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Friday, December 20, 2024

GRICE ITALO A/Z S SO

 

Grice e Soave: la prammatica filosofica – filosofia italiana -- Luigi Speranza  (Lugano). Filosofo italiano. Soave. Figlio di Carlo Giuseppe Soave, italiano, e la tedesca Clara Herik. SOAVE  Francesco Soave, all'anagrafe Gian Francesco, nacque a Lugano, città della Svizzera italiana che a lungo seguì le sorti della vicina regione Lombardia e in particolare della città di Milano, sotto il cui dominio rimane fino all'occupazione francese e infine svizzera dei primi anni del Cinquecento. Al momento della nascita di S. il comune fa quindi parte della confederazione elvetica, ma la sua configurazione socio-linguistica presentava caratteri fortemente italiani. S. è ben presto avviato agli studi canonici presso il collegio S.  Antonio della sua città natale, sotto la guida dei padri somaschi, e dove veste l'abito.  Spostatosi a Milano per concludere il suo anno di noviziato, prende i voti nel convento di S. Pietro in Monforte e nello stesso anno si trasfere a Pavia nel collegio di S. Maiolo, dove rimane per i due anni successivi e compì i suoi primi studi di carattere FILOSOFICO.  Continua poi con gli studi a Roma presso il collegio Clementino, dove si dedica nuovamente alle teologia e affinò le sue conoscenze nelle lingue classiche, oltre che nelle lingue moderne romanze e non (l'inglese, il tedesco, il francese e presumibilmente anche lo spagnolo). Lascia Roma e, dopo un periodo a Milano, si stanzia a Parma dove lo aspetta VENINI, suo amico e confratello, direttore, su nomina del ministro Tillot, del collegio della Reale Paggeria, dove S diviene docente di lettere.  Successivamente S., a causa della chiusura del collegio e sempre sotto la protezione di Tillot, insegna poesia a Parma, ruolo per il quale compose un'antologia latina e una grammatica della lingua italiana. Il testo e le teorie linguistiche annesse richiamano la dottrina sensista di Condillac e dello stesso VENINI (si veda). S. s’interessa ben presto dei problemi relativi al linguaggio, ispirandosi alle riflessioni di altri studiosi, per lo più stranieri, come Leibniz, Descartes, Wilkins, Kircher, Dalgarno, Locke, e nei confronti dei quali poco ha d’invidiare in fatto di riconoscimenti. Partecipa a un concorso che vaglia le teorie sull'origine del linguaggio bandito dall'Accademia delle scienze di Berlino, fondata da Leibniz stesso, dove raggiunse il secondo posto, preceduto solamente dal lavoro di Herder. Il saggio che gli valge il podio si intitola “Ricerche intorno all'istituzione naturale di una società e di una lingua e all'influenza dell'una e dell'altra sulle umane cognizioni,” ed è rivisto, tradotto in italiano e pubblicato a Milano nell'opera miscellanea Istituzioni di logica, metafisica ed etica. È da sempre affascinato dalle teorie di Locke, di cui cura la traduzione in italiano del compendio di Wynne dei libri II, III, e IV, relativi rispettivamente ai suoi ragionamenti intorno alle idee – the way of ideas --, alle PAROLE – the way of words – title of Grice’s collection -- e alla conoscenza dell'allora già celebre Saggio sull'intelletto umano. Empirista, grammatico, traduttore e, assieme a CESAROTTI (si veda), maggior esponente del sensismo italiano, S. frequenta gl’ambienti più prestigiosi del suo tempo. CESAROTTI (si veda) nacque a Padova e ivi muore. È abate e professore di retorica e belle lettere nella sua città natale, prima di trasferirsi a Venezia come precettore della famiglia Grimani, dove conosce, tra gli altri, Goldoni. Traduttore di Voltaire, è nominato professore di lingua greca ed ebraica a Padova. Traduce opere dal latino e dalle lingue moderne, divenne teorico dell'estetica e della lingua come dimostra il Saggio sopra la lingua italiana, stampato in edizione definitiva col titolo di Saggio sulla filosofia delle lingue applicato alla lingua italiana. Nel saggio, che si appoggia alle idee sensiste di Brosses e Condilllac, lo studioso condivide le sue teorie circa l'origine della parola e delle parole - teorie del tutto simili a quelle di Soave- e, dopo aver spiegato, secondo idee anche piuttosto moderne, che non ha senso considerare alcune lingue migliori di altre, parla dei rapporti arbitrari che sussistono tra le parole (i suoni) e le idee che esprimono, e delle incomprensioni che questi possono comportare: «Il rapporto tra I...] il vocabolo e '1 corpo visibile è vago, confuso, moltiplice, avendo un corpo molti e molti aspetti per cui può appartenere ad un altro, né potendo chi ascolta aver mezzo di conoscere in che si faccia consistere cotesta relazione» [CESAROTTI (si veda), Saggio sulla filosofia delle lingue, Padova, Brandolese]. Nel corso del suo saggio affronta i più comuni problemi di retorica e scrittura, analizzando le varie parti del discorso, lodando o rimproverando i vari usi, ma rimanendo comunque conscio del fatto che la lingua muta continuamente e che «Le cause morali e politiche colla loro lenta influenza portano un'alterazione nel sistema intellettuale del secolo, e ne configurano il genio, la scelta linguistica. In questo senso egli costruisce una sorta di grammatica universale, una grammatica che deve tendere all'etimologia e deve essere libera da tutti gli elementi che possono creare ambiguità.fu maestro personale del nipote del governatore austriaco di Milano, Carlo Gottardo di Firmian, lo stesso che gli affidò la cattedra di filosofia morale e poi di logica e metafisica presso il liceo di Brera. Trovandosi nuovamente a Lugano, insegna lì dove i suoi studi erano cominciati, al collegio S. Antonio, e dove ebbe come alunno MANZONI (si vda) – si veda: TRABALZA (si veda). Ancora si trasfere a Napoli su invito del principe di Angri Marcantonio Doria che lo volle come precettore del figlio. Viene richiamato a Milano per dirigere le scuole cittadine. Ènominato, da Napoleone Bonaparte in persona, membro dell'Istituto nazionale, ente nato per conservare e riunire le nuove scoperte dell'arte e delle scienze. Fu autore della Grammatica ragionata della lingua italiana che, assieme alla Grammatica di CORTICELLI (si veda), si situa tra le grammatiche più importanti. CORTICELLI nasce a Piacenza e muore vicino Bologna. Prete, filosofo, teologo, studioso della lingua e membro dell'Accademia della CRUSCA (“I don’t give a hoot what the dictionary says” – Grice), tratta ampiamente della lingua toscana nella grammatica Regole ed osservazioni della lingua toscana ridotte a metodo e nello scritto dal sapore boccaccesco intitolato Della toscana eloquenza discorsi cento detti in dieci giornate da dieci nobili giovani in una villereccia  adunanza. Nei suoi ultimi anni si dedica alla critica della dottrina fenomenica kantiana, che si situa su posizioni opposte rispetto al suo empirismo moderato, e delle idee di altri filosofi come Darwin e Tracy, pur sempre empiristi, ma evidentemente volti all'aspetto materialistico di quelle teorie. S. si spense infine di un male improvviso a Pavia. Le informazioni biografiche qui riportate si trovano nella pagina relativa a S. alla Treccani, Dizionario-Biografico dell’ENCICLOPEDIA, cur. Micheli. Gli Opuscoli Metafisici come summa: Locke, Herder, Condillac e il linguaggio. Nella ricerca italiana di una lingua internazionale e, prima ancora, di una lingua "perfetta", trova  un posto di riguardo la figura di S., per il suo interessante contributo e la sua vivace curiosità verso questi argomenti. Nei suoi Opuscoli metafisici. Istituzioni di logica, metafisica ed etica troviamo i due saggi, “Ricerche intorno all'istituzione naturale di una società e di una lingua e all'influenza dell'una e dell'altra sulle umane cognizioni” e “Riflessioni intorno all'istituzione d'una lingua universale,” in cui S. riflette sul linguaggio, sulle sue origini, sulla perfezione di una lingua. Il carattere evidentemente FILOSOFICO di questi trattati deve spiegarsi in relazione agli studi coevi d’altri filosofi e del dibattito linguistico tanto attivo in quell'epoca. La linguistica risiede ancora tra le attività della RIFLESSIONE FILOSOFICA – l’opinioni di Grice --, non potendosi avvalere di un metodo e di una trattazione scientifica e rigorosa. L'interesse di S. per la materia deve sicuramente avere tre radici ben distinte: da un lato la sua ampia conoscenza delle lingue moderne e delle lingue antiche, nonché la sua attività di traduttore, devono aver creato la base per le prime elucubrazioni sui disagi che le differenze linguistiche portano nel campo della comunicazione scritta e orale internazionale; in secondo luogo gli studi filosofici sull'empirismo e i suoi propugnatori devono aver sollecitato le riflessioni sull'origine del linguaggio e, di riflesso, sulle caratteristiche che una lingua perfetta - o naturale  - dovrebbe avere e il cui risultato è la teorizzazione di come dovrebbe apparire un'ipotetica lingua artificiale ad uso internazionale; in ultimo, la sua professione di professore, nonché la pubblicazione di opuscoli e grammatiche per l'assimilazione della lingua italiana, devono aver allenato la sua capacità di spiegare le intricate forme di una lingua e svolto una qualche influenza sulla volontà di rendere più semplice l'apprendimento.La filosofia di S. si fa sostenitrice della teoria sensista, come dimostrano le parole di apertura del secondo capitolo delle Ricerche che recitano «Che le umane cognizioni come da prima sorgente derivino dalle sensazioni, ella è cosa già troppo manifesta. S., «Ricerche intorno all'istituzione naturale di una società e di una lingua e all'influenza dell'una e dell'altra sulle umane cognizioni», in Istituzioni di logica, metafisica ed etica, Venezia, Graziosi. la conoscenza deriva allora per S. dall'esperienza che l'uomo fa del mondo, e in particolare dalle sensazioni che questa esperienza provoca in esso. Poiché non sarà allora conoscibile qualcosa che non siasperimentabile, egli rigetta la teoria innatista, che vuole che vi siano nella coscienza umana delle idee o dei principi ingeniti, così come qualche anno prima aveva fatto anche Locke nel suo Saggio sull'intelletto umano, dove, parlando delle idee e da dove esse derivino, così dichiara:  Supponiamo dunque che lo spirito sia per così dire un foglio bianco, privo di ogni carattere, senza alcuna idea. In che modo verrà ad esserne fornito? Da dove proviene quel vasto deposito che la fantasia industriosa e illimitata dell'uomo vi ha tracciato con una varietà quasi infinita? Da dove si procura tutto il materiale della ragione e della conoscenza? Rispondo con una sola parola: dall'ESPERIENZA. Su di essa tutta la nostra conoscenza si fonda e in  ultimo deriva. LOCKE, Saggio sull'intelletto umano, a cura di Abbagnano, Abbagnano, Milano, RBA Italia S.r.l.,  2017 («I grandi filosofi RBA»), e come sostenne anche Herder circa un secolo più tardi nel Saggio sull'origine del linguaggio del  1772:  Se proprio vogliamo chiamare linguaggio questi accenti immediati della sensazione, a me pare, dunque, che l'origine di esso sia affatto naturale. Non soltanto essa non è sovrumana, ma è innegabilmente animale, in quanto legge  naturale di una macchina sensitiva. HERDER, Saggio sull'origine del linguaggio, cur. Amicone, Milano, RBA Italia  («I grandi filosofi RBA»). Le idee di S. offrono un evidente e continuo richiamo alle teorie di questi studiosi, sebbene le espressioni con cui egli si riferisce agli stessi concetti siano a volte differenti: succede allora che le sensazioni di Locke e Herder, ovvero l'azione primariamente inconscia attraverso la quale l'animo  - termine che valga qui come sinonimo di coscienza o ragione - riconosce le cose esterne e, in ultimo, le idee stesse delle cose, vengano chiamate percezioni, e l'atto riflessivo, cioè l'atto che permette di determinare e individuare le singole idee e di comporle fra loro a creare idee più complesse, modificazione. Il linguaggio per Soave è una diretta derivazione di questa facoltà umana di disporre della ragione: esso si sviluppa fin dal primo pensiero, che si ha in occasione della propria nascita. Ecco che la facoltà di linguaggio, e la sua stessa struttura e grammatica cominciano a costruirsi nel momento stesso in cui si viene al mondo, ed è condizione fondamentale e costituente dell'essere uomo: la ragione determina l'essenza umana al suointerno, il linguaggio al suo esterno. Ogni esperienza a cui l'individuo partecipa determina la formazione di nuove idee o amplia o combina quelle esistenti, in un processo che non può dirsi finito fino alla sua stessa morte, e la presenza di queste idee suscettibili di ragione scatena parimenti il mutare e l'ampliarsi del sistema di linguaggio che a esse è riferito. Secondo questo principio, il linguaggio, che è espressione esterna dell'idea interna, «si evolve secondo lo sviluppo  della mente».RAFFELE SIMONE, «Seicento e Settecento», in Storia della linguistica, II, a cura di Giulio C. Lepschy, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 361. Si consideri anche che «l'idea che le lingue determinino, almeno fino a un certo punto, il carattere nazionale e il modo di pensare dei parlanti, è estremamente diffusa nel diciottesimo secolo e risale anche più indietro.  Solo per citare alcuni nomi, idee simili si trovano in Francia con Condillac, Diderot, ecc.; in Italia in parte con Vico e certamente con Cesare Beccaria e Cesarotti» [MORPURGO DAVIES, «La linguistica dell'Ottocento», in Storia della linguistica, cur. di Lepschy, Bologna, Il mulino]. Non è quindi improbabile e, anzi, è del tutto possibile che Soave fosse entrato in contatto anche con le teorie secondo le quali la percezione della realtà è in qualche modo condizionata dal linguaggio. E in ultima si può immaginare che egli concepisse la realtà e il  linguaggio come due entità che a vicenda possono condizionarsi. La riflessione poi deve essere anch'essa intrinseca: se l'uomo percepisce fin dal primo istante e ne è in qualche misura conscio, egli deve essere in grado di riconoscere tale operazione, e ciò è possibile solamente tramite la riflessione: così Locke intende quando afferma che «La percezione è la prima idea semplice della riflessione» ° Quest'ultima, coadiuvata dalle operazioni di memoria, che consentono di ripescare idee precedentemente conosciute, è l'aspetto che permette all'intelletto di creare nuove ipotesi e teorie, ovvero in ultimo ciò che permette la scoperta.Proprio l'abbandono di questo secondo requisito fondamentale della conoscenza Soave rimprovera a Condillac: abate francese di qualche anno più anziano, fu il maggiore esponente del sensismo, grazie soprattutto al suo Saggio sull'origine delle conoscenze umane. Tuttavia nella sua ultima opera, il Trattato delle sensazioni, Condillac abbandona la distinzione tra l'esperienza e la riflessione e riconosce nella sola sensazione il principio che sviluppa tutte le facoltà umane, di fatto subordinando ad essa ogni altra azione.'' Étienne Bonnot, abate di Condillac, nacque a Grenoble e muore a Beaugency.  Vive a lungo a Parigi, dove entrò in contatto con gli ambienti filosofici illuministici. Il suo Saggio è considerato la più coerente e compiuta formulazione della gnoseologia dell'Illuminismo francese. Nelle Ricerche Soave distingue due tipi distinti di memoria, la memoria dei segni e quella delle idee, la prima delle quali di molto più estesa rispetto alla seconda poiché, asserisce, «è assai più agevole il richiamare i segni delle idee, che non l'idee medesime, specialmente ove trattisi d'idee astratte»: nel caso in cui quindi vi fossero due ragazzi selvaggi che incontrandosi dovessero tentare di comunicare, per loro sarebbe difficile se nonimpossibile ricorrere alla memoria dei gesti, non condividendoli affatto. I secoli successivi vedeno un proliferare degli studi antropologici e linguistici eseguiti non di rado anche su popolazioni lontane dall'Occidente: la scoperta dell'America, l'intensificarsi dell'esplorazione e della colonizzazione    dei territori dell'Africa e dell'Asia offrirono agli studiosi notevole materiale di studio.   Complicato risulterebbe allora anche affidarsi alla facoltà di riflessione, giacché in mancanza di memoria «le congiunzioni d'idee si faranno in loro quasi tutte fortuitamente»$ il linguaggio, inteso dapprima come sistema di segni - con riferimento sicuro al segno gestuale, ma non si esclude un'allusione forse al segno linguisticamente inteso - appare allora elemento costituente della capacità non  solo comunicativa, ma anche di riflessione e di memoria.Il fatto che tra due potenziali interlocutori sia impedita (dalla barriera dell'ignoranza) la condivisione del sistema di segni, preclude qualsiasi tipo di scambio comunicativo e quindi di arricchimento conoscitivo. Ciò, per S., non significa che dalle parole derivi la conoscenza delle cose e a questo proposito egli dubita dell'asserzione di Rousseau secondo il quale «le idee generali I..] non si possono nell'animo introdurre, che col soccorso delle parole, e l'intelletto non le apprende, che per via di proposizioni». S. sostiene piuttosto che le qualità intrinseche alle parole ne permettano la conoscenza e che le stesse, assieme alle proposizioni, permettano di esternare questa conoscenza interna. Certo è che la discussione è permessa solamente se il sistema delle parole è condiviso, altrimenti a ciascuno rimarrebbe oscuro il significato associato alla determinata realizzazione fonica. E cioè, in fondo, parlando lingue difterenti è permessa si la conoscenza del mondo esterno, ma non lo scambio comunicativo. Glice Ceresiano e la lingua internazionale in caratteri mistz  Dalle precedenti riflessioni filosofiche deve essere derivato il bisogno di indagare sulla diversità linguistica dei popoli e sulla possibilità o meno dell'adozione di una lingua universalmente utilizzata, quantomeno per le conoscenze scientifiche. Così S. pubblica il saggio in esame, le Riflessioni intorno all'istituzione d'una lingua universale. Dato alle stampe con lo pseudonimo di Glice Ceresiano Nome che S. utilizza anche in occasione della pubblicazione di un opuscolo contro la Rivoluzione    francese e intitolato Vera idea della rivoluzione di Francia, lettera di Glice Ceresiano ad un amico.  e dedicato a un certo Clottofilo Euganeo, forse da identificarsicon il linguista padovano CESAROTTI (si veda), costituisce il primo esempio e il più interessante  tentativo di ideazione di una lingua internazionale in Italia. L'epiteto 'ceresiano' deriva con ogni probabilità dal secondo nome del lago di Lugano, ovvero il lago Ceresio, dalla leggenda che vede coinvolto il signore del lago, Céreso, e un pesce senza nome. Glice puo valere come nome parlante e significare allora 'dolce', dal greco yukús, ma il riferimento è più incerto. In 'Clottofilo', probabile errore di stampa per Glottofilo, è facilmente riconoscibile un amante della lingua, o del linguaggio, e 'Euganeo' esprime il  luogo di provenienza del destinatario così come è per l'autore in 'Ceresiano'. Il trattato si apre con le considerazioni circa l'innegabile utilità che una lingua universale avrebbe nello scacchiere internazionale. Soave argomenta in favore di tale utilità in maniera piuttosto breve, perché ritiene che la praticità di una lingua universale sia immediatamente comprensibile  e, come tale, inconfutabile:  Una lingua, che intesa fosse da tutte le nazioni, e che riparasse così al disagio della babelica confusione, e chi non vede di qual vantaggio sarebbe? Alla propagazione soprattutto, e all'accrescimento delle scienze sembra ella a' nostri giorni divenuta omai necessaria; perciocché le opere interessanti, che nelle lingue latina, italiana, gallica, Inglese, Tedesca, ec. si van tuttodì pubblicando, o in buona parte riescon nulle per noi, o ci costringono a consumare con lungo tedio quel tempo, e quell'industria nello studio delle parole, che nello studio delle cose più utilmente sarebbesi impiegato. S., Riflessioni intorno all'istituzione d'una lingua universale», in Istituzioni di logica, metafisica  ed etica, Pisa, presso Nistri. S. individua due metodi attraverso i quali è possibile raggiungere l'utilizzo di una lingua internazionale. Il primo, e più complicato, prende come base una lingua gia esistente. Il secondo, per certi aspetti più semplice, compone ex novo un sistema che prende dalle varie lingue le soluzioni più ingegnose e, a suo dire, facilmente praticabili.  Muovere da un sistema linguistico già esistente presenta degli inconveniente legati alla successiva supremazia che sarebbe riservata alla nazione dalla quale verrebbe scelta la lingua d'utilizzo. Ogni paese avrebbe interesse che la sua fosse la lingua imposta alle altre poiché ciò dimostrerebbe la sua superiorità, dapprima in ambito comunicativo, e poi in tutti gli altri. Possedere il dominio linguistico significherebbe in un certo senso possedere anche quello sociale e poi economico, a discapito di tutte le altre lingue - e nazioni - escluse. Per questo motivo ogni nazione pretenderebbe di essere la prescelta e un congresso di tutte sarebbe forse l'unico mododi prendere in considerazione tutti i candidati. Ma anche allora il problema non sarebbe di certo risolto. La lingua è parte fondante dell'identità nazionale, tanto che qualora si procedesse con una riunione di tal guisa «ogni verbo, ogni nome, ogni menoma particella vi desterebbe liti infinite, nelle quali volendo ognuno esser giudice, mai non avreste decisione. Senzaché, quando pure si componessero gli animi, dalla misura di tanti varj idiomi qual risultato ne avreste voi? Una lingua  a mosaico, un vestito da Zanni, una Babelle peggior dell'antica» 58Egli quindi scarta anche l'idea di comporre la lingua secondo una commistione di quelle esistenti, ovvero di creare una lingua composita a posteriori. E non accetta nemmeno la possibilità di creare una lingua con vocaboli tutti di nuova fattura poiché, spiega, pochi sarebbero pronti ad accettarla e a mettere da parte l'amor proprio in virtù di un bene maggiore. Neanche l'istituzione di una lingua del tutto simbolica, come quelle numeriche o le pasigrafie, sarebbe soddisfacente, visto che la sua lettura risulterebbe particolarmente complicata. E ancora, per ovviare al problema dell'imprecisione semantica delle parole, nemmeno la tentazione di esprimere ogni idea con caratteri a sé stanti risulterebbe praticabile, vista l'incapacità dei più a imparare una tale mole di simboli legati all'infinità di concetti e oggetti potenzialmente esprimibili.Nonostante si dimostri sempre scettico sulla reale applicabilità internazionale di una lingua inventata e consideri più concretizzabile il semplice mantenimento dell'uso della lingua latina tra i dotti, S. non si esenta dal tentare di creare un linguaggio universale e passa quindi all'esposizione del suo progetto, definibile di tipo misto, composto d’elementi di lingue preesistenti e d’elementi di pura invenzione, le cui conditiones sine quibus non devono essere la chiarezza espositiva e la facilità di apprendimento e lettura. Per essere tale la lingua ideale deve  presentare due caratteristiche fondamentali:  ad ogni idea deve corrispondere uno ed un solo segno, in modo da non lasciare spazio ad ambiguità o interpretazioni. La lingua deve essere composta dal minor numero di segni possibile, così da evitare di sovraccaricare la memoria. Prima di analizzare nello specifico la proposta di S. è bene sottolineare che egli lavorò su di un piano prettamente teorico, così come molti altri fecero a quel tempo: con il suo trattato non consegna ai posteri un nuovo codice pronto all'uso, ma si limita ad esporre le caratteristiche che questo dove avere, evitando di fornire esempi concreti. I caratteri che egli propone per esprimere le cose fisiche non sono alfabetici, ma quanto più imitativi. Per indicare il sole, ad esempio, S. propone che si utilizzi un simbolo che lo richiami il più possibile, e così deve essere anche per i caratteri che designano il fiore, la luna, l'uomo, ecc. Per quanto riguarda invece tutti gli altri nomi egli si avvale del sistema alfabetico latino inteso nelle sue forme tonde, maiuscole e minuscole, corsive, e composto anche delle sue «lettere molteplici» come 's' e 's' (da intendere come [s] e [z]), ¡' e 'j, 'u' e 'v', i nessi di geminate, i nessi composti, le abbreviazioni, le abbreviazioni in corsivo, in maiuscolo, ecc. e così giudica a sua disposizione un parterre di lettere che supera il centinaio. Non contento, assume che il numero di questi simboli possa duplicare, triplicare, e ancora di più se si usassero  dimensioni differenti (es. a a a 2). Come ultima ratio, se nemmeno un inventario segnico così formato dovesse bastare, Soave propone di ricorrere agli alfabeti greco, ebraico, arabo e agli altri.  Il tutto può essere ulteriormente ampliato grazie all'uso dei segni diacritici come l'apostrofo, i vari accenti, il punto, le linee, le virgolette, dei numeri in esponente e insomma tutti quei simboli e segni che potevano facilmente trovarsi in una stamperia dell'epoca. Sulla disposizione di questi caratteri egli dispone solamente che ogni segno che specifichi il carattere a cui si accompagna sia a questo vicino - ma ben riconoscibile, a mo' delle lingue tipologicamente agglutinanti -, e così sia anche nel caso di parole formate da più caratteri insieme; per il resto, ogni carattere deve essere separato dagli altri.  Si veda ora nello specifico com'egli intende questi caratteri. I pronomi e nomi personali identificati dai nuovi caratteri, di cui non fornisce la grafia, significherebbero 'io', 'tu', 'sé', 'egli', 'questo', 'codesto', 'quello',  ', 'il medesimo', 'che', 'il quale'. La  scelta successiva è quella di non creare altri caratteri ex novo per indicare il femminile, il maschile plurale e il femminile plurale; preferisce piuttosto inserire nel sistema linguistico dei segni diacritici (un apostrofo, una tilde, non viene specificato) che li distinguano dai corrispettivi maschili singolari - segni la cui applicazione è estesa anche alle altri parti del discorso - a guisa di morfemi grammaticali. In aggiunta asserisce che il pronome 'egli' è in fondo superfluo visto che sua la funzione può essere compresa in 'quello' e 'il medesimo'. Infine, 'questo', 'codesto',  'quello' e 'medesimo' possono ricoprire ugualmente la funzione di aggettivi, per cui non è  necessario avere caratteri differenti per questi.Le preposizioni e le congiunzioni  Per quanto riguarda le preposizioni Soave riconosce che basterebbero ben pochi caratteri per sostituirle giacché sono poche - 'di"', 'a', 'da', 'per', 'con', 'senza', 'sopra', 'sotto', 'tra', 'verso' e  'contro' -, brevi nella realizzazione ed esprimenti idee o relazioni semplici. I caratteri delle congiunzioni esprimono i significati di 'e', 'né', 'ma', 'anzi, 'perché', 'perciò', 'siccome', 'così',  'benché', 'pure'.  Le interiezioni  Soave propone la riduzione delle interiezioni a soli sei segni, che esprimano i sentimenti di dolore, allegrezza, desiderio, supplica, minaccia e timore.Gli avverbi  L'avverbio di affermazione 'sì' e quello di negazione 'no' sarebbero esprimibili ugualmente con due caratteri - ipoteticamente brevi, vista la frequenza d'utilizzo - che indicassero l'affermazione e la negazione. Il carattere esprimente l'avverbio 'no' vale anche per le frasi negative il cui senso sarebbe introdotto da 'non'. L'autore tace sulla possibile posizione di questi avverbi, per cui non sappiamo se essi siano da anteporre o posporre alle particelle del discorso che accompagnano.  Ai significati degli avverbi di luogo 'qua', 'là', 'costà', 'su', 'giù' suppliscono rispettivamente: per i primi tre i caratteri che hanno significato di 'questo', 'codesto' e 'quello' assieme al segno avverbiale; per gli ultimi due quelli delle preposizioni 'sopra' e 'sotto'. Gl’avverbi di quantità significanti 'molto', 'poco', 'quasi', 'abbastanza' sono indicati con il segno diacritico avverbiale in aggiunta ai caratteri esprimenti i significati aggettivali di 'molto',  'poco', 'vicino' e 'bastante'.  Allo stesso modo sono trattati gli avverbi di qualità 'bene' e 'male'.I verbi  Soave sceglie di semplificare la grammatica della sua lingua universale (almeno rispetto a quella italiana o latina) facendo confluire la pluralità di tempi verbali a lui conosciuti in sole tre unità esprimenti l'idea di passato, presente e futuro. Con l'aggiunta di altri due segni diacritici costanti ai caratteri verbali principali è poi possibile dar loro delle sfumature di significato differente,  identificando così «i passati di poco o di molto, e i futuri prossimi o rimoti.  Per quanto riguarda i verbi che derivano da sostantivi, è necessario indicarli con il carattere del nome da cui derivano assieme al segno che ne indichi la natura di verbo. S. sceglie di creare  tre segni distinti:  un segno per i verbi transitivi attivi; un segno per i verbi transitivi passivi; un segno per i verbi intransitivi o neutri;assieme ai quali esso indicherà l'infinito del verbo. Per indicare le diverse persone, tempi e modi sono necessari altri segni: per indicare le persone basta premettere i caratteri che indicano i pronomi o i nomi personali; per indicare i tempi sono necessari gli stessi caratteri che indicano gli avverbi di tempo; il modo, se non fosse già intuibile dal contesto, varia da caso a caso: il condizionale sarà dato assieme all'interiezione di desiderio; l'imperativo con il proprio segno distintivo; il congiuntivo nuovamente con un altro segno distintivo; il participio ha un suo segno distintivo e deve esservene uno per ogni tempo, alla maniera dei greci; a ciascun participio è accostato allora un carattere degli avverbi di tempo; l'indicativo sarà riconoscibile perché mancante di questi segni aggiuntivi, ma pur sempre accompagnato dal numero e dal genere della persona. Non è necessario inventare dei segni particolari per il gerundio e il supino in quanto essi possono essere sostituiti:  dalla costruzione di [preposizione + infinito] al modo dei latini o dei greci, così come il lat. IN AMANDO (it. 'nell'amare') o AD AMANDUM, it. 'ad amare'; dai participi, come il lat. AMANS, it. 'amando. Per una comprensione più rapida si propone una tabella riassuntiva. Ciascun tempo verbale e le sue peculiari caratteristiche vanno immaginate accompagnate dal carattere esprimente il significato del sostantivo da cui il verbo deriva. I te mpi verbali sono ordinati in ordine  crescente di segni diacritici o caratteri da cui sono composti.    «NATURA»  (transitivo  attivo/passivo  - intransitivo)  ALTRI SEGNI O  CARATTERI  (caratteri degli  avverbi di tempo/segni delle interiezioni)  NUMERO E GENERE  (carattere dei pronomi o dei pronomi personali con relativi segni aggiuntivi)  MODO INFINITO + INDICATIVO  +++ IMPERATIVO  ++++  PARTICIPIO  ++++  CONGIUNTIVO  ++++  CONDIZIONALE  ++++  Gli articoli  Per S. è sufficiente solamente un unico articolo che sia in grado di esprimere il maggior grado di determinatezza qualora accompagni un nome. Di nuovo, esso è un semplice segno diacritico.I nomi  Una volta esposte le regole che soggiacciono alla formazione delle parti del discorso per così dire  "mobili".  "mobili", cioè che fungono da collegamento tra i nomi e ne esprimono i movimenti, le azioni e le relazioni, S. passa alla trattazione della parte del discorso che esprime la cosa in sé e che necessita del maggior numero di caratteri come gli oggetti, i pensieri, i sentimenti, le cose del  mondo sensibile, ecc.I significati dei nomi generali sono suddivisi in una prima macrocategoria di classi (di cui non è dato l'elenco completo, ma che l'autore esemplifica in 'animale', 'vegetale', 'minerale') espressa da un carattere ciascuno; successivamente ogni classe presenta al suo interno la specificazione dell'essere particolare (come 'gatto', 'quercia', 'marmo'), anch'essa espressa tramite dei caratteri particolari. I due caratteri vanno allora composti, ad ottenere un duo di grafi che significhi qualcosa di simile a 'animale-gatto' e così che, qualora non si conoscesse il significato dell'essere particolare, ma si conoscesse quello della classe di appartenenza, sarebbe facilmente accessibile  - anche deducendolo dal contesto - il significato finale dei due caratteri composti, e viceversa.Per quanto riguarda i nomi propri non è necessario, poiché inutilmente difficile e dispendioso, inventare nuovi caratteri, ma basterà anteporre il carattere esprimente 'individuo' ai caratteri distesi del nome per intero. Supponendo per esempio che il segno per indicare l'essere umano sia un apostrofo anteposto al nome del soggetto, il risultato sarebbe qualcosa del tipo «'Giovanni».Questo tipo di procedura Soave sceglie di mantenerlo anche per tutte quelle classi di nomi che necessitano di essere specifici, come i nomi di botanica, medicina, fisica, anatomia, metafisica, cioè tutti quei nomi la cui abbreviazione comporterebbe, più che una facilitazione, una ulteriore ambiguità. Come suggerisce l'autore infatti, se in un trattato di geografia si scegliesse infatti di utilizzare ad esempio l'abbreviazione «'Ro», chi potrebbe dire se si tratti di Roma e non di Rouen?La possibilità di scrivere per esteso questi nomi affinché vengano compresi in ogni paese, sostiene Soave, è data dal fatto che essi sono nomi universalmente condivisi e conosciuti. Qui però è facile individuare un punto debole di questo sistema di scrittura, poiché è evidente che l'ultimaattermazione non può dirsi veritiera nemmeno per la sola Europa: per fare un esempio piuttosto semplice, il nome della Germania è conosciuto nei vari paesi come Germany, Allemagne, Deutschland, Tyskland, Niemcy, ecc., ed è certo che chiunque - in questo caso italiani e inglesi esclusi - non abbia una certa qual conoscenza delle altre lingue sarebbe spaesato alla lettura di «Germania» nel proprio libro di testo, così come se un italiano che ignora le lingue slave si trovasse di fronte a «'Niemcy». I problemi, ovviamente, si moltiplicherebbero per quanti hanno sistemi di scrittura differenti da quello latino. Per ovviare al problema Soave propone però di redigere un vocabolario che riporti l'insieme di questi nomi propri.Per quanto riguarda i nomi comuni che non appartengono a nomenclature scientifiche, Soave suggerisce di introdurre due segni che indichino 'opposizione' e 'negazione': così ad esempio il concetto di 'tenebre' potrebbe esprimersi attraverso il carattere della 'luce' opportunamente accompagnato dal segno diacritico o dal carattere che ne esprime la negazione, e l'"odio' potrebbe essere indicato dal carattere dell'amore' accompagnato da quello di 'opposto'.Lo sguardo attento dello studioso è alla ricerca, come già detto inizialmente, dell'esattezza linguistica e della non ambiguità tra i significati che le parole (o i caratteri) veicolano. Se questi accorgimenti non sono possibili in una lingua storico-naturale per sua stessa costituzione, essi lo sono in una lingua inventata a tavolino e, per questo motivo, egli prende delle ulteriori decisioni  in merito, predisponendo:  l'abolizione dei perfetti sinonimi - sebbene nelle varie lingue essi siano pressoché rari,  se non inesistenti, a ben vedere;  per termini simili ma non perfetti sinonimi, ovvero tutti quei termini che esprimono delle sfumature diverse di significato ma si riferiscono allo stesso referente/idea/ecc., l'indicazione con lo stesso carattere accompagnato da segni opportuni che esprimano  questa differenza di significato.Gli aggettivi  Tutti gli aggettivi derivanti da sostantivi sono da indicarsi mediante l'apposizione di segni che ne    indichino la funzione sintattica. Il significato di 'terrestre' si otterrebbe con [carattere 'terra'    segno 'aggettivo'] e il risultato potrebbe essere qualcosa del tipo «Õ», considerando «*» simbolo    aggettivale e «O» il carattere per la terra. Lo studioso rende noto al lettore che vi è anche il caso    contrario, ovvero quello in cui il sostantivo deriva dall'aggettivo, ma, prosegue, poiché non in  tutte le lingue i processi di derivazione seguono le stesse vie e poiché in una lingua inventata nessun senso ha curarsi dell'origine delle parole, ribadisce che i caratteri di base costituiranno i sostantivi e quelli accompagnati dal segno aggettivale gli aggettivi.  Per la formazione dei comparativi è sufficiente anteporre al carattere aggettivale i segni «+» (maggioranza) e «-» (minoranza), del tipo intuitivo «+ [carattere che indica 'alto']» = 'più alto di' o «- (carattere che indica 'alto']» = 'meno alto di'. Allo stesso modo, a discapito forse della chiarezza espositiva, ma guadagnando in semplicità, si compongono anche i superlativi relativi e assoluti. Non sono fornite indicazioni sui comparativi di uguaglianza.Il numero  Per esprimere il plurale di nomi, aggettivi, verbi, pronomi è necessaria l'esistenza di un segno apposito; nel caso in cui questo segno non sia scritto allora significa che il carattere in questione  esprime valore singolare.I generi  La distinzione di genere nei nomi è utile solamente nel caso degli esseri animali e fuor di questi ogni altro carattere è di genere neutro e non deve riportare alcun segno. Il vantaggio è che in questo modo, se un carattere è accompagnato dal simbolo del genere, si potrà dedurre con sicurezza che si tratta di un animale o, in generale, di un essere animato.  Gli aggettivi seguiranno la stessa soluzione dei nomi che accompagnano e gli avverbi si accorderanno ai nomi che sostituiscono, secondo il genere e il numero.In via del tutto sperimentale, e in mancanza di esempi concreti nell'elaborato di Soave, si propone una personale realizzazione in lingua inventata di una celebre frase di Orazio, tratta dalle Epistole, che Soave  sicuramente conosceva poiché ne curò la traduzione in italiano:  Caelum non animum mutant qui trans mare currunto? La frase latina di Quinto Orazio Flacco è tratta dalle Epistulae: 'coloro i quali corrono attraverso il mare, cambiano cielo, non animo'] - e con essa egli ricorda ai suoi lettori che non si sfugge mai a sé stessi.Supponendo di utilizzare dei caratteri imitativi per le parole caelum (lett. it. 'cielo', ma qui vale in senso lato per 'luogo') e mare; un carattere intermedio tra l'imitativo e il puro segno per il pronome qui (vale per soggetto, it. 'coloro i quali'), per i verbi mutant (lett. it. 'mutano', 'cambiano') e currunt (lett. it. 'corrono', ma vale per 'attraversano'); caratteri alfabetici per indicare animum (it. 'animo', qui 'mente', 'pensiero'),  risulterebbe allora qualcosa di simile:  - ANIMUM F  X"  0o "Segni aggiuntivi sono il simbolo dei secondi (che si trova in apice dei caratteri per 'mutant', 'qui',  'currunt') che aggiunge il significato di plurale, e i punti sovrapposti ai caratteri dei verbi, che corrispondono a valore transitivo quando sono doppi (anche in riferimento alla valenza verbale), e a  valore intransitivo quando sono singoli.In via teorica la lettura e la composizione di questo tipo di linguaggio paiono facilitate dalla non trascurabile componente intuitiva che la lingua comporta, grazie all'introduzione di caratteri imitativi, lettere già note e segni ricorrenti che ne modulano il significato; ma a ben vedere il risultato finale è più un rebus che un codice che goda delle caratteristiche della semplicità e dell'esattezza. Al netto delle sue stesse conclusioni in campo linguistico, Soave in persona scredita l'idea che si possa realmente introdurre dal nulla una lingua studiata a tavolino e pretendere che questa venga assimilata dalla popolazione. Peraltro - aggiunge Soave -, nel caso fortuito in cui pure si riuscisse a diffondere un tale codice, l'operazione non avrebbe nemmeno senso, perché equivarrebbe ad adoperare una lingua gia esistente e ben rodata.La sua proposta a questo punto restringe il campo d'azione, perché «Lascio la difficoltà di recarla fra i popoli dell'Asia, dell'Africa, e dell'America, a' quali pure per essere universale dovrebbe farsi comune. Qual commercio letterario, direte voi, abbiamo noi coi Tartari, cogli Abissini, e cogli Huroni, onde importare ci debba, che la nostra lingua da loro venga accettata? Or ben, e restringiamoci pur soltanto all'Europa» Una volta ristretto il campo alla sola Europa, Soave sostiene che una lingua internazionale (ma non più inventata a questo punto) sarebbe utile affinché tutte le genti del Vecchio Continente possano intendere le opere letterarie degli altri paesi senza dover ricorrere al sussidio di un traduttore. Ma per far ciò ogni opera fino a quel momento composta ed edita avrebbe dovuto essere riscritta nella lingua universale, e quale paeserinuncerebbe a scrivere nella propria lingua madre? E qualora anche vi si riuscisse, perché spendersi per inventarne una nuova e non utilizzare invece una lingua già esistente?  A questo punto pare evidente quindi che per Soave la glossopoiesi ad uso internazionale non può essere accolta, non tanto per le sue caratteristiche intrinseche che, anzi, sono da considerarsi più che valide, ma quanto per l'inapplicabilità reale di tali sistemi linguistici dovuta a problematiche di tipo sociale e di supremazia. Così sul finire delle Riflessioni, e dopo aver descritto ampiamente il suo progetto di lingua, l'autore rivela che l'unica lingua che davvero potrebbe - e dovrebbe - definitivamente assurgere a internazionale è il latino, lingua già condivisa dai dotti, ma, in fondo,  senza nazione. Soave. Keywords: semantica filosofica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Soave”. Soave.

 

