BELLA VITA E DEGLI SCBITTI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. BELLA VITA DEGLI SCRITTI DI OfiAZIO EICA80LI RUCELLAI STUDIO CMTICO DEL PROF. AUGUSTO ALFANI gia alooio del R. Istitnto Superiore di Fireoze. FIRENZE, TIPOGRAFIA BARBARA. Tia Faenza, 'N« 66. X872. ProprieiA letteraria. Agl' Illustbi Pbofbssobi AUGUSTO CONTI E LUIGI PERKI. Non crediate che io dedichi a voi questo libro per cerimonia : no ; io 1' affido invece al vostro patrocinio, come un padre che ve- dendo il suo caro figlio sul punto di escire dalla vita delle mura domestiche, per entrare in quella pubblica della citta e della patria, Io affida sicuro a cittadino illustre, onorato, provetto, perche gli agevoli col suo nome la via, e col consiglio suo Io diriga e protegga; io Io dedico a voi come cosa che vi appar- tiene, poiche se io ne fui 1' autore, voi ne foste bene i consiglieri sapientemente aniore- voli, que' due che in mezzo alle non lievi dif- ficolta m' incoraggiaste e mi ajutaste a com- batterle e a superarle. E, anzi, io posso affermare con sicurta che questo libro debba M769508 VI AD AUGUSTO CONTI E LUIGI FERRl. a voi piu che a me la sua vita, dovendo io appunto alia vostra scienza, alle vostre insti- tuzioni e ai voatri consigli, se datomi agli studj prediletti della filosofia ho potuto pro- seguire non vanamente nel difficile cammino e in queste ardue discipline, per le quali ora meglio che mai riconosco altri ingegni che non il mio poverissimo esser richiesti sempre, e particolarmente oggi che la filo- sofia vera, questa prima nutrice della ra- gione umana, questa ultima consolatrice di lei o desolata dal dubbio, o da' contrasti af- franta non vinta, e con ogni sorta di mezzi ingratamente assalita, per sostituire in sua vece una larva pericolosa a cui si da noma di scienza, e che invero non e altro se non la cupa e colpevole generatrice di una Co- mune di Parigi, e delle negazioni piu spudo- rate e micidiali coUe quali, sotto i nostri occhi medesimi, per un falso giudizio di li- berta si permette di insultare scherzevolmente il buon senso e la coscienza degli uomini. Siffatti contrasti ed errori io appena in,- travedeva (non li poteva discernere chiara- mente) quando negli anni primi della gioventu. AD AUGUSTO CONTI E LUIGI FERRI. VII quantunque innamorato della filosofia, ma- neggiava la riga e il compasso, e piu per rar gione di metodo che per intenzione di scelta studiava le scienze superiori esatte e le na- tural!, utili quelle, e necessarie queste al filo- sofo che voglia conoscere tutto I'uomo e le leggi vera dell' universe. lo li ricordo, sapete, quegli anni! AUora che il velo del disinganno che ricuopre le malizie umane o non 6 punto soUevato a'no- stri occhi, o n' e appena : allora che i pro- blemi e le questioni piu gravi della filosofia intomo a Dio, all' uomo ed al mondo le si risolvono piu col cuore e col linguaggio ma- terno, giammai ingannatore, che non col se- vere e spesso arido sillogizzar delle scuole ; e tutto ci sembra piano, evidente; e le risposte piu ardue ci sembrano le risposte piu naturali, perche appunto dettate dalla voce infallibile della natura. In quegli anni le negazioni si ten- gono e si combattono non come negazioni vere e proprie, sibbene, e piu, come artifizi scolastici, e la possibility, che le divengano terribilmente reali, e guastino la sovrana ar- monia tra la verita e 1' intelletto, ci par le VIII AD AUGUSTO CONTI E LUIGI FERRI. miglia Montana. Ma pur troppo, andando in- nanzi, ogni giorno che passa e un fiore che cade dall' albero delle illusioni della vita ; e noi scorgiamo sempre piu farsi reale e tre- menda la guerra al vero, le sue armonie mi- nacciate dalla superbia di ragione delirante, e dair odio piu spietatamente beffardo. E come difficile non esser feriti dalla punta awelenata del dubbio! come difficile non ri- manere sorpresi e colti dalle astute carezze di quella ingannevole Armida, che si fece in- trodurre nelle nostre tende a promettere le sue grazie e favori a quei che disertassero I'antica bandiera, che e poi la bandiera del- r onesta ! E quanti restarono a' lacci che tese loro ambizione ! quanti minacciano di restarvi, chiuse le orecchie alia voce della loro co- scenza e della verity ! La quale voi, benemeriti, m' insegnaste a venerare e difendere efficacemente (ed oh! r avessi imparato bene) colle armi di non ef- fimera scienza, le cui parole e i di cui pro- nunziati sentii sempre lietamente rispondere a' palpiti primi del mio cuore, a' miei primi sospiri religiosi, alia voce medesiraa di mia AD AUGUSTO CONTI E LUIGI FERRI. IX madre che m' insegnava, dandomene essa la prima e col fatto 1' esempio, ad onorare Dio, ad amare 1' umanita, a rispettare me stesso. La vostra filosofia insomma sentii essere veramente la filosofia; e quel prime amore che mi fece cercarla quasi inconsapevolmente, giovanetto ancora, pote con voi divenire nel- r anima mia fortissimo e consapevole, e ad essa attrarmi potentemente, stupito di tante sue bellezze sublimi, che voi dottamente mi rive- laste, perche alia mia volta anch'io, salendo una cattedra, insegnassi que' medesimi veri, e scoprissi quelle medesime bellezze e il loro amore ai giovani intelletti che la patria e la Prowidenza mi avrebbero poscia affidati. Ac- costandosi a questo ufficio santo e terribile insieme, non puo 1' anima non esser compresa di alta trepidazione : si tratta dell'avvenire di uomini, si tratta dell' avvenire della pa- tria, che noi dobbiam preparare. Dedicando a voi questo libro, io voglio, egregi professori, darvi pur anco un pegno che in tale ufficio solenne, nel mio insegna- mento, seguitero le orme vostre ed i vostri precetti ; e che sempre a conforto e guida vi X AD iUGUSTO CONTI E LUIGI FERRI. avro innanzi al pensiero, illustri propugnatori della verita e del bene. N^ voi, io spero, sgradirete il ricordo che vi testimonia perenne la gratitudine mia, ne sdegnerete di conservare la memoria di me, discepolo vostro, e di ajutarmi ancora, fatto da voi ad altri maestro. E cosi legati tutti, professori e discenti, nel vincolo di reciproco affetto, i nostri studj e le nostre fatiche sa- ranno benedette da Dio, e coronate dal trionfo del bene, e dalla prosperita della patria. Tutto vostro devotissimo AuGusTo Alfani. Firenze, l« gennaio 1872. SOMMAEIO DEL VOLUME. Spbcchio begli sceitti bditi e tnbditi di Obazio Rioa- SOLI RUCELLAT , Pag. XIX Introduzione 3 Firmamento dei cieli e firmamonto del pensiero. — Armonie loro. — Orazio Ricasoli Rucollai e il socolo decimosettimo. — Quegli h specchio delle condizioni di quosto in Firenze. — E pero si spiega r ammirazione grande per il Rucellai de' suoi contemporanei. — Divisione generale di questo libro. — Suo fine e importanza. Capitolo Prima. — Il Sbcolo Decimosettimo 7 Scrittori del Rucellai. — II marchese Carlo Rinuccini. — Anton Maria Salvini. — II canonico Domenico Moreni. — II Tiraboschi. — II Passerini. — II Turrini. — II Mamiani e il Centofanti. — Necessity di ritesser la vita del Rucellai per il proposito nostro. — Difficolt^ pel difetto di docnmenti. — Condizioni generali del secolo decimosettimo. — fe un secolo di contrasti politici e morali. — Contrasti nelle arti, nolle lettere, nella filosofia. Capitolo Secondo, — Dblla vita di Orazio Ricasoli Ru- cellai 20 Nascita del Rucellai. — Suoi parenti. — Antichit^ e nobilti delle due famiglie Ricasoli e Rucellai. — Loro attinenze con le glorie politiche e letterarie deir Italia. — I Ricasoli, i Rucellai ed i Me- dici. — P erch^ Orazio piucch^ Ricasoli appellino gli scrittori col nome materno de' Rucellai. -- Questi e le dottrine platoniche. — L' Accademia Platonica istituita da Cosimo e da Marsilio Ficino. — Intendimenti di questo. — Suoi scritti. — Platonismo cristiano di lui e de'snoi accademici. — Si nominano. — Bernardo Rucellai. — Sue qnalita, opere, preg i di esse. — Fa parte dell' Accademia Platonica. — L' accoglie ne' suoi Orti, onde essa piglia il nome di Accademia degll Orti Oricellari. — Figli e nipoti di Bernardo platonici. — Con- giura contro i Medici, e sbandamento dell' Accademia. — Gli Orti XIV SOMMARIO DEL VOLUME. menide o d* uno eterno. — Anassimandro o dell' infinito. — Necessity deir Infinite. — II finito non e privazlonc di questo. — Cartesio, o 1' idea dell' infinito prova della sua realty. — Dato 1' uomo finito, conyien ammettere rente infinito. — E questo secondo argomento il Rucellai tiene per piiistringente di quello del Cartesio. — Ma si I'uno che I'altro sono argomenti probabili. — Anassimandro o della luce. — Galileo. — II Rucellai non nega I'influsso degli astri sul mondo e le cose nmane ; combatte pero 1' astrologia. t- La Genesi, sant'Agostino, Dante e 1' opinion! di Anassimandro e Galileo sulla luce. — Platone, la luce e 1' anima dell' universe. — Ma e tutto un pud easere. — Anassimandro o de'colori. — Zenone ed altri filosofi. — Si conchiude coll' « Hoc unum seio quod nihil ado * di Socrate. — La fede. Gapitolo Nono, — Esposizionb del timeo di Platone nk' Dialoghi di Orazio Ricasoli Rucellai . . Pag. 157 Ammirazione del Rucellai pel Timeo di Platone. — Opinione e scienza. — Necessita di un Principio primo. — Plotino. — Trinie- gisto. — II Rucellai non e dualista, come Platone. — Fine della creazione, il buono. — Obiezione e risposta. — Nell'ordine dell' uni- verse si legge il verbo di Die. — Gli archetipi eterni. — Platone manca della fede, e pero nell' attinenza di causality tra Die e il mondo cade in errori. — La mente divina forma di tutte le forme. — La mente umana e le idee. — Loro natura. — II Rucellai combatte Aristotele. — Trimegisto e la creazione. — II mondo non e Die ; ne Dio e I'anima di esse. — Ma e sua legge. — Ne I'amere, per se, e anima deir universe. — Desso come armonia ed ordine pu5 appellarsi anima del mondo. — £, pel Rucellai, le Spirito Santo. Ga/pitolo Decimo. — (Segue) il TIMEO. Dell'anime razio- NALI 173 Quesiti. — Natura dell' anima razionale. — Non e particella deir anima universale. — fe intiera e perfetta da sh, — In che il Rucellai si discosta qui da Platone. — Spirituality dell' anima. — Per- fezione maggiore negli spiriti angelici. — Immortalita. — Argomenti dl ragione probabili. — Cartesio e la sua teorica dell' idee connessa alia questione dell' immortality. — Passe di questo filosofo. — Altre prove d' immortalita. Gapitolo Decimoprimo. — Breve cenno sullb aemonichb pro- poRzioNi NET Dialoghi filosofici di Orazio Ricasoli Rucellai 187 Oggetto di questo trattato del Rucellai. — Suono. — Ordine. — Armenia. — Proporzione. — Passo dell' autore. -- Platone e le SOMMARIO DEL VOLUME. XV proporzioni armoniche. — II medesimo e il diverso. — Anco pel Ra- cellai tatto e armonia. — I tre regni della natura. — L* armonia e ranima univorsale platonica. — II corpo umano e le armoniche pro- porzioni. — La materia. — Gindizio del Rucellai sn questa parte delle dottrine platoniche. Capitolo Decimosecondo. — Esposizionb del trattato BELLA PROVVIDENZA NBI DlALOOHI FILOSOFIOI DI ObAZIO Ki- GAsoLi Rucellai Pag. 199 Importanza di questo trattato. — Meglio che in ogni altro scritto del Rucellai si fa qui palese la natura del suo ftlosofare. — Prove di ci6. — Obiezioni di Epicuro e risposte. — L*ordine dell'uni- yerso e argomento del Provvedere di Dio. — Questi e la natura. — Essa non e per al che una voce generica. — II Case. — Si combatte. — Gli atomi. — Si nega ad essi, contro Platone ed Epicuro, la eter- nity. — Si confuta V accozzamento fortuito di quelli. — Galileo. — La creazione. — Si ritorna alia Provvidenza di Dio; prove per eli- minazione. — Obiezione e risposta. — Galileo e il Rucellai. — Dio non informa il mondo come anima corpo. — V esempio del sole. — Marsilio Ficino. — La fedo. — Creazione ex nihilo, — Ragioni pro- babili. — Ripete V autore : fine della creazione il buono. — II Vero Bene. — I beni del mondo han ragione di mezzo, di fine no. Ga/pitolo Decimoterzo. — {Segue) La esposizionb del trat- tato DELLA PROVVIDENZA DI OrAZIO RiOASOLI Ru- CBLLAI 218 Dei mall. — Necessity di questi nel mondo. — I veri mali. — La morte non h un male. — E cosl la poverty, la perdita delle ricchezze, le ingiuste persecuzioni ec. — I mali occasione e stru- meiito di bene. — II dolore. — La infelicita. — Del done della ra- gione. — Sua natura. — Malizia e ragione. — Libero arbitrio e prc- destinazione. — Liberti e fato. — Passo dell'Autore su questo punto. -> Epilogo delle probability ragionevoli intorno V esistenza di Dio provvidente. — Rifugio nella fede. — Conclusione. Capitolo Decimoquarto, — Esposizionb bblla psioolooia e della morale nei Dialoghi FILOSOFIOI di Orazio RiOASOLi Rucellai 246 II detto di Socrate e quello di Talete. — Fatti intemi: psi- cologici e moral!. — Notee te ipeum, ~ Dell* anima in generate. — XVI SOMMiRIO DEL VOLUME. Galileo. — fe presunzione Toler comprendere quel che Tanima sia. — Studio proficuo de' suoi strumenti. — Notomia. — Proemio del Ru- cellai alia parte morale. — Qui h aristotelico. — Riepilogo. — La ra- gione ed il senso. — Loro contrarieta nel riconoscere il bene. — Tre sorte di beni ; dell' anima, della fortuna e del senso. — Apprez- zamento di essi. — La vera scienza morale e il timore di Dio. — L' anima nmana, perche ragionoTole, h capace del timore di Dio, e, perd, di virtti. — Anche qui il Rucellai e mistico. — Operazioni del- r anima e della Tolonta. — Errore e dubbio. — Buono e reo. — La vera felicitd,. — tl la vera virtti. — Stoicismo. — Aristotele. — Virtii cardinali. — Loro definizioni ed uffici. — Estremi delle Tir- tii. — Applicazione delle yirtCi alia societa umana. — Fine di essa. — Doveri. — Diyisione di essi. — Cicerone. — Sentenza esagerata intorno lo donne. — Conclusione. Capitolo Becimoquinto ed ultimo, — Ossbbvazioni oeitichb SULLA FiLOsoFiA DI Obazio Rioasoli Ruoellai. Pag. 281 Opportunita della critica. — Importanza storica dei libri del Rucellai. — II professor Palermo ha giudicato Vlmperfetto imper- fottamente. — Perche. — Quesiti da risolvere. — II Rinascimento e le sue qualita. — Scetticismo. — Tradizionalismo. — Bruno. — Cam- panella. — Galileo e il suo metodo di osservazione esterna. — I suoi scolari e TAccademia del Cimento. — Metaftsica galileiana. — Som- mi capi di essa nei Dialoghi dei Maesimi Siatemi. — II Cartesio e r osservazione interna. — Spinoza e Malebranche. — Bacone. — II sensualismo di Loke. — Eclettismo del Rucellai. — Suo probabilismo. — Si provano riandando la sua filosofta. — La seconda Accadomia. — Cicerone. — La fede. — Differenza tra' iilosofl del Medio Evo e il Rucellai. — Questi e il Galileo. — Nel metodo 11 Rucellai apparente- mente e moderno. — Perche. — Intende solo negativamente Taforisma socratico. — Ed e sempre probabilista. — Accordi tentati. — Gli fa difetto la speculazione. — E per6 riesce eclettico. — Breve riscon- tro di tal fatto nei suoi Dialoghi su' Principii passivi dell* univer- se, e nel Timeo, — Platone, tl Cristianesimo e Galileo. — Carte- sio. — Teorica della cognizione. — Teorica del volere. — Liberty e fato. — Stoicismo ed epicureismo. — Libero arbitrio e predestina- zione. — Psicologia e morale. — II Rucellai e Cousin. — Aristotile. — Platone. ~ Stoicismo. — Cristianesimo. — Divisione delle virtd. — Cicerone. — San Tommaso. — La Scuola Epicnrea e il Rucel- lai. — Teologia razionale. — Platone e il nostro scrittore. — I Pa- dri. — La Fede. — Si conchiude che nello studio dei tre obietti della filosofia il Rucellai e eclettico. — La forma esteriore, - lo stile - e la natura de' personaggi ne' Dialoghi del Rucellai sono un' ultima conferma della nostra Conclusione. SOMMARIO DEL VOLUME. XVII APPENDICE, ANTOLOGIA DI COSE INEDITE DI ORAZIO RICA80L1 BdCELLAI. Ottavk. -=— Alia Serenissima Margherita d'Orleans, Prin- cipessa di Toscana Pag. 323 SONBTTI 324 Della Gobte e del eigibo di Roma 326 da' DIA.LOGHI FILOSOFICI. ViLLEGGIATUBA TuSCOLANA. — H TimeO. Delle idee 344 Sopra ranima del Mondo 373 Se V Amore sia Y anima del Mondo 379 Dell' immortality delP anima 435 PbEAMBULO ALL a ViLLEGGIATUBA AlBANA ALL A PsiCO- LOGIA 451 ViLLEGGIATUBA TiBUBTINA DELLA MoBALE. — Offizi delta facoltd deUa ragione 456 SPECCfflO DEGLI SCKITTI EDITI E INBDITI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. Brose edUe, s CoNTRO I SoFiSTi. — Intomo a' Principj universali della Na- tura, — 16 Dialoghi filosofici che comprendono i primi tre tomi del Codice manoscritto, corretto di mano deirAutore. Quest! pure sono stati pubblicati con una Prefazione del Chia- rissimo Prof. Palermo nel volume III del Manoscritti Palatini di Firenze, coi tipi di M. Cellini, 1868, e precedono i noye della Provvidenza. Della Provvidenza. — 16 Dialoghi filosofici, pubblicati insieme con una Lettera al Cav. Poltri sulla Polonia per cura del Prof. TuRRiNi, coi tipi Le Monnier. Firenze 1868. — Nove dei quali Dialoghi, nel medesimo anno, furono ripubblicati dal Prof. Francesco Palermo nel volume III dei Manoscritti Pala- tini di Firenze, coi tipi di M. Cellini e C. alia Galileiana. Firenze. Quattro di questi dialoghi furono pure pubblicati dal Sig. Ca- nonico Domenico Moreni, coi tipi del Magheri in Firenze nel 1823, e che corrispondono a.' Dialoghi iO, ii, i2, i3, de' Manoscritti {Trattato della Provvidenza). E quelli stampati dal Sig. Prof. Palermo corrispondono al Numero 1-9 de' me- desimi manoscritti. Villeggiatura Tiburtina. — Proemto. -- Fu pubblicato dal Sig. LuiGi FiACCHi nella bella Collezione degli Opuscoli Scien- XX SPECCHIO DEGLI SCRITTI EDITI E INEDITI tifici e Letterarj, Volume XIX, pag. 33, e che io ho riprodotto ora per intiero, perch^ 6 per eleganza di stile e ricc?iezza di concetti moraji pregevolissimo. DiscoRSO CONTRO IL Freddo Positivo. — Lo pubblic6 il Canonico DoMENico MoRENi insieme con altre cose del Rucellai, del Bonaventuri e d' altri, nel 1822 co'tipi del Magheri. Firenze. — « Questo discorso, avverte il Moreni nella Prefazione, pag. XIX e XX, per quanto risulta da una copia di una lettera di Carlo Dati dei 6 aprile 1666 a Ottavio Falconieri, manoscritto nella Magliabechiana alia pag. 9 del Codice 183 Class. IX intitolato Notizie dell' Accadeniia della Crusca, Selva I, fu da lul re- citato in un'Accademia a bella posta fatta in ossequio e trat- tenimento del famoso Cardinale Delfino^ che trovavasi allora di passaggio per Firenze. Eccone di essa I'articolo: — Io mi era scordato di dare a V. S. Illustrissima avviso dell'Accade- mia. II Sig. Cardinale Delfino arrivo qui venerdi passato a de- sinare, e subito disse di voler partire il lunedi, sicchd poco luogo restava per fare Accademia. Sabato sera essendo bene allindata T Accademia. si fece Adunanza privata, ma pero nu- nierosa, dove vennero il Sig. Cardinale e il Sig. Principe Leopoldo dalla casa li vicina del Sig. Duca Salviati, dov'era alloggiata Sua Eminenza. II Segni, Arciconsolo, introdusse r Accademia assai galantemente. Discorse mirabilmente il Sig. Prior Rucellai, sostenendo che il freddo fosse privazione di calore. Opposero lo Smarrito e il Sollecito fortemente, man- tenendo il freddo positivo e reale. » Traduzione della Prima Lettera del Libro primo di Cicerone. — Ad Quintum Fratrem. —- Trovasi nella raccolta fatta dal Ca- nonico Moreni, e che ho citato di sopra, di alcuni scritti del Rucellai, Buonaventuri ed altri; pubblicata co'tipi del Magheri, in Firenze nel 1822. Di questa medesima parte de'Dialoghi filosofici del Rucel- lai, I'egregio Parroco Luigi Razzolini pubblico qualche anno indietro V Argomento e qualche Capitolo, cio^ quello intito- lato: Della Morale; Della cognizione delVuomo e degli stru- menti e facolta onde egli e composto; Della facoltd delV anima razionale, e Degli Officj per la Societd umana, Se non che ora questa raccolta non trovasi piii vendibile, Vedizione essendo stata scarsissima e pero oggi esaurita. Non ho dubitato percio di porre nella mia Antologia di cose ine- dite del Rucellai anche un brano sulla Facoltd delV Anima razionale, quasi considerandolo come inedito. DI ORAZIO BICASOLI BUCELLAI. XXI Orazione tenuta nel rendere l'Arciconsolato in bcamo del Si- GNOR Desiderio Montemagni (ossia del Timido) nel 1651. — Qiiesta Orazione fu pubblicata da Ltjigi Fi^cchi nella Colle- zione degli Opuscoli scientifici e letterarj, Tomo XXI, pag. 59 e segg. — L' autografo della medesima si trova in un mano- scritto miscellaneo della Biblioteca Nazionale di Firenze-, gia appartenuto alia Biblioteca dei Padri Serviti di Firenze, se- gnato di N« 1422. CiCALATA SULLA LiNGUA loNADATTiCA, letta nelV Accodemia della Ci*U8ca Vanno 1602, — Fu pubblicata nel Volume I, parte III delle Prose Florentine, pag. 132 e segg., edizione del 1723. A questa cicalata fu dal Canonico Lorenzo Panciatichi fatta la Contraccicalata, che il Biscioni pel primo pubblico con ispiegazioni, a cui precede questo avvertimento : ocNel pubblico » stravizzo delF Accadeniia della Crusca si faceva una le- » zione in burla, che si chiamava Cicalata ; contra la quale » un altro Accademico, montato in bugnola, ne faceva una che i» si chiamava Contraccicalata, di cui al pubblico non c' S se » non questa. » RisPOSTA ALL' AccTJSA DATAGLi dall' Ornato (Conte Ferdinando Del Maestro), delta dal Rticellai nelV Accodemia della Crusca a* di 26 giugno d652, — Non ha indicato il Moreni donde la ricavasse per pubblicarla, come face nelle Prose e rime del Rticellai, del Buonaventuri e d'altri, Aroomento e descrizioni prehesse dal Rucellai alla Presa d' ArgOf e gli Amori di Linceo e di Ipermestra, — Dramma teatrale di Giovanni Andrea Moniglia, parte prima. Firenze, stamperia Arcivescovile 1689. — Quest* argomento e descrizione del Rucellai trovansi nella Raccolta delle Poesie drammatiche del Moniglia, starapata dalla tipografia Granducale nel 1689, Firenze; tantoch^ qualcuno, fra'quali il Sig. Gav. Luigi Pas- serini, bibliotecario della Nazionale in Firenze, dall'avere il Rucellai fatte queste descrizioni in prosa, e premesse a quel dramma, dedusse erroneamente esser lui V autore del dramma stesso. Leggasi la Prefazione a questi Drammi del Moniglia. Lettera SULLA PoLONiA AL SiG. Cav. Poltri. — Sta in appendice ai Dialoghi filosqfici della Prowidenza che del Rucellai ha pubblicati il Prof. Giuseppe Turrini, tipografia Le Monnier,1868. Pag. 405 e segg. Questa lettera scrisse T Autore da Varsavia b XXII SPECCHIO DEGLI SCBITTI EDITI E INEDITI il 7 maggio 1635, allora che trovavasi la in qualita d*ainba- sciatore della Corte Toscana presso Vladislao quarto. Lettehe Fahiliari: a) A Monsignor Giacomo AUoviti, — Lettere cinque, pub- blicate dal Canonico Domenico Moreni, sotto il titolo di Saggio di Lettere d'Orazio Rucellai e di testitnonianze autorevoli in lode e difesa deW Accademia della Crusca, Firenze, nella stamperia Magheri, 1826. «Di queste lettere come delle se- guenti, ad eccezione di pocbe, gli Originali, dice il Moreni (Ibid. Pag. YIII. Ai benigni lettori) ritroyansi in Oderzo nella im- mensa epistolare raccolta con grande studio e diligenza da pill anni assembrata dal Chiarissimo Sig. Conte Giulio Ber- nardino Tomitano, il quale con quella sua solita cordialita. che in pochi altri e si leale, ad un mio cenno, senza por mente egli a si grave incarico, cui addossavasi, me ne fece avere di esse una diligentissima copia, da lui medeslmo fatta, clie in nulla si discosta dal loro originate. ]> b) A Monsignore Ottavio Falconieri, — ^ una lettera nella quale combatte gli atomi frigorifici positivi, contro i quali ei fece e lesse pure un discorso neir Accademia della Crusca. Si trova nella raccolta medesima del Moreni di sopra menzionata. c) A Monsignor Giovanni Delfino Patriarca d'Aquileja. — Sono 29 lettere nelle quali il Rucellai discorre de*suoi com- ponimenti filosofici a quel patrizio veneto, che alia sua voita inviava al Rucellai i proprj. Stanno nella medesima coUezione fatta dal Moreni. d) A Monsignor Francesco Redi, — Gli originali di queste 4 lettere sono in uno dei volumi di lettere scritte al Redi, che con gli alUi manoscritti del mcdesimo son passati alia Biblio- teca Laurenziana. Le ha pubblicate il Moreni, ibid. e) A Sua Altezza il Granduca Ferdinando II dei Me- dicL — Gli discorre del disegno, della disposizione ed ordina- mento de* suoi Dialoghi filosoficL Porta la data del maggio 1665, soiitta di villa; estratta dal Prof. Francesco Palermo dalla Ghigiana di Roma, dove trovasi in copia, e pubblicata nel suo Avvertimento al volume terzo dei Manoscritti Palatini di Firenze, da lui ordinati ed esposti, e dove ha pubblicato pure quei Dialoghi del Rucellai che ho accennati piu sopra. m ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. XXIII Poesie edite. Il Filosofo Rucellai al Filosofo Magalotti. — Sono trentasei terzine a mo*di lettera pubblicate dal Canonico MORENI nella sua raccolta a c. 174, citata piii volte di sopra. L*autografo io no so dove trovisi; forse presso gli eredi. Una copia 6 nella Magliabechiana nel Codice Manoscritto N^ 31-7. VII. sotto il titolo di Poesie manoscritte di diversi autori del secolo XVII. Al Signor Carlo Guidacci. — Quartine in occasione della morte del Torrigiani. Sono in numero di otto. Trovansi stampate come sopra, COS! la copia manoscritta, cosi, credo, Toriginale. Sulla Corte. — Son dodici sonetti levati dal Moreni, come gli altri, dal Codice Magliabechiano citato, e comincian cosi: 4) ft Corte albergo di regi, ove si vedo) (Pag' 141.) 2) « Con benigne maniere, uniche e sole » (Pag. 142.) 3) «Lusinghiera favella onde discorda)) (Id.) 4) « Di picciol furto un poverel sovente » (Pag. 143.)' 5) « D'ostro, e d* oro vestito, e altero il volto » (Id.) 6) « La bella verita ch* ove s' apprende » (Pag. 144.) 7) a Che il reo costume a volo erger si scerna » (Id.) 8) «Dunque tema non ha chi di natura:^ (Pag. 145.) 9) (icRagion che intenta a' maliziosi modi» (Id.) 10) ((Quella, che scende dall'Empiree soglio) (Pag. 146.) 11) ((L'eterna Provvidenza il tutto regge» (Id.) 12) ({ Misere pecorelle a cui nel cielo » (Pag. 147.) Non potersi comprendere Iddio che con la fede, quani'unque L* OPERE DI SUA PROVVIDENZA MOSTRINO CHIARAMENTE CH'EGLI CI t. — Sono dodici Sonetti, pubblicati dal signor Fiacchi, nella collezione degli Opuscoli scientifici e letter ari. Firen- ze 1816, volume XXI, dalla pagina 68 fino alia 74. Non sono stati estratti dal Codice Magliabechiano intitolato Poesie Mss, di diversi autori, VII, 347, come ne fanno fede le varianti che si trovano tra quelli editi dal Fiacchi, e quelli manoscritti in XXrV SPECCHIO DEGLI SCRITTI EDITI E INEDITI quel Codice. N^ il signor Fiacchi indica donde li abbia cavati: ma b pill che probabile siano stati tolti dalF original e, che si conserva presso gli eredi. Questi sonetti incominciano: 1) c Oltre i Gonfin de' miseri raortali » 2) ft Nella piu cupa eternita si ascose )» 3) 4) dc Si con sua fe' Zanobi al Ciel rapia » SuLL'EsTASi DI Santa Maria Maddalena de'Pazzi. — Tre Sonetti, stampati nella Raccolta del Moreni. Dove trovisi I'originaledi essi non so di certo; credo, al solito, nella biblioteca privata degli Eredi. Una copia d nella Magliabechiana, ora Nazionale, nel Codice Manoscritto No 347. VII. col titolo di Poesie mano- scritte di diversi autori del secolo XVII. Incominciano : 1) II quarto, pubblicato col quinto, come s' 6 detto, dal Ore- scimbeni, incomincia: «c Nel giorno che costei si bella nacque » II quinto : « Quella che dal mio cor non parte mai » Felice annunzio a una lettera amorosa. — (Vedi Moreni. ibid., a c. 140.) cc Vanne, che serbi i miei pensieri ascosi » XXVI SPBCCHIO DEGLI SCRITTI EDITI E INEDITI Si detestano gli abusi del seoolo.— (Vedi Moreni, ibid. Sonetto, a c. 140.) « Vasti flutti solcai di speme iniida » VORREBBE PENTIRSI MA GLI RESISTE L' ABITO NON BtJONO. — SonC^to, ibid. Incomincia: ((Piango'l mio tempo, e dell'eta fugace» In risposta a un sonetto morale del Graziani. — Sonetto, ibid., a c. 136. «Non toglie i pregi al cielo e non depreda)> La Divina disposizione sempre giovevole, anche talora paia il OONTRARio. — Altri due Sonetti, ibid., a c. 135: 1) a Per entro eterna, incoraprensibil luce i» 2) « Fra tj^nti prodi ormai viver recesso » Stimoli di penitenza destati nella volontA non aiutata da' sen- si. — Sonetto pubblicato, ibid, a c. 134. II primo verso e: « Occbi piangete. Mirerovvi ancora » Suo AMORE DA VECCHio. — Sonetto della Tramoggia, a cui fece la censura il Dati, e che fu pubblicato dal Fiacchi nel Vol. XI degli Opuscoli scientifici e letterari, pag. 64. Incomincia: «Ardo bencb'abbia il crin canuto gelo» Non si ritrova manoscritto nel Godice Magliabechiano sopra citato, n6 1' ho potuto trovare altrove. L' autografo poi sari, come degli altri, nella Biblioteca degli Eredi. Prose inedite. Dialoghi FiLOSOFici DEL PRIOR Orazio Ricasoli Rucellai. — Gia sappiamo di essi quali son pubblicati. Or qui pongo il conte- nuto de* quattro manoscritti (cio^, Magliabechiano, Palatine, e 1 due codici della Biblioteca Ricasoli) avvertendo subito che DI ORAZIO RICASOLI RTCELLAI. XXVII le Villeggiature Albana e Tiburtina non si ritrovano die in queste ultimi due. Codj/ce Manoscritto della Palatina: (Copia). — £ un volume in-4o slegato, di pag. 788, senz' indice, e in carattere minutissimo. Contiene Y esposizione delle opinioni dei filosofi antichi in- torno a' principii naturali delle cose, (16 Dialogbi); T esposi- zione del Timeo di Platone, (15 Dialogbi) ; cui fan seguito quelli della Provvidenza, (16 Dialogbi); e infine due dialogbi suUe Musiche proporzioni. In tutti N^ 49 Dialogbi. Codice Manoscritto, anch* esso Copia, nella Magliabechiana. — Sono nove volumi in-4o, legati in pelle con dorature in costola, e miniature e arme Rucellai in frontespizio. Erano per 1' in- nanzi di propneta della signora Maria Settimanni, moglie del signor marcbese Dante Catellini Da Oastiglione, e da essa gli acquisto poi il signor Vincenzo Follini Bibliotecario, a'di 26mag- gio 1815. Questi Dialogbi sono dedicati al signor marcbese Co- simo Da Castiglione. Questo codice contiene i Dialogbi su i principii naturali deir universe (16) come il Codice Palatino ; poi i dialogbi della Provvidenza (16), indi il Timeo (15 Dialogbi) ; e per ultimo le Musiche proporzioni, (9 Dialogbi) stando alia indicazione e numerazipne dei Volumi. 1» Codice Manoscritto della Biblioteca Ricasoli Firidolfi. — Son dodici volumi in-4«>, legati in pelle, di scrittura antica ma cor- retta e leggibilissima. Comprendono in 1° i Dialogbi sulle opi- nioni dei filosofi anticbi intorno ai principii naturali dell' uni- verse (16), poi la Provvidenza (16 Dialogbi), indi il Timeo, (15 dialogbi) Villeggiatura Tusculana; si passa poi alia Villeg- giatura Albana, (2 dialogbi e il Proemio) ossia ai Dialogbi deir Anirna, della Notomia, e per ultimo, alia Villeggiatura Ti- burtina, e cioe alia Filosofia Morale (Proemio, due Argoraenti e due Dialogbi). Questo Codice fu rivisto e corretto da Anton Maria Salvini. 2" Codice Manoscritto in detta Biblioteca. — Puo considerarsi come I'autografo, percb^ corretto di mano dell' Autore. Son 14 volumi in-4o, legati essi pure in pelle, e scritti sufficiente- mente bene. Qui I'ordine ^ alquanto diverse; imperoccb6 i Dialogbi della Provvidenza si trovano coUocati nei volumi 7, 8 e 9, ciofe dope quelli della Filosofia naturale antica, (16 Dia- logbi) e il Tin? eo (15 Dialogbi). Abbiamo poi un volume senza Dumero col titolo di Musiche proporzioni, (9 Dialogbi) e cbe XXVIII SPECCHIO DBGLI SCBITTI EDITI E INEDITI evidentemente va aggiunto al Timeo. Per ultimo sono le due Yilleggiature, Albana (Proemio e 2 Dialoghi) e Tiburtina come nel Codice antecedenteraente descritto. (Proem., 2 argomenti e 2 dialoghi). — Per piii ample notizie veggasi il mio capitolo intitolato Disegno, ordine e fine dei Dialoghi filosofici di Orazio Ricasoli Rucellai, PlANTA E RiGIRO DELLA CORTE DI ROMA. — Libello del Stg. PHoT Orazio Rucellai. — Una copia di questo scritto inedito fu da me ritrovato in una Filza Strozziana, neH'Archivio Centrale di State. Di questo scritto incomplete nissuno fin qui avea fatto parola, forse perchfe sconosciuto, oltre V essere inedito. Credo r autografo trovisi presso gU eredi. Vedi pag. 326 in Appendice. DiscoRSO SULLA FoRTUNA. — Lo lesse il Rucellai in una Adunanza tenuta dall' Accademia della Crusca ai 20 febbraio 1654, in onore del Principe Gio. Adolfo, fratello del re Gustavo di Sve- zia, come risulta dal Diario del Buonmattei. £ inedito presso gli eredi, e penso che sia quelle incorporate tra' Dialoghi filo- sofici nella Villeggiatura tiburtina, dove discorre della Filo- sofia Morale. Le lodi di San Zanobi, Vescovo, protettore dell' Accademia DELLA Crusca. Discorso recitato dal Rucellai in un' Adunanza solenne che detta Accademia celebro in onore di quel santo, nel Palazzo Strozzi, il 20 giugno 1651, come ricavasi a pag. 89 e segg. del Diario di Benedetto Buonmattei allora segretario. £ inedito presso gli eredi, ma da me non potuto leggere. Invettiva contro il collega Tommaso Segni. — Anco questa e inedita presso gli Eredi ; ne ho potuto consultarla, e solamente ricavasi il tenore di essa dalla difesa del Segni, della quale fa menzione il Moreni, a pag. XVI della sua Prefazione alle Prose e poesie del Rucellai, Buonaventuri ed altri. CiCALATA per LO Stravizzo DEL 1662. — Una copia di essasitrova nella Libreria Marucelliana, Codice A N® 158, ed un' altra nella MagUabechiana Codice Manoscrilto E, 5, 6, 24, insieme con altra del figlio Luigi Ricasoli Rucellai. Trovasi pure nella Pa- latina* m OBAZIORICASOLI RUCBLLAI. XXIX Scherzo in lode dell* Uccello. — Lo cita il signor LuiGi Passe- RiNi nella sua Genealogia e Storia della Famiglia Ricasoli. Firenze, Tip. Cellini, 1861, dove discorre di Orazio Rucellai, a pag. 86, e che dice pubblicato a Firenze nella Raccolta delle Prose fiorentine, parte III, volume I, pag. 124, Anno 1722. Ma io non V ho rinvenuto, e percio ritengo come inedito anche esso nella Biblioteca degli Eredi. ISTRUZIONE E CaRTEGGI DEL COMMENDATORE PRIOR OrAZIO RiCASOLI Rucellai, nella stia Ambasceria di Corte Cesarea e di Po- Ionia dal principio di gennaio al giugno 1635. — Questa rac- colta con le lettere del suddetto Rucellai, e delle quali ne pub- blico una come saggio il Prof. Turrini, conservansi nell' Ar- chivio degli Eredi; e pero non potute esaminare da me. Lettere Familiari — Sette di queste indirizzate al suo Serenissimo Principe trovai in una cassetta nella Biblioteca Palatina, che a^eva per titolo Autograft Italiani, Non hanno soprascritta, c furon levate, come molte di altri uomini illustri, dair Archivio centrale di State, nella occasione della Gran Raccolta de'roa- noscritti Galileiani e degli Accademici del Gimento. Altre tre Lettere inedite da me ritrovate nel carteggio uni- versale mediceo, Filza 1013, Anni 1631-1641, dirette al Granduca Ferdinando II dal Rucellai, di Roma, negU anni 1638-39-40. AxTRA Lettera inedita di Orazio Rucellai rinvenni nella Filza Medicea, dal 1640 al 1650, pacco 2°, datata da Roma li 24 lu- glio 1649, e colla quale ei domanda al Granduca nuove dila- zioni per la Gabella. {Filza Medicea, 52, Principe Mattias 5488). Poesie medite. L'AccADEMico Imperfetto DELLA Crusca, che era il signor Prior Orazio Rucellai, dopo aver cenato alio stravizzo fatto dalla me- desima Accademia, presenta un meraoriale ai Provveditori della Gena, chiedendoli il solito tribute del Cacio. Sotto questo titolo dice il signor Passerini che si trovano pubblicate nelle Prose Fiorentine, 1723, 84 quartine, copia delle quali e nella Magliabechiana, nel solito Codice, Poesie ec,, VII, XXX SPECCHIO DEGLI SCBITTI KDITI E INEDITI 347, e comprendono dalla paginal99, alia 205. Ma io non Tho potute trovare stainpate, e per do le ho poste qui tra le inedite. Alla Serenissima Margherita d* Orleans, Principessa di Tosca- NA. — Per un maizolino di fiori donatole il giortio di Santa Margherita, dal Stgiwor Prior Orazio Rucellai. — Sono in co- pia quattro Ottave che si trovano nel solito codice magliabe- chiano sotto il titolo di Poesie manoscritte di diversi, del se- colo XVII, YII, 347, pag. 198. In morte oella donna amata. — Un Sonetto inedito che trovasi con altri editi nel medesimo Codice Magliabechiano YII, 347. Poesie di diversidel secolo XVil a pag. 208 e;209. Incomincia : « Quello che sola ai miei pansier risponde » Amor Platonico. — Sonetto, ibid, a c. 213. « Non di vostra beltk caduca e frale > Sentimenti amorosi secondo il concetto Platonico che Dio creasse le anime particolari degli uomini, degli avanzi dell'anima UNIVERSALE DEL MONDO. — Sonetto, ibid, a pag. 214 che comincia: « Con eteme faville il sommo Sole » Si querela che il SONNO TENGA CHIUSI GLI OCCHI DELLA sua DONNA. — Vedi ibid., a c. 212. Incomincia questo Sonetto: « Orabra il sonno d di morte, i sensi atterra » Sulla Prowidenza. — Altri tre Sonetti inediti, ibid., che fan corpo cogli altri gia pubblicati dal Fiacchi. Corainciano : 1) ((Come aguzza il gran fabbro, e con qual lima)) 2) « Se alla ministra del Motor Sovrano )) 3) (( Nasca talun senza mirar la luce )» Desiderio dell'anima d*unirsi a Dio,— Sonetto, ibid., a c. 218. Comincia : « Padre del ciel che le bell* alme accogli t> DI OBAZIO RICASOLI BUCELLAI. XXXI Nel Codice Manoscritto Magliahechiano poi, sotto 11 titolo Poesie Diverse piacevpli VIII. Var. 363, si trovano scherzi immorali del RuCELLA.1. Come pure neiraitro Codice superiormente ci- tato se ne trovano altri frammisti a poesie oneste del nostro Imperfetto. Alcuni dei Sonetti raorali o religiosi del Rucellai trovansi ricopiati pure in altri Codici manoscritti come p. es. nel Libro Valerii Chimentelli De FunamhulOy II, 50, e nel Codice Ma- gliabechiano, 6, II, III, 209. DELIA VITA E DE6LI SCRITTI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI, Introduzione. SoMMARio. — Firmamento dei cieli, e firnianionto del pensiero. — Armonie loro. — Orazio Bicasoli Bucellai e il sccolo decimosottimo. — Quegli e specchio delle condizioni di qaosto in Firenze. — E pero si spiega r ammirazione graude per il RuceHai de' saoi contcmporanei. — Dirisione generale di questo libro. — Sao fine e importanza. Come accade nel firmamento dei cieli, cosi, o let- tore benevolo, mi sembra accadere nel firmamento del pensiero o deU'anima umana; e I'armonia che tu scorgi regnare nelF ordinata misura de' corpi celesti non dis- somiglia punto da quest' altra armonia che le idee, o le stelle dell' anima, compongono tra se nel loro or- dinamento stupendo. Ond' ^ che in quella guisa me- desima che anco un astro il piii piccolo, 1' occhio deir osservatore de' cieK scopre ed afferma talora ne- cessario anello tra' maggiori e piii luminosi ; non al- trimenti nella storia del pensiero umano sovente uno scrittore, un filosofo, pur de' non grandi, lo ritrovia- mo, studiandolo, quasi anello logico, se non necessario, tra due etd. e du§ scuole che si succedono, tra' filosofi maggiori di quell' et^ stessa. Cosi, per esempio, in un tempo di confiitti di dottrine con dottrine, di liberty, e di servitu, di ragione e di autorita, se vi ^ un uomo il quale specchi in se nella loro schiettezza i pensieri e le disposizioni diverse della societa civile in mezzo alia quale egli trovasi; se quest' uomo dia la immagine vera di que' contrast! che ingegni piii chiari e piii va- 4 IKTR0I)U2I0NE. lorosi di lui allora combattono; quest' uomo, anco de' non grandi, acquistera senza dubbio per tal fatto importanza non lieve nella storia del pensierq e della civilt^, perch^ appunto ei potra nella Storia rappre- sentare veramente il suo tempo ; egli, se vogliamo con- servare il paragone, sara un anello logico di quel si- stema di astri intellettuali che compongono Y armonia spirituale dell' universo. Potrei, volendo, recar qui per la mia asserzione testimonianze storiche a dovizia; ma non lo fo, sicuro che al leggitore non ripeterei che notissime cose, e cadrei nel superfluo. Orazio Ricasoli Rucellai, del quale imprendo a di- scorrere, non ^, giova dichiararlo tin d' ora, un gigante tra' pensatori, e neppur grande ; egli 6 un astro minora, e nulla pitl ; invano tenteresti ritrovare in lui una gran forza speculativa e una potenza straordinaria d' inge- gno. Forse egli era nato uomo di alti spiriti ; ma infetto anch' egli di quel miasma ond'era ammorbata la filo- Sofia e le lettere nel secolo decimosettimo, se non imbolsi affatto, pur n'ebbe il suo ingegno a sofifrire; poichd, come scrive il Guasti nel suo Lorenzo Panciatichij era il pensiero a' filosofi, come 1' estro a' poeti tarpato. E appunto, credo, perchd il Rucellai ci apparisce cosl e nella filosofia e nelle lettere; appunto perch^ respird que'miasmi, e le inclinazioni diverse del suo tempo sperimentd in sd stesso, e manifestd ne'suoi scritti ; io son d' avviso ch' egli acquisti per noi pitl im- portanza come quello che valga a rappresentarci fe- delmente quel secolo nel quale fiori, e riproduca le con- dizioni reali del pensiero filosofico e del civile consorzio in mezzo al quale viveva. E se questo d vero, come in progresso dimostrero, la cagione e ragione della stima e ammirazione grandissima de' suoi contemporanei, che lo ritenner quasi come un mezz' oracolo, ^ spiegata e INTRODUZIONE. 5 almeno in parte giustificata. Come Orazio Rucellai, cosi quel valenti eruditi contemporanei sentivaao dentro di se ripercosse le molteplici disposizioni del tempo, e tutta la violenza delle correnti contrarie che urtavano per trascinare ciascuna seco la navicella delle lor menti. II Rucellai, che ^ alia testa di loro, vuol dominare la furia de' corsi, e in parte riesce ; ma poi quasi in- consapevolmente ei segue cogli altri or questa or quella fiumana; egli e come un prisma sulle cui faccie riflettonsi i colori molteplici dell' iride filosofica di quel- r et^. Egli e insomma il rappresentante del suo tempo in Firenze, perch^ raccoglie in s^ stesso tutte le opinioni opposte che v' erano allora e tenta conci- liarle; e, altresi, perche questa conciliazione ha pitl del- r accademico che dell' intimamente speculativo ; specu- lazione che, salvo le scienze naturali, era molto fiacca a quei tempi nella sua patria. Dimostrato questo, apparir^ anco pitl quella impor- tanza che a me sembra avere questo libro, come quello che avr^ mirato ad aggiungere un po' di luce alia storia del pensiero di quel secolo; a presentare un tra- passo anco pitl intimo tra due et^ che si succedono. E per arrivarvi, nulla di meglio che gettare uno sguardo al viver civile del secolo decimosettimo, esa- minarne attentamente le condizioni politiche e morali, vederne lo stato delle lettere e delle scienze; poich^ tutti insieme questi risultamenti dell' attivit^ umana, e non tra di loro sconnessi o separati, valgono a rappre- sentarcela. Noi considereremo quindi il Rucellai in quello stato de' tempi suoi, e vedremo come la sua vita vi si svolga, e nelle varie manifestazioni a quelli esatta- mente risponda. E man mano che la critica seguir^ la esposizione delle sue opere filosofiche e letterarie, delle quali stimo opportuno ofifrire come appendice e docu- 6 INTRODUZIONE. mento al libro una Antologia^ avremo occasione di veder cose singolari e di non lieve importanza. Con questo mezzo io spero di ricondurre nel novero de'filosofi im uomo, di cui nissuna Storia della filosofia, ch'io mi sappia, ha fatto sufficiente menzione fin qui ; e saro lieto del pari di aver dato mano, come ho gia detto, a strin- ger viepitl i legami del pensiero fra due epoche della filosofia, e di avere additato come unione tra esse un mio illustre concittadino. Orazio Kucellai, lo ripeto, non ^ un ingegno straor- dinario, ma e tale che ci spiega intieramente il suo tempo. D'altra parte le menti straordinarie, appunto perche tali, volano sempre innanzi al lor secolo, supe- rano coi loro intendimenti le condizioni de'contempo- ranei, e si lanciano nel futuro divinandolo. E Galileo che mori, fiorente il Rucellai, non rappresenta quel se- colo, perche ancora dominava 1' inquisizione, e le anti- che scuole e le dispute del Peripato fiaccavano Tali agli spiriti ; Galileo rappresenta, inaugurandola, 1' eta futura, le future generazioni, quando la liberta del pensiero avr^ rotto i vincoli della servitii, e I'astro- logia ed il Sarsi e il cieco discepolato avran dato luogo al libero esame della ragione. L' uomo che pure non sordo alle sublimi dottrine del Vecchio d' Arcetri, e coll' animo schiuso ad esse, dara nuUadimeno ancora una parte del suo pensiero al servigio dell' antica scuola, e quando, secondo 1' er- rore di alcuni dell'et^ sua, egli reputera ostili fra loro la fede e la ragione, sara pronto per la fede di far getto della ragione sua, piuttostochd investigarne con libero esame 1' accordo, questi, non grande ingegno, sar^ del suo tempo la immagine. E Orazio Rucellai ^ senza dubbio quest' uomo. I Capitolo Primo. IL SECOLO DECIMOSETTIMO. SoMMABio. -- Scrittori flel Rucellai. — II marchese Carlo Rinnccini. — Aoton Maria Salvini. — II canonico Pomenico Moreni. — II Tirabo- schi. — 11 Passerini. — II Turrini. — II Mamiani e il Centofanti. — Necessita di ritesser la vita del Rucollai per il proposito nostro. — Difficolta pel difetto di docnmenti. — Condizioni generali del secolo decimosettimo. — fe un secolo di eontrasti politici e morali. — Contrasti nelle arti, nelle lettere, nella filosofia. Che han scritto del Rucellai sono varj, contempora- nei a lui e posteriori. Ma gli uni e gli altri piti che la vita deir uomo ne scrissero o lodi, o cenni necrologici, o per la scienza ne toccarono di sfuggita. II marchese Carlo Rinuccini, accademico della Cru- sca sotto il nome di lAetOy disse le lodi del Rucellai nel- r Adunanza pubblica che in onore di esso fu fatta nella sala terrena del palazzo del duca Strozzi, a'di 11 set- tembre 1698, e ce lo riferisce il Diario stesso delFAc- cademia, ove leggesi : Quest' elogio perd non e a noi pervenuto, ossivvero sar^, come tant'al- tre cose di importanza maggiore, sepolto in qualche libreria privata de'nostri Signori fiorentini. L' Orazione in morte del Eucellai scritta da Anton Maria Salvini, non d che una bella sequela di lodi del- I'uomo e dell'opere sue, un rimpianto solenne per la perdita dell' illustre Accademico contemporaneo, che lo scrittore jpropone ad esempio imitabile di virtii e di dottrina. H canonico Moreni ha discorso dell'Imper- fetto nelle prefazioni a quella parte di scritti che ha pubblicati di lui ; ma son cenni, son lodi, che se bastano a darci un' idea dell' uomo, non valgono a mostrarcelo, come vorremmo, in relazione a'suoi tempi, e molto meno ci chiariscono del come e del quanto quei tempi potessero sulla vita e sulle dottrine di esso. Cosi il Tiraboschi nel volume ottavo della sua Storia delta Letteratura ItcHiana, cosi il Passerini nella 6re- nealogia della famiglia Ricasoli, e il prof. Turrini nella sua Prefazione ai JDidoghi Filosofici del Rucellai sulla Provvidenza, han dato di lui alcuni cenni brevissimi a mo' di biogralia, per guisa che anco in essi 1' atti- nenze dei tempi colla vita e coU'opere letterarie e scientifiche del nostro scrittore non spiccano, ne ti accade di rinvenire descritte. L' illustre Mamiani e il Centofanti han toccato del platonismo di questo seguace ed amico del Galileo, ma Than fatto di volo, encomiandone la purezza del dettato e la ricchezza feconda dell' idioma sapientemente adoperato ne' suoi Dialoghi. Se non che giova riconoscere che per 1' intendimento loro, questi cenni o que' tratti bastano all' uopo, n^ pud da' lettori ricercarsi di piii. Ma 'per il fine che mi sono prefisso, apparisce al- IL SECOLO DECIMOSETTIMO. 9 tresi manifesto come sia cosa necessaria il ritessere piil completamente la vita di lui, per quanto mi d oggi concesso. Dico cosi, imperocche molti documenti pre- ziosi, che potrebbero assai illuminare questa storia e la mente del critico non mi ^ stato eoncesso di esa- minare. Non parlo qui de'Dialoghi Filosofid, de'quaU I'erede signor Alberto Ricasoli Firidolfi tiene due copie, una delle quali, in quattordici tomi manoscritti, ^ come autografo, perch^ corretta di mano del RuceUai; che questi Dialoghi anzi mi consent! (e glie ne rendo pubbliche grazie) di esaminare minutamente per con- frontarli coUe copie che sono nella Biblioteca Nazio- nale e Palatina in Firenze ; ma io alludo ad altri do- cumenti preziosi pel critico, cio^ lettere, corrispondenze e scritti minori che si trovano altrove sventuratamente, e che tanto lume avrebbero potuto recare al soggetto. Non pertanto cercheremo nel tessere questa bio- gralia del RuceUai di riempire, quanto e piii possi- bile, il vuoto che la mancanza di documenti lascia, con indagini indirette, e col raziocinio; e quelle che abbiamo tra mano bastera, credo, all' intento. Ma prima di seguire il nostro scrittore nella via della 8ua vita, penetriamo un istante nel consorzio in cui egli fiorisce, e ricordiamone intanto i caratteri e le quaUt^ pill generali, ch6 le particolari noteremo via via procedendo. I ricordi del passato quando non si restringono a una cronaca arida e secca acquistano un pregio indipendente daU' importanza degli avveni- menti che ci rammemorano. Come il piil piccolo vaso e r utensile piii umile coperto dalla ruggine del tempo diventano ne' nostri musei 1' oggetto prezioso di una grande curiosity ; cosi f atti pur semplici, ritrovati nella distanza dei secoli col loro carattere reale e native, 10 CAPITOLO PRIMO. acquistano un pregio singolare, e anche un certo at- traimento per colui che studia la storia con un po' di immaginazione e di critica, e che nelle sue ri- cerche e letture ha per canone e guida la massima morale di non ritenere per indifferente nulla di cid che 6 umano. Che ^ mai pertanto il secolo decimosettimo? Si dice generahnente che esso appartiene all' et^ moderna; che la servitil del Medioevo e scomparsa; che la imi- tazione del Rinascimento ^ tramontata : Bacone, Car- tesio, Galileo sono apparsi di gia suir orizzonte, ed hanno inaugurato il mondo moderno. Ed e vero, ma solamente in parte ; imperocche essi, sorgendo, trovino da sgombrare dal cielo del pensiero nubi ancor dense, e questo non fanno ne posson fare in un attimo, sib- bene gradatamente. Le inveterate abitudini, le antiche affezioni, le tendenze ormai radicate non si cancel- lano, non si mutauo a un tratto; ci vuole la espe- rienza longanime, si richiede un conllitto inevitabile tra il vecchio ed il nuovo, che trovansi Y uno dinanzi aU' altro. Ed ecco il perche, non altrimenti che nella natura accade, cosi uell' ordine storico del pensiero e dell'azione e sempre vauo cercare quelle divisioni recise che si trpvano nelle matematiche. Si direbbe che la storia del pensiero e un sorite, in cui ogni conclusione posteriore ritiene a suo termine medio e necessario la conseguenza dell' argomento immediata- mente anteriore. Ed infatti il secolo decimosettimo, a chi ben lo riguardi in s^ stesso e nelle manifestazioni di ciasche- duna delle molteplici attivit^ umane, ^ senza dubbio un secolo di contrasti. L' Italia (ch6 io parlo dell'Italia principalmente) scissa in molte parti, e pero debole; deboU adimque ordinariamente anco gli animi, o forti IL SECOLO DECIMOSETTIMO. 11 di fortezza apparente e non propria: essa, T Italia, teatro a' litigi tra' piccoli, a guerre tra' grandi prepo- tenti, riaperta ad armenti stranieri, come terra di pascoli eletti. Principi italiani, mentre la madre comuue era in servitii, non pure non amare di unirsi in lega tra lore, travagliarsi invece tra loro stessi con inganni e veleni per mania di possedimento. Amore di guerra, gelosia di acquistare territoriuzzi italiani a danno di principe italiano compagno; non generosity, non altezza d' animo, non dolce superbia di procurare od almeno di preparare all' Italia quell' onorata condizione che al suo glorioso nome si conviene, regnavano in quei tempi. (BOTTA, Sioria d' Italia, vol. I, pag. 620.) Quivi le successioni de' principi hanno luogo rapidissime, e cosi ad ogni istante I'ltalia ci presenta un aspetto nuovo, mentre si trova costretta a sottostare a idee nuove, a nuovi capricci de' suoi principi nuovi. In meno di'settant' anni tra duchi, dogi, papi ella ne vede sorgere e sparire novanta, e insieme ad essi vede sparire e risorgere contrasti a dismisura; e se per un momento arride U sereno della pace, gli ^ per rendere agli occhi degli uomini piil fosco il tempo di gara che ne succede. II gran politico e gran raggiratore del decimoterzo Luigi favoreggia intanto il duca di Nevers 6 lo vuole ad ogni costo porre in possesso di un' ere- dita, la quale assicura alia Francia il punto piil con- siderevole dell' alta Italia. La Germania, la Spagna ed anche Carlo Emanuele gli muovono contro, e nel 1630 la terra di Mantova e posta a sacco dagli Spagnoli. Conchiuso il trattato di Cherasco, Mantova e il Mon- ferrato rimangono al duca di Nevers; Alba, Torino e alcune altre terre alia Savoja, la quale alia sua volta ^ costretta a cedere Pinerolo. Ma Richelieu non h sodisfatto; egli vuole stremata la potenza d' Austria e 12 CAPITOLO PRIMO. di Spagna, in Italia precipuamente ; e contro la Ger- mania presta ajuti a Gustavo Adolfo di Svezia, con- fisca la Lorena, e, collegati essendo la Francia, la Savoja e i duchi di Parma e di Mantova, indice guerra agli Spagnoli. E la Toscana, i cui Granduchi prediles- sero sempre la pace, trovossi pure travolta nella comune ruina; e se i primi anni di regno scorsero a Ferdi- nand© II calamitosi per gli orrori della pestilenza e della fame, non mancarono poi a turbarlo gli orrori, non gravi meno, della guerra contro i Francesi prima, poi contro Urbano VIII, che pari al Cardinale di Francia nelle pretese, non nell' astuzia, per favorire i Barberini suoi nipoti, vuol togliere ad Odoardo Far- nese, cognato del Granduca Mediceo, i dominj di Castro e Ronciglione. E mentre in Roma trattasi legalmente la faccenda, il cardinale Barberini assalta il feudo di Castro, e se ne impadronisce. Sdegnato il Farnese, passa col suo esercito, per la Toscana, negli Stati del Papa, e sparge dovunque spavento e terrore. Ferdi- nando II, riuscitagli vana una conciliazione, trascinato dalle insolenze de' Barberini e dalle controversie onde tormentavalo la corte di Roma, si mette in punto di guerra, e per f arsi sicuro all' interno, esilia quanti re- ligiosi ed ecclesiastici vi sono nativi delle Romagne, e col cognato sconfigge le armi del Papa, il quale cede alia forza e al diritto, restituendo al Farnese il ducato. E cosi di questo passo per tutto il secolo e per tutta la Italia andarono le cose; e i popoli si vendevano, e si lasciavano vendere quantunque se ne dolessero, mentre e dissensi e contrasti e debolezze e frodi e vilt^ co- stituivano allora la totality di quel fantasma volubile che si chiama anc'oggi politica. E di tal fatta, e non altrimenti, le condizioni mo- rali. Che, pur restringendoci alia Toscana, noi vediamo IL SECOLO DECIMOSETTIMO. 13 i suoi principi altalenare tra il bene ed il male conti- novamente. Or ligi alia Spagna, or al Papa, or ai frati, or aUe cortigiane; e Ferdinando 11, uomo prudente, ma non sempre coraggioso, cade nella pusillanimity. E mentre dianzi ti si mostra superiore alle minaccie del governo di Roma, vedi poi che lascia, durante il suo regno, radi- care negli ecclesiastici arbitrario esercizio di giurisdi- zione politica, pel quale vanno in breve vieppiii sper- dute le antiche consuetudini deUa repubblica, e le ordinanze del duca Cosimo, e per timore dell' Inquisi- zione abbandonare il disegno di erigere un monumento a Galileo. E nel medesimo tempo (come vedrem--o poi pill particolarmente) ama e protegge gli studi, colti- vandoli, e in essi trova conforto o distrazione agli affanni politici e famigliari; e a chi gli dimostra come, facendo egli ammaestrare il popolo, sarebbero venuti a mancare artigiani e servitori, risponde com- piacersi assai piii d' esser principe d' uomini che di bestie. Che se dalle Corti si viene a' nobili e si scende al popolo, noi assistiamo a' contrasti medesimi, alle me- desime scene di discordie, di debolezze, d' immorality. Ogni privilegio ^ pe' nobili, oppressione 6 pel popolo; inani per i primi le leggi, eccessivamente rigorose al secondo*; impedito il popolo di portar armi, padrone di cingeme quando e quant' e' vuole il signore e di ac- cerchiarsi di bravi, per aver mezzo cosi d'insolentir sopra i deboli. Indi le vendette, i tradimenti, e quella riazione sanguinosa dell'oppresso contro I'oppressore; d veramente una societa ingiusta senza grandensea, pas- sionata senza generosita, dove niuna esaltazione, ma ragionamento e calcolo e frode e intrighi indecorosi predominano. E pjsrfino nel vestire servility e contrasto di gusti si fanno palesi. Sono state tante (dice il Ri- 14 CAPITOLO PRIMO. nuccini ne'suoi Bicordi Storicl) le vanita del vestire che in questo secolo sono seguite, che si rende impos- sibile di poterle non solamente narrar tutte, ma anco la maggior parte di esse: tuttavia non lascia egli di notarne qualcuna, prima degli uoraini, poi delle donne ; dopo di che in generale ha detto, che E quest' eclettismo esteriore era non altro se non un riflesso dell' interno eclettismo e contrasto di quelle menti e di quelle volonta, sicch6 i medesimi uomini, come, per esempio, il Rucellai nostro co' suoi amici, avresti veduti a un' ora portare impettiti e gravi il vestito ricamato di seta nera e con frange e con nastri rasati, ad un' altr' ora coraparire al pubblico in farsetto e in pianelle. N^ poteva essere a meno che accadesse quella volubility e imitazione servile delle mode di Francia, imitatori com' eran gi^ divenuti quegli animi del pensare francese. Imperocch^ le guer- re, la letteratura e le dispute clericali di quella na- zione occupavano gi^ gl' intelletti italiani; e il nostro paese che, come nota il Guasti, aveva mandate Leo- nardo e r Alamanni a portar suUa Senna le arti e le lettere, tornava a scuola dai discepoli, tutto trovando ne' Francesi grande, a cominciare dal re. II quale, per mantenere il credito, spargeva anche in Firenze quelle pensioni, che il monaco Mabillon rifiutava, e il Dati e il Viviani soUecitavano. (Scritti varj di LO- RENZO Panciatichi, pag. XIII-XIV.) Se entriamo nel sacrario delle arti, delle lettere e delle scienze, noi vediamo riflesse le condizioni mede- IL SECOLO DECIMOSETTIMO. 15 sime di contrasto, e di fare spensierato, che le politiche e le morali condizioni ci offriroiio. Alcuni artisti si buttavano all' esagerato, al teatrale, sostituendo al vero r artificioso, il forzato al semplice ; gesti violenti anco negli affetti pacati, panni svolazzanti anco in sale chiuse, riputando triviality la naturalezza; sicch^ i michelagnoleschi fanno Veneri cLe sembran Ercoli, e si presta culto alia me'diocrit^, si segue il tra- viamento. E Lodovico Caracci che tenta in Bologna coUo studio di veri capiscuola, opporsi a' degeneri imitatori, riesce a fondare una scuola che ha per carattere r eclettismo, stimando arte suprema accordare non solo ma fondere quanto i grandi artisti avevan di mejglio ; ne egli ne i suoi cugini sepper mai all' eclet- tismo aggiungere il pensiero ispiratore, preferendo, come dice lo stesso Cantil (Storia Universale, vol. XVII, pag. 816), di avvicinarsi ai fenomeni della natura e supplire al genio colle rimembranze. Percio i migliori di loro scuola fecero riazione contro questa infelic^ idea. II cavaliere d'Arpino proclama I'idealismo, ma condannando i marinisti materiali della pittura, di- venta egli il Marini della pittura stessa per la ricerca affettata dell'ideale. A Guide Reni che vagheggia il soave, si contrappone il Guercino che si d^ a' ga- gliardi contrasti di luce e d'ombra: alia facility del Berrettini la creazione fiera del Rosa. Matteo Roselli contrasta con Carlo Dolci; il primo sereno, quieto, corretto, il secondo smorfioso alquanto, e coloritore con non abbastanza armonia. Cosi nella scultura e neir architettura, le quali pure ci presentano piil ca- dute spensierate che creazioni e voli generosi, contrasti, esagerazioni ; e 1' alito dell' affetto che spira ne' rozzi tentativi del trecento, non ritrovi in esse ora piiH ; n^ 18 CAPITOLO PRIMO. vecchio viiol trovare un accordo, un legame, un'ar- monia. Intendimento quant' altro mai salutare e gene- roso, ma che appunto per esser concepito da menti ineguali a si grande lavoro, rimane frustrato o con- traffatto, e piucch^ il nuovo farlo sgorgare natural- mente dall' antico, e ajutarne, quasi a mo' di levatrice, il parto desiderate, trascurano inesperti e loro mal- grado il primo per il secondo, o il secondo pel primo. E un eclettismo quello che esce dalle mani di questi uomini; 6 la figura mostruosa che Orazio ci dipinge nel principio della sua Arte Poetica. Or bene, in quel secolo abbiamo da un lato Pla- tone ed il neoplatonismo, dall' altro Aristotele e 1' ipse dixit de' suoi seguaci. Qua Galileo, 1^ il Peripato : qui il Cartesio, li Huet : qui 1' ardito proposito e la ferma volont^ del tutto esaminare ; qua la tirannica preten- sione del tutto imporre e far accoglier per fede; da una parte la liberty,, spesso sconfinata, del Bruno e del Campanella, dall' altra parte 1' inquisizione pronta a tai'pare le ali, se vogliam temerarie, di quegli ardi- mentosi sfidatori del cielo. In una parola noi siamo sempre con un piede nel Medioevo, con 1' altro nella Riforma. Ella 6 questa che si combatte una vera guerra da giganti, nella quale le intelligenze di coloro che non son ingegni po- tenti, si debbono trovare in baUa di impulsi diversi, che, come dissi, se ne disputano ad ogni istante il dominio. A larghissimi tratti noi abbiam vedute come in ispecchio le condizioni politiche, morali e intellettuali di questo secolo ; imperocch^ senza questo lavoro pre- Hininare noi reputassimo di non potere arrivare a cono- scere determinatamente 1' uomo di cui teniamo discor- so, e i suoi scritti, e la storica importanza di essi. La IL SECOLO DECIMOSETTIMO. 19 vita di ogni individuo ^ un problema, per risolvere il quale condizione necessaria si 6 di saper dove questa vita si svolse, e in quale civilt^. Poich^ la civUtlt d' un secolo viene sempre essenzialmente espressa dal tutto insieme delle opinioni, preoccupazioni e tendenze, forme e gradi di cultura proprie o particolari a ciascuno de- gli ordini sociali che in esso si comprendevano ; 6 in- somnia lo specchio della vita interna dell' individuo in mezzo agli uomini del suo tempo. Capitolo Secondo. BELLA VITA DI ORAZIO RICA SOLI RUCELLAI. SoMicARio. — Nascita del Racellai. — Suoi parent!. — Antichitli e nobilU delle due famiglie Ricasoli e Racellai. — Loro attinenze con le glorie politiche e letterarie dell* Italia. — I Ricasoli, i Racellai ed i Me- dici. — Perch^ Orazio piacchd Ricasoli appellino gli scrittori col nome materno de* Racellai. — Qaesti e le dottrine platoniche. — L' Accademia Platonica istituita da Gosimo e Marsilio Ficino. — Intendimenti di questo. — Saoi scritti. — Platonismo cristiano di lui e de*8aoi accademici. — Si nominano. — Bernardo Racellai. — Sue qualiti, opere, pregi di esse. — Fa parte deir A (Epist. 1*). E percio egli loda Porfirio anche nella teorica dei sacrifizii, e non nega che le anime umane vengan giu da una certa parte del cielo, e vi risalgano, e agli angeli assegna un tenuissimo corpo; dottrine tutte, che non il Platonismo solo, ma questo e le emanazioni alessandrine ci possono spiegare. Gli 6 per cio che 1' Accademia istituita dal nostro Marsilio piii che Platonica dovrebbe appellarsi neoplatonica, per un certo neoplatonismo che si distingue ad un tempo dal Platonismo schietto, e dal neoplatonismo alessan- drino, trasformati entrambi cosi dal cristianesimo come da una certa mistura di dottrine e di forme aristote- liche; essendo in questo aspetto neoplatonici e fonda- tori e continuatori di essa. I quali furono in grandissimo numero, contempo- ranei ed amici del Ficino, come egli, distinguendoli in tre classi, scrive a Martino Uranio, e li nomina tutti. Fra i primi che meritano speciale menzione sono (scrive il medesimo Galeotti) Giovanni Cavalcanti, che Mar- silio chiamava 1' Eroe e amico unico e i fiorentini il di lui Acate, il quale per tutta la vita fu il confidente de'suoi pensieri piU riposti, e il confortatore delle sue amarezze: Angiolo Poliziano, cui dette il nome di Ercole, che egli consultava in tutte le difficoM filolo- BELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI EUCELLAL 2.5 giche, che fii tra' suoi piil caldi ammiratori, e con som- mo conforto lo vide poi in eta matura piil propenso alia filosofia platonica: Giorgio Antonio Vespucci, Fran- cesco Diacceto, Pico della Mirandola, e altri molti, tra cui Giovanni Canacci, Bindaccio Ricasoli, e Ber- nardo Rucellai, i quali ultimi tre andavano ogni giomo a tenergli compagnia quando desinava, e con essi con- versava, ora scherzando piacevolmente, ora trattando gravi argomenti di filosofia. Bernardo, antenato illu- stre di Orazio Rucellai, era uomo di sublime e grave ingegno, a niuno secondo per civile prudenza, casto nel parlare, aflFezionato a' costumi antichi, e nulla non v' era in lui che non fosse veramente patrizio o sena- torio. La sua vita politica ci dimostra com' egli sostenne sempre le cariche piU rilevanti, ambascerie importan- tissime, e sebbene stretto per sangue alia famiglia Medicea, non fu tra i suoi amici, e seppe ad essa mo- strarsi spesse fiate contrario. Egli fu chiarissimo let- terato, scrittore di storie. uno di coloro che la lingua del Lazio seppero mantenere in onore grande, come ce ne attesta la sua Orazione: De auxilio Typherna- tibus (idferendo, modello di perfetto latino ; il De Bello Pisano ; il De Bello Italico, in cui si descrive la storia della venuta di Carlo VIll in Italia, e il Bellum Me- diolanense, e sovrattutti il suo De Urbe Boma che voile dedicate al suo figlio Palla, nel qual libro, illu- strando Sesto Rufo e Public Vittore, raccolse quanto si trova negli antichi scrittori intorno alle antichit^ di Roma, e quanto ^ proprio a dare una idea di quella regina delle nazioni. (Passerini, Curiosita Storiche.) Lo stile del Rucellai e piano ed elegante, ed Erasmo da Rotterdam, nel libro ottavo dei suoi Apoftegmi, ebbe a dire che niuno meglio di lui »' era mai avvi- cinato a Sallustio. 26 CAPJTOLO SECONDO. Fattosi strada coUa sua dottrina, Bernardo fu dunque chiamato a coinporre la schiera eletta delFAccademia ficiniana; e nelproferire il suo nome, in ogni cuore fioren- tino risvegliasi ormai istintivamente la memoria degli Orti famosi. Morto Lorenzo il Magnifico nel 1492, il quale, come abbiamo notato, avea ampliato e protetto sempre V Accaderaia Platonica, fino a rinnovare i ban- chetti solenni co'quali Platone era solito di celebrare il suo di natalizio ; i componenti di essa poterono an- cora per due anni, ospitati e protetti dal cardinale Giovanni e da Piero de' Medici, far le loro adunanze in quel portico novello di Atene, quale era divenuta la Villa a Careggi, frammettendo sempre, per suggeri- menti e per esempio di Lorenzo, scrittore e poeta Ita- liano gentile, e dello stesso Marsilio, il quale dettava un elogio italiano dell' Alighieri, e traduceva il libro De Monarchia^ le letterarie discipline in mezzo alle disputazioni filosofiche. Per.la qual cosa ebbe grande van- taggio*la nostra lingua; che tutti i Platonici ripresero lodevolmente a scrivere nella lingua di Dante e del Boc- caccio, e chi raggiunse V apice dell' eleganza e della dolcezza fu indubbiamente il Poliziano. Se non che nel 1494 cacciati, per la debolezza vergognosa di Piero figlio di Lorenzo, dalla citt^ di Firenze i Medici, e posti dalla plebe a sacco i loro palagi, il Ficino, se voile continuare i suoi studi diletti, fu costretto ad abbandonare Firenze e la villa, e ricovrarsi nella ru- stica solitudine del suo Montevecchio. E quei sapienti che gli facevan corona dovetter lasciare il noto asilo, il luogo memorando de'loro divini convegni! Ma la grand' anima del Ficino spird sempre nel petto di quegli amici e discepoli le sublimi dottrine e le belle virtil ; e Bernardo Rucellai diede ad essi cortese ospitaUt^ nella sua casa in Firenze, e poi nel suo giar- DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 27 dino, sul principio del secolo decimosesto, donde 1' Ac- cademia platonica prese nome d' Accademia degli Orti Oricellarj. Quivi convennero principal! Niccolo Ma- chiavelli, Luigi di Piero e Luigi di Tommaso Alamanni, Piero del Riccio detto il Crinito, Antonio Brucioli, Gio- vanni Corsi, Francesco Vettori, Pietro del Nero, Gio- vanni Canacci, i due Francesco da Diacceto, I'uno detto il Nero, Y altro il Faona^zo dal color delle vesti, Giovanni Corsini, Cristoforo Landino, Piero e Niccold Martelli, Giovanni Cavalcanti e il Martini, i quali due ultimi il Ficino chiamd nel 1499 esecutoridel suo te- stamento; e per tacere di molti altri, i figli di Ber- nardo Rucellai. In questo giardino veramente platonico si addita ancora il luogo, dove quei dotti uomini si radunavano, e dove sur un cartello di porfido sta scritto: Ave Hospes. Quelle volte e quei viali risuonarono di voci sapienti, e il Diacceto vi leggeva i suoi Libri sul Bello, il Machiavelli i suoi discorsi sulla prima Deca di Tito Livio e i Libri suW Arte della Guerra, T Alamanni il Trattato della Coltivazione. L' amore delle dottrine Pla- toniche divenne fin d'allora viepiii tradizionale nella famiglia de' Rucellai, che lo serbarono sempre come una gloria superba, quasi depositarii di preziosa re- liquia, ereditata con tante altre grandezze da tempi pill fortunati e migliori. E dopo due anni il ritorno de' Medici in Firenze, morto Bernardo nel 1514, i suoi figliuoli Giovanni, Palla, Cosimo, e il nipote Cosimino, non furono men gloriosi ed ardenti seguaci delle ve- stigia pateme. E Marsilio Ficino e i tre Pulci e il Poliziano e Pico della Mirandola, ormai spenti, do- verono a questi esser modelli sublimi, immortali, so- vrattutto Bernardo. Leone X e il Machiavelli fu- rono condiscepoli di Giovanni, il Diacceto maestro a 28 CAPITOLO SECONDO. lui di filosofia e di eloquenza. Ebbe anch'esso anima platonica, come conservaronla tale Palla e il nipote. E li pure all' ombra di quegli Orti, in quell' atmosfera piena di vita e di scienza, die mano Giovanni al suo poema suU' Api, modello tra le scrittnre di tal genere, a tale che vi ha chi scrisse sembrare che le api stesse, ronzando d'intorno al poeta per libare il succo dei fieri, se gli posassero talvolta sulla penna, infonden- dovi quella dolcezza che tanta spirano i versi suoi. L'Accademia degli Orti col sacrofuocodella scienza e delle lettere nutriva ancora e conserva va quelle non meno sacro della liberty e della repubbUca ; e i liberi insegna- menti del Machiavelli e del Diacceto congiunti alle* di- vine speculazioni platoniche non poterono rimanersene privi di frutto. L'oppressore cardinale Giulio dei Medici pesava suU' anima libera di quei platonici, come suU'ar- dente gioventii fiorentina, la quale correva volentieri ad udirli. Fu allora che la quieta stanza di Sofia videsi trasformata in sede di una congiura a danno del de- spota, alia quale presero parte moltissimi, tra cui i due Alamanni, il Buondelmonti, il Diacceto. Sventura- tamente scoperta, mentre quest' ultinlo spirava la grand' anima sua per mano del carnefice, e molti altri niigravano in esilio forzato, I'Accademia Platonica fii sbandata, e non pot^ piii fin d' allora (1522) prose- guire le sue adunanze in quegli orti di sapienza e di pace. De'Rucellai, quantunque amici di liberty, pur legati strettamente alia famiglia de' Medici in paren- tela, non apparisce che alcuno pigliasse parte a quella congiura; che anzi noi conosciamo la sorte di Palla, quando nel 1527, unico superstite de'figli di Bernardo, mostratosi dalla parte dei Medici, allorchd furono ri- cacciati dalla citt^, videsi invaso il palazzo, guaste e ftirate le suppellettili, e la vita in pericolo. Quel Palla DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 29 bensi, che, ristaurata la potenza medicea, veduto il nuovo Duca della Repubblica andare a poco a poco erigendosi in assoluto signore, pentitosi della protezione accordatagli, si oppose unico poi nel 1537 all'elezione del nuovo despota, morto Alessandro, e dichiard do- versi a Firenze restituire la prima liberty. Invano ; che Cosimo de' Medici fu proclamato il Secondo Duca. II giardino stette in propriety de'Rucellai fino al 1573; dopo il qual tempo passd venduto, per mena certa- mente de' Medici, per sei mila ducati a Bianca Cap- pello, che di luogo consacrato alle sovrane armonie della scienza platonica, mutollo in sede di delizie e di volutta a' cortigiani medicei. Ed ora questo gran mo- numento ricco di tante memorie e propriety di una nobile dama Bussa, la contessa Orloff, la quale, cu- rando il decoro di questo luogo, ha speso ingenti somme per abbellirlo, e farvi miglioramenti notevoli. Se pero 1' Accademia degli Orti non pote daDa congiura in poi radunarsi, e gli Orti stessi furono con pensiero ingeneroso venduti, la tradizione platonica non si spense guari, nd si poteva. Troppi erano gli uomini grandi, il cuore de' quali batteva per le idee del divino Ateniese; troppo viva era in essi la me- moria del Ficino e di Bernardo ; troppo cdnsone ormai le platoniche divinazioni al sentimento italiano, rispon- denti troppo alia bellezza del cielo che aUe pendici di Firenze, alia torre di Arnolfo, e a Italia tutta divi- namente sorride. II Casa, lo Speroni, il Patrizi plato- nici tutti legano i tempi di Bernardo e dei figli ai tempi del platonico Orazio. Ma pur nella famiglia me- desima de'Rucellai questa fiamma si conserve viva sempre, e se un uomo tra essi debole o degenere potd r avidity del danaro preferire al glorioso possedimento di quel luogo; sacro ormai come tempio, o cederlo, vinto 30 CAPITOLO SECONDO. dair altrui minacce, i piii di loro dovettero deplorare sififatta perdita; mentre, contemperate dalF indirizzo dei tempi, predilessero sempre le dottrine della illustre Accademia. E 1' avo matemo di Orazio Rucellai, cul- tore del neoplatonismo, conobbe Torquato Tasso ancor giovane a Napoli, e il Tasso, platonico in certi punti, ricorda quell' avo con parole di molta lode e di molta familiarita nel suo Dialogo che ha per titolo : II Gon- eaga o del piacere onesto. (Dialoghi del Tasso, per cura di Cesare Guasti, Tip. Le Monnier, vol. I, pag. 60). Ed 6 a questo punto che comparisce sulla scena della vita Orazio nostro, di animo nobile, d'ingegno elevate, il quale doveva come riunire in s^ e nell' opere sue la tradizione neoplatonica custodita gelosamente nel seno deDa famiglia materna. II conservarsi, come tesoro santo^ r amore delle dottrine dell' Ateniese e del Ficino da' Rucellai, le case dei quali furono teatro in cui i piii dotti si raccolsero sempre, non pud da noi non risguardarsi come un' occasione, un motivo intrinseco dell' indirizzo filosofico del nostro filosofo, o almeno come un elemento sostanziale che doveva concorrere insieme con altri, e potentemente, a informare lo spi- rito scientifico e letterario di lui. Un Ricasoli infatti diede a Orazio la vita; ma i Rucellai ne informaron la mente, in quella guisa medesima che coUe sostanze di Monsignor Delia Casa ereditd, come scrive il Casotti, il suo spirito, la sua virtii. (Elogio del Rucellai). Non anticipiamo il racconto ; ma possiamo dire fin d' ora che il Rucellai nostro, ammiratore e seguace delle dottrine platoniche, dovS sognare sovente i deli- ziosi sapienti convegni nell' avito giardino, e pitl d' ogni altro dolersi che quel monumento di virtii e di dot- trina non potesse piii, fatto albergo ai disordini di Bianca Cappello, e poi di un cardinale de' Medici, ispi- BELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 31 rare nell' animo siio il forte volere, i gravi pensieri, che quei liberi ingegni vi aveano raccolti e maturati. Nondimeno egli, il Rucellai, per far rivivere quell' avite conversazioni, e perpetuare cosi la tradizione domestica, raduner^ nelle stanze della sua casa i celebri eruditi del tempo suo, e dietro le orme de' suoi parenti, ascol- terh e detter^ precetti di sapienza e di virtti, non po- tendoli ancora di liberty. Ch^ in luogo della voce sde- gnosa del Diacceto, degli Alamanni e del Buondelmonti, che nel sacro ricinto de'suoi Orti venduti echeggiava minacciando i fautori del dispotisDio, gli oppressori dell'antica e gloriosa repubblica, qui nelle stanze del Rucellai, uomo di corte insieme con dotti uomini di cor- te, si udiranno parole di dottrina, rime d'amore, rim-, proveri pur anco ai costumi guasti della Corte e del Clero ; ma non saranno piii, no, gli energici avvisi del Machiavelli e degli altri per trattener la caduta di una liberty che vedevano precipitare ; saranno i timidi lamenti di un bene irremissibilmente perduto, deboK querele di uomini curvati sotto il gravame della ser- vittl, proteste inconsapevoli talora, sommesse sempre, perch^ i Medici ormai signori assoluti, se splendidi e munifici protettori delle scienze,'non sono tali da con- sentire si grande temerity, e il tribunale 6 la ad im- paurire gli intelletti, e a tarpare le libere ali del pen- siero e della coscienza. Cosi i motivi generali esteriori ed intrinseci del- I'avviamento educative e scientifico del Rucellai ap- parvero a me, ed io credo pure al leggitore, distinti. Vediamone ora lo svolgimento successive nel cammino della sua vita. Capitolo Terzo. (Segue) DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLl RUCELLAI. Somf ABio. — Prima edacazione e istrazione del Bacellai. — Fa segnace del Galilei. ~ Lo dichiara egli stesso ne* suoi scritti. — Abitudini sue e motteggi de* suoi amici. — Lorenzo Panciatichi. — Luigi Ricasoli Rncellai. — La Corte Toscana e il Bucellai. — Suo cortigianesimo e suo disprezzo della Corte. ~ Contrast© de* tempi che anche su questo pimto si ripercuote nell* uomo. — Sua missione diplomatica a Vienna «^'Varsavia. II 'signer Luigi Passerini che piii largamente di ogni altro s' intrattenne suUa vita del Rucellai (Genealogia della Famiglia Bicasoli, Tipografia Cellini, pag. 84 e segg.) discorrendo della prima educazione di lui ci dice che Ma i nomi di quegli uomini chiari non li sappiamo, nd I'esame accurate che su tutte le opere del Rucellai abbiamo fatto, n^ altre ri- cerche diligenti ce li han rivelati. Gli ^ certo perd che Galileo fu udito dal Rucellai, e questo possiamo asserire con sicurt^ piena. Imperocche il signer Pas- serini si appoggi, come noi, nell' afifermar cio sopra quelle che il nostro scrittere nel suo Discorso centre il Freddo Positive dice in principio, e che ^ prezzo del- r opera rammentare. Questo e qualche altro passo delle opere sue, provano essere stato il Rucellai discepolo del Galilei, non gia nel significato ristretto che si suol dare a questa parola, ma in quanto egli giovane piil volte ascoltd da' labbri medesimi del Galileo la esposizione delle dottrine di lui; e a questi passi si appoggiano il Nelli, il professor Palermo, il conte Mamiani ed altri che ne favellarono. e pone in nota che cio ricavasi da alcuni frammenti di oi)ere del medesimo esistenti nella sua libreria. E il professor Palermo e il conte Mamiani chiamano con sicurezza piu che discepolo, amico del Galilei V Imper- fetto. E il canonico Moreni batte la medesima strada, aUora che discorre di lui, e si maraviglia, e a ragione, che il Tiicaboschi, laddove nel tomo ottavo della sua Storia della Letteratura italiana si trattiene a parlare 3 34 CAPITOLO TERZO. del Rucellai, nol collochi tra' piii solenni filosofi di quel fioritissimo secolo, in cui \isse 1' immortal Galileo di lui maestro. (Saggio di Dialoghi filosofici del Bucellai dato dal Moreni. Tipografia Magheri, 1823, pag. xxi. Firenze.) E le dottrine del gran filosofo poteron davvero an- ch'esse ed efficacemente sull' animo del nostro scrittore, come su di uomo tenero amico della verity. Galileo infatti aveva trovato nella selva opaca il vello d'oro: egli aveva ritornato a vita sotto un certo rispetto il me- todo di SoCrate e lo aveva riconsegnato alle intelligenze stanche ormai di servire ciecamente all' autorita di Aristotele. Ecco il perch^ il Rucellai vedi abbracciare del Galileo le teorie con animo aperto. Ed ei pud dirsi che dififerisce dagli altri segi\aci del Galileo e che li supera in questo ; gli altri svolgon le dottrine metodiche del Galileo nell' osservazione dei fatti este- riori e delle loro leggi ; mentre che il Rucellai si pro- pone di svolgere quel metodo stesso in ogni disciplina filosofica, cio6 anche nella osservazione dell' uomo in- teriore; quantunque nelle conseguenze della sua lilo- sofia seguiti piii il probabilismo accademico, come ve- dremo in progresso. n Rucellai dov6 avere altri maestri e di rettorica e di filosofia, e compiere nella sua gioventii studj ordi- nati; e di cio fan testimonio le opere sue eruditissime, e nello stile e nella lingua adorne di tante bellezze. Oltrediche era questo il costume de' ricchi e de' no- bili di que' secoli ; che allora, come ne ricorda il buon Moreni (Dial, fil., pag. Vill), quanto piil erano eglino di nobilt^ forniti e al di sopra degli altri, tanto piii e'si credeano in debito ad esempio ancora, ed eccita- mento altrui, di viemaggiormente nobilitarla coUe virtii, e colle lettere, ben persuasi che senza il di loro cor- DELLA VITA DI OEAZIO RICASOLI RUCELLAI. 