Grice e Sforza: la ragione conversazionale
dell’iustum/iussum – tra idealismo e positivismo – filosofia emiliana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Forli). Filosofo italiano. Forli-Cesena,
Emilia-Romagna. Direttore del Resto del Carlino. Insegna a Roma. Autore di
importanti saggi di filosofia del diritto quali Il concetto, il diritto e la
giurisprudenza naturale, Filosofia del diritto e filosofia della storia, Idee e
problemi di filosofia giuridica, ecc. Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Al libro, in cui sono raccolti ed esposti in
ordinato modo i risultati delle sue indagini sui problemi del diritto, il
Cesarini Sforza ha dato un titolo di lapidaria semplicità: Filosofia del
diritto. Audace semplicità, si pensa: per un libro solo, e non di grande mole,
il nome stesso della disciplina cui appartiene, disciplina sí ricca di storia e
di complessi e vari svolgimenti. Ma, leggendo, si vede che quel titolo non è
senza buona ragione. I temi della filosofia del diritto (e della teoria
generale del diritto) ci sono, di fronte o di scorcio, tutti. Pure, il volume è
di sole 181 pagine, oltre gli indici. La concisione, la sobrietà stilistica che
ciò rendono possibile costituiscono uno dei principali pregi dell'opera. La Filosofia del diritto del Cesarini Sforza
ha il mordente e la stringatezza possibili soltanto in opere profondamente
mature: vi si ravvisa il prodotto maturo, non solo d'una vita di lavoro, ma
d'una scuola, d'un movimento filosofico. Di tante discussioni, di tante
polemiche delle correnti filosofiche italiane cui, per connessione o contrasto,
questo libro si collega, non giunge il rumore: rimangono soluzioni approfondite
di problemi lungamente elaborati, in un discorso severo, talvolta scabro, sempre
serrato e incisivo. Un prodotto maturo, ottimamente rappresentativo, direi uno
dei punti di arrivo della filosofia giuridica italiana che ha avuto come
maestri o come principali termini di riferimento il Croce e il Gentile: qui se
ne trovano, presentati in uno dei modi migliori, i contributi piú importanti
alla consapevolezza dell'uomo. Punto di arrivo e punto di partenza su nuove
strade: senso di compiutezza che il
libro dà fa sí che l'idea di nuovi passi, di nuove ricerche, nell'inesauribile
impegno per la consapevolezza, non possa dissociarsi dall'idea di una revisione
delle impostazioni di fondo e dei metodi della scuola filosofica da cui esso
pro-viene. Per tale sua patura la Filosofia del diritto del Cesarini Sforza
merita attenta medi-tazione. Dividerò questa nota in cinque parti. La prima
parte sarà dedicata all'esposizione. dei temi fondamentali dell'opera. Data la
ricchezza e la complessità dei suoi svolgimenti, penso che l'individuazione dei
temi fondamentali non sia inutile agli studiosi e possa aver di per sé un
valore critico. Seguiranno considerazioni critiche, con particolare riguardo al
metodo della filosofia; al concetto, centrale nel pensiero del Cesarini Sforza,
di dialettica del volere, e al modo in cui si possa pervenire a una determinazione
analitica dei processi di espressione della volontà; al problema della
giustizia; al carattere della teoria.
generale costruita dal nostro autore. La Filosofia del diritto si apre,
e si chiuderà, sul motivo idealistico, motivo dominante di tutto il lavoro,
dell'attività spirituale come perpetuo movimento, sforzo, tensione, mai
sufficiente fatica, trascendimento dell'oggetto dalla stessa attività
spirituale costituito. Cosí è per il diritto. Il diritto nasce dall'esigenza,
presente in tutte le società, di razionalizzare le azioni degli uomini dando a
esse un ordine stabile mediante regole o norme; ma i suc-cesgi non possono
essere che provvisori; le manifestazioni della volontà umana finiscono sempre
per sfuggire, con la loro inesauribile, irriducibile concretezza, a qualsiasi
astratto sistema di probabilità e prevedibilità; la etoria, opera della volontà
umana, lascia continuamente indietro le mete raggiunte nell'illusione che siano
definitive. L'esperienza giuridica procede attraverso questo tentativo di
razionalizzare la vita per mezzo della regola, e attraverso le ribellioni della
vita alla regola. Mentre la scienza giuridica ha per oggetto sistemi giuridici
dati, la filosofia si leva allo studio della dialettica di soggetto e oggetto
nell'atto di vita, studia l'esperienza giuridica come atto di vita. Diverso il
compito, diverso il metodo: la conoscenza scientifica si appoggia a una realtà
oggettiva, mentre la definizione filosofica deve essere trovata dal pensiero in
sé medesimo, poiché si riferisce alla sua attività in un determinato aspetto.
Anche la scienza del diritto può giungere, mediante uno schema ordinatore, a
una definizione del diritto di carattere generale, applicando ai prodotti
dell'attività creatrice del mondo giuridico la stessa attività
sistematizzatrice e ordinatrice in cui essa consiste; ma le definizioni del
diritto date dalla scienza considerano il diritto come un prodotto, non lo
definiscono nel suo prodursi. La filosofia dà invece la consapevolezza di tal
prodursi, consapevolezza indispensabile anche al giurista, per conoscere
l'origine spirituale del diritto e cosí rettamente intenderlo, e soprattutto
indispensabile al giudice, che deve essere il tramite tra legge e vita, tra gli
schemi del diritto e la concretezza dell'azione umana. All'esigenza spirituale fondamentale, ondo
trae origine il diritto, il Cesarini Sforza dà il nome di principio costitutivo
del diritto, in contrapposto ai principi regolativi: questi sono le regole
superiori e generali, da cui derivano le regole particolari di un dato
ordinamento, dalle quali si può risalire alle prime per via di induzione; e
hanno carattere storico e contingente, scaturendo dalle concezioni
etico-politiche di un popolo in una data epoca della sua civiltà. Il principio
costitutivo è la legge prima ed essenziale dell'attività dello spirito, per cui
il diritto viene creato; e consiste in un determinato processo della volontà.