Grice e Solari: la ragione conversazionale dell’iustum/iussum, o il tutore fascista – la scuola d’Albino -- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Albino), Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Albino, Bergamo, Lombardia. Frequenta il collegio S. Francesco di Lodi retto dai Barnabiti per poi proseguire gli studi a Messina, da dove poi si trasfere presso Torino. Si forma nel laboratorio di economia politica di MARTIIS, per poi scegliere la filosofia del diritto sotto la guida di CARLE. Anche membro di una tra le istituzioni culturali più prestigiose a livello nazionale: i lincei. Autore di un idealismo sociale e studioso di PAGANO, esponente della scuola di filosofia del diritto di Torino, dove tenne questa cattedra quando succede a CARLE all’anno in cui è sostituito da BOBBIO. Ha tra i suoi allievi lo stesso BOBBIO, TREVES, SCARPELLI, GOBETTI, ENTRÈVES, PAREYSON, FIRPO, COLLI, LEONI, EINAUDI, e GORETTI. Si dedica esclusivamente all'insegnamento universitario, rifiutando qualsiasi incarico pubblico -- non diventa nemmeno preside della sua facoltà --; le cattedre da lui ricoperte sono state nelle Messina, Cagliari e Torino. Presta il giuramento di fedeltà al FASCISMO. Saggi: Il diritto naturale nelle dottrine etico-giuridiche, Torino, Bocca; “L'idea individuale e l'idea sociale nel diritto privato”; “Lezioni di filosofia del diritto” (A.T.U., Torino); “Filosofia del diritto privato”; “Lezioni di filosofia del diritto”; “Studi storici della filosofia del diritto” (Giappichelli, Torino). Fiori, Il professorie che dice "NO" al duce, in La Repubblica, Lezioni di filosofia del diritto; Carle e Solari, raccolte da Bruno” (A.T.U., Torino); “Studi storici di filosofia del diritto” (Giappichelli, Torino); “Nella cultura” (Angeli, Milano); Contu, “Questione sarda e filosofia del diritto in S.” (Giappichelli, Torino); Cugini, “Commemorazione” (Albino); “Agostino, Il problema del diritto e dello STATO nella filosofia del diritto di Hegel (Giappichelli, Torino); Firpo, La filosofia politica (Laterza, Bari). Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Lib. doc. di Filosofia del diritto nella E Università di Torino C. LA SCU0LA r7 DELDIRITTO NATURALE NRLLE  dottrine etico -giuridiclie dei secoli XVil e XVill TORINO. BOCCA LIBRAI DI S. M. IL RB d'iTALIA ROMA MILANO FIRENZE Corse. 216 Corso Vittorio Em., 21 F. Lumacbi Sucu.   Depoait. gener. per la Sicilia : O. FIORENZA, Palermo     -w«K«sp^^-  LA SCUOLA DEL DIRITTO NATURALE .NELLE DOTTRINE ETICO-GIURIDICHE. Scienza e filosofia. La filosofia e la riforma  cartesiana. Le scienze morali e l’indirisso raiionale. Caratteri propri  dei sistemi metafisici. Valore e significato della scuola del diritto naturale. Il rapporto tra morale e diritto secondo la scuola del diritto natnrale.  La rinnovazione delle scienze giuridiche e sociali e il grande lavoro. Essa segui l'applicazione dell'indagine storica e positiva allo studio dei fatti morali e  sociali.. Le condizioni però che prepararono e resero possibile  una tale rinnovazione devono rintracciarsi nel periodo metafisico delle scienze morali che segna il risveglio dell’intelletto  umano in traccia di nuove direzioni air infuori delle premesse  teologiche e dogmatiche. Le grandi idealità etico-giuridiche  che vediamo affermarsi e svolgersi nel campo dei fatti colla  rivoluzione francese trovano la loro elaborazione astratta e  ideale nei sistemi filosofici che sbocciarono vari e numerosi  in quell'epoca di rara fecondità intellettuale che abbraccia questi tempi. Lo spirito anti-teologico penetra allora  nelle manifestazioni del pensiero nella sua duplice direzione, la  scientifica e la filosofica. Ma, nonostante questo carattere comune, per molti altri rispetti filosofia e scienza tendevano a  distinguersi e a contrapporsi, generandosi tra esse un contrasto che solo in epoca vicina a noi doveva comporsi. L'origine e i motivi del contrasto devono rintracciarsi nella distinzione accentuata da Cartesio tra la mens e la res extensa,  tra lo studio della materia di cui si occupavano sopratutto  le scienze e lo studio dello spirito che parve costituire il  campo proprio della speculazione filosofica. Fin dal loro primo costituirsi le scienze bandirono ogni APRIORISMO teologico e  RAZIONALE. Esse si mantennero rigorosamente empiriche, oggettive, analitiche, né intesero l'importanza e la necessità di  una generalizzazione filosofica dei loro risultati. Del resto nò  lo sviluppo delle scienze e tale da comportare una filosofia  naturale, nell'indirizzo metafisico e razionale della filosofia  puo conciliarsi colle tendenze materialistiche della scienza.  La separazione della scienza dalla filosofia non e che l’espressione della concezione dualistica dell'uomo e della sua  natura, concezione che Cartesio e sul suo esempio i cultori  delle scienze naturali accentuano, certamente nell'intento di sfuggire alla sospettosa vigilanza della Chiesa. Sta di fatto  che le scienze incontrano sempre minori resistenze da parte della Chiesa: ciò deve in gran parte attribuirsi alla cura gelosa dei loro cultori di condurre l'indagine  scientifica con metodo rigorosamente obbiettivo evitando ogni  discussione sulle cause prime dei fenomeni studiati nonché  sulle conseguenze ultime per le quali dal campo solido e sicuro della scienza si passa nel campo infido e pericoloso  della filosofia. La scienza puo solo affermarsi e svolgersi assumendo veste e significato anti-filosofico.  La rinnovazione della filosofia iniziata da Cartesio deve  intendersi in un senso ben diverso da quello con cui  e intesa  la rinnovazione della scienza, cosi come l'anima che forma  il presupposto della filosofia e concepita come un principio  sostanzialmente diverso dalla materia, oggetto dell'indagine scientifica. Mcntj'C neìÌQ scienze della natura contro l'autoriià non pur della fede ma della ragione stessa pre^ialse l’autorità  del fatto osservato, nella filosofia la ragione sola non sorretta  ne dalla rivelazione né dall'esperienza sensibile divenne criterio di verità. Lo spirito per altro della riforma cartesiana  e profondamente sovvertitore. Per essa la metafisica razionale assurgeva al grado di scienza prima, sostituendosi alla  teologia nel fornire alle altre scienze i principi primi: scossa  la cieca fede nell'autorità, le tendenze razionaliste e critiche  dell'intelletto umano potevano affermarsi in una serie indefinita di sistemi. Le conseguenze della riforma cartesiana  passano inavvertite finché essa non usce dal dominio teoretico e metafisico: né si deve dimenticare che il metodo cartesiano rigorosamente deduttivo ricorda nella forma lo scolastico, e della scolastica e conservata la concezione psicologica. Il carattere innovatore della riforma cartesiana comincia a farsi palese nelle sue applicazioni alle scienze morali.  I nuovi metodi in uso nelle scienze fisiche non si  comprende come potessero applicarsi alla scienze morali.  Tali metodi parvero propri delle scienze il cui oggetto e la  natura, in guisa che alle stesse menti più spregiudicate e  indipendenti da preconcetti teologici non balenò l'idea, famigliare nei tempi moderni, di considerare le scienze morali alla  stregua delle scienze fisiche e naturali. A ciò si oppone la concezione psicologica dell'anima sostanziale, fornita di facoltà  intellettive e volitive, fondamento delle scienze teoretiche e  pratiche. Tale dottrina psicologica continua ad essere la premessa delle concezioni etico-giuridiche che si originarono dalla  riforma cartesiana. Nel sistema del Wolff, che riassume  il lavoro filosofico anteriore, la psicologia figura ancora pressoché inalterata nelle sue basi tradizionali. Si comprende  quindi come le scienze morali dovessero assumere veste e  carattere metafisico e colla filosofia trasformarsi sulle basi del  razionalismo critico. Troviamo pertanto due elementi nelle discipline morali e giuridiche: un  elemento tradizionale costituito dalla concezione psicologica deiraniraa e delle facoltà concepite come forze generatrici di  tutti i fatti dello spirito: un elemento nuovo, implicito nella  riforma cartesiana, secondo cui la ragione umana e fatta  capace di trovare i principi delle scienze dello spirito all'infuori della religione e dell'autorità. È bene però fin d'ora notare  che assai prima della riforma del metodo filosofico per opera  di Cartesio, le scienze giuridiche, sotto l'influsso delle condizioni storiche e sociali mutate, hanno iniziato la loro trasformazione in senso razionale.  Le scienze morali nel loro primo costituirsi a scienze  autonome e indipendenti mostrarono la spiccata tendenza a  modellarsi sulle scienze matematiche e geometriche. Il carattere deduttivo di queste scienze, la forza di evidenza che scature dalle loro premesse e dimostrazioni le rendeva particolarmente attraenti in un'epoca in cui la speculazione anda razionalizzandosi. Meglio di ogni altra scienza esse mostrano la forza e la potenza dell'intelletto umano, fatto capace  di costruire colle sole, sue forze un edificio mirabile per precisione, simmetria, eleganza. Parve che un analogo procedimento puo applicarsi alle scienze dello spirito e che basta andar in cerca di idee chiare e distinte per trarre da  esse un sistema filosofico capace di resistere agli assalti del  dubbio e della critica. E per circa due secoli assistiamo a una  singolare fioritura di sistemi metafisici, che hanno comune  fondamento l'ipotesi, essere le leggi dello spirito umano e collettivo generalizzazioni conseguite mediante lo studio dei fatti  della coscienza individuale e collettiva. Si define l'uomo, lo  stato, la società, il diritto, il bene supremo astrattamente all'infuori della realtà psicologica e storica. Per lo più il principio  da cui si move risponde al consentimento universale o si fonda  sull’OSSERVAZIONE INTERIORE (INTROSPEZIONE) e necessariamente unilaterale  dello spirito umano: talvolta gli stessi principi tradizionali,  spogliati di ogni veste dogmatica servono di fondamento alla  deduzione che procede rigorosa sdegnando il controllo e la verifica dei fatti. La fctj ultura logica e sistematica è costante carattere al quale si riconosce la dottrina metafisica, che si  presenta in un numero grande di sistemi, riflettenti le variabili  condizioni d'animo e di mente del filosofo. Lo stesso principio  si presenta in forme e gradazioni diverse per il concorso di  cause soggettive indefinibili. La potenza dell'intelletto misura  l'altezza talvolta vertiginosa delle concezioni metafisiche, che  procedono, sotto l'azione della logica interna che le incalza,  senza limiti prestabiliti, senza freni di sorta.  A noi è facile rilevare l'errore di tali costruzióni metafisiche. Come già Aristotele e più ancora gli scolastici, questi metafisici fanno consistere la conoscenza nella  generalizzazione logica, la quale consiste nel ricondurre un  concetto più determinato a un concetto meno determinato ma  più esteso. Per essi, dice Masci – Logica, Napoli, Pierro --, la lerie logica dei concetti e la serie reale coincidono e l'universale è causa. Tale  generalizzazione ha come risultato un astratto, un genere, un'entità mentale che contiene meno dei particolari dai quali  è astratto e come tale non può servire a intendere e spiegare  la realtà complessa e concreta. Ben diversamente procede la  generalizzazione nelle matematiche e nelle scienze naturali. Una formula matematica o una legge scientifiche e una generalità  comprensiva, cioè non contengono meno ma più della formula che ne derivano, o dei casi particolari da cui la legge e indotta. Il diritto di natura, l'uomo di natura, lo stato e la  società di natura sono le idealità astratte da cui trassero  alimento i sistemi etico-giuridici. E però errore paragonare le discussioni sul diritto naturale con quelle scolastiche sui generi e le essenze  delle cose. Le teorie sul diritto naturale acquistano un  valore speciale per l'epoca in cui sorsero, per le condizioni  sociali e politiche che le generarono, per le conseguenze che ne  derivarono. Tali teorie non sono né vane né inutili. Esse  sono l'espressione di bisogni reali, di tendenze prepotenti, d’istinti mal repressi di rivolta, di reazione contro il passato. Esse ufFermavano la volontà di sciogliersi per ciò che riguarda  la vita morale e giuridica dalle tradizioni, dall'influenza oppressiva dello stato e della Chiesa, alleati a danno doir individuo e della sua libertà esterna e interna. Esse nascondeno  un'idealità vivamente sentita che tende a tradursi nel dominio del reale. In esse si sente l'eco dell'anima moderna che  sdegna i vincoli creati dal privilegio o dall'interesse, che astrae  dalla realtà oppressiva e anela a un sogno lontano di uguaglianza, di felicità, di pace. Sotto questo aspetto la dottrina  del diritto naturale è in sommo grado significativa e può essere studiata con utilità e interesse anche nei tempi nostri  non foss'altro per la corrispondenza con le odierne idealità  sociali che preparano, come quella, nuove condizioni del vivere  collettivo.  Colla, scuola del diritto naturale acquista particolare  importanza la questione dei rapporti tra la morale. e il diritto. Sotto le parvenze di una discussione teorica essa implica  una grave questione di indole POLITICA, dalla cui soluzione  dipende il raggiungimento di quelle idealità che costituivano la ragion d'essere della scuola del diritto naturale. Il  terreno per una separazione della morale dal diritto e stato  preparato dalla Chiesa stessa, la quale per le sìie finalità religiose richiamando di continuo l'individuo alla spontaneità e  alla indipendenza della vita interiore da ogni costringimento  esterno, ha efficacemente contribuito ad acuire il senso  della personalità e della resistenza contro qualsiasi imposizione di autorità esterna fosse essa ecclesiastica o politica.  Il movimento protestante intese appunto a emancipare la coscienza individuale dalle imposizioni arbitrarie della chiesa  romana. Se la riforma e da un lato un grido di protesta contro  gl’abusi di autorità compiuti dalla chiesa a danno di quella  libertà di critica che anche in materia religiosa deve essere  riconosciuta all'individuo, la scuola del diritto naturale insorge dal canto suo contro le pretese dello stato di invadere colla sua legge il campo riservato alla religione e alla morale,  di penetrare cioè in quella sfera di interiorità che deve essere  sottratta all'azione dello stato e del diritto come quella che  costituisce la garanzia dell'individuo e della sua libertà interiore contro lo stato. La scuola del diritto naturale intuì che nella questione dei rapporti tra diritto e morale e implicita quella dei rapporti tra l'individuo e lo stato, e tale  questione in un'epoca in cui l'individuo scende in lotta  contro lo stato in difesa dei cosidetti diritti naturali, che sono in realtà i diritti di personalità, assume significato  particolare. Ciò serve in parte a spiegare l'importanza assunta dalle  dottrine giuridiche su quelle strettamente morali e teologiche. I principi morali non sono in discussion Ci nò si vagheggiavano riforme morali. La morale  evangelica risponde pur sempre alla coscienza etica generale: e se troviamo per parte dei filosofi tentativi diretti a  dare alla morale un fondamento razionale, bisogna riconoscere  che tali tentativi non riuscirono a scuotere la base dogmatica  della morale, in ordine alla quale la chiesa, fosse cattolica o  protestante, continua a esplicare un'azione decisiva e quasi  incontrastata. La questione dell'epoca più che morale e POLITICA e sociale. La chiesa stessa più non puo opporre eflìcace  resistenza al sorgere di nuove teorie tendenti a delimitare  l'azione dello stato nei suoi rapporti coll'individuo. Qualunque  sia il giudizio che sull'opera della scuola del diritto naturale  si può arrecare, sarà pur sempre per essa titolo esclusivo di  merito l'aver efficacemente contribuito a quel processo di  differenziazione per cui il diritto distinguendosi non pur dalla  religione ma anche dalla morale, ha acquistato un suo contenuto specifico. Epperò a nostro credere il valore e il significato delle dottrine etico-giuridiche sorte nei secoli XVII e  XVIII è misurato dal grado con cui seppero tale distinzione  porre e accentuare.  ar3W8S5Fl*«f r  che mentre regolano i rapporti di coesistenza tra le due  autorità, serveno di norma alla condotta degl’individui e  degli Stati. AQUINO (si veda) ed ALIGHIERI (si veda) personificano in sé le due  correnti e diedero alla morale e al diritto un significato rispondente al modo diverso con cui intendeno il rapporto  tra chiesa e impero. AQUINO riassunse nell'opera sua monumentale  tutti gli sforzi della scolastica diretti a conciliare il cristianesimo colla filosofia, la rivelazione colla ragione, lo spirito  colla materia, la terra col cielo. Ma tale conciliazione suona  per AQUINO subordinazione e talvolta sacrificio e disconoscimento dei diritti della ragione, degli interessi umani e  civili alle esigenze religiose e teocratiche. Ciò deve dirsi sopratutto in ordine alle scienze morali, che dovendo tradurre  nei fatto gli ideali cristiani, abbisognavano di un fondamento saldo ed incrollabile. La volontà divina è fonte per gli scolastici di ogni moralità pubblica e privata. Il rapporto tra  religione e morale non destò interesse di sorta nel Medio Evo,  tanto e universalmente radicata l'opinione che la morale  dove trarre dalla religione il suo fondamento, le sue sanzioni. Gli stessi avversari più risoluti della chiesa non sollevarono  dubbi al riguardo. Il compito della filosofia in ordine alla morale si riduce pertanto a dar forma e veste razionale alle  massime evangeliche, e tale e il lavoro compiuto d’AQUINO,  le cui dottrine morali mentre dominarono incontrastate nel  Medio Evo, sono destinate ad esser in ogni tempo abbracciate  da quanti non vogliono appagare la ragione col sacrificio delle  credenze religiose. Maggiore interesse doveva destare il rapporto tra morale e diritto, come quello che si riconnette al  dissidio tra potere laico ed ecclesiastico. Non bisogna dimenticare che nel Medio Evo il diritto appare generalmente  come l'espressione della autorità civile, mentre in fatto di morale domina incontrastata l'autorità della chiesa. Tale stato  di cose provoca un secreto dissidio tra la norme giuridica e la norma morale, dissìdio che teologi e difensori dell'Impero cercarono siastica e laica, di cui l’una disconosce i diritti della ragione  e della società civile, l'altra troppo servile alla tradizione  romana non e riuscita a raccogliere a sistema le sue dottrine, ALIGHIERI si interpone sovrano. Come nel suo poema cerca di conciliare gl’interessi del corpo con quelli dello  spirito sulla base della mutua indipendenza e correlazione,  cosi nel risolvere la questione dei rapporti fra i due poteri  egli mette in rilievo l’azione morale della chiesa di fronte a  quella dello stato, la cui attività si esplica sopratutto mediante  il diritto. Nel campo morale ALIGHIERI, se si toglie qualche fugace  accenno ad una morale più larga e umana, si mantiene rigorosamente stretto ai principi e alle dottrine scolastiche: ma  ciò non fa che accentuare viemeglio la sua indipendenza e  originalità di criterio nel trattare la natura del diritto in  ordine ai limiti e alle funzioni dello stato. ALIGHIERI più che  giureconsulto è filosofo del diritto; l'importanza della definizione che di questo diede sfuggi forse a lui stesso, certo non  e compresa dai contemporanei e dovettero passare molti secoli prima che per opera di VICO il suo concetto e raccolto  e sviluppato. Per ALIGHIERI il diritto scaturisce dalle condizioni  sociali, esso è un  vinculum humanae societatis inteso a  mantenere tra gl’uomini associati l'equilibrio, che le inevitabili disuguaglianze umane tendono di continuo a rompere. Esso  non ha origini soprannaturali, più che al perfezionamento dell'uomo singolo tende al progresso della società, di cui è norma  direttiva la legge, destinata ad attuare quel concetto di misura, di proporzione, di equilibrio che sta a fondamento del  diritto. Se da un lato ALIGHIERI riconosce come precipuo scopo  della morale l'attuazione della virtù e nel suo poema si pro- [CARLE, Vita del diritto, Così Dante defiaisce il diritto : las est realis ac persona lisbomiuia  ad hominem proportio, qino servata hominnm societatem conserva t, cor-  rnpta corrumpit -- De Monarchia.  La legge è da lui deli n ita :  regala directi va vitae — la ginstizia poi è, secondo ALIGHIERI  € quaedam rectitado sive regala, obliqaam hinc inde abiiciens. a quelli deplorati d’ALIGHIERI in ordine alla confusione del potere laico e religioso. Tale corrispondenza accresce- valore ai  suoi argomenti, alle sue dottrine, le quali possono ancor oggi  utilmente concorrere alla soluzione della dibattuta questione.  Il tentativo d’ALIGHIERI di gettar le basi di una filosofia  giuridica, non e coronato da successo. E l'opera di un genio  che precorre i tempi. Il seme però da lui posto, gelosamente  custodito per tradizione non interrotta, e raccolto nell'età  moderna e concorse efficacemente allo sviluppo della filosofia  etico-giuridica ITALIANA. Dopo ALIGHIERI, le due correnti ripresero  ciascuna la propria via; l'ostilità si fa più viva, le differenze  più profonde. I giuristi con BARTOLO e BALDO si mantennero  sopra un terreno esclusivamente pratico, sdegnando le teorie,  e rifuggendo da qualsiasi tentativo di raccogliere a sistema  filosofico le loro idee. Libero rimase il campo alle teorie etiche  e giuridiche d’AQUINO. La Chiesa dominando sovrana nel  campo dei fatti e in quello delle intelligenze fini per creare  intorno a sé una legislazione, una scienza e un'arte a base  teologica; sull'ordine religiosa si volle foggiare non solo  l'ordine morale, ma ancora l'ordine giuridico e sociale. La teologia scolastica parve assorbire tutte le altre scienze  nella propria grandezza. Ma all'occhio dell'osservatore attento non riusce diffìcile scoprire nel seno stesso della teologia, il germe della decadenza, dovutar alla esagerazione del  principio a cui si informava. Particolarmente dissolvitrice e  l'opera dei nominalisti nelle scienze morali. Essi sono i difensori dell’indeterminismo etico, in quanto considerano la  volontà assolutamente libera, non mossa né dalla ragione né  dalla divinità, e riponeno l'eccellenza morale nella conformità tutta esteriore ai precetti religiosi e morali. Per tal modo  l'etica cristiana si laicizza, nonostante la proclamata obbedienza assoluta in materia religiosa. Duns Scotus e Gu-  Carle.  nasconde una nuova orientazione della mente umana di fronte  ai problemi della natura e della vita.  In ordine sopratutto alle scienze morali, il naturalismo e  l’umanesimo sono tra i prodotti più notevoli del rinascimento.  La natura colla ricca varietà de' suoi fenomeni attrasse gli  spiriti irrequieti, infiammandoli di sé, e sottraendoli alla contemplazione della vita celeste. La scolastica trascura  e disprezza lo studio della natura. Gli spiriti religiosi del  Medio Evo guardano alla natura con un senso di misterioso  terrore, quasi presagissero il pericolo che dal penetrarne i  misteri puo derivare alle loro credenze. Ma per l’uomo  moderno lo studio della natura e la palestra nella quale  prima si addestra all'infuori del campo chiuso della scolastica. Tale studio dove pertanto assumere particolare carattere antireligioso e antiteologico: aprendo la via alle invenzioni e scoperte, costituiva un grave pericolo per il principio di autorità e per la rivelazione. L'umanesimo accenna alla profonda modificazione che il  concetto dell'uomo, della sua natura, della sua finalità subiva  nel Rinascimento. Il corpo rivendica impaziente i suoi diritti da secoli conculcati; le soddisfazioni dei sensi non trovano più alcun ritegno. Un senso nuovo di umanità si diffuse  in aperto contrasto coll’ascetismo medievale. La vita terrena  non più coordinata colla futura, cessa di apparire un mezzo  per acquistare una finalità sua propria. Il desiderio di vivere  in un mondo le cui bellezze si svelano sempre più attraenti  allo sguardo, di soddisfare stimoli a lungo repressi oppera  indomiti, il ridicolo gettato a larga mano sulle idealità che formano la delizia del Medio Evo, finirono per dar  vita al SENSUALISMO  morale, più che esposto nei saggi praticato nel fatto, al quale non riusci a sottrarsi neppure la  Chiesa. La filosofia dell’ORTO nella sua parte meno nobile, e nel suo  significato volgare, divenne l'ideale morale del Rinascimento. Quest'ultimo trova nello stato delle coscienze un terreno predisposto al suo sviluppo, opperò si comprende come la morale,   SI -   Le idee morali che si generarono dalla riforma e  dal rinascimento non sono raccolte a sistema  filosofico: ciò in parte si deve alla chiesa di Roma che dopo  di avere riformato sé stessa, inizia un movimento di reazione  contro lo spirito del rinascimento e il moto protestante, in  parte si deve allo spirito non meno intollerante ed ascetico  delle nuove confessioni religiose. Gl’audaci tentativi di pensatori forti e originali, quali TELESIO (si veda), BRUNO (si veda), e CAMPANELLA (si veda) sono soffocati: ad essi rimase la gloria di esser stati i precursori perseguitati e incompresi dei metodi e dei sistemi filosofici dell'età moderna. L'Etica e soprafatta dallo spiritualismo  risorgente, e rimane asservita alla-religione. Il protestantesimo  non fa che ribadire tali vincoli e ritardarne l'emancipazione. Le voci che invocano per la morale un'esistenza indipendente dalla religione non mancano. Montaigne e Charron  in Francia, BRUNO in Italia, pensano e scriveno in tal  senso. Ma passano per sovvertitori della religione e della  morale e i loro sforzi, rimasti isolati, non esercitarono azione  efficace sul progresso scientifico della morale. Su quest'ultimo  esercita un'influenza diretta e decisiva il rinnovamento delle  scienze giuridiche, le quali nel costituirsi a scienze filosofiche  indipendenti attrassero nell'orbita loro la morale, sottraendola  cosi lentamente all'azione della religione e preparandone la  definitiva emancipazione.   Nel Medio Evo non si e formato un diritto filosofico distinto dalla morale, e le scienze giuridiche propriamente dette  si riassumevano nell'opera dei pratici intesa a piegare la  norma di DIRITTO ROMANO agl’usi, consuetudini, statuti che la  scomposta vita medievale genera. Ma tale lavoro di  adattamento a misura che i tempi progredeano, e le condizioni sociali si modificano si fa sempre più diffìcile e  ingrato. Col Rinascimento sorge tutta una nuova schiera di  giureconsulti che Vico chiama FILOLOGI. Non distratti dai  bisogni della pratica, essi si preoccuparono solo di FAR RI-VIVERE IL DIRITTO ROMANO nelle sue fonti e ne' suoi testi antichi, che   2à —   )0 e degl’interpreti hanno profondamente  di revisione e di ricostruzione storico-filo-  >mpiuta, segna un'era nuova negli studii di  la se e di grande giovamento alla conoscenza  fonda dei testi dell'antico diritto, essa scredo dei pratici, accentuando la discrepanza tra  e le condizioni nuove di vita sociale, rendeva  3rso a nuovi principii giuridici. E questa e  >nza finale a cui porta la riforma combate teocratiche della chiesa e la sua azione  30 e sociale. Ma più che tutto e stimolo de-  tudio filosofico del diritto la formazione degli   toria della CONVIVENZA SOCIALE il Medio Evo periodo di transizione dalla città antica allo  lotto un aspetto esso e un crogiuolo in cui si venne dissolvendo ne' suoi elementi pri-  un altro aspetto e un periodo di incubazione  ma di convivenza sociale. Il feudo prima, il  versi per origine, costituzione, carattere si  -zionarsi della sovranità in un numero grande  azioni politiche, che di fatto viveno di vita  idente. Dai feudi e dai municipii in perpetua   vennero svolgendo gradatamente organismi  t seconda della prevalenza dell'elemento feu-  5, si dissero contee, signorie, principati. Queste  associazione politica in Italia si mantennero  3 prepararono l'asservimento allo straniero;  bissate e abbattute dal potere regio risorto,  ritto di sovranità. Dall'azione concorde del  polo si formano pertanto lo STATO moderni,  itrati e con carattere nazionale. 4c Lo Stato Carle, occupa un posto di mezzo fra il   t.,  particolarismo del Medio Evo, rappresentato dai feudi e dai  municipii, e il cosmopolitismo della chiesa e dell'impero. Sorto nelle lotte tra la chiesa e l’impero, lo stato si mantenne ugualmente lontano dalle dottrine teocratiche e  dalle tradizioni romane. Né le une nò le altre potevano efficacemente concorrere al lavoro di organizzazione interna, di  unificazione legislativa, giudiziaria, amministrativa dello stato. Del tutto insufficienti apparvero quando si pose il problema dei  rapporti di reciproca convivenza fra i diversi stati, sorti dallo  sfacelo dell'unità medievale. In occasione di esso sorsero i  giureconsulti filosofi e i primi sistemi di filosofia del diritto.  La violenza, l'astuzia, la frode, come servirono a  formare lo stato, cosi costituirono l'arte di governo  a cui principi e sovrani apertamente ricorsero per consolidare  e conservare il potere, il MACHIAVELLI e maestro insuperato  di questa politica violenta e immorale che si inspira solo  alle dure necessità dei tempi. In ogni epoca l'intelletto umano  traviato dall'ambiente e dalle condizioni di vita esteriore, si  rigenera e si apre nuove vie astraendo dalla realtà, rifacendosi  a certi principii generali che rimangono pur sempre patrimonio inalienabile della natura ragionevole dell'uomo. La  ragion naturale e la fonte da cui i giureconsulti filosofi trassero  norma e criterio a regolare la vita dello stato.  Si venne per opera loro formando una scienza nuova, detta  del diritto naturale la quale, nel suo comparire, parve riconnettersi ai concetti del IVS GENTIVM e del IVS NATURALE elaborati dai giureconsulti ROMANI nell'ultima fase di sviluppo  dell'antico diritto. L'espressione jus gentium significa dapprima presso i Romani i principii di diritto che il magistrato e chiamato ad applicare quando non essendo comune alle  parti in causa la qualità di cittadino romano, e inapplicabile  lo jus civile. Praticamente, lo IVS GENTIVM comprende i principii di diritto  comunemente ammessi e riconosciuti da tutti i popoli coi quali I ROMANI sono più a contatto . Lo jus gentium non ha il Bitohiei Naturai righta, London,  IC     - -   3 determinato del jus civile : applicato sopra  argo, regolando rapporti più complessi dove  ispirarsi all'equità e nel fatto accostarsi al  e dì NATVRA, che I ROMANI hanno appreso  eca. Lo IVS GENTIVM fini per confondersi col jus  colTestensione progressiva della cittadinanza,  e differenze politiche tra le varie parti del-  sto xeanQ a comprendere popoli diversi per  li, leggi : allora si forma nel seno dei giure-  etto largo e generale del IVS NATVRALE che Ul-  r. QVOD NATVRA OMNIBVS ANIMALIBVS DOCVIT. generalità e indeterminatezza e suscettibile  iplicazione. In ROMA quindi lo IVS NATVRALE e  ossario delle speciali condizioni politiche dei-  si svolse per gradi dal jus IVS CIVILE e dal jus  etti di jus gentium e di jus naturale risorgono  carattere e significato diverso. Nel 500 lo jus  come in Roma la generalizzazione del diritto appresenta da un lato un indirizzo di riforma,  lisce una fonte di diritto affatto nuova, che il  i rapporti fra LO STATO ROMANO e un’altro stato, da poco tempo costi-  saria. Epperò lo IVS NATVRALE e dapprima invo-  i rapporti di pace e di guerra fra LO STATO ROMANO e un altro stato,  gentium, che corrisponde solo di nome al jus  nani, e che meglio potrebbe chiamarsi un jus  azionale. Questo nuovo IVS GENTIVM ha ca-  ie in quanto la sua norma si inspira ai  a retta e illuminata ragione voleva applicati  i diversi Stati. Se non che lo IVS NATVRALE pur  tosse da rapporti di carattere pubblico inter-  iva un nuovo metodo nel campo delle scienze  ava le basi filosofiche del diritto, e fini per  ipo del diritto privato, sottoponendone a re- morale stessa. Il perfezionamento deiruomo-individuo  interessa cosi come interessano le questioni attinenti la  olitica e giuridica degli Stati: la vita contemplativa  di apparire come l'ideale della perfezione, e si comincia  ire LA NECESSITA DI FORMARE PIU CHE L’UOMO, IL CITTADINO -- l'uomo nella pienezza de' suoi DIRITTI CIVILI E POLITICI:  moriva lo svolgersi delle dottrine giuridiche, così come  icuranza degli interessi terreni favori nel Medio Evo  fezionamento interiore dell'uomo, da cui si svolge la vita  Né solo ad una inversione del rapporto tra morale e  ) assistiamo nel passaggio dall'Evo medio al moderno,  l una totale confusione di criterii e di principii tra le  3ienze: nel Medio Evo la confusione si avvera a tutto  ^io della morale, nel 500 assistiamo al sacrificio di  ultima agli interessi del diritto. Tutte le opere sul di-  naturale presentano uno spiccato carattere di indistin-  fra la morale e il diritto, e ben può dirsi in linea ge-  ) che la scuola metafisica non riuscì a distinguerne  aente i rispettivi dominii, malgrado gli sforzi fatti da  ) de' suoi più celebri rappresentanti. Pure anche la scuola metafisica ha la sua impor-  nello studio dei rapporti tra morale e diritto. Sorta in  zione allo spìrito teologico, essa raccolse anzitutto i suoi  nel trovare alle scienze morali una base indipendente  religione. Era questo compito delicato e difficile, se si  alla natura della questione, all'opposizione vivissima  diverse chiese, cattolica e protestanti, mossero a quanti  ano in dubbio il loro diritto a regolare la condotta, alla  one grande delle tradizioni spiritualiste, che nell'età  na trovano nuovi e autorevoli rappresentanti. Né qui  5stò l'opera della scuola metafisica. Essa affronta la que-  dei rapporti tra morale e diritto, che teologi e cultori  ritto naturale continuano per cause diverse a mante-  confusi. Essa si rese esatto conto delle conseguenze ul-  che datale indistinzione puo derivare nel definire  ti dell'azione dello Stato. Il modo di intendere l'uomo e la sua natura può assumersi a  criterio di classificazione dei diversi indirizzi che in ordine al  rapporto tra morale e diritto sorsero in seno alla scuola metafisica. Grozio e la sua scuola traggono dalla natura socievole  dell'uomo il fondamento delle loro concezioni etico-giuridiche. Nella storia del rapporto tra morale e diritto essi rappresentano l'indirizzo giuridico più che filosofico. Ma il concetto da  cui movevano se giova agl’interessi del diritto, disconosce  le energie intrinseche dell'uomo da cui si svolge la vita morale. Hobbes e in genere i filosofi inglesi fondano la distinzione  tra morale e diritto sulla natura egoistica dell'uomo, e rappresentano l'indirizzo utilitario e individualista. L'indirizzo  cartesiano, che culmina in Kant, eleva e nobilita  la ragione umana, la quale cerca in sé stessa un precetto  categorico e assoluto, che possa esser posto qual fondamento  all'edifizio morale e giuridico. Da ultimo questi diversi concetti, entrando come elementi costitutivi della filosofia francese, gettano le basi di una FILOSOFIA SOCIALE, da  cui traggono vita e significato la morale e il diritto. Questi  diversi indirizzi derivano il loro carattere metafisico dal concetto imperfetto o parziale, che si formano della natura  umana: con tutto ciò si collegano strettamente colle vicende  storiche e politiche dei tempi e dei paesi che li produssero:  più particolarmente essi preparano quelle premesse teoriche  che la rivoluzione francese cerca tradurre nella realtà. analizzata nella .sua essenza, ne' suoi elementi costitutivi, essa  parve fornire i principii atti a regolare la vita degl’individui  e degli Stati. Tali principii, superiori alla volontà degli uomini,  non soggetti alle mutevoli vicende storiche, trovavano nell'ordine stesso delle cose create la loro base salda e incrollabile.  Si anda cosi generalizzando il concetto del diritto naturale,  espressione ultima dell'ordine dell'universo nel campo dei  rapporti individuali e sociali. Mira costante dei cultori del  diritto naturale e di risalire, mediante un processo di astrazione rigorosamente applicato, dall'uomo storico quale nella  realtà si presenta co' suoi vizii, abitudini, pregiudizii, tradizioni, costumanze all'uomo naturale, quale appariva al lume  di una ragione illuminata, spogliato delle qualità e determinazioni successive che sono l'opera lenta ed inevitabile del  tempo e della storia. L’uomo naturale venne pertanto a contrapporsi all'uomo storico, come l'ideale al reale, l'astratto al  concreto, l'universale al particolare, l'assoluto al relativo. Si  comprende allora come il diritto dove intendersi, l'insieme  della norma e delle facoltà spettanti all'uomo naturale, e a  somiglianza di questo dove considerarsi assoluto, immutabile, universale, in contrapposto al diritto storico, quale era  inteso dai giureconsulti pratici e filologi. La ricostruzione dell'uomo naturale dischiuse la via alla  concezione dello STATO DI NATURA. Si ricostruì l'uomo collettivo cosi come si e fatto per l'uomo singolo. Le tristi condizioni politiche del 500 parvero giustificare la credenza in una  profonda alterazione della società umana quale là natura e la  ragione consigliano, opperò fa sorgere il concetto di  UNA SOCIETA IDEALE, riunione di UOMINI REGOLATI NEI LORO RECIPROCI RAPPORTI da una norma del diritto naturale e contrapposta  alla società storica e reale.   Nel concetto largo e indeterminato che dell'uomo e dello  stato di natura si formano i giureconsulti e i filosofi,  noi possiamo riscontrare la causa originaria della confusione  tra morale e diritto. Questi due concetti a misura che si allon-  realtà storica tendono a confondersi in una  iella quale scompaiono le differenze specifiche,  ridica, quando si derivi non dal concetto di  aimente organizzata, ma dall'uomo individuo e  ira, facilmente assume forma e contenuto etico,  natura, concepito all'infuori di ogni organizza-  generava rapporti di carattere morale più che  iva lo svolgersi di doveri più che di obbliga- iparsi del diritto naturale sono non i filosofi,  iulti. Trionfando dei tentativi e delle incertezze   Grozio inizia il nuovo indirizzo nello  tto. Contro di lui uscirono dal seno della chiesa  sitori, di cui e mira costante la conciliazione  eriche sul diritto naturale colle dottrine reli-  ali. Nelle vicende di queste due scuole, si rias-  ione giuridica nelle scienze morali,  in cui vive ed esplica la sua attività Grozio  il periodo delle lotte religiose e dei contrasti   quali lo stato parvero uscire rifatto  alle fondamenta. Tutto si rinnova nel periodo  chiude colla pace di Westfalia; il lavoro di diversi elementi dapprima contrastanti, è com-  i di guerra, l'arte di governo, si trasformano  geniale di uomini quali Richelieu, Gustavo). Al succedersi non interrotto di uomini illustri  la politica nel campo dell'azione, fa riscontro   pensiero la prevalenza quasi esclusiva degli  se politiche e sociali.Grozio ha un'imjerto minore di quella dei grandi dell'età sua,  iicU et comaais utilitatis causa sociatus.  della norma proposta per farla considerare giuridica. Né meno  profondamente radicata e l'idea che la vita morale si concentra nell'individuo, al cui perfezionamento interiore dove sopratutto mirare: opperò e naturale la tendenza a  considerare come giuridica ogni norma diretta a regolare  rapporti esterni sorgenti tra gli individui, o tra questi e lo  stato, o sopratutto tra Stati diversi, senza por mente che  tali norme si traevano da quello stesso principio, da cui in  epoca non di molto posteriore altri avrebbe derivato la vita  morale. Grozio pur assecondando l'indirizzo generale favorevole alle  costruzioni astratte, tradisce la naturale tendenza del suo  ingegno verso gli studii giuridici. Grozio riconosce l'importanza  decisiva della tradizione e dell'autorità nel determinare i rapporti di natura giuridica, intravede la distinzione tra morale  e diritto quando osserva che la morale è inseparabile dalla  religione e là ove parla di un diritto nel suo vero o stretto  senso {eius juris qvtod propìzie tali nomine appellatur) e di un  diritto in un senso improprio, che noi meglio faremmo rientrare nel campo della morale. Ancora distingue Grozio tra  ciò che è dovuto per debito di giustizia e ciò che è dovuto  per motivi di liberalità, misericordia, affetto, ossia per obbligo  morale. Il dominio di sé e dei propri appetiti costituisce  per Grozio un obbligo che non può imporsi né per forza d'armi. Proleg. $ 2, n. 2: altrove osserva ohe le verità del diritto  sono tali ohe anche l'ateo è costretto ad ammetterle e praticarle. Cfr, Op. cìt. Proleg. $ 8, 9, 10: al $ 44 dice: « cum injtistitia non  aliaju naturam habeat qnam alieni umrpationem ecc. ». Con tale espressione Grozio coglie la vera natura del giusto e dell’ingiusto. Cfr.: Illud quoque sciendum, si quia  quid debet non ex justitia propria sed ex virtute alia, puta liberalitate,  gratia^ misericordia, dilectioue, id sicut in foro exigi non potest, it^ nec  armis depoaci. Altrove fa rientrare  il dovere di allevare i figli nella sfera del diritto in seuao ampio, oasia  della morale. Si noti che Grozio non parla nell'opera sua di doveri : il  ano silenzio prova ch'egli li escludeva dal campo della filosofia giuridica,  e li considerava appartenenti alla religione o alla morale. irtù di legge. L'adempimento di tale obbligo, se può  nella sfera del diritto naturale largamente inteso,  interessare che indirettamente l'ordine giuridico-  )onde si vede che Grozio intuì le esigenze della vita  e tra i cultori di diritto naturale solo seppe evitare :uenze estreme, a cui conduceva l'applicazione del  azionale in ordine al diritto, meritandosi giustamente  il nome di giureconsulto del genere umano,  tezza che Grozio dimostra nel distinguere la morale  to, si riflette nella determinazione dei rapporti tra  ) e Stato. Secondo la dottrina di Grozio lo Stato non  istenza e una realtà propria, distinta dagli individui impongono. Lo stato deriva la sua esistenza da UN PATTO VOLONTARIO che gl’uomini, seguendo i dettami della  stringono tra di loro per conseguire gli scopi propri  SOCIETA RAZIONALE, la pace e la sicurezza. Di qui  zione di uno stato immutabile ne' suoi diritti e nelle  igazioni, la cui opera è intesa ad attuare l'utile co-  bene pubblico. Pur riconoscendo il carattere astratto  irio di tale concezione, non può negarsi l'idea feconda  ssa si conteneva, esser lo Stato distinto e indipen-  Llla persona del principe. Fondando la Stato sopra  3 razionale e immutabile, scuotendo dalle fondamenta  e comune al suo tempo che lo personifica nel prin-  )zio sottraeva lo stato alle vicende dei governanti,  lastie, delle forme di governo; determinando i limiti  lizioni per l'esercizio della sovranità, egli pronuncia  ,nna della tirannide e dei governi assoluti. Grande pertanto viene ad essere l'importanza di Grozio  )ria delle scienze morali. Per apprezzarlo al suo giusto Proleg, ove P A. afferma che IL PATTO  origiuò  civile e la società civile.   Op. cit., ove tratta della coudizioiie giuridica  ;i, e sopratutto il capo XIV in cui parla dei doveri e obblighi  pf, ecc.  -   valore bisogna tener conto della condizione creata alla chiesa  e*airimpero dai tempi nuovi. Le dottrine della chiesa inspi-  rate alle massime evangeliche mal potevano piegarsi a regolare rapporti d'indole politica. Lo stato e sorto in  opposizione al principio ecclesiastico, e svolgevasi all'infuori  dell'azione morale della chiesa, la quale mantene ancora  incontrastato il suo dominio nell'intimità delle coscienze individuali. E coir autorità della chiesa nei rapporti sociali  e venuta meno l'autorità dell'Imperatore, che in altri tempi  personifica in sé l'ordine sociale e politico ed e chiamato  giudice supremo delle controversie tra i popoli. La teorica dell'illimitata volontà del sovrano in materia giuridica  e politica anda radicandosi ed estendendosi ovunque : essa  porta alla separazione assoluta tra morale e diritto, al trionfo  dell'utile, dell'egoismo, e apre la via alla tirannide più odiosa. IL POPOLO ROMANO venivano ad esser abbandonato ALL’ARBITRIO DEL PRINCIPE, e la forza e la violenza diventano sinonimi di  diritto e di giustizia. Grozio che sente vivo nell'animo il  desiderio dèi bene, l'amore alla libertà e alla giustìzia, si leva  con tutta la vigoria del suo intelletto contro il diffondersi di  tali teorie: alla volontà illimitata del principe increduli e spregiudicato Grozio oppose l'autorità eterna e immutabile della ragione. All'egoismo imperante nei rapporti tra sovrano e sudditi, e dei popoli tra loro, egli oppone la concezione di un diritto  e di uno Stato naturale, derivati dall'umana natura: nella  guerra stessa egli mostra come le leg^i non rimangono mute.  Il popolo dove pertanto riconoscere in Grozio il  primo autorevole difensore dei loro diritti, e delle loro libertà:  come tale egli precorre i razionalisti, ma di  essi non conosce le esagerazioni: passando dalle concezioni  teoriche alle applicazioni pratiche, egli ammise e adottò temperamenti, pei quali si rileva giureconsulto e uomo d'azione. Grozio esercita una notevole influenza sullo sviluppo  ulteriore delle scienze morali: egli  fa convergere nel  suo sistema due indirizzi diversi, l'indirizzo filosofico razionale,  amente giuridico, derivata dalla storia  sti due indirizzi, il primo più rispon-  e intorno a sé più numerosi seguaci,  va per il momento eclissarsi, e confon-  [uelle della scuola storica, che solo più  irsi nel campo delle scienze morali. Tra  nente si inspirarono alle dottrine di  e  Pufendorf. Egli appartiene  , quando l'era delle lotte  e il periodo della formazione degli Stati  imente tramontato. La questione dei  Stati aveva perduto di attualità e di  L considerare nella coscienza dei popoli  ipii proclamati da Grozio. Maggior in-  estioni attinenti la sovranità, la costi-  li Stati, i rapporti tra i sudditi e il  del diritto. Pufendorf si propone ap-  lla parte del sistema di Grozio, che  in forma di prolegomeni all'opera sua;  originale, ma di svolgimento e di siste-  tro questi confini Pufendorf riesce in-: di Grozio egli svolge il lato filosofico  uridica, e disconoscendo la distinzione  le nel sistema di Grozio e adombrata  3nuta: subisce l'influenza de' nuovi in-  i all'epoca sua si sono affermati nelle  generale per opera di Cartesio, nelle  colare per opera di Hobbes e di Spinoza,  ja tenta senza riuscirvi l'applicazione allo studio del diritto naturale (1), e  jolutiste subisce l'influenza di Hobbes,  li combatterlo e di far trionfare le idee la jìiris unìversalìs methodo mathematlcaf Hagae  Per Pufendorf Toiiesto e il giusto, che sono gli elemei  generatori della vita morale e giuridica, NON HANNO ESISTENZA OBBIETTIVA: sono qualità soggettive inerenti non alle cose i  alle azioni, in quanto queste si conformano alla legge pi  scritta dalla volontà di un superiore, il quale viene pertar  ad essere la fonte della vita morale e giuridica. Morale  diritto hanno comuni le origini, e la natura. La morale este  ai rapporti sorgenti tra le persone diventa GIUSTIZIA, la e  osservanza non pur esteriore, ma intrinseca costituisce  dovere. Con Grozio ammette l'ipotesi dello stato di natui  concepito all'infuori di ogni istituzione civile, nel quale le leg  della condotta sono imposte dalla ragione in conformità al  natura socievole dell'uomo, da cui scaturisce il principio g neratore del diritto naturale, e tutta la serie dei doveri e  l'uomo ha verso sé stesso. Necessità egoistiche di sicurez  più che naturali sentimenti di benevolenza hanno indotto {  uomini a uscire dallo stato di natura, a stringere un co  tratto da cui trae origine la società civile, la legge positi^  lo Stato. Nella società civile fonte della morale e del (  ritto è la volontà del principe: in questa parte Pufend(   Cfr. Pnfe^idorf : Dejure naturae et gentium, e. 2, $  Honestas sive necessitas moralis et tarpitudo suut affectiones actiom  huiuaDarum, ortae ex couvenientia aut disconveuientia a norma seu le[  lex vero est inssum superioris ; non apparet qnomodo honestas aut ti  pitndo intelligi possit ante legeni et citra snperìoris impositionem »  Cfr. anche Lib. I, e. vi, $ 4 : € lex est decretum quo snperior sibi snbìecti  obligat ». Cfr, Pufendorf, e per il conce  della giustizia L'A. tratta dello stato di natura nel Libro II, e. il, Op. cit. Vllo Stato. Cosi se da un lato disconosce completamente   natura del diritto, trasformandone la dottrina in una dottrina dei doveri dell'uomo, dall'altro fa della volontà del so-  dano la fonte di ogni obbligazione morale e giuridica col  Lcrificio incondizionato dell'individuo e delle sue naturali  ndenze agl'interessi dello Stato. A Pufendorf spetta incontrastato il merito di aver  lCCoUo a sistema il materiale che da ogni parte sulle orme   Grozio si e andato accumulando: quindi in lui i caratteri  onerali e le conseguenze ultime dell'indirizzo che mette capo  Grozio e che sul continente trovò largo seguito di cultori,   manifestano nelle forme più spiccate. Studiando Pufendorf  )i possiamo misurare tutta là portata scientifica e pratica  dio stqdio sul diritto naturale, il quale costituisce la scienza  iciale dell'epoca, intorno alla quale gli spiriti nuovi, deside-  »si di riforme si raccolgono per tentare la soluzione dei più •  ariati problemi religiosi, etici, politici. Si viene pertanto  aturando nel campo delle scienze morali una rinnovazione  laloga a quella^ che si andava dispiegando nel campo delle  ienze fisiche e naturali. Nella storia del diritto naturale,  :*ozio rappresenta la mente inspiratrice, Pufendorf la mente  ordinatrice. Si comprende allora come in Pufendorf dovesse  jcentuarsi la confusione tra morale e diritto. Anch'egli di- ci) stingue tra « forum internum et exteriium », ma quello abbandona alla teologia e fa materia della filosofia giuridica il vasto  campo del forum externum ossia della condotta in generale  ne' suoi rapporti esteriori (1). Nell'estensione assunta dalla  scienza del diritto naturale, svoltasi all'infuori della religione  e sopra basi razionali, tendente a quella costanza e immutabilità, che in altri tempi attribuivasi alle manifestazioni della  volontà divina, si nascondeva un pericolo grave per l'avvenire  delle scienze morali. La confusione tra morale e diritto nelle  forme esagerate, ch'essa assume nei sistemi di Hobbes e di Pufendorf, minacciava risolversi nel fatto in una tirannia delle  coscienze per parte dello Stato, analoga a quella che in altri  tempi erasi deplorata per parte della Chiesa* Chi si rese perfetta coscienza del pericolo e corse al riparo e Thomasius. Spirito irrequieto e veemente, ingegno satirico, sprezzante Thomasius ebbe la mania del nuovo, non però, come  spesso capita, del paradossale: che anzi il suo odio per gli  aristotelici, il suo disprezzo per la metafisica rappresentavano  in lui la reazione del senso comune contro il convenzionalismo  aristocratico della scienza ufficiale, le sottigliezze inutili e  dannose nelle quali il pensiero del suo tempo si perdeva; fu  sua mira costante rianimare la filosofia col contatto della  realtà, infonderle uno spirito nuovo, e sopratutto indirizzarla  ad uno scopo di utilità individuale e sociale. Era naturale  ch'egli si volgesse di preferenza verso gli studii di diritto  naturale, che rappresentavano l'indirizzo nuovo e nello stesso Vedi in proposito la critica severa che il Leìbuitz fa dei prinoipii  esposti dal Pufendorf, cli^ egli teneva in poco conto e come filosofo e  come giureconsulto. Leibnitz : Opera, Ed. Dutens. Thomasias insegna matèrie giuridiche a  Lipsia: per sfuggire alle persecuzioni esalò a Berlino presso  l'Elettore Federico III, che gli offerse una cattedra ad Halle. npo pratico della scienza filosofica. Anche in questo campo,  r non uscendo dall'indirizzo iniziato dal Grozio e continuato  1 Pufendorf, ebbe modo di dar prova del suo spirito originale.  \bbiamo di Thomasius due opere sul diritto naturale,  ritte a distanza di 17 anni, le quali misurano il progresso  to dal suo pensiero in questo periodo di tempo. Egli rias-  me quanto prima di lui si era fatto nel campo degli studii  iridici, e si fa eco delle tendenze nuove, da cui si generono riUuminismo tedesco e la filosofia kantiana. Nella  ima delle opere sopra ricordate noi possiamo scorgere tutta  ifluenza esercitata da Grozio e da Pufendorf sul suo pen-  iro: con essi concorda nel dare alla scienza del diritto  turale come fondamento la natura socievole dell'uomo sot-  lendolo ad ogni vincolo teologico, nell'accettare le finzioni  Ho stato di natura e del patto per la costituzione della sc-  ita civile, nel derivare, sull'esempio di Pufendorf, il  •itto dalla volontà di un superiore. Fin da questa prima  e Thomasius mostra di meglio comprendere la natura del  •itto, affermando recisamente che non si dà diritto fuori  Ila società, né società senza diritto : ma non pone ancora  'suoi veri termini la questione dei rapporti tra morale e  'itto: ciò fece solo più tardi sotto la pressione di speciali  •costanze di fatto e per motivi pratici, che costituiscono la  usa intima e motrice di tutto lo sviluppo della sua dottrina.  27, La Sassonia, in cui Thomasius viveva insegnando a  psia, era in quell'epoca teatro di aspri dibattiti religiosi,  protestantesimo attraversava in Germania una crisi labo-  )sa. Le lunghe, interminabili polemiche teologiche ne avevano InstUutiones jurisprudentiae divinoCj Fundamenta juris naiurae  gentium ex sensu communi deducta ecc. Cfr. InstUutiones ecc. C(r, Institutiones ecc.  profondamente falsato il carattere: la fiducia del popolo, la  influenza sul costume erano scosse, perchè non potevano con-  ciliarsi col dogmatismo arido, intollerante, scolastico, al quale  si era ridotta la vita religiosa. Si destò allora un movimento  di reazione, noto sotto il nome di « Pietismo » che ebbe a  primo legislatore se non a promotore Spener, e che propo-  nevasi di far rinascere il sentimento religioso nelle sue forme  schiette e popolari. Le lotte tra ortodossi e Pietisti, condotte  con un'acrimonia incredibile minacciavano risolversi iii moti  separatisti: gli eccessi di misticismo, a cui i Pietisti si ab-  bondonavano, provocarono l'intervento dei principi, partigiani  dichiarati degli ortodossi: si promulgarono editti di repressione, e i Pietisti furono perseguitati, processati, condannati  come colpevoli di stregonerie: la tortura, l'inquisizione per  opera dei protestanti parvero ritornare in onore. Thomasius  prese parte attiva a questi avvenimenti: nel movimento pie-  tista egli vide il ritorno ad un sentimento religioso più vero  e naturale. I Pietisti e quanti erano accusati di malia tro-  varono in lui un difensore tanto più efficace in quanto alla  sua mente di giureconsulto tali processi costituivano altret-  tanti attentati alla libertà di coscienza, un'invasione della  pubblica autorità in campo che doveva considerarsi sottratto  all'azione punitiva. In occasione di tali fatti egli si rese conto  del pericolo derivante dalla mancanza del criterio distintivo  tra ciò che era di competenza della morale e ciò che rien-r  trava nella sfera del diritto. Tali idee maturarono nell'esilio,  a cui egli stesso andò incontro e si presentano in forma de-  finita nell'opera sul diritto naturale pubblicata. Thomasius nella sua tendenza al nuovo, ne' suoi  intendimenti pratici fu sotto molti aspetti benemerito della  Thomasius combattè la tortura e i processi contro le streghe nel-  l'opera 4L De crimine magiae. Federico II disse di lui che aveva riven-  dicato alle donne il diritto di vivere senza pericolo. La difesa dei Pietisti  e i primi accenni alla distinzione tra morale e diritto si trovjino nelVo- filosofia tedesca. Prima di Kant egli intravide il nesso esistente  tra il problema conoscitivo, etico e giuridico: primo osò af-  fermare che la ragione non deve andar disgiunta dal senso,  e che solo la conoscenza dei fenomeni è fonte di certezza.   Nel rispettare ed accrescere l'essenza delle cose consiste  il bene, e la maggior felicità dell'uomo costituisce lo scopo  ultimo della morale. Nel concetto amplissimo di diritto naturale Thomasius fa rientrare la morale e il diritto, ma nel  determinare il principio generatore abbandona Pufendorf, sostituisce al principio della socialità l'istinto alla felicità, e  su di questo fonda il criterio di distinzione tra le due scienze,  di cui l'una tende ad attuare la felicità interna, l'altra la  felicità esterna. Né solo per lo scopo diverso a cui mirano si distinguono,  secondo Thomasius, la morale e il diritto, ma anche e sopratutto per la natura dell'obbligazione, la quale si presenta  nelle due scienze diversa per ciò che riguarda l'origine, l'oggetto, i caratteri. L'obbligazione giuridica nasce dal comando  di un superiore, ossia trae la sua forza obbligatoria da una  forza esterna: l'obbligazione morale invece scaturisce dall'intimo della coscienza individuale, e più propriamente dall'apprensione di un male o di un pericolo al quale l'agente si  espone nell'atto di agire. In ordine all'oggetto, l'obbligazione giuridica si riferisce  solo a rapporti esterni sorgenti tra uomini uniti dal vincolo  di società. L'obbligazione morale invece ha una sfera di ap-  plicazione molto più larga: essa non solo comprende i rapporti  esterni, ma ancora gli interni che l'uomo ha verso sé stesso. pera € Sai diritto dei principi evangelici neUe controversie teologiche ».  In questa parte non ho potato valermi, come mi valsi altrove, dell'opera  magistrale di BUFFINI sulla « Libertà religiosa ». Ed. Bocca, Torino  Cfr. Fundamenta ecc. Precisando meglio il suo concetto Thomasius aggiui  oggetto dell'obbligazione morale possono essere Vhom  il decornun, mentre dell'obbligazione giuridica solo lo,  Sotto questi tre concetti rientrano tutti i doveri: Vhc  comprende i doveri che l'uomo ha verso sé stesso, i  riassumono nel principio di fare a sé quello che si à  altri faccia: il decorum e ìojusium abbracciano tutti  verso gli altri: ma di essi, i doveri di convenienza e  lenza rientrano nel decorwn, i doveri di giustizia nello, il diritto pertanto non solo non è ciò che di sua n  semplicemente onesto, ma neppure consiste in ciò e sua natura semplicemente decoroso. Da queste premesse deriva il carattere negativo e  dell'obbligazione giuridica, il carattere positivo e im  della obbligazione morale. Il diritto deve limitarsi a  quelle azioni che appaiono inconciliabili con una vita  ordinata: donde la necessità che abbia limiti fissi e celle sclei>ze fpotall.  Bacone e saa posizione nella storia del pensiero Bac  e le scienze morali Etica e scienza civile in Bacone Il metod  Hobbes ^ 35. Hobbes e i suoi tempi — Sistema etico-giuridico di Hot Il rapporto tra morale e diritto in Hobbes L'opposizione a Hobi  Cumberland Locke e i suoi tempi Morale e diritto in Locki   Da Locib a Hume Humé e i suoi tempi Filosofia di Hum  Rapporto tra morale e diritto in Hume — Adam Smith e sua im]  tanza. Sistema etico-giuridico di Smith Bacone è il profeta della nuova epoca, è il Mosè e  ha dischiuso la vista della nuova terra promessa. Questo C(  cetto espresso dal Macaulay (1) non risolve la dibattuta qi  stione risguardante il posto che Bacone occupa nella sto:  del pensiero. A risolverla conviene considerare a parte Baco  e l'opera sua, Bacone e i suoi tempi, Bacone in rapporto a  sviluppo del pensiero scientifico e filosofico posteriore.   Considerata in sé stessa l'opera di Bacone racchiude un a  significato, come quella che, sotto un'apparente riforma  metodo, prelude ad un nuovo orientamento del pensiero, ad  rinnovamento radicale del sapere. Sotto tale aspetto Bacc  occupa un posto eminente non solo nella storia delle scien  come ritiene Adam, ma ancora della filosofia. Primo e  assorse al concetto tutto moderno e per l'epoca sua prematu  dell'unità dello scibile sulle basi della filosofia naturale r  novata dal metodo induttivo. Per Bacone l'unità del metod  correlativa all'unità della scienza, e questa è a sua volta  riflesso e il prodotto della unità che si ammira nella natu  Le scienze formano un tutto unico e continuo in cui le pa  si distinguono, ma non si separano; quando una reale se]  razione si verifica, la parte divisa isterilisce e muore. T; Cfir. il noto saggio del Macaulay (Lord Bacon, EssaySf ed.Tauchn ). Ch, Adam, Philosojìhie de Francis Bacon, ed. Alcan,  sulla via tracciata da Bacone: non la scienza,  poiché il prevalere degli studii astronomici sullo studio delle  scienze naturali propriamente dette, fece preferire il metodo  geometrico al metodo strettamente induttivo di Bacone:  non la filosofia che segui un metodo soggettivo ed empirico  più che positivo quale era da Bacone indicato. Nell'azione di-  retta a scuotere il giogo della teologia ben si rivela Bacone  figlio dell'epoca sua, ma tra i dogmatici e gli scettici egli si  apri una via sua propria, che non fu né la razionale di Cartesio né l'empirica di Hobbes. Bacone è il vero precursore di  quella filosofia positiva, che il Comte dove opporre alle aberrazioni metafisiche; di ciò può. far prova  la sua dottrina etico-giuridica. Sotto l'aspetto speciale delle scienze morali Bacone ò  non fu preso in considerazione o non fu rettamente giudicato  sia per parte di coloro che vollero derivare da lui lo svolgi-  mento del pensiero etico inglese, sia per parte di quelli che  negano alle sue dottrine morali ogni valore. Ciò si deve in  parte a Bacone stesso il quale più che un sistema etico-giu-  ridico svolto nelle sue singole parti, ci lasciò l'abbozzo di un  sistema, il quale non attrasse mai l'attenzione degli studiosi,  mentre pur permetteva la ricostruzione intera del suo pensiero. Due furono le preoccupazioni costanti di Bacone in ordine  alle scienze morali: sottrarle al dominio della, teologia e della  metafisica. Con Montaigne e con Charron egli ebbe comune lo  Le scienze naturali dopo le scoperte di VINCI (si veda), di SERVETO (si veda), d’Harvey, subirono un arrèsto nel secolo xvii di fronte ai notevoli pro-  gressi dell'astronomia e con essa delle scienze matematiche : la geometria  in particolare divenne per oltre un secola la scienza madre, alla cui in-  iSaeDza non seppero sottrarsi le stesse scienze morali. È noto che Bacone  fa fierapiente avverso all'estensione delle matematiche allo studio della  natura. Comte accennando all'unificazione del sapere come allo scopo  ultimo della filosofia posi ti vn^ e costretto a ricordare le geniali intuizioni  di Bacone {Cours de philosophie posUivef I,).  sofi inglesi che lo seguirono, e solo può riconnettersi ai t  tativi fatti per dare alle scienze morali  fondamento positivo. Elemento generatore delle scienze moi  è per Bacone la natura, in ciò coerente al principio secoi  il quale la scienza della natura non solo è scienza madre  cui tutte le altre devono coordinarsi, ma in tanto ha valor  significato in quanto può servire a dar norma e indirizzo a  vita individuale e collettiva. Nella classificazione delle scienze posta da Bacoi  l'Etica e il Diritto rientrano nel largo campo delle sciei relative all'uomo; ma mentre l'Etica è il ramo più nobile de  Filosofia umana, che studia l'uomo a sé, in quanto consta  elementi corporei e spirituali, il Diritto colla Politica costuisce la parte fondamentale della filosofia civile, la qu  move dal presupposto dell'uomo associato e già eticamei  formato. I rapporti e i limiti tra le due scienze sono in tal me  implicitamente segnati: l'Etica forma l'individuo, la Scien  civile mediante il diritto provvede alla prosperità e alla pi  interna di uno Stato : quindi differiscono tra loro per l'ogget  lo scopo, la sfera diversa in cui si svolgono. Niun dubbio e  il contenuto della scienza civile, risultando di elementi as$  varii e disparati, con grande difficoltà si lascia ridurre a le|  e abbia letto le sue opere. Certo conobbe VANINI (si veda) a Londra sopratntto apprezza TELESIO (si veda) che chiama amantem veritatis et scien  ntileni, hominam novoram primuin. La decadenza della filosofia morale e civile è attribuita da Bacne notevole, per quanto non avvertita, nella  ndividuo segue suo malgrado il moto generale  cui riflette i sentimenti, le idee, le tendenze,  on può far assegnamento sull'azione di queste  Qè subisce i vincoli e le repressioni sociali  formazione dell'uomo interiore. Ancora l'Etica  ne interna dell'uomo, e sulla bontà dell'inten-  insiste: per la vita e per il progresso sociale liformità esteriore degli atti alla legge, e per  D servire mezzi sensibili e materiali, l'uso dei   agli scopi della morale. Le proporzioni stesse sua stessa perennità di esistenza, la comples-  iti che lo costituiscono sviluppano un gioco  Bazione, per cui le cause deleterie agiscono  3 insensibilmente: nei singoli individui, data  vita, e la costituzione più semplice del loro  ^uenze delle azioni disoneste si svolgono più  lutamenti nell'opinioni e nei costumi sono più  i. Per tal modo Bacone sotto colore di accen-  Ità diverse, contro cui l'Etica e la Scienza  ttare, tocca le differenze tra le due discipline,  apporti che corrono tra individuo e Stato. Le devono tener conto delle condizioni variabi-  li vidui : le norme giuridiche valgono per l'or-  forme, perchè più vasto, dello Stato, e in esso osserva Bacone (De Aug,) che Soggettò  è pili di ogni altro « materiae immersum^ ideoque  mata redncitur. compaiono le differenze dell'individuo, che è l'atomo della  vita sociale.   La stessa modernità di vedute Bacone dimostra nel trattare  a parte l'Etica e il Diritto. Dal modo di comportarsi degli  esseri in natura, egli trae la soluzione del problema teorico  relativo alla natura del bene. Ogni cosa in natura, esistendo  ad un tempo per sé e come parte di un tutto, tende a con-  servarsi, accrescersi, moltiplicarsi: cosi esiste per l'uomo un  bene individuale e collettivo; nello svolgere sé stesso e le  proprie facoltà in guisa da rendersi atto a far il bene del  tutto, di cui fa parte, sta la perfezione morale dell'uomo. De-  terminata la natura del bene, bisogna che l'uomo sia in grado  di raggiungerlo con una serie di mezzi, che solo può indicare  lo studio della costituzione psichica speciale di ciascuno,  variabile secondo i tempi, i luoghi, l'età, il sesso. In ciò  sta la morale pratica, nel trattare la quale il moralista deve  fare come il medico che studia il corpo umano per conoscerne  i mali e indicarne i rimedii. Lo studio del bene collettivo fa  parte dell'Etica non della filosofìa civile come a tutta prima  potrebbe p/irere. Finché prepariamo ed educhiamo l'uomo a  convivere in società, a preferire il bene comune al proprio,  la vita attiva alla contemplativa, noi non usciamo dai limiti  e dai compiti della morale. I rapporti tra l'Etica e la Scienza civile sono svolti da Bacone nel  De Augmentis.  La dottrina etica di Bacone è contennta nel De Aug-  ìnentis : la dottrina giuridica, e. m, sopratatto nell'Exemplum  iractatus de justitia universali; sive de fontibus juris > che è aggiunto come  appendice. Distribuisce Bacone la dottrina etica in due parti: l'una teorica  € de exemplari boni » tratta della natura del bene ; l'altra pratica « de  regimine et cultura animi » tratta delle norme atte a conformare l'animo  al bene : senza quest'oltima, la prima è come una statua « pulchra quidem  aspectu, sed motu et vita destituta » (De Aug.). In quella guisa che è cosa diversa fabbricare una macchina, e met-  terla in moto, così la scienza civile si distingue dalla dottrina del bene  collettivo che conforma l'animo alla vita sociale. se-  nato moralmente l'individuo, entra in campo la Scienza   avente per oggetto l'uomo congregato. Nell'abbozzo fi-  lasciatoci da Bacone è la parte che presenta maggiori  3 e imperfezioni. Però nel trattare dell'azione dello Stato  ipporti interni fra i cittadini, azione che si esplica me-  ì il diritto, Bacone dà novella prova di larghezza e ori-  tà di vedute. Il diritto non è fine a sé stesso, ma   per procurare il benessere materiale e morale del po-  Nel trattare di legislazione Bacone dichiara dì voler se-  un metodo suo proprio, distinto da quello adottato dai  consulti filosofi e pratici, dei quali i primi fanno leggi  jinarie per stati immaginarli, i secondi sono schiavi  leggi e degli usi locali, non hanno la guida dei prin-  che è condizione di equanimità e sincerità nei giudizii.  :islatore deve conoscere la filosofia civile, e l'equità  ale da un lato, ed essere dall'altro esperto conoscitore  >stumi e dei bisogni del popolo, pel quale fa le leggi (2).  , varietà delle leggi può bene associarsi, secondo Ba-  alla loro unità, poiché sotto le moltiformi leggi degli  e dei popoli, non é difficile rintracciare certi principii  Lstizia costanti, su cui può elevarsi un sistema di legis-  le ideale, a cui tutte le leggi diverse si riconducono, e  i tutte discendono (3). Ma la sapienza del legislatore non  solo consistere nel conoscere e determinare le legum  ma ancora nell'applicazione della legge (4). Quest'aspetto   La dottrina deUo Stato è da Bacone distìnta in dne parti : Tiina  mo 8ive de repuhlica administranday l'altra de justitia universaUf sive  ihu8 juriSy ossia la parte politica e la giuridica (De Atig,).  Xr. De Aug,, ove dice: philosopbi multa prò-, dictn pulchra, sed ab usu remota. Jnrisconsnltì antem, suae qnisqne  leguin, yel etiam ROMANORVM aut pontificiarum, placitis obnoxii,  sincero non ntnntnr, sed tanquam e vincnlis sermocinantur »'•  I!fr. De justitia univeì^sali, Aph. 6.   i La saggezza del legislatore, egli scrive, consiste non solo nellM-  li giustìzia, ma nella sua applicazione^ nel prendere in considera-  mezzi per i quali le leggi sono reso certo, le cause e 1 rimedi delle  Lcertezze. formale del diritto, trascurato dai fìlosofl del diritto naturale,  ,ha un'importanza nell'attuare gli scopi della giustizia, che non  sfuggi a Bacone; se vario è il contenuto delle leggi, la forma  è costante e può ridursi ad assiomi; se la perfezione delle  le^i non può facilmente ottenersi, almeno devesi cercare la  certezza coi mezzi formali. Là certezza è condizione necessaria per conseguire VaequUasjuris, ossia l'uniforme interpretazione e applicazione della legge, da cui dipende la efficacia  e l'autorità del diritto sostantivo.  Poco meno di due secoli dovevano trascorrere prima che le  idee di Bacone fossero accolte e applicate: erano premature. Bacone fece come colui che  avendo trovato una nuova via vi si slancia con entusiasmo e  la percorre rapidamente fino alla fine: ma gli altri per tal via  non lo seguirono come quella che contrastava troppo alle ten-  denze e ai metodi filosofici del secolo: ailcora la mente umana  non aveva condotto il metodo razionale alle sue estreme con-  seguenze per ricredersi, e porsi sulla via più modesta, ma più  sicura aperta da Bacone alle scienze morali. Hobbes fu chiamato il primo discepolo di Bacone : tale  filiazione intellettuale, sostenuta fra gli altri dal Kuno Fischer,  fu generalmente accolta: le stesse relazioni personali che cor-  sero tra Bacone e Hobbes parvero confermarla. Il Wundt stesso  fa dell' Hobbes un continuatore di Bacone nel campo delle  scienze morali. Studii più recenti vennero in opposto pa-  rere, a noi crediamo col Lange, collo Jodl, col Sidgwick, che  si debba negare qualsiasi rapporto di filiazione tra Hobbes e  Bacone. La diversità del metodo rispettivamente usato e  ornai posta fuori di dubbio dal Lange e dallo Jodl. Lange. Il criterio della bontà di una legge sta in ciò ch'essa sia « intimatione certa,' praecepto jnsta, executione commoda, cum forma politiae  congrua, et generans virtutem in subditis (Ib. Aph..  Cfr. Wnndt: Ethik, Libro II, e. ni.  Cfr. Sidgwick : Outlines of the history of Ethics, London  Cfr. Jodl: Gesc'xiichte der Ethik, definisce il metodo di Bacone induttivo, quello dell' Hobbes  ipotetico-deduttivo, ossia cartesiano. Mentre il primo procede analiticamente movendo dall'individuo per elevarsi €\  genere e quindi giungere direttamente alle cause reali dei  fenomeni, salvo poi ricorrere alla deduzione per utilizzare e  generalizzare le verità discoperte, Descartes e sulle sue traccio  l'Hobbes procedono sinteticamente premettendo la teoria a  guisa di ipotesi, spiegando mediante essa i fenomeni, per  poi controllare la bontà della medesima facendo ricorso alla  esperienza, a cui spetta la pai'te principale e decisiva nella  dimostrazione. Ninna comunanza quindi di metodo tra Bacone  e Hobbes: entrambi ricorsero all'esperienza, ma Bacone vi  ricorse per elevare su di essa la scienza, Hobbes per con-  fermare la teoria, posta innanzi come ipotesi. Osserva il Lange  che il metodo ipotetico-deduttivo è assai più vicino al vero  processo seguito nello studio della natura che non quello  induttivo di Bacone: qualunque sia il valore di tale afferma-  zione, essa è vera pel secolo XVII, nel quale prevalsero l'astronomia e le scienze matematiche. A questo metodo, prevalente  nel campo stesso delle scienze naturali, non ancora trasfor-  mato in razionale puro per opera dei fanatici seguaci di Cartesio, appartiene Hobbes. Questi contrariamente a Bacone  studiò ed apprezzò le matematiche: in istretto rapporto coi  tempi egli riconobbe e accolse senza restrizioni (ciò che non  fece Bacone) gli importanti risultati ottenuti nel campo delle  scienze naturali: e mentre a Copernico rivendicava l'onore  di aver fondato l'astronomia, a Galileo la fisica, all'Harvey la  fisiologia, sperava che altri potesse dire lo stesso di lui in  ordine alla filosofia politica. Come Cartesio egli mosse da un  presupposto teorico alla costruzione del suo sistema, e cercò  nella esperienza e osservazione fisiologica argomenti a sostegno  della sua teoria. Cfr. Lange: Histoire du matórialisme, Lange.  IC  p''yiHBI'PUV''^l-l'^- 5& -La filiazione tra Bacone e Hobbes come non e«i  I)el metodo cosi non esiste né diretta né indiretta per la (  trina. Se comune ad entrambi é l'avversione ai vieti pres posti metafisici e teologici, nonché il sentimento di ribelli  all'autorità di Aristotele e la tendenza a secolarizzare  scienze morali, non per questo si può dire col Wundt  Hobbes continuò Bacone, ma solo che entrambi subir  le stesse condizioni generali dell'epoca, ciò che non impe»  Hobbes di elevare una metafisica di nuovo genere, div€  dall'antica teologica, ma non meno contraria alla filosofia  coniana. Ma se con Bacone subi l'influsso generale del ten  non da lui Hobbes trasse motivo e ispirazione a scrivere  cose morali e civili, ma direttamente dalle condizioni pa  colari dell'Inghilterra del suo tempo. Egli non assiste ind  rente e quasi ignaro come Bacone ai gravi rivolgimenti poli  e religiosi che agitavano il suo paese e che dovevano a\  una importanza decisiva sull'avvenire del popolo inglese:  vi partecipa direttamente, proponendo quella che a lui pa  la vera soluzione, e sopratutto richiamando sui problemi  rali, religiosi, politici l'attenzione degli studiosi e degli uon  di Stato che sotto l'influenza delle sue dottrine dovevano  vidersi in due campi opposti e ostili. E cosi mentre Bac  isolandosi dai suoi tempi non sollevò intorno all'opera proj  né le ire né le lodi dei contemporanei, Hobbes inspirandosi  suoi scritti direttamente ai fatti che prepararono la Gra  Rivoluzione inglese, esercitò un'influenza decisiva sull'i  rizzo e sullo sviluppo ulteriore delle scienze morali.   La rivoluzione che si andava maturando nell'Inghilt^  I, era ad un tempo ec(  mica, politica, religiosa; ma nelle sue diverse forme essa ]  presentava pur sempre l'emancipazione dell'individuo dai  coli che ne ostacolavano la libera attività. Proprio in (   l'Inghilterra cessava di essere un paese esclusivam(   Wundt: Op. cit., Lib. II, e. ni. -   agricolo per divenire in un certo grado paese commerciale  e manifatturiero; la proprietà mobiliare frutto del lavoro si  affermava vigorosamente di fronte alla proprietà terriera,  nata dalla conquista: cadevano le corporazioni d'arti e me-  stieri, i monopolii, i privilegi; lo Stato cominciava a legit-  timarsi in proporzione della libertà e dei vantaggi che derivavano all'individuo. L'individualismo economico mette capo all'individualismo politico: una trasformazione in senso  democratico dello Stato si rendeva oramai inevitabile; a mi-  sura che la coscienza della propria forza si diffondeva nella  classe media lavoratrice cresceva l'avversione contro il lusso  smodato di Corte, contro le arbitrarie imposizioni, contro le  indebite ingerenze dello Stato, di cui volevansi ridotte al mi-  nimo le funzioni, e si voleva controllata l'azione nei rapporti  coi cittadini. L'individualismo economico e politico traeva  nuova forza dalle credenze religiose sorte dalla Riforma Pro-  testante. Il Calvinismo penetrato in Inghilterra nella sua forma  più rigida, aveva prodotto i Presbiteriani scozzesi, e i Puri-  tani inglesi. Era appunto nell'essenza del Calvinismo demo-  cratizzare le credenze religiose, porre l'uomo in rapporto di-  retto colla divinità, farne l'interprete della legge e della volontà divina, senza bisogno di intermediarii, che facevano ser-  vire la religione a scopi ambiziosi e politici. Il trionfo dell'individualismo nelle sue diverse forme non  fu senza contrasti: esso lottò contro le tendenze reazionarie  e assolutiste del potere regio che ebbe ad alleata docile e  passiva la Chiesa anglicana o episcopale. Non rimasero i forti  pensatori dell'epoca estranei e indifferenti alla lotta: tra tutti  si distinse l'Hobbes, la cui dottrina concepita quando più acca-  nita ferveva la lotta, trovò eco profonda negli animi. E l'in-   Cfr. per le condizioni economiche deU* Inghilterra in quest'epoca il  Cnnningham, English Commerce and Industry— per le condizioni politiche il Burgess,Politicai Science and Comparative  Constitutional law  — per le condizioni religiose  il Ruffini, « Libertà religiosa.   fluenza da lui esercitata fu in proporzione del disinteresse e^  della sincerità dell'opera sua di scrittore. All'assolutismo non  fu condotto da motivi di interesse personale, ma da quello  stesso individualismo che trionfo colla Rivoluzione, e che in  niun tempo trovò un più forte e convinto sostenitore; ma appunto per ciò parve ad Hobbes che l'assolutismo solo potesse  contenere lo sfrenato egoismo della natura umana. Il vecchio  e il nuovo vengono pertanto stranamente a incontrarsi nella  dottrina dell'Hobbes senza confondersi: la base psicologica  del suo sistema, rispondendo ad un lato costante della natura  umana, potè vivere di vita propria, e servir di punto di par-  tenza allo sviluppo ulteriore del pensiero etico inglese, indi-  pendentemente dalla forma politica da lui vagheggiata. Per  opera d’Hobbes penetrava nel campo della speculazione fìlor  sofica e sopratutto delle scienze morali quell'individualismo,  che fino allora ne era stato lontano per l'influenza delle opposte teoriche del diritto divino, e della morale cristiana, e  vi penetrava nella sua forma più rigida senza temperamenti  di sorta. Di qui la importanza e il significato della dottrina  etico^iuridica dell'Hobbes. Hobbes intese sopratutto col suo sistema risolvere  un problema politico, e a questo subordina come mezzo al fine  la morale e il diritto. Anche sotto tale aspetto più che a Bacone egli deve riconnettersi a quella corrente generale di  pensiero, che originatasi dalla Riforma e svoltasi nella for-  mazione degli Stati moderni, aveva elaborato il concetto di  una legge di natura, ossia di una norma ideale, morale e giu-  ridica ad un tempo, tratta dallo studio della natura umana,  su cui dovevansi modellare i rapporti politici. Ma contraria-  mente al Grozio e ai cultori del metodo razionale, l'Hobbes  nello studio dell'uomo e nella concezione di uno stato e di  una legge di natura diffida della ragione e della storia, e si Con frase felice U Tulloch chiama l’Hobbes un radicale a servizio  della reazione.  si esclusivamente dei risultati   condotta con criterii empiri  % lui come a un precursore d  5 altri si preoccupa delle esig  lobbes con concetto assai più r   dell'operare umano, e sili i  eri, della osservazione psicolc  il suo sistema. Quindi è che Hobbes devonsi, secondo noi,  ma fondata sull'osservazione ]  jato carattere empirico-indutti   i risultati della prima ha car  r runa l'Hobbes sopravive a' s  iza per l'elaborazione ulterio  •a partecipa alle astrazioni mei  mpo psicologico Hobbes è un  ) nell'uomo due sostanze, ma (   psichici; il moto dei corpi si  ai nostri sensi, che lo trasmett: segue la sensazione, ossia ui  reazione dall'interno all^esteri  d allontanare l'oggetto esterno   od ostacola la vita, ossia a i  ile: effetti soggettivi concomitj  e e il dolore. Il piacere è la mis  . In questa concezione material  ra si fondano la moralità e il erò non perde nella società civile la sua perso-  ica e morale: lo Stato riposa pur sempre sul ta-  e sulla tacita cooperazione degli individui e la  rova limiti efficaci in una saggia separazione di  )ntrollo permanente del popolo, nella legge stessa  cui le leggi civili non possono contraddire.  nenticare che nel sistema politico di Locke spiega  )cisiva la pubblica opinione, le cui norme rispon-  sialmente a quelle della legge di natura, modifi-  . costume e dagli usi locali, sono tali da tenere  acemente cosi le azioni dell'individuo come quelle  iti.   sistema etico-giuridico del Locke, come in quello  due diversi indirizzi convergono, l'indirizzo utili-  ;o, e l'indirizzo metafisico-razionalista, proprio dei  iritto naturale. È innegabile che nella determi-  flne e dei motivi della moralità, egli continua e  3todo di osservazione psicologica iniziato dal-  i senza allargarne i limiti fino a comprendere gli  ili tra le condizioni della felicità e i motivi di  combattere poi l'innatismo, egli rappresenta un  presso sull'Hobbes, in quanto dischiuse la via, da   non percorsa, alla conoscenza sperimentale e po-  moralità. , e.  Bull^Bsteusione e limiti del potere legislatÌTO.  D'altro canto nella parte ricostruttiva Locke è un razionalista, subisce l'influenza della scuola del diritto naturale,  e segue con Cumberland l'indirizzo di Grozio distaccandosi  da Hobbes e dalla sua dottrina. Infatti nel Locke il concetto  della legge di natura presenta un carattere di universalità  e di obbiettività che in Hobbes originariamente non ha, e la  sua teorica del governo, scritta à giustificazione di fatti com-  piuti, e rappresentando le aspirazioni popolari è le idealità  politiche de' tempi nuovi, e destinata a esercitare un'influenza notevole in Francia ove la trasformazione sociale ed  economica in senso individualista stava iniziandosi. La con-  cezione della legge di natura, come norma razionale, il concetto dell'individuo fatto sovrano ed esecutore della medesima,  i principii della sovranità popolare, d'uguaglianza, della separazione dei poteri sono dal Locke enunciati nella forma più  suggestiva e diventano patrimonio comune delle coscienze  nuove. Ma se era più consentanea alle aspirazioni^e alle esigenze razionali dell'epoca, la teorica di Locke mancava di  quel fondamento positivo che riscontrasi invece in Hobbes,  la cui dottrina dello stato di natura, fondata sull'osservazione ristretta ma vera della natura umana, si ravvicina ne' suoi  risultati assai più che non quella del Locke alle reali condi-zioni dell'uomo preistorico. La teorica della legge merita speciale attenzione in Locke  come quella che rappresenta un tentativo fatto per distinguere la morale dal diritto e stabilirne i rapporti reciproci  sopra una base nuova, suscettiva di svolgimento e di progresso.  In omaggio alle idee dominanti Locke assorge al concetto  di una legge di natura generatrice di ogni altra, misura obbiettiva, universale, immutabile della condotta in generale:  ma questa legge soddisfa ad una esigenza puramente teorica  e ha una esistenza ideale, mentre nel fatto si risolve in  legge civile e in legge del costume, che rispondono rispetti-  vamente alla legge giuridica e alla legge morale. L'ordine  naturale obbiettivo rappresentato dalla legge di natura i operatasi in- quel secolo per parte dei NON-CONFORMISTI (Herbert Grice), là  quale colla lunga oppressione scosse 1’influènza tirannica della chiesa ufficiale. A. misura che il dispotismo politico e religioso  perdeva terreno cresceva l'interesse per le indagini di natura  morale, e civile. Hobbes e Locke avevano posto i germi per  un nuovo orientamento degli studi morali, iniziando l'indagine  psicologica: ma mentre l'uno fu indotto dalla logica inesorabile  de' suoi principii a soffocarne i risultati nel dispotismo, l'altro  cercò temperare le premesse psicologiche, ancor sempre ri-  strette e unilaterali, facendo ricorso ad elementi razionali. Il  dualismo tra ciò che era risultato dell'analisi psicologica e le  esigenze della ragione e della pubblica opinione, si risolve  dopo Locke in due indirizzi distinti, personificati in Clarke  e in Schaftesbury.  In Clarke la ragione riacquista intero e incontrastato  quel primato nella formazione della moralità e del diritto che  la scuola empirica tendeva a scuotere in favore della volontà:  movente all'azione e criterio di moralità è l'evidenza e la cer-  tezza dei principi! morali, non innati nell'uomo o rivelantisi  intuitivamente all'intelletto, ma razionalmente dedotti dai rap-  porti immutabili e naturali delle cose. Le idee morali e giuri-  diche vengono per tal modo a confondersi colle verità intel-  lettuali, la necessità lògica si converte in necessità morale, e  il dovere diventa Passenso necessario dato alla suprema ragione delle cose. Il RAZIONALISMO penetra col Qlarke in Inghilterra, distinguendosi a un tempo dall'innatismo professato  anteriormente dalla scuola di Cambridge, dall'intuizionismo  posteriore del Butler e del Reid: esso rispondeva alla segreta  ispirazione di molti di trovare, secondo il concetto espresso  dal Locke, alla condotta una base cosi sicura come quella tro-  vata da Newton alla meccanica. Ma tale indirizzo inteso a  fondare le scienze morali e giuridiche su principii astratti   Cfr. del Clarke l’opera pubblicata col titolo, A Discourse,  concerning the Being and Attrihutes of God ecc,  il quale, sottratto alla ragione e alla riflessione, è fondato sul  senso, divenuto capace non pur di impulsi egoistici ma anche altruistici. Con Schaftesbury sono definitivamente acquistati  all'etica empirica due concetti nuovi: la naturalezza delle af-  fezioni socievoli, che concorrono coll’AMOR DI SÉ (H. P. Grice, SELF-LOVE) a regolare le  azioni umane, — il senso morale, ossia un elemento tutto interiore sostituito alla volontà divina e umana, alla ragione  stessa come criterio di approvazione, e fatto capace di de-  terminare all'azione. Senonchè il difetto di rigore scientifico  nelle affermazioni dello Schaftesbury, l'ottimismo esagerato che  lo anima tolsero efficacia e autorità alla sua dottrina, ugual-  mente combattuta da liberi pensatori come Mandeville e da  ortodossi. I germi da lui posti furono raccolti e innalzati a  dignità di sistema da Hutcheson, il noto fondatore della Scuola  Scozzese. Nell'Hutcheson il problema della condotta assume l'ampio  e sistematico svolgimento, di cui dopo Cumberland. non si  aveva avuto esempio. Anche per Hutcheson fonte origi-  naria della vita morale e giuridica è il senso morale, elevato  a criterio modellatore e ordinatore degli affetti umani, tra i  quali esso dà il primo posto alle affezioni benevoli, aventi un  grado diverso di estensione e quindi di eccellenza intrinseca.  Dalle forme della simpatia, pietà, gratitudine, amore, affetti  domestici, amicizia, patriottismo, l'affetto benevolo si eleva  gradatamente fino all'amore verso l'umanità in generale, spo-  gliandosi mano mano degli elementi impulsivi, violenti, egoistici per raggiungere uno stato di calma determinazione verso  il bene di tutti. La ragione non spiega un'attività sua  propria nello sviluppo della vita morale; essa deve solo con-   Le opere principali di Hntoheson sono: An Inquiry into the Ori-  ginai of our ideas of Beauty and Virtm, e qneUa postnma edita  dal figlio dell' A.: A System of Moral Philosophy, Ci siamo valsi  dì qaest'alttma peU'edizìone francese. Cfr. Systeme, ove tratta del «enso morale.  ire e confermare sulle basi dell'osservazione e dell'espe-  a le naturali manifestazioni del senso morale. Dall'eser-  delle affezioni socievoli e disinteressate scaturiscono i  ri più puri e durevoli, e deriva all'uomo il massimo  : donde la perfetta armonia e corrispondenza tra virtù  icità. Il senso morale come ci fa rilevare la bontà, così  intuire il carattere del giusto nell'azione, carattere che  ^ela nelle affezioni tendenti al bene generale; vien cosi  nata la coincidenza tra bontà e giustizia, tra azione  a e giusta in guisa che basta agire bene per agire giusto,  me pertanto è il fondamento psicologico della morale e  liritto. Ma se l'intenzione è condizione necessaria perchè  :ione sia buona e giusta intrinsecamente (bontà aliate-  ), per gli scopi e le conseguenze pratiche della condotta  i, secondo Hutcheson, la bontà formale, ossia la confor-  anche solo esteriore ai dettami del senso morale. ) spiega perchè Hutcheson passando dai principii teorici  costruzione concreta di un sistema di norme etico-giu-  fie si preoccupa sopratutto di assicurare la bontà for-  come quella che più interessa la convivenza sociale:  e scopo sostituisce al criterio soggettivo del senso mo-  il criterio oggettivo del bene pubblico . per determinare  oralità più propriamente la giustizia dell'azione, adot-  ) il principio che divenne in epoca posteriore la base  istemi utilitarii, ai quali prepara la formola (2). Preoc-  to quindi del bene pubblico e della bontà formale, l'Hut-  )n doveva insensibilmente esser portato a sacrificare alle  nze giuridico-sociali, gli interessi della moralità propria-  e detta : lo prova il fatto che nell'indicare le norme di     Cfr. Op. cìt.y ibid.y lib. Ili, ove spiega i concetti di giustizia e di  tizia^ di bontà materiale e formale, di diritto e di legge, di diritti  ti e imperfetti.   Ecco le parole precise di Hutcheson: « that action is best which  res the greatest happiness for the greatest numbers. Questa for-  corrispoude a quella di Bentham.  1fVa«fr'J»K •?.!•"%   condotta esso segue il sistema e la classificazione dei giurisi  anziché quella dei moralisti. Questo costante equivoco ti  moralità e diritto si rivela ancora nella distinzione da li  posta tra diritti (e quindi obbligazioni) perfetti e imperfetl  di cui solo i primi sono assolutamente necessari alla vii  sociale, e possono essere coattivamente imposti, mentre i s  libertà ;, in cui tratta del governo civile, del contratto sociale, delle leggi civili.  Cfr. Miller, Laio of nature and nationa in Sootland, Edinbur: saggio primo, p. 3-35 ove si tratta della filosofìa giurìdica del  Scuola scozzese, e in particolare del sistema dell' Hutcbesou,  condotta. Senonchè il fondamento  ra capace di analisi ben più pro-  lato della dottrina dell'Ha tcheson  th, per opera dei quali la teorica  lo deirosservaÉione psicologica ap-  )lsero e si perfezionarono.  'Hutcheson nel campo delle scienze  dell'Hume e dello Smith ed ebbe a  a. La rivoluzione  ilterra la triplice trasformazione  ja. Col trionfo del sistema paria-  io, della libertà religiosa sull'in-  a libertà economica sul protezio-  Llismo sotto tutte le sue forme si  dominio incontrastato. Nella Scozia  storiche, la rivoluzione aveVa pre-  antesimo contro il sistema episco-  il trionfo della libertà nazionale  da un lato, dell'intransigenza re-  :ico dall'altro. La lotta politica  luove energie commerciali e inducata da questioni religiose: epperò  entrambi i paesi conseguita, essa  pagnata e integrata dalla libertà  necessario che l'annessione della  enuta definitivamente, e  a rivoluzione, esplicassero i loro  esse scuotere il giogo della super-  , religiosa. Né deve far meraviglia  III, proprio quando più fioriva lo  storia del pensiero uomini come  le loro dottrine, contrarie all'in-  , non trovarono eco nella Scozia,   M)«a, Torino, Boccs, mentre esercitarono grande influenza in Inghilterra, ove furono apprezzate e discusse: secondariamente Tesser essi nati  e cresciuti nell'ambiente scozzese spiega le caratteristiche  del loro intelletto, e sopratutto la natura del metodo seguito,  che fu essenzialmente deduttivo e contrario all'induzione empirica dominante in Inghilterra. Vedemmo l'Hutcheson trarre  dal postulato indimostrabile del senso morale tutto il suo  sistema filosofico: analogamente fece Smith movendo dalla  simpatia: l'Hume fu avversario dichiarato dell'indirizzo ba-  coniano, e subordinò costantemente il fatto all'idea. Speciale importanza hanno l'Hume e lo Smith in ordine alla  determinazione del rapporto tra morale e diritto: per opera  loro il problema si avviò verso una soluzione che fu sotto  molti aspetti notevole e decisiva.  L'osservazione empirica della natura umana confer-  mata dall'esperienza fece convinto l'Hume che esiste un'attività  interiore originaria e istintiva, il senso morale che determina  all'azione, e che la ragione può solo regolare ed esplicare.  L'Hume non si preoccupò tanto dì studiare direttamente  questa facoltà innata dell'uomo e di penetrarne la natura,  quanto piuttosto di rilevarne gli effetti e le manifestazioni  oggettive e soggettive. L'azione determinata dal senso morale,  ossia l'azione virtuosa è oggettivamente utile, soggettivamente piacevole: perciò il giudizio sulla moralità dell'azione, il motivo dell'approvazione e disapprovazione morale, la determi-  nazione di ciò che l'Hume chiama il merito personale si risolvono oggettivamente nella valutazione del grado di utilità  inerente all'azione, soggettivamente nell'intensità del piacere  provato. Né si creda che l'Hume limiti le manifestazioni del  senso morale all'utile e al piacere individuale: egli riesce a generalizzare e ad umanizzare i concetti dell'utile e del piacere  mediante la simpatia, per la quale ciò che è solo utile ìndi- ci) SaUe condizioni politico-sociali della Scozia in quest'epoca e sopra-  ttutto si^l ci^rattere della filosofia scozzese cir, i} Btickle. e piacere soggettivo e variabile diventa utile generale  e comune. Il senso morale e la simpatia vengono per tal  costituire i motivi psicologici della morale dell'Hume,  l'utile e il piacere in senso largo ne costituiscono le ma-  ioni e i criteri di valutazione pratica e immediata. Ma  l'minatezza di tali concetti allarga oltre misura il campo  3rale fino a comprendere in essa, secondo il concetto  ;uttociò che è naturale : il dissidio dell'etica cristiana  ihe è utile e piacevole e ciò che è razionale e morale, tra  ha carattere obbligatorio e ciò che è meramente spon-  istintivo è pressoché scomparso nell'etica di Hume. Pochi come Hume hanno inteso e accentuato la distin-  a morale e diritto. L'Hume non era solo filosofo ma  ippassionato, e autorevole parve ogni qual volta emise  rere sopra questioni economiche, politiche, religiose.  e e diritto non hanno comunanza di origine, di natura,  . Mentre la morale si svolge dall'intima costituzione  tura umana, la giustizia si origina per riflessione dalle  ì della civile convivenza. La giustizia non può conciliarsi  ito di natura quale era descritto dall'Hobbes, che la  resa impossibile, e neppure collo stato di natura imma-  ni Rousseau, che l'avrebbe resa superflua; essa si svolge  lente colla convivenza sociale, nella quale essa tende  to a garantire la proprietà privata. La morale si svolge  riduo, e alla felicità dell'individuo intende: i suoi pre-  nno carattere di spontaneità e di indeterminatezza,  3lli che si fondano sul senso morale, proprio di ciascun  e di natura misteriosa. La morale si vale essenzial-  jlla cooperazione dei singoli, e le fasi del suo progresso  rapporto col grado di sviluppo e di perfezione rag-  agli individui. La giustizia non trae origine dal sen-  'anno prova le sue notevoli opere storiche, e i saggi namerosi  )ta, suUa bilancia commerciale, sul credito, snU' interesse ecc.,  noto saggio : The Triturai hUtory oif religion»   iimento ma dalla ragione: essa ha costantemente di mira  l'interesse del tutto, alla cui stregua e non a quella dell'individuo le sue norme devonsi valutare e giustificare. Frutto  di calcolo e di riflessione, imposte dalla necessità della con-  vivenza, le norme di giustizia costituiscono altrettanti attentati  alla libertà e felicità dell'individuo; quindi mentre sono coat-  tive, devono essere al minimo ristrette, precise, determinate.  Le norme morali sono come le pietre ciascuna delle quali  concorre all'erezione dell'edificio; le norme di giustizia sono  come la volta che sta per la mutua cooperazione di tutte le  sue parti non per l'azione isolata delle singole pietre che la  compongono. La natura stessa della giustizia rende inevitabili  gli Stati e i governi, che la conquista e l'usurpazione più che  il consenso fanno sorgere, e che l'azione del tempo e il con-  solidarsi degli interessi finiscono per legittimare La figura di Hume ha un'importanza notevole nella storia  delle idee morali e giuridiche dell'Inghilterra: egli riassume  per molti aspetti il passato e prelude a nuovi indirizzi di pen-  siero. Concorda coU'Hobbes e col Locke nel rilevare il carattere  razionale o convenzionale delle norme di giustizia: con Hutcheson difese la morale del sentimento contro gli Intellettua-  listi : nel ridurre al minimo l'azione dello Stato, nel restringere  la giustizia alla difesa della proprietà egli subì l'influenza  dell'individualismo dominante all'epoca sua in Inghilterra:  nell'importanza data ai concetti della simpatia e dell'utile apri  la via da un lato allo Smith dall'altro lato a Bentham. Sintomatico per il metodo è il dispregio che Hume ebbe pei  fatti, a cui raramente fece ricorso per confermare le sue  Le dottrine etico-giuridiche deU' Hume sono contenute particolar-  mente nei seguenti saggi : 1) e An inquiry concerning the principles of  morals, Of the origin of government, That polìtìcs may be  reduced to a scìence, Of the first principles of government, Of  the originai contract. Questa è la ragione per la quale l’Hume e ingiustamente severo  nel giudicare Bacone Cfr. Ektory ofEngland, Lond»  19d«   ai quali ad ogni modo riservò un posto secondario e  aato alle idee. L'eccezionale acume e potenza d'intel-  rmise all'Hume di intuire il vero, e di trarre da' suoi  lì conseguenze non contradette dai fatti: per lui la  la religione, il diritto hanno un corso naturale, che  me solo può determinare, e che spesso contraddice alla  storica: determinare questo corso ideale delle cose  Ito precipuo della filosofia. L'analisi dei sentimenti in quanto sono stimoli all'o- umano fu con larghezza e originalità di vedute conti-  la un terzo grande pensatore scozzese. Smith,  isse con metodo deduttivo tutta la sua dottrina eco-  dall'esame dei sentimenti egoistici, cosi come fece dei  inti altruistici o simpatici la base della vita morale. œconomicus da un lato, l'homo eihicus dall'altro  secondo Smith, a movente dell'azione sentimenti   Moral sentiments e Wealih of nations anziché con-  5i, come vogliono alcuni, si completano a vicenda e  )no due esempi insuperabili di astrazione psicologica  a con logica geniale e rigorosa.  mpatia è un sentimento originario e irreducibile dei- associato. Essa consiste in un accordo di sentimenti,  accordo ha luogo in noi, quando i sentimenti che  agnano l'azione nostra si accordano coi sentimenti di 30sto spettatore imparziale, che si erige a giudice in  provano le sne affermazioni geniali e confermate dagli stadi pò-  iiU' origine deUe religioni e dei governi, sulla condizione deU'uomo  1^ sai fenomeni economici ecc.   a deUe opere pili originali di Hume è The naturai history of re*  cui arriva alla conclusione vera che il politeismo ha preceduto  n monoteismo : la prova però che ne dà è essenzialmente teorica  ca.   le osservazioni del Buckle, Op. cit. e. xx, sul metodo seguito  th, e sui caratteri della sua filosofìa. Cfr. anche Lange, Histoire  aliarne f Paris. Smith pubblicò The   moral sentiinente nel 1759 e nel 1776 pubblicò Wealth of nations. 'i«^r:  noi di noi stessi ; ha luogo fuori di noi quando il nostro sen-  timento si accorda coi motivi e col l'intenzione dell'agente da  un lato, coi sentimenti della persona che è termine dell'azione  dall'altro. L'Hume fece scaturire la simpatia dalla considerazione degli effetti utili e piacevoli dell'azione : non tenne  conto dello stato emotivo proprio di chi compie l'azione e di  chi la riceve. Lo Smith più che agli effetti esteriori dell'azione  rivolse la sua attenzione al sustrato psicologico dell'azione  stessa, e distinse nettamente la simpatia diretta o soggettiva  coi motivi e l'intenzione dell'agente, la SIMPATIA indiretta o oggettiva collo stato d'animo della persona a cui l'azione si  riferisce. Dire che un'azione è conveniente o sconveniente,  buona o cattiva, significa solo simpatizzare o non simpatizzare  colla causa o coi motivi che determinarono l'agente a com-  pierla. Questo senso di simpatia diretto che nel giudicare  l'azione nostra o di altri jion tien conto delle conseguenze  dell'azione, ma dell'accordo di sentimenti di chi giudica imparzialmente l'azione e di chi la compie costituisce il dominio  proprio della morale. Il fondamento psicologico della giustizia, che Hume aveva disconosciuto facendo della giustizia opera esclusiva  della riflessione e della ragione, deve ricercarsi nella simpatia  indiretta o oggettiva, cioè nella simpatia che nasce dalla corrispondenza coi sentimenti di chi è termine dell'azione. L'azione benefica o dannosa fa simpatizzare col beneficato  col danneggiato e desta in questi e negli spettatori imparziali un senso di gratitudine o di risentimento verso l'autore.  In questo impulso retributivo, in questo stimolo al contraccambio, che dalla persona interessata si diffonde a quanti  contemplano imparzialmente l'azione, noi troviamo la ragion  d'essere del merito e del demerito, del premio e della pena,   Cfr. Theory ecc. Smith tratta della simpatia diretta o soggettiva nella Parte t  dell'opera sua; in occasione dei giudizi sulla proprietà delle azioni. erio per distinguere le azioni beneficile é le  Le manifestazioni della beneficenza sono posi- mo limite nella loro esplicazione: il senso di  lanifesta sopratutto negativamente quando cioè  )voca la reazione e la pena. Le azioni che non  danno né vantaggio, che non meritano né premio  destano né simpatia né antipatia, o in altre pa-  Ltudine né risentimento, costituiscono la classe  giuste, in quanto rivelano in chi le compie il  intimento di giustizia, ma non l'animo disposto  Smith che il senso naturale di SIMPATIA può  , to Non sempre noi siamo in condizione di  idici imparziali e sereni delle nostre azioni: le  itutto tendono a corrompere il nostro giudizio e  Lizzare con motivi d'azione non degni di appro-  ?o canto nel giudicare le azioni da altri compiute,  3re tratti in inganno dai risultati meramente  ?imii dell'azione, dall'utile o dal piacere che ne  are. Non é a credere che lo Smith disconosca  li questi elementi estrinseci dell'azione: é prov-  e l'utile e il piacere da un lato, il successo  tino simpatia, e costituiscano un criterio pratico  ila bontà dell'azione: ma tali elementi devono  lostri giudizii, nel regolare la simpatia un posto  secondario.   re la serenità e imparzialità dei nostri giudizii  e il demerito dell'azione, si rendono pratica-  )atia oggettiva Smith tratta nella Parte ii Op. cit. in  itinieuto di merito o demerito deUe azioni. Sui rapporti  ) giustizia. ò del traviamento del senso di simpatia. 3naa dell'utilità sul sentimento di approvazione. inente indispensabili norme generali direttive. Queste norme,  che resp3rienza ripetuta, non l'intuizione, ha suggerito, si  presentano con caratteri e natura diversa, secondochè tendono a regolare i'esplicarsi dell'attività benefica, oppure sono dirette a impedire le lesioni del senso di giustizia: le une non  escono dal campo della morale, le altre hanno carattere pro-  priamente giuridico. La natura della beneficenza è tale che non si presta  ad essere ridotta in formole precise e minute. Il suo campo  è illimitato, opperò la norma che ne regola l'esplicazione  non può che esser vaga e indeterminata. D'altro canto il  carattere negativo della giustizia, ne restringe il campo di esplicazione. Le sue norme segnano i confini oltre i quali l'attività dell'individuo, esplicandosi, lede il senso della giustizia:  pertanto devono essere precise, chiare determinate. Per servirmi del paragone dello Smith, le norme di giustizia sono  come le regole di grammatica, poche, precise, determinate: le norme di BENEFICENZA hanno l'indeterminatezza e l'elasticità propria delle regole del bello scrivere che ninno può precisare e costringere in poche formole. L'osservanza delle norme generali, sieno esse di beneficenza  di giustizia, è condizione di benessere e di sicurezza sociale.  Ma nulla è più contrario alla natura della beneficenza della  coazione. Essa vive di libertà, di spontaneità. Per quanto  possa desiderarsi che i vincoli sociali traggano forza e con-  sistenza dall' affetto e dalla mutua assistenza, l'esercizio delle  virtù benevole può consigliarsi ma non co-attivamente imporsi. Ma se l'osservanza delle norme di beneficenza è condizione di perfezionamento e di prosperità della vita sociale, l'osservanza  delle norme di giustizia è condizione di esistenza: la vita  sociale è possibile anche se i rapporti tra i suoi membri, a  somiglianza dei rapporti che sorgono tra i membri di una so-  cietà commerciale, non sono regolati dalla beneficenza, ma da  mere considerazioni di interesse: ma senza le norme della  giustizia si rende inevitabile la dissoluzione sociale, Che se sj  tien conto della naturale debolezza dei vincoli sociali di fronte  alla forza degli stimoli egoistici, si comprende come solo colla  coazione e con un ben regolato sistema di pene si può garantire l'osservanza delle norme di giustizia, che rappresentano il  minimum di sacrificio individuale che la vita sociale richiede  per sussistere. Nei rapporti colla vita sociale, dice Smith, lo norme di giustizia stanno alle norme di beneficenza, come  in un edificio il muro maestro sta alle decorazioni. Mostra peraltro Smith di avere della giustizia un concetto  non esclusivamente negativo. Egli osserva che nello stato di  natura, cioè anteriore alla società costituita civilmente, tutti  essendo eguali, la giustizia non può avere che un significato  s erettamente negativo: ma nelle società civili in cui abbiamo  distinzioni di classi, in cui abbiamo superiori e inferiori, l'azione dei governanti non deve solo esplicarsi nel senso di  impedire Vivjuria, ma deve promuovere la prosperità morale  dolio Stato imponendo norme positive di vera beneficenza. Senonchè, osserva giustamente lo Smith, l'azione del legislatore  nel campo riservato alla beneficenza, quando non sia prudente e illuminato, costituisce un grave pericolo per la libertà, la  sicurezza, la giustizia. Rimprovera lo Smith agli antichi di avere esteso l'indeterminatezza propria delle norme morali alle norme riferentisi  alla giustizia. Nel difetto opposto incorsero i casuisti medioevali nello sforzo fatto di sottoporre a regole minute e complicate tutti gli atti della vita morale e giuridica degli individui.  I cultori del diritto naturale nel determinare le norme da imporsi coattivamente invasero bene spesso il campo riservato  alla morale. In tutti Smith nota la deplorevole coufusione  tra norme morali e giuridiche, il disconoscimento dei criteri  coi quali le une e le altre devono essere stabilite. Ammette  Cfr. Sull’origine delle norme morali: sai  caratteri di tali norme, sui rapporti tra norme di beneficenza e di giustizia:  atìcóra  Smith la ragiofle d'essere del diritto naturale, ÓSàia  di un complesso di norme generali e costanti, capaci di fornire  una meta ideale alle leggi positive. La dottrina di Smith è un capolavoro di analisi psicologica condotta con metodo deduttivo. Per la prima volta vediamo la questione dei rapporti tra morale e diritto risolta al  lume della psicologia. L'aver fatto astrazione dagli elementi  egoistici concorrenti nell'operare umano, giovò a mettere in  rilievo gli elementi altruistici o simpatici, di cui vivono soprattutto i rapporti morali e sociali, ma giustificò l'accusa di unila-  teralità opposta alla sua dottrina. L'analisi della simpatia ne  avrebbe certo allargato la base, non essendovi dubbio che a  costituire la simpatia concorrono pure elementi egoistici. Ma  il difetto maggiore della teoria di Smith, difetto che nel determinare 1 rapporti tra morale e diritto si rende più evidente, è  l'assoluta mancanza della veduta storica, la quale se non poteva  distruggere le sue affermazioni psicologiche, avrebbe giovato  certamente à completarle e ad estenderle. Il progresso delle scienze morali dall'Hobbes allo Smith  fu sotto ogni riguardo notevole : esso fu parallelo alla trasformazione economica, politica, religiosa che in Inghilterra si  anda attuando. Hobbes e Locke intesero sopratutto a emancipare le scienze morali dalla teologia  e trovare loro un fondamento nuovo : al principio divino considerato dalla filosofia tradizionale come fonte di moralità,  l'uno sostituì la volontà del principe, l'altro la legge di natura, elaborata dalla coscienza popolare e che si concreta in  legge civile e in legge del costume. I filosofi scozzesi affermarono il fondamento psicologico delle scienze morali, derivandole dal senso morale e dalla simpatia. Ad essi dobbiamo  i primi tentativi fatti per distinguere la morale dal diritto.  Notevole a questo riguardo circa  i metodi seguiti dai diversi scrittori nel determinare le norme pratiche  di moralità. Hobbes e Locke non intesero l'importanza teorica e piratica di tale distinzione. Le condizioni economiche e politiche dell'Inghilterra richiamarono su di essa l'attenzione. L'invasione dello Stato o meglio  del principe nel campo riservato alla moralità, cosi come nel  campo dei rapporti economici, e norma dominante. La riforma protestante, lungi dallo scuotere, aveva  riaffermato tale principio. L'autorità civile in Inghilterra asserviva a sé la religione, mentre in Scozia ne era asservita.  In entrambi i casi il risultato era identico, il disconoscimento  (li ogni distinzione tra norme morali e giuridiche. Il movimento individualista che si diffuse in Inghilterra rappresenta la reazione contro le indebite ingerenze dello Stato nei rapporti economici, religiosi e morali,  la difesa di ciò che parve patrimonio intangibile dell'individuo. La discussione circa i limiti del potere dello Stato nei  suoi rapporti coll'individuo, doveva teoricamente presentarsi  come questione concernente i rapporti tra morale e diritto,  e cosi fu intesa e trattata dall' Hume e da Smith. L'Hume  fa aperto avversario dell'invasione dello Stato nel campo dei  rapporti non solo economici, ma anche morali: secondo lui  l'azione dello Stato non deve esplicarsi che negativamente  e solo a difesa della proprietà, alla quale riduceva il contenuto del diritto. A questo poi negava ogni origine psicologica, limitandosi a giustificarne l'esistenza dal punto di  vista razionale e della necessità sociale. Smith con veduta  più larga e scientifica ricerca nella natura stessa dell'uomo  un criterio di distinzione tra morale e diritto. L’impulso retributivo mentre provoca il senso di gratitudine verso l'azione  benevola, giustifica psicologicamente la reazione verso l'azione  ingiusta: né deve, secondo lui, l'azione dello Stato manifestarsi in senso esclusivamente negativo, ma deve in deter-  minate circostanze, per quanto cautamente e colle dovute ga-  ranzie, potersi estendere a favorire il progresso morale. Senonchò la storia posteriore delle scienze morali abbandona  l'indirizzo psicologico perfezionato dallo Smith, per riattaccar  all'Hume, il quale, avendo posto a criterio misuratore del bei  e del male, del giusto e dell'ingiusto il concetto dell' util  schiudeva la via a Bentham e all'indirizzo utilitarista. Ti  le cause di tale arresto devesi ricordare il metodo deduttr  seguito dallo Smith nell'indagine psicologica, metodo che i  chiedeva qualità personali di astrazione e di sintesi, poss  dute in grado eminente dallo Smith, ma non facili a riscoi  trarsi in altri. Si aggiunga che alle esigenze della prati-  parve meglio rispondere il criterio oggettivo dell'utile, ci  teneva conto delle conseguenze dell'azione, che non i crite  soggettivi fondati sui moventi psicologici o interiori dell'azioE  Che se la dottrina morale dello Smith per tali ragioni non e  venne popolare, ed esercitò scarsa influenza all'epoca sua  confronto alla dottrina utilitaria, essa però al risorgere de studi positivi di psicologia, fu in molte sue parti conferma  e apprezzata al suo giusto valore.   Che se vogliamo stabilire un parallelo tra la scuola d  diritto naturale in Germania, e quella empirica inglese in o  dine alla questione dei rapporti tra morale e diritto, noi tr  veremo che in entrambi i paesi essa fu provocata dalla n  cessità di difendere l'individuo contro l'ingerenza dello Sta  in materia di morale e di religione. Il movimento culmina  Germania col Thomasius, in Inghilterra con Hume e Smitl  senonchè là le resistenze furono maggiori, la questione fu sopr  tutto sollevata e con grande calore discussa dai giureconsu!  allo scopo di salvaguardare la libertà morale e religiosa, ment  irf Inghilterra l'invasione dello Stato fu sopratutto combattu  in favore della libertà economica. Ad ogni modo il risulta  finale fu in entrambi i paesi di mettere in rilievo l'import an:  teorica e pratica della questione.  Vlf>^itlxzo cmtt^mimtio ideile sclei^ze ff|otall. SOmiABIO : 4& CftrtMlo l’epoca ioa - 49. Cutesio  1« loianM morali fio. Ma1«branoh« • V indiriuo spiritaalitta-oartMÌano nella soienae morali L'Olanda a il iitama atico-ciuridioo di Spinosa. Le oondiaioni poli-  tloha • rali^oM dalla Germania. La dottrina etico-giuridica di Leibnia. L'opera metodica del Wolff. Parallelo tra  l'indiriaio flloeoflco e ginridico nelle loienae morali. Chiunque voglia ricercare le origini prossime dei  metodi e indirizzi diversi che si riscontrano nel campo delle  scienze morali dell'età moderna, deve risalire e precisamente ai tre paesi che di tali indirizzi furono i  centri di origine e di sviluppo: l'Olanda, l'Inghilterra, la  Francia. Dove la riforma religiosa gettò più profonde radici,  dove le mutate condizioni economiche affrettarono l'avvento  dello Stato moderno, ivi si svolse vivace l'opposizione allo  spirito teologico, e le questioni d' indole morale e politica sor-  sero numerose e insistenti. La Riforma non impedi anzi per  molti riguardi accentua l’intransigenza religiosa. Le guerre  religiose divamparono ovunque con questo solo risultato di  rendere necessario l'intervento spregiudicato dello Stato, e  di far sentire il bisogno di dottrine politiche e giuridiche  dapprima, morali poi, indipendenti da ogni presupposto religioso. Col comporsi delle questioni religiose l'attenzione fu  rivolta allo Stato e ai rapporti sorgenti tra Stato e individuo:  gli interessi morali e giuridici vennero per tal modo ad occupare il primo posto.   Questo processo storico, comune a tutti i paesi nei quali  penetrò la Riforma, si manifestò prima che altrove in Olanda,  Inghilterra, Francia: in questi paesi abbiamo con Grozio, con  Bacone, con Cartesio i fondatori dei nuovi indirizzi di pen-  siero, dei quali alcuni, come quelli di Grozio e di Hobbes  Cfr. Ifuffini, «n^;v;^r--jV' "farono direttamente determinati dalla necessità di trovare un  fondamento nuovo alle sciènze morali, mentre quelli di Bacone  e di Cartesio, mirando a un generale rinnovamento del metodo  e del sapere jOilosofico, solo indirettamente sovvertirono le basi  ti'adizionali delle scienze morali. La Francia in particolare fu per oltre quarant'anni teatro  di sanguinose lotte religiose: la vita politica e intellettuale  del paese parve subire un arresto: più che la forza dell'armi  valse a predisporre gM animi alla conciliazione e alla tolle-  ranza lo scetticismo morale e religioso, che s' impadroni degli  animi stanchi e disillusi, e che rappresenta la reazione inerte  del buon senso, dello spirito laico e liberale contro il dogmatismo religioso, cattolico e protestante. Privo di ogni carat-  tere scientifico e ricostruttivo, tale scetticismo scaturiva dalla  impotenza, dalla sfiducia nella capacità intellettiva, e si svolse  sopratutto nel campo pratico per opera di quei cattolici mo-  derati, chiamati i Politici che formatisi tra l'intemperanza  e l'intransigenza dei partiti, furono efllcaci cooperatori della  politica illuminata e tollerante di Enrico IV. Rappresentanti  di questo scetticismo pratico e popolare furono il Montaigne  e lo Charron : essi non si fecero banditori di metodi e sistemi  nuovi, ma entrambi, e sopratutto lo Charron in forma garbata  si fecero a sostenere principii che in quell'epoca dovevano  sembrare rivoluzionarli, quali ad esempio che l'errore reli-  gioso non costituisce reato, che le opinioni religiose sono il  prodotto dell'abitudine, che le differenze che dividono intorno  ad esse gli uomini sono puramente formali, che è possibile la  morale senza il fondamento religioso. L'aver fatto buon viso  a quéste idee, l'esser stati i loro autori letti e apprezzati  prova non tanto che i tempi erano maturi per accogliere tali  principii, che lo spirito irreligioso e l'ateismo fossero diff*usi,  quanto piuttosto la stanchezza e l'impotenza degli animi a  reagire contro il diffondersi di tali idee che trovavano nella  storia dolorosa e recente qualche conferma. Ad ogni modo se  tala scetticismo non ebbe alcuna importanza teorica, ne ebbe una grande pratica: esso preparò quello stato degli animi che  ;e possibile il trionfo di Enrico IV, l'Editto di Nantes, e  a politica inspirata non agli interessi religiosi, ma civili e  itici del paese. La politica di Enrico IV e elevata a sa- mie sistema dal Richelieu, di cui fu meta costante T inte-  nse dello Stato inteso come espressione dell'unità nazionale  'interno, come preminenza assoluta di fronte all'estero,  olto da ogni preoccupazione di classe, di religione, di mo-  e, umiliando all'uopo la nobiltà, reprimendo i tentativi di  lellione dei protestanti, facendo della tolleranza la base  ila politica. Al Richelieu deve la Francia sua grandezza politica, il consolidamento dell'unità naziole, il risveglio intellettuale. Ed è degno di nota che proprio  andò la politica del Richelieu aveva toccato il massimo  iluppo, appariva il Discorso sul metodo di Descartes, destinato a produrre nel campo filosofico effetti analoghi a quelli eseguiti dal Richelieu nel campo della politica. Il successo  e l'opera di Cartesio incontrò in Francia, quando l'eco delle  te religiose non era ancor spenta, dimostra il progresso delle  je; al dubbio pratico sterile e vano sottentra il dubbio  iagatore e scientifico. L'influenza di Cartesio nella storia delle scienze naturali supera per molti riguardi quella pur tanto notevole  ircitata da Grozio e da Bacone. A tutti fu comune l'avrsione verso i metodi e i sistemi tradizionali e teologici;  L se Grozio fu sopratutto preoccupato di sottrarre alla in-  enza della religione il fondamento del diritto e contrappose  metodo teologico il metodo storico-razionale che alla so-  done delle controversie giuridiche mostravasi particolar-  jnte adatto, Bacone, fatto audace dai progressi mirabili  Ila scienza, e condotto a proclamare la generale trasfor  Cfr. suUe vicende religiose in Francia il Kuffini. Sulle condizioni storiche deUa Francia U Bnckle, Viilmazione ^el sapere filosofico e scientifico, sulla  plicazione del metodo induttivo. Ma quel dualism  e materia che costituiva l'essenza della filosofia  e che Bacone aveva attenuato nell'unità del met(  risorge per opera di Cartesio, la òui dottrina se della metafisica manifesta evidente la tendenza  lismo, cioè verso l'unità di tutte le cose nello sp  mantiene netta la distinzione tra materia estesa  appare essenzialmente dualistica nel metodo e nel (   L'aver accentuato questo dualismo permise a Ci  ad altri del suo secolo, di essere ad un tempo file  ziato: a tale dualismo provvidenziale devesi se ( volando sul rapporto tra il mondo psichico e il  rale potè trattare con metodo soggettivo i fatt  accogliere nello studio della natura un metodo  duttivo, che si avvicina assai più di quello di Bz  processo seguito da chi studia la natura. Secc  la causalità domina sovrana nella natura fisica (  questa esula ogni concetto di finalità: tutto v  forza di proprietà immanenti nei corpi e secondi  riabili, che la scienza deve determinare non eh  particolare al generale, come proponeva Bacone,  tosto alle cause reali dei fenomeni, ma piuttostc  corso ad ipotesi da controllarsi coU'esperienza: L'originalità e l'importanza di Cartesio più eh  delle indagini scientifiche, si esplicò sopratutto ne Cfr. La vi osa, Filosofia scientifica del diritto in Tngh  Claiison. L'osservazioue e la denomiuazione di metodo ipotet  del La Ugo, Histoire du matérialismef Paris,  mazioiitì dui Lauge è vera e trova couferma in alcaui pai  sul Metodo; ma dove completarsi col metter in rilievo il  diverso che lo stesso Cartesio proponeva per lo stadio dt  e che i>nò considerarsi psicologìco-deduttivo. Sotto questo aspetto Cartesio coopera efficacemente  materialismo. Cfr. Lange sofico. Le scienze dello spirito, di cui le scienze morali erano  parte integrante, all'epoca di Cartesio continuavano a mantenere stretti legami colla teologia. In questa parte Bacone fu  e rimase per lungo tempo nell'Inghilterra stessa un solitario.  K La filosofia che si svolse in Inghilterra sulle traccio di Hobbes, con tendenze essenzialmente pratiche, rifletteva troppo strettamente il carattere e le speciali condizioni politiche e   k religiose del popolo inglese per incontrare favore sul conti- Spinoza riasHUiue hi dottrina cartesiana relativa al nirofoii(la che egli faceva tra il mondo delle idee e il mondo dei fatli. La quarta pai-te mpie in virtù  di sentimenti che il desiderio della vita ossia il desiderio a perseverare nell'essere fa nascere: la nozione del male e del  bene sta nella tristezza o nella gioia che accompagna il desi-  derio contrastato o soddisfatto: questo stato psicologico unito  all'esperienza genera per gradi la nostra scienza e costituisce la causa vera del progresso morale. E coli' elevazione morale  dell'uomo va di conserva la sua elevazione intellettuale. A  misura che l'uomo si fa libero cioè obbedisce alle determina-  zioni del suo proprio essere all' infuori dell'azione degli agenti  esterni, la visione dei rapporti delle cose in Dio si fa sempre  più adeguata, finché al sommo dell'evoluzione verità e virtù  si confondono nell'amore intellettuale di Dio, sintesi della mo-  ralità, della conoscenza, della felicità. La dottrina di Spinoza segna un progresso reale e decisivo  nella storia delle scienze morali: essa costituisce il punto di  partenza di tutti gli indirizzi di pensiero che si delinearono  nella filosofia posteriore. L'indirizzo intellettualista che vo-  leva regolata la condotta su verità eterne, immutabili stabilite dalla ragione, lo spiritualismo che poneva il fondamento  della vita morale in Dio, l'empirismo edonista e utilitario che  ricercava nell'uomo la tendenza affettiva sul cui predominio  doveva elevarsi la morale, tutti si riscontrano sapientemente  coordinati nella dottrina di Spinoza in virtù del negato dualismo tra spirito e materia. La sua morale si svolge nell'uomo  stesso mediante un progressivo e autonomo perfezionamento  della natura umana che non contemporaneamente ma successivamente é sentimento e ragione, necessitata e libera, egoistica  e altr teistica. Facendo del sentimento lo stimolo che sospinge l’uomo a sublimarsi, a spiritualizzarsi, a' conoscere il pQsto  che occupa nel gran mare dell'essere, Spinoza evitò Terrore  fondamentale del razionalismo. Spinoza fonda l'etica sull'egoismo, né parla di tendenze psicologiche di carattere sociale: a questo riguardo subì l'influenza  dell'individualismo dell'epoca. Come per Hobbes e per Malebranche cosi anche per Spinoza l'unione sociale è qualcosa  di secondario: l'uomo è un modo% di Dio, non è una cellula  dell'organismo sociale: la BENEFICENZA attiva, le tendenze sociali hanno valore subordinato alla personalità dell'individuo. Il determinarsi nell'operare da CONSIDERAZIONI ALTRUISTICHE E SIMPATICHE significa rendersi schiavo di emozioni passive, e  trascurare quel perfezionamento interiore, su cui sopratutto  si fonda la vita morale. Ma individualismo e utilitarismo non  significano per Spinoza oppressione del prossimo, sete di vantaggi esteriori: l'egoismo illuminato e sapiente si identifica  coll'altruismo: il vero utile è solo ciò che è razionale.  Da ultimo facendo l'uomo capace di elevarsi a Dio e di vivere della vita stessa di Dio, Spinoza diede alla morale un  carattere profondamente religioso. L’individuo al sommo della  evoluzione intellettuale e morale si assorbe nella contemplazione di Dio. Per lui come per Malebranche l'assorbimento  dell'uomo in Dio è indice di perfezione e di scienza. Ma mentre  Dio per Malebranche è un principio vivo e reale che agisce  direttamente e attivamente sull'uomo, per Spinoza è un prin-  cipio razionale indeterminato, che risponde a esigenze razionali. Il panteismo di Spinoza è geometrico, quello di Malebranche è sentimentale. La religione di Spinoza è privilegio  di poche nature elette, capaci di abbracciare i profondi rapporti che legano Dio all'uomo: quella di Malebranche era pur sempre la religione tradizionale e popolare nutrita di fede e  di amore, fondata sulle audaci e immediate intuizioni del  sentimento. Cfr. Jodl, ove tfatt sicurezza : per forza di cose sì forma sopra il diritto naturale  e il potere dei singoli, un potere e un diritto collettivo o civile, colla funzione speciale di mantenere tutti nella sfera del  diritto e di garantirne l'esercizio. Il potere collettivo, una  volta sorto, si organizza, diventa stato e si svolge per gradi  secondo le tendenze proprie di ogni essere. Con una concezione ancora inadeguata de' suoi scopi e delle sue funzioni,  nella necessità di affermarsi contro la prepotenza delle pas-  sioni individuali, lo stato deve dapprima necessariamente  assumere forma dispotica : esso concentra in sé tutti i diritti,  regola con le sue norme le manifestazioni della vita politica,  intellettuale, morale e religiosa degli individui, eccede nella  sua azione ogni limite razionale. Ma il dispotismo, come già-  l'anarchia primitiva, trova in sé stesso rimedio. Esso risponde ad una condizione di cose necessaria ma transitoria:  unica forma di governo possibile quando si deve opporre la  violenza della repressione alla violenza delle passioni, esso  diventa, a misura che la coscienza di sé si risveglia nell'individuo, uno strumento sempre più debole e pericoloso di governo. Lo Stato non può a lungo contare sull'obbedienza  puramente esteriore degli atti, quando ad essa si accompagna  la ribellione interna dei sentimenti. Epperò il passaggio dal dispotismo a un sistema liberale di governo, diventa condi-  zione di vita e di durata per il potere sociale e si concreta  nella lotta per la graduale emancipazione dell'individuo dalla  tutela dello Stato, ossia per la graduale differenziazione tra i diritti naturali e soggettivi da un lato, di esclusiva spettanza  dell'individuo, in ordine ai quali l'azione dello Stato non può  essere che negativa, e deve limitarsi a garantirne la libera  Ad. Menzel, Maohiavelli-Studien in Zeitacrift fUr das Privai und  offent. Bechi tratta dei rapporti e analogie tra Ma-  chiaveUi e Spinoza. Questi cita lo storico fiorentino dae volte (Trac, poli-  Ucu8^ e.) e mQstr^ di t^i^lo  grande consjd^razio^e,   iiritti oggettivi dairaltro costituenti la poten-  tto proprio dello Stato e che diventano per Tin-  a osservarsi nell'interesse collettivo. In Spinoza  mente espresso il concetto che lo Stato deve  sua azione di ogni considerazione di carattere  ISO. Qualunque riserva altri possa fare circa  ntendere il diritto naturale, non vi è dubbio  '0 filosofo seppe come Spinoza affermare con  diritti del pensiero e della coscienza indivi-  allo Stato. Nella dottrina sua politica si sente  >tta che l'individuo moderno doveva sostenere  patrimonio sacro de' suoi diritti naturali, cioè  che riflettono l'esplicazione della sua perso-  contro le usurpazioni del dispotismo. Più di  non solo intese ma vivamente senti il rapporto  'a morale e diritto, il quale rientrava nel con-  > tra individuo e Stato, contrasto che fu per  nello che era stato per il Medio Evo il con-  sa e Impero. L'ideale politico di Spinoza era  rmonica dell'individuo collo Stato, dell' inte-  ri pubblico, della libertà morale colla libertà  :ione morale nell'individuo, l'evoluzione poli-  devono procedere concordi e integrarsi reci- regressivo riconoscimento da parte dello Stato  'ali, corrisponde nell'individuo una coscienza  ^ dell'interesse pubblico e una sottomissione  itanea e incondizionata alla volontà sociale,  odo gradualmente delineando quello stato di  'azione delle parti nel tutto infinito, che si teol. pol.y e.Cfr. Raffini, Storia della filosofia del diritto (tradazione Conforti, Lor minio r, Philoao^hie du dvQitf  presentava dapprima come una fanta:  gione umana. La teoria teocratica del diritto di  di Hobbes, la teoria del contratto so(  fendorf rientrano nella concezione spi  che nel suo sistema la potenza e qui]  partecipa della potenza infinita, ossi  che si genera, secondo Hobbes, dallo  sione e di guerra, secondo lo Spinoza  principio della evoluzione morale e se  la tendenza alla vita sociale sia con  tendenza a vivere, si può ben parlare  tratto tacito e spontaneo, inteso a re^  dividui e Stato, che sono poi i rappc  e giuridica. La logica dei fatti dove  delle idee: nessun altro sistema filosofi  trovò nella realtà storica tanta cor  incontrò la concezione etico- giuridic  nell'età moderna ebbe a lottare per  pregiudizio religioso, e al dispotismo  azioni ai principi di cui si fece soster  Il Cartesianismo dalla Frane  e alleato del dogma, daH'Olanda, ov  trionfo della ragione autonoma, si di  opera dei Leibniz, ingegno universale  seppe unire l’immaginazione poetica d  e temperare gli slanci del pensiero C(  tica. Di mezzo al popolo tedesco, di  carattere, le aspirazioni, le condizion  missione, e più di ogni altro concorse a Cfr. Delbos, Op. cit., e. vir, vni.  Cfr. Delbos, Op. cit., Farteli, ove tn  neU'età moderna. di Stati, ne aveva posto in evidenza l'interna debolezza; tutto  era in essi da riformare e costituire; mancavano i criterii per  regolare i rapporti tra i vari stati, tra l'autorità civile ed ecclesiastica, tra le varte confessioni religiose nello stesso Stato: sopratutto importava garantire l' individuo, la sua personalità  contro le indebite ingerenze dello Stato e della chiesa, alleati  a' suoi danni. Gli stessi problemi, le stesse difficoltà accompagnarono ovunque il sorgere degli Stati moderni, e la loro soluzione fu compito speciale dei giureconsulti e dei cultori dei  diritto naturale Grozio in Olanda, Hobbes in Inghilterra avevano elaborato  sistemi etico-giuridici rispondenti alle esigenze razionali del-  l'epoca, e alle tendenze individualiste dei popoli moderni. Pufendorf, conciliando i principi! di entrambi, raccogliendoli a  sistema chiaro e ordinato seppe renderli famigliari e noti in  Germania, dando loro una portata pratica che altrimenti non  avrebbero avuto. La scuola del diritto. naturale soprafatta dalla  filosofia in Olanda, dalla morale in Inghilterra, si svolse ri-  gogliosa in Germania, ove mantenne più a lungo il suo carat-  tere originario, e per oltre un secolo prevalse sopra ogni altro  indirizzo di pensiero: assorta a dignità di scienza sociale, e  politica essa forni le armi all'individuo in lotta contro il dispotismo dello Stato e della Chiesa ufficiale, per rivendicare le  sue libertà politiche e civili, religiose e morali. La questione  della libertà religiosa, quella dei rapporti tra morale e diritto,  altrove trattate da .filosofi, da moralisti, o da teologi, furono  in Germania discusse dai giuristi, come quelle che erano con-  siderate questioni essenzialmente giuridiche, che rientravano  Sai Damerò e attività dei giarecoasalti pratici e filologi io OteV"  mania cfr. R. Stintzìug, Geachichte der deutechen Reohu  swi88en8ohaftf Mtiuchen - Leipzig, ove però nessana parte è fatta ai  enitori del diritto natarale. Sotto qaesto aspetto, e per la giarispradenza  tedesca è da consaltarsi la contìanazione dell'opera dello  Stinzing fotta da E. Landsberg ohe pubblica il volome teraso  e quarto. nelle questioni più larghe dei rapporti tra Chiesa é autorità  civile da un lato, tra individuo e Stato dall'altro. E mentre i  Pietisti rappresentavano la protesta del sentimento contro le  abitudini ufficiali ed esteriori della Chiesa, nonché contro  l'esclusione della comunità dei fedeli dal governo della medesima, i giuristi, giovandosi della logica giuridica, prepararono  il trionfo della libertà religiosa e di coscienza, contrapponendo  da un lato al sistema episcopale il sistema territoriale^ che  limitava i poteri del sovrano al governo esteriore della Chiesa, contrapponendo dall'altra alla varietà discorde delle confessioni religiose, il concetto unitario di una religione naturale,  sulla base di pochi dogmi di carattere morale, da tutti facilmente accettabili. D'altro canto la distinzione tra forum  internum ed externuìn elaborata dalla scuola del diritto na-  turale, offriva un criterio empirico, ma praticamente oppor-  tuno per separare la sfera giuridica da quella morale e regolare  i rapporti tra individui e Stato. Per opera dei cultori del diritto naturale e dei Pie-  tisti il movimento in favore delia libertà si era diffuso in Germania, destando le latenti energie del popolo, avviandolo  per vie nuove verso nuovi ideali. Ad agevolare l'opera del  progresso, ad assicurarne i risultati concorse efficacemente il  Leibniz, a cui l'universalità e profondità dell'ingegno, i lunghi  viaggi compiuti in Francia, in Inghilterra, in ITALIA, le  estese relazioni coi dotti e i principi di ogni paese, giovarono  per prender parte attiva a tutte le correnti della vita pubblica e  Cfr. Raffini. Cfr. quanto da noi fa detto saUa Scuola del diritto naturale in Germania al. Leibniz soggiorna due anni in ITALIA e vi conobbe BIANCHINI (si veda) a Roma,VIVIANI (si veda) a Firenze, GRANDI (si veda) a Pisa, MURATORI (si veda) a  Modena, MALPIGHI (si veda) a Bologna. Abbiamo lettere scritte da Leibniz al  Fardella, filosofo a Padova, e poi dietro insistenza dello stesso Leibniz, nominato professore di filosofia a Napoli. FARDELLA, maestro  di Vico. Cfr. Foucher de Careil, Nouvelles lettrea et opusoulee de  Leibniz, Introduzione.   dell'attività scientifica del suo tempo, e per farvi partecipa suo paese. Tutta l'attività veramente prodigiosa di Leibn  costantemente rivolta ad armonizzare le vedute esclusive  dominavano all'epoca sua in politica, in morale, in fìlos  nelle scienze. Egli polemizzò coi Cartesiani per il metodo Locke pel problema conoscitivo, coi giansenisti e con ^i  branche per questioni teologiche, con Spinoza pe' suoi prin  metafisici ed etici, con Pufendorf sul fondamento del di  naturale. Nell'opera sua filosofica convergono le corrent  pensiero più disparate, e dopo di averne rilevato le coni  dizioni, le esagerazioni, talora le riproduce corrette e :  grate, talora le ripudia ricostruendole su altre basi: se d  iato integra le idee di Cartesio e di Locke sul metodo e si  rigine dell'idee, dall'altra parte contrappone teorie sue prc  ai sistemi di Spinoza e di Pufendorf. li Leibniz ha stretti vincoli colla corrente teologico-cc  siana che trionfava in Francia con Malebranche: come qi  era credente sincero. A Dio lo portava il senso dell'uni  dell'armonia dell'universo, acuitosi in lui per gli studi scoperte fatte nel campo delle scienze fisiche e matemati  L'idea di Dio non lo lasciava indilferente, ma lo riempi\  entusiasmo, di gioia serena e tranquilla, gli comunicava senso schietto e profondo di venerazione e di amore all'in)  e al di sopra di qualsiasi confessione positiva. Il sensc  reale e della vita in tutte le sue forme lo trattenne dal m cismo e dalle esagerazioni del Pietismo; e mentre in IS branche teologia e filosofia si compenetrano e quasi si  fondono, in Leibniz procedono parallele e distinte. Nella restaurazione dei diritti della ragione contro i   spregio in cui era tenuta dagli scolastici e dai mistici, Lei ben può considerarsi successore e continuatore dello sp   . cartesiano: ma allo stesso tempo non crede al contrasto j (1; Sai rapporti tra Leibniz e MalebraDche cfr. Ollé-Laprunej. da Cartesio tra ragione e fede e vi sostituisce la necessità del-  l'armonia; né partecipa alle esagerazioni dei Cartesiani del-  llepoca sua, che erigevano a dogma l'onnipotenza della ragione  e ripudiavano qualunque altra forma di conoscenza. Epperò tra Locke che considera il senso esterno (sensazione)  integrato dal senso interno (riflessione) fonte di conoscenza  nel campo delle scienze morali e Cartesio che riconosceva  solo l'autorità della ragione, Leibniz si attenne a una via  intermedia, distinguendo il metodo razionale (anaZisis per  S2lium) diretto a disciplinare la ragione, a porla in grado di  sfruttare i dati del senso e dare chiarezza e precisione geo-  metrica alle verità conosciute solo imperfettamente e confu-  samente, e il metodo naturale (analisis per gradus) che  procede per gradi dal noto all'ignoto, secondo la via offerta  dalla natura stessa, trasformando i problemi semplificandoli,  formulando leggi generali, su cui poter fondare il ragionamento. L'autorità, l'esperienza storica, costituiscono un valido  aiuto per lo studio delle scienze morali, e utile freno alle  astrazioni e alle intemperanze della ragione.   