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Friday, December 20, 2024

GRICE E SICILIANI

 

Grice e Siciliani: la ragione conversazionale e la critica della filosofia zoologica e la psico-genia di Vico – la scuola di Galatina -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Galatina). Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Galatina Lecce, Puglia. Studia a Otranto, Lecce e Napoli, dalla quale fugge dopo essere stato segnalato alla polizia a causa delle sue simpatie liberali. Si laurea a Pisa sotto STUDIATI, stringendo inoltre un proficuo rapporto di collaborazione con PUCCINOTTI, che influsce molto sua filosofia. Sringe rapporti di profonda amicizia con personalità importanti e influenti della cultura, quali: CENTOFANTI, PACINI, CAPPONI, e BUFFALINI. Seguendo la sua vocazione, orienta i propri studi verso le discipline filosofiche e ottenne la cattedra di filosofia nel regio liceo di Firenze. Iniziato in massoneria nella loggia fiorentina "La Concordia.” Nominato professore di filosofia a Bologna. Divenne docente ordinario della stessa disciplina sempre nell'Ateneo felsineo. A Bologna tenne anche un corso di sociologia. Qui, inoltre, strinse amicizia con CARDUCCIi, anch'egli accademico a Bologna ed entra in contatto con FIORENTINO e SPAVENTA. Dirige la Rivista bolognese di scienze, lettere, arti e scuole. Ne abbandona la direzione per divergenze maturate in seno alla direzine generate, probabilmente, dall'impostazione eclettica che S. intende dare alla rivista e che contrastava con l'indirizzo idealistico voluto da FIORENTINO. A Bologna istitue un centro di studi pedagogici, contribuendo all'elevazione della pedagogia al rango di scienza. Convinto assertore della valorizzazione della persona e perciò la sua azione educativa, per giungere alla conquista della libertà e del carattere morale da parte del soggetto da educare, prevedeva l'intervento della famiglia e della società. Altro sua filosofia fondamentale e il principio dell'autodidattica che, pur non escludendo l'azione dell'educatore, mette in primo piano il protagonismo del soggetto da educare. Ricevette onoranze e attestati di stima da parte di molti studiosi europei e americani, mentre in Italia la sua fama fu oscurata da giudizi negativi, espressi anzitutto da Gentile che vede in lui un'espressione benché autonoma del positivism. Di recente è stata rivalutata l'influenza vichiana sul suo pensiero. A lui è dedicata la biblioteca civica di Galatina, nella quale è conservato il "Fondo S." la raccolta, cioè, dei libri appartenuti al filosofo. A lui è dedicato anche il Liceo di Lecce. Di formazione giobertiana,  si accosta a VICO, tentando di inaugurare una filosofia mediana -- detta della terza via -- che individua una sintesi tra opposte e differenti discipline. Dal suo punto di vista, infatti, ogni filosofia contiene del buono e delle esagerazioni. Metodo della filosofia mediana e  dunque, quello di salvare ciò che c'è di buono della filosofia per rigettarne le astrattezze e le esagerazioni.  Con il saggio “Zoologia filosofica” (Napoli) approde nel più ampio dibattito, ricevendo apprezzamenti e pareri favorevoli dai più illustri scienziati internazionali. Nel frattempo approfonde e da il suo contributo speculativo alle nuove discipline che muovano alla ricerca di un'identità epistemologica: la sociologia (“Socialismo, darwinismo e sociologia” (Bologna); “Teorie sociali e socialismo” (Firenze) e la psicologia – “Prolegomeni alla psicogenia” (Bologna). SANCTIS confere a S. la presidenza di congressi a Firenze, Venezia, Genova, Milano, e Roma. Queste esperienze lo portano a un approfondimento