La dialettica del volere (come quella del pensare) si svolge nel rapporto fra
l'attività dello spirito umano, infinita potenza pratica e virtualità creativa,
e la sua espressione: espressione è tutto ciò che dall'atto dello spirito si
distingue come fatto e forma la realtà oggettiva. Il passaggio dall'attività
spirituale soggettiva alla realtà oggettiva che se ne distacca è l'astrazione o
procedimento astrattivo, il quale, quando si applica al comportamento concreto,
lo divido in due, ossia rende possibile distinguere tra volizione e
azione. Volizione e azione, che nel
concreto agire di ogni soggetto umano sono tutt'uno, costituiscono
nell'astrazione due momenti separati e statici, diventando tipi pratici, cioè
un dato tipo di volizione e un dato tipo di azione; e l'azione appare come il
risultato cui il soggetto volente mira, ossia scopo della volizione. L'attività
volitiva di tanti soggetti diversi, che si manifesta con atti della concreta
volontà di ciascun soggetto, può estrinsecarsi nella realtà oggettiva
incorporandosi in un'azione tipica o astratta, uniforme per tutti: non ogni
azione è conforme a un tipo, anzi gli uomini, appena giungono ad affermare la
loro indi-vidualità, agiscono anche manifestando la loro originalità, e nel
mondo pratico vi sono i santi e gli eroi che superano le formule e rompono le
convenzioni in nome di un ideale superiote; ma la massima parte della vita
comune a tutti gli uomini si svolge secondo tipi e modelli, si presenta come
una serie indefinita di comportamenti uniformi esprimibili mediante le regole
pratiche. Regola pratica è l'enunciazione di un comportamento conforme a un
altro comportamento onde ottenere il medesimo scopo, vale a dire l'indicazione
di un'azione tipica e astratta. Casi della regola pratica sono la regola
tecnica, con la quale si indica quale azione tipica è mezzo per un fine, e il
vincolo immediato tra azione e volizione passa in seconda linea di fronte alla
affermazione dello scopo mediato o motivo, esistendo il vincolo solo in quanto
si affermi il motivo; e la regola imperativa, o norma, che enuncia un
comportamento tipico riferito all'atto di volontà necessario a realizzarlo,
senza riguardo al motivo. La norma è sempre riferibile a una volontà estranea a
quella dell'individuo cui è posta: le cosí dette norme individuali non sono che
regole tecniche, poiché valgono solo nei limiti e in relazione al motivo che il
soggetto riconosce. Il diritto è dunque il prodotto del procedimento spirituale
astrattivo che, configurando volizione e azione come tipi, pone ordine nelle
azioni degli uomini mediante regole imperative. Va rilevato che, in queste
prospettive, la giuridicità non è osclusiva dei vari sistemi di diritto
positivo, oggetto delle discipline giuridiche, ma è propria di qualsiasi
applicazione del suddetto processo volitivo, per cui ogni azione può essere
giuridicizzata e diventar parte.
dell'esperienza giuridica. Dopo
averci cosí introdotto al concetto filosofico del diritto, il Cesarini Sforza
procede a una descrizione fenomenologica del prodursi del diritto nella società
umana. I concetti intorno a cui questa trattazione è imperniata sono quelli di
istituzione sociale e di orga-nizzazione. La prima forma di socialità,
l'istituzione, si ha quando coloro che costituiscono il gruppo attuano un
complesso o serie di comportamenti uniformi per il raggiungimento di fini
comuni; la coscienza del fine, peraltro, può inancare, come sovente accade
nelle società primitive, e le pratiche sociali risultano misteriose, benché non
possano non avere avuto, all'origine, una loro ragione. La pura e semplice
uniformità dei comportamenti forma il substrato del costume sociale. Dall'istituzione
si passa all'organizzazione quando compariscono le regole imperative, o norme,
ossia il diritto, e mediante il diritto lo azioni di ciascun soggetto sono
coordinate con le volizioni di altri soggetti, e viceversa. Il sorgere del
diritto non fa però scomparire il costume; che rimane come continua e
ineliminabile rivelazione di tipi pratici tra i quali si differenziano quelli
coordinati mediante le regole imperative. Le regole imperative si formano
sempre sul presupposto di una regola tecnica, formatasi nella fase
istituzionale: se non si costituiesero tipi di comportamento che valgano come
mezzi per la realizzazione di determinati fini, neanche sorgerebbero le
volizioni imperative che a quei comportamenti si dirigono. Il modo in cui le regole imperative operano
nell'organizzazione della società umana, la fenomenologia delle relazioni tra
istituzione e organizzazione, i processi mediante i quali il diritto nasce, è
conosciuto, è applicato, è giustificato, le relazioni funzionali e logiche tra
i vari aspetti dell'esperienza giuridica sono illustrati e chiariti dal nostro
autore attraverso l'elaborazione e la discussione di un complesso di concetti,
che si coordinano in una teoria molto interessante non soltanto dal punto di
vista filosofico, ma anche da quello
strettamente giuridico: i concetti di norma giuridica e di consuetudine,
di rapporto giu-ridico, di autorità e proprietà, di diritto pubblico e privato,
di diritto soggettivo e di obbligo, di legge e di negozio giuridico, di torto e
sanzione, di giudizio, e via dicendo. Si
riscontrano qui diverse interessanti
varianti e progressi rispetto alle note Lezioni di leoria generale del diritto, che pure per non
pochi anni hanno avuto un posto importante nella cultura giuridica del nostro
paese, per quanto atteneva alla teoria generale del diritto. Particolarmente importante e centrale nella
trattazione è, insieme con quello di norma, il concetto di rapporto giuridico.
Il rapporto giuridico, nel suo schema fondamentale, è per il Cesarini Sforza la
relazione che si instaura tra due soggetti, quando il comportamento tipico
dell'uno agsume il valore di mezzo o condizione afinché si realizzi il fine
dell'altro; il dirigersi della volizione a un comportamento altrui in ordine a
un proprio fine. La piú semplice definizione del rapporto giuridico è quella di
rapporto tra un imperativo o un obbligo.
Se ci riferiamo a un atto normativo primo, non giustificato sulla base
di precedenti atti normativi, il rapporto è di per sé giuridico; se invece si
riferiscono tutte le volizioni normative a un'unica volontà, i rapporti
concreti, cioè gli effettivi atti di volizione, sono giuridici solo in quanto
rientrino nel sistema dei rapporti astratti stabiliti dalle formule normative
riferite a quell'unica volontà. Ciò giustifica la distinzione tra pretcsa, il
concreto dirigersi di una volontà all'azione altrui, e diritto soggettivo,
l'astratta e virtuale possibilità di volere un comportamento tipico altrui;
distinzione cui corrisponde, dall'altro lato del rapporto, quella tra obbligo
concreto e obbligo astratto. Il
riferimento di tutte le volizioni normative a un'unica volontà, cioè la volontà
dello Stato, è attentamente esaminato dal Cesarini Sforza, mostrando il
processo logico attraverso il quale avviene l'identificazione del diritto con
l'ordinamento giuridico statale. Tale processo consiste nel ricavare dalle
norme, nelle quali si esprimono volizioni astratte, l'idea astratta di una
volizione unica e comprensiva, che sostiene tutto l'ordinamento, attribuendola
a un unico soggetto. Da questo punto di vista lo Stato non è dunque che un puro
concetto, una personificazione compiuta dal pensiero astraente. Come nella
storia si sia venuti a questa astrazione, all'associazione dei concetti di
diritto e Stato, è indicato dal Cesarini
Sforza sottolineando il parallelismo di questo processo con la progressiva
monopolizzazione statale dei mezzi di attuazione coattiva del diritto. Se poi,
lasciando alla scienza giuridica il suo concetto astratto dello Stato, vogliamo
sapere cosa lo Stato è in realtà, l'analisi filosofica mostra che questa
cosiddetta volontà dello Stato si risolve nella concreta attività di
determinati uomini, nella cui effettiva volontà l'autorità statale ai
trasforma, da parola, in fatto. Chi comanda e chi è comandato: questa relazione
costituisce il rapporto politico fondamentale, ossia il rapporto giuridico,
considerato non piú nel suo schema logico, ma nella concreta realtà degli atti
di volontà. Volontà piú forti si impongono sopra altre meno forti, che
rimangono per un certo tempo in istato di sog-gezione, dal quale però tendono a liberarsi, per
diventare a loro volta dominatrici. Un equilibrio di interessi è raggiunto,
quindi è rotto, e gli si sostituisce un nuovo ordine nor-mativo, e per queste
lotte e superamenti la storia umana inesauribilmente procede. Da quale parte è il valore, nel contrasto tra
gli interessi affermati e gli interessi che cercano di affermarsi, tra l'ordine
costituito e le sue forze e le forze innovatrici e rivolu-zionarie? Questa
volta lo storicismo non è conservatore. L'autorità è essenzialmente un fatto,
dice il Cesarini Sforza: essa si giustifica soltanto da sé stessa, nel suo
effettivo manifestarsi come volontà normativa. Ogni tentativo di dare
all'autorità una giustificazione superiore è destinato a fallire, come fallisce
quello di fondare l'autorità dello Stato in un diritto naturale o superstatale.
La validità della legge consiste nell'effettivo manifo-starsi di una forza
vincolatrice dei valori umani, e se una nuova legge prende il suo luogo come
forza vincolatrice, la nuova legge è valida; se il fatto di una nuova autorità
si sostituisce al fatto di un'altra autorità, la nuova autorità ha in sé stessa
la sua giustificazione. In queste
prospettive sembra che il filosofo assista alle vicende della storia senza
prendere partito, senza affermare il valore delle forze che resistono o delle
forze che tendono a trasformare. Ma, dando un nome ai termini di questa sempre
riaperta dialettica, egli usa per l'ordine giuridico, nel quale il movimento
della storia sembra arrestarsi, l'espressione
« principio di legalità»; « per indicare, invece, il processo di
oggettivazione nel suo movi-mento, cioè non nei suoi risultati ma nella
molteplicità e particolarità inesauribile dei suoi impulsi, soccorre la
tradizionale denominazione di principio di giustizia». « Il contrasto fra i due
principi — che appunto nel loro contrasto sono clementi vivi dell'esperienza
giuridica - richiama facilmente quello tra la valutazione dell'agire
nell'esteriorità conformistica delle sue manifestazioni e la valutazione morale
considerata nella profondità e originalità della esigenza spirituale che la
determina ». Non occorre sottolineare da quale parte è, per il Cesarini Sforza,
il valore. E quale sia il valore intrinseco al movimento di progresso, cui egli
dà il nome di principio di giustizia, è quindi spiegato: «Il concetto di
logalità esprime la condizione delle azioni umane in quanto ordinate mediante
un sistema di imperativi, e quindi sottoposte alle volontà che negli imperativi
si manifestano. Invece è intrinseca al
concetto di giustizia l'idea - affermatasi, come già si disse, attraverso la
dottrina cristiana e il giusnaturalismo razionalistico - dell'eguaglianza fra i
soggetti di diritto in quanto sono tutti persone umane. Quest'idea fa sí - come
dimostra l'esperienza storica - che i principi tendenti a realizzarsi come
regolativi di un nuovo ordine giuridico esprimano nelle forme piú varie
un'unica esigenza: quella delle volontà giuridicamente subordinate di
conquistare, rivendicando eguaglianza e libertà nei confronti dell'ordine
costituito, posizioni di predominio, di divenire alla loro volta, cioè, volontà
imperative ». IL METODO DELLA
FILOSOFIA Esponendo, nella parte che
precede, i temi cardinali della Filosofia del diritto del Cesarini Sforza, ho detto delle indicazioni
metodologiche dell'autore a proposito della filosofia e della scienza. La scienza
conosce l'oggetto dato come dato, la filosofia pone in evidenza l'attività
spirituale che crca, senza mai esaurirsi, la realtà oggettiva. Il metodo della
scienza consiste nell'applicare alla realtà oggettiva schemi ordinatori,
giungendo per questa via al generale; la filosofia studia l'esperienza nella
sua universalità, e « la definizione flosofica il pensiero deve trarla da se
medesimo, in quanto si riferisce alla sua attività in un determinato suo
aspetto». Sono ben noti gli antecedenti di questa posizione meto-dologica: è
noto come nell'idealismo italiano il pensiero filosofico sia distinto dal
pensiero scientifico, legato all'oggetto o oggettivante e procedente per
generalizzazioni, come pensiero puro che trae da se medesimo le sue
determinazioni, dotate del carattere
della universalità. Ma la definizione filosofica del diritto,
data in quest'opera, è veramente trovata dal pensiero in se medesimo con metodo
puro di riferimenti all'oggetto? L'indagine filosofica, dice l'autore, rivela
come l'atto spirituale che crea il diritto sia un processo della volontà. La dialettica del volere consiste nel
rapporto fra attività e espressione, fra atto e fatto. Nel passaggio da atto a fatto consiste
l'astrazione che, applicata al comportamento con-creto, rende possibile il
distinguere tra volizione e azione, le configura come tipi, rende possibile la
razionalizzazione dei comportamenti umani mediante schemi ordinatori, regole
pratiche. Norma giuridica è quel tipo di regola pratica, la imperativa, che un
soggetto pone ad altro soggetto; la norma che l'individuo pone a se stesso non
è giuridica, Lo Stato è la relazione tra chi comanda e chi è comandato. Il
tentativo piú severo e rigoroso di un pensiero puro, che tragga sé da se
medesimo,, è stato fatto dal Gentile con la filosofia dell'atto puro. Un
gentiliano esigente potrebbe muovere al Cesarini Sforza il rimprovero di
empirismo o materialismo. Ecco ciò che il gentiliano potrebbe dire.
Materialistica è la concezione individualistica, che contrappone individuo a
individuo, chi comanda a chi è comandato, chi pone la regola imperativa a chi
ne è destinatario. E la dialettica dell'attività spirituale, la distinzione tra
atto e fatto, tra l'attività e i suoi prodotti, sono pensate dal Cesarini
Sforza in modo astratto e natu-ralistico. La volontà è concepita come fatto
psichico, che si svolge nel tempo formandosi, perdurando quale tensione
volitiva, venendo meno o per il compiersi dell'azione o per il cadere della
tensione (v., per es., a p. 132). I superamenti dello spirito rispetto ai enoi
prodotti sono superamenti che avvengono nel tempo, e non il superamento che lo
spirito fa di se stesso nell'atemporalità dell'atto. Il Cesarini Sforza non
parla del diritto come d'un termine della dialettica spirituale superato dalla
sintesi ideale, ma parla di ordini normativi costituiti nella storia e superati
dalle rivoluzioni politiche. Guardate, potrebbe concludere l'attualista,
scandalo!, come la filosofia del Cesarini Sforza entra in colloquio con la
sociologia e ne utilizza gli apporti a conferma e chiarimento delle sue tesi;
con la sociologia, con la quale la pura filosofia dell'atto puro non ha mai
avuto a che fare poiché quella rimane
immersa nel logo astratto, mentre questa à logo concreto. Credo che il gentiliano esigente per un certo
verso avrebbe ragione. La dialettica della volontà e del suo esprimersi nel
diritto, com'è presentata dal Cesarini Sforza, non si svolge nel mondo
senz'aria del pensiero puro, bensí nel mondo umano della storia, empiricamente
concepita, dove non lo spirito unico celebra in solitudine le sue espressioni e
i suoi superamenti, ma gli uomini sono portatori di ideologie e di interessi
diversi, e il diritto si costituisce quando la volontà di alcuni si impone alla
volontà degli altri e la rivoluzione si ha quando i governanti non sono piú in
grado di costringere i governati all'obbedienza. A mio giudizio, però, proprio
qui sta la forza dell'opera: nell'empirismo che porta l'autore fuori degli
sterili tormenti della filosofa ancora in cerca del pensiero puro e, ponendo la
filosofia del diritto in pieno e vivace rapporto con la sociologia e con le
scienze giuridiche, le dà nutrimento e robustezza. Oso dire che le
dichiarazioni metodologiche sopra riferite, delle quali peraltro ben si
comprendono, su un piano psicologico e culturale, le ragioni di persistenza,
sono smentite dallo svolgersi della trattazione: la definizione del diritto,
quella dello Stato e le altre definizioni elaborate nel libro non sono trovate
dal pensiero in se stesso né sono formalmente universali, ma sono costruite
sull'esperienza e sullo studio che dei dati empirici fanno le scienze sociali.
La Filosofia del diritto del Cesarini Sforza dà una nuova dimostrazione della
fecondità dell'atteggiamento del filosofo che non tema l'accusa di empirismo e
cerchi il colloquio con le scienze, quando a ciò si accompagnino l'attitudine
critica e la capacità di sintesi, e il contatto con l'esperienza non vada a
danno dell'interesse per i presupposti e le condizioni e i rapporti delle
scienze e di ogni altra attività umana.
Che cosa rimane, in questo libro del Cesarini Sforza, se non il metodo
del pensiero. puro, della tradizione filosofica idealistica? Rimane una
vocazione filosofica alla comprensione del mondo umano, che, non appagandosi di
analisi particolari, di punti di vista limitati, di prospeitive bloccate, vuol
vedere le cose da tutte le parti possibili, collegarle in visioni di insieme,
soprattutto non limitarsi a considerare i risultati delle attività umane, ma
comprendere le attività nel loro svolgersi. Ecco, però, un filosofo formato in
questa scuola che non ispregia la sociologia e sa servirsene. Ed egualmente il
Cesarini Sforza sa tenere buone relazioni con le scienze giuridiche, dedicando
a concetti giuridici un lavoro. del
quale i giuristi potranno fare buon conto. Benché il Cesarini Sforza parli
assai spesso di attività spirituale e di spirito, il soggetto della storia e
dell'esperienza giuridica è per lui l'uomo reale. « La dottrina umanistica —
che non ignora la potenza dell'attività spirituale (« spiritus intus alit»), ma
sa che tale potenza non appartiene a un soggetto trascendente (com'è l'Idea di
Hegel) bensi s'incarna nel pensiero e nella volontà degli uomini reali (...) ».
E le vicende degli uomini reali sono considerate in modo assai disincantato,
che porta l'autore ad assumere talvolta accenti quasi marxisti, come a
proposito della proprietà: « (...) non è del tutto senza base la concezione
secondo la quale il diritto è strumento di dominio economico, e lo Stato liberale democratico è il 'comitato d'affari
della borghesia capitalistica'». Lo Stato, lo si è visto, non è
idealisticamente divinizzato, ma é concepito quale rapporto politico tra
volontà umane che si impongono e volontà umane che soccombono. Siamo qui nella
linea realistica della filosofia politica crociana. Le pagine in cui questa
ferma consapevolezza piú appare, e diventa piú cruda, sono a mio avviso quelle
sulla pena. Hanno séguito, osserva il Cesarini Sforza, la teoria della difesa
sociale e quella dell'emenda; difesa ed emenda sono però scopi secondari
rispetto alla vera finalità della pena. In fondo all'idea della sanzione punitiva,
dice l'autore, si può sempre ritrovare il fatto della vendetta. Tra la vendetta
e la pena corre la differenza che la prima è esercitata fra soggetti eguali,
che si contraccambiano un male, mentre la seconda è applicata da un potere
sociale, superiore all'offensore e all'offeso; ciò rappresenta senza dubbio una
garanzia di imparzialità, una tutela della pace sociale, ma in ultima analisi
anche lo Stato non fa che contraccambiare o retribuire, col male della pena che
infligge, il male del reato commesso. Non si possono meditare simili tesi senza
turbamento, specialmente se si è esercitato il magistero penale. Forse la teoria della difesa e dell'emenda
sono soltanto schermi costruiti per nascondere a noi stessi che il giudice è
strumento di vendetta? L'opinione del Cesarini Sforza, e il modo in cui è
presentata e giustificata, meritano apposita, approfondita discussione; qui
l'opinione è stata addotta come significativo esempio del suo realismo. E si
dovrebbe sempre cercare di tenersi nella stessa direzione, d'una filosofia che
non tragga dal pensiero. puro esaltazioni e giustificazioni retoriche o mitiche
degli istituti politici, e guardi invece francamente all'esperienza degli
uomini reali per rendersi conto dell'effettiva, anche se talora spiacevole natura
dei loro rapporti, delle vere ragioni del loro comportamento. VOLONTÀ E ESPRESSIONE Si vede confermato, nel libro del Cessrini
Sforza, come la filosofia giuridica italiana. laica e immanentistica abbia
raggiunto, a proposito dei problemi classici della filosofia del diritto,
impostazioni e soluzioni di decisiva importanza. Diritto e morale: vano è
cercare criteri assoluti e universali di distinzione tra norme morali,
giuridiche e d'altre categorie; la distinzione dovrà essere fatta tra moralità
da una parte, intesa come attività concreta, e legalità dall'altra, intesa come
conformità dell'azione alla legge. Unità o pluralità degli ordinamenti
giuridici, statualità o socialità del diritto: tanti sono gli ordinamenti
giuridici quante le organizzazioni sociali, ma i giuristi scelgono un
particolaro ordinamento e con esso identificano il diritto. Le tesi filosofiche
ora accennate potranno essere rifinite o riformulate in vari modi, giudico però
molto arduo l'allontanarsene o il rovesciarle. Di special vigore mi sembra il
modo in cui il Cesarini Sforza ripresenta la critica al giusna-turalismo:
l'errore filosofico del giusnaturalismo consiste nella pretesa di far passare
come- principio costitutivo del diritto
un particolare principio regolativo. Dicevo in principio del senso di
compiutezza che, quanto ai temi e ai problemi approfonditi e nelle sue
prospettive, dà questa Filosofia del diritto. Intorno al concetto centrale
della dialettica del volere come rapporto tra l'attività dello spirito e la sua
espressione si organizza un coerente discorso, ove filosofi e giuristi trovano
molte soddisfacenti risposte a loro domande. Il tema, rispetto al quale
principalmente mi par vi possa essere progresso di studio, è proprio quello del
concetto di volontà e di espressione della volontà. Che cosd
intendiamo per volere, quali processi designamo con questo nome? Che
cosa intendiamo per espressione del volere? Come avviene il passaggio dalla volontà
all'espres sione? Ogni filosofo, ogni scuola filosofica, compiendo l'arduo e
paziente lavoro di precisazioni e distinzioni concettuali, si ferma a un certo
punto su concetti non ulteriormente analizzati, che vengono sovente definiti
come forme pure, categorie, principi costitutivi. L'arrestarai non è senza ragione e necessità:
questi concetti non analizzati forniscono i punti di riferimento, le
impalcature di sostegno, di cui si ha bisogno per non smarrirsi nel terreno
dove si scava e si lavora. Poi, quando i risultati di quel lavoro sono
assimilati, è possibile rivolgersi a quei punti di riferimento, a quei concetti
centrali e organizzatori, per iniziare anche lí il precisare e il distinguere.
Ci si vale, in ogni nuova fase dell'im-
presa filosofica, di nuovi punti di riferimento, di nuove impalcature;
ma vi può essere un progresso, se si estende il campo della consapevolezza e
soprattutto se si è imparato a non venerare troppo le impalcature di cui ci si
serve. La scuola filosofico-giuridica italiana, di cui è rappresentante il
Cesarini Sforza, ha avuto ed ha come concetti organizzatori quelli di attività
spirituale, di volontà, di espressione, di dialettica. Sono state dette cose
rilevanti a proposito di tali concelti; ma, laddove essi hanno resa possibile
un'avanzata analisi filosofica in altri luoghi, qui l'analisi non è andata
molto avanti. Ha contribuito non poco ad arrestarla il concetto del metodo
filosofico di cui prima si è parlato. Pure, anche su questo terreno c'è lavoro
da fare. Grandi contributi portano al chiarimento dei processi della volontà e
del suo esprimersi la sociologia, la psicologia, la linguistica e altro
discipline, e il filosofo deve coordinare i risultati rendendo chiari i
fondamenti e i metodi con cui ciascuna di esse si accosta a questi problemi.
Come avviene, in particolare, l'esprimersi dell'atto del volere attraverso il
procedimento astrattivo che distingue volizione e azione? Tale espressione
avviene mediante il linguaggio. Il linguaggio non è qualcosa di dato all'uomo e
pronto e finito una volta per tutte, né è creato caso per caso in ogni concreto
atto d'espressione; esso è un prodotto della storia e della cultura umana,
nttra- verso una lunga e complessa
elaborazione. Si può studiare, come fa la linguistica, la formazione dei
linguaggi nella storia umana; si può studiare i processi di impiego del
linguaggio per organizzare la convivenza e la collaborazione mediante le
prescrizioni; e studiare la psicologia degli usi e delle ricezioni individuali
di questo prodotto della società. Invece
di partire dai concetti molto generali di volontà e di espressione, partire da
situazioni e attività umane concrete; alla coordinazione di quei concetti nella
teoria della dialettica sostituire l'esame particolareggiato dei procedimenti e
degli strumenti degli uomini reali che
razionalizzano la vita mediante le regole. L'analisi dei concetti dovrebbe
servire, procurando gli schemi ordinatori, come mezzo per comprendere queste
attività. In tali prospettive è
possibile indagare in che consista il significato delle espressioni
lin-guistiche, in che senso e in che limiti si possa parlare di significati
comuni e costanti tra piú persone, cioè di una oggettività dei significati
rispetto ai soggettivi atti di espressione e di intendimento, in ispecie di una
oggettività delle norme giuridiche rispetto ai soggettivi atti di volizione;
cercare in che consista l'astrattezza delle espressioni linguistiche normative,
che designano tipi di situazioni e tipi di comportamenti, e come si formino i
concetti astratti e come pragmaticamente funzionino nel razionalizzare i
concreti processi vitali; studiare infine la disciplina cui gli uomini
sottomettono gli usi linguistici o farsi custodi di tal disciplina o attendere
a migliorare le regole d'uso del linguaggio in ordine ai loro scopi, con gli
studi di semantica e di logica. Impegnarsi insomma, anche a proposito della
volontà e della sua espressione, nel pieno dell'esperienza e della sua
moltepli-cità, elaborare con precisa analisi i mezzi concettuali della
conoscenza Quanto ho detto avrà fatto
pensare il lettore al lavoro e ai programmi di lavoro del complesso movimento
filosofico che si indica col nome di filosofia analitica. Ma a cagione del loro
modo di lavorare e dei loro programmi gli analisti rischiano di avere vista
corta. di chiudersi entro i loro orticelli e perdere quell'ampiezza di visuali,
quel bisogno di visioni di insieme, che sono il carattere della filosofia; e
per effetto di tale limitazione finir con l'accettare in modo acritico una
quantità di presupposti e di condizioni di lavoro. C'è, negli scritti degli
analisti, una sorta di compiacimento del particolare, dell'opera paziente nel
piccolo campo. Questa disposizione è estremamente positiva come manifestazione
di rea-zione, come strumento polemico contro certo facile e retorico
filosofare; può assumere una funzione negativa se toglie lo sforzo di
comprendere la complessità dell'esperienza umana e di correlarne gli aspetti in
una considerazione sintetica. E importante, per esempio. studiare con pazienza
e rigore la struttura logico del linguaggio giuridico; ma è altrettanto
importante sapere che quella è la strutturi li un linguaggio che serve a dati
scopi nella società umana e si forma attraverso certi processi d'esperienza e
opera in certi processi di esporienza. Senza questa consapevolezza si corre il
pericolo, nel quale non di rado sono incappati cultori di logica giuridica, di
estendere surrettiziamente conclusioni dei loro studi oltre i limiti di quegli
studi, o fondar le analisi logiche in presupposti dogmatici che non
reggerebbero alla critica. Ecco dove la tradizione filosofica idealistica,
giungendo attraverso opere come la Filosofa del diritto del Cesarini Sforza,
mantiene, anche per chi senta l'esigenza di nuove indagini nel senso or ora
indicato, una piena e attuale validità.
L'insognamento principale di questa Filosofia del diritto si può
riassumere in poche parole: sappiate vedere il diritto nell'esperienza
giuridica. Il concetto di esperienza giuridica, o meglio, piú che un concetto,
l'impegno a considerare il diritto nell'esperienza; l'analisi delle relazioni
tra il diritto come regola e la vita morale, politica, economica, soprattutto
l'elaborazione delle distinzioni concettuali necessarie alla consapevolezza di
tali relazioni, sono uno dei contributi migliori della recente filosofia
giuridica italiana agli studi filoso-fici; e costituiscono il principale titolo
di merito del libro di cui ci occupiamo. Il modo in cui il Cesarini Sforza
concepisce l'esperienza giuridica, comparato a quello di altri nostri autori,
sarebbe un interessante tema di ricerca. Qui conviene limitarsi, in relazione a
quel movimento filosofico di cui sopra si diceva, che ormai, e
fortunatamente, è pene- trato anche nel nostro paese e vi
progredisce, a sottolineare l'insegnamento da tenere vivo. LA GIUSTIZIA
L'esperienza giuridica procede attraverso il tentativo di razionalizzare
la vita mediante la regola e attraverso la ribellione della vita alla regola.
Le sopraffazioni delle norme sulla vita, le ribellioni della vita «sono aspetti
necessari e insopprimibili del processo spirituale sopra rievocato. Ciò la
filosofia insegna (...), mostrando (...) che è un errore parteggiare
aprioristicamente per le norme contro la vita, ma è un errore anche parteggiare
aprioristicamente per la vita contro le norme ». Sembra dunque che il filosofo
sia neutrale tra la vita e le norme; e, seduto sull'orlo del fiume, veda
scorrere il fiume col suo ribol. lire di lotta tra la regola giuridica e
l'originalità della valutazione morale, applicando il precetto spinoziano di
non appassionarsi alle une o alle altre sorti, sed intelligere. Abbiamo però
rilevato come alla fine il Cesarini Sforza prenda partito, e mostri la sua
simpatia per la parte della vita. Al
momento dell'ordine giuridico egli dà il nome di principio di legalità, al
momento di ribellione e superamento il nome di principio di giustizia. E nel
principio di giustizia ravvisa l'affermarsi dell'esigenza della eguaglianza tra
i soggetti di diritto in quanto sono tutti persone umane. Il filosofo non rimane dunque freddo e
intellettualisticamente indifferente innanzi alle vicende umene, ma ne è
partecipe, si impegna a sua volta. Cosí un recensore, il Ciarletta, ha potuto
dire che la filosofia del diritto è, per il Cesarini Sforza, la filosofia della
rivolu-zione; o per lo meno, se la parola rivoluzione facesso necessariamente
pensare al sovvertimento violento di un ordine giuridico preesistente, la
filosofia dell'originale e profonda moralità che supera l'irrigidito schema
della norma astratta. La simpatia per l'autore certamente si arricchisce molto di questo
rilievo: il filosofo indifferente suscita sgomento, dal filosofo ci si aspetta
non soltanto una lucida spiegazione di come vanno le cose, ma d'averne un
orientamento e una guida per la parte che nella società umana noi stessi
dobbiamo pure svolgere. In questo punto ravviso, però, la maggior difficoltà
filosofica del libro. Cho base ha
l'affermazione della presenza dell'esigenza egualitaria nel principio di
giustizia, ossia nel movimento che produce e supera il diritto? Sembra che il
Cesarini Sforza le dia una base empirica: al passo in cui si dichiara che
l'idea di eguaglianza tra i soggetti di diritto è intrinseca al concetto di
giustizia segue, a p. 176 del libro, un richiamo all'esperienza storica (v. la
citazione alla fine del secondo paragrafo di questa nota). Ma l'esperienza storica, purtroppo, è al
riguardo tutt'altro che univoca. Ci sono movimenti rivoluzionari piú o meno
sinceramento ispirati all'eguaglianza tra le persone umane e ci sono movimenti
che predicano e praticano la disuguaglianza degli uomini, dei popoli, delle
razze. L'esperienza storica mostra che vi sono volontà in lotta per imporre la
propria forza alla forza di altre volontà, e il vario contenuto delle volontà
contrastanti. Se principio di giustizia
è il nome che diamo al movimento che produce e supera il diritto, realizzano il
facipio di giustizia tanto i nazisti che vogliono abbattere la democrazia
quanto i desiocratici che si ribellano al diritto nazista. L'identificazione
del principio di giustizia con il manifestarsi dell'esigenza di eguaglianza
delle persone umane è il giudizio etico che una retta coscienza dà sulla
storia; l'esperienza storica ne è giudicata, e non può giustificarlo, non basta
a fondarlo. È possibile una fondazione
teorica del principio di giustizia? Oppure in quel principio si manifesta la
nostra personalità, come si è formata nel nostro ambiente culturale, e non v'è
modo di dimostrarlo ad altri, ma soltanto lo si riceve e lo si comunica per via
di educazione? Questo è il problema della giustizia, come problema del valore
del diritto. La filosofia del diritto
del Cesarini Sforza, con il suo immanentismo, con il quadro che dà dell'esperienza giuridica come dialettica
di regola e di concreta e originale moralità, con la critica dei principi
regolativi, esclude la prima soluzione. Ogni tentativo di identificazione
teorica della giustizia, come valore del diritto, con l'eguaglianza delle
persone umane, sarebbe un nuovo
contrabbando di un principio regolativo, il principio dell'egua-glianza, quale
principio costitutivo del diritto. Dal punto di vista di questa filosofia si
può dire soltanto che principio costitutivo dell'esperienza giuridica è il
sovrapporsi della regola alla vita e il
ribellarsi della vita alla regola; dal principio costitutivo del diritto,
chiarito dalla filosofia, all'affermazione del valore di un certo principio
regolativo, non c'è pas- saggio. La
ragione filosofica vede il principio costitutivo, la dialettica di morale e
diritto; se poi, in quella dialettica, noi ci impegniamo per un particolare
principio regolativo, ciò dipende da ragioni della nostra morale, che la
ragione filosofica non conosce. Il
problema del valore, o dei valori, costituisce uno dei temi centrali e piú
critici dell'idealismo italiano, che in vari suoi rappresentanti ha tentato di
ricavare la fondazione del valore dalla teoria della realtà spirituale. Mi pare
che la chiara e stringente formulazione data alla filosofia della pratica dal
Cesarini Sforza ci metta innanzi a una conclu-sione: per una filosofia, che nôn
creda di poterli fondare nel trascendente, i valori non sono giustificabili
teoricamente. Questo non significa finire in pieno irrazionalismo e negar che
la filosofia debba occuparsi delle questioni di valore: gli atteggiamenti
valutativi sono connessi con credenze, e il discorsa razionale, modificando le
credenze, contribuisce a mutar le valutazioni; quanto alla filosofia, ossa ha
per compito di chiarire la natura, la portata e le conseguenze
dell'atteggiamento valutativo, di analizzare e distinguere le com• ponenti del
discorso sui valori ecc. Ma al fondo dell'affermazione di un valore c'è sempre
un impegno personale, un atto di coscienza morale. Tale tesi non ci riconduce
allo sgomento del filosofo freddo o intellettualisticamente indifferente; desideriamo
il filosofo che cerchi di realizzare con la filosofia il valore della
conoscenza spassionata, ma sappia nel mondo, conosciuto senza passione,
affermare con ferma e feconda passione tutti i suoi valori umani. Simile
discorso non può qui ulteriormente svilupparsi: quanto ho detto può forse
bastare per indicare la seconda, importante direzione di progresso di
consapevolezza che, a mia giudizio, si apre a chi medita le posizioni
dell'idealismo italiano, e queste, in particolare, del Cesarini Sforza. LA TEORIA GENERALE DEL DIRITTO Al principio del saggio dedicato alla Teoria
generale del diritto del Levi, recentemente ripubblicato nel volume Studi sulla
teoria generale del diritto, il Bobbio rileva che tre sono i punti di vista da
cui una teoria generale del diritto può guardare il fenomeno giuridico: diritto
come rapporto giuridico, diritto come istituzione, diritto come norma. Ho detto in precedenza che nella tcoria
generale delineata dal Cesarini Sforza è particolarmente importante e centrale,
insieme al concetto di norma, quello di rapporto giuri-dico; ed ho indicato il
modo in cui l'autore lo definisce. Ora è interessante rilevare come il concetto
di rapporto sia da lui costruito sulla base del concetto di norma, che è il
vero pernio dell'organizzazione dei concetti di questa teoria generale, talché
essa va ascritta al terzo tipo indicato dal Bobbio. Nel caso dell'atto normativo primo, non
qualificato sulla base di precedenti atti nor-mativi, rapporto giuridico è la
relazione che ai istituisce tra il soggetto attivo dell'imperativo e il
soggetto passivo; il rapporto giuridico è definito come rapporto tra
l'imperativo e l'obbligo che esso pone. La distinzione e contrapposizione tra
norma e rapporto giuridico, com'è presentata di solito (la norma quale fonte
del rapporto, in quanto regolatrice di una relazione sociale, economica ecc.),
è sostituita, a proposito degli atti normativi qualificati sulla base di atti
normativi precedenti, dalla distinzione e contrapposizione tra rapporto
giuridico concreto, ossia l'imperativo effettivamente rivolto da un sobbeece
ad un altro, e rapporto giuridico
astratto, ossia lo schema di rapporto stabilito dalla formula normativa
riferibile alla volontà superiore. I concetti di rapporto concreto e di
rapporto astratto servono in effetti, come si vedo, a configurare la
correlazione tra una norma di grado inferiore e una norma di grado superiore. È
naturale, qui, il richiamo al Kelsen. La corri-spondenza tra posizioni del
Cesarini Sforza e posizioni del Kelsen appare evidente a proposito della
soluzione data al problema della legittimazione del diritto, del fondamento.
della sua obbligatorietà. I rapporti concreti, dice il Cesarini Sforza, sono
giuridici solo in quanto rientrino in uno schema di rapporto astratto stabilito
dalla volontà superiore. In termini
kelseniani, la validità di una norma deve essere dedotta da una norma di grado
superiore. Riguardo all'atto normativo primo, dico il Cesarini Sforza, la
distinzione tra rapporto astratto e rapporto concreto non ha nessun
significato; l'atto normativo primo. eta all'inizio di una serie di
qualificazioni di giuridicità, ma non può essere qualificato. nello stesso
modo; esso è giuridico di per sé, purché in esso si manifesti una forza
vin--colatrice delle azioni. Cosí la norma fondamentale del Kelsen sta
all'inizio di una serio di qualificazioni di giuridicità, ma non può essere
qualificata nello stesso modo; e tutta: la catena delle qualificazioni vi può
essere appesa, in quanto la norma fondamentale sia posta come condizione di
validità dell'intero ordinamento. I due autori hanno in comune-l'importante
consapevolezza che il diritto non può essere giustificato con il diritto: si
giustificano, all'interno di un ordinamento giuridico, singole norme sulla base
di altre-norme; ma per sapere come l'intero ordinamento, entro il quale il
giurista adopera la sua. logica qualificatrice, stia in piedi, o perché debba
stare in piedi, per stabilire le condizioni prime di ogni ragionamento
giuridico, occorre andar fuori del diritto e impiegare-un altro tipo di
ragionamento. La differenza tra il Kelsen e il Cesarini Sforza sta nel fatto.
che il primo considera le norme nella loro struttura formale, si occupa
soltanto dei loro- rapporti
logico-formali, e quindi il presupposto
di ogni qualificazione di giuridicità si
presenta nella sua dottrina come una mera condizione logica, un'ipotesi
del pensiero giu-. ridico; il Cesarini Sforza invece guarda agli atti normativi
nella loro effettività storica e• psicologica, concepisce la norma come imperativo,
e quindi il presupposto di ogni qualificazione di giuridicità si configura per
lui come un atto normativo primo dotato di forza politica. Mi sembra che da questa concezione della
norma come imperativo derivino alcune difficoltà, del tipo di quelle che si
sono sempre incontrate quando si sono definiti concetti di teoria generale del
diritto in riferimento a effettivi atti o stati di volontà, anziché in:
riferimento alla e soltanto alla loro espressione. Il nostro autore perviene
coerentemente a dire che il rapporto giuridico nasce nel tempo, perdura come
componente dell'ordine giuridico quanto perdurà la tensione volitiva, e viene
meno col cadere della tensione o col' compimento dell'azione voluta. Da questo
punto di vista non si spiega come mai i giuristi continuino a considerar
giuridica una volontà manifestata entro un certo ordine giuridico,, e i giudici
ad applicarla, finché non siano avvenuti certi fatti con efficacia abrogante,
senza preoccuparsi del perdurare della tensione volitiva in corrispondenza alla
volontà espressa. Meglio, a mio avviso,
chiarito che e come il diritto si forma e si trasforma nella società umana
attraverso l'esprigersi della volontà, dire decisamente che dal punto di vista
giuridico ciò che viene conosciuto e applicato è la volontà in quanto espressa,
la norma come: espressione; e costruire la teoria generale del diritto dal
punto di vista della norma come espressione linguistica prescrittiva, anziché
dal punto di vista della norma come imperativo.
Checché si pensi, comunque, di queste osservazioni, la teoria generale
del diritto del Cesa-rini Sforza, accolta come è presentata o trascritta in
chiave formalistica, porta nel con..
testo della sua Filosofia del diritto una nuova e considerevole prova
dei meriti del norma--tivismo. La concezione del diritto come norma consente di
costruire. una organica teoria generale del diritto e insieme di vedere
filosoficamente il diritto nel concreto dell'esperienza giuridica. In sede di
teoria generale si determinano i rapporti formali tra le norme, come si
prospettano per la scienza del diritto che assume una norma prima quale
criterio d'individuazione di un sistema di norme; in sede filosofica non ci si
ferma alle norme come dato di un'attività scientifica, ma si considera come le
norme sono prodotte e superate nell'umana vicenda del rinnovarsi del tentativo
di razionalizzare la vita mediante la regola e del rinnovarsi della ribellione
della vita alla regola.Widar Cesarini Sforza. Sforza. Keywords: iussum, iustum.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sforza” – The Swimming-Pool Library.
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