In ordine alla dibattuta questione circa l'origine delle idee  che Locke sosteneva acquisite dal senso, i Cartesiani innate  nello spirito chiare e distinte, Leibniz sostiene che non dai  sensi e dall'esperienza solo noi deriviamo le nostre conoscenze. Cfr. God. Guil. Leibnitii opera philosophica quae exMant latina gallica germanioa, edidit Erdmann. lu uua lettera a un  amico (v. Erdmaun) il Leibuiz dice,  (Erdmanzi) e I  e confuse dì Leibniz rispondono alle rappresentazioni adeguate  e inadeguate di Spinoza, e come questi supplisce la conoscenza mediante Temozione, cosi Leibniz supplisce la rappresentazione mediante lo sforzo, e la rappresentazione chiara mediante  uno sforzo chiaramente conscio che involge la felicità e con-  siste nell'amor di Dio e de' nostri simili. Leibniz facendo  dell'individuo specchio dell'universo e immagine di Dio veniva  a porre a ugual grado l'amor di Dio e del prossimo: e se si  pensa alla impossibilità di esercitare l'amore verso Dio, l'amor  del prossimo diventa sorgente precipua della moralità pratica. In ciò veniva a distinguersi da Spinoza e da Male-  branche, i quali, assorti nella divinità, consideravano secondarie e derivate le tendenze altruistiche. Ancora distinguono  Leibniz da Spinoza l'ottimismo e l'idea di sviluppo: l'uno  procedeva dalla fiducia illimitata nelle energie inesauribili  della natura umana, l'altra dal considerare la tendenza alla  perfezione, legge fondamentale della natura e dello spirito. Tali caratteri congiunti a un senso vivo di umanità che traspira da tutta la sua concezione etica, spiegano l'influenza  grande che questa esercitò in Germania.   Nel campo del diritto naturale il Leibniz si pose in opposizione con Pufendorf, il quale dìscostandosi dalla tradizione  di Grrozio, tendeva a far del diritto l'espressione arbitraria  della volontà di un superiore, anziché derivarlo dai rapporti  eterni inerenti all'ordine naturale delle cose. La distinzione  tra forum internum ed eocternum posta dal Pufendorf per se-Cfr. Noìiveau eoe, lib. U, o. 20. Cfr. Nouveaueoc.f lib. II, e. Nella parte 3» del tomo IV, dell'edizione delle opere del Leibniz  fatta dal Datens, sono raccolte le piti note opere giuridiche del Leibniz:  ma molti altri scritti di natura giaridica rimangono inediti. L'edizione  pili recente e più completa delle opere del Leibniz è quella curata da  I. Geihardt, t Die phylosophischen Schriften von Leibniz », Berlin: ma videro la luce solo sette volumi, e le opere giuridìcbe  non sono ancora pubblicate.Cfr. sulle idee giuridiche del Leibniz Landsbefg, era morale dalla giuridica era un criterio dì ditrinseco e artificiale. Nell'intenzione di Pufendorf  ternum era il campo proprio del diritto naturale,  )rum internum era dominio esclusivo della filo-  sa; con ciò estendeva oltre misura la sfera Mei  ^ale, mentre confondeva la religione colla morale,  [vendica alla filosofia il forum internum, e senza   i diritti della teologia vuol costituita su basi  strina razionale dei doveri interni, ch'egli chiama:ale: d'altro canto non crede possa limitarsi il  liritto naturale ai rapporti esteriori di condotta,  ne delle obbligazioni verso Dio che si svolgono  della coscienza. Egli rimproverava al Pufendorf  i di attitudini filosofiche, che gli impediva di rincipii di ragione e derivare da essi la dottrina   diritto di diritto naturale che formano il contenuto della  nno con le verità etiche comune l'origine e lo  in quanto procedono non dalla volontà (Pufendorf)  iza di Dio (Spinoza) ma dalla sua infinità sapienza   dai rapporti eterni e immutabili inerenti alla   cose, e si riflettono nello spirito confusamente  di intuizioni innate e di tendenze altruistiche, da  )no per gradi sempre più elevati di perfezione la  ;a e la vita sociale. La giustizia è la virtù sociale  za, e di essa è anima la generosità per cui l'uomo  ce di compiere nei rapporti con altri, azioni ra-  e della sua origine divina. Definendo la giustizia  lientis » Leibniz la fa consistere nella benevolenza  ssia nell'abito di provar piacere all'altrui felicità   2k aspra che, contro il suo costume, il Leibniz move al  •ntenuta nei « Monita quaedam ad 8, Pufendorfii principia »  >0. cit.). .  rvationes de principio juris,  sotto la guida della sapienza, che è la scienza della felicità  individuale e sociale. Il diritto ha uno sviluppo parallelo alla vita sociale, e  coll’ampliarsi di questa quello allarga il suo contenuto. Esiste  un diritto positivo e volontario frutto del costume e del volere  dei governanti: esso comprende da un lato il jus civile che  regola la vita interiore di uno Stato, e trae la sua forza da  colui che ha nelle mani il supremo potere, dall'altro il jus  gentium che regola i rapporti tra Stati diversi e si forma per  tacito consenso di popoli. Il diritto volontario o positivo svolgendosi tende a modellarsi sul diritto naturale i cui principii  si estendono oltre i limiti di uno Stato particolare per abbracciare la società del genere umano, e inspirarsi alle esigenze  razionali dell'uomo astrattamente considerato, sciolto dalle  limitazioni di tempo e di luogo, che sono una conseguenza  della sua natura animale. Il diritto naturale concepito dal  Leibniz come una facoltà naturale a cui risponde una neces-  sità morale (dovere, obbligazione) si manifesta sotto tre forme  che ne costituiscono altrettanti gradi di perfezione. Nel pe-  riodo primitivo di sviluppo delle società umane, il diritto si  manifesta nella forma di jus strictum, o di giustizia commu-  nativa che si inspira al precetto: neminem laedere^ precetto  che presuppone l'uguaglianza di tutti gli uomini, e risponde  alle più elementari e imprescindibili condizioni del vivere  sociale. In un grado più elevato di sviluppo sociale, le disuguaglianze derivanti dalle attitudini e dai meriti diversi, dalle  distinzioni di classe e di condizione civile, fanno prevalere il  concetto deWaequitaSy q della giustizia distributiva, che inspirandosi al precetto: unicuique suum tribuere, genera da  un lato doveri di indole morale (gratitudine, beneficenza),  dall'altro la facoltà di chiedere ciò. che per gli altri è solo  compito di equità prestare. Vi è una terza fonte di diritti e  Sai concetto di giustizia cfr. le lettere scritte dal lueibni? a Hea. Eru. Kestnertpn (si trovano nel Dutens),  di obbligazioni, la pietas, che si inspira al precetto: honeste  vivere, attua i fini della giustizia divina, scaturisce dall'or-  dine e armonia delle cose: essa risponde alle esigenze della  società universale degli esseri intelligenti che hanno comune  la credenza nella immortalità dell'anima e riconoscono in Dio  il reggitore supremo dell'universo.   L'uomo viene pertanto, secondo Leibniz, a far parte d'una  triplice società, della società particolare di uno Stato, della  società più ampia del genere umano, della società universale  divina:. ognuna di queste società ha il suo legislatore, i governanti, la ragione. Dio; tutte svolgono il concetto di giustizia, ampliandone progressivamente il contenuto, e gene-  rando una triplice serie di norme, civili, naturali e divine.  Ciò che trattiene l'uomo nell'ambito della legge e lo spinge a  conformare le sue azioni all'interesse collettivo, che è poi  quello della giustizia, non è solo la paura, l'interesse, l'egoismo :  3gli può essere tratto al bene e al giusto anche da naturale  propensione e rettitudine dell'animo, da energie altruistiche  ben più profonde ed efficaci, dall'amore, dalla pietà. Lo studio  poi delle azioni in quanto sono giuste o ingiuste, ossia in  [juanto sono utili o dannose in rapporto alle finalità proprie  di ciascun ordine di società, è compito speciale della giurìsprudenza, la quale, sfruttando le tendenze altruistiche dell’uomo, si fa interprete dell'interesse generale nel suo triplice  ^rado di sviluppo e detta norme dirette alla conservazione  B al perfezionamento sociale: justum est quod societatem  ratione utentium perficit La teoria di Leibniz sul diritto naturale e sulle diverse fasi di sviluppo del medesimo è svolta nelle due dissertazioni premesse al Codex  diplomaticus. Cfr. doperà giovanile di Leibniz : Nova Mvthodus disoendae dooendaeque  jurisprudentia. In essa dice  >S55l  notevole è il significato e l'estensione data  naturale. Nel suo concetto questo dovrebbe  ie di filosofia pratica universale, ossia di  ^ettiva, a cui spetta porre i principii  me alla natura dell'uomo e delle cose: il  ipplicazione spetta all'etica soggettiva,  mezzi per i quali l'uomo bene usando delle  ^uendo la virtù conseguire la felicità e ar-  one. In questa parte soggettiva il rigore  neno ed elementi eudemonistici e utilitari  r ai seguaci di opposti indirizzi di pensiero,  portanza dell'esperienza e del senso comune,  il dolore gli stimoli direttivi dell'intelletto  cita diventa l'indice misuratore della persta tendenza a fare del perfetto l'equiva-  concepire l'ordine delle cose da un punto  e utilitario, doveva insorgere il Kant. Ac-  :gettiva il Wolff riconosce la necessità di  le del diritto civile, destinata ad adattare  ùtto naturale alle esigenze della vita so-  [10 cerchiamo nel Wolff un criterio per la  zione del diritto civile rispetto al diritto  presenta l'insieme dei principii etici. La  itto perfetto e imperfetto, posta da Tho-.  tema del Wolff importanza secondaria, né,  1 Wolff indicò il criterio per distinguere  1 non coattivi.   nel Leibniz manca la coscienza della im-  ^uere la morale dal diritto; in quella vece oggettiva è trattata dal Wolff neUa Philoaophia .   ni è argomento della Philosophia moralis sive Ethica ractata. i d'essere delle InMHntiones juria naturae et gentium   abbiamo la tendenza a ricondurre entrambi a una fonte unica,  al diritto naturale. L'interesse collettivo distinto e indipen-  dente dal benessere individuale non fu inteso dal Wolff: la vita  sociale, e quindi il diritto che ne è l'espressione, devono so-  pratutto concorrere al perfezionamento e alla felicità dell'in-  dividuo: la perfezione altrui deve intendersi subordinatamente  alla propria e come mezzo per meglio perfezionare sé stesso.  Non si può però negare che la filosofia del Wolff, spogliata  della forma scolastica di cui egli si compiacque rivestirla,  era in istrettà corrispondenza collo spirito dei tempi, e pre-  parò quel' movimento illuminista, di cui l'eudemonismo, l'ottimismo, il perfezionismo individuale e sociale furono i ca-  ratteri più spiccati, e che cooperò efficacemente a sollevare  l'individuo contro le oppressioni dello stato e della società.  La corrente cartesiana nelle scienze morali dalla  Francia ove ebbe le origini si estesa all'Olanda e alla Germania: quivi solo trovò terreno favorevole al suo naturale  sviluppo: il genio profondo e conciliante del Leibniz seppe  tenerla ugualmente lontana dal panteismo mistico del Male-  branche, dal panteismo razionalista dello Spinoza e dischiuse  al Wolff la via per elevare un completo sistema che tutto  abbracciasse il vasto campo del sapere filosofico. In Germania  venne per tal modo delineandosi un sistema razionalista che  ne' suoi metodi, ne' suoi principii, nelle sue finalità si con-  trappose a quello che dopo Hobbes e Locke si era venuto  jS3rmando in Inghilterra per merito sopratutto della scuola  scozzese. Nel campo etico l' indirizzo tedesco movendo dal  concetto astratto dell'uomo, considerato particolarmente come  essere razionale, aveva prodotto un intero sistema rispon-  dente ad esigenze razionali, inteso a metter in evidenza  l'ideale etico più che l'aspetto concreto e storico della morale,  riuscendo per tal via al realismo e all'ottimismo etico: l'indirizzo inglese poco tenero della logica concatenazione delle  idee, ma più direttamente interessato a rilevare gli elementi  soggettivi e irrazionali dell'uomo, fu indotto a trovare nelle ' ''AB  dsteriose regioni del sentimento il fondamento della vita  lorale. Ma entrambe queste correnti di cui l'una mette capo I Wolff, l'altra all'Hume, obbediscono a esigenze filosofiche  hanno di mira la soluzione di un problema etico più che   iuridico. Se hanno strette attinenze colla scuola del diritto  aturale non la costituiscono essenzialmente, e rappresentano  iuttosto l'estensione dei principii etici a regolare rapporti  iuridici e sociali, di cui non intendono quasi mai la vera  atura e che subordinano quasi costantemente alla morale.   II particolare la corrente razionalista tedesca, se giovò a ottrarre le scienze morali alla teologia e all'empirismo, osta-  olò sotto un certo aspetto il processo di differenziazione tra  fiorale e diritto, in quanto tendeva a ricondurre alla ragione  .stratta la morale e il diritto, perdendo di vista i caratteri  iifferenziativi, per accentuare a scopo di unità e di armonia   caratteri comuni.   A questo riguardo la scuola del diritto naturale o dei giureconsulti filosofi iniziata da Grozio e che in Germania sopratutto si svolse col Pufendorf e col Thomasius, mantenen-  [osi distinta dalla corrente filosofico-cartesiana, se non sempre  ibbedi alle esigenze logiche, mostrò di apprezzare al loro  :iusto valore i problemi interessanti la vita giuridica in  lontrapposizione alla vita etica. La coscienza di tale opposi-  ;ione appare sopratutto in Thomasius, a cui si deve il primo  entativo realmente efficace per separare la sfera giuridica  [alla morale. La scuola del diritto naturale venne pertanto  n Germania a scindersi in due campi nettamente distinti e  ;he si svolsero paralleli: l'uno filosofico personificato dal  Adolfi*, l'altro più propriamente giuridico personificato dal  ?homasius: a Kant spettava riassumerli nel suo sistema e  >orre su nuove basi il problema dei rapporti tra morale e liritto. VICO  6 le sciet^ze elicoH^iatiolicl^e It) ITALIA. Condizioni generali d'Italia. Galileo eia  filosofia naturale. Gli studi giuridici e il rinnovaménto della filosofia  in Italia. Vicende degli studi giuridici in Italia. Gli studi giuridici  in NAPOLI: giureconsulti pratici Il  progresso degli studi giuridici in NAPOLI:  giureconsulti eruditi : ANDREA (si veda) e GRAVINA (si veda). La Vita Civile di DORIA (si veda). Bisv«glio filosofico in Napoli. Posizione di VICO in ordine agli indirizzi filosofici del suo tempo. VICO contro Cartesio e la questione del metodo nelle scienze morali. Il criterio della verità in VICO. VICO e gli studi giuridici. La filosofia  del diritto nel Vico. Il rapporto tra morale e diritto. Il diritto nella  sua formazione storica. Diritto e scienza sociale. Le sorti di Vico e  i critici. Seguaci di Vico: STELLINI (si veda)  e DUNI (si veda). Nei principali paesi d'Europa  si va delineando la struttura dello stato tra le rovine dei rapporti feudali e dei privilegi municipali, in mezzo  agli sconvolgimenti delle lotte religiose sotto l'azione unificatrice delle monarchie assolute. Inghilterra, Francia, ed Austria si presentano potentemente unificate nella persona del sovrano, i cui interessi  parvero identificarsi coli' interesse generale del popolo. La  formazione dello stato si accompagna ovunque col  sorgere della scuola del diritto naturale, a cui spetta indicare i principi giuridici adatti al nuovo ordine di cose. A  questo movimento di concentrazione e di unificazione politica  che percorse l'Europa provocando il ridestarsi di energie  nuove, di una coscienza politica e civile moderna, RIMANE INTERAMENTE ESTRANEA L’ITALIA divisa in numerosi stati, deboli e  discordi i quali come assistettero senza commuoversi alle  controversie religiose e alle guerre di prevalenza con Francia, cosi accettarono senza opporsi le nuove condizioni  create dall'Europa alla penisola col trattato di Chàteau-Cambrésis. L'umanesimo se fa ri-vivere l'Italia nel passato  glorioso classico, l'ha distratta dal presente in cui si ma-   gl’eventi destinati a modificare profondamente il  ll'umanità. Manca all'Italia la coscienza di un in-  )ubblico e comune, intorno a cui raccogliere le energie  3, epperò doveva ricevere dal di fuori, da autorità  nemiche forza e impulso a progredire. La reazione e l'influenza, rivolgendo ai propri scopi e   le risorse economiche e morali di altri paesi, costituirono  ;e servitù politica e religiosa, che pesa per oltre un  ille sorti del popolo italiano.   atamente il sistema di governo inaugurato da Filippo  jna, fatto per rovinare e soffocare qualunque forma di  ì, ha in sé stesso molte cause di instabilità e di  i. La potenza veramente meravigliosa raggiunta dalla  lel XVI secolo, frutto di fortunate combinazioni sto-  ^ll'abilità tutta personale dei re che si succedettero da  do il Cattolico a Filippo II, non accompagnata da un  idente elevamento della coscienza civile e dell'intel-  popolo, non puo che essere transitoria ed  La politica di Filippo li, diretta a restaurare il Medio  )ffocare ogni manifestazione di vita nuova, a contra-  rcè uno spirito protettore violento e tirannico ogni   d’emancipazione intellettuale e religiosa, se era de- un sicuro insuccesso nei paesi nei quali lo spirito Torma, come in Olanda, o l'influenza del classicismo,  Italia, oppone valida resistenza, trionfò pienamente  igna, dove l'alleanza secolare degli interessi nazionali  5i, i sentimenti di fedeltà e di riverenza tradizionali   alla estrema ignoranza e superstizione, tolsero al po-  ^nolo ogni possibilità di reazione. Per tal modo     Buckle e. xv ove si fa la storia dell'intelletto spa-  » età moderna, e si mettono efficacemente in rilievo le oaase di rispetto agli altri paesi. — È sintomatico il fatto  ffini, facendola storia della libertà religiosa nei di-  ì di Earopa non nomina, evidentemente perchè questa  porse l'occasione. toccò iu sorte n  lo spirito reazionario e proto  berta e del progresso. In ciò  la quale, dopo di aver riform  Concilio di Trento, e di aver  i Gesuiti e l'Inquisizione, spiej  sistematicamente inspirata a  denza nuova.   E ripetuto e si ripete tut  corrente  e della (  unica della decadenza Italia  mazione deve rettificarsi di 1  delle condizioni d'Italia nel s  cadenza politica d'Italia in e  dominio  e alla reas  cercarsi nella sopravvivenza  avevan fatto l'Italia forte e fii  delle Signorie e del Rinascin  in Italia, come altrove, contri  mento protestante e dalla for  partecipò attivamente alle g  alle grandi lotte che commos  la sua non fu immobilità, sii  e ne segnò la decade  le idee, le passic  secolo anteriore attenuate o a  dell'Europa iniziano un nuovo  il passato per rinnovarsi dal]  il suo corso storico e trae da     La nota pessimista prevale nei  preconcetto porta Ferrari  a considerare conio e  si produsse di notevole in Italia. 1  fondamento di tali giudizi intorno  diamo Forti (Istituzioni civilif F  gli elementi per rinnovare sé stessa. Il dominio potè  affermarsi e sostenersi giovandosi dell'indifferenza politica del  popolo italiano : ma se influi sulle forme esteriori di vita, non  ne estinse le energie intime e vitali : a misura che nel corso del seicento andò perdendo di autorità, di dignità,  di potenza, Tltalia vera, quella che sembra estinta sotto il  giogo straniero si ridesta, mostra di conoscere le nuove condizioni di vita moderna, si afferma d'un tratto tra le altre nazioni,  le precorre mostrando che la servitù politica e civile non significa morte d'un popolo quando l'anima si mantiene salda e  forte. Il classicismo e pur sempre una forza viva e operante  nella vita del popolo italiano e ne costituì l'elemento unificatore, spiegando un'azione analoga a quella compiuta altrove  dalla religione o dalla monarchia.   Come il dominio, cosi la reazione cattolica, che  richiama alla mente l'Inquisizione, i roghi, le arti gesuitiche,  esplica un'azione del tutto esteriore sull'andamento generale  del pensiero italiano. La istintiva ripugnanza degl’italiani  alle guerre di religione, la indifferenza opposta al movimento  della Riforma, l'azione energica spiegata dalla chiesa secondata dai governi nel reprimere i pochi centri infetti d’eresia, LA DIVISIONE POLITICA DELL’ITALIA IN PICCOLI STATI, NUMEROSI E RIVALI,  aventi vedute diverse in fatto di politica religiosa, la presenza  del papato, che dove seguire una linea di condotta prudente  e moderatrice, se da un lato rendevano inutili le misure repressive, dall'altro tolsero loro efficacia e intensità. La reazione  dove spuntarsi contro il temperamento degl’italiani, abituati  per lunga consuetudine a quello sdoppiamento psicologico, non  privilegio di poche personalità ma proprio di quanti sono  intelligenti e colti, per cui sanno conciliare la sincerità  delle credenze colle audacie del pensiero: solo la forma esteriore del pensiero e delle opinioni dove subire restrizioni e  accomodamenti, e ciò spiega le frequenti concessioni e gli accorti espedienti a cui ricorsero anche i più alti intelletti, per  non offrire il fianco a inutili persecuzioni. E invero, nonostante il malgoverno degli Stati, lo sfruttamento permanente dell’energie produttive del paese, l'ignoranza delle plebi sistematicamente insubordinate e affamate, la mancanza di virtù pubbliche e civili, di una coscienza politica nazionale, il pensiero  italiano nelle strettoie in cui doveva muoversi, si mantenne  più che mai desto, dando novelle prove della sua inesauribile  fecondità. L'Italia, unica tra i paesi dell'Europa, offre l'esempio  nel secolo XVII di una produzione intellettuale in cui l'antico  e il moderno si associano, e mentre da un lato conserva e  perpetua la tradizione classica, dall'altro  elabora forme nuove e precorre i tempi moderni. Scienza e  filosofia trovano cultori e innovatori, il cui nome  basta per porre l'Italia al livello e al disopra delle altre  nazioni europee. L'Italia ha nel il suo Bacone in GALILEI (si veda), il suo Cartesio in CAMPANELLA (si veda), come più tardi ha il suo Grozio in VICO (si veda), il cui pensiero si educò e si  formò nell'ambiente e secondo le tendenze di quel secolo. La  Toscana e il Regno di Napoli sono rispettivamente i centri  della filosofia. La Toscana, culla dell'arte  per opera d’ALIGHIERI, e Ja culla della filosofia esperimentale per opera di GALILEI. Nulla di più inesatto, sopratutto  rispetto a GALILEI della frase di Ferrari « essere stata l'Italia  nel seicento il paese delle grandi eccezioni: non fu una eccezione GALILEI, il quale riassunse in sé il lavoro di molte  generazioni precedenti, e e il capo d'una scuola numerosa  di seguaci che ne continuarono gloriosamente le orme. Un  secolo prima VINCI proclam l'esperienza >ola in-  terprete della natura ed iinaugura il felice connubio  della matematica coi dati sperimentali in cui propriamente  consiste il pregio e la novità del metodo galileiano. Prima di  Galilei, Telesio dice che la natura è il gran libro in Sai carattere toUerante degli Italiani in materia religiosa efr. Raffini, s   cui si contiene tutta la filosofìa: Galilei addita i caratteri  coi quali il libro e scritto. Prima di Cartesio, Galilei coacepi le forze naturali come capaci di peso e di misura, e dai  rapporti ideali delle quantità cercò intuire i rapporti reali  dei fatti. Prima di Bacone egli insegna  che il senso porge la  materia greggia dell'esperimento e che dall'osservazione deve  nìuovere la ricerca scientifica. Per tal guisa Galilei se da  un lato precorre, dall'altro supera, completandoli, Bacone e  Cartesio nello studio dei fatti naturali. In lui l'esperienza e  il ragionamento, quella fondata sul senso, questo sulla ragione,  si associano e si completano a vicenda. A Bacone invece parve  sufficiente la semplice osservazione, a Cartesio la speculazione  pura. Il metodo naturale fuori d'Italia si sdoppia in due  indirizzi opposti, in Italia e più specialmente in Toscana per  opera dei continuatori di Galilei si mantenne nella sua integrità e divenne lo spirito informatore dell'Acciidemia del  Cimento. Galilei non usce dal campo dei fenomeni fisici:  sotto questo aspetto e superato da Cartesio e da Bacone, di  cui l'uno crea per le scienze speculative un metodo nuovo,  l'altro consiglia l'estensione del metodo sperimentale alle  scienze morali. Ad associare il metodo razionale e sperimentale, Bacone e Cartesio, nello studio delle scienze morali sopravvenne Vico che restaura la filosofia italica, come Galilei  aveva restaurato la filosofia naturale.  Il rinnovamento filosofico in Italia e assai più lento  e contrastato. Sulla scorta di Mamiani e di Gioberti noi  potremmo facilmente rintracciare in Italia fin dal secolo XV  una triplice azione diretta contro la scolastica, la teologia,  Aristotele. Né mancano nuovi sistemi che contraddicono   Sai precursori di Galilei e sul metodo galileiano ne' suoi rapporti  con quello adottato da Bacone e da Cartesio cfr. Fiorentino, Beìmardino  Tele8i0f Firenze  Cfr. A. E e che r, La fisica spei'imentale dopo Galileo nella Vita italiana. Cfr. Mamiani, Del rinnovamento della filosofia antica italianaf Parigi. In quest'opera, come nelle opere più note  rinnovamento della filosofìa italica. Tale corrente è rappresentata dalle scienze giuridiche e morali. Altrove osservammo che nell'Europa l'impulso ad  una trasformazione filosofica deriva d’esigenze di carattere  morale e giuridico. L'ITALIA pur non sottraendosi a questa le^e  tenne diverso cammino. In Olanda, Inghilterra, Germania sorse  e si afferma la scuola del diritto naturale: scarsa e imperfetta  era la tradizione giuridica in questi paesi,' e del tutto insufficiente a soddisfare le nuove esigenze create dalla formazione  dello Stato. Il concetto di un jiis natiirae che permette alla ragione di sciogliersi dai vincoli dell'autorità e  della tradizione giuridica del passato, divenne il fulcro intorno  a cui si svolse una letteratura etico-giuridica copiosa, desti-  nata a dare nuove basi alle scienze morali. Ma né in Francia  né in Italia sorge una vera scuola di diritto" naturale. In  Francia e soffocata nel suo sorgere dal dispotismo reazionario  di Luigi XIV. In Italia non ha ragion d'essere per la mancata formazione dello Stato. Il diritto filosofico che  altrove procede dalla ragione in opposizione alla tradizione  giuridica, in Italia scaturisce spontaneo e per filo non interrotto dalla tradizione giuridica stessa, trasformata e adattata  alle nuove condizioni dei tempi moderni. Solo per questa via  si può spiegare la restaurazione giuridico-filosofica compiuta  da Vico, e vien meno quel carattere di eccezionalità che ancora circonda la figura del grande filosofo napoletano, a  cui spetta nel campo delle scienze morali, come a Galilei  nel campo delle scienze naturali, riassumere il passato e dischiudere l'avvenire. Le scienze giuridiche fornirono anche all'Italia occasione alla restaurazione filosofica, la quale per altra via  incontra difficoltà quasi insor/nontabili. Alla glossa  di Irnerio e di Accursio ossequente alla lettera della legge, e seguita con Bartolo e Baldo la scuola degl’interpreti, i quali applicando alle leggi la dialettica scolastica, accomodano IL DIRITTO ROMANO alle esigenze del foro e alle necessità dei tempi, ampliandone e  done il contenuto, facendo spesso opera di legislatc  di giureconsulti. Tali interpreti costituirono la  giureconsulti pratici, la quale si mantenne nume  fluente in Italia. Neil'  ignoranza e confusione delle leggi, i pratici contrib  serva CARLE, a svolgere quell'aspetto della scienza  che chiamasi ora giurisprudenza.   Sul finire del Medio Evo l'amore della critica stoi  logica applicata agli studi giuridici vi produce una  schiera di giureconsulti culti o eruditi, che astraci  sogni della pratica, deplorando le alterazioni che  dei pratici i testi del DIRITTO ROMANO hanno subito,  con ardore ammirabile a purgare la lezione dei test;  l'antico diritto « colla cura, dice CARLE, con cui si  una statua antica i cui frammenti sieno disgiunti gì  altri. Dalla scuola dei giureconsulti culti iniziat  da filologi come POLIZIANO e VALLA e da giurecom  ALCIATO, svoltasi sopratutto in Francia col Cuiacic  i primi romanisti, e i primi storici del diritto. La diversità di scopi e d’indirizzi mantenne a li  e ostili i giureconsulti pratici e colti, per quanto  cassero tentativi per conciliare e  i due indirizzi E mentre in altri paesi di Euroj  CARLE, Vita del diritto, Torino. Vico vi accenna nel De universi juris eoe. (Proloquiì   CARLE. Ricordiamo Jne italiani SIGONIO e PANCIROLO. Ricordiamo GENTILE il qnale pur appari  scuola dei giureconsulti colti ne criticò aspramente le esaj  Dialoghi siigli interpreti delle leggi (pubblicati a Londra nel  GENTILE fu ad un tempo nelle numerose sue opere pratico ed ^^:''WH.-; terra di conquista e la volontà dispotica del principe tien  luogo di legge, — in cui i viceré nominati per tre anni possono impunemente violare la legge pur di arricchire nel più  breve tempo possibile, dopo di aver inviato  8,000,000  di scudi.— in cui l'educazione era affidata ai gesuiti e la  chiesa domina le coscienze e la vita civile colla superstizione, colle sue ricchezze, co' suoi privilegi, col numero enorme  di corporazioni religiose e di fondazioni in cui il popolo  ignorante e affamato e sempre pronto alla rivolta inconsulta  — in cui l'amministrazione della giustizia e corrotta, la  distribuzione dei tributi ingiusta, il commercio insignificante,  l'agricoltura abbandonata, le campagne percorse da banditi in cui l'arte e la letteratura sono servili — in cui il sistema,  feudale si perpetua co' suoi abusi e la nobiltà si corrompe  nell'ozio. In questo periodo di generale decadimento l'attività filosofica si esercitai a nel foro e nelle materie giuridiche. La  giurisprudenza- e il campo aperto agli studiosi, e raccoglie intorno a sé quanto di più eletto per ingegno e coltura esi-  steva in Napoli. I pratici sono in prevalenza, ma si distingueno per acume giuridico, per l'analisi profonda dei fatti,  per la rara diligenza nel porre le questioni. L'influenza dei  curiali e l'alta considerazione in cui sono tenuti costituie  l'unica difesa contro le frodi, le ingiustizie, i disordini del mal  governo. Il giureconsulto inspirandosi all'equità naturale compie opera sociale notevole, poiché trova per tal via modo  di supplire alla insufficienza o mancanza della legge scritta. SaUe condizioDÌ generali di Napoli iu questo periodo ofr. Giano o ne,. Storia eivile del Regno di Napoli. Parlando deUo stato della giurisprudenza napoletana in questo periodo GIANNONE, e. 8, dice che « gli avvocati  di questi tempi non collocano molto studio nell'oratoria, sicché i loro  aringhi comparissero al foro luminosi e pomposi: si studiano ricavar  l'eloquenza più dalle cose che dagl’ornamenti dell'arte. Perciò i loro  discorsi in Ruota sono corti e tutto sugo: il principal loro studio e nel  porger con metodo ed energia i fatti ecc. Caravita, Aulisio, giureconsulti di gran nome  poranei di  Vico.   Né solo gli studi giuridici attinenti alla prat  incremento e lustro Napoli, ma anche gli studi storici del diritto ce  intendimento filosofico trovano un degno rappres  Gravina. Questi porta la interpretazi  della scuola napoletana alla sua maggior perfezioi  iniziò gli studi sulla storia e sulle origini del dirit  raccogliendo tutte le conoscenze che si hanno  medesimo, indovinando il nesso tra le varie parti  le lacune, facendo opera pe' suoi tempi nuova e  Nella produzione giuridica di Gravina è evidente  far servire IL DIRITTO ROMANO a scopi filosofici. Tra  restringevano la legge naturale alla legge raziona  che ne allargano il concetto fino a derivarla dal  golanti l'universo, Gravina si attiene a una so  termedia che dove più tardi svolgere e accentu;  L'uomo, secondo Gravina, per la sua natura corporei  alia legge generale delle cose che è legge di moto  di conservazione e d’evoluzione continua : per la i  spirituale ha una legge sua propria che è legge di  di moti volontari. Per diritto naturale il senso de^  narsi alla ragione, il cui cibo è la virtù, e il cui ]  pace dell'animo, conseguita per mezzo della conosc  naie delle cose. La vita sociale si inizia colla far  flcata nel padre a cui spetta per diritto naturale Ti  mestico. Dalla necessità degli scambi sorgono i cont:     Lo riconosce il Vi 11 ari nel suo saggio sol FILANGIERI, (S  critica, politica, Firenze. I principi di filosofia giuridica di Gravina si trovane  nel juris oivilis libri treSy Napoli, Mosca, Nel I libro fa 1  origini e del progresso del DIRITTO ROMANO pubblico e privai   (3; Gravi na. De origine juris. generano rapporti più ampi, fondati non sopra vincoli  uè, ma sulla considerazione del VANTAGGIO COMUNE, di  isura la legge, definita giustamente da Platone « distrilentis. Su questa base dell'INTERESSE COMUNE e sulio delle società private di commercio, si formano le  civili, di cui sono organi necessari, la legge ossia la voluntas intesa a REGOLARE I RAPPORTI SOCIALI, e la potestas a cui spetta prevenire e reprimere anche  amente le violazioni delle leggi. Se l'idea dell'ONESTA mto universale e costante della legge, questa può assurrme diverse secondo i tempi, i luoghi, il carattere dei  inche i rapporti tra levarle società civili devono essere  L da ragione, e il diritto che ne deriva costituisce il di-  sile genti, le cui violazioni giustificano le guerre intese  ionfare nei rapporti fra due stati la ragione sugli istinti  ì antisociali (2). Come nell'interno dello stato ai saggi  mti alla ragione espressa in leggi scritte spetta gover-  ai sudditi, schiavi del senso, obbedire, così nei rapporti  zionali spetta a un stato più civili dominare e sottomet-  uno stato che violano le norme del diritto naturale. Il  a. previene Vico nella ricerca delle cause per le quali  i sorgono, si conservano, rovinano. Se non che Gravina )n essendo assorto al concetto di società come un tutto  ;o e considerandola solo come la somma degli individui  compongono, ricerca tali cause nell'uomo e fa dipendere  t)rio sociale dall'equilibrio di tutte le facoltà dell'indi-  ^). Precorrendo il futuro egli mostra le sue predilezioni  sverno popolare e mette in evidenza l'importanza  3 medio o terzo stato per mantenere l'ordine e l'armonia  [verse classi sociali. jNel diritto e nella costituzione     p. Gravina, Op. cit., Lib. II, e. lO-lS".  r. Gravina, Op. cit., Lib. II, e. 14.  r. Gravina, Lib. III, ci.  r. Gravina, Lib. III, e. 16.  r. Gravina, Lib. Ili, e. 14.  politica del POPOLO ROMANO, alla cui illustrazione l'opera sua  di giureconsulto è sopratutto intesa,' Gravina, come più tardi  Vico, vede l'esempio ideale da semr di guida e di insegnamento agli uomini politici e ai giuristi. La filosofia giuridica del Gravina non ha valore che per  l'epoca e le circostanze in cui sorse. In essa la funzione etica  del diritto non si distingue dalla sua funzione sociale. La legge  naturale si confonde colla legge morale, come per gl’antichi  il sommo bene è riposto nella virtù congiunta alla felicità e  acquistata colla scienza. Ma in Gravina troviamo i germi  dell'indirizzo che dove prevalere in Italia con Vico, cioè LO STUDIO STORICO DEL DIRITTO ROMANO fatto servire A ILLUSTRARE PRINCIPI TEORICI, e alla ricerca delle leggi regolanti il corso  della nazione italiana. Del risveglio effettuatosi in Napoli nelle scienze morali e giuridiche, è novella prova la Vita Civile di BORIA, alla cui pubblicazione Doria, non  ancora distratto dalle polemiche cartesiane, e forse indotto  dalla lettura delle opere di Gravina, o più probabilmente  dalla famigliarità con Caravita, nella cui casa conveniva con Vico. Doria nell'opera sua si dimostra, a differenza del Cfr. del Gravina H libro “DE ROMANO IMPERIO” - in cai tratta della costituzione dell’Mmpero romano come della COSTITUZIONE IDEALE. Le idee religiose di Gravina sono dal lato dogmatico qulle dei  cattolici del suo tempo, ma con questi e in disaccordo nel campo etico.  La sua “Hydra mistica” è una critica severa della morale gesuitica mostrando  una grande indipendenza di pensiero. VICO conosce Gravina, lo ricorda con espressioni  di stima e di affetto nella Autobiografia. Se non ne cita le opere, ciò non  deve attribuirsi a malanimo o a distrazione come afferma Cantoni (VICO, Torino), ma al fatto che in Vico anche le idee  altrui si elaborano e si trasformavano in guisa da diventare sue pròprie  e originali.   Doria, di famiglia genovese, visse e morì  a Napoli dove erasi recato fanciullo. E amicissimo di Vico il quale lo  ricorda nell’Autobiografia, e gli dedica il iasimano quelli che vogliono ricavare la politica dalla sola pratica e  i filosofi che credono potersi governare il mondo ooll'astralta metafisica.  Nella Vita Civile dice che la politica e la morale sarebbero la stessa cosa e non vi sarebbe punto bisogno di politica qualora  le norme di moralità fossero da tutti comprese e attuate. Doria. La politica deve fondarsi sulla conoscenza della natura umana  quale appare alla ragione: solo per tal via si potrà evitare l’empirismo e ridurre la politica a sistema. Come non è vero  giureconsulto chi dalle leggi particolari del luogo non sa elevarsi  alla ragion della legge, cosi non è vero politico colui che ha  solo una naturale e raffinata malizia, spoglia di ogni conoscenza dell'uomo, de' suoi rapporti coll'ordine delle cose, dell'essenza della vita civile, di ciò che contribuisce alla felicità  degli uomini. Dalla metafisica, che per Doria significa conoscenza degli universali a scopo di applicazione pratica, deve  la politica trarre il suo fondamento scientifico. Nello studio  dell'uomo Doria segue l'indirizzo psicologico mediano proprio  della filosofia italica e che Vico dove svolgere. Rileva il  dualismo tra spirito e materia, ammette che a costituire la  vita morale concorrono la ragione e il senso, l'universale e  il particolare, che la felicità consiste nella retta conoscenza  e nel buon uso dei sensi, che naturale è l'inclinazione alla  vita sociale, che l'uomo per necessità della sua natura tende  a emendarsi, a cercar rimedio ai mali, a sollevarsi gradatamente dal senso, ossia dai particolari agl’universali principi,  cioè alle idee innate del vero e dell'onesto. Tutti questi concetti ravvalorati dalla esperienza storica ritornano in Vico.  Alla morale impossibilità dell'uomo di possedere tutte le virtù  e al fatto che tutti sono forniti di qualche virtù, supplisce la  vita civile, la cui vera essenza sta nel comporre armonicamente insieme le energie virtuose disperse nei singoli, in guisa che  SI AIUTINO RECIPROCAMENTE, e si formi una condizione di cose  atta ad assicurare a ciascuno la felicità. Doria dopo aver RI-COSTRUITO RAZIONALMENTE o piuttosto PSCIOLOGICAMENTE L’ORIGINE E L’ESSENZA DELLA VITA CIVILE, cerca, come     Doria. Cfr. il Capo II delia parte prima dove è esponila la dottrina i)sicologica del Doria. Cfr. Doria, più tardi Vico, nella storia conferma a' suoi principi. Respinta l'ipotesi di una pretesa età dell'oro, riconosce che gl’uomini, cresciuti di numero, premuti dal bisogno attravesano un periodo di lotte e di violenze, da cui uscirono raccogliendosi e organizzandosi intorno a uno di loro più forte che  li difendesse: ROMOLO. Ssi costituirono allora le famiglie e si hanno i  governi patriarcali. Quando gl’uomini non paghi della difesa  aspirarono a un genere di vita più regolare e civile, fanno  ricorso al prudente – NUMA -- che detta leggi ordinate alla umana  felicità. Colle leggi e ordinamenti si inizia la vita civile che si  svolge dapprima nelle città di ROMA, poi nei regni e si hanno le monarchie, trasformatesi col tempo in aristocrazie e in democrazie. Col  graduale estendersi e complicarsi della vita civile, l'economia  domestica si fa commercio, la difesa della casa si trasforma  in vasta arte di guerra, la naturai prudenza diventa scienza  di governo o politica. Una progressiva divisione di poteri ossia  d’ordini si rende necessaria, e si formano le classi dei guerrieri, dei legislatori, dei magistrati, i quali a loro volta vanno  distinguendosi in magistrati di politica, di giurisdizione, di  commercio. Tra i sudditi poi si vanno formando le classi dei  padroni e dei servi: da quelli si svolge la nobiltà, da questi  la ricca varietà dell'arti servili. Dalla STORIA DI ROMA trae Doria argomenti ed ESEMPI alla dimostrazione della sua  dottrina. Passando dalla costituzione politica a descrivere le fasi del progresso sociale, quale risulta dalla storia,  Doria pone come legge regolante il corso dell'umanità il  graduale passaggio dalla vita barbara o difettosa alla vita  civile moderata da leggi e da ultimo alla vita civile  pomposa, in, cui la civiltà si accompagna col lusso e colla  magnificenza degli esteriori ornamenti. La vita pomposa genera l'ozio e il popolo ricade nella servitù. Cfr. Doria, Op. cit., I, e. in e iv.  Cfr. Doria, Op. cit., I, e. v, ove si descrivono diffusamente le  diverse fasi deUa vita civile. Per quanto erroneo sia il concetto fondamentale della dottrina civile di Doria, noi crediamo di trovare in essa i germi  di molte idee e dottrine svolte più tardi da Vico. Il concetto che la filosofia deve tendere a scopo pratico, che anche  la politica può fondarsi su principi saldi e costanti tratti  dalla conoscenza dell'uomo e delle sue passioni, la storia e  sopratutto la romana invocata a conferma della dottrina, la  progressiva differenziazione degli ordini e dei poteri, il passaggio graduale dell'umanità dalla barbarie alla vita civile e  il ritorno fatale alla barbarie, il progresso identificato col  passaggio dal senso alla ragione, sono concetti che ritornano  in Vico svolti ed estesi a nuove e più lontane conseguenze.  L'opera di Doria, molto apprezzata ai suoi tempi, non e. senza  influenza sui principi italiani ancora infetti da machiavellismo,  incitandoli a saggie e razionali riforme. Essa precorre i tempi  e non merita l'obblio in cui è tenuta dagli storici della filosofia del diritto. Ad ogni modo essa getta viva luce su quell’ambiente di Napoli in cui e concepita e pubblicata, e nel  quale si matura il genio di Vico.   Il progresso negli studi giuridici e sociali in Napoli  non e che il riflesso  di una. ben più larga e profonda trasformazione del pensiero  napoletano al contatto delle correnti filosofiche, le  quali, penetrate in Napoli malgrado l'attenta vigilanza della chiesa, si sono rapidamente diffuse conquistando gli spiriti  oramai maturi ad accoglierle. Prime a conquistare il favore  delle nuove generazioni sono le dottrine dell’ORTO e di  Locke, come quelle che interessavano la vita pratica e schiudevano un ideale morale che e in aperto contrasto colle  idee e coi sentimenti tradizionali. La rivoluzione iniziatasi     n Vico uéìV Autoìnografia ci dice che del tempo nel quale egli  partì da Napoli si e cominciata a coltivare la filosofia dell’ORTO  sopra Piar Gassendi, e due auui dopo ebbe novella che i filosofi a tutta  voga si era data a celebrarla. Ciò conferma Doria nell'introduzione  air opera : Difesa della metafi»ioa degl’antichi contro G, Locke eco,  nel costume si estese al campo speculativo e l'occasione fu  offerta da Cartesio nelle cui opere filosofi, giuristi, matematici,  fisici e fisiologi trovano argomenti per un nuovo indirizzo  di metodo e di studi. Cartesio e in Napoli nome  di battaglia e di partito. Esso significa libertà di pensiero,  opposizione ad Aristotele, al principio di autorità, allo scolasticismo, all'erudizione filolcfgica e storica, all'empirismo. Esso  divenne l'arma poderosa che servi a scuotere, dice Giannone,  il durissimo giogo che la filosofia dei chiostri ha posto sopra  la cervice dei napoletani. Primo a introdurre in Napoli e  a far conoscere la dottrina di Cartesio e CORNELIO (si veda),  naturalista della scuola del Telesio,  il quale ha ad alleati influenti il giureconsulto Andrea, Capoa, e sopratutto Caloprese, che approfondi la dottrina cartesiana e primo  si da a insegnarla. Del favore che Cartesio incontra in  Napoli fa prova gli’investiganti istituiti in casa propria dal marchese dell'Arena,  allo scopo di studiare e discutere la filosofia cartesiana col  concorso e l'adesione di quanti si distinguevano in Napoli, per  coltura e ingegno nei più diversi rami della filosofia.   Al primo periodo di entusiasmo e di fanatismo, di ammirazione cieca per le nuove idee che venivano dal di fuori, succede un lungo periodo di reazione e di opposizione tendente a  richiamare le menti alle buone tradizioni della filosofia italica,  a restaurare l’accademia che e stato -- Cfr. Giannone. Di Cornelio parla Fiorentino. Vico (Auiob,) lo chiama gran filosofo renatista. In quest'epoca abbiamo una vera ri&oritura di  gruppi di gioco in Napoli. Oltre a quello degl’investiganti ricordata da Giannone, notiamo quello fondato d’Argento alla quale convenne  Giannone; quello fondato dal duca di Medina Coeli; quello degl’infuriati ricordato da Vico nella Autobiografia, quello degl’oziosi, senza tener conto  delle numerose private. -- valido strumento di guerra contro il LIZIO e la scolastica.  Anima dell'opposizione contro Cartesio, l'idolo del giorno, e Vico, al quale le varie correnti di filosofia che si sono  andate svolgendo in Napoli convergono. Egli potè apparire un genio solitario solo perchè e l'astro  luminoso, dice Villari, in cui si concentra la luce di tutta  uaa moltitudine di minori pianeti, perchè riassunge in sé  tutta un'epoca e sui materiali da questa forniti eleva un sistema di cui i contemporanei non possono valutare l'importanza, e di cui parve egli stesso vuole rimandare all'avvenire  la prova dei fatti. Nell'opposizione contrergli indirizzi filosofici prevalenti  all'epoca sua Vico non e solo. Egli ha ad alleati quanti per  avversione a Cartesio e allo scolasticismo miravano a restaurare la filosofia dell’accademia e a richiamare gl’ingegni al culto  della tradizione italica. Tra questi devesi ricordare Doria,  il quale dopo aver combattuto Cartesio nel campo della della metafisica, si fa sostenere l’accademia. Il suo tentativo  lascia gl’animi indifferenti. A  lui nocque il carattere polemico  delle sue opere, l'esagerazione con cui combattè senza distinzione tutti gl'indirizzi nuovi di filosofia solo perchè non rispondenti alle sue predilezioni o prejudizij. CIt. il saggio su Filangieri du Villari in Saggi di storia aHitea  e politica, Firenze. Villari, iJ Carle sono tra quelli che  cooperarono a sfatare la leggenda di genio solitario che unita all'altra di  genio incompreso si e andata dopo Ferrari creando intorno a Vico,  e che e accolta sopratntto dai critici francesi: Michelet, Michaud,  Janet. Bovio -- Conferenza su Vico in Vita i^aZiana -- dice  che Vico non e genio incompreso, ma deve annoverarsi tra i filosofi solitari, che sono quelli che hanno larghe visioni e piccola prova. Giustamente osserva Villari che tale errore nasce dall’esser generalmente poco o punto conosciuta la storia degli studi che  allora fiorisceno in Napoli.  Vico nella AtUobiografia dice che Doria frequenta con lui le  conversazioni le quali hanno luogo in casa di Caravita e di .  Ben altra importanza ed efl  Vico. Essa trova fondamento  zione ricevuta, negli studi da 1  delle sue naturali tendenze ini  scientifiche e particolarmente n  INGEGNO SPICCATAMENTE ITALIANO. Vatolla ritorna in Napoli nel  suoi studi, e le sue opinioni fi  sono quelle che troviamo svolte  discorso sul metodo degli studi  tìquissima. In questo pei  soflche del sapere. Delle diverse  che agitano l'ambiente di ?  sfuggi all'osservazione e alla mei Vito di Sangro. Parlando di Doria il  mira come sublime ed originale in (  e cornane negl’accademici >. Ciò fa a mi  tesiano, mentre il p.'isso di Vico prov;  tempo in maggior pregio di Vico la do  se Doria e per qualche tempo seguac  un deciso avversario. Egli comincia v  l'applicazione da lui fatta del metodo  lo combatte nel campo metafisico n  alla filosofia di Renaio des CarieSy non  loaofia di Doria con la quale si  Queste due opere gli suscitarono cont  principe della Scalea, discepolo del Gal  contro Doria nell'opera intitolata Bi  Doria oppone nello stesso auuo le su  monografia citata del Geriui: Difesa della metafisica degl’antichi e  che in questi contrasti tra cartesiani e  di Vico: ciò deve, secondo noi, attr  in quest'epoca ne' suoi nuovi studi gii  diretta parte a questioni di carattere fil  comune il desiderio che gl’italiani delle scienze degl’oltramontani, dov  pienza in quella guisa che fecero i 1  Misantropo. egli accolse interamente poiché era profondamente convinto  che nessuna risponde al carattere nostro nazionale e alle  esigenze delle scienze morali che costituirono il campo proprio  in cui si afferma sin dal principio il suo ingegno, e alle quali  ha sempre rivolto il pensiero sia nella scelta degli autori  da formar oggetto di studio, sia nella scelta del metodo da  seguire, sia nel porre il criterio della verità, sia nel determinare la natura e la finalità (metier) dell'uomo. Nelle sue predilezioni per l’accademia e TACITO già si intravvéde  quel dualismo tra il senso e la ragione, che dove essere il  fulcro intorno a cui si svolgono le scienze morali e il corso  storico dell'umanità. Coll’accademia lo spirito, il mondo delle idee  esce per la prima volta fuori dall'involucro mutevole del senso. Niuno prima e dopo di lui seppe dare dell'uomo, quale dove essere secondo la sua natura razionale, un concetto  più vero e profondo. Colla guida dell’accademia Vico puo in seguito rintracciare nell'uomo e nelle sue manifestazioni individuali e collettive gl’elementi costanti e universali. TACITO descrivendo l'uomo reale dominato dai sensi e dalle  passioni, che opera spesso inconsciamente dietro lo stimolo  degli istinti, dei bisogni, delle utilità puo costituire ottima  guida per la conoscenza dell'uomo storico e di ciò che vi è  di vario e di mutevole nelle azioni umane. TACITO completa  Platone e sulla scorta di entrambi la chiave per la comprensione dell'uomo singolo e collettivo era trovata.  n carattere mentale di Vico possiamo desumere dalla serie delle  sne opere, e dalla vita scritta da lui stesso. 'NéìV Autohiografia Vico fa  sé stesso oggetto di osservazione, descrive la saa vita mentale, ci dà la  genesi delle sue opere, il procedere dela sua filosofia. Primo Carle rileva  la stretta analogia tra il Diaoorso sul metodo di Cartesio e la Vita del Vico. Ma Tanaìisi psicologix^a fatta dai due  filosofi sopra sé stessi li conduce a conseguenze opposte. Cartesio si  convinse della necessità di concentrarsi in sé stesso e di ricavar la sciènza  col proprio intelletto. H Vico invece si convince che l'uomo deve guardarsi  bene dall'esser solo a pensare una cosa^ perchè o si mata nel divino o si pone  in contraddizione col senso comune.  Per ciò che riguardava l’ordine e il metodo da seguire nello  studio dell'uomo, Vico, guidato dal suo ingegno divinatore  ferma l'attenzione su Bacone. Non dimentichiamo che le opere di Bacone passano inosservate nella stessa Inghilterra per la prevalenza incontrastata  che vi assunse il metodo soggettivo nello studio delle scienze  morali. Gli stessi enciclopedisti, ammiratori di Bacone,  lo celebrarono come fondatore del metodo induttivo, ma non  ne rilevarono l'importanza in ordine alle scienze morali. Pochi danno dvalore al suo trattato De Avg mentis che a Vico parve giustamente dischiudere un'era  nuova nello studio delle scienze morali, come quello che mentre  fa rientrare anche quest'ultime nel vasto campo delle  scienze sottraendolo all'impero della metafisica, indica alla  loro restaurazione il metodo induttivo. Nel culto per Bacone  Vico rimane a lungo solo in Italia e fuori. Vico comprende  e svolge il concetto adombrato da Bacone di porre le scienze  morali sulla salda base dell'osservazione storica e psicologica. Egli costituisce l'anello di congiunzione tra Bacone e Comte  che con piena coscienza volle restaurato tutto il sapere filosofico sulle basi del metodo induttivo. Ma se Bacone rileva le lacune del sapere umano e indicato il nuovo metodo  di indagine, non dice il modo con cui colmare tali lacune, come praticamente applicare il metodo dell'osservazione  allo studio delle scienze morali: l'una e l'altra cosa fa Vico  e puo con giusto orgoglio dire di aver creato una scienza “nuova”. Platone, TACITO, Bacone, vengono per tal modo a personificare  i tre capisaldi della filosofia vichiana applicata agli studi  morali e sociali, la ricerca dell'universale nel particolare,  dell'idea nel mutevole succedersi delle azioni umane mediante  Vedi sopra pag. 49 e seg., saU'opera e suUe sorti di Bacone. Primi a far conoscere Bacone in Francia sono Voltaire nelle sue Lettere Persiane e Diderot nel sno discorso preliminare  all’enciclopedia. -- un procedimento di induzione. L'uomo nel concetto di Vico  deve assumersi nelle scienze morali nelle integrità della sua  natura, né deve esser lecito al filosofo di foggiarsi una natura  umana che contraddice al senso comune e alla realtà delle  cose. L'analisi psicologica non deve spingersi al punto di  far violenza alla natura. La specializzazione soverchia delle  scienze se rende gl’uomini dotti nei particolari li rende meno  atti ad abbracciare il sapere nella sua integrità. Essa poi  riesce particolarmente dannosa alle esigenze delle scienze  morali aventi carattere e scopo pratico e che presuppongono l’uomo operante nell'interezza della sua natura tra i due poli  estremi del senso e della ragione, dell'istinto e della libertà,  secondo una legge di progressivo predominio degli elementi  razionali sopra i sensibili. Le scienze morali devono valersi  di concetti sintetici e i cultori delle medesime devono essere  uomini d'ingegno, cioè, capaci di scorgere il comune tra cose  lontane e disparate.   Fermo in tali concetti  Vico dove trovarsi in disaccordo  cogli indirizzi della filosofia dominante in Napoli e che in piccole proporzioni riflettevano gl’indirizzi che in  seno alla filosofìa si erano andati delineando e che Vico riconduce genialmente a correnti di idee che hanno dominato nell'antichità. Scarsa e  difettosa e la conoscenza che Vico ha dei sistemi filosofici antichi e moderni: ma suppliva con una intuizione  lu una lettera a Gaeta VICO definisce l'indazione secondo il concetto di Bacone. Per le opere del Vico ci siamo valsi della  edizione napoletana curata da Ferrari: ad essa  ci riferiremo per le citazioni. "L^ Epistolario del Vico fa parte di quella edizione.  Vico svolge tale concetto nella sua orazione tenuta a Napoli. V orazioni di Vico ancora inedite sono pubblicate  da Galasso e formano parte dell’edizione citata. Cfr. De Antiquissima. Sappiamo che Vico conosce Platone nelle opere di FICINO,  L’ORTO In quelle di Gassendi. Egli confuse il semita Zenone del PORTICO coll’italiano Zenone  di VELIA e cadde in altri simili errori.  U   asi sempre felice, la quale gli permette di rilevare il catterò generale delle varie dottrine e sopratutto di intraverne le lontane conseguenze nel campo pratico. Senza preocparsi dei pericoli e delle inimicizie a cui egli, povero e  cora oscuro, si espone, parla un linguaggio nuovo di verità  standosi pubblicamente contro i critici compiacenti, contro  l’ostinati delle sette, contro gl’impostori che infestano il  anda degli studiosi, contro i falsi dotti che studiano per   sola utilità, e i dotti cattivi che amano più l'erudizione  Le la verità. Tra coloro che si occupano di scienze mo-  li condanna senza pietà gli stolti che non vedono né le verità  trticolari né le universali, gl’illetterati astuti abili nell'altare la scienza alla pratica, i dotti imprv/Xenti sprezzanti  realtà e tendenti a tradurre nella pratica le loro teorie.  Non e invidia o umore bilioso o spirito di parte che iniravano Vico ma profondo amore del vero, nobile risentiento contro quanti, sfruttando la scienza, ne compromeno   serietà con grave danno dell'educazione. L'intimo connubio  L'egli vagheggia tra filosofia ed educazione, lo rende avirsario delle dottrine filosofiche che non si indirizzano a  nder migliori gl’uomini e a guidarli verso la felicità indiduale e collettiva.   Dell’ORTO combatte il materialismo che non riesce a spie-  ,re le cose della mente: e la sua morale chiama morale di  iccendati CHIUSI NEI LORO ORTICELLI fatta cioè per uomini  litari NON DESTINATI A VIVERE IN SOCIETA, che pretende rego-  re i doveri della vita coi piaceri dei sensi. Morale solitaria     [1) Cfr. Orazione terza.   [2) Cfr. Orazione quarta. Cfr. Lettera a Giaoohi, Ediz. cit.,  1. VI.   '4) Cfr. il De nostri temporis eco, Il carattere pedagogico dell'opera di Vico e rilevato da Tommaseo,  ìggio 8U Vioo)\ da Flint (Vico, Edinburgh); dai Gerini {Soì^ttoH  ìagogici italiani Paravia). cioè di meditanti che studiano non sentir passione la morale del PORTICO, alleati dei Cartesiani, come qu I, § 3, 4, 7, 9), nel De Antiquisaima, nella  Risposta seconda al « G-iornale dei letterati d* Italia, nelle lettere ad Esperti, al Vitry, a Solla. Aòntamente osserva Vico che il metodo geometrico trasportato  in cose che non sono numeri e misure prova qualunque cosa {Bisp, al  Oiom, eoo»).   che può raggiungersi nelle scienze fisiche aventi un oggetto  determinato e nelle quali si cerca la causa per cui molte  cose si eflTettuano in natura, non nelle scienze morali che  hanno per oggetto i fatti degl’uomini, la cui natura è incertissima per l'intervento dell'arbitrio, in guisa, che delle molte  cause di un sol fatto non si può mai dire quale sia la vera. Porre alle scienze morali per fine il vero, bandire da esse  il verosimile è condannarle alla sterilità e all'impotenza. Vico, superando Bacone, precorre le più moderne dottrine  positive circa il metodo da seguirsi nelle scienze morali. Tra  ì cartesiani fautori della critica, che vogliono banditi i veri  secondari e pongono il primo vero fuori del senso, che vogliono  educate le menti all'analisi, logorandole in sottigliezze e minuzie senza tener conto dell'indole dell'animo umano, delle  sue tendenze alla vita civile, dei vizi, delle virtù, del carattere e del costume secondo l'età, il sesso, la condizione, la  famiglia, la nazione italiana, che si illudono di ridurre a norma tutto  ciò che si attiene alla vita e fanno troppa fidanza sulle norme  der metodo, che finiscono per ostacolare l'ingegno e distruggere la curiosità — e i fautori della topica, seguaci del LIZIO, che, paghi di un sapere empirico, si affidano ciecamente  all'autorità, Vico propugna l'unione della critica colla topica,  cioè della dimostrazione coll'invenzione, dell'analisi colla sintesi, del vero col verosimile, della ragione col senso comune.  Solò per tal via l'uniformità si consegue nell'operare e si  formano non gli scienziati, ma gl’uomini prudenti, gl’oratori,  gl’uomini di stato, che è lo scopo proprio delle scienze morali. La dottrina del metodo si completa in Vico con quella relativa al criterio di verità ch'egli contrappose al criterio cartesiano della percezione chiara e distinta ottenuta  per mezzo dell'osservazione interiore. Vico affrontando  una delle più ardue questioni di metafisica non perdette mai  La questiouò del criterio di verità è trattata da Vico nel De Antiqui88ima S. di mira le esigenze delle scienze morali, e il suo pensiero  riassunse nella formola della conversione del vero col fatto,  cioè che conoscere una cosa significa farla. Mediante l'intelletto l'uomo conosce e conoscere significa comporre insieme  tutti gl’elementi di una cosa e formarsene la perfetta idea.  L'intelligenza umana ha un potere  di comprensione limitato, poiché degl’elementi costitutivi  delle cose solo gl’esterni, e parzialmente anche questi,  riesce a combinare: opperò se l'uomo può pensare a tutte le  cose, non può che intendere quelle che fa, ossia quelle di cui  arriva a comprendere la genesi o la guisa di formazione.  La scienza per Vico è essenzialmente genetica ìr\ quanto si  riduce alla conoscenza del modo o delle cause con cui una  cosa è prodotta -- vere scire per causas scire. I limiti della  conoscenza sono quelli del potere. Di qui l'incertezza e imperfezione delle scienze morali, le quali avendo pell’oggetto  le azioni umane che non possono riprodursi e sono continuamente mutevoli, non possono proporsi a loro unico scopo il vero,  mentre le scienze sperimentali hanno un grado di verità assai  maggiore in quanto studiano la natura riproducendola, e le  scienze matematiche racchiudono il grado massimo di verità  in quanto sono prodotti mentali, vere e proprie creazioni dello  spirito.Vico parlando di produzione della cosa come sinonimo di conoscenza della cosa non intende, come mostra di  credere Cantoni, una produzione ideale, ma una produzione reale, che trova cioè un qualche riscontro nella realtà  quale appare ai nostri sensi. La chiara e distinta idea della  cosa non può assumersi a criterio del vero, come sostiene  Cartesio, poiché il pensare distintamente a una cosa non significa ancora conoscere il contenuto della medeisima, e iioh  ci autorizza ad affermare la realtà della cosa pensata,. La  certezza di pensare non é scienza ma COSCIENZA: scienza si ha    Cfr. Cantoni. La miglior interpretazione  del pensiero metafìsico del Vico ò quella data da Flint. delle cose la cui verità è dimostrata o dimostrabile, cioè delle  cose che riusciamo a fare, mentre la COSCIENZA è proprio di  quelle cose di cui non possiamo dimostrare il modo di loro e^- stenza. Neppure la scesi dubita di pensare e di esistere, ma  dichiara solo di ignorare le cagioni del pensiero, ossia come  esso ha esistenza. Il pensiero è indizio, non causa della realtà.  Una critica più acuta e stringente del principio metafìsico  cartesiano non si potrebbe immaginare e ninno prima di lui  può vantare di averla fatta. La coscienza può attestarci la  esistenza delle cose ma per intuizione non per dimostrazione. Apprendere le cose non ancora significa conoscerne la natura.  Per tal modo Vico eleva una distinzione netta tra verità di  scienza e di coscienza, tra verità di ragione e di sentimento ò  per usar la sua espressione abituale tra ciò che è vero e ciò  che è CERTO. Dell'esistenza dell'anima, dei principi  delle scienze morali possiamo avere una cognizione CERTA  ma non vera. Di quanto Vico restringe il campo del vero  di altrettanto allarga la cerchia del CERTO, pel quale riconosce  che unico criterio applicabile è il senso comune. Vico però  a differenza dei positivisti, non eleva una barriera  insuperabile tra la sfera del CERTO, delle CREDENZE e- la sfera  della verità, della scienza. Egli ammette che le verità di sentimento, di intuizione, sono capaci collo svolgersi della riflessione di trasformarsi in veri scientifici. Anzi egli pone  come legge generale dello spirito individuale e collettivo e  delle sue singole manifestazioni il graduale e progressivo passaggio dalla coscienza alla scienza, dalla autorità alla ragione,  dal certo al vero. Quanti nell'età moderna si fanno sostenitori  della relatività del sapere, accolgeno, senza ricordarlo, il prudente criterio di Vico. Ma di essi più accorto, Vico mostra     Vico usa le espressioni vero e certo in un significato speciale. Per  lui è vero ciò che si converte col fatto. Certo è tutto ciò che si fonda  sul senso comune, ossia le verità intuite ma non dimostrate. Noi invece  siamo soliti considerare termini equivalenti il vero e il certo.] di intendere e di apprezzare anche le idee e sentimenti che  hanno il loro fondamento nell'autorità del senso comune. Vico e profondamente convinto che le scienze morali non possono  astrarre dal verosimile per correr dietro a una vana e formale apparenza di vero che trova nella realtà continue smentite. Il De Antiquissima chiude il periodo filosofico-critico del  pensiero di Vico. Le dottrine in esso esposte sono in regolare  armonia colle sue opere posteriori, di cui formano il presupposto metafisico. Il Libet meiaphisicus ribadisce il concetto  che la vera sapienza è operativa e la filosofia non deve solo  proporsi la solitaria e sterile verità ma ancora l'utilità e la dignità della vita. Vico non si restrinse a una critica negativa, mentre critica integra: e come sul terreno metafisico  e metodico integra Bacone e Cartesio, cosi si prepara a integrare Grozio nel campo etico e giuridico. Le predilezioni di Vico per gli studi giuridici rimontano al primo periodo della sua vita, allorché imbevuto ancora  di metafisica scolastica, dietro consiglio del padre si applica àgli studi legali. La casuistica giuridica, rappresentata allora in Napoli da Verde indispone Vico, come quella che si perde nel  casi particolari senza elevarsi a principi razionali -- ottimo  esercizio di memoria, egli osserva, ma tortura dell'intelletto. La dottrina metafisica di Vico ancora aspetta di esser giudicala al  suo giusto valore. Esagerarono nelle lodi per uiì sentimento di legittimo  orgoglio nazionale, ROVERE, Gioberti, Siciliani: la snaturarono adattandola ai propri sistemi filosofici gli hegeliani -- Spaventa,  Vera, Fiorentino -- e gli spiritualisti – Serbati --: mostra di non comprenderla affatto Cantoni, che chiama W^Liher metaphiaious una strana  anomalia nella storia del pensiero di Vico. Non ci convince interamente l'affermazione di Labanca -- (6^. B, Vico e i suoi orifici oaitolioif  Napoli -- che Vico fa della metafisica dogmatica, fondandosi sul fatto che i critici la considerarono  tale e non sollevarono dubbi al riguardo.  Cfr. Autobiografia per tutte le notizie biografiche in questo paragrafo  indicate.  li interpreti antichi e gli interpreti   parve riscontrare i filosofi dell'EQUITA   storici del DIRITTO CIVILE ROMANO: fin   i di far convergere i due indirizzi a   itto filosofico. A formarsi una coltura   ale scopo, Vico attende per un periodo   li a elaborare è a fissare quei principi   lostituire il sustrato metafisico di tutte  . Non trascura Vico neppure in   giuridici. Ne abbiamo la prova nella   so sul metodo delle vicende sto-   per metterne in evidenza il carattere  )mento per un nuovo indirizzo degli  rva Vico che in Grecia la giurispru-  ntemente divisa tra filosofi, prammatici,  onevano i principi razionali attinenti   gl’altri fornivano le leggi agl’oratori  eloquenza l'equo. IN ROMA la giurispru-  origini divisa tra giureconsulti-filosofi  no dal lungo esercizio delle pubbliche  elaborazione della civil prudenza sacra  ano dalla parola allo spirito della legge  [uo, gli uni custodi del GIUSTO, gl’altri  ir età moderna le diverse parti della  assunte in una sola dottrina gli giure-  aratore, ha cessato di essere filosofo;  interesse privato, a cui giova partico-  ifica IL PUBBLICO INTERESSE, meglio tute-   1 VICO traeva motivo per insistere sulla EQUITA NATURALE colla filosofia giuridica   per lui era la dottrina del pubblico   rende i uove anni passati nlla solitndiue di   ani poi trascorsi in Napoli fino alla pubblica-      reggimento che i Greci apprendevano dai filoj  dalla pratica stessa delle cose pubbliche, mentr  Vico e trascurata tanto dai pratici preoccup  trionfare l'equo e l’utile privato, quanto dagli er  far risorgere in tutta la sua purezza il diritto;  rendersi conto delle nuove esigenze dei tempi.  Il divisamente di richiamare gli studi giurid  sua divisi tra la pratica e l'erudizione ad una b  si venne meglio determinando in Vico colla coi  di Gravina e sopratutto colla lettura di Grozio  ai tempi di Vico Grozio e pressoché ignora  Gravina mostra di non averne approfittato. Tale  verso Grozio e naturale in Italia, estranea al  mazione dello stato e strettamente lej  dizione giuridica e all'AUTORITA DEL DIRITTO ROMANO cercato reagire Grozio. Ma ben intese i  scuola del diritto naturale di cui e stato fonda  aveva efficacemente cooperato a restaurare qi  del pubblico reggimento, di cui difettavano i no  sulti. Si comprendono pertanto le sue simpatie  lui posto nel novero degli autori prediletti acca  a TACITO, a Bacone. Grozio era assorto al e    Vico neìV Autobiografia ci fa sapere che la Vita é  pubblicata  gli conciliò € la stima e l'amicizia d  letterato d'Italia Gravina col quale coltiva s  denza infiuo ch'egli morì. Le  provano che egli conosceva di fama anche prima di qu£  vina, e certamente ne aveva letto le opere, Vico p(  l'opera di Grozio nell' apparecchiarsi a Scrivere la F  L'opera di Grozio era stata messa sìlV Index Ex^  Chièsa cattolica. La sincerità delle credenze religiose no  Vico di studiare e apprezzare scrittori condannati dalla  ma per prudenza si astenne molte volte dal citarne i n  citandoli li cita vagamente e quasi di sfuggita. In leti  abbondano le citazioni di scrittori stranieri e mostra di co:  nei concetti fondamentali .  