sempre maggiore della filosofia alla quale contribue a conferire un indirizzo scientifico, positivista e ampiamente laico (v. le sue opere Rivoluzione e pedagogia moderna, La scienza nell'educazione). “Filosofia della scienza” (Firenze); “Il metodo numerico e la statistica” (Firenze); “Della legge storica” (Firenze); “Della libertà ed unità organica della filosofia” (Firenze); “Della fisiologia sperimentale” (Pisa);” “Medicina filosofica”  (Firenze); “I principi metafisici di VICO” (Firenze); “Il triumvirato: ALIGHIERI, GALILEI, E VICO” (Firenze); Ai popoli salentini e al gonfalone di Galatina un saluto e un augurio (Firenze); “Il criterio filosofico” (Bologna); Critica del positivismo (Bologna); Le fonti storiche della filosofia positiva in Italia in GALILEI (Bologna) Gli hegeliani in Italia (Bologna); La condanna del positivismo (Bologna); Della pedagogia all’educazione in Italia (Bologna); L’educazione (Bologna); Sul rinnovamento della filosofia in Italia (Firenze); “La scienza dell'educazione nelle scuole italiane come antitesi alla pedagogia (Bologna); Dei massimi problemi della pedagogia (Roma); Il sacro secondo i dettami della filosofia (Firenze); L’nsegnamento della pedagogia (Torino); Della pedagogia scientifica (Milano); Rivoluzione e pedagogia moderna (Torino); Storia critica delle teorie sociali (Bologna); Fra vescovi e cardinali (Roma); Rivoluzione e pedagogia (Torino); “L’educazione secondo i principi della sociologia” (Bologna); Rinnovamento e filosofia internazionale (Bologna); La nuova biologia (Milano) Le questioni contemporanee e la libertà morale nell'ordine giuridico (Bologna). CALOGERO, Enciclopedia Italiana, Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma, Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia. Calogero. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Invitto e Paparella, “Ri-leggere S.” (Lecce); Capone Galatinesi illustri, Guida Biografica, Galatina, Tor Graf Galatina,  Carteggio familiar,  Luceri, Centro Studi Salentini, Lecce,  P. S. e Pozzolini. Filosofia e Letteratura, Convegno Galatina Treccani L'Enciclopedia italiana, Psicologia filosofica. SUL  RINNOVAMENTO DELLA FILOSOFIA POSITIVA IN  ITALIA PBOrESBOBB DI FILOSOFIA NELLA R. UNIVEBSITÀ DI BOLOOKA,QlX   PB0FES80BE NEL B.  LICEO DI FIBENZE, FIRENZE, G. BARBÈRA, PRINTBD  IN  ITALY-;atana Quest'opera  è  stata  depositata  al  Ministero  d'Agricoltura,  Industria  e  Commercio per  godere  i  diritti  accordati dalla logge sulla proprietà  letteraria. G.  BarbI'.ra. !',  (rcnuitifi  TERENZIO  MAMIANI  DELLA  ROVERE. Mio SiQsoR  Conte. Ella  fu  primo  tra  i  moderni  italiani  a  tentare un  rinnovamento  della  filosofia  e  a  Lei pure  spetta  il  vanto  d' aver  continuMa  e  compiuta la  nobile  tradizione  de'  OaUuppi^  de Rosmini  e de' Giobertij  della  quale  per  fermo  rimarranno durevoli  tracce  nella  storia  dd  pensiero  nazionale. A  chi  dunque  meglio  che  dUa,  S.  V.  potrei intitolare  questo  mio  saggio j  il  quale  mira  al  fine medesimo  cui  Ella  indirizzava  il  suo  primo  lavoro? Che  se  talora^  per  quella  libertà  di  giudizio alla  quale  Ella  stessa  educò  le  nostre  menti con  le  sue  dotte  scritture^  troverà  contbaittUi  in queste  pagine  akuni  jprincijpii  da  Lei  propugnati  ^ non  vorfà  perciò  reputare  scemato  qud  senso  di schietta  riverenza  chcy  come  ai  pochi  sommi  onde si  onora  U  paese  nostro,  le  professano  tutt^  i  cid tori  degli  studi  severi.  Anzi  novella  prova  di  questa larga  tolleranza  io  m*  èbbi  testé,  quando,  con  la squisita  gentilezza  che  in  Lei  è  natura,  Le  piacque accettare  V  offerta  di  questa  mia  fatica.  