35 redo, soccorso e accoppiamento, niente o assai poco ella nello spirito signoreggiar suole o suUa opinione degli uomini. D Rucellai educate fin da giovanetto da' suoi genitori e maestri nel sentiero della scienza e della virtii, fu quanto e piii di altri compreso di cid, e la verity di questa sentenza tradusse egregiamente in atto nella sua vita fino all' estremo; si che il Ma- galotti, quando avvenne nel 1672 il 16 febbraio la morte di lui, mestamente scriveva a Luigi Del Riccio. (Let- tere Familiari, tomo II, pag. 28) A dieci anni fu decorato delle divise equestri del- rOrdine di Santo Stefano; a sedicirimasto privo del pa- dre, ebbe il Priorato di Firenze, istituito dal suo avo Giuliano nel 1589; e nel 1656 i cavaKeri di quell' Or- dine lo elessero gran Contestabile nella solenne adu- nanza tenuta in Pisa. A 27 anni sposo Maria Felice de' nobili Altoviti, egregia donna, e dalla quale ebbe nove figU, tra cui Luigi il maggiore, che seguendo le orme del padre fu anch' esso, • giusta ne dice Salvino Salvini ne' Fasti Consolari dell' Accademia Fiorentina, e secondo che ne porgono argomento sicuro gli scritti eruditi di lui, lo splendore della patria, e 1' ornamento non meno delle accademie che delle corti dei principi. Orazio RuceUai pari av^ndo alle doti della mente quelle del cuore, fu caro a quanti lo conobbero, vene- rate anco da' grandi, e mite senza che cio vietasse a lui di essere nelle sue poesie e cicalate acuto e pun- gente, e dei vizi rampognatore mordace. Fu come i suoi genitori uomo pio e religioso, anco troppo talora, fino a sapere di eccessiva misticit^ nei suoi scritti. Ebbe sua dimora in Firenze; pero talfiata recossi 36 CAPITOLO TERZO. e abitd in Roma, dove aveva possedimenti, e spesso, dopo le politiche incombenze a Vienna e in Polonia, ri- tiravasi specialmente gli ultimi aniii nella quieta villa al PoggiaJe, ne' dintorni di San Casciano. Le sue abi- tudini come d' uomo che vuole stare in una custodia di cristallo, meticolose sempre e, come a dire, scettica- mente impacciate, che ti sembrano un debole si, ma pur verace riflesso del suo carattere, de' suoi scritti e del suo tempo, e pero mi ci fermo. Tanto era della sua salute eccessivamente riguardoso, che certi suoi inco- modi e certe curiose precauzioni per questi, diedero ansa ai motteggi e alle canzonature poetiche de'suoi amici accademici, non disdette neppure da Luigi suo figlio, e accademico anch'egli. E Cesare Guasti scrive di lui motteggiato dal Panciatichi: E infatti nel bel suo ditirambo di im BevUore brillo, a Panciatichi deride cosi il Bucellai: « Pupilletto, Vezzosetto, Caro Orazio RuceUai, Gioiellino degli amici, E splendor deUe morici, Dimmi 3e io son cotto, filosofo mio dotto, Tu che trovasti, Tu che redasti Fralle cose paterne indite e rare Le pillole che fanno indovinare. » BELLA YITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAT. 37 Dalle quali ultime espressioni ricavasi conferma ancor di quello che nel precedente capitolo andava accennando, sul trasmettersi quasi per tradizione cia- scun de' Rucellai di padre in figlio, iino ad Orazio, la dottrina platonica. E delle medesime sofisticherie ragiona quasi sul serio il figlio Luigi'nella Cicalata della Ipocondria: i Ditemi un poco, egli esclama, quella difficoM di re- spirare che tiene sempre sospetto d' asma il nostro filo- sofo (chd Orazio era cosi antonomasticamente appellato) pud ella essere altro che 1' ipocondria pettorale ; la quale mentre impedisce V esalazione di quelle si vive favilluzze, gli mantiene sempre piena di filosofia la lingua e il petto? Cosi la vivezza dell'Imperfetto, mio genitore, con cui le piii difficili cose del Timeo spiega si chiaramente, A daU'emorroidale prodotta; ond'egli, che bene il ravvisa, per aggiungere coi nuovi soprav- vegnenti spiriti vigore ed impulsi all' intelletto, ad ora ad ora 1' emorroidi rimpinza, perch^ ella per quella via non gli scappi fuori; cbe perd a ragione dal suo gran panegirista (il Panciatichi) fu chiamato (( Gioiellino degli amici E splendor delle morici. » Ma odansi, di grazia, de'motteggi ancor pitl acuti che alle sue abitudini legate si fecero: e con cid intanto il lettore^ si far^ meglio un' idea di quel che allora erano I'Accademie in generale, e dove gli eruditi e i letterati snervavano 1' ingegno. In un altro ditirambo D' una che per febbre deliri motteggia da capo il Panciatichi il nostro Orazio cosi: « Malan che il ciel vi dia^ Sto male, ho le petecchie, ho quel sudore 38 CAPITOLO TERZO. Che di luglio uccideva il mio Priore.* Solamente sdraiato sugli marraori Queir omazzo attendea V alba deir jomo, Quand' ecco in un istante > Di strida e d' ululati, Di singulti e latrati Himbomba Parione,* E corron le persone A casa V Imperfetto Che faceva all' amor col cataletto. Corse Razzullo,* e senza aver pigrizia II Priapo * volo della sporcizia, * Per dichiarazione di questi versi giova recare alcune parole di Luigi Rucellai nella Cicalata suir Ipocondria : « N^ meno prov- vidente si dee reputare mio padre, diligentissimo Ipocondriaco, al quale venne, poche settimane sono, in villa, una specie di gran- chio nella penna, che debilitando quelle sue dita, ferme gliene tenne e inabili a scrivere per due momenti ; onde esso temendo d' improvviso accidente d' apoplessia, acciocch^ col mote non gii piovesse nuovamente flussione, mando tosto a cercare del medico tre miglia lontano ; e intanto tenne immobile nella medesima po- situra la mano e le dita per aria, finche il medico non vi arrive che gli die licenza di muoverle. » E appresso : «E per certo s'udi- rebbero piu rade, o forse non mai, le scalmane, se tosto che 1' iio- mo dal natural temperamento si sente fuori, alia prima gocciola di sudore, anche d' agosto, si ritirasse nella piii tepida stanza ; e fino quando gli sudano le tempie per rnangiare il marinate, o al- tra cosa acetosa, proibisse il far vento per cacciar le mosche da tavola. i> * Strada in Firenze^ ove era il palazzo Ricasoli^ convertito oggi in Locanda. * II Biscio7ti nella stampa annoto : « Si crede foss% un ple- beo. » Ma neW esempl&re oggi Riccardiano, suppli a penna : « Vo- gliono alcuni che in quel tempi si denominasse Razzullo il poi famosissimo dott. Francesco Redi. » * II Priapo della sporcizia, in lingua Jonadattica, il Priore della Sporta, convento e spedale dei frati di San Giovanni di Dio. Vedilo ricordato anche nella Controccicalata. II Panzacchi, che forse ^ questo Priore, praticava molto in casa del march. Corsini ; dove, oltre gli altri divertimenti che le brigate ne traevano da lui, uno DELL A VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 39 Che appunto colla barba veneranda, Facea le fregagioni A certi suoi malati vagabond! Che pativano un po'di mal di pondi. Che c' 6 e che non c' fe ? Chi ha mal ? che cosa 6 stato ? Grida il Priore : Oiin6 ! lo son, che son spacciato. \r 6 cascata la gocclola. Che gocciola, Signore? Gocciola di sudore,' Gocciola amara e tetra Che alia mia tomba incavera la pietra.* Deh! cantatemi tutti I'Epicedio! Sudai di luglio e non c' e piii rimedio. » E via di questo gusto canzonature sopra canzona- ture, che io debbo tralasciare per non digredir troppo dal pill importante. II riferito per6 credo basti a di- pingere, tolta 1' esagerazione, il carattere di questo era il farlo predicare : nella qual funzione faceva e diceva cose stravagantissime. Una volta gli fu fatta questa burla. Avendo i si- gnori Corsini adunata una buona conversazione al loro giardino vicino alia porta al Prato, e volendo far predicare questo frate su quelle parole del Vangelo, Modicum et videhitis me etc. ; ed avendo fatto accomodare una grande asse sopra un vivaio o tinozza d'acqua; fattolo quivi sopra salire; quando si fu bene incalorito, ed ebbe molte volte esclamando ripetuto : Modicum, et videhitis m.e; nei ripetere Taltra parte del testoi Modicum et non videhitis me ; gli fu tratta di subito I'asse di sotto, e il caro frate, cadendo nell' acqua, tutto quanto vi si tiiffo. Accorsero i servitori a trarnelo, e lo con- dussero in una stanza a rasciugare : ed alcun gentiluomo fu nel- 1' istesso tempo a confortarlo e a dargli ad intendere che era stata una disgrazia dalla veemenza del suo dire procurata. (C. Guasti. In nota agli Scritti varj- del Panciatichi.) * Vedi di sopra la nota alle parole quel sudore ec. * Scherza su quel verso : Gutta caval lapidem, non vi, sed scepe cadendo. 40 CAPITOLO TERZO. uomo, le esitanze e i timori del quale per la salute rassomigliano alquanto agli scrupoli ed ai timori in- cessanti di trasmodare che nelle opere scritte di lui trapelano ogni momento; e a farci meglio conoscere le consuetudini spensierate di quella et^ della quale giova veraraente ripetere : che non sappiamo se rimpiangere que' tempi o compiangerli; perch^ rimane a sapere, se quello fosse un ridere consolato, od un amaro sorri- dere. (GUASTI, Ibid.) Come i suoi antenati, cosl Orazio entro presto nella Corte, e a dieci anni fu ascritto tra' paggi ; e fin da quel giorno incomincio la sua vita di cortigiano sotto il governo di Cosimo II. II quale, quantunque di ottima indole e di buone intenzioni, non poteva per la mal ferma salute aver grandi cure del govemo. II Ru- cellai perd dovette incominciar a nausearsi fin d'al- lora della sfarzosa vacuity della corte, cui Cosi- mo U, per distrarsi dal fastidio del governo, riempi di nani e di buflbni e di lusso spagnolesco, se- guendo cosi le misere inclinazioni di un tempo ancora piii misero e ostile alia liberty dello speculare e del vivere. E piii ancora dov^ 1' animo suo disgustarsi del fare artificioso dei Principi e delle Corti, quando, morto Cosimo II, e Ferdinando II destinato a succe- dergli s'instruiva, giovinetto ancora, nelle cose di Stato, le due principesse Gristina di Lorena e Maddalena d' Austria tennero per ben sette anni le redini del govemo toscano. Amministrando con femminil legge- rezza, incorsero in gravissimi errori. Tra questi non pot^ loro perdonarsi V aver allontanato dal consiglio e dal governo il Segretario di Stato Curzio Picchena, uomo di probity sperimentata e di costumanze severe, al quale le aveva Cosimo raccomandate ; sostituendo in sua vece Valerio Cioli, uomo raggiratore, avido, DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 41 menzognero, che presto pose le finanze e tutta V am- ministrazione in disordine. E fu pure per i mali consigli del Cioli se le due donne, con grave danno della Toscana s'indussero a rinunziare in favor del Papa il Ducato di Urbino, il quale, appartenendo alia fanciullina Vittoria Della Ro- vere unica erede del morto Duca Federigo, e pro- messa sposa a Ferdinando II, doveva come patrimonio della moglie (deplorevoie uso del tempo) tornare alia casa Medicea. Deboli, incerte, pusillanimi queste due principesse avevano troppi e spesso ingiusti riguardi verso la nobilt^ ; il perche codesto ordine di cittadini, soverchiamente privilegiato, lo fecero montare in tanta baldanza, che impunemente opprimendo la plebe, la eccitava a tali vendette e delitti, cui le leggi piii non potevano impedire. Ed 6 naturale ! tirannia nemica di liberty ^ sempre generatrice esecrata di licenza e delitti. Ma cid nondimeno, in tanto contrasto di grandezza e di miseria, di virtii e di vizio, di dispotismo e di liberty,, il Rucellai pur disgustato, lo vediamo anziche allontanarsene, continuar I'abitudini di famiglia, pro- seguir nella Corte, e sotto il reggimento di Ferdinando, salito al trono nel 1627, diventa r suo gentiluomo di camera. Egli, Orazio, si fa, come tutti gli altri let- terati del tempo, sempre piii ligio al Granduca; ne dico cid a caso ; cM alcune lettere ''di lui ritrovate da me fra le carte di Ferdinando II e del cardinale Leo- poldo ce ne oiBFrono prova manifesta. Biasimera poi con nobili versi i vizi dei principi e dei cortigiani; dispregier^ con isdegni generosi quelle catene dorate ma pesanti sempre, e il contrasto dei tempi ve- dremo qui pure riflettersi nei pensieri e nolle azioni del nostro lilosofo. Ma intanto ei si piega, ei fa getto 42 CAPITOLO TEBZO. della indipendenza del suo spiiito, cotanto necessaria soprattutto a un iSlosofo. E poi se biasima la Corte e i cortigiani, non tocca ne biasima punto il malo go- vemo, si i vizi particolari del govemante; d questo un biasimo come di famiglia grande ma quasi privata; ne la patria sua ricorda mai, e non ha mai un pen- siero per essa ; sembra quasi Y abbia dimenticata, o non sappia che ella ^ in servitu; solamente la Corte, TAccademia e la villa formano il mondo del nostro filosofo. Mi si permetta in grazia dell' opportunita, ch'io tolga da un de' capitoli prossimi, qualcuna delle sue parole servili inverso il Granduca; indi alcune altre che contro la corte ed i principi lancia sdegnato ne'suoi sonetti, e giudichi il lettore s'io sia, nelle mie aflfermazioni, fuori del vero. E nell' occasione della nascita d' un suo figlio, pur di Roma un anno dopo, il 10 dicembre 1639, (V. Gar- teggio idem, lett. 304, filza idem), V annunzia al suo padrone serenissimo cosi : DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 43 E in altre lettere scritte al granduca medesimo per domandargli favori, poich^ sembra in certi momenti ii suo patrimonio abbia sofferto gravi avarie, e per rendergli grazie dei soccorsi somministratigli, arriva a dire che la sua vita medesima ^ a Ferdinando ob- bligata per legge di natura. Ed io non so dove pe- scarmi servility maggiori di queste, n6 qual' altr' uomo mai che piii fedelmente di lui mi narri colla sua pro- pria bocca inconsapevolmente le tristi condizioni di quegli spiriti. Egli ^ questo il pid alto grade della cortigianeria, ^ la negazione di quel che gli antichi con aurea parola chiamavano umano decora ! quantun- que la generale consuetudine di parole tanto serviH togliesse loro gran parte dell' abiezione che a noi sem- brano avere. Ma ecco I'antitesi, il contrast© de' tempi nell'uomo, 44 CAPITOLO TERZO. e Tuomo che li spiega. II Rucellai, dopo quelle ligie proteste di servitil par ti diventi a un tratto un altro uomo, allorche quasi libero cittadino scrive cosi contro i Principi e contro le Corti: « La beUa verita, ch' ove s' apprende Puo far d' alte virtii feraci i regni. Ma con lume piu vivo entro s* accende Gli uinili alberghi e ne' piu pari ingegni, Non sopra eccelse raura unqua risplende. Dove il mentire e 1' adular s' ingegni, Anzi la vista a' regnatori offende, Quasi infausta nemica a' lor disegni. L' inclita Maesta temano i regi, Non cangi all' opre lor specchio si fine, E sembrin macchie impure ilor bei fregi. Quelle ch' usan chiamar virtu divine, Arti fian di malizia, e gli alti pregi Di lor gloria maggior frodi e rapine. » Comunque Ferdinando II, e a buon diritto, fece del Rucellai giovine ancora assai conto, e nell' eta di 30 anni, sapendolo esperto nella ragione civile, gli die a sostenere le due ambascerie, a cui ho accennato di sopra, e la prima nel 1635 a marzo per Vienna, ap- presso rimperatore Ferdinando per rallegrarsi del- r elezione dell' arciduca Ferdinando suo figlio a re dei Romani, come ne attestano i documenti che si trovano nel nostro Archivio Centrale di Stato (FU^a Medicea, n** 4389) ; 1' altra a Varsavia, nel medesimo tempo, per condolersi col re di Polonia Vladislao IV, per la morte del Cardinale suo fratello, e per trattare il matrimo- nio della principessa Anna dei Medici col principe Reale {FU^a Medicea, n° 4795). In queste due lega- zioni ei diede prova di molto sapere e di altrettanta cortesia, e le letter e stesse dei Principi e degli amba- sciatori toscani presso quelle due Corti addimosfcrano DELLA VITA DI 0RA2I0 RICASOLI RtJCELLAI. 45 quanto il Rucellai fosse stimato e gradito, e pel suo sapere e gentilezza di maniere ammirato da tutti. Sicchd il Tartaglini ambasciatore del Granduca a Vienna scrivendo di lui, il 9 marzo 1635, al ball Cioli segretario di Stato ebbe a dire: (FiUa Medicea,n'*4^S8d) E al cavalier Poltri nel 17 marzo 1635 il medesimo Tartaglini aggiungeva: Del rimanente, avremo meglio piii tardi, discor- rendo dell' opere del RuceUai, campo di vedere quanto ei fosse nella ragion civile versato ed accorto, e quanto giustificata fosse 1' ammirazione, che coloro i quali te- nevano allora gli alti ufficj del governo portavano a lui, che Lorenzo Magalotti per la sua prudenza qualifi- cava come V uomo piu esperto a f of mare il more di un principe. Capitolo Quarto. {Segue) DELLA VITA DI ORAZIO RlCASOLl RUCELLAI. SoMMARio. — Ufftcj del Rucellai nella corte di Ferdinando II. — Qnalita di qaesto principe. — £ di Leopoldo. — Benemerenze di essi nella protezione e cultara degli stadj. — Si restituisce a vita V Accadeniia Platonica. — Si fonda TAccademia del Gimento. — II Rucellai poeta, letterato o filosofo. — Lodi a lui de^contemporanei e dei posteriori. — II Rovai. — II Redi. — II Crescimbeni. — II Moreni. — II Pal- lavicini. — .Uffiicj del Rucellai nell* Accademia della Crusca. — Eser- cizio di versione da* classici antichi introdotto dal Rucellai nel- r Accademia. — Se e quanto il Rucellai conobbe il greco. — II Jlucellai e i suoi Dialoghi filosofici. — L* elogio a lui del SaMni. — L* Accademia in sua casa. — Materia e disegno de* suoi DialoghL — Relazioiil di lui co* dotti del tempo, e co* principi. — I quali r ajutano sempre. Traversie nella sua vita, — economiche, — mo- ral!. — Rassegnazione sua. — II Rucellai e Cosimo III. — Questi non e, come generalmente si crede, nemico degli studj filosofici e e letterarj. — Morte del Rucellai. — Si chiude con lui V etk del Rinascimento. — Onori al merito di quest' uomo prodigati anche dai posteri. — Come anch' io intendaonorarlo con questo libro. Tornava, pertanto, il Rucellai dalla missione poli- tica sulla fine del 1635, rientrando nel suo ufficio di gentiluomo di camera di Ferdinando 11, e dedicandosi pure senza interruzione a' suoi studj, a' quali trovava, giova ricordarlo, impulso grande ed esempio ne'molti eruditi fiorentini del tempo e negli stessi principi, il Granduca e Leopoldo. Ferdinando II ai guasti deUe due reggenti Cristina di Lorena, madre di Cosimo 11, e Maddalena d' Austria sua moglie, le quali avevano em- DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 47 pita la corte di lusso e di intrighi, tolto alia giustizia il suo corso con le immunity e gli asiK delle chiese, tento ogni via di rimedio, da eccellent' uomo ch'egli era. E se nella politica non gli arrisero sempre idee felici, e seguitd ora piti ed ora meno le orme spesso non imitabili degli avi suoi, e alia prndenza non seppe costantemente unire il coraggio, tuttavia delle scienze, delle lettere e delle arti fu quanto e piii de'suoi pre- decessori amico e cultore, e ai suoi aiBFanni cercd distrazione, proteggendole regalmente e promovendo soprattutto le scienze esatte e le naturali. L' Emi- tiani Giudici (e credo in parte a ragione, ma in parte pure esageratamente) attribuisce questa protezione ad un fine politico e la spiega cosi : E Leopoldo fratello a lui mi- nore di et^ non fu di certo minore a lui per scienza e per I'amore di essa. E il conversare frequente col Galileo Io rese esperto a schivare up. servile ossequio al Peripato, e a farsi della osservazione, dell' esperienza e della geometria criterio alia liberty dell' intelletto; J BELLA VITA DI OBAZIO RICASOLI RUCELLAI. 49 e la filosofia naturale del Galileo e della sua scuola trovo HI esso e nel Granduca due propugnatori ar- dent! ed ^fficaci. Nutriti ne' buoni studj, contribuirono a mantenere in vita e in vigore le Accademie toscane, dove ridioma nostro potd almeno trovar salute dal contagio generale del tempo, e le scienze naturali uno incremento grandissimo. Nessun' altra et^ parmi possa vantare come questa di Ferdinando e di Leopoldo, tanto viva operosit^ di scienza e di lavoro letterario, destata per impulso di questi due principi. E Leopoldo, il quale sebbene avesse anco nelle fac- cende governative la plena fiducia del fratello, che del consiglio e dell' opera di lui sempre si valse, pure non avendo in mano la somma delle cose, che tutta era nel Granduca riposta, trovava piti largo campo per promuovere e favorire le lettere, le arti e le scienze. Difatti benemerito del nostro splendido robusto e gentile idioma con animo appassionato e caldo facili- tava e sollecitava i lavori del Vocabolario, accudiva alle pubblicazioni di vari testi di lingua. Arricchiva di nuove collezioni la GaUeria di Firenze, che da lui riconosce molto del suo presente splendore. Rifondava, e questa fu delle prime sue cure, sulF esempio del vec- chio Cosimo, Y Accademia Platonica, perch^ Dante e Petrarca fossero illustrati a seconda di quella filosofia; e sebbene il ritorno all' idee platoniche non fosse vera- mente un favorire la tendenza degli intelletti in quel- r etib, n^ un avvantaggiare la filosofia Galileiana (Vedi Notizie istoriche premesse ai Saggi di Nat. Esp.^ Fi- renze, 1841, pag. 60), era pure un forte attacco, co- munque indiretto, alle dottrine scolastiche fatte da lungo tempo cibo quotidiano ed unico della nume- rosa mediocrity; e per questi fatti e per questo colpo indiretto sarebbesi meritato Leopoldo da qualunque in- 50 CAPITOL QUARTO. genuo e libero storico il nome di Benemerito, quando anche non vi avesse aggiunto tutto cid che voile ope- rare a promuovere direttamente la nuova Filosofia del- rUniverso. Nell'avvantaggiare le lettere, la filosofia e le scienze ebbe sempre in costume Leopoldo di associarsi agli uomini che pitl si erano in quelle varie discipline segnalati; cosi nel favorire lo studio della lingua nativa conveniva cogli Accademici deUa Crusca a pubbHcare opere poetiche o testi di lingua, radunava presso di s^ i Dati, i Rucellai, i Redi, i Magalotti a richiamare la filosofia di Platone; istituiva a bella posta una con- grega in sua casa a raccogliere, pubblicare e ristam- pare le opere del Galileo, del Castelli, del Torricelli e dei matematici antichi nuovamente illustrati e di- chiarati. E anco lo stupendo concetto di fondare un' Acca- demia destinata espressamente alia Filosofia sperimen- tale, si deve in particjolar modo alia gran mente del principe Leopoldo, il quale voile nel 1657 stabilire delle regolari Adunanze, nelle quali sotto i suoi occhi la nuova filosofia sperimentale, gi^ nelle domestiche mura promossa, avesse culto quotidiano e sistema, con Vincenzo Viviani, BorelU, Rinaldini, Marsili Magalotti, OKva, Bellini, Redi, molti dei quali fregiarono indi le famose University di Pisa, di Firenze, di Siena, inaugu- ratori sovrani di quella Riforma proclamata dal Ga- lileo e dal Torricelli. Orazio Rucellai fioriva in mezzo a quegli uomini grandi, ed emulo della loro operosita e di operosita esempio ad essi costante, nei rumori della Oorte schi- vando Tozio coltivo sempre come nelle mura dome- stiche la morale e gli studj, ed ivi al pari del Redi trovo mezzi e pascolo airansietli irrequieta del sue spirito filosofico. Venuto presto in fama di molto sa- DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 51 pere, il Granduca e Leopoldo non potevano non pren- derlo in considerazione alta, e oltre le missioni politi- che, che sopra mentovammo, gli affidarono la dire- zione degli studj del principe Francesco, e nel 1657 la sopraintendenza della Biblioteca Lanrenziana, che insieme alia Galleria veniva con regia profiisione ar- ricchita. Le piii illustri Accademie fecero a gar^ per ascriverlo tra loro, e prima la Fiorentina della quale fa consolo nel 1653. E anche dell' Accademia della Cnisca fa singolare omamento e sostegno, e ne ebbe piti volte r Arciconsolato. Voile, imitando in ci6 la mo- destia di Socrate e la moderazione di Pittagora, giu- sta ne scrive Anton Maria Salvini, essere chiamato in essa V Imperfetto, e fece per impresa un disegno in matita rossa corretto con midolla di pane, col motto : per ammenda, Mostrossi il nostro Autore poeta, letterato, e filo- sofo, e in queste tre qualita riusci a' suoi contempo- ranei famoso, come le lodi di essi a lui prodigate fan fede. Infatti lo stesso granduca Ferdinando e Leopoldo a lui versi richiedevan sovente come da alcune lettere sue in risposta a loro ricavasi. Egli, il Rucellai, scrisse rime di amore, filosofiche sociali, religiose, ed anche disoneste ; scrisse cicalate e panegirici, e dialoghi filosofici. Certamente questa mi- schianza di contradittorj non potra a meno di colpire la riflessione del lettore; molto piii se egli ricordi le qualita morali e anzi gli scrupoli che, come nel fisico, cosi nel morale assalivano di continuo il nostro filosofo. Perch^ mai egli a lato di poesie che ti discorrono soavemente dell' anima, dell' amore, della Provvidenza, che ti lodano la verginit^ di santa Maria Maddalena, • osa porre lubrici scherzi, immorali canzoni? Questo e un primo problema che fra poco risolveremo. Intanto 1 52 CAPITOLO QUARTO. vogliamo finir di vedere in qual conto cospicuo e come letterato e poeta e filosofo lo tenessero i suoi contem- poranei, e anche i ppsteriori vicini a noi; indi ridur- remo coUa critica al suo giusto valore le lodi. Francesco Rovai amico, a quel che sembra, di Ora- zio, e cantore delle Muse egli pure, indirizzandogli una sua canzone in morte d' un barone Bettino Rica- soli, cosi gli parla: « Dillo tu che sublime Sovra Eliconia ascendi, Orazio amato, e vai per i' aure a volo, Di' se de' colpi suoi fleri, tremendi Alcun giammai segno di piaga im prime Suir Apollineo stuolo ; Dical tua cetra i cui sonori carmi Al tempo ed air oblio spezzate ban V armi. )» E il Redi, pur amico del Rucellai, e scrittore for- bitissimo di lingua nostra, pote dire di lui, che E per tacer d' altri, il Crescimbeni neir Arcadia dice che : E nel se- condo volume della Volgar Poesia, aggiunge che : DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 53 Ed anco come letterato accademico ne'suoi Discorsi, nelle sue invettive, e nelle sue cicalate, apparve a que- gK eruditi modello di scrivere, e lo encomiarono pro- fusamente, ora ammirando Y eleganza del dettato, or il brio e le facezie di che le andava adornando. E il canonico Panciatichi, con lettera in data di Parigi de' 24 ottobre 1670, volendo esaltare la gran perizia che aveva nella nostra lingua la duchessa di Vitry, cosi dice : Da che si vede com' era egli tenuto per lette- rato e scrittore in gran conto, e a molti, se non a tutti i suoi contemporanei, superiore. E il cardinale Pallavicino che quantunque, come dice il Giudici, se la piccasse un po' troppo per mo- dello di stile, pure ne ^ di certo maestro, in questo modo scrivendo al Rucellai de' suoi componimenti giu- dicava: (1666) E veramente il Rucellai si mostra qui, come nella versione di molte altre cose latine fatta man mano ne' suoi Dialoghi FUosofid, del latino idioma egregio conoscitore, non senza difetti che faremo poi notare aver esse comuni col tempo; il tempo poi questa co- noscenza delle antiche lingue prediligeva, ch^ 1' et^ del Rinascimento non era ancora spirata, e dovea anzi chiudersi col nostro Filosofo. II quale, come quel che piii d' ogni altro de'suoi contemporanei ea; ^ro/i2550 si DELL A VITA DI ORAZIO BICASOLI RUCELLAI. 55 occupo nella filosofia di Platone doveva (e naturale arguirlo) il greco conoscere profondamente, e piil che non il latino. Se non che noi restiamo su tal punto tra il si e '1 no, e ci nasce anche il dubbio ch'ei ne avesse una notizia non troppo grande, e che per la versione e interpretazione del testo si servisse di tra- duzioni gia fatte dagli anteriori neoplatonici, dal Fi- cino pr^cipuamente ; molto piii che neoplatonicamente nella massima parte le teorie e le dottrine del divino Filosofo spiega ed illustra, cogl' intendimenti di Mar- siho, di Plotino e di Giamblico, n^ si cnra, se non di radissimo, di ricondurre al suo verace e legittimo va- lore i pensieri deirAteniese; ne una parola greca ne'quat- tordici volumi de'suoi Dialoghi ti ^ dato trovare scritta, molto meno una frase ; e se v' ^ una parola greca § logos scritta italianamente. E vero che percorrendo le sue lettere, ne troviamo una principalmente diretta di villa al Redi, il 13 novembre 1662, e dove dice tra le altre cose : E piil volte di aver letto sul testo or quella or questa cosa, di sua propria voce conferma ue' Dialoghi, e nel prime Dialogo sul Timeo assevera aver per questo riscontrato tutti quanti i testi mighori ed esaminato (perd) qualunque de' piii reputati in- terpreti e piii autorevoli. Ma come ognun vede, questi 56 CAPITOLO QUARTO. passi vengono piii in conferma de' nostri sospetti che contro; e ad avvalorarli vo'recare qualche espressione che ho trovato nella difesa del signor Tommaso Segfii, com' accademico detto 1' Ardito, contro le accuse da- tegli dal Kucellai, in uno di quei soliti finti batti- becchi di quegli Accademici. In questa difesa mentre si ricava la conferma che il Rucellai studid sempre e profondamente le Mate- matiche, lo che si .vede chiarissimo ne' suoi Dialoghi sulle armoniche proporzioni, e ch' ei dettd rime lubri- che, v'^ pur conferma del nostro pensiero sulla poca scienza sua del greco. Tra le altre cose egli, il Segni, dice al Rucellai: Entrasti dopo cio nella mia traduzione della corn- media di Plauto, dicendo che io I'ho fatta a non so che mio fine. A questo non ti rispondo perch^ io non t' intendo ; se tu ti dichiari megHo, ci sar^ la risposta anche per questo, non dubitare. Questa commedia si recita domani, vieni alia stanza, che ci sar^ qualche cosa per te; gli ^ giomo di festa; tu non sarai impe- dito da' tuoi gravissimi studj delle Mattematiche ; nou DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 57 biasimo la scienza, non ti alterare, che io so benissimo che si 6 lo pifl hello e lo piii utile studio che possa fare un giovane nohile come tu se'; ma infatti vuoi sapere a cid che ti serve, giacch^ io non veggo che tu sappi coUegare insieme quattro periodi, che provino e concludano mai nulla ; e non hasta sap*er quattro pro- posizioni, e poi volere orare alia presenza di cosi dotta Accademia : innominato Ricasoli, e' ti hisogna studiare, e leggere gli autori buoni, e leggergli nella lor lingua^ non si fidare dei trdduUori. > V 6 un proverbio latino che dice : in vino Veritas. ed h in questo modo in realta; or credo non men vero rimanga il proverbio temperato cosi: in ludo Veritas; poich^, in mezzo alle finte accuse, come nei nostri scherzi, cosi in quelle tiritere accademiche e spensie- rate un barlume di verity sempre traluce. E lo prova il Rucellai avendo realmente scritto rime iramorali, araico del Giraldi, e conosciuto profondamente le ma- tematiche; e I'accusa del Rucellai stesso intorno alia nullita del merito nella versione di Plauto fatta dal Segni, della quale, per fermo, come di nessun pregio non si fece da' contemporanei e posteriori letterati menzione mai. Ora io ripefco che I'esser venuti in chiaro della non grande esperienza del nostro Filosofo intorno al greco, fa molto, perchd ci spiega come pitl che le vere dottrine platoniche, le interpretazioni neo- platoniche accettasse e trasformasse nel suo lavoro scientifico. E perch^ su questo punto non mi rima- nesse dubbiQ veruao, io voUi confrontare i passi del Timeo, tradotti dal Rucellai, col testo, e indi con le traduzioni latine anteriori; e cid mi servi di riprova irrefragabile. Nel 1650 il nostro Rucellai era nominato dal- r Accademia membro della Deputazione del Vocabo- 58 CAPITOLO QUARTO. lario, e prendeva a fare lo spc^lio delle Lettere di Monsignor Delia Casa, e delle storie del Machiavelli. Cio rilevasi da' diarii dell' Accademia e da una lettera scritta da lui al cardinale Leopoldo. Ma pitl che per le rime, per le cicalate, e i discorsi accademici, venne egli in alta venerazione presso i con- temporanei come filosofo. Ch^ tale, vedemmo, antono- masticamente chiamavanlo, e consultavanlo come un oracolo, sicch^ ei fu della rinnovata Accademia Plato- nica r anima e il duce, in quella guisa che il Ficino due secoli innanzi. 11 Redi appella i Dialoghi filosofici di lui E basta leggere le lettere che il Rucellai scriveva in risposta al Cardi- nale Delfino, per vedere come in riverbero, in qual alto pregio quel Patriarca tenesse i dialoghi dell' Im- perfetto; e come il Delfino, cosi il Magalotti, il Dati e tutti quei grandi eruditi, che convenivano in sua casa ad ascoltarne lettura. Imperocch^ la casa de' Rucellai era una vera e propria Accademia. II Rucellai, come abbiam detto sopra, dovea ricordarsi degli Orti di sua famiglia; doveva udire in cuor suo potente ancora la voce dell'avo Bernardo e di quei grandi sostenitori delle dottrine Platoniche e della liberty. Egli aveva perduto que' luoghi memorandi ; gli dovea risospirare, e in qualche modo farli rivivere. E' mi sembra veder quella casa; mi sembra di veder lui, co' suoi figliuoli, e con illustre schiera di dotti, intento a favellare del- r uomo, dell' uni verso e di Dio ! E di queste adunanze fa parola appunto il Tiraboschi nell' ottavo volume della sua Storia, dove discorrendo del fiore in che allora, nel secolo decimosettimo, erano le Accademie fiorentine pubbliche e private, dice che tra quest' ultime, celebre singolarmente fu quella del prior Orazio Rucellai; e riferisce le parole di Lorenzo Magalotti, il quale in DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLl RUCELLAI. .59 una lettera indirizzata a Luigi Del Riccio incitalo a procurare che non si abolisca quell' istituto, e si ral- legra che egli abbia si buoni assegnamenti per farlo sussistere, cioe il Salvini, il Lorenzini e rAverani. E anco il Negii appella a questa riunione di let- terati {Storia degli Scrittori Fiorentini) dicendo: Ma il Salvini, nelP Elogio al Filosofo^ ci dipinge a colori vivacissimi il fare di lui, e le sue relazioni, e i suoi modi e le dotte adunanze, e le erudite conver- sazioni. E, magnificata indi il Salvini la gentilezza e vigoria deir idioma nostro, soggiunge pitl sotto : E giacche sono sul toccare de' Dialoghi vo' dirne qui tosto piti ampiamente, la materia e il disegno.^ Di questi dialoghi, in numero di sessantacinque, sono stati pubblicati solamente trentadue, quelli cioe intorno la Filosofia antica della natura, esclusa la platonica, e il trattato della Provvidenza; * per il che sarebbe desi- derabile vederli pubblicati per intero ed ordinatamente. Era ben naturale adunque che il Rucellai, di si vasta erudizione e di tante belle qualita adorno, riscuotesse Tammirazione de'dotti suoi contemporanei e principi d' allora, e tutti si attribuissero a ventura ed onore di potersi chiamare suoi amici. Talche una lunga schiera de'piii segnalati uomini del tempo vediamo f ar corona all' illustre seguace di Galileo, al cultore della filosofia neoplatonica, all' ultimo figlio del Rinascimento filoso- fico itaUano. II Magalotti, il Redi, i due Falconieri e il Filicaia sono in continua corrispondenza di affetto e di scienza con lui, e si legati in amicizia che niun di lore ardisce porre un' opera in luce senza aver prima consultato gli altri per averne le critiche, e fatte su quelle le opportune correzioni. E Lorenzo Magalotti pone tal- volta ne'suoi scritti dialogici a interlocutore principale il nostro Orazio, e gli scrive lettere sopra un Effetto * Vedi : Indice delV opere del Rucellai. 64 CAPITOLO QUAETO. delta neve e sul Bibollimento del sangue^ secondo i pen- sieri del Galileo; in quella guisa medesima che il Ru- cellai scrive al Magalotti rime confidenziali, in cui gli apre Y animo suo, e dimostra la sfiducia grande ne' suoi proprj lavori, e minaccia di gettare al fuoco i suoi dia- loghi filosofici e si pente de'trascorsi di gioventii. 11 Filicaia gli dedica un sonetto in sua lode, e il Redi ne discorre, encomiandolo nel suo Ditirambo. II Viviani, nel ragguaglio deU'ultime opere del Galileo, parlando di una lettera di esso, dice che e Monsignor Gia- como Altoviti amante delle belle arti, il marchese Vincenzo Capponi, il Dati, il Pallavicino, il Buonac- corsi, il Magiotti, il primo de' suoi interlocutori, e uno di quelli che composero, come si esprime il GaUleo, il. suo triumvirato, tutti li vediamo in corrispondenza d' affetto e scientifica col nostro filosofo ; il quale nelle sue lettere, dimostrasi deferente a tutti, e modestissi- mo, e quasi trepidante ogni volta che a qualcuno di loro invia, richiesto, qualche suo filosofico componimen- to. E le lodi riguarda sempre come eccesso di bont^ deir animo di quei che gliele fanno, non mai effetto de' meriti proprj, mentre egli trova sempre che lodare negli scritti degli altri. E i principi govemanti lo ve- nerarojio anch' essi con reverenza ed affetto speciale ; e lo ajutarono sempre, poich^ dalle sue lettere ricavasi aver egli avuto alcuni disastri in famiglia come ab- biamo gia veduto superiormente. Infatti da Pisa, ov'era gran Contestabile, soUecita dal Principe Leopoldo con lettera del 28 aprile 1653 soccorsi profittevoU per i disastri economici della sua DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 65 casa, afline di potere con piii quiete e piCi comodamente esercitare in qualche trattenimento studioso gli scarsi talenti ch' ei si ritrova. A questo decadimento delle sostanze del Rucellai, accenna pure il Panciaticlii nella sua Contraccicalata alia Cicalata sulla lingua lonadat- tica (1662) dove apostrofa il Priore Orazio cosi : « Sov- vegnati del viaggio da par tuo clie tu facesti in mia com- pagnia a Pisa, Lucca ec, quando tu gridasti il Meschini^ (gia somigliere del tuo corpo, ed ora nel nuovo governo revisore generale, per quanto io intendo, delle tue posses- sioni) perche ti lasciava andare coUe gomite rotte ec... > Oltrediche egli fu pure da morali traversie angu- stiato molto talora; come quando ei seppe ucciso in rissa un de' suoi cari figli, Giuliano, in casa d' una cor- tigiana, del quale eccesso il vino non sembra essere state r ultima cagione. A questo fatto egli accenna in una delle sue lettere (Firenze 8 settem'bre 1668) al Pa- triarca d'Aquileia, dove spicca in tutta la sua pienezza e r affetto di padre, la mitezza sua e il sentimento re- ligioso che dominavalo tutto. Questo scriveva I'onorando vecchio pochi anni avanti la morte sua, sollecitata fors' anco da questi colpi della sventura ch' ei rassegnato riguardava pur come segni incomprensibili della Provvidenza divina, di cui si bene favelld ne' suoi libri. E anche da Cosimo III ebbe a soffrire dispiaceri. Imperocche se ei fece sembiante, succeduto che fu a Ferdinando, nel 1670, di onorare DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 67 il Kucellai, confermandolo nella carica di gentiluomo di Camera, a poco a poco lo allontand dalla Corte. Perd da alcuni storici (come il Maffei) si 6 detto e si dice ancora che Cosimo III non fu troppo tenero ma anzi ostile alle lettere ed alle scienze filosofiche, e che percio era ben naturale s' allontanasse dalla Corte quei che le coltivavano. In questo vi 6 per lo meno esagerazione, ed una conferma che preso per alcune cagioni I'uomo in dispetto, spariscono troppo spesso dalla memoria e dagU occhi quei lineamenti veri che a scemare la bruttezza del quadro sarebbe giusto considerare. 11 liglio primogenito di FerdinandoII quantunque meschinamente bigotto, e inabile a gene- rosi pensieri in politica, pure non solamente la teolo- gia, come dice il Canttl, (Storia Universale, vol. 17, pag. 766) ma favori anzi ed amd le scienze e le let- tere, e a persuadersene basterebbe gettare uno sguardo sul grandissimo carteggio ch'egli e il suo segretario privato canonico Basetti ebbero con tutti i primi uo- mini dotti del secolo nostrani e stranieri. Questo vo- luminoso epistolario trovasi nell' Archivio centrale in Firenze, e tra le altre vi si ammirano lettere dell' Au- tore delYArmonia prestabilita^ il Leibnitz. Sarebbe anzi desiderabile che qualche studioso pren- desse quelle filze neglette in accurata disamina, e ne traesse ad utility della scienza e a vantaggio di quel principe quella luce che finora non h comparsa fuori, ed ^ per lo pitl sconosciuta agli occhi degli storici nostri. Non possiamo dunque alia cagione supposta attribuire Tallontanamento del Rucellai dalla corte; sibbene forse la salute vacillantissima di lui di^ ragione a Cosimo III di non adoperarlo piii negli ufficj di suo Gentiluomo. II Rucellai infatti moriva poco tempo dopo che si fu allontanato dalla Corte Medicea. Ma la morte trovoUo 68 CAPITOLO QUARTO. col volto ridente, come Socrate, e con costanza se- rena. Egli moriva nell'et^ di TOanni il 16 febbraio 1674, stile comune, in mezzo alle lacrime de' suoi e degli amici, la piii bella e confortevole benedizione ad un'anima che lascia la prigione del corpo. Cristiano, ebbe pure i conforti soavi di quella religione, in nome della quale ei filosofava con afietto di innamorato, e pieno di fiducia di vedere svelata nell' eternity a' suoi sguardi la verity, la bont^ e la bellezza infinita. L'avello de' suoi maggiori fu pure sepolcro a Orazio nostro nella Chiesa di Santa Maria Novella in Firenze ; e col richiudersi di quella lapide si cliiuse insieme il pe- riodo del Rinascimento filosofico itaUano. Pero rimasero le opere di lui, monumento prezioso; perche un giomo se ne imparasse la importanza vera, che pur troppo non ravvisarono (n^ lo potevano) i suoi contemporanei. Tuttavia i Dialoghi del Rucellai ne furono pascolo a quegli uomini colti anco appresso.E Anton Maria Salvini, poco dopo la morte del loro autore scriveva a Lorenzo Adriani ragguagliandolo delle veglie che si facevano allora quasi seralmente nell' Accademia della Crusca, per la nuova edizione del Vocabolario: Leguntur in hoc eruditorum hominum codu scriptiones varied cdque pulcherrimce, ac jprcesertim Horatii Oricdlarj Dialogi quibus dodissimus ille senex disputans more Socratico philosophiam fere amplexus est universam. Huitis contentum scribendi laborem nee aetas extrema tardavit^ qui jamdudum vita functus, magni sui, atque operis desiderium reliquit. E il Crescimbeni scriveva pure: se, di piti, si consideri che frammiste a queste lubriche che si attribuiscono al nostro Priore, si leggono di suo, firmate, poesie one- stamente amorose ; e che nella sua Cicalata in quartine fatta in lode del Cacio Lodigianoy non certo in sospetto di apocrifia, perch^ scritta di sua mano, e riconosciuta da lui che ne fa menzione negli altri suoi scritti, egli si compiace d' incastrarvi non pochi equivoci disonesti ; io credo che la critica imparziale non potr^. rispar- miare al Filosofo Platonico la non troppo onorifica pa- ternity di quelle eleganti bruttezze. Oltredich^ abbiamo visto un suo amico medesimo Tommaso Segni, accade- mico, quantunque in istato di esagerazione e di fin- zione burlevole, pure accennare a questo peccato del Rucellai nella sua difesa contro un' accusa data a lui da quest' ultimo, che in alcuni suoi scrit ti .deplora poi queste sue giovanili leggerezze e le riprova. Ma per non stare troppo sulle generality, e adden- trarsi alquanto invece nell' analisi delle sue poesie, in- comincieremo dal notare come il Rucellai nei suoi so- netti filosofici discorrendo della Provvidenza divina, conformemente alle dottrine neoplatoniche e al domma cristiano, asserisce non potersi comprendere Dio che DELLE POESIE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 75 con la Fede, quantunque le opere di sua Provvidenza od il mondo, ch^ e, per usare la frase de' sapienti ri- petuta dopo con tanta compiacenza da Galileo, codice vivo di Dio, dimostrino chiaramente che e' c' 6. A prima vista si scorge qui la sua grande sfiducia nelle forze delPumana ragione, che reputa da sola insufficiente a levarsi oltre la sfera del mondo, per discorrere col suo lume naturale dell'Ente Infinito e dei suoi attri- buti divini. Sentesi qui una tal qual'aura di scet- ticismo, che gli antichi sistemi risuscitati dal rinasci- mento, e tra loro combattentisi, dovevano aver iinito con ingenerare in quegP intelletti spossati, nelle menti di quei filosofi allora che si stava compiendo la piti grande delle rivoluzioni intellettuali, e la riforma si veniva mano mano estendendo. Egli, il nostro scrittore, viene qui sulForme del Ficino a professare che Religione e Filosofia son sorelle, e la prima la maggiore; anzi -poich^ filosofia ^ Simore e stu- dio di verity e di sapienza, e Dio solo ^ principio di sapienza e fontana di verity, ne consegue che legittima filosofia non sia altro che la vera religione. Quindi se la fede non ^ I'unico fondamento della scienza, pur n'6 engine grande e primaria; e per di piti, mediante la sola fede noi ci accostiamo a Dio : imperciocch^ Pla- tone scriva nel Timeo che dell' eterna essenza non si puo dir altro, se non che ella ^ cio che e, e che ^ al- I'uomo nascosta, iinche pero, aggiugne Ficino- e il Rucellai in sentenza cristiana, Iddio stesso non riveli s6 alia umana creatura. Ed ecco il perch^, siccome il Ficino venne a dichiarare che voleva piuttosto credere divinamente che sapere umanamente, professando la fede divina essere infinitamente piti certa della sapienza degli uomini, la credulity che viene dalla fede essere sempre confermata dalla scienza vera (Epist. lib. V, 76 CAPITOLO QUINTO. p. 1.), esister nel mondo invisibile le cose vere, e nel mondo visibile rombi?a solamente della verity; cosi il Rucellai non isdegna, ma ama la filosofia; pur come i neoplatonici d' allora, come gik il Ficino, come il Bes- sarione, voleva unita alia religione e dipendente da questa, perche da se sola incapace, la filosofia, a farci comprendere Dio, che essendo Verity perfetta e il sommo Bene (Cfr. Platone nel Fedro) noi mortali non possiamo per le natural! vie afferrarlo, o non riusciamo ad averdi esso che una nozione o rappresentazione analogica, guardando, anzich^ il padre, il figlio, cioe le cose belle, vere e buone di quaggiti. Questi concetti fondamentali intorno la compren- sione di Dio per I'umano intelletto, il Rucellai voile esporceli in quattordici sonetti, ne' quali, in sostanza, e'non fa che riprodurre quelle esclamazioni e quelle espressioni di maraviglia che di tratto in tratto ritro- viamo ne' suoi Dialoghi filosofici delta Provviden^a^ magnificando le opere della creazione ed i portenti che Ella n' ofire, per risalire ad un Ente che tutte le cose dell'universo ha fatte e ordinate; ed e questo, a dir vero, non altro che questo il concetto che sotto varj aspetti ei ci viene difiusamente ripresentando. Infatti egli professa che « A quel sovrano ed invisibil nume Nostro intelletto non puo mai trar Y ali, » imperciocch^ non ha pupille uguali a si gran vista « Per jiffisaiie in quell' eterno lume. Ivi fermare il guardo lian per costume Sol r angeliche menti ed imniortali. » {Sonetto 29 del Cod. Magliab. Poesie di Diversi, p. 234.) E passando via via in rassegna i regni della natura, DELLE POESIE DI 0BA2I0 RICASOLI RUCELLAI. 77 minerale, vegetabile ed animale, ascende iino all' uomo di cui dice: (Sonetto 34 loc. cit. pag. 239.) (.o7t (I Dialoghi della Frovviden^a^ edit, dal Turrini; Le Monnier, p. 385). Indi la ideality, platonica deU' amore, che il Petrarca traduce cristianeggiandola mirabilmente ne' suoi versi, imitati si ben? dal Rucellai. II Petrarca infatti, questo Raffaello nell' arte della poesia, con generoso ardimento tolse, per cosi dire, nuovo Prometeo dal cielo, dove Platone guardando lo contemplava, V archetipo della beUezza perfetta, anima- trice di amore; e recandolo, egli cristiano, in sulla terra, per megUo ammirarlo fecelo reale di una realty non inane nd effimera, nel volto divinizzato di Laura : « E in umil donna alia belta divina. * Personificando in costei vero e buono, bellezza e virtil, realizzava I'idea, ideal^zzava la reaM. Era un connubio divino che il poeta deU' amore cristiano can- tava, sostenuto da quelle medesime ali amoroso, da cui DELLE POESIE DI OBAZIO RIGASOLI BUCELLAI. 87 fa il filosofo spirituale di Atene, ma purificato dalla religione, eccitato dalla cavalleria. La religione inal- zava ad uguagHanza la donna; come redenta, la faceva rispettabile da disprezzata che ell' era. La cavalleria la rendeva anmiirabile, ispiratrice delParti e delle virtii militari : i trovatori, eccitatrice delle arti di pace e della poesia; i poeti italiani, divina, potente su i destini dell' uomo cui conduce alia virtii per la strada deUa bellezza. II Petrarca non canta perd un amore che non sente, nd le lodi di una donna che ei non conosce. Egli conosce, ammira, desidera, ama Laura e per essa risale al cielo; egli conserva, armoneggia ed innalza 1' elemento cristiano dei trovatori e dei poeti italiani nell'ideale platonico del bene e della virttl. fi veramente un' armonia divina, che incomincia dal cuore del poeta, si avviva sul volto della donna amata, per avere il suo compimento 1^ dove senza velo e confine si ammirano le eteme figlie di Dio! U Rucellai ha piena la mente di queste idee ; egli ama secondo il concetto platonico e petrarchesco, e questa teoria egli pure, mi si passi la frase, viene per- sonificando in dieci sonetti, dei quali piii che la met^ rimangono inediti ancora ; ond' io credo mio debito di dame qui un saggio, ma senza potere affermare in qual tempo ei gli scrivesse, e se per donna reale o immaginaria, quantunque dall'esame loro mi paia piii probabile che in gioventii e per donna vera. Egli in uno de' sonetti inediti si rivolge alia donna amata con questi accenti, non nuovi, gli 6 vero, ma pur delicatamente vestiti: oc Non di vostra belta caduca e frale, Amo quel fuoco vil che i sensi accende, Ma pill a dentro sen va Talma e comprende Un bello incorruttibiie, immortale. 88 CAPITOLO QUINTO. ■ Qoal da »pecchio tersiMirao ed eguale Da be* yoaif occhi nn non so che risplende, C*ha deiretemo, e luminosa rende Qadia forma ch' k in voi breve e mortale. Non quel che srnonta in un baleno, e fugge False lustro di ben vo cercand' io Che pria ne abbaglia, e poi ne accende e strugge. Ma sj di raggio in raggio a quel rn'invio Sol che non ha chi lo ricopra e adugge, E contempl^do voi, mi volgo a Dio. » In yerit^ che noi dimentichiamo il seicento qui^ come pure negli altri sonetti, i quali per6 ci rammen- tano troppo 11 Petrarca, imitato talvolta dal Rucellai diremo quasi con plagio. Per esempio, in questo se- guente, pure inedito, in morte della sua amata, e adomo indubitatamente di gusto delicatissimo: (C(mL Magliab. Foesie di Diversi, VII, n* 3). Quella che dal mio cor non parte mai. Bench^ vederla agli occhi miei sia tolto, Spesso tra 1 sonno. con pietade ascolto Dirmi : non pianger pih ch* hai pianto assai. Son vivi in ciel di queste luci i rat, Che vedesti languir, misero e stolto, E bench^ spirto dal suo vel disciolto. Son quella e t*amo pur quanto t'amai. Dal tribute mortal libera e franca Quest' alma attende alle celesti porte La tua, ch' k senza me di viver stanca. Deh! vieni, o mio fedel, c\\*k miglior sorte Qoder V immenso ben che mai non manea, Che un breve corso di continua morte. it Mi si confessi giusto: chi non sente qui Tanima del Petratca che inspira? chi dal seicento non ritoma per questi yersi alle pure regioni del trecento, ed oblia i tra- scorsi scapestrati di quella et^? Non ti par egli ad ogni espressione ti ritomi sulle labbra quel lamento diyino : « khimh \ terra h fatto il suo bel viso Che solea far del cielo E del bel di lassb fede tra noi ? » DELLE POESIE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 89 E come in questo, cosi negli altri sonetti di amore, de' quali a maggiore conferma di quel che vo espo- nendo aggiungo alcuni in appendice nella piccola An- tologia degli scritti del Rucellai, i concetti platonici chiaramente tralucono. Ad illustrazione dei medesimi io preferirei invece di riportarmi alle parole stesse dal Rucellai adoperate intorno V Amore nel dialogo decimo deUa Fromidenza, modello di eloquenza e di stile, e che valgono a compiere a maraviglia le osservazioni premesse. Ma poich6 ci dilungheremmo qui troppo, nol fo, e rimando il lettore a quello scritto gi^ edito, potendo in questa guisa da se medesimo ritrovare tosto la verita di quanto io venni dichiarando su questo im- portante subietto. Io chiudo per6 ripetendo che questi versi del Ru- cellai nulla per il pensiero tenendo del seicento, ti riconducono a' giomi pill belli della italiana poesia, e ti legano quasi il trecento col secolo dell' Achillini, del Marini e del Preti! Sembra F ultimo respiro che in questi versi d' amore trar volesse la musa Petrarchesca, soffocata, per cosi dire, in quella gravosa atmosfera. Non cosi riguardo alle figure, alle imagini ed alio stile, dir si pud di tutte le altre poesie esaminate fin qui nel loro contenuto o materia. II diffuso e il cica- leggio accademico trovi sovente frammisto al forte e robusto pensiero; troppo uso di mitologia, che giudichi abuso, e che ti accenna una volta di piil 1' et^ del ri- nascimento imitatrice esagerata dell' antico non aver ancora finito il suo tempo. Non di rado accanto ad un' immagine mite, delicata e serena, un' altra immagine tronfia, rigogliosa e syentata, tolta a prestito dalla scuola Mariniana ; come, per esempio, in un sonetto scritto da vecchio, il buon Rucellai confessa di amare sempre, e dice nientedi- 90 CAPITOLO QUINTO. meno che arde qucA Etna, senza pensare che neanche le Guardie del f uoco (oggi Fompieri) se c'erano, avrebber potuto spengerlo con tutti i mezzi dell' arte loro ; e dopo soggiunge che arde qucd dgno, senza riflettere alia sconcezza di quelF animale colle penne abbruciaccliiate sul dorso. Ma in generale nello stile si modera, ed appartiene, credo, alia seconda maniera di poetare, alia quale noi accennammo in principio di questo Capitolo. Percid quelli de' suoi contemporanei, i quali erano imbevuti deir aria medesima respirata dal Rucellai, ma perd non eccessivamente viziati, levaronlo a' terzi cieli, pur come illustre poeta, e il medesimo Redi, il piii puro di tutti, ebbe lodi lusinghiere per lui. Ma noi oramai abbiamo, dopo il discorso, un criterio sicuro per ricondurre gli encomj al lor giusto valore, e per conchiudere che Orazio Ricasoli Rucellai fu poeta piti imitatore che originale ; che nel loro contenuto molteplice e contrario le sue poesie, nonch^ nella forma esteriore, ritraggono fedeli il secolo nel quale egli fiori, i contrasti del tempo nel quale egli visse; e che se talvolta sorretto dalle ali poderose di un grande intelletto che ei prese a duce, il Petrarca, seppe farsi soUevare ad altezze non comuni; piii spesso perd ei non potd non la- sciarsi sviare dal volo sfrenato de'suoi contemporanei, e non precipitare con essi nel vano, nel lubrico, nel- r eccessivo. Capitolo Sesto. delle prose letterarie e scientifiche di orazio rica soli rucellai. SoxirABio. — La Prosa nel seicento. — Anche in essa il Rucellai veriflca il nostro concetto. — Contrast! nella natura diversa di questi scritti letterarj, — Si noverano. — Invettiva all' Ornato (conte Ferdiuaodo Del Maestro) e air Ardito (Toramaso Segni). — Discorso del Rnoellai nel rendere rArciconsolato. — Cicalata sulla lingua lonadattlca. — Scherzo in lode delF Uccello. — Elogio di san Zanobi. — Versione della Lett&ra di Cicerone ad Quintum Fratrem. — Critica. — Discorso della Fortuna. — I) suo discorso contro il Freddo Positivo, — Rie- pilogo di questo discorso. — Segue il metodo del Galilei.— Lettero familiari e politiche. — Osservazioni. — Suo libello sulla pianta e rigiro della Corte di Roma. — Disegno di questo scritto. — Giudizio. Nei suoi discorsi, nelle sue prose letterarie e scien- tifiche obbedisce egli il Rucellai alia medesima legge, verifica il nostro concetto? £ bene ricordare che anco la prosa di quel tempi fu viziata ugualmente che la poesia; cio ^ chiaro, im- perocch^ gli uomini come pensano, scrivono; come ri- flettono, parlano; la parola essendo segno d'idea. I professori d' eloquenza, i predicatori, gli accademici ed i filosofi mostrarono allora vergogne rettoriche da fare sgomento, curiose dicerie, stucchevoli, inani. (GIUDICI, StoTia della letteratura itcdiana, Vol. II, pag. 261.) Tut- tavia, come nel pensiero e nelle condizioni poUticlie e religiose del tempo, gi^ a lungo discorse di sopra, cosi 92 CAPITOLO SESTO. nelle prose avemmo in quel secolo un contrasto, e non sempre sconsolante, specialmente in Toscana. II DaviJa nelle guerre civili di Francia, il Benti- voglio in quelle di Fiandra, Fra Paolo Sarpi e il car- dinale Pallavicino nelle Storie del Concilio di Trento, il Galileo e i suoi numerosi discepoU, il Redi, il Dati, e molti altri si tennero lontani dalle stramberie di di- zione del secolo, ed alcuni sono splendido testimonio deir indipendenza del pensiero italistno, che sorge ani- moso ed affronta ogni genere di persecuzioni. Leggendo le prose del Rucellai varie e diverse per natura, assai bene troviamo riconfermato il giudizio nostro sulla intima e profonda rispondenza de' tempi air uomo, e dell' uomo a' suoiscritti. Accademico della Crusca segue 1' andazzo dell' Accademia, e chiacchiera in bugnola, e finge inveire contro questo e quell' Ac- cademico, e cicaleggia sur un nome o sopra un verbo, con quell' ardore col quale oggi un deputato fa e svolge un' interpellanza per cogliere in fallo il paziente mini- stro ; tesse 1' elogio di san Zanobi, il protettore del- r Accademia; discorre sulla Fortuna, fa panegirici dei Granduchi, incensa nelle sue lettere Cardinali, sdruc- ciola al solito in indecenze e in equivoci; e poi in quelle stesse lettere ragiona gravemente di studj, e di scienza ; in quelle stesse Accademie svolge con gran dovizia di dottrina ed acume di riflessione subietti filosofici, facendo tesoro delle tradizioni scientifiche, de- gl ' insegnamenti del Galileo e dell' esperienze del Ci- mento ; traduce nel nostro idioma la lettera moralis- sima di M. TuUio Cicerone a Quinto fratello, e mette in mostra come i pi'egi cosi i difetti pericolosi di al- cune Corti d' Europa, e quello che piil sorprende, non la risparmia neppure alia Gorte di Roma, svelando di essa i rigiri, in un suo scritto iuedito ed incomplete, DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 93' ma dotto per riflessioni di diritto e politiche, ritro- vato da me nella Filza Strozziana 330"* dell' Archivio Centrale di Firenze. Questo scritto lo avr^, credo, non letto ad alcuno, come le sue poesie contro le Corti, o se si, indubita- tamente in segreto a qualche fido amico suo, perch^ seegliloavesse resopubblico, sono certochene avremmo notizia da' contemporanei, non foss' altro per le mo- lestie a ctd egli sarebbe andato incontro. Si vede tosto come questa diversity di soggetti sia iin accenno non dubbio di quel contrasto di opinioni, che tanto nel suo paese, quanto nella mente di lui do- veva aver luogo in quel tempo, in cui, come abbiam tante volte ripetuto, il mondo antico faceva quasi 1' ul- timo sforzo contro il nuovo che sorgeva in Europa, e che ormai era impossibile arrestare nel suo moto ve- loce e potente. Del resto, oltre agli scritti accennati qui nel loro concetto generico, e che specificainente no- minerd nell'indice delle opere del Rucellai, sembra esser stato egli I'autore di qualche altro scritto impor- tante, smarrito ora, o con altri, de'quali abbiamo esatta contezza, giacente in biblioteche private. Ma contentia- moci di quel che c' d, ne ritomiamo a' lamenti. Era uso, per esercizio di lingua, che gli Accade- mici della Crusca fingessero di darsi delle accuse e delle impertinenze a vicenda, e in queste finte batta- glie non ^ da dire quanto volentieri s' impelagassero. D Rucellai, quantunque mite per natura, non ri- mase perd dietro ad alcuno nella fierezza delle sue in- vettive, tanto che in una di esse, in risposta all' accusa datagU dall' OrncUo^ ossia dal conte Ferdinando del Maestro, (il quale con frasi arditissime, e con riso- nanti periodi accuso Y Imperfetto, ultimo Arciconsolo nel 22 maggio 1652, come colpevole della pigra len- 94 CAPITOLO SESTO. tezza in cui erano caduti gli Accademici nell' adempi- mento degli obblighi loro con tanto discapito e ver- gogna deir Accademia), fu giudicato aver troppo ecce- duto, e che di tante villanie dovesse con pena condegna pagare il fio. (V. Diario del Buonmattei, segretario.) E davvero questa replica ^ ingegnosissima e cu- riosa, e fatta con arte fina di molto, e ci fa senapre piii lamentare che ingegni si eletti stremassero in quelle futility le loro forze. I periodi e lo stile e la lingua di questo scritto son veramente ammirabili, se tu eccettui al solito una tal quale tendenza al tronfio, e quel dondolare il dettato per troppo desiderio di leg- giadria, difetto del tempo rimproverato anco al Bartoli. Ed ^ percid tanto piii notevole come di frasi esage- rate e di paroloni riprenda accortamente V avversario, egli che vivea nel seicento, e non immune da' secenti- smi, e lo richiami al puro e soave idioma toscano con tanta religiosa osservanza da'maggiori custodito. E per dare un' idea del suo fare nelF invettiva, riferisco qui la chiusura di questa risposta, la quale ^ degna di considerazione. Dopo avere ben bene rimbeccato I'accusatore, e dimostrato che invece di torti egli, r ImperfettOy aveva ragioni da vendere, e meriti da mostrare a esuberanza, e Y Ornato d' ogni pregio disa- domo, vile, calunniatore e macchinatore della rovina dell' Accademia, cosi finisce a lui rivolgendosi : II lettore sente di quanto veleno sian ripiene quelle parole, e come per la qua- nta sua questo scritto sia modello, tanto che lo stesso Omato si dolse anche in progresso perche la piil bella cosa che avesse a que' di fatta il prior Rucellai, I'avesse fatta contro di lui. Di altra sua invettiva, fiera atroce e sanguinosa, come place chiamarla al Moreni, abbiamo notizia solo 96 CAPTTOLO SESTO. perch^ la difesa di Tommaso Segni, scrittore, secondo il Salvini, di alta reputazione, e contro cui quest* ac- cusa del Rucellai era diretta, ci attesta essere stata scritta dal Priore Imperfetto. E da'titoli di usurpor tore, di sfacdatOj di stravagmite, di infamatore, che pos- sono formare la corona del piii famoso malvivente, e coi quali il Segni apostrofa il nostro Orazio, si rileva che egli non doveva anco in questa accusa avere scar- seggiato di epiteti, tutt' altro che accademici, in quelle sproloquio smarrito, e dove davvero la vigoria del- rintelligenza, indebolendo, smarrivasi. Come vuolsi per- tanto che occupati quegli uomini, o per giuoco, o sul serio, a tirarsela giti senza misericordia e spesso, in quelle adunanze, dove i Principi stessi, vedendone iltomaconto, intervenivano e fingevano di ridere ; come vuolsi che stemprati gli ingegni cosi, alzassero il capo al di sopra delle mura della citta, e assorgessero al nome di indipendenza, di nazione, d' Italia ? Se riscuo- tevansi talvolta contro il vieto e malo governo che di lor si faceva, erano come i garriti di scolaretti che dicon male, quando non sente, del loro maestro se- vero, in quella stanza, su quella panca, e non altro; che anzi quando il maestro ritoma, si chetano e ne hanno pitl soggezione di prima. Non m' intratterro a parlare del discorso del Rucel- lai, recitato nel 1651, nel rendere P arciconsolato in mano del Timido (Desiderio Montemagni) e pubblicato dal Fiacchi nella sua coUezione d'opuscoli scientifici (T. XXI, pag. 59) e il cui autografo trovasi in un manoscritto miscellaneo della Magliabechiana, segnato N. 1422. E un discorso di non molta importanza, e, come possiamo immaginarci, pieno di comphmenti, di scuse, di proteste, di nullita ec. ec, come ognuno soleva fexe, DELLE PROSE DI ORAZIO RICAS0>LI RUCELLAI. 97 e il Rucellai pitl d' ogni altro per la qualita modesta, anche troppo, dell' animo suo. fi scritto anche questo in ottima lingua, ma con il solito vizio del tempo, il diffuso, ed un po' di quel rigoglio accademico. E neppure, se non per aggiunger prova alia mia prima asserzione che 6 come la stregua a cui ricon- durre ogni mio discorso, io m' intratterrd con lunghe parole ad esaminare una sua cicalata suUa lingua lonadattica, che trovasi nelle Frose Florentine (Parte prima, Vol. I, Venezia, 1730) e la cui contraccicalata fu letta nella Accademia della Crusca la sera dello Stravizzo del 10 settembre 1667. Daro un accenno di quel che si tratta, per mostrar anco qui quanto allora, pur negli scherzi, si mirasse all' esagerato, e si co- prisse, quasi inconsapevolmente, di nomi pomposi la nullity delle cose, dei concetti, degli uomini, e si cer- casse ogni strada per ridere, e come il Rucellai par- tecipasse anche in cid a'vizj del tempo, e in ogni verso se ne facesse 1' immagine. Tra le molte e molti- formi accademie che spuntavano come 1' erba sul suolo d' Italia, e precipuamente in Toscana, in Firenze, vi era quella de' Mammagnuccoli, capitanata da Paolo Minucci, (il Puccio Lamoni del Malmantile). Erano una conversazione di galantuomini (Nota del Minucci alia stanza 26, cantare 3** del Malmantile) i quali facevano professione di sapere il conto loro in ogni cosa, e par- ticolarmente nel giuocare, e nello spender bene il loro danaro, e d' essere il fiore della reale e onorata scapi- gliatura. Avevano un loro capo che si chiamava I'Abate, dal quale erano gastigati quando facevano qualche errore nel giuocare o nello spendere; ma pero tutto era in galanteria. Le loro adunanze si facevano in casa r Abate, dove si giuocava a giuochi piii di spasso che di vizio; e si facevano aitre allegrie di cene, di me- 7 98 CAPITOLO SESTO. rende ed altri passatempi. Costoro erano tutte persone gravi e quiete e della piti riguardevole civilta, e percio la loro conversazione si bramava da molti che v' inter- venivano ; sebbene non fosse ammesso a quella veruno che non avesse provata prima la sua dabbenaggine, e non fosse stato riconosciuto dall' Abate e da altri suoi consiglieri meritevole d'esser ammesso : la quale dabbe- naggine in un certo loro gergo equivaleva a furberia. Perch^ vi era anche un gergo o parlare furbesco, noto solo agli adepti, che riconosceva per padre il Burchiello; ed era pure in grand' uso fra loro la lingua lonadat- tica, cosi detta per ironica ampoUosit^, quasi composta dell' ionico e dell' attico dialetto, la quale da quel gergo difFeriva, non essendo composta di parole che avessero in qualche modo analogia con le parole vere delle cose che si volevano significare, ma di vocaboh che del vero vocabolo avevano le prime lettere. Or appunto sulla origine, bellezza e propriety di questo linguaggio, chia- mato dagli stessi Accademici scioperatissimo, intess^ una cicalata il nostro Rucellai, plena, a dir vero, di gaiezza curiosa, e che desterebbe sovente il riso, se .dalle considerazioni fatte di sopra, e che sorgono nella mente spontanee, non ci fosse piii sovente che mai trattenuto. E anche qui i Principi intervenivano, loda- vano, e sorridevano, e come ! quando per esempio, in- vece di dire: ioho mangiato una minestra di miglio bril- lata, leggevasi: io ho mangiato una minestra di miUe prelati; voi avete della rosa sotto il coUare, per dire della roccia; per il Dante della Beatrice, il Damo della Bea; la mula delV Arcidiacono per la musica delV Arci- duca, ec. Or mi si dica: non par egh quasi impossibile uno stranissimo cozzo questo, di vedere un uomo che sale in bugnola. con tanta spensieratezza e che scherza su tali puerilita; e quel medesimo uomo illustrar poi DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 99 le pagine del divino Platone, e filosofare quasi Socrate novello, giusta lo chiama il Salvini? Se la ragione di ci5 non trovassimo noi nella condizione dei tempi che aveva preso sopravvento su lui, di certo saremmo tentati di ritrovarla, per segtdre la teorica di alcuni fisiologi, in qualche oncia di cerveDo che egli avesse di meno, al di sotto cioe del peso de jure, per secemer le idee, e per fare ordinate le digestioni dei proprj ragionamenti. Dicesi anche, e il Passerini ed altri ne fanno men- zione, che il Rucellai voile pure in prosa dar saggio delle sue debolezze erotiche, e della sua ability negli equivoci, in uno scherzo in lode dell' Vccello. lo ne ho fatto ricerca, ma non mi e stato dato imperocch^ autore di questo come di altri drammi fu Giovanni Andrea Moniglia ; e il Rucellai non fece che gli argomenti e le descrizioni in prosa di ciascun atto ; descrizioni assai vivaci, quantunque sempre un po' ver- bose, e nelle quali egli dimostra una cognizione vasta e minuta della raitologia. Che egli poi fosse, come si dice, assai padrone del latino e delle bellezze di quella lingua apprezzatore autorevole, oltre 1' accorta interpretazione che nei suoi dialoghi filosofici fa sovente di squarci di classici, e argomento sicuro la Traduzione della prima Lettera del libro 1° di Cicerone ad Quintum Fratrem superior- mente notata. Ed io ho detto gi^ come questo esercizio, si proficuo per ogni rispetto, introdusse il Rucellai nel suo secondo Arciconsolato (1650) tra gli Accademici della Crusca ; e come il suo desiderio ed i suoi eccita- menti non andaron delusi. Se devo dar pero il mio giu- dizio intorno a questa versione, sembrami che in mezzo a' molti pregi, come la scelta di soggetto morale, la lingua, la fedelt^, la eleganza, scoprasi il difetto di una eccessiva imitazione del periodo latino e del giro ciceroniano, e di quel Lei invece del tu adoperato, che ti divien quasi ridicolo, una volta che pensi esser tra- duzione dalla lingua del Lazio. II buon Canonico Mo- reni troppo facile alia lode e troppo inclinato alia scusa, vuole giustificare in cio il Rucellai, notando come appaia che egli con si fatto signorile tratta- mento abbia qui voluto conservare la stessa sostenu- tezza, che Cicerone uso col fratello suo in questa seria, e quasi rimproverante lettera ; come se r altezza o propriety, o la bassezza e indecenza del linguaggio stesse nel lei o nel tti, o non piuttosto nella gravita del concetti che possono manifestarsi propria- mente anco col dolce tUy appellativo con il quale il Casa monsignore, e il Moreni canonico si rivolgevano a Dio stesso nelle loro pregliiere, senza credere, io penso, di mancare a lui di rispetto. Deve dirsi pertanto come questa fosse una tra le altre curiose debolezze del prior Rucellai, che viveva in quel tempo come di grandi imprese, cosi di stravaganze e di capricci fe^ condissimo. Voglio riportar qui due soli versi della fine di quella lettera, e che mi si dica se non par di vedere il grave Cicerone comparire ad alcuno diuanzi vestito con seta, nastri e rasi, e fare mutatis mutan- dis un complimento galante a una signora di cono- scenza che incontra, mentre lo stesso monsignor Della Casa lo vede da lontano e sorride. « Cio conseguir^ ella facilissimamente (ecco le parole) se penser^ che io, cui sopra di ogni altro ha premuto sempre in dar. gusto, mi ritrovi di continuo con esso lei e intervenga a tutti i suoi discorsi ed azioni. Resta adesso che io la pre- ghi ad avere ogni possibil cura della sua salute, s' ella vuole che io e tutti i suoi godiamo la stessa, e le bacio le mani. > E Cicerone fatta la reverenza d'uso, se ne va Via pe' suoi fatti. Del resto, se questa traduzione imita si brutto co- stume, allora assai in yoga anco nella Francia, dove appunto nelle Orazioni di Cicerone, traducevasi la parola Quirites col francese Messieurs ; ^ poi precipua- mente pregevole per il fine morale per cui essa fu fatta, ed d anco questa una lodevole espiazione per le mende di disonesta dalle quali non serbossi immune. 102 CAPITOLO SKSTO. scrivendo, il nostro filosofo. Quantunque di non grande importanza a prima giunta, ptir mi sembra che questi fatti sieno, a chi gli osserva con occhio imparziale, di lume e di prova sempre maggiore, e prendano qui per noi un' importanza che altrimenti non avrebbero. Non siamo neanco alia met^ della strada; eppure trapeliamo gi^ qual possa esser la natura della via che ci tocca ancora a percorrere, e quale la m^ta. Piii c' inoltriamo, e r orizzonte nostro si dilata, ed i colori della pittura che abbiarao dinanzi prendono un aspetto vie piti de- ciso, determinato e perfetto. Dallo stato fisico, fisiolo- gico e morale noi ci avviciniamo sempre piCi all'in- tellettuale, che tutti gli comprende ed informa : noi vogliamo cogliere il pensiero del pensiero nel Rucellai, come filosofo della natura, dell' uomo, e di Dio. Ed infatti, senza por mano ancora alia sua mac- china filosofica, noi abbiamo in tre scritti suoi piii spic- cato il pensiero filosofico di lui, abbiamo non piii tanto il letterato e 1' accademico, quanto il ragionatore. Quantunque, come di altri e accaduto, un suo di- scorso sulla Fortuna sia rimasto inedito, pure siamo in grado di ten^er parola del concetto che dovea infor- marlo, argomentandolo dall' altre opere sue filosofiche, dove appunto della fortuna discorre. Ed aggiungo anzi che non sarei lontano dal credere che questo discorso sulla Fortuna non fosse su per giii se non quello che nel corpo di quel suoi dialoghi sul medesimo soggetto ritrovasi. Comunque, e da notarsi che questo discorso egli lesse a' 20 febbraio 1654, in una solenne Accade- mia che fu pubbKcamente tenuta nella Sala de' Bona del Palaz zo Pitti, per onorare il principe Giovanni Adolfo, fratello al re Gustavo di Svezia. Arciconsolo allora era Lorenzo Magalotti (intimo del Rucellai) come ricavasi dal Diario deU'Accademia, e letto da quello DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 103 un elegante proeraio, discorse poi V Imperfetto della Fortuna con sottigliezza, novita ed erudizione piii che ordinaria (Vedi MORENI, Prose, pag. XX in nota), mostrando come fecero innanzi il Petrarca, lo Speroni, e molti altri la fortuna non esser che nome vano in se stessa, e invece sotto tal nome cui il volgo o pensa- tori traviati diedero corpo e figura, nascondersi I'ese- cuzione del volere divino; e combattendo il caso contro Epicuro, e recando a sostegno de' suoi pensamenti i pitl celebrati autori antichi e contemporanei. Conforme poi alle teoriche Galileiane e coUe leggi del suo metodo sperimentale e condotto il discorso del Rucellai contro il Freddo positivo. Discorso ingegnosis- simo per argomenti di prova, e, secondo il Dati, mi- rabUe (Vedi Dati, Lett, a pag. 69), che il nostro prior Orazio recito in un' Accademia fatta a bella posta in ossequio e trattenimento del famoso cardi- nale Delfino, patriarca di Aquileia, il quale trovavasi allora di passaggio in Firenze, e a cui il Rucellai, lo vedemmo, era legato in amicizia, giusta ne fanno fede le lettere indirizzatesi scambievolmente. Non e qui ufficio nostro il farla da fisici, e per6 non discutiamo sul valore reak delle ragioni addotte dal Rucellai in appoggio della sua tesi: vogliamo solamente presentare il disegno di questo suo lavoro, per dimostrare come nella filosofia naturale egli, quantunque nel platonismo cercasse di rinvenire armonia con quelle medesime verity dimostrate dalla filosofia moderna, in tutto se- guitasse il metodo inaugurato dal Galileo, con cui si rapidi progressi pot6 fare la scien za fisica, che fu sola- mente allora creata. Egli dunque voile provare il freddo essere privazione di calore, contro lo Smarrito (il Dati) e il SoUecito (il Capponi) che fortemente mantenevano il freddo essere positivo e reale. 104 CAPITOLO SESTO. Si fatta questione, ne ricorda il Moreni, (Prose ecc, pag. XXI) comincio a ventilarsi nell'Accademia del Cimento con grave dissenso di vari insigni soggetti, che la coraponevano, in tal materia, e che tento di risolvere il dottor Giuseppe Del Papa con la sua celebre lettera a Francesco Redi, sostenendo che il freddo non e che una sempKce privazione, ed un mero discacciamento del caldo, e non gi^ una sostanza positiva e reale come pare la volesse il Dati, versato assai, del resto, in cose naturali e di fisica. E il Ru- cellai, con grande compiacenza, premette come Platone dice, dal.tramescolamento del fuoco con gli altri elementi nascerne il moto, e dal moto le ge- nerazioni. > E non solamente per eccitare il caldo nei nostri sensi vuolsi il moto, ma lo stropicciamento dei calori- fici con le parti sensibili. > Tutti gli atomi, che non sono calorifici dicogli sieno frigorifici, e in tal caso solo gli concedo, che 6 il mede- simo essere il freddo privazione del caldo. > Le cose lisce appajon piil fredde delle rozze, per- ch^ si turano i passi agli stropicciamenti degli atomi, uscendo e entrando pe' nostri pori. > Ci par freddo il piede, essendo nel letto, e non la coscia, perch^ il freddo lo consideriamo e conoscia- mo in comparazione del pii\ caldo. > 11 secco e il buio, che sono privazioili, non forman patimenti, come fa il freddo. > Si vede, che del fuoco n' 6 tenuto conto, e gli h stato assegnato la propria stanza ; il che non si vede seguir del freddo ; bench^ dicano nelle neve, e nel ghiaccio ch' 6 una minima parte e un accidente dell' acqua. > L' umido e il caldo esser cosa vera e sostanziale, ma il secco e il freddo esser di loro la privazione. > Dicono il freddo aver azione e moto come si vede nelle sperienze del caldo e del freddo e delli agghiac- ciamenti ecc. > Scorgesi qui, io diasi,.applicato nella sua pienezza il metodo del Galilei, ed una prova novella percid di quel contrasto di pensieri e dottrine che andiamo man mano riscontrando nel nostro filosofo. Che se innanzi di passare alia esposizione e all' esame 106 CAPITOLO SESTO. diretto dei suoi pensieri filosofici intorno all'uomo, al- r universe e a Dio, vogliamo ancor piii vedere quanta rispondenza ci sia tra lui e la sua eta, non dobbiamo che gettare uno sguardo, ancorch^ rapido, non tanto sulle sue lettere, quanto sopra il suo breve, incom- pleto, ma pure importante scritto che porta per ti- tolo: Pianta della Corte e del Rigiro di Roma. Son dodici pagine in 4*, divise in due capitoli, il secondo dei quali non terminato. Le lettere del prior Rucellai pertanto non destano, per verity, in generale grande interesse, imperocche scarse di numero le conosciute, e non aventi una qua- lit^ scientifica; ma o accennino all' invio di scritti scientifici a' suoi amici, o parlino di cose domestiche, o sieno incensate alia bont^ de' Principi suoi padroni ; nondimeno esse servono a chiarirci alcun po' delle relazioni sue con i dotti contemporanei, e delle qua- lit^ deiranimo suo, e del tempo in cui alcuni lavori filosofici furono da esso scritti, e dell' ordine da asse- gnarsi loro; e qualcuna di esse, diplomatica, manife- sta nell' uomo nostro accorgimento non comune e cono- scenza profonda del cuore umano. Stando alia numerazione delle lettere familiari, data dal canonico Moreni, esse non sarebbero in numero minore di cento; ma pubblicate non ne abbiamo che 36; e io, coU'aiuto del chiarissimo cavalier Cesare Guasti, ne ho potute ritrovare alcune altre, 8 o 10, di poco conto perd, inedite, nella Biblioteca Palatina tra gli Autografi, e nell'Archivio Centrale di Stato in Firenze. Quelle edite, come bene giudicd il Moreni stesso, {Prefae, alle Led., pag. VIII) quasi che sempre conservano un non so che di grave e di eloquente, e mai sempre appaiono scritte con facility di stile. Se non che, per dir il vero, in qualche parte scorgesi, ed in special guisa DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 107 in quelle al cardinale Giovanni Deliino, una monotonia di sentimenti e di idee, altresi in lui inevitabili, per- dxh quasi tutte aggiransi, con maniere pero varie e distinte, suUe di lui lodi e ordinariamente su di uu medesimo soggetto. Ed aggiungo che per istile, che a lettera si convenga, troppa contorsione e ridondanza di period! alcuna fiata tu vi ritrovi, non dicevole, parmi, a chi deve tra parenti ed amici discorrere, e manife- stare, tutt' altro che in una Accademia, i proprj pen- sieri. Nello stile adunque ritrae del secolo, e nei pen- sieri anco talora ; sicche quando egli scende al faceto fiorentino, vedi cid farsi da lui con isforzo, e non con quella tanta facilita che riscontri nella propriety del dettato, giustamente encomiata dal Moreni e da altri. Sul contenuto di queste lettere sarebbe superfluo in- trattenersi, dappoich^ lungo il corso del nostro cam- mino ne abbiamo fatto tesoro e ne faremo ancora per illustrare V uomo, gli atti e V opere sue letterarie e filosofiche. E neppure minutamente ci fermeremo nelle politiche, delle quali assai duolci di non avere che due tre, mentre e probabile che altre piii ne giac- ciano ignote. Scrive in esse al signor Poltri, allora Segretario delle LL. Altezze in Firenze, e lo rag- guagUa dello stato di Vienna e di Polonia, ed esa- mina le condizioni interne ed intemazionali di quei paesi, e piil specialmente le quaUt^ di quei principi. Ed ^ notevole, invero, che egli in quel tempo di vin- coli al pensiero e di animi proni all' adulazione dei potenti, fino a encomiarne le ingiustizie e gli abiti malvagi, dimostrisi indocile a questo difetto, sicche dimentichiam volentieri le piaggerie al suo Granduca, e le eccessive proteste di devozione e di servitii, e conyeniamo anche una volta col Magalotti che lo ap- pello r uomo piil proprio a forniare un principe (Vedi • *■ I 108 CAPITOLO SESTO. Palermo, Manoscr. Pal.