Powered By Blogger

Welcome to Villa Speranza.

Welcome to Villa Speranza.

Search This Blog

Translate

Friday, December 20, 2024

GRICE E SCLAVIONE

 

Grice ed Sclavione: il lizio di Padova – la scuola d’Abano -- filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Abano). Filosofo veneto. Filosofo italiano. Abano, Veneto. Grice: “I like Abano; he is from my wife’s favourite part of Italy – Veneto – actually provincial di Padova – which has Gaspirated p!” – Grice: “My favourite Abano is the logician or philosopher of the lingo – Grice: “As a classicist, I can expand on Lycaeum – the weirdest word I ever came across – We don’t call them peripatetics at Oxford: we call them members of that gentlemen’s club – the Lycaeum – neutre. What does it stand for – it stands for a statue, of a seated god – Apollo --. The Italian evolution of the sound ‘lyc-’ is lizio. At Oxford, it has become a code word for “Aritotelian” – without the fallacy ad hominem!  Melodramma. Filosofo, insegnante di filosofia e a Parigi e Padova. Inoltre è considerato il primo rappresentante dell LIZIO padovano. Amico di Marco Polo, vive a lungo a Costantinopoli per imparare il greco, studiando in originale i testi di Galeno. È autore anche di varie traduzioni di saggi filosofici greci in latino: i “Problemata” di Aristotele -- ai quali aggiunse un commentario, l’ “Expositio Problematum Aristotelis”), i Problemata di Alessandro di Afrodisia, vari scritti di Galeno e Dioscoride. Si guadagna una grande fama come autore Conciliator Differentiarum, quæ inter Philosophos et Medicos Versantur. S. ispira a Giotto il complesso – e per molti versi misterioso – ciclo pittorico che orna il palazzo della ragione di Padova, andato perso in un incendio e rifatto da alcuni pittori minori seguendo lo stesso schema iconografico. Il ciclo di affreschi è suddiviso in CCC riquadri, si svolge su III fasce sovrapposte, ed è uno dei rarissimi cicli astrologici. È considerato uno dei più colti ingegni, la sua dottrina lo fa passare per un negromante.  Accusato III volte dal tribunale dell'inquisizione di magia, eresia e ateismo è prosciolto le prime II volte. L'ultima volta muore in prigione a causa delle torture subite. A seguito della condanna il suo cadavere è dissotterrato per essere arso sul rogo.  Ad A. esplicitamente si rifa, per alcuni argomenti, come l'embriologia, il filosofo Forlì [si veda]. Nel Conciliator Differentiarum, quæ inter Philosophos et Medicos Versantur A. rifere di avere parlato con Marco Polo di quello che ha osservato nella volta celeste durante i suoi viaggi. Marco racconta che durante il suo viaggio di ritorno nel mar cinese avvista quella che descrive in un disegno come una stella a forma di sacco – “ut saccoc”, on una grande coda – “magna habet caudam.” A. interpreta questa informazione come una conferma della sua teoria secondo cui nell'emisfero sud si puo osservare una stella analoga alla stella polare, ma si tratta con ogni probabilità di una cometa. Gl’astronomi sono concordi nell'affermare che non ci furono comete avvistate in Europa, ma ci sono testimonianze che una cometa venne avvistata in Cina. Questa circostanza non compare nel Milione. A. conserva il disegno nel suo “Conciliator differentiarum quæ inter philosophos et medicos versantur.” Sempre nello stesso saggio, si riporta la descrizione di un animale di grossa stazza con un corno sul muso, identificato con il rinoceronte. A. non riferisce un nome particolare assegnato da Marco a questo animale. Si pensa invece che è Rustichello a identificarlo con l'unicorno nel Milione. Questa testimonianza è stata ripresa da Jensen, quando venne messa pesantemente in dubbio la veridicità del Milione di Marco Polo.  Sempre nel Conciliator Differentiarum, A. menziona la spedizione d’Ugolino e Vadino Vivaldi genovesi verso le Indie per via mare.  "Parum ante ista tempora Januenses II paravere omnibus necessariis munitas galeas, qui per Gades Herculis in fine Hispania situatas transiere. Quid autem illis contigerit, jam spatio fère XXX ignoratur anno. Transitus tamen nunc patens est per magnos Tartaros eundo versus aquilonem, deinde se in orientem et meridiem congirando. Riconoscimenti Il Teatro Congressi di Abano Terme -- già "Cinema Teatro delle Terme" -- è a lui dedicato, come pure l'IPSSAR A. (Istituto Professionale di Stato per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione) poco distante, e altrettanto il Centro Studi Termali A., ente di ricerca del territorio Euganeo. È rappresentato a Padova in una delle LXXVIII statue di Prato della Valle e nell'alto-rilievo al di sopra di una delle IV porte d'entrata di palazzo della ragione. Ad Abano Terme a lui sono dedicati una statua nell'omonima piazza e il bassorilievo sul lato Est dello gnomone della meridiana monumentale in piazza del Sole e della Pace. Dizionario di filosofia. M. Guidi, Caratteri e modi della cultura araba, Real Accademia d'Italia. A Padova, specialmente, ferve lo studio degl’arabi, poiché A. – il quale si è servito non solo del greco, ma anche dell'arabo che è andato a studiare a Costantinopoli per poter rettificare gl’inevitabili errori delle versioni del tempo – fa della sua scuola il centro di quello che fu poi detto l'«Arabismo medico».». Ventura, Translating, commenting, re-translating: some considerations on the Latin translations of the Pseudo-Aristotelian Problemata and their readers, in Goyens, Leemans e A. Smets, Science Translated: Latin and Vernacular Translations of Scientific Treatises in Medieval Europe, Leuven; A., su galeno latino. Vico, Per una storia dell'embriologia, Guerini, Napoli, Jensen, The World's most diligent observer, Asiatische Studien, Bottin, A., Marco Polo e Giovanni da