La  quale io  spero  vorrà  giudicare  benignamente:  al  che  mi conforta  pure  il  ricordo  di  certe  argute  parole ch^  Ella  dicevami  ima  volta  chiudendo  un  lungo conversare  circa  le  gravi  divergenze  delle  diverse scuole  filosofiche:  «porro  unum  necessarium ! coscienza  e  fervore  nel  lavoro:  il  resto  verrà da  sé.  » Suo  deditissimo P.  Siciliani. BiTiglìano  presso  Monte  Senario In  questo  salutare  innovamento  politico  d'Italia cui  assistiamo  trepidanti,  un  libro  di  rinnovamento filosofico  dovrebbe  giugnere  opportuno  e  gradito. Perocché se  tutti  oggi  andiamo  ripetendo  l'arguta  frase d’AZEGLIO  — fatta  ormai  V Italia,  Insogna  far  gl’taliani—  parmi  sia  d'uopo  cercare  di  rifarci  innanzi tutto  nell'intimo  di  nostra  coscienza,  nella  radice, nella  sorgente  stessa  d' ogni  umano  e  civil  progresso, eh'  è  dire  il  pensiero  filosofico.  Andare  a  Roma,  grazie agli  eventi  fortunati  e  al  nostro  buon  diritto  nazionale, non  è  stato  guari  difficile,    sarà  difficile,  speriamo, potervi  restare.  Ma  vi  staremo  senza  dubbio materialmente,  se  Roma,  la  vecchia  Roma,  il  pensiero cattolico  non  si  verrà  anch'esso  riformando  e  svecchiando. La  qual  cosa  certo  conseguiremo  per  gradi e  con  le  arti  che  dovrebbe  saperci  dare  la  sapienza politica,  civile  e  amministrativa  ;  ma  gioverà  non  dimenticar mai  come  l' espediente  più  d' ogn'  altro  efficace e  sicuro  ad  opera  siffatta,  sia  per  appunto  una rinnovata filosofia n  bisogno  di  restaurar  la  filosofia  surse  di  buon'ora neir  animo  degl’italiani  ;  il  che  parrebb'  essere  un d^' caratteri  speciali  della  storia  della  nostra  speculazione, sino  da  quando  gli  scrittori  del  Rinascimento, scosso  il  giogo  della  scolastica,  mandavan  fuori  i  lor libri  col  titolo  De  PhilosophÙB  renovatione.    quindi è  a  meravigliare  se  cotal  necessità  sia  venuta  crescendo sempre  più  nelP  animo  e  nella  mente  nostra  col  succedersi degli  anni,  tanto  che  a  siffatta  impresa  nobilissima abbiam  visto  provarsi  gV  ingegni  più  illuminati e  fecondi:  primo  fra  tutti,  in  questo  secolo,  il  Mamiani  col  Binnovamento  della  Filosofia  antica italiana e,  poco  appresso,  SERBATI  col  Binnovamento  della Filosofia  in  Italia;  indi  il  Gioberti  con  la  Introduzione aUo  studio  dèlia  Filosofia,  con  la  quale  mirava  anch'  egli ad  una  restaurazione  filosofica  nel  nostro  paese;  e,  per ultimo,  il  professore  Spaventa  ha  procacciato  volgere anch'  egli  al  medesimo  intento  le  sue  dotte  scritture, in  ispecie  quella  su  la  Filosofia  dd  Gioberti. Se  non  che  rinnovare,  pel  filosofo  di  Pesaro,  altro non  voleva  dire  se  non  restaurare  certi  principi!  e richiamare  in  vigore  alcune  industrie  metodiche  de' filosofi appartenenti,  la  massima  parte,  all'età  gloriosa del  nostro  Risorgimento.  Talché,  quando  il  Rosmini  gli fece  toccar  con  mano  i  pericoli  ne'  quali  s' era  messo mostrandogli  come  il  Binnovamento  proposto  da  lui conducesse  diritto  ad  una  maniera  di  sensismo,  e'  venne modificando  siffattamente  le  dottrine  propugnate  nel suo  primo  libro,  che  dopo  trenta  e  più  anni  s' é  studiato nelle  Confessioni  d'un  Metafisico  d'inaugurare un  novello  Platonismo,  siccome  forma  di  filosofare acconcia  air  indole  della  mente  italiana.  H  Roveretano poi  non  solo  mirò  a  restaurar  cose  vecchie,  ma  volle produrre  altresì  qualcosa  di  nuovo.  