesso dà alla na- tura un essere, una
consistenza, una certe?*., e una ragione che essa, prima di lui, non p 0
. siede già, ma chiede. Onde cercare la verità e la certezza nella
natura è un assurdo: <jj ac> che la natura in quanto tale è
privazione axépTjotc e la certezza e la verità non l’ha i n sè, ma
nell’individuo, epperò in tanto Pi la in quanto l’ individuo se la dia a
sè stesso. // mondo è, soltanto se egli è. Ma questo essere egli
non potrà mutuarlo da nulla, chè, avuto «la altro, esso non sarebbe più
essere, essere essendo soltanto ciò che è da sè stesso < xxil’
aùtó); se dunque egli non si fa il salvatore di sè stesso, nulla mai
potrà salvarlo. E’ così che la spiegazione e la verità non stanno dietro,
ma avanti — e non in un dedurre, ma in un passare aH’atto. Tutta la
natura, insieme di esseri condizionati, insieme di esseri che si
rimettono ognuno ad altro da sè, gravita sul- l’individuo: quei che non
ha bisogno di nulla, quei che non si appoggia su nulla — è ciò di cui
tutti gli esseri hanno bisogno, su cui tutti gli esseri si appoggiano e
con cui, nella misu- ra in cui essi sono, sono uno. Egli solo, come
colui che ha in sè stesso il proprio principio, come colui che è « ente
di possesso », clic è « persuaso », sostiene il peso del mondo: a
lui, che consiste, il processo universale si appen- de e in lui
trova la sua condizione, ciò per cui dall’eternità è, ed in cui ha la sua
desti 1 nazione finale. Perciò solamente nel
punto in cui l’individuo si attua nella folgorazione jello potenza
sorge una finalità, una ragione f ii uno scopo nella natura: non prima ;
è lui che gliela dà. Essa la chiede al suo atto. Ep- però un solo
imperativo ha ormai l’indivi- ( | U o: «SII, fatti DIO, e in ciò fa
essere, SAL- VA H mondo ». 3 ) Il mondo, atto dell’Io.
A lumeggiare questo punto, connettiamo due ultime considerazioni,
riguardanti l’una il problema dell’essenza e dell’esistenza, l’al-
tra quello dell’uno e dei molti. Le cose sono essenza ed esistenza.
L’idea di cento talleri e cento talleri reali non sono
evidentemente la stessa cosa. Pertanto nei cento talleri reali, così come
lo ha mostrato Kant, non vi è logicamente compreso nulla più che
non sia nell’idea dei cento talleri. Ne segue che in tanto si fa
differenza fra gli uni c gli altri, in quanto ci si riferisce a
qualcosa ili irreduttibile all’elemento logico. Questo qualcosa è
1’ « esistenza », opposta all’ « essen- za » (o, più rigorosamente, 1’ «
esse existen- tiae » opposto all’ « esse essentiae »). — Ed ora un
secondo punto. All’essenza, al « che cosa è » di una determinata realtà
principio t)7 esplicativo è il concetto: quando una
realtà venga mediante il concetto geneticamente co- struita in
tutte le note che la individuano, l’istanza esplicativa nell’ordine dell
essenza è esaurita. Pertanto che un oggetto di cui si sia
interamente penetrato ciò che è, sia, il nudo fatto del suo « esser là »
come oggetto reale, ciò costituisce un punto che sfugge interamen-
te alla spiegazione razionale, è un àXcyov — e principio esplicativo ad
esso adegualo è non il concetto, bensì la volontà o, per meglio di-
re, la potenza. Infatti il puro essere delle cose costituisce per me un
mistero fin quando esso ha carattere di bruto dato, di qualcosa che
è là senza partecipazione del mio volere, im- ponendosi anzi
secondo violenza a questo; breve: come una privazione della mia
atti- vità. Mentre l’essenza posso pensarla e quin- di « costruirla
», l’esistenza semplicemente la patisco — e per questo mi costituisce una
oscu- rità. Si imagini invece una situazione in cui possa
connettere Tesserci delle cose al loro volerle incondizionatamente, cioè
in cui la mia volontà avesse valore di potenza creatri- ce: allora
la loro esistenza di fatto di là dal loro concetto cesserebbe di essermi
un miste- ro, essa al contrario mi sarebbe perfettamen- te
intelligibile — essa sarebbe spiegata. Es- senza ed esistenza hanno
dunque per rispetti- vi principi esplicativi la costruzione ideale
98 . opera del pensiero e la causazione reale l"[ 0
pera della volontà. E questo è il secon- di punto. ‘ Il terzo
punto è il seguente, che fra costru- F" nza od esistenza —
non vi è differenza di « nnlinnlo /lì errarlo I .MHpa ò fTÌà
1111 ideale e volontà creatrice — quindi fra atura.
ma soltanto di grado. L’idea è già un dell’affermazione reale; e
la eosiddet- f* realtà oggettiva non è che l’affermazione
pii 1 intensa e completa di quella potenza che. •
forma elementare, determina la cosa sem- liceinente pensata o
rappresentala. La real- tà non è che l 'atto dell’idea, ciò in cui
questa individua ed esprime interamente sè, cosi co- pidea non è
che una realtà in potenza, os- sia U na realtà semplicemente abbozzata o
al- lo stato nascente. Fra l’una e l’altra non vi è dunque salto,
vi è invece progressività. Il pen- derò di cento talleri e cento talleri
reali non sono evidentemente la stessa cosa — ma ciò n0 n
qualitativamente (cosi come potrebbe pensare chi crede che il pensiero,
anziché un'Impotenza, sia l’imagine impersonale di una realtà
oggettiva) ma intensivamente, nel sen- so che i cento talleri reali sono
la più profon- da, intensa potenza, relativa propriamente al-
l’atto magico, dell’affermazione corrisponden- te ai cento talleri
pensati. Ed ora uniamo que- sto risultato a ciò che si è detto poco
la. Vi è una esistenza che è morte, privazione,
irrealtà — e tale è quella corrispondente spontaneità rappresentativa,
residuo .yl prima epoca, in cui l’atto è passivo rispep ^ sé
stesso, die l’Io non domina come il SUo * gnore. Di questa esistenza non
vi è certeàjj vera: non dipendendo da me come la n»« ne o 1
emozione, essendo un puro accade un principio di radicale contingenza la
ripr e i de. Vi è invece una seconda esistenza, che i quella che
una volontà elevatasi a pot eri2 può incondizionatamente produrre: sola
mi^ ! te questa è propriamente esistenza, realtà ajJ solida, e
solamente di essa — ove si trova L nn giunto soltanto con se stesso in un
possesso ed in un dominio — l’Io può avere una reale) certezza. Fra
l’una e l’altra di tali esistenze vi è l’attività mentale propriamente
detta. J In altre parole: di là dal limite ideale del re- gno della
pura necessità — della natura e della spontaneità — come di là dalla
sua « privazione », l’individuo fruisce nell’ordine razionale o
ideale di un primo grado dell’at- tualità sufficiente e della
libertà. Questo gra- do procede verso la sua perfezione nello svi-
luppo secondo cui la potenza si riafferma in livelli sempre più complessi
e profondi della spontaneità — dell’antica natura o dell’uni-
versale — fino a dominare lo stesso grado intensivo dell’esistenza reale.
Allora da oscu- ra passione e da feroce deserto fatto di pii-
Rione, il mondo si farà l'atto stesso dell’in- Jjduo, ed in ciò
sara redento e persuaso . . . Ji l'Individuo Assoluto.