Montecorvino, in Medicina nei Secoli, Tiraboschi, Storia della letteratura italiana” (Firenze, Molini e Landi); “Conciliator differentiarum philosophorum et precipue medicorum.” Pazzini, A., in Dizionario Letterario” (Milano, Bompiani); Cadden, "Sciences/silences: the nature and languages of sodomy in A.'s problemata commentary,” in Lochrie, McCracken e Schultz, “Constructing sexualities” (University of Minnesota press, Minneapolis & London); “Médicine, astrologie et magie: autour de A.”, Boudet, Collard e Weill-Parot (Firenze, Sismel - Edizioni del Galluzzo, Società internazionale per lo studio del medio-evo latino); Trattati di Astronomia, Lucidator dubitabilium astronomiae, De motu octavae sphaerae e altre opere, cur. Vescovini, Padova: Editoriale Programma, Loris Premuda, «Pietro d'Abano». In:  Dizionario critico della letteratura italiana, Torino: POMBA L. Norpoth, Zur Bio-Bibliographie und Wissenschaftslehre des Pietro d'Abano, Mediziners, Philosophen und Astronomen in Padua, Kyklos, Lynn Thorndike, A history of magic and experimental science, Vol. II: During the first thirteen centuries of our era. New York: Columbia university press, Sante Ferrari, I tempi, la vita, le dottrine di S.: saggio storico-filosofico, Genova: Tipografia R. Istituto Sordomuti, Pietro d'Abano, Conciliator differentiarum philosophorum et precipue medicorum, Gregorio Piaia, Pietro d'Abano. Filosofo medico e astrologo europeo, Milano, FrancoAngeli, Francesco Aldo Barcaro, L'eretico Pietro d'Abano (medico o mago?), Nuova Grafica, Vigorovea (Sant'Angelo di Piove di Sacco, PD), Voci correlate Storia della scienza Aristotelismo Taddeo Alderotti Mondino dei Liuzzi Sefer Raziel HaMalakh. Treccani – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Guido Calogero, Pietro d'Abano, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Pietro d'Abano, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.Iolanda Ventura, Pietro d'Abano, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Opere di Pietro d'Abano, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.(FR) Bibliografia su S. Les Archives de littérature du Moyen Âge.Marta Cristiani, Pietro d'Abano, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Pietro d'Abano, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. He is possibly the first alphabetical philosopher. But there are more! Important Italian philosopher. From Abano-Terme. “If Occam is called Occam, I should be called Harborne.”Grice. “He was an exacting editor, if ever there was onebut he failed at one thing, “Problemata physica” was never written by Aristotle!”Grice. S. nasce nella città italiana da cui prende il nome, ora Abano Terme. Guadagna la fama scrivendo "Conciliatore Differentiarum, quae tra Philosophos et Medicos Versantur." Finalmente è stato accusato di eresia e l'ateismo, ed è venuto prima della Inquisizione. Muore in carcere prima della fine del suo processo. Vive in Grecia per un periodo di tempo prima che si è trasferito e ha iniziato i suoi studi a lungo a Costantinopoli. Si trasferisce a Parigi, dove è stato promosso ai gradi di dottore in filosofia, nella pratica di cui era un grande successo, ma i suoi costi sono notevolmente alta. A Parigi divenne noto come "il grande lombarda". Si stabilì a Padov ed è stato accusato di praticare la magia: le accuse specifiche è che è tornato, con l'aiuto del diavolo, tutti i soldi che ha pagato di distanza, e che possede la pietra filosofale. Naudé, nel suo "antiquitate scholae Medicae Parisiensis," dà il seguente resoconto di lui. "Cerchiamo di prossima produciamo S. chiamato il riconciliatore, a causa del famoso saggio che ha pubblicato durante il suo soggiorno nella vostra università. E 'certo che fisica laici sepolto in Italia, scarsa noto a nessuno, incolto e disadorno, fino alla sua genio tutelare, un abitante del villaggio di Apona-Terme, destinata a liberare l'Italia dalla sua barbarie e l'ignoranza, come Camillo volta liberato Roma dall'assedio del Galli, ha fatto un'indagine diligente in quale parte del mondo della letteratura cortese è stato felicemente coltivata, la filosofia più astuzia gestito, e fisico ha insegnato con la massima solidità e la purezza; e di essere certi che sola Parigi rivendicò questo onore, là vola attualmente; dando se stesso interamente alla sua tutela, si applicò con diligenza per i misteri della filosofia e della medicina; ottenuto un grado e l'alloro in entrambi; e poi entrambi insegnato con grande applauso: e dopo un soggiorno di molti anni, loaden con la ricchezza acquisita in mezzo a voi, e, dopo essere stato il più famoso filosofo del suo tempo, torna al suo paese, dove, a giudizio del giudizioso Scardeon, è stato il primo restauratore della vera filosofia. Gratitudine, quindi, invita a riconoscere i vostri obblighi a causa di Blondus,  di Roma, che nell'ultimo impegno secolo di pubblicare il Conciliationes Physiognomicæ del proprio Aponensian, e trovando erano state composte a Parigi, e nella vostra università, ha scelto di pubblicarli nel nome, e con il patrocinio, della vostra società.  