E  pur  nullameno, chi  guardi  ben  addentro  ne'  copiosi  e  disameni  volumi che  seppe  darci  quella  mente  potentissima,  tranne  il •  problema  psicologico  eh'  ei  giunse  ad  illustrare  in guisa  davvero  originale,  ogn'  altra  cosa  in  lui  parrebbe invecchiata  e  quasi  stantia.  Della  stessa  menda  riesce offesa  la  Introduzione  di Gioberti.  Che  V  ardente  e generoso  autore  del  Primo^  intendeva  svecchiare  (come diceva,  gloriandosene,  egli  stesso)  le  idee  cardinali  di quattro  o  cinque  filosofi  cristiani,  il  cui  sussidio  e autorità  invocava  quasi  ad  ogni  voltar  di  pagina.  Non parlo  qui  del  rinnovamento  eh'  e'  veniva  meditando nella  protologia:  nella  quale  senza  dubbio  avremmo avuto  germi  fecondissimi  di  vera  e  solida  ristorazione filosofica,  se  a  queir  ingegno  privilegiato  e  supremamente italiano  fosse  stato  pur  conceduto  imprimere valore  diffinitivo,  forma  netta  e  coerente,  alle  diverse dottrine  che  con  ansia  febbrile  andava  saggiando  e trasmutandosele  in  sangue.  Per  contrario SPAVENTA, del  quale  abbiamo  in  grandissimo  pregio  l'ingegno  e l'amicizia,  intese  dare  anch' egli  nuovo  indirizzo  al pensiero  italiano,  ma  battendo  ben  altra  via;  la  via  del- l'Idealismo  assoluto.  E  studiossi  d'inserirci  nell'animo e  nella  mente  i  principii  dell' Hegelianismo,  per  due ragioni:    perchè  egli  pensa  esser  questo  il  vero  e  compiuto sistema  di  speculazione,  almeno  secondo  che viene  interpretato  da  lui  ;  e    perchè  gli  è  parso d'averne  rintracciato  i  germi  in  certi  nostri  filosofi a  cominciare  dal  Telesio,  per  esempio,  fino  a Gioberti. Fer  noi  rinnovare  non  vuol  dir  solamente  richiamare, instaurare,  svegliar  dalP  antico,    solamente importare  dal  di  fiiora;  che    nelF  un  caso  come  nelr  altro  il  rinnovamento,  anziché  naturale,  spontaneo, autonomo,  storico,  riescirebbe  artifiziale,  imposto,  incosciente e,  dirò  quasi,  meccanico.  Vuol  dire  bensì far  da  noi:  far  da  noi  con  elementi  che  ci  appartengano, ma  tali  che  serbino  (ciò  che  più  monta)  ^virtù  d' originalità  e  di  verace  modernità.  Vuol  dire  » insomma  esplicare;    si  può  esplicare  senza  correggere,  compiere,  inverare. Avremo  sbagliato  strada  anche  noi?  Potrebb' essere! Non  saremmo  i  primi,  e,  certo,  neanche  gli ultimi.  In  qualunque  modo .  ci  sembra  che,  pure  sbagliando, noi  non  resteremo  troppo  indietro  fra  le  mummie, né  avremo  corso  tropp'  oltre  col  pericolo  di  fiac-  \ card  '1  collo.  So  ben  io  che  i  Positivisti  fan  presto  ; ad  innovar  la  filosofia  radiandola  addirittura  da'  libri  ^ e  dandole  il  ben  servito  dalle  nostre  scuole  grandi e  mezzane,  quasi  fosse  un  trattato  di  teologia  dommatica.  Ma  costoro  avrebber  fatto  i  conti  senza  Toste. £  r  oste  in  tal  caso  é  lo  stesso  pensiero,  anzi  la mente  stessa,  dalla  quale  per  nostra  fortuna  mai  non riesciranno  a  sradicare  il  profondo  e  sempre  più  acuto bisogno  del  filosofare  :  senza  dir  già  che,  s' ei  riescissero  ne'  loro  intenti,  scambio  di  sciogliere  V  intricato nodo,  altro  non  avrebber  fatto  che  tagliarlo  di  netto  ; e  che  potessero  giugnere  a  tagliarlo  con  sicurezza ninno  il  crederà,  pensando  come  la  spada  eh'  e'  ci brandiscon  sul  viso  non  par  che  somigli  quella  del gran  discepolo  d'Aristotele! Accennato  il  carattere  generale  ed  il  proposito del  mio  saggio,  toccherò  della  sua  forma  e  del  suo disegno.  