arsale sottratto a delimitazioni di tempo e di luogo,  na e immutabile di giusto che Vico coll’accademia innata e propria della natura razionale dell'uomo,   cerca far scaturire dallo STUDIO DELLA LINGUA DEI ROMANI  ed estendere alla gran  mere umano. La lettura di Grozio forni a Vico  i prender conoscenza dei divèrsi indirizzi che  del diritto naturale si sono andati svolgendo in   Germania e Francia. Di Hobbes,  yle, ricorda il nome e le opere e riassume in poche  issime l'indirizzo generale del loro pensiero in or-  lenze giuridiche e sociali. Altrove mostra co-  stemi di Selden e Pufendorf, di cui associa costan-  dottrina relativa alle origini della società umana  ii Grozio. Ma a quest'ultimo Vico direttamente  e conciliandolo colle nostre tradizioni giuridiche.  zò assorgere dal concetto dell'EQUITA NATURALE, eia-  pratici, COL SUSSIDIO DEL DIRITTO ROMANO, restaurato  i, a quell'idea eterna del GIUSTO che Grozio ha mte derivato dalla ragione umana,  ordine ai fondamenti filosofici delle scienze morali,  di Vico è per molti aspetti definitiva. Nessuna  filosofia antica e moderna sorto in seno alle scienze  mostra di ignorare : di tutti rileva acutamente le  difetti. I greci trattato della giustizia e  in termini troppo generali e astratti, I ROMANI in   '. Vno^ (Proloquium^f ove ricorda il Principe di MACHIAVELLI,  ìli' Hobbes, il Tractatua theologico-politicua dello Spiuoza, il  1 Bayle. — "SeW Autobiografia accenna ad uua corrispondenza  is, di cui mostra apprezzarne il valore. Questa conoscenza  iutte le correnti fìlosoficbe dell'epoca sna fa ri-  urie in La filosofia del diritto nello  Torino, Unione tip,  ontro coloro, sopratutto stranieri^ cbe facendo la storia del  Je non ricordano affatto Vico. — concreto. Gl’antichi interpreti non conoscheno che le esigenze  della pratica, i nuovi astrassero da ogni indagine di carattere  filosofico per concentrarsi nello studio filologico dei testi di legge. Hobbes, Spinoza, Bayle fanno dell'utile o del piacere il  criterio del diritto, fanno del timore o del CONTRATTO IL FONDAMENTO DELLA SOCIETA, dell'arbitrio la fonte della legge. Grozio  stesso tratta del diritto naturale delle genti e trascura il  diritto civile, opperò se quello risponde a esigenze razionali, questo lo contraddice nel fatto. L’uomo di Hobbes che  agisce sotto lo stimolo dell'utile e del bisogno è condannato  dalla ragione, ma trova conferma nell'esperienza della storia.  La scienza del diritto naturale sembra dibattersi tra i due  termini opposti della ragione e del senso, dellar filosofia e della  storia senza speranza d'uscita : a risolvere la contraddizione  si accinge Vico. Il concetto di un'armonia provvidenziale  balenata alla mente del Leibniz per comporre il dualismo metafisico tra anima e corpo, ricorre per una strana coincidenza  in Vico per comporre la corrispondente contraddizione nel  campo delle scienze morali Filosofia e storia, idea e sensazione, scienza e coscienza, ragione e autorità, lungi dall'escludersi si richiamano, si integrano, si spiegano a vicenda  nell'uomo, nelle sue varie fasi di sviluppo, nelle sue manifestazioni individuali e collettive. La dottrina pertanto del  diritto naturale o universale che Vico identifica colla  dottrina civile in opposizione alla dottrina morale, si fonda  sulla duplice base del vero e del certo, ed è svolta nel De Uno  da un punto di vista puramente astratto.  L'idea del GIUSTO innata nell'uomo non è che un aspetto Del juB civile Vico accoglie la definizione di Ulpiano -- quod  neqae in totum a j are naturali recedit, nec per omnia ei servit, sed  partim addit partim detrahit. Cfr. Ferrari. Cfr. De Uno eoe*, Proloquium. Vico pubblica il De uno universi juna principio et fine uno. VICO chiama UNIVERSALE ciò che altri chiamano diritto naturale. scambio dei beni, che segui alla prima divisione dei campii  passa da forme violenti e arbitrarie a forme sempre più razionali e si genera il dominio. La volontà dapprima dispotica  e sfrenata, nell'usare dei beni e delle persone, facendosi sempre  più moderata e ragionevole genera la libertà. 'L’attività guidata dal senso e conservazione e tutela della vita fisica,  guidata dalla ragione divenne tutela e conservazione della  personalità intellettuale e morale. La proprietà, in quanto  è ristretta alle cose finite e corporee, la tutela in quanto è  difesa del corpo, la libertà in quanto è libera estrinsecazione  degl’affetti dell'animo costituiscono il diritto naturale primario che Ulpiano define: quod natura omnia animalia  docuìL avente CARATTERE NEGATIVO in quanto indica ciò che la  ragione non riprova ma PERMETTE, if dominio, la libertà, la  tutela, sciolti dal senso e regolati dalla ragione costituiscono  il DIRITTO NATURALE secondario o NECESSARIO, che Giustiniano  defini quod naiuralis ratio inter omnes homines constitiiit  et apud omnes gentes peraeque custoditur, in quanto vieta e  comanda conformemente all'eterno vero. Le due parti del diritto civile ne costituiscono rispettivamente la materia e la  forma, il corpo e l'anima, l'elemento mutevole ed eterno, la  ragione civile e naturale, ossia la mens legis e la RATIO LEGIS,  di cui l'una è ir certo delle leggi che spectat ad uiilitatem  qua variante variatur^ l'altra è il vero delle leggi, cioè la  conformazione della legge al fatto, che spectat ad honestaiem  qtme aeterna est.   Dalla libertà, proprietà, tutela, si genera Vauctoritas, la quale  lungi dall'essere creazione arbitraria del legislatore, come  vorrebbe Hobbes, ha il suo fondamento nella natura stessa  dell'uomo, in quanto questi conoscendo ciò che è proprio della  sua natura, lo vuole e lo attua colla mente e col corpo. Questa    Sui concetti di libertà, proprietà, difesa e loro genesi psicologica cfr.  De Uno  Sui rapporti tra diritto primario e secondario cfr. De Uno auctoritas naturale o razionale attuata nei fatti costituisce  l’auctorUas jtiris, la quale e dapprima monastica, spontanea  espressione della personalità individuale, propria degl’uomini  che vivono solitari all' infuori di qualsiasi organizzazione sociale: poi costituita la famiglia diventa domestica ed è l'espressione del dispotismo ancora rozzo e violento dei patres. Infine col formarsi dello stato romano diventa civile, ed è l'espressione  dell'intelligenza, volontà, ATTIVITA COLLETTIVA, ossia della personalità civile.   Dal diritto civile proprio del popolo romano si distingue il  diritto civile comune, ossia il diritto naturale dei giureconsulti fondato sui comuni costumi dei popoli. Abbiamo da  ultimo IL DIRITTO NATURALE DEI FILOSOFI, DEDOTTO da' principi puramente razionali e riferito alla gran città del genere umano.  Col diritto privato si svolge parallelamente il diritto pubblico.  Primo a sorgere è il governo degl’OTTIMATI, reso necessario  dalla tulela dell'ordine, proprio degl’uomini forti, poco amanti  delle conquiste ma molto della loro libertà e dignità. Esso si  regge colle costumanze e mantenendo inalterato e arcano il  diritto. Dalle repubbliche d’ottimati ROMANI, numerose ma piccole, i  popoli molli e rozzi passano alle monarchie, i popoli di ingegno  acuto ma molli cadono presto sotto i tiranni, mentre i popoli  di ingegno acuto e forti si organizzano in repubbliche libere  e popolari, sulla base dell'eguaglianza del suffragio, della libertà di opinione, dell'egual diritto agl’onori. Mediante PATTI statuti si possono costituire governi misti e temperati a  base monarchica, aristocratica o democratica. auotoritas e sue forme cfr. De Uno Vico lo chiama IVS CIVILE OMNIVM CIVITATVM COMMVNE -- De Uno, o IVS NATVRALE GENTIVM, e ad esso riferisce la definizione del IVS CIVILE data da GAIO (si veda):: OMNES POPVLI QVI LEGIBVS SEV MORIBVS REGVNTVR PARTIM ANO PROPRIO PARTIM COMMVNI OMNIAM HOMINVM IVRE VTVNTVR. Cfr. sui rapporti tra IVS NATVRALE GENTIVM ET PHILOSOPHORVM, De Uno. Sulle tre forme fondamentali di governo d’OTTIMATI, regio, libero, il De Uno ha tutti i caratteri di un vero e prò  di filosofia giuridica, che Vico con novità ec  espressione chiama CONSTANTIA IVRIS. Per esso il  una posizione netta e precisa di fronte ai tre in(  mentali che vedemmo essersi distintamente delii  alla scuola del diritto naturale e che dovevano accentuarsi e arrivare alle consegue  Ai seguaci di Hobbes, moderno ORTO, Vico  l'esclusiva importanza data agl’elementi sensibi  e perciò mutevoli del diritto. Ai cartesiani, mode  Vico contesta la possibilità di formare una teoi  del diritto colla guida esclusiva della ragione,  conto degl’appetiti, degl’affetti, degl’interes  tanta parte della vita dell'uomo e della società  due indirizzi estremi Vico si attiene all'indiriz  che tra tutti mostra di intendere la comi  natura umana e di assorgere al concetto di un dir  universale, depvandolo dalla ragione associata  e alla storia. Ma di Grozio non e Vico pediss(  come il Pufendorf Egli lo integra sotto, un dupl:  vista, filosofico e storico. Nell'uso  pretazione della tradizione e della storia Grozi  il paragone con Vico : ci basti per ora affermare  Uno Vico SUPERA IN RIGORE E PROFONDITA di concet  giuridica contenuta nel De jure belli et pacis.   In questo trattato Grozio si rivela più giur  erudito che filosofo: i suoi PRINCIPI FILOSOFICI sono BEN DETERMINATI: gli fa difetto il RIGORE LOGICO, Y  matico, la precisione nel definire e nel distingue]  cipì opposti talvolta non sa decidersi per nessun  sempre riesce a farli concorrere alla dimostrazi  assunto. Vico rileva questi difetti di Grozio     rispondenti rispettivamente ai tre concetti fondamentali de  tutelaf dominiOt libertày cfr. De UnOj rizzo mediano più rispondente alle esigenze delle scienze  etico-giuridiche, ancora imperfetta e quasi incosciente in Grozio è attuata da Vico con rigore di principi e con piena  coscienza. E mentre il suo sistema filosofico sembra coordinarsi  ai sistemi sorti in seno alla scuola del diritto naturale, nel  fatto egli non fa che continuare l'opera degli interpreti nostri  che portano l'elaborazione dell'equità naturale ad un  alto grado di perfezione. Egli ne compie e corona l'edifìzio colla  dottrina dell'equità civile. E accusato Vico di aver confuso l'etica col diritto,  di non aver chiara la coscienza dei loro rapporti e dei  loro caratteri differenziativi. L'accusa, se fondata, fa  torto al suo acume ed e in contraddizione col senso finissimo per cui egli sa sceverare IL FATTO GIURIDICO dagl’altri  fattori concorrenti. A noi pare che anche sotto questo aspetto Vico affermi la sua superiorità di fronte ai giusnaturalisti,  ponendo la questione dei rapporti tra morale e diritto sopra  nuove basi atte a facilitarne la soluzione. Prima di Thomasius  noi assistiamo per parte dei sistemi usciti dalla scuola del diritto naturale a un progressivo assorbimento del fatto morale  nella sfera giuridica. Il concetto del diritto si allarga fino a  comprendere la vita morale e vien meno ogni criterio di distinzione tra le discipline etiche e le giuridiche. Vico ha certo  coscienza di tale confusione quando afierma che per opera dei  seguaci di Hobbes e di Cartesio sono rinnovellati gli antichi  sistemi dell’ORTO e del PORTICO, di cui l’uno confonde la giustizia colla felicità e coll'utilità, l’altro colla  onestà e colla virtù morale. Non sfugge a Vico Timpo-  Cfr. Cantoni. Dei critici del Vico Cantoni  equello che mono ri usci ad afferrare la dottrina metafisica e  giuridica di Vico. Di ciò lo rimproverano SICILIANI (si veda)  e LABANCA. Cfr. Carle, La filosofia del diritto nello stato  (Torino, Unione) ove tratta da un punto di vista del tutto  nuovo della elaborazione dell'idea di GIUSTIZIA. teiiza dell’ORTO e del PORTICO ad assorgere al concetto del GIUSTO, nel quale gl’elementi dell'UTILE (neo-Trasimaco) e dell'ONESTO (neo-Socrate), dell'INTERESSE e della moralità, insieme  convengono. Da un punto di vista puramente pratico in antico  i ROMANI, gli interpreti della scuola di Bartolo e Baldo elaborano il concetto dell’ equo-bono, inteso a commisurare l'utile tra gl’uomini viventi in società  secondo le norme dell'onesto. Il diritto naturale, che l'Hobbes  deriva dall'utile e i seguaci di Cartesio tendevano a far derivare dall'onesto, è da Vico fatto scaturire dal concetto intermedio dell’equo bono. Per lui infatti il diritto naturale est utile  aeie>^no commensu acquale, cioè è l’ÆQVVM BONVM dei  giureconsulti romani e dei nostri interpreti antichi. Prima di Vico Grozio e Leibniz cercano di  svolgere il diritto naturale sull'ampia base dell'utile e d’elementi razionali di natura etica. Ma Grozio non arriva a  fondere i diversi elementi in un concetto unitario che serve  di fondamento sicuro al suo sistema, Leibniz stabili un rapporto puramente metafisico tra l'utile, il giusto, l'onesto,  astraendo dai bisogni della pratica. MANCA A GROZIO E LEIBNIZ LA BASE SALDA DELLA TRADIZIONE ROMANA su cui Vico eleva la  sua dottrina filosofica. Grozio e Leibniz trascurano il  concetto dell'equo e assorsero al concetto del giusto colla  guida esclusiva della ragione. Vico pervenne al giusto per  naturale svolgimento dell'EQUO. Per Vico il giusto è un  genere, un'astrazione, un'idea. Come tale si distingue dall'EQUO  che è l'idea del giusto tradotta nel FATTO, in quanto cioè tien  conto delle ultime circostanze dei fatti. Ninno prima di Vico tenta UNA GENESI PSICOLOGICA del  diritto nei suoi rapporti colla morale e cogli altr’elementi della    Cfr. De Uno Nel Ve Ant, Vico dopo aver detto che v&i' .  e Uno il rapporto tra diritto e morale è trattato da un punto  L vista essenzialmente metafisico: nelle opere posteriori do-iva essere svolto sulla base dell'osservazione psicologica e  )lla storia. Nel Da Uno VICO appare il filosofo del diritto in-  so a porre i fondamenti metafisici di una dottrina civile. Il diritto ROMANO  vi si rivela nei suoi cai'atteri universali e costanti  lale espressione dell'eterno vero, rispondente alla natura  izionale dell’uomo. Puo alcuno credere che Vico avesse  ,tto opera aprioristica analoga ai sistemi usciti dalla scuola  3l diritto naturale. In realtà Vico segue diverso  immino. La sua filosofia giuridica non e opera arbitraria  della ragione, ma il risultato di una potente astrazione fatta  sopra materiali ofierti dalla storia del diritto. A Vico sa-  bbe parsa opera vana una dottrina filosofica del diritto,  le non avesse trovato nel fatto conferma. Il criterio della  mversione del vero col fatto doveva farlo convinto che il diritto filosofico se veramente risponde alla natura umana  ^trattamente considerata, non può trovarsi in contraddizione  )\ fatti e se contraddizione esiste essa è transitoria. La lo-  ca delle idee deve per essere vera identificarsi e confondersi  fila logica e l'ordine delle cose. Ma tale identificazione è  Dta e graduale. DAPPRIMA IL DIRITTO ESISTE COME FATTO POSITIVO, si attuatto l'azione della necessità e dell'UTILITA. Solo in uno stadio  ogredito di riflessione l'uomo avverte sotto le mutevoli forme  oriche il progressivo attuarsi dell'idea eterna del giusto.  Dimostrare col sussidio della filologia, cioè della storia lar-  .mente intesa la progressiva attuazione nell'ordine dei fatti  il diritto naturale, divenne la meta a cui si indirizzarono  ricerche e gli studi di Vico. Tale dimostrazione egli dove  pprima chiedere al DIRITTO ROMANO RICOSTRUITO ricostruito ne' suoi testi  nuini dai giureconsulti colti e nella sua storia da Gravina,  diritto romano appariva a lui come ai giureconsulti nostri.  Gravina, a Doria un prodotto di formaziorie naturale e  3ntanea mirabilmente atto a servir di guida e di modello per la determinazione delle leggi costanti e universali che segue  il diritto nella sua evoluzione storica. Dominato da questo concetto che risponde alle nostre più costanti tradizioni Vico  si diede nel De Constantia a ricostruire con larghezza e  originalità di vedute IL DIRITTO ROMANO per trarne argomenti  alla dimostrazione de' suoi principi filosofici. La scuola del diritto naturale fin dal suo sorgere con Grozio dichiara  GUERRA APERTA AL DIRITTO ROMANO. Descartes e si levato contro  gli studi storici e filologici. Vico posto nell'alternativa di  negare la storia o la filosofia, l'autorità o la ragione, il DIRITTO ROMANO o il diritto naturale non ha un momento di  esitazione: si attenne alla TRADIZIONE ROMANA mostrando come  da essa potessero derivarsi principi per una concezione filosofica del diritto. Egli volle essere l'anello di congiunzione tra  i metafisici e gli storici del diritto. Come vi è una fisica e una  metafisica della natura, cosi vi è un diritto fisico e metafisico. IL DIRITTO FISICO POSITIVO E IL DIRITTO ROMANO  quale esiste nella storia:  il diritto filosofico fondato sulla contemplazione astratta della  natura umana se non vuol essere arbitrario deve potersi convertire nel fatto. A questa condizione il diritto fisico per forza  naturale di cose finisce per incontrarsi e coincidere col diritto filosofico. Di qui ir rimprovero da lui mosso da un lato  all’accademia per aver confuso il giusto ideale col giusto eterno,  l'uno inconvertibile, l'altro convertibile col fatto, dall'altro a  Grozio e a Pufendorf per non aver tenuto conto della storia  e per aver foggiato un diritto filosofico che non è praticato  nel costume. LA STORIA DI ROMA S’INIZIA COLLA GUERRA DI TUTTI CONTRO TUTTI. Da questa guerra esce la feudalità solitaria delle famiglie che comandano ai clienti e lottano contro i nomadi. Il De Constantia jurisprudentis diviso in due parti, De Constantia Philosophiae -- breve riassunto dei princìpi filosofici ampiamente esposti nel De  Uno -- e De Constantia Philologiae. Tali rimproveri si possono leggere nella Prima Scienza Nuova. Ili séguito alle rivolte dei clienti I PATRIZIJ si chiudono nelle  città, si organizzano in ordini, combattono i ribelli e dai vinti  si formano le plebi. Ma queste col tempo cresciute di numero  si rivoltano di nuovo, e l'aristocrazia è costretta a cedere, a  estendere al popolo leggi, campi, matrimoni, cittadinanza. Cogli  imperatori abolite le classi e i privilegi, le leggi appaiono  altrettante generalità filosofiche. Scompare l'antico diritto  rozzo e violento e la forza dell'autorità si confonde con quella  della ragione. L'armonia tra il senso e la ragione, tra il vero  e il certo, tra filosofia e filologia sembrava raggiunta. Ma nel  trarre dalla storia di Roma il corso ideale del diritto, Vico  dove colmare lacune, completare tradizioni, adottare un'arte  nuova di critica e di interpretazione atta a penetrare il significato di intere epoche storiche e fondata sulla osservazione  psicologica e SULLO STUDIO DELLA LINGUA LATINA. La ricostruzione storica del diritto romano dischiuse a Vico  la via alla ricostruzione storica del diritto quale si manifesta  ne' suoi caratteri costanti nel mondo della nazione italiana. Ma ben  comprende Vico che tale ricostruzione non puo dirsi completa se il fenomeno giuridico non e studiato ne' suoi rapporti colla religione, colla morale, colla politica considerati  come altrettanti prodotti storici che si svolgono parallelamente  al diritto e ne attraversano le stessi fasi di formazione. Nella Prùna Scienza Nuova  il diritto naturale non è  più studiato come prodotto storico del popolo romano,  ma come formazione collettiva, cioè come la scienza dell'uomo  solitario che vuol la salvezza della sua natura e la conquista  per gradi nel consorzio sociale sotto la pressione delle necessità e delle utilità. Alla mancanza di documenti storici, di  tradizioni certe, di testimonianze sicure supple Vico colle  sue intuizioni audaci e divinatorie, coll'autorità del senso  comune che è la mente dell'uomo collettivo da cui traggono E sopràtutto notevole per la formazione  storioa e sociale del diritto. origine quelle massime di sapienza volgare in cui tutti il popolo romano convenne ed e universalmente praticato. Dal primitivo stato di solitudine e di abbandono in cui manca  ogni freno al senso e il diritto è sinonimo di forza l'uomo  invaso da terrore religioso esce contraendo stabili unioni in  sedi fisse. La famiglia rappresenta la prima fase dello sviluppo  sociale: solidamente costituita sul principio religioso essa si  allarga fino a comprendere quanti per sfuggire ai pericoli e  alla miseria della vita nomade invocano la protezione dei  forti. Costumi, diritto, politica riflettono in questo antichissimo stadio di vita sociale lo stato mentale dell'uomo. A uomini  ignoranti e superstiziosi, privi del necessario alla vita, insofferenti di freno, amanti della solitudine, devono convenire religioni spaventose e crudeli, costumi barbari ma moderati. È  questo il periodo divino o teologico del diritto naturale in cui  mancando le leggi, i diritti si custodiscono colle religioni. I  padri sono sapienti, sacerdoti, re nelle famiglie che costituiscono una libera e assoluta monarchia. Coll’ampliarsi delle famiglie in gentes, coll’ammutinarsi dei  plebei e conseguente organizzarsi dei paires in ordini e nelle  città, sorgono i governi aristocratici e quindi i regni eroici.  Le plebi lottano per la libertà di ragione, per l’uguaglianza  dei diritti, per il possesso dei campi. I costumi sono sempre  severi ma meno feroci, il diritto eroico si mantiene rigido,  crudele, arcano, privilegiato. Ma gl’eroi decadono convertendosi in tiranni. Nelle città i  plebei ottengono di esser parificati ai nobili nel godimento dei  diritti e si iniziano i governi civili nella forma di repubbliche  libere o di monarchie civili. I costumi si ingentiliscono e con  essi SI FA UMANOe civile IL DIRITTO NATURALE. Coll'estendersi  della NATURALE EQUITA delle leggi sorgono i filosofi a meditare   Circa i caratteri del diritto, deUa morale, della politica iu questo,  primo periodo cfr. P. S. N, Del diritto, della morale, politica eroica U Vico tratta, il vero delle cose e con essi si iniziano la metafisica e le  diverse scienze e arti. Dai rapporti fra le città si svolge il  diritto naturale delle nazioni, e dall'unione delle nazioni il  diritto universale del genere umano. Per tal modo le varie fasi di aggregazione sociale, le forme  di governo, i costumi, il diritto si succedono secondo una legge  costante riflettendo il corso delle idee espresse a loro volta  nelle lingue. I concetti di diritto civile, di, diritto naturale,  delle genti, non più considerati da un punto di vista puramente astratto, non più ristretti a un popolo determinato ci  si presentano concetti vivi e reali, formazioni storiche strettamente legate col graduale sviluppo dello spirito umano nelle sue  manifestazioni individuali e collettive. Nella Prima Scienza  Nuova l'idea predominante è pur sempre l'evoluzione storica  del diritto considerato, come dice Carle, la quintessenza  dell'aggregato sociale. IN ROMA IL DIRITTO SEMBRA ASSORBIRE TUTTI GL’ALTR’ELEMENTI DELLA VITA SOCIALE IN GUISA D’APPARIRE QUASI L’ELEMENTO ESCLUSIVO. Perciò Vico vuole porsi da un  punto di vista più elevato per meglio determinarne i caratteri,  le leggi universali e costanti del suo eterno divenire storico. Il problema relativo alla natura socievole dell'uomo,  all'origine della società e della sovranità, e stato argomento  di vivaci discussioni in seno alla scuola del diritto naturale.  Tale problema, osserva Carle, e necessariamente implicito  nel concetto da cui aveva esordito la filosofia, secondo cui l'uomo come tale, cosi come esce dalle mani  di natura e non in quanto fa parte di un qualche gruppo sociale, è capace di diritto. Dei due termini, individuo e società,  per tal modo dissociati solo al primo, nei vari sistemi usciti  dalla scuola del diritto naturale, e attribuita esistenza reale. Dei tempi umani tratta Vico Vedi Carle, Fil, del Dir, nello stato,  in cai è trattato l'argomento dell’indivìduo e della società nella  filosofia del diritto. in cui si discorre della  ipotesi di UNO STATO DI NATURA, della genesi della società e sovranità. All’individualismo religioso, filo  repoca e naturale compierne  della società. Tutti gl’indirizz:  scienze morali   pito, UNO STATO DI NATURA aiiter  l'uomo godeva di una indipende  sconfinata, e da cui sarebbe us(  lontari ACCORDI, nei quali riponev  come della sovranità. Grozio,  turalmente socievole, ammise ne  un periodo, circa un secolo, di  Yenne meno il sensimi natii7^a  homines. Tale stato di nomadi,  dette necessario ammettere per  prietà privata, e del rispetto et  tale. Lo ritenne composto di se  allo stato civile per un certo e  di famiglia. Il Pufendorf, sull'c  decaduti gentili come uomini senza aiuto divino. Hobbes i  carattere di tendenza originaria  dal senso, dagl’appetiti, dagli  natura come un vero stato ferin  stato di natura anteriore alla s  mebondi se non furibondi come \  della tradizione medioevale coni  da Grozio, Selden \  tilità decaduta non si era mai  l'intervento diretto della diviniti  con criterio diverso la storia deg  Gli stessi problemi si affacciar-     L'opera di Selden, dotto ebn  col titolo : De jure naturali et gentium Cfr. Labanca  contrasto coi filosofi solitari o monastici, fautori  alismo egoista e razionalista, mentre riservò tutte  itie per i filosofi politici, le cui opere sono intese  ire l’uomo nella civile società. Nella sua ammira-  pistianesimo, nella sua avversione pel movimento  entra come elemento la considerazione- deirin-  ociale ch'egli giudica compromesso dallo spirito  ta che anima la Riforma. La sua ammirazione  ch'egli si compiace di chiamare sociniano, non  gine. Nell'avvertire i pericoli dell' individualismo  ielle scienze morali, nell'additarne le cause, nel-  L rimedi, Vico e solo ed inascoltato. Nel De Uno  natura socievole dell'uomo e delle origini e cause  3nza sociale da un punto di vista puramente astratto  ntegrare Grozio e a contrapporsi ai cartesiani  di Hobbes. Nella Seconda Scienza Nvxyoa egli si  ire del problema la dimostrazione storica e psico-  lendo a conclusioni che fanno di lui il precursore  ìza sociale. Il fatto che risalendo alle origini   dà la qualifica di sociuiano a Grozio in due passi deUa PrivMi  e in entrambi i  to degli uomini immaginati da Grozio originariamente bivoni  deboli, soli e bisognosi di tutto; Vico chiama tale ipotesi  Il Labanaca corregge l'affermazione del  >8i sul fatto che Grozio era ariuiniano e che scrìve una  contro Socino. A questo lavoro di Grozio contro Socino non  iffini neir opera citata sulla Libeì'tà religiosa: in quella vece  argomenti decitivi la stretta affinità tra la dottrina di Socino  arminiaui. Grozio, dice Rnffini, proclama alta-  bnona intesa con i Sooiuiani, coi quali e specialmente col  [ìtimo rapporto epistolare. L'affermazione di VICO non  destituita di fondamento. Cfr. Ruffini, e più studiato da letterati, filosofi e storici che non da  nze morali e sociali. In generale i crìtici di Vico non rito sociologico della Seconda Scienza Nuova, Vi accennano  dliani: lo dimostrò ampiamente Carle nelle sue Lezioni  \ale » (inedite) da cui sono tratti molti concetti in questo  tenuti. più remote della storia non si ha memoria di uoi  airinfuori del consorzio civile, costituisce per il  mento decisivo in favore dell'esistenza originaria che è quanto dire della natura socievole delì'uon  cose fuori del loro stato naturale non possono a durare. Il presupposto della Seconda Scienza Ni  l'umanità abbia un corso uniforme ed immutabile  nata da leggi costanti, che tutti gl’uomini nor  membri di un gran corpo che non muore mai,  istante per il continuo mutare degli individui si  molteplice ed uno ad un tempo. Religioni, leggi, : altrove lo definisce: mente illiisbta, cuor retto e lingua fedele interprete di entrambi  mettendo in   vo l’armonia che deve esistere fra le diverse facoltà.   Tali principi assiomatici Vico chiama e dignità > e sono iu   Cfr. Dignità,  sapere il vero deHe cose si attiene nell'operare al certo, a ciò  che a lui sembra vero, al senso comune. L'uomo in qualunque stadio e condizione di vita sociale ama principalmente  l'utile proprio; a misura che la cerchia dei suoi interessisi,  allarga alla famiglia, alla città, alla nazione, al genere umano,  si estende d'altrettanto il suo egoismo. Dalle necessità e  utilità della vita regolate dal senso comune, trae sopratutto  l'uomo impulso ad operare: esse costituiscono il criterio saldo  per l'interpretazione della condotta presente e futura. A beneficare, a contrarre i vincoli sociali, ad accettare le diverse  forme di governo, le leggi, le istituzioni, sino gl’uomini sopratutto tratti dall'utile che ne ritraggono. Prima a svolgersi nell'uomo è la vita del SENSO, poi quella del sentimento,  quindi della ragione. Epperò se prima gl’uomini sentono senza  avvertire, poi avvertono con animo perturbato e commosso,  finché da ultimo riflettono con mente pura. Il progresso morale è in stretto rapporto collo sviluppo psichico. Quando sieno  successivamente soddisfatte le necessità, le utilità, le comodità  della vita, l'uomo che npn domina gl’appetiti e non intende  la voce della ragione, si abbandona al piacere, al lusso, finché  non rovina nella dissolutezza. Tali osservazioni di psicologia  individuale Vico completa con osservazioni generali di psicologia collettiva. I popoli, come gli uomini, hanno periodi di  infanzia e di giovinezza. Fatti adulti invecchiano e quindi  muoiono. I popoli rozzi e barbari come i fanciulli favellano  per universali, sono inclini a imitare, hanno vigorosa la memoria, vivida la fantasia, debole il raziocinio, profondo il culto  delle tradizioni. Lentamente e per gradi si inducono a rinunciare alla loro libertà, ai loro patri costumi: ribelli a ogni  freno sono domati dalla religione: impenetrabili nella loro [Dig., S. S. N., lib. I, Del Metodo. Dig.  barie cedono alla violenza delle guerre o alle attrattive  commerci. I costumi dei popoli sono dapprima crudi. Poi eri, quindi s’ingentiliscono, per farsi nell'ultima fase del ) sviluppo raffinati e dissoluti .  osservazione psicologica si completa in Vico collo studio  oU'interpretazione della storia, ch'egli chiama la biografia l'umanità. Gli studi storici all'epoca sua sono degnamente  presentati in ITLIA da Giannone e MURATORI. GIANNONE lon tratta dalla storia una scienza nuova, aveva certaite studiato la storia con criteri nuovi. In lui troviamo non  olito espositore dei fatti politici, ma lo studioso della vita  ile e interiore dello stato : primo mostra di saper ragionare  fatti, e di trarne argomenti alla dimostrazione di una  i  Muratori fa della critica e della erudizione storica  ì a sé stessa : ricercatore e raccoglitore indefesso e sagace  )lvette, dice Manzoni, tante questioni, tanto più ne  e, ne sfrattò tante inutili e sciocche. Ma egli non penetra  •e il fatto, non raccoglie a unità tante cognizioni. Di queste  L vede né i principi né le conseguenze. Sotto questo  etto egli fu il vero contrapposto di Vico, il quale si forma  [) Dig.y 4 Giannone, appartiene a qneUa schiera di ginre-  »nlti storici ed eruditi c\t^ aU'epoca di Vico iUnstravano Napoli. Fa allievo Aulisio e frequentò la casa d’Argento,   avvocato e magistrato di Napoli. Dopo veut'anni di la-   Giannone pubblicò in Napoli la sua Storia civile del Regno  Napoli in cui si fa difensore dei diritti dello  » contro le usurpazioni deirautorità ecclC'iiastica. Vico conosce  o Giannone ma non lo ricorda per evidenti ragioni di prudenza. Muratori pubblica l'opera sua maggiore « Rerum  Icarum Soriptoros. Vico ricorda Muratori  ma lettera a Gaeta a proposito del trattato di filosofia morale  del Muratori. Manzoni, -- Opere varie, Milano,  aelli -- contrapponendo Muratori a Vico dice che  rvando i loro lavori^ par qyasi di vedere, con ammirazione e con  •lacere insieme, due. gran forze disunite, e nello stesso tempo come uu  ame d'un grand'effetto che sarebbe prodotto dalla loro riunione. della storia un largo concetto fino a comprendere in essa t  le manifestazioni umane, la interpretò agli effetti delle sci^  morali, se ne valse per la costituzione di una scienza nu  Egli spinge il suo sguardo nelle epoche più oscure, là e  più scarse e misteriose sono le memorie e le tradizioni,-  aiuta con criteri derivati dalle proprietà costanti della moli, Pierre Cfr. Labanca, Op. cit.> per le notìzie biografiche o bibliografiche  intorno ai citati critici. Thomasius, Wolff, critica la dottrina dello stato ferino del  Vico chiamandola erronea impiaque e dimostrandola contraria alla metafisica ed alla  storia latina. L'accusa di empietà solle-  vata da Pinetti colpiva non pur Vico, ma quanti ne am-  mettevano la dottrina dello stato ferino. Tra questi DUNI (si veda)  che risponde con acredine. Di qui e offerta a Finetti l'occasione di scrivere l’Apologia, in cui sottopone la Scienza  Nuova a una critica minuta. Ribadisce Finetti la critica  contro lo stato ferino, rimprovera a Vica di intendere la  Provvidenza in un modo non sempre conforme alla teologia  cattolica, di aver disconosciuto il cristianesimo, di aver preferito solo a parole la storia sacra alla  profana, di aver bandito il divino dalla storia. I fatti posteriori rendero giustizia all'oculatezza di Finetti  nel mettere gli studiosi in guardia contro il veleno  tanto più temibile quanto meno avvertito che nella Scienza  Nuota si nasconde. In Vico non e abbastanza rilevato quel  fenomeno di sdoppiamento psicologico a cui ci hanno abituato  i, nostri grandi filosofi e che in Italia e il  mezzo più efficace per sfuggire alle persecuzioni e per conciliare la sincerità della credenza colla libertà del pensiero. Se  non si tien conto di questo fatto la figura di Vico appare  incomprensibile. In lui bisogna tener costantemente distinte  le due figure dell'uomo e del filosofo. Come UOMO Vico e    Finetti e veneto, sacerdote, censore ufficiale dei libri da proibirsi  come contrari alla fede cattolica. Cfr. Labanca. La Eisposta apologetica di Dani. E pubblicata da Finetti sotto il pseudonimo di Filandro  Miaoterio -- cioè amante dell' Mwawo e sprezzante del /mtio. Ricordiamo che  la controversia tra Duni e Finetti si e così allargata in Roma da  originare le due scuole dei ferini e anti-ferini, L’Apologia e passata  inosservata agli studiosi di Vico. Spetta a Labanca l'onore di averla  fatta 'conoscere nel suo contenuto storico -e critico.  -- sinceramente cattolico. La religiosità di Vico risulta non tanto  dalle sue insistenti dichiarazioni fatte nelle opere destinate  al pubblico, quanto dalle lettere private e da alcuni passi  dell’Autobiografia in cui non preoccupato di far pompa delle  sue credenze, manifesta intero l'animo suo. I critici del resto, Finetti stesso, non elevano dubbi al riguardo. Essi si limitano a dire che Vico non puo sempre considerarsi cattolico nelle sue dottrine. Nel distinguere l'uomo  dallo FILOSOFO essi intuirono il vero, e noi dobbiamo seguirli  per questa via premettendo che le accuse e i rimproveri dei  critici si convertono per noi in altrettanti titoli di  onore. A Vico non sfugge il pericolo che a lui e alla dua dottrina  puo derivare dalla critica, e non tralascia occasione per spuntarne gli stral. Ma questi sono abbastanza  acuti per far di lui una vittima della scienza, sebbene, osserva Labanca, non vi e da parte de' suoi critici il deliberato  proposito di esserne carnefici. Dato il temperamento di Vico  non temprato alla lotta, timido e servile al punto di abbandonarsi ad azioni poco dignitose, ad adulazioni convenzionali,  sempre incerto del domani, preoccupato di non perdere le  potenti protezioni da cui trae i mezzi per vivere e gl’aiuti  per pubblicare i suoi saggi, si comprende come la lotta sorda,  persistente dei critici, ben più di quella che possono  movergli i cartesiani, dove esser per lui motivo di continue paure e di tormenti fisici e morali. Essendo scoppiata in Napoli una congiura contro il viceré  Filippo, Vico scrive contro i faziosi l'opuscolo De parthenopea conjuratione. Con l'entrata degl’austriaci in Napoli trionfano le  idee dei congiurati. Vico e pronto a lodare i vituperati. Scrive quattro saggi intorno alle gesta diCarafa  e fa un eroe di un uomo ignobile e odiato universalmente. Vico e molto ammirato ma POCO AMATO da' suoi contemporanei. Le cause de' suoi  dolori sono in parte in lui stesso. Sappiamo che muore di infermità mentale ed e nevrastenico. Nella lettera indirizzata a Giacchi VICO allude chiaramente ai critici quaiido parla di dotti Se si pensa alle miserande condizioni dei liberi pensatori in Italia e Francia, ai pericoli a cui si esponeno, sopratutto in Napoli sotto il governo austriaco, si  comprende lo stato d'animo di Vico, audace nel filosofare,  timido di carattere, portato nelle sue dottrine ad offrire ad un  tempo il fianco all'offesa e alla difesa. Malgrado le dichiarazioni contrarie di Vico, nella Scienza Nuova si trovano i  germi di una profonda rivoluzione nelle scienze morali. Lo  spirito innovatore e implicito nel titolo stesso. Vico aveva  la coscienza di aver fatto opera del tutto nuova, e nuovo e  ricercare del mondo umano le leggi sue proprie di sviluppo,  senza chiederle alla teologia.  Nuovo e rivoluzionario e far del mondo umano autore e fattore l'uomo  ad esclusione del divino. Nuovo e ardito e rintracciare  il vero nelle favole, nei miti, negl’errori della tradizione romana. Nuovo e pericoloso e fare della Provvidenza un principio IMMANENTE, panteistico, nella storia e trasformare la religione in un  mero prodotto storico, derivandola per legge naturale dal timore,  dal bisogno di vivere immortali, dall'istinto delle analogie,  dalla curiosità di spiegare i fenomeni dell'universo ; sopratutto cattivi f % quali colle tinte di una simulata pietà lo oppnmevano, nella stessa  guisa ohe sempre han soluto rovinare coloro ohe hanno fatto- nuove disooverte, Labanca trae argomento dal fatto che i critici  non attaccarono il De Antiquissima per affermare che Vico fa  della metatisica teologica. Secondo noi il silenzio della critica  ha altre caate. Nelle prime opere Vico non usce dal campo filosofico e rende servizio alla causa nel combattere Cartesio, Hobbes,  Locke. Nel De Constantia e nella Scienza Nuova egli invade il campo  dell'erudizione storica sacra e profana, facovasi egli stesso innovatore,  dove suscitare legittimi sospetti da parte di critici abituati a considerare  vero l’antico e falso il nuovo. Basti dire che Muratori per pubblicare un saggio sulla moderazione degli spiriti nelle cose di religione, dove pure confuta l'arminiano  Ledere, e riconosce al principe la facoltà di procedere anche con l'estremo suplicio contro gl’eretici, dove stamparlo in Francia sotto falso  nome: con tutto ciò dice il Ruffini, le diatribe degl’intransigenti gli piovvero addosso e non schiva il temuto indice se non  per il bene, chè gli vuole Benedetto XIV. gravi erano le conseguenze per il dogma dal far derivare il  genere umano da uno stato ferino di isolamento senza religione. Sono pertanto fondati i timori dei critici cattolici e  reali i pericoli da essi affacciati per la causa della fede. Solo  l'abilità di Vico nel trovar espedienti atti a tranquillizzare  gl’animi timorati, a coprire le audacie della sua filosofia, a  dar veste cattolica all'opera sua, solo le protezioni di cui  gode nell'alte sfere del mondo ecclesiastico, e la convinzione ch'e in tutti della sincerità delle sue credenze, solo  la profondità dei concetti e l'oscurità della forma, che toglie popolarità all'opera sua, poterono salvarlo dalle persecuzioni, ma non valeno a far tacere la critica. A due finzioni sopratutto Vico ricorge per temperare l’asprezze dela sua filosofia e garantirsi contro l'accusa d’eresia  e di empietà. Egli pone ogni cura nel dichiarare che la provvidenza concepita come principio trascendente, è l'architetta  del mondo delle nazioni, che queste si svolgono secondo un  disegno eterno preordinato dal creatore e che gl’uomini non  sono che mezzi e strumenti alla attuazione dei disegni divini.  in ciò sembra accogliere il dogma cattolico della divina provvidenza, ma non e che una lustra, poiché alla provvidenza  cosi concepita Vico si affretta a negare qualsiasi azione  diretta e indiretta sulla storia, la quale si svolge ESCLUSIVAMENTE PER OPERA DELL’UOMO conforme alle sue tendenze e alla  sua natura, salvo a fatti compiuti dichiarare che questi sono  in corrispondenza colla volontà del divino. La provvidenza e la  religione ritornano pur di continuo nella Scienza Nuova, ma  in un senso del tutto diverso. La provvidenza perde ogni carattere, teologico, diventa piuttosto, come già ha ad osservare    n Vico dedica la prim e la seconda edizione della  Scienza Nuova a Corsini, che in poi papa Clemente XII, evidentemente allo scopo di crearsi nn potente mecenaterin-  fatti tale dedica conserva quantonqne Corsini, ricchissimo di censo, fin  dalla prima edizione si e scusato presso lui di non potergli fornire :i  mezzi per la stampa, mezzi che Vico si provvide vendendo uà anello.  innelli, la persuasione che gl’uomini hanno del divino su loro :  religione poi perde ogni carattere positivo per divenire il  ko religioso in generale, che stimola e accompagna la cita dei popoli nei loro inizi e prepara nei tempi umani il  onfo della sapienza riposta o filosofica. Nessun accenno tro-  imo a idee intolleranti, neppure per stornare da sé le ire  cattolici. La tolleranza traspira dal concetto largo e mo-  'UO che egli si forma della religione. Vico porta un conbuto prezioso alla causa della libertà religiosa, per quanto  1 apprezzato: egli che invoca la tolleranza per sé la  èva per gl’altri. Altri potè con argomenti e teoriche razionaliste cooperare al trionfo della libertà religiosa. VICO coopera trasportando le questioni religiose dal campo delle  e al campo dei fatti, mostrando l'origine e la formazione  ;urale delle religioni, traendo dai fatti la loro giustifica-  ne, astraendo da qualsiasi forma di religione particolare.  li per tal modo ponevasi da un punto di vista nuovo e che  -èva ingenerare l'equivoco: la veduta storica se lo rese da  lato fautore della religione e del culto nazionale, dall'altro  portava suo malgrado ad escludere dalla storia ogni reli-  ne rilevata : potè quindi fornire argomenti tanto ai fautori  mto agli avversari della libertà religiosa. Dena larghezza di vedute di Vico in fatto di religione fanno prova  stndl da lai fatti dei filosofi protestanti più. avverai alla chiesa catolica, le sue amichevoli relazioni con uomini apertamente fautori della  rtà religiosa come Ledere e Thomasius. Avversò la Riforma  testante per una ragione storica piti che religiosa ; ne condanna le  lenze individualiste, ribeUi ad ogni freno di autorità. Non cre-  mo che Vico sìa stato deciso avversario della tolleranza religiosa  le mostra di credere Ruffini. Tale convinzione Ruffini fonda particolarmente sopra un passo della Seconda Scienza Nuova  3ui Vico dice: € le nazioni, se non sono prosciolte in un'ultima liba di religione, lo che non avviene se non nella loro ultima decadenza,  [) naturalmente rattenute di ricevere dei tadi straniere. Raffini  ima paradossale e mostruoso tale principio e a ragione se Pinterpre-  one da lui data fosse la vera: ma ci sia permesso dubitarne. Il passo  luestione si legge nel libro secondo della Seconda Scienza Nuo^àf e pre- [La seconda finzione a cui ricorse VICO per evitarle inevitabili conflitti coll’EBRAISMO e quella di separare la storia  degl’ebrei da quella dei ROMANI gentili. Alla stessa finzione per lo  stesso motivo hanno fatto ricorso Grozio e Pufendorf.  Il popolo ebreo e considerato dai stessi ebrei come un popolo eletto, la cui  storia si e svolta eccezionalmente sotto la diretta azione del divino ebreo all'infuori delle leggi naturali e ordiiiarie di sviluppo cui erano sottostati i ROMANI Gentili, che formano per altro l'umanità. Là distinzione e accolta ed accentuata da Vico, il quale cisameute là ove Vico tratta dell’astronomia poetica. Premettiamo che il  secondo libro deUa S» S. N» si intitola « Della sapienza poetica » ed è la  ricostrnzione della storia relativa ai tempi favolosi e oscuri. Dopo di aver  discorso della metafisica, della lingua latina, della morale, della vita famigliare  e politica di quest'epoca primitiva, Vico passa a studiarne le concezioni  cosmografiche e astronomiche. L'astronomia poetica assume per Vico  un particolare significato. Essa è la storia religiosa degli antichissimi popoli italici:, gli dei e gl’eroi – ENEA, ROMOLO, SCIPIONE -- sarebbero stati trasportati dalla terra in cielo a  popolarvi i pianeti e le costellazioni, che rispettivamente dagli dei o dagl’eroi prendono nome – MARTE, padre di ROMOLO. Per agevolare la via al ritrovamento dell' aaitronomia  poetica Vico pone alcuni principi filologici e filosofici. Tra questi ultimi  troviamo quello sopracitato, il quale espresso in forma generale e riferito a tutte le nazioni senza distinzione di tempo e di luogo può far credere ad una implicita condanna della libertà religiosa. Ora noi crediaoK)  che in questo passo la religione è considerata da un punto di viata storico e non teologico, e che l'affermazione di VICO, sebbene espressa in  forma generica, vuole essere la constatazione di un fatto storico particolarmente riferito ad epoche primitive. È noto che i popoli primitivi  senza conoscere il dogma della esclusiva salvazione sono gelosissimi delle  loro credenze religiose, considerate come parte di loro stessi e precipui  fattori d’educazione e di unità nazionale. Sappiamo ancora esser stata  convinzione di Vico, assai discutibile del resto, esser le nazioni nella loro  barbarie impenetrabili, e che le infiltrazioni straniere di qualunque natura  né snaturano il carattere e sono elementi di decadenza. Interpretato storicamente il passo di Vico e non come affermazione di un principio teorico  trova fondamento nella storia di tutti i popoli antichi, ai quali del resto  la maggior parte dalle osservazioni filosofiche di Vico devono riferirsi. Certamente non troviamo nelle opere di Vico apertamente proclamato il  principio della libertà religiosa. Ciò del resto non fanno né Doria né  Giannone, i quali, osserva Kuffiui, non osando  esprimere esplicitamente le loro opinioni tolleranti ricorsero all'espediente  di lodare la tolleranza del Komani.  traddire alle nostre tradizioni e alle esigenze del nostro  LO nazionale. Sarebbe stato strano che al sistema di Vico  e mancata in Italia l'opposizione cattolica. Può invece  iar meraviglia il fatto che mancò a Vico in Italia quella  lizione che non manca ad altri capiscuola all'estero. Bi-  la per altro non dimenticare che l'Italia sopporta le  ^eguenze della duplice secolare servitù politica e religiosa,   il risveglio delle coscienze e delle menti alla vita mo-  ia manca in Italia quasi affatto nel seicento, e lento e  trastàto, e segui sotto lo stimolo di in^u^  inieri che traviarono l'intelletto italiano dalle sue naturali  iizioni. Queste però, sebbene deboli e incerte, si conservano,  3po Vico noi le possiamo rintracciare sia nelle dottrine  ora asservite alla tradizione scolastica, sia nelle dottrine  )irate agli influssi stranieri.   a dottrina di Vico trova i seguaci più fedeli.  . essi ricordiamo Stellini e Duni. Stellini svolge  3ndo il metodo e il concetto di Vico la filosofia morale,  >uni la filosofia giuridica: malgrado le loro credenze sin-  imente religiose cercano entrambi dei fatti etici e giuridici la formazione naturale, movono dallo studio dell'uomo  le appare all'osservazione psicologica e storica all'infuori  qualsiasi premessa dogmatica e religiosa. Duni è l'autore di un intero sistema di filosofia giuridica  quale le dottrine di Vico si riproducono chiare e or-  ite Vico ha posto nella vis veri il comun fonda-  ito delle scienze morali. Già FINETTI ha acutamente  jrvato che non il vero in genere, ma il vero in ispecie,  le naturalis ordo rerum deve assumersi a fondamento del     ) Per ciò ohe rigaarda STELLINI e la saa dottriua morale cfr. nostro  'oblema morale Torino, Bocca, Dani nato a Matera e professore a Roma. Tra i suoi saggi ricordiamo il Saggio sulla  spradenza universale e la Scienza del oostu^e ossia sistema df  io universale diritto universale. Di questa critica del Finetti risente la  distinzione stabilita da Duni tra vero matematico, metafisico,  morale. Non il vero in genere, ma quella forma speciale di  vero che dicesi morale è il fondamento del diritto universale,  che è la scienza del costume ossia della condotta umana  largamente intesa., Sul vero morale si fondano l'etica e il diritto. Duni nel porre il criterio di distinzione tra morale e diritto, riproduce sostanzialmente la dottrina di Vico. Questi  deriva la morale dall'interno sentimento del pudore, il  diritto dallo svolgersi e dall'estrinsecarsi della libertà.  Duni  non usa i termini pudore e libertà, ma ricorre alle espressioni equivalenti, ma più generiche e comuni, di ONESTA – H. P. GRICE, “am honest chap” --  e di  giustizia. L'onesto è il vero morale riferito alla condotta interiore dell'individuo. Il giusto è il vero morale riferito alla  condotta esterna dell'uomo in quanto fa parte della società. L'uno non esce dall'individuo, l'altro SUPPONE IL CONSORZIO SOCIALE – cf. Grice, breakdown of relevance. L’uno si risolve nell'equilibrio delle facoltà umane e  nella purezza dell'intenzione, l'altro nella retta distribuzione  tra gl’uomini de' vantaggi e delle utilità. Non vi è dubbio  che Duni iutese chiaramente il rapporto tra morale e  diritto. Ma forse ne accentua troppo l'opposizione, mentre Vico insiste piuttosto sulla loro coordinazione e accanto al  pudore che è un fatto di coscienza pone il costume che è il  fatto etico COLLETTIVO che prepara ma non costituisce ancora  il fatto giuridico. Non crediamo che DUNI interpreta esattamente  il concetto di VICO facendo derivare il diritto delle genti da  quelle antichissime costumanze che si andarono formando durante l’età patriarcale per l'autorevole e sovrana volontà dei  padri di famiglia e che si incontrano pressoché uniformi in   Cfr. Finetti, ediz. di Venezia, C£r. Duni, Scienza del costume, ed. napoletana, Cfìr. QcU rapporto tra ^iuatp e onesto. Punì, Op. cit.^ lib, 11^ e. vil^ .-•-TT VavVy     -Sla-  tti i popoli. Formatesi colle città le società civili, tali coimanze modificate e adattate alle speciali condizioni di  npo e di luogo avrebbero costituito il diritto civile,  [n altre parole secondo Duni il diritto di natura è il diritto filosofico quale appare alla mente rischiarata dal vero,  Q ottenebrata dagl’afletti e dall'errore. Il diritto delle genti  il diritto civile sono formazioni storiche rispondenti ai due  idi di aggregazione sociale della famiglia e della città. Il  itto poi civile svolge l'equità naturale e la civile, di cui  na si ispira al privato interesse l'altra al pubblico. Nel  ni le dottrine e i principi di Vico diventano famigliari  iccessibili alle menti meno colte. È doveroso riconoscere  e le sorti di Vico in Italia sono stret-  nente legate al nome di Duni. Nei saggi, dalla cattedra  Roma per Duni tenne desto il  Ito e la tradizione di VICO negli studi giuridici. Cattolico  li stesso potè con tanta maggior efficacia difenderne la memoria e i saggi contro i cattolici intransigenti, frustrandone  secreto desiderio di far condannare come eretiche e peritose le opere di VICO. Egli fa opera più di avvocato  e di critico. E più amante di Vico che della verità. Ma  si tien conto delle tristi condizioni in cui versavano le  enze morali e giuridiche in Italia, minacciate dalla reazione cattolica da un lato.  He influenze materialiste francesi dall'altro, l'opera di Duni  'Otta a far conoscere nella sua genuina purezza le dottrine  l VICO e a salvarle dalle conseguenze di una condanna ecleisiastica non può a meno che essere altamente apprezzata. La formazione storica del diritto deUe geùti e civile è argomento. Duni, Sopra accennammo alla polemica tra Duni e FINETTI in ordine allo  bo ferino. Qui ricorderemo che la Biaposta apologetica di Duni e stama con l'approvazione del Giorgi, professore di scrittura a Roma e di Nerini, consultore del Santo Officio. Si voUe così dare una  3ntita ufficiale a Finetti, il quale non volle perciò apparire l'autore  la Apologia che pubblica con altro nome. Quando in Italia e sopratutto  in Napoli gli ingegni subivano il fascino degli enciclopedisti,  la tradizione di VICO impede l'asservimento completo della nostra filosofi. Liberi pensatori come PAGANO, FILANGIERI, e CUOCO trassero dalla scienza nuova gl’elementi  più originali e duraturi dei loro saggi.  Se non può pertanto sostenersi che la tradizione di VICO sia stata svolta e apprezzata al suo giusto valore in ITALIA,  non può neppure ammettersi che e andata perduta. LA FILOSOFIA ITALIANA ondeggia incerto tra  la tradizione spiritualista e gl’indirizzi di origine straniera  del sensismo, dell'hegelianismo, del positivismo. Ma è notevole  il fatto che dai seguaci delle scuole più diverse l'autorità di Vico e invocata in appoggio dei loro sistemi e da tutti VICO  e considerato come il rappresentante di un indirizzo di filosofia ESSENZIALMENTE ITALIANO. L'età classica dei capiscuola e dei sistemi di diritto  naturale si chiude con VICO, la cui dottrina se da un lato è  in rapporto colle correnti della filosofia dell'epoca,  dall'altro lato per gl’elementi storici é psicologici, di cui si arricchisce, preannunzia sistemi e indirizzi venuti in onore  in tempi posteriori. Ben può dunque VICO considerarsi un  gigante della filosofia^ una mente comprensiva che della realtà  vide gl’aspetti più diversi e seppe fonderli, unificarli in una  dottrina che per i tempi in cui sorse può veramente chiamarsi  nuova. L'importanza di Vico sta nell'aver posto a fii^eno e a  guida della speculazione filosofica la realtà, o il fatto, come  egli dice, nell'aver intuito il metodo proprio delle scienze  morali, nell'aver dato alla sua speculazione il fondamento saldo  della psicologia e della storia, nell'aver analizzato l'uomo in  se e nella sua natura socievole, nell'aver tratto da elementi  disparati e opposti un sistema che ha tutti i caratteri di una  sintesi filosofica, storica, e sociale. Per questo l'opera sua presenta in sommo grado i caratteri della modernità e perennità .  della modernità in quanto anticipa sull'indirizzo storico, so«  - àu - ologico, psicologico nello studio dei fatti morali; della perenta in quanto a' suoi insegnamenti l'intelletto umano ritorna mpre dalle estreme, eterne aberrazioni dell'idealismo e del lalismo. I^a SGixoim del dlfltto t^atUfale  Qe^sUol tappotti coiriliafx)li7lSfX)o e col l^aiftlsf^o.  Origine, sviluppo e caratteri deU'Iuazninisino. La scnola  del diritto naturale nei suoi rapporti coll’illaininiBnio. L'illuminismo in Francia e suoi caratteri.  L'Illuminismo in Germania e l'opera dei  giuristi. L'IUuminismo in Italia e suo carattere generale. La  scuola del diritto naturale nei suoi rapporti ooUa dottrina giuridica di  Kant. La scuola del diritto naturale rappresenta una nuova  ientazione filosofica in ordine ai fenomeni giuridici e  ciali. Essa e l'opera di filosofi seppe contrapporre alle istituzioni che avevano per sé la  rza dell'autorità e della tradizione le armonie ideali di una  ta conforme alla natura delle cose, ossia ai principi univerli e immutabili della ragione. A questo rivolgimento filosofico si aggiunge per opera  m di filosofi, ma di pubblicisti, letterati, uomini di Stato, un  svolgimento delle coscienze, espressione di un nuovo modo di  nsiderare il mondo sociale e morale, noto sotto il nome d’illuminismo. Tra l'Illuminismo e la Scuola del diritto naturale  rrono stretti rapporti, ma anche profonde differenze. Agli  opi di questo saggio basta affermare che l'Illuminismo è i fenomeno assai complesso, risultante d’elementi diversi,  sieme fusi e diretti ad uno scopo ultimo di riforma sociale  politica. L'illuminismo non può considerarsi una filiazione tè. Non deve sembrar strano il nome di razionalisti applicato ai principali rappresentanti deirilluminismo. Tale nome  è giustificato per due motivi : anzitutto perchè le manifesta-  zioni più spiccate del materialismo presentano tutti i caratteri di costruzioni razionali, nelle quali la  fantasia e il ragionamento suppliscono spesso la insufficienza  e la scarsità dei dati di fatto oflferti dalle scienze ancora in  formazione r in secondo luogo perchè le idealità sociali e giu-  ridiche, che la scuola del diritto naturale aveva elaborato,  rivivono nell'epoca dell'Illuminismo e ne costituiscono il fattore aprioristico e razionale. L'origine contrattuale della società e dello Stato, i concetti dell'uomo e della società di natura  rappresentano il contributo che la scuola del diritto naturale  arrecò all'Illuminismo. Tali concetti che negli scrittori del  diritto naturale rispondevano essenzialmente ad una esigenza  razionale, negl’enciclopedisti ricompaiono arricchiti di un  contenuto sentimentale, in forma poetica e attraente acqui-  stando per questo solo una efficacia pratica che prima non avevano. Nell'illuminismo pertanto venivano a convergere tutte le  diverse correnti della speculazióne filosofica e scientifica e assieme fuse vennero a costituire una  nuova più vasta corrente a intenti di riforma e di trasformazione morale, religiosa, politica, sociale. La chiesa e lo stato, le due iorze maggiori che da secoli tenevano soggiogati  gli spiriti e ne impedivano ogni libera espansione furono prese  di mira: da un lato le premesse materialiste, gli stretti rap-  porti col progresso e le applicazioni delle scienze naturali  rendevano l'Illuminismo antireligioso e nelle sue ultime conseguenze ateo; dall'altro lato le concezioni dello stato di natura e del contratto sociale battevano in breccia le teorie  del diritto divino, nonché il fondamento dei governi assoluti.  Il materialismo esplicò la sua influenza sovvertitrice nel campo  religioso e morale : la scuola del diritto naturale scosse le basi  tradizionali dell'autorità e dello Stato. Se si aggiunge che ài?-   l'Illuminismo non fu solo movimento di idee m;  sentimenti, che si distinse per la sua cieca fede i  del sapere, nella trasformazione della società per  scienze, nelle energie inesauribili dell'uomo, fati  creare a sé stesso i suoi propri destini, si com  esso in sé racchiudesse tutte le condizioni per  l'antico regime e preparare le condizioni della v   L'Illuminismo è un fenomeno generale del t  ovunque i popoli si destano ad una vita nuova, 1  lavoro e dalla scienza, . ovunque si acquista cosi  de' propri diritti e si avvertono i sintomi di un;  rispondente agli ideali di giustizia e di prosperiti  e sociale, il fenomeno dell'Illuminismo' appare,  tutti i paesi si presenta cogli stessi caratteri.   La Francia fu la patria dell'Illuminismo e da ei  in altri paesi sopratatto in Germania e in ITALIA,  in Francia l'Illuminismo si svolge co' suoi carati  cali, ci si presenta completamente sviluppato. F  cipio del secolo XVIII in Francia lo scetticisr  Bayle aveva distolto le menti dal passato pre  ad accogliere teorie più consentanee ai tempi. A  fase di scetticismo dissolvitore , di critica nega  il periodo in cui le più elette intelligenze si fa  dere le dottrine scientifiche e filosofiche dell'Ing  è considerata la terra della libertà e del progres;  le sue forme. A questa fase risalgono i rapporti  tra la Francia e l'Inghilterra, gli scritti polemici  diretti a far trionfare in Francia il sistema di  pera del Montesquieu intesa a far conoscere  politiche e costituzionali inglesi. In un terzo  luminismo entra in una fase costruttiva; abl  lato col La Mettrie e col Cabanis i primi 1  trarre la vita intellettuale e morale dal sustra  e fisiologico dell'uomo, dall'altro col Condillac  derivare dal senso la vita dello spirito; più tar  abbozza un sistema morale informato all'egoismo e al pre-  supposto dell'uomo preoccupato solo della propria felicità:  da ultimo il barone d'Holbach in un'opera che fu il codice  la bibbia del materialismo riduce a sistema le leggi del mondo fisico e morale. £ parallelamente  a questa concezione naturalista e meccanicista del mondo e  della vita vediamo per opera del Diderot, del Rousseau, del  Morelly, del Mably risorgere la fede in uno stato di natura,  sinonimo di moralità e di felicità, vediamo l'opera della ragione  e della volontà invocata a dar origine e svolgimento alla  società e allo stato. E quest'ultima corrente di natura ideale  e che aveva per se l'autorità di quasi due secoli di speculazione, più consentanea alle tendenze razionaliste di un'epoca  per la quale le concezioni materialiste erano premature, finì  per prevalere e per dare al movimento illuminista quel carat-  tere ideale e razionale nel quale si manifesta nella rivoluzione  francese. In Germania l'Illuminismo francese penetrò per l'influenza personale di Federico il Grande, la cui corte divenne  il ritrovo geniale delle più elette intelligenze dell'epoca. Il favore che il grande uomo di stato dimostrò per il movimento di  idee sorto dall'Illuminismo rispondeva oltreché a un bisogno  della mente, ad un alto disegno politico. Preoccupato della  rigenerazione intellettuale e morale del suo popolo Federico  il Grande comprese come l'avvenire di esso dipendeva dal  grado nel quale avrebbe partecipato alle nuove correnti di  pensiero. Ma astraendo dalle tendenze e dalle vedute politiche  personali di Federico II devesi riconoscere che il materialismo inglese e francese non trovò accoglienza in Germania,  né prevalse contro l'idealismo spiritualista che poneva capo  al Leibnitz (I), per quanto non si possa negare che anche la  speculazione del Leibnitz e del Wolflf informata all'eudemo- [Cfr* Lange, Hietoire du matérialisme, Paris gli studiosi delle scienze giuridiche ed economiche, i quali  possono trovare in ITALIA l’attuazione anticipata di quelle ri-  forme legislative e finanziarie che altrove furono provocate  dai torbidi rivoluzionari. E bisogna riconoscere che in Italia  i principi meno stretti alla tradizione, più a contatto col po-  polo seppero attuare quanto dì meglio T illuminismo in sé riu-  niva spontaneamente, con perfetta coscienza, senza attendere  la pressione degli avvenimenti. Nello studio poi deirillumi-  nismo italiano non può trascurarsi un elemento non derivato  dal di fuori ma del tutto nostro, la tradizione cioè del pensiero del Vico, che si rivela, come già accennammo, in tutte  le opere uscite dalle menti più elette dell'epoca e che senza  dubbio concorse a dare un indirizzo pratico, un fondamento  più saldo, una fisionomia particolare all'Illuminismo italiano.   Ma l'argomento da noi appena sfiorato dell'Illuminismo ita-  liano merita per la sua importanza una trattazione speciale,  e qui non si voleva che richiamare l'attenzione sul carattere  generale ch'esso presenta e per cui si distingue dall'Illuminismo francese e tedesco. La scuola del diritto naturale non ha solo stretti  rapporti coll'Illuminismo ma rientra come elemento integrante  nel nuovo indirizzo filosofico che si personifica in Kant. Il kantismo se fu per il suo stesso carattere critico  una reazione contro la speculazione filosofica dei secoli XVII  e XVIII, rappresenta d'altra parte uno svolgimento di quelle  idee che la scuola del diritto naturale aveva in due secoli  elaborato. Il carattere di reazione si rivela sopratutto nella  parte teoretica della speculazione kantiana. La critica della  conoscenza e della ragione umana nella ricerca del vero, che  il Kant considerava come il problema fondamentale della filosofia, era implicitamente la critica e la condanna di tutti  i sistemi usciti dalle diverse scuole filosofiche, nessuno dei  quali aveva rispettato quei limiti oltre i quali la ragione  umana non può conoscere il vero. Per questa parte il Kant  si contrappone al passato e apre vie nuove alla speculazione Stato nei suoi rapporti coirindividuo e a stabilire quella   d'interiorità che deve considerarsi interamente sottratta  alsiasi coazione esteriore e da cui si originano i cosi   diritti soggettivi dell'uomo e del cittadino. concezione stessa di un diritto naturale non è abban-  ta dal Kant, ma è solo presentata sotto un diverso aspetto,  non cerca il fondamento del diritto naturale nella esperà e nell'osservazione empirica dell'uomo come l'Hobbes pure nell'autorità e nell'universale consenso come Grozio,  iella ragione stessa, e riduce tutta la scienza del diritto cognizione sistematica del diritto naturale. Da ultimo  nò che riguarda il concetto e le funzioni dello Stato, il  ; se non si foggiò uno stato di natura, vagheggiò certo  stato di ragione, ossia uno stato che i moderni chiame-3ro piuttosto di diritto, non avente altro scopo all'infuori  lello di garantire il diritto ossia di assicurare l'accordo   libertà. Che se un siffatto concetto dello Stato non può  >ndersi collo Stato sognato dagli Illuministi e dai giusnalisti, che ha per fine la felicità e il perfezionamento dei  dini, non vi è dubbio che nei due casi il metodo seguito  jostrurlo è identico e lo Stato giuridico di Kant è una  uzione altrettanto astratta e arbitraria quanto è più   dello Stato paterno di Thomasius e di Wolff. Sotto  atto pertanto del metodo seguito, dei risultati ottenuti  lobbiamo considerare la dottrina giuridica del Kant un  pale svolgimento della dottrina elaborata dagli spiriti  linati, che in Germania all'epoca in cui  I Kant, si confondono coi seguaci della scuola del diritto  pale. Hóbhes e l’indirizzo empirico nelle scienze  morali Bacone e sua posisione nella storia del pensiero  Bacone e le scienze morali Etica e scienza civile in Bacone Il metodo di Hobbes Hobbes e  i suoi tempi. Sistema etico -^inridico di Hobbes. Il  rapporto tra morale e diritto in Hobbe<t L'opposizione  a Hobbes : Cnmberland Locke e i snoi tempi Morale e diritto in Locke Da Locke a Home Hnme  ei snoi tempi Filosofia di Hnme Rapporto tra  morale e diritto in Hnme Smith e sna importanza  Sistema etico-ginridioo di Smith L'indirizzo cartesiano nelle scienze morali .Cartesio e l'epoca sna Cartesio e le scienze  morali. Malebranche e l'indirizzo spiritualista-cartesiano  nelle scienze morali L'Olanda <o il sistema etico-giu-  ridico di Spinoza. Le condizioni politiche e religiose  della Germania La dottrina etico-giu-  ridica di Leibniz L'opera metodica del Wolff Parallelo tra riudirizzo filosofico e giuridico nelle scienze morali. Vico e le scienze etico-giuridiche in Italia .Condizioni generali d'Italia Galileo e la filosofia naturale Gli stndl giuridici e  il rinnovamento della filosofìa in ItaliaVicende degli  studi giuridici iu Italia Gli stndl giuridici in Napoli giureconsulti pratici  n progresso degli studi giuridici in Napoli: giureconsulti eruditi : d'Andrea e  Gravina. La Vita Civile di Dorìa Risveglio  filosofico in Napoli. Posizione di Vico in ordine agli indirizzi filosofici del suo  tempo Vico contro Cartesio e la questione del metodo  nelle scienze morali Il criterio della verità nel Vico Vico e gli studi giuridici La filosofia del diritto  nel Vico Il rapporto tra morale e diritto Il  diritto nella sua formazione storica Diritto e scienza  sociale Le sorti di Vico e i critici cattolki Se-  guaci di Vico: Stellini e Dnni La Scuola, del diritto naturale ^ne' suoi rapporti   coli' Illuminismo e col Kantismi .Origine, sviluppo e caratteri dell'Illuminismo La scuola del diritto naturale nei suoi rapporti coll'Uluminismo L' Illuminismo in Francia e suoi caratteri  L' Illuminismo in Germania e l'opera dei giuristi L'Illuminismo in Italia e suo carattere generale La  scuola del diritto naturale nei suoi rapporti colla dottrina  giuridica di E. Kant.  Gioele Solari. Solari. Keywords: roma antica, Giorgio Guglielmo Federico Hegel, Spaventa, hegelianismo, iustum/iussum – storia della filosofia del diritto romano – cicerone; diritto naturale, IVS NATVRALE, Gaio, citato da Vico, Giustiniano, diritto romano in eta del principato, IVS GENTIVM, IVS VNIVERSALI, sato di natura, i ferini di Vico, il metodo pirotologico di Grice – ri-costruzione razionale, Bennett, significato naturale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Solari” – The Swimming-Pool Library. Solari.

 

Grice e Soleri: la ragione conversazionale ed implicatura conversazionale -- funzionalità veritativa dei connettivi – la scuola di Macra – filosofia piemontese. filosofia italiana – Luigi Speranza (Macra). Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Macra, Cuneo, Piemonte. Studia a Milano sotto OLGIATI. Insegna a Saluzzo. Saggi: Il problema metafisico del male, Sapienza – cf. Grice, Ill-will; Inevitabilità e decisività del problema teologico; La proprietà, S.E.I. Torino; TELESIO, La Scuola, Brescia, LUCREZIO, La Scuola, Brescia, ANTONINO, La Scuola, Brescia; L'immortalità dell'anima, S.E.I., Torino; Economia e morale, Borla, Torino; Essere, atto, valore; Il problema del valore, Morcelliana, Brescia, Incisività e decisività del problema teologico, Studia Patavina, Orizzonte della metafisica”; Ettore, “S.” (Saluzzo). Ettore Soleri. Soleri. Keywords: Telesio, Lucrezio, Antonino, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Soleri” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Somenzi: la ragione conversazionale del naturale, l’innaturale, il sovranaturale, ed il trasnaturale – la scuola di Redonesco -- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Redondesco). Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Redonesco, Mantova, Lombardia. Ufficiale meteorologo dell'aeronautica. Partecipa alla Resistenza, lavora all'ufficio studi dello stato maggiore. Si divide tra la carriera militare e quella accademica, optando infine per la cattedra di filosofia a Roma. Tra i suoi allievi vi e CORDESCHI. Partendo da un interesse per l'operazionismo, dirige i suoi studi teorici alla cibernetica ed e tra i primi a interessarsi di intelligenza artificiale e a studiare i rapporti mente-cervello e mente-macchina.  Saggi: La filosofia della scienza, Milano, Bocca, La meccanica quantistica, Milano, Bocca – H. P. Grice, the quantum; L' operazionismo, Milano, Comunità; La scienza nel suo sviluppo storico, Torino, ERI; Automi, Torino, Boringhieri; Tra fisica e filosofia, Donolato, Abano Terme, Piovan; La materia pensante, Milano, CLUP Città Studi. Rainone, Enciclopedia Italiana, riferimenti in. Saggi in onore, Roma, Union Printing, antologia e testimonianze, Mantova, Fondazione Banca agricola mantovana, Cibernetica Intelligenza artificiale  Rainone, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Un maestro del domandare, di Cd Del Bello, da Giano, sito Metodologia. Filosofo al servizio della scienza, Corriere della Sera Archivio storico. Vittorio Somenzi. Somenzi. Keywords: naturale, sovranaturale, Grice, Metaphysics in Pears, The Nature of Metaphysics. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Somenzi”. 

 

Grice e Sorano: la ragione conversazionale -- TVTELA IVPPITER OMNIPOTENS REGVM RERVMQVE DEVMQVE PROGENITOR GENITRIXQVE DEVM DEVS VNVS ET OMNES -- Roma antica – Roma – la scuola di Sora – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sora) Filosofo italiano. Sora, Frosinone, Lazio. Magistrato romano. Muore a Roma, gens Valeria, tribuno della plebe, politico romano. Originario di Sora, poeta e grammatico latino e tribuno della plebe durante la repubblica romana, soprattutto noto per essere stato giustiziato da Gneo POMPEO (si veda) per ordine del dittatore Lucio Cornelio SILLA (si veda), ufficialmente per aver pubblicamente rivelato il nome segreto della città di Roma, che avrebbe potuto essere utilizzato nel rituale di evocatio da parte dei nemici, ma probabilmente anche per ragioni politiche, dato che è legato alla fazione di Caio MARIO (si veda). Cichorius, Zur Lebensgeschichte des S., Hermes, Journal of Philology, Oxford Latin Dictionary, voce "S.”. Martino, L'identità segreta della divinità tutelare di Roma: un ri-esame dell' affaire S., Settimo Sigillo, Roma; Onorato, Commentario sull'Eneide. Denique tribunus plebei quidam S., ut ait VARRONE (si veda) et multi alii, hoc nomen ausus enuntiare ut quidam dicunt raptus a senatu et in crucem levatus est ut alii metu supplicii fugit et in Sicilia comprehensus a praetore praecepto senatus occisus est. Perseus. Servii Grammatici qui feruntur in VIRGILIO carmina commentarii, cur. Thilo e Hagen, Teubner, Hinard, Silla, Salerno. Opere su Musisque Deoque, PHI Latin Texts, Packard Humanities, Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Politici romani Politici romani. Morti a Roma Persone giustiziate. Forse segue la scuola del portico. CICERONE fa chiamare, da CRASSO, litteratissimum togatorum omnium. E in stretti rapporti con CICERONE e con VARRONE. Partecipa attivamente alla vita politica ed e tribuno della plebe. Fugge in Sicilia ove POMPEO lo fa giustiziare. Poco rimane di lui, sicchè è difficile apprezzare la sua attività filosofica. Certamente si occupa di storia letteraria e di grammatica. Dedica a Publio SCIPIONE (si veda) Nasica un saggio che non si sa se e in prosa o in versi. Compone Epoptides, che contiene principalmente interpretazioni allegoriche di nomi. II esametri che sì ricordano di S. hanno pensare al pan-teismo mmanente idel Portico e probabilmente sono inclusi in un tratatto sulla natura. From the Latin town of Sora, S. is a many-sided and esteemed philosopher in the department of linguistic and antiquarian research, and a precursor of VARRONE, who, like him, often employs the metrical form. CICERONE, de or. CRASSO says: nostri (the Romans themselves) minus student litteris quam Latini. Notwithstanding (he says) the most uneducated native Roman easily surpasses litteratissimum togatorum omnium, S., lenitate vocis alque ipso oris pressu el sono. VARRONE knows S. personally and often refers to him as a weighty authority; cf. Gell. VARRONE, questioned by Ser. Sulpicius concerning the favisae capitolinae, confesses that he knows nothing about the origin of the word, sed S. solitum dicere, etc. Lingua Latina. apud S.: vetus adagio est, o P. SCIPIONE. From this he appears to have been a contemporary of ACCIO, and it becomes probable that he is the same Valerio whom VARRONE quotes in Lingua Latina: Valerius ait. Accius Hectörem nollet facere, Hectora mallet,' further Scrupipedas dicit. Valerius a pede acscrupea. He must also be identical with the expositor of the XII tables of the same name. II hexameters of Portico character on GIOVE as the one and highest god ap. AGOSTINO In. civ. Dei, cf. Mythogr. Vat. Bode: in han sententiam eliam quosdam versus S. exponit idem VARRONE in eo libro quem seorsum ab istis de cultu deorum scripsil. PLINIO NH. praef.: hoc ante me fecit (viz. to add a table of contents to a book) in litteris nostris S. in libris quos irontidor inscripsit. His two sons, Quintus and Decimus, are called by CICERONE -- Bruto -- vicini et familiares mei, non tam in dicendo admirabiles quam docti et graecis litteris et latinis. PRE. Distinct from the litteratissimus togatorum omnium is tribunus plebei quidam S., who divulges the secret name of Rome and is punished with death by order of the Senate (V. Anno ap. Serv. Aen.; cf. PLINIO. NH. PLOT. qu. rom., EvLEUTsCH, Phil. S. THAT one was a poet, grammarian, and tribune of the people in the Roman Republic. He is executed while SULLA is dictator, ostensibly for violating a religious prohibition against speaking the arcane name of Rome, but more likely for political reasons. The cognomen S. is a toponym indicating that he is from Sora. A single elegiac couplet survives more or less intact from his body of work. The two lines address GIOVE as an all-powerful begetter who is both male and female. This androgynous, unitarian conception of deity, possibly an attempt to integrate the Porch and Orphic doctrine, makes the fragment of interest in religious studies. S. is also credited with a little-recognised literary innovation. PLINIO maggiore says that S. is the first philosopher to provide a table of contents to help readers navigate a long essay S. Is admired for his learning by CICERONE. CICERONE has an interlocutor in his “De oratore” praise S. as “most cultured of all who wear the toga,” and Cicero lists him and his brother Decimus among an educated elite of socii et Latini – i. e., those who came from allied polities on the Italian peninsula rather than from Rome, and those whose legal status is defined by a LATIN right rather than a full ROMAN citizenship. The municipality of Sora is near Cicero's native Arpinum, and he refers to the Valerii Sorani as his friends and neighbours. S. is also a friend of VARRONE and is mentioned more than once in that scholar's multi-volume work on the Latin language. The son of S. is thought to have been the Quintus Valerius ORCA, who was praetor. ORCA works for Cicero's return to public life and is among Cicero's correspondents in the Epistulae ad familiares. CICERONE presents the Valerii brothers of Sora as well schooled in literature, but less admirable for their speaking ability. As Italians, they would have been lacking to Cicero's ears in the smooth sophistication or urbanitas and faultless pronunciation of the best NATIVE ROMAN orators. This attitude of social exclusivity may account for why S., whose scholarly interests and friendships might otherwise suggest a conservative temperament, would have found his place in the civil wars on the side of the popularist MARIO rather than that of the patrician SULLA. It may also be noted that CICERONE's expression of this attitude is double-edged. Like MARIO and the Valerii Sorani, CICERONE is also a man from a municipium, and has to overcome the same obstructing biases that he adopts and expresses. In the year of his death, S. is or has been a tribunus plebis, a political office open only to those of plebeian rather than patrician birth. The fullest account of the infamous death of S. is given by SERVIO, who says that he is executed for revealing the secret name of Rome. The tribune S. dares to disclose this name, according to VARRONE and many other sources. Some say he is hauled in by the senate and strung up on a cross. Others, that he flees in fear of retribution and is apprehended by a praetor in SICILIA, where he is killed by order of the senate. SERVIO's account presents several difficulties. Crucifixion is a punishment generally reserved for a slave. Valerio Massimo, a historian in the principate, reckons that the punishment should not be inflicted on those of Roman blood ‘even if he deserved it.’ Moreover, a tribune's person is, by law, sacro-sanct. Finally, it is unclear whether the X tribunes should possess the knowledge of Rome's secret name, or in what manner S. publicises it. Among sources earlier than SERVIO, both PLINIO MAGGIORE and Plutarco note that S. is punished for this violation. It has been suggested that the name is revealed in his one work for which a title is known -- the “Epoptides”. The title, if interpreted as it sometimes is to mean tutelary deities, offers an apt context. But elsewhere SERVIO — so too MACROBIO — implies that the name remains unrecorded. S. has been identified with the Q. Valerius, described as a philologos and a philomathes, whom Plutarch says is a supporter of MARIO. This man is put to death by POMPEO in SICILIA, where he would have accompanied Carbo, the consular colleague of the recently murdered Cinna. Carbo is executed by Pompeo. Cichorius publishes an essay that organises the available evidence for the life of S. and argues that his execution is a result of the Sullan proscription. The view of his death as politically motivated prevails among scholars:  His death is thus the result of being proscribed as a supporter of MARIO, and has nothing to do with religious issues of any kind. At the same time, we know that S. writes essays of a religious-antiquarian kind, as well as verse, and is often cited by VARRONE. This link with VARRONE must be the reason for associating the revelation of Rome's secret name with S.’s violent death, for, as we saw, it is VARRONE whom SERVIO cites as his authority for linking the death with the revelation. But if VARRONE originates the story, his reasons are hard to tease out of the roiled politics of the Republic. Although VARRONE is the friend of S., in the civil war he is on the side of the Pompeians. GIULIO CESARE however, not only pardons VARRONE, but gives him significant appointments. The biases of the contemporary sources are not lost on Plutarch in his account of the killing. Furthermore, GAIO OPPIO, the friend of GIULIO CESARE, says that POMPEO treats S. also with unnatural cruelty. For, understanding that S. is a man of rare scholarship and learning, when he is brought to him, OPPIO says, POMPEO takes him aside, walks up and down with him, asks and learns what he wishes from him, and then orders his attendants to lead him away and put him to death at once. But when OPPIO discourses about the enemies or friends of GIULIO CESARE, one must be very cautious about believing him. Speaking the name could be construed as a political protest and also an act of treason, as the revelation would expose the tutelary deity and leave the city unprotected. This belief rests on the power of utterance to call forth the deity – evocation -- so that an enemy in possession of the true and secret name could divert the divine protection to themselves. The intellectual historian of the Republic Rawson ventures cautiously that S.'s motive remains unclear, but may have been political. More vigorous is the view of ALFONSI, who argues that S. reveals the name *deliberately* so that -- superstitious as S. is --  his Italian municipality of SORA could appropriate it and break Rome's monopoly of power. Another interpretation of these events, worth noting despite its fictional context, is that of historical novelist McCullough, who melds political and religious motives in a psychological characterization. In Fortune's Favorites, McCullough's S. screams aloud the arcane name because the atrocities committed during the civil war renders Rome unworthy of divine protection. Rome and all for which she stands should fall down like a shoddy building in an earthquake. S. himself believes that implicitly. So having told air and birds and horrified men Rome's secret name, S. flees to Ostia WONDERING why Rome still stands upon her seven hills. The single couplet that survives from S.’s vast work as a poet, grammarian, and antiquarian is quoted by AGOSTINO in the De civitate Dei to support his view that the tutelary deity (DEITAS, DIVINA) of Rome is the Capitoline Jupiter (GIOVE CAPITOLINO): -- IVPPITER OMNIPOTENS REGVM RERVMQVE DEVMQVE PROGENITOR GENITRIXQVE DEVM DEVS VNVS ET OMNES.The syntax of S’s couplet poses difficulties in attempts at interpretation, and there may be some corruption of the text. It seems to say something like Jupiter all-powerful, of kings and things, and of gods, the progenitor and the genetrix of gods, god that is one and all. AGOSTINO says that his source for the quotation is a work on religion by VARRONE, with whose conception of deity AGOSTINO argues throughout De civitate Dei. The view of VARRONE, and presumably of S., is that GIOVE represents the whole universe which emits and receives semina, encompassing the generative powers of earth the mother as well as sky the tather. This unitarianism is a concept of the PORTICO, and S. is usually counted among the members of the Porch of Rome, perhaps of the contemporary school of Panezio. The unity of opposites in the deity, including divine androgyny, is also characteristic of Orphic doctrine, which may have impressed itself on the Porch. The couplet may come from the Epoptides. The title is mentioned only in PLINIO, and none of the known fragments of S. can be attributed to this large-scale work with certainty. S.’s innovation in providing a table of contents  — most likely a list of capita rerum — suggests that the Epoptides is an encyclopedic or compendious saggio Alternatively, the Epoptides may have been a long didactic treatise on nature. S. is known to have written didactic poetry and is likely to have been an influence when LUCREZIO choses verse as his medium for a  philosophical subject matter such as nature is. The most extensive argument regarding the Epoptidesis is that of Köves-Zulauf. Much of what can be conjectured about the work derives from the interpretation of its title. The verb “ἐποπτεύω” has the basic meaning of to watch, to oversee, but also, literally, to become an ἐπόπτης, or initiate -- Epoptides -- the highest grade of initiate at the Eleusinian mysteries. Köves-Zulauf argues that S.’s Epoptides is an extended treatment of mystery religions, and he translates the title as Mystikerinnen. The classicist and mythographer Rose, on the contrary, insists that the epoptides has nothing to do with initiates. Rawson holds with initiated women; the Loeb offers lady initiates; Horsfall is satisfied with the watchers. Köves-Zulauf maintains that the epoptides of the title represent the conception of the PORTICO of female daimones who are guardians of humanity, such as the horae and the charites. S. integrates this concept, Zulauf says, with the “TVTELÆ”, ancient Italic protective spirits. The crime of S. is thus to reveal in this work the name of the particular TVTELA charged with protecting Rome. Works of later Roman grammarians suggest that S. Takes an interest in etymology and other linguistic matters. Conrad Cichorius, “Zur Lebensgeschichte des Valerius Soranus,” Hermes; American Journal of Philology; Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, New York: American Philological Association; Cichorius, “Zur Lebensgeschichte des Valerius Soranus,” Hermes -- remains the most thorough discussion of the evidence; Abstract in American Journal of Philology, Oxford Latin Dictionary (Oxford: Clarendon), entry on "Soranus," Alvar, “Matériaux pour l'étude de la formule sive deus, sive dea,” Numen; Courtney, The Fragmentary Latin Poets (Oxford: Clarendon; Mastrocinque, "Creating One's Own Religion: Intellectual Choices," in A Companion to Roman Religion, ed. Rüpke (Blackwell), Pliny the Elder, preface, Historia naturalis; Henderson, “Knowing Someone Through Their Books: Pliny on Uncle Pliny (Epistles 3.5),” Classical Philology, Cicero, De oratore -- litteratissimum togatorum omnium.  Cicero, Brutus, Cicero, Bruto, vicini et familiares mei; Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Varrone, De lingua latina, Gellius, Noctes Atticae, Courtney, The Fragmentary Latin Poets (Oxford: Clarendon); Niccolini, I fasti dei tribuni della plebe (Milano); Cicero, Post reditum in senatu; Cicero, Epistulae ad familiares; discussion in Brown, Israel and Hellas: Sacred Institutions and Roman Counterparts, Berlin Gruyter Cicero, Brutus -- non tam in dicendo admirabilis quam doctus et Graecis litteris et Latinis.  Ramage, “Cicerone on EXTRA-ROMAN Speech,” Transactions and Proceedings of the American Philological Association, Brown, Israel and Hellas, Berlin, Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic, The Johns Hopkins, Klinghardt discusses the religious case in "Prayer Formularies for Public Recitation: Their Use and Function in Ancient Religion," Numen; see also Versnel, “A Parody on Hymns in Martial and Some Trinitarian Problems,” Mnemosyne. The "praetor" may be Pompey. Servius, Commentary on the Aeneid -- denique tribunus plebei quidam Valerius Soranus, ut ait Varro et multi alii, hoc nomen ausus enuntiare, ut quidam dicunt raptus a senatu et in crucem levatus est, ut alii, metu supplicii fugit et in Sicilia comprehensus a praetore praecepto senatus occisus est; from the Perseus Project's online edition of Servii Grammatici qui feruntur in Vergilii carmina commentarii, ed. Thilo e Hagen (Teubner).  Smith, Dictionary of Greek and Roman Antiquities, entry on "Crux," Bill Thayer's Lacus Curtius edition; Elizabeth Rawson, "Sallust on the Eighties?", Classical Quarterly Coleman, "Fatal Charades: Roman Executions Staged as Mythological Enactments," Journal of Roman Studies; for full discussion, see M. Hengel, Crucifixion in the Ancient World (London), especially "Crucifixion and Roman Citizens" and "The 'Slaves' Punishment," Valerius Maximus, "Tribune" at Livius; fuller discussion of the tribunate at Smith, Dictionary of Greek and Roman Antiquities, "Tribunus," Thayer's Lacus Curtius edition..  “This name and the name of the tutelary deity of Rome was handed down from one generation of Roman priests and magistrates to the succeeding one” Linderski, "The Augural Law," Aufstieg und Niedergang der römischen Welt. The story of S., Linderski assumes, indicates that tribunes do know the name. The reasoning may be circular.  Pliny the Elder, Historia naturalis, Plutarch, Roman Questions, The late antique grammarian Solinus also reports that S. is killed for profaning the name of Rome, connecting the act to the Roman goddess Angerona, whose cult statue depicted her with a sealed mouth.  Köves-Zulauf, "Die Ἐπόπτιδες des Valerius Soranus," Rheinisches Museum. "Tutelary deities" is not the universal translation. See discussion under Literary Works.  Servius, Commentary on the Aeneid; Macrobius, Saturnalia; Brown, Israel & Hellas, Berlin. The ancient sources on the violation make a distinction without, in the outcome for S., a difference. Some say the arcanum not to be revealed is the secret name of Rome, and others that of Rome's tutelary deity, see L'identità segreta della divinità tutelare di Roma. Un riesame dell' affaire Sorano. Roma, Settimo Sigillo. Plutarch, Life of Pompey -- φιλόλογος ἀνὴρ καὶ φιλομαθής.  Conrad Cichorius, "Zur Lebensgeschichte des Valerius Soranus," Hermes, Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, New York: American Philological Association, Courtney, The Fragmentary Latin Poets, Oxford: Clarendon, Rüpke, Religion of the Romans, ed. Gordon (Cambridge: Polity), Cichorius, "Zur Lebensgeschichte des Valerius Soranus," Hermes. Abstract in American Journal of Philology Rüpke, Religion of the Romans, ed. Gordon (Cambridge). This view is shared by Weinstock, review of Die Geheime Schutzgottheit von Rom by Brelich, Journal of Roman Studies Political and religious motives reviewed by Brown, Israel and Hellas, Berlin, For the development of the story of S. as a cautionary tale, see Murphy, “Privileged Knowledge: S. and the Secret Name of Rome,” in Rituals in Ink: A Conference on Religion and Literary Production in Ancient Rome (Stuttgart), Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Plutarch, Pompey, Loeb Classical Library translation of the Lives, Cambridge), Thayer's edition at Lacus Curtius. Brown, Israel and Hellas, Berlin, citing Alfonsi, "L'importanza politico-religiosa della 'enunciazione' de Valerio Sorano," Epigraphica. Pliny says that the Romans practice evocatio when they lay siege to a city, with the priests calling out the foreign god and promising him a greater cult among them -- Historia naturalis. Macrobius even provides the charm of evocation used against Carthage (Saturnalia). The secrecy surrounding prayer formularies, particularly the correct names of gods, is characteristic also of Judaism, Egyptian syncretistic religion, mystery religions, and Christianity. See Klinghardt, “Prayer Formularies for Public Recitation: Their Use and Function in Ancient Religion,” Numen on this case; also article on "Magic and Religion: The Name of God."  Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins Alfonsi, "L'importanza politico-religiosa della enunciazione di S. (a proposito di CIL)." Epigraphica McCullough, Fortune's Favorites (HarperCollins), Cook, “The European Sky-God, The Italians,” Folklore, Grant, review of Varros Logistoricus über die Götterverehrung ("Curio de cultu deorum"), Burkhart Cardauns (Würzburg) in Classical Philology, Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Alvar, "Matériaux pour l'étude de la formule sive deus, sive dea," Numen Zeller, A History of Eclecticism in Greek 'Philos', Alleyne (Kessinger), Albrechtet al., A History of Roman Literature: From Livius Andronicus to Boethius, (Brill), Geschichte der römischen Literatur: von Andronicus bis Boethius, Courtney, The Fragmentary Latin Poets (Oxford: Clarendon, Mastrocinque, "Creating One's Own Religion: Intellectual Choices," in A Companion to Roman Religion (Blackwell,  pointing out that the Hymn to Zeus of Cleanthes presents a similar view of the god, and that Laevius, a likely contemporary of S., holds that Venus is both female and male (according to Macrobius, Saturnalia). Martino, in L'identità segreta della DIVINITÀ TUTELARE di Roma. Un ri-esame dell' affaire Sorano. Roma, Settimo Sigillo, believes that S. reveals the name of Roman tutelar deity, who is androgynous, GENITOR GENITRIX, Horsfall, “Roman Religion and Related Topics,” review of Köves-Zulauf, Kleine Schriften (Heidelberg), Classical Review. An innovation admired by Pliny the Elder, Historia naturalis.  Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Henderson, “Knowing Someone Through Their Books: Pliny on Uncle Pliny (Epistles),” Classical Philology, Classen, “Poetry and Rhetoric in LUCREZIO,” Transactions and Proceedings of the American Philological Association; "LUCREZIO and Callimachus, " in LUCREZIO, ed. Gale, Oxford Readings in Classical Studies (Oxford), Horsfall called the essay on a non-extant work "something of a tour de force," in “Roman Religion and Related Topics,” Classical Review Liddell and Scott, A Greek-English Lexicon (Oxford: Clarendon), entry on ἐποπτεία and related words, Murphy, “Privileged Knowledge: S. and the Secret Name of Rome,” in Rituals in Ink (Stuttgart), Rose, “Latin Literature for Italian Children,” Classical Review Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic (The Johns Hopkins, Rackham's translation of Pliny's Natural History (Harvard).  Horsfall, noting that the word's only other occurrence in Latin is from Cornutus, in “Roman Religion and Related Topics,” Classical Review. For instance, Aulus Gellius, citing Varro, notes that S. thinks the Latin word “flavisa” referred to the same object as the Greek-derived word thesaurus 'treasure trove', and suggests that the Latin word derives from the flata pecunia, that is 'minted money', stored there (Attic Nights = Varro, fragment  in Funaioli Grammaticae Romanae Fragmenta. Roman antiquarians often use etymology to investigate the history of objects and institutions.  Varro, De lingua latina; Alfonsi, L. "L'importanza politico-religiosa della enunciazione di V. (a proposito di CIL )." Epigraphica Argues that S. should be identified with Valerius Aedituus, a poet from the circle of Lutatius Catulus (this identification is not widely agreed upon, though both Badian, "From the Gracchi to Sulla  Historia Gabba, "Politica e cultura in Roma agl’inizi del I secolo a. C.," Athenaeum as cited by Badian, are willing to entertain the possibility) and that he revealed the name of Rome to disrupt the exclusivity of the Roman aristocracy and enable the participation of the Italic communities. (Abstract translated from L'Année philologique. Brown, John Pairman. Israel and Hellas, Berlin Gruyter, on Valerius Soranus. Cichorius, Conrad. “Zur Lebensgeschichte des Valerius Soranus.” Hermes -- The most thorough biographical reconstruction. Abstract in American Journal of Philology Courtney, Edward. “Q. Valerius (Soranus).” The Fragmentary Latin Poets. Oxford: Clarendon Edition with commentary and biographical note. Courtney refrains from identifying some recognized fragments of S.’s work as poetry and thus omits them. See Funaioli and Morel following. De Martino, Marcello. L'identità segreta della divinità tutelare di Roma. Un riesame dell'affaire Sorano. Roma: Settimo Sigillo Funaioli, Gino. Grammaticae romanae fragmenta, Leipzig: Teubner, Testimonia and fragments of S.’s grammatical works, Horsfall, Nicholas. “Roman Religion and Related Topics.” Review of Köves-Zulauf, Kleine Schriften, ed. Achim Heinrichs (Heidelberg). Classical Review Klinghardt, Matthias. “Prayer Formularies for Public Recitation: Their Use and Function in Ancient Religion.” Numen On the case of S., Köves-Zulauf, Thomas. "Die Ἐπόπτιδες des Valerius Soranus." Rheinisches Museum Repr. Kleine Schriften, ed. Achim Heinrichs (Heidelberg). Argument summarized under Literary works. Morel, with Büchner and Blänsdorf. Fragmenta poetarum Latinorum epicorum et lyricorum praeter Ennium et Lucilium. Stuttgart: Teubner. Contains fragments of S. not presented in Courtney. Murphy, “Privileged Knowledge: S. and the Secret Name of Rome.” In Rituals in Ink: A Conference on Religion and Literary Production in Ancient Rome (Stuttgart), Rehearses sources for nomen transgression, with a stated interest in the significance of the story rather than its historicity. Some misapprehensions in handling primary source material. Niccolini, I fasti dei tribuni della plebe. Milan. Section on S., Rüpke, Religion of the Romans. Ed. Gordon. Cambridge: Polity, Discusses the case of S. in his consideration of Rome's tutelary deity. Weinstock, Review of Die Geheime Schutzgottheit von Rom by Brelich. Journal of Roman Studies, Passing consideration of the likely political character of S.'s execution, valuable mainly because of Weinstock's auctoritas.  Omnipaedista Di Penates Terra (mythology) The personification of the Earth in ancient Roman religion and mythology Quintus Valerius Orca. Sorano. Quinto Valerio Sorano. Keywords: TVTELA. IVPPITER OMNIPOTENS REGVM RERVMQVE DEVMQVE PROGENITOR GENITRIXQVE DEVM DEVS VNVS ET OMNES. Sorano.

 

Grice e Sorano: la ragione conversazionale -- Nerone e la filosofia -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano.  Part of the opposition from the Portico to Nerone, S. is betrayed by his friend Publio Egnazio Celer. He is condemned to death at the same time as Trasea Peto. Barea Sorano.

 

Grice e Sordi: la ragione conversazionale -- o il club d’Aquino – la scuola di Centenaro – filosofia milanese – la scuola di Milano -- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Centenaro). Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Centenaro, Milano, Lombardia. Si fa religioso nella compagnia di Gesù e ben IV dei suoi fratelli seguirono il suo esempio. Entra nel seminario di Piacenza, dove frequenta le classi ginnasiali. Vince il concorso per l'ammissione al collegio Alberoni di Piacenza, dove rimane fino al quando è costretto a lasciare per motivi di salute. Ri-entra in seminario e, sotto la guida di BUZZETTI, approfonde la filosofia d’AQUINO la cui filosofia è andata in disuse. S’insegna la filosofia del secolo: SARTI, SOAVE, DRAGHETTI, CONDILLAC, WOLFE, STORKENAU. Divenne sacerdote ed entra nella compagnia di Gesù appena ricostituita, fa il noviziato nella Casa di S. Ambrogio a Genova, dove incontra AZEGLIO che attraverso i colloqui con S. conosce e stima la filosofia d’AQUINO, di cui prima sente parlare con disprezzo e incomincia a rivedere la sua formazione filosofica.  Divenne insegnante di filosofia nel collegio di Ferrara e passa a Reggio Emilia come insegnante di logica, metafisica ed etica e con la carica di prefetto della biblioteca civica. A Reggio Emilia si distinse e acquisce stima e fama tanto che il padre generale della compagnia FORTIS lo propone a PAVANI, provinciale d'Italia, come professore di logica nel collegio romano. PAVANI, però prega il padre generale di desistere dal suo proposito per motivi di opportunità si leverebbe un gran rumore tra i professori del collegio romano tanta è la prevenzione contro S perché seguace d’AQUINO. Venne mandato a Modena, al collegio S. Bartolomeo, come professore di logica, metafisica ed etica. Ispirandosi ai rivolgimenti culminati con la cattura di MENOTTI, pubblica “Catechismo delle rivoluzioni”. Stringe amicizia con PECCI. Attraverso quest'amicizia puo esercitare il suo influsso anche su suo fratello, PECCI che, divenuto poi papa, con l'enciclica “aeterni Patris” propone a tutte le scuole cattoliche le dottrine d’AQUINO. Inviato a Forlì e poi a Spoleto dove insegna. Nominato Rettore del collegio di Orvieto. Ritorna a Modena come rettore,  e poi rimane ancora a Modena come ministro e padre spirituale degl’alunni. Rettore del collegio S. Pietro di Piacenza, dove già e stato aperto anche l'Aloisianum Istituto di formazione filosofica per gesuiti dell'area Lombardo Veneta. E ancora a Piacenza, quando il collegio venne preso d'assalto dai rivoluzionari. Scoppiarono allora alte grida diAbbasso i gesuiti. Morte ai gesuiti. Mortee qui aggiungevano i nomi or dell'uno or dell'altro padre del collegio. Così si legge nel racconto di LOMBARDINI, testimone oculare degli avvenimenti. Roothaan lo chiama a Roma, desideroso di vedere finito un testo di filosofia che realizza insieme a CARMINATI. Nominato preposto della provincia romana. Governa quella provincia con rara prudenza e grande spirito di bontà. Passa al collegio degli scrittori della civiltà cattolica con l'incarico di scrittore e padre spirituale della comunità. Contribuì al fiorire della rivista componendo con padre TAPARELLI una serie di saggi. Chiamato all'Aloisianum di Verona come prefetto degli studi dei religiosi filosofi. Uno dei più insigni rappresentanti d’AQUINO, il movimento di rinnovamento della filosofia d’AQUINO, che, partito da Piacenza con  BUZZETTI, si diffuse in tutta l'Italia tramite i fratelli S., alunni dello stesso BUZZETTI. I due fratelli, entrati nella compagnia di Gesù, portarono il rinnovamento tomista, cioè le grandi idee d’AQUINO studiate e sviluppate ai fini di rispondere agli interrogativi più profondi dell'uomo moderno. La sua azione in favore del neo-tomismo e particolarmente efficace per gli incarichi prestigiosi a lui affidati, per il suo insegnamento presso numerosi collegi dove i suoi saggi di filosofia, trascritti, venivano usati come testo. Inoltre molte delle persone da lui avviate allo studio d’AQUINO sono state i protagonisti del rinnovamento tomista e i diretti collaboratori nella preparazione dell'enciclica "Aeterni Patris" in cui Leone XIII esorta a rimettere in uso la sacra dottrina d’AQUINO e a propagarla il più largamente possibile. Il suo fratello, Domenico, diffunde AQUINO nella provincia napoletana, dove opera in varie città (Napoli, Lecce, Maglie, Salerno, Sora, Arpino, Andria). Al collegio massimo di Napoli e collaboratore d’AZEGLIO  promuovendo la diffusione della filosofia d’AQUINO fra gli alunni, alcuni dei quali furono protagonisti del rinnovamento della cultura cattolica. Fra questi va ricordato CURCI, fondatore della “Civiltà Cattolica”, che descrive il suo insegnante con dovizia di particolari nelle sue “Memorie” e LIBERATORE, co-fondatore del periodico “Scienza e Fede”, redattore di “La Civiltà Cattolica” e uno degli estensori dell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Altre saggi: “Appendice al capitolo XII del Catechismo del senso comune” del Rorbacher L'Amico d'Italia  (Genova); “Theses ex universa Philosophia” (Parma); “Catechismo delle Rivoluzioni” (Modena, Soliani); “Lettere intorno al nuovo saggio sull'origine delle idee di SERBATI” (Modena, Vincenzo Rossi); “I primi elementi del sistema di GIOBERTI dialogizzati tra lui e un lettore dell'opera sua – Bergamo, Natali, Allocuzione di Pio IX con in fine esposizione della materia a modo di catechismo” (Roma, Apostolica); “I misteri di Demofilo” (Torino Castellazzo) e De Gaudenzi, Circolare del R. Provinciale ai Superiori della Provincia Romana – Roma, Civ. Cattolica. De studio Theologiae in nostra societate – Roma, Civ. Cattolica,  Recensione all'opuscolo di Oddo “l'Indipendenza, il Cattolicesimo e l'Italia, MilanoRoma, Civ, Cattolica La libertà al tribunale della ragione Roma, Civ. Cattolica. Se per essere indipendenti abbisogna che il papa abbia il potere temporale. Di un sacerdote cattolico, Roma Civ. Cattolica. Il movimento nazionale, istruzione popolare in occasione di un opuscolo pubblicato nell'Umbria da un preteso prete galantuomo Roma Civ. Cattolica, opuscolo  Il Sillabo di S. S. Pio Papa IX esposto in forma di catechismo da S. della compagnia di Gesù (Verona, Vigentini e Franchini); “Saggio intorno alla dialettica e alla religione di Gioberti (Piacenza, Tedeschi); “Una proposta al clero italiano”; “Ragionamenti sul gesuita moderno” (Torino, Castellazzo e De Gaudenzi); “La scomunica: Nel Messaggero di Modena, Lettera sull'Austria, Bergamo, Dottrine di S. Alfonso dei Liquori difese contro le impugnazioni di ROSMINI  Monza. “Ontologia” (Dezza); “Theologia naturalis” (Dezza); “MANUALE DI LOGICA” (Pesce). Opere inedite riportate da Dezza in Alle origini del Neotomismo: Ethica generalis et specialis; Psicologia; Sull'origine delle idee; Sulla materia e sulla forma; Sull'evidenza; Intorno alla filosofia a noi prescritta d’Ignazio; “Esortazioni al clero (presso don Ballerini PC). Alle origini del Neotomismo, Dezza, I neotomisti; Silva, Ferriere, cenni storici, Comandini, “Nuovi contributi alla conoscenza di Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla sua scuola -- saggio sulla rinascita del Tomismo”; Dezza, I neo-tomisti italiani”; Dezza, “ Alle origini del Neotomismo, Breve storia della Provincia veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni nostril; “La chiesa di S. Pietro in Piacenza Studi per il IV cent. dalla fond. TEP; Breve storia della Provincia Veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni nostri A. M. D. G C. Cenacchi, Tomismo e Neotomismo a FerraraLiber. Edit. Vaticana La Civiltà Cattolica, R. Comandini, Nuovi contributi alla conoscenza del canonico Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla sua scuola Saggio sulla rinascita del Tomismo Libr. Edit. Vaticana, Cordani, Una grande cultura piacentina dimenticata, PC Ed. Berti, Curci, Memorie di Curci, Barbera Editore, Cornoldi, Memorie Autobiografiche (Archivio Aloisianum), Dante, Storia della Civiltà Ed. Studium Roma .Dezza, A MI. Dezza, I tomisti italiani, Bocca ed. MI.  La chiesa di S. Pietro in Piacenza Studi per il IV cent. dalla fond. TEP); Giarelli, Storia di Piacenza dalle origini ai nostri giorni,  II Ed. Porta PC, Ferrari, S. e il Neotomismo in Italia in il filosofo canonico Buzzetti, PC G. Martina, La Chiesa nell'età dell'assolutismo, del liberismo, del totalitarismo, Morcelliana BS., Padovani, “Importanza della critica filosofica di S. a V. Gilbert” (“Riv. Di Filosofia Neoscolastica, MI ed. Vita e Pensiero, Monti, "La Compagnia di Gesù nel territorio della Provincia Torinese, Chieri); Giovanni Paolo II, enciclica Fides et Ratio; Panareo, L'istruzione in terra d'Otranto sotto i Borboni, Perazzoli, Studi sul Rosminianesimo nell'Ottocento, Ed. Rosminiane Sodalitas, Pozzi, S., filosofo neotomista, Studia Patavina Riv. Di Filos. e Teologia; Rolandetti, Da Buzzetti all'Aeterni Patris Conv. Intern. Tomistico (Trento); Rolandetti, Buzzetti teologo, Libr. Ed. Vat. Silva, Ferriere, cenni storici, UTEP, PC, S., Pochi e brevi cenni sulla vita menata nel secolo da P. S., man. Inedito G. Sordi, Il contributo dei gesuiti piacentini S. alla diffusione del neo-tomismo nella cultura, PC altervista. Tononi, Condizioni della Chiesa nei ducati parmensi. M. Volpe, I Gesuiti nel Napoletano  Aeterni Patris Aloisianum Curci Collegio Alberoni Compagnia di Gesù Jan Roothaan La Civiltà Cattolica, Taparelli Azeglio  Liberatore Neotomismo  S., su Treccan Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di S., Il contributo dei gesuiti piacentini, S.  alla diffusione del neotomismo nella cultura cattolica, PC su serafino sordi. altervista. La Civiltà Cattolica Taparelli d'Azeglio e il rinnovamento della Scolastica al Collegio Romano italia La Civiltà Cattolica; Intorno alle origini del rinnovamento tomistico in Italia” (Taparelli e S.). La rinascita del tomismo a Napoli  (parte primaI collaboratori del Taparelli; “Il peripato in azione”; “Il contributo della Compagnia di Gesù alla preparazione dell'enciclica “Aeterni Patris.” Serafino Sordi. Keywords: AQUINO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sordi” – The Swimming-Pool Library. 

 

Grice e Soria: la ragione conversazionale dell’opuscolo della simpatia – la scuola di Lama – la scuola di Tarato -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lama). Filosofo tarantino. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Lama, Taranto, Puglia. La famiglia risiede da tempo a Sant'Ilario in Campo, nell'isola d'Elba. Appartenente alla corrente del sensismo. Insegna a Pisa. Combate Cartesio ed esalta GALILEI. Scrive il saggio Rationalis Philosophiae Institutiones. Direttore della Biblioteca di Pisa. Pubblica a Pisa la Raccolta di opuscoli filosofici e filologici. Il saggio comprende Dell’immaterialità delle nature intelligenti; Della potenza che ha lo spirito umano di determinar se medesimo chiamata libertà; Il virtuoso regime del proprio corpo è un bene indispensabile per la felicità della vita” e Della natural dipendenza della salute corporea dall'ilarità dello Spirito”; “Della simpatia” – “Dialogo tra un cav. francese, e un italiano” e l’”Esame del Giudizio di Monsieur Du Fresnoy circa BUONARROTI”; “Sulle metamorfosi degl'insetti”; “Degl'influssi celesti”; “Dissertazione Accademica sull'Innesto”; “La teoria de' fosfori, e de' loro divarj.” Allievo di GRANDI, segna il passaggio della scuola galileiana verso l'illuminismo. S. individua nello sviluppo economico il centro dell'interesse dell'attività politica. È sepolto nella chiesa di Sant'Andrea a Lama, in provincia di Pisa. Baldini, S. in "Dizionario biografico degl’italiani", Roma, Istituto della Enciclopedia italiana. S. è attestato anche a Livorno ed è appartenuto a una nota famiglia locale.Olschki, Firenze. Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. O violerei certamente tutte  le Leggi della convenevolezza, fe in mezzo al pubblico brio di quarti lietifftmi giorni invitato A PARLAR DI SIMPATIA, non fosse il mio ragionamento una vivace, e toccante pittura di dolci affetti, e di delicate e tenere immagini, ornate air Attica di ridenti fcherzi, e di vezzofe e follazzevoli piaccevolezze. Tale converrebbe che fotte,   io non lo nego, f ufo eh' io far dovrei di quefto tempo, s' io non parlatti a Voi; ma avanti un tal Con (ef-   fe, tutt' altro fi vuol da me, tutt' altro io debbo. Vi piace eh' io Jafci alle   Mufe i teneri affetti, le delicate imma-   gini, i lieti fcherzi, ed i ridenti motti. Voi cligete da me, che nella mia   bocca non perda la Filofofia i fuoi diritti neppure in quefti giorni; e volete   cosi, perchè le delizie del voftro cul-   tittìmo, e vivacitfìmo Spirito fon I' in-   dagare, ed il penetrare V intima eflenza , e le fegrete cagioni di quelle cofe ,   che maravigliofe fono per femedclime ,   e d' illuftri confeguenze feraci. Or ta-   le fenza dubbio egli è ciò, che Simpa-   tia fi chiama , o prendati quetta voce   nel proprio fenfo litterale, o in fenfo   tropico e figurato. Dunque per fecondare il nobile voftro Filolofico genio,   dell' ona, e dell' altra Simpatia patitamente ragionando, ne rintraccerò la   natura, e le caufe, e gli effetti ; cioè   rammenterovvi ciò, che fu quefti inte-   rettanti Oggetti per Voi medelìmi già   fapetc. La voce “simpatia, presa in senso non figurato, ma proprio, Tuona Io lteflb, che unione di genio, vicendevolezza di affetto, benevolenza fcambievole, le quali efprcflìoni tutte fon   tra di loro (ìnonime. Quindi non può aver luogo la Simpatia, propriamente detta , fe non tra gli Ellcri fendenti , ed intelligenti . Ma i Greci   Popoli , imitati da LATINI, e dalle  lingue che ne fon derivate, edendendo il lignificato primitivo di quella parola, chiamarono in fenfo traslato, ed analogico SIMPATIA, la cagione   altresì, per cui dato un corpo in certe circoftanze, ne fegue un qualche determinato effetto in un' altro Corpo,   fenza che il primo agifea fui fecondo con immediato contatto. E perchè avevano ofeura, e confufa idea delle Fillche ragioni , onde tali effetti in Corpi non toccanti*! accadono; quefte ragioni, o cause loro ignote, che Simpatia rettoricamente nominavano, sforzavanfi di fpiegarc, dicendo, che tal forta diSimparia era una vicendevole correlazione, c quafi cognazione di naturalo una mutua coordinatone, o un fiiico confenfo tra corpo, e corpo in distanza. Onde a chi aveffe domandato loro, perchè al Tuonare di una mutlca   corda» le non troppo lontane, purché   temperate all' unifono, o air ottava, o alla quinta consonanza, rifuonino anch' eflc, risposto avrebbero alia Quiftione,   che ciò avviene per SIMPATIA, o per una  vicendevole correlazione, e cognazione di natura tra le corde tefe a quelle armoniche proporzioni; ficcome una foggià dì SIMPATIA, o una 6ftca cognazione, e coordinazion di natura chiamerebbeii dagli Antichi la causa, per  cui V Ago magnetico si rivolge costantemente verso le Regioni Polari, e quella per cui 1* acque de' mari più vicine alla fovraftante Luna, più fi l'olle vano verfo di lei «   f ih  Ora intorno a quefti connetti effètti tra materie , c materie didatti di luogo , ed intorno alle cagioni vere   onde nafee una tal tìiìca conneifione tra Fenomeni, Fenomeni in divertì, e reparati (oggetti due generali  e (blenniVerità ignoravano comunemcnte gli Anfichi, e pochi fon gl’uomini, che noti le ignorino anch' oggi. La prima delle quali due verità fi è, chetimi i motid' ogoi forta, dipendenti dell' eftere da ufi   qualche corpo in dirtanta , o nafeonò   da vero urto, da vera pattfone, originata   da quel corpo dittante , per metto di   qualche frappotta materia fia vifibite,  sia invitìbile, ofon eonfeguentc neceflarie di quelle determinate, e colanti Regole   della mutua general Gravità, daltequali neffun Corpo nel materiale Universo può fottrarlì , ed a norma delle quali deve ogni Corpo, ed ogni fua parte,   fecondo le varie circolante in cui fi   trovi, oftarfi in un perfetto equilibrio di contrapporle tendente, o tendere prepotentemente piuttotto per un verfo, che   per un' altro , e piuttotto ad Un tal corpo   dittante, che ad un tal'altro, fenta che urto o pretfìone ve lo fpinga; le quali   regole di moti, chiamanti perciò non  A i mecccaniche, cioè non derivanti da preffioni, e da urti. L' altra delle due predette Verità, men cognita ancora deli'   cfpòfta, fi è, che non folo certi Fenomeni , con certi altri determinati", appartenenti ad alcuni corpi, localmente   dilcofti , fon vicendevolmente connetti, o dipendenti nclT eiTere , ma tutti quanti   ne fono flati finora nel genere de* meri materiali, e quanti ne elicono in quello momento, e quanti ne fon per cflcre neir intiero giro de* Secoli, e nella eftenfione intiera del materiale Universo»   tutti han del pari una veriffima cognazion di natura, o tal conneflìone, e tal  mutua correlazione, per cui fi può dire   con rigorofa verità, che fe a cagion di   efempio non nafeeflero dallo itelo di  una Rosa quelle fpine precife, che ne spuntano, nelle circodanze nelle quali nafeono, niente affatto di ciò che succede nelle provincie della Terrefrre Fifica fuccederebbe , e fe non fi generarle   nelle circoftanze nelle quali pur genera quel sì piccolo difpregìato Infetto, che   fugge di occhio, e che in ore anzi che   in giorni , muor decrepito, e Tritavo, ed in vece di queir Infetto fi generaffc   nelle medclime circoftanze un altra cosa, o non si generale nulla, (toltoli caso di un miracolo, da cui li prefeinde) il magnifìcentilfimo, l’ammirabile  Universo intiero fi trasformerebbe in   tutt' altra cofa. Gran Paradotio agli occhi de' Profani, ma grande e fublime Vero per chi è iniziato a miftcrj dell'   alca Filosofia i • Imperciocché non fiam noi certi ,   che quanto accade nell' Univerfo Corporeo, tutto fi fa dalle forze motrici, e che tutte le forze non libere, tutti   i non liberi moti, fon* altrettante neceffarie confeguenze di quelle Finche generali Verità, che Leggi de' Corpi fi chiamano, per le quali poflono, e debbon feguirc, quali precsamente seguono tutti i Fenomeni, nelle circoftanze   nelle quali fi trovano i materiali soggettiP Bisognerebbe ciTer ben nuovo, e  srraniero nella faenza Filici per dubi-   tarne . Se dunque , a cagion di efempio, nel fecondo fieno di un Gclfotnino tede la Natura una piccohffima intiera Pianta feminale , che ricevuta poi   da conveniente terreno, crefee in adulta Pianta di Ge!fomino;cgli avvien ciò, perchè lcLeggi Filkhc di Natura, pòfte le circoftanze in cui fono le remica! i materie di quel Fiore, forza è, che   quelle materie depongano in quel tal’ordine da cui ritolta ? etfer Pianta fcminale di Gclfomino, anziché di tutt'altro Vegetabile; e fc colaggiù nelle miniere dell' Oro fi lavora dalla Natura   quel preziofo metallo, anzi che Ferro,   o Diamante; egli è perchè le Leggi de moti | nelle circoftanze in cui tono i   principi, ond'è comporlo il bell'Oro,  non poftono a meno di non difporli,   e combinarli in quel tal predio ordine   in cui confitte V effer Oro piuttofto,  che un* altra cosa. V ifteflo vuoili dire di tutti gli altri materiali Fenomeni. Dunque tanto è domandare , che un'   «f&tto corporeo nelle circoftanze precifc nelle quali fegue , o non fegua   punto, o fia divedo, quanto è domandare, che le generali Fifichc Leggi dì   Primo- 9 Natura, dette quali è figlio neceflario,   o non efiftan punto, o fien tutt' altre. Or fe tali non fòflcro, non avrebbero certamente potuto produrre in veruit tempo, in verun luogo, neffuno di quegli innumerabili effetti , che fo*o rtati dalla primitiva coftituzione dell'universo, fino a quefto momento, nè potrebbero generarne pur uno di quelli, che attualmente effe generano in tutta l’ampiezza delle corporee cofe, e di  quelle, che nederiverannocome naturali confeguenze loro in tutta la ferie delle Età future. Dunque non folo alcuni determinati Fenomeni, con alcuni   altri determinati hanno real conneffionc,o vicendevole correlazione nelT cffcre, ma ciafeuno con tutti gli altri, comunque fienfi varj, e di tempo», e di luogo remoti* Perchè quantunque neffun Fenòmeno aver polla ragion di Caufa, odiEffetto, rifpetto a tutti gli altri indiftintamente, ciafeuno però indidimamente e una condizion ncceflaria all'efifrcnza di tutti gli altri: avendo   noi veduto in pie ni (firn a luce cfler rigorosamente vera quefta Propofuionc: Che non  io Ragionamento  non fi può torre , o mutare un Fenomeno, date le fue circo/lanze , fenza torre , o mutare le Fificbe Leggi di Natura , e però fenza tonerò mutare per naturai conseguenza tutto il re Ilo nelt intiero Vniverfo cor-   poreo. Ed ecco abbatta nza fpiegate le ragioni, e 1' eftenfiooe di quella SIMPATIA, eh è impropriamente tale, e che gl’ntichi chiamavano connessìone, consenso, cognazione, correlazione di natura, tra soggetti, e soggetti inanimati. E' tempo ornai, gentilifsimi uditori, che cedendo alle attrattive, colle  tale aborrimento, e distribuzioae o dispofizione di suoni, allor fi chiana* una bella musica, una beli* Aria, un concerto bello, quando quell' afsortimento 9 c  quella diftribuzione di mufiche intonazioni produce nell' animo noftro un   diletto. Noi abbiam dunque un' interno Tenta, che chiamar fi può convenientemente fenfo del Bello viiibile, e udibile, del quàl fenfo egli è caratterirtico Attributo il fentirc un diletto, o una molcftia, qualora vediamo una tale, o  tal' altra fcclta,e difpofizione di parti   di un Tutto vifìbile, ed ascoltiamo un   tale, o un tal' altro aflbrtimento diparti componenti un Tutto (onoro, o udibile. Han prima gli uomini gustato il piacere, che proprio è del fenfo della Bellezza vifìbile, c udibile, di quel che abbiam faputo quali fieno le midi-   re, quali le proporzioni, e le diftri-   buzioni delle parti, onde piacciono, o   difpiacciono i viiibili, egli udibili Oggetti • Prima che fi fapclfe ¥ Arte Mufìca, piacevano i canti di Progne, e di   Filomena-, c prima che un qualche Fi-dia curiofamcntc mifurando detcrmi-   nate le proporzioni , e le locali correlazioni delle membra di un bel Corpo, le Veneri e f Elene, gli Adoni ed i Paridi dilettavano i rifguardanti , ed   i Momi,e gli Efopi, e le Gabrine, e le non fucato Alcine ributtavano.  E perchè come in tutti gli altri (enfi   avviene, cosi è vero altresì del fenfo   della Bellezza, cioè che in tutti gli   Uomini noa fon fabbricati i fenforj   di una fretta maniera; di qui è, che   dilconvengono tra loro non di rado nel   giudicar del Bello , come difeonvengono nel giudicar degli odori, e de sapori. Non a tutti i nervi olfattori piacciono, o difpiacciono gli fletti effluvi,   producitori di quelle dilettevoli, o moiette fenfazioni , che buoni, o cattivi odori fi chiamano. L'organo del Gusto, gli apici de* nervi , cioè, che in folte fchiere metton capo alla superficie della Lingua, perchè non sono in tutti gli Uomini di una medefima intriofeca ftruttura, perciò non ricevono ió Ragionamento  in tutti ugualmente grate , o ingrate   fenfazioni di fapore dagli ttefiì cibi , c   dalle ftetfe bevande. Per flmil ragione   la Muika, di cut tanto fi compiacciono i Siamefi , ci farebbe correre colle   mani alle orecchie, ed eflì forfè chiamerebber fraftuoni i rroftri Concerti , e   nojofe Nenie le noftre Arie cantabili. Il certo fi è, che tutti gli Uomini traggon diletto da qualche foggia di Mufica,   ma non Io traggono ugualmente dalle   iteflc Opere di Mufica inftrumcotalc, e  vocale. Così appunto piacciono agli uni le brevi dature, e le membra fcarfe e leggiere; preferirono altri le perfone di al-   to taglio, e di gravi, e mafficce fattezze; gli uni fon per l' impatto candido, e  vermiglio della Cute , gli altri pel   brunetto Greco. V* fot* anzi àc' Popoli intieri, che dipingono neri vellutati i Genj buoni , e desinano a' Dei mali i colori di latte, e di cinabro. Ed   io qualche Regno della più eulta Europa, il pallido pagliato non fi chia-   mava egli , non ha gran tempo, il bel pallido? E non era egli riputato la vernice la più conveniente alle delicate bellezze, onde le Dame, che cavavano di piacere , condannavano liete   colle frequenti miflioni di fanguc, ad  una perpetua convalefcenza , per acquifere l'accreditato pregio del pallore, che nel giallognolo biancheggiava? Vero è, che folto quel Cielo fteflo non aroano ora ie guance, che di carminio,   nè fi contentano del nativo rofato; ma   non perciò diventa falfo, che il dila-   vato pallido non piacele già preferibilmente ad ogni altra cute. Noq fanno gli uni faziarfi di ammirar gli occhi neri, e fdruciti di Qiunonc; trovano altri più dolci i cerulei di Teti; per qucfti fon più toccanti i cefii di   Minerva; per quelli gli feuretti, efeintillanti di Venere. Ma per quanto fia   vero, che il fenfo della bellezza è vario in varj, fenfo però della bellezza corporea in tutti è, ed evvi altrettanto per ciafeuno in una corporea bellezza tal mifura, e difpofizioni di parti, e tal colorito di cut*, che a quello piace, c piacendogli, c dilettandolo, ne attrae 1' animo, e in fe lo fitta dolcemente, c ne defta voglia di rinnovar tal piacere, e cara ne rende la   caufa , che Io produce. Dunque dalla corporea bellezza,   perchè cagion di diletto, perchè autrice di compiacenza, ed eccitatrice delia voglia di fc, forza è che nafea una   fpecie di affetto; e fc chi lo infpira lo riceve altresì per fimil caufa dalla fleffa perfona in cui V infpira, si avranno dunque vicendevolmente cari, lì deaereranno V un l'altro, cioè la SIMPATIA gli unirà. Gli unirà, dico, e renderalli cari, V uno all' altro, fe i dolci fentimenti, che la vicendevole relativa corporea bellezza ecciterà in entrambi , non faranno combattuti , o fuperati da i ributtanti , ed alienanti affetti, o dalle moiette impreffioni , che cagionano i rincrcfcevoli vizj di mente, i deformi vizj del cuore, e le maniere difaggradevoli : cioè la bruttezza dell'Animo trafpirando fuori, e mofrrandofi, o nelle maniere, o ne' difeorfi, o nelle azioni , non rifpinga da fe co'  fuoi  iuoi odioiì tratti, con forza uguale, o  maggiore di quella con cui ne alletta   colle Tue grate impreffioni la corporea Bellezza. Dunque perchè qucfta abbia forza durevole, bifogna che l’Animo non fia brutto, o non il ravvili per tale: nè può la Simpatia eMcr viva, coftanfc, ed alle Regole della beata Vita conforme, fe dalle bellezze dell' Animo non tragga, fe non tutto, almeno pretto che tutto, il foave fuo nutrimento. Ed eccoci infcnfibilmente condotti alla parte ultima del noitro Ragionamento, ed inueme alla migliore, e   più potente, e più dolce cagione della genial Simpatia: poiché tal caufa appunto ella è un,Anima veracemente bella . Son le bellezze dell' Animo di due specie; T une appartengono all' intendimento, l’altre alla volontà, o come   fuol dirli, al cuore. Allora è bella una   Mente, quando forpafla la comune portata; ed è tanto più bella, quanto fo-   no più pregiabili i fuoi talenti nativi,  B 2 ed acquiftati. Il talento altro non è, che un' agile, e felice attitudine di a ri alizzare, e quali notomizzar collo Spirito tutti i comporti Oggetti della mente, e di conoscere al paragone le lomiglianze, e le differenze multiplici   delle cole, e le loro meno ovvie conneffioni, e i vicendevoli rapporti loro, quantunque ardui per i mediocri Spiriti, meno atti a condurli lungo una   ferie d' incatenati Veri, a confcguenzf   più, e più remote, immutabilmente   connette colle Verità prime, e per fe   flette evidenti . Il talento di difcernere   anche le piccole differenze tra quelle   cole, che alle Menti comuni pajono   le più limili, e di giungere a tali difeernimenti, al favore di ordinate prenozioni, e di inanellate indittolubili deduzioni di vero da vero, fuol chiamarli talento filosofico, e quefto costituifee il carattere del sublime Genio, o vogliam dire dell'Ingegno profondo,   ed inventivo . II talento poi di ravvi*   fare agevolmente, e come in un colpo   d' occhio tra le cofe di dittinoli genere, e fpecie,i lati o gli Attributi limili,  egli   Primo. ti  egli è il Carattere, per cui chiamali chi   n' è fornito , un' Uomo di Spirito- Un $1 fatto talento potrebbe convenevolmente dirli Poetico, a differenza dell'   altro, che Filolofico nominammo: E   gli conviene il nome di Poetico, per-   chè non può effer fecondo in immagini, ed in figurate cfpreffioni, chi non   è agile, c deliro in oflcrvarc per quali lati lì raflomigliano le cofe altronde varie io natura, ficchè poflano t une, mostratc da certe facce, fervir d' immagini all' altre. Chi quello Poetico talentò pofTiedc , chiamali Uomo di bella, e do vizio fa, e viva, e brillante Im-   maginazione, la quale fe congiunta iia   col Filolofico talento, o colla franca   attitudine al fublime, e profondo ed *-   fatto pcnfare,ne ritolta daqucfta unio-   nc fortunata, ciò che fi chiama una illuti re , e bcIlitTima Mente. Una tal Men-   te è fempre feconda di frutti degni di   fe, vola per ogni lato oltre i comuni confini, ed ogni giorno più ricca di   Veri, o maraviglio!!, o belli * o inte-   rcalanti, ha f arte di lumeggiarli $\ vivamente, e di prefcntarli fatto imm  B s gì"*  Ragionamento gini sì nuove , e di ornarli con tali   grazie di eloquenza, e di difporli con   ordine sì regolare, da renderli come   vitibili alle altrui menti, e vifibili in   aria perfuadente inlìeme, e dilettevole.   Una tal -Mente, che fenza incomodare inftruifcc qualora parli, e nuove feerie apre, e nuovi profpetti alla Immaginazione di chi V afcolta, onde appa-   rirono Verità di ogni foggia, adorne   in cento guife fenfatamentc fcelte, ed   2l Tuoi foggetti proporzionate, una tal   Mente, dilli , quanto è ammirabile i   quanto ne piace il commercio i come   ne volano in tal compagnia le ore l quan-   to fe ne deiidera il ritorno. 1 La bella   Mente adunque ha una forza (impanca,   dolce, e potente forza , che a fe ne   trac. Ma non l'ha certamente minore,   anzi e più potente, e più foave P efercita fopra gli Animi altrui un bel Cuore.  Son le Bellezze del Cuore i belli   affetti, e belli fon quegli affetti, che   rcndon pregiabilc , ed amabile il noftro morale Carattere ; e la pregiabilità di   quello, e la fua amabilità nafte tutta   dalla confederazione delle Virtù lodali , e reali, che abitualmente rifplendano in un' Animo, e ad ogni rifeontro   con tutte le irrefiftibili loro attrattive si manifestino. Le morali virtù, che ci fon più care negli Uomini, fon quella Beneficenza, che nafee da compaf-   fìone, e da benevolo fociale affetto, 1'   officiofa Gratitudine , la fedele Amici-   zia, la modefra idea di fe medefimi, l'obbligante rifpetto per gli altri . Quelli Attributi dell' Animo non poffon non   intereffarc ,e non dilettare l'amor proprio [H. P. GRICE, SELF-LOVE] di tutti quelli , che in un tal' Animo si fatti prcgj rifguardano. Piace troppo il vederci e cari, e rifpettati,   quando ci rifpetta , e ci ha cari un'anima illuftre , delle Virtù più delicate, e più amabili poffeditrice e mi-   niftra . Piace troppo un tal' Animo, che i pregj proprj ravvifa appena, e rileva gli altrui, e lì compiace in rilevarli. Troppo diletta un Cuore, da cui   non afpettali giammai nè turpitudine,   nè apatia, un Cuor che fa fua voglia  B 4 dell'altrui voglia, fé Virtù lo permea   te, e che non folo fi pretta a tutti gli   atti benefici, che da lui fi domandano   ma gode a tali inviti, e quali gli atti*  ra,c i benefici ringentilifce colia alacrità, e colla gioja, colle quali fi porta ad effer' utile altrui ; un Cuor finalmente, che i ricevuti favori incide in   bronzo, e i compartiti oblia. Tale è   il vero benefico, perchè la bella BENEFICENZA [cf. H. P. GRICE, BENEVOLENZA] non è figlia dell' interefle,   non della vanagloria, o dell' orgoglioso Amor proprio, che vuol far fentire  la Tua superiorità ad altrui; ma cllanafee da un delicato fenfo di gluteamente graduata benevolenza, da una tenera compafsione per 1' Innocenza infelice, e per ogni forta di bifogno altrui , e dalla virtuofa abominazione de’ contrari affetti, come intrinfecamen-   te deformi, ed improbi, e di loro natura odiabili, e condannabili. Sì fatte   difpofizioni di Cuore, fe comuni forteto tra gli Uomini, il Poetico Secol d'Oro diverrebbe un' Moria. Che invidiabile vita non menerebbefi ! Intende adunque ognuno, per poco che vi penfi , quanto fieno defiderabili in tutti 5 e quanto amabili, e care di natura loro l'eccellenti morali Virtù, delle quali parliamo. Ed ecco perchè diletti, ed in confeguenza perchè bello iì   chiami un Cuore, e quanto ila vero  che un Cuor sì fatto, forza è che fiaua   potente oggetto della nOftra ammirazione e una dolce Tergente di Simpatia- Nè reftano dentro i confini dell'Animo le bellezze del Cuore: penetrano i raggi loro fui volto, e gli fanno acquiftare tal' aria, che ne ricrefee maravigliofamente la bellezza , s' ci l'abbia, o un vi libi 1 pregio gli dà, e lo rende piacevole, quand' anche fenza   un bell'affetto del cuore efpreffo nel volto , quefto per fe medefimo tìon piaecffe. Chiamali aria del vifo quel compieito di modificazioni vilibili, queirafpetto,che nafee dagli interni sentimenti dell' animo, e che al variar degli affetti fi varia con loro. Ogni affezione del cuore ha un vii© tutto fuo, una fonomia affatto propria. Altro è il volto dell' Animo egro, altro quello   del Cuor fcreno, c contento. Si moftra r Ira ncll' Occhio torvo, e rofleggiante, nelle gonfie labbra , neli' accefo colore, neli' inturgidimento de' mufeoJi, nella irrequieta, e varia agitazione   delle membra. L' invidiofa malignità impallidire il vifo, illividifcc il labbro, rappiglia le guance, vibra corte occhiate e fuggiafche, richiama ogni momento alla terra lo fguardo, nè permette che fi alzi libero, ed aperto in   faccia altrui. Porporeggia Tulle guan-   ce IaModeftia al Tuono delle Tue lodi, e il guardo inchina, e un movimento di pena conduce fui volto, ma di una pena che rifpetta chi la produce co'plaufì, e cogli cncomj . Un vivo defiderio mirto di compiacenza, attacca gli occhi di chi Io ha in cuore, lui caro Oggetto, che a fe lo tira, le labbra reIran focchiufe, ferme le membra , muovonfi lente , ed oblique le pupille, ma fenza deflettere da chi gì' infpira e compiacenza , e voglia. Compone la Gioja Ja bocca al rifo, ed il co-lor ravviva, diftende il fopracciglio,  e Io innalza, c gli occhi muove tremuli , c brillanti . Egli è dunque innegabile, che ogni affetto ha il fuo vifo,   ha un' aria tutta Tua, e che i belli affetti han V aria bella, come i truci, i  maligni, i pulìllanimi, i tetri, e perciò i difprezzabili , ed i viziofi affetti  han T aria brutta. Tra tutte le belle arie, quella che   nafee da un' Animo pieno di nobili sentimemi, di ogni vera battezza, e di ogni orgoglio fchivi, che amabile macffà fuol chiamarti, quella della lieta serenità di spirito, voto di pungenti   cure, e fuor della tempeffa degli affetti, quella della tenera BENEVOLENZA, qual   fi moffra all' afpetto di chi ci giunge   carifsimo, e quella della dolce ammirazione, fon le più belle, gcneralmente parlando; e tutte V arie belle del   volto fon' appunto, fe ben vi fi rifletta, quel ciò che comunemente dicefi   un certo non fo che, che piace, e alletta. E fc tutti non trovano in un medctimo volto quel certo non fo che,   che più ne piace , addivien ciò , pcrchè non ogni affetto produttore di qualche beli' aria del vifo, diletta tutti ugualmente; nè ogni beli' aria può   produrre in tutti una ugualmente grata impresone: poiché il fenfo del Bello, di cui parlammo già, non è in tutti gli Uomini fomigliantiflimo. jQuindi piace più ad uno Y aria cupida, c 4§nguente , ad un'altro la vezzofa e vivàce. Ama piuttofto un terzo la ferenat grande iniieme, quella cioè, che   prender fògltono le Anime grandi; ad   un quarto è più caro 1' afpetto della bella modeftia. In mezro però a tutte quefte differenze, egli è Tempre vero, che per gli affetti belli dei Cuore y   qualche aria bella , e qualche nuovo pregio acquifta il volto, ed in confeguenza che le bellezze del; Cuore non folo ci piacciono per fc medelìme, ma affai   più grata, e più toccante ci rendano-   la bellezza corporea.  Ed ceco epilogate tutte le cagioni fiiìcbe, e morali della perfonal Simpatia. Corpo per la bruttura delle membra, e pel colorito delia cute dilettevole agli occhi , c refò ancor più toccante da qualcheduna delle beli' triff   Mente bella, tale cioè che unifica in fc   ftefla il filosofìco genio, ed il Poetico, o vogliam dire la fublime, e multiplice ed efatta cognizione delle cole , colla doviziofa , e luminofa eloquenza; e finalmente Cuor bello, cioè deU   le amabili, e delicate morali Virtù indiffolubile amante , fon tutte quelle fogge di bellezza , che riunite in una ftclla persona lo rendono quali un' Oggetto di adorazione, una foave delizia della Vita, un Ben celeftc in Terra. Che fe pregj sì cari , e sì portenti rincon tri od in due , che iì conofcano a fondo, una Simpatia irreiiftibilc forza è, che gli aflortifea, e vicendevolmente gli Aringa. Sarà quefta durevole, e felice per mille, e mille dolcezze, fe i pregj dell'animo sorpassano con eccetto tutti i pregj corporei : farà vacillante, c fugace, e fotto una dolce fuperficie, amara ed ortica, fe un bel corpo che invogli, deforme animo, e da vizj infociali macchiato, nafeonda, o Mente racchiuda (travolta , o abbacinata. Con tali difetti può bene (lare un' animale-   fca paflione, una paiTionc bella non già. Bella, e tenera amicizia vuole un Cuore adorabile, vuole un* efquiiìto buon  senso, se non un'Ingegno, ed uno spirito trascendente il mediocre livello, e senza bella, e tenera amicizia non vi è bella pafsione. Dunque il diletto, che la corporea bellezza infpira, foltanto inclini il cuore , ma la Ragione oltre la feorza trapafsi, penetri fino al centro dell' animo , c tutti gli afcoli   Attributi fuoi curiofa indagatrice, e giudice imparziale rintracci , cmifuri. Non supponga credula le intcriori bellezze, ma ve le veda in piena luce. Se le vede, approvi la propenfion dell’affetto, dalla corporea bellezza prima eccitato, c lafci liberi al cnore gì' innocenti fuoi moti, che un taf oggetto n' è degno. Ma fc al contrario, riguardando l'Anima, da un vezzofo corpo velata, quelle bellezze non vi ravvifi, che effee debbono f unica real forgente delle belle   pafsioni, come ne fon la vita, ritenga la savia ragione le fconiìgliate inclinazioni del cuore verfo quel Corpo, e come unaSfinge, un' Arpia, una Circe venefica, una feduttricc Sirena, fotto mentite   larve quella fallace fuperficial bellezza   rifguardi, e la fugga torto, e la detcfti. Se Ragione illumini, e feorga a degno   Oggetto il cuore , le Simpatie beata cofa   fono, e dono preziofo del Ciclo. Mafc  gli ertemi fentì guidano foli il cuore agli affetti, e loSpirito cede i dritti fuoi   fovrani a chi non ha conlìglio, la Simpatia è cieca, e corre forfennata colà, donde dovrebbe fuggire; vola in preda agli affanni, e al tardo pentimento, mentre incauta s' immagina di volare in braccio alla più invidiabile Felicità. Giovanni Gualberto De Soria. Soria. Keywords: l’opuscolo, simpatia, simpatia, empatia, simpatia conversazionale, other-love, self-love, benevolenza, helpfulness, cooperation, basis, dull empiriist, enough of a rationalist, quasi-contractualist, relevance breakdown on you, one principle, rationality, cooperation. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Soria” – The Swimming-Pool Library. Soria.

 

Grice e Sorrentino: la ragione conversazionale del Vico italico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Vico. Bordon, La retorica di Vico. VICO e le razze mediterranee, Bulletin italien di Bordeaux. Scrocca. Vico e un suo recente critico: in Rassegna nazionale di Firenze. Keywords: Vico, razza mediterranea, razza aria. Andrea Sorrentino.

 

Grice e Sorrentino: la ragione conversazionale e la persona come paradigma di senso – la scuola di Nola -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Nola). Flosofo nolese. Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Nola, Napoli, Campania. Tra i massimi esperti italiani di teologia filosofica, ma oltre alle letture di carattere teologico-religioso, è anche ideatore di una filosofia autonoma ed originale. -- è infatti convinto che si debba ricercare una connessione tra le varie forme di sapere, spesso rinchiuse nell'ambito dei propri specialismi e pertanto sterili. Studia a Milano. Si laurea in filosofia a Napoli, dove consegue anche la laurea in teologia. Insegna a Salerno. Sviluppa tematiche come il dibattito sulla religione, inteso nel senso di una problematizzazione e di una tematizzazione del religioso nella società a partire dall’illuminismo. Cerca di inquadrare la filosofia relativa all'etica e alla religione. Da qui parte il tentativo di una tematizzazione filosofica della dimensione simbolica. Il motore della ricerca è il tentativo di giungere ad una forma di connessione dei saperi che possa superare le difficoltà e le incomprensioni del mondo contemporaneo, non solo in ambito filosofico.  Altre saggi: La teologia della secolarizzazione: chiesa, mondo e storia; La filosofia della religione, ermeneutica e filosofia trascendentale; Filosofia ed ESPERIENZA religiosa”; “Realtà del senso e universo religioso”; “Per un approccio trascendentale al fenomeno religioso”; “La dottrina della fede”; “Il valore della vita”; “Dialettica”; “Obbedire al tempo”; “L'attesa”; “La dialettica nella cultura romantica”; “Religione e religioni”; “Il prisma della rivelazione”; “Una nozione alla prova di religioni e saperi”; “L'eredità dell'illuminismo e la critica della religione”; “Diversità e rapporto tra culture”; “Le ragioni del dialogo. Grammatica del rapporto tra le religioni”; “Nichilismo e questione del senso”; “Teologia naturale e teologia filosofica”; “La libertà in discussione”; “Le ragioni del dialogo. Grammatica del rapporto fra le religioni, “La persona come paradigma di senso”; “Dibattito sull'eredità di Mounier”; “La teologia politica in discussione” -- Salerno, Giornale di filosofia della religione,. Sergio Sorrentino. Sorrentino. Keywords: la persona come paradigma di senso, H. P. Grice, P. F. Strawson. Luigi Speranza,”Grice e Sorrentino”.

 

Grice e Sorrentino: la ragione conversazionale e l’implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Vincenzo Sorrentino.

 

Grice e Sosistrato: la ragione conversazionale della scuola di Locri – Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. Locri, Reggio Calabria, Calabria. A Pythagorean, according to Giamblico. Grice: “What is important to note here is the reference to Locri, because it’s quite a way from Crotona, and let’s not forget this is all part of the Crotona diaspora, as we may call it.

 

Grice e Sozione: la ragione conversazionale e la romanità nel circolo dei Sesti -- Roma antica – Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Tutor of Seneca. In glossary to Roman philosophers, in Roman philosophers. Filosofo pitagorico, appartenente alla scuola dei Sestii, e accolge anche motivi etici di derivazione del Portico Vive a Roma all'epoca di OTTAVIANO e di TIBERIO e e tra i maestri di Seneca. Viene da questi citato, a proposito del vegetarianismo di ispirazione pitagorica, nelle Lettere a Lucilio. Non credi che le anime siano assegnate successivamente a corpi diversi, e che quella che chiamiamo morte sia soltanto una migrazione? Non credi che negli animali domestici o selvaggi o acquatici dimori un'anima che un tempo è stata di un uomo? Non credi che nulla si distrugge in questo mondo, ma cambia unicamente sede? Che non solo i corpi celesti compiono giri determinati, ma anche gli animali seguono dei cicli, e che le anime percorrono come un circolo? Grandi uomini hanno creduto a queste cose. Perciò, astieniti da un giudizio e lascia tutto in sospeso. SE queste teorie sono vere, l'astenersi dalle carni ci mantiene immuni da colpa; SE sono false, ci mantiene frugali. Che danno deriva dal credere in esse? Ti privo degl’alimenti dei leoni e degli avvoltoi. Traduzione di Natali in Seneca, Tutte le opere, a cura di REALE, Bompiani. Ferrero, Storia del Pitagorismo nel mondo romano dalle origini alla fine della Repubblica, Torino-Cuneo; Centrone, Introduzione ai Pitagorici, Roma-Bari. Quinto Sestio filosofo romano Ecfanto di Siracusa filosofo greco antico. Sozione pagina di disambiguazione di un progetto Wikimedia. Keywords: il circolo dei Sesti. Sozione.

 

Grice e Sozzini: la ragione conversazionale -- razionalismo, e moi – la scuola di Siena -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena). Filosofo sienese. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Siena, Toscana. Socinianism. Nacquero in questa casa S. letterati insigni filosofi sommi della liberta di pensiero strenui propugnatori contro il soprannaturale vindice della umana ragione fondarono una celebre scuola precorrendo le dottrine del razionalismo – I liberali senesi ammiratori reverenti questa memoria posero, Fausto. Fausto Sozzini. Lelio Sozzini. Sozzini. Keywords. Refs.: H. P. Grice, “Sozzini, rationalism, and moi”, Luigi Speranza, “Grice e Sozzini” – The Swimming-Pool Library.

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