Portava le sue indagini finora nelle scienze occulte della natura astruso e nascosta, che, dopo aver dato più ampie prove, dai suoi scritti in materia di fisionomia, geomanzia, e chiromanzia, si è trasferito sulla allo studio della filosofia; che studi hanno dimostrato in modo vantaggioso per lui, che, per non parlare dei due prima, che lo presentò a tutti i papi del suo tempo, e lo ha acquisito una reputazione tra i dotti, è certo che era un grande maestro in quest'ultimo, che appare non solo dalle cifre astronomiche che aveva dipinto nella grande sala del palazzo di Padova, e le traduzioni fece dei libri del rabbino dottissimo Abraham Aben Ezra, aggiunto a quelli che si ricompose nei giorni critici, e il miglioramento di astronomia, ma dalla testimonianza del celebre matematico Regiomontano, che ha fatto un bel panegirico su di lui, in qualità di un astrologo, nell'orazione ha pronunciato pubblicamente a Padova quando ha spiegato c'è il libro di Alfragano. Steepto  scritti  Conciliatore differentiarum philosophorum et precipue medicorum Nei suoi scritti egli espone e difende i sistemi medici e filosofici di Averroè, Avicenna, ed altri scrittori. I suoi saggi più noti sono il Conciliatore differentiarum quae tra philosophos et medicos versantur e De venenis eorumque remediis, entrambi i quali sono ancora esistente in decine di manoscritti e varie edizioni a stampa. Il primo tentativo di riconciliare apparenti contraddizioni tra teoria medica e la filosofia del LIZIO, ed è stato considerato autorevole in ritardo quanto XVI secolo. E 'stato affermato che S.  anche scrive un saggio di magia chiamato "Heptameron," un manuale conciso di riti magici rituali che si occupano di evocare gli angeli specifici per i VI giorni della settimana -- da qui il titolo. Egli è anche accreditato con la scrittura De venenis eorumque remediis, che ha esposto sulle teorie arabi in materia di superstizioni, veleni e contagi.  l'Inquisizione  Generico ritratto di Petr [noi] da Abano conciliatore,  xilografia dalla Cronaca di Norimberga, E 'stato due volte portato in giudizio da parte dell'Inquisizione; per la prima volta è stato assolto, e muore prima che il secondo processo è stato completato. E 'stato trovato colpevole, però, e il suo corpo è stato ordinato di essere riesumato e bruciato; ma un amico aveva segretamente rimosso, e l'Inquisizione doveva quindi accontentarsi con la proclamazione pubblica della sua frase e la combustione di S. in effigie.  Secondo Naude:  L'opinione generale di quasi tutti gli autori è, che e il più grande mago del suo tempo; che per mezzo di sette spiriti, familiari, che tenne chiuso dell'articolo in chrystal, ha acquisito la conoscenza delle VII arti liberali, e che ha l'arte di causare il denaro che aveva fatto uso di tornare ancora in tasca. È accusato di magia e muore prima che il suo processo e finito. E stato condannato, come riporta Castellan, al fuoco; e che un fascio di paglia o vimini, che rappresenta la sua persona, è stata pubblicamente bruciato a Padova; che così rigoroso un esempio, e dalla paura di incorrere in una sanzione, come, potrebbero sopprimere la lettura dei tre saggi che ha composto su questo argomento: il primo dei quali è la nota Heptameron, o elementi magici di S, filosofo, ora esistente, e stampato alla fine di Agrippa opere s'; il secondo, quello che Trithemius chiama Elucidarium Necromanticum Petri da Abano; e un terzo, chiamato dallo stesso autore Liber experimentorum mirabilium de Annulis secundem, 28 Mansiom Lunae. Abside con il suo sarcofago. Barrett si riferisce al parere che non era sul punteggio di magia che l'Inquisizione ha condannato Pietro d'Abano-Terme a morte, ma perché ha cercato di spiegare i meravigliosi effetti nella natura dalle influenze dei corpi celesti, non attribuendole agli angeli o demoni; in modo che l'eresia, piuttosto che la magia, sotto forma di opposizione alla dottrina degli esseri spirituali, sembra aver portato alla sua persecuzione. Per citare Barrett: Il suo corpo, prese privatamente dalla sua tomba dai suoi amici, sfuggito alla vigilanza degli inquisitori, che avrebbero condannato a essere bruciato. E 'stato rimosso da un luogo all'altro, e finalmente depositato nella Chiesa di St. Augustin, senza epitaffio, o qualsiasi altro segno di onore. I suoi accusatori attribuiti opinioni incoerenti a lui; lo accusato di essere un mago, e tuttavia con negare l'esistenza degli spiriti. Aveva una tale antipatia per il latte, che vedendo chiunque prendere lo faceva vomitare.Altro lettura Francis Barrett, The Magus, J. Cadden, "Scienze / silenzi: la natura e le lingue di" sodomia "in Pietro d'Abano Problemata Commento". In: K. Lochrie e McCracken & J. Schultz, Costruire sessualità medievali, University of Minnesota Press, Minneapolis & London; L. Premuda, Dizionario della  biografia scientifica. New York: Charles Scribner Sons. L’Heptameron. IONI APOLLO Ni  Giuseppe  PIETRO  R  ADANO   MELODRAMMA  SERIO  IN  3  ATTI    PER  MUSICA  ESPRESSAMENTE  COMPOSTO maestro da  rappresentarsi SULLE  SCENE  DEL GRAN TEATRO  LA  FENICE   mIIcu  iene»  t)i/  Gauwv.  e.  a  te  perdoni  Iddio  La colpa  inaudita  (un rumore la atterrisce)   SCENA. Pietro  d’Abàno  venendo  da  parie  opposta  a  quella  ove   si  finge  la  casa  e Detta. Lui. padre mio. Benedici alla figlia. . ( confusa  e  piangendo  si  pròstra  a  lui  d'  innanzi) a  che  di.  pianto   Cospersa  è  la  tua  got?...  ahi  I  ben  comprendo! La  miserànda  prole Di tal  se’  tu,  cui  l’ire  sanguinose   PlET. 9 Perseguono  dell’  idra,   Che  umanità  si  appella:  ecco  il  mio  premio  De  lunghi  studi,  onde  al  supremo  fato  Vorrei  fosse  involato  Ogni  mortale! o  povera  infelice,   Per  la  mia  destra  Iddio  ti  benedice.  Ma  l’aura  imbruna,  e  al  prego  consueto   Appo  la  dolce  madre  io  già  t’attendo   Fra  poco  (parte)   SCENA  Luisa  sola. Lui. ciel,  che  intendo  1 Come  soave  all’anima  Scese  il  paterno  accento, A  quai  dilette  immagini. Rapita  ancor  mi  sento. Mai  non  verrà  che  profuga   Dal  patrio  foco  io  mova; %   E  Dio,  che  in me  rinnova   Di  figlia  il  santo  amor. ( move alla volta  della  casa in  questo  punto  di  lontano  si  leva  una  melanconica  canzone Luisa  quale  estatica  si  ferma.) 7  oce  lontana.  Di  cupo  oceano m’agita  l’onda. Sola  è  una  vela che  tragge  a  sponda,  E  sola  un’oasi che  in  rio cammino  Dal  sol  difende  me  peregrino. Deserto, oceano son  la  mia  vita,  Sei  tu  la vela,  l’oasi  romita;   Sei  tu  il  bell’angelo che  ni* innamora, Te  solo  il  core, te  solo  adora! Lui. (fremendo)  Ogni  fibra  il  suo  flebile  sospiro Dolce  e  fatai  m’ investe; Oh  rio  martiro!  oh  voluttà  celeste! (la  canzone a poco a poco andrà  morendo,  e  se  ne  sperderà  dolcemente  la  eco  per  V aure  della  notte  Luisa  prorompe)   l  Vieni,  il  rimorso  orribile  Spegni  deH’alma  mia,  De' baci  tuoi  s’innebrii  Quest’ empia  a  te  fedel.   Vieni,  o  diletto,  involami;   Sparsa è di fior  la via,  Pel  cui  profumo  gli  angeli   Farien  deserto  il  ciel.  (cava  un  piego  si¬  gillato,  e  lo  reca  entro  alla  capanna.)  SCENA  Passano  varii  istanti    poi    vede  approdare  alla  porta  diroccata  della  mura  una  navicella,  da  cui  scende  una  persona  chiusa  in  bujo  mantello,  e  dalla  riva  entra  neir  orto è  Arnoldo  indi  Luisa. ArX.  (chiamando  a  voce  sommessa)  Luisa!   fili,  (uscendo  agitala  dalla  capanna,  fra  sè)  o  ciel  m’aita!   Arn.  anima  mia,   Presto  fuggiamo:  entrambo  ne  poiria  Perdere  un  solo  istante  :  ornai  la  queta  Onda  rischiara  il  placido  pianeta  Amico  degli  amanti,  e spira  amore Tutto d’intorno. Lui.  ah!  taci,  (esitando,  e con voce  Ove a’ sublimi  studi  il  genitore  tremante)  li  Intende,  or    nella  capanna  io  fui,   E,  qual  m’attorniasse  Un  àer  di  loco  santo,  M’ebbi  un  prego  sul  labbro,  al ciglio  il  pianto. I  padri  miei  lasciar  no,  non  poss’io. ABX  (con  disperazione)   Ho  udito  il  ver?!  Eoi.  perdona,  idolo  mio! (si  gena  nelle  di  lui  braccia  gli  amanti  rimangono  atteggiali  in  amplesso,  e  piangendo  silenziosi  alcun  tempo,  indi  :)  Ar\.  Quando  il  tuo  labbro  angelico A  me  giurava amore  Estinto ogni altro palpito Io ti credeva in core;  Ma de’ tuoi padri il bacio  All’  amor  mio  preponi; Tu,  cruda,  or  m’abbandoni. D’ angoscia  io  morirò.   Lui.  (fra  sè)  Ab  !  dal  suo  labbro  angelico  Qual  mai  traspira  amore, 0  cielo,  ed  incolpevole  Vuoi  d’una  donna  il  core?! Miei  padri,  addio!! trafiggenti  L’idea  del  vostro  pianto. Ma  l’alma  a  tale  incanto  Resistere  non  può.  (e  risoluta  soggiunge:)  Or  eh’io  li  segua  vuol  la  mia  sorte,   Ar\.  IVemmen  dividerci  potrà  la  morte,   Lui.  (con  amoroso  delirio ) Se  ancora  estinta  esser  dovrei,   Al  tuo  lamento  risorgerei. Arv.  Giuralo,  o  cara.  Lui.  Pel  nostro  amor!! Arx.  E  tale  è  il  voto  di  questo  cor. A  due.  Vieni,  foggiani,  beU’angelo,  Nel  più  deserto  loco, Ove  a’  mortali  incognito  Avvampi  il  nostro  foco. Per  noi  l’Eliso  appresta  Un  antro,  una  foresta,  Delle  procelle  il  fremito  Dolce  armonia  sarà,   Se  a te d’accanto vivere i  \i Il  tuo r-  '  (montano  sulla  navicella La tua  6  6  P°tia'  e  fungono  rapidamente.)   SCENA. Comparisce  indi  sulla  riva del  fiume una squadra di Scherani, i quali circospetti s’internano  iteli  orto. Coro (sommessamente) Ben fu saggio il comando supremo) Qui protetti dall’ ombre  notturne  Sul  maliardo  piombare  or  dovremo  Come  spettri  evocati  dall’  urne. Di  tumulto  scintilla  saria   Trarlo  in  ferri  alla  luce  del  sol,   Che  dell’empio  rapito  in  balia  Va  un  fanatico  e  giovine  stuol.   (s' odono  in  distanza  suoni  e  voci  festive)  Qual  concento! ALCUNI  ScHER.  ( uscendo alla riva)  dall’ una  all’altra  sponda  Tutta  di  barche  ricoperta  è  l’onda, Ver qui  son  volte. Gli  altri  (che  sono  nell’orlo)  Zitti,  del  maliardo  Si  schiude  la  magion. Tutti  d’ognuno  al  guardo   Per  or  si  fugga,  e  ascosi  dalle  fronde   Non  veduti  osserviam. (si  appiattano  fra  le  macchie  e  le  ruine  della  mura.)  SCENA Pietro  cì'A bàno,  Maria,  Lucio,  e fa  migliori  con  lumi.  PlET.  (chiamando)  figlia? risponde  L ‘eco  soltanto,  e  dove  è  mai?...  (rimarca aperta  la  capanna  entra.)  Mar.  nel  core   Arcano  un  senso  io  provo  di  terrore!  PlET.  (esce  pallido  in voltoet  tiene  fra  mani  il  piego  che  fu  lasciato  da  Luisa,  e  con  voce  tremante  favella  alla  moglie)  Aprire  or  deggio? un  orrido  velame. Dischiudo  io  forse . ( frange  con  mano  convulsa  il   sigillo  del  foglio,  e  leggendo  al  chiarore  d'una  face ,  esclama)   Ella  fuggia! l’ infame  Pietade  implora...  ahi!,  sorte  inesorata,  Qual  mai  strale,  qual  onta  è  a  noi  serbata!  ( prorompe  in  un  sordo  gemito,  e  cade  come  tramortito  Maria  e  gli  altri  rimangono  atteggiati  del  più  amaro  cordoglio. In  questo  punto  dalla  parte del  fumé  si alza  un  allegro  preludio  di  musica,  e  la  seguente) Serenata: Coro  Come  l’opale  prezioso.   Che  ha  dell’iride  i  color, Fra le rupi sei nascoso, 0 bell’angelo d’amor. Per  segreta  via  profonda  Ti  scendesse  almeno in cor, Serpeggiando al par di un’onda La canzone dell'amor. Mar.  Lue.  Qual  mai  cantica  giuliva Or che sangue geme il cor?! PlET. (scuotendosi,  e  come  trasogìiato  con  istrazio:)  E  per  lei,  che  fuggitiva   Si  diè  in  braccio  a turpe amor. (ricade  in  letargo  il  duolo  ammutisce  i  circostanti.)  La  serenata  continua  :   Ma  T  Eliso,  ove  t’  ascondi, A  scoprir  ne  guida  Amor;  Dal  profumo  che  diffondi  Sei  tradito,  o  vergili  fior.   Se  di  Gerico  in  fragranza  È  la  rosa  a  te minor, Di qual giglio mai t’avanza, 0 bell’angelo, il candor? PlBT.^ (rinvenendo,  come  sopra)  Quali  accenti!  oh  truce  scherno  Pel  tradito  genitori Empia  figlia,  dell’Eterno   Ti  persegua  l’ira  ognor.  (il  Coro  della  serenata  andrà  allontanandosi ,  e  sempre  col  ritornello  0  bell’iride  d’amor,   0  bel  giglio  di  candor. Piet.  Mar.  Ah!  quell’iri  di speranza Più non brilla a questo cor. Tutti ( con gemito) E svanita la fragranza Di quel  giglio  e  il  suo  candor! SCENA. Dal  ripostiglio  escono  gli  Scherani  e  detti    i   Coro  0  Pier  d’Abano,  mago  incolpat, Del  tuo  arresto comando  ne  diè  La  suprema  Giustizia . Mar.  Lue.  %  Rio  fato!...   Piet.  Altre  folgori  il  cielo  ha  per  me?!  (viene  trascinato  dagli  Scherani. Maria  cade  tramortita  nelle   braccia  di  Lucio.)  SCENA. L’interno  d’un  rustico casolare  di  poveri  montanari  sull’Apenni no  al  chiarore  di  lumicini  che  pendono da  un solajo  assidono  raccolte  a  veglia  varie  donne intente a filare  sulla  rocca  Montanari  di  varie  età,  quali  occupati  in  lavori  d’intaglio,  quali  conversano  fra  loro  e  colle  donne.  S’ode  al  di  fuori  lo  scroscio  della  piova  e  il  sibilare   dei  venti.   Coro  Che  diluvio!  orrenda  serale  Mugge  irato  l’Aquilone! Ma  che  importa  una  bufera,   Se  la  pace  in  cor  ne  sta?   Forse  accade  più  sovente  Che  de’  cor  sia  la  tenzone,  Quando  il  cielo  è  pur  ridente,   Nelle  splendide  città.  (verranno  bussati  più  colpì all’uscio  di  strada) Parte  del  Coro (con  sorpresa)   Or  chi  è  là?   Voci  al di  fuori:  pietosa  gente,  Due  vegliardi  ricovrate, che  del  turbine  fremente  Son  percossi  dal  furor. SCENA. I  montanari  aprono,  ed entrano  coperti  di  neve  e  molli  per  la  pioggia  i  due  misteriosi  in  brune  cappe  sono  Pietro  da  Reggio,  e  Landò  il  suo  confidente.  Detti. PlET.  D.  R. PlET. PlET.  D.  R  (depongono Coro.  Se  di  canna  offrirvi  un  tetto   Sol  possiamo,  perdonate. Piet.  d.  R.  Landò. Sì  il  tugurio  è  benedetto  Che  una  reggia  dal  Signor,  t  mantelli, che vengono  raccolti  dai  montanari.)  Ove  il  giogo  d’Apennino  E  più  sterile e  sublime  Sol  chi  cerchi,  o  peregrino,   Rinvenir  da  te  si  può.   Un  Romito  in  tali  accenti  'avviava  a  queste  cime,   Ed  un  raggio  fra  gli  stenti  Di  conforto  a  me  brillò.   La  mia  speme,  il  voto  mio  Compia  alfin  benigno  Iddio, Che a sfidare gli elementi Per quel voto mi chiamò. (e volgendo S:  al  Coro)  Dite,  un  giovane  albergato  Qu  iveniva? Sì,  da un anno. Mio  nepote  è  il  disgraziato, Che una perfida ammaliò. CORO  (rimangono sorpresi  e  soggiungono) Disperata  ella s’è uccisa, E lui strugge orrendo  affanno. ( s’ode  nelVinterno  un  lamento) Ab! Coro  I’udite? Voce  interna  mia  Luisa! Coro  La  sua  mente  il  duol  turbò. PiET.  D. R. (con  dolore)  Che  intendo! Arnoldo  mio! (move  verso rinterno,  chiamando  ad  alta  voce.) SCENA  Si  spalanca  di  prospetto un  uscio, e comparisce  Arnoldo  pallido,  dimesso  nelle  vesti, e detti. Arn. Da quai  labbra  nomato  ora  son  io?  (nel  ravvisare l'avo  si  atteggia  di  estrema  sorpresa.) Piet.  D.  R.  Sì,  tu  sei  desso, ti rinvenni  a Mi  ne, Ma  in  qual  misero  stato! Arn.  Vittima io son del  più  tremendo  fato. A  me  ramingo  ed  orfano,  Affranto  dal  dolore, Una  beltade  angelica  Giurava  eterno  amor,   E  di  cotale  un  giubilo  Quest’  anima  beò, che  nell’  Empireo  un  fremito  Di  gelosia  destò.   Quando,  fatai  memoria! Smarrita  un    la  mente,   Colei  mi  fugge  e  affogasi  IVell’acque  d’un  torrente. (e  ad  un  tratto  rasserenandosi,  esclama  come  in  delirio) 1S    Ma  all'amoroso  palpito  Destarla  io  ben  saprò,   Che  al  pianto  mio  rivivere    Quell'  angelo  giurò.   PlET. I).  R.   E  in  lui  destò    orribile,   Inverecondo  amore   La  figlia  di  Pier  d’Àbano. Lo. Un  maliardo. Coro   orrore! Un  reprobo,  che  ai  demoni   Lo  spirilo  donò?!   Piet.  d.  R.   Ma  sterminar quell1  empio  Un  giorno  io  ben  saprò.  Ovunque  al  fiero  eccidio  moverai   Di  quell’  uomo  infelice, Trema,  o  crudel,  della  mia  spada  ultrice. Quel  vile  accento  sperdasi  Di  sangue  e  di  vendetta,   Fiamma  novella,  indomita  S’  accende  nel  mio  cor. Il  padre  tuo  difendere,   Luisa,  a  me  s’aspetta. Del  brando  mio  paventino  [  barbari  oppressor.   JPiF/r.  b.  E.  Lo.  e  Coro   %   E  folle,  insano  il  misero, Perverso  è  ornai  quel  cor!! Piet.  d. R. Nel  sangue  di  Pier  d’Abano  Si  spenga  il  mio  furor! (Arnoldo  impetuosamente,  indarno  ratlenuto,  si  spinge  fuor i  dell'abituro   tutti  inorriditi  lo  inseguono.) Luogo  solitario. Notte. in  fondo  torreggia  una  città  da  un  lato  scalea,  che  mette  al  vestibolo  d'  un  tempio,  a cui  attiguo  sorge  di  prospetto  antico  edilizio  sostenuto  da  ampie  gotiche  volte,  da  cui  a  traverso  cancelli  si  vede  schiaralo  fiocamente  dalla  luna  un  campo  sacro  ai  defonti  Tutto  è  silenzio. Reagendosi  a  stento  inoltra  una  donna  pallida ,  emaciata ,  con  vesti  e  chiome  discinte   è  Luisa.   Lui.  Ecco  Bologna! le  paterne  mura  Vicine  io  scorgo  I  o  soglia  venerata,   Varcare  io  ti  potrò?? la  dispietata,  Che  in  abisso  d’ infamia e  di  sventura  Spigneva  i  padri  suoi,  forse  io  non  sono?..   Pur  m’avviva  una  speme  di  perdono. Va,  mi  disse  il  pietoso  eremita,   Che  salvommi  dai  gorghi  dell’onda,   E  tuo  simbolo  l’agna  smarrita, Che  de’  padri  s’attende  alTovil.  Dio  benigno,  se  è  vero  che  il  ciglio  Or  di  pianto  sincero  mi  gronda,  Al  perdono  del  prodigo  figlio  Deh!  rinnova  portento  simìl. E  Arnoldo?! essere  estinta  Deggio  per  lui!  solenne  voto  al  cielo Io  ne  sciogliea;  così  l’orrendo  crime  »  Anco  espiar  si  possa,  onde,  perduta  »  La  fè,  la  speme  del  perdon  di  Dio,   »  Pieci  dere  io  tentava  il  viver  mio. Tal  in’  impose  il  vecchiardo  eremita, Che  salvommi  dai gorghi  dell’onda; Or  mio  simbolo  è  l’agna  smarrita,   Che  de’ padri  s’attende  oìPovil. Dio  pietoso,  se  vero  è  die  il  ciglio  Or  di  pianto  sincero  ini  gronda, Al  perdono  del  prodigo  figlio  Deh  !  rinnova  portento  simìl.   (s’inginocchia  sui  gradini  della  scalea ,  e  trafelata  cade  in  sopore.)   ì  oci  confuse  nel  tempio:   Va,  fuggi,  t’ invola,  maliardo  aborrito,   Il  truce  tuo  viso  contamina  il  rito!  S. in  cima  alla  gradinala  del  tempio,  e  detta. S. (con  ira)  Anime  inique,  un’adorata  salma  Ch’io  posi  nell’avello  a  me  impedite?! Dalle  soglie  del  nume  io  son  rejetto. Un  eretico  or  sono,  un  maledetto?! Indarno  adunque l’innocenza  mia  Proclamò  il  vaticano?,  onde,  l’orrendo Carcere  a  me  dischiuso, un  più solenne  Trionfo  io  m’ebbi  che  a  Lutezia  un  giorno! E  Padoa  forse  fra  lo  stuol  docente Me  non  chiama  suo  figlio  sapiente? Come  a  spiaggia  desiata,    il  mio  spirto  Anelando  veleggia   A  te,  natia  cittade!  eppur  ch’io  deggia   D’un  rio  livor  soccombervi  alla  guerra   Cupo,  fatai  presagio  il  cor  mi  serra!  (discende  c  intoppando  nella  figlia)  Chi  è  là? una mendica. Ed.(si  scuote,  lo  ravvisa,  c  con  isgomento  fra  sè)   mio  padre,  gran  Dio!...  Piet.  Chi  se’ tu,  infelice? Lei.  (si  prostra,  e  con  voce  tremola,  e  piang.)  tua  t  fig|,*a  son  j0    (orrore,  indignazione  di  Pietro ,  c/ie  Za  misura  di  un  guardo  terribile,  e  wia/e  frenandosi  simula  di  non  riconoscerla j»   Lui.  Pentita  ritorno non  m’hai  ravvisata? PlET. (con  singulto)   Non  sei  tu  mia  prole! t’arretra,  insensata! A  due  poveretti per  gli  anni  languenti  Rendea,  sì,  una  figlia  i  giorni  ridenti,   Fu  lampo,  fu  sogno del  vergine  fior   L’olezzo,  e  pel  fango ne  sparve  il  candor. De’ padri  alle  soglie non  mova  l’indegna. Per  essa  l’infamia, la  morte  vi  regna! Lui.  (prorompe  con  disperazione)   0  santo  eremita,  l’ovile  paterno  Ripudia  la  prole! Piet.  Va,  mostro  d’inferno! Lui.  E  in  te  così  muta  1’  umana  pietà? Non  cruda  cotanto  la  madre  sarà.  (Luisa  è  in  atto  di  partire Pietro l’arresta  e  mette  un  sordo  gemito in  questo  punto  nell’interno dell'edifizio s'ode  una  lugubre  salmodia,  e  si  vede  attraversare  lentamente  il  funebre  campo  uno  stuolo  di  anacoreti  con  ceri,  indi  una  bara  e  popolo  a  capo  chino)   Coro  Eterna  requie  all’  anima   Che  abbandonò  la  terra,   A  cui  del  vero  giubilo  La  speme  or  si  disserra;   Del  bacio  tuo  santissimo  Confortala,  o  Signor, E nel  perpetuo  secolo  La  irraggi  il  tuo  splendor. PlET.  (trascinando  la  figlia  atterrila  ai  cancelli.) Tetro  baglior,  funereo  Rischiara  il  cimitero,  Per  chi  moria  si  mormora  Un  cantico  severo! Or  vedi  tu  quel  feretro? E    tua  madre  estinta,   Che  venne  al  die  novissimo  Da  te,  o  crudel,  sospinta. Del  suo  tremendo  anatema  Per  me  ti  colga  il  ciel!  Dui.  (con  g rido  disperato,  angoscioso) Gran  dio! me  stessa  invadere   Possa  di  morte  il  gel! (cade  tramortita.  Pietro  rimane immobile  insensato  contemplando  la  figlia ,  che  dopo  vari  istanti  rinvenendo  esclama  come  in  delirio)   0  tu,  che  sei  fra  gli  angeli  Fuggito  al  duol  terreno,   Scendi,  o  materno  spirito,   Del  genitore  in  seno,   Per  te  fia  dato estinguere   Del  suo  corruccio  il  foco   (e  stringendo   al  padre  le  ginocchia,  e  additandogli  il  cielo)  Per  essa,  per  queir  angelo,   0  padre  mio,  t’  invoco.  Perdona,  e  questa  misera  Dal  ciel  perdono  avrà! Piet.  (soggiunge  e  quale  forsennato  va  ripetendo)  j\è  Iddio,    il  padre,  o  reprobo,   Perdono  a  te  darai!  ( momento  di  terribile  silenzio;  riprenderà  internamente  il  salmeggiare  degli  anacoreti:)   Coro  Un  cor  contrito  ed  umile  Da  te  non  sia  rejetto,   Su  me  l’issopo  aspergasi,   O  nume  benedetto,   E  immacolato,  niveo  Lo  spirto  mio  sarà. Perdona,  e  inspira  agli  uomini  Peli'  ofìensor  pietà. (tutto  ritorna  in  silenzio. S. avrà  ascoltato  attentamente  la  salmodia    contempla  nuovamente  la  figlia  una  lagrima  gli  spunta  sul  ciglio  e  prostrandosi  in  atio  di  preghiera,  mal  suo  grado  :)   Piet.  A  che  mi  commosse  quel  flebile  canto?   Perchè  le  mie  ciglia  son  molli  di  pianto?  Quai  mistici  sensi  or  provo! Lui.  È  il  Signore, che  a  te  la  pietade infonde  nel  core...  PlET.  (piangendo)   0  salmi  pietosi,  o  sacro  concento! Lui.  (con  anima  crescente)   Dall’urna  materna  pur  esce  un  accento,   Che  all’alma  d’ un  padre perdono  consiglia! Ascoltalo. Pi  et.  figlia.. Lui.  (c.  s.)  perdona. S. (schiudendole  l'amplesso)  Mia  figlia! Lui.  Gran  dio,  forse  è  vero?! S.  È  spento  il  furor. Qual  io  ti  perdono perdoni  il  Signor!  A  DUE  ( prostrati  e  con  espansione :) Oh! sia  benedetto pur  sempre  l’Eterno,   Che  all’ uomo  soccorre nel    del  dolor.   sposa,  0|.  |jeata    ne]  cje]0  superno  madre, Ognor  de’ tuoi  cari  favella  al Signor! S. (sorgendo  esclama)  al volgo  io  derido  che  un  empio  mi  crede,  Non  più  m’atterrisce dell’uomo  il  furor, Se  ancora  una  figlia  Iddio  mi  concede,   »  E  un  tempo  m’aspetta di  gloria  e  splendor! SCENA. Padova, il  Prato  della  Valle  baracche  d’ogni  sorta da  un  lato  padiglione  all’  ingresso  di  magnifico  recinto  apparato  per  un  torneo    accorre  d’ognidove  immensa  folla  di  popolo. CoRo.TTripudio  e  baldoria!  esultino  i  cori! Sia  gaja,  sia  splendida  la  Festa  dei  fiori! Dell’  aureo  carroccio  la  nobil  difesa, la  giostra  del  Satiro rammenta  un'Impresa, Che  somma  pei  secoli, ed  inclita  andrà  Ne’  fasti  che  annovera  1’Euganea  Città. (varii  banditori  di  storie  dispensano  fra  il  popolo  delle  pergamene  chi  legge  su  quelle,  chi  ascolta) Parte  del  CORO  (leggendo)  Pel  Sire  di  Svevia  in  Padoa  regnava  Un  Conte  Pagano  un’  anima  prava,  Di vampa  amorosa  lo  ardea  Speronella, Ed  esso, l’infame!,  rapì  la  donzella;   Con  prodi  seguaci allor  Dalesmanno   Ritolse  la  figlia,  sconfisse  il  tiranno!  Tutti.  Tripudio  e  baldoria! esultino i cori!  Sia  gaja,  sia  splendida la  Festa  dei  fiori! Varii  del  popolo  (osservando  all’interno)  Oh come s’avanza  leggiadro il Silvano, Fedele sembianza del Conte Pagano! (intanto varie persone  ammantellale  si  ragunano  fra  loro ,  e  guatando  sdegnose  alla  folla  baccante ,  dicono  sommessamente:   Or  qui  si  tripudia, e  ali’ alba  vegnente  Fia  spento,  fia  cenere  di  Padoa  il  sapiente! Salvarlo,  o l’ infamia  di  tale  empietà  Col  sangue  de’giudici  scontar  si  dovrà. (si  disperdono)  SCENA  Suono  fragoroso di  trombe  preceduti  da  alfieri  colle  Insegne  di  loro  casato  diffilano  i  Cavalieri  della  Marca  splendidamente  armati  indi  viene  il  carroccio  sormontato  da  un  padiglione  di  porpora  con  in  cima  un’  antenna  riccamente  guernita  di  frange  d’oro,  e  avente  l’arme  della  Città  (drago verde  a  due  teste) turbine  di  fiori  lanciati  da  giovani  nobili,  che  figurano  così  1’assalto  del  carroccio,  a  cui oppongono  resistenza)  con  armi  eguali  leggiadre  fanciulle, che  ne  stanno  alla  difesa  sotto  al  padiglione  paggi con ceste di  fiori  da  apprestarsi  agli  assalitori  continuamente  dietro  il  carro  nuova  schiera  di  Cavalieri,  indi  coll’Insegna  del  Satiro  una  squadra  di  armati  in  nera  assisa  Scudieri,  valletti,  giullari,  popolo. Lieta  marcia,  e  Coro Tripudio,  e  baldoria!  esultino  i  cori!   Sia  gaja,  sia  splendida la  Festa  dei  fiori! Dell’  aureo  carroccio  la  nobil  difesa,  La  giostra  del Satiro  rammenta  un’Impresa,  Che  somma  pei  secoli  ed  inclita  andrà   Ne’  fasti  che  annovera  1'Euganea Città.  (arrivato  lo  splendido  Corteo  all’ingresso  dello  steccato ,  tutti  si  fermano  discendono  dal  carroccio  ì  due  consoli  in  ampio  rob-  bone  di  velluto  rosso,  e le dodici donzelle  coronate di  gigli  e  di  rose. Terminato  il  Coro ,  si  udrà  nell’interno  la  voce  d'un  trovatore,  che  accompagnata  mestamente  da  un  liuto,  canta)  Di  cupo  oceano  m’agita  1’onda. Nessuna  vela  mi  tragge  a  sponda,   Non  veggo  un’  oasi,  che  in  rio  cammino  Dal  sol  difenda  me  peregrino;  Cor.  Qual  fiebil  melodia   Dell’ anima  ne  infesta  or  l’allegria? Voce  interna   Deserto,  oceano  son  la  mia  vita,   Perì  la  vela,  Y  oasi  è  svanita!   Ben  crudo  è  1’angelo  che  m’ innamora,   Se al giuramento infido  è  ancora!  SCENA. Il  menestrello  comparirà  cantando  gli  ultimi  versi esso è  Arnoldo.   Coro.  Sospendi, o menestrello, il  tuo lamento; In  tal  giorno  di  giubilo  e  contento Ali’  Antenoree  sponde  il  trovatore   Sol  move  a  celebrar  virtude  e  amore. Ballata   Arn.  Del  trovador  la  cetra  è  voluttuosa,   La  sua  canzone  è  tenera,  amorosa;   Che  vai,  se  a  lui  deserto  e  afflitto  il  core  Gema  per  sangue  intanto  e  per  dolore?  Con  un  sorriso,  che  il  suo  labbro  infiora,   E  ad  allegria  ne finge il  viso,  ognora   Sull’ arpa  ei  canterà: Beato il  core. Cui  solo  è  vita  il  palpito  d’amore! E  melodia  divina  in  ciel  rapita   Quando  la  donna  al  bacio  suo  t’invita.   E  pur  supplizio  Amor,  se  avverso  fato  Da  te  divide 1’angelo  adorato! Ma  sia  delizia  Amore  o  sia  martiro,   Per  la  sua  vampa  io  sol  vivo,  respiro,   E  sempre  canterò:  beato  il  core,  Cui  solo  è  vita  il  palpito  d’  amore.   Coro  Ben  canti,  o  trovador,  felice  il core,  cui  solo  è  vita  il  palpito  d’amore.  Tutti   Tripudio  e  baldoria!  esultino  i  cori'   Sia  gaja,  sia  splendida  la  Festa  dei  fiori. ec.  ec.  ec. POPOLO  e  Giullari  (scherzando  attorno l’insegna  del  Satiro)  Oli!  come  innamori,  eggiadro  Silvano. Fedele  sembianza  del  conte  Pagano!  (tutti  entrano  nello  steccato  intanto  che  la  folla  va  diradandosi,  e  s’allontana  il  suono  della  musica ,  le  persone  ammantel¬  late  si  ragunano  di  nuovo,  ec.  s.)  Or  qui  si  tripudia  e  all’  alba  vegnente   Fia  spento,  fia  cenere  di  Padoa  il  sapiente!  S  tlvarlo!,  o  l’infamia di  tale  empietà  Col  sangue  de’ giudici  scontar  si  dovrà!   (partono)  SCENA. Cella solitaria  le  pareti  e  la  volta  ne  son  piate  di  immagini  a  fresco scarsa  luce  di  una  lampada.  Racchiuso  in  ampia  Umica  di  colore  violetto  s’  avanza  un  vecchio  è  Pietro  da  Reggio.   Piet.  Nell’orgie  ancor,  nel  futile  tripudio  Immersa  è  la  cittade  ;  indi  fra  poco  Insensata  del  pari  e  curiosa  A  ben altro  spettacolo  La folla  accorrerà:  di  Pietro  d’ Abano  Al  supplizio. Di  te  1’alta  facondia  Ove  ne  andò,  maliardo?.,  oh ben caduchi  Fur  gli  osceni  trionfi,  onde  più  volte  I  giudici  hai  schernito,   Sacrilego,  aborrito!!  Prepotente  un  destili  sull’  orme  tue  Mi  trasse  ognora,  e  giudice  di  morte  Essere  a  te  giurava  allor  eli’  io  seppi  Di  mio  nepote  infame  ammaliadrice  La  prole  tua;  io  ti  raggiunsi,  il  mio  Corruccio  alfin  ti  coglie  al  suol  natio! Laindo  e  detto.  Piet.  d.  R.  Che rechi? Laiv.  Arnoldo. Piet.  d.  R.  (con  interesse)  R  misero   Ritrovo  alfin? Lan.  L’indegno  Sotto  sembianza  in  Padova  Giugnea  di  trovador. Piet.  d.  R.  Che  parli!   Lan.  Pietro  d’Abano   Salvare  è  suo  disegno. Piet.  d. R. Stolto! Lain. Con lui cospirano Ben altri. Piet.  d.  R.  Oh  mio  furor!  Maledetti,  alla  congiura  Qual  delirio  vi  trascina?! Non  per  essa  men  secura  La  vendetta  mia  sarà. Il  mio  foco  è  struggitore  Come  folgore  divina. Ben  dei  roghi  Io  splendore  Luce  e  gloria  a  me  darà. Lan.  Sì,  dei  roghi  lo  splendore Luce  e  gloria  a  te  darà. La  Piazza  di  Padova; è  il  crepuscolo  mattutino  al  mesto  rintocco  di  lugubre  campana  per  varie  bande  convengono  i  popolani  Squadre  di  armigeri  occupano lo sbocco  di  ogni  contrada. Di lì a qualche istante dal Palazzo  della  Ragione,  preceduto  da  pietose  fraternità,  dallo  stuolo  dei  giudici,  circondato  da  sgherri  comparisce  Pietro  d’Abano, due  uomini  vestiti  a  bruno  ne  sorreggono  la  persona  affranta  per la tortura Pietro  da  Reggio  con a  lato  il  suo confidente è  fra i giudici. Durante  questa  funerea  processione,  che  move  lentamente  al  luogo del  supplizio,  che si figura nello interno, si anta il seguente Coro: Pietà, Signor del  misero, che  impenitente  muore, che  sol  devota  a  Satana  Ebbe  la  mente  e  il  core;   Pria  che  del    terribile  A  lui  si  squarci il vel.  Converti  a  te  quell’anima,   Possente  re  del  ciel! PiET.  (arrivato  nel  mezzo  della  piazza ,  si  ferma  e  con  voce  fievole,  ma  secura)  Qui  al  cospetto  degli  uomini,  di  Dio  Altamente  proclamo  iniqua  e stolta la  mia condanna;  agl’  invidi  nemici  Io  muoio  perdonando;  e  al  mondo  invoco  Un  tempo  illuminato,  ove  s’apprenda  Esser  divina  l’anima  dell’uomo, onde ai portenti  per  la  scienza  mia  Sol  giunsi,  che  opra  d’ infernal  malia  Estima  il  volgo  folle  ed  insensato....  (la  parola gli  muore sul  labbro, lo  copre  un  pallore    morte.) Egli  bestemmia!  Coro. SCENA. Picchio di spade al di fuori, voci tumultuose, confusione a un angolo della piazza. Luisa come forsennata, facendosi largo tra la folla,  arriva a suo padre. Lui. padre sventurato! 1 PlET. (apre  languidamente gli occhi,  e a lei  mesto  sorride)  Ch’io  ti  serri  al  mio sen pria di  morire Iddio concede! Voci interne evviva Pietro d’Abano!. PlET. (sorgendo) Viva il suo genio! (indi  con voce  manchevole)  i  ferri  declinate, Per una salma or voi sol guerreggiate ( ricade Il tumulto  andrà  cessando)  PlET.  D.  R. (con derisione)   Repressa è la congiura.  (e  osservando  Pietro d’Abano  morente) ma,  oh  furore,   Del  supplizio  al  dolore  Lui  sottragge  la  morte! Piet.  sìj  sentendo.  I  funerei  suoi  vanni, ella  a  me  viene. Dolce  amica, il  tuo  boccio ed il sorriso. Di  più. splendida  vita. Impetuoso, con  ispada  alla  mano,  indarno  rattenulo, Arnoldo  s  innoltra,  e  scorgendo  Luisa: Arw. (con  grido  di  gioia )  li  paradiso   Si  schiude?!  Lui. (sorpresa,  e  sgomentata  estremamente). Arnoldo!? Arn.  del  tuo  fido  al  pianto Risorgi  alfine ?  Piet. d.  R. orrendo,  novo  incanto. Questo  è  dell’  empio,  un’  alma  trapassata. Ei  rivoca!   (orrore  generale). Lui.  dai  vortici  dell’ onde. Mi  salvava  un  Romito. Ar:v.  Alfin  ti  stringo. Ombra,  o  donna,  al  mio  seno. Ma tu  sei  dessa parla  a  me d’amore. Te  mia  sposa  consacri  il  genitore. Lui.  (inorridita  lo  respinge,  e  accenna  il  padre  assorto  in  agonia) Tutti. Lui. In  quest’ora  di  morte tremenda Chiudi il labbro all’accento  d’amore, sul  passato  un  velame  si  stenda, lunghi  giorni  il  mio  viver non ha.   Fra i  silenzi!  di chiostra  romita, ove  un  giuro  la  chiama al Signore,  Or  quest’orfana,  grama,  pentita  Per  te  all’ara pur supplice andrà. Arx. (disperato) Va, de’morti la prece m’intuona Or  che  spento  hai  la  fiamma  d’  amore! Empia lei, che il suo fido abbandona. Mai la pace dell’anima avrà 11 Pur fra 1’ombre del claustro silente, Ove un Dio ti rapisce al  mio  core, Del  mio  spirito l’ombra  dolente, Le  tue  gioie  a  turbare  verrà!  PlET. (come  invaso  da  sublime  apparizione,  raccogliendo tutte  r  estreme  sue  forze,  e  sorgendo  atteggiato  di  splendido  sorriso) Del  mio  genio  sui  vanni  rapita Sento io l’alma  alle  sfere  lucenti Ei Venezia... la grande nv addita. Salve, salve immortale città! Poi Fiorenza, e in arcane parole Mille e mille predice sapienti. Son  quei  sommi,  onde splender qual  sole  Sovra...  il  mondo  la  pa...tria  dovrà! PlET.  D. R. (fra sè confuso) Qual mai lampo balena sul viso A quel gratide nell’ora di morte? Oh! qual lampo; il mio spirto è conquiso Nella polve piombare mi fa. Coro. Egli muore! dell’erebo ardente Si disserran le orribili  porte. Santo giudice, nume clemente, Di quell’alma proterva pietà! (Pietro d'Abano è  spirato  — Luisa volge un ultimo sguardo al cadavere del padre,  e ad Arnoldo in atto di estremo congedo uno  stuolo di Suore velate a sè la accoglie Pietro da Reggio trae seco il ncpote desolato. Stupore ,  atteggiamento di tristezza generale.). FINE. Refs.: Luigi Speranza, “The reception of pseudo-Aristotle via Abano’s edition”. Abano. Keywords: filosofia del linguaggio. Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Abano," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Grice ed Abano #Abano. Sclavione.

 

No comments:

Post a Comment