Mi  si  potrà  chiedere  :  È  egli  cotesto  vostro saggio  un  lavoro  di  genere  critico,  storico,  monografico, ovvero  dommatico? A  parlar  proprio  non  è  nulla  di  tutto  questo.  Un lavoro  d' indole  dommatica,  per  solito,  dee  racchiuder l'esigenza  d'un  sistema  nuovo,  d'una  dottrina  ori- ginale, se  pur  non  voglia  esser  vana  ripetizione  ed increscevole  imitazione  del  passato.  Ora  un  novello) sistema  filosofico  oggi  sarebbe  impresa  da  muovere a  riso,  od  a  pietà.  Sono  ormai  ventidue  secoli,  e  noi, tardi  nepoti,  ci  andiamo  pur  sempre  aggirando,  ivi sostanza,  fra  il  Platonismo,  e  l' Aristotelismo.  La  qual cosa  non  recherà  maraviglia  a  chi  consideri  bene  la storia  del  pensiero  filosofico,  nella  quale,  volta  e  gira, non  si  può  esser  che  con  l' uno  o  con  l' altro  sistema, ovvero  fra  l' uno  e  l' altro,  e  però  con  tutt'  e  due,  se pur  non  vogliamo  smarrirci  inevitabilmente  e  miseramente in  una  forma  di  scetticismo,  o  di  nullismo. Ai  di  nostri,  dunque,  un  nuovo  sistema  filosofico  p^rmi utopia,  sogno  e,  stavo  per  dire,  ciarlatanismo.  L' ingegno filosofico  oggi  deve  assumer  valore  di  funzione critica  rintegrativa,  nella  quale  si  faccia  luogo  alla concorde  attività  di  due  forze,  la  storia  e  '1  pensiero, che  vuol  dire  il  fatto  e  '1  da  fare. La  monografia  poi,  o  è  d'indole  semplicemente storica  e  obbiettiva,  ovvero  d' indole  critica.  Se  storica obbiettiva,  ella  avrebbe  a  essere,  dirò  così,  un fedel  ritratto,  una  perfetta  immagine  della  mente  d'un filosofo,  0  di  tutta  una  scuola  di  filosofi.  Or  cotesto immagini  e  ritratti,  se  da  una  parte  tornano  inutili e  infruttuosi  stantechè  non  facciano  che  ripeter  sot- t' altra  forma  cose  che  potremmo  leggere  nella  stessa lor  fonte,  dalP  altra  mi  paion  quasi  impossibili,  perchè è  impossibile  penetrar  davvero  nelle  intime  viscere del  pensiero  altrui,  e  farai  dentro  alle  occulte pieghe  della  mente  d' un  filosofo.  H  notissimo  detto di  Kant  si  può  e  devesi  applicare  anche  qui:  quidqtUd recipUur,  ad  modum  recipietUis  recipitur.  Che  se  poi la  monografia  è  di  genere  critico,  ella  riesce  assai pericolosa;  perchè  trattandosi  d'interpretare,  è  pur facilissimo  affibbiare  agli  altri  quel  che  invece  frulla nel  capo  nostro  ;  nel  qual  vizio  intoppano,  com'  è ^  noto,  gli  Hegeliani,    per  la  natura  stessa  del  loro metodo,  e    per  le  secreto  esigenze  del  loro  sistema. Da  ultimo,  un  lavoro  di  genere  puramente  istorico oggi  non  dovrebb'  essere  impresa  molto  ardua  fra tanti  libri  storici  che  ci  piovon  da  tutte  le  parti. Basta  sposare  un  sistema,  una  dottrina  da  farla servire  qual  criterio  giudicativo;  basterà  un  po'  d' acume critico,  un  po'  di  tedesco  per  le  citazioni  obbligate a  pie  di  pagina,  e  poi  molta  e  molta  dose  di  pazienza e  di  sgobbo  per  raccogliere  e  adunar  notizie  e  teoriche da  farle  servire  al  criterio  giudicativo  che  ci torna  comodo. Per  me  l'ideale  d'un  buon  libro,  l'ideale  d'un  libro serio,  coscenzioso  e  positivo  di  genere  filosofico,  oggi dovrebb'  essere,  diciamo  così,  una  sintesi  di  tutt'  e quattro  cotesti  aspetti  o  condizioni  le  quali,  guardate disgiuntamente  e  solitariamente,  si  palesan  manchevoli  tutte  e  difettose.  Ha  da  essere  perciò,  nel medesimo  tempo,  monografico,  isterico,  critico,  e  anche dommatico  sino  a  certo  segno.  