Si può raccogliere insieme nel modo se- dente quanto si è
detto. Il punto di partenza è l’universale, il qua- L
nell’ordine della realtà non costituisce il grado più ricco — come lo
vuole il platoni- co — ma invece il grado più povero, non il punto
di arrivo, il terniinus ad quem, ma il punto di partenza, il terniinus a
quo. In esso s j ha infatti il semplice stato dell’essere che trova
sè stesso, che è pura spontaneità, che nini si possiede ma,
semplicemente, è. Stato di pienezza e di luce per l’Io non ancor
nato, t presso al punto dell’individuale esso appare invece come
oscurità e morte: cosi in un pri- mo momento esso si dissolve nel mondo
della parvenza e della mera rappresentazione; in Jan secondo
momento viene sentito come pas- | suine infinita, come il dolore cupo e
muto del- la privazione, come l’indicibile crocifissione nel mondo
della necessità. Ma, nata da lui, questa morte l’individuo la assume ora
con (gioia: egli è sufficiente ad essa; egli sa che soltanto
il suo proprio, sovrannaturale valore I 1 essere fatto di possesso» ne è
la causa; egli la riconosce come la materia, dalla q„ a . lo
soltanto egli potrà trarre lo splendore <ij una vita e di una realtà
assolute. Ed allora l’oscurità gradatamente si illumina, allora
dall’abisso della necessità sorge il fiore ferri . bile dell’Individuo
assoluto. Egli si erge lei,, tissimamente nel cielo senza stelle,
liacndosj dalla vampa di ciò che egli divora nella sua potenza. Le
cose e gli esseri muoiono nell’i,,. tensità vertiginosa di lui che,
gradatamente, irresistibilmente, diviene — che, spaventevoh nella
sua purità, è « Signore del Sì e del K<> > <? Dominatore dei
« tre mondi ». E in lui, ente di possesso, ente che «arde e fiammeggi!
», il processo dell’universo avrà con il suo allo, la sua consumazione
o perfezione tinaie. I Questo è, ad un dipresso, il senso del
siste- ma che io sostengo; nel quale da una parte ho cercato di
fondere il problema gnoseologi co e il problema ontologico con quello
etico c della autorealizzazione o magico; dall’altra, di
rivendicare il valore dell’individuo e di far- gli nascere la coscienza
del suo compito e del- la sua dignità cosmica. j E’ ciò che
io riconosco come verità, o, per meglio dire, è ciò che io voglio come
verità. L’individuo e il divenire del mondo, Roma, Libreria di Scienze e
Lettere, 1 5) Race and the Myth of the Origins of Rome In his Life of ROMOLO, PLUTARCO
writes: ROMA would not have risen to such power had it not had, in any way, a
divine origin, such as to offer to the eyes of men something great and
inexplicable. CICERO repeats the same thing (Nat. Deor.) and then goes on to
consider (Har. Resp.) the Roman civilisation as that which surpassed every other
people or nation through sacred knowledge -- omnes gentes nationesque
superavivums. For the ancient Romans, SALLUSTIO has the expression “religiosissimi
mortales”. On the other hand, in our day, all of that is fantasy or
superstition for many serious persons and critical minds. The facts are the
only thing that count for them. The mythical traditions of the ancients have no
value, or they have it only insofar as it is supposed that, here and there,
they are confused reflections of real events, that is to say, tangibly
historical. There is, in that, a fundamental misunderstanding that is denounced
by Vico, then by Schelling, still more recently by Bachofen and, finally, by
the most recent school of the metaphysical interpretation of myth, and by those
little known today (Guenon,Otto, Altheim, Kerenyi, etc.). According to all
these philosophers, a mystical tradition is neither an arbitrary creation more
or less on the poetic and fantastic plane, nor a deformation or transpositions
of a historical element.. Especially in regard to origins, Bachofen points out
that a symbol or a legends, if only in a dramatised form, may represent
actually and truly the history of the beginnings of a nation. Not the history
of events occurring materially on earth, but rather of spiritual processes that
give birth to a people alongside other people although different in culture and
civilization. This is history, so to say, of its prenatal period. Legend and
history are tightly connected. The former proceeds through interiorisation and
is dispersed through images. The latter proceeds through exteriorisation as
facts, an action, or an event. An image is the result of a formative living
force. A fact is organised by human thought. In a legend, one is transported by
a formative force. In history, there is premeditated organisation of facts. But
the legend is a part and the root of history. A legend is not poetry. Rather, a
legend is a reality much vaster than history itself. The threads of the destiny
of a people that unravel in the most various ways in their historical
development go back to an impulse, to the creative sphere, to which the HERO of
its legend is connected. Bachofen thus reveals that, even at the point in which
evidence, by being recognised as a LEGEND, comes to be rejected by profane
history, even when it is a positive witness to the spirit of a people. In that
way, a study of a mystical tradition, using a different criterion, may lead us
to an interesting conclusion from the point of view of a theory of race that is
similarly not defined by the material aspects of the issues, but also addresses
the inner reality of race. We want to illustrate this interpretative method
with the birth of Rome -- applying it
precisely to the exegesis of the legend of our origins. The legend related to
the birth of Rome concentrates such a quantity of sensitive elements based on
general meanings of civilisations and mythologies of the Aryan people, that a full
seminar would be necessary to analyse them and clarify them adequately.
Therefore, I shall point out here only the most notable themes, among which
are: the miraculous birth, the theme of being saved by the waters, the wolf,
the tree, the rival pair of twins. The legend of the union of a god with a
mortal woman, in the present case, of MARTE with the vestal RHEA SILVIA, form
which union ROMOLO and REMO are born, recurs in almost all traditions in regard
to the birth of a divine heroes. GIOVE and LETONE give birth to APOLLO, GIOVE
and Alcmene to ERCOLE -- ERCOLE being the symbolic hero of the Doric-Achaean
Aryan peoples, and Apollo having a connection with the land of the Hyperboreans
and with the primordial Nordic-Aryan races. An analogous origin, in properly
Germanic traditions, is attributed to the heroic peoples of the Volsungs, to
which Siegfried belongs. In the ancient royal Egyptian tradition - whose remove
origin can with good reason also be considered to be Aryan and
Atlantic-Occidental - every sovereign is thought to have been begotten by a god
uniting with the queen. This is a mystical tradition in which the hidden
meaning of the LEGEND comes to the fore, inasmuch as a miraculous birth without
the help of a man, of a human father, is imagined. Since the queen has her
consort, the idea that her son was conceived by a god, being awaken to life by
her husband, could only indicate that he, not in his moral part, but so to say,
in that eternal and divine part, had to be thought of as a type of incarnation
of a decisive supernatural element that came to confer a royal dignity on him.
In the case of ROMA, therefore, MARTE is such an element from above, that is,
the divine representation of the principle of warrior virility. Such a force
stands therefore at the origins of the Eternal City and at the basis of its
secret origin, veiled by the legend: so that in some traditions form the era of
the Roman Republic itself, it will be directly conceived as the son of MARTE.
And this MARTE force is associated with those who may be the guardians of the
sacred flame of life; symbolically, with a vestal (RHEA SILVIA). The twins ROMOLO
and REMO are abandoned to the waters and are saved from the waters. Here again
is a symbolic theme recurring in many traditions. Moses is saved from the
waters, the Indo-Aryan hero Karna is left in a basket in the river and is saved
from the waters, and so on. But the symbol contained in the most ancient Aryan
tradition is especially important, i.e., the Vedic tradition, in which ascetics
are depicted as supreme natures who stand on the waters. Analogous explanations
and, therefore, the hidden meaning of such a symbol, can be clarified as
follows. The waters have traditionally always depicted the current of time,
i.e., the basic element of mortal, unstable, contingent, passionate, fleeting
life. The weak man is taken from the waters and carried from the waters. The
seer or HERO, the ascetic or the prophet is saved from the waters, or is
capable of standing on the waters, or of not sinking in the waters. Hence, in
the legend of the origins of Rome, this symbol must again characterise the divine
element of the founder of Rome, his, so to speak, super-natural dignity. The
twins find refuge near the fig tree – the “ficus Ruminalis” -- and are suckeld
by a wolf. The word “ruminalis” contains the idea of feeding: the quality of “ruminus”,
related to GIOVE, alluded to the quality of nourisher: the god who gives
nourishment in Latin. But this is the most elementary aspect of the symbol. In
general, in the most ancient traditions of the Aryan race, the tree is the
symbol of universal life, it is the tree of the world or the cosmic tree. If it
is in the form of a fig tree as it appears in the legend of Roman origins,
precisely as a “fico indico”, the Banyan tree, the ashwattha tree - it is
depicted as upside-down in the Indo-Aryan tradition to express that its roots
are from above, in the heavens. The idea of a mystical flood from the tree is
an often recurring theme: the myth of GIASONE, ERCOLE, Odin, Gilgamesh, etc.
Naturally, according to the races and their spirit, this then present diverse
variations. We know from the Hebraic myth that to pick and eat from the tree in
order to make oneself like god is considered as the principle of guilt, abuse
of power, and a curse.Things are conceived in a very different way in the myths
of the Aryan race and even in the paleo-Chaldean myth of Gilgamesh. Also, in
the legends of the Ghibelline Middle Ages, the heroic theme prevails and the
tree often appears as that of the universal empire, reaching it in the symbolic
lands of the mysterious Prester John means insuring the same dignity that the
ancient Ario-Iranian rulers associated with the title of king of kings.
Returning to our subject, in the legend of the twins at the origins of Rome, we
therefore have the allusion to a supernatural food from the Tree - but also the
Wolf. The symbol of the wolf, considered in its entirety and in all the stories
that refer to her, has an ambiguous character. LUCIANO and GIULIANO recall
that, in the ancient world, on the basis of the phonetic resemblance between
the two words, the idea of the “lupa” and of “luce” are often associated – “lykos”
– lizio --, which in Greek means wolf, sounds like “lyke,” light. But there are
also figurations of the wolf a sa hellish animal, as a dark force. The wolf
thus appears to us in the double aspect, symbol of a ferocious and savage
nature and also as the symbol of aluminous nature. This duality is verifiable,
not only in Hellenic-Mediterranean prehistory, but also in the Celtic and
Nordic. In fact, on the one hand in the Nordic-Celtic and Delphic cults the wolf
is connected to Apollo, i.e., to the Hyperborean, Nordic-Aryan god,
simultaneously conceived as the solar god of the golden age and significantly
associated by VIRGILIO with ROMAN greatness. “Sons of the wolf”, on this basis,
was a designation for warrior and heroic peoples of Nordic-Germanic origins,
designations that persisted even up to the epoch of the Goths and Nibelungs.
Yet, on the other hand, in the Edda, the age of the wolf signifies a dark age,
marking the epoch of the outbreak of savage and elementary forces, almost of
the power of chaos, against the forces of the divine heroes, or Aesir. Now we
can certainly also relate this quality to the principle that, according to the
legend of origins, fed the twins insofar as we see it reflected in their very
nature, that is, in the antagonistic duality of ROMOLO e REMO, as related to us
in the legend. As others already noticed, so also the theme of a single
principle from which an antithesis is differentiated, whether depicted by the
antagonism of twins or, in general, of a couple, is found again in many
traditions, and not rarely in respect ot particularly significant moments for
the origins of a given civilisation, race, or religion. For example, we only
recall that in the ancient Egyptian tradition Osiris and Set are two brothers
of discord - conceived as twins - and one incarnates the luminous power of the
sun, the other, a dark, “infernal”, principle, whose generation is called the
“sons of the impotent revolt”. Does not something similar also show through
perhaps in the ROMAN legend? ROMOLO is the one who marks the contour of ROMA as
the meaning of a sacred rite and a principle of limit -- of order, of law -
having received the right of putting his name to the city form the apparition
of the solar number, of the XII vultures. REMO is, instead, the one who
violates such a limit and is killed for this reason. One could say that the
primordial force of Roman origins thus are differentiated and destroys the dark
powers that are contained in themselves, affirms in its luminous aspect of
order, Olympian denomination, purified warrior force. There have been attempts
to see in the contrast between ROMOLO and REMO the reflection of the contrast
between opposed Aryan racial forces, or of the Aryan type, and non-Aryan or
pre-Aryan types. Research of this kind is without doubt interesting. Problematic
in its conclusions, if it intends to remain exclusively on the plane of
material facts, or archaeological and anthropological evidence. It has greater
possibilities if it also penetrates legend in order to extract elements that
integrate research in other domains. Naturally, in order to accomplish that, it
also needs to resolve to outline general frameworks of various aspects of
ancient Roman society, considering, for example, with various philosophers,
somewhat probable that the social system of castes of ancient Rome has a racial
substrate. In this totality, it is interesting to examine the link between the
two principles, whose symbolic figurations could well be ROMOLO and REMO -- with
the two hills Palatine and Aventine. The PALATINO is, as we know, ROMOLO’s hill
and the AVENTINO is REMO’s. Now, according to the ancient Italic tradition, on
the PALATINO, ERCOLE met the good king Evander (who significantly founded a
temple of the goddess Victoria on the same Palatine hill) after having killed CACO,
son of the Pelasgian (pre-Aryan) god of the subterranean fire: and Hercules
conquered and killed in Cacus’ cave, located in the AVENTINO, and erected an
altar to the Olympic god, to whom he was allied according to the Hellenic legend.
Researchers like PIGANIOL are of the opinion that this duel between ERCOLE and
CACO - with the corresponding opposition of the PALATINO and AVENTINO hills -
could be a mythic transcription of the battle waged by peoples of opposing
races. The mythic legend of the origins of Rome is therefore saturated with
deep meaning. The triumph of ROMOLO and the death of REMO is the key to the
origin hidden in Romanity - and the first episode of a dramatic, outer and
inner, spiritual, social and racial battle, in part known, in part still
enclosed in symbols or in an event not yet penetrated with respect to their
most essential aspect - almost, we will say: with respect to the third
dimension. Through this secular battle, Rome rises gradually and asserts itself
in the world as a triumphal manifestation of a principle of light and of order,
of an ethic and a vision of life that, in its original and uncorrupted forms,
is witness to the Aryan spirit. And we know what it is, according to the most
widespread tradition, the conclusion of the legend of origins. It is the
apotheosis of ROMOLO, ROMOLO deified. He returned from the earth to heaven
after his mortal part was destroyed by means of the dazzling fire. So what has
been treated is neither fantasy, nor poetry, nor rhetoric. Analogous
explanations recur in the traditions of all peoples, according to a uniformity
that should lead anyone to reflection. Also in regards to ROMOLO, the legend
contains a faith and a spiritual certainty. It is the meaning of a reality
that, freed from the person and symbol, is not once, but will always be, and
will always be present, in its greatness beyond history, the race that knows
how to recall the mystery. Evola è stato il più importante teorico della rivoluzione
conservatrice in Italia. Nei suoi saggi filosofici si ritrova l'utilizzazione
consapevole della espressione «rivoluzione conservatrice», la base
teorica e i limiti entro cui ha senso tale definizione. Tuttavia, in Evola
la rivoluzione conservatrice si dissocia nettamente dall 'ideologia italiana.
La sua elaborazione del concetto di rivoluzione conservatrice è attinta
direttamente dalla konservative Revolution tedesca, e ad essa si rifà
espressamente, pur con alcune specifiche motivazioni. In secondo luogo, l’idea
di rivoluzione conservatrice in Evola si situa in una linea fortemente
critica verso la tradizione teorica e storica italiana. A cominciare
dall’idea stessa di nazione, di cui Evola sottolinea l'eredità giacobina,
egli sottopone a una critica serrata tutte le stazioni più importanti
della ideologia italiana: la critica del Risorgimento, che pure è ricorrente in
tutta l’ideologia italiana, è condotta da Evola non più nel nome
dell’inveramento del Risorgimento, inteso come radicalizzazione o
correzione di rotta, ma diviene rifiuto e negazione del Risorgimento,
visto come la traduzione nazionale della rivoluzione francese, e
rigettato come l'espressione di un liberalismo anti-tradizionale. Qui
Evola accoglie l'eredità del pensiero contro-rivoluzionario e si situa
nettamente nel solco della tradizione reazionaria, pur non condividendo il
riferimento cattolico e cristiano che la sottende. Critiche non
meno nette Evola rivolge al processo unitario post-risorgimentale e a
tentativi come quello crispino di generare una sintesi tra nazional-populismo
e autoritarismo. Ma la critica di Evola non si arresta nemmeno alle soglie del FASCISMO,
a cui pure il suo nome è solitamente associato. Quasi tutta la critica
evoliana verso il fascismo gravita proprio sul tentativo fascista di
costituire una ideologia italiana o di inserirsi nella tradizione italiana,
sia verticalmente, cioè come recupero della storia italiana, sia
orizzontalmente, come tentativo di integrare le masse e tutte le diversità in
una comunità nazionale. Per Evola, il fascismo non avrebbe dovuto
abdicare al suo ruolo di MINORANZA attiva, di aristocrazia, di OTTIMATI, avrebbe
anzi dovuto accentuare la sua diversità, da quel che costituiva la linea italiana
risorgimentalista. La critica di Evola all'ideologia italiana, così implacabile,
sconsiglierebbe dunque di ritrovare nella sua filosofia i lineamenti di quella rivoluzione
conservatrice -- il filo rosso della storia italiana. Le sue scelte lo
porterebbero, piuttosto, nella linea di de Maistre e de Bonald o di larga parte
della filosofia mitteleuropea. Ma a questo punto si dispiega uno dei
maggiori paradossi della dottrina politica evoliana: quanto più Evola teorizza
una tradizione radicalmente diversa dalla modernità e integralisticamente
depurata da ogni scoria di pseudo-tradizionalismo» nazionalista e risorgimentale,
tanto più Evola coniuga l’idea della tradizione con posizioni che appartengono
al mondo della rivoluzione. Rivolta, anomìa, anarchismo di destra, nichilismo
attivo sono ricorrenti espressioni della filosofia evoliana che segnano un
indubbio recupero della dimensione rivoluzionaria. Questo dualismo,
solitamente, è stato attribuito a due tappe differenti e fondamentali della
filosofia evoliana, e identificate l’una ne “Gli uomini e le rovine”, e l'altra
in “Cavalcare la tigre.” Ma, più vastamente, l’intera opera evoliana si dispiega
all’interno di un orizzonte antinomico, tra rivoluzione e tradizione, se si
considera l'esperienza pittorica dadaista, fortemente eversiva, il periodo
filosofico, con sostanziali elementi rivoluzionari e stirneriani, la valorizzazione
del tantrismo nel suo aspetto più distruttivo (la via della mano sinistra).
Elementi che convivono nell’opera evoliana con la ricerca e l'affermazione
della tradizione, il primato dell'essere, il recupero della dimensione
metafisica; o nel mondo politico con il richiamo a una concezione fondata
sull'autorità, l’ordine e la gerarchia. Sul piano della dottrina
politica, l'aporia può forse trovare agevole soluzione se si tiene
presente che, in un mondo sconsacrato e secolarizzato, la tradizione non può
che rivelarsi come una rivoluzione e attraverso la rivoluzione. Il ritorno alla
tradizione, in questo contesto, sarebbe infatti un evento di rottura, una
radicale inversione di rotta rispetto alla realtà presente. La rivoluzione
sarebbe dunque per Evola il rigetto del presente nel nome del passato;
rivoluzione-restaurazione, ovvero rivoluzione nel senso dell'astronomia
classica, come già ripete Evola. In uno scritto divulgativo, tra gl’ultimi
di Evola, il pensatore tradizionalista afferma. Se si vuole, ci si può
riferire alla formula, solo in apparenza paradossale, di una rivoluzione
conservatrice. Essa concerne tutte le iniziative che si impongono per la
rimozione di situazioni negative, fattuali, necessarie per una
restaurazione. In linea di massima, si può riconoscere la coerenza di
questa posizione e il rigoroso uso dell'espressione di rivoluzione
conservatrice. Tuttavia, soprattutto se si tiene conto dell'orizzonte di
pensiero in cui Evola utilizza questa definizione, i due piani di
rivoluzione e tradizione non sembrano poi così nettamente delineati e
divisi. In Evola vi sono interpolazioni e attraversamenti: talvolta la pratica
rivoluzionaria finisce col rivoltarsi contro gli stessi principi
tradizionali e finisce con l'assumere valori autonomi. L’anomìa finisce con l’essere una
pericolosa arma a doppio taglio. E dall’altra parte, soprattutto
nell’ultimo Evola, il metodo rivoluzionario risulta spesso alterato o
addirittura soppiantato da una scelta pratica di tipo conservatore,
fondata sui parametri del salvare il salvabile, preferire il male
minore, allearsi con i moderati per combattere la sovversione, eccetera. A
parte questi sconfinamenti, peraltro marginali se si considera l’itinerario
evoliano nel suo complesso, Evola si pone legittimamente come il teorico
principale della rivoluzione conservatrice vista da destra. Il suo
pensiero è alle origini sia dell’integralismo di destra che del modernismo
di destra -- in parte defluito da destra. Non si potrebbe infatti comprendere
il neo-tradizionalismo, anche quello cattolico, senza transitare per le
opere di Evola imperniate sui valori della tradizione. Ma dall'altro
verso non si potrebbero comprendere neanche i fermenti della cosiddetta nuova cultura,
della nuova destra o i tentativi di andare al di là della destra e della
sinistra, senza risalire a quel filo rosso che scorre dall’Evola dadaista
e iconoclasta all’Evola filosofo, al seguace del tantrismo e soprattutto
all’autore di Cavalcare la tigre. Da entrambe le posizioni, neo-tradizionaliste
e moderniste, si sono staccate frange opposte e simmetriche, che hanno
parimenti rifiutato l'eredità evoliana, l'una nel nome della tradizione
cattolica, l'altra nel nome della modernità assurta a valore. Se il
linguaggio non e improprio e desueto, si potrebbe dire che la sua opera genera una
destra e una sinistra evoliana. È curioso osservare che i modernisti di
destra ripercorrono, pur con specifici tratti, lo stesso cammino già
percorso da un certo radicalismo di destra che trova in Evola elementi per
fondare una scelta rivoluzionaria in senso nazional-popolare. Il
cammino dei modernisti di destra si rivela come la versione debole (e
quindi più intellettualistica, più dolce nel metodo e più esitante) di quello
stesso processo di modernizzazione del pensiero evoliano, la cui versione forte
è costituita proprio dal rivoluzionarismo nazional-popolare. I vari filoni
dipartitisi d’Evola ritrovano oggi sul loro cammino gli stessi incroci in cui
si dibatte la filosofia evoliana: trasgressioni e fedeltà, soggettività e tradizione,
organicismo senza statolatria, ricomposizione comunitaria ed élitismo,
rigetto dell’ideologia italiana e insieme esigenza di radicarsi nel
tessuto reale di que sta società, e così via. Le contraddizioni, mutatis mutandis,
sono ancora le stesse. Per ripercorrere queste stazioni cruciali della
filosofia evoliana, e proficuo attraversare le principali interpretazioni
critiche della filosofia d’Evola che si possono ricondurre a quattro tesi
fondamentali. In primo luogo, l'interpretazione di Evola come maestro
eretico del pensiero negative. In secondo luogo, Evola visto come teorico di un
neo-paganesimo anti-cristiano e anti-trascendente. In terzo luogo, Evola visto
come un gentiliano minore che tenta invano di superare l'attualismo. Inine, Evola
visto come l'ispiratore del neo-nazifascismo. L’accostamento tra Evola e il
pensiero negativo si può far risalire al tempo della contestazione,
quando qualcuno ravvisò impressionanti simmetrie tra il pensiero evoliano
e il pensiero di MARCUSE. Simmetrie che lo stesso Evola non ha mancato di
sottolineare, seppure rimarcando la radicale divergenza di fondo. Di quel
parallelo aveva parlato qualche anno fa GALLI, soffermandosi soprattutto sulle
sue valenze politiche. Da un punto di vista filosofico la collocazione di
Evola nell'alveo del pensiero negativo è stata recentemente proposta da MANCINI
e CACCIARI. Entrambi scorgono in NIETZSCHE il crocevia della filosofia negativa.
Dopo NIETZSCHE, si potrebbe quasi parlare di un pensiero negativo di sinistra
che coniuga Nietzsche con MARX, Freud e al limite STIRNER, e che si esprime,
soprattutto, ma non solo, con la triade francofortese Adorno, Horkheimer e
Marcuse; e un pensiero negativo di destra che coniuga Nietzsche con i
valori tradizionali e che si esprimerebbe tra gli altri con Evola, JUNGER e
larga parte del pensiero rivoluzionario-conservatore. Quale sarebbe il filo
comune del pensiero negativo? In primo luogo, la critica radicale della ragione
e delle pretese sintetiche e costruttive della razionalità. In
secondo luogo, lo smascheramento della civiltà moderna e borghese e la rivolta
contro la nostra società. In terzo luogo, lo sfaldamento della fiducia nel
progresso ma anche negli antichi appoggi; la crisi del principio di identità
e di non contraddizione; indi, la concezione conflittuale e catastrofica della
storia. E scavando più a fondo si giunge alla matrice del nichilismo: la
morte di Dio, la perdita del reale, del senso e degli scopi, l'incertezza
esistenziale, l'oscuramento della metafisica. I due versanti del pensiero
negativo sarebbero dunque compresi nell’alveo del nichilismo. Soltanto che
il versante destro del pensiero negativo, a cominciare d’Evola, per
estendersi a buona parte della rivoluzione conservatrice, tradirebbe
Nietzsche, mascherando il nichilismo nell'irrazionale e nella retorica dei
valori. A questo punto le conclusioni di un MANCINI conducono a una
condanna senza appello del pensiero evoliano, le conclusioni di CACCIARI
conducono invece a un appello senza condanna agli evoliani: liberatevi
dal camuffamento irrazionalistico, liberatevi dalle vostre certezze che
reggono solo sulla retorica, e procedete con occhio sgombro verso un sapere
senza fondamenti, verso un nichilismo consapevolmente vissuto e accettato come
destino finale. In fondo il discorso ruota intorno a un’equazione
tutta da dimostrare: l'equazione, appunto, tra Evola e il pensiero
negativo. È necessario dunque affrontare la differenza radicale che
allontana Evola dal pensiero negativo. Una differenza di provenienza e di
approdi, di metodi e di aperture. È certamente vero che il pensiero
negativo e il pensiero evoliano nascono entrambi come filosofie della crisi. Ma
la crisi del pensiero negativo è la crisi di una razionalità che ha perduto la
ragione, di una dialettica che ha perso la possibilità della sintesi, di
un materialismo che ha perduto la materia, di un orizzontalismo che
ha perduto orizzonti, di una rivoluzione che ha perduto il progetto.
La crisi da cui nasce il pensiero evoliano è invece la crisi di una
trascendenza che ha perduto Dio, di un verticalismo che ha perduto il suo
vertice, di un eroismo che ha perduto gli eroi, di un Olimpo che ha
perduto gli dei, di una tradizione che ha perduto i suoi templi, i suoi
riti e i suoi uomini. Da una parte è l’orfanità della ragione che incita a
ripensare i miti. Dall'altra parte l’orfanità del mito che spinge a
cercare le ragioni. In entrambe si assisto al disormeggio della storia secondo
la suggestiva espressione di CIORAN. Da una parte in Evola la tradizione sembra
smarrire gl’anelli che la congiungono al presente. Dall’altra parte nel
pensiero negativo il progresso si separa dall’ottimismo e dal migliorismo storico
e scivola nella catastrofe, nel vuoto. Ma differente è pure la reazione
alla crisi. Il pensiero negativo diviene pensiero della liberazione
trasgressiva, sollecita a liberarsi dai vincoli della realtà e della ragione,
oppone la ragione distruttiva come risposta alla ragione
decretante. Opposta appare invece la reazione evoliana alla crisi. Alla
liberazione dal destino si oppone qui l'accettazione del destino, la fedeltà ai
valori oscurati, l’azione nonostante i frutti, la risposta eroica al
nichilismo. Entrambe le vie germogliano dunque dalla crisi: ma il
pensiero evoliano induce a vivere come se i valori esistano. Il pensiero
negativo induce a vivere come se non abbia importanza avere valori. Evola
scommette sui valori, il pensiero negativo rigetta la scommessa come insignificante,
fuorviante, mistificatrice. Nel pensiero negativo il nichilismo è pensato
e vissuto come esito finale; nel pensiero evoliano il nichilismo è inteso
come prova del fuoco, come deserto da attraversare. L’esperienza del nichilismo
è rivolta in Evola a fortificare il bagaglio interiore, a essenzializzare la vita,
a denudare i valori dalle incrostazioni, per ricondurli alla nudità
originaria. Il nichilismo, secondo questa prospettiva che Evola coglie da
Nietzsche, dovrebbe rafforzare ciò che non riesce a spezzare. Il pensiero
evoliano ha Nietzsche alle sue spalle, ombra titanica che si allunga sul suo
cammino; il pensiero negativo trova invece Nietzsche davanti a sé,
scoglio insormontabile per la ragione dialettica. Ciò che in Evola è punto di
partenza, che pure si allunga su tutto il percorso, nel pensiero negativo
è punto d'arrivo, oltre il quale non si può andare. Non è un caso, poi,
che il pensiero negativo si definisca tale, laddove il pensiero evoliano si
autodefinisce magico: il pensiero magico è per sua stessa vocazione
rivolto a comporre, a ordinare il mondo e non a disfarlo, a rivelare la
sua segreta armo¬ nia, a concepire la libertà come attività produttiva
e creativa. Il pensiero magico risale dal caos al cosmos, dal
conflitto all’armonia, ponendosi infine come pensiero costruttivo, pensiero
positivo. Il pensiero negativo al contrario dissolve il cosmos nel caos,
nell'armo¬ nia scorge il contrasto, eternizza il conflitto e la
catastrofe, definendosi infine come pensiero distruttivo. Nel crocevia tra
magia e trascendenza, il pensiero evoliano si inviluppa in alcune
contraddizioni: le forti aporie tra senso della trascendenza e immanentismo
volon¬ taristico che si esprimono nell'Autarca, le tentazioni
faustiane, il pericoloso velleitarismo di chi vuole traversare l'abisso,
l'etica della disperazione che si risolve talvolta in Evola in uno
spiritualismo nobile ma cieco, che rigetta i frutti e le prospettive. Ma pur
nella con¬ traddittorietà delle posizioni ciò che distingue radicalmente
Evola dal pensiero negativo risale a una opzione di fondo: è la opzione
della trascendenza che conduce Evola alla riscoperta del sacro. La
trascendenza resta una dimensione assente nel pensiero negativo in
virtù di una originaria opzione immanentistica mai smentita. La f
iducia in una «più che vita», la scommessa sul- r immo rt alità, la
certezza del sacro, il culto dell'invisi- bil e e de fì'eterno,
accend on o in Ev ola un bag lioré me¬ t afisico che non é flato tr
ovare, n el pensi ero negativo. Alla luce del sacro, la stessa concezione
eroica esce dal campo del puro arbitrio, della mera retorica, del volere
autarchico, per farsi essa stessa segno di quella certezza metafisica e
metaesistenziale, espressione e testi¬ monianza che pure vacillando nel
vuoto, la strada percorsa è quella che sale. Occupandosi del radicalismo di
destra, «Civiltà Cattolica» ha individuato in Evola il principale
ispiratore di una nuova destra fortemente anticristiana e neo-pagana . Le
argomentazioni condotte a rinforzo di questa tesi erano attinte quasi
interamente dalla lettura di iperialismo pagano. Che in Evola vi sia una forte
ascendenza di tipo pagano è certamente fuori discussione: la grande valutazione
del mondo greco e ROMANO, l’esaltazione della spiritualità nordica, il risalto
attribuito alla figura di Federico II, sono solo alcuni tra i segnali di questa
ispirazione pagana del pensiero di Evola. Tuttavia l’interpretazione di
Evola come padre di un neopaganesimo anticristiano, è semplicistica e a
tratti fuorviante. Vi è in primo luogo una ragione metodologica: non si
può valutare il pensiero evoliano soffermandosi sulla lettura di Imperialismo
pagano, un saggio che Evola scrisse non ae che in seguito disconobbe.
Imperialismo pagano è un pamphlet fortemente polemico che risente degli umori
del tempo e che si inserisce nel dibattito preconciliare. Imperialismo pagano è
un'opera certamente minore rispetto ad altre opere evoliane di spessore
ben più notevole. Per comprendere Evola bisogna transitare almeno da
altre cinque, sei opere ignorate da «Civiltà Cattolica». In secondo
luogo, il pensiero evoliano si alimenta di correnti e torrenti che
sarebbe improprio definire di tipo pagano: la tradizione gnostica e orfica,
pitagorica, la metafisica orientale, il buddismo. Se si vuol
definire pagano, nel senso di anti-cristiano, tutto ciò che non è
cristiano, si finisce nel più piatto manicheismo. In terzo luogo,
dal complesso dell'opera evoliana non si può dedurre un orientamento anti-cristiano
e ancor meno un orientamento anti-trascendente. Altrimenti non si
comprenderebbe in Evola la lettura dei mistici cristiani, l'influenza di certo
gnosticismo cristiano, l’attenzione positiva verso pensatori come Meister
Eckart e SAN GIOVANNI DELLA CROCE, la grande influenza di Carlo MICHELSTAEDTER
che rivela profondissime tracce di cristianesimo. E non si
comprenderebbe il carteggio evoliano con REBORA, il ritiro di Evola in un convent,
la sua difesa della Chiesa del Sillabo (se la Chiesa fosse ancora quella
del Sillabo — afferma Evola — non ci sarebbero esitazioni a schierarsi
dalla sua parte per affermare i valori della tradizione»), ma anche della
fede cristiana e del suo significato nella nostra epoca sconsacrata.
E non si comprenderebbe infine per quali misteriose ragioni la lettura di
Evola sia stata per molti una stazione d i transito ve rso una riconversion e
al cattolicesimo -- una ris coperta del sacro e del trascendente, del rito
e dell aJracE zionèr Sarà un paradosso^lha mòTti dfcoTo- ro che
hanno poi criticato il pensiero evoliano alla luce del cattolicesimo
tradizionale, devono a Evola la cono¬ scenza di autori come de Maistre,
Donoso Cortes, de Bo- nald. È poi significativo che Evola condanni le
franga moderniste [del cristianesimo , colo ro che riducono la religione
nell’orizzonte immanentistico de l messaggioso . ciale, la
stòricizzazione e l’umanizzazione del divino, la teologia dellà morte di
Dio, la razionalizzazione dei principi e delle tradizioni, la confusione del cr
stianesimo conjun moralistico sentimentalism o borghese. In Evola
permane, certamente, un senso di estraneità al cristianesimo, ma non di
ostilità; vi è un differente tipo di spiritualità che trae alimento da
differenti tradizioni. Nel cristianesimo Evola denuncia la mancanza di
una dottrina esoterica che possa affiancarsi alla religione fideistica
e devozionale. Appare quindi improprio il tentativo di demonizzare il pensiero
evoliano come l'espressione di una rivolta anti-cristiana con esiti immanentistici.
Questa riduttiva interpretazione del pensiero evoliano rimanda a un'antitesi
più vasta e insensata quando pretende di essere assoluta: l’antitesi tra
paganesimo e cristianesimo alla cui radicalità mostrano di credere
da un verso «Civiltà Cattolica» e dall'altro verso alcuni esponenti della
nouvelle droite, a cominciare da de Benoist. L'antitesi autentica e radicale
della nostra epoca, in realtà, non è tra paganesimo e cristianesimo ma tra
sacro e nichilismo, tra vocazione alla trascendenza e sfaldamento
nell'immanenza. Per un autentico spirito cristiano la santità è
intesa come il culmine del sacro, è il gradino supremo in cui il
sacro si incarna nell'umano e si palesa nel mondo; per una autentica
religiosità di tipo pagano, la santità è una delle più alte
manifestazioni del sacro. Per entrambi resta essenziale l'antitesi
tra sacro e ni¬ chilismo. Per una spiritualità di tipo cristiano il
senso elèi sacro può dirsi quasi il rosminiano sentimento fondamentale,
quell'innata vocazione metafisica sulle cui basi si eleva poi la fede
cristiana. Per una spiritualità di tipo pagano, il sacro può intendersi non
come la base ma come il vertice verso cui convergono le religioni, il
principio metafisico di cui le religioni sono bracci, manifestazioni,
assi di una ruota. Nel pensiero contemporaneo, la distinzione di campo più
rigorosa è senza dubbio quella tra pensiero ispirato alla trascendenza e
pensiero esaurito nell’iimmanenza, tra pensiero fondato metafisicamente
(proteso verso l'essere) e pensiero senza fondamenti o comunque fondato
storicisticamente, vitalisticamente e materialisticamente (risolto dentro il divenire).
In questa distinzione di campo, il pensiero di Evola ritrova una identità
molto diversa da quella che gli viene attribuita da «Civiltà Cattolica» e da
taluni esponenti del «neopaganesimo». Vi sono certamente alcune cadute
immanentistiche e superomistiche nel pensiero evoliano che in un pensatore
come GUENON, ad esempio, non sono presenti: ma il pensiero di Evola
rischia l’impurità e talvolta l’incoerenza perché si cimenta con la crisi
contemporanea. È una scommessa più difficile quella di Evola, un cammino
più arduo: attraversare il nostro tempo. Questa sua scommessa può essere
intesa come la sua peculiarità più feconda e insieme come il suo limite
più netto: ma, in ogni caso, il pensiero di Evola si incammina sul l a s
trada, del sacro. Un autorevole filosofo come NEGRI ha individuato in
Evola un «gentiliano minore» che tenta invano di superare l'attualismo. L’interpretazione
di NEGRI ripercorre i sentieri già solcati da SPIRITO, CARLINI, E SCIACCA che
appunto a GENTILE avevano ricondotto il pensiero di Evola. Che l’ombra
gigantesca di Gentile si allunghi su tutta la filosofia italiana può essere
difficilmente confutabile. Persino lo spiritualismo cattolico o la filosofia
della prassi di GRAMSCI mostrano i segni di quella influenza. Ma che vi
siano specifiche e preponderanti tracce di influenza su Evola è largamente
inesatto. Si deve anzi osservare il fenomeno opposto: forse
non è mai accaduto che due pensatori, vissuti nello stesso tempo e
nella stessa nazione, associati seppur genericamente in uno stesso indirizzo
«filosofico» e in uno stesso ambiente storico-politico, siano stati così
lontani come Gentile ed Evola. Alle sorgenti della formazione
evoliana vi sono correnti e autori in larga parte estranei a Gentile.
Manca a Gentile il riferimento alla metafisica orientale, al pensiero
tradizionale e legittimista, a Stirner, a Nietzsche, a Bachofen, a
Weininger, a Michelstaedter e a tutta la grande cultura mitteleuropea, a
cominciare da Spengler e Junger. E manca a Evola la lettura del
pensiero risorgimentale, l’influenza di SPAVENTA e di MAZZINI, di GIOBERTI e
di ROSMINI, il confronto con la filosofia di Marx e con lo storicismo,
che sono invece determinanti nella formazione di Gentile. I riferimenti comuni
si limitano a certi autori dell'idealismo tedesco. In Evola
l'idealismo è un episodio, seppure notevole, inserito in un altro
episodio, seppure importante, quale è il suo periodo filosofico. Se si
prescinde dalle coordinate extrafilosofiche, si è già lontani dalla comprensione
del pensiero evoliano. Inoltre, va ricordato, della filosofia evoliana si
occupa CROCE ma non se ne occupò mai Gentile, che non vi riconobbe mai
alcuna parentela. E della filosofia gentiliana, Evola se ne è sempre occupato
in chiave critica. I suoi rilievi, le sue critiche all’attualismo sono notevoli,
radicali e tutt’altro che superabili. Sul piano storico, Evola condanna del fascismo
quel che Gentile approva o addirittura egli stesso ispira. E le
distanze con Gentile non si attenuarono nemmeno quando il vento del CONCORDATO
condusse Gentile ed Evola a scontare una comune emarginazione. Come
per Gentile, anche per Evola il fASCISMO e inteso come una rivoluzione
conservatrice, anzi una restaurazione. Ma restaurazione non della tradizione
italiana esaltata dal Risorgimento e dalla filosofia nazionale, come vuole
Gentile, ma restaurazione di LA TRADIZIONE ROMANA e ghibellina. Ovvero
una restaurazione così radicale che finisce con l'essere una rivoluzione
rispetto al passato più prossimo. Nel momento in cui Evola superava Gentile in
radicalismo restauratore, lo supera al contempo in radicalismo rivoluzionario. Va
infine considerata l'evoluzione storico-politica del pensiero evoliano in
senso aristocratico e tradizionalista, che diverge nettamente dall'evoluzione
gentiliana verso l'umanesimo del lavoro. In definitiva, se è
riduttivo chiudere il pensiero evoliano nell alveo dell'idealismo, è
doppiamente riduttivo e fuorviarne considerare la filosofia di Evola alla stregua
di un attualismo malriuscito, un tentativo velleitario di superare Gentile. In
Evola vi è ben altro. Per un tempo, EvoIa è stato conosciuto come
l'ispiratore dell'attivismo neo-fascista e neo-nazista. Una definizione
canonica che ha dominato nel giornalismo e nella cultura politicante, che ha
trovato la sua giustificazione teorica in filosofi come JESI ma una
definizione che ancora resiste, come dimostrano certi interventi al convegno di
Cuneo sulla cultura di destra o certe pagine di un volume collettaneo
sulla destra radicale. In realtà, se vi è stato un autore di destra che più
ha contribuito à scongelare il neofascismo dall’ibernazione nostalgica,
questi è stato proprio Evola. Da figla prima di ogni altro filosofo, la destra
ha imparato a leggere IL FASCISMO e il nazismo in chiave critica, anche se
la critica di Evola ai due fascismi é pur sempre dal punto di vista della
destra, Leggendo il fascismo di Evola, le sue Note sul Terzo Reich, la
sua critica al nazionalismo e alla statolatria, al bonapartismo e al
populismo fascista, al razzismo biologico e agl’isterismi del Fuhrer,
all'idealismo gentiliano e al sentimentalismo cristiano-borghese, conoscendo le
difficoltà che Evola dovette affrontare durante il regime fascista, il radicalismo
di destra ha avvertito l'esigenza di rivedere il proprio patrimonio
ideale e storico. E leggendo Evola, quella destra ha cominciato a conoscere
orizzonti più vasti, prospettive storiche e meta-storiche più ampie, nel tempo
e nello spazio. Ha conosciuto filosofi e tradizioni che con il fascismo poco
o nulla avevano a che vedere. Si deve principalmente a Evola, alle
sue letture e alle sue divulgazioni, alle sue traduzioni e ai suoi
riferimenti, se quella destra ha potuto conoscere ampi filoni della cultura
mitteleuropea, a cominciare dalla konservative Revolution, grandi pilastri
della sapienza orientale, solidi pensatori legittimisti e
tradizionalisti. In secondo luogo, se vi è stato un autore di destra
che ha meno sollecitato l'attivismo, questi è stato proprio Evola. Se
un limite si deve individuare nella lezione politica di Evola esso è piuttosto
di segno contrario: coloro che si sono avvicinati a Evola si sono solitamente
allontanati dall’attivismo politico. Ci si avvicinava a Evola alla ricerca
di fondamenti per la propria scelta politica: ma la radicalizzazione del
Po¬ litico è coincisa con il rigetto della politica. La
lettura del pensiero evoliano ha avuto infatti un esito generalmente
impolitico. Quando Evola richiama tradizioni lontane nello spazio e nel
tempo, remote età dell'oro, inaccessibili vette del grande passato di
cui non sopravvivono più neanche tracce e vestigia, né riti né
fiaccole viventi, la tradizione finisce di essere una radice per
diventare un'idea, cessa di essere una trasmissione di valori per convertirsi
in una rappresentazione concettuale, si estingue come pratica viva e
rituale per ridursi a un oggetto del puro pensare. Tradizione è
collegamento e qui diventa isolamento, è apertura verso il mondo e qui
diventa solipsismo, è anello di congiunzione e qui diventa rottura con
il tempo. Quando Evola definisce la tradizione una discesa dell’Individuo
assoluto nella concretezza storica, priva la tradizione del suo
significato metastorico e metafisico, riduce la tradizione o travestimento
dell'io, a una volizione del soggetto. Non vi è alcuna tradizione
che possa ricondursi a una soggettività. Ogni tradizione si incarna
e trascende i membri di una COMUNITA. Altrimenti tradizione non è. Quando Evola
ripropone la dottrina tradizionale dei cicli storici, delle quattro età,
e ci ricorda che viviamo nell'età oscura, ci conduce davanti a un
paradosso insolubile. Se aderisco fedelmente alla dottrina, devo convincermi
che io non posso modificare il corso metafisico delle epoche, e quindi inutile
sarà la mia azione politica, il mio impegno nel mondo. Se viceversa penso che
gl’individui possono cambiare radicalmente il corso dell'epoca, la dottrina perde
il suo vigore metafisico e la tradizione si piega ancora una volta al
soggettivismo volontaristico. Quando Evola sostiene che il fascismo
sia stato rovinato dalla natura del popolo italiano, può avere ragione sul
piano della pura teoria, ma esprime un'osservazione impolitica, riduce il
fascismo a una pura categoria dello spirito, astratta dalle coordinate storiche
e temporali. La politica agisce in un dato tempo, in un dato spazio e in
un dato popolo: se si dice che il tempo, lo spazio e il popolo sono
inadatti per quell'idea si fa dell’idealismo assoluto, e si è decisamente
lontani da ogni considerazione politica. Non può esistere una politica
sradicata dalla storia e dalla natura degli uomini su cui vuole
agire. Quando Evola sostiene che la nostra patria non deve essere
quella sancita dalla nostra appartenenza naturale e territoriale, ma la vera
patria è l’idea, riduce la patria, e la stessa tradizione, a un'essenza disincarnata;
riduce il radicamento, architrave di ogni tradizionalismo, a puro convincimento
intellettualistico. Sulla scia di queste aporie ha serpeggiato tra
molti evoliani una forma di pessimismo assoluto, una specie di
antiprovvidenza che vuole i migliori sempre perdenti, poiché il successo di
un’idea, nel nostro mondo sconsacrato, sarebbe il segno del suo scadimento. Se
la verità è ciò che si oppone alla storia, è fatale che la via della
verità diventi la negazione della storia. Si è così insinuata una cultura
della disperazione, il mito dell’eroe perdente, del profeta inascoltato, del suicida
veggente. Senza una adeguata mediazione, questi orientamenti evoliani conducono
fatalmente a un esito impolitico. E conducono a quei due opposti
equivoci che inibiscono oggi il rapporto tra la cosiddetta destra radicale e la
politica: da un verso lo sradicamento e dall'altro l’ibernazione. Da una
parte nasce il tradizionalismo immobile, che per inseguire il
soprastorico scivola nell'a-storico, il tradizionalismo chiuso a ogni forma di
attivo impegno nel mondo e dunque un tradizionalismo senza
tradizione perché senza continuità effettiva. Ma dall'altra è nato il
tentativo di disancorare la storia dalla tradizione, di liberare
l’impegno civile e politico da ogni punto fermo, di emanciparsi da ogni
appartenenza radicata. I due pericoli sono opposti nello sviluppo
ma uniti nella genesi: entrambi nascono dalla convinzione che vi sia una
frattura insanabile tra il mondo dei valori e il mondo dei fatti, tra l’ideale
e il reale, fra la tradizione e la storia. Partendo entrambi
dalla constatazione di questa frattura, le strade poi divergono: i primi
seguono la via dell’imbalsamazione, del dogmatismo e fatalmente approdano
all'isola immobile dell’impolitico. I secondi scelgono la via della
liquefazione, del relativismo e finiscono poi a inseguire il successo ad
ogni costo, prescindendo dai motivi di fondo per cui il successo avrebbe
un senso. I due comportamenti sono fondamentalmente contrassegnati
dall'individualismo e si rivelano letteralmente schizofrenici. Nascono infatti
da una dissociazione di fondo tra pensiero e atto, idea e realtà, essere
e dover essere. L'esito dei primi è segnato dall'idealismo, con la
tradizione ridotta a pura rappresentazione mentale e soggettiva, disincarnata
dalle sue forme visibili, sensibili e comunitarie. L'esito dei secondi è
il nominalismo, la riduzione dei valori a strumenti di locomozione, a
convenzioni e volizioni del soggetto. In questo senso va ripensata
non solo la frattura posta da Evola tra i valori della tradizione e gli
strumenti della modernità. Ma occorre rimeditare anche lo iato
sancito da Evola sul piano storico-politico tra rivoluzione conservatrice e
ideologia italiana. Una frattura, quest'ultima, che ha contribuito non
poco a generare a destra quel rigetto della tradizione nazionale e
quella ricerca di autori e modelli attinti da altre tradizioni e da
altri paesi. Nell'opera in cui Evola teorizza esplicitamente i lineamenti di
una rivoluzione conservatrice, vale a dire Gli uomini e le rovine, è
ribadita con forza la frattura tra ideologia italiana e rivoluzione
conservatrice. Dopo aver spiegato il senso in cui si può
positivamente parlare di rivoluzione conservatrice, Evola aggiunge. Pel
vero conservatore rivoluzionario è questione di una fedeltà non a forme e
istituzioni di tempi trascorsi bensì a dei princìpi. Affermazione che già
presenta l’insidia del puro idealismo ovvero il disancoramento della tradizione
dalla storia; ma, al limite, si può ancora condividere soprattutto se si tiene
conto del passaggio da una veduta integralmente tradizionalista, e quindi
fondata sulla continuità, a una veduta rivoluzionaria conservatrice, e quindi
fondata sulla consapevolezza di una frattura verificatasi fra tradizione e modernità.
E ancor più si può comprendere e apprezzare il riferimento evoliano se si
ha presente il contesto a cui Evola si rivolge: riferendosi agli ambienti
del neo-fascismo, Evola invita a non confondere la difesa di valori con la
nostalgica difesa di regimi e istituzioni che non sono più presenti.
Quello di Evola e un passo forse troppo prematuro, per dissociare il
mondo rivoluzionario-conservatore di destra dal puro nostalgismo.
Ma Evola si spinge ancora ben oltre. Egli giunge ad affermare che
la componente rivoluzionaria presente appunto nella rivoluzione conservatrice,
va intesa nel senso di fare tabula rasa della storia per lasciare
il posto alle pure idee. Grazie al carattere rivoluzionario le
forze attive «si presenteranno ad uno stato quasi puro, con un minimo di scorie
storiche». E a questo Evola aggiunge: «Appunto perché l’appoggio
materiale consistente in un passato tradizionale ancora vivo e concretizzato in
forme storiche non del tutto scadute è da noi inesistente, la rivoluzione
restauratrice dovrà presentarsi in Italia come un fenomeno anzitutto spirituale
ed avente come base la pura idea. Rispetto a quel che Evola intende per
tradizione, la sua conclusione è rigorosa quanto ineccepibile. Ma altrettanto
evidente è l'esito impolitico e la separazione dalla storia che essa
sancisce. Il problema che si pone, in fondo, è questo; se si intende
scegliere una strada esistenziale dissociata da ogni impegno politico, il
rigetto della ideologia italiana, e della storia italiana, è in linea di
rigorosa coerenza con le idee affermate da Evola e ha una sua legittimità e
dignità incontestabili. Ma se, viceversa, si intende costruire una linea
politica, se si intende davvero adoperarsi per una rivoluzione conservatrice,
allora è impossibile fare il vuoto intorno e dietro a sé, recidendo i
ponti con la storia del proprio paese e con la realtà del proprio popolo.
Né si può disancorare, in questa seconda ipotesi, l'idea di tradizione dalla
rappresentazio¬ ne storica che ha avuto. Occorre allora
rimeditare la storia italiana, almeno dal Risorgimento in poi, con
spirito critico, senza dubbio, ma senza apocalittici dinieghi. Né
va trascurato il fatto che talvolta, a sostenere cause che meta-storicamente si
possono definire negative, possono trovarsi uomini e ragioni che hanno
intrinseci tratti di giustezza, di nobiltà e di dignità. Uomini
giusti per cause sbagliate. Articolare i giudizi, dunque, pur senza
privarli della loro globalità, e risalire alle intime ragioni di certi
accadimenti. In questo senso la teorizzazione evoliana di una
linea rivoluzionaria conservatrice rivela tratti di insufficienza e di
carenza sul piano storico-politico. Laddove invece, nelle grandi linee
metafisiche e metastoriche, il pensiero evoliano risulta ancora di
inesaurita ricchezza e fecondità. J. Evola, Gli uomini e le rovine, Roma, Evola,
Cavalcare la tigre, Milano Evola, Essere di destra, in «Roma», poi in Citimi
scritti, Napoli cfr., Gli uomini e le rovine, cit., Galli su Evola cfr. La
destra in Italia, ciLa tigre di carta ed il drago scarlatto, Bologna. Mancini, Il pensiero negativo e la nuova
destra, Milano Cacciari, i riferimenti sono a una intervista da lui concessa a
G. De Turris, Z//r- razionale? E chi lo conosce..., in «Il Settimanale», e
all'articolo È una figura complessa su Evola, apparso sempre su «Il
Settimanale». Evola ha avuto un ruolo importante per la conoscenza e la diffusione
in Italia della konservative Revolution. Oltre ai suoi contributi, e ai
numerosi riferimenti sparsi nella sua opera, Evola ha tradotto in Italia
II Tramonto dell’Occidente di Spengler, ha introdotto Anni decisivi dello
stesso autore, h a tradotto/!/ muro del Tempo di Junger (Roma) e ha scritto
un’ampia sintesi dell 'Operaio, solo per citare alcuni dei suoi
contributi. Cioran, Storia e utopia, Milano. Il riferimento è a un
editoriale anonimo ma attribuito allallora direttore della rivista, padre
Bartolomeo Sorge, apparso nella «Civiltà Cattolica», Il neo-paganesimo della
Nuova Destra. Imperialismo pagano, Roma Veneziani, Julius Evola tra
filosofia e tradizione, Roma. A tale proposito si veda di A. de Benoist
soprattutto Come si può essere pagani?, Roma. Negri, Evola e il
superamento dell'attualismo in appendice a M. Veneziani, Julius Evola tra
filosofia e tradizione. Negri si riferisce a Evola anche nel suo Sviluppi
e incidenze dell’attualismo. I riferimenti a Evola di Spirito, Carlini e
Sciacca sono stati raccolti da G. De Turris in “Omaggio a Evola,” Roma. Gentile
non è il nostro filosofo, in «Tradizione», Il filosofo G. Gentile, in «Il
Conciliatore», (poi in Ricognizioni, Roma). Si vedano inoltre di Evola su
Gentile: Saggi sull’idealismo magico, Roma; Il cammino del cinabro, e gli
scritti Superamento dell’idealismo e L'equivoco dell'immanenza raccolti
in Diorama filosofico, cJesi, Cultura di destra. Il linguaggio delle parole
senza idee, Milano Nuova destra e cultura reazionaria negli anni Ottanta,
cit. Si veda anche AA.VV., La destra radicale, Milano Evola, Il Fascismo
visto dalla Destra. Con note sul Terzo Reich, Evola, Il cammino del cinabro, A
proposito della teoria evoliana sulla razza è da riferire quanto emerge dai
Documenti segreti del Terzo Reich pubblicati a Roma a cura di N. Cospito
e H. Werner Neulen. In uno scritto, una nota inviata dal dirigente
dell’Ufficio politico della razza della NSDAR, dr. Gross, al ministro
tedesco per l’istruzione popolare e propaganda, Evola e accusato di elaborare
una teoria razziale «italiana», e fondamentalmente antitedesca. Osservando che
Evola pone il primato dello spirito sul corpo, l’estensore della nota rileva
che Evola aderisce all’idea della superiorità spirituale dei popoli latini e
asseconda la favola della barbarie nordica in un altra forma. Dopo aver
accusato Evola di teorizzare un razzismo annacquato, privo di
scientificità, antievoluzionistico, il redattore afferma. Dalla latinità
dell’autore scaturiscono concezioni che costituiscono un atteggiamento
totalmente estraneo alle visioni tedesche. Per questa ragione colpisce in molti
punti la sintonia con il cattolicesimo mediterraneo e prosegue con alcuni
esempi (dr. Huttig, Berlino). Su tale idea cfr. Gli uomini e le rovine, «Orientamenti», Roma. A tale proposito cfr. M. Veneziani,
Prefazione all'ultima edizione di «Orientamenti», Roma in AA.VV., Testimonianze su Evola, Roma; Evola
e la generazione. Evola, Gli uomini e le rovine. The Germans do not have the concept of virility. Evola’s concept
of ‘maschio’ is very complex – vir sums up best. Julius Evola. “Giulio Cesare Andrea Evola”. Keywords: romanità, virilità. pitagora,
roma, origini di roma, romolo, romanità, virilità, pitagora canti d’oro,
ercole, male bonding, virilita, vir, Dioscuri, castore e policce, Weininger,
Buehler, homoerotic, intergenerational male bonding, tutor/tutee, hero, Aryan,
European – Roma, l’implicatura di Romolo. Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Evola," per Il
Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
No comments:
Post a Comment