^ Vol. Ill, Avvertiinento). Se non che confrontando le date, rincrudelisce la piaga, dappoich^ osservisi come le piil libere o meno serve di queste lettere scrivesse piii giovane, le piCl ligie piil vecchio ; quasi coll' affievolirsi del vigor dell' et^, quelle pure di liberi sensi deteriorasse, o per timore di per- dere protezione, o per altra causa di debolezza li ta- cesse, sentendoli uguali, ossivvero scrivesse al suo prin- cipe altrimenti da quelle che avrebbe desiderate. Ed infatti chi ha letto in quali termini il Rucellai protestasse a Ferdinand© II dei Medici e ad ogni prin- cipe la servitii sua e de' suoi figli, pud scorgere il di- vario profondo che v' ha nelle condizioni dell' animo suo in quel tempo, e quando cosi scriveva al Poltri, da Varsavia, intorno alle qualita del re Vladislao, presso cui era stato dal Granduca inviato in legazione straor- dinaria : Noi vediam qui come il Rucellai sembri assoluta- mente sciolto da qualunque legame, e non guardando in viso a persona, ne censuri aspramente i vizi e tanto piti gU dispregi in un Re il quale preferisca V utile proprio al bene del popol suo, o questo solamente ri- cerchi, perch6 appunto gli ^ via ad ottenere il proprio vantaggio. Lo che dimostra bene quanto rettamente pensasse intorno ai doveri di un principe il Rucellai, e quanto, conoscendo le bugiarde apparenze delle corti, egli di certo avesse bramosia di smascherarle ad uti- lity dei soggetti; e cid vedesi piu ampiamente nella parte morale dei suoi dialoghi; ma il volere rimaneva pressochd inefficace o sortiva un efFetto ben lieve, una volta che ritornato in patria lasciavasi vincere da miUe riguardi che un uomo dabbene ma debole co- 110 CAPITOLO SESTO. stringono, se non altro, a rimanersene muto di fronte a ogni abuso. Dove poi nel Rucellai piil si vede spiccare quel conflitto di sentimenti si 6, rho gi^ detto, nel suo scritto su Roma. Non giova riandare le condizioni po- Utiche ^ religiose d' Italia e della Toscana principal- mente in quel tempo; ch^ ci sembra sufficientemente aver chiarito tal punto. Giova pero averle in mente ora coUe quality morali del filosofo, per apprezzare in lui, amico di Principi e di Cardinali, quella liberta di pensiero che sembra scuotere a un tratto ogni giogo, sfidare il passato ed il presente, protestando contro certi non lodevoli usi della Curia Romana. Si; protestava di fatto il filosofo, e la sua co- scienza sapeva bene distinguere, quantunque scrupolo- samente cattolico, il principio dagli uomini, la bont^ di un' istituzione ed i vizi di chi la sostiene ; se non che apparisce che egli non avesse coraggio di pub- blicare tale protesta, e fors'anco quello di termi- narla, sebbene tante verita gli piovessero dalla penna e dall'animo. Sono i due sentimenti che contrastano in un medesimo uomo, il sentimento del vero, il senti- mento del timore, e il secondo sciaguratamente prevale. Nel V Capitolo pertanto, il Rucellai, con ampiezza di vedute dimostra : come V tiguaglianjsa di tutte le con- dizioni degli uomini, alle pretensioni di Boma fu sem- pre giovevole, sinche le dignita e le grandezse furon premio solamente dei meriti e delle virtu, E nel secondo: come tutti i Governi ove s' intruda V avarizia e V ambi- zione rovinano, e quello di Boma con esse piu che mai si sostiene, E per giungere aUa dimostrazione della prima tesi egU osserva, come la Repubblica universale di Roma ebbe per suo sostegno nel suo istituto origi- nario quel misto perfetto dei tre stati, monarchico, DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. Ill aristocratico e democratico, reputato per la forma piii durabile e meglio ordinata • di tutti i governi, dove ella si mantiene nella sua bene accordata armoida, e che r uno stato di essa ben corrisponde, e serve di correggimento all' eccesso dell' altro. Ella d questa, si Bcorge tosto, la teoria stessa di Cicerone e del Ma- chiavelli riprodotta nel suo genuino significato, 1' ac- cordo della quale pero coll' indole della vita del Ru- cellai tutto intento al servizio di un principe assoluto, sarebbe per noi sempre un eninuna, dove non avessimo la via a spiegarlo nelle ragioni tante volte, discorse. E soggiunge E ponendo in rafironto cio che di Roma discorre DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 113 Quinto Cicerone al fratello, con quello che era Roma in quei di, e alia stretta somiglianza delle due Rome guardando, soggiunge (notisi, di grazia, perche qui si ritorna all' antico) che egli ha voluto registrar cid in questo luogo perche si conoscc che o sia la postura del cielo, o sia pure la necessity dei medesimi fini negli ultimi tempi della Repubblica romana, forse come oggi adulterati e guasti, hanno come posto i temperamenti conformi, influiscono similmente negli animi la stessa maniera e inclinazione di costumi, e nell'una e nel- r altra etade s' introdussero e stabihrono nella Corte di Roma contro la virtil e contro la piet^ della sua primiera istituzione, tutte quelle arti che piii si pro- ducono dair opere della malizia, che dalla carita e dalla devozione. Si pud dunque concludere, che la macchina del rigiro di Roma stia appoggiata sopra r estremo del vizio, non sopra 1' eccesso della virtii, perche qua e talmente raffinata la fraude, che quanto gli uomini sono piti nemici, tanto piii usano tra loro atti di confidenza, e piii liberty di tratto. > E le destre che sogliono essere testimonii di fede, sono in loro violate dall'inganno, e dalla malizia di farsela 1' un V altro a tempo, e con vantaggio, e quegli solamente 6 stimato piii valent' uomo, che pu6 piti. Quindi avviene che qualunque e reputato uom di valore nelle altre regioni del mondo, venendo a Roma si per- de, trovandosi in una diflerente scuola da quelle, ove s'apprende ad esser soggetto grande con le virtuose azioni. Quei dunque, che si mette a vivere in questa Corte non basta che e' sia letterato e sapiente, quanto se gli conviene il saper ben discernere i vizii altrui. Ceda perd alio stile del paese, mantengasi per sd nel- I'arti virtuose, ma assuefaccia I'animo educato ne'buoni costumi a non si scandalezzar de' pessimi. > 8 i i 114 CAPITOLO SESTO. Se il Bianchi Giovini avesse scritto il rigiro di Roma, credo che avrebbe potuto scriver in questo modo ; piii liberamente, non giudico. Egli seguita sempre su questo piede, ed e cosa ammirabile, senza intaccar mai i principj, guardando ai vizi degli uomini, e dando cosi una lezione a noi che gli uni cogli altri tramescolando, condanniamo con maliziosa leggerezza i primi in un co' secondi, dimenticandoci o fingendoci di dimenticare i canoni piii elementari di logica, per non dire di buon senso e di buona fede. Ambizione, interesse private, ipocrisia, inganno ed invidia, ecco adunque, per cosi dire, i fili conduttori nell' intricato labirinto della Corte di Roma per chi vi s' introduce e pretende di avvicinarsi al suo centre, dappoiche fu distrutto quel principio d' ordine nell'ar- monia dei tre elementi dello stato perfetto, e incomin- ciossi a misurare V ability degli uomini, non dai me- riti dalle virtii, ma si daU- interesse e dal genio di chi comanda. Ognuno cerca per aggiungere il suo talento di tener quella via che stima pitl opportuna, di tener dietro a quel flip che pensa o vede piu atto a condurlo ; sicche ognuno s'infinge per quel che non ^, e si maschera dell' estremo contrario di quel ch' e' si sente dentro nella sua propria natura. La virtii dunque nella Corte di Roma sempre adonesta gli avanzamenti quantunque non abbia parte nell' avanzare. Evvi dunque una Koma apparente, e una Roma reale; e il Rucellai ve le descrive a mera- viglia con una vigoria di concetti e di immagini, che sembra il Frate Ferrarese avergli in certi dati mo- menti spirata in petto la disdegnosa anima sua. lo rimando, a persuadersene meglio, il lettore alia fine di questo libro, 1^ dove ho riprodotto per intiero e per la prima volta qtiesto libello incompleto, ma pur bastevole perchi^ ci facciamo un' idea chiara dell' animo del Rucellai intomo al govemo di Roma, che si fon- dava, secondo lui, sopra Y ambizione e V interesse pri- vate. E tanto egli era cattolico e distinguevabene religione da uomini di Chiesa, che questo primo capi- tolo fa terminare cosi: II secondo capitolo e breve, non compiuto, e in- sieme importantissimo, in quantochd volendo provare come tutti i governi ova s' intruda 1' avarizia e 1' am- bizione rovinano al contrario di quelle di Roma; il Rucellai stabilisce essi vizj essere il tossico che la giustizia distributiva corrompe e distrugge, e i fatti antichi e modemi lo confermano, seguendo le teorie deir Alighieri professate nel De Monarchia. Intorno alia nobilt^, espone in un modo determinato come questa giustizia distributiva, senza la quale riman ca- davere, e imperdsenz' anima e senza vita ogni stato, intenda ad uguagliare gli uomini sotto le leggi della virtii, la quale solamente pud esser base di differenza tra gF individui, e non le ricchezze ed il genio, cio^ il capriccio e 1' ingiustizia. Cid espone in brevissime pa- gine col solito vigore di argomenti, coUa solita leggia- dria del dettato; ma rimane qui, come si vede, al principio, almeno in questa copia, I'originale della quale, e chiss^ che tutt' intiero, sar^ forse con altre cose smarrito o nascosto. Mentre io deploro 1' incompiutezza di questo scritto,in cui da cima a fondo si sente un' aura dell' dra mo- dema che spira, e la coscienza deU' uomo per la forza oltrepotente del vero distrigata un istante daUo scru- polo e dal timore, protestare contro i vizj o le loro sembianze; tuttavia mi riconforto nella certezza che il lettore avr^ aggiunto un argomento di piil a soste- gno di quel ch' io scrissi in principio, e che d come il perno su cui gira, pud dirsi, e consiste il mio librc' * Ad eliminare poi anche Tombradel dubbio che potesse sor- gere, per avventura. sulP autenticit^ di questo scritto, riporto qui DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAl. 117 Qui il Rucellai non 6 piil I'uoino del Medioevo e del Rinascimento; non ^ piil 1' uomo ligio all' autorit^; e il filosofo modemo che evitando gli eccessi del Bruno, riprova gli scandali del chiericato, ne condanna, per ainore della religione che ei professa, gli abusi; e in- namorato del vero e della virtil, al pari di Platone, richiama con severe e giuste rampogne a tornare nella via smarrita lo stesso sacerdote, il quale, im- merso talvolta nello interesse mondano, posterga i principj deir Evangelio, egli del Vangelo e della carit^ cattolico banditore. in nota, come a confronto, cio che trovo scritto dal Rucellai stesso, nel suo trattato della Provvidenza, pag. 368. Tip. Le Monnier. — « Ed io vi replico esser verissimo die tutte le cose che si fanno fannosi per divino volere; e questo il fato si h. cio 6, decreto in- fallibile di quanto ab eterno e' dispose ; ma dagli uomini per lo li- bero volere le cose si deterrainano, come dianzi si disse. E siami lecito, signor Elea. far qui riflessione sopra cio che avete mentovato di Roma; come Roma antica, mentre fu appoggiata al valore, al buon costume e alia virtii diquegli animi, si feo padrona del mondo; ma degenerando da' suo' principii si spense, perchfe cosi voile la divina predeterminazione per mezzo del libero arbitrio mal guidato dagli Qomini. E questa Roma moderna. che fondata su la pieta su la po- verty e su I'esempio del mondo anch' essa signora divenne, mutando costurai pill che mai si mantiene: manifesto segnale come malgrado de'vizii piii licenziosi degli uoraini la religione sostiene loro, non essi la religione sostengono, la quale pero vince ogni regola perch^ ella k forte braccio e onnipotente della Provvidenza divina. » Capitolo Settimo. J DIALOGHI FILOSOFICI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. SoMUARio. — Come ci condurremo quind' innanzi nel nostro lavoro. — 10 Esposizione de'Dialoghi filosofici. — 20 Critica. — Perche si preter- mettera la critica minuziosa delle dottrine filosofiche del Bucellai. — lucertezza del tempo preciso in cui farono scritti i Dialoghi. — Certo e pero che son parte di mente matura. — Quattro codici manoscritti de* Dialoghi, e qaali di essi pud considerarsi autografo. — Parole del prof. Palermo. — Una lettera del Rucellai al Granduca, intorno air ordine di quest! Dialoghi. — Noi segniamo, neir esporli, questo ordine. — Si riporta, e perche, V intero Preambolo ad essi del Bu- cellai. Quando nei precedent! capitoli si e discorso della vita e degli scritti minori di questo filosofo, dopo aver dato uno specchio generale delle condizioni intellettuali, politiche e morali d' Italia nel secolo decimosettimo ; a ciascun argomento facemmo precedere sempre una de- scrizione pitl particolareggiata di esse, secondo che appunto il subietto nostro particolare esigeva. Venendo ora a discorrere dei Dialoghi filosofici di lui, stimiamo meglio invertire quest' ordine, senza recar percio verun pregiudizio alia chiarezza e alio sviluppo logico della dimostrazione. Imperocchd di gia con sufficiente am- piezza abbiamo tracciate certe linee che della figura ci somministrano un disegno abbastanza determinate, sicch^ pitl non vi sia da smarrirla, e non ci resti che colorirla piii e piii, e ridurla a compimento maggiore. DIAL06HI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 119 E pero la nostra mente condurr^ quind' innanzi il suo lavoro cosi: stabilito Tordine materiale, e il fine di que'Dialoghi con critica e precauzione, adoprando in ci5 il finqui messo in sodo con evidenza da altri; ne esporremo con qualche larghezza il conteniito, come di un' argomentazione e de' dati di un problema farebbesi, e indi, fermatili bene, procureremo di scioglierlo, rivol- gendoci ad un esame piii accurato ed attento delle diverse opinioni filosofiche che combattevansi allora, e ponendo in chiara luce quel che veramente il Kucellai ha fatto, quanto e come le abbia adoprate, con quali intendimenti e criterj, ed il posto precise, per conse- guenza, che gli si spetta nella storia del pensiero ita- liano. Ne questo disegno esclude aflfatto che man mano si espongono le dottrine del nostro filosofo e s' iacon- tran de' punti cardinali che servono a qualificare il suo metodo e il suo sistema, noi possiamo farli rilevare, e notarli, e raccomandarli alia considerazione del leg- gitore; ch^ poi essi devono trovarsi come di riscon- tro alle loro sorgenti generali, apparseci nell' esame del pensiero di quel tempo, e queste e quelle ricondurci sicuri al punto d' onde muovemmo, e che nel cammino ci servi sempre come il centro di un circolo serve ai punti della sua circonferenza. Aggiungasi che pel fine e intendimento nostro non importa guari intrattenersi minutamente sulla critica delle dottrine di questo filosofo, bastandoci, a mostrarne il suo eclettismo e scetticismo, di fermar Y attenzione su que' punti che lo appalesano piii, e indi non ci venga attribuito a soperchio se oltre I'appendice di cose scelte letterarie, scientifiche e morali, nello svi- luppo di questa parte del libro intrecciamo la cita- zione di varj e non brevi pezzi di questi Dialoghi, che pitl fanno all' uopo. Imperocche appunto trattisi qui 120 CAPITOLO SETTIMO. di esporre i pensieri filosofici d' un autore, la maggior parte degli scritti del quale sono inediti, come puo rica- varsi dalla Nota di essi. Cosi facendo, penso inoltre di rispanniare ai lettori quella lunga fatica che ho do- vuta spendere io nello scorrere tutti da cima a fondo questi Dialoghi, che pel diffuso stancano spesso; ed infine riferendo qui nel mio Hbro le cose pitl impor- tanti di questi, mentre lo pongono, risolvono, sto per dire, o almeno agevolano di assai la risoluzione del pro- blema ; lasciando poi a chi avesse in animo d' intrat- tenersi sull' ultimo sviluppo che ebbe il platonismo nel secolo XVII col Rucellai, il quale chiude il ciclo del Rina- scimento in Firenze, di recare piii attenta anahsi nei suoi libri su cio ; come ad altri altre cose ; io per me che con- sidero il Rucellai da un punto di vista meramente sto- rico e ne noto, per tal rispetto, Y importanza, non son tenuto a quel lavoro di paragone, a quello studio di trasformazioni e trapassi che le dottrine platoniche su- birono dair origine loro conosciuta fino aH^ Imperfeito; lavoro del resto della somma importanza e di grandis- sima utiKt^, e che io auguro all' Italia si faccia presto e da uno de' suoi ; e credo aver motivo di acquietarmi nella speranza che questo augurio trover^ sollecito il suo compimento feKce. E per primo il tempo preciso in cui questi dialoghi farono scritti, non possiamo determinare a puntino, malgrado che nolle sue lettere il Rucellai accenni ad alcuni di essi che aveva allora, mentre scriveva, com- piuti, o si accingeva a distendere. Quel che bene si scorge (e del resto per noi piii importante), d che tutti questi Dialoghi sono parto della sua mente matura, imperocch^ solamente dal 1665 in poi troviamo da lui uomo adulto fatto cenno agli amici ed al Principe di questi lavori scientifici, intomo ai quali indefessamente DIALOGHI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 121 aveva per lo innanzi lavorato e proseguiva ora a lavo- rarvi. Omettendo di citare le lettere scritte dal nostro filosofo a messer Giacomo Altoviti, al Patriarca Delfino ed al Redi, nelle quali fa menzione or di questo or di quel soggetto filosofico trattato da lui, e che man mano ricopiato 1' avea ad essi e ad altri amici o illustri perso- naggi per mezzo di quelli mandavalo; io, come il chia- rissimo professore Palermo nel Vol. Ill, dei Manoscritti palatini^ daro intorno a questi dialoghi un qualche cen- no, e verrd con un brano di let^era scritta dal Rucellai al granduca Ferdinando II, nel maggio del 1665, a sta- biUre 1' ordine (un po' incerto nelle diverse copie) e a conoscere il disegno che I'autore aveva architettato intorno quest' oper a, che per mala ventura rimase in- compiuta. Delle quattro copie di questi Dialoghi filosofici da me tutte esaminate con diligenza, la Palatina, la Maglia- bechiana, e quelle che si conservano nella libreria pri- vata dei Ricasoli Firidolfi, le piii emendate sono queste ultimo due, copie entrambe, la prima in dodici tomi nella massima parte corretta e aggiustata dall' autore, e che per6 fa citata dagli accademici della Cru sca come r originale. La seconda in quattordici tomi appar- teneva a Lorenzo Pucci, e Anton Maria Salvini vi accon- cio di sua mano gli sbagli propri del copista. Gi^ discor- rendo della vita scientifica dell' Imperfetto (cap. Ill), avemmo occasione, ^ vero, di conoscere lo intendimento acui egli mirava principalmente con questo scritto; ma era al disegno materiale ^ non inutile il far seguire il preambolo del Rucellai, nel quale espone ampiamente il concetto primo di essi. Nel primo esemplare della libreria Ricasoli, pertanto, i Dialoghi in numero di 65 sono cosi disposti nelle tre viDeggiature. 124 CAPITOLO SETTIMO. che eseguird volentieri. Le invio il preambolo, onde si ricava 1' ordine e la distinzione di tutto il mio propo- nimento. Dipoi ho stimato bene lasciare il primo Dia- logo contro i sofisti, che serve solamente per introdu- zione alle varie opinioni de' Filosofi intorno ai principii della natura, non essendo ripulito ; e mando il secondo dialogo sopra I'opinione di Talete Milesio, che tenne r acqua per principio universale di tutte le cose ; pro- posizione non molto difficile a esser trattata. Appresso, saltando il numero di 25 dialoghi gik fatti, ma non pienamente corretti, e due o tre a' quali non ancora ho messo mano, sopra V opinione d' Aristarco Samio, le trasmetto i tre primi Dialoghi sopra il Timeo di Platone, dei quattordici che ne ho imbastiti; paren- domi che questi trattino, sopra tutti gli altri, cose molto malagevoli a spiegarsi. Delia prima villeggia- t ura, che 6 la Tusculana, ho da fare due o tre dialo- ghi innanzi al Timeo; e dopo uno sopra la filosofia d' Aristotele, che non ho ancora cominciato. (Vedi con- ferma nella Trovvidensa^ Le Monnier, pag. 188, dove si rileva che questo trattato della Provvidenza va dopo il Timeo) E appresso ne vengono sedici dialoghi sopra r opinione d' Epicuro, che ho messo insieme, ma non ancora bene ridotti ; e diciotto contro il medesimo Epi- curo, della Provvidenza divina, che gli ho finiti, ma non messi al polito. Della seconda Villeggiatura, «h'^ r Albana, dov'entrano dialoghi della natura dell'anima vegetativa e della sensitiva, compresa da molti dialoghi di notomia, gli ho tutti distesi, ma non rivisti; e ne ho da fare due di pianta sopra Tanima ragionevole. Delia, villeggiatura Tiburtina, ch'd 1' ultima, la quale contiene materie morali, ne ho fatti parecchi, ma ne avrei da fare altrettanti. Vero e che ho repertoriato ogni cosa ; e se ho tempo e quiete, che mi viene inter- DIALOGHI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 125 rotta spesso e dalle cure familiari, e dai disastri della casa, che mi tengono in liti continue, spero in diciotto mesi o due anni ridurre ogni cosa al suo termine. Ci trover^ delle cassature e delle rimesse, qualche errore d' ortografia, per la rarity che abbiamo di copiatori che intendano. > Cio nella lettera. Ma il suo propo- sito, negli otto anni che sopravvisse, non gli venne fomito; lasciando, come si ^ detto, alcuni dialoghi senza 1' ultima mano, alcuni ammezzati, e quali poco nulla fuori il disegno. E quanto alia lor disposizione, parrebbe anche questa, aggiunge il professor Palermo, non fosse in tutto fermata. Poiche nell' originale i dia- loghi contro Epicuro seguono i primi sedici ; onde noi gli abbiamo allogati anche cosi. Ma nel dialogo XXII si rammenta il Timeo, come discorso dinanzi; e il Timeo vuol prima di sd i quattro dialoghi intorno alle matematiche. E forse pero nella copia Pucci ai primi sedici attaccansi questi, in tre, e quindi il Timeo; e nella copia Palatina il Timeo senz' altro avanti ai Dialoghi contro Epicuro. lo pure nel discorrere terrd quell' ordine come il pitl logico e naturale, e vi porrd tutta la cura ch' essi meritano, poichd, quantunque vi sia del mancante, pure bastano a costituire un importante e quasi com- piuto edificio, e a rappresentarci intiero il sistema ed il metodo di questo filosofo toscano. N^ ^ meno utile, com' ho gi^ detto, premettere qui per intiero il preambolo cheva in testa ad essi dialoghi, e che ci dimostra con maggiore chiarezza r obietto principale e nobilissimo loro. fi un' orazione toccante quant' altra mai e di bellissima lingua, che varr^ a riposare, ricreandola, la mente del leggitore, il quale pure da essa potra fin dai primi periodi rilevare la natura deUa filosofia che il Rucellai vuole insegnarci. 126 CAPITOLO. SETTIMO. Dietro alia meditazione dunque della virtii, io mi ridussi, siccome voi vedete, sotto '1 benigno, e saluti- fero cielo di questo novello Tusculo, dove 1' orribile rammemorazione sfuggendo, e' rischi della mortifera pestilenza, che poc'anzi incominciata a Napoli, o per la corruzione dell' aere, o pe' venti, che dalle parti Orientali soffiando, seco ne la portaro, s' e nella citta di Roma miserabilmente appigliata, nulla dimora parve agli occhi miei piii gioconda, n^ piii sicura, e piii lieta di questa, ne cotanto in si spaventosi tempi per le nostre speculazioni appropriata. Vennemi qui subito in mente di quelle cotanto feconde, che M. TuUio ci fece gi^ sopra di questa virtii in quelle torbide congiunture delle soUevazioni civili, e si al medesimo m' accinsi, forse con troppo animo, anch'io per I'amenita, e per le solitudini di queste ville, desiderosamente cercan- 128 CAPITOLO SETTIMO. dola. Ora nel levare, ch'io feci degli occhi al cielo, mi ricordai di quanto ne ammonisce il nostro Poeta: « Chiamavi il cielo, e intorno vi si gira, Mostrandovi le sue bellezze eterne. » > Percid mi misi a guardar fiso d' intorno a questo nostro Emispero, e oltre agli stupori, che di lassii in varie guise agli occhi nostri lampeggiano, volt^mi a basso, e posi mente alle innumerabili creature, onde si vede la terra a maraviglia ripiena. Qui considerai con qual ordine, e magistero elle sono dalla virtuosa, e poderosa mano guidate della Provvidenza suprema, ch' elle paion fatte tutte per noi, e come dalla loro ingegnosa architettura apprese lo intelletto umano i piii industriosi esempli, e coll' imitazione della natura fecesi maestro dell' arti, talmentech^ i' mi rimasi sic- come attonito a prima vista, e adombrato da una virtii si grande, che da 1' essere a tutte quante le cose, e reputaila in ogni modo per 1' oggetto piti proprio delle nostre meditazioni ; imperocche mi si fe' innanzi per ricordanza quel che il Timeo ne insegna, cioe, le in- finite bellezze, e maravigliose di questo mondo visibile, essere lo specchio di quelle piii perfette, e piii rag- guardevoli, che sono nel mondo intelligibile raccolte insieme, anzi nello intelletto divino per guisa, che sov- venendomi di que' versi : « Quanto per mente, e per occhio si gira Con tant' ordine fe', ch' esser non puote Senza gustar di lui, chi eio rimira; » mi fissai in esso quel piii, e credei senz' alcun fallo da si ammirabili e da si ben regelate fatture, qualche sembianza della ragione universale agevolmente com- prendere, di maniera che io pensai di accenderne in me un certo lume pitl spiritoso, e piii vivo per addi- tame a voi le forme pitl simili nella virttl, e con esso DIALOGHI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 129 lei mettervi sulla via maestra del vivere ; ma appena i' volli ne' segreti profondarmi della natura, e di Iddio, ch' io immantenente rimessi 1' animo, e quanto pitt nel pensier mi stendeva, quel pitl m'accorsi la virttl, ch'egli hanno in s6, vincere ogni sentimento umano, e vie piii di riverenza esser degni, ch' agl' intelletti de' mor- tal! in verun conto proporzionali ; anzi e' mi parve mi- racolo, che noi possiamo cogli occhi distinguere, ed abbracciare coll' inmiaginazione 1' ampiezza di una tal macchina, non che noi dobbiamo intendere con qual concerto ella si govemi, e lo spirito, che dentro la muove, e impercio Dante, che in prima ne invitd alia contemplazione del cielo, ce ne modera poi I'ardi- mento, dicendo : « Perche appressando s^ al suo desire Nostro intelletto si profonda tanto, Che retro la memoria non puo ire. » riflessione veramente proporzionata ad un uomo; 1' altra e d' Apollo, o di chiunque si sia : € Cognosci te stesso, > che era scolpito in fronte al fa- moso Tempio di Delfo ; proposizione divero, e ammae- stramento degno di un Dio: e '1 medesimo Socrate, il piii savio per awentura di tutti gli uomini, a tai fonda- menti appoggid la sua vera scienza; perciocch^ stracco dagli studj meno che utili delle cose naturaU, in ch' e' conobbe poco, q nulla potersene approfittar r uomo, tutto alia cognizion di sd stesso si diede, ciod a dire, alia Filosofia Morale, ch^ egli ebbe per irrepro- bahil dottrina, e per V unico oggetto, e pel giovevole dell' intelligenza umana. Verremo pertanto con amen- due le sopraddette proposizioni i nostri presenti trat- tati regolando ; ravviseremo in prima la fallacia della Filosofia naturale, onde molti si danno a credere d'in- tendere quel che per Io pitl e' non son capaci d' inten- dere. Quindi al frutto discenderemo delle morali, fa- cendoci dalla costituzione dell' Uomo, e delle quality, e degli strumenti, che Io compongono ; imperocch^ con tal ordine procedendo, dalle azioni pitl brutali de'sensi, riconoscendo voi stessi, salir potrete di grade in grade alle pitl sublimi dell' intelletto ed all'altezza gloriosa della virttt, onde 1' uomo s' illumina, e conservasi tanto piii simile a Dio. Incomincieremo percid domani a di- scorrere; e perch^ le giornate, che son lunghe, e Tore calde ne obbligano a qualche lodevol trattenimento, a niuno piii profittevole repute potersi donare il tempo, nd scegliersi materia che pitt di questa all' et^ vostra 132 CAPITOLO SETTIMO. sia confacevole ; oltre che in si calamitosi tempi go- dono le nostre vite sicura franchigia in questo aere salubre dalla pestilenziosa mortality., che Roma atro- cemente distrugge; nelle cui miserie ogni tribunale, ed ogni pill fruttifero studio senza giudici, e senza con- tradittori rimaso, e si senza maestri, o discepoli, ogni arte, e ogni Accademia oziosa lasciata; i pitt litterati uomini in tutte le pitl nobili professioni sotto si pu- rissimo cielo a loro salvezza rifuggiti si sono; dove noi in conversando con loro, ed or I'uno, or I'altro scegliendo per si deliziose gite de' tesori di questa, e di queir altra scienza per bocca loro faremo raccolta, e perfettamente ammaestrati ne diverremo; e 'n fra gli altri D. Raffaello Magiotti, che con esso noi qui ^ dimora, fia il nostro Socrate sapientissimo in tutti i discorsi, il quale ben sapete essere insigne e nell'uno e nell' aJttoo idioma ftreco, e Latino, maestro perfetto di Geometria, ed esimio in tutte le antiche, e modeme fildsofiche speculazioni, il cui chiarissimo ingegno in si alte materie, pitl che I'autoritib de'nomi le spe- rienze convincono, e V evidenza delle ragioni. > Capitolo Ottavo. ESPOSIZIONE DEI DIALOGHI FILOSOFICI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI INTORNO A' PRINCIPJ DELL' UNIVERSO. SoxMABio. — Qaal concetto abbia della scienza il Bucellai, e soe diiferenze da Flatonc. — Quali erano, secondo il Rucellai, i fondamenti del sapero, i criteij e il metodo. — Varie opinioni sai principj passivi delFuni- ^ verso. — NecessittL, noli ' esaminarle, di spogliarsi da qualunque precon- cetto. — Gaida e fine deir esame la sentenza socratica « Hoc unum scio quod nihil scio. » — Sfiducia del Bucellai nelle forze dell* umana ragione. — II perche di qaesto. — II probabilismo accademico si scorge qui fin da* primi passi ; e la fede come ancora di certezza, e di salate. — Talete Milesio o dell'acqua. — Anassimene o dell* aria. — Graclito del fuoco. — Galileo. — Empedocle o i quattro elementi. — Par- menide o d*uno eterno. — Anassimandro o dell* infinite. — Necessity deirinfinito. — II finite non e privazionc di questo. — Cartesio, o Tidea dell'infinito prova della sua realty. — Dato ruomo finito, convien ammettere l*ente infinite. — E questo secondo argomento il Bucellai tiene per piti stringente di quelle del Gartesio. — Ma si 1* nne che Taltre sone argementi prebabili. — Anassimandro e della luce.— Galileo. — II Bucellai nen nega 1* influsse degli astri sal mendo e le cose umane ; combatte per6 1* astrologia. — La Genesi, sant*Agestino, Dante e 1* opinioni di Anassimandro e Galilee suUa luce. — Platooe, la luce e 1* anima dell* universe. — Ma ^ tutte un pud easere. — Anassimandro o de*celeri. — Zenene ed altri filesofi. — Si conchiude coll* « Hoc unum ado quod nihil ado » di Sucrate. — La fede. 11 Rucellai, come tutti i filosofi, vuole esaminare i tre obietti della scienza, Fuomo, runiverso, Dio. In- comincia daj mondo, passando in rassegna le opinioni degli antichi intomo a' principj di esso naturali, guidato dall' aforisma « quest* uno io so che nulla io so » e dal- r autorita. E sul punto di prender le mosse per questo 134 CAPITOLO OTTAVO. viaggio, egli infrena, per cosi dire, i destrieri della fantasia, perchd questa non lascisi traviare dalle ap- parenze, e pel troppo desio di sapere, non cada in presunzione smodata, ne, giusta V ammonimento plato- nico, 0, per dir meglio, di Socrate, la scienza sia con- fusa colla opinione; o, peggio ancora, questa pigli luogo di quella appresso colore che vogliono intendere tutto alia rinfusa e senza scelta veruna, e quello pure che non d da loro, n^ a' proprj intelletti proporzionale. E a ragione Socrate discorrendo della opinione che, al contrario della scienza, giudica le cose per quel che a lei dettano le immagini e il sogno, chiamavala una certa demenis^a dell' anima, imperciocch^ mentr' ella s' ingegna di giungere al vero, fa si che V intelligenza prevarichi, e per lo piii determini il falso ; anzi, se pure il vero determina, cio fa ella per caso, talmentech^ se scienza fosse 1' opinione, la scienza consisterebbe in ap- porsi. Ond' 6 che per riparare a cio, i primi sapienti della Grecia (detta da Diodoro Siculo la scuola del ge- nere. umano) aprirono una via maestra, la dialettica, per la quale il naturale discorso, non a benefizio di na- tura, ma si camminasse sotto 1' indirizzo della ragione. il notorio come nella dottrina di Platone si distin- guesse la fede, la scienza e 1' opinione, e come secondo Platone la scienza consiste nel giungere agli univer- sali, cio^ alle idee che sono la essenza intelligibile delle cose ; essenza intelligibile delineata coUa defini- zione^ e secondo cui si pud giudicare con certezza delle cose stesse. La opinione invece consiste in un giudizio piii meno probabile secondo le apparenze deUe cose, piuttostochd secondo Fidea loro. La fede 6 un giudizio secondo Fautorit^. Ora il Rucellai pone queste distinzioni platoniche, ma senza seguime la dottrina, perchd quantunque egli INTORNO a' PRINCIPJ DELL' UNIVERSO. 135 pure ponga la scienza nel conoscer le cose in s^ stesse mediante le idee, nega che si possa mai giungere alia certezza se non mediante la fede ; talch^ la scienza per lui diviene scienza o certezza nella fede ; da sd sola non 6 che opinione piii o men probabile, o doxa, EgU esclude solamente le matematiche, le quali, a parer suo, ci recan certezza. Ma ^ notabile anche in tal parte com'egli si allontani da Platone, il quale anzi poneva le matematiche in secondo luogo, dando il prime luogo alia scienza delle essenze o degli arche- tipi etemi, e alia scienza che vi conduce, ciod aUa dialettica. Finalmente vuol notarsi che, secondo Pla- tone, la sola fisica non pud uscire dai confini della probabilita : mentre che pel Rucellai non pud uscirne la metafisica e la fisica, ma soltanto la matematica. A Jeracio poi, sofista interlocutore, che esaltando la autoritit del sommo dialettico Aristotele, dichiara infalUbile, e i dettami di lui come oracoli, si che as- severi tutto per la dialettica e perd per Aristotele po- ter sapersi, e comprendersi le cose di quaggiil e quelle anche di sopra, il sacerdote Magiotti, guidator de' dia- loghi, oppone che quantunque il filosofo di Stagira sia grande, e dette abbia grandissime verity, pur le cose da lui proferite non son tutte vere; e soggiunge come r eccesso della fiducia proveniente dalla logica meni a disordini gravi, se ci si arroghi d'intendere quello che ^ racchiuso nella intelligenza divina, e che il pic- colo seno deUe menti nostre non cape; quantunque il discorso per quest' arte si elevi all' alta contempla- zione divina ; ma altro, pel Rucellai, d contemplare e il toccar coUa mente le cose superiori, altro d lo in- tenderle ed aveme possesso. Di guisa che anco pel Rucellai la filosofia sa- rebbe scienza delle ragioni supreme delle cose. Ma ognuno di gi^ si accorge della sfiducia che il filo- sofo fiorentino sperimenta e professa intomo alle forze deUa umana ragione ; intravede subito che mal- grado abbia il Rucellai presi a guida i due noti afo- rismi sulla indagine della verity, pure nel suo procedere innanzi ha sempre tese le orecchie alia placida armo- nia della sua fede, in cui spesso lo vedremo quietarsi, a mano a mano che egli procede tra i rumori discor- danti delle opinioni e del dubbio. Vuole avvertirsi an- cora come il Rucellai non distingua quello che i Platonici tutti distinguevano, e segnatamente Proclo ; anzi quello che d pur necessario distinguere secondo la verita dei fatti, cio^ tra dialettica di Platone e logica d'Aristo- tele. La dialettica di Platone d la scienza dell' idee archetipe o universali, a cui si giunge per contempla- zione, discemendo Fidentico e il diverso. Invece la logica d'Aristotele espone le leggi formali del nostro pensiero. Quindi mentre la logica di Aristotele, consi- derata da s^ sola, pud servire anco al sofista, la dia- lettica di Platone no, perch^ consiste nel cogliere la genuina idea delle cose. Si pud errare secondo i Pla- tonici, ma perchd non si contempla bene abbastanza, INTORNO a' PBINCIPJ DELL' UNIVEBSO. 137 come si pud errare dal fisico non osservando con esat- tezza i fatti ; ma la contemplazione come 1' osserva- zione non possono per s6 medesime condurre all' errore. E tanto poi ^ voro di questa sfiducia del Rucellai che per bocca del Magiotti, in quel tempo nel quale il Galileo, suo maestro, creava la fisica, e il Cartesio ri- portava una non piil udita vittoria sulle scoperte del- Tanima, dice: E conchiude queste che io con Toce militare, ma significativa, chia- mevQi parole di consegna, dicendo che la vera filosofia non consiste nell'imparar molte cose, nel saper tutte r arti ; ma e' la riduce solamente alia cognizione di sd 138 CAPJTOLO OTTAVO. stesso, e a quella vera e irreprobabil proposizione di So- crate : « Quesf uno f so che nulla iosoE nel muoversi dubbi a vicenda nelle prossime conversazioni, dice con- sistere la giusta maniera per ritrovare la vera ragione delle cose, e non affidarsi aUa sola autorit^ nei maestri. Sfiducia adunque o fiducia limitatissima nelle forze della umana ragione, la consapevolezza della propria ignoranza, 1' universale consentimento, I'esame, e so- prattutto la Fede^ sono le Encore di salute dell' umano sapere, i fondamenti di esso per il Rucellai ; V auto- rit^ umana una riprova probabile di verity, Y autorit^ religiosa il porto dove ogni tempesta del dubbio si calma, ed ogni nube d' ignoranza sparisce. Vediamo intanto com' egli osservi questi criterj, ed applichi que- sto metodo alle indagini sue. , Deposta qualunque maniera di anticipate giudizio a favore piil di una che d' un' altra opinione, e di che prega caldamente gli ascoltatori, il Rucellai, col Ma- giotti, si fa da'primi principj che gli antichi opinanti attribuirono alle cose natural!, non dal lore principio agente, cio^ dalla Cagion Primaria, dispositrice di tutte le cose, increata e senz' altre origini che da sh stessa ; imperciocch^ di questa per quella guisa che ne hanno speculate i grandi uomini, faveller^ in piii appropriate luogo ; ma dai principj materiali che essi appellano causa passiva, conciossiachd dalla cagion prima rice- vono tutti la lore impressione. Ed in sedici Dialoghi, ch' io chiamo fisid, (e, si noti, non gi^ nel significato di scienza sperimentale, come oggi si prende, ma nel- r altro antico di speculazione filosofica intorno ai prin- cipj delle cose), riferisce le molteplici e diverse opinioni intorno a cio professate dagli antichi filosofi, con que- sto intendimento che cio^, mostrando le ragioni appa- renti che militano a favore di questa e di quella sen- INTORNO a' PRINCIPJ DELL' UNIVERSO. 139 tenza si fra di loro contrarie, e facendo si che, una per Tina a tutte quelle opinioni, per le ragioni proba- bili clie le sostengono, inclinino gli ascoltatori; se ne deduca per conclusione finale la verity di quello afo- risma socratico, e, come il gran Vecchio faceya, cosi noi in quella specie di scettico ondeggiamento, lo po- niamo a base e a pietra angolare del nostro sapere. Ella ^ questa, come ognuno si accorge, del trattato filosofico del Rucellai una parte negativa. E di Talete Milesio per prime discorre, come di quello che pensd incominciamento universale della natura esser I'acqua, in cui gli sembrd tutte le cose si disciogliessero ; imperciocch^ I'acqua assottiglian- dosi in yapori finissimi aria si facesse, e pigliando corpo visibile se ne formassero le materie piii dure, divenisse terra, e fino si convertisse in sassi. E poi, perch^ osservo tutte le semenze delle cose esser umide, tutte le diverse specie e composti degli umidi fossero sotto il genere puro, semplice e universale dell' acqua, e il fuoco stesso avesse bisogno dell' umido per man- tenersi, perch^ non la quantita e 1' eccesso dell' umido, ma la quality, in proporzione di loro essere, ^ quella che le suddette cose in vita sostiene. Ed aggiunge il Magiotti, come anche Zenone, il capo e maestro degli Stoici, tenesse per fermo che Iddio per s^ in ogni na- tura convertisse I'acqua, e che egli come virtii proli- fica di tutte le cose nell' acqua risedesse : adunque I'acqua era creduta da lui il cominciamento materiale e passive del tutto, perciocch^' Zenone osservd ogni misto nella sua putrefazione risolversi in una massa, nella quale ^ manifesto al sense che predomina 1' umido; e sembra di piti al Rucellai ricavarsi dalla stessa Genesi la prima generazione dei corpi misti e viventi farsi dalla virttl vivifica di Dio posta suU' acqua. Anzi alcuni 140 CAPITOLO OTTAVO. de' primi dottori della Chiesa, san Giovanni Crisostomo, Agostino, Procopio, seguiti dal Pererio, il luogo del Genesi, ove si dice che lo spirUo del Signore si tra- sportava sopra le acque, espUcano cosi, cio^ che una virtii divina e vitale disponeva le ^cque alia conce- zione e generazione delle cose. Adunque (dice il Ru- cellai) tennero anch'egUno che Domeneddio, primo agente, si valesse dell'acqua, si come prima e co- mune materia passiya, ove s' imprimessero tutte le diverse forme. E accennate con precisione altre fra le opinioni di Talete e Zenone intomo all' altre cose deUa natnra, e osservato come Talete negasse il vuoto, e come Zenone quant' alia terra abbia detto cose che mirabilmente ai nostri sensi s' acconciano, espone il nostro filosofo la dottrina di Anassimene, seguita poi da Diogene, che fa deir aria il principio naturale e causa passiva di tutte le cose, come quella che d per tutto e prima dell'acqua che di essa componesi, riferendo i dati di possibilita che dall'aria, come I'acqua, cosi le altre cose per mezzo di questa divengano, si che per le ragioni che Anassimene ne porta sia giocoforza, dice il Magiotti, che ne' sensi di lui si discenda, abbando- nando Talete. Pare da non lasciarsi sotto silenzio co- me il Rucellai prenda un po' all' ingrosso queste anti- che dottrine. Secondo gli Jonici e secondo Eraclito, il primo principio delle cose, acqua, aria, fuoco, non sono gi^ r aria, 1' acqua e il fuoco quaU appariscono, ma un intimo e occulto principio che in tutti gli elementi si tra^orma, e che pitl si manifesta in cio che a noi apparisce essere o acqua o aria o fuoco. E qui riferi- sce pure il pensiero di Anassimene intorno alia strut- tura dell' universe, E all' Im- perfetto che esclama : il medesimo Magiotti socrMicamente risponde : Ed Eraclito fu quelle che ebbe si fatta opinione, cio^ dal fuoco incominciarsi ogni cosa e nel fuoco tutto dissolversi ; e 1' acqua e 1' altre cose credette esser pez- zetti e corpusculi di fuoco insieme congiunti. 142 C/LPITOLO OTTAVO. Mi si conceda fermare il pensiero un poco su que- sta opinione del Galileo riferita dal Rucellai. Essa, per quahto noi sappiamo, non trovasi nei libri di Galileo stesso, ma sembra una ipotesi che il grand' uomo po- nesse innanzi ragionando cogli amici e di^cepoU. II qnal supposto ci riesce confermato dalle seguenti parole del Rucellai : Inoltre 6 molto singols^re che in questa ipotesi Galileo precedeva i modemi sostenitori deir unit^ delle forze fisiche. Ma con quanto ritegno il feujeva! aggiungendo solo che questa non gli pareva piii inverosimile di tant' altre opinioni spacciate fuori per vere : e non osava chiamarla, non che vera, verosimile. II Rucellai aggiunge, come Galileo al padre Campanella, il quale consigliava il gran matematico a metter fuori certi suoi pensieri come una nuova e ben fondata filo- sofia, rispondesse : che non voleva per alcun modo con cento pitl proposizioni apparenti delle cose naturah screditare e perdere il vanto di died o dodici sole da lui ritrovate, e che sapeva per dimostrazioni esser vere. E tomando al nostro Rucellai, egU argomenta con que- sto tutte le cose farsi per via del moto o del caldo, poi- ch^ il caldo si produce dal moto, e il moto si eccita dal fuoco (materia sottilissima che 6 per V aria e penetra per tutto) e anche la stessa terra, come anco i modemi pensano, dice il Magiotti, riceve dal fuoco suo intemo lo impulso onde salgano i vapori per I'aria. Dichiara indi, esponendone le probability, come Parmenide, per render conto dell' apparenza dei sensi, la quale basa sopra una maniera costante di rappresentarsi le cose. INTORNO a' PRINCIPJ DELL' UNIVERSO. 143 tenesse anch' egli il fuoco etereo principio della natura, perd anche la terra. E cosi di Empedocle di Agrigenfco il quale riconosce in un modo espresso quattro ele- menti, la terra, Tacqua, Faria e il fuoco: e il fuoco, come agente della produzione, esercita secondo lui la parte principale. E il Magiotti ne illustra si bene la ragionevolezza dell' opinione, che i suoi interlocutori abbandonato Talete, Anassimene ed Eraclito, nella sen- tenza di Empedocle sono costretti di convenire. E que- sto artificio dialettico, si stupendamente adoperato da Platone in quel dialoghi, dove via via esclude le di- verse opinioni, senza esprimere una conclusione positiva, e maestrevolmente, parmi, seguito del pari dal Rucel- lai in questi dialoghi, all' obietto che ho dichiarato. E, indi, tornando a Parmenide, e discorrendo del- r unico principio, ciod dell' una eternOy dice, iUustrando i concetti di lui, che il non essere non potrebbe esser possibile, che ogni cpsa esistente e una ed identica, che pure cid che esiste non ha punto principio, che egU 6 invariabile, indivisibile, e che ogni movimento 8 cangiamento 6 una pura apparenza. E cosi quantun- que abbia egli ben presupposto un principio unico, im- mobile, eterno, tali attributi non d^ poi cui si conven- gono, poich^, dice monsignor Limeo interlocutore, non si pud negare che non ci lasci luogo Parmenide a sa- lire un po' piii in su, e a presupporre un' unit^ super- lativa e assoluta, che non ammette in sd stessa diversity anco insensibile, e un' immobility perfetta, semplicissi- ma e mai sempre costante ad un modo che in s^ non abbia movimento alcuno, avvegnachd per lei tutti i moti e tutte le operazioni dell' universe si tacciano, ed abbiano essere e vita. Scende poi al sistema di Anassimandro che ripone nell' infinite il principio delle cose, e al figUo Luigi, 144 CAPITOLO OTTAVO. che dice dell' infinito essere impresa vana il farellare, poicM non potendosi intendere, 6 gran segnale ch'ei non si dia, risponde il Bucellai col suo Magiotti che gli ingegni umani non sono adequati a tutti i possibiliy e che percid il non comprendere una cosa non ^ per noi prova che la non ci sia; come anche in questo caso altro si 6 il conoscere quel che ^, e come e'ci sia r infinito, altro s' egli 6 : e mentre la prima inda^ gine a noi mortali rana riuscirebbe, la seconda e age- volissima ad effettuarsi, per modo che sia giocoforza il confessar3 che per necessity T infinito ci sia. Da questa conclusione del Rucellai, apparisce come egli attribuisse forae alia ragione la capacity di giungere alia certezza solamente in qualche cosa. In qual cosa? Nell' aflfermare che Dio c' d, che c' ^ il mondo, e che noi esistiamo ; negando poi alia ragione di poter sa- pere per sd sola, fuorch^ con opinioni probabili, quel che siano le cose del mondo, e I'uomo, e Dio. Ma per quello che riguarda le dottrine di Anas- simandro, il Rucellai ricorda come quel filosofo di- cesse che 1' infinito e la sostanza prima, contenente tutto in s6 stessa, e in cui avvengono e produconsi i cangiamenti perpetui delle cose; come dall' infi- nito si dividono i contrarj per un continue movi- mento, nello stesso modo che essi ritornano a lui. Tutto ci6 che d contenuto nell' infinito va soggetto a cangiamento, ma d immutabile egli stesso. E cosi si confonde 1' infinito agente colla materia per Anassi- mandro, e, come per lui, anco per altri filosofi an- tichi e recenti. Mentre il Rucellai, quantunque dica r infinito non potersi intendere, perch^ non ha propor- zione col finite, e quindi doversi contentare di assoggd- tare lo inteUeUo a tenerlo per fede, ei lo distingue bene e ferma il finito non esser privazione dell' infinito, sib- J INTORNO A' PRINCIPJ DELL' UNIVERSO. 145 bene solamente il nulla infinite o finite ^ incompatibile coU' Ente infinite, si come Y Ente finite o infinite ^ in- cenipatibile eel nulla infinite. E ci5 dimestra cen ele- ganti parele ; ceme pure dimestra centre Anassimandre, scerdandesi alquante dell'intendimente negative a cui mira in questi DicHoghi eel sue metede di successiva eliminaziene, dimestra, ie dice, geemetricamente la impessibilit^ che 1' infinite asselute si cemunichi alle cese finite e che ci siane due infiniti, applicande alia dimestraziene la terza prepesiziene del trattate di Ga- lilee su i meti unifermi. E in sentenza platenica seg- giunge pei ceme tutte le cese finite e le lere perfezieni si staccane dall' infinite, cied da quel perfettissimi esem- plari etemalmente lecati nella mente di Die, createre perd della materia dal nulla, e che raccoglie nell' atte prime, ciee nel prime cencette dell' epere sue, una virtii seminale e ideale, ceme direbbe Platene, di tutte le cose fatte, quante in petenza di farsi. Vedesi con quanta chiarezza il nostre neeplatonice ricordi ed accelga i pensieri dell' Ateniese, contempe- rati sempre dal Cristianesime, e cen quelle stile che e degno di si alte dottrine le renda accessibili ad ogni intelletto, pregio invere da tenerne cento in une scrit- tore di materie filesefiche. E stabilita la necessity, del- 1' infinite, soggiunge : Che e' si vegga V universe muta- 10 146 CAPITOLO OTTAVO. bile, variabile e in tutto diverse dall'essere dell' infinite, questo ^ chiaro. Adunque come s' intend' ella ? E a Luigi che risponde : oh ! questo noi non glielo sappiam dire, cosi (prego si avverta) discorre: e questo vale che, dato I'uomo, ^ data 1' esistenza di un ente, e che questo ente ^ limitato. E anche in quel che con discorso metafisico applicato a naturali proposizioni 6 venuto provando, conchiude che non v'§ da riporre certezza, ma sola- mente ritenerlo come probabile; e pero meglio sti- mare di rifugiarsi nella fede che le cose razionalmente probabili illumina di verita, e conchiudere anco una volta col detto sapiente di Socrate : Quesf uno io so, che nulla io so, Ne'quattro dialoghi suUa luce (9-12) meramente fisici, egli riporta le dottrine di Anassimandro e pro- fessa, esponendole, le opinioni del Galileo con trepida- zione per timore di guastare cid che dice il grand' uo- mo a cui professa venerazione, e dichiara tutto cid che di buono dice intomo al sole e sua natura essere del filosofo illustre. E anzi tutto ^ notevole questo passo in cui si esprime per guisa da non lasciar dubbio che egli crede agrinflussi degli astri sulle cose terrene: E nel dialogo sopra Xenofane, (dial. 16) detto chiaro che egli ha per impresa impossi- bile e vana Y astrologia, conclude che mentre non puo negare V influsso fisico degli astri, sulle cose della na- tura, e anco sull'uomo che della natura fa parte, ag- giunge pero che a voler fare 1' astrologo, vuolsi sapere INTORNO a' principj dell' universo. 149 e accorgimento non ordinario, jBnezza e malizia inge- gnosa; e soprattutto il cicalar di molto ^ giovevole a interessare e prendere gli animi, di cui si predicono gli avvenimenti ; nulladimeno da chiunque fa si fatto mestiere agevolmente s'inciampa. Gli ^ degno senza dubbio di nota questo, perch6 distacca il Rncellai dal Rinascimento, che trovava appunto spiegazione del ri- sorgere cosi alacremente tutto Tantico nell'idea stessa della civiM e della filosofia Platonica e Aristotelica, e precisamente nel loro concetto intomo al mondo. Qual infatti era esso concetto? Quello di un movi- mento circolare, concetto antichissimo, che noi ritro- viamo anche nell' liidia. Platonici e Aristotelici imma- ginavansi il mondo siccome una vastissima sfera, ma pur limitata, che avendo in se molte sfere concentri- che, girasse intorno a se e ad esse, e per modo che il ritorno periodico della tale o tal'altra posizione degli astri nel cielo si congiungesse ad un periodico rina- scere degli avvenimenti nel mondo per Tinflusso che quelli esercitavan su questi. Lo che invero pu6 essere una tra le altre- ca- gioni che spiegano la fede che quel filosofi ed eruditi del Rinascimento avevano del doversi rinnovellare in ItaHa gli antichi sistemi, le antiche civilt^ per definire con essi i loro problemi intorno al triplice obietto della filosofia. La luce pertanto in modo vario e per mille ma- niere d^ 1' essere, per Anassimandro, a tutte quante le creature, e senza di essa qualunque cosa riducesi al nulla. II sole ^ il fonte primiero della luce, ma non I'unico, come ne confermano parecchie esperienze, ed essa 6 una cosa da se, che in gran dovizia ritrovasi nell' astro maggiore del sistema nostro. La luce che Platone nel Timeo e altri filosofi poser nel fuoco e la 150 CAPITOLO OTTAVO. dissero la quintessenza piii fina e piU lata di esso, forma i colori nelle sensibili cose, ^ Y elixir vUtB della natura, e in tutte le cose rinviensi, ed d secondo il Galileo (che pur qui il Rucellai chiama principQ de'filo- sofi, e scorta e direttore dei suoi discorsi) 1' ultima ed estrema espansione della natura. E qui cita molti esempi addotti dal gran fisico e matematico per dimostrare che in tutte le cose c'^ mistura di luce o etere, o fuoco, secondo che questa sostanza gli d parso chiamarla cosi o cosi dai filosofi. E il Rucellai tiene come Platone, Galileo e Descartes gli atomi, che come il tutto cosi 1' etere o il faoco la luce compongono, ma pero soggiunge col Magiotti che il definire gli atomi, rotondi, o acuti, o piramidali, d parlare per ipotesi, non perche dessi gli abbiano visti. Comunque, e dal vedere come Galileo provi col fatto ogni cosa esser permista o vivificata dalla luce cominciamento naturale di esse, e dall' os- servare come ci6 sembri confermato dal Genesi e dai Santi Padri, ben deduce potersi commendare in questo INTORNO a' PRINCIPJ DELL' UNI VERSO. 151 senso quella proposizione platonica che assegna 1' anima universale del mondo, e come per quest' anima egli in- tender dovesse la luce. Odasi, di grazia, il ragionamento erudito : E santo Agostino, quel sottilissimo ingegno, nelle sue Confessioni : QueUa liice soUilissima sopra ogni cosa, alimentata da vivificante colore, quarito tempo ignorai che f OSS' ella cagione delV ornamento delV universo ! Fino a che agli occhi miei annebbiaii non rifulse U lume eterno del Vero! La qual luce alia bellezza ed alio 152 CAPITOLO OTTAVO. spirito, sopra d' ogni altra creatura, si rassembra di quel primo ed ineffabil lume, che etemalmente e senza fine risplende; di cui elia d qua tra noi la piii fami- glievole immago. Che irapero fu detto 1' eterno Fattore: Luce della luce, e fontana di lume. Ed in altro luogo: Delia luce Egli la luce, e '1 giorno. > E simigliantemente sant'Agostino, coUa sua acu- tezza, si andava rivolgendo per Tanimo dicendo: Ma che pro dunque a me ne veniva, che tu, Signore e Dio mio, Verita, fossi luddissimo corpo, ed to particella d'un corpo tcde? Oh! quanti sentimenti al nostro proposito trar si possono da queste scritture! Percio duirque si puo credere, con essa luce (come piii attiva, piii sem- plice e piii pura, e impero, come principio, pitl alle divine cose somigliante) si dessc, per mano del Sovrano artefice, il cominciamento e 1' omamento a tutto il mondo visibile ; locandopoi quella per la maggior parte, come in sua miniera, nel sole. II che viemaggiormente si autentica dal nostro medesimo divin Poeta, in quei versi : « Lo ministro maggior della natura, Che del valor del cielo il mondo imprenta, E col suo lume il tempo ne misural » > Cosi dunque, avendosi la luce, a cagione di sua purissima natura, non dico per la pitl simile tra le cose visibili, ma almanco per la meno dissimigliantiB alia divina sostanza ; puossi commendare in cid quella pro- posizione Platonica. Perchd Platone, col lume solo della natura, giunse a fare una si maravigliosa graduazione: ponendo tanti termini di mezzo tra Dio e la materia, per render meno discrepante e meno discorde I'am- mirabil concetto e fabbrica del mondo ; mentre co'mezzi all'uno e all' altra confacevoli va regolando la diffe- renza che e tra '1 composto inferiore e il Supremo INTOBNO a' PRINCIPJ DELL' UNIVERSO. 153 Compositore, e quale attaccatura, e per qua'mezzi, possa darsi tra loro. E imper6 mi cred' io, quandun- que alcun dato avesse a quelle intelletto perspicacissimo ad esplicare quel detti della Genesi: E lo spirito di Bio id andava sopra le acque. E disse Iddio : Sia fatta la luce, ed ecco la luce; egli, non giungendo tant' oltre al lume della Fede, conformando tal sentenza a'proprj Bentimenti, avrebbe rispo^to, che questo era Iddio ; il quale, coll'occhio della sua divina Mente, se ne giva yagando, e riguardando in qua e in 1^ sopra il chaos ; e che secondo gli esemplari e le idee perfettissime, in essa raccolti ab atemo, disegnasse tutte le forme delle cose fattibili, ed innanzi ad ogni . cosa facesse la luce, che ebbe dall'eterno Motore (quantunque Egli in sd stesso sia mai sempre stabile e fermo) gl' impulsi pri- mieri, cio6 a dire dall' atto primo V attivit^ e il moto, ond'ella avesse la mano (come principio della natura e anima dell' universe) in tutte le formazioni e nella perpetuity delle produzioni, che ad ora ad ora si rin- novellano nella materia. Che appunto disse il Timeo, Iddio col valore di sua somma onnipotenza, senza mezzi, aver creato 1' anime, gli spiriti e gl' intelletti univer- sali, siccome sostanze prime, e viepitl alia sua divina natura conformi ; aUe quab* desse la cura e '1 disegno, sotto la sua assistenza come Architetto sovrano, di formare tutte le cose pitl materiaU e corporee, ove esse locar si dovidno. Talmentech^ dove noi non compren- diamo quale sia quell' anima universale, che egli inten- deva per collegatrice delle cose divine coUe naturaU, possiamo noi, con piU fondamento ancora che non avea egli, creder che cid sia la luce; la quale fosse da Dio creata, onde ella desse all' universe sensibile, ad esempio dell' archetipo, la sua piil bella, visibile e maravigliosa forma. Che impero sembrami tornarci 154 CAPITOLO OTTAVO. mirabilmente in acconcio quel luogo di Dante nel Paradiso: cDunque nostra veduta, che conviene Esser alcun de'raggi della Mente, Di cui tutte le cose son ripiene.» > Abbiamo per conseguente gran cagione d'immagi- narci, ancorch^ nol possiamo con prove infallibili fer- mare per vero, la luce essere quel movimento occulto e perpetuo, sparso e disseminato per tutte le cose viventi ; risvegliato per lo prime impulso nella natura universale dall' atto primo, che d Iddio. > j& prcfbdbUe, disse, non infallibilmente vero ; che la ragione d agitata e ravvolta nel contrasto di opinioni diverse che il vero le adombrano sempre, e mai per intiero gliel mostrano, finchd 1' anima sia mischiata col corpo. E di questi quattro dialoghi la conclusione non d percid a dubitarsi che sia identica nella sostanza alle altre, e confermisi ivi appunto lo scetticismo in cui si mantiene nel discorrer dei principj della natura il tilosofo nostro, in questa parte de' suoi dialoghi che noi chiamammo distruttiva. Uguale d poi la conclusione a cui il Rucellai arriva dope aver favellato de' colori, ed esposte intomo ad essi le opinioni dei varj filosofi, e cercato di avvici- nare, come sempre fa, col modemo 1' antico, Galileo con Platone. II qual Platone, come Democrito ed Epi- cure, fa i colori consistere in una fiammella a cui perd 6 necessario il concorso del sole; questo fulgore di luce riflette variamente dai corpi colorati secondo i modi varj coi quali i raggi del sole gli feriscono, e secondo le positure e figure delle superficie dei corpu- sculi componenti quello o quell' altro oggetto che i raggi ricevono o ribattono. E come Aristotele, cosi il Rucellai opina i colori non esser sostanze,ma accidenti, effetto cioe di luce cadente nei corpi, luce che forma i colori. Conchiude pero che queste sono opinioni di filosofi, ma noi non possiamo ritenerle per veri asso- luti ; e pero ritomare all' aforisma: Hoc unum scio quod nihil sdo. Io mi astengo da riferire la esposizione che nel Biajogo quindicesimo fa il RuceUai delle opinioni in- tomo al principio passive delle cose professate da Ze- none, da Archelao, da Filolao Pittagorico, da Prota- gora, e da Senofane, dope le quali egli conchiude nella medesima guisa, non senza prima aver magnificato certe stupende divinazioni di quegli antichi filosofi, e allettato gli ascoltatori, per bocca del Magiotti, ad abbracciare ad una ad una le loro opinioni diverse. Questo viaggio del Rucellai a traverse le varie e molteplici sentenze de' filosofi intorno al cominciamento passive del mondo, piii che viaggio, adunque, ti si rassomiglia all' ondeggiare irrequieto di una nave che 156 CAPITOLO OTTAVO. sospinta in alto mare, e pur volendo pigliare una dire- zione a porto sicuro, venti contrarj e tra s^ lottanti ne la tengono perplessa, mentre nell' animo del pilota suscitano come una tempesta di dubbj suUa sorte av- venire del legno ch' e' guida. E uno scetticismo non disperato no, ma, se m'e lecito la frase, imo scetti- cismo fiducioso e credente, che si pone a fondamento di tutto il sapere, giusta 1' insegnamento Socratico, la consapevolezza della propria ignoranza; fondamento negativo per il Rucellai, in quantochd la fede religiosa solamente rende certi gli argomenti probabili della ragione; e che per il Cartesio si converte nella cer- tezza della coscienza del proprio pensiero, vale a dire in un fondamento positivo dello scibile umano. Capitolo Nono. ESPOSIZIONE DEL TIMEO DI PLATONE NE' DIALDGHI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. SoMMABio. — Ammirazione del Racellai pel Timeo di Platone. Opinione e scienza. — Necessita di un Principio primo. — Plotino. — Trime- gisto. — II Rueellai non e dualista, come Platone. — Fine della creazione, il buono. — Obiezione e risposta. — Neirorditfe delPuni- verso si legrge il verbo di Dio. — Gli archetipi eterni. — Platone manca della fede, e per5 neir attinenza di causalita tra Dio e il mondo cade in errori. — La mente divina forma di tutte le forme. — La mente umana e le idee. — Loro natura. — II Rueellai combatte Aristotele, Trimegisto e la creazione. — II mondo non e Dio; ne Dio e Tanima di esse. — Ma e sua Icgge. — Ne I'amore, per se, e anima deiruniverso. — Desso come armonia ed ordine pu5 appellarsi anima del mondo. — % pel Rueellai, lo Spirito Santo. Del !Bmeo di Platone il Rueellai d^ tutta la strut- tura, esponendolo, col riprodurne tradotti i punti piU qualificativi, e commentandoli. Desso,' il nostro filo- sofo si accosta, direi quasi, con religioso tremore e come compreso nelP animo di alta maraviglia a questo monumento divino del genio Ateniese, che pare scriva dal cielo le cose stupende di lassil agl' intelletti finiti degli uomini. E per6 egli, a malgrado che i voli della mente cerchi infrenare coUa ragione e V esame, pur non di rado accade che amniiri piii di quel ch' e' di- scuta, magnifichi piii che esamini, e Tidealismo pla- . tonico lo preoccupi tutto, e dimentichi la voce del Galileo. E su' principj della natura discorrendo in sen- tenza platonica, osserva come a ragione il j&losofo ponga 158 CAPITOLO NONO. per universale fondamento ch' e' si dee innanzi tutto distinguere qudlo che sempre c, da queUo che mai e, e che ha nascimento ; e come il primo lo comprende la ragione, 1' opinione per via de' sensi il secondo; vale a dire che a Dio non si pu6 arrivar con i sensi, ma si r animo il pud seguire meditandolo, e raffigurandolo nelle sue contemplazioni per cagion prima, universale, assoluta. 11 secondo (cio^ I'universo) accorgerci ch'ei c' ^, perch^ il senso lo vede, e varie opinioni formarsi delle cose naturali, e la certa verita di come elle siano non esserci mai chi V aggiunga; dappoich^ il senso non sia che un vestigio dell' intelletto, e 1' opinione e V im- maginazione una copia di esso confusa ed abbozzata; ed i sensi ingannin sovente. Edefinite il divario tra opinione e scienza, tra senso e intelletto, il Rucellai, sic- come Platone, riconosce dialetticamente la necessity di un Principio primo delle cose, o come i Teologi, di un principio prindpiante della natura, in cui stieno gli archetipi eterni delle cose create, le quali sono alia lor volta imagini imperfette di quelli. Onde a ragione Plo- tino chiama la natura forma di tutte le forme^ ma con tale infinita disparity, che Iddio, prin- cipio principiante di tutte le cose, eccetto della materia eterna per Platone, ma pel Rucellai anco di questa (nel ESPOSIZIONE DEL TIMEO, EC. 159 che discostasi dal Maestro, come per senten za contraria alia fede piil che ei la stimi contraria alia ragione stessa) infuse nel mondo create o formato grimpulsi della sua conservazione e dello svolgersi continovo suo. E dove sulla ragione dell'origine dello universo, opera bellissima e imagine di qualche cosa di etemo, discorre, dimostra esser lo stesso Platone rimasto trepidante come dinanzi a cosa troppo sovrumana, e quasi, come santo Agostino, aver egli medesimo confessato ch' e' conviene credere per intendere, non volere intendere per credere. N^ si diparte da Platone, anzi concorda con lui il Rucellai nel dire che fine della creazione fu a Dio per- fettissimo il buono, e questo per formare con amore una cosa, la quale e' voleva che riuscisse oltre ogni pa- ragone bellissima ; E nel Paradise, mostrando di scorgere tutte quante queste cose sublimi nella incomprensibil luce della Divina Mente: « Pero che'l ben, ch'6 del voler obietto, Tutto s' accoglie in lei, e fuor di quella £ difettivo, cio che 6 li perfetto. » > Per lo che vien dimostrando anch'egli che questa copia non giugne a gran via alia perfezione del suo originale. > E, come Dante, recasi qui pur David a sostegno della dottrina platonica, laddove il Cantore de' Salmi enumera, come Platone fa, i principali e piii sovrani attributi di Dio, in cui stanno gli archetipi etemi delle cose, e dice come nella creazione, prima di tutti cominciamento universale di qualunque sua fattura 11 162 CAPITOLO NONO. formo egli i cieli nel suo intelletto ; con che interpreta] il Rucellai aver voluto David, come Platone, signi- ficare che avanti di creare le cose fuori di s^, Iddio avesse ingenerato oft aitemo in s^ medesimo I'idea di quella fabbrica che poi fece, e con la formasfione dei cieli neW intelletto^ volersi indicare il mondo intelligi- bile, il mondo archetipo eterno, in sentenza stessa pla- tonica. E come beUo cred il mondo, perche la perfe- zione assoluta del bello ?ibbraccia anche la perfezione assdluta del buono, ambedue contenute in unit^ per- fetta della volonta, onnipotenza e sapienza divina, cosi lo creo dunque anche buono, formandolo con armonica proporzione, daUa discordanza riducendolo a conso- nanza, dal disordine alFordine. E le forme che non riescono buone e belle, non per colpa di Dio, ma per vizio della natura si trovan nel mondo, e sono occa- sione a lui eterno Facitore per ispargere, dice Platone, suir universo i suoi beni. II quale, soggiunge il Ma- giotti, piii che e' pud si studia farci comprendere que- sta creazione del mondo. Onde il poeta : « Nel suo profondo vidi che s* interna Legato con amore in un volume Cio che per I'universo si squadema. » > Ed il Petrarca ben distingue 1' idea dalP esemplare in quel sonetto maraviglioso che incomincia: c In qual parte del cielo, in qualMdea, Era Tesempio onde natura tolse Quel bel viso leggiadro, in che ella volse Mostrar quaggiu quanto lassii potea. > II qual mondo visibile, vuole il Timeo, ma il Ru- cellai non consente, che per divino privilegio o per me- rito dell' amma universcde che da Dio fatta immortale lo informa, sia anch' egli, quantunque continuamente mo- rendo, immortale. E ascendendo piii particolarmente alle idee, agU ar- chetipi etemi, egli, il Rucellai col Ficino dichiara, co- me Platone ne insegna, la Mente Divina esser forma di tutte le forme, idea di tutte le idee, le quali tutte in s6 le comprende, idee a cui le sensibili forme si rassomighano come le ombre ai corpi. La idea dunque di ciascheduna cosa, bench^ in riguardo al nostro intendimento di diverse cose paia composta (ei soggiunge) e da movimenti varj distratta in qua e e in 1^, in Dio eUa e una sola, e sempli(?e e ferma ed 164 CAPITOLO NONO. etema, possedendole tutte insieme, Ed oltre convenire in questo intendimento, il Ru- cellai, a conforto di esso, le ragioni di dotti antichi e di santi ne adduce, specialmente deU' Ipponese, e lo stesso libro dell' EcclesiasHco e di Giobbe. Ed e degno di considerazione cio; imperocchd quantunque appa- rentemente egli esca qui fuori un po' del suo consueto e sistematico probabilismo, pure in realta vi rimane; ch^ questo vero non in quanto la mente umana lo ritrova e proferisce si 6 vero, e da accogliersi con certezza, sibbene perch^ gliene viene conferma inM- libile dall' autorit^ dei Ubri santi. Perd come le idee diverse dalle opinioni, le intel- ligibili cose diverse dalle opinabili, ossia, come le prime BSPOSIZIONB DEL TIMEO, EC. 165 notizie intelligibili si attacchinO a noi, ^ pel Eucellai un mistero e con rAlighieri ripete: aPero Ih donde vegna lo intelletto Per le prime notizie uomo non cape E del primo appetibile V affetto. » E s' intrattiene a provare ancora piuttosto come esse idee riseggano in Dio, e le cose a somiglianza di quelle si facciano. « le cose tutte quante Hann' ordine tra loro, e questa 6 forma Che r universo a Dio fa somigliante. Qui veggion Y alte creature 1' orma Deir eterno valore il quale ^ fine Al quale ^ fatta la toccata norma. Neir ordine ch'io dico sdho accline Tutte nature per diverse sorti, Pill al principio loro e men vicine* Onde si muovono a diversi Porti Per lo gran mar dell' Essere e ciascuna Con istinto a lei dato che la porti. » Evidentemente scorgiamo noi qui come il Rucelki rigetti la opinione che lo intelletto umano sia tanquam tabfda rasa^ in cui si venga a scriver man mano, e pur senza sottoscriversi alia teoria della Eeminiscen^a nel senso platonico, ammetta invece la umana mente illu- strata da un lume supemo impresso in essa "da Dio, quantunque poi non sia ben chiaro sul come cio av- venga, e anzi. reputi questo un mistero, come detto abbiamo di sopra. Ci6 che puo dirsi per i passi gi^ riferiti o per altri che giova per brevity tacere, si ^ questo, che per lui la partecipazione delFidee eterne all' intelletto umano ^ fatta non per immediata intui- zione^ ma per impressione, Perocch^ egli dica che le idee sono nell' animo come lineamenti divini ivi stam- pati da Dio. Nonostante egli segue I'Ateniese nella strada che mena al conoscimento perfetto delle idee, che sono nella mente eterna, asserendo egli pure essere a cid necessarie cinque condizioni. E adopera V esempio del cerchio, cui V animo nostro vuol sapere che sia. Del rimanente il Rucellai, come Platone e i neopla- tonici del suo tempo, in questa parte e cosi anche nelle altre del suo lavoro filosofico, ritiene e professa il prin- cipio I'occasione della cognizione venire da' sensi, che la suscitano, e la fanno ricordare alia mente, in questo significato perd che le notizie prime siano state impresse in essa da principio dalla onnipotenza e prov- videnza divina. Veduti gli archetipi etemi, a immagine dei quali venne formate il mondo, si discorre dell' anima di esso secondo Platone, di cui riferisce il Rucellai testual- mente i concetti, senza metter (com' e' dice) in que- stione se cid sia vero o no. Ed io credo poter far gra- zia al lettore ed a me di questa lunghissima e diffusa esposizione, che non ^, come altrettali, al mio soggetto. E cosi pure della esposizione di quel sistemi falsi che ammettono il mondo da s^ essere o governarsi (natu- ralismo) o Dio stesso essere (panfeismo), che il Rucellai condanna e beff'eggia, ammettendo determinatissima- mente la creazione ex nihilOy secondo il concetto cri- stiano, e la fede. Belle pagine invero son quelle, e dove si appalesa in tutto il suo splendore la luce di erudi- zione immensa che irradid la mente di questo filosofo fiorentino ; se non che la h null' altro che erudizione ; mentre valore speculative, propriamente tale, invano 168 CAPTTOLO NONO. pur qui tu ricerchi. Chiudero questo capitolo recando un altro ragionamento del Rucellai preso da Ermegisto nella sostanza, e col quale egli svolge pitl e piil il suo pensiero sulla creazione del mondo fatta da Dio. c Tutte quante le cose che si apprendon co' sensi, (egli dice) fatte sono, e tutto di si fanno e fannosi non generate da per s^ ma da altri. Adunque qualcuno ci ha da essere, che generate le abbia, il quale generate non sia, e delle generate cose piil antico: e delle cose generate nd uno pu6 esser piA vecchio di quelle che generate non ^. Ma il Facitore h piii potente di lore, e unico e solo in verita, sa ogni cosa perch^ niuno a lui va innanzi. Le generate cose visibili sono, egli in- visibile, e pero fa a fine di rendersi visibile, per lo che sempre fa, e a lui solo si compete degnamente la appellazione di Dio, di Fattore, di Padre. Dio per V on- nipotenza, Fattore per I'operazione, Padre ^ per la bont^, ond' E^li opera, n^ ci ha cosa di mezzo fra il genitore e il generato, n^ altro fiiori di questi due: uno per propria natura la natura dell' altro riguarda mai sempre, e V efficiente e '1 fatto sono vicendevol- mente uniti in guisa perd che I'uno preceda e 1' altro seguiti. Nd la struttura di cose tanto diverse malage- vole si 6 vero disdicevole alia divina maest^ ; la costituzione di tutte le cose ridonda in gloria unica a Dio. Perch^ da lui che fa, nieijte di reo, niente di deforme precede; siflEatte passioni seguono solamente le operazioni create. Delia generazione la perseveranza fa pigliar piede al male, e per tal cagione istitui Dio con la corruzione loro la mutazione delle cose, come una certa purga via via di essa generazione, e cosi per mezzo di una continua mortality, conservasi perpetua al mondo la vita. Iddio ha una sola e sua propria natura, e questa si d il buono, e il buono d quella virttl onde ESPOSIZIONE DEL TIMEO, EC. 169 tutte le cose operano; quanto ^ generate, da Dio gene- rate si § cio^ dal buono, che ^ quelle che pud e fa ogni cosa. Iddio nel cielo semind V immortality, in terra la mutability, in tutto quanto il mondo la vita e il moto, a simigiianza dell' agricoltore cbe sparge i semi nel grembo della terra, in un luogo appropriate il grano, in un altre Torzo, e in quelle e in quell' altro altra sorta di seme, il medesimo dove riannesta, e dove peta le viti, e altre maniere di frutti, nelle stesso mode fa Iddio. > E se il mondo nen 6 Die, neppure Die ^ 1' anima del mondo, preva il Rucellai in altri Dialoghi, e so- stiene come Egli sia mente Creatrice e Prevvidente in quelle, senza infermarlo, come fa anima cerpe, nd tra- mescolandosi con esse perch^ egli immense nen pud esser circescritto da termini, senza cessar d' esser Die ; perfettissimo nen pu6 nell' imperfetto stare, che ^ il mondo. Iddio crea, e la sua mente divina gli 6 legge ; imperocchd essa in un medesimo punto pensa, ceno- sce perfettissimamente e delibera impermutabilmente con sapienza infinita, e con immutabile ennipetenza, e tutto ipso facto, senza replica, a quelle ebbedisce, e perd legge si ^ la mente divina. come ritratto e immagine del suo facitore, ma non gi^ reputd che Iddio anima fosse del mondo, quantunque anima di ragione dotata e fabbricata dal maestro etemo delle sovrane intellet- tuali cose e divine assegnasse all' universo. > La mente divina pertanto 6 pel Rucellai legge im- permutabile all' universo, e concorda in ci6 che ne dice Cicerone: Legem video sapientissimorum fuisse sentendam, neque hominum ingeniis excogitatam, neque sdtum aliquod esse populorum sed cetemum quiddam quod universum mundum regeret imperandij prohihen- dique sapientia. Ita principem legem illam et ulti- mam mentem esse dicebant omnia ratione aut cogentis aut vetantis Dei, vita autem est cum mente divina et ratio est recta summi Jovis ; ergo divina mens summa lex est Insomma 1' anima dell' universo d pel Rucellai lo Spirito Santo, che e Luce ed Amore, d la Provvi- denza, o I'Arte divina. E va egli man mano avver- tendo come Platone nella graduazione degli enti per r universo e nello spiegare la formazione del mondo sensibile e spirituale siasi accostato alia dottrina della creazione, e conchiude sovente com' egli abbia davvero avuto a logger la Genesi. E tanto e' crede probabile cid, che espressamente in un Dialogo pone a confronto i passi biblici sulla creazione dell' universo con quel di Platone, per ve- dere a luogo a luogo dove elle si rassembrano, e dove egli, Platone, abbia fallato. In che appunto noi abbia- mo una nuova testimonianza di fatto degli intendimenti filosofici del nostro Neoplatonico. Egli accetta da Pla- tone le sue dottrine finch^ armoneggiano colla Teolo- gia cristiana, e a tal fine cerca volta a volta in que- sto sense ultimo d'interpretarle; e dove le vede troppo 172 CAPITOLO NONO. palesemente discordi, se ne diparte, e alia rivelazione intieramente si appiglia. Or questo studio comparativo tra i testi biblici sulla creazione e quei di Platone che vi si approssimano, e importantissimo a chi voglia, come ho accennato innanzi, vedere gli estremi svolgi- menti del neoplatonismo nel secolo^decimosettimo. Si fa il Rucellai un ultimo quesito, se cioe in sen- tenza platonica I'Amore sia anima del mondo, o la parte pitl nobile opitl sovrana di essa. E teologica- mente discorre di Dio sommo Bene e sommo Amore, della Trinity dapprima, indi dell' amore necessario e dell' amore libero, quelle nelle cose insensibili, nella madre natura e negli animali bruti ; questo nelle crea- ture intelligenti, per le quali esso non ^ che un.con- cordamento tendente alia perfezione della divina uniti; e percio disse Platone, amore essere quell' armonia e quell' ordine che richiama le cose discordanti alia Concordia ed all' uno, E in questo senso deve intendersi ammetter egli 1' amore come anima del mondo, e por- zione piii perfetta di essa, e 1' immaginarsi che ei fa due Veneri generatrici di due amori, naturale 1' uno, divino 1' altro, entrambi maestri di tutte le arti e di tutte le operazioni. Capitolo Decimo. {Segue) IL TIMEO. - DELL'ANIME RAZIONALI. • SoMMABio. — Qaesiti. — Natura deir anima razionale. — Non e particeUa deiranima uniyersale. — & intiera e perfetta da sd. — In che il Rncellai si discosta qai da Platone. — Spiritualitd. deiranima. — Per- fezione maggiore negli spiriti angelici. — Immortality. — Argomenti di ragione probabili. — Cartesio e la sua teorica dell' idee connessa alia questione deUMmmortalitll. — Passo di questo filosofo. — Altre prove d' immortality. Intomo a questo argomento il Bucellai si propone di vedere se sieno da per loro le anime razionali ovvero porzioni dell' anima universale; in che erri Platone, a ft differenza del nostro credere; e quali motivi senza lume della fede ne persuadono, e con Socrate e col divino lilosofo e con molti altri maestri di sovrano lume an- corch^ Gentili, che le anime nostre sono immortaU. E per primo si studia di dimostrare la natura di que- ste anime, e come non sieno particelle dell' anima uni- versale, possedendo 1' anima nostra invece una sua propria sostanza, ed essendo una certa essenza intel- lettuale da s6, che si forma semplicemente dall'intel- letto divino, come ammette Platone, £ da notare qui come si avveri quel che abbiamo avvertito altra volta, ciod quanto il filosofo nostro s' in- gegni di ridurre a vera sentenza in conformity del Cri- stianesimo le parole di Platone, che per contrario, nel Timeo, sostiene I'anime particolari essere particelle della universale. E dice poi Platone (continua il Rucellai) r anime esser fatte per le cose celesti e immortali, e per- ch6 r uomo si faccia imitatore di Dio, servendosi per ci6 anco dei sensi, tra' quali il piii degno e il piA umano, la vista e I'udito. Nel che, soggiunge egli, discorda alquanto la verity nostra perch^elle sono create da Dio di ugual perfezione di mano in mano in quel punto che fornita di fare tutta la struttura del feto nelFutero matemale, il corpo ne divengS; capace, messoinsieme con tutti quanti i suoi organi ben che teneri e male abbozzati, e sono anime intere e da per loro, n^ vi ha anima comune onde le nostre razionali porzioni sieno di essa in alcun modo. E della differenza tra questa e quelle e tra quelle e le anime dei bruti lungamente favella, sempre appigliandosi pitl ch e ad argomenti probabili di ragione, a precetti di fede religiosa. E il contrasto interne dell' uomo che proviene dalla Ubert^ del volere e da' sensi e il supremo e invincibile argo- mento a sostegno della spirituality dell' anima umana, e della sua gran diflferenza con ogni altra che Platone ponga nel mondo, o che negli animali ci sia. Stabihsce quindi, anco secondo 1' opinare di lui, la perfezione maggiore degli spiriti angelici, chiamati da Platone SEGUE IL TIMEO. — DELL'ANIME RAZIONALI. 175 Demoni, o Dii, percM immagini pitl perfette che Panime nostre dell' idea eterna; e afferma non potersi dare ac- costamento di termine tra il corporeo e lo incorporeo, r immateriale e 1' incomposto, 1' anima insomma, la quale sebbene non si veda n^ si tocchi, pur si mani- festa che ella c'^ dalle sue operazioni ammirabili, giusta ne dice pure Platone. Confessa pero al solito che in somiglianti materie, come si ^ dell' infinite, dell' incor- poreo e delle operazioni lore, come della immortality non vi ^ da aspettarsi mai prove convincenfi^ oltre queUe delta nostra infcHlibiLe cattolica doUrina, perche eUe non sono da noi^ ma si bene favellare se ne puote e trovarci da proporre molte verosimiglianjs^e e proba- bilUa. Nondimeno con tutti gli argomenti che adopera Platone e i filosofi spiritualisti, specialmente tra' no- stri il Ficino e indi anco il Cartesio, di cui espone ed ammette, temperandola col neoplatonismo, la dottrina della cognizione, e le cui ragioni sulla immortality paiono anco al Rucellai ben fondate, egli vien dimo- strando man mano la spiritualita e immortality del- r anima con discorso vivace e stringente, e ribattendo con arguta confutazione gli argomenti in contrario, specialmente pohendo in evidenza gli errori, nei quali su cio cadde Tertulliano, e rilevando le contradizioni frequenti di quella intelligenza. Non repute inutile pertanto a questo punto rife- rire ci5 che il Rucellai per bocca del sacerdote Ma- giotti, dice intorno alia teorica delle idee di Cartesio, teorica della cognizione che egli connette stretto con quella della immortality, e se ne vale come argo- mento, sempre s'intende, probabile, coll' uniformarsi intieramente alia fede. Confesso bene, che il volere riconoscere del tutto dair idee, ch' e' chiama innate, e che esse ci sieno, non che dell' essenza, dice solamente dell' esistenza divina, r ho per intraprendimento troppo ardito, e da non se ne uscire con onore, chi volesse, seguitando Renato, col proprio intelletto giungere a si sovrane cose, senza gli anticipati giudicj dell' immaginazione, percM io per me non so ritrovare modo da figurarmi come cio segua: impercid che avendo noi si fattamente impastate le parti intelligibiU con le sensibili, la maniera di distin- guere totalmente le loro operazioni 1' una senza I'altra, cio^ a dire quella dell' intelletto senza quella del senso, io non mi rincuoro di rinvenirla. > La opposizione che fa il nostro autore alia dot- trina del Cartesio sull'idea innata di Dio ^ notevole molto, perch^ viene ad escludere in lui la dottrina delle intuizioni ontologiche o anche ideali, che ab- biano per obietto Iddio e gli esemplari etemi. Scintilla della divinity si pud dire, che sia non so- lamente quel lume di conoscere le cose esteme per via de' sensi, il che hanno parimente gl' irrazionali, ma di pill quel conoscere di conoscere, ch' e un atto proprio deir intelletto, e della mente astratto da' sensi, pe r il quale ci si apre la strada al raziocinio, e al discorso, con cui noi salghiamo piu in su, che le sensibili cose non sono comech' esse ne facciano la scala per soUe- varvisi sopra alquanto. Per lo che disse Plotino nel- r ordine della cognizione 1' ultimo grado tiene il senso, il sommo V intelletto ; il senso nel conoscere tiene la linea retta, V intelletto la circolare, rivolgendosi in sd stesso, e pero 1' anima per la vegetazione, per il senso, e per V immaginazione si affaccia fuori di s^, ma per e' moti deir intelletto si rende capace di riflessione in 8^ stessa, e cotale operazione si maravigliosa del conoscere di conoscere, 6 presa da molti filosofi, anche 180 CAFITOLO DECnCO. di pit! acuto intendere, per grande argomento dell' im- mortality, delle Anime, ma viemaggiore a me pare che sia non le avere innate in noi le idee dell' esisten- za, ed essenza di Dio, e non da quQsta per I'ordine delle medesime idee, passare ad avere plena notizia dell'essere una cosa cogitante che non pud essere distesa, e perd essere incorporea e poi di essere insieme una cosa distesa, e non cogitante, e perd essere cor- porea, onde se ne ricavi essere 1' uomo fatto di due •cose totalmente diverse e distinte, talchd 1' una potendo stare senza 1' altra, possa ricevere la posizione cogi- tante da per s^, cio6 a dire la mente, e 1' anima in- corporea, e perd immortale. Ma si bene questi lumi di ragione, o di divinity, che sono in noi ancor che annebbiati, e indistinti, si ritrovi in noi medesimi talento d'avvedersi ch'e' ci sieno i principj di molte e molte cose, le quali -noi ci accorghiamo avere molto pill ampio spazio di quello che non ^ conceduto a noi di giugnere a capire per possedere in verun mode scienza di loro intera e perfetta, e non avendo in noi r intero della perfezione delle cose di cui noi cono- schiamo i principj, da' quali ci sentiamo abili a cono- scere piti, bench^ piii non arriviamo a conoscere : adun- que trovandosi in noi le misure proporzionate, e lo acume per arrivarci, e venendoci impedito 1' uso e '1 potere da queste grossolane membra mortali, e da questi organi, che noi abbiamo limitati, ed angusti, i quali paran la vista all' occhio dell' anima: egli ^ molto ragionevole di credere, che abbia a essere in noi, quando che sia, I'adempunento del conoscere 1' intero delle cose, di cui noi scorghiamo i primi semi, e lampeggiare le scintille, il che non potendo conseguir qua, ^ verisimile, che ci sia riserbato ad altro luogo, cui le anime nostre destinate sieno, spogliate e libere da questa gravosa SEGUE IL TIMED. — DELL'ANIME RAZIONALI. 181 soma corporea; e qui si addice meglio la considera- zione che Iddio 6 veritiero, e non cooperatore ad illu- sione massime in certi principj e fondamenti, che si scorgono bene e fermamente stabiliti a sostenere una mole di pitl alta architettura che none quella, che alia nostra veduta si concede. Impercid che se 1' anima per s^, e per sua propria natura avesse terminate le vie del sapere, quieterebbe s^ medesima a que' soli principj, ne s' imm^ginerebbe piii oltre di quelli im- mensi spazj dello scibile ch' ella s' immagina, creden- dosi che quello che gliele impedisce fusse il suo ultimo fine; imperciocche quando uno vivendo racchiuso in una angusta spelonca, condottovi da lontane parti di notte al bujo, e che ivi brancolando con esso le mani, . ben grossi e sodi pilastri vi ritrovasse con archi sopra, certo ^ ch'egli s' immaginerebbe qualche alta e gran fabbrica dimorarvi sopra all' occhio del giorno, e non indamo si forti fondamenti esservi stati sotterrati, o che almeno alcuna volta stata vi fosse ; se pero un si fatto uomo cotanto stolido non fosse, o ch'entro vel ponessero di nascita, che impercid non avendo per innanzi veduto altra cosa finora di li si facesse a cre- dere che quelle pareti, e quelle volte fossero i termini estremi del mondo. Cid verisimilmente succede alle bestie, le quali non hanno talento di credere che ci sia da sapere piii di quello che elle sanno. > Ma pitl il Rucellai si compiace d' intrattenersi nella prova a posteriori della esistenza di Dio e della immortality dell' anima umana, e in cid pure si vale dei vigorosi argomenti dei piii riputati filosofi, come e precipuamente di quello che ricavasi dall'or- dine del mondo, e dall' indefinito desiderio di beni in- siti in noi, e della sempre incompleta soddisfazione che i beni finiti della terra e dei sensi ci recano. E s' in- 182 CAPITOLO DECIMO. trattiene molto pur qui, ma assai piii nel trattato della Prowiden^a^ come vedremo fra breve, a discorrere di questa natura di beni, e in che il vero bene consista, seguendo in tutto le traccie neoplatoniche e stoiche, e come i beni di fortuna son tali solamente in quanto s' indirizzano al conseguimento della virtii, in che sta il vero bene. Or facendosi cid appunto per la ragione, mediante la quale si arriva alia bonta, alia giustizia ec. e questi essendo attributi di natura sempiterna, ne viene che Fuomo abbia I'anima immortale. E come questo, cosi molti altri argomenti verosimili e proba- bili della immortality dell' anima, reca il Rucellai a so- stegno di essa, di Platone, di Socrate, di Pittagora, di Cicerone e di Seneca, il qualp ultimo par talrolta r ammetta, tal'altra no; ma io credo non essere neces- sario fermarcisi per riferirli, bastandoci di porre in sodo com'egli, il nostro filosofo, cerchi corroborare quanto piii pud con argomenti probabUi della ragione quello che intomo all' anima umana e a' suoi futuri destini ritiene per fede, e d i rilevare com' egli faccia anco qui uno sfoggio vastissimo di erudizione nel recare gran- dissima copia delle opinioni de' piii antichi e se- gnalati pensatori su tale subbietto. E via via ch' e' li reca, li rimprovera o corregge in quel ch' essi hanno di non razionale, o di contrario alia fede, come la pa- lingenesi o la trasmigrazione dell' anima di Platone, ossivvero ne interpreta ciiriosamente le frasi, come il demons di Socrate, per esempio, nel quale vuol ravvi- sare I'Angelo Custode dei cristiani. E finalmente ritorna il Rucellai a discorrere della cosmologia, della formazione cioe del mondo e figura sua in sentenza platonica, rigettando pero come detto si 6 la eternity della materia, e dove pu5, a sostegno delle dottrine platoniche, riportandone i detti di Ga- SEGUE IL TIMEO. — DELL'ANIME RAZIONALI. 183 lileo e questi con quelle conciliando, come contro la incorruttibilit^ dei cieli. Eccone il brano, e avremo terminato 1' esposizione del Timeo. Imperf. — Nascemi nell' intelletto una nuova oppo- sizione da farvi procedendo secondo V ordine platonico, e estraendoci dalla fede. Convien supporre la materia informe per s6 discordante e de'contrarj compostaes- sere eterna, altrimenti se creata fosse da Dio, potries- segli apporre che egli avesse errato tirando i prin- cipj tumultuosi e contradj, mentre poscia egli ebbe mestiero di ridurli alia similitudine, anzi alia unitade. Biionac, — Avea mestiero di ridurre all' unitade i contrarj, acciocche permanendo uno, e perfetto huni- versale, essi operassero di lor natura i loro effetti spe- ciali, nella parte spicciolata di quello a modo di contrarj: ma si ben sotto le debite regole e proporzioni tra loro ridotti per tal maniera che non isvariassero dair ordine dato loro e mantenessero perpetue le spe- cie, mentre di mano in mano si rifiniscono gli individui. Imperf, — Operano i contrarj naturalmente da con- trarj, e cid ^ d' uopo per la corruzione de' composti, riducendoli ai loro principj come udiste poc'anzi. Ma opera la proporzione, e la analogia ch' egli ebbero per lo componimento, e per hunit^ del tutto ; richiaman- doli via via mai sempre al rifacimento di quelle cose individuali che periscono per mantenere nel loro de- bito pieno le specie, altrimenti se fosse un elemento solo nulla si genererebbe giammai. E o vero sarebbe r universe una cosa tutta, una, soda e ferma, con la figura solamente esteriore che ritonda gli assegna il Timeo^ e allora fuori che nella grandezza, che diffe- renza fareste voi da esso a una palla di Travertine? si pure se da principio senza contrarj create avesse tutte quante le cose, elleno sarebbero sempre ferme, e 184 CAPITOLO DECIMO. le.stesse in perpetuo impermutabile stato, senza che n^ una giammai se ne riformasse di nuovo, di che come udiste si ^. dichiarato molto bene il Ficino. Mag, — Oh come bene si B&k un bellissimo luogo, che io vi verrd dicendo a cotesto alto concetto, che, avete detto signor Gioseppo intorno all'esser necessa- rio che la creazione dell' Universo si facesse dei con- trarj a volere la perpetuity de' moti e delle genera- zioni, e ch' essi armonizzati fossero con esso le lor medie proporzionali per renderlo uniforme e si somi- glievole all' unitade del mondo archetipo ! Impercid che egli h certo, che senza Tarmonia ri- maneva tra detti contrarj la materia informe e scom- pigliata e disordinati moti, e senza le contrariety, re- staya il mondo senza operamento che sia, e senza il fruttifero movimento per le generazioni disfacendosi, e rifacendosi di continuo, c onciossiacosach^ qtiando non di marmo lustro, o di porfido si fosse 1' universo tutto, ma di qualunque altra gioia piii dura, pit! pre- ziosa e piii fine, qual maraviglia, o stupore reche- rebb'egli, e che nobilta o maestria sarebbe in lui, a petto a quello che ci si scorge, con le continue fabbri- che che ci si formano per mezzo delle corruzioni e delle generazioni, senza perder mai un minimo che di sua intera pienezza e di sue alte e basse maravi- gliose strutture? Come ben dunque si affi^ a codesto concetto quel pensiero non punto meno alto, che pone il nostro Linceo in bocca al Segredo contro V incorrut- tibilit^ peripatetica de'cieli, riputando viepiil nobile e di piii pregio la terra per la generazione e corru- zione che in essa si fa, che ne dessa n^ i cieli sareb- bero, n^ gli astri e pianeti se veramente incorruttibili fossero, avvertendo alle tante e si belle mutazioni, che in quella si fanno di pitl sovrano e ingegnoso magi- SEGUE IL TIMEO. — DELL'ANIME RAZIONALI. 185 stero, che se ozioso si stesse ancorchd di qualunque pit! pregiata e speziosa materia fosse composta. Perchi§ altro (die' egli nei Massimi Sistemi) verrebbe essa ad essere salvo, che una vasta solitudine di arida e spessa arena, e si infruttifera e vana, o una massa di dia- spro, o quando bene si fosse un adamante sfavillan- tissimo saria sempre un corpaccio inutile, con quella differenza ch'^ tra un animal vivo e un morto, e il medesimo della luna di GiOve, e di tutti gli altri orbi, potrebbe dirsi, e vien poi seguendo con una maravi- gliosissima e bella riflessione, che se il popolo chiama preziose le pietre, le gemme e V oro, e vilissima la terra, cio awenire per la dovizia di questa e carestia di quelle. Imperd che dove della terra ce ne avesse penuria chi non ispenderebbe una soma di diamanti e di rubini, e quattro carrate d'oro, per aveme so- lamente tanta in un piccol vaso da piantare un gelso- mino, un arancio, ivi veggendoli nascere, crescere e produrre si belle fronde e fieri e frutti cosi odorosi e saporiti? E il volgo loda un belUssimo diamante (dice egli) perch^ all'acqua pura si rassomiglia, e poi per dieci botti d' acqua non il cambierebbe. Per la qual cosa, conchiude con molta ragione, che questi detrat- tori della corruttibilit^ si meriterebbero che un capo di Medusa gli cangiasse in statue durissime; e vera- mente non quality e attribute di piil valore si dona dalla scuola peripatetica a'cieli, anzi farsi lore torto, la corruttibilita e generazione togliendo loro, il cui di- scorso si accoppia mirabilmente con la interpretazione del Ficino, ch' espone lo altissimo concetto platonico, dove chiaramente si ricorda che anche Platone ebbe per piCi nobile e per piii ammirabile, anzi per neces- saria la struttura dell' universe sensibile con muta- menti continui, e con esse le produzioni varie derivanti 186 CAPITOLO DECIMO. dalla generazione e corruzione, che se stabile, neghit- toso e fermo senza moto si dimorasse ancor che d'oro e' fosse, o di qualunque pit! preziosa gemma di sua in- definita grandezza come verbigrazia sarebbe state, se di una cosa stessa e senza contrarj lo architetto supremo fabbricato lo avesse. E perd il divino filosofo,'^nch' elli antepone la corruttibilit^. del mondo, dei cieli, dei pia- neti e degli astri a quello incorruttibile che per ac- crescer loro pregio assegno loro poi dopo Aristotile di sua propria immaginazione, avvenga che egli avesse bevuto suo prime latte dalla disciplina accademica. > Capitolo Decimoprimo. BREVE OENNO SULLE ARMONICHE PROPORZIONI NEI DIALOGHI FILOSOFICI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. SoMMABio. — Oggetto di questo trattato del Rucellai. — Suono. — Ordine. — Armonia. — Proporzione. — Passo dell' autore. — Platone e le proporzioni armoniche. — II medesimo e il diverao, — Anco pel Ru- cellai tatto e armonia. — I tre regni della natura. — L' armonia e Tanima anivorsale platonica. — 11 corpo nmano e le armoniche pro- porzioni. — La materia. — Giudizio del Rucellai su questa parte delle dottrine platoniche. E'prende inoltre, il Rucellai, in nove Dialoghi a di- scorrere delle proporzionalita armoniche, delle ragioni musiche in genere e delle loro applicazioni all' aniina platonica, aggiungendo, egli dice, molte cose e ripe- tendo di quelle che della musica pitagorica, secondoch^ di essa riferisce Marsilio Ficino, egli pronunzid. E si rif^ da certi principj universali esposti nel trattato suo della Geometria, (Vol. 3° del Codice Ricasoli, corretto dair autore, dove si trovano tre dialoghi sopra la ma- tematica), che egli prova con Galileo esser Vabhicd dell'umano sapere; i quali principj ne condurranno age- volmente a tutte le cose particolari di questa armonia. Ogni suono ^ aria percossa che ne viene per varj modi, increspamenti e vibrazioni alle orecchie; e se- condo la intensity di forza della causa produttrice il suono 6 pill meno grave, pitl o meno acuto, ed ha ragione Aristotile allorchd dice, che il suono troppo 188 GAPITOLO DECIMOPBIMO. acnto muove assai il senso in breve tempo, e il grave quando 6 soperchio in piii tempo lo muove poco, a somiglianza d' tm ago, il quale se tosto ne tocchi qual- che parte con la sua punta, a un tratto la ci punge, se a bell'agio, piega solamente e avvalla un poco la parte ch' e' tocca, ch' altri non se . ne sente. E le ca- gioni che il Mersennio, (maestro di musica che il Ru- cellai dta spesso e cui segue) non che i piii celebrati maestri all'acutezza e gravity di suoni attribuiscono e il nostro filosofo accetta, sono la figura, la radezza o density, sottigliezza ec, insomma proporzionalita : ritenendo pur con Democrito che da'corpi sonori escano minutissimi corpicciuoli od atomi, non pero ammet- tendo, come Democrito fa, ch' essi sieno queUi che for- mano il suono. Discorre elegante delle somiglianze tra il suono, la luce e gli eflfetti loro, e delle loro diversity, sem- pre fisicamente. E mi sia lecito di far a meno di esporre tutto cid di cui il nostro autore, seguendo le tradizioni pittagorica e platonica su tal proposito, ampiamente fa- veUa ricavandolo dal Ficino ; e che se pud in qualche guisa destare interesse per uno storico della musica. BREVE CENNO SULLE ARMONICHE PROPORZIONI, EC. 189 come quello in che si fa tesoro degli svolgimenti suc- cessivi della scienza dell' armonia dagli antichi fino al Galileo (del quale apprezza ed accoglie le analoghe scoperte) per noi d un fuor d' opera, e ce ne possiamo passare senza il menomo pregiudizio. Piuttosto io ri- ferisco qui il concetto della fine di questo trattato delle Musiche Proporzioni, che assommando i concetti gene- rali qui esposti, d altresi ponte tra le due rive, tra il trattato in genere cioe, e le sue applicazioni all' anima platonica. Qui dunque ritomando a'primi principj della pro- porzione, postavi innanzi e con tanto sapere avvertita dair accademico nostro Linceo, convien restare ragione- volmerite convinto, tutti i primi element! della geometria e tutte le proporzioni che in essa si contengono essere gli elementi primi altresi della sapienza universale. Onde Iddio a tutte sue infinite e maravigliose opere si volse, e perd in qualunque scienza e naturale e in- tellettuale trovansi si fatte proporzioni, si come i primi fondamenti di tutto lo scibile. > Platone pertanto s' immagind che 1' anima (univer- sale) toccasse il medesimo, cioe 1' intelletto, e mente di- vina ricettacolo perfettissimo ed unico delle infinite idee, le quali per V unit^ perfetta di colui che oft ceterno le concepio, s'identificano in un'idea sola; onde I'esem- plare dell' universe sensibile ch' ella dico si dirami poscia nel diverse che viene a significar la materia per s^ varia, disordinata e incomposta, di cui il visibile mondo crear volea, per la qual cosa a fine di fabbri- carlo ornato, e maravigliose e si degno delle mani perfette onde egli uscio, coUegare il voUe per quanto per lo suo difetto e' poteva patire e assimigliarlo al- r unit^ e perfezione del mondo archetipo, e per6 non altra maniera ci adopero che la mentovata armonia, la quale tratta dall'uno perfetto si venisse scompar- BREVE CENNO SULLE ARMONICHE PROPORZIONI, EC. 191 tendo con musiche proporzioni, tra loro tendenti al- runisono, onde la varieta divenisse per merito loro talmente bene ordinata e perfetta, che dalla moltitu- dine per la commensurabilita loro fosse atta a richia- marsi nell' uno ; impercio fe' agguaglio dell' anima a un triangolo, il cui angolo superiore toccasse il medesimo, e allargandosi poscia co' lati nel diverso, questi venisse proporzionevolmente digradando, come ne spose il Ti- meo, nelle duple e triple, e si parimente nelle sesquial- tere, e sesquiterze proporzioni; laonde per I'ordine perfetto -e per lo regolato movimento, che la fabbrica di questo universe ricevette da quest' anima armoniz- zante all' imitazione dell' Idee in una Idea sola identi- ficate insieme dalla moltiplicit^ delle parti riducessesi per quanto era in lui, e s' immedesimasse nell' uno, cio6 a dire, in quell' unit^ ch'egli ha tutto insieme senza dargliene un aJtro compagno, e a lui somiglie- vole, la qual' anima mercd di suo toccamento con esso il Medesimo il mantenga uno, perpetuo, immutabile, e si ne'suoi movimenti ordinate che immobile resti nel suo tutto, per quel mode che Parmenide ne insegno, awenga che di sua natura e per difetto della materia mutevole, e forse mortale, movibile e diverse nel no- vero vario e senza novero delle sue membra. > E infatti il Rucellai ammirando 1' universe, ritrova tutto armonia, musiche proporzioni, e con eleganza di dettato lo espone e lo prova nelle stelle, nel mondo, nei loro giri costantemente ordinati, nella vegetazione, negli organi degli animali, nei sensi dell'uomo, nelle sue intellettuali potenze. E non solamente nell'unit^, ma sibbene nella varieta sublime dello universe, que- ste armoniche proporzioni sono, ch6 nel variarsi con- cordemente 1' universale componimento con i definiti armoniosi intervalli e divisioni finissime, la concord auza 192 CAPITOLO DECIMOPRIMO. e requisono armonioso e la commensurabilit^ corri- spondente di tutte le parti 1' una coll' altra, vi si rivede in somma e singolar perfezione, a modo che seppero r uno appo r altro distinguere nelle regioni dell' acuto e del grave i maestri migliori nel genere non solamente pill perfetto molteplice e delle duple e delle triple, e si nel superparticolare, e delle sesquialtere e delle sesquiterze, ma di ben mille e mille altre che ha sa- puto conoscere e misurare la madre natura sotto il Maestro di Gappella Supremo^ e dove da' nostri musici si trovano le consonanze aggiustate con limitati inter- stizj deH' arte : Indi affine di dilucidar meglio come, in sentenza platonica, debba intendersi che la simetria, I'armo- nia e il moto sieno anima dell' universo, e qual natura Platone attribuisca a quest' anima universale, il Buonaccorsi riassume i principj platonici circa la costruzione dell' universo, e dimostra che Platone an- corch' e' voglia 1' anima universale che sia ragionevole, pure non le attribuisce gli effetti della ragione, che negli esseri propriamente razionali osserviamo. E continuando il Rucellai ad illustrare questi con- cetti deir Ateniese, osserva come in siffatte applica- zioni deU'armoniche proporzioni all' anima dell' universo pitl che noi faccia lo stesso Ficino (piii metafisico di Platone talvolta) egli si rende intelligibile, aggiungendo pure come se a quel filosofo fossero state note tant'altre consonanze minori che dopo'diluiper buone accettate si sono, e molte eziandio delle irrazionali, che al su- premo Compositore razionali saranno, avrebbe dichia- rato di sicuro la divina mane averle adoperate tutte in questa fabbrica dell' universo e delle anime umane ; le quali soggette anch' esse alia misura, all' armonia, se travalichino i confini di essa, malvagie divengono. Discorre quindi della fabbrica del corpo umano e BREYE CENNO SULLE ARMONICHE PROPORZIONI, EC. 197 delle sue parti, e, per incidenza, della materia, e dice che noi la materia la appelleremo madre e ricettacolo di quelle cose che generate e visibili sono, non terra ne aria ec, per guisa che il Dafinio osservi esser sot- t' altre parole questa la sentenza di Aristotele circa la materia; e il Rucellai risponda: Perd il Magiotti soggiunge: € Eisponderanno i platonici su' loro altissimi fonda- menti metafisici che la materia 6 qualcosa perch6 la sua forma informe 6 invisibile anch' essa suo attacca- mento speciale e sua dependenza dallo intelligibil mondo nella mente divina, cio^ a dire, ha sua idea particolare per sd, ond'ella ^ simulacro ed immagine ancorch^ visibile non sia, nd per noi e per la nostra veduta, ^ necessario che tutte le cose che sono fatte sieno, o che non le veggendo non abbiano a essere ; e 198 CAPITOLO DECIMOPRIMO. se la non fosse nulla per s6 ma un solo componimento insieme dei quattro elementi, le forme sole degli ele- menti e non la materia da s^ avrebbero il loro esem- plare, e V idee loro per entro il ricettacolo della mentc divina. > A cui infine VImperfetto: lo non credo necessario seguitar passo passo il Ru- cellai nel commento che fa a questa parte del Timeo di Platone, avendo, parmi, citato quel che di piii im- portante ho creduto trovarvi: nd al mio soggetto ri- chiedesi altro di quel che ho stimato far qui ed ho fatto, di un trattato che non h se non una prolissa esposizione e dichiarazione delle opinioni platoniche in queir argomento : opinioni che noi abbiamo visto in qual conto e' le tenga il Rucellai e com' e' le consideri nella massima parte qual una sublime poesia del filo- sofo atenieie, piuttostoch^ teoriche le quali nolle loro particolarit^ abbiano un fondamento sul reale e sulla esperienza. Capitolo Decimosecondo. ESPOSIZIONE DEL TRATTATO DELIA PROVVIDENZA NEI DIALOGHI FILOSOFICI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. SoMMARio. — Importanza di questo trattato. — Meg^lio che in ogni altro scritto del Bucellai si fa qui palese la natura del suo filogofare. — Prove di ci5. — Obiezioni di Epicaro e risposte. — L'ordine deirani- Terso e argomento del Provvedere di Dio. — Qaesti e la natura. — Essa non h per »i che una voce generica. — II Caso. — Si combatte. — 611 atomi. — Si nega ad essi, contro Platono ed Epicure, la eter- nita. — Si confuta V accozzamento foi^tuito di quelli. — Galileo. — La creazione. — Si ritorna alia Provvidenza di Dio; prove per eli- minazione. — Obiezione e risposta. — Galileo e il Bucellai. — Dio non informa il mondo come anima corpo. — L* esempio del sole. — Marsilio Ficino. — La fedo. — Creazione ex nihilo. — Bagioni pro- babili. — Bipete Tautore: fine della creazione il buono. — II Yero Bene. — I beni del mondo ban ragione di mezzo, di fine no. Se v' ^ libro nel quale, pitl che in ogni altro scritto filosofico del Bucellai, ritroviamo delineati gl'intendi- menti di lui, questo si ^ della Frowidema, dove ra- gionando in sedici dialoghi contro Epicure, il quale nega il provvedere etemo di Dio, espone in termini netti e precisi la natura e il metodo del suo proprio filosofare, e le tentate armonie, e il rifugio nella fede e nell'autorit^ religiosa, e la grande sfiducia nelle forze deir umana ragione, e il probabilismo, non la certezza, degli argomenti che essa, la ragione, secondo lui nelle questioni seinpre ne somministra. E siffattamente cid accade, che pur tralasciando Tesame d'ogni altra parte filosofica da lui scritta, quelle di questa sola ne ba- 200 CAPITOLO DECIMOSECONDO. sterebbe a persuaderci della verity della tesi nostra : imperocch^ come in una sintesi tutti gli element! qua si ritrovano che costituiscono tutte le parti del suo filo- sofare. Egli qui si propone di votare la dialettica fare- tra contro I'empie e stolte proposizioni d'Epicuro, che dairordine dell' universe la Prowidenza ne toglie, e di vedere, divisando co' lumi soli del ragionevole e natu- rale discorso, se Teterno provvedimento nell'essere uni- versale si ravvisi, ed attiene il proposito ; e poi quan- tunque argomenti solidi in sostegno di essa egli, il Rucellai, ne rechi ed anzi dichiari che cid meditando con una qualche scintilla di ragione, si passi molto avanti, pure finisce poi in un e quasi pianta al raggio di sole egli sorride al lume infallibile della fede divina. E come negli altri dialoghi, la scelta degli in- terlocutori conferma pur qui la sua natura, dappoi- ch6 anco in questi abbiamo il sacerdote Magiotti che fa da Socrate, e a terminare il trattato, il Nicheo, il quale fondatissimo in tutte le scienze pitl gravi, ma sopra d'ogni altra nella teologia, in cui, giusta ne dice il Magiotti stesso, ha saputo la pitl giovevol parte riscegliere, cio6 la cognizione dei dogmi, Tesposizione delle sacre lettere e la perizia delle lingue ; e che udito discorrere VImperfetto e gli altri della Prowidenza^ e contro r ateismo, e il sospetto di Guidobaldo Trifonio che fosse assai malagevole di trovare argomenti ad acquietar I'intelletto naturalmente ragionandone, quan- tunque ciascuno di essi interlocutori stesse fermo con s6 medesimo, n^ revocasse in dubbio cid che in chiaro si scerne coU'occhio purissimo della fede, esclama: E se dopo si accomoda ai ^ ESPOSIZIONE DEL TEATTATO BELLA PR0T7IDENZA, EC. 201 loro desiderj e ne discorre, egli e un discorso teolo- gico piu che di ragione, e a quel discorso il Trifonio, che la facea qui, pur credente, da avversario e sofistaj conchiude : Ond'io soggiungo che se dovessi definir questo trattato della Protwidenza (e con esso ogni altro trat- tato filosofico del Eucellai) nol saprei meglio di cosi: poich^ il Rucellai non solo consideri la Frovvidmsa in gene- rale sibbene anco in particolare, il provvedere diDio nel mondo e nelP uomo. E di fatto egli a favellare di Bio vuole unito il con- cento sublime della natura; e qui, Platonico a tutta prova nel tratteggiare il dramma del dialogo, dove egli ha un' arte di dire e di rappresentare raffinatissima, apre il cuore con respiro tranquillo all' armonie dei luoghi deliziosi, e li presso la rinomata fontana di Bel- vedere, nei contorni di Eoma, va, raerc^ di si bella apertura, meditando per la chiarezza dell'aere I'am- piezza e gli stupori del cielo, e per le pianure di Eoma le varie bellezze della terra, le quali del Provvedere etemo recheranno contro Epicuro i piii potenti ar- gomenti. I quali, sull'ordine dell' universe posando, devono esser per il Eucellai riprova, non prova, di quest' arte divina nel mondo, perocch^ con I'occhio acutissimo della fede egli scorge chiarissimo Iddio e le sue miracolose operazioni a pro nostro. Questa ri- prova h un soprappitl od un esercizio dialettico fatto 202 CAPITOLO DECmOSECONDO. a modo Socratico, di un credente, non rindagine di un filosofo, il quale coUa ragione solamente a guida osservi, induca, argomenti e conchiuda; non valendosi come tale, dei dettami della fede, e facendo conto che e'non vi siano. Alia domanda infatti se col naturale raziocinio alle prove si perviene di Dio provvidente, il Magiotti ri- sponde E co'medesimi argomenti di san Tom- maso, e dei Padri e de'filosofi cristiani, corroborati fin dov'e'pud dalle dottrine di Platone e de'filosoli gen- tili, ribatte le opinioni di Epicure e di Lucrezio cen- tre il Provvedere di Dio, sia che dicano la natura di- vina eterna e beata godere in sd perpetua pace e tranquillity, lontana e disgiunta per lungo intervallo dalle cose nostre, e da' benefizj non poter esser presa; a cui il Rucellai risponde che anche Iddio, perche Iddio e'sia, 6 forza che e'sia sommo e infinite bene ed amore, che tanto si § a dire avere infinite carit^ e benefi- cenze, senza alcuno intendimento di premio, esercitan- ESPOSIZIONE DEL TRATTATO BELLA PROVVIDENZA, EC. 203 dolo a diritta ragione: sia che altri ostacoli ne re- chino in mezzo al suo cammino, egli considerando la natura di Dio, e Y ordine sublime delF universe e del microcosmo, li supera e ne trionfa. E quando rinnova Epicuro con Lucrezio la difficoM che Dio provve- dendo turberebbe la sua quiete, ed egli solo non po- trebbe in un tempo stesso badare a tante faccende, sostenere la soma dell'universo; soggiunge: E al sostituire che gli epicurei voglion fare della natura a Dio, in cotal guisa risponde : Combatte indi il fortuito e fortunoso accozzamento degli atomi secondo Epicure; n§ in cid pure discostasi da quel ch' era state dagli anteriori filosofi allegato in contrario, ond'io me ne passe; e poi dice che non essendo noi la misura di tutte le cose che sono, ancor che alcune di esse si scontrino inutili o dannose e far centre percid al provvedere di Dio, non possiamo dirlo non conoscendone i fini e 1' ordinamento. Dope di che seguitando, com' egli dice, le sue prohdbilita interne alia Provvidenza, viene dal generale al particolare, esami- nandola nei varj regni della natura," minerale, vege- tale, animale ed umano. E continua a combattere il case, e la insipienza sua e I'agitazione disordinata degli atomi. a formare lo inestimabile ordine e con- ESPOSIZIONE DEL TRATTATO DELLA PROYYIDENZA, EC. 205 cento di questo teatro dell' uni verso e la perfezione di sue opere e di suo movimento. I quali atomi se in sen- tenza di Platone etemi chiamar si possono, quantun- que il mondo ebbelo esse pure per fatto dopo da Iddio, il Kucellai sebbene ritenga che esistano con Epicuro e Platone, nega pero che si possano appellare come tali, cioe eterni, doYC dice : E riguardo al case con- chiude con Galileo ch' e' non sa quel che sia e in qual maniera possa operare si ordinatamente ; e confessar dunque si dee, eziandio per via di ragion naturale, che r alto e supremo artefice, e non il case, sia quelle che il formi, regga e addirizzi in tutte quante 1' opere^sue. E la geometria dell' universe ^ come Sole che fuga 206 CAPITOLO DECIMOSECONDO. le ombre del caso dalla natura, ed ^ V A JB C delk sapienza universale, come argutamente chiamoUa il GaKleo stesso, dopo che Platone aveva chiamato Diogeo- metrizzante in tutte le opere della sua infinita sapienza. Le quali al postutto pitl che parlare al nostro intel- letto lo abbagliano di loro luce infinita, ed il loro lin- guaggio travalica ogni nostro comprendimento, sicche poco nulla intendiamo, studiando, salvo che la nostra socratica proposizione : Perd noi possiamo sempre indagare se fra le cose del mondo visibili, ci venga fatto di ritrovare questa natura questo reggitore del mondo, e che Iddio non sia. E di vero se ei ci si ritrova, egli ha da essere il meglio del mondo. E siccome il meglio di tutto ^ Tuomo, vedasi se V uomo 6 da tanto, da volgere tutte le mac- chine deir universo, a suo senno, remossa in prima la opinione che gli angeli dei cristiani o i demoni di Pla- tone e di Socrate, i quali primi non altro sono, per i credenti, che esecutori o iniziatori degli ordini e degli awisi di Dio e di sue grazie dispensatori ; e i secondi non altro essendo che spiriti fabbricatori delle cose manuali, mentre Iddio h delle ragionevoli; cid h uno sporre le cagioni seconde sotto lo indirizzo e I'onni- potente braccio della primaria, la quale assista e go- verni tutto per si fatte menti. Adunque se non ci ha meglio deir uomo, e, quel che ^ meglio, ministro subor- dinato si 6 della divina volenti; la volenti divina, che da s6, o per mezzi subordinati amministra con tanto ordine tutte le cose, essa si h che ha in mano il provvedimento e reggimento dell' universo, come interpreta-il nostro Tullio; n^ ^ convenevole a noi stre- mare per tal modo la di lui infinita onnipotenza, la sua suprema ragione, la sua sapienza infallibile, per dame il vanto a chi d da meno e ha 'minor forza e ESPOSIZIONE DEL TBATTATO BELLA PROVYIDENZA, EC. 207 potenza, anzi, che piil schernevole si ^, alia combina- zione eventuale degli atomi e alle stravaganze inco- stanti e disordinate che il caso farebbe da s$, se e' non se gli desse si alto e sapientissirao sopraintendere. Impero 5 fuori d' ogni credenza che altri che Dio sia quello che tutto abbia fatto e tutto muova e sostenga. E Si]r Imperfetto il quale osserva come quel presup- posto dell'incorporeo, e del non potere esser tocco e toccare egli le cose tangibili sia un gran punto e un grande argomento a pro d' Epicure negatore della Prov- videnza, rispondesi per mezzo del Magiotti questo che io stimo opportune di riferire per intero, perch^ sem- brami un punto importantissimo. Molteplici e varie poi sono le quistioni che a mano a mano mette in campo e risolve il filosofo nostro su questo soggetto, ma io credo potervi sorvolare, ferman- domi alle principali; come questa anco nel Timeo ra- gionata, se Iddio sia 1' anima dell' universe, e cosi lo diriga e lo muova e a lui provveda come 1' anima al corpo nostro, a un dipresso come la pensarono i Greci, i quali tennero Dio anima del Mondo, tra' quali Aristotele e Crisippo della setta stoica. Al che si op- pone con forza il Rucellai dimostrando I'assurdo in cui cadrebbesi, cio ammesso; come fece appunto di sopra nel Timeo, discorrendo di questa medesima ipotesi. Ond' ^ che egli, per il Cristianesimo non cade nel Panteismo, n^, come Platone, nel dualismo, ma con la Creazione distinto fa Dio dal mondo, quan- tunque ne sostenga la Provvidenza sopr' esso. E con- trp il Panteismo rinnuova spesso i suoi argomenti, guardando principalmente agli attributi divini, e co- m'essi disconvengano e siano anzi contrarj alle qua- lit^ deU'universo e della materia, che imperfetta e non etema e mutabile si ^ all' incontro di Dio eterno, immutabile e perfezione assoluta, il quale se ^ tutte le cose, e perd Iddio d 1' universe in quanto senza di lui I'universo non sarebbe mai state, n^ senza di lui sarebbero al presente nd al future, non d gi^ vero che tutte le cose e 1' universe Iddio sieno ; e come il sole il quale percuote nelle cose e le cose illuminate il sole non sono, cosi Iddio ^ tutte le cose perch^ tutte le cose per lui sono, e senza lui non sono, ma desse non ESPOSIZIONE DEL TRATTATO BELLA PROVVIDENZA, EC. 211 sono Iddio, perch^ dalla materia imperfetta fabbricate sono, dov' egli perfettissimo si e. E in somma come dice del sole Marsilio Ficino : Sol est imtar Dei, aspectu ante omnia venerandus: est amplificatio qucedam subita et latissima absque detrimento sui, 6b exuberantem boni- totem largitatemque suam cunctis sese libentissinie lar- ffiens, causa conservatioque, et excitatio omnium quce nascuntur; absque hujus prcesentia mori cuncta viden- tur, hujus aute^n prcesentia reviviscere. Simigliante defi- nizione, piii altamente levandosi, pud farsi di Dio, e perd: Deus est omnia, ma non le cose sono Iddio. E il Trifonio in altro Dialogo dopo queste proposi- zioni soggiunge: Ma il Rucellai qui si discosta, ab- bandona ed avversa anche Platone, come lo ha ab- bandonato sempre dove cose contrarie alia fede pro- fessa; egli dice per il Magiotti: E come la materia, cosi gli atomi non possono es- sere eterni. Imperocch^ se il mondo in tutte le sue parti ^ imperfetto e corruttibile, come vorremmo che nei suoi componenti primarj sia eterno e senza man- camento? Delia stessa natura e il composto che sono i componenti suoi. E molto meno poi se noi volgeremo r occhio a quel che veramente sia quest' eternity. Impero dunque pongo da un lato si fatti argomenti, accorgendomi bene che mi si replicherebbe da qual- cheduno de'piii maliziosi, co'diluvj e con gli incendj varie volte avvenuti nel mondo le buone arti essersi spente e ritornata la ruvidezza e I'ignoranza de'se- coli ; essersi le scienze o disperdute o soppresse, i hbri arsi e divampati, e si nell' acque affogate le memorie deir istorie preterite ; molte essersene deteriorate, se non del tutto ite male ; e percio rinascerne alcuna fiata di quelle che noi non sapevamo che mai state fossero, altre restaurate le quali erano divenute peggiori ; n^ percio aversi prova sicura che niuna nata ne sia dai suo' primi principj ; impercio che esser puote che di 1^ da innumerabili secoli fossero in fiore, e che ad ora ad ora si perdano, e ad ora ad ora si rinnoveUino, tornando a maggiore o a minore perfezione gU ingegni e r etadi : che impero di si fatte ragioni io non fo conto, naturalmente favellando, quantunque noi abbia- mo per fede con sicurezza irrefragabile gli anni della creazione del mondo : mentre di cotanto pitl forza sono le altre che addotte si sono, per render con tanto piii vaUde ragioni convinti colore che, per sola miscredenza o miUanteria d' ingegni o mahgni o di soperchio vivaci, ESPOSIZIONE DEL TRATTATO DELLA PEOVVIDENZA, EC. 215 pongono difficult^ eziandio alle cose piil chiare secondo r ordine della natura, perch^ 1' hanno sottoposte i no- stri maestri all' autorit^ della fede. > Ne gK sfugge robiezione deir^^r nihilo nihitf che dal nulla non si fa altro che nidla; che perd Cice- rone: erit aliquod quod ex nihilo oriatur aut in nihi- lum suhifo occidat? Quis hoc phisicus dixit unquam? € 11 Magiotti vi risponde: Se noi favelliamo del mondo Archetipo, e eterno nella mente di Dio siccome le idee di tutte le cose che f urono, che sono e che sa- ranno e di tutte le possibili ad una onnipotenza infi- nita : ma il mondo sensibile e la materia F ha fatto 1* artefice sovrano a quegli esemplari dal nulla : n^ dee ci5 parer gran cosa a un Dio onnipotente e infinite. E come gli uomini dal nulla possono far anch' essi qualcosa, come di trar fuori da quelle una nuova forma, a maggior forza Dio infinitamente onnipotente dee poter fabbricar la materia ex nihilo, e di cid noi dobbiamo restar persuasi che sia cosi; come quantun- que sia impossibile a intender che sia eternita 6 del pari impossibile a restar persuaso com' ella non sia, perchd voltandoci indietro per la graduazione d' innu- merabili principj 1' uno dell' altro, ^ forza di giungere ad un principio non principiato ed eterno. E se Dio che onnipotente si ^, pu6 adoperar gl' impossibili a noi, quale ardimento sar^ dell' uomo che voglia gl' im- possibili limitargli ch' a lui possibili sono, quantunque r uomo non giunga a capirli, e di quel che egli afier- ma non abbia voluto convincercene con argomenti, ma 8i d' autorita proferire? Imperocche Iddio voglia merito da noi, e per intiera fede ; anzi fortiticandocela con si chiari esempi, con rivelazioni e co'detti d' uomini ec- E qui superfluo che io rintessa quelle che dice il Rucellai intomo al fine per cui Dio provvide alia bel- lezza della donna; poiche gi^ sufficientemente V ho chiarito 1^ dove ho discorso dell' amore secondo il no- stro filosofo ; e siccome qui si rannoda la teorica della reminiscenza Platonica, e della creazione ab ceterno dell'anime, la quale dottrina di Platone ei vuol con- ciliata con quello che ne insegna la fede mentre ri- getta la tavola rasa dei Peripatetici, io ne ho riferito ampiamente a suo luogo. Ne basti pertanto osservare: 1° com' egli, il Rucellai, per bocca del prete Magiotti, a torto, e troppo tolga all' intelligenza e alia raziona- lit^ delle donne, in compenso delle quali privazioni dice aver Iddio dato loro appo I'uomo la raccoman- dazione della bellezza; sendo esse, pur razionali, ani- mali si imperfetti e dell' uso di ragione cotanto man- chevoli a petto agli uomini che non a torto disse quel savio infra Io stremo peggiore deUe nature ragionevoli e '1 meglio delle sensibili, la natura donnesca essere stata locata; 2** come il nostro filosofo in sentenza pla- tonica e petrarchesca le bellezze della donna, raggio delle divine, abbia il supremo Provvidente create agli uomini come gradino per ascendere a sollevarsi alle bellezze infinite. Capitolo Decimoterzo. {Segue) LA ESPOSIZIONE DEL TRATTATO BELLA PROVVIDENZA Dl ORAZIO RlCASOLl RUCELLAL SoMMARio. — Dei mali. — Necessita di questi nel mondo. — I yeri mali. — La morte non e un male. — £ cosl la poverty, la perdita delle riccbezze, le ingiuste persecuzioui ec. — I mali occasione e stru- mento di bene. — II dolore. — La infelicita. — Del dono della ra- gione. — Saa natura. — Malizia e ragione. — Libero arbitrio e pro- destinazione. — Liberta e fato. — Passo dell'Autore su questo punto. — Epilogo delle probabilita ragiouevoli intorno 1* esistenza di Dio provvidente. — Bifugio nel la fede. — Conclusione. Intricata e ritale questione ne'tre dialoghi 11, 12 e 13 aflfronta e definisce ilRacellai col metodo 8te8SO,e co'me- desimi intendimenti, la quale d necessaria a risolversi per chiunque favelli di provvidenza; la questione del male nel mondo, che egli reputa, come i beni, dipen- dere da essa. E prima di tutto, con a maestro e duce Platone, che dei veri beni e veri mali divinamente discorre, pone la necessity de' mali nel mondo; e al signor Elea che obietta veder noi il giusto esser oppresso e percosso dalla sferza dei mali, e 1' ingiusto trasportato nelle regioni della felicity, sicch^ Dio mo- strarsi o non provvidente o non equo, risponde Per la qual cosa facciamo esamine un poco sopra di questi mali si gravi che non sono in poter nostro di ributtargli; e veggiamo, se mali dir si deggiono, onde, dall'esser noi sopraifatti da quelli, abbia a dependere quel giudizio, che con tanta franchezza forma Epicuro, dell'essere Iddio a tal cagione o non giusto, o vero non provvidente ; e incominciamo dalU ultimo, di tutte le cose piii terribile alPuomo, dico dallo spaventoso accidente della morte, che indifferentemente e alP im- provviso, e d' innumerabili spezie e in ogni e qualunque et^ cade sopra noi viventi mortali. E, quantunque per lo lume vivissimo della fede Y immortality dell' anime nostre ne sia manifesta, pure non di meno, poich^ si risponde a Epicuro, all' Epicurea favelliamo e di sue opinioni vestiamoci, supponendo con falsa dottrinach'elle mortali esser potessero: imperd che in tal caso ezian- dio male non h la morte, nd che Iddio provvidente non sia, si come egli ebbe per indubitabile, cid dee es- sere argomento. Dicamisi un poco: quando bene I'anima mortale si fosse, che torto riceve T uomo dove prima o poi egli adempia il termine a lui prescritto del vi- vere, posto anch'egli come le altre cose caduche e finite a discrezione degli accidenti fortuiti che provengono dalle seconde cagioni? Per modo che non pena n^ ga- stigamento d' Iddio, ancor che provvedente, la morte degli uomini chiamar si dee: imperd che non piti ra- gione ha di dolersi morendo colui ch' h stato ingene- rato a condizione di ritomare a quelle ch' egli era anzi che ingenerato fosse, di quelle che avrebbe chi non fii mai, dolendosi perche ingenerato non fue ; con cio sia 222 CAPITOLO DECIMOTERZO. cosa che a colui che non ^, non manca mai nulla; n6 ha desiderj o bisogni, n^ passioni o diletti se non quello che ^; e il mancamento e il dispiacere di esser man- chevole non da altro si deriva, salvo che dove non si conseguisca cid che ottenere si vorrebbe; n^ dolersi puote ed esser misero se non colui che abbia senso. Adunque non altro la morte si ^ che ritornare a non essere, cid 6 a non avere di nulla mestiere e a restar franco da ogni tormento, si come era prima che fosse. E poi ; che ^ il nostro vivere perch' e' s' abbia V uomo ad atterrire della morte? Alcuni piccoli animalucci non giungono a vivere un di intiero, de' quali chi arriva alle venti ore di vita pud chiamarsi decrepito : e ch' ^ di piii nostra vita comparata all'eterno? Adunque, sela morte ne finisse del tutto, si come tiene stoltamente Epicure, cid fora ricondurci a'nostri principii: cheim- pero lamentarsi non gli si conviene di torto alcuno. > E quei mali che accompagnano la morte (la quale ^ un punto di tempo si momentaneo che non tocca i vivi e non s' appartiene ai morti) o non sono che una necessity alio scioglimento che si fa di tutte le parti sensibili a poco a poco, accid che si come passo passo si andd formando, cosi lentamente a suo disfacimento venga il composto: quindi le malsanie avanti le debo- lezze provengono d'anno in anno secondo il vigore e il temperamento che loro piii o meno fii conceduto da vivere. Ma quanti per la crapula, per le libidini e per ben mille sofferenze cagionate dall'ambizione o dal- r avarizia si smenomano la vita loro, mal servendosi e consumando gli strumenti datine per nostra conser- vazione ! > E indi il nostro scrittore passa a discorrere degK al- ESPOSIZIONE DEL TRATTATO BELLA PROVVIDENZA, EC. 223 tri mali, la poverty, la perdita delle facolt^, i disfavor! de' principi, le infermiii,, le servM, gli esilj, le ingiurie, le calunnie, le ignominie, le ingiuste persecuzioni, la perdita delle provincie, e de' reami interi a' Re che giu- stamente li posseggono ; e di nuovo il giusto oppresso, ringiusto esaltato; e vi risponde, e risolve la questione^ mostrando come cid non dal caso n^ da Dio, si da noi stessi molte volte dipenda, e dalla nostra ingiustizia del vivere, e come alcune cose che a noi sembrano mali,, Iddio a fine di bene ce le mandi. Convione pero dire che il Rucellai scendendo a par- lare de'mali particolarmente, e'si dimostri troppo stoico, per dirla pi^ conformemente alia quality della £ua dottrina, troppo mistico, sicch^, a m,o' d' esempio, 15 21! 6 CAPITOLO DECIMOTERZO. discorrendo della poverty e del suo contrario, la ric- chezza, mentre, e a ragione, encomia quella virtuosa come germe e fondamento di felice tranquillity, troppo invero questa dispregi e condanni, sbagliandone Tabuso con I'uso. Bello perd 6 il quadro che fa degli onori dispensati sovente a' men degni, e de' dispregi a chi invece onori avrebbe meritato per le sue virt^. La provvidenza divina, dice I'autore nostro, die al- I'uomo i mali, e lo sottopose al dolore, in quanto intendi- mento suo si fii quello di renderlo perfetto e agevolargli le vie a scuotere il giogo dei sensi e si indurargli sotto quello dell' anima razionale. Adunque il dolore patir si pud, ed ^ dono del prowedere supremo; con cid sia cosa che a gloriosi trionfi ne mena, la sicurezza e la liberta ne conserva dell' animo, e ne fa esser gli uomini sopra gli uomini, anzi, come Seneca tenne, uguali o superiori agli Dii : Ferte fortiter, die' egli, habetis quo anteceda- tis deum : ipse extra patientiam malorum est : vos su- pra patientiam. Iddio per renderne degni di sua alta beneficenza, perfetti ci vuole negli atti della ragione, in cui sopra gl' irrazionali privilegiati ci ha : e gU uo- mini di virtii bramosi, anticipatameate apparecchian- dovisi, debbono gaiamente a tutti i patimenti essere esposti e si aspettarseli, per conseguire i doni dell' one- sto e la turpitudine viziosa iscansare. L' infelicity, in qualunque modo ella ne accada, la pill fedele maestra si d ddl' adoperar ragionevole ; perchd essa e quel fuoco onde si alluma la luce, quasi che spenta, della ragione, per cui altri si perfeziona e rendesi degno degli infiniti beni della Provvidenza Divina. Ne' tre ultimi dialoghi di questo trattato, il Rucel- lai s' intrattiene a discorrere del dono della ragione e della liberty, che il Prowedere etemo ha fatto agU ESPOSIZIONE DEL TRATTATO BELLA PROVYIDENZA, EC. 227 uomini, si che essi si distinguano dai bniti, e per ul- timo riepiloga contro Epicure gli argomenti gi^ espressi, sull' esistenza di Dio, e sulP arte sua divina nel mondo. E nella prima questione egK definisce la ragione alia peripatetica, e com' egli dice, vendendo le descri- zioni per definizioni, e gli effetti per le cagioni, impe- rocch^ se non si pu6 arrivare alia cognizione del senso, molto meno si pu6 giungere a sapere quel che sia la ragione di cotanto piii pregio e piii sovranamente pro- dotta. 232 CAPITOLO DECIHOTERZO. E indi lungamente discorre della malizia cui la ra- gione raffina, e de' mali usi che di questa fa Tuomo; e mentre questi acerbamente condanna il Bucellai, come prodotti dal Kbero arbitrio delF uomo traviato, quella difende come dono sqxiisito e stupendo dell'Etemo Prov- veditore; n^'perchd Tuomone abusa,il dono devesi spre- glare, o tenere in non cale; e conclude con V aggua- glio del sole dicendo r o per varie vie si disperdono? Qual colpa la ragione ci ha, se fluttuando per furiosi turbini di violente pas- sioni, tutti fantasimi dell' anima, torbida e confiisa si rende la cognizione del vero? Perch^ accagionare la ragione, se le varie facce che ci si volgono davanti de' mal regolati e incostanti appetiti, per esse ci si mo- strano falsificati e varj da quel che sono i suo'lumi negli oggetti che noi miriamo? Non i raggi della ra- ESPOSIZIONE DEL TRATTATO DELLA PROYVIDENZA, EC 233 gione, ma si la materia ov' essi percuotono, trasforma sua purissima luce in variati colon; onde quello che per s^ d lucido e puro, torbido, o si vero di tinte non sue colorato rassembra ? E perch' essi da luce proven- gono, ed alterati ne sono i riverberi, distinzione ne rendouo, ma s) rea distinzione e mentita, che abbaglia e delude in noi V elezione, rivolta i talenti in malizia, seduce la vista dell' anima ed aguzzala in yedere quel che non d; ond' ella allettata da immagini false, ivi si studia di giugnere, e si adoprando astutamente il male^ perfeziona le qperazioni viziose: per la qual cosa Marsilio Ficino, corona della patria nostra, disse divi- namente in simil proposito: Sicut miopia terrena a coda lumen reddit opacum, facUque colorem ex lumine, sic corpus circa animam reddit ex inteUigeniia sensum. Non h dunque colpa del lume ragionevole, per s6 mai sem- pre chiarissimo, ma di noi che tortamente il guardiamo^ con frapponimenti che ingannano e insozzano i suoi riverberi, si che ei non ci si mostra bene, non per suo, ma si per nostro difetto. II sole, dice il prefato autore, trapassa di presente per la chiarit^ de'cristalli, che non parano, o rigettano indietro il vivo lume ch' e' ne tramanda ; ma dove ne' corpi terrei ed opachi si ab- batta, inetti a imbevere la luce, voglionci replicate pcrcussioni de'raggi suoi, che pria gli riscaldino, ac- cendangli ed assottiglino ; e poscia suo lume vi penetjfa a fecondarli. N6 piii, n6 meno, i rai vivificanti deUa ra- gione umana, ch'6 pur favilla della divina, per la purity e.trasparenza degli organi intemi, passano agevolmente a {ax lume all'occhio dell' anima; ma se le tenebre de' sensi brutaU e la materiality delle passion! terrene fiannosi loro innanzi, non perdono que' raggi loro luci- dezza, ma le tenebre non la comprendono ; e per6 o il lume della ragione dall' occhio mentale smarriscesi, poi- 234 CAPITOLO DECIMOTEEZO. ch6 esse gliele tengono, o vuolci tempo e atti iterati di loro vigorosi percuotimenti, accid che disciolgano, lique- facciano e si consumino quelle grossezze, anzi ch' e' pas- sino a rendere sinceri all' anima gli oggetti dell' im- maginativa e veridica V elezione della volont^; cosi come non ^ colpa del sole se suo' rai non s' insinuano si di leggieri per la durezza e asperity della terra, n^ anche ^ colpa della ragione se suo' lumi trovano I'opa- cit^ degli affetti che gli ribatte, e si presta loro I'imper- fezione de' suo' inform! aspetti, per falsificame la luce. Impercid, signor Elea, la colpa tutta e di noi, e V uomo quando usa bene la ragione, e I'ottimo di tutti gli animali, quando male, e pessimo di tutti. Che poi I'usino pochi per lo nostro naturale iucitamentode'sensi, non d colpa della ragione, n6 cid si dee apporre al j)rovedimento divino: ma noi proprii ne semo i colpe- voli, impercio che la ragione n' 6 data, accio che I'uomo, come buon villano, il campo del cuor suo di- ligentemente lavori, si che quello che v'^ duro, spezzi e quello che mal cresce, ricida; e con imperio d'animo debbia governare tutte le corporal! parti; se cid non adempie, d! lui fallo si ^. non del dono della ragione, n^ del domatore sovrano, perch^ molt! pravamente si vagliano di tal beneficio. Con tutto che tant! e tanti scialacquino i patrimonii, perde forse merito lor padre di cotanto utile lasciato loro? Quanti sono che, vo- lendo far male, giovarono altrui, e ben lor nacque ? e come non si dee saper grado di cio a' primi, cosi n^ meno averne odio a' secondi. FoUe discorso saria, sa d'un principe, che di una alcuna nobile e salutevole vivanda regalo ne facesse, lamentare ci volessimo, per- ch^ male ne avesse fatto, o per la mal sana disposi- zione di noi medesimi, o pe'rei condimenti, onde cu- cinata I'avessimo. ESPOSIZIONE DEL TRATTATO BELLA PROVVIDENZA, EC. 235 Elea. — Non hanno colpa i principi se di qualche loro grazia male ci venga, perch^ essi saper non po- teano che cid ne dovesse accadere ; ma il provveditore etemo non puote scusarsi di non antivedere le cose avvenire. Era dunque migliore, o non darci la ragione, o si levarci Y elezione dell' operare, che damela per male servircene. > E con questo si scende a risolvere Taltra quistione importante del libero arbitrio dell' uomo, ch.e, appunto dal malo uso ch' e' se ne fa, alcuni vorrebbero escluso e rimesso nelle mani volubili della fortuna e del caso, o in quelle ferree di una cieca ed irrevocabile neces- sity,. Difende il Rucellai la liberty d' elezione nell'uomo, della quale ad esso solamente fu fatto dono tra gli animali quaggiiH, perch^ e ragionevole appunto, e ac- corda questa liberty colla predestinazione, invadendo cosi, mi sembi^a, un campo che piii che suo, 6 di teologizzante, mentre invero assai debolmente ragiona della liberty in s6 filosoficamente considerata. In so- stanza la predestinazione puossi invero accordare con la liberty, purch6 si badi al concetto di questa medesima predestinazione. Ch' d ella mai inf atti ? Iddio in cui il passato e il futuro s' immedesima nell' eterno presente, non puo, umanamente parlando, non prevedere ogni azione dell' uomo, e in tanto prevede, egli predestina; se non che quell' idea di tempo che nelle due parole s' in- chiude non vale per Iddio, si per noi che finiti siamo e nella successione del tempo ; ond' 6 che la liberty umana in nulla rimane impedita; imperocchd non perch^ Iddio prevede che I'uomo determina, impercid egli deter- mina; ma perche I'uomo 6 per determinare di suo arbitrio, inipero Iddio, che ha cognizione infallibile, prevede ; c e, se 1' uomo fosse per determinare il contra- rio, Iddio previsto 1' avrebbe, si come colui che errar 236 CAPITOLO DECIMOTEBZO. non puote nelle sue previsioni. Adunque I'atto della determinazione 6 libero, ancor che Dio lo preveda; ma r atto dell' esecuzione non ^ libero, e perd Iddio o il permette o lo predetermina o toglie ch' e' non awenga, perch^ cosi predetermino. > Ond' ^ che Iddio pone Fanima razionale per entro la corporale materia, accio che la parte inferiore alia superiore ingaggi battaglia, e con questa gli nomini da per loro prodi si facciano contro gli empiti degli appetiti espugnandoli con la ragione. Ma raffiguriamo ci6 ne' sentimenti piii che umani di Pittagora e di Plato, i quali col barlume della natura nell'infinita beneficienza di Dio ragguardando, ben si awiddero il merito della sublime condizione deiranime non esser merito bastevole per lo godimento di quella; e si da questi astri immaginati, ove secondo loro Iddio le te- neva in serbanza, con la viziata natura della materia vile mischiandole, le lasciava in suo arbitrio, accio che col divino talento della ragione sapessero di proprio volere i vizii vincere e far si che i sensi servi fossero e instrumento della ragione, non questa instrumento di queUi; per lo cui merito o le stelle piCi luminose o' Campi Elisi per lor felice magione dopo morte asse- gnarono ; ma, altrimenti oprando, da' corpi umani la trasmigrazione davano dell' anime in que' delle bestie i cui costumi brutali piii a' vizi loro si confacessero. Imperciocch^ la ragione non d essa il merito d«' bene- ficj divini, ma si lo strumento che messer Domeneddio ne porge loro, bene usandola, a meritevoli farsene. E perch^ pugna forte la natura della materia corporea contro a' dettami della ragione, n^ Iddio vuol per mi- racolo perfezionar la materia, quindi nasce il libero arbitrio in si fatto contrasto di due contrarj stimoli, il, quale, dov'e'si volge, all'un di loro d^ lavittoria: ESPOSIZIONE DEL TBATTATO BELLA PROVVIBENZA, EC. 237 e perch^ a nostra imperfetta natura sono piii i vizi che le virtudi conformi, non volendo Iddio fame oprar bene di potenza, perch^ i meriti degni meriti non sarebbono appo di lui, ne viene che il minor numero se ne approfitti: e per6 la ragione nulladimeno d prowedimento sovrano datone a dar regola al nostro libero arbitrio, ancor che forse il minor numero se ne vagliano. Adunque il farsi meritevole de' beni di Dio non in aver la ragione consiste, ma nel volerla spon- taneamente adoprare, potendo fare il contradio. Imperf. — In somma ell' d una proposizione molto difficile a intendersi questo libero arbitrio, com' egli stia collegato con la predeterminazione di Dio. Mag. — Udite piii innanzi e con piii chiarezza. Cid che sono per deliberare ed eleggere gli uomini, il vide Iddio ab aterno; ma videlo, non lo sforzd; seppelo, no '1 determind; il predisse, non V ordind. > E indi il Rucellai combatte la necessity che gli stoici affermano darsi nel nostro acconsentimento, che non altrimenti spontaneo sia ma risultante dalle cagioni antecedenti per fatality impermutabile. E gli oggetti che ad agire ne stimolano dimostra col senso comune, e coir esperienza, esser bensi cagioni prossime e parti- colari, non principali ed universali, e come lo accon- sentimento e la deliberazione nasca da noi si come il principle del moto alia trottola il d^ chi la tira, ma il volgersi in giro per merito si ^ di sua propensione e figura. E nel mondo evvi anco il fato a cui Tuomo sog- giace senza che quelle contrarii il libero arbitrio di questo. Fato, il quale non d che volere divino, pare al Bucellai che nominar si debban le morti repentine, e ogni e qualunque altro accidente nel qual cagion pros- sima particolare non si ravvisa che a quella innanzi 238 CAPITOLO DECIMOTEBZO. ne disponga, ma che immediate e all' improwiso dalla cagione universale discenda, laonde niuna libera deter- minazione di nostro ai:bitrio luogo ci abbia. E riepilogando, il nostro filosofo dice, cadendo poi nel suo solito probabilismo : Per la qual cosa a ragione fu chiamato il fato; inJuerens rebus mobUibus immobUe promdentim decre- turn, quod singula 5wo ordine loco et tempore firmiter reddit. E in ci5 distinguono gli autori la provvidenza divina dal fato; quella dicono, vis in Deo et potestas omnia videndi, sciendi^ et gubemandi indivisa stipata et uniter juncta ; ma il fato lo pongono partitamente nelle cose particolari: la provvidenza ^ in Dio solo lo- cata, e a lui solo sta in petto: il fato h il decreto e 16 242 CAPITOLO DECIMOTERZO. resecuzione di essa applicata alle cose speciali. La provvidenza dunque ^ in Dio e il fato nelle cose di- scende da Dio ; e perd la provvidenza h prima del fato, si come il sole ^ innanzi al lume, V eternity al tempo: Providentiam rerum omnium jundim esse fatum per distributionem singtdarum? Seriem nexumque eausarum in ordine in loco in tempore. E di queste cause si prevale secondo lor virtii o dote data loro da Dio. Pendentem a divino consilio seriem ordinemque causarum chiama il fato Pico della Mirandola. Ma le cagioni se- conde 1' adopera per quel modo ch' elleno usate sono di adoperarsi, e percio delle libere determinazioni nostre mosse dagli. impulsi o degli appetiti o della ragione, se- condo che bene o male deliberiamo; il cui effetto segue o non segue secondo la predeterminazione divina ; e noi degli atti nostri volontarj, o ragionevoli o irragionevoli, abbiamo il merito e il demerito. Che iraperd per divino provedere la ragione n' ^ data a correggimento di nostro libero arbitrio, da' cui moti bene o male regolati la virtii o il vizio ne risulta, quantunque non se ne adem- piano gli efiFetti. Cosi anche naturalmente favellando, la predeterminazione e prescienza delle cose col nostro libero arbitrio coUegare si puote, cui la ragione so- prasti ; e perd non n'^ data indamo come altri vana- mente si presuppone. Elea. — Oh quanto malagevole si 6 il poter fermare ci6 con tutte quante le argute ragioni addottene dal nostro Magiotti, autenticate eziandio daU'autorit^ di grand! uomini, le quali son belle si e appariscenti, ma in somma poi non provano! Mag. — Egli ^ sufficiente lo 'ntendere che quantun- que non rintendiamo possa essere anzi abbia del ve- risixnile che si fiatta coUegazione si dia, e che noi non ESPOSIZIONE DEL TRATTATO DELLA PROVVIDENZA, EC. 243 giunghiamo a poter provare il contradio; impercid che chi 6 colui che osa senza forza di manifeste dimostra- zioni contradire a' proprj sentimenti ? II libero arbitrio noi ce '1 sentiamo in noi da per noi : che gli effetti poi di esso dipendano da piii alta cagione, cio eziandio n' ^ indubitabile e aperto per chiarissimo e continuato sperimento. Come dunque volere affermare che tale collegamento non ci abbia? Adunque acquietamci, senza negare o affermare sopra il modo come e'si sia col nostro usato rifugio. Quest' uno i' so, che nulla io so : che d'intorno a qualunque cosa noi non intendiamo per lo piii vero e indubitabile d' ogni scienza che sia. > E col riassunto delle probability ragionevoli intorno all' esistenza e al provedere eterno di Dio, si compie questo trattato, eliminando sul bel prime 1' opinione di Epicure che la speranza e il timore siano i due fat- tori di Dio nella mente dell'uomo, o, per dir meglio, riducendo questa proposizione al sue giusto valore, che e la speranza e il timore di Dio, il quale nolle opere sue e nell'arte sua divina si manifesta, non sono da fantasmi o da immaginazione. E conchiude il Magiotti : E il signer Giovanni Nicheo Dalmatino, che soprag- giugne, abbiam visto in principio della Esposizione con quali parole si rivolga, domandato, a chi cerca altri argoraenti sull' esistenza e prowidenza di Dio, e •come dope aver detto che grandiose segno di tal ve- rita si ^ V universal consentimento in tale credenza, che equivale a un dettame di natura, si rifugia in argomento di teologia rivelata e conchiude : Al che tutti s' acquetano, come vedemmo, e la ra- gion di loro, chiuse le ali, si riposa timorosa e tran- quilla, come Colombo, nel nido securo di una religiosa credenza. Capitolo Decimoquarto. ESPOSIZIONE DELLA PSICOLOGIA E DELLA MORALE NET DIALOGHI FILOSOFICI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. SoMMARio. — II detto di Socrate e quelle di Tale to. — Fatti interni: psicologici e morali. — Nosce te ipsum. — Dell' anima in generale. — Galileo. — t presunzione voler comprendere quel che Taninia sia.— Studio proficuo de' suoi strumenti. — Notomia. — Proemio del Rn- cellai alia parte morale. — Qui e aristotelico.— Riepilogo. — Lara- gione ed il scnso. — Loro contrarieta nel riconoscere il bene. — Tre sorte di beni ; dell' anima, della fortuna e del sense. — Apprez- zamento di essi. — La vera scienza morale e il timore di Dio. — L' anima umana, perche ragionevole, ecapace del timore di Dio,e, pero, di Tirttj. — Anche qui il Rucellai e mistico. — Operazioni del- r anima e della volonta. — Errore e dubbio. — Buono e reo. — La vera felicita. — iJ la vera virtu. — Stoicismo. — Aristotele. — A^irtii cardinali. — Ldro definizioni ed uffici. — Estremi delle vir- tu. — i\.pplicazione delle virtti alia societa umana. — Fine di essa. — Doveri. — Divisione di essi. — Cicerone. — Sentenza esagerata intorno le donne. — Goudusione. Fin qui ^ stato un discorso per il regno della natura sensibile, e per il regno della natura divina. Accompa- gnato apparentemente il Kucellai dalla voce di So- crate, osservd, come vedemmo, le stupende regioni di questi due regni, ma le ragioni delP esser loro non im- pard con certezza, si discopri col lume incerto dell'in- telletto come probabili, perche la loro certezza sola- mente la fede ci manifesta, e il probabilismo (che infine non d se non uno scetticismo) razionalmente fayel- lando, si fu la conclusione delsuo lunghissimo esame: probabilismo e scetticismo, io ripeto, che come per in- ESPOSIZIONE DELLA PSICOLOGIA E DELLA MORALE, EC. 247 canto tramutossi in evidenza, allorch^ V autoriU di- vina sopraggiunse, e le nebbie della ragione, quasi raggio di sole, penetrando disciolse. Or la guida del Eucellai muta, e come Virgilio al limitare del Paradiso ced6 V ufficio di condottiero per Dante a Beatrice, cosi il detto Socratico sul limitare della coscenza umana si rist^, e a quel di Talete d^ luogo, perche serva di guida al Filosofo nell' esame dei fatti interiori, psicologici, io dico, e morali. In un mo- desto preambolo accenna egli a tutto cio; e nella Vil- leggiatura Albana che comprende due Dialoghi, il se- condo de' quali diviso in 31 capitoli, discorre della psicologia e antropologia, molto imperfettamente per 6, si che non ha importanza, abbozzo piii che discorso, 6 percio anch' io spendo poche parole in compendiarla, per quel tanto che al mio ufficio sodisfi e non piCi. Badare, egli dice, agli antidoti contro le malattie deir Anima ^ necessario, e cid si fa e si consegue anzi tutto, conoscendo bene s6 stessi. Nosce te ipsum; co- noscendo cio^ intieramente gli organi nostri, sede del- r inteUetto e dell' altre potenze dell' Anima, e impa- rando a tener bene d' accordo i due movimenti contrari sotto le leggi del dovere. E cid, applicando pure la scienza della Natura a correggimento dell' Animo, af- fine di conseguire quella felicity espressa in quelle pa- role : E siccome nell' individuo tre operazioni diverse ma congiunte si osservano, vegetativa, sensitiva e ragione- vole, giova dire le opinioni che in antico si ebbero della sede di queste potenze, cio^ della natura del- r Anima; discorrendo poi partitamente dell' anima ve- getativa, indi della sensitiva, e per ultimo della ragio- nevole, ossia dell' anima in questi tre aspetti diversi. Poscia il filosofo si propone di far riflessione siccome 248 CAPITOLO DECIMOQUABTO. rUomo per mezzo dalle quality eccelse dell'anima deve istruire s^ stesso neUe virtii morali, per conse- guire il bene perfetto, che spesso in oggetti onnina- meirte ad esse contrari noi andiamo cercando. D disegno di queste parti si ^ chiaro, e precede con discorso naturale della mente, e giusta il buon metodo: 1' Uomo ^ problema a s^ stesso; ogni sosprro, ogni movimento, ogni pensiero, ogni volizione 6 un complesso di fatti che TUomo produce e che avendo in s^ del misterioso vuol sapere di essi il perche. L'Uomo 6 un creatore finite di cose indefinite; egli compie degli atti agevolmente, ma quegli atti li dire- sti divini, se non lo sapessi finite, tanta 6 la lore gran- dezza, la lore portentosit^ ! Egli si vuole conoscere e ne ha tutto il diritto. E *a che sapere delle cose che lo circondano, se ignora Tessere proprio? Ei vuol saper com'^, chi ^, dov'^, dov'andr^; ^ ben naturale ! A che darmi questa sete insaziabile di scienza, di amore, di infinite, se poi, come a Tantalo, ella dovesse formare a me uno strumento d' un eterno martirio? A che fomirmi di tanti organi stupendi, di tante facoltS, prodigiose; a che sottoporre al mio volere in me stesso tanti abili ministri di arte e di in- gegno; a che questa ragione, questo volere, s'io son condannato come un organismo di cera a restarmene immobile, o, come macchina, a muovermi senza sa- peme il come e il perche? Oh! dunque rUomobiso- gna conosca sd stesso, il sue corpo, la sua anima, le facoM di ambedue, se vuol dir di sapere alcun che. Questa sentenza del conoscer s^ stesso e adunque la base del verace sapere. Obbediamola, e, guidati da essa, studiamoci. L' anima, lo abbiamo veduto, ^ di piii sorte; quindi ESPOSIZIOn/ BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 249 conviene vedere prima dell' anima in generale. II Ga- lileo interrogato che fosse quest' anima naturale, ri- spose : non lo so. Tutte le definizioni date dagli antichi suir anima si accordano a dire che essa ^ un movi- mento. Ma pero il movimento ^ un effetto, dice il Ru- cellai col Galileo, e resta sempre a sapersi quel che r anima sia veramente. Chi produce questo effetto nel mondo? chi ^ I'origine di questo moto universale? Platone reputa etemo questo moto, ed erra stimandolo etemo colla materia, sibbene dee ritenersi eterno con Dio ; ^ egli dunque Dio stesso, che 6 anima dell' Uni- verse, d egli Dio il moto che 6 anima del Mondo? fi presunzione il rinvenire se questo moto sia veramente r anima del Mondo e percid dobbiamo starcene quieti a quello che gi^ per lo innanzi abbiamo veduto, e non andar pitl oltre in quest' indagine, imperocch^ chi vuol saper pitl innanzi della verity, va a caccia della bugia. E qui invero si ferma il Rucellai quasi scoraggiato della ricerca, per passare all' esame di cid che si vede, e di cid che si tocca, cio6 della fabbrica esteriore del- rUomo, osservando come dalla fabbrica dei diversi ingegni e deUe varie maestranze degli organi dei corpi che vivono. argomentare si puo la quality delle anime che quelli informano ; sicche giovi discorrere della no- tomia, non ad uso della medicina o physice, come avrebbero detto gli scolastici, ma si all' esame del- r operazioni dell' anima sensitiva e della ragionevole, cio^ Metaphysice ; esaminando cio6 i /?ni a'quaH son formate quelle parti e quegli organi, e 1' ordinamento loro sotto il regime volontario dell' anima umana o ra^ gionevole. E nel suo trattato d' anatomia segue il Ru- cellai i pill dotti Naturalisti del tempo, e soprattutto il dottissimo medico di Firenze Rodrigo de Castro, il quale fii autore del libro SuUe Meteore del corpo 250 CAPITOLO DECIMOQUARTO. Umano. L' egregio lettore mi permetter^, e non a malin- cuore, ch' io gli risparmi la descrizione di questo trat- tato, che del rimanente non contiene in s6 altra im- portanza tranne quella di essere basato sulle cause finali e d' essere informato al principio universale del- r ordine e della proporzione. E questo ^ tutto quello cui nella seconda Villeggiatura accenna 11 Rucellai; poco importante, come ognun vede, ed imperfettissimo, e che era forse per lui un abbozzo di un lavoro pii compiuto e a cui come ad altri manco al filosofo nostro 11 tempo di porre mano, o di dar T ultimo tocco. Reputo piuttosto, come quello che merita piii, di intrattenermi con alquanta maggiore larghezza sul trat- tato delle facolta interne e morali, nella Villeggiatura Tiburtina compreso, che quantunque imperfetto an- cli' esso, pure per natura sua e all' obietto nostro gio- vevolissimo, ed incomincio pertanto dal riportame il Proemio, pubblicato dal signer Fiacchi, come ho avver- tito nel Cap. 7**, (Collet, degli opmcdi Scientif. 1814) ma ignorato quasi generalmente, e che ^ bene risotto- porlo all' attenzione del letterato e del filosofo, percM oltre a designare in esso quel che intende contengano i suoi dialoghi sulla morale, d come uno specchio fedele della qualita loro e del sistema, ed agevola la strada alia critica nostra. Pboemio alla Villeggiatura Tiburtina. Per modo che fatta questa pausa di parecchie ore di tenebre, egli h ben ragione ch' e' ci ritorni alia vista e alia mente quell' ammirabile opera dell' Onni- potente mano di Dio con le indefinite specie che ne giungono a un tratto agli occhi e alia fantasia di si varie e leggiadre particolari sue creature, che tutto il corpo universale del mondo con si stupenda conso- nanza e armonia compongono insieme. Per lo che alio scoprimento di si belle varietadi e di tante sorte di cose, che annoverare e distinguere non si ponno in un' occhiata sola, e di si diverse tinte e lumeggiamenti, onde si scorge tutta la terra colorata e distinta; chi non rimarrebbe attonito e stupefatto, se non 1' avesse di giorno in giorno per lungo corso di anni osservate e vedute, e perdutone con I'uso quotidiano degli oc- chi, la maraviglia? Tutto questo per I'appunto 6 in- tervenuto a me stamattina su lo spuntare dell' Alba, in questa nostra uscita per andarcene a Tivoli da Nemi partendoci. Perch^ al primo raggio lucente, che in un attimo si distese con 1' illuminazione della terra e del cielo dall' uno all' altro orizzonte : io non potetti far di meno in quel subito di non rimanere strabilito da tali e si maravigliose bellezze, che mi vennero di presente a ingombrar le palpebre come di cosa nuova e non piii veduta, e ipsofatto aprironmi altresi la mente a piii subUmi e piii nobili considerazioni. Impero dunque quantunque volte meco pensando riguardo alia lucidezza del cielo, e alia vaghezza della terra, io rin- nuovo subito tra me stesso le usate riflessioni avver- tendo con quante diverse situazioni e riverberi di luce questo tutto adorno sia ; ravviso di quanti vari colori da essa dipinto venga questo nostro Emispero, variato per ben mille vaghe maniere di lumi e d' ombre. Va- gheggio con sommo diletto quante positure difformi vi 252 CAPITOLO DECIMOQUARTO. si rinvengano di piani, di valli, di colline e di monti che lo disagguagUano nella rotondit^ sua: osservo di quante maniere sia divisato da una banda di boschi verdissimi, dair altra di amene campagne, e di campi aperti, Golmi e fluttuanti d'oro ad ogni aura che spiri; scorgo dove acque nitidissime che a guisa di tante vene serpeggiando e correndo lo irrigano, dove Tam- piezza dei mari che ondeggiando ne vengono ad ora ad ora con tempi ordinati alle prode; e insomma in- numerabili differenze di cose che in qua e 1^ dissemi- nate si mirano; le quali avvegnachS per difetto della capacity nostra, ne appaiano confuse ed a case; pur tuttavia elle sono ordinate e disposte con ammirabile simmetria dalla madre natura e da colui che la guida. Laonde se 1' ordine altro non d che una composizione di pill cose insieme adattate e accomodate a' lor luo- ghi prescritte con sommo e alto sapere dall' opportu- nity dei siti, e da' tempi in che esse s' addicano, e se bellezza e compiacenza veruna de' sensi nostri dar non si puote senz' ordina, e tutto quello ch' 6 brutto e spia- cevole, per6 spiacevole e brutto si ^ peych^ ^ disordi- nato ed a caso; confessare pur mi conviene che nella confusione di si leggiadre e dilettevoli composizioni e disposizioni, ordine maraviglioso e misura e propoB- zione vi sia, comecch^ da' vostri occhi non se ne di- scema cosi perfettamente la distinzione. > Dalla bella vista dunque di co^ varie ed alte maraviglie, le quali noi in viaggiando con la conside- razione godiamo stamane ; mi si leva eziandio con gran diletto il pensiero alia contemplazione delle altre cose belle, le quaH presentemente non ci si rappresentano all' occhio : lasciamo da un lato il far ricordanza delle diversity* de' pesci del mare con tante dissimili figure, e co'lor proprii colori; delle bestie della terra d'inde- ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 253 finito numero, che niuna si rassomiglia alia sembianza dell' altra, e '1 simile degli augelletti svolazzanti per r aria ; ma che direm noi della maestria industriosa per la quale con si differenti e si minute fabbriche e ordigni son fatti tutti quanti gli animali, e quali pic- ciolissimi ingegni sieno scompartiti entro di essi con finissimo lavoro, ciascuno a varie ed ammirabili ope- razioni adattato? Qual'S si stolido che non rimanga a un tratto preso dalla beltade e leggiadria delle donne, che creature ragionevoli sono, facendo refles- sione con qua' proporzioni corrispondenti di vari linea- ment! si bene innestati insieme sia formata una fac- cia delicata e gentile? e con qual tenerezza e delica- tura risplendano a chi le mira le fattezze loro; e con che elegante artifizio fuori dalle labbra con dolci moti balenando un riso aggradevole, I'alme ammalii con soavissimo incanto? E chi ^ colui che sperimentato non abbia i vivi e chiarissimi lampi, i quali scappando in un attimo dalle loro ardenti pupille ne feriscono i cuori e 1' alme senza discemere ove sia il dardo, e dove Tarco, e la mano che lo scocchi? Ma contempliamo altresi la variety dell'effigie degli uomini, la robu- stezza delle membra loro con si nobile proporzione scolpite dal Maestro Sovrano, e la destrezza e la di- spostezza in tutte quante le azioni, e il valore che av- vezzandosi egli acquistano per combattere talora e farci stare ogni piti temuta fiera? e finalmente tutte quelle cose che la natura di miracoloso ha in essi lo- cato sopra g? irrazionali anche nelle parti corporee. Per guisa che se Y uomo solo e per natura e per dono di ragione dilettasi e conosce quel che 1' ordine sia, e '1 bello, e '1 modo, e V armonia di tutte le cose visi- bili e apparent!, appagandovi entro la reflessione, il che non dimostrano di conoscere n6 pigliame alcun 254 CAPITOLO DECIMOQUARTO. diletto gli altri animali; e se cotanto maravigliose cose noi risguardiamo nelle parti che hanno gli uomini a comune co' bruti, e nelF artifiziosa composizione degli organi loro, fatti apposta dalla natura per le opera- zioni sovrane a cui ci rende abili V Eterno architetto ; di quanta maggiore ammirazione c' ingombrerem noi se trasporteremo sifiFatte meditazioni dall'occhio al- r animo, cio6 da' miracoli delle cose che si veggiono o che veder si possono, a quelle che si fanno entro a quegli organi per oi)era di ragione, e che dall'intel- letto solamente comprender si possono? Molto piii avremo diletto e consolazione senza alcun fallo nella bellezza, nella impermutabilit^ e fermezza loro, e si nell'ordine che puote osservarsi nelle azioni buone, nelle deliberazioni giuste, e convenevoli, e nei giudicj retti della porzione interiore dove consiste V operar ragionevole, e V ammirabile leggiadria dell' onesto co- tanto reputato da' filosofi, e per cui 1' uomo non a torto merita il nome di saggio. > Ora per quella maniera che i lineamenti del volto e le proporzioni delle parti corporee, e la loro conve- nienza insieme compongono quel vago aggregate che per maestria della natura fa risplendere e piacere co- tanto il bello, e'l leggiadro ne' corpi; non altrimenti per r opera tanto pii\ sagace e maravigliosa della ra- gione e per lo suo alto magistero dalle convenevoli azioni, dagli atti dell' intelletto e dai lodevoli costumi trainee fuori 1' ordine, la simmetria e la bellezza del- r animo di piiH eccellente perfezione senza veruno ag- guaglio che sia; laonde con giustissimo titolo gli antichi savi anche di bello posero nome all' onesto, a differenza del suo contrario che essi addimandarono turpe, cioe deforme veramente e fuori d' ogni regola e misura. Di modo che restiamo pure persuasi come nella stessa ESPOSIZIONE DELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 255 guisa che la bianchezza delle cami, I'oro inanellato de' capelli, la grazia d' un riso che esce con vezzosi moti da una leggiadrissima bocca, il fulgore e la vi- vacity spiritosa di due nerissime piipille che ne pas- sano da un lato all' altro senza accorgercene per mezzo del cuore, e le guance di rose e le altre nobili e di- ligenti fattezze bene accoppiate, e disposte in un volto dalla natura spesse volte piu ad una femmina favore- vole che all' ^Itra, son tutte cose che il rendono bello ed adomo, e fannolo riguardare, ammirare ed amare con sommo piacimento e dilettazione da chiunque si sia. Maggiormente senza verun paragone dee muoverci e dilettare la candidezza della mente e de' costumi, la vivezza e '1 lume chiarissimo dell' intelletto, la grazia e la nobilta del tratto e delle maniere, e la gravity & il decoro delle azioni che sono i lineamenti perfetti che forma il magistero accurato della ragione, e fa bella e ragguardevole un' anima, e rendela amabile e aggra- devole e nobile e gentile e sopra tutte le altre in gran- dissimo pregio, ed estimazione; e questa si h la vera bellezza che si appfeUa dai sapienti onest^, il che non pud fare giammai la bellezza di un volto corporale ben fatto, il quale ^ solamente bastante a destare lo stimolo vehemente de' sensi ; dove all' eccelsa maravi- glia dell' altra con altrettanta violenza si risentono le parti superiori e le facoM piii preclare dell' anima,. cioe a dire I' intelletto, e la mente, conciossiache quelle bellezze che all' onest^ si appartengono, sono d' intera,^ e non corruttibile fattura; dove 1' altre caduche sono, e transitorie, e le riguarda solamente con dilettazione la porzione sensibile. > Ecco perch^ gl'irrazionali, che non hanno misure da cio, non si muovono n6 si appagano se non di quello che il senso detta loro, e che e presente, n^ del pas- 256 CAPITOLO DECIMOQUARTO. sato del fiituro fanno verun conto. che sia. Ma I'liomo con la ragione intende alia conseguenza delle cose, a'prin- cipj, alle cagioni e a' progress! loro, e con le passate pa- ragona la simiglianza delle present!, e a queste appoggia r investigazione e la conoscenza dell' avvenire, e per tal via esamina e considera e quasi dispone tutto il corso della sua vita, appressandosi al vero, la dove Tuomo savio s' immagina cha 1' eccellenza del bello con giusta misura sia collocato. Per tale attitudine e inclinazione a noi soli conceduta, tutti quanti siamo tirati alia bra- mosia della cognizione e della scienza; e perciocche (come abbiam dimostrato sin qui) delle naturali ope- razioni, di quelle eziandio che tutto giomo da noi si scorgono e che noi adoperiamo o per diletto o per V uso del vivere, non ci e lecito o possibile di rinvenire i principj loro; n^ le loro speciali cagioni ancorche gli occhi nostri apertamente le mirino; a tale intenzione nel cominciamento de' nostri discorsi proposi quellasen- tenza di Socrate ; parendomi sempre piti evidente noi non potere ad altra scienza rivolgerci che alia cognizione di noi stessi, e di noi alia notizia di quelle porzioni che quantunque non si veggiano, si adoperano e regolansi da noi medesimi, e riduconsi a quella perfetta bellezza, che risplende viepiii e con pitl verita all' occhio delle nostre menti, che quell' altra all* occhio corporale non fa. Per la qual cosa applichiamo ogni nostra cura, e ogni soUecitudine neir investigazione del vero, intomo a quello ci driu- scibile di aggiugnerlo, che in quel bello dimora, in quel buono cosi sublime, il cui esemplare, il cui ammirabil ritratto dalla Divina mente staccandosi, ne f u si alta- mente nell' anima impresso, cio^ il lume della ragione dalla cui accurata meditazione arrivasi con I'intelletto e con I'opere al vero, al buono al bello, all'onesto; ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 257 prima a conoscere quale veramente e' sia, e vagheg- giarlo con sommo deaio, per indi imitarlo con I'eser- cizio della retta intenzione e della virtil. Ora se noi proviamo a qual segno ci muove e ne innamora quel- r ordinamento si ben tirato di parti perfettamente lo- cate a' lor luoghi della belta corporale onde sfa villa quel lampo, quel non so che il quale i piii reputati filosofanti rag^o appellarono della Divina PulcritudiQe; che dovrebbe operare in noi, a che amore, a che con- solazione destarci quell' armonia si perfetta di conve- nienze tanto rettamente ordinate insieme, e si leggiadre e si ammirabili della heliA dell' onesto? il quale piil accertatamente nominar si puote non raggio solamente ma vivo e ben condotto ritratto di quell' originale eterno della sapienza infinita, 1^ dove il sommo bello di tutti i belli, il sommo buono di tutti i buoni e 1' infinite e sommo sapere d' ogni altra sapienza in una perfezione unica e infinita si altamente rifulge ; e se la schiettezza e modestia sola degli ornamenti arroge qualcosa di piii alia bellezza corporea, dove la falsificazione e '1 liscio la sminuisce e la toglie ; non altrimenti la purity e in- tegrity de'costumi gentili e delle maniere con I'orna- mento solo delle scienze, e dell'arti pitl nobili, fanno piii bella e pitl vaga 1' onesto dell' animo, e rccanle piti chiaro splendore che non fa la gloria vana e I'osten- tazione e 1' ambizione, la quale eziandio con le dignita e con esso gli onori non meritati di piil alto grade adultera e guasta e corrompe i bei lineamenti del- r anima. E qui rammemoriamoci per paragone delle belle giovani di Marino che non accattano i rossetti dair arte per farsi belle e leggiadre, ma serbano intatto quel finissimo velo di candide e lucide carni federate di rose, le quali non col cinabro o col bianco ma so- lamente coir acqua fresca ravvivano, a difierenza delle 17 258 CAPITOLO DECIMOQUARTO. nostre bellezze di Eoma, che false si veggiono e di- pinte co' lisci, e affatturate e guaste con V affettazione degli ornamenti soverchi e delle artifiziate invenzioni. Ma per maggior riprova di quanto i' vi propongo, pas- siamo di grazia a pitl precisa simiglianza di questo onesto col bello, e rimarremo sicuramente convinti esser di gran lunga pitl leggiadro 1' onesto che il bello. Ecco: il bello e la bellezza dei corpi sono nomi universaK che tornan bene, e s' applicano a innumerabili cose, come s' 6 a tutte quelle tanto naturali, quanto fabbri- cate dall'arte in cui si ravvisi a un tratto perfezione di misure e di proporzioni che tirino gli occhi di cia- scuno a guardarle, a lodarle ad ammirarle; e cionon solamente segue nel rimirare una vaga e bella faccia femminea, ma un cavallo o altro animale eziandio, che nella sua specie sia ben formate dentro alle sue de- bite proporzioni, le quali dal loro sesto naturale non escono punto n^ poco; il simile d'una bella pianta, d'una selva ben posta e ben ordinata, che vi diletta senza scorgerne il perche ; e infine tutte quelle belle cose, che noi abbiamo con tanto nostro piacimento ammirate, e nel tutto generalmente e nelle parti sue ciascuna da per s6 di beM intera, e perfetta nel suo essere, bench^ ella sia parimente porzione della bellezza del tutto insieme : nel medesimo mode delle cose per- fezionate dell' Arte il piii per imitazione della natura, belle ci convien dirle, e per tali celebrarle ; come delle pitture e delle sculture addiviene, delle fabbriche ma- gnifiche e dei palagi, e di tante e tante altre fatture ben fatte di mano in mano secondo la qualita loro e secondo I'ordine, la simmetria e '1 componimento spe- ciale che loro s' addice per 1' uso a che elle hanno a servire, e per la mostra che elle hanno a fare. Ma nella stessa guisa che nella leggiadria e nella vaghezza ESPOSIZIONE DELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 259 delle opere della natura, noi ammirato abbiamo V alto intendimento di chi 1' ha fatte ; n6 piil n^ meno nel- r artifizio e lavoro di quelle fabbricate dall' arte, non ci dimentichiamo di lodare la maestria e '1 lavoro di colui che meglio I'abbia sapute ridurre a fine: e come nel maestro della natura noi veneriamo Y infinite e onnipotente sapere le sue opere contemplando; cosi dobbiamo non tq,nto lodare la mano degli artefici, quanto riconoscere di essi I'ingegno e Tintendere che da quella infinita sapienza piglia il suo lume primiero, ed ammi- rare viepitl I'intelletto e la ragione di quelle che opera, che r opera istessa ; anzi si dee riconoscere che quella bellezza del lavoro, che noi cotanto lodiamo, non ^ ve- ramente titolo che meriti esso lavoro, ma conviensi alia mente e alFingegno del lavorante; e pero anche la bellezza delle corporali cose non 6 attribute che pro- priamente a' corpi belli si richieda, ma all' intendi- mento di chi seppe la belt^ donar loro, al Divino se delle cose naturali favelliamo, e alia ragione infusa nell' uomo, che 6 parimente cosa divina, se discorriamo delle cose dell' arte. Ora se il bello veramente 6 bello non per rispetto al corpo dov' egli e introdotto, ma per rispetto alia mente di chi con istudio e diligente ap- plicazione lo conduce a fine; la lode che si da per usanza a una cosa bella non cade appropriatamente sopra la cosa, che riceve sua perfezione d' altronde, e non trae essa da sd medesima le sue prerogative del bello, ma sempre si dee riferire a colui che il bello ha saputo darle; e insomxaa quella bellezza che noi tanto commendiamo nella cosa bella, non ha essa il merito di esser tale, come I'ha chi bella I'ha fatta. > Quanto dunque ci convien confessare che sia piii bella la bellezza dell' animo che la bellezza dei corpi? perch^ se questa dei corpi, la quale con iscalpello o 260 CAPITOLO DECIMOQUAETO. altra manuale maestranza si forma entro materia gros- solana, vile e terrestre ne' corporali lavori, ricevendo il componimento suo e la maestria dalla prima Idea deir Architetto, ha in se un non so che del Divino; quella degli animi che si perfeziona e adornasi di gen- tili e saggi costumi, di azioni e pensieri prudenti, e di atti tutti ragionevoli, quanto pitl veramente pud dirsi neir opera e nelF operante, tutta insieme cosa divina, essendo 1' operante e 1' opera tutta insieme in s6 stessa della medesima condizione, e perd tanto piii maravi- gliosa, e sopra 1' ordine della natura pud dirsi; perche con la ragione, che e scintilla di Divinita, non si abbel- lisce materia vile e terrena, ma si purifica e si perfe- ziona un' anima, che ^ della mano divina creatura tanto perfetta facendosi leggiadra e pura dalla belta dell' onesto, che sottraendola fuori dalle macchie fan- gose de' sensi corporei, nella sua prima divina sem- bianza la riconduce. > L' Onesto impercid da grandi uomini si distin- gue in due sorter Tuna consiste nella grandezza e eccellenza dell' animo che e bellezza vigorosa, e da uomo grande e di alti e generosi sentimenti dov' abbia modo di esercitarli ; 1' altra che sta posta nella confor- mazione col dovere e nella moderazione, e nella mo- destia per cui rifulge la continenza, I'umilt^ e la temperanza che sono le virttl, le quali formano nella pill ben misurata proporzione i lineamenti e le fat- tezze di questo bello, che si chiama onesto. Con esso s'impara a non temere, per fare il giusto, di niente che sia; a dispregiare con fortezza le cose umane, dove iia di mestiere, e non credere intollerabile cosa alcuna che possa all' uomo intervenire; non bramare se non il diritto, e deUberare con ottimo cuore e con ben ponderata ragione tutte le cose che s'hanno da fare ESPOSIZIONE DELIA PSICOLOGIA E DELLA MORALE, EC. 261 e da dire, e da cui derivar non ne possa n6 penti- mento proprio, n^ detrimento altrui; onde traluce fuori da tutte le azioni umane quel non so che di vago e di maraviglioso che si chiama Giudicio, il quale puo chiamarsi la grazia e '1 compimento della beM deirOnesto; si come la gentilezza e '1 nobile porta- mento e '1 moto vivace degli occhi e delle membra, la grazia si e e 1' ornamento piti leggiadro che risplenda nella bellezza dei corpi. Tutte quante le operazioni dunque giuste, ragionevoH e ben temperate dalla pru- denza e delle altre virttl convenevoli sono, e percid decorose e belle; come le ingiuste e fuori di ragione disconvenevoli, senza decoro e deformi. Per la qual cosa da dubitare non 6 che le virttl non sieno le piti aggradevoli ed ammirabili parti e piii delicate di quel belle che chiamasi onesto, si come i vizj del turpe e deforme. Ma per quel modo che la vaghezza corporale difficilmente dura e mantiensi senza la sanity e sejiza una ben formata complessione ; cosi la leggiadria e la belt^ dell' animo che ci d^ negli occhi con V avvenenza dei costumi e del tratto e delle amabili maniere, di rado si conserva senza una buona e sana mente, e senza la robustezza di una ben ferma e retta inten- zione ; percioc^h^ quel tutto insieme che noi scorghiamo nell' adoperar nobilmente e saggiamente ne d^ il primo indizio (egli ^ vero) e la prima raccomandazione per giudicar poi con le debite riprove, che 1' onesto sia vera, stabile, ferma in tutte sue parti e non variaoile, incostante, malfondata e finta. Ma perch^ sia Fargo- mento pitl forte di si fatta riprova, e con piil pre- stezza si rinvenga, se 6 sincero quel non so che il quale spioca fuori talvolta dalle decorose maniere, o che abbia veramente Y eccellenza in s6 del bello e del maraviglioso che si richiede all' onesto, tutto consiste 262 CAPITOLO DECIMOQUARTO. nell' osservare se il modo di contenersi in tutte le azioni sia al maggior segno differente dall' operare irra- gionevole; e di vero che quel bello che da noi si ap- pella decoro, gravita e avvenenza di costumi, il quale lampeggia fuori del portamento d' un uomo savio, tira r appro vazione di tutti coloro i quali hanno nell'or- dine, nella fermezza e nella moderazione de' detti e de' fatti buon gusto, e tutto il compiacimento loro; per lo splendore e *1 lumeggiamento piil vivace e pitl chiaro di questo decoro, e di questa bellezza dell' animo, Tin- telligenza e 1 giudicio si 6, e se cotanto si lodano e approvansi le attitudini e moti del corpo e la di lui dispostezza che vagUono alle azioni corporee; molto pill i movimenti e le attitudini ben regolate dell' animo che servono alle opere della ragione, nelle quali avve- gnach^ tutti gli onesti uomini, come dicono i Franzesi per dar loro quel giusto titolo che meritano le per- sone veramente di garbo, non abbiano tutti i medesimi talenti, solamente che in ciascun di loro stia sempre ferma la mente retta, e invariabile 1' uso della ragioue, non si toglie loro la venust^ dell' onesto, non altrimenti che non perdono la grazia e la bellezza delle attitu- dini corporali quegli che in esse non siano abili alle medesime cose, imperciocch^ altri sono agili al corse, altri sono isciolti nel danzare, altri nel maneggiare un corsiero, e altri forti e robusti in varie operazioni della ginnastica; ma in somma qualunque cosa che noi ado- priamo con 1' intelletto e col raziocinio ha sempre piu garbo e piil nobilt^ di quelle che si fanno coUe forze e con la destrezza del corpo ; ma fermisi insomma per proporzione infallibile e universale che 1' onesto ha per compagna mai sempre la virttl, nh puote dalla virtil sradicarsi, e dove non d virtii non d perfetta onesto, ma solo sembianza d' onesto. L' onesto dunque ^ bel- ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 263 lezza vera, costante e incorruttibile, non solamente generica, ma particolare eziandio; percioccM e bella la virtil in genere, che d T aggregate di tutte le bel- lezze insieme deU'onest^; ma tutti gli atti virtuosi, ciascuna opera di ragione, e tutte le sue facolt^ da per se, hanno la perfezione speciale ma intera di questa miracolosa belleiza, che onest^ da' sapienti si appella; e insomma tutto quello che ci muove al dovere, che ci sprona al convenevole, e che ne indirizza per le vie dell'operar virtuoso, tutto quello, che regola i nostri Sin qui abbiamo ragionato di quel bello che si chiama dai filosofi morali onesto, il quale d^ la forma perfetta agli animi nel modo che il bello visibile abbel- lisce le fattezze dei corpi; per lo che non reputo in questo luogo che sia alieno dalla materia proposta 264 CAPITOLO DECIMOQUARTO. discorrere dell' utile il qnale, a' detta di molti, vien giudicato 1' opposto dell' onesto, che tanto s'^ dire turpe e deforme; ma essi scambiano i termini e nomi, per- ciocch^ quello che onesto non ^, utile non si puo dire, il quale presso gli stolti ha tale la sembianza per la cupidigia loro, che utile lo credono perch^ si studiano di conseguire cose ingiuste e disdicevoli, senza pensar piii innanzi se dannoso sia a sd e al prossimo; percioc- che oltre al male, che da essi altrui pud prodursi o col torre il loro, o col fare lor cosa che sia ingiuriosa o spiacevole, ridonda anche in biasmo e in inquietu- dine e in gravi pericoli di chi 1' usa e di chi lo cerca con aspettativa mal pensata di trame profitto, perch^ utility, vera e stabile dar non si puote, dove non sia congiunto 1' onesto, e 1' utile per ci6 ^ utile perch^ e onesto; ne onesto si d^ mai che utile non sia. Ora facciamo un po' avvertenza, vi prego, in che grado stiano amendue 1' uno con 1' altro, e per qual maniera possano far lega insieme. Aflfermero primieramente con Marco TuUio, che il vero onesto con I'util vero sono in istrettissima confederazione, non potendosi trovar cosa effettivamente giovevole che onesta non sia. Im- perciocch^ quello, che dagli uomini poco savi utile falsamente si presuppone, e quello che ^ veramente contrario all' onesto, non utile anzi detrimento e disu- tile nominar si dee. Erran pero colore che reputan que- sta sorta d' utile al pari dell' onesto, delusi dagli affetti soveichi dell'amor proprio e dell'interesse, imperciocche dove sia cosa contraria al dovere, ancorch^ paia che metta conto di conseguirla, ci ^ la turpitudine, con esso la qualv^ cosa utile accoppiar non si pud per v - runa r^aniera che sia, perch^ senza 1' onesto util vero non trova gi^ mai. Ed d tanta la virtil e 1' e^cellenza dell' onesto, che ancorchd e' sia utile, non perche egli ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 265 e utile far si dee, ma perch^ egli 6 onesto, anteponen- dosi tal nome e tal riguardo air utile che util sia con- giunto col diritto e coll' onesta ; anzi 1' util vero dege- nererebbe dall' onesta che seco dimora, qualora il fine di quello si preferisse al fine delP onesto. E percid r onesto sola ne ha da indurre a operare senza far considerazione all' utility, se non secondariamente a voler che essa non isvarj e non s' allontani dall' one- sto, il quale quantunque per nostre sregolate passioni e' ci paresse contrario al nostro utile, sempre com' egli d onesto, utilissimo si ^. E per ci6 niuna cosa ^ gio- vevole che non sia onesta, diceva Socrate, perch^ quello f:he onesto non e, non puo mai utile divenire, sconvol- gasi quanto si voglia I'ordine dell a natura. > E quale utility si pud egli mai trovare dove si oscuri lo splendore e '1 nome d' uomo giiisto, e da bene? E chi ^ colui che recar ci possa tanto giova- uiento ohe ci torni con to scapitare per esso la buona fama, la giustizia e la fede ? Perch^ s' hann' eghno a trascurare le cose giuste e oneste per acquistar ric- chezze e potenze, che utile vero dir non si possono, qualunque volta perd elle non s' indirizzino ed eserci- tinsi a questo fine dell' onesta e della virttl, con le quali pill 1' operar ragionevole abhia lustro, e facciasi riconoscere quando le faculty e le grandezze sono ret- tamente e gloriosamente applicate ? Chi non ha questa mira nel maneggiare i beni della fortuna facendoli ser- vire a quelli dell' animo, ci6 si ^ farsi bestia, o in forma d' uomo govemarsi da bestia. E chiunque afferma che la cupidigia, I'avarizia, 1' ambizione e la vana^loria contravvenendo alia giustizia, possano util cosa chia- marsi, ^ in grave errore o meiitecatto si 6. Come pu6 mai trovarsi utility dove segue o dee seguire rimorso di coscienza o pentimento o dove sovrastar pericoli? 266 CAPITOLO DECIMOQUARTO. Pud bene nominarsi padre della patria Giulio Cesare da' cittadini impauriti; perche egli non sar§, mai altro che un parricida. II comandare agli altri, che dee sostenersi su la base della gloria e dell' amore de' sud- diti, come pud esser utile, dove in iscambio si vegga su '1 bilico deir odio e della mala fama ? Ecco la bella e gloriosa utility, di Giulio Cesare dove ell' andd a finire; rimase tra le coltella ucciso in Senato. Ecco dove termino la tirannia usurpata in Atene lor patria da' Pisistrati, e dagl'Ipparchi ; restarono oppressi dal valore e dalla sagacity di Aristogitone e d'Armodio. E per addurre esempi moderni, dove pard la gran- dezza e la potenza del generate Valdestain che non temeva di chi glieH potesse torre ? Si convert! in tra- dimento del quale pagd il fio in Egra con sua propria strage; e di si fatti casi e negli antichi e ne' presenti secoli ne raccontano in grandissima dovizia tutte quante le istorie. Utile dunque non pu5 darsi con odio e con pericolo, e con rimordimento interiore, ma vuol esser riguardato dalla stima dei saggi e dall' amore de'buoni, il quale solamente d giusta retribuzione dell' onesto; senza un' utility, ragionevole, ne lecita non si trova giam- mai, n6 utilita puo dirsi quello acquisto che sia gio- vevole ad uno e all' altro no; anzi anche le oneste cose disoneste si fanno, dove V utile di qualcheduno possa patire ; chd perd niuna cosa e pitl onesta del mantener la parola, ma perde sua prerogativa, come cid porti pregiudizio a chi ella si mantiene; per esempio (come i poeti fingono) non fu cosa onesta che il Sole man- tenesse la parola a Fetonte. E veridicamente parlaudo fu cosa fuori di tutti i termini dell' onesta, e giunse alia scelleraggine che Erode mantenesse la parola a Erodiade. Concludasi dunque che non si da onesto che non sia utile, nd util vero senza 1' onesto, rimanendo ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E DELLA MORALE, EC. 267 chiaramente persuasi che 1' onest§, sia quel nome gene- rico che significa in una parola sola la proporzione e r armonia di tutte le operazioni ragionevoli, e di tutte le faculta ben guidate dell'animo; per quella guisa, che il nome della bellezza ne spiega con un sol voca- bolo r accordo insieme in ben regolata forma di tutte le parti, di tutti i lineamenti d'un corpo bello; come di tutte le altre cose che piacciono nel genere loro ; e siccome da tutte le cose belle particolari ne risulta questo nome universale che beltade si appella; cosi da un ben misurato accompagnamento di tutte le virtii morali, e di tutti quanti gh atti virtuosi, si raccoglie insieme questo nome generale, che onesto si chiama; il quale vuol dire e abbraccia, si in genere, come in particolare tutte quante le beUezze delFanimo. Quello dunque che riguarda e s' aspetta in genere alia virtii morale, e alia sua perfezione dicesi onesto; e percio da questo universale potremo nella presente villeggia- tura e nolle consuetegite che andremo facendo, potremo, dico, favellare della virtti morale, e delle sue -pit belle parti, esamingtndo i precetti e gli ammaestramenti di essa, che sono le pitl speciose prerogative della bel- lezza deir animo. Per questa via impareremo a cono- scer noi stessi, e quali strumenti dati ne sieno dal Maestro Etemo per conseguire si nobile ornamento, pel quale noi ci sottragghiamo dalla sembianza di bruti, e ci accostiamo con la figura interiore alia simiglianza di Dio. > E un di pill far rilevare al leggitore come il no- stro autore si mostri qui nella morale Peripatetico, aristotelico, subito che ripone come lo Stagirita la virtti nel giusto mezzo; lo ch6 h da intendersi non nel me- diocre, com' altri ne voUer dedurre, si nella giusta mi- 268 CAPITOLO DECIMOQUARTO. sura, oltre la quale non ^ piil bene, non ^ pitl perfe- zione, ^ un trasmodare. Stabilito cio, riassumiamo bre- vemente i quattro dialoghi intomo alia morale, per indi venire alia cons^guenza del sillogismo di cui ab- biamo dato le premesse, o alia risoluzione del problema da noi posto in campo. Gli uomini, egli dice nell' argomento del Dialogo 1% ban dunque anima vegetativa, sensitiva e ragionevole, di cui le potenze sono, memoria, intelletto e volonta. L' uomo cx)nsulta, giudica, compara, delibera, vuole. Sovente la parte concupiscibile c iraocibile, come am- mette anco Platone, le quali ha dato in servigio della ragione, si trovano a contrast© coUa ragione stessa, e traviano la volonta ; e 1' atto, anzi che virtuoso, e allora vizioso. Imperocch^ la ragione fondi i suoi motivi suUa costanza dei beni, e stimi beni anco i mali preseuti, che pero menano a futura felicita; e gli appetiti in- vece si curino solamente de'beni presenti, guidino poi partecipino al male. I beni degli appetiti sono pure obietto della ragione che gl'indirizza a sano e giusto fine, subordinandoli alle azioni virtuose. Da si fatte e si diverse apprensioni della ragione e degli appetiti si deriva la contrarieta tra loro nel riconoscere il bene; onde secondo dove aderisca la volenti, formasi la virtil ed il vizio di cui sta per discorrere. Se non che, giusta la sentenza aristotelica, dir si conviene come i beni sieno di tre sorta: beni deiraninna, della fortuna, e del sense. • E beni dell'anima si chiamano quelli che ritro- viamo in noi, e che da noi stese* dipendono, come sono le virtii, e la retta intcnzione, i quali, come nel trat- tato della Provviderzo osservammo, non ci possono esser dati n6 tolti, se non da noi medesimi. ESPOSIZIONE DELIA PSICOLOGIA E DELLA MORALE, EC. 269 Beni della fortuna quelli sono che stan fuora di noi, e ad arbitrio di altri ci vengono dati, e ci ven- gono tolti, come le ricchezze, gli onori, il pQtere; i quali son beni non veri e fermi, se non s' indirizzano a beni deiranimo e all'opre della virtii. Beni del sense, per ultimo, sono quelli che noi abbiamo a comune co'bruti, e solamente dir si pos- sono beni, in quanto dalla natura si bramano per man- tenimento del vivere e della propagazione e conserva- zione della specie, e terminano ciascuno col termine della propria vita. Nel resto i beni del sense, dice il Eucellai, sono d' ordinario mali e non beni, fondati tutti sulla volutt^ e sul piacere, n^ in altro case beni possono divenire, salvoch^ quando per abito virtuoso, vinti e mortificati tutti gli aflFetti e g? incitamenti lore, I'oprar virtuoso s' ^ a poco a poco convertito in sensualitii, sentendone godimento eziandio nella parte inferiore. E nel V Dia- logo dichiara che la filosoila morale, ^ la piil vera e meglio fondata filosolia dell'uomo. E dove sta questa vera apprensione della scienza dell'uomo? Udite la risposta teologica e mistica che egli ne d^: Nel timore di Dio, imperocch^ appunto d intendimento della filosofia morale cristiana insegnare altrui operar bene e non far male, affine di conseguire la felicity vera che 6 il Paradise, e sfuggire il gastigo, la pena, Y infelicity, ossia Y inferno. E cid venivano ad ammettere anche i filosofi gentili, quando aflFermavano il bene consistere nella felicity e nel godimento del sommo Bene. Or la felicity, non la d^ che Dio, e il ti- more e I'Amore di lui ci ammaestrano a viver bene per conseguirla, perche tutti quanti i beni veri dipen- dono da Lui. Initium sapientice timor Domini. Voi scorgete qui tosto il nosce te ipsum filosofico 270 CAPITOLO DECIMOQUARTO. innestato alia religione, alia fede, e ad essa conse- gnato, perche non si diparta da quella via che deve eondurre il Rucellai alia meta prefissa. Intanto dalla cognizione dell' uomo , egli dice , e dei suoi istru- menti e facolt^ si apprende la difierenza di lui dagli irragionevoli, i quali hanno anima vegetativa e sen- sitiva, ma non si aggiunge loro come neU'uomo la ragionevole. E quest' anima che per il Rucellai, de- finendola, consiste in un moto continuo e ordinate che ne fa avere sense e ragione, non 6 nell' uomo la somma di tre anime ; sibbene 1' anima umana ha tre doti, della ragione principalmente in s^ stessa, e poi anco quella del senso e della vegetazione. E una unita sostanziale in cui tutte quante le facolta e le potenze dell' uomo consistono. Dotata poi la ragionevole di libertgb, giusta quelle che dimostrd il Rucellai nella Prowiden0a, d in- finitamente superiore, incomparabilmente piil perfetta deir altre due che ne' bruti si trovano, e per essa I'uomo e capace di atti virtuosi o viziosi di imputa- zioni morali, di premio o di pena. Imperocch^ il moto sensibile (Capo 3°, Dialogo !•) e il moto ragionevole dell' anima umana non vadan sempre d' accordo, e la vita morale sia soggetta a delle continue perturbazioni, nolle quali I'uomo ha dovere di obbedire al moto ragionevole della mente. Ha il dovere ! perchd 1' uomo ha questo dovere ? d' onde la legge ? Esiste ella questa legge che ha forza di imporsi a tutti gli uomini, con sanzione etema, infinita? II Ru- cellai non lo dimostra^ o almeno dalle sue parole non ritraesi un argomento che abbia valore di prova. Egli ^ mistico senza dubbio, ^ tradizionalista, pur senza addarsene: e mentre accenna a seguire il di- scorso naturale della mente, or con questo o con quel filosofo antico, egli non fa altro che commentare quel ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 271 che la rivelazione gli ha dato a credere. !fe la ragione al servigio della fede. Cos' 6 pertanto questa mente al cui moto ragionevole obbedisce 1' uomo ? Ell' ha signi- ficati diversi, ma secondo Platone, cui segue, 6 quella generale consulta e ricettacolo in cui sono comprese tutte le potenze della parte superiore dell' anima, ciod memoria, intelletto e volont^. La prima conserva gli oggetti acquistati co'sensi, i quali oggetti si porgono innanzi air intelletto per 1' immaginativa. L' intelletto gli esamina, e ne d^ alia ragione un giusto ragguaglio. La ragione vi discute e giudica, e poi la volont^ in seguito a giudizio delibera ed eseguisce ; al che fare la volont^ si serve dei due ministri, moto irascibile e con- cupiscibile, che inviano spiriti sottilissimi ma corporei a produrre i varj movimenti necessarj. Se non che. pur nel giudizio la mente pu6 errare ; in quanto da' sensi posson esser ad essa presentati gli oggetti imperfettamente o per vizio naturale. E, se non errare, pud rimaner dubitosa ed incerta; indi I'opinione, che potendo esser falsa, ^ pericolo che venga scambiata per la vera scienza. Ufficio dunque della ragione si 6 di far in modo che 1' intelletto sia sgombro di passioni, n^ deve cosi subito, e come alia cieca, prestar fede ai sensi, fontana inesauribile di er- rori, a chi non esamini bene e non tenga come a sal- vaguardia quel detto di san Paolo: Video aliam le- gem in membris meis repugnantem legi mentis mece, E, di vero, dalle facoM ragionevoli si discerne la dif- ferenza nell' anima degli atti secondi dai primi: coi quali atti secondi meglio riflettesi, e si pesa col giu- dizio il valore e la differenza dell' onesto e del dilet- tovole, e principalmente la diversity del huono e del reo. Imperciocchd il godimento del bene o il patimento del male, giusta ne dice Cicerone, di cui qui il Eucellai 272 CAPITOLO DECIMOQUARTO. si e proposto di seguire le orme, non stiano rispettiva- mente nel piacere o nel dolore, beni o mali de'sensi; ma nella felicity o infelicity che vien data dalla ragione; felicity vera e perd immanchevole ; mentre tutti gli altri beni di quaggiii, lo dissero stupendamente gli stoici, ci possono venir meno, e a quella vera felicita, cui essi incapaci sono di darci, possono essere mezzo, in quanto ban capacity, indirizzati a lor fini, di divenir beni ancb' essi. La vera felicita pertanto, checche ne dica Epicuro e la sua scuola, sta nel possesso del Bene sommo, cbe il Rucellai filosofo teologo, trova nel Pa- radiso. Ma ancbe di qua, in questa vita, non esclude il Rucellai con gli stoici che possano i veri beni go- dersi, operando secondo virtil ottima e per sempre; virtu che si acquista con la saviezza della ragione, e con gli abiti buoni e con tenere essa in freno gli appe- titi siccome auriga gli sfrenati destrieri del suo cocchio, E la virtu ottima che e elk mai? Risponde per lui Ari- stotile, del quale accetta la definizione non che le clas- sificazioni di essa virtCi. La virtil (Argom. del 2** Dial.) ^ abito per elezione che si contiene nel mezzo per Tappunto fra due estremi: il vizio e operazione di- spregiatrice della ragione. L' atto virtuoso non altro e che il ridurre la propria natura all' operare ragioBe- vole. Distinguonsi poi virtil primarie nell' uomo, o, come si dice, cardinali, e secondarie, le quali dipendono dalle prime. Le virtil cardinali, come per Aristotele, cosi per il Cristianesimo, sono la prudenza, la giustizia, la tem- peranza e la fortezza. La prima, secondo Platone, ^ la misura di tutte le altre, ^ V occhio diritto della morality, la vera scoria neir elezione dei fini. Prudenza, 6 bilancia che pesa con somma finezza tutti quanti gli oggetti che deside- rare si debbono, o vero sfuggire. Ad essa si riducono. ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 273 per Plato-ne, tutte le virtil, perch^ 6 questa misura, stando in mano di lei il vero compasso proporzionale per il quale si misurano tutti i fini. La Giustizia dispensa suo diritto a ciascuno si degli utili, come delle prerogative che competono lojx) secondo i gradi dei meriti, della dignity e delle virti\ che egli hanno, e questa distinguesi, come Aristotile e Cicerone fanno, in civile, distributiva, e commutativa. E per la commutativa parla della dottrina del cambio, che, come afferma, toglie in massima parte dal Davanzati. La fortezza, che ne insegna sopra ogni cosa di su- perar s6 medesimi e soggiogare gli affetti e le passioni e non temer di minaccie, n^ di rischi, nd di morte a pro della religione, della patria e della reputazione. La temperanza, per cui si ritiene a freno ogni smo- derata cupidigia, ed d il vero antidote contro 1' ambi- zione e contro I'interesse soperchio ; e tutte queste virtii primarie manchevoli sono, n6 possono esser vere virttl senza il concorso e '1 sussidio 1' una dell' altra tra loro. E siccome la virtd ^ il giusto mezzo, non la me- diocrity, che e difetto, ma il mezzo ch' d il limite tra due eccessi, od estremi, ciascuna di esse virtii ha i saoi estremi in&a i quaU riseggono. Ed io li accenno, ma non mi ci trattengo. Estremi della prudenza sono, (pure secondo Aristo- tile) la malizia e la stupidita; della giustizia, 1' avari- zia, la trascuraggine ; della fortezza, temerity e co- dardia; della temperanza, gli estremi viziosi di tutte r altre. Dalle quali tutte, e in fra i rispettivi estremi di esse, discendono o stanno le virtii secondarie. Accosto alia prudenza, e come sue figlie, si trovano la perspicacia, la sagacity, I'arguzia, Taccortezza, la dissimulazione (in buon sense), 1' industria ; V astu- zia, la circospezione, la sincerity, la segretezza, la 18 274 CAPITOLO DECIMOQUAETO. fedeM; alle quali tutte comspondono vizj; impe- rocchd dalla circospezione sia agevole cosa cadere nel vizio della sospensione, della suspicacia, come poi e agevole dall' accortezza cadere nella astuzia in mal sense presa, nella malizia, nella simulazione, frode, tradimento, irresoluzione, stupidity, taciturnity, finzio- ne, adulazione, calunnia: come dalla facondia nella procace loquacity, e nel sofisma, dalla prontezza nel- rimprudenza o inconsideratezza. Gli atti virtuosi che seguono la Giustizia sono: Liberality — - Parsimonia — - Beneficenza — (Jenero- sit^ — Magnanimita — Magnificenza. Le quali virtii posson degenerare e viziarsi, dive- nendo — Ambizione — Ladrocinio — Vanagloria — La- scivia — Superbia — Prodigality,. Altre virtil secondarie — • Ragionevoli rimunera- zioni e retribuzioni — Carit^ — virttt divina germana della fede e della speranza. La Parsimonia sta a dirimpetto della Liberalita. Son due atti virtuosi. — Vizio ^ la Sordidezza. Altre yirtt seguaci della Giustizia sono: Severity, Rigore da un lato, e Equity, e Misericordia da un altro. — Eccessi di equity e di rigore. — Ti- rannie — Vendette ■— GrudeltS, ec. Degli Atti virtuosi che seguono la Fortezza. Da un lato Y Intrepidezza, il Coraggio, il Valore del cuore e della mano. Vi0j. — Animosity — Iracondia — Audacia — Indo- lenza — Furie — Ferocia. Dall' altro lato abbiamo seguaci della fortezza : la Pazienza ragionevole — la Mansuetudine. Vi0j. — Timidity, — ViM — Codardia. Al^e virtu seguaci della Giustizia. — Costanza - Fermezza — Lmpermutabilit^. ESPOSIZIONE DELIA PSICOLOGIA E DELLA MORALE, EC. 275 Vi^ij. — Ostinazione — Pertinacia, Perfidia. Virtu. — Facility di cedere al dovere. — Piacevo- lezza del tratto. — Moderazione, Gravity, Decoro — Modestia. Visj. — Alterigia, Vanagloria ec. Virtu. — Emulazione. ViiSfio. —■ Competenza — Mormorazione — Falsity — Calunnia — Superbia ec. Degli Atti virtuosi che seguono la Temperanza. Veramente tutti gli atti virtuosi surriferiti accom- pagnano altresi la Temperanza, perch^ atto virtuoso non si d^ se la temperanza non moderi I'impeto na- turale. Perd tra gli atti piiH confiacevoli ad essa sono da annoverarsi quelli che rattengono gl'impeti della concupiscenza o Fingordigia della gola. Virtit. — Castit^, — Pudicizia — Pudore — OnestS, — Ingegno — Digiuno — Astinenza — • Sobriety. Vi0j opposti. — Eccessivo rossore, e Libidine, Lasci- via, Adulter)' e Ubriachezza ec. Questo per le virtiH in s6 considerate. Or siccome la virtCl solamente 6 base della society, umana, e n' ^ il cemento, bisogna veder di esse 1' applicazione nel con- sorzio civile, e discorrere con Marco Tullio degli Officj per la society, umana medesima. La quale d da na- tura, e da ragione: ch6 Dio ha fatto gli Uomini per gli Uomini. E Iddio, poi, diede a tutti il libero arbi- trio, accio niuno di noi potesse conseguir lui senza noi stessi, e senza 1' educazione cristiana, e senza gli ammae- stramenti spirituali e senza i divini precetti, insegna- tici da' Religiosi, da' Teologi e dalle persone devote che Uomini sono; e gli Angioli per la stessa maniera (ag- giiinge il buon Bucellai) se noi non diamo le orecchie agli ajuti loro, alle loro savie persuasioni niun utile o giovamento recar ne possano in verun conto che sia. 276 CAPITOLO DECIMOQUARTO. E, come scorgesi, la morale dell' EvangeUo questa, ne io so davvero dove e come si applichi filosofica- mente il Nosce te ipsum! Proseguiamo : Gli ufficii, come Cicerone, divide il Eucellai in necessarj e per ele^ione. I primi vengono imposti dalla provvidenza, i secondi dal nostro volere. Sono dessi differenti secondo i gradi e le combina- zioni delle persone, e, al solito, si distinguono in do- veri verso Dio, verso gh altri e verso noi medesimi, dei quali ultimi pero non discorre. I doveri verso Dio sono necessari; il prime d di gratitudine, impiegando in cid le potenze tutte delle quali ci ha forniti, e con- formando la nostra volenti a' suoi decreti, alle ispira- zioni che egli ci manda, e la nostra corta inteUigenza alle sue leggi. La fede, 1' amor di Dio, la carit^, sono pure doveri verso Dio stesso, i quali sono il fondamento di tutti gli altri. Accenna indi profusamente il Eucellai i do- veri verso gli altri, i primi dei quali sono i doveri ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 277 conjugali, sendo per primo la society parentale. E ri- corda come V Uomo debba tenere uguale a s^ la Donna, e la Donna riconoscere a s^ superiore Y Uomo, e come debba esser tra essi rispetto, discrezione e compati- mento ; e amare ugualmente i figli, come i figli amare, rispettare, aiutare i genitori. E intomo alia scelta della moglie, ecco qui coaa ne dice il prete Magiotti, e che io stimo non inopportuno di riferire, in quanto che dalla stima in che si d tenuto e si tiene la donna, si sia potuto e si possa argomentar sempre o compro- vare il grado di civiM de'popoli e del consorzio umano in ciascun' eta, e in questo caso pur ne ab- biamo riscontro, etarei quasi per dire matematico. € Io son prete, (dice adunque il Magiotti;, e circa al prendersi mogli e mariti non me ne intendo e non oserei dame alcun mio parere, massime in concor- renza dei buoni consigli e de'giovevoli ammaestra- menti e fedeli di messer Lodovico Ariosto, per non mentovare il Laberinto di Messer Giovanni Boccaccio, il quale dalle donne ammartellato anzi che no, fu del povero compassionevol sesso troppo rabbioso mordi- tore. Egli e pero bene aver per ricordo che al tempo d' oggi piii Elene si trovano che Penelopi al moo- do; e guai a colui che le -pit leggiadre, le pitL gra- ziose pur le donne d' alto ed acuto ingegno s' effigia nella mente per le migliori; imperciocch^ se bella ed avvenente e' 1' ottiene, sembragli averla debita altrui e ch'ella non sia tutta sua; dove ella sia di finezza e acume, tutta nolle foggie I'esercita, e in ornament! novelli, e nel rigirare il marito per piacere agli altri ; anzi, che peggio si 6, ella si tien per prudente, e vuolsi subito meschiar nei consigli; senza che, e' si d tutto di alle novelle, alle contese, alle grida, e allora le par di esser saggia quand' ella non fa a mo' d' altri. Donna 278 CAPITOLO DECIMOQUARTO. savia adunque, o di rado, o non si d^ mai, e tutto che con difetti bisogni averle, il meno dannoso per mio avviso credo che sia se ha qualche specie in lore di Prudenza, dov' elle abbiano poco conoscimento, perche queste sono atte a reggersi, non si dando mai caso che elle sieno buone a reggere altrui; e nolle donne, ancorchd in esse sia la ragione, poche o niuna ne han r uso, che a tal fine definille un Uomo di senno, che la natura femminea 6 posta tra 1' estremo peggior del- r Uomo e r eccesso miglior delle bestie. Niuno dunque si lasci svolgere cosi alia prima dalla vaghezza o dalla novit^ del soggetto, o vero dall' allegria e dalle solen- nit^ delle nozze, imperciocchd dopo il fatto non ci e rimedio, e cotali belle apparenze usansi ad arte, per far rimanere al laccio gli Uomini dolci, e impegnarK con lieto animo alle fatiche perpetue e alia schiavitu- dine eterna del matrimonio ; anzi la natura medesima, per soccorrere in esse a mancamento del sesso e farle in qualcosa aggradevoli, le ripuli, le liscid, e raffazio- noUe al di fuori, e si dono loro la grazia e gli altri arredi del bello; qualunque impero d tenuto a impac- ciarsi in si fatta rete, pigli innanzi le misure giuste di quel che sono le donne ; e del suo mestiere goda come per trastullo se la sorte gliela da bella, n^ s'ini- magini, perche ella si chiami compagna, di poterne trar frutto d' amica, ma la consideri come soggetta, e per dolce maniera di cortesia 1' avvezzi obbediente a non recalcitrare al marito. Percid la jAtL sicura si e r aver la moglie di grossa pasta, e di scarso intendi- mento ; difettose insomma (si come io dissi) elle hanno da essere e pero Y Uomo apparecchiar si vuole a sof- ferire i difetti che elle hanno, pregando Dio che buone ne le mandi, ned' e poi il comportarle si malagevole, -atteso che donne elle sono, e tenere di cuore, e il via- ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 279 colo di quando in quando matrimoniale rinnovella e rinfresca Tamore, e serve di buon condimento alle imperfezioni loro e ne addolcisce la noia. > Si occupa inoltre de' doveri tra i parenti e gli agnati, tra servi e padroni, de'nobili, de' cortigiani, imperoc- chd r osservanza di questi doveri privati si riversi anche sul pubblico, ed inline de' doveri di cittadini, dei sudditi, e de' govemanti. Intomo a' quali molto ritrae del platonico, e discorre con molta severitit tanto per i prindpi eletti daDio, quanta per quelli eletti dagli uomini. Tocca infine i doveri per elezione, che tanta bene^ volenza conciliano, e intesse come iin piccolo galateo sulla data di quelle di Monsignor suo parente, e cui dimostra avere attentamente esaminato e ritratto nei modi e negli scritti. E accennato alia forza dell' abito, termina questo trattato della morale del Rucellai, im- perfetto nel contenuto e nel disegno, imperciocch^ egK prometta qui di discorrere in progresso de'tempera- menti e degli aflfetti degli uomini, ma non abbia avuto o volenti tempo di dargli compimento, e d' emen- dare il gi^ fatto. Sufficiente perd invero a chiarirci i termini del quesito, e a porre in tutta evidenza il problema di cui dobbiam dare la soluzione. Agevole a trarsi pur que- sta; imperocchd non trattasi di andar per il sofistico e il lambiccato : ma si da' fatti lampanti formulare il principio, e porre questo in attinenza con le condizioni generali e particolari del tempo, del quale lo scrittore ^ riverbero indubitato. La critica che potremmo fare alia teorica morale del Rucellai si acchiude in poche parole; imperocchS sia manifesto che egli, piil che neUe altre parti della fillosofia, qui non d^ U giusto valore alia ragione umana. Infatti egli trascura di porre in luce la legge naturale, 280 CAPITOLO DECIMOQUARTO. di cui pur parlano si altamente gli stessi dottori sco- lastici, come san Tommaso, san Bonaventnra e il Suarez, per tutto sostenersi all'autorita della legge divina, cio^ del Nuovo Testamento. Inoltre, procedendo egli piiH ecletticamente che con ordine interiore di con- cetti, non sa bene accordare quel suo tradizionalismo con certe altre sue dottrine; giacchd di fatti egli dice la virttt consistere neU'operare secondo ragione: ma potrebbe osservarsi che quando la ragione non ha cri- terio di ragione in se medesima speculativamente, non pud averlo nemmeno praticamente. II Eucellai rende immagine anco su ci6 de' suoi tempi; ma in che senso diciamo tal cosa h bene sia definito. Le menti, a quei tempi, erano agitate dai dubbi, e il nostro autore dice in piii luoghi come i dubbi combattessero pur la sua mente. L' esame dubitativo fuor d' Italia condusse molti a terminare nel dubbio; in Italia colore che accolsero r esame dubitativo terminarono i piii nel riparo della Fede. Ma dobbiamo distinguere da costoro i filosofi e i teologi non tradizionalisti, e che non accolsero F esame dubitativo, come il Pallavicini nel suo TrattaJto del bene; giacch^ questi ammettevano certezza razionale e verita preliminari alia Teologia, quantunque neUa Teologia ponessero il sommo della sapienza; invece i tradmo- ncdisti, come oggi li chiamano, alia ragione ricusarono la capacity di riposarsi nel vero e nel certo, che solo ci vengono dalla fede. Ecco il perch^ mentre il Palla- vicini, il Suarez, san Tommaso, san Bonaventura con sant' Agostino affermano esser nella ragione la legge naturale del giusto, dell' onesto, alia quale si accorda la legge Divina positiva ; il Eucellai, per lo contrario, parla di san Paolo e del Vangdo, e della legge natu- rale non tiene gran conto, bench^ aUa sfuggita Taccenni. CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. OSSERVAZIONI CRITICHE SULLA FILOSOFIA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAL SouMABio. — Opportunita della critica. — Importanza storica dei libri del Rucellai. — II professor Palermo ha giudicato VTmperfetto imper- fettamente. — Perche. — Quesiti da risolvere. — II Rinascimento e le sue qualita. — Scetticisrao. — Tradizionalismo. — Bruno. — Cam- panella. — Galileo e il sue metodo di osservazione esterna. — I suoi scolari e rAccademia del Cimento. — Metafisica galileiana. — Som- mi capi di essa uei Dialoghi dei Masaimi Sistemi. — II Cartesio e 1' osservazione interna. — Spinoza e Malebranche. — Bacone. — II sensualismo di Loke. — Eclettismo del Rucellai. — Suo probabilismo. — Si provano riandando la sua filosofla. — La seconda Accadomia. — Cicerone. — La fede. — Differenza tra' filosofi del Medio Evo e il Rucellai. — Questi e il Galileo. — Nel metodo il Rucellai apparente- mente h moderno. — Perche. — Intende solo negativaraente Taforisma socratico. — Ed e semj)re probabilista. — Accordi tentati. — Gli fa difetto la speculazione. — E pero riesce eclettico. — Breve riscon- tro di tal fatto nei suoi Dialoghi su' Principii passivi dell' univer- se, e nel Tim^o, — Platone, il Cristianesimo e Galileo. — Carte- sio. — Teorica della cognizione. — Teorica del volere. — Liberta e fato, — Stoicismo ed epicureismo. — Libero arbitrio e predestina- zione. — Psicologia e morale. — II Rucellai e Cousin. — Aristotile. — Platone. — Stoicismo. — Cristianesimo. — Divisione delle virtti. — Cicerone. — San Tommaso. — La Scuola Epicurea e il Rucel- lai. — Teologia razionale. — Platone e il nostro scrittore. — I Pa- dri. — La Fede. — Si conchiude che nello studio dei ' tre pbietti della filosofia il Rucellai e eclettico. — La forma esteriore, - lo stile - e la natura de* personaggi ne' Dialoghi del Rucellai sono i;n' ultima conferma della nostra Conclusione. n problema ^ posto, adunque, in termini chiari, fatta che abbiamo la esposizione dell' opere filosofiche del Rucellai ne' precedenti capitoli. Ora e tempo di 282 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. risolverlo, e la via ci ^ molto agevolata; diro di piii, che dopo il cammino gia fatto, sembrami quasi rag- giunta la m^ta, che fa del viaggio nostro il desiderio continovo. Imperocch^, riepilogando, noi ponemmo que- sto per principio, che il Rucellai specchiaVa in s^ Tim- magine del suo tempo in Firenze. E ad esso volgendoci, lo vedemmo significare per la storia un potente contrasto di elementi di un' et^ che periva sotto la mole della sua grandezza e un' et^ giovane e superbamente bella, che conquistava il regno delle intelligenze e de'cuori. E tutte le facolt^ dell' antica far guerra a tutte le potenze della nuova in opposizione fortissima. Ed io allora volli condurre il lettore all' esame della vita del Rucellai e delle sue opere letterarie; e questo contra- sto manifestossi, credo, chiaro al lettore stesso, come si era mostrato a me dopo la lettura diligente di quegU scritti dimenticati, o non curati a dovere. FilosoJla e autorita religiosa, gravity di discussioni scientifiche e leggerezza di cicalate accademiche; pu- rezza di stile e d' immagini, verbosity ed esagerazione di confronti ; timore soperchio di aver che fare col Tribunale dell' Inquisizione, e contro la Corte di Roma pagine sanguinose ; vita di cortigiano ossequente e rime e lettere contro la corte ed i re ; lodi della castita e verginit^ di Protettori e di SanfS, e scherzi equivoci e sonetti immorali; tutto cio nel Rucellai, come pre- cisamente nella comune degli uomini del seicento, scor- gevasi in quel trapasso dalla fine del Rinascimento alia Riforma, dal mondo antico al mondo moderno. Un eclettismo inconciliato nei costumi, nella vita, negli scritti, nell' arte, neUa letteratura ; e il Rucellai questo eclettismo accoglie in se e manifesta nelle abitudini, nella vita sua civile, letteraria e morale. Or nello scorrere che abbiamo fatto il suo lavoro OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 283 maggiore, senza intrattenersi a lungo via via a rilevar pure inumi, nella vita, negli scritti, nell' arte, neUa letteratura ; e il Rucellai questo eclettismo accoglie in se e manifesta nelle abitudini, nella vita sua civile, letteraria e morale. Or nello scorrere che abbiamo fatto il suo lavoro OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 283 maggiore, senza intrattenersi a lungo via via a rilevar pure in esso que' medesimi contrasti ; nondimeno, pre- venuti, li notammo man mano, per guisa che, finito I'esame, supponessimo pur compiuta la nostra fatica. Ma se nel mio pensiero ed in queUo del leggitore questa conclusione si 6 gi^ fermata, giova tuttavia, anzi ^ necessario definirla, e in un disegno piil raccolto con- centrare con linee brevi e distinte quel che abbiamo osservato lungo la via ; in quel modo medesimo che un pittore, percorsa una vasta campagna, la raccoglie poi tutta su di piccola tela, senza toglierne parte alcuna alio sguardo di chi la voglia fedelmente conoscere. Non a torto pertanto (ce ne siam fatti certi) io comparai il nostro filosofo a un prisma, suUe cui fac- cie si distinguevano i molteplici raggi del pensiero del tempo suo ; e in che sta, per me, veramente 1' impor- tanza storica di questo scrittore ; per guisa che ognuno il quale non lo consideri, giudicandolo, in tutti i suoi aspetti, b ne falsa il vero suo essere, o ne fa una pit- tura destituita di valore, od almeno imperfetta. In questo ultimo scoglio sembrami, io lo dico coUa do- vuta deferenza, abbia urtato il professore Francesco Palermo, 1' egregio ordinatore dei Manoscritti Palatini in Firenze ; il quale del Rucellai ha pubblicato con un lungo avvertimento, diviso in sette paragrafi, sedici dialoghi sulla filosofia naturale antica, e quegli altri sedici sulla Provvidenza. In quell' avvertimento, bello davvero del rimanente, d^ il concetto e il dise- gno deU' opera intiera, e la natura di essi Dialoghi chiama fruUo di Galileo, (CONTI, Op. cit,) Tale il metodo del Galilei detto dal Rucellai, a buon diritto, il sapientis- simo Socrate, come quello che ritomava le menti al- r esame del mondo esterno e del mondo intemo, me- diante il discorso della ragione, gli assiomi naturali ed i fatti sensibili, ond' e' poteva finalmente creare la fisica, e r Accademia del Cimento ingigantirla dietro le orme di lui, con Benedetto Castelli, il Cavalieri, il Torricelli, il BoreUi, il Viviani, il Eedi, il Cassini e moltissimi altri, i quali, secondando la inclinazione del tempo coll' isti- tuire quell' Accademia, applicarono i canoni deUa filoso- fia del lore Maestro alle scienze naturali, le conferma- rono Bulla strada di progresso indefinito, e le scienze universe sulla via della riforma. Ed invero, in quel canoni del metodo Galileiano, sviluppati ampiamente nei saggi del Cunento, accliiudevansi verity, profonde, le quali non potevano a meno di partorire quegK effetti stupendi; e vi 6 determinato chiaramente il concetto, il fine ed i mezzi di una filosofia che tutto comprende. Cio6, che riconosce le somme verity naturali nell' Anima umana; che adopra la geometria per raggiungere la verity ideale e reale, n6 trascura, anzi esige, 1' uso diligente della esperienza, e indi del ragionamento a cogliere la evidenza: e infine non 6 spregiatrice, come molte iilosofie meschinamente altere, dell' autorit^., mentre la servitii dell' autorit^ stessa rigetta, e la vuole sottoposta essa pure all' esperienza ed al nostro giudizio. Ma la filosofia del Galilei e de' suoi scolari gene- ralmente risguardava, giova averlo fisso, il metodo e la sua applicazione particolare alle scienze naturali: a che sticettamente questi si attennero. Ne con cid dire, io intendo negare contenersi nei libri del Galilei 19 290 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. sparsa una metafisica, come lamentava ilLibri, il quale, nella sua storia delle Matematiche, si duole altamente del non trovarvi in alcuna parte delPopere del sommo Italianol'esposizionedi essa; la quale, anzi, inclinerei anch'io a creder davvero col Puccinotti (11 JSoem ed altri scriU% Tip. Le Monnier 1864), che valesse a vin- cere le tenacity peripatetiche, indebolite gi^ dairAcca- demia Platonica fiorentina. Imperocche fu prime Gali- leo che dimostro la necessity di dividere fisica da meta- fisica, e i Umiti veri deUa ragione, la fede religiosa nelle scienze soprannaturaK, la matematica nelle natu- ral!. C!ome Platone, il vero ed il bello professd Galileo per una medesima cosa, nella medesima guisa che il false ed il brutto. E nella giomata prima dei DioHoghi dei Massimi sistemiy il Galileo comprese i sommi capi della Meta- fisica, che possono qui compendiarsi in due massimi corollarii, siccome avverte il Pucciuotti sopra citato. Prima. Partivasi Galileo dalla Creazione, e veneraya in Dio una sapienza infinita; anzi diceva, il sapere divine essere infinite volte infinite: la mente umana la piii eccellente opera di Die : in essa concreate al- cune verity primitive, come preziose gemme nei loro incastri, la di cui luce, per il terrene abitacolo in cui ella ^ posta, § da velami e da caligini oscurata. La pienezza di cotesti veri e in parte nel soprannaturale, e parte disseminata tramezzo alle naturali cose. L'intel- letto consegue con la intensivit^ i soprannaturali neUa lor piena luce per mezzo della rivelazione e della fede: i naturali, colla dimostrazione matematica; e onde con questi potenti e benefici ajuti della grazia divina, le menti con piii sollecitudine e costanza e pienezza veg- gano e profittino di tali verity,, 6 mestieri che V uomo temperi e assottigli quanto piil pud que' velami e quelle OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFU DEL RUCELLAL 291 caligini di falsity,, che partono dai fermenti e dalle passioni della sua materia: ed ecco il fondamento della morale, e il culto necessario e il merito insieme della virtii umana. Secondo. Per le verity naturali la mente umana pro- cede allo'stesso modo, solamente traendone la dimo- strazione, non dalla metafisica, ma dalle matematiche. Ch^ la geometria cammina anch' essa grandissimi spazi, e trascorre la vastit^ delle opere della natura, e con- tiene nelle sue dimostrazioni la necessity de' suoi veri; riverberando in certo modo e scoprendo quelle mate- matiche leggi, coUe quali Y etemo intendimento tem- pera 6 govema 1' universe. Ma la geometria, con le sue mille e mille conclusioni ottenute, 6 sempre a immense intervallo da quanto resta ancora a investigarsi ed intendersi nella natura: epperd si reca allato per sua aiutatrice e ministra la esperienza, la quale, tentando effetti e cagioni, e le attinenze lore, prepara la serie deUe probabilitS;, che la matematica disnebbia colla dimostrazione ; presentandole come verity e leggi natu- ral! alio intelletto, il quale, ove le trovi rispondenti ai tipi concreati delle soprannaturali gi^ disnebbiate dalla metafisica, ossia dalla religione, e se ne nutre e se ne bea. Ma la moltitudine degli intelligibili nell' universe d immensurabile, e questa che il solo Creatore vede per numero, peso e misura in un sempKce intuito, 1' uomo non percorre che lentissimamente, e fra mille ambagi e pericoli, di conclusione in conclusigne. Onde la neces- sity della modestia e della pazienza nell' investigare e nell'operare degli uomini, nel raccorre ed intendere le veritd, nella fisica del mondo. Comunque, il Cartesio animato come Bacone (cbe pel dispregio alle tradizioni incappd in alcuni errori) 292 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. e Galileo daU'istesso desiderio di universale riforma, inaugurando piil precipuamente il metodo di osserva- zione interna, devesi a lui il compimento dei mezzi e gl' istrumenti per la vera filosofia, Tesperienza e la spe- culazione. La quale ultima per il Cartesio recata invero all' eccesso, chiuso il pensiero in se stesso, n^ riguar- dando piU alle sue attinenze reali, porto ad errori il filosofo illustre, e porse occasione a scuole diverse arbi- trarie ; e basti per tutti lo Spinoza e il Malebranche, in quella guisa stessa che dall' empirismo di Bacone scop- pid il sensualismo di Loke. D Cartesio pure comincio dair esame, e per esso istitui un metodo, e indi tento un ordinamento generale di tutte le scienze; se non che, ponendo il dubbio non solo di ogni istruzione rice- vuta, ma pur anche del valore delle fiacoM umane, eccedd fino ad essere scontento della logica, dell' alge- bra e della geometria de' suoi tempi. (CONTI, Op, cit^ vol. II, pag. 354.) Lo si deduce chiaro dal suo discorso sul metodo. E il Malebranche, il piii grande metafisico che la Francia abbia prodotto, spinto dalla filosofia cartesiana, o meglio dalla parte negativa di essa, il dubbio, si rifugid nel misticismo, e con esso la sua filosofia, ond' e' ritornava alle intuizioni Platoniche, e preveniva Vincenzo Gioberti e Antonio Rosmini. Tali erano i principali sistemi che allora signoreg- giavano il mondo della filosofia, disputandosi il primaU) deir autorit^, e tra loro contrastandosi. Orazio Rucellai ebbe cognizione di tutti questi ele- menti, da' quali esci faori 1' et§. moderna: se non che non dotato di molta vigoria di speculazione, o per for- marne I'armonia tentata, o per dominarU, nel suo filosofare or I'uno or I'altro seguitd riuscendo eclet- tico, e per5 speculativamente scettico una seconda volta. Spiego quest' ultima frase, in che ripongo la sostanza OSSERYAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAL 293 della critica, con la quale io do termine a questo libro. La filosofia del Rucellai ammette, lo vedemmo, una prima divisione generale per rapporto al metodo; ciod negativa e costruttiva^ e si nell'una come neU'altra non esce il filosofo da' termini del probabilismo, egual- mente che la seoonda Accademia, guidata da Filone che fu il primo neoplatonico di Alessandria; la quale riconoscendo la natura assoluta del vero, ammetteva solo come verosimili le dottrine che ne derivavano. Ad illustrare la qualitit filosofica del Rucellai, si prenda in esempio Cicerone. Questo grand' uomo in alcune parti della sua dottrina sembra tenere dell' Accademia Nuova; quando egli, cioe, intorno alia natura del mondo e di Dio afferma con probabilita anzichd con certezza. Ma le probabilitli di Cicerone si ristringono alle deter- minazioni di problemi che il Paganesimo e 1' estremo corrompimento e infiacchimento della filosofia greca ai suoi tempi aveano coperto d' ombre. Bensi Cicerone non pone in dubbio mai 1' evidenza dei supremi assiomi della ragione ; non in dubbio mai la veracity del testi- monio della coscienza psicologica e morale; non in dubbio mai la validity del metodo dialettico e logico; n^ in dubbio mai la conoscenza che Dio e, ed h distinto dal mondo ; n^ in dubbio, finalmente, mai la legge natu- rale eterna e i doveri e i diritti che ne derivano. Ma il Rucellai non fa come il GiureconsultoJRomano; egli se ne sta, sfiduciato della ragione, nel gretto del pro- babile, e ritiene essa, la ragione, non potergli dare di pill. E, lo ripeto, questo h naturale; imperocchd nello svolgimento della rifiessione filosofica, dovea seguire che fra tante autorit^ opposte, la mente di lui si sen- tisse quasi smarrita, e che egli, come molti altri, dubi- tasse della ragione appunto, perch^ si palesava con 294 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. sistemi tanto contraij, e si rifuggisse nella fede del sovrannaturale, sostenendo incapace la ragione a farci conoscere la verity. Gontro i sofisti, pertanto, ei ripete ed accoglie qiial principio di metodo la proposizione socratica; ma non sa derivarne, come Socrate, il suo mondo intelli- gibile e certo; I'avrebbe forse potuto fare, perche sorretto dag? insegnamenti di Galileo e di Platone; ma si contenta di meno assai, sapendo bene di sa- pere per fede, che egli stabilisce come unico fonda- mento di assoluta certezza, con tal divario nell'inten- dimento da' filosofi cristiani o dottori del Medio Evo ; che, cio6, mentre essi ponevano la filosofia come pre- liminare certo della teologia, sicchd d' ambedue si faceva un' unica sapienza, accordando la ragione col- I'autoritii (Vedi Beductio artium ad Theologiam di san Bonaventura, e le prime questioni delle due Somnie di san Tommaso e il Gerzone De octdo); il Rucellai, invece, dichiara la filosofia seienza dei probabili, che delle ultimo ragioni, alle quali conduce, possiamo sem- pre comecch^ sia dubitare. II Rucellai poi h moderno apparentemente nel metodo, la osservazione, la induzione e 1' esame per fine diretto, onde coglier le relazioni delle idee e dei f^ftti, e giungere al possedimento del vero. Galileo suo maestro osservava, provava, sperimen- tava, induceva, riprovava nel mondo dei fenomeni, e creava cosi la fisica ; e diceva sapientemente : il ten- tar r essenze aver egli per impresa impossibile ; e ab- batteva V alchimia e quel castelli incantati d' ogni si- stema a priori ; riconduceva la ragione al suo posto, e facendola ridiscendere da quelle altezze pericolose, dove temerariamente se n' era salita, la riakava nel fatto, poicM nell' ordine stia la grandezza e la perfe- OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAL 295 zione degli esseri. II Rucellai batte la strada del Ga- lilei, ne accoglie quasi religiosamente i pijecetti ed il metodo, ma a qual fine ? con quali intendimenti ? Per arrivare con Galileo alia certezza naturale delle cose ? Mi sembra che la lunga esposizione del suo lavoro filo- sofico contenga la risposta genuina e sicura. Notisi frattanto, o meglio ricordisi, che spesso, quasi in ogni dialogo, e, sto per dire, in ogni pagina, il Rucellai protesta di voler affidarsi alia sua ragione, di volere starsi all' esame dei fatti sia esterni che intemi nel suo discorso filosofico, e di non accettar ciecamente la autoritil, a cui sembra fare una guerra continua ; e ripete a ogni passo che non si deve formar giudizj sopra quelle che pare a noi, ma e'fa mestieri esami- nare le cose, avanti di pronunziar sentenzia ; e asseri- sce a ogni tratto, che nel muover via via a se i dubbj sta la verace maniera per trovar la ragione delle cose, e non nell' affidarsi alia sola Sbuiorith dei Maestri ; che d percid necessario deporre nelle questioni qualunque maniera di anticipati giudizii a favore piiH d' una che d' un' altra opinione, sia d'Aristotile, o di Platone, o di Pittagora, o di qualunque siasi altro, imperciocchd r apprensione fa in noi grandissima forza, anzi iegli d molto malagevole lo spogUarsene, quando ci si 6 fatto r abito da' primi elementi degli studi (Dialogo J2'', coti- tro i Sofisti). II lettore vede che qui tutto in apparenza precede direttamente ; che il filosofo, nel metodo este- riore, ^ seguace del Cartesio e del Galileo, oh' egli e in- somnia un moderno. E, voglio avvertirlo, non intendo chiamar filosofo moderno chi d' ogni autorita e sprez- zatore, imperocchd allora bisognerebbe non fosse piil uomo, essendo pur essa, I'autoritii, un elemento essen- ziale deir umana ragione. N^ il Galileo e gh altri fecero getto di quella ; chd anzi studiava il nostro matematico e 296 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. Platone e Aristotile, e da tutti, siccome Socrate, avea ambizione di intendere, e I'autorM ragionevole di essi fomivagli sussidio a conoscere la verity. Se non che il Rucellai, che professa di seguire queste onne, e di accogliere in questo aspetto il metodo di esame, nel fatto, e consapevolmente, vi si diparte. II suo metodo ed il suo esame non 6 che un istrumento per la vittoria della fede. In che modo ? Gik prima di porsi in cammino verso i tre obietti della filosofia, la natura esteriore cio^, la nmana e la divina, ha determi- nato in mente sua il punto preciso a cui egli vuole arri- vare, non per teoremi razionali, ma secondo la fede sol- tanto; e guai altrimenti, con tanta sfiducia in che e'tiene le forze della ragione ! Egli ha detto : — Queste sono le ve- rity inf allibili di nostra fede, alia quale io mi piego inte- ramente : la umana ragione, pud ella, nel suo procedere, condurmi alle medesime verity ? riesce ella a darmene una riprova certa o soltanto probabile? Esaminiamo!— Vedete pertanto che questo esame non h un mezzo per* scoprire la verita, come per il Galileo, per il Car- tesio, e pe' filosofi moderni ; il Rucellai questa verita nell'ordine degK enti la conosce per fede; il suo esa- me razionale non ha per obietto di mostrare la potenza della ragione, o anche 1' accordo di questa con la fede; ma in lui e palesemente la preoccupazione di mostrar coUa ragione la impotenza della ragione a dame cer- tezza, per concludere poi a favore della fede che la certezza pu6 venirci solo da questa, e che si accordano con essa le massime probability razionali. In un tal quale rispetto, data la differenza dei tempi, somigliano i Didloghi del Rucellai al Saggio del La Mennais Sulh Indifferensa, ed in un altro rispetto ne dissomigUano. Qual somiglianza ? II La Mennais voile in quel Saggio provare, come il Rucellai, la impotenza della ragione OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 297 a faxci conoscere con certezza la verity, certezza che solo vien dalla fede. In che la dissomiglianza ? 11 La Mennais afferma che la nostra ragione da s^ sola si contraddice di necessity ; il Rucellai, per contrario, af- ferma che la ragione pu6 giungere a dottrine piU o meno probabili, e, come probabUi, in armonia coUa certezza della fede. Che la ragione non si reputi ca- pace da lui di giungere alia certezza, egli lo mostra da cima a fondo ne' suoi Dialoghiy dove e nella filosofia naturale, e nella morale non arriva colF esame e colla riflessione che a ragioni probabili piii o meno. Orazio Bicasoli Bucellai, la sentenza socratica quesf uno to So che nulla io so accettando solo negativamente, d^ mano per il suo metodo de' probabili alio scetticismo ; in quella guisa medesima ch' ei la rid^ col suo eclettismo. E tanto ^ negativa 1' applicazione dell' aforisma socra- tico in tutta la parte de' suoi Dialoghi, la quale si comprende nella Villeggiatura Tusculana, che pur le dottrine stesse del Galileo, dove si accennano teorie filosofiche sul mondo, anzich^ semplicemente sperimen- tali fisiche, non professa guari come certe, ma come tra le probabili le piii probabili, sulla scienza del Mondo, e, come tali, da non escludere che altre in pro- gresso bandiscano quelle. Cosi neU'esporre il Timeo di Platone, cosi nel trattato della Frowidenza^ che chiude la Villeggiatura Tusculana, ei si restringe sem- pre nel solito probabilismo, quantunque parlando del Provvedere eterno, o dell' Arte divina nel mondo, mostri credere fermamente ch'ella esiste ed opera in esse ; ma le ragioni ed i fatti ritiene nient' altro che come barlumi di quel vero, il quale per la fede reli- giosa sfavilla alle menti che credono. E molto effica- cemente della liberty egli discorre, facendo tesoro degli argomenti recati in campo da'piH reputati filo- 298 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. sofi in sostegno di essa; ma con le riserye consnete della Seconda Accademia, e considerando la ragione come regina se non spodestata del regno intellettual/B dell' Uomo, pur di ben misera autorit^ e ginrisdizione sovr' esso. Solamente le verity matematiche hanno yirtd di evidenza per lui, Bicchd per esse la ragione ritorni sovrana, e siano del sapere i primordj sicuri. Nelle morali verity poi lascia egli quel suo metodo dei pro- babili e afferma con sicurezza ; ma queste affermazioni non procedono da evidenza di ragione, bensi apparisce chiaro che esse procedono dalla dottrina del Cristia- nesimo intorno ai fini soprannaturali, ed ai precetti per conseguirli ; tanto che le dottrine platoniche, ari- stoteliche, ec, servono solo di raflEronto al catechismo. Questo sia detto pel metodo della filosofia nelle opere del Rucellai ; su che io stimo aver discorso ba- stevolmente, dopo Tesame che il leggitore ha avuto occasione di fare da se, con qualche ampiezza, de' Dior loghi filosofici di lui.' Aggiungo ora, ne ^ difficile per- suadersene, che egli nel sqo sistema filosofico 6 eclet- tico, e pero dit mano di nuovo alio scetticismo, ripro- ducendo cosi pure per la centesima volta le condizioni del pensiero in quel secolo, ed espirando inalterata I'atmosfera filosofica del suo tempo. Vuole avvertirsi come i tre punti cardinali, a dir cosi, del suo filosofare dovevan condurre»il Rucellai all' eclettismo. Quei tre punti consistono : primOy cer- tezza per la fede ; secondo, cdmputo delle razionaU pro- bability in sostegno della fede; ter^o, esclusione del- r autorit^ del tale o del tal altro filosofo particolare, secondo gl' insegnamenti di Galileo. Sicche non avendo il Rucellai piena fiducia nella ragione, escludendo le particolari autorita dei filosofi, doveva naturalmente ridursi a cercare i dati del suo cdmputo di probabi- OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 299 lita nelle opinioni varie di tutte le scuole, tentan- done un accozzo. Aristotile e Platone, Epicure e Cartesio, Galileo e il Tradizionalismo, tali erano le scuole principali che disputavansi il terreno in quel secolo. Lo abbiamo veduto. II Rucellai ve le trova, ne apprende gli intendimenti, ne tenia un accordo; diro con frase piil viva, e che il lettore mi consentir^, ne immagina una confederazione, con a capo, perche sfi- duciato della ragione, la fede. II Rucellai, pertanto, che ritraeva in tutto del sue tempo, in cui la forza speculativa degl'Italiani era svanita, e non lievemente svanita, di questa vi- goria di speculazione non era pur egli a dovizia for- nito, per riuscire ad aggiungere intendimento si alto e generoso, a formar ciod questa sintesi, e comporre un' armonia si sovrana. Era dunque inevitabile che in queste armonie tentate ei si smarrisse, riuscendo in- vece a una fantasmagoria di accordi, cioe ad un eclet- tismo di quei vari elementi, di quelle dottrine diverse, e perd, lo ripeto, desse mano di nuovo alio scetticismo, poiche r eclettisrao sia di questo una forma partico- lare. E dico cid, distinguendo le intenzioni dalla essenza speculativa d' un sistema. L' eclettico, per le inten- zioni sue, ^ tutt' altro che scettico, anzi vuole opporsi alio scetticismo: ma e scettico speculativamente, giacch^, negando che la ragione abbia potuto mai produrre con un criterio intrinseco suo, una dottrina non esclusiva di sostanziali verity, crede che la filosofia si divida tutta in sistemi particolari ed erronei, dal cui ricuci- mento possa derivare la dottrina plena, o almanco la dottrina massimamente probabile. Indi apparisce chiaro che, quantunque V eclettico dica valersi d' un criterio interiore od anche della coscienza, principalmente si vale di im criterio esteriore o storico; poichd altri- 300 CAPITOLO BECIMOQUINTO ED ULTIMO. menti, se fiducia avesse nel criterio interiore, non im- pugnerebbe la tradizione della filosofia vera, n6 la por- rebbe necessariamente divisa in brani od in sistemi erronei. Va bene che lo studio dei sistemi giova, bensi come aiuto, n^ potrebbe giovare, quando nn criterio interiore per eleggere il vero dal falso nei varj sistemi cimancasse. L'eclettico risponderd, forse: Ma in tal caso, soggiungiamo noi, se un criterio interiore vi ha sicuro, gli eclettici ban torto dicendo che tutta la storia della filosofia h una storia di sistemi erronei, e che la verita pud solo venire dal ricucirli insieme. Anche il tradizionalista nelle intenzioni sue e dommatico, ma h scettico specu- lativamente, poich^ non ammette razionale certezza. Le quali cose ho volute notare per la natura del mio soggetto, a far vedere cio^ che, filosoficamente consi- derato, il Rucellai partecipa dei dubbj del suo tempo, e che egli cerca rifugio dai dubbj dommaticamentenel tradizionalismo, eniditamente nell' ecclettismo. Qual'^ infatti la sua dottrina intorno al mondo, all' Uomo, ed a Dio? Ne'primi sedici Dialoghi, ne' quali si espongono le dottrine de' piii antichi filosofi intorno a'principj universali della natura, e che formano, ho detto, la parte negativa del suo filosofare, il Rucellai non acr cenna ad alcun sistema suo particolare intorno al prin- cipio materiale dell' Universe, e solamente riducendo al nulla e destituendo d'ogni valore di verity tutti quei sistemi ritornati a vita dal Rinascimento, intona, pud dirsi, 1' estremo funerale a quel grande periodo della nostra filosofia. Bensi noi ci accorgiamo di leg- gieri come egli in quelle pagine stesse distingua bene, del pari che Galileo e la scuola moderna, la scienza metafisica dell' universe stesso dalla filosofia naturale dalla fisica: progresso grande, invero, questo;unpe- OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 301 rocch^ per 1' innanzi e nel Medio Evo e presso i Peri- patetici formava parte integrale della filosofia la fisica. o filosofia naturale, diversa assai dalla scienza meta- fisica del mondo, alia quale ben piCi avvicinasi la fisica di Aristotile e di Platone, intendendo essi questa ap- punto non come scienza tutta di esperimenti esteriori (nd r avrebbero' potuto), ma come cosmologia nel senso che le diamo oggi ; vale a dire la scienza dell' ordine mondano in relazione colPanima umana e con Dio; sebbene ponessero in questa anche lo studio deU'anima, come r ultimo punto a cui la fisica menasse. Comunque, la confusione della fisica coUa metafisica era in que' se- coli giunta al colmo, cagionando que' conflitti e quel- r eteme dispute che nelle scienze rendonsi inevitabili, ognivolta gli obietti loro per natura ed essenza distinti si mischiano. Ed i fisici che volevano farla da meta- fisici, ponendosi a ricercare nell' ordine degli enti esterni le leggi che governavangli, presumevano trovarne ap- che i fini, invadendo per cotal guisa il terreno della metafisica, con indicibile danno della scienza e del suo stesso incremento. Ma il Rucellai, riconoscendo tutto cio per la benefica influenza delle dottrine e del me- todo Galileiano, sfugge i pericoU di queste confusioni peripatetiche, n^ i fini dell' universo d^ per obietto di studio 6 d' investigazioni alia fisica, la quale intende ne' termini stessi del suo maestro, riprovando nel fatto del suo scetticismo, e del senso negative con cui in questa parte intende 1' aforisma socfatico, quella na- turale filosofia architettata a priori o con induzioni ed esami troppo superficial! da' filosofi antichi, e ritomate a vita e seguite, qual piii qual meno, da alcune scuole del tempo suo. Tantochfe del medesimo Platone ei rigetta le opinioni intomo alia formazione del Mondo, come quelle che non si fondamentano sulle solide basi 304 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. relazioni di dipendenza dell' una parte dall'altra, e im- plicitamente combattuto 1' errore di quei che V uomo dicono operare in tale e in tal modo, col tale o tal organo, perch6 ha quell' organo, non perchd questo I'abbia avuto a quel fine. Ed ecco percid un altro punto capitalissimo nel quale il Rucellai, pur non escendo dal suo probabilismo, segue la filosofia modema, n^ cade nolle negazioni che delle cause finali si era &tto prima di lui, e si faceva anche al suo tempo. Ma di ci6 basti: ch^ inutile ripetizione sarebbe recar qui nuovamente le parole del nostro Scrittore, dove di queste ragioni finali delle cose tutte dichiara la sua credenza. N6 stard guari piii oltre a ricordare come il Rucellai ancora dissenta da Platone che ammette r Anima dell' Universo, mentre si adopera a scusarne r errore, e a conciliare tal dottrina, interpetrandola benignamente, coll' insegnamento fisico galileiano e con quelle religiose della Prowiden0a. Come il lettore ricorder^, il Rucellai passando in rassegna i yarj sistemi antichi della filosofia naturale, pose avanti il concetto che Platone ayesse potuto in- tendere di assegnare al mondo per anima sua la luce, che per Galileo ^ a tutte le cose frammista, ed e la estrema espansione della natura e in essa tutto risol- versi di tutto cid che 6 nel mondo con la rarefazione. N6 di cid abbiamo osservato esser pago il Kucellai, che nel Timeo si fa varj altri quesiti intorno a quanto di diverso dal fin qui detto potrebbe immaginarsi aver Pla- tone opinato suUa natura delP anima universale, come, per esempio. se abbia potuto creder esser quella Iddio stesso, o TAmore. Indi dal primo supposto piglia le mosse a confutare il Panteismo e il Naturalismo conforme alle dottrine stesse Platoniche e de' piCi reputati filosofi del suo tempo, da'quali toglie gli argomenti probabili in difesa della distinzione di Dio dal mondo. E cosi dal vedere che per tutto e seme di amore, nelle cose inor- ganiche, organiche, negli animali e neiruomo, e da considerare i fini della creazione, si domanda se per anima dell' universe Platone possa aver tenuto I'amore, come quello che, necessario, tira a ricongiunger le cose che per il loro difetto dal loro ordine deviano, e, libero, le creature ragionevoli. E ambedue le ipotesi o i sup- posti spiega affermando che Dio non si deve confon- dere col mondo, ne ponsare che egli vi si trovi quasi anima in un corpo ; che Y amore puo, ma non come essere vivente, ritenersi per anima universale, sibbene e Dio stesso, h il suo amore, o lo Spirito Santo, il quale, virtii vivifica, e legge impermutabile infinita ha valso air ora della creazione, e varra in perpetuo. E a questo sense crede il Rucellai poter ridursi, cristianeggiandolo, il pensiero del filosofo greco, della cosmologia del quale ricorda alcune sentenze da cui puo arguirsi che 1' amore abbia egli considerate se non come 1' anima intera del mondo, almanco come il fiore d'essa, che consiste nel medesimo; quell' amore che appresso i cristiani, in Dante, in Petrarca ec, 20 306 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. altro non 6 nel suo concetto divino che la provTiden- za, o lo spirito che di s^ tutto riempie 1' iini verso. E quest' accordo tra Platone e la fede in tal su- bietto palesemente dimostra aver tentato il Rucellai ne' suoi Dialoghi ddla Prowidenffa^ ne' quali abbando- nandosi spesso a mistici voli, si compiace rinvenire questa profonda armonia tra il precetto di fede e il pensiero del filosofo pagano, il quale, per lui, (ed ^ in fatto), piii d' ogni altro nell' errore della gentility av- vicinossi all' idea vera di Dio e de' suoi divini attri- buti, quasi davvero gli si fosse in parte svelato. E per concludere sull' opinione del Rucellai intomo al mondo, resterebbe a ricordarsi del come egU ap- plichi le armoniche proporzioni aU'anima dell' universo, e in qual modo, altresi, riconosca I'importanza delle matematiche nello studio di esso, e quanto potuto abbia su di lui la benefica tradizione Platonica in questo argomento. i] agevole in brevi parole sodisfare a que- st' oggetto, rammentandosi come egU, il nostro scrit- tore, discorso delle matematiche, esponga neUa sua verity r applicazione che 1' Ateniese fa di esse aU'ani- ma Platonica, senza as^entirvi, non ammettendo Tanima universale ; ed invece riconoscendo in tutto 1' universo la intelligenza geometrizzante divina, il numero, V ar- monia, dia lode a Pittagora, Platone e a Galileo che fecero base dello studio del mondo le matematiehe, e continui la tradizione perenne, chiamando con essi la scienza delle quantity Vabbkcl di ogni sapere. E come Platone, cosi il Rucellai, che ne illustra il Timeo^ dall'anima universale passa a discorrere del- 1' anime razionali e della loro immortality. II lettore ha tenuto dietro all' esposizione di questi argomenti, n^ vale qui, anco in succinto, ritornare sopr' essi pid. Certo, il nostro filosofo, ritagliando pur OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 307 qui dalle teorie platoniche sull'anima tutto quello che alle dottrine del Cristianesimo contrasta, gli argomenti di Flatone sulla natura ed immortalitS; di quella ac- cetta ed espone, e cosi di Socrate, di Pittagora e di Cicerone, de' Dottori e de' Padri, come poi del Ficino e de' neoplatonici del secolo decimoquinto, e anco del Cartesio, contemperati da quello che la fede cristiana ne insegna, onde dal grado di argomenti probabili assorgano alio splendore della certezza. Ch^ col lume della ragione solamente nelle prove dell' immortality dichiard anche qui nmi esservi da aspettarsi mai prove convincenti^ oltre quelle della nostra infalUbile cattolicd dot-- trina, percM elle non sono da rioi, ma si bene favellar se ne puote, e trovarci da proporre molte verosimiglianze e probability. E dove dell' idee parla, tenta (lo vedemmo) un accordo tra gli archetipi etemi di Platone a' quaK s' inalza la mente umana e le idee innate del Cartesio. Imperocchd e' rigetta 1' opinione aristotelica, tor- nata, tra' moderni, in vita da Condillac, che lo intel- letto umano sia tanquam tabula rasa, in cui si venga a Bcriver man mano, e, pur senza sottoscriversi alia teoria della reminiscenza nel sense platonico, ammette invece la mente umana illustrata da un lume supemo impresso in essa da Dio, quantunque poi non sia ben chiaro del come cid avvenga, e anzi reputi questo un mistero, nel tempo che Platone ammette chiara e de- terminata la cognizione delle idee eterne. Non esclude la relazione obiettiva di queste, e accostasi alia teo- rica delle idee secondo il Cartesio, temprandola col suo neoplatonismo, e combatte il Gassendi, non esclu- dendo per6 quel che gli sembra contenere di buono, fino a dire che ritagliando un po' di qu^ e un po' di 1^ si puo venire a un terzo ripiego di verosimiglianze. E in fatti ritiene come probabile che Iddio creando 308 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. ranima e infondendo in essa il lume delle idee, queste per la nebbia del corpo e de' sensi yengano ad essere alquanto nel loro fulgore offuscate, e i nuvoli della materia parino la vista all' occhio deiranima, per modo che anche da tal fatto del conoscimento imperfetto at- tuale delle idee e delle cose arguir si possa Tadem- pimento per noi del conoscere intiero in altro luogo che sia. Ma, convien dirlo, a me sembra che in questa teoria della cognizione e in quest' accordi e' non riesca ben chiaro a determinar cosa pensi ; e che il suo pro- babilismo assuma qui la qualita dell' esitazione e della incertezza, e che in questa e'faccia pur altalenare la mente del critico. Causa al certo non secondaria di tutto ci5 le deboli ali del suo speculare, ben diverse dalla semplice erudizione , che mentre al probabilismo suo pud dar la quality di erudite, non vale ad aggiun- gere vigoria a quelle intelligenze spossate da' contrasti di si diverse dottrine. Che se dall' intendere dell' uomo passiamo al vole- re, noi, nel combattere ardente che fa il Kucellai ogni obiezione della scuola epicurea e determinista, la quale niega la liberta umana, avemmo luogo di riscon- trare anco qui il neoplatonico cristiano, il quale, fa- cendo tesoro di' tutti quanti gli argomenti che dal- r antiche scuole fino a' suoi tempi a sostegno di essa si recarono, manifesta 1' ampia erudizione della sua mente da un lato, e dall' altro il suo intendimento di una sintesi delle opinioni diverse, come per esempio quella della liberty e quella del fato, lo stoicismo e r epicureismo, del libero arbitrio e della predestina- zione, siccome riscontrossi ne' Dialoghi della Provvi- denza. Cio che preme di notare si d in primo luogo: che alle varie facolta dell' anima non fa corrispondere altrettante anime, e, come a- dire, giusta il pensiero OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 309 platonico, la vegetativa, la sensitiva, e la intellettiva, radice della conoscenza e del volere ; sibbene pur am- mettendo queste distinzioni, le considera come quality di un' anima sola, creata da Dio, allorch^ il corpo deiruomo venne formato. In secondo luogo: che il Rucellai ponendo in sodo, con tutti gli argomenti pro7 babili de' quali puo disporre, la liberty dell' arbitrio umano, ci stabilisce le fondamenta della morale, pre- cisamente come Platone faceva, e la possibility per r uomo di tendere al conseguimento del bene perfetto e della perfetta felicity. Basta il ricordare il Proemio alia Villeggiatura Tibnrtina per rendersene persuasi, e riandar col pensiero principalmente i due be'Dia- loghi che nel trattato della Provvidenza si trovano, dove del dono della ragione, e della liberty e del fato discorre. Come in principio della esposizione della sua psicologia e filosofia morale osservammo, giova ram- mentarci qui esser questa la parte piil manchevole e imperfetta ie^ Dialoghi; pur tuttavolta sufficiente al- r intendimento mio, che ^ quello di dimostrare il suo eclettismo, e V applicazione mancata in lui del Nosce te ipsum. Vuolsi avvertire qui come succedesse al Ru- cellai quello che poi succedette al Cousin, qualunque siaperaltririspetti la diversita d'ingegno, d'inchnazioni e di successi dall' uno all' altro. II Cousin, cosi nelle sue Lezioni di storia della filosofia, come in ogni altra sua opera, sempre ripete per gl'insegnamenti di Cartesio la necessity, dell' osservazione interiore o dello studio della coscienza umana ;sicche parrebbe ch' egli lo studio de' sistemi avesse dovuto subordinare a questo esame interiore, e al criterio della coscienza. Ma invece lo studio storico de' sistemi ^ V intendimento eclettico ed espresso del Cousin che reputa trovare in essi la in- tegrita della filosofia. Similmente il Rucellai ripete il 310 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. Nosce te ipsum di Socrate ad ogni istante; ma in fatto poi si vale piCi eruditamente dei sistemi che non del- r esame interioi:^. E come la interpetrazione negativa del questo io so che nierUe to so valse al Rucellai d'im- pulso ad una speculazione erudita, piuttostoche ad una speculazione spontanea; cosi la parte dubitativa negativa delle dottrine cartesiane servi d' impulse al Cousin per il suo Edettismo. Ed infatti, lasciando d' intrattenersi suUa psicciogia^ cui il medesimo Rucellai guarda e passa, nella parte morale, senza dimenticare la stregua infallibile de' suoi ragionamenti, le verita della fede, egli non voltando le spalle alle teorie morali platoniche, pur quelle di Aristotile e degli stoici cerca studiosamente di con- ciliare insieme, giusta pud vedersi nella definizione della virtii e nella classificazione degli ofBcj umani. Si pud dire anzi che egli non abbia fatto che seguir passo passo or questo or quel sistema e quel metodo; che il suo, piCi che un trattato, anco incomplete, sia piuttosto uno specchio delle sottili distinzioni di quelle virtii e di quel doveri, che Cicerone viene nei suoi libri enumerando. Imperciocchd il leggitore abbia in mente quali fossero intomo la morale o la teorica del- r operare i pensieri di Platone, di Aristotile e della Scuola Stoica. — Platone ammise Dio esecutore e mal- levadore della Legge morale. La qual legge, imposta al volere deiranima, da Platone stesso riconosciuta e per la prima volta dimostrata immortale, riducesi alia pratica della virtii, che 6 la imitazione dell'Ar- chetipo sommo, ciod a conformare le nostre azioni alle idee, anteponendo all' amore dei beni sensibili quello del buono assoluto. La virtii d una ; ma comprende in se quattro elementi, che corrispondono alle quattro virtti conosciute da noi sotto il nome di cardinal!, sa- OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAL 311 pienza (sofia), coraggio o costanza, temperanza e pro- bity giustizia. L' applicazione della legge morale non gi^ alia volontS; degl' individui, ma a quella del popoli e delle nazioni, costituisce la politica nel senso di Platone, il quale, oltrech^ veniva meno a s6 stesso, allorch^ distinti nello stato i tre ordini, ottimati o sapienti, guerrieri ed operai, questi faceva servi, non punto mostravasi alia corruzione dei tempi superiore, quando, per esempio, pigliando a massima che 1' utile non dev' essere un diritto esclusivo e che dalla society umana vogliono eliminarsi i sospetti di prole illegit- tima, ne inferiva la comunanza dei beni e delle donne. Per Aristotile il bene morale ^ la felicitit, il bene as- soluto e la beatitudine perfetta che comprende V atti- vit^ perfetta e il godimento perfetto. Base dell' ope- rare umano ^ la libert^i, il cui esercizio perfetto fa raggiungere la felicity, che ^ la somma dei godimenti. II bene finite non § che un accostamento al bene as- soluto: desso bene s'identifica col fine, e perd la ri- cerca del bene e del fine si unificano. II mezzo per- tanto di conseguir questo bene, ossia la felicity, § la Yirtti. La quale consiste nell' evitare i due estremi del vizio, come la vilta e la superbia, tenendoci nel giusto mezzo. La giustizia poi d tutta la virtti; h la virtd nelle relazioni che gli Uomini hanno tra loro (Lib. V, Etica Nicomachea). Or bene, ognun vede subito come la base su cui si fonda la giustizia d per Aristotile opposta a quella su cui la stabilisce Platone. Imperciocchd Aristotile parta dallo studio del- rUomo e dei fatti sociali, e sia guidato, come Pla- tone, dall'ideale del bene assoluto, ed essere divino; ma pero il suo ideale 6 il tipo perfetto della virtd, cio^ la beatitudine, che • comprende attivita perfetta e 312 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. godimento i)erfetto ; mentre 1' ideale Platonico contiene r unita perfetta, assoluta, e percio il niodo di render giusto rindividuo e lo stato e per Platone queflo di nniiicarli il piii possibile. E infine quail erano gl' intendimenti degli Stoici? € Insegnano (riepiloga il Paysio nella sua SL deUa FUosofia) che ogni male ed ogni bene ^ solo apparente o relativo, tranne il vizio che d un male vero e posi- tivo, e la virtii che ha in se un valore assoluto. La virtii ^ una sola, un solo il vizio, e tutte le buone azioni fra loro, come fra loro le cattive, sono equi- valenti ; ma la virtti si esercita in quattro modi principalmente, colla prudenza, col coraggio o for- tezza d'animo, colla temperanzia e colla giustizia; e dicasi lo stesso del vizio, le cui forme stamio negli otto contrarj avendo ciascuna virtii due contrarj opposti. > La virtii che consiste nel vivere secondo la legge della ragione bene ordinata come il yizio (^ una con- seguenza della ragione disordinata o pervertita, che non sa vincere le cattive inclinazioni, sradicare gli af- fetti colpevoli) conduce alia felicity, riposta nel vero vivere, cio^ in quello stato dagli Stoici chiamato apatia^ nel quale 1' animo senz' essere insensibile, e pero libero da ogni passione, e, in genere, da tutto che possa tur- bare la pace interna. Questa la mercede alia virtd promessa, questo il premio accordato al sofo o saggio, r apatia. Frammezzo alle contraddizioni e agli errori dello stoicismo, che qui non giova rimettere in mo- stra, ognuno scorge nel sistema un germe di nobiK dottrine, fatte per elevar 1' Uomo e destare in lui il sentimento della propria dignity dagli Stoici (s(^- giunge il Paysio giustamente) portato fino all'or- goglio presuntuoso, e direi quasi feroce, che i beni OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 313 menzogneri disdegna, e i inali pcggiori non cura, anzi disfida. » Si fractus illabatur orbis Impavidum ferient ruince. » (HoRAT., lib. Ill, od.S.) Ebbene, ne'due Dialoghi della morale del Ru- ceUai, non che sparsi poi in tutti gli altri, preci- puamente nel trattato della Provvidenza divina, noi ritroviamo predominare quest! tre sistemi da me rian- dati di volo, e del quali egli cerco, tolto da ciascuno il non buono, T accordo, subordinandolo sempre, s' in- tende, ai principj della morale cristiana che irraggia e vivifica V umana coscienza. Pone egli, con Aristotile, mezzo della felicity la virtii che sta tra due estremi ; con che non dee intendersi il mediocre, sebbene la giusta misura oltre la quale e un trasmodare. La ra- gione, egli dice poi con Platone, fonda i suoi motivi sulla costanza de' beni, e con gli Stoici stima beni anco i mali present!, che perd menano a felicity. E distingue con Aristotile tre sorta di beni, ieWAnima, della fortuna e del senso^ e che nel definir giusto la natura di quest! beni, e aggiunge quale tra essi costitui- sce il fine vero dell' Uomo sta la filosofia morale che ^, dice egli, la pii\ vera e megliofondata filosofia deU'Uomo. La quale null'altro 6 alia per fine che il timore di DiOj in che sta il vero mezzo di conseguire la vera felicity, ciod il Paradise, che equivarrebbe al possesso del Bene sommo, assoluto di Platone. Qui il Rucellai segue addirittura le credenze religiose, alle quali vuol ricoUegati i sistemi di morale antica rivissuti ne' con- temporanei : tantoch^ pur lo Stoicismo che qui par- rebbe escluso, ricomparisce a ogni tratto, ed in pagine, a dir vero, beUissime; imperciocchd soventi fiate il filosofo nostrp vada ripetendo che la virtil dee eserci- 314 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. tarsi ad ogni costo, e malgrado tutto ; e nell' esercizio di essa debba Y Uomo ritrovare quaggiii la vera feli- city. Pero quantunque il Rucellai abbia posto a fon- damento della morale la libertlL umana, siccome ve- demmo, pur n^ dell' origini del dovere, n^ del percM della Legge morale ragiona, cbe ha fondamento nel divino e trae dalla mente eterna la sua forza, la sua sanzione : invece li pone come postulati necessarj e gia consentiti da chi lo segue nei suoi discorsi, quan- tunque non manchi di distinguere tra legge divina e naturale, e tra naturale e positiva. Nella divisione poi delle rirtii e nell' analisi di esse e degli opposti loro, segue Aristotile, Cicerone e san Tommaso, come pure segue questo e Platone neUo stabilire il fine della Society umana, cbe riconosce nel Bene comune, nell' utile coordinato all' onesto : ond' 6 ch' ei tiene per principal fondamento dell' umano con- sorzio e regolatrice degli Uffizj umani la giustimy e poi le altre virtii, cbe insieme a tutte le loro compa- gne secondarie definisce con san Tommaso, come que- st! le avea alia sua volta definite con Cicerone e con Aristotile. E nel dividere gH ufficj stessi dell' uomo, segue il Rucellai Cicerone; anzi, ricordisi, egli quind' innanzi non fa cbe ripetere in compendio tutto cid cbe il giu- reconsulto romano lascid scritto intorno a sifiiatto ar- gomento, temperandolo sempre con 1' insegnamento cristiano. In conclusione, come nel tempo suo anco nolle questioni supreme morali riscontravasi un con- trasto di dottrine, la platonica, 1' aristotelica, la stoica, la epicurea, la cristiana; cosi negli scritti morali del Rucellai tutti questi diversi elementi ritrovansi in un singolare eclettismo riuniti. E bo detto ancbe la scuda epicureaj e non a case; imperoccb^ il Rucellai stesso OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 315 non escluda che pure i beni del senso ordinatamente goduti sieno fonte di felicity, e mezzo al conseguimento del vero bene; nel che scorgesi tosto bensi la diflfe- renza tra lo intendimento Epicureo e quelle di lui ; poich^ mentre Epicure e i suoi seguaci nei beni del senso ordinatamente goduti fanno consistere il vero fine della natura umana; il Rucellai tempera e cor- regge tale dottrina, restituendo a' beni sensibili il va- lore e V ufficio che ad essi si compete, vale a dire di mezzo al raggiungimento del fine supremo dell' uomo, che 6, giusta Platone e il Cristianesimo, il Bene Sommo, Iddio. Proferendo questa parola, entriamo finalmente nei penetrali della teologia : esaminiamo brevemente se pur in essa il fiucellai verifica il nostro concetto, dope di che, dato un rapido sguardo alio stile e a' personaggi de' suoi Dialoghi, avrd terminate. Come Platone, cosi il Rucellai riguarda Dio ente eterno, infinite, beato in sd e finalita suprema, nella cui mente riseggono gli Archetipi eterni ; pero mentre Platone cade nel Dualismo, facendo coeterna a Dio la materia, egli, il Rucellai, col Cristianesimo si scosta qui dall' insegnamento platonico, e professa Dio crea- tore ex nihilo, tomando poi con V Ateniese e Pittagora a considerarlo com' eterno geometrizzante, ordinatore e provvidente, e da questo attribute di Dio, dall' Arte divina che si manifesta nel Monde trae argomenti pro- babili dell' esistenza del supremo Facitore, non esclu- dendo perd affatto la possibility della prova a priori^ quelle, per esempio, del Cartesio, che dall' idea dell' in- finite argomenta la sua realty; ma pure stabilendo sem- pre a cardine de'suoi ragionamenti le verity della fede. E nel passare in esame il trattato sue della Prov- videnza, credo il lettore abbia veduto il Rucellai far 316 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. tesoro di tutta la tradizione filosofica teistica contro r Epicureismo, specialmente della filosofia de' Padri del Cristianesimo, sovrattutto dove discorre del mali e del- r origin loro, dimostrando come di veri mali sia sola- mente V uomo autore e capace, perchd dotato di libero arbitrio ; e come Iddio, essere perfettissimo e prowi- dente per sua natura, non possa essere origine di male vero ; mentre quello che a noi nella natura sembra male, o ^ limit e naturale delle cose, siccome la morte, e pero non e male in s6 ; ovveramente 6 del fatto, che giudichiamo esser male, sconosciuto a noi il fine o Tor- dinamento, e in tal caso egli e questo un errore delle nostre corte intelligenze; e qui, in tali dottrine, come ve- desi, ha seguito Platone, e gli Stoici, e la tradizione uni- versale cristiana. Ma per 6, ricordiamoci anco una volta, egli, affermando tutto ci6 col lume naturale, dichiara di non potere escire da' limiti del probabilismo, e di esser necessario lo starsi a quel che la Fede ce ne disvela, imperocch^ V uomo che colla sua ragione sola vuol troppo scoprire la verity, vada a caccia deUa iugia, Platonico adunque egli e nelF ammetter Die e nel provarne la sua esistenza ; Cristiano nell' ammet- terlo come Creatore ; probabilista nelle sue conchisioni di ragione ; mistico e tradizionalista ne' suoi intendi- menti e nel suo metodo reale, generalmente seguito nell'intiera opera sua. Egli e dunque il Rucellai nell' esame de' tre obietti deUa filosofia, V Universe, 1' Uomo, Dio, una seconda volta scettico filosoficamente, poich^ egli non esce dal- r eclettismo. Imperocch^ (ho dimostrato) 1' eclettico, sfiduciato dal contrasto turbinoso delle opinioni e de'si- stemi diversi, abbia perduto ogni stima nel criterio in- teriore della coscienza, che ei reputa incapace da sola a riconquistare le regioni della verity ; ma pur bramoso OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA BEL RUCELLAI. 317 di questa, si pone a sceglier tra le tante teorie quel che gli pare sufficiente a ricostituirsela innanzi gli oc- chi, formosa piil ch' e' pud, affine di sottrarsi alia de- solazione del nulla. Se il Rucellai abbia vissuto in un' et^ di contrasti, vide il lettore diflfusamente. Ond' ^ che la cagione del suo eclettismo ne sorge evidentissima, e tale che raen- tre giustifica in parte almeno il suo errore, stabilisce il punto di vista importante sotto il quale si pud con- siderare quest' uomo, e mostrarlo ai cultori delle disci- phne filosofiche, agli studiosi delle leggi con le quali il pensiero umano si svolge nelle vicende de' secoli. Un' ultima considerazione. Essa risguarda la strut- turade'DmZa^'Aitilosofici delnostro scrittore, forma este- riore, ciod, stile e personaggi ; ritrovando anco in que- sta un triplice riscontro della verita del soggetto propostomi, e, fin qui, io credo, dimostrata. Non occorre dopo il gia osservato superiormente, riandare anche per capi, le condizioni della lingua e letteratura del tempo. Noi le abbiam presenti, e basta esaminare la forma esteriore e lo stile de' Dialoghi del Rucellai, per- chd sia evidente la rispondenza tra le prime e i secondi. Qual' e infatti la forma de' suoi scritti filosofici ? II dialogizzare socratico, forma prediletta nell' antichita, risuscitata in Italia fin dal trecento dal nostro Pe- trarca. Quella forma preferita pur anco dal Galileo, siccome la piii acconcia a dar calore di vita alle dot- trine, ed a rappresentarle alia mente, direi, come es- seri animati. II Eucellai, anch'egli ammiratore delle dottrine platoniche, e seguace almeno esteriormente del metodo di Socrate e del Galileo in quel secolo, oltre dettar le opere sue nella lingua volgare, predilige ac- conciarle a quella forma cosi semplice, come efficace, e che tanto bene opponevasi anco in cid al fare irto 318 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. e disarmonioso de' Peripatetic! eccessivi e della Scola- stica (specialmente de' seguaci di Scoto e degli Aver- roisti), la quale, per cosi dire, gelava il pensiero in quelle forme secche ed incadaverite, e rendeva gravosa la scienza destituendola di ogni attraimento ; con che non vogliaino offendere la temperanza de' libri di san Tommaso, pur nelle forme sillogistiche. Imperciocch^ la scienza sia non un che morto, ed astratto, ma par- landoci dell' universo, delle meraviglie dell' uomo, della vita divina e delle loro relazioni, debba esser anzi su- premamente viva, ed adoma di bellezza giovanile, per- ch6 sia quanto pud piii fedele imagine di quegli obietti. Ed ecco I'arte stupenda dell' Ateniese, ne'cui 2)ia?o^M tu senti spirare quell' anima dell' universo che nelle sue poetiche speculazioni si finse; il cuore dell' uomo battere ad ogni istante di palpiti sovrumani e rispon- dere alle celesti armonie, e Iddio come sole intelligi- bile scaldare, fecondandoli, i germi preziosi di quella mente, dove sorrise perenne la primavera del bello. Orazio Rucellai commosso da questi concenti divini, voile nell'opere sue imitare Platone e la sua arte; e, per dir vero, nelle sue platoniche descrizioni, nel- r introdurre il discorso suUe diverse materie con abba- stanza facility, e saper man mano socraticamente pro- cedere nella risoluzione dei varj quesiti imita bene il Maestro. Se non che i difetti dell'et^ sua pur qui compa- riscono, la difiFnsione ed il tronfio, sicchd tu incontri, per esempio,uninterlocutore che senzainterruzioniperpren- der fiato e per rompere la monotonia prosegue per lun- ghissimo tratto a favellare, mentre passeggiano, come se si trovasse in una scuola, sur una cattedra; e le immagini e le frasi ritraggono talora di quel colorito che i tempi seco portavano, come ho avuto luogo di fare osservare per le poesie e per le prose letterarie OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 319 di lui. Con tutto cid la lingua d tersissima e ricca, e in generale lo stile allettevole e ripieno di pure bel- lezze : e ti 6 dato in questi Dialoghi ammirare delle voci preziose, sicch^ il filosofo italiano pud trovar qui, come nei Dialoghi stupendi del Tasso, e nell'opere volgari di Monsignor Piccolomini, la genuina favella dottri- nale, anzich^ pescarla ne'libri stranieri. E la natura diversa de' personaggi adoperati dal Rucellai e un' ultima conferma delle nostre persuasioni. Infatti basta a tutti ricordare chi pone a maestro e man- tenitore principale de'suoi Dialoghi iilosofici. fi il Ma- giotti, un neoplatonico vero, e seguace delle dottrine fisi- che del Galilei; ma sacerdote, e soverchiamente inclinato al tradizionalismo, per guisa che laragione destituisca del suo legittimo valore, e criterio supremo della verity pro- fessi solamente la fede rivelata. E gli altri poi, credenti tutti, fingono di tenere o da Epicuro, o da Cartesio, o da Aristotile, e al piii giovane, Luigi suo figlio, per il quale precipuamente questi Dialoghi furono scritti,fa il Eucel- lai rappresentare la parte fanciulla della ragione sola, che cerca liberarsi dai dubbi che I'assalgano; dubbi che vengono passo passo fugati dagli altri coll' autorit^ di Platone e degli antichi e moderni filosofi, corretti perd, io lo ripeto, dal concetto cristiano ne' loro argomenti probabili, per trovar quindi V intera pace deir anima nella certezza evidente della verity della fede. Come vedesi, adunque, i personaggi stessi manifestano la na- tura del filosofare del Eucellai, il suo metodo, il suo fine, e dimostrano essi pure quant' io non andassi errato definendo la filosofia o il probabilismo filosofico del Eu cel- lai : un viaggio alia fede e colla fede per la natura e per la ragione. Concludendo, io dico che in quella guisa che nel consorzio civile del secolo XVII, pure nel Eucellai 320 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO, trovammo i contrasti delle abitudini, de' pensieri e delle dottrine, giusta che ce ne fecero testimonianza e la sua vita, e le sue poesie, e le sue prose letterarie e scien- tifiche, ed infine i suoi Dialoghi filosofici. Che percio egli vale meglio di ogni altro a rappresentarci il suo tempo, le quality costitutive di esso in Firenze, imper- ciocche mentre tutti gli altri, chi ad una piuttosto che ad un' altra opinione assentiva, chi un sistema piutto- sto che un altro seguitava, o nella fisica, o nella filo- sofia; il Eucellai che chiude V eik del Rinascimento, tien dietro a tutti, e da tutti trae a comporre Tedi- fizio suo, i cui materiali concilia ecletticamente con la verity della fede che gli fa da cemento : e, altresi, perch^ questa conciliazione ha piil dell' accademico che deir intimamente speculative; speculazione, che salvo le scienze naturali, era molto fiacca a que' tempi nella sua patria. Sembranmi chiare le premesse, legittima la conclu- sione ; per il che io dovrei aprir 1' animo alia speranza di non aver fatto inutile cosa, n^ al mio illustre Con- cittadino reso onore vanamente. II benevolo lettore che mi accompagnd lunghesso la via, non serapre, a dir vero, amena e leggiadra, giudichera : e il suo giudizio, qualunque e' sia per essere, riterro come impulse sa- piente e amorevole a nuove e maggiori fatiche, delle quali sar^ sempre mio fine la Verita ed il suo Amore* APPENDICE. ANTOLOGIA DI COSE INEDITE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. ai OTTAVB. ALLA SERENISSIMA MARGHERITA D'ORLfiANS, Frincipessa di Toscana. Per un mazxolino di Fiori donatole il giomo di Santa Mar^herita dal Priore Orazio Rucellai, Quando lacrime sparge il di nascente Dal sen delPalba in rngiadoso nembo, Ghiare conche eritree del mar iremente Teti gli appresta, e le raccoglie in grembo. Poi spiega il Sol dal lucido ori'ente De'raggi onde si veste aurato lembo, E con alta virtii di sue faville Ragnna in perle Talbeggianti stille. Ma non tutte del mar Palta Reina Accolse in Bh le prezi'ose prede; Oh! a te di quella inargentata brina Tatto cosperso il bianco sen si vede, E 1 sol degli occhi tuoi le tempra, e a£&na In piii pregiate e chiare perle, e cede Quel cbe risplende con eterni ardori A te, donna reale, i primi onori. Or qual pegno al tuo nome in si bel giomo Bender potr6 d* ossequioso affetto? Questo di bianchi e casti fiori adomo Ficciol fascio odoroso al Regio petto 324 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE Ahi non s^ aggaaglia, ch' il falgor d^ intorno Fa parer negro ogni piu cbiaro oggetto; Qual sotto a'rai del sol smonta e s'imbrana YergogDando di se 1' argentea Luna. Dun^ue h vano tentar I'alto pensiero, Che seguir non lo puo mio stato umile, Ma pur conMo troppo ardito, e spero Che lo mio buon voler non prenda a vile QuelPeccelsa bonta nota alFImpero, Che pur suole aggradir dono servile, Se un timido rossor purpuree rose In fra ^1 candor di questi fiori ascose. SONETTI. Si querela che il sonno tenga troppo chiusi gli oechi della sua Donna, Ombra il sonno e di morte, i sensi atterra, E gran parte di vita alPuom ritoglie, Che quasi dal suo vel Talma discioglie, E n'insogna le vie per gir sotterra. Sonno s* altrui dk pace, a me fa gaerra, Che '1 vivo lume a quei begli occhi togUe, L^ dove amor del Paradiso accoglie II piii bel raggio che risplenda in terra. Ben a giusta ragion lagnar si vole Questo mio cor, ch^in preda al sonno oppresso Scorge in si lunga notte il suo bel sole; Se 1 Poeta, che gih, d' Apollo istesso Segui la fronda, si di lei si duole Che 1 batter gli occhi suoi fusse si spesso. DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 325 Sentimenti amorosi in morte di sua Donna, Qaella che sola ai miei pensier risponde, E i sensi del mio cor penetra e intende, Talor tra 1 sonno a consolarmi scende Fercbe tregua il mio duol non aye altronde. iDdi lace si pura in me trasfonde, Cbe quasi senza vel V alma comprende : Quantu e la su di bello, e come splende Quel Yolto in Giel che poca terra asconde. Dicemi: apprendi che caduca e frale Nel mondo ogni bellezza a morte fugge, E contro morte il sospirar non vale. Ogni cosa col tempo il tempo strugge, Ma se miri il mio ben fatto immortale, Non ha chi lo contrasti, o chi V adugge. Sentimenti amorosi secondo il concetto Platonico, che Dio creasse V anime particolari degli uomini dagli avanzi delVanima uni- versale del mondo. Con eterne faville il sommo sole Suo divino valor nel moudo accese, E quelPalta ragion dal Ciel discese, Ghe spirto infuse a cosi vasta mole. Ma percb6 si belF opra adempir vuole, I preziosi avanzi in man riprese, E vostr^ alma gentil formarne intese Con divine virtudi al mondo sole. E se mille anni, e mille altri compose Spiriti accesi da si ardente zelo, Qualche raggio piu vivo in voi nascose. E 'n porgervi natura il mortal velo Tanta cbiarezza e leggiadria ripose, Cbe ben traspare in voi cbe cosa e Gielo. 326 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE Desiderio che ha Vanima d*unirsi a Dio, Padre del Giel, che le beiralme accogli Quasi figlie smarrite entro al tuo seno, Dall^ atre nubi a lucido sereno Teco r inalzi su gli empire! sogli, Dal tenebroso carcere ritogli La mia, cli^e mai si presso a venir meno, £ di questo mortal limo terreno La man che pria vestiUa or ne la spogli. Se col tuo sangue ricomprar yolesti Da rio seryaggio i miseri mortali, Gosi gran somma anco a mio pro spendesti; Da si caduchi ben, si grayi mail Per gir lieta a goder beni celesti, Tu sol puoi darle il volo, impennar Tali. DELIA CORTE E DEL RIGIRO DI ROMA LIBELLO DEL PRIORE ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. L* ngniaglianza di tutte le condizioni degli uomini alle pretensioni di Roma fa sempre giovevole, sincbe le digniti e le grandezze fiiron premio solamente de'meriti e delle yirth, Capitolo Peimo. La costituzione di questa Repubblica universale di Roma si forma dal concorso di tutte le Nazioni cattoliche, e dal- r aMuenza continua de' pretendenti, i quali, gonfiando le rele delle proprie speranze, qua si trasportano da qualunque re- gione del mondo. Ebbe per suo sostegno nel suo originario Institute quel misto perfetto de' tre Stati Monarchico, Ari- m ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 327 stocratico e Democratico, reputato per la forma piti dura- bile, e meglio ordinata di tutti i govemi, dov' ella si man* tiene nella sua bene accordata armonia, e che runo stato di essa ben corrisponde e serve di correggimenio alP eccesso deir altro. Nel Papa risplende la Maest^ del primo, che ha in s^ la plenitudine dell* autorita Ec^lesiastica indipendentemente da ogni altro fuori che da Cristo, di modo che niuno, ne -il Collegio stesso de' cardinali contradice a quel che e' deli- bera, se non per ragion di consiglio; ne' cardinali, come senatori apostolici, si raffigura lo stato degli ottimati; il quale farebbe perfettamente il suo officio, dove i Papi con esso loro consultassero gli afifari maggiori di Santa Ghiesa; staccandosi poi dalla suprema potesta le deliberazioni ben purgate et assicurate dalle passioni, e da genj; ma T auto- rita maggiore del Sacro Collegio si conosce nelPInterregno, rendendo i cardinali venerabili a ognuno la voce attiva e passiva che egli hanno al papato negli altri ordini del Clero universale, si de' vescovi, si de' prelati, e si pure de' sa- cerdoti, e de'religiosi; come altresi nella moltitudine innu- merabile de' pretendenti si considera lo stato popolare, impe- rocche egli avevano grandissima parte nell'elezione de'Papi; a' vescovi apparteneva dare il lor voto per le discordie di Religione, e per la riforma de'costumi Ecclesiastici nella celebrazione de' Concilii, e dal concorso di essi insieme con 1' autorita de' Pontefici se ne formavano quei sacrosanti De- creti. II Clero poi aveva il gius dell' elezione de' vescovi, e questi, quasi sto per dire, indipendentemente reggevano gli affari spirituali e temporali delle lor chiese: masopra ogni altra cosa, che fa riguardevole e stimabile il comune del popolo h, che ciascuno, di qualunque qualita o condizione, e ngualmente abile a divenire Principe, Padrone di Roma, e capo di questa Repubblica, perche la Provvidenza Divina, che la sostiene, a tutta 1' umana generazione benignamente sguardando, h volta con pari misura al bene comune di tutti; appresso di Lei solo le tenebre dell'ignoranza e de'vizi, e la chiarezza della virtu ne distinguono, dove, quantoanoi. 328 ANTOLOGU DI COSE INEDITE roscurita e lo splendore del.sangue, la poverty e le ric- chezze disagguagliano. Era danque ben dovere che la Bepubblica generale di tntti i Gristiani si accomanasse a ciascuno, non ammettesse differenza di gradi, ma fosse madre amoreyolo ugualmente di tutti i Gattolici, e fin tanto cbe ella si mantenne nel vigore del suo fondamentale instituto, e cbe gli interessi priyati non guastaron questi ordini, e non isconcertarono U temperamento di cosi ottimo e profitteyol governo, qual requisito migliore potea ritrovarsi, cbe la parity di tutti gli stati degli uomini tanto celebrata a Roma, per costitnirla una patria veramente comune? Cosi invano si sforzavano le due Ministre del mondo, dico la natura e la sorte, di dar talvolta ad un'anima nobile o un vil corpo, o un yil me- stiero, e si ad un soggetto di concetti bassi, e di peDsieri oscuri cbiarissimo nascimento, percbe in Roma si uguaglia- yano gli uomini, yeggendosi taluno col mezzo della yirtu d^ infima miseria a stato reale eleyarsi. Altri, per lo contra- rio, di gran riccbezza, e di splendido lignaggio in brevis- simi spazi yenire al nulla, e perdersi ben tosto fra la cali- gine della propria ignoranza, per guisa cbe con I'opere solamente lodeyoli^ e giuste, e non con le qualita accattate dalla fortuna, poteya ognuno partecipare di qualunquepiu degna prerogatiya, essere ascritto a quel sagrosanto Senato, e diyenire Vicario di Cristo, e Principe di si gran condizione. Ma a poco a poco una tale ottima instituzione traligno ancb' ella in abuso, percbe tra V ayarizia di que* cbe coman- dano, e V ambizione di cbi pretende s' introducesse nel Reg- gimento Ek^clesiastico la parzialit^ degli affetti, e 1' util pri- yato si mise sotto il pubblico bene. La potesta dello stato maggiore assorbi la forza, e sconyolse le operazioni degli stati minori; ruppersi quelle bilancie cbe teneyano equipon- derato il goyemo, e rimase confusa in loro la distinzione de' pesi, si cbe delle tre forme sopraccennate altro non ci resta cbe la figura et i nomi : quindi ^, cbe la parity degli stati nella Corte di Roma senza il pareggiamento de' meriti h dannosa, anzi cbe no, la quale si dee bene reputar dai DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAT. 329 plebei, cbe s* inalzano indegnamente ad uguagliarsi co^ nobili, non da' nobili, cbe contro a ragione si yengono a pareggiare co' plebei; conciossiacbe in quella giiisa cbe lo splendor e della stirpe non conyiene cbe abbia yantaggio sopra la nobilta de' costumi, e degli ornamenti delP animo cbe illu- strano ancbe i piu yili; cosi non debbono pareggiarsi que- st! con quelli, quando con 1* azioni virtuose e grandi non si solleyino dalla bassezza di lor natali. Ecco come si sono smarrite le yere yestigia della yirtu cb' erano tanto piii cal- cate in Eoma, quanto per una si gloriosa competenza gareg- giavano tra lore gli ingegni, allorche gli uomini eziandio di piccol essere avean questo unico mezzo di farsi grandi, e che il saper solamente e '1 yalor degli ignobili era prefe- rito alia dappocaggine, e alPignoranza de' nobili. Ma per- cbe oggi si misurano le abilita degli uomini non da' meriti, o dalle yirtu, ma si dall' interesse e dal genio di cbi coman- da, imperciocche gli ignoranti e plebei sono di numero molto maggiore, perde notabilmente la condizione delle fami- glie piu illustri, e screditansi i sentimenti migliori di cbi porta gli stimoli dell' onore dalla nascita e dalla educazione : cosi presero yantaggio i costumi peggiori de' mercenarii, e le buone arti, e la reputazione, assodate prima con 1' esem- pio, e con 1' avanzamento di quegli, vennero a spegnersi del tutto con 1' accrescimento, e con la stima di questi. Per tal via si sono tolti dall'uso comune di Roma tutti i ter- mini dell' onore, restan priye d'ogni fede le promesse et i giuramenti, e dismisersi insensibilmente il yalor dell' animo e i sentimenti cavallerescbi, cbe fanno risplendere un uomo ben nato, e si pure mantengono in creanza e ben collegate tra loro le conyersazioni civili. E perche all' abito clericale non bene si confa V esser pregiato in opera d' arme, e farsi largo con la spada, sottentrano piu ageyolmente nell' usanza degli uomini le occulte ingiurie, e la tacita, fraudolente per- fidia, yiepiu da temere cbe non e se affrontata ed aperta. Gobi col dominio degli infimi resta come del tutto abolita la coscienza dell' uomo onorato e da bene, e yiziaronsi ancbe i nobili, percb6 con I'uguaglianza delle fortune indistinta- 330 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE mente si miscbiarono i sangui e si corruppero gli animi, lasciandosi yolgere all'uso e alia natura degli altri, e poi yestendo il manto sacerdotale sotto gli onesti titoli della pazienza e della Legge divina, cbe per ogni altra cosa di- spregiano, d' ogni generosity si spogliarono, ond' egli hanno convertito in altrettanta vilti d' animo 1' antico sperimen- tato valore. Per la qual cosa non ci essendo tra gli uomini altro tribunale aperto contro la dislealt^, e contro i manca- menti della parola, se non prendersi (cavallerescamente par- lando) V un dell' altro soddisfazione con V arme, perche que- 8to in Roma sta cbiuso, si sono nutriti, e confermati sempre yiepiu i mancamenti, e gli inganni dalla continiia impunita cbe e' godono senza legge civile o cavalleresca venina. L' interesse dunque si e lo intendimento primario e la scorta de' pretensori, e dove I'uomo studia al giiadagno, per lo pill studia eziandio alia fraude e all'inganno; perci5 i \in- coli deir amicizie non li coUega qua in Roma la similitiidine delle nature, o delle virtti, o vero un desiderio reciproco I'uno di giovare all' altro, ma si le congiugne una mutua speranza, cbe ba Y uno di giovare a se per mezzo dell' altro, e dove quelle la fortuna buona o contraria non ba forza per dislegarle, come non ebbe parte nell'unirle insieme; queste la sorte quasi sempre le annoda, et ad arbitrio suo le discio- glie. Cbi viene dunque a pretendere a Roma, ricerca sopra- tutto la traccia degli interessi d'ognuno; e dove trova aper- tura, quivi s'ingegna di concatenare i suoi in guisa tale, cbe 1' altro si pensi di migliorare per mezzo di quegli le condizioni de' proprii ; lo spendere offizii per motivo di me- riti, e di magnanimita di cuore, non e piu in uso, ne le dimostrazioni di generosita ban credenza ; e se talora se ne vede qualcbe atto apparente, dicasi pure cbe e' ci h dentro qualcbe occulto interesse cbe gli da fondamento, e lo muove; altrimenti cbi si fonda sull'aura e corre dietro alle voci, senza cbe e' ci entri di mezzo alcuna di queste cagioni, rimane in poco d' ora agevolmente cbiarito. La speranza di compia- cere ad un fautore potente, il reputare cui si favorisce per mezzo efficace a qualunque intendimento privato, fanno ope- DI ORAZIO RICASOLI BUCELLAI. 331 rare con caldezza, e chi sapra in Roma rinvenir questo filo, et attaccarcisi con proporzione, avra vantaggio notabile nelle fabbriche de'proprii concetti. L' importanza e dunque conoscer le cose nelle lor prime cagioni, e farsi scaltro nel bene intendere le cifre degli animi, le quali molte volte altro significano neU'interno, di quel che indicano altrui i caratteri esterni. Per tal conto e neces- aario lo informarsi de'fini particolari, e de'pubblici, delle nature, de^ temper am enti e de^ genii, delle dependenze e degli odii occulti di ciascheduno ; delle speranze e de' timori, che vegliano ne'cuori di chiunque pretende, e si ancora delle sostanze e delle fortune loro, perche si antiveggouo per questa via di molti successi, e sono tanti sentieri aperti agli avanzamenti altrui, col saper ben yolgersi per i quali, quando la via maestra e chiusa, si perviene sovente col rigiro pe' tra- ghetti e per vie traverse, dove non si e potuto arrivar per lo dritto. Pero si vede che lo interesse affina gli ingegni, e come suol far la virtu, insegna anch' egli a superar le pas- sioni, e molti atti di avvedimento e d'industria, che v61ti a fine d^ onore e di gloria sarebbon virtuosi, si adulterano per la corrotta e maculata intenzione, a che incamminati sono; la soUecitudine, la vigilanza, la destrezza e le altre operazioni migliori delFanima usate ad esser ministre per qualificar le azioni buone, servono per render piu fraudo- lenti i pensieri viziosi dell' avarizia, della vendetta, deir am- bizione, delP invidia, che sono 1 sensi piu comuni di quel che pretendono a Eoma, i quali usando il bene male, e valendosi della piu oculata prudenza per giungere dove essi bramano, avviene che molti si chiamin grand' uomini e saggi, cio argumentandosi dall' operazione de' mezzi, che di- rebbonsi misleali, pigliandosi la riprova da' fini. Per questo i vizii in mano a costoro peggiorano quel piu, con cio sia che non solo sono prodotti dal senso, ma camminano sotto sembianza d' una simulata virtu, e sono regolati dalla finezza e dal discorso dell' intelletto. Ma odasi cio che dice di Eoma Quinto Cicerone #al fra- tello quando e'chiedeva il Consolato : «Fissatevi (diceva egli) 332 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE nell'animo queste tre cose, e dite da per voi stesso: loson uomo nuovo; domando il Consolato; e, quel che e piii nota- bile, questa Roma e mescolata di varie nazioni, dove sirag- ^irano molte insidie, molta fallacia, e vizii di tutti i generi. Qui si ha da patire V arroganza di molti, la perfidia di molti, la malevoglienza e la superbia di molti, e di molti pure gli odj, et infinite molestie : m' avveggio ch' e' ci fa di mestieri un gran consiglio e una grand' arte a voler vivere tra' tanti uomini, e tra tante sorte di mali per ischivar le offese, per ischivar le bugie e gli scherni, e per ischivar le insidie; ed e malagevole ad un uomo solo adattarsi a tanta variety di costumi, di discorsi e di volont^, massime che in questo fuor di misura ell' e viziosissima, che posta di mezzo la peca- nia e' regali, ciascheduno della virtii si dimentica, e della dignita. » Sin quidisse Quinto al fratello; il che ho voluto registrare in questo luogo, accio si conosca che o sia la positura del Cielo, o si pure la necessita de' medesimi fini, negli ultimi tempi della Repubblica Romana (forse come oggi) adulter ati e guasti, hanno come posto i temperamenti conformi; influiscono similmente negli animi la stessa ma- niera e inclinazione di costumi, e nell' una e nelP altra etade s' introdussero e stabilironsi nella Corte di Roma contro la virtu e contro la pieta della sua primiera institu- zione, tutte quelle arti che piu si producono dall' opera della malizia, che dalla carita e dalla devozione. Si puo dunque concludere, che la macchina del rigiro di Roma stia appog- giata sopra I'estremo del vizio, non sopra I'eccesso della virtu; perche qua e talmente raffinata la fraude, che quanto gli uomini sono piu nemici, tanto piu usano tra loro atti di confidenza, e piu liberta di tratto. E le destre che sogliono essere testimonii di fede, sono in loro violate dall' inganno, e dalla malizia di farsela I'un I'altro a tempo e con van- taggio, e quegli solamente e stimato piu valent' uomo, che puo pi^. Quindi avviene che qualunque e reputato uomo di valore nell'altre region! del mondo, venendo a Roma, si perde, trovandosi in una differente scuola da quelle, ove s' apprende ad esser soggetto grande con le virtuose azioni. DI OBAZIO RICASOLI RUCELLAI. 333 Quei dunque che si mette a vivere in questa Corte, non basta che e' sia letterato e sapiente, quanto se gli conviene il saper ben discernere i vizii altrui. Ceda pero alio stile del paese, mantengasi nelP arti virtuose, ma assuefaccia r animo educato ne* buoni costumi a non si scandalizzare da' pessimi. Molti giungono a Roma, e se di eubito e all' improvviso loro precipitano addosso similisorte di mali, si perturbano e sovente escono de' termini, e yi ruinan sotto; ma se loro si da punto di tempo, il far passaggio dalla virtu al vizio e molto piu agevole, che non e quello da' vizii alle virtu, perche son mali che feriscono solamente le opinioni accre- ditate nel mondo, e trapelano cosi ad ora ad ora nella con- suetudine e negli animi nostri che altri non se ne avvede ; e, guastandosi poscia, appaiono con 1' uso men disgustevoli, ci si fa il callu, perdecisi la faccia, e non tan to si smarrisce lo stile di operar bene, ma si eziandio 1' arte d^l conoscerlo. Questo si e il vero modo di spegner le leggi, di 6ontaminar la religione, di tor via la vergogna, perche non si ha timore dell' infamia. L'autoritk resta senza un minimo fondamento, 6 gli esempli e le memorie migliori si dimentican tutte. Cosi la fortuna ha deformato la faccia bellissima della virtu. Ognun t' offerisce la vita, il sangue, la roba, quando il bisogno h discosto ; ma quando s' appressa, non che gli amici, i piii cari parenti mutano faccia, e di presente si rivoltano. Gli uomini nocivi sono, come industriosi, lodati, e quegli che tra tanti cattivi vogliono esser buoni, perdono il credito, e sono come sciocchi e timidi biasimati. Eoma finalmente e commercio, dove si spacciano mercanzie di grand' importanza, le quali stanno esposte alia forza della pecunia, che vince tutto, e insieme a chi sa meglio romper la fede, e con piu astuzia aggirar i cervelli, i quali, tutti all' ambizione e al^util proprio donatisi, cercan tirarsi in- nanzi per quella via, che lor piii torni in acconcio, non riguardando all' onesto ; e perche alia larghezza delle distri- buzioni di Roma sempre molti ci pongon 1' occhio per una stessa cosa, quindi deriva I'invidia e conseguentemente 334 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE r odio tra' concorrenti ; ciascuno spera avanzarsi su I'oppres- oione degli altri, e niuno conseguisce una cosa, che non paia ad nn altro di perderla, onde si nutriscono sempre i disgn- sti, e qua di continuo sta accesa una guerra civile di com- petitori, la quale, se fusse in sua liberta e non raflrenata dalle cautele, che lo stesso interesse mette in ciascuno di non gnastare i suoi fatti, si vedrebbono inimicizie scoperte, sollevazioni perpetue, e tale effrenato stimolo metterebbe r arme in mano a ciascuno per cavar V anima alP altro, ma cosi resta il fuoco del? odio racchiuso e coperto in ognano dalle ceneri de' particolari rispetti, e pero altro suonano le parole di quel cbe sentano i cuori. L'apparenza deWoltie totalmente contraria alia sostanza degli animi ; alia largbezza delle promesse non corrispondono gli effetti, ed armasi la fraude dove non puo apertamente impugnar la spada lo sdegno. Niuno percio si stupisca della doppiezza di questo clima, e delle male arti cbe ci s^ adoprano, perche dove lo interesse e la cupidita signoreggia, la virtu vi perde il sno luogo, ed e minor male per la sussistenza del governo di Eoma la simulazione e V inganno, postovi dalla necessita del suo fondamento, che Y impeto scoperto delF ira, instrumento abile a precipitarla ben tosto. Tolgasi dunque, se s5 puo, dalla Corte di Roma il fine del guadagno, o si vero e forza per men reo partito lasciar correre questi mezzi per arrivarci. Vero e che per entro a un labirinto cosi intri- gato di tante insidiose e fallibili vie, niuna che si tenga da uno pu6 servire di norma e d' esempio aU' altro; le me- desime scorgono gli uni al papato, e gli altri alia propria ruina; e sin quelle della virtu e del vizio ne menano sovente ad uno stesso confine ; la fortuna e *1 caso ci fanno la mag- gior parte^ e le congiunture son quelle che apron molte volte il cammino, e ne guidano a lieto fine; percio si scor- gono gran variety di maniere et infiniti imitamenti di virtu, e di costumi varii per accomodarsi alle opportunity de' tempi, e a quello che altri s' immagina viepiu profittevole. Tutti gli nomini s* ingegnano sopra ogni cosa di parere quel che non Bono, non di mutarsi da quel che sono ; V avaro si vedra DI ORAZIO RICASOLI BUCELLAI. 335 talora donar del suo, et usar atti di liberalita, per poter poi torre con piu dovizia V altrui; il superbo e *1 vendica- tivo riesce pieno di cerimonie saperchievoli e di sommis- sione ed umilta, per serbar a suo luogo di vendicarsi e di esercitar V alterigia. Chi e piu artifizioso e sagace cerca di far lo stordito, e a bello studio si lascer^ volgere a tutti i genj per apparire altrui facile, e troppo credulo e buono. Alcnni sMmmaginano che il dare ad intendere di essere santo sia il vero modo di tirarsi innanzi ; pero si fingono di stretta coscienza, e col viso pallido, e col collo torto for- mano V instituto al di fuori della lor vita; ma sotto il man- tello deUa pieta e degli scrupoli, le azioni d^ ognuno cen- surano, tengono mai sempre Farco teso, e sotto specie di bene scoccano a tempo colpi da maestro, che coll^ acume di una sola parola modesta tolgono la reputazione a chi e' vo- gliono, anzi con un sogghigno che ti fanno talora^ e col tacere, accreditano un^opinione maligna contro a qualche- duno, e non fanno manco male collo star cheti e col celare la verity, che s^ ei rappresentassero il falso ; e quauti ci sono, che della lode istessa si vagliono per ruinar la fortuna di qualcheduno, onde saggiamente di loro disse Tacito: pesH- mum inimicorum genus laudantisl Tali sono le maschere varie di Roma^ dov' ognun cerca infingersi di verso da quel che egli e, rifuggendo per meglio coprirsi all' estremo contrario di quel che e' si sente dentro nella sua propria natura. Per tal maniera gli uomini tra- vestono, non ispogliano, le passioni, e da essi i difetti si palliano per non lasciarsi appostare, non si vincono per emendarsene. Di qui e, per quanto io m' avviso, che Roma si dica teatro del mondo, perche compariscono in esso tutte persone contraffatte da quel ch'elle sono; chi e d'un par- tite, a un tratto diviene sviscerato dell' altro, e, secondo che vuol la fortuna, si veggiono tuttodi cambiare varie sorte di scene, I'invidia, la malignita e lo sdegno, e si amore fa le sue parti, per6 1' amor proprio, che quanto h piu tenero di se stesso, tanto h piu crudele nel tiranneggiare altrui. Questi h quegli che raggira tutto, muove gli ingegni e le mac- 336 ANT0L06U DI COSE INEDITE chine, e apre tante sorte di vie, le qaali si trovano tatte piene d^ impedimenti e di spine, fnor che quella della mo- neta, o pure d' accomodarsi ai genj di chi govema. Di queste, la prima non e battata per tatti, e chi ne ha 1 modo diviene superbo, imperciocche gli pare di poter soperchiare gli egoali, e riescon costoro per la maggior parte ignoranti, perche fidandosi nella forza di loro ricchezze non fanno procaccio di altri mezzi per rendersi degni, e rade volte accade che Domenedio accoppj negli uomini i beni della fortana e quegli dell'animo. Alia seconda, di seguire i genj, e piu acconcia la gente d' animo e di nascita vile, che non sono gli uomini ben nati, e virtuosamente educati, percio quegli ban piu vantaggio nel prender le inclinazioni de' Principi, i quali, per quanto amino I'ossequio e la riverenza nel pubblico, aborrisconla in privato, perche lor reca soggezione ; pero scelgono per loro domestici uomini entranti, prosuntuosi e arditi, e so- yente yiziosi, in essi confidano, scuoprono i lor pensieri, e le loro magagne sicuramente, e se ne vergognan meno che non farebbon co' savii, co* virtuosi, e con le persone moraK; quegli dunque piu agevolmente s^ inoltrano nella lor grazia, e con essa montano piu presto in altezza, e torniam dunque a dire, che nella corruzion de'costumi e utile si de'plebei, ma notabil danno de' nobili la parity degli stati tanto ce- lebrata a Roma. Imperciocche salendo in gran posto la gente bassa, e condizione mutando, non lascian i vizi da privato, ma pi- glian ben tosto quegli de' grandi, e le virtii non V imparan mai; e come e costume degli infimi esser nelle avversitadi abietti, e nella prosperita insolenti, cosi essi, come da prima a' maggiori servilmente obbediscono, cosi di poi a' minon imperiosamente comandano. £cco perche la nobilt^ si co^ rompe, conciossiache dove innanzi, premiandosi sol la virtiir con essa si adornavano gli animi e nobilitavansi eziandio de* plebei, oggi per avanzarsi conviene che s' awiliscan coi vizi i buoni costumi, e corrompasi la coscienza de' nobili; ma chi ha stimoli d' onore, per quanto e' s' ingegni nelle cose DI ORAZIO RICASOLl RUCELLAI. 337 lecite e oneste di andare a' versi di chi governa, non ci si abbandona poi talmente che e^ chiuda gli occhi a quel che si dee; andra penetrando le inclinazioni, e con quelle pro- curera si di confarsi, ma insieme studiando di acquistare stima d* uomo da bene, e concetto per la virtu, non perche questa debba avanzarlo, ma perche tirato avanti uomo vir- tuoBO almeno ne adonesti V avanzamento, a lui se ne ascriva la gloria e '1 merito ; dove quando si viene innanzi senza virtu, tutto s' attribuisce alia sola fortuna, e sovente volte rinalzamento di questi fa spiccar meglio ie macchie de^ loro demeriti alio splendore della dignita medesima, che indebi- tamente loro e stata concessa; questi esaltati ricevon ap- pena che un applauso lieve del volgo, che e guidato dagli eventi, e lasciasi abbagliar la vista dal lampeggiar deir or- pello; ma il meritevole, benche dispregiato e negletto, ha per se il partito de'savi, che col paragone della prudenza discernono anco per entro alia rozzezza e alia oscurita dello state la purita perfetta e la chiarezza delP oro. Gran forza e quella della verita, che finalmente non ha paura della bugia, e si schermisce da se contro Pingiuria de' tempi, e contro alia malignita degli uomini, ne e mai pericolo che i concetti ben fondati de' pochi restino offuscati da' giudizi vani de* piii ; la virtu rifulge eziandio dentro alle tenebre, ne s' imbratta mai^ perche se la tenga sotto i piedi e in mezzo alle sordidezze della poverta la fortuna contraria. Ella si fa conoscere, e place eziandio ne'nemici, non che negli uomini miseri. E se un uomo degno non e portato a gradi maggiori, il biasimo torna addosso a chi dovea avan- zarlo, e non a chi riceve Tingiuria. Sarebbe bella che il credito d* un uom meritevole avesse a dipendere dal capriccio d' un Principe molte volte poco prudente, e che gli s' avesse a rivoltare la mala ventura in colpa ! Infelici dicansi co- loro che non hanno meriti^ e percio ne anche reputazione, quando bene sono aggranditi, perche troppo ben si discerne quel che ne dona la virtii, da quelle che ne comparte la sorte, la quale puo ben rendere gli uomini miseri, ma non gli pu6 gia render indegni; anzi essa molte volte sostiene 22 338 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE gli non degni per non gli lasciare in preda alio scheme e alia lor propria ruina, dove i virtuosi tien bassi, perche non abbiano tant' arbitrio e autorita sopra gli altri;posson ben essere ugaali i gradi degli onori tra gli uomini tanto buoni, quanto cattivi, ma saranno sempre disugnali que' della glo- ria ; nb perche i peggiori s' armin d' invidia e di fraude, et allora acquistin potenza, posson mai con gli uomini savii gareggiar di virtii, avvenga che e' si trovino in bassissimo stato. La virtu dunque nella Corte di Roma sempre ado- nesta gli avanzamenti, quantunque non abbia parte nel- r avanzare. Ma la fortuna e quella che distribuisce le grazie, la quale sul bel principio fa pomposa mostra de' doni suoi, e pare che ella si faccia altrui innanzi col viso lieto e col grembo aperto, ma di subito poi cambia faccia, e vuol ven- der carissimo quel che ella offeriece in dono. Stolto e colui che abbandona la propria quiete dietro alle sue fallaci lu- singhe, e che a guisa del Cane d' Esopo lascia il ben eh' ei possiede, per gir dietro ad un' ombra d' un meglio dubbioso. fi vero che alcuna volta ell' aggrandisce una casa e quella riempie di tutti i suoi beni, e sta in suo, arbitrio d' alzar gli uomini ad esser pari e superiori de' Re; ma quel che ella dona ad una famiglia, sel fa pagare a gran costo della roba, del sangue e della reputazione d' infinite altre, e per una ch' ella soUievi, mille sotto la sua condotta pericolano. Laonde mi sembra su le rive del Tevere fiorire piu che in altro clima quell' albero fruttificante, onde alcuni Poeti favoleggiarono che si ritrovi nelle larghe e fertili posses- sioni della fortuna, da' cui sempre verdi rami pendono frutti di varie sorte, e non meno degli amari e velenosi, che dei saporiti e soavi, di quegli che porgono altrui salute, di quelli che danno la morte. Alle cui radici anelano i pret«n- denti ambiziosi, tanto i nobili, quanto i plebei, tanto gli idioti, quanto i dotti, gare^giando tra loro de' posti migliori; quindi s'odono tuttodi querimonie I'uno dell' altro, quivi essere gli uomini martoriati ognora dalla lunga impazienza: e chi potrebbe esplicare lo sbigottimento, il dibattito, e I'an- sieta di colore, che stanno a gola aperta bramando che ca- DI ORAZIO RICASOLI RDCELLAI. 339 schi loro qualche vivanda megliore ? Chi si vede appena giunto con piu improntitudine degli altri romper la calca, et accostarsi di subito a pi^ del tronco, V uno, che non paia sue fatto, si sospinge oltre tra gente e gente, oh' altri non se n'avvede. Chi corrompe qualcuno per farsi far largo, e finalmente ognuno si studia con que' modi ch' e' puo di pas- sar oltre, et alcuno, giuntovi sotto, ci s' inerpica sopra. Quel- r altro il prende di dietro, e s' ingegna di trarlo a basso, 6 per tal modo tra tanti contrasti e tra le scosse dell' al- bero, dove cade una cosa e dove un' altra ; e a colui che a pena v' arriva cade un porno de' piu delicati e salubri ; a coloro che piu lo sbattevano, cadono in mano le foglie, a molti piovono i fiori, talora un ramo si scoscende, che percuote chi si era fatto piu innanzi, e con furia ricac- cialo indietro. Et ad alcuni vien cadendo da ultimo qualche frutto sustanzievole, quando, gia ritiratisi indietro, pareva di loro ogni speranza fuggita. Ne piu ne meno avvengono gli accidenti di Roma; non ci ha regola per argomentare gli eventi, ne si puo ben giudicare il punto cattivo, o '1 buono ; ogni voce, ogni atto, ogni sospetto gli muove e perturba, gli attrista^ gli allegra; ora le speranze si risuscitano, ora si moiono, quegli si picca di sgarir la fortuna, e si trova alia fine sgarito ; questi con la pertinacia la vince, e in cotsll guisa senza riprova alcuna di quel che abbia av venire, gli uomini, fortuneggiando in Roma tra venti contrarii, sono in qua e la da varii flutti e da varii casi sempre vacillando menati. Impercio accade che alcuni gia con le membra ca- scanti e deboli tornano ad esser da capo, e pur ritengon viva la loro ostinata ambizione, e andando invano per tutta la lor vita dietro alia gloria e agli onori, inonorati rovi- nano ; perch5 e' si vede chiaro la fortuna non voler mai ad alcuna legge soggiacere degli uomini, ed ogni regola, ond'ella si voglia acciuffar pe' capelli, riesce vana et inutile, perche d' ordinario da chi la segue si scosta, et a chi piu la fugge, e a lei non bada, va incontro : cosi a Saul, che cerca I'Asine, getta nelle mani un Regno, et Assalon, che va dietro al Regno, trovasi per la chioma appiccato ed ucciso. 340 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE Quant o e bella Roma, quanto e ella appariscente a chi la uiira in un' occhiata, a chi n' ode parlar di lungi ! Quanto ingegnosa e colma d' industria, quanto e devota e santa, quanto e benigna e cortese, quanto di tesori doviziosa e prodiga a chi la vede nel frontespizio, e nella superficie di fuoril Ella si scorge alzarsi al Cielo con superbi edificii, testimonii marayigliosi deir antica grandezza, delP onnipo- tenza Bomana ; qua V abbondanza delle statue e de^ marnii fanno sin oggi risplendere la maestria e Greca e Latina. Qua i giardini vincono quegli dell' Esperia e gli Orti favo- losi d' Armida ; le fontane paion fiumi volanti per 1' aria e tutte le altre delizie di Eoma tolgono il yanto al lusso, alle sontuosita de' Persiani. Se le devozioni isguardiamo, qua tutti Yocaboli di pieta, titoli di carita, ammaestramenti di pazienza, e atti di umiltade. Qua Corpi e Sangue de'mar- tiri, qua raemorie scolpite di virtu cristiana. Qua Templi marayigliosi, che fanno fede di religione ben fondata; qua tutti gli aruesi piu sacri e piu yemerabili, si della nascita, si della vita, si della morte di Cristo rifuggiti a mettersi in salvo nel Grembo della sua Ghiesa; e di questa chi ne siede al governo, se non il Vicario di Cristo? Chi ode i complimenti e le o£ferte, chi da orecchie alle cerimonie, agli accoglimenti de' cortigiani, incontra subito maniere dolci e aggradevoli, parole significanti stima ed affetto. La casa, via rojba, il sangue e la vita non par che sia propria, ma in preda al servizio et a'vbleri d'ognuno; la sommissione assoggettisce altrui, si contrasta tuttodi non il prime, ma r ultimo luogo; si fa a gara a chi vuol essere piu immeri- tevole, piu servitdre, piu minimo di tutti gli altri. Chi non esagera a prima giunta la prontezza degli amici, le grazie e '1 patrocinio de' graiidi ? Chi considera le ricompense che ci sono, i premii proposti, 1' entrate grossissime a vita, che non si sa onde si vengano, il dominio sopra di esse negli altrui stati, che i Principi proprii non ci posson metier la mano, le dignita eminenti, le grandezze, le porpore, e '1 poter comandare, e sovraneggiare al mondo intero, a che ognuno puo giugnere? Qual altrettanto maggiore invito possono havere DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 341 g\i stranieri per correre a si belle, a si pregiate fortune ? Ma chi poi penetra a dentro, chi pon V occhio con atten- ziono a quel che e Roma sotterranea, dico sepolta ne' cuori, nelle menti de' pretensori, negli animi di chi domina, trova ben il contrario di quanto ella fa pompa di fuori. Le delizie di Rama sono il piu delle volte veleno ; sino i giardini, e le foreste a chi troppo ci bada V uccidono ; le macchine piu superbe e piu maestose sono oggi guaste, e rotte, e minac- cian sempre rovine. L' arti e' costumi che ci s' adoprano son molto poco conformi a' titoli di santit^ e agli abiti ond'essi rifulgono ; le Reliquie e' luoghi santi a pena restano espo- sti al culto e alle visite de' Pellegrini, e servon nel resto per istrumenti d' ipocrisie, e per metter al coperto le pas- sioni e gli affetti sregolati de' grandi, e sin Tautorita apostolica la fanno far gioco alia potesta temporal e e agli interessi di chi si vuole aggrandire. Le cirimonie e le cor- tesi maniere, che son' elleno altro che parole senza signi- ficato bfferte, e sembianti senza affetti, e una vana signifi- cazione di onore p'osta nell' apparenza de' volti e vana, in quanto e' s' onorano in vista coloro, i quali talora si hanno in dispregio ; bugie le quali bene spesso si rivolgono in tra- dimenti, e infine un capitale di finzioni e di lusinghe in diritto ad un grosso e disorbitante guadagno, se i premii, le facolta immense, e le grandezze, queste si dispensano ad arbitrio, e non per giustizia, e tutto quello che faceva star bene molti degni e meritevoli, cola tutto ad arricchir6 smo- deratamente una sola famiglia? Qua finalmente sotto la for- malita de'nomi e dell'abito esterho e sotto speciose voci si nascondon le occulte Industrie; sotto le lodi delle virtu si usano di nascosto i vizii, pero in Roma si sostengono le opinioni e le apparenze, piu che le operazioni del bene; si fa caso degli errori superficiali, e gastigansi con severitii le parole ne'poveri e neMisgraziati per tener in piede i piu grossi, e far godere V impunitade a' maggiori. Per tal via co' riti e coUe formule, co' titoli, co' vestiti, con le Con- gregazioni, co' solennizzamenti si tesse un ordine bene ag- ^ustato, che forma il ritratto apparente di Roma, signifi- 342 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE cante altrui quello ch'ella dovrebbe essere, non quelle cVella e, dentro alia quale si cela un disordine, e un caoa di fini, di speranze, di timori, d' incamminamenti a caso, d' accident! impensati, d'odii, di finte amicizie, di gelosie, di martelli, d' invidie, di beni, di mali che non s' intendono, non hanno riscontro, e tengon le menti degli uomini mai sempre so- spese. Perci6 si veggono i pretendenti sempre mesti, sem- pre astratti da loro stessi, e si per la continua apprensione di loro medesimi favellare come matti perche non ritrovan mai il bandolo in gual posto si dieno dell' amicizie, dei fa- vori, delle speranze, e delle paure nelle quali e' si trovano martirizzati in ogni tempo su la ruota della foriuna, gui- data dall' ambizione e dalP interesse, dove sta fondato e si regge questo governo di Roma. Per la qual cosa egli e molto ragionevol di credere, che la divina onnipotenza lasci correre questi vizii e queste macchie nel rigiro di essa, perche a quest' ombra riluca quel piii la verity infallibile della sua Chiesa e I'autorita ben fondata conceduta all'al- tissimo ministerio del suo vicario in terra, a fine di far co- noscere che e' ne ha dato il reggimento a uomini che hanno il libero arbitrio, e che possono involgei*si fra le passioni mortali e terrene, benche non errare nel maneggio delle cose celestiali e divine ; e cio contro 1' ereticale nequizia, che pre- sume temerariamente controvertere, per li abusi della corte de' preti, la potesta che e data loro miracolosamente da Dio. Come tutti 1 Goyerni eye s*intruda Tavarizia e T ambizione royinano, e quello di Boma con esse piti che mai si sostiene. Capitolo Secondo. Con r occasione del primo Capitolo mi vien in acconcio di far meco medesimo considerazione, per qual maniera il go- verno di Roma, il quale nella poUtica e nel rigiro de' pretendefUi si regge su' fondamenti dell' interesse e dell' ambizione, pur si sostenga e viva, mentre tutte le altre forme di Stati, dove s' introducono si fatti vizii, per quella guisa che apertamente DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 343 dimostrano gli esempli antichi e moderni, cosi agevolmente si spengono, imperciocche essi vizii sono il tossico che la giustizia distributiva corrompe 6 distrugge, senza la quale riman cadavero, e impercio senz'anima e senza vita ogni Stato. Egli h dunque in prima da sapere che lo intendi- mento della giustizia distributiva si e d^uguagliare gli uo- mini sotto le leggi della virtu, pareg^iare in loro gli eccessi delle fortune, e solo V uno dalF altro distinguer secondo che i beni delFanimo, non quelli del corpo, fauno gli uni piii degli altri rilucere. Questa tende ad abbassare la superchie- vole baldanza de^ ben avventurati e de' ricchi, e soUevare altresi la virtu e la modestia do^miseri; per tal via si mi- nuisce il soperchio alia fortuna mal adattata, e rifannosi i danni, ed arrogesi al poco di chi e uomo prode, ma dal- Vingiurie della sorte contro al dovere abbattuto. Cosi i grandi non sono della sorte seguaci, anzi essi correggono i difetti di quella, e fannola divenir premio della virtii; im- perciocche non ci e cosa che maculi i cuori di ruggine peg- giore, quanto il ferire gli uomini nella stima di lor mede- simi, che e la piu potente passione che ne domini, delF amor proprio. Per6 la di£Perenza infra gli uguali, che si fa o per ragion di ricchezze, o per genio, e non per motive di virtu, che e un contrassegno lucidissimo impresso nelP anime, che distingue gli uomini V uno dall^ altro, produce sovente che, per uno che si grati£chi, mille se ne offendono, e Pamore che si sveglia in quelle, non pu6*agguagliare gli odii occulti che si destano in tanti e tauti altri: e siccome, difiPerenziando le persone a capriccio, agevolmente si spingono gli uomini alia impazienza e a^ rancori ; cosi, distinguendoli pel merito, si accrescono negli altri gli stimoli alVoperar virtuoso et onesto. Per tal modo gastigandosi i viziosi, e i migliori e i piu degni premiandosi, s' uguagliano quelle bilancie, che conservano in equilibrio i governi, tolte le quali tutto si confonde e disordinasi, conciosiacosache si destano le invi- die, e quindi a tempo e a luogo tutte le sollevazioni civili. E questo perche non ci ha favilla che nodrisca e accenda sdegno piu fervido nelle menti de' valor osi e de' saggi, quanto 344 ANT0L06IA DI COSE INEDITE il vedersi oltrepassare soggetti facoltosi e ignorantL PercHe messer Domeneddio ha messe le differenze delle facolta e della potenza tra gli uomini, affine di lasciar loro 1' arbitrio della giustizia distributiva, BOYvenendo i mono ai piii biso- gaosi, e dal fango il pregio della virtu sollevando; anzi perci6 negli Stati cbe sono d^ ugaaglianza amatori, e^ titoli e le dignitli, che dispareggiano J gradi, senza misura sono dannevoli, dove postergati i rigaardi di chi e piii degno di piacimento si scompartiscono, e per inclinazione de* grandi; e non pare le retribuzioni piu sustanzievoli, ma eziandio gli atti semplici d^ apparenza e di stima mal ripartiti parto- riscon de' mali nel consorzio civile ; e viepi^ d^ ogni altra cosa cnoce a chi merita veggendosi, o per trascuraggine di mente, o per piacimento mal regolato di chi govema, scemar senza ragione da quel grado, ov' ei fu una volta debitamente locato ; imperocche e nemica mortale la nostra natora di tor- nare indietro, e *1 piu possente affetto che h in noi e il pregio in ciascuno di se medesimo, il quale com' egli e in minima parte deteriorato et offeso, sempre dispiace; ma dov' egli h offeso senza ragione accendesi un' esca, e risve- gliansi si fatte scintille, che dov'elle havessero libero il campo, o le congiunture V aprissero, s' allargherebbon ben- tosto in un gravissimo et inestinguibile incendio. DA' DIALOGHI FILOSOFICI. IL TIMEO. Delle idee. Dafinio. — Scusatemi, a interrogare per questa volta io voglio essere il primo. Desidererei capir bene innanzi a ogni cosa, qual differenza si faccia dairidee agli Esempli? Buonaccorsi. — Quella che si fa dal proponimento primario nella mente dell' Architettore a' disegni. Secondo questi, don- DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 345 que, volendo Iddio che le forme si stampassero del mondo sensibile della natura nella materia, non parye degna cosa a Platone che quella penetrar dovesse nel segreto di si alta mente a contemplare quegli originali eterni ; onde e' pre- suppone che per via delPanima se le ne faccia vedere co- testi esempi. Imperfetto. — II medesimd appunto intese il Petrarca, ne e vero? e'ldistinse in quel suo maraviglioso sonetto, che qua- lunqueabbia buon gusto nella Poesia Toscana sa per lo senno a mente: «In qnal parte del Ciel, in quale Idea £ra V esempio onde Natura tolse Quel bel viso leggiadro, in ch' ella volse Mostrar quaggiti quanto lassu potea? > Insomma e' dicono il vero, e' fu grandissimo Platonico. JBtwnaccorsi. — Tale appunto si e la distinzione che fa il Timco dairidee agli esempi. Magiotti. — Ora a voi appartiene, signor Gioseppe, di dame piii ohiaramente ad intendere il valore di queste Idee, onde voi siete state richiesto. Buonaccorsi, — Avete ragionato si dottamente, che a me non mi da il cuore se non di autenticare, secondo lo incomin- ciato ordine, quanto avete detto voi con esso 1' autorita di qualche valent' uomo e del medesimo Platone in varj luoghi di altri Dialoghi, che ne favellano ; e avvenga che io avessi stimato starmi meglio il tacere, e ch' i' non abbia veruna fidanza di potere internarmi tant' oltre per andare del vero alia radice, e per recare lumi maggiori ai nostri intelletti , come di cose che troppo in su, ch' essi non vanno^ hanno la residenza loro ;' pur tutta via (come Plotino ne ammonisce) h degna cosa si alti principii udire, e udendogli ammirar- gli, e ammirandogli stimarsi beato nel riconoscere il loro autore. Pregovi ben, Don RaflFaello, a soccorrermi di quando in quando, secondo la memoria vostra e il vostro felice in- gegno nuove cose da dire vi suggeriscano : ma per dare autorita a quanto discorso avete sin qui d' intorno al mondo intelligibile, e all' Idee che si contengono in grembo a Dio, 346 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE ascoltate, di grazia, come tutto cio in due versi mette Boe- zio nel suo libro De Consolatione: c Tu cuncta superno DucM ah exemplOf pidchrum pulcherrimiu ipee Mundum tnente gerens aimilique imagine format. » Qui dunque ripigliando i nostri detti, signor Magiotti, io non vi niego che Platone, se alcun raggio in lui di verita rivelata fosse disceso, il quale aperte meglio le.vie della mente gli avesse, e ch' egli con ragionevole occhio vi si fosse rivolto, ch'e'poteva per awentura giungere a piu appro- priata definizione delle divine * quality ; ma non pertanto egli e di somma lode meritevole, avendo per nn certo 1am- peggiare solamente di natura, e in forza (siami lecito dir cosi) di piu che umana immaginazione favellato di quelle con tanto decoro e si al vero approssimatosi e toccolo in molte proporzioni; anzi, che dich'io? e'mi sovviene presen- temente de^ lumi soprannaturali ch' egli ebbe dalla legge Mosaica, nel tempo che nell'Egitto e'peregrino, come sanGiu- stino Martire attesta, filosofo molto celebre della Scuola Platonica. Ma il proferire molte di si fatte proposizioni, ch' e' vi apprese, non estimando cosa sicura per timore degli Atoniesi e delle rigorose pene delPAreopago, contro chiuD- que rinnovare osasse cos'alcuna d'intorno alia loro reli- gionC; quelle medesime procuro avvedutamente di farsele proprie, e sotto gli oscuri velami delle filosofiche specula- zioni la verity Teologica ricoprire. Impercio dice il mede- simo Santo, quando Platone esplica nel Tinieo la natura d' Iddio, dicendo come poco anzi vi recitai : « Primiera- mente egli e da sapere che cosa sia quello che sempre e, e che non e generato, e quello che e generato, e voramente mai non e; > che ci6 da Mose e^ ricavasse, cui Iddio appa- rendo la prima volta disse: « Io sono quello che sono. » E mandandolo agli Ebrei comand6gli che dicesse loro ecu le stesse parole : « Colui che e, mi ha mandate a voi. » E il medesimo Santo Filosofo soggiugne, che quello che parimente in un altro luogo mette Platone : « Certamente Io stesso Dio, come suonan le antiche parole, comprende il m ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 347 principio, il fine e il mezzo di tutte le cose, > per « quelle antiche parole > la legge di Mose egli intendesse, ma che non ebbe in animo far di lei menzione, sapendo quanto quella dottrina a' Greci contraria fosse. E parve al detto Santo non altrimenti potersi intendere con- ciossia cosa che e' mostra aver raccolto e da Diodoro, e da altri storici Mose essere stato il piii antico legislatore ; anzi quando egli le leggi promulgo, i Greci non avere ancora le lettere ritrovate da poter scrivere le Storie. E dell' Idee, ne piu, ne meno, onde noi al presente favelliamo, crede san Giu- stino che Platone da quel luogo della Genesi le abbia tratte tradotto dal Santo, e cosi dal greco a noi portate: « Che Iddio in principio fece il cielo e la terra ; e che la terra era; pero non ancora visibile e fabbricata. > Dove il santo filo- sofo giudica quel detto da Mose « che la terra era > es- sersi inteso per la terra che prima era; impercio che aveva detto Mose : e della medesima similmente detto avea: «Fece Iddio il cielo e la terra; » stimo che volesse intendere quella se- condo r Idea ch' era avanti nella mente d' Iddio essere stata creata sensibile. Per la qual cosa non a caso favella il nostro filosofo ve- ramente divino, ed e degno di somma commendazione, mas- sime ch' egli era della scuola di Parmenide, il quale a diffe- renza di lui mesce insieme e confonde le superne e divine cose con esso le inferiori e naturali, e Dio stesao con la materia e con Tuniverso sensibile. Dove il divino nostro filosofo il valore riconoscendo sovra il natural corso ammi- rabile di colui, pe '1 quale et a cui tutte le cose vivono, di somma reverenza esser degno, e si egli solo essere di sa- pienza e di potenza infinita capace, con singolar riguardo in ver cotanta perfezione , le distingue nella sua immagina- tura e trova la via che le cose di sopra adoperino in quelle di sotto senza permischiamento insieme; e f a i suoi sforzi. con r acume di sua mente di adattare le misure e 1' ordine di atti succedevoli nelP infinite, le differenze di gradi e la variety dell' Idee nel Medesimo, e la moltitudine nell' unitade, 348 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE senza Tanita disgiangere, senza diversificare il Medesimo e senza t6rr6 V incommensurabilita e la perfezione assolnta deir iQfinito. Con le cui sottilissime considerazioni di cose incompatibili fra loro, e si impossibili secondo lo nostro compasso, rasseiubragli poter reggere i miracoli sopranna- turali della infinita onnipotenza diyina, e se non co* termini nostri corti e finiti renderne bene intendenti di si alte ma- raviglie, metterne almeno tra via, e recare un certo bagliore alle tenebre di nostra ignoranza, che si alto splendore da per se non patisce, accio che quindi staccandoci dalle cose inferiori spicchiamo un volo piu in su, che conceduto ne sia a formare giudicio di un Dio, delP Autore della natura, della Primaria Cagione, e delle operazioni eccelse che a Lui sola- mente possibill sono. Viene, dunque, e cosi favella il Ficino a interpretazione de' sentiraenti platonici intorno all' Idee, che la mente divina e forma di tutte le forme, e Idea di tutte quante V Idee, la quale in se tutte le comprende. Ora, perch^ la* forma ter- mine si chiama e mi sura, misura e termine alle cose do-^ nando; il Sommo Bene, la Divina Mente (aflterma Plotino) come forma di tutte le forme, e misura e termine di qua- lunque cosa che sia, il che autentica mirabilmente il nostro autore nel Filebo, chiamando il Sommo Bene principio e misura dell* universe cose che sono. Imperfetto. — Verbigrazia, V Idea sar^ il genere di tutti i generi che piglia e abbraccia in se tutte le forme, tutte quante le specie visibili delP universo, con esso gli individui ancora. Luigi, — r mi sarei presupposto che I'ldea universale fusse il genere di quelle idee che dalle scuole volanti si ten- gono e sparte per V aere, e per6 fuori della Mente Divina di- morare, e che da esse tutte le speciali cose pigliano Pes- senza loro. Buonaccorsi, — La divina mente, come Idea di tutte le idee, in se non comprende coteste si fatte Idee, comunque se le figurino o le scuole nella guisa che voi dite, o qualunque altro si sia, ch' io non vo' perder tempo al presente e starmi m ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 349 a pensare s' elle ci sieno veramente, o ch' elle vagliano. Af- fermo bene che cio il nostro filosofo iu alcun modo non tenne, siccome da vari luoghi apertamente si ritrae, ne sono in quella sovrana Mente le forme delle sensibili cose, ma si bene le Idee delle forme, come che da lui merce dell' Idee queste abbiano 1' esser loro. Impero che V Idea mancando di tutte le Idee, la forma mancherebbe di fcutte quante le forme, e fiiiirebbesi il mondo, nello stesso modo dove non si trovasse piu facitore di vasi, o di essi vasi le forme rom- pendosi, il vasajo non ne farebbe piu. Per questo ne av- vertisce Marsilio, che le forme, sostanze non sono, ma si iniinagini solamente delle vere sostanze e queste sono le Idee, cui le sensibili forme si rassomigliano, come le ombre a' corpi. E Alcinoo a piu distinto spiegamento : L' Idea ri- spetto a Dio 6 la sua intelligenza ; per rispetto al mondo sensibile Tesemplare; rispetto a se stessa Tessenza. Di ma- niera che Tldee non sopra alcun fondo materiale e cor- poreo riseggono, ne tra loro si confondono, come le forme su la materia; per lo che tra V Idee della Mente Divina e le mondane forme, yerun' altra simiglianza non ci ha, salvo che quella, la quale e da un ritratto air originale ; anzi e molto piii divario senza paragone tra quegli infiniti origi- nali e perfetti di vera e incorrotta sostanza, che nelP alto segreto di sua mente il Supremo Artefice riposti tiene, i quali per via di disegni ed esempi dalla natura si copiano, che e' non e infra una tela dipinta e un uomo vero e di carne viva. Con cio sia cosa che questi quantunque tra loro diversissimi, pur tutta via alia materia universale riferen- dosi, posson chiamarsi tutt' una ; ma qual similitudine ci puo egli entrare tra la Divina Essenza infinita e perfetta com- parata con essa la materia abitacolo di tutti i difetti, di tutti i mali V L' Idea dunque di ciascheduna cosa, benche in riguardo al nostro intendere di diverse cose paja composta 8 da movimenti vaij distratta in qua e la; in Dio elP e una sola, 6 semplice e ferma ed eterna, possedendole tutte in- sieme ristrette e present!, che pe' nostri fallaci giudicj ven- gono rimescolate, e rivoltolate col tempo, come delle sensi- 350 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE bill forme adiviene, e quasi elle fossero appunto volanti a caso fuori di Dio, perche noi non siamo atti a concepire com' elle riseggono in Dio ; ma non mai fuori di Dio proferi Platone ch' elle si dimorassero, mentre e' disse poc' anzi: Lui nel fare il mondo avere imitato un esempio eterno e non generato : e poco piu in giii, ch' e' formo 1' universo si- migliante a se stesso. Per qual modo dunque fuori della Divina Mente potea un esempio eterno trovarsi, e come ras- sembrar lui, se gli originali, onde il mondo e' ricavo, fossero fuor di Lui? Fermisi dunque su '1 presupposto platonico ch' e' ci sono le Idee, ed essere nella Divina sua Mente; impero che quale osera mai affermare che Iddio alcuna cosa abbia fatto, la quale prima col suo alto intendere esatta- mente riconosciuta non abbia ? Ora s' e' la riconobbe avanti di farla, erano appresso di lui si fatte cognizioni anticipa- tamente al mondo creato e queste quelle sono, che dal Timeo appellansi Idee. Ma odasi di grazia Alcinoo che sopra cio lo comenta : « L' Idee intendimenti sono di Dio eterni e perfetti, e quindi gli esempi eterni parimente di tutte le cose che dalla natura si fanno dependenti dal principio esem- plare ch' e 1' Idea di tutte le Idee. » Ed eccovi pure in que- sto luogo distinto 1' esempio dell' Idea, si come dianzi vi si accenno. Bafinio. — Sono considerazioni altissime (egli e vero) di quel finissimo ingegno, ma io le ho piuttosto per immagi- nazioni concepute nella sua mente, che per immagini eterne della Divina. Impercio che da Dio si opera in an istante, e non con atti disgiunti e temporalmente. Buonaccorsi. — Da Dio si opera in uno stante, non ve '1 saprei contradire; ma tutta 1' Etemita e un punto presenter ed instantaneo dinanzi & lui (come poco fa si ragiono), e nel suo infinito indivisibile tutti gli atti, che differenti e innu- merabili sono appresso di noi, i quali per nostra imperfe- zione d'intervalli di tempo abbiamo mestiere per pensare, nonche per adoprare, appresso di Lui e un atto unico e solo, e permanente, e impermutabile; e a volere che lesae opere temerarie non fieno ed a caso, conviene abbiano in- DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 351 nanzi all' opera lo intendimento e la precognizione, le quali da noi due operazioni separate si giudicano, 1' una innanzi all'altra; ma in lui in un istesso punto si accozzano senza differenza di tempo ; e tale anticipata cognizione 1' Idea pri- maria si e, dalla quale si abbracciano in s^, e contengonsi tutte quante 1* Idee ; e pero non senza molta ragione potette intendere il nostro filosofo e tirarlo all' Idee (come dice san Giustino martire)quel luogo della Genesi: « Che la terra era, > come sopra memorato abbiamo; ma che tale precognizione per r Idea antecedente all' opera pigliar si debba, cio ne viene con aperta sentenza dichiarato e rinforzato dall' acu- tissimo Vescovo Hipponense nel libro Della Cittd d' Iddio, Qual vero religioso potra negare le Idee, o non professarle per vere? Certamente nessuno il quale non ardisse afFer- mare che le cose che da Dio sono, non abbiano motivo ond' elle sieno, n^ da lui sostenimento ricevano, e cho quello che per lui si fa, senza conoscimento o ragione si faccia; che sarebbe un volere ch' egli operasse quanto egli adopera sconsideratamente e senza badarvi; le quali cose essendo fuori di ogni ragionevol convenienza, egli e necessario di confessare I'ldee. E nello stesso luogo riferisce cio che spiega Varrone, che la favola di Minerva, nata dal cervello di Giove, dell' Idee simbolo sia, le quali in una perfetta e intera sapienza si ragunano nella mente divina. Ma questo e poetico ritrovamento, dove con verita infallibile la sa- pienza che ha sua sede nella mente divina pare che questo accennar voglia, mentre cosi parla essa medesima di suo nascimento nelP Ecclesiastico : « lo dalla bocca dell' Altis- simo uscii fuori e primogenita sono di tutte quante le crea- ture. » Anzi dove dal santo Vescovo medesimo s' interpreta quel luogo di san Giovanni, testimone si veritiero delle cose so- prano: s' intende cio delle medesime Idee, per tal modo discorrendola: « Quello che per esso fatto fue e vita; intendesi in Lui, nella qual vita vide tutte quante le cose quando e' le fe', e cosi fecele si come e' le vide, non fuori di se stesso veggendole, ma dentro se 352 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE stesso e per si fatta maniera annoveio tutte le cose che e' face. > Che avete voi da ridire signor Dafinio verso un vera- cissimo maestro Cattolico? Dafinio, — lo oppongo a fine d' imparare, non per con- tradirvi. MagioUi. — Eccomi in vostro aiuto,^ signor Gioseppe, con un liiogo di Giob che mi e paruto addirsi con maravigliosa convenienza alP Idee. Da esso si fattamente si descrive la sapienza con la quale il sommo Motore fe^ il tutto. « Onde viene la sapienza, e quale e il luogo deir intelligenza ? Ella e ascosa a gli occhi di tutti i viventi, ed e occulta per infino a gli uccelli del Cielo. Iddio solo ne sa la via, e coDosce sua residenza ; impercioche egli in una oqchiata scorge tutti i confini del mondo, e tutto quello ch^ e sotto il cielo riguarda. Quando egli dava il tratto a^ venti, quelli posando come ancora Pacque a certa misura; quando sua legge impo- neva e suo or dine alle pioggie, e assegnava la via alle sonanti procelle, alP ora egli la vedeva, la contava, la rego- lava, e investigavala. » Al qual fine dal nostro Dante si nomina Iddio, « Golni che mai non vide cosa nuova ; » perche tutte avanti che fatte fossero vedute le avea per entro 1' infinito comprendimento della sua Divina Sapienza, nella quale -sguar dava, ricercando seco medesimo Finfinita conserva delle sue perfettissime Idee. Parv' egli ch' e' torni bene a quella anticipata cognizione delF Intelletto Divino, a quel? unita maravigliosa di tutte quante le Idee, al cui esemplare rimirandolo, esso formo tutte quante le cose di qua? Buonaccorsi. — Gran rinforzo ne avete recato, signor Ma- giotti, adducendone cotesto belli ssimo luogo di Giob, che si adatta per V appunto a quell* altro di san Giovanni esplicato da sant' Agostino : ma dee ora tirarsi innanzi il ragionamento co'nostri autori Platonici, i quali sopra cotali fondamenti DI ORAZIO RICASOLI BUCELLAI. 353 di yerita debbono giustamente acquistar gran fede. Che queste Idee ci sieno argomenta Alcinoo cosi: « Owero Pin- telletto e egli Iddlo, o veramente una cosa si e, la quale inteude in lui; onde le cognizioni eterne e immobili nella Divina Mente, e quests Pldee sono, misure giustissime e perfette delP eterno potere, ch' egli cape solamente, e scorge in se stesso, senza di materia tramesoolaraento veruno. > Se dunque vero h che lo intelletto sia diverse daU'opinione vera, anche lo intelligibile sar^ dalP opinabile differente ; e pero sarannoci le intelligibili cose diverse dalle opinabili, che viene a dire le prime notizie intelligibili, siccome si hanno le prime delle sensibili e per6 ci sono le Idee ; ma lo inten- dere si fatto attaccamento non h da uomo come la Divina nostra Commedia nel Purgatorio: « Per5, la onde vegna lo intelletto Dalle prime notizie, nomo non sape E de*primi appetibill TafTetto.* Soggiunge poscia : « Essendo lo intelletto primario bellissimo, conviensi che lo intelligibile oggetto di lui bellissimo sia, ma niuna cosa piu di lui ^ bella, perche sempre intende se stesso e le sue cognizioni; e questa sua operazione e Tldea. > Paionvi cose astratte e metafisiche n' e vero ? Ma cotauto eccelsa materia di ragionare avendo tra mano, ed essendo sublimi, e grandi, e con si alto intervallo sopra lo nostro intendere simiglianti proposizioni, quanto ch' elle nell' ampio albergo soggiornano di quella Mente Sovrana Sopra simiglianti considerazioni astratte e inesplica- bili si yiene da Jamblico alia formazione continua dell' Uni- verso conformandosi alP intenzione Platonica: «Iddio forma il mondo e riformalo, non per via di celestiali movimenti, non per mezzo deUa materia mondana, ma con esso V intel- ligenza per merito dell' anima sempiterna che a lui ha dato.» Ecco che per tal maniera egli ne spone cio che voi, signor Magiotti, poco avanti toccaste ; segue poi: « Perche nella Potenza Divina non sempre vegliano e operano a un mode le ragioni seminali generative negli esempli formal!, si come alcune altre viepiu immobili che precedono le semi- nali, coadiutrici di esse; ne adiviene che la potenza di amen- due queste ragioni, ch6 in sostanza le Idee sono, e dope le Idee gli esempi eterni, vada innanzi alPuniversa genera- zione che nel mondo sensibile di continuo si fa; dopo que- ste gli influssi adoperano, e le celesti quality, si come il moto, e in ultimo la faculty della materia. > Laonde Trime- gisto in si fatto proposito anche piu chiaramente : « Iddio e pieno di tutte le Idee, e spargendo le qualita nella sfera maggiore (cosi chiama la materia) stando egli in sua fer- mezza stabile, dalla sua piti somma altezza in questo mondo nostro sensibile semind le Idee, la detta sfera. circondando delle qualita universali e particolari di tutti gli Enti. » Magiotti. — A cio si accorda mirabilmente il detto di Jamblico : « II mondo, essendo opera di Dio, conviene per si fatta guisa da lui fabbricato sia, che a qualche Idea esem- plare di esso nel suo edificare riguardato abbia, allor ch'egli con maravigliosa provvidenza per propria bonti alia strut- tura s' accinge di cotanta macchina. » Dafinio, — Questi sono pensieri che meno difficili ne paiono, perche a noi medesimi gli adattiamo, e nolle menti nostre DI ORAZIO RICASOLl RUCELLAI. 355 sperimentiamo questi atti disgiunti, anzi che ad alcun' opera uoi ci mettiamo. Venendogli dunque alia Divina Mente appli- cando, non e malagevole il cosi figurarsegli; ma immaginan- doci poi la Divina Potehza con quelle alte e ineflfabili prerogative d' infinite, di unit^, di eternita, di stability impertnutabile che alia soprana eccellenza di sua condizione vengono richieste, volerle assugettire a distinzioni di tal fatta, e a misure che si affanno a noi, e si considerare P Idee innumerabili e infinite, e poi che elle in una Idea sola s' immedesimino, e che il numero dell' unitade (se pero nu- mero chiamare si dee) non si alteri con la moltitudine, qui e dove nostro apprendimento vacilla. Buonaccorsi. — Dio, di grazia, per far la cdsa con gli esempli piu chiara, iiditene uno, che ne mette molto pro- porzional mente Ploti"no : MagiottL — Piui appropriatamente, per quanto i' m' av- viso, torna al paragone del mare il vasto Oceano del tutto, che unico e anch'egli (come Platone afferma) per I'ordine 6 per I'armonia, la quale dalle forme senza novero ch'egli ha in se, e di tante ragioni, il piu ch' ella puo le raccozza insieme ; e come 1' onde del mare non sono altro che il mare, cosi le forme nel mondo non sono altro che il mondo. 356 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE Di maniera che merce di questa armania rendesi il mondo a Dio simiglievole, che per cio il nostro filosofo, piu innanzi favellando, Iddio generate lo chiama; ma non altramente deir agitato mare, e da' soffi de' venti in yarie guise trasfor- mato e commosso, non serba anch' egli senza yicissitudini o divariamenti quella perfetta concordanza e unione che nel- r infinite ed eterne Idee si mantiene. Prima impercio che le forme varie sono di lor natura locate nella materia, avve- gna che la materia, come V acqua del mare, sia tutt' una con le forme; ma la materia per se stessa di contrarii e con- posta; per modo che, e forme vegetabili, e forme sensibili, e forme ragionevoli, e di altra guisa in questo visibil mondo si rappresentano ; ne deir ordine armonico puo tanto il va- lore, che tra di esse qual piu e qual meno a quel supremo esemplare non venga a rassomigliarsi ; talmente che differ- mita considerabile ci ha non che nolle spezie, negH indi- vidui loro, ancorche di quell' unica, perfetta e non mai per- mutabile Idea, che le contiene in se tutte, sieno simulacri; che per cio, come le onde marine, le quali piu variate, e di colore sono^ e di profondita, e di grandezza, e svariatamente corrono allido; anche le forme in questo mar profondo del- r universo valicano tutte a diverse rive, dove le Idee, che in Dio sono, per lui sono, e a lui tutte sono sempre ugaal- mente e con eterna costanza ; anzi le forme stesse razionali che d'una sola ragione pare abbiano da essere, le qnali nolle ragionevoli creature sono vestigii piu adattatamente im- pressi entro la corporale materia, della suprema ragione, per quanto a quella Divina Norma,' ch' e senza mendo, vie piu che le altre rassembrino; pur tutta via si divariano sovente volte e stravolgonsi da gli affetti soperchievoli e dalle smoderate corporali perturbazioni, dalle quali ad ora ad ora sregolando si viene lor bene ordinato adoprare, ch' esse te le scompongono, e traggon fuori dalla loro for- mosa e ben proporzionata figura. Per la qual cosa piii o meno alia bella divina sembianza si vengono accostando, e non serbano uguali, e mai sempre a un modo le loro doti sovrane. Perche tal verita insegao Beatrice con savio am- DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 357 maestramento al nostro Dante nel suo entrare del Pa- radiso: Adunque non ^ tavola rasa nella mente de' fanciulli, dove si scolpiscano via via insegnando loro cose nuove, e non piii da essi udite e vedute; ma le notizie prime di tutte le cose impresse ne gli animi loro, avanti ch' e' nascessero, di mano in mano si risvegliano che vi dormivano, e in ispe- zialit^ stuzzicandogli con esso gli Elementi Geometrici, P ono concatenato con 1' altro, e mettendo per cosi dire a lieva Tordine di que' primi semi, ' gli uomini delle scienze di tntte quante le cose a poco a poco ricordarsi farebbono. DI OflAZIO RICASOLI RUCELLAI. 367 Imperfetto, — Si; vol ci sponeste, Don Raffaello, con grande evidenza alonni giorni fa : come i primi element! geometrici sono lo A^ B, C di tutta la sapienza universale £ino alia Divina. MagioUi. — Dissilovi, e molte probability ve ne mostrai, se Yoi ne avete ricordanza; ma di questa sapienza infinita che e in Dio di tal sommo bene, quale ^ colui che ne ottenga poi conoscenza intera, aon dico intendimento per- fetto, imperocch^ ci6 non h da noi? Per essa dunque tutte quante le cose virtu acquistano, e pregio di bonta, e di sapere, e per ta^ragione e utili si chiamano, e dilettevoli, e saggie, e si tali ne riescono a chinnque acconciamente assaporare le sa, e drizzale al vero uso; ma senza simi- gliante conosoimento, o senza al bene sovrano rivolgersi da qualunque cosa die di- sapere ci paia, o d' intendere, e che buona, o giovevole noi giudichiamo, niuna utility, nessuna ferma e stabile compiacenza, nulla verity si ritrae, e cio non per altro adiviene, se non perche uscendo le nostre menti dalla vera sedia della ragione, alia contemplazione di quella superna Idea, non giustamente, ne con la dovuta chia- rezza ci addirizziamo. Per la qual cosa tal cognizione age- volmente si scambia, secondo le varie torbe apprensioni, e le torbid^ iuclinazioni de gli uomini da'proprii affetti mal consigliati; che altri questo dono divino sel credono nella voluttSi ritrovare de'sensi; altri nell' ambizione lo si figu- rano; chi nelle opinioni non sane di stravolta e prosuntuosa curiositade; e a pena che i veri filosofanti nella sapienza e nella verity il ripongono, e bene spesso anch' eglino troppo temerariamente del proprio senno pavoneggiandosi, piii oltre del licito e del possibile si traviano, e nella soperchia luce si acciecano. Egli e dunque manifesto che ogni anima.ugual- mente la saviezza desidera ed il buono, e, per conseguirlo, fa tutto quello ch'Ella sa, secondo perd i bugiardi o veri oggetti che se le parano davanti ; ma ci6 tutto consiste nel saperlo rettamente riscegliere e ravvisare, il quale in somma non altrove che nella meditazione di Dio st^ riposto: dalla cui Idea primaria (torno a dire) cioe dalla sua infinita sa- 368 ANTOLOGU DI COSE INEDITE pienza quelle prime faville nell^ anima nostra discendono, le quali, come si e detto, Idee seconde si chiamauo da Pla- tone, tramandate in noi dall' Eccelso Manifattore, per fame lume tra il vero e lo iatelletto, dove con esso il guardo interno disappassijonatamente vi ci fissiamo, e con quello ardente, e ben regolato amore, che Ma siffatte purissime scintille del divin fulgore noi non le abbiamo in noi da per noi ; e quelle che dal fuoco impuro dalle corporali passioni vi si accendono alcuna volta, e con esse si permischiano, ancorche accoppiamenti sieno mal messi insieme, e come abbozzi per un certo modo di quelle, pur tuttavia per difetto della materia ov' elle si rinvoltano, come delle chimere addiviene, delle abbarbagliate immagi- nazioni e de' sogni, non mai alia verity delle scienze ne menano, ma sempre a fallaci e stravolte opinioni, che dal vero ne discostano, e concetti ne formano di la da ogni regola di ragione; e di qui procede che invece di recarlume, torbidezza s^ adduce e fassi nugolo alia bella chiarezza del- rintelletto; che il buono, e il vero, quanto a sua intenzione appetisce, e cio imperciocche V immaginazione male s^ in- forma da quelle passioni, che fuori del sentiero battuto del vero senza ch^ ella se ne accorga te la ritorcono e te la disviano. « lo veggio ben si come gi& lisplende Nello intelletto tno retema lace, Che Yista sola sempre amore accende ; E s'oltra cosa nostro amor seduce, Non e, se non di quella alcun vestigio Mal conosciuto, che quiri trainee. » BttorMCcorsi, — Si disse quel sublime ingegno ch'e dellft Poesia Toscana onore e lume, nel quale egli e un gran dire ch' e' ci si ritrovi ogni cosa. E certamente V uomo ottene- brate avendo le lucidissime e vivacl potenze dell^ anima da^ vapori sensibili e dalP ombre corporee, fisandosi troppo in cotanta fulgidezza per lo soperchievole abbagliamento se gli cansa il vedere, o si veramente le ali del intelletto nostro DI OBAZIO BICASOLI BUGELLAI. 369 cui solamente si alte ragioni stanno esposte, dalla pania delle terrene voglie invischiate trovandosi, non si ponno stac- care, ne rilevarsi pnnto da terra ; e per quanto nostra mente procnri di pervenirvi pi^ d' appresso ch' ella puo, non di meno seguendole svariatamente, e senza filo, su '1 buono la strada manca, e invece di aggiagnerle si perdon di vista quel piii. Per lo che dal vero sciontifico deviandosi^ alia fal- lacie si donano gli uomini, e hannole per reali e per vere; e 88 per caso ad alcuna verita pervengono (il che di rado accade per si£fatte Tie) cio succede a simiglianza de' ciechi (come chiaramente Platone nel Sesto della EeptMlica) cui viene a sorte camminato pe '1 diritto, a differenza di que- gli che giran girano per quella o per quell* altra via, e mai non ne vengono a capo. Le Idee dunque, cioe le cognizioni e le cagioni delle cose vere, con lo intelletto e non con esso i sensi comprendersi per quello che veramente elle sono ; e conviene la loro perfezione nel loro vero essere raffigurare, 6 amare il loro sovranissimo Autore. H che esplica il filo- sofo oiostro nel Convivio^ con la sua usata ammirabil ma- niera : « L* animo della Divina Bellezza innamorato allor che e' gusta pe '1 suo verso, e intende le ragioni divine, non piu i simulacri ma le cose vere in se stesso partorisce, e parto- rite nodriscele, e con perfetta e ben accesa disianza richiama ad alta voce la ragione dietro a' sensi sviata; per tal modo divenendo I'uomo familiare di Dio e vie piii immortale degli altri.> Yedete dunque come dalla conoscenza delle Idee, la notizia vera delle cose che sono ne risulta, non tanto esse riconoscendo da Dio, ma ancora da noi medesimi, non come cognizioni impresse con esso lo studio ne gli animi nostri, ma si per la reminiscenza nella nostra mente resu- scitate quelle che generate vi furono con esso noi per me- rito della Divina sapienza, e che dal loto vile e dal contagio corporeo bruttate vi erano e cancellate, senza lo ripulimento delle studiose contemplazioni che ve le ravvivino. Le quali del tutto si perdono o o£Fuscansi per lo contradio, facendo che per ci6 tutti gli oggetti scontraffatti a falso lume si veg- giono, e totalmente dal vero diversi. %4 370 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE Luigi, — Come sarebbe a dire? MagioUi. — Come, verbigrazia, alia nostra vista per alcun mezzo trasparente si ma gi*ossolano o mal pnlito qnalcbe oggetto passando, che per esso sua immagine si stravolga e sformi, tuttp altro da quel che e' ci rassembra e' lo giu- dichiamo ; o pnre come nuvoletta tenera, e sottile, cbe yoli per r aere sereno, da noi scorta talora, la quale, o per lo risguardamento uostro mal situato, o vero per la grossezza de^ vapori si da lungi sguardandola in figura di Lione o di Drago, o s'in forma d'Uomo ci si rappresenti, o di altre varie sembianze, cui, se awicinare potessimo le pupille, tutta neb- bia confusa, informe e indistinta per awentura parrebbeci, e che tosto e ad ogni aura leggieri sfuma, e si si dilegna; o si veramente dove un alcuno schizzo casuale o d' inchiostro o di altra tintura, il quale da presso non e salvo che sca- rabocchio sformato, un ben ordinato disegno di regolati lineamenti tal volta da discosto ci sembra ; tale per le stesse ragioni all' occhio della mente e dello intelletto gli oggetti non di rado intemamente si storcono e si trasfigurano ; ma non altramente che non h mancamento del Sole, se varia- mente ci paiono le cose da quelle che elle sono in varii luoghi mirandole, in diversi tempi, e sopra diversa materia; cosi non h difetto di quella pura semenza di luce, che nel- Panima nostra fa lume, e riluce ugualmente ad ognnno, ma si de* mezzi, ond' ella trapassa, o delle corporali pareti, ond' ella rende i riverberi, o della positura, onde gli oggetti si o no aUa lor vera veduta si guardino^ imperci6 che tatto sta nel pigliare il verso e '1 vero diritto per giustamente scerneirle; nel mantenere ben puri e mondati gli organiele vie per cui passano le spezie da qualunque intasamento de gli affumicati vapori, che in alto levano gli affetti piu bassi e piu irragionevoli, acci6 che non vi si faccia ragunata di f uliginose fumicazioni, le quali spesso da' varii accendimenti de' sensi vi si tramandano. In si fatto modo per 1' use de' saggi ammaestramenti, e con la continua disciplina delle medita- zioni scientifiiche, e con esso lo incamminamento ben gui- dato della ragione si conserva e chiara, e pari, e liscia la DI ORAZIO EICASOLI RUCELLAI. 371 lucidezza delP immaginativa, che non s' intorbidi e render possa le immagini vere e reali, e non isformate, ed impure all' acume delle luci men tali, che pigliando pe '1 suo vero filo la chiarezza di que'raggi divini scorgano e intendano le cose, come in fatto stesso elle sono^ al loro etemo prin- cipio Yolgendosi, e da quello riconoscendole con perfetta contemplazione. Imperfetto. — Di vero, che i luoghi ne piii degni, ne piu proprj esser ponno a fame co' suoi veri lumi discernere le beUezze della divina sapienza, ch' e V idea universale (come si e ^etto piu e piu volte) di tutte le cose che sono ; ira- percio che convien farsi dall' amore verso Iddio, e dall' ado- rare una cotanto sublime cosa, quale e la cagione prima di tutte le altre cagioni, e non ficcarvi la vista a fine d' inten- derla con soperchievole bramosia, e con ismoderato ardi- mento. E' vuol essere amore filiale, nel modo che il figliuolo r occbio al padre contegnoso rivolge e rimesso, e non gliene squaderna in faccia prosontuosamente e senza la dovuta venerazione. Per tal maniera si aggiugne con 1' affetto dove con r intelletto non si puote pervenire. BuonaccorsL — Eccovi un altro luogo vie piu dottrinale per ammaestrarne nel divino conoscimento, in quella lettera che Platone scrive agli amici di Deone, esplicata da Marsilio Ficino con la sua solita sottigliezza ed acume. Ivi egli dice che V animo nostro non ha via di capire V Idee che sono nella mente di Dio, se non conosce antecedentemente tre cose, e in quarto luogo, la scienza non ne abbia, e nel quinto finalmente ch' e' non apprenda il mezzo per il quale una cosa e conoscibile, e che veramente stia a quel modo; per esempio, 1' animo nostro e mosso alia scienza di sapere quel che sia il Cerchio: primieramente bisogna sapere questo nome del Cerchio; in secondo luogo la sua propria defini- zione, e che a lui solo si convenga; terzo, s' immagini di- segnata essa figura circolare awertendo, ch'essa il vero cerchio non e, ma solamente la sua immagine; quarto si rap- presenti alia mente la forma del medesimo Cerchio, cioe il di lui esemplare generate con esso lui ; quinto, con si fatta 372 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE elevazione di mente trapassi a coatemplare Fldea del me- desimo, quale ell^ era nella mente di Dio ; onde a simile ap- prensione vera e scientifica quale e colui che aspirare possa in questa vita, se non se V animo umano, con la filosofia, di 8U0 caduco corporale meditando la morte, come di tntti suo* sensi, da essi per tal modo si tragga fnori, e rivoltisi a Dio ; che impero Pico della Mirandola nega la mente del- r uomo potere intendere le Idee, se non giunto a simile stato sublime, ch' h V ultimo grado della perfezione contemplativa; e nel Htneo, come averete udito, dice Platone agli Dii appar- tenersi dMntendere le Idee, e a quegli uomini pochi, come si 6 a que^ soli, i quali merce della filosofia si sollievano al* Taltissime speculazioni d'Iddio. Luigi. — E questi saranno quegli (m'immagino io)i quali dimenticatisi, non che di qualunque altra cosa, dell'essere vivi, tutti alle potenze superiori dannosi in preda, e abban- donano le inferiori^ che viene a dire datisi alia contempla- tiva, perdono affatto Tuso della vita attiva. Dafinio. — Si vede che io non sono di cotesti che voi dite ; impercio che riconosco bene tutte queste proposizioni Platoniche essere di que' grandi ingegni acumi sottilissimi: ma son modi, per arrivare a intendere le Idee, malagevoli molto, e assai piu che non e la materia medesima delle Idee; m' e nondimeno di alto rilevamento e di sommo di- letto V udirli, e sentomi vostra merc^ cr;escer V ali per al- zarmi vie piu che io per me valevole non sarei, di modo che eziandio che io non giunga a intendere, posso dirvi, signer Buonaccorsi, con molta ragione cio che fa dire a Bea- trice Io nostro Poeta: « Voi mi levate si, ch' io son piu ch* io. » Luigi. — Io sto cheto perche io credo ch' e' nasca da me e invidio agli esimj vostri talenti che dalla volgare schiera degli uomini vi traggon fuori. • MagioUi, — Anzi io professo che col non intendere si alte cose s' imparl assaissimo, comprendendo sempre con maggiore evidenza la proposizione di Socrate, che si fatte DI ORAZIO EICASOLI RUCELLAI. 373 materie sovrane dalla nostra caduca condizione in tutto e per tutto s'ignorano. BwmaccorsL — Questa h una materia, onde si favella, ampla e malagevole, e per6 la mente ci 'si affatica a pen- sarci, nonche la lingua nel proferire tante e si varie pro- posizioni che non averebbe mai fine; e pero vi prego^ Don Raffaello^ dite un po' voi, lasciandomi in tanto ripigliar lena. (Segue) IL TIMEO. Sopra VAnima del Mondo, MagioUi. — Se il mondo Dio si e, tutt^ insieme unico e intero, come si fanno a credere foUemente costoro; que- st' altre Deit^, onde favellato abbiamo, che assegnarono i piu de' Gentili a tutti gli operamenti generici delP uni verso, Dii interi non saranno, ma porzioni di Dio^ e la terra che e parte del mondo, sar^ parte di Dio, e per tal modo sa- rebbe divisibile Iddio. Di piu; regioni del mondo grandis- sime, che inabitabili sono, ed incolte per la lontananza del Sole, per lo freddo delle nevi e dei ghiacci, che non mai vi si liquefanno, le quali sarebbon membra divine a sif- fatti patimenti sottoposte^ verrebbero a dimostrare che Iddio non fosse altrimenti impassibile. E non che le soprad- dette regioni, ma tutte le minuzie del mondo, s^ egli e Dio, saranno particelle di Dio ; laonde qualunque parte che Tuomp e gli altri animali calpestano del mondo, calpesteranno sacri- legamente una parte di Dio. Ogni fiore che si colga, ogni erba che si divella, qualunque barba che si diradichi di sot- terra, BB,rk uno strappare le viscere, dilacerare le membra della divina sostanza^ e qualsisia cosa che nelPuniverso si corrompa e guasti, corromperassi una parte di Dio. E tali cose posson pensarsi non che raccontarsi senza vergogna? 374 ANTOLOGIA DI COSE ^NEDITE E per5 divinamente il nostro sublime Filosofo nella Bepub- hlica : Quel che e uno, vero, intero e perfetto siccome e Dio, per qual maniera anche con la immaginazione si puo egli dividere in parti? Dafinio, — Noi ci formiamo a nostro arbitrio V essere di Dio, senza cho niuno V abbia veduto, e sappia come e qnale e^ si sia, e poi dichiamo il mondo non potere essere Iddio, perche e' non e a quel modo che noi immaginati ci siamo; se quello ch* e Dio fosse e dovesse essere nel modo che dite Yoi, allora voi avreste ragione; ma che ne sappiamo noi ch' e' sia tale ? Magiotti, — Certo e, che come sia Iddio ben nel Cielo si puo immaginare, ma non gia qui tra noi; noi possiamo bene e dobbiamo credere ch' e* sia sopra ogni nostra imma- ginazione piu perfetto di quel che noi possiamo compren- dere, e non crederlo ne figurarcelo gia mai con quelle imper- fezioni che dette si sono, a voler ch'e' sia Iddio. E pero quando noi nominiamo Iddio, noi intendiamo quel principio supremo che senz'aver avuto principio, ha dato principio a tutte le cose che sono, le quali sono a lui sottoposte, ed egli a niuna; il perfetto di tutti i perfetti, cui nulla si pnote aggiungere ne torre, Toriginale primario di tutte le cose buone, di tutte le cose vere, di tutte le cose belle, di tutte le sapienti, intelligibili e razionali cose, le quali non son parte di Lui, ne della sua propria essenza, ma copie, ab- bozzi, e imitamenti, e per lo piu non ben messi insieme, di lui; quel che pu5 cio ch* e' vuole, e nulla ci ha che possa sopra di lui, e pero niuno il puote offendere ne e capace di senso umano, ne puo patire per avvenimento che sia, per- che ogni avvenimento per lui viene, o da esso si puote im- pedire : e impercio Parmenide chiama uno il primo Ente che vuol dire Iddio, che non ha ne moltitudine, ne parte, ne tutto^ ne principio^ ne mezzo, ne fine, perche e infinito, in- forme, ne da verun luogo puo essere circoscritto, ne si ferma per cosa che lo trattenga, ne ha movimento di luogo, o di agitazione, ne si fa gia mai in conto, o per modo veruno, non e il medesimo, o diverso a se o ad altro, ne si^nilene DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 375 dissimile, ne uguale, n^ disuguale, perche niuna cosa il mi- sura ned' e per novello ne per antico, ne in tempo, ma sem- pre senza tempo, non generato giammai, ne si genera al presente, n^ fu mai, ne fatto e ora, ne si far^, ned' ^, ne dope sara, ne e partecipe di sostanza, perche egli e solo e V unica e universal essenza del tutto. II si faceva, e fu gene' rato, e tempo preterito, U sard e si fard e future, egli e e si genera e si fa, e presente, che son misure di tempo, ed egli non iatk sotto le condizioni del tempo, e pero non ha veramente niun nome che appropriatamente gli torni, niuna defiinizione che gli si addica, ne di lui si puo concepire da noi aggiustato.sentimento, o opinione, o scienza verace, e perci6 n^ nominare degnamente si puote, ne agguagliarlo con parole mortali^ ne pensare, ne cognoscersi, ne da nes- suno ente che sia formarsene concetto, o aver sense, o lume 81 chiaro, che vi aggiunga, perche nostra ragione 1^ non si stende. Egli e insomma V ottimo di tutte quante le cose che sond, ma e* non e niuna delle cgse per ottinie ch^ elle ci paiano, perche egli e sopra 1' essenza di tutte. E se Iddio non fosse tale, quale volete voi che fosse questo che da noi si chiama Iddio, e si adora, e si reverisce, si come il meglio di tutto queUo ch* e, perche ogni cosa per lui e ? E pero Iddio e in questo modo, o non ci potrebhe essere di altra maniera. Imperfetto, — II meglio che ci abbia tra tutte le cose visi- bill e il piu perfetto, senza dubbio veruno, ch' egli e il mondo, impercio che chi fa, chi produce, e si smisuratamente adopra tante e si meravigliose operazioni, come fa Tuniverso, e quale con maggior ragione e sapere di esso? Magiotti. — Non puote essere il meglio e il piu perfetto, quello dove giungono le misure del quanto e dove i nostri sensi si allargano, cui competa il nome sovrant) di Dio; ma ha da esser quell' ottimo, e perfettissimo che sdegna gli argomenti umani e dove niuno puo alzar le vele con la navicella del proprio ingegno, perche di cotesto non si puo andar piu in la, ne anche da i compassi infiniti della menta divina, conciossia cosa che essendo egli infinito, infiniti e 376 ANTOLOGU DI COSE INEDITE senza termine sono gli attributi che a Ini si convexigono. ne dalla nostra immaginazioiie si pQ6 sapere cotanto adden- tro, per modo che niente ci ha da coireggere come saocede negli sbagli e ne' difetii del mondo, che per hi reita, e nud- yagit^ natnrale della materia, a otta a otta danno in fnori, n^ con esso V oirdine di chi lo regola pii6 ammendarsi in gnisa, che e' non iscaopra V imperfezione di sua natora. Per la qnal cosa il mondo, ne qnell' ottimo si e, n^ qnel peifet- tissimo snperlatiyo infinito, al quale si aggiugne sohunente dalla perfezdone e dalla bonta infinita ed assolnta di an Dio, qaantnnqne riesca ai nostri occhi 1' nniverso a. ammi- rabile, e qnanto a noi la pin beUa, la piu perfetta cosa che sia, per merito del magistero sovrano che lo fabbrico, e che veramente in loi si scorgano marayigliose cose della Omii- potenza Divina; laonde con somma saviezza disse Plotino: « dall' imperfetto ci e la progressione fino al perfettiBsuno, e dove la perfezione intera non sia, non si pao dare V nltono fine il qnale per sna incommensnrabiliia divenga infinito; e U mondo (assolntamente parlando) perfetto non e, perche a cagione deUa materia patisce; > e pero, dice il Ficino, «gK e indivisibile, e sottoposto a diseioglimenti contimii, e come di natora divisibUe ha mestieri di chi il mantenga con- ginnto, il quale di sua natora perfettissimo' sia, ed intero, e da se stesso, e per se stesso, e come infinito fdori di totte le'misore, e di totte le immaginazioni deDe cose finite: im- percio che il sommo di totte qoante le cose e cosi alto, che vince la nostra vedota, e da qoesto solamente deesi credere che abbia il mondo V essere, il vigore, Y ordine, il moto e qoeQe innomerabili perfezionicomparatiYee positive, ch'egli ha, in come lavoro dell' etemo motore, che impero si rag- goardevole lo ci rendono e ammirando, e cio perche ^H e opera sovrana e immensa di Dio, ma non gia perche e' sia Dio. Dafimo. — Se r oniverso secondo la mente de' sopraddetti filosofi fosse egli Iddio, Terrebbed a oscire d' inconyenienti molto notabili, cioe, o che ToniTerso sia fiitto dal nolla, che non si ammette in modo alcono da venmo filosofante, o che DI ORAZIO EICASOLI BUCELLAI. 377 81 diano due principj eterni, e inereati, V agenie e il paziente insieme, di una stessa dignitade e potenza, il che non pa6 tomar mai alia ragione de'piii esperti contemplativi; dove se Iddio e la materia fosser tutta una, sarebbe una Deitit sola etema, cio^ il mondo medesimo. Buofiaccorsi. — Tutto il ragionamento precedente del nostro Magiotti batta a terra, anche secondo i lumi della filosofia, cotesto presupposto, perche Iddio se fosse la materia, di difetti sarebbe pieno e di errori, che non si deve presup- porre di un Dio^ ne puo essere una medesima sostanza fatta di due cose contrarie assolute, onde immedesimare si potes- sero in un solo soggetto e le condizioni ottime di Dio e le prave quality della materia. ImpefeMo. — Parmi aver letto, e non mi ricordo dove, che Iddio h non Ente, e si altresi la materia e non ente ; adun- que che contrariety ci sarebb^egli se ci6 vero fosse? Buonaccorsi. — Egli ^ il Ficino che lodice: « Iddio, ch'e'chia- mano il primo Ente, e veramente non Ente per rispetto a gli Enti a' quaU egli e primo e superiore ; ma la materia e non ente, perch* ella h inferiore a gli Enti ; » ora considerate s' e' sono Iddio e la materia veramente contrarii. Ma con altro argomento risponde Alcinoo, e di vero con somma sa- viezza, contro V opinione che il mondo Dio sia : « Niun corpo (die* egli) esser puote Iddio; imperocchd se Dio fosse corpo, di materia e di forma composto sarebbe, e perd non saria semplice come all' essere di Dio vien richiesto, ne imper6 principio per s^, solo, increato, come Iddio esser conviene. Ora non potendo esser corpo, non puote in veruna ragione essere Iddio V universo corporeo. » MotgiotU, — Gli Stoici dividono la natura universale in due parti, r una che fa, V altra che a farsi maneggiabile e atta si e. Nella prima la virtii della vita e del sense consistere ; la materia per s^ infingarda, e oziosa nella seconda; ne Y una poter stare senza V altra nell* Universo: ma non puo gill essere il medesimo quello che adopera, e quelle in cui si adopera, come se tutta una avesse da essere il vasaio che il fango, e il fango che il vasaio ; e costoro danno in si fatto 378 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE delirio che reputano queste due diversissime cose il mede- simo Iddio e il mondo; TArtefice e la fabbrica! La mate- ria, come affermauo Jamblico e Plotino, avere Tessere da Dio e ordinarsi di continao talmente, cbe a Dio sta Tordinarla stabilmente. E la materia da lui ricevere la sospinta, e or- dinarsi mobilmente ricevendo da Dio la sua tempera secondo gV iutervalli de^ tempi, come dall^ Orivuolaio V orivuolo, il quale quando egli e suUa fine, per farlo ritornare al suo essere, sempre si ricarica, se no finirebbe il suo movimento 6 non andrebbe piu; nello stesso modo la materia di sua natura imperfetta, cammina di continuo al ritornare nel di- sordine del Caos, perche via via col suo disfacimento ella quanto a se vi ritorna, ma di presente il maestro eterno la ritempera e la rimette su Tordine, e falla camminare com- postamente per via delle continue generazioni, e di mano in mano ch'Ella va a perdere sue forme, riformandola per mezzo di quegli esempi eterni, e cio si fa per rispetto a Dio infinitamente, non mutandosi unqua Iddio, ma indefinitamente secondo la materia, riformandosi di continuo essa materia. Luigi, Che cosa e egli dunque questo Universo che anima tutte quante le cose, (secondo il nostro vedere) le forma, no- drisce, accrescele e crea ? tutte quante in oh le riceve e sep- pelliscele, e di tutte ugualmente e Padre, perche del mede- simo nascendo si fanno, e nel medesimo morendo disfannosi} s' e' non e Iddio onnipotente, dalla cui virtCi tutte le cose €he sono hanno T essere loro? MagioUi. — L' Universo non e Padre delle cose che sono, ma r intelletto Divino e Padre del Mondo (dice il medesimo autore) e la materia Madre : e V ornamento del Mondo, e prole Divina nelP utero materiale^ e pero noi scorghiamo la prole, ma non semo atti a vedere gli artifizi ammirabili per cui ella si concepisce, e come ella si fa, e per questo pren- diamo errore, stimando il nostro occhio e i no&tri sensi mi- sure competenti delle cose che sono, il che h falsissimo. £ pero non e il mondo Dio, ma per V onnipotenza di Dio egli 6 quel che egli e ; noi scorghiamo gli efifetti e non la cagio- ne, e come detto si e, gli pigliamo ignorantemente da quella DI OBAZIO EICASOLI RUCELLAI. 379 in iscambio, facendoci a credere con somma demenzia che quel che e fuori della nostra veduta non sia. Iddio ^, ed e per se^ e tutte le cose sono per lui, ned esso e obbediente o sottoposto ad alcuna natiira, ma egli e coloi che regge e governa, e che formo la natura. {Segue) IL TIMEO. Se VAmore sia V anima del Mondo, Imperfetto. — via ponetevi costi a sedere pro Tribunal!, e discorrete altamente come h nostro uso. MagioUi. — £cco fatta Tobbedienza, e ricomincio a dire, essendosi favellato con piu Dialoghi sopra il Timeo, prima in- torno alia sostanza Divina,e poi intorno al mondo intelligibile, e air Idee, si come alti esemplari del nostro sensibile, e delle forme che questo adomano. E si parimente avendo discorso sopra r opinione dell^ anima universale e quanto i sentimenti di Platone si accostino in molte parti alia nostra verity, mi 6 venuto in amore di ragionare parimente co^ sentimenti Platonic! sopra TAmore, il quale sia esso veramonte o V anima del mondo, o la porzione piu nobile e piu sovrana di essa, e cio in seguimento del proposito tenuto sin qui. Sommo e infinito bene e Iddio; il sommo e infinito bene, impercio che di essenza perfettissima egli e, e anche oggetto di infinito amore, e insieme di godimento infinite, e di perfetta bea- titudine a chi lo possiede, si come eziandio sommo e asso- luto appetibile di tutte le cose^ e appetibile a chiunque il conosce, e non V ha in s^. Ora perche egli e sommo e in- finito bene, e oggetto altresi d^ intendimentp infinito, e per6 Iddio solo nella sua eterna mente il concepisce e intende, cio^ egli solo cape s^ stesso. Questo concetto dunque, questa cognizione ch^ egli ha eternamente di se medesimo, quell^atto primiero si h, onde s^ingenera lo intelletto divino, come 380 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE sopra si b mentovato, il quale e la sapienza impermutabile ed etemale, che tanto si e a dire 11 discorso eminente e non errante che fa Iddio sopra *1 suo essere divino, ottimo e inefiPabile, e perci6 amalo infinitamente per lo infinito me- rito di sua perfezione e bont^, e tale e 11 figliolo di Dio, il Yerbo divino di cui ragionato abbiamo, e per il quale yiene constituita la persona prima del Padre correspettiva e di- stinta dalla seconda che e il suo £gliuolo, in tutto e per tutto uguale a lui. Da questo atto poscia di cognlzione e d' intendimento sovrano che fa Iddio di questo bene etemo ch^egli possiede in s^ stesso, subito ch* e conceputo dal Padre per oggetto di beneficenza infinita, a misura di sue altissimo valore infinitamente V ama, e quindi procede quello ardentissimo primo amore equivalente alia perfezione di esso infinito bene, per la cui strabondevole fecondit^ sparges! pel Indefinitamente per lo tutto quella fuocosa e inestingoibile carit^, dalle cui fruttlficanti faville tutte le cose che sono hanno essere* e vita. E simigliante infinito Amore proce- dente da amendue le altre persone, 11 Divino Spirito si e, il quale secondo la verita nostra h la terza Divina Persona in essenza, e per divinita uguale ad amendue le altre del pari, e dal nostro Poeta Teologo altamente espostoci nel Pa- radlso. Canto X: « Guardando nel sao Figlio con 1* Amore Che rnno e Taltro eternal mente spira, Lo primo ed ineffablle Yalore, > per cui le scintille di suo fuoco amoroso, cioe a dire le divine grazie si spandono di sua Providenza onnipotente e benefica per tutti quanti gli ordini della natura. Per le me- desime scintille poi prese fuoco eziandio ogni altro amore, imperciocche innumerabili amori si accesero nella natura universale dalle faville infinite di questo amor primiero, come bene ne awertisce 11 medesimo Divino Poeta, perche esso amore aperse 11 varco della creazione deirUniverso alio sparglmento de' suoi benl portati su le all della sua arden* tissima carlt^, de* quali egli era infinitamente ripieno, sola- DI OBAZIO RICASOLI RUCELLAI. 381 mente per diffondergli altrui, che egli non era in nessun conto bisognevole. c Non per avere a s& di bene acqaisto, Gh'esser non pu6, ma perchd suo splendore Potesse risplendendo dir: snssisto; In saa eternitii, di tempo faore, Faor d*ogni altro comprender come i piacque, S*aperse in nuovi amor Tetemo Amore. N& prima, qnasi torpente, si giacque, Ch^ nh prima ne poscia precedette Lo discorrer di Dio sovra queste acque. » Qaesto amore, dunque, raccendendosi con iscintille senza novero in tntte quante le creature, viene ripercosso da loro piu o meno direttamente a riamare e adorare il bene in- £nito, secondo ch^ esse piu o men chiaro il rafQgurano e se- ,condo le proporzioni e disposizioni, ch^elle hanno piti o meno atte a riceverlo, e a rimandarne a lui per diritto filo, o per via di varii e moltiplicati ripercotimenti^ i riverberi, o si pure stravolgendogli troppo dal loro vero corso per la positura mal situata de* proprii affetti, non in Lui, ma in altre creature erroneamente te gli fermino. Luigi. — Questa h Teologia molto leggiadra^ ma per mio conto ricerca piu esatta ospressione. MagioUi. — I' torno a repetere che Iddio e sommo e infinite bene, e per6 bene non ci ha, il quale in Lui non sia, e che non discenda da Lui, e intanto il bene e bene, in quanto egli b comunicabile; ed essendo Iddio bene infinite, anche infini- tamente comunicabile convien che sia^ e per6 tutti i beni, che beni da noi si appellano, beni non sono, dove non si spicchino da questo unico infinite bene, e dove non sieno riordinati a Lui. Per la qual cosa non ci hanno beni in noi, nh fuori di noi, se non gli spande il supremo benefattore Iddio come miniera e principio di tutti i beni. c Dunque air essenzia, ov* e tanto avYantaggio Che ciascun ben che fuor di lei si trova Altro non h che di suo lame un raggio, » 382 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE canta il medesimo nostro Poeta. Vero e ch'essi si adnl- terano sovente da noi, e fannosi degenerare dall' esser beni, qnalanque volta secondo il loro diritto non si rivolgano, e se si torcono non si riordinino a lui. Ora qaale e il veicolo per cni fassi penetrarc la divina beneficenza in fra tutte le cose create, salvo che lo spargimento delle faville di qnesto ardentissimo primo Amore da iai procedente e ugnale a lui, le quali in quelle si appigliano pin o meno, per qnel modo ch'elle ne sieno secondo loro capaci : cioe questo desiderio, questo ap- petite ch* e innestato nella natura universale di finire beni si grandi, pe* quali ella si mantenga viva e perpetua. Imperd merce di questo amore primiero fontana di tutti gli amon accendonsi suo' vivissimi raggi in ogni sorte di creature o vegetabili; o sensibili, che sono semi della sua profonda e inesausta beneficenza, e scintille vive della sua immensa carita; e percio Tamano, e si Tamano di voglia siccome quelle che accese ne sono ad una cieca obbedienza della sua vo- lonta cotanto loro giovevole per la loro prima conservagione; e Tamano gli individui loro, ancor che per avventura non sappian di amarlo, conciossia cosa che intendimento e^non ab- biano da conoscerlo, che avrannolo forse in se le specie e ge- neri loro, e se non questi, hallo e V ama e V adora la madre natura, ch* h il genere.di tutti i generi, la quale accendesi al- Tesecuzione del suo altissimo provvedere, divenendo in qaesta bassa circonferenza ministra della Divinitade. Ma tali beni che dall^ infinite e sommo bene si diramano parrebbero quasi beni finiti, e terminabili, se non ci fosse anche a chi comn- nicare i beni etemi nel loro essere intero e perfetto, che sono i veri beni e proprii di un sommo ed infinite bene: per lo che tra le cose note a noi, appresso V intelligenze sa- periori, che Tamano, impercio che sanno perfettamente quel che elle amano, adorandolo a vise aperto, hannoci gli uomini, i quali ci rassembrano capaci dello sfogo della di- vina bont^ intorno a gli eterni beni ; e di ragione debbono e dovrebbono amarlo sopra ogni cosa che sia, avendone co- tanta arra ne'beni sparsi per V universe, e tanti e si be'raggi per riconoscerlo, scorgendolo manifesto nella bellezza del DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 383 tntto e nolle bellezze tante e si varie di esso; e quando e'non fosse altro, conoscono per alto privilegio di averne la cognizione, e la bramosia cui h credibile che sia data, perche Iddio gli abbia fatti degni eziandio di ricevergli, il che non si ravvisa negli irrazionali che hanno i desiderii loro, e loro affetti^ e passioni Dei primi moti solamente, dove gli uomini hanno ne gli atti secondi lumi da distinguere e scerre il meglio dal peggio ; che pero disse Salustio filosofo : Grirragio- nevoli adoperano I'ira, e la cupidity per natura; i ragionevoli per volonta. Di maniera che le razionali creature debbono accendersi, e '1 possono spontaneamente, al riconoscimento e al desiderio volontario dello spandimento delle grazie di- vine^ e alia gratitudine di sna infinita beneficenza ; impera che essi beni non piu beni sarebbero in noi se non piglias- simo il loro vero lume, e lo accendimento loro da questa primo Amore, e non si riconoscessero da noi, e desiderassersi con piena liberta di volere e con atti riflessi corrispondenti a lui che ne gH ofiPerisce e dona si largamente. Di qui e che le razionali creature hanno virtii di distinguere e deside- rare questi beni per mezzo di quest o amore scambievole tra Dio e noi, il quale da lui per venire a noi si diparte, e ac- cendesi in noi per ritomare a lui, talmente che amore dee essere in noi un ripercotimento di Amore, e un rivolgimento e un ricongiungimento continue con esso le cose divine, e un concordamento tendente alia perfezione della divina unitade. E per cio Amore, disse Platone, h quelParmOnia e quell' ordine che richiama le cose discordanti alia Concor- dia ed aU'uno; per guisa che nolle creature dotate di ra- gione si eccita il lume del conoscimento e le faville di amore verso il sommo bene, e di tutti i beni che si driz- zano a Lui daUa luce splendentissima di questo primo amore e di questo fuoco divino, qualunque volta la parte inferiore non recalcitri alia snperioro, e le torbide passioni do' sensi non ofiFuschino la bella luce della ragione. Impercio che i principali movimenti delPanima sono Pintelletto e la vo- lenti, e le altre potenze sono o a questi, o per questi. L' in- telletto ha per oggetto il vero, la volenti ha per oggetto il 384 ANTOLOOU DI GOSE INEDITE bnono, ma perch^ ne V uno ne V altro qua si pu6 conse- gaire perfettamente da loro, quindi molte fiate V amore del vero e del buono si lascia in noi traviare dalle opinioni e dai sensi, e scambia poscia il vero dal falso, il bnono dal reo. e non al sommo bene, ma si follemente rivolgesi al- trove. Ma saviamente lo c'insegna Platone nel Fedro, di- cendo cosi: «Che in noi sono due faculty, le quali hanno gran forza o potere di guidarci a lor senno : V una si e la cupiditib innestata in noi, di quel che piil ci diletta : V altra una tale opinione acquistata cbe brama il buono. Queste al- cuna Yolta convengono insieme, alcuna altra contrastano e tnmultuano in noi, ed ora V una ed ora V altra vince. Quando r opinione sotto la scorta della ragione ne conduce a quel che veramente h V ottimo, tale si e la virtu vera e F adoperar ragionevole; ma dove la cupidita senza ragione alle voluttli ne travia, e in noi imperiosamente comanda, qnesta chiamasi cupidigia, che muta nomi, seconda a quale effetto ella stol- tamente ne mena. E tale si e quell' amore malusato e tra- sportato fuori del sentiero del vero amore ch' e quelle solo, il quale all* ottimo ne insegna la via.» BuotMccorsu — Con chiarissima distinzione considerate avete, Don Baffaello, i movimenti di questo prime amore, e quanto sieno poderose e di quanto ben piene le forze sue ; impercio che primo amore convien chiamarlo; con ci6 sia cosa che tutti i moti nel mondo, e negli ordini vaij delle creature, tntti quanti gli stimoli e desiderj di chiunque si sia, sono impulsi di quell' amore, ch' h V origine impero di tutti gli amori. Ecco la natura percb^ si muov' ella alle generazioni se non per amore, ed essa nel suo universal movimento non erra? e se ragione e al mondo, come tiene il nostro filosofo,e non si regge e governa a caso, come la nostra verita il vieta di credere, questa e ella altro cbe amore ? il quale tira a ricongiugnere le cose, che per loro difetto dal loro ordine si deviano; per lo che nasce spesso il tumultuoso combai- timento di quelle che fuori di ogni loro dovuto luogo a. trovano ; cosi talora e co* venti, e co' turbini, o con le tem- peste, o co'folgori, tutte impetuosamente si commuovono. DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 385 ch'e' pare ch'e' si sconvolga il mondo. E percio essendo tratte fuori dalla loro natural positura s' infuriano per ritornarci e per ricongiugnersi ciascuna dijnano in mano con quello che loro torna meglio e si addice. Ne piu ne meno le razio- nali creature si muovono con tutti i lor moti, quali essi sieno, o buoni, o mali, sempre per amore; se buoni per amore alia virtu o alia bellezza degli animi, che gli addi- rizza alia divina pulcritudine ; onde il Poeta: « Che mentre il segui al sommo ben tMnvia; » se mali, perche scambiando gli oggetti che gV inducono ad amare, studiano di conseguire quel che egli amano per le vie non vere, « Immagini di ben segnendo false. » Impero V avaro ama le ricchezze, il lascivo i diletti carnali, e via via di tutti i vizj e falli degli uomini, fino 1' ambi- zione, anzi Tira, gli odj, e si le malevoglienze, le male- dicenze, e le vendette medesime nascono da amore per levarsi d'intomo cio, che impedisce loro di godere quel che egli amano ; il che acutamente ci ammaestra san Tommaso, che intanto odiamo un oggetto, in quanto e'ci puo vietare il bene che noi amiamo; ma non di meno in si fatte passioni d^ amore, non mai i mortali si satollano, impercio che anche conseguendo cio che par loro di volere, il vero oggetto del- V amor loro non consegmscono, ancor che e' si pensino di trovarloci entro. Impero V amor vero e reale scorge gli uomini alia sa- pienza e all* amor divino. L* amore stravolto da* sensi, e che tormina nolle cose corporee, ha solamente per fine se stesso, cioe a dire ama quello che reputa dargli piacere e utile, sodisfacendo in tutto per quanto e* puo ai corporali appetiti. Per la qual ragione dicesi amor proprio, il quale da regola a* movimenti, e alle operazioni de gli uomini, che non sanno sollevarsi a Dio. Uditelo dal Poeta nostro sovra- 25 386 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE no, che lo ci esplica mirabilmente nel Purgatorio, al dicias- settesimo Canto. « Ne Creator, ne creatura mai, Comincid ei, figlinol, fu senza amore, natural e o d'animo; e ta '1 sai. Lo natural fu sempre senza errore; Ma Taltro puote errar per malo obbiotto, per troppo, o per poco di vigore. Mentre ch'egli e ne*primi ben diretto E ne* second! s^ stesso misura, Esser non pu5 cagion di mal diletto ; Ma quando al mal si torce, o con piii cura, con men che non dee, corre nel bone. Contra 11 Fattore adovra sua fattura. Quinci comprender puoi, ch' esser convione Amor sementa in voi d' ogni virtute £ d^ogni operazion che merta pene. » E piu abbasso^ nel medesimo Canto, strettamente al nostro proposito: « Amor nasce in tre modi in vostro limo. te chi, per esser suo vicin soppresso Spera eccellenza, e sol per questo brama Ch*el sia di sua grandezza in basso messo. I) chi podere, grazia, onore e fama Teme di perdor perch' altri sormonti, Onde si attrista si, che '1 contrario ama; Ed 6 chi per ingiuria par ch'adonti Si, che si fa della vendetta ghiotto; E tal conyien, che il male altrui impronti. » Per lo che riconoscesi manifesto che anche il desiderar male, e il far male altrui, nasce da amore, come detto si e, ma da amor soverchio di se medesimo, impero che la volontft non puote per alcun modo che sia amare semplicemente il male, ma si V ama, e il desidera sovente volte in altri a fine sempre e per amore del proprio bene, ch' essa s' imma- gina, dove e' non e delusa da' sensi, e da gli affetti corpo- rei; conciosiache e' non intendono gli uomini, e non sanno aprir le ale, onde salgano in alto a questo primo amore, ne DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 387 sanno volare alia fiamma vivace di questo fiioco purissimo e ardente, il quale dissemina ampiamente le sue lucidissime scintille per lo tutto a conservazione e vita del tutto, e alia ricongiunzione per quanto si puo con 1* unita del suo divino facitore, come detto avete : ma lo stravolgimento nasce in noi dal mal giudicio dell' elezione, e dall' abbacinamento della vista dell'anime nostre, per entro le sensibili vestimenta che ne ricoprono, e nascondonne il purissimo lume, lascian- done a pena che un mal distinto bagliore, e tutte le bel- lezze, che qua tra noi rifulgono, eziandio quelle che ne' volti risplendono di bella donna, sono riflessi e specchi della bel- lezza suprema; e colui il quale riguardando con amore in essi, ivi i raggi ferma della vista amorosa, e non sa alzargli al lor perfettissimo originale, ne va errato a guisa di quello, che mirando il Sole nell'acqua chiara, non altro Sole che quello s' immaginasse nel cielo; il che appunto ne awertisce Mar- silio nostro, che la belta e un certo atto, vivacita e grazia che risplende ne' corpi per lo raggio della sua prima Idea, e consiste nelV ordine, nella proporzione e nel lume, qualita e sembianze che si possono agevolmente guastare, e trasfi- gurarsi, riraanendo solamente il corpo; e pero la bellezza e incorporea, e qualunque ama solamente i corpi non ama vero oggetto di amore, ne bellezza sincera, per cio che que- sta riceve il lume dal Volto Divino, e 1' ordine e la pro- porzione dalla Divina sapienza. Per la qual cosa (die' egli) cbiunque ama il lume del Sole, non dee amar quel corpo dove batte il Sole, ma riferire suo amore al Sole medesimo, ch' h la cagione ne' corpi illuminati di essi riverberi ; imper- cio che lo splendore del Volto Divino che nelle cose belle rifulge h T universale della bellezza, e Tappetito che a quella si volge e 1' universale amore, e quindi nasce poi U particolare amore a particolare bellezza ; e percio scambiano di leggieri gli uomini questa bellezza da quella, e '1 riflesso adombrato dalla luce chiarissima, che lo indora. Magiotti. — Yolevaci a' miei scarsi talenti il soccorso ap- punto del signor Gioseppe, che ne ha dilucidato cosi bene I'ombre del mio dire; perche non solamente non h colpa o fallo 388 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE veruno, ma e legge della natura e di Dio, che gli uomini, e le donne, anziche gli uomini eziandio tra loro scambie- volmente si amino, ma amino la bellezza delP animo adorno della virtu ch' e figura e immagine vera di Dio, e non termi- nino I'amor loro con esso Tappetito nelle forme corporee apparenti, conciossiache questo amore sia anzi awersario d'Amore, si come quello che dalle bellezze dell' Idee ne ri- torce il guardo alia deformita della materia, e ivi si ferma. Dafinio, — Ma lo appetite che voi dite non e egli parte di amore? MagioUi, — Son faville scappate fuori dal fuoco dell' amor vero, che si appigliano nella pece o nel ferro, i quali pero ne scottano i sensi e arroventano il cuore, benche ciecLi afPatto di luce; impero che amando le corporali bellezze, come loro ultimo fine, non si amano come Architetture di- vine, e percio ancor che in esse in fatto stesso amino Iddio, come fulgor primo di quelle, e come oggetto vero di amore, non sanno di amarlo, e amandolo, il disamano, perche in- vece di ordinare T amore a lui, amano quelle, si come in- centivi non all' amor divino, ma all' amor proprio e alle proprie volutta; e per tal modo spengono nella corporalita materiale, non che la fiamma del vero e lecito Amore, ma il lume della ragione. Amar dunque si dee con amore (ne ammonisce il saggio nostro filosofo) per tal guisa che cio sia venerare la sapienza e temere dell' onnipotenza divina con ammirazione di lui ; e questo si e amare con vera dot- trina d' amore, impero che con ragione rammemoraci nel Fedro, che la faccia bellissima della Sapienza, dove si po- tesse con esso gli occhi riguardare, all'ora altri si accorge- rebbe che cosa sia veramente amore. Seguitiamo, dunque, il discorso, e si repetiamo, come questo Amor primo, onde tutti gli amanti si accendono, e razionali, e irrazionali, lo spirito divino si e, come si disse, il quale portandosi sopra 1' acque, fu ministro della creazione di tutte quante le cose, riducendole alia prospettiva dell' es- sere; e che parimente per via delle inspirazioni accende e volge i cuori delle ragionevoli ai loro supremo benefattore ; DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 389 ed e insomma la terza persona della Trinity ; essendo Iddio Padre per V onnipotenza, Figliuolo per la Sapienza, e Spi- rito Santo per I'Amore. Come Padre crea, come Figliuolo ordina e dispone, e come Spirito Santo sparge la vita e con- serva, e tutti richiama al loro Autore, che pero Dante fa- vellandone neir Inferno, ne le distingue con evidenza: « Giustizia mosse il mio alto fattore : Fecemi la divina potestate, La somma sapYenza e il primo amore. Dinanzi a me non fur cose create, Se non eterne, ed io eterno duro: » con quel che segue. Ma ora adattiamo un poco al nostro vero Timmagina- zione platonica, esaminando con sollecito studio in qua' pen- sieri elle si confrontino tra loro, che certo e maravigliosa cosa a udire come il nostro Autore a tanta verity avvici- nato si sia; ma ci6 a voi si appartiene di fare, signor Gio- seppe, cotanto pratico nella platonica dottrina, che in essa errar non potete (come fare' io) nel referirlaci, e nel met- terla con esso la nostra in agguaglio. Buonaccorsi, — Non per la ragione, che la vostra modestia mi suggerisce, ma per darvi un po' di riposo, ubbidirovvi, Don Raffaello carissimo, incominciando anch' io col nostro eccelso Maestro a repetere il medesimo, che detto si e ; come Iddio e sommo e infinito bene, V occhio della cui alta mente in se risguardando concepisce V intendimento di se medesimo^ e a simiglianza di specchio purissimo e tersissimo, ella piglia in se, e rende con que'divini reflessi Timmagini in- finite ed eterne della sua infinita Sapienza; e queste se- condo lui so no intelletto divino, il quale comprende in sh tutta insieme 1' Architettura perfettissima dell' intelligibil mondo, con tutte quante le Idee delle cose possibili a farsi da una onnipotenza infinita, le quali fornite perfettamente di fare dalla sua infinita sapienza si ragunano, e disegnansi nel ricettacolo della sua mente, e ivi in quella unita indi- visibile insieme congiunte, dimorano in una idea «ola, di che 390 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE altre volte ragionato si e in proposito dell' Idee: la cuiin- finita ed eccelsa bonta e bellezza rimirando egll con occhio desioso e benefico, giacche per se tutta la possiede e non pu6 contenersi di non comunicarla altrui, e quindi nacquc il primo amore, come pur voi diceste, il quale voile Orfeo essere stato locato nel seno del Gaos nato innanzi al mondo, appellandolo percio antichissimo di somma psrfezione e di gran consiglio. Per lo che Parmenide si lascio intendere, Iddio innanzi a tutte le altre Delta aver conceputo Amore. Nel Caos parimente lo ripone il Divino filosofo, quivi tra- smesso dalla Divina Sapienza alia formazione e armonizza- mento delPuniverso, da esso amore la bellezza ricevendo e r ordine. Imperfetto. — Ma quale e la via e il modo onde Iddio inco- minciando da se ordina questo filo, secondo lo intendimento platonico ? Buonaccorsi. — Volendo la Provvidenza suprema, e questo sommo e infinito bene comunicare, e mettere in opera i frutti della sua infinita bonta, e non avendo nulla fuori di se, delibera a quelli esemplari eterni che detto abbiamo del- 1' intelligibil mondo, la creazione del mondo sensibile, per la cui e£Fettuazione dispose valersi di questo Amore. Dafinio, — Meglio si desidererebbe da me capire la sen- tenza platonica intorno alia nascita di questo amore. Buonaccorsi. — Fatevi conto che la Divina Mente, cioe il suo perfettissimo intelletto si rivolga a Dio come sommo benC; onde essa mente e per lo suo chiarissimo raggio illustrata, e dallo splendore di quel raggio accendesi eziandio una viva cupidita di propagare fuori di se si maravigliosa luce, e qae- sta alta e ardente cupidita del sommo bene amore si e. Adunque la mente ch' e accesa accostasi a Dio, e accostaD- dosi riceve le forme prime divine^ che sono la bontii, la sapienza e la bellezza infinita del sommo bene ; e per tal maniera si dipingono spiritualmente tutte le cose che sono, 6 che esser possono per lui, ed esse pitturc sono le Idee infinite del Mondo Archetipo, le quali nel mondo corporeo aveva determinato con fabbrica piu massiccia imitare; e DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 391 qaeste Idee sono, appresso Platone, ne gli animi razionali (come si disse) ragioni e notizie; ma nella materia immagini e forme ; queste impercio rifulgouo nella Divina mente con raggio lucidissimo; nell'anima in modo men chiaro; nel mondo in gaisa molto piu oscura. Per la qual cosa, awer- tisce sottilmente questo grand' uomo, a fine di mettere ordinatamente in filo le intelligibili cose, e trovarvi qual- che attaccatura per le sensibili per quella via pero ch' ei puo, che Tunita divina sia termine dal quale ogni e qua- lunque cosa ch' e, e che puo essere, e misura senza confu- sione e senza moltitudine; la mente poi e una certa molti- tudine ordinatissima dell' Idee stabile e eterna : la ragione dell' anima, moltitudine di notizie e di argomenti, mobile si ma ordinata ; 1' opinione una moltitudine d' immagini di- sordinate, e mobili: I'unita non solamente unisce le parti deU'anima tra loro, e con tutta I'anima, ma eziandio tutta I'anima unisce con quella unita, ch'e dell' universo cagione; la medesima anima in quanto ella riluce per lo raggio della mente divina, le Idee di tutte le cose per la mente con atto stabile contempera; in quanto ella si rivolge a se medesi- ma, le ragioni universali delle cose considera; in quanto ella risguarda i cor pi, le particolari forme rivolta alia sede deir opinione, e si le immagini delle cose mobili ricevute pe' sensi ; in quanto ella declina totalmente alia materia, usa la natura per istrumento col quale muove essa materia e formala, onde le generazioni, e gli augumenti, e i contrarii loro procedono. Innanzi dunque che la mente da Dio rice- vesse le Idee, a lui si accosto, e avanti che si accostasse era la fiamma accesa di quello appetito del buono, e del bello cotanto perfetto nella sua essenza, e prima che si accen- desse aveva il divino raggio ricevuto per conoscere la per- fezione di se stesso; e anzi che si fatto splendore lo suo in- tendimento illuminasse, gia esso desiderio ardente al riguar- damento di lui medesimo si era rivolto : ora, come dice Ficino, il primo voltamento a Dio del divino intelletto e '1 nascimento d'Amore; la grazia poi del mondo Ideale la bellezza si e perfetta, primo raggio della Divina bonta, alia quale di pre- 392 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE sente che amore fu nato, tir6 o rapi tutte le forme a quel lame, onde il me' che si potea in questo mondo visibile im- presse restassero, e adorne ; per si fatta maniera traendola fuori della confusione del Gaos ; che impero fa saggiamente creduto per entro al Caos essere stato locate Amore, accio che con la saa yivifica fiamma e fulgidissima si rendesse maneggiabile la materia corporea e dura, alia perfezione conducendola di si bell' opera, e si perche le tenebre da lei discacciasse, e riducessela a quell' armonia e a quell' ordine che fa essere 1' uni verso opera degna di chi 1' ha fatto. Ch'fe egli altro dunque questo amore secondo Platone, se non quell' auima universale, o la porzione primaria e piu perfetta di essa, ch' e's'immagina dalla natura del Medesimo avere avuto suo cominciamento, e poi a intenzione di farla confacevole e attiva a siffatte operazioni, diramarsi nel Di- verse? Laonde della natura di questo e di quelle essere stata insiememente composta; impercio te la veste della luce corporea, la quale e' cre6 innanzi a ogni cosa del mondo, come si e detto : di maniera che ben puo dirsi 1' anima del mondo platonico non essere salvo che amore, cioe a dire quell' appetite universale, quel caldo vivifico disseminate nella natura del tutto, il quale acceso da quell' Amore prime, muove tutte quante le cose alia generazione continua, onde di mano in mano che per la naturale mortalita di tutte le cose inferiori gl' individui periscono, merce di esse amore rifacendosi, conservansi eternalmente le specie lore, e man- tiensi il tutto immortale. E cio voile intendere per mio av- viso Marco Tullio nelle Questioni Accademiche, quando disse: Ex mtmdi ardore motus omnis oritur: is autem ardor non dlieno impulsu, sed sua sponte movetur; animus sit necesse est, ex quo ef- ficitur animantem esse mundum, Eccovi dunque in questo ardore del mondo che anima il mondo, essere chiarissimamente spie- gato amore. Per la qual cosa non a torto s' immagino il di- vine filosofo esserci due Veneri, con esse distinguendo le operazioni intelligibili dalle sensibili in quanto alia fattura dell' universe ; ed esser genitrici di questi due amori, natu- rale e divine; la prima Venere tutta adorna del divine fill- DI ORAZIO EICASOLI RUCELLAI. 393 gore, lo sparge alia seconda Venere; la prima suUe ali del 'prime amore e rapita air in su a riguardare la bellezza di Dio, e cingersi della purita de'suoi raggi; la seconda pi- gliandone, il me' ch'ella puote, suoi vivificanti riflessi, si rivolge alPingiu, colorando con essi, piu al simile che riu- scir le possa, la divina pulcritudine ne'corpi mondani, aiutata a cio da quell' amore, che nell'anima universale risiede, e da gli stimoli alia natura, e per tal via da questa Venere seconda raccolgonsi e trasfondonsi le scintille, che schizzan fuori dal divino fuoco amoroso in tutti i corpi del mondo, i quali per merito di quel lume riescono belli secondo la capacita loro, e accendonsi di un ardentissimo appetite a tutte quante le generazioni; e per tal eflfetto (cotanto alto sail Trimegisto) ch' egli affermo proferirsi dalla voce del Verbo Divino ad ogni e qualunque cosa creata questo co- mandameuto: Germinate, crescete e propagate le universe cose che sono, le quali opere mie sono : col quale fiato amo- roso e benefice impresse nella natura e razionale e irra- zionale gli appetiti del generare e dell' operare secondo suo alto volere. In prova di che Platone nel Convivio esplica cosi: Iddio nel creare il mondo avere innestato in qualunque delle cose da lui create una tale amorosa concupiscenza, che aspi- rando ad una certa simiglianza e congiugnimento venis- sero con simili impulsi propagandosi a conservarsi perpetue : e pitt abbasso seguitando, dice : « Questo gran Dio (intende d' Amore) e cotanto ammirando, si ritrova in tutte quante le cose, che si contengono nell' ampio giro della natura uni- versale, e s' introduce e spargesi per tutte le creature, e umane, e divine, e pero egli e grande, e molta, anzi tutta 1' intera efficacia, in qualunque cosa che sia, ha Amore; » che per tal conto i' appella di poi Padre di tutte le delizie, di tutte quante le piii vaghe leggiadrie e bellezze e avvenenze che dar si possono, e si di tutte le grazie, e di ogni qual- sisia desiderio e generazione ; e in somma 1' adornamento piu perfetto degli uomini e degli Dei, e cio non si ved'egli essere 1' istessa cosa che 1' anima dell' universe, come altresi ne vien dimostrando Apulejo di quest' anima favellando : 394 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE Illam celestem Animam fontem animarum omnium optimam et sapientissimam, virtutem esse genitricem subservire fabricatori Deo? Ora questa Virtu Genitrice puo ella chiamarsi altrimenti che amore? Anzi, per rendere tanto maggiormente palese come per tutte le divine cose e piu alte amore si spande, eccovi citato il Divinissimo Poeta nostro favellando del Pa- radiso : « In questo miro ed angelico templo, Che solo amore e lace lia per confine, » e piu innanzi: « Ricomincio: noi semo usciti fuore Pel maggior corpo al ciel eh' e pura luce; Luce intellettual piena d' amore, Amor di vero ben pien di letizia, Letizia che trascende ognl dolzore. » Di modo che e' si vede e nelle cose naturali e nelle umane, e piu di ogni altro luogo e piu puramente nelle cose divine, essere sparse amore. Imperfetto, — lo ho notato quel che dice Trimegisto che mi ha fatto stupire, e sembrami, ch* e^ sia il crescUe et multiplicate et replete terram secondo la divina favella. Buonaeeorsi, — E pero quando il vero e vero, cioe quelle che ci par vero e veramente vero, gl'ingegni di piu alto acume ci danno sovente dentro eziandio col lume naturale. Ma ritornando a questo Divino Amore, raccogliendo insieme tutto il discorso, puo dirsi che per merito di questo amore primiero, in sentenza di cotanto grand' uomo, tutte le fat- ture deir Universe, accese di si fatte faville, si volgano e amino Dio ; le divisibili alP indivisibility suprema ansiosa- mente aspirando ; le di£ferenti e varie alia simiglianza e uniformita; le discordi all'armonia; le sparse e disgiunte al lore piu desiderabile ricongiugnimento; le multiplici e nume- rabiH alia perfezione dell' uno, cioe a dire conspirano tutte air unita delP Universe, come il simulacro piu perfetto che mostrar si possa a' nostri occhi del mondo divino ; per tal Dl ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 395 modo insomma, anche le cose indefinitamente difformi al Medesimo si chiamano, dal quale tutti i beni innanzi si dipar- tono a fin di spargersi per via di questo nel Diverse, e quindi desiderosamente a quello si studiano di far ritorno, si come a lore unico perfetto e sommo bene, il quale repu- tano tutti quanti i Platonici esser posto nel centre di que- sto circolo universale; dal qual centre tutti i divini raggi si partono, ed a lui si ripercuetone qualunque volta per la colpa degli impedimenti di mezzo, piu e meno materiali e corporei da lore dirittura non si divarino, e altra via pren- dane fuori del giro piu perfetto della ragione. Dafinio, — Qui correrebbe piu bene 1' esempie del Sole constituite, secondo la sentenza Gopernicana, nel mezzo del nestre sistema, che quindi spandende i raggi per tutto illumina piu agevolmente tutte le cose, che per al- tra via. MagioUL — Non impediamo al signer Gioseppe il corse del ragionamento, che e materia melto difficile. Btionaccorsi. — E per cio quanto bene disse Apuleje, cen- siderande anch' egli essere una sfera d' infinita retendit^ V essenza del tutte, nel cui centre risedesse il divine Sole ad illurainamente e vivificamento continue di tutte quanto quello ch' e, e si spandende i raggi di quell' infinite amore alia cemunicaziene de' sue' boni, essi vie piu adoperassero perfettamente, e mineri impedimenti patissere di mane in mane nelle ceso piu vicine a lui, che nelle piu lontane. Cor- pora calestia quanto Deo finitima sunt, tanto ampUus de Deo capere, multoque minus qua ah illis sunt secunda, et ad hcec usque terrena pro intervallorum modo ; ita Deum per omnia permeare ! Magiotti, — Ma Dante, in cui al mio parere si trova ogni cosa, le ci esprime con evidenza grande, e nel prime del Paradise, e poi nel venfcettesimo canto anche meglio: « La gloria di Colui, che tutto move, Per r iiniverso penetra, e risplende In una parte piiif e meno altrove. Nel ciel che piil della sua luce prende ec. » 396 ANTOLOGIA DI COSE INEDITB E poi nel ventottesimo benche e' favelli dell' ordine de' Beati, vien poi alle cose sensibili: 414 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE che vuol dire, come nella mente divina s' accende 1' amore, che volge cioh la intelligenza, la quale ama il suo Crea- tore, e ardendo d^amore da lui si parte e ritorna a lui: il che applica Dante, si come per amoro tiitte le cose create da Dio si partono, e a lui ritornano, a) moto del- I'universo e de' celestiali cerchi dicendo nel Paradise: ^ « £ questo cielo non ha altro dove Che la mente divina, in che s' accende L*amor che il volge e la virtti ch'ei piove. » E dimostra poi che 1' ultimo Cielo sia dall' Empireo com- preso, il quale non e se non luce ed amore, per il quale tutti i movimenti si ordinano de gli altri Cieli, e poi il moto, e )' ordine si regola da tutti gli ordini della natura, il che si ricava dal resto di quel che dice il medesimo Poeta : c Luce ed amor d' un cerchio lui comprende, Si come questo gli altri; e quel precinto Colui che il cinge solamente intende. Non e suo moto per altro distinto; Ma gli altri son misurati da questo, Si come diece da mezzo e da quinto.» Ghe vuol dire, come questo Amore onde arde lo Empireo, senza aver moto da altri che da Dio, mubve qualunque altro moto soprano o inferiore che si dia. E ci6 e egli salvo che quelle operazioni che assegna il divino filosofo air anima del mondo ? Per si fatta dunque ragione, hen confessar si dee che amore sia veramente 1' anima del- r universe. Btwnaccorsi. — Ecco perche ne dice V Areopagita mede- simo : « amore e un cerchio huono, il quale sempre da bene in bene si rivolge; in quanto Iddio e atto di tutte le cose, e quelle aumenta, dicesi bene; in quanto le abbella e fa leg- giadre, dicesi bellezza; si come bene, crea, regge, e provede; si come bello, illumina, e grazia dona loro, e vaghezza. » Luigi, — Gio e appunto quelle ch* i bramava di sapere, in qual modo stessero in Dio e congiugnessersi insieme bonta e bellezza, e che legamento fosse tra loro. DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 415 MagioUL — La bonta infinita di tutte le cose h Iddio solo ; la belta e raggio di Dio sparso in que cerchi che intorno a Dio, come centro loro, si volgono. D Sommo Bene e la so- pra eminente essenza di Dio : il Sommo Bello quel raggio si e che da esso sommo bene rifiilge per lo tutto, penetrante prima nella mente sovrana, quindi nelP anima dell' universe, e nolle altre razionali anime, indi nella natura e nella ma- teria, e la perfezione interna genera quasi sempre la per- fezione di fuori; e pero la Divina bonta la bellezza pro- duce, e si pero la bellezza vera dicesi da' Platonici fiore di bonta; laonde per merito di questa belt^ esteriore T interna bonta alletta ad amare, e qualunque ama la bellezza se- condo il dovere, essa ne conduce gli amanti ad amar la bon- tade; per lo che con giusta ragione da Platone amore si appella (come che in sostanza e' sia desiderio di bellezza), bellissimo, e ottimo, e per cio donatore di tutti i beni a' mortali. Questo raggio, impero, colora in quattro cerchi le spezie di tutte quante le cose. Ecco nella mente divina di- pigne I'Idee, ove il raggio e nel suo piii perfetto vigore; neir anima poi la ragione, nella natura i semi, e nella ma- teria le forme, nolle quali cose esso splendore viene di cer- chio in cerchio dalla sua perfetta luce smontando, ma 1^ dove la divina bonta adopera immediatamente, le cose per- fettissime sono: V Fer6 se 11 caldo amor la chiara vista Delia prima yirtu dispone e SiegDa, Tutta la perfezion quivi s' acquista. » Dimaniera che Iddio e la bellezza, la quale tutte le cose desiderano, come detto si e, e nella cui possessione tutte si abbellano, tutte si contentano, e quindi 1' amore in qua- lunque creatura si accende, concedendo Iddio lume del vero a gli animali razionali, e fuoco di carita, il quale va sem- pre crescendo, come il Poeta stesso : « Lo raggio della grazia, onde s' accende Yerace amore, e che poi cresue amando. » 416 . ANTOLOGIA DI COSE INEDITE E in un altro luogo, ec. « Perch e s' accrescera ci6 che ne dona Di gratuito lame il sommo Bene; Lume che a lui yeder ne condiziona: » il che ci sentiremo dentro di noi adivenire, dove noi andiamo mantenendo vivo col vero amore questo lame della grazia, finche chiamati siamo a lui per goderloci a occhi veggenti. Imperci6 che la perpetua invisibil luce del divino sole sem- pre a tutte le cose con la sua presenza da conforto, vita e perfezione, e dona loro virtu di augumento, e pero Iddio se sopra tutto PUniverso spandere. Zoroastre, se bene ho a mente, pose tre principii del mondo, signori di tre ordini, Iddio, la mente, e ranima, cui rispondono le spezie divine; idea, ragioni e semi. Le Idee da Dio date sono alia mente, perch e esse con la bellezza loro richiamino la mente in Dio; le ragioni in- tomo alia mente, perche elle si conducano per la mente nelFanima, e si addirizzino Tanima alia mente. I semi circa all' anima, impero ch^ mediante V anima passino nella natura, e dalla natura con V ordine e con 1' armooia si richiamino alle operazioni dell' anima. Per lo medesimo ordine poi dalla natura nella materia discendono le forme; ma queste non sono nel filo delle spezie divine, le qaali pure da esse prendono il diritto loro, e con esso T ordine deir anima alP Idee, e per queste all' unita prima si vadano accostando, per quanto esse capaci ne sono. Tale si e il sistema Platonico per cui si coUegano le cose divine ed eterne, con le temporali e sensibili; e quindi da qaesti quattrp circoli riflettono gli splendori della Divina Bellezza che si rivolgono piu o meno lungi al centro ch' e Iddio : e'l primo amore da tali splendori acceso, da moto e atti- tudine a tutte quante ie operazioni dell' universo, o vege- tabili, o sensibili, o razionali ; le Idee, le ragioni, e' semi, che per via di quest' amore, di quest' Anima universale discen- dono nella natura, e secondo il luogo dove discendendo si posano, mutan nome, sono ie cose vere, ma le forme poacia DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 417 de'corpi sono piu tosto ombre delle cose vere. Ora chiun- que queste attentamente rigaarda, puote ammirare ed amar quelle, perche in esse scorge, e riconoscevi il divino fulgore, e per esso sale ad amare Iddio stesso; e come diceste, si- gner Grioseppe, niuno amatore amando si satolla per qua- lunque conseguimento qua tra noi di ogni bellezza che sia, impercio che quel che e' vorrebbe non conseguisce, 1' occulto sapore della Divinita gli amanti non assaggiano, quantun- que ne sentano suavissimo odore, che gli alletta ad amarlo. E cosi per questa fragranza si appetisce il sapore nascoso, ma sovente non sappiamo, ne ravvisiamo in che, che e^ si sia. Quel, fulgore della Divinita che risplende nel corpo bello costrigne gli amanti a stupirsi, e venerare esso corpo come statua di Dio, ancorche e'non si rinvengano in essa del- r originale, e pero non veramente la materia corporea si ama, come di sopra ne avvertiste, ma la divina belt^ che in essa riluce, e vorrebbe Puomo trasformarsi nella cosa amata (dice Marsilio) perche in quelP atto amoroso senza saperlo appetisce di farsi Iddio. Sospirano gli amanti, perche si avveggono di lasciare se medesimi, e non si trasformano in quel che e' vorrebbono; percio che vogliono, e non sanno quel che essi vogliano. Laonde colui che antepone la forma del corpo alia bellezza delP animo, non usa bene la dignita di amore ; conci6 sia cosa che la belta corporale sia splen- dore neir omamento di colori e di linee che agevolmente si cancellano e oscuransi; quella delPanima risplende nella consonanza delle scienze e de' costumi, che sono imitamenti piu al vivo della divina sembianza. Lo splendore del volto divino nelle sopraddette cose e 1' universale della bellezza, I'appetito che a quelle si volge e I'uni versale di amore, e quindi si deriva poi il particolare amore a particolar bellezza, la quale nella convenienza deUe parti con esso i nostri occhi, che la mirano in un modo a questo, e in un mode a quelle consiste, e nella approvazione che da noi se ne fa col de- siderarne V acquisto, nasce il particolare amore, che per ci6 scambiano tal volta gli uomini, se non ci badano diligente- mente, o che non abbiano le vere seste ne gli occhi lore, 97 418 ANT0L06U DI COSE INEPITE la bellezza vera dalla falsa, e '1 riflesso dal lame. Per lo che Delia mente delF uomo e situato da Dio un eterno amore di vedere e godere F universale beltk, e con esso gli stimoU della particolare, sed essa non ci abbarbaglia i sensi, ci moviamo alle virtu e appetiamo la sapienza, che sono i pin be' ritratti di Dio e di piu perfetta maniera. Per guisa che Platone, nell'Epistola al Re Dionisio : « L' animo dell' Uomo desidera intendere le cose divine, riguardando in qneUe che a lui sono piu propinque, e a tal cagione amore se- condo lui e interpetre e mezzano per far trasvolare le umane alle divine cose, e far discendere le divine a noi; » il che amava meglio Cicerone dicendo: maltAerim divina aA nos, e quindi con somma ragione appellasi amore un mezzo tra le cose mortali e le immortali. II raggio di qualunque bel- lezza (come bellezza e\V e) discende innanzi da Dio, poi trapassa nella mente, e neir intelligenza, e quindi nell* anima, come per materia di vetro, e dall^ anima passa nel corpo, preparato a ricevere tal raggio, e da esso corpo formoso trainee fuori massime per gli occhi come per trasparenti fine- stre, e da essi penetrando negli occhi, che in quelli riscon- trano, per quegli ferisce V anima e acceudevi lo appetite, e r anima ferita, e P appetito acceso ne induce a bramare il refrigerio, c ci6 ottiene qualunque volta il ricondace a quel- le alto luogo, onde il primo raggio discese pe' gradi del corpo della cosa bella ed amata alia bellezza dell' anima di essa cosa amata, di poi alia mente e alU Idea di quella, e in ul- timo a Dio, ch'e lo splendor primario, e Pe tutto insieme di ogni bello che sia. E per quale altra cagione hanno piu forza gli occhi di accendere i cuori, che le altre belle fat- tezze deWolti, se non perche amore che nasce in ciascuno h invitato a penetrare fin entro alle bellezze dell' anima, e qaindi risalire a Dio, e non terminare lo appetito sola- mente nella superficie corporea? Udite il Petrarca com'e'fa- vella quando e'ragiona de gli occhi: « P«r divina bellezza indarno mira Chi g\i occhi di costei gia mai non vide Gome soayemente ella gli gira.» DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 419 E nelle canzoni Degli Occhi: « Gontar porria quel che le due divine Luci sentir mi fanno. » E nell^ ultima : e quel che segue, sempre discorrendo sopra gli effetti am-^ mirabili di questo Giove per lo giovamento e beneficenza ch' e' rende al tutto, ma per via di questo amore di que- st' anima dell'universo; laonde amore, ch'e della sostanza di Griove, e Dio anch'esso, o e il fiore, e il lume piu puro dell' anima, o e T anima stessa del mondo, la quale ordina, 424 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE unisce, e mantiene immortale la natura delle cose mortali, perche per se morendo tutte, sua merce tutte si ringiovani- scono e si si risuscitano ; cosi per virtu di quest' anima univer- sale, dico di questo ferventissimo amore dal Medesimo, cioe dal sommo bene^ tanti bem al Diverso comunicabili si fanno, e quindi al Medesimo con armonici numeri si riconcatenano, e dal Medesimo via via nel Di verso, e dal Diverso nel Mede- simo, con perpetua amorosa circolazione ritornano, e percio o r anima del mondo e ripiena di amore, o T amore e r anima egli del mondo, come mirabilmente disse Torquato Tasso, in quel suo sonetto esplicando in pochi versi quasi tutta la nostra dottrina. « Amore alma e del mondo amore h mente Che volge in ciel per corso obliquo il sole, E degli erranti Dei Palte carole Bende al celeste suon veloci o lento. L^aria, ]' acqua, la terra, il foco ardente Misto a' gran membri dellMmmensa mole Nudre il suo spirto, e s' uom s' allegra, o duole Ei n' e cagiono, o speri anco o pavente. Pur, benche tutto crei, tutto governi E per tutto risplenda, e 'n tutto spiri, Fiti spiega in noi di sua possanza Amore; E, disdegnando i cerchi alti, e supemi, Fosto ha la reggia sua ne* dolci giri Be* bei nostri occhi, e '1 tempio ha nel mio core. » Amore e dunque esso 1' anima dell' universo, perche qua- lunque desiderio che si accende in tutte quante le crea- ture di ogni sorta ch' elle si sieno, quale appetito che sia il quale regna nel tutto e nelle sue parti e si nelle specie e negli individui del mondo, ha suo primo impulso da quelle incentivo sovrano che ci muove ed eccita al godimento del buono perfetto, conciosiacosa che tutti i beni comparativi, che veramente beni sono, dal superlativo del sommo bene ne piovono sopra di noi; e se gli appetiti nostri si smoderano, e pigliano i mali per beni, cio non da amore, che non erra nel suo fine, ma nasce da noi, e dalla nostra imperfetta e cieca natura, i quali scompigliando co' fiati delle disordiaate DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 425 passioni quelle faville, te le deviano dal vero riflesso loro, cioe dal diritto incamminamento al lor bene, onde sfavilla- rono da prima, scambiandolo col falso bene, che bene ci rassembra, impercio che noi non sappiamo alzarci dalle ter- rene cose, ed in queste fermando il pensiero non come mali, ma siccome beni gli bramiamo. M' immagino ch' e' vi paia esserci noi troppo distesamente dilungati dal filo ; ma se amore e veramente I'Anima dell' Universo, o Fanima di quest' anima, sara stata simile proposizione parte princi- pale, e molto ben fondata, e non digressione dell' incomin- ciato ragionamento. Imperfetto, — Ora che ne dite: non vi par'egli che il concetto di quest' Anima universale, di questo amore, che da moto, regge, e mantiene, e ordina il tutto, e riscalda di esso le parti, e svegliale a gli appetiti delle generazioni, e della conservazione di tutte le spezie, e dell' universo medesimo, sia una cosa in tutto e per tutto al divino spirito somiglievole, del quale poco fa discorse si altamente il nostro Magiotti ? MagioUu — E quello che ha proferito con si sovrano ra- gionamento il signor Gioseppe, e spezialmente la difinizione cotanto sottile ed arguta ch'egli ha seco medesimo pen- sato intorno alia differenza che dar si possa tra questo amore, e 1' anima del mondo, quanto perfettamente si adatta al divino spirito! poiche (diss'egli) che credeva poter es- sere per awentura questo amore quella porzione del- 1' Anima Platonica, solamente nel Medesimo consistente, e il fiore per cosi dire di essa Anima. Ora se Platone non imbrat- tasse per un certo modo la sua anima con esso il componi- mento del Diverso, mala facesse essere perl'appunto questo amore del Medesimo solamente fatto, che ci averebb'egli da ridire, perche e' non fosse tutt' una col nostro divino spirito dispensatore per 1' universo tutto, e a tutti gli ordini delle Creature, delle celestiali grazie e degli aiuti soprani ? Quanto poco e mancato a Platone a non dir tutto vero? Dafinio, — A questo modo Platone con altri vocaboli avra quasi senza errare intesa e espostane la Trinity ; se e' 1' ha fatto per proprio lume, ell' e intelligenza piu che da uomo. 426 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE MagiotH, — E intelligenza certo piu che da nomo, e da non potersi intendere salvo cbe su '1 fondamento del cre- dere, e chi presume piii oltre e matto, come disse il nostro Dante: Puossi egli dir piu? Ma e' non sep- pero perfezionare questi Platonici il concetto intero delle tre persone e un solo Iddio, nel modo, ch' «lle sono, imper- cio che, come bene osserva il cardinale Bessarione, seppe Plato ne riconoscere Iddio come la prima mente, e il suo divino intellotto colmo delle Idee, che tanto si ^ a dire la sua infinita sapienza, siccome figliolo seco coetemo ed ngaale, e come della medesima natura chiam5 la divina sostanza col vocabolo del Medesimo e dell'uno. Ma non giunse poi a far rassomigliare tanto cbe basti Y anima deir universo al divino spirito, facendola staccare si dalla sustanza del Medesimo ; ma rinvolgendola nel Diverso con le sensibili cose e corporee, te la permiscbi5 nel suo componimento, e per- cio riconobbela come inferiore e non uguale a Dio, e al suo Divino intelletto; e questo impercio cbe tra due cose tra se per si grande intervallo distanti, e di disuguaglianza infinita, reputo convenirci, per necessita, de^mezzi, n^ potette capire che la Divinitli pura ed intera tra le cose corpo- rali e sensibili a mescolare si avesse, cotanto tra se diffe- renti e lontane, senza patire macchia o difetto, e percio stimo r anima composta dell' uno e delP altro, accio che fosse mezzana per traportare la ragione ad armon^zzare e perfezionare si vasto ed alto edificio, e non trapasso a conoscere che la purita, semplicita e chiarezza perfetta, quale ella e in Dio, non teme ombra, o contaminamento da veruna cosa che sia. Periculum status sui Deo nuUum est, disse Tertulliano. Buonaccorsi. — V noto che Ermete si approssima alia verita nostra piii che cioe a dire dell' essere divino, e della TrinitJi delle persone. Imperfetto, — E' mi sowiene di un altro luogo di Dante, nel Paradiso, che mi pare piii bello^ e ch' esprima bene, e nel quale discorrendo della Trinitib specifica in ultimo lo Spirito Santo: « Nella profonda e chiara snsslstenza Dell* alto lume parremi tre giri Di tre colon e d'una contenenza: DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 429 E run dairaltro, come Iri da Iri, Parea reflesso, e il terzo parea fuoco Che quinci e qaindi egualmente si spiri. » Con esso il ben fondato appoggio della fede, che si con- tenta di non intendere quel che ella crede, possonsi dire cose altissime intorno ietlla Trinita ; ma gli altri che fon- dano il loro sapere tutto su lo intendere, salgano pure in su quanto si vogliano, che ognun di loro in qualche parte vacilla; impercio che non ha si gran seno la nostra com- prensione. MagioUL — E di qui nasce, che Trimegisto piglia equi- voco, e non si dichiara bene in quel suo elevatissimo pre- supposto, e Platone non resta capace che un Dio possa adoperare nella materia senza termini di mezzo alPuno e all^ altra in gran parte confacevoli ; laonde e^ s^ immagina quest' anima composta del Medesimo e del Diverso, e sva- ria dalla verita, che in noi s^innesta per grazia e per merito della fede. Imperfetto, — Ma che vuol dire che la Genesi ancora mette che Iddio spendesse sei giorni neUa creazione dell' Universo, e il settimo si riposasse? II tempo, come pure detto avete, non s' incominci6 egli a computare dopo la creazione, cioe a dire I'ordine successivo de' giorni, de' mesi e degli anni, la cui misura sono le revoluzioni quotidiane del Sole? e poi sempre sete venuto affermando per cosa indubitabile che Iddio onnipotente non abbia mestieri di distinzione di tempi, e di differenze, e di atti nel suo adoperare, contrario a quelle che pone il Timeo. BuonaccorsL — Iddio con sua onnipotente mano opera in uno istante, dico col suo Verbo onnipotente nel modo che ne avvertisce Trimegisto scrivendo a Tazio, che il sommo Architettore col Verbo, non con le mani, ha fabbricato il mondo. II suo Verbo dunque con un atto solo indivisibile per5 e' fa tutto. Imperfetto. — Ora dunque che cosa vuol' ella dire la Ge- nesi cental divisione di giorni, che suppongono atti diversi? Ella ne pone pure una verita infallibile ? E poi dice che Iddio 430 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE si riposasse: puo capire in un Dio la fatica, la lassezza e perci5 V aver uopo di quieto ? Saracci sotto qualche mistero. Buonaccorsi. — Cio dice la Scrittura, non perche Dio operi con atti distinti, ma perche delP ubo de gli atti distinti ab- bisogniamo noi a fine d' intendere una operazione individua e cotanto immensa di un Dio ; e pero la Scrittura, e per av- ventura Dio medesimo nella creazione del mondo, e del tempo, si accomodo al nostro modo, e alle misure che ca- piamo noi. Dafinio, — Ancbe Platone e Trimegisto V avran detto pel medesimo fine, non perche e' non avesse a sapere quali sono le alte condizioni dell' onnipotenza divina, e per tale effetto le assegnasse le nostre a farci intendere il suo mo' di operare. Magiotti. — Non dico ch' e' non possa essere, ma e' non e in verun conto vcrisimile, che alcuno che sia aggiugnesse a quello che si arriva solamente con la iidata scorta della grazia e del lume divino, che per Y acquisto di una tal ye- rita dona Iddio a suo' fedeli solamente, e non si puo gia mai acquistare per natura, o per istudio. £' giunse pur troppo innanzi col barlume del suo acutissimo ingegno; ma non potette, ne seppe dare il suo legittimo e giusto peso alia divina onnipotenza, e per quanto e' si alzasse con le misure, non seppe interamente uscire dalle nostre bilancie; e pero ne parla il filosofo nostro come s' ella avesse biso- gno di un' operatrice sotto di lei a fare andare con ordine il mondo, e farlo vivere vita perpetua, quasi Iddio disa- giare si avesse, e partirsi da suo sovrano seggio, quando dovesse adoprare da se, ne gli bastasse il vigore del suo divino sermone quando disse per stabilir di pianta in un attimo I'Universo intero, si come e'fe', e si farlo cam- minare con ragione in virtu di quell' editto irrevocabile che e impermutabile legge ed eterna della sua volonta. Cam- bise, Xerse e Dario, come considera Apulejo, standosene come serrati in un Tempio nella Citta capitale de' loro reami a render co' popoli piu venerabile la loro maestli, e piu sti' mabile e autorevoie la loro potenza, faceano abbidire pron- DI ORAZIO BICASOLI RUCELLAI. 431 tamente, e senza disdetta veruna le leggi loro per Tam- piezza de'lor dominj. E Filippo Secondo Re di Spagna ne' tempi modemi usava dire, che dalP Escuriale governava piu d^un mondo; ed hassi a dabitare se un Dio immobile e perfetto per sua natura possa, senza muoversi, con an volger di ciglio reggere e moderare il governo delP Universo? Se con un tocco di tromba una moltitudine ne gli eserciti di presente, ciascuno per ciascuno, si mette all' opera di quello gli si appartiene obbedendo, senza scattare punto a gli or- dini del loro generale, e pure le leggi de gli uomini imper- fette sono e mutabili a capriccio dei Principi, e o per ribel- lione de'popoli alterar si possono, o perche non da tutti s' intendano ; e la voce sonora della Divina parola non si ha da udire per tutto e' suoi decreti, e le sue leggi che non variano, e che sono di infinita luce e chiarezza, come affer- mano i sacri proverbi : mandatum Domini lucema est, et lex lux, 6 per cio etemi sono, n^ patir possono alterazione o dubbiezza ; hassi a mettere in disputa s' essi s' odano a un tratto per tutto, e non si esegyiscano dalla natura e da tutte le minime parti del tutto, senza ch'egli si abbia a muovere dal suo altissimo Trono per farle eseguire ? e che perci6 se gli convenga assegnare un' altra cosa, che se, per ministro subordinato, come si e V anima del mondo, accio che ella vada ad ogni minima particella di esso portandole gli ordini ec? Iddio strabondevole di forze e di potenza, di augustissima specie, Genitore delP immortalita e la virtu stessa di tutte quante le virtu, la cui legge sola h perfetta, e impermutabile, per cui tutti quanti i semi fanno le spe- cial! operazioni loro nelle nature diverse di tutte le cose ; e i Cieli, e gli Orbi, e i pianeti e tante altre stelle, con le loro speciali revoluzioni si volgono per la medesima con tanto ordine, e regola bene armonizzata e distinta? Non perche dunque Iddio fosse bisognevole di tempi e di atti diversi, ma a maggiore intelligenza nostra, la Sacra Scrittura di- vise in piu atti un atto solo del divino adoprare^ e in piu tempi la sua operazione instantanea, dicendo che Iddio e il suo alto intendimento conobbe di far cosa buona, e co«- 432 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE nosciutala delibero con esso la volont^, e deliberatala col suo Verbo e col suo spirito fece il mondo, cosa per cosa, nella divina settimana per fame capaci i mortali, che cio dovean credere, e non erano atti ad intendere, essendo ne- cessarie si fatte misure a noi per capire quel che non e da noi. Dafinio. — Tant' h, io non ^ni rinvengo per qual ragione noi abbiamo da a£fermare che Platone non Tabbia fatto al medesimo fine, con diverso modo dal nostro. Magiatti. — No, perche ne il filosofo, ancor che Divino vera- mente chiamar si debba, parlando cose che il tacere e bello, non poteva senza lume soprannaturale, onde ha privilegiato solamente i suoi fedeli la Divina prowidenza^ per quanto e' si sollevasse alle piu alte cime, non poteva mai, dico, si a dentro penetrare, come noi facciamo con la fede, nella co- gnizione imperscrutabile della divina onnipotenza ; e si cam- minava, e vi saliva tentoni, e non era atto a spiccare nn volo sicuro si come riesce a noi illustrati da si chiaro fiil- gore. E poi Platone non averebbe formata Tanima infe- riore, come si h detto, rendendone per ragione ch'ella do- vesse mescolarsi dove non conveniva si permischiasse Iddio, e perche in somma non capiva benissimo qnello che vera- mente fosse Iddio; imper6 egli reputo necessaria qnesta anima fatta si da Dio^ ma disseparata da lui per la forma* zione del mondo, non potendo rimaner capace che la so- vrana parity della divina essenza dovesse mettersi in risico di macolarsi in fra le cose nostre inferiori, e cio e impossibile scorgere cosi per V appnnto il vero, si come egli e ancora che dinanzi a gli occhi de^ mortali se ne spanda il lustro ed una vivace splendenza. Dafinio, — Se Apulejo T intend' egli, perche tal cosa di una onnipotenza assoluta di Dio non Fha da capire Pla- tone ingegno divino? Buonaccorsi, — E per questo convien confessare che ana si ampia materia, a si alta, che si distende in vie piii largo, DI ORAZIO RICASDLI RUCELLAI. 433 ed immenso spazio, ohe il seno non e delle menti nostre, avendo colmo, per grande e spazioso ch' (b' fosse, quello del nostro divino filosofo, nel volerlo abbracciare e comprendere UQ tal concetto tutto insieme, e ben verisimile che glie ne scappasse fuori qualche particella, ancor che atta ad ogni capacita, introducendovela sola, nel mpdo che poche goc- ciole di acqua son quelle che fanno traboccare il vaso quando egli e gia pieno; e pero ne prese la vasta mente Platonica quanto ella poteva di si larga e strabondevole e infinita materia; ma perche essa mente era finita, non la potette capire e rattener tutta ; o si pure egli e ragionevole di cre- dere, ch' egli avesse lette e studiate le sacre pagine di si alta proposizione, e per farsela sua fosse constretto a mutar qualcosa, e mutasse questo; e Apulejo disse quello, e si abbatte a dire il vero, ma non giunse poi tant^oltre a un gran pezzo quanto Platone, e il meglio 11 tolse da lui. Imperfetto, — Egli e certo che la verita si fa lume da Be, ma e cosi grande e cosi lucido ^ suo spandimento, ch' ella ne abbaglia. Sant^ Agostino non die* egli discorrendo sopra quel luogo del Vangelo: per Verhum Dei facta sunt omnia, in questa maniera ? Inveniuntur ista et in libris Philosophorum, et quia unigenitum habet Deus per quern facta sunt omnia, illud potuerunt videre quid est^ sed viderunt de longe. MagiottL — Anzi, tutto il contrario, impercioche per qual maniera ci6 sia, o ch* e* se 1' abbia immaginata da se, o no, e* s* h approssimato col suo falso tanto innanzi al vero, che piu tosto si pu5 dire ch' e' si tocchino V un V altro con un sottilissimo confine. Ita .... finitima sunt falsa veris, disse Marco TuUio; e Dante: € Cos! parlar conviensi al vostro ingegno, Perocche solo da sensato apprende Ci6 che fa poscia d' intelletto degno. > E pill abbasso: lo fo dunque conto che il moto non sia altro che questo, e pero secondo il declive che le cose incontrano, per varie sorte di canali e secondo le forze e le resistenze in che elle si awengano, V una a petto all'altra, nasconne tante varieta di moti nella natura, e air insu, e all' ingiu, e pe' lati, e non V ho per cosa sopran- naturale, e che quindi poi ne vengano gV impulsi alle sensibili cose : ma egli e che noi altri uomini abbiamo questo mode di fare, che quando noi non giunghiamo a intendere una cosa, o noi siamo cotanto temerarj che, perch6 noi non V in- tendiamo, la neghiamo ; o tanto facili, che le assegniamo nna cagione sopra naturale, senza sapere quelche ella si sia per quietarci nella nostra insaziabile curiositade ; tratto di cote- ste cose del moto, perche in che modo stieno i movimenti delP anima imraortale e di sovrana fattura, ancor che io vi opponga per mantenere il discorso, e investigare meglio il vero; io so e credo quel che io debbo credere; ma che da noi si possa giugnere col nostro intendere per le vie cbe voi fate, oh ! questo io T ho quasi per impossibile. MagioUi. — Ma quando fosse quel che voi dite, pur ci vorrebbe un geometra perfettissimo, e sopra le cose nostre inferior!, il quale avesse saputo con sopra natural maestria fabbricare e situare questi canali e queste vie col loro debito declive maggiore, o minore, e posto a^ lor luoghi si ordina- DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 439 tamente, e dato a tutte le variety degli umori che vi deb- bono scorrere, i lor varj pesi a ragione, come non solamente nell' universe, ma anche nel microscomo camminar si veg- gono tutte quante le cose con ordine, e proporzibne, e tanti moti di vita non cessar mai finche e^n6n si muore. Ma pure dope morte finiscono, avvegnache i canali iie' cadaveri si scorgano interi, e non guasti, e gli umori vi si ritrovino ; ma perduto il raoto, adunque, questi movimenti maravigliosi non hanno 1' impulso loro dal declive, quantunque forse il declive gli agevoli loro, e ne apra loro le vie ; e pero e' convien cre- dere cbe r anima abbia sospinta, e con altra forza sospinga e muova le cose, che con quella cbe voi dite ; e s' ella venisse d* onde voi mi date ad intendere, le maestranze apparec- cbiate con ordine, e con regola cotanto eaatta, non sarieno da cagione corporea, ma da cagione intellettuale e divina, cb' e principio universale di moto, perch' essa e quella che adatta si maravigliosamente e dispone le cose a pigliare il moto ed operare con tant^ proporzione e virtu. Bafinio. — Anche le anime vegetative, e le sensitive ave- ranno a vostra detta il loro movimento da Dio. Adunque anch* esse immortali saranno ? Magiotti. — In sentenza platonica (contradicendo per6 in qualche piccola parte a Platone) egli e assai agevole a sopire la vostra dificult^, impercio che si come le anime razionali adoperano in virtu di quel moto, vita, e azione, innestato dal Supremo Arteiice per entro la sustanza loro perfetta, intera e incorporea per impulso di forza infinita; cosi il moto loro (come detto si e) e si la vita e 1' azione loro viene a essere perpetua e immortale ; ma nell' anime irrazionali, le quali pare che Platone abbia anch' esse per immortali, nulla di meno, ancor che mortali elle sieno, il lor moto, la lor vita, e la loro azione dall' anima univer- sale riceve lo impulso, il quale compone in quelle 1' azione con quelle ordinaraento cb' esso moto ritrova addirsi alia disposizione varia de' temperamenti e degli organi che hanno da muoversi; onde o la vegetabilit^ sola ne resulta, o la sensibilita con esso la vegetabilita insieme congiunta; 440 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE imperocche esso movimento delF anima universale da sospinta alia disposizione delle parti official! de^ corpi, e inducevi la vegetazione, e^ sensi per il modo che noi veggiamo ; e que- 8ta puo cbiamarsi sustanza mliteriale, e corporea, perche quest' anima vegetabile, e sensibile, non e anima da s^ senza essi organi, e disposizioni che concorrono insieme all' azione 6 alia vita, e mancando e morendo gli individui, e disfacen- dosi la struttura de gli organi loro, esso moto, e azione, cbe ha Purto si bene ordinato dalla ragione e dal movi- mento dell' anima del mondo, finisce di esser anima propria, e rimane nell'universale componimento dell'anima del mondo. Ma ne anche ^ difficile il rispondervi nella vera nostra dot- trina: impercio che l6 anime razionali ricevono I'impres- sione de'moti loro dalla forza infinita della mano divina, quando ella le crea sustanziali, e incorporee, allor che finito di fare il feto, informano il suo corpo, e perche il moto, la vita^ e le azioni loro sono totalmente nell' anima, e dalla disposizione di esse membra organali anzi ricevono impe- din^ento e contradizione, che sveltezza e sussidio a' lor moti divini. Essa anima e anima ancorche fuori de' corpi, ed ha fuori di essi piu libera 1' azione, il moto, e la vita; e percio, anche morendo i corpi, ella vive immortale. Le anime ve- getative poi, e )o sensibili corporee sono si come detto si e; concio sia che la parte della vita e dell' azione loro consiste nell' attitudine e positura corporale organica, e ne' temperament! varj degli umori composti insieme, e parte nel moto, il quale avvenendosi in esso corpo e disposizione atta a riceverlo, tra '1 temperamento degli umori, tra la disposizione degli organi, essi corpi ottengono le azioni loro per un modo o per 1' altro dal moto assegnato alia natura da Dio ; e percio esse anime per tal maniera ricevon potenza di vivere le vite loro ; delle cui vite e Tesoriera la madre natura per compartirle di raano in mano alle nascenti cose, e succe- denti V una dopo 1' altra in perpetuo. fi impero che questo moto, che s' infonde ne' corpi dal ventre della terra, ond' egU esce, e dagl' impulsi delle operazioni natural!, e fuoco, e aere, e umidore ne mena seco, e con fluidezza e agib'ta indicibile DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 441 per essi organ! discorrendo in varie guise, rende vivificazione continua e accrescimento nelle vegetabili creature, e un ecci- tamento di senso nelle sensibili, per quel sovrano modo che da noi non s^ intende ; ed essendo esse anime e formandosi per loro un componiiuento di corpicelli, e un temperamento cor- poreo che le racchiude; corporali e materiali si chiamano, perche per se nulla non sono senz' essi corpicelli bene accor- dati a ricevere il moto nel corpo maggiore dell' individuo. Buonaccorsi, — Quel che mi fa maravigliare si e, come Yoi abbiate a mente tanti e si be' luoghi trovati anche negli autori di piu credito gentili ; ma a maggior miracolo della sapienza, e contemplazione di quell* uomo esimio di Socrate, se ne leggono molti, e n^* Apologia^ e nel Fedone, e non solo per r immortality dell' anima, ma si e avanzato lino a far conoscere la necessita del Purgatorio, e del Paradiso, e deir Inferno ; e avvegna che con qualche differenza da quel che veramente e' sono, pure ebbe talento da conoscergli ; e come che piii e piu altri ne abbiano scritto con favolose invenzioni, Socrate ne ha favellato da senno nel punto della sua morte, aUor che da ognuno e'si dice il vero, e che lo intelletto non va vagando dietro a favole finte. lo so che questi sono luoghi letti, riletti, e considerati da tutti noi piu e piu volte, ma toman si bene al nostro proposito, ch' egli e ragionevole di replicargli ; ed io me ne piglio Tassunto, e vovegli tutti recitare da capo per maggiore autentica di quelle che ha ragionato si dottamente Don Raffaello sin'ora. Ascoltatemi, dunque, vi prego, che io vo'contarvi cio che viene ragionando nel Fedone con sin- golare e sagacissima saviezza, per rendere s^ medesimo per- suaso dell' immortalita dell' anima in quell' ultimo punto ch'egli era su il morire, assegnando all' anime de gli uomini luoghi appropriati secondo i meriti fabbricatisi nella vita di qua; seutite di grazia. 442 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE Ei si fignra qnesta terra non avere il colmo piii alto della sua sfera in questa superficie, dove ditnoriamo noi ; anzi noi, e tutti quanti gli altri sog^ornare nelle cavitk della ten*a, e tale essere queste regioni, dove noi abitiamo, imper- ci6 che e' si fa a credere la vera, nobile e piu pnra super- ficie, 6 sommita di essa, sopra di quella esser locata, che da noi chiamasi atmosfera ; anzi piu in su che 1' aere non e ne'confini del cielo; verbigrazia (che so io?) in quella puris- sima e lucidissima sostan^a che etere si appella; e di quag- giu da questa bassa parte dove noi stiamo, veggendosi il Sole e gli astri, si come anche in questi bassi paesi tante belle e maravigliose fatture isguardando variate con tanti e si diversi colori, che in queste nostre abitazioni si perfette ci paiono, niuna di loro aver che fare con le piu eccelse ch' e' si vien figurando lassu, ed essere queste imperfettis- sime e impurissime in agguaglio di quelle, che si vedreb- bero da chiunque si potesse fermare su Tali in que'su- perni luoghi, ed ivi mirasse quelle onde son ricavate queste, che scorgerebbe e quelle di 'tal sorta, e piu altre stupende manifatture, e lumi, e colori, oltre ad ogni comparazione beUissimi sopra qualunque di queste, che corrono agli occhi di noi altri mortali abitanti in si fatte concavitadi. £ cio con molta maggior differenza di quel che si facessero i Pesci dal fondo del mare, i quali per entro quelle arene e panta- nose caverne, non avendo volo da alzarsi su la superficie deir acque, ne vita da reggervi, mirano i raggi del Sole e delle steUe penetranti giu per lo filo dell' onde tutti an- nacquati, e adombrati, e confusi; laonde per cio sMmmagi- nassero di simiglievole maniera essere veramente le stelle, e il Sole, quali eglino le scorgono di colaggiu ; cosi e a noi, che non avendo piurae da travolare sopra quelP etere, abba- cinati standocene entro V umidore grossolano di questi vapori, ci crediamo la luce del Sole e le altre cose belle, che lassti scintillano^ non essere piu leggiadre e piu vaghe di quel che a noi e conceduto di scernerle. In quelle altissime piagge, adunque, e le piante, e tutti quanti i germogli, e le cose animate, reputa che ivi sieno di somma perfezione e DI ORAZIO RICASOLT RUCETXAI. 443 Don a mutatnenti suggette e a corruzioni in verun conto che sia; e le gemme piii preziose di qua, e' Topazii, e' Ru- bini, e'Diamanti stessi, e le Perle, e le altre gioje di piii alto pregio, essere la feccia piii impura di quelle che lassii si ritrovano ; e in somma quelle sovrane regioni di si nobili cose essere adorne, e di oro, e di argento, e di altre simi- glianti chiarissime e lucidissime sopra ogni vostro credere e conoscimento, che quivi nascono e piii perfettamente si conservano, per guisa che a vederle e a goderle sia vera- mente uno spettacolo d' incomparabile godimento^ e beati- tudine. Quivi trovarsi e Paesi Mediterranei e creature ragio- nevoli, molte di piii schietto intendimento, che qua tra di noi non sono, e di tanto in tanto avervi delP Isole, le quali non lungi poste da terraferma sono circondate dall'aere, conciosia cosa che quello, ch'e a noi e alle nostre Pacqua e '1 mare, a loro essere 1' Etere : e in fine tutto la ritrovarsi temperatissimo, e per le stagioni, e per Taure che vi spi- rano, e vivervi quelle fortunate genti di continuo senza ammalarsi, e forse senza morire. Di piii giudica che vi si scorgano ricchi tempi sacrati a gli Dii. e con esso gli Dei medesimi convivere gli uomini, e conversare domesticamente. Imperfetio. — Mi rassembra che Socrate quasi tenga che tali maravigliose e ragguardevoli regioni sieno i pianeti e gli astri, dove appunto Platone colloca la dimora delP anime, assegnata loro quando da Dio dopo V anima universale si formarono; a'cui beati luoghi le piii pure di continuo dopo lunghe peregrinazioni facciano ritorno. Buonaccorsi. — S' immagina appresso che per entro tutta questa gran terra si trovino innumerabili concavita di luo- ghi circolari, parte piii profondi e parte piii alti, e piii ampi, e parte che abbiano apertura e spazii eziandio minori di quelli, che abbiamo noi, e piii cupi anche de' nostri, e tutti questi incontrarsi sotterra scambievolmente tra loro, con varii andamenti ed uscite ; pe^ quali e grandi acque, dove caldissime, dove freddissime, e voragini, e fiumi di fuochi in varii luoghi di esse sotterranee spelonche muoversi e raggirarsi; e in altre di esse cavity credono che umori fan- 444 ANTOLOGIA DI COSE [NEDITB gosi vi stagnino e sieno menati in giu e in sn ondeggiando, a simiglianza di uno qualcbe gran Taso pensile che si agiti 6 muova. Dopo cio, della maggiore e pin ampla voragine favellando, che \k sotto dimori, la quale per tntta quanta Tampiezza entro terra trapassa e distendesi, mostra che da Omero fa chiamata il Baratro profondo sotto terra, e da molti altri Poeti nominata Tartaro, nel quale tutti i fiumi sotterranei concorrono, e indi si spandono, ed esconne ad innafQare la superficie nostra terrestre in mari, in laghi, in fonti e in fiumi Tarii disseparandosi, e con Faria e co' fiati interiori, come anche col movimento interne di queste acque, formarsene i venti, i turbini, e terremoti, che scao- tono la terra; e di tal sorta di acque tiene parimente che sia Acheronte, e la Palude Acherusia, e la Stigia, e il Piri- flegetonte, e Cocito. Ora essendo per tal maniera disposte si fatte cose, e sopra detti luoghi i morti pervenendo, dove dal suo proprio demone ciascnno si conduce, quivi innanzi a ogni cosa giudicati sono secondo loro meriti, o demeriti di chi visse onestamente, e con dirittura di ragione, o di chi fe' il contrario. Coloro, che tennero, vivendo, una mez- zana via, valicando Acheronte sopra alcuni carri, perven- gono alia Palude Acherusia, e quivi si purgano dalle colpe loro, pene patendo pari aUor falli. Purificati poscia^ asso- luti rimangono, e ciascun di loro a proporzione delle opere buone e lodevoli ne riportano condegna mercede. Ma queUi i quali nella malattia e putredine delle enormita de' delitti di varie sorte insanabili sono, precipitano nel Tartaro, d'onde mai non ritornano. Alcuni poi, che peccati avranno com- messo curabili, ma grandi, per essere prima venuti a pen- timento, caderanno si nel Tartaro, e condannati sarannovi per un anno o piu ; ma poi da quell' onde gittati fuori^ quali per lo Gocito, come i micidiali, quaU per lo Piriflegetonte, come i violatori del Padre e della Madre, solamente che pen- titi e' ne fieno, vengono a galla su la Palude Acherusia, di dove chiamano ad alta voce, stridendo, que^ tali che gli hanno o£fesi, e pregangli a lasciargli varcar la Palude, ed essere da' lor castighi prosciolti ; il che se ottengono, pongono fine DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 445 a' lor mali; quando che no, nel Tartaro rigettati sono, si dura pena imponendo loro i Giudici. Ma gli uomini pii e giusti trasvolano a piu alte regioni, abitando quelle beate Provincie, e purissime, che abbiam detto starsi cotanto sopra terra; e parimente quelli, che avendo in molte loro opere fallito, si sieno dipoi sufficiente- mente purgati per mezzo della filosofia, essi pure senza corpi vivendo, hanno ottenuto in sorte dimore anche piii belle delle sopramentovate, le cui maravigliose bellezze non e facile ad uomo di dimostrare : « e pero (dice Socrate) deesi, o Simmia, porre ogni studio in questa vita e conseguir la virtu, e la sapienza, perciocche bellissimo e 'I premio e di gran cose si e la speranza, Che poi esse, che contate vi ho, sieno a punto in si fatta maniera, non e da uomo di senno r affermarlo : nulla di meno si convien credere, o che tali elle sieno intorno alle anime nostre e all* abitazioni loro, o ad esse simiglianti; e conciosia cosa che egli appaja con tanta verisimilitadine che le anime nostre sieno immortali, mette conto correre un si bel risico. Egli e adunque ragio- nevole munirsi ed allestirsi a questa peregrinazione, ed abbellirsi delli ornamenti della virtu, cioe della temperanza, della giustizia, della fortezza, della liberty dell'anima, e della scienza della verita, aspettando il tempo ed apparec- chiandosi per essere pronto quando ne chiami il fato.» Di si fatte considerazioni sopra V anima immortale, e sopra sue degne prerogative aveva poco innanzi Socrate per tal modo ragionato, quantunque non con certezza indubitabile di affer- mativa, siccome colui che per altissima immaginazione natu- rale, e non per divino soccorso di fede ne favellava ; diceva bene, che tutto quello, il quale intorno a ci5 si discorre, saria di animo troppo debole e pigro chiunque sottilmente non V esaminasse, o repudiasselo, e da esso si dipartisse senz' avere innanzi, con ogni acutezza di ragione, adoperati tutti i pesi piu legittimi de gli argomenti, e badatoci ben bene fino all' ultimo sforzo del nostro intendere. « Impercio- ch6 (segue poi) fa di mestieri I'una delle due, o apprendere in qual modo elle possano essere, o rinvenirne totalmente 446 ANTOLOaiA DI COSE INEDITE il vero, e dove qaesto conseguir non si possa, appoggiarsi ad una delle pin forti e piu stabili ragioni umane cbe se ue abbiano, scegliendo quella cbe abbia meno inciampi, ne debbasi percio rifiutare, ed ivi posarsi; acci6 cbe sopra di essa portati come sopra un legno de* meno gelosi, valichiamo per le difficultose tempeste il mare di questa vita, mentre non se ne abbia qualcbe pin sicaro e piu ben fondato mode, quasi un piu fermo yeicolo che ne conduca; come sarebbe a dire, qualcbe divina parola, la quale piu sicuramente, e con minor risico lo ci faccia trapassare ;» la qual divina parola si 6 quella, cb' h toccata per sovrana grazia di udire a noi introducendone nel Porto della verita, con esso grirrefra- gabili insegnamenti delle sacre carte. Ora, cbe dite di qne- sto filosofo esimio, che tanto s' inoltro col lume della natura solamente, a scorgere i lumi della fede? Ma piu ezian- dio percbe avea descritto la felicita de^gpusti nell'altra vita in quel discorso antecedente al Fedane, dov* e' forma la propria apologia: ivi dopo aver fatto suo calculo di quel che torni meglio immaginarsi intorno alia morte, considera brevemente quello che awerrebbe quando di la non ci fosse nulla, il che non ammette in verun conto per credibile; e viene poi discorrendo cosi della beatitudine delle cose di lit: «S* egli e vero, si come io credo, che la morte sia an pas- saggio da queste a regioni piu felici, dove albergano e vivono i defunti; ci6 h molto piti desiderabile e foi*tanato, uscendo gli uomini dalle mani e dall' arbitrio di coloro, che si annoverano da noi e tengonsi per giudici, per condurci dinanzi a quegli che veramente Giudici si nominano e gia- stissimi Giudici sono, i quali temperano colli e correggono tutti i Giudici fatti qua, come s^ ^ o Minosse, Radamanto, ed £aco, e Trittolemo, e tutti quanti gli altri semidei, che giustamente e fedelmente vissero. E simigliante trasmigra- zione non e da apprezzare? Andar di Ik, e ritrovarsi a conversare con Orfeo, con Museo, con Esiodo, con Omero e con tanti e tanti altri santi e valorosi uomini, e un tale stato non e da anteporre a questo, dove noi oggi dimo- riamo? Che consolazione sar^ la mia, quaudo io arriverd DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 447 da Palamede, da Ajace figliuolo di Telamone, e da si grand! soggetti fatti rei a torto per la nequizia de* Giudici nostri, paiagonando insieme il mio caso co' loro ? Ed ivi trovare savie persone le quali esaminino e conoscano senza errare chi da yero e sapiente, o chi lo si crede di essere e poi non sia, 6 udire schiettamente la sentenza loro senza passioni, e parlare, e conferire insieme i pareri non e ella questa una scuola di perfetta sapienza? Ne e pericolo che vi si moia, ne di essere come colpevole ucciso; anzi, nelle felicitli loro per tutto '1 tempo perpetuo essere immortali. Per la qual cosa torua conto pigliare gioconda speranza della morte ; e questo seco medesimo reputare per vero, e per infallibile, che nulla di 1^ possa intervenire di male a gli uomini da bene, o vivi, o morti, ne tal cosa per yeruna maniera che sia da gli Dii porsi in non cale, e per6 io stimo piu utile senza paragone il morire che il yiyere. » Imperfetto. — Ma della trasmigrazione dell' anime desti- nate a purgarsi ne'corpi degP irrazionali, io non odo ch'e ne dica nulla? MagioUL — Platone ne fayella e nella fine del Timeo, e da molti altri luoghi si ricaya ch'egli si fatto sentimento ayea come uscito dalla scuola Pittagorica : ma si come colui il quale scorgeya la yerit^ per barlume, riconobbe non so- lamente che F anime immortali fossero, ma che di 1^ ci fossero i premj e le pene, e fino quel terzo luogo per pur- garsi dalle colpe; il che eziandio de'cristiani ereticalmente e per estrema foUia hanno osato di mettore in dubbio, accie- catisi da per loro nel lume della fede, quando si yede che il lume solo naturale e stato bastante a insegnarlo a'piti sayj gentili; ma perche senza la yeritk rivelata andavano tentoni e al buio, cio ricercando, non h gran cosa che nel modo dell* essere e fignrarsi simili cose sopra il nostro in- tendere, non tenessero il fermo a una cosa sola, ne giugnes- sero per V appunto al yero, ma si bene yariando le maniere, e il concetto, avessero per molto chiaro la proposizione di esse in uniyersale. Ptionaccorsi. — V rimango trasecolato come Socrate giu- 448 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE gnesse fino a conoscere che chi mdore senza sacramenti pericola, e chi con esso i sacramenti si salva ; impercio cbe nel medesimo Fedone fa awertenza che quegli i quali in- stituirno i riti e le cerimonie, non essere stati altrimenti stolti e yili uomini, ma sotto velami di parole aver voluto significare cio che di vero detto si e, a£Fermando che chinn- que non purgato dalle sagre costumanze discendera air al- tra vita, esso vi precipiter^ nel fango rinvolto ; ma coloi il quale fia purificato e contrassegnato co' sacri instituti, vi andra per abitare con gli Dei. Imperfetto, — lo confesso che questo e un gran dire per uno che la nostra religione non professi. MagwUi, — Egli e che la verita e una (come piu e piu volte si e replicato), e qualunque si studia ricercarla con disappassionata bramosia, ne puo arrivare gran parte, per- ch' ella ne passa d* avanti ; e s' eila non si puo apprendere per r appunto cosi com' ella e, pur quella luce, awegna che adombrata e non ben distinta ne disfavilla. Dafinio. — In fatti se noi non avessimo la certezza della fede, e' si cammina con supposti molto fallibili naturalmente discorrendo, massime in quella si gran differenza che si stima essere tra gli irrazionali e noi, che ce ne sono di quelli cui non manca se non la parola a parer uomini. Magiotti. — Per quanto alcune bestie arrivino di lor na- tura ad esser scaltre e avvedute, a badarci bene, poche o niuna giungono ad avere T accorgimento e la distinzione, per debole ch* ella sia, che hanno anche i bambini innanzi a gli anni della discrezione. E poi di queste s\ difficili pro- posizioni hannosi da addurre veirisimigliame e non prove, altri- mente il credere a che noi siamo fenuU non sarehhe piu ere' dere, Egli e bene il vero che la divina bonta ha dato a tutti gli uomini intelletto e ragione, a fine ch^ essi eziandio da per loro, meditando col lume della natura, acquistino certi chiarori di sapienza ben fondata, con esso i quali pon- derando in si fatta materia il concorso delle verisimilitu- dini per rispetto alio contrarie, che s'oppongono, e che negano la immortalita ; quelle ch' e' trovano in maggior Dl ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 449 copia e di piu vif^ore a petto alF altre, dieno aiuto a' sensi, accio che e' si rendanO piii agevoli a credere, quel che e' non sono atti ad intcndere. E coloro che si lasciano assorbire dair ignoranza e trascarano la Divina grazia, e gli instra- menti dati loro per esercitarsi in una studiosa, assidua, e acuta contemplazione intorno a si alte cose, o chiuggano affatto gli occhi, e credano, e se cio non fanno, tal sia di loro ; impercio che eziandio i piu dotti e sayj gentili, come avete inteso, hanno talento di pervenirvi ; ora se questi uo- mini di si sovrano intendimento, e per essere gentili, con libera conscienza di tenere e pubblicare cio che loro piii ragionevol parea, hanno si fermamente insegnato altioii r immortality dell'anime; convien pur confessare che le pro- babilita grandi ci abbiano e senza paragone in piu novero e di piu forza che dalla parte ayversa non sono. Dafinio, — Noi siamo tanto gelosi di questo vivere, che in dubbio non e gran cosa che gli uomini, come condizione tanto per loro desiderabile, abbian piu volentieri tenuto e per piu vera Timmortalita delPanima che la mortalita; im- perci6 che a quel tornare a non essere, chi e colui che non si senta tutto turbare, e raccapricciarsi, meditandoci sopra ? E pero anzi la passione che la ragione ha dettato loro questo parere, come piu confacevole alia nostra natural pro- pensione. Magiotti. — Un Socrate tanto superiore ad ogni umana affezione, di cosi sublime sapere, si spogliato di tutte quante le cupidigie deUa terra, e tanto indifferente del vivere, alia sola virtti tenendo fisso il pensiero e il volere, si ha da credere che, deluso dalla propria voglia di vivere, mentre lietamente moriva, abbia in questo a fallire? Per la qual cosa puo sicuramente affermarsi lui aver ci6 giudicato per forza dMntendimento, non per stimoli di umanitade. Dafinio, — Son cose che la fede ce le insegna, e noi dob- biamo crederle; ma iTho per troppo ardimento farsi a credere di capirle naturalmente. Buonaccorsi. — Gnardate se la veritii ci viene tra le mani, dove noi non ci turiamo gli occhi, e la vogliamo conoscere ! 29 450 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE Secondo Platone le anime ritorneranno a'corpi umani; se- coDdo Porfirio le anime sante non ritorneranno a' mali del mondo. Congiungansi (dice sant'Agostino) queste due sen- tenze, che ameudue insieme dicono il vero, quantunque paia che, ognun da se, e Platone e Porfirio si contradicano ; impercio che V anime non ritorneranno (egli e vero) a' mali del mondo, ma si bene ritorneranno a'corpi, per essere o nell' Empireo eternalmente .premiate con esse le membra corporee, o nell' Inferno punite. Dafinio, — Gia noi sappiamo manifestamente V immorta- lity deir anime, e solamente vi ho contradetto, acci6 che, rispondendomi, ambo venghiate a proforire si belle e mara- vigliose proposizioni, come fatto avete; come altresi accio che niuno si persuadesse ch' ella si chiara fosse per lame naturale, che si perdesse o nulla valesse il lume della fede, nel modo e per la stessa ragione ch'e stato il vostro giu- dizioso pensiero. MagioUi, — Ed io ho difesa questa verity infalHbile con si gran copia d' argomenti di probability., che udito avete, perche non si avesse per impossible, e si tenesse alieno e lungi da ogni sussidio di naturale ragionevolezza quelle che noi siamo obbligati di credere; laonde dovesse essere in gran parte compatibile, come ben fondata su prove au- tentiche, e per argomenti forti in natural discorso, V opi- nione d' Epicuro, e di chiunque vuole dell' anime la morta- lita: e fin qui mi sembra essersi a sufficienza ragionato che le razionali anime immortali sieno, parendomi ora mai tempo che dal signor Gioseppe si ripigli il filo del Testo Platonico, secondo la fattura che il Timeo s'immagina di questa anima universale, da cui pur troppo deviati ci siamo. Luigi. — Ma dell' anime ragionevoli quali sieno le faculta loro, a differenza delle sensibili, e quali stromenti ell' ab- biano per le loro operazioni, avremmo caro di udire. MagioUi, — Non e tempo a proposito di favellarne adesso, essendo una materia da se, la quale a suo debito luogo verr& proposta, concio sia cosa che la dottrina del Timeo, cni abbiam dato principio, verrebbe presto presto in dimeati- DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 451 canza, poiche giunti noi siamo a casa, e il ragionare e an- dato piu oltre che io non credeva, e sono tre quart! di ora ch' e' sono sonate le ventiquattro ; risolviamo quanto prima di andare a cena, e domattina che riposato avremo e con gli spirit! piu quieti, tirerassi innanzi il ragionamento d! quest' anima universale secondo il Teste, e a vo! si appar- tiene discorrerne, signor Gioseppe. Buonaccorsi, — Quando sarete desti, e che vi parra 1' ora, venitemi prontamente a trovare, che io obbediro ai vostri comandi, quando vi sia in piacere, perche (come ben sa- pete) io dormo poco, non avendo fumi di vino da digerire, che mi vadano in su. PREAMBULO ALLA VILLE&&IATURA ALBANA ALLA PSICOLOGIA. Che gli uomini non abbiano qua ferma dimora, e che ad altri luoghi destinati sieno dal Fautore Eternale, tra molti e molti argomenti che se ne scernono, quello pare a me sopra gli altri aver grandissima forza, della inistabilita degli animi loro, imperciocche della varieta dilettandosi mai sempre senza costanza veruna, niuno soggiorno ci ha, quan- tunque soUazzevole e desiderato da loro, il quale allorche e' vi giungono gli fermi e gli quieti, e noioso in breve loro non divenga, altrove ben tosto rivolgendo il pensiero. Ecco noi, attediati dalle bellezze piu deliziose e piu magnifiche di Tusculo, alle piu naturali e di niuno artificio di Nemi in si virtuosa conversazione venuti semo, che meritamente esser questi i piu grati diporti di Diana gli attribuirono, e non molto andra che anche qui rincrescevole la dimoranza ne fia, e ad altri paesi dirizzeremo il desio ivi perfetto e non 452 ANTOLOGIA DI COSE INEDITR mai sazievole godimento aspettando, ma cio indamo, im- perciocche stabile fennezza non otterremo gia mai, finche vita avremo : si parimente, di qualunque altro diletto favel- lando, cui volga I'umana condizione sua cupidigia, quella nel conseguirlo non ferma il volere, anzi sovente disvuole cio che pur voile teste, il che ne insegna Lucrezio in que'versi, favellando degli uomini: « Haud ita vitam agerenty ut nunc plerumqite videmua: Quid aibi quiaque velit, nescire, et qucerere semper; Commutare locum, quasi oniLs deponere posait. Exit acepe foras magnis ex cedibus iUe, Esse domi quern pertaesum est, subitoque reventat; Quippe /oris nihilo melius qui sentiat esse. Currit, agtns mannas, ad villam prcecipitanteTy Auxilium tecteis qvMsi ferre ardentilms instans; Oscitat extemplo, tetigit quom limina villce; Aut alit in somnum gravis, atque ohlivia qua^t; Aut etiam properans urbem petit atque revisit. Hoe se quisque modo fugit : etc, » cioe a dire, annoiato fin di se stesso si fugge, e da se allon- tanar si vorrebbe, cio e V anima che s^ inquieta e trasporta il corpo in qua e in la, sua debita residenza qui non avendo; solamente lo studio della scienza (non ci ha dubbio alcuno) ne appaga, ne mai ci satolla, percbe questo solo e degno pasto e proporzionato delPumano intendimento, si come cibo divino, conciossia cosa che ha per oggetto e per fine la verita delle cose. « lo veggio 1)611 che giammai non si sazia Nostro intelletto, se '1 ver non lo illustra, Di faor dal qual nessun vero si spazia, » disse Dante, adornamento e lume della Poesia Toscana. Ma egli e ben d' awertire, che il sole per quanto illumina, e si comprende in un attimo di sua luce V ampiezza^ nondimeno mirandolo fisso ci abbaglia, e nol possiamo patire, non che distinguer raggio per raggio. Nelio stesso modo e^ si scorge a un tratto la chiarezza della verita universale, cioe lo splendore che ne circumfulge della sapienza divina; ma chiunque si affisa in lei, perdesi, la vista confondesi, ne si DI ORAZTO RICASOLl KUCELLAI. 453 possono per alcun modo discernere a un per uno i lumi di sua infinita virtude, cioh a dire le cagioni special! de'mi- racoli della natura : « Molto si mira, e poco si discerne > disse lo stesso Poeta. Per guisa che ne apparisce (egli e il vero) un certo bagliore, e abbiamo le imagini delle cose vere nelPanima; ma in ogni modo si annebbiate rimangono intra le caligini onde noi siamo involti, che per una piccola fa- villa che in noi di quando in quando del vero riluca, ne aduggia la mente per lo piu una nuvola viepiu grande del falso. Cio riconobbe Socrate, come che piu altamente di ogni altro e^ contemplasse quest a lampada accesa, im- perocche avvidesi ben tosto di non aver V occhio dell' aquila, e quietandosi anch' egli all' imperfezione dell' umana na- tura, pronunzio al mondo quella sentenza che noi di- cemmb da prima: Qiiesf uno to so, che nulla io so. Sopra I'esperienza, dunque, di cotant'uomo chiarito anch'io, m'ac- ciiigo solamente alia meditazione di me medesimo, mosso da quel savio ammaestramento, scolpito cola nel Tempio d' Apol- lo : Conosci te stesso. Tale si e la vera e piu sincera scieiiza^ ove dee studiarsi ciascuno di pervenire, a intendimento di potersi di se medesimo valere a ragione, usare de' proprj strumenti per quello a che dati ne furo, e non iscompor 1' or- dine col quale a perfettissime operazioni gli dispose il Mae- stro Eterno. II piu delle creature noi veggiamo esser com- poste di corpo e di spirito, e niuna piu soUecita cura per natural talento porsi da loro, quanto di conservare e 1' uno 6 gli altri insieme congiunti a mantenimento ciascuna del proprio individuo ; per la qual cosa elle s' ingegnano di ri- storargli, e da tutte le corporali infer mit^ di tenerli sani, solamente a fine di sottrargli da ogni rischio di separa- zione; il medesimo ne piu ne meno gli uomini fanno, im- perocche null' altro per loro s'attende che ad investigare rimedj contr' a' mali del corpo, ma poi poco o nulla si bada agli antidoti contro le malattie dell'animo. Di questa arte nuova di medicina von-ei, impercio, che maestri esperti noi 454 ANTOLOGIA DI COSE INEPITE divenissimo, e si come i medici il piu della dottrina loro nella Notomia ripongono, ancora a noi tutta la nostra in essa fondare e richiesto, cioe nel conoscimento con ogni studio di noi medesimi. Ma lo intendimento nostro fia al sicuro d' assai piu pregio, conciossia che i medici riveggon sottilmente ogni minuzia del corpo umano, e gli ordigni considerano, e lo intrecciamento di tutte le membra, di tutte le viscere e di qualunque delle piu minime particelle inte- riori, a fine d' intendere le operazioni yitali ; ma cio e sola- mente per temperarle e per ricomporle, qualunque volta stemperare e scomporre si veggiano; dove in questa disci- plina novella s^insegna la valuta si e la situazione degli organi in quanto e' servono per canali de' sensi ; ma perche e^ sono ancora la sede delP intelletto e deW altre potenze deiranima, imparasi eziandio per tal via come mantenere ben d' accordo due movimenti contrarj sotto le leggi del dovere, e come P intemperanza deU'uno moderare con la temperanza deU'altro. Di modo che questa utile e saluti- fera scienza della Notomia, adottata con proporzione e a soccorso della natura, e altresi a correggimento dell' animo, essa ne fia giovevole per a quella felicita per venire, ove an- siosamente aspirano i saggi, cioe a godcre mente sana ia corpo sano; percio mirabilmente Platone nel Timeo definisce la sanit^^ essere una comuae concordia delP anima e del corpo, cioe quando il corpo e valido e fermo sotto un animo molto piu valido; ma acciocche in tal materia con debito ordine io proceda, diro, come in principio mi si parano innanzi tre operazioni tra se diverse insieme congiunte nel- V uomo, le quali pure in varie sorte di specie si raffigurano r una diversa dalP altra. Ecco, nelle piante e 'n tutte quelle cose che si nutriscono e crescono, opera la vegetativa sola, imperocche esse mancano del sentimento ; ne' bruti la sensitiva insiememente con la vegetativa, essendo che la seconda e consecutiva della prima, e pero crescono, nu- trisconsi, e di piii hanno sensi; ma agli uomini si dee ar- rogere la ragionevole, che e la piu perfetta, ond' egli hanno senso, crescono altresi e nutrimento rioevono, ma soprat- DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 455 tutto gl'informa lo intelletto e la mente. Tali sono quelle diverse qualitadi o moti (che noi dir gli vogliarao) che anime da' naturalist! si chiamauo, cioe tre forme dove elle sono disgiunte e in oggetti di specie disformi allogate, concios- siache ciascuna da loro V essere, la vita ; ma egli h manife- sto che chi e piu perfetto nella sua fabbrica e capace di tutte queste operazioni varie, e impero nell' umana natura esse si riconoscono si per movimenti diversi, ma a una me- desima e sola forma adattati, cioe a dire come potenze distinte d'un'anima sola, in quanto che tutte hanno a essere instrumenti della ragionevole, e sotto di quella ope- rare: percio (se ben mi torna in mente) dissivi un giorno esger raccolte in questa piccola architettura delP uomo tutte le potenze delP universo, e sino trovarsi effigiata in lui 1' imagine della divina mente, la quale allora quel piu ri- splende, che noi stenebrare la sappiamo da' nugoli degli aifetti, e tener monda e ben custodita dalle sozzure e dalle corruttele dei sensi. Ora dunque per piu agevole intelligenza di questo dir ne conviene (non mi sembra del tutto inutile, ovvero lontano dalla materia proposta) il venire in ragio- namento sopra le opinioni che s' ebbero negli antichi secoli da quel grand' uomini intorno a quest' anima, talmente che molti 1' assegnarono all' universo, come principio in esso e cagione del moto, pel quale si trasfondesse e si traducesse da piu alto cominciamento la virtu seminale nella natura maestra di tutte le innumerabili generazioni che si fanno nella materia. Quindi con viepiu agevolezza trarremo argo- mento di quel che sia 1' anima che essi appellano vegeta- tiva, e si pure gli organi dove s' attaccano i suoi movimenti speciali, come e a dire nelle piante; indi trapasseremo alia sensitiva, dove acconciamente si potr^ dell' edificio de' corpi trattare, per poter poi, staccati dalle sostanze piti basse, favellar dell' anima ragionevole e delle quality eccelse ch'ella ebbe in dote dal. suo Fattore; poscia farem riflessione sic- come r uomo per mezzo di quelle dee istruire se stesso nella virtii morale che alle leggi ci regola dell' intelletto, man- tiene incorrotta in noi la sembianza della suprema ragione, 456 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE e apreci la via e ne illamina per ritrovare quel bene per- fetto, che noi tuttodi alia cieca in qaa e 1^, e spesso in oggetti a lui del tutto contrarj andiamo cercando. V1LLE6GIATUEA TIBUETINA DELLA MORALE. Offizi della facoltd delta ragione. Luigi, — Nella regione, dunque, di sopra ha suo trono la ragione. Magiotti, — E per cio ad essq, si appartiene di coman- dare a quella che sta di sotto, e governarla e tenerla a freno, come compos ta d^ una moltitudine di yassalli, per lo piii sfrenati e senza regola, e percio da questa sotto il suo comando si conviene all' altra obbedire. Luigi, — Ma se ella e piena di tumulto e di confusione recalcitrer^ per lo piu. Laonde non occorreva darlaci, men- tre alia parte razionale diventa molte volte contraria e rubella. MagioUi, — Anche questa « atta a divenir ragionevole se alia ragione obbedisce, e a^suoi savi ricordi; anzi a quella sovrana dominatrice tocca di rimetter Y altra al debito segno, e valersene a tutte le azioni lecite e lodevoli, che eUa risolve di fare. Essendo^ dunque, la ragione signora nella superior parte del corpo, ivi e dovere che alloggino i suoi piu prin- cipali e piii confidenti rainistri; acciocch^ le assistano sic- come consiglieri primari, e questi sono le facoltk, pero dette potenze principali delP anima. Luigi, — Ma queste quali son elleno ? Imperfetto, — Memoria, intelletto e volont^; ma dichiara- tene di grazia qua' sleno veramente gli offizii loro. DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 457 Magiotti. — La memoria conserva nelF archivio e nella segreteria che ella ha in custodia e sotto sua chiave la maggior parte degli oggetti varii che le sono cola entro tramandati da' cinque sensi che detti abbiamo ; per le cui porte s' intromettono come dispacci di belle e varie no vita tutte le specie, e immagini esteriori sensibili; e siccome molte, data loro a pena un' occhiata, yi si ripongono senza badarci come di non grande importanza; alcune poi di mag- gior rilievo dall' immaginativa o fantasia, come detto si e, pongonsi innanzi all'intelletto, dove egli, come dentro uno specchio ben chiaro, a posat'animo le rimira; avendo egli r incumbenza di considerare diligentemente e di intendere quel che esse sono, recandone poi alia ragione un giusto e puntuale ragguaglio. Questa appresso ne discorre seco ma- turamente, e esaminano insieme con aweduto raziocinio e con ponderate riflessioni se elle son buone o triste; e per tal modo ne nasce il giudizio, col cui consiglio la volonta delibera di fame conto o di lasciarle. E percio di si ben ayvertita deliberazione, e della esecuzione di essa, ne ha la cura la volonta, la quale firma il decreto di volerle, o di non le volere secondo la disposizione del sopraccennato con- siglio supremo. Luigi, — Dell'ingegno pi6 o meno vivace degli uomini nel discorso di questa porzione superiore, voi non ne avete favellato punto ne poco, quale e la sua funzione. E' si dice pur tutto di: il tale ha belPingegao, ha ingegno vivo, e uomo d'ingegno spiritoso; insomma pare che chi non ha bell' ingegno, non abbia discorso ne attitudine, e quasi sto- lido o mentecatto sia. Magiotti. — L' ingegno, per dir quello che all' improwiso mi viene ora in mente, crederei che fosse una fabbrica in- terna dell' uomo, che si forma per mezzo dell' intelletto e della memoria; e percio giudico che 1' ingegno si risvegli con agevolezza in una mente doviziosa d' immagini varie, raccolte insieme in piu tempo, o dall' osservazione d' innu- merabili cose di diversa maniera passate pe' sensi, o dalla lettura di piu e piii sorte di sentenze, le quali cose abili 458 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE sieno a muoversi con agility e dieno stimolo e apertnra alia chiarezza dell' intelletto di inventare e di formare di quelle medesimef accozzandole o innestandole tra loro con bel modo, nuovi e maravigliosi disegni per entro la mente, onde ne result! un concetto leggiadro e vivace, il quale ancorche di piti e piu belle cose altre volte a noi note com- posto sia, giunga nondimeno nuovo, e generi maraviglia in chi Tode; tanto che perche un ingegno produca e fabbri- cbi da se medesimo, vuolci la memoria che presti delle piu belle immagini che ella in se contenga, e la fantasia e r intelletto lucido e distinto il quale le sappia con belP ordin collegare e attaccare V una con V altra in guisa, che di piii cose vedute a avute fra mano, se ne concepisca un' altra da se, nuova e non piu veduta o sentita. £ allora piu belli e piu vaghi si partoriscono simili concetti ingegnosi, quanto maggiore raccolta e di piu pregiate cose abbia la memoria fatta innanzi conserva. Yero e che glMngegni si variano r uno dall' altro e piu pronti riescono e piu veloci, e vie piu atti a bizzarri e spiritosi concetti; e con piu o meno pre- stezza te gli formano secondo i temperamenti diversi della corporatura di chi gli possiede. Imperciocche come gli spiriti che salgono dalla porzione inferiore abbiano la lor tempera fervida e secca; di subito con la vivacita loro da uno moto e stimolo all' intelletto e alia memoria, che molte volte, senza dar tempo a veruna ponderazioue degli atti secondi, di pre- sente alzano moli ingegnose di vari pensieri alti e di spirito ; e quindi giudicherei che nascesse quello che entusiasmo si chiama, il quale non rassembra dissimile a' sogni, impercioc- che i sogni si formano dormendo di pezzi dalla immagina- tiva, e lo piu sovente senza conclusione; e i parti dell' inge- gno stesBO negli uomini appena desti, e a cervello riposato la roattina al buio, anch' eglino vengono in luce alia mente, e rappezzansi parimente di varie specie, onde io repute ch' e' sien anch' essi (sto per dire) sogni a proposito. E cio piu o meno vivacemente succede, e piii tosto, o piu tardi, secondo che la fierezza o agility degli spiriti muova le po- tenze deH'anima a simiglianti operazioni. e all'ora dicesi DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 459 deir uomo che egli abbia piu o meno pronto V ingegno. Di qui parimente avviene che chi ha piu bello ingegno, abbia sovente meno giudizio, imperciocche T uno colla sua terape- ratura minuisce V abilita dell' altro ; essendo che 11 giudizio Yuole lentezza e flssazione di riflessioni fatte dalla ragione 6 dair intelletto insieme, per esaminar sottilmente e rivedere 11 conto a cio che sovvien loro. La cul savia operazione ha duopo dl spiriti meno ferventl, e che vadan di passo e non corrano con Tali spiegate a dar moto alle loro azionl e deliberazioni ; e per cio V Ingegno ordinariamente da per se sapra formare abbpzzi blzzarrl e graziosl, e molte volte subllmi e n(»blli conforml alle specie, che gli spirltl agili e accesi a un tratto nella mente soUievano, ma non mai ben forniti di fare, se '1 giudizio con la su^, esattezza non da loro Tultima mano. La qual cosa chiaramente si osserva neU'esempio de'pittorl tra' quail molti che hanno spirito piu elevato e piu vivo si veggono fare in un baleno schizzl di varie figure ciascuna da se atteggiate con si bella pro- priety ed espression di aflFetti, che sembrano aver moto e vita; ma al comporne poi una tavola o una storia tutta insieme, non riescono nel disporle con maestrla a' lor debitl luoghi, ne' quali tornino bene per esprimere le attitudini e i sentiment! corrlspondenti T una delP altra con ben aggiu- stata simetria) Intorno a quello che slgnificare elle abbiano, perche a cio fare vuolsi attenta applicazione e fermezza, che e opera dl giudizio, 11 quale mlsuratamente ne forml la composizione, e piu e piii volte cancelli e rltaccia; ne tal cosa si puo comporre e mettere insieme In un attimo a forza di vlvezza d' ingegno, come 1 priml sbozzi si fanno, obbedendo la mano alia velocity de* mossl fantasmi. Convien dunque fermar per vera e per indubitabile sentenza, che quanto piu V uomo con la continuazione dello studio e sotto una bene accurata dlsclpllna negli annl piii teneri abbia megllo assodato e fissato 11. giudizio, anche nelle persone dl spirito e d' ingegno ; cotanto piii chlari e distintl e meglio perfezionati vengon gli abbozzi loro Ingegnosl; onde la dif- ferenza in tantl e si varj modi da un Ingegno alP altro si 460 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE scorge; e questo e quello cbe io so immaginarmi intomo agli nomini d' ingegno, e quel che veramente questo sia, e che adoperi nel ricettacolo della nostra mente. Ma per affer- mare quel ch^ egli e, e se tale sia quale detto abbiamo, e se di tal maniera si facciano le operazioni sue, come anche delle altre facolta delP anima, Y bo per cosa molto oscura e fallace. Imperfetto, — Io stimo certo cbe voi abbiate detto quanto se ne possa dire, e sembrami in ci5 essere pienamente so- disfatto. Ma tornando alia volonta, questa entro di se puo dire il si o il no; ma chi eseguisce sotto il suo ordine? Magiotti, — Per eseguire quel cbe si e in si prudente con- Bulta determinato di volere, o non volere una cosa, egli e d'uopo cbe la volonta abbia i ministri sotto di lei, a cui ella dia gli ordini. Luigi. — Ed essi ministri dove alloggiano ? Magiotti, — Questi i sopraccapi sono della regione piu bassa, nella quale comandano i due moti piu principali sensibili, cbiamati il concupiscibile e V irascibile ; V uno e r altro promotori e caposquadra di tutti gli affetti dati per guardia e per satelliti alia ragione, accioccbe eseguiscano con prontezza quanto da quella vien loro imposto: verbi- grazia, i moti del concupiscibile hanno da desiderare e cercare il conseguimento di quel cbe la volonta, d' ordine della ragione ba determinato per buono; ovvero ad accen- dersi il moto dell' irascibile per aborrire e per torsi davanti quel cbe la ragione col suo consiglio ba giudicato per non buono. Imperfetto. — Questi duo adunque (che appetiti si cbia- mano) in vigor degli ordini eseguiscono quanto la volonta comanda loro; ma in cbe modo e con quali strumenti cio fanno? Magiotti, — Spediscono ciascun di essi numerose scbiere di spiriti, e di quelli di mano in mano, cbe sono sotto la condotta o giurisdizione delFuno o dslP altro arruolati, a dar sospinta a' movimenti necessarj delle mani, dei piedi e delle altre membra corporee a fine di pigliare ii possesso DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 461 di quel che place alia ragione, a per mettere in fuga e di- scacciare cio che le displace. Luigi, — Ma come si fanno elleno tante operazlonl la dentro in si poco spazio? Magiotti, — Egli e da sapere come queste operazlonl fan- nosl dagli spirit! che sottilissimi sono, quantunque corporei ; ma le azlonl della mente sono Incorporee come chi le governa e dispone, e pero gli organi nostri aprono loro gran vie per Insensibili e minime che elle ci paiano. Eccitandosi dun- quein questa parte inferiore delP anima nostra divers! affetti 6 perturbazionl, secondo la varieta degll oggett! che per via del sensl se le rappresentano ; subito la parte ragionevole sommlnistra e prescrive il modo di regolare e modlficare essi affetti, lasciando bene a nostra disposizione ed arbitrlo di consentirv! o no con la volonta. Laonde se la parte razio- nale si lascla vincere dalP affetto, e qudlo fa che 11 moto irraglonevole le detta, egli e segno che la volonta sprezza gli ordini della ragione, e f a a modo degli appetlt! disob- bedienti, dove se ella alia ragione accostandosl e alle sue savle persuasioni, volta le spalle alP affetto e lo doma, allora essa la volenti regge e fa altresi la porzione inferiore ragio- nevole divenlre. Vero e che le faculta dell' anlma ragione- vole non vogliono mai quello che non sia effettivamente buono, o che da loro per buono accettato non sia.
Friday, December 20, 2024
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