Cotesto  ideale  (negozio non  molto  agevole,  come  sanno  coloro  che  se  ne  intendono e  che  possiedono  quel  che  dicesi  gusto  de^  lavori filosofici),  non  può  essere  un  ricamo  sovra  una  stoffa altrui,  e  neanche  un  parto  assoluto  del  nostro  cervello  ; sibbene  ha  da  essere  il  risultamento  di  due  forze  com- binate, come  dicevo  poco  fa  ;  ciò  è  dire  della  mente di  chi  scrive,  e  di  chi  per  avventura  possa  più  spiccatamente rappresentare  il  corso  tradizionale  della scienza.  A  questo  sol  patto  sarà  dato  pervenire  al connubio  fra  la  teorica  e  '1  fatto,  tra  la  scienza  e  la storia  della  scienza,  portandole  entrambe  ad  un  fiato^ come  direbbe  il  filosofo  nel  quale  io  amo  attingere ispirazioni.  Laonde  chi  volesse  oggi  filosofare  con  co- scienza ,  dovrebbe  saper  costruire,  come  dicon  gli Hegeliani  (e  qui  dicon  benissimo)  ;  ma  dovrebbe  co-  ^ struire  senza  tradire,  che  è  per  V  appunto  il  gran guaio  della  critica  hegeliana. Questa  grave  difficoltà  parmi  d' averla  superata, s' io  molto  non  m' illudo,  E  mi  pare  d' averla  supe- rata, perchè  il  mio  libro  è  come  la  sintesi  e  vorre' dir  la  fusione  razionale  e  organica  de'  quattro  aspetti quassù  rammentati  ;  e  tal  sarebbe  la  novità  Cquant'  al disegno  e  alla  forma  del  lavoro)  alla  quale  vorrei pretendere,  se  avessi  coscienza  d' aver  raggiunto  lo scopo.  Cotesto  scopo,  lo  veggo  da  me,  io  non  ho potuto  raggiugnerlo,  perchè  ho  dovuto  costringere e  rannicchiare  il  mio  pensiero  entro  un  dato  numero di  pagine,  affogando  in  nota  molte  e  molte  cose  alle quali  avre'  voluto  pur  dare  ben  altro  svolgimento  e fisonomia.  Però  chiedo  un  po'  di  compatimento  quant'al modo  col  quale  ho  incarnato  il  disegno,  ma  domando severità  di  giudizio  quant'  alle  idee.  Le  quali,  meditate da  me  per  tempo  non  breve,  sento  di  poter difendere  contro  chi  vorrà  farmi l’onore  d' una  critica non  leggiera,  non  velenosa,  non  da  scuola,  né da  sacristia  (alla  quale  non  saprei  rispondere,  né risponderò),  ma  d'una  critica  seria,  onesta,  profittevole. Il  Gioberti  scrisse  che  il  critico  onesto  e  co- I  scienzioso  deve  durar  la  metà  della  fatica  spesa  dal- l' autore  nel  meditare  e  scrivere  un'  opera  di  scienza. |Leibnitz  andava  molto  più  in  là,  e  richiedeva  da'lettori quasi  '1  medesimo  lavoro  sostenuto  dallo  scrittore.  Io non  pretendo,    davvero  posso  pretender  l' una  cosa, né  r  altra  :  ma  certo  potrò  desiderare  che,  chi  voglia giudicarmi  con  qualche  serietà,  debba  leggere  e  (se oggi  non  fosse  troppo)  meditare  un  po' le  cose  ch'io dico.  11  che  ho  voluto  qui  avvertire,  perché,  se  può dubitarsi  che  in  politica  esistano  le  cosi  dette  con- sorterie, certo  é  che  tra'  filosofi  cominciano  a  far capolino  certe  fratellanze  le  quali  giudicano  d' un  la- voro a  priori,  guardando  solo  al  titolo  e  al  nome  del- l'autore.  Dio  ci  liberi  dalle  fratellanze  filosofiche! Esse  per  me,  a  dirla  schietta,  sono  altrettante  Compagnie di  Gesù  negli  ordini  del  pensiero  e  della  libera speculazione  metafisica. Questo  mio  saggio,  e  l' altro  che  terrà  dietro su'  principi  della  Sociologia^  non  é  l' espressione  di nessun  partito,  di  nessuna  setta,  di  nessuna  scuola. Non  é  frutto  di  speculazioni  e  ricerche  passionate,  per- che  io  non  mi  sento  schiavo  di  nessuna  scuola,  servo di  nessun  nome,    milito  sotto  nessuna  bandiera più  0  meno  germanica,  italica  o  francese  che  sia. \Baiùmem,  quo  ea  me  cumgue  ducete  sequar:  ecco tutto.  Neanche  sarebbe  una  di  quelle  novità  sba- lorditole alle  quali  siamo  avvezzi  da  dieci  anni  a questa  parte.  Esso  anzi  è  la  più  modesta  cosa  del mondo:  che  per  quanto  il  titolo  paia  ardito,  non  sarà tale  per  chi  ripensi,  come  la  sostanza  delle  dottrine eh'  io  propugno  non  mi  appartenga  in  modo  assoluto. S'altri  mi  darà  dell' ecclettico,  risponderò  d'esser tale  precisamente,  ma  nel  profondo  significato  che costumava  dare  il  Leibnitz  a  questa  usata  e  abusata  pa- rola. E  se  qualcuno  poi  trovasse,  che  questa  o  cotesta dottrina  alla  quale  verrò  accennando  non  sia  propriamente dell'  autore  eh'  io  dico  d' ormeggiare  nel  metodo e  Dell'indirizzo  filosofico,  tanto  meglio  per  me.  Rispondo come  in  un  caso  simile  rispose  egli  medesimo a  certi  suoi  avversari  :  Che  se  finalmente  non  volete »  ricevere  questa  sentenza  come  di  Zcìione^  mi  dispiace »  di  darlavi  come  mia;  ma  pur  la  vi  darò  sola,  e B  non  assistita  da  nomi  grandi.  » €  Le  cose  fuori  del  loro  stato  naturale non  dnrano    s' adagiano.  »    Vico. Non  intendo  scrivere  la  storia,  e  tanto  meno  far  la crìtica  minuta  del  Positivismo;  indirizzo  che,  come  ognun sa,  non  senza  buon§  e  diverse  ragioni  invade  oggi  e  per- vadeTa  mente  di  molti  filosofi,  di  scienziati,  di  storici  e scrittori  d'ogni  maniera.  Altra  volta  m'avvenne  d'accen- nare alla  parte  debole  di  cotesto,  diciamolo  pure,  sistema filosofico.  E  allora  parvemi,  fra  1'  altro,  di  provar  que- sto: che  il  Positivismo,  secondo  il  concetto  che  se  ne sono  formati  segnatamente  i  Francesi,  non  pur  mancava di  storia,  ma  non  può  averne  avuta  di  nessuna  sorta.* Oggi  poi  dovrò  intrattenermi  a  ragionare  su  le  dir. verse  forme  che  il  Positivismo  ha  preso  e  può  prendere in  avvenire,  giacché  ormai  comincia  ad  avere  anch'egli una  storia,  per  brevissima  che  sia,  da  raccontare;  e [quindi  rilevare  certa  parentela  ch'egli  ha  con  l'Hege- 'lianismo.  Nel  quale  riscontro  probabilmente  meriterò anch'  io,  dall'  alto  giudicatorio  su  cui  siedon  gli  Hege- liani, la  solita  commiserevole  sentenza  che,  com'è  pur  [Vedi  Critica  del  Positivismo,  Bologna,  Monti]. 5ICILUM.  1 troppo  noto,  suona  così:  Pover'uomo,  non  ne  capisce niente  di  niente;  non  Im  dramma  di  potenza  speculativa,  ^ ne  briciolo  di  nerbo  dialettico!  Mostrerò,  da  ultimo,  se  . una  vera  forma  di  Positivismo,  ch'io  chiamerò  Filosofia  Positiva  italiana,  sia  per  avventura  i)ossibile;  e] in  qual  maniera  si  possa,  mercè  sua,  pervenire  a  corregger r  uno  e  compiere  l’altro  de'  due  sistemi  suddetti, accogliendo  quelle  parti  veramente  pregevoli  che  in essi  certamente  non  mancano. Comecché  il  Positivismo  non  sia  ne  voglia  essere  un sistema,  pure  quant' all' origine  psicologica,  per  così  dirla, non  mi  sembra  eh' e' s'abbia  a  distinguere  gran  fatto dagli  altri  sistemi  filosofici.  La  ragione  immediata  del  suo apparire  parmi  risegga  nell'  esigenza  di  contrapporsi  ad una  forma  contraria  di  filosofare  creduta  affatto  erronea  ; e  questo  filosofare  in  tal  caso  è  il  dommatismo  metafi- sico. (IJom'  è  chiaro,  cotesta  in  sostanza  è  l'origine  stessa dello  scetticismo,  secondo  che  c'insegna  tutta  una  storia di  ventidue  secoli,  ne'  quali  affermazioni  risolute  souosi contrapposte  a  risolute  e  persistenti  negazioni.  Il  Positivista,  infatti,  reputa  inconcludente  ogni  speculazione! trascendentale.  Positivismo  quindi  vuol  dire  esigenza! della  prova,  esigenza,  bisogno  della  dimostrazione;  maC della  prova  di  fatto,  della  dimostrazione  sperimentale. Se  non  che,  a  guardarci  bene,  lo  stesso  Positivismo  ma- nifesta già  senz'addarsene  un  bisogno  filosofico,  una  tendenza speculativa,  un'attività  trascendente    dove,  per dirne  una,  procaccia  di  raggiungere  la  così  detta  comples- sità crescente  nel  coordinamento  de' fatti,  e  nel  volere imprimere  forma  gerarchica  all'insieme  delle  particolari discipline.  Col  che  non  intendo  dire  che  il  Positivismo sìa  già  una  metafisica  ;  ma  è  per  lo  meno  una  metafisica incosciente,  come  un  illustre  scrittore  francese,  non  senza cert'  aria  di  meritato  rimprovero,  ha  detto  al  Littré. Per  la  qual  cosa  paimi,  che  il  Positivista  contraddica*^ apertamente  a    stesso  quando  vien  su  gonfio  e  pettoruto a  dichiarar  guerra  sino  all'  ultimo  sangue  contro a  ogni  maniera  d'indagini  metafisiche;  tanto  che  la tendenza  de' Positivisti  a  filosofare,  tendenza  del  resto naturalissima  e  necessaria,  diventerebbe  atto,  facoltà, vo'dire  diventerebbe  metafisica  vera,  quando  potesse avverarsi  una  condizione.  Mi  spiego  subito.  Io  non  credo offendere  anima  viva  osservando  che  fra'  Positivisti irancesi  sia  un  bel  po'  difficile  trovare  un  solo  che  ab- bia studiato  con  amore,  per  esempio,  la  Ragion Pura  di Kant,  segnatamente  la  Critica  dd  giudizio:  difficilissimo poi  ritrovare  uno  solo,  fra'Positivisti  italiani  militanti  ^ sotto  le  bandiere  del Comte  o  meglio  del  Littré,  che  con pari  amore  e  spassionatezza  d' animo  abbia  letto,  per esempio,  il  Nuovo  Saggio  di SERBATI.  Prescindendo  dalle mende  svariate  di  che  non  va  esente  il  Criticismo  e nemmanco  il  metodo  psicologico  rosminiano,  io  non  so persuadermi  come,  dopo  aver  letto  e  inteso  a  dovere  lei due  scritture  mentovate,  si  possa  essere  o  dirsi  Positivi vista,  secondo  il  concetto  volgare  che  di  questa  parola ci  ha  dato  e  ci    oggi  chi  piti  ne  parla. Se  non  che  nessuno  immagini  eh'  io  qui  intenda  far  \ un  fascio  del  Positivismo  Francese,  del  Positivismo  In-  \ glese  e,  se  vogliamo,  anche  del  Positivismo  Germanico;  1 benché  quest'ultimo,  assumendo  sempre  più  forma  di schietto  e  nuovo  e  ardito  materialismo,  mostri  esser  già un  sistema  beli'  e  buono,  checché  se  ne  sia  detto  o  vo- glia dirsene  in  contrario.  Ma  di  questo,  fra  poco.  Quan- t' all'  altre  due  forme  di  Positivismo,  ninno  sarà  che  ' ignori  le  polemiche  tanto  gravi,  pacate,  esemplarmente  ' serene  fra  Mill  e  Littré  avvenute  or  fa  un  anno.  \ E  molti  conosceranno  le  obbiezioni  che  quel  robusto ingegno  di  Herbert  Spencer  ha  saputo  muover  contro certe  dottrine  del  Comte.  Chi  abbia  vaghezza  poi  di sapere  qual  sia  il  carattere  e  il  resultato  di  queste  due maniere  di  Positivismo,  potrà  innanzi  tutto  guardare  alla forma,  al  fine,  persino  al  titolo  delle  opere  nelle  quali tale  dottrina  è  insegnata  e  propugnata.  Così,  mentre Stuart  Min  ha  fatto  una  logica,  o,  a  dir  meglio,  un  ft Sistema  di  Logica,  che  potrebbe  riguardarsi  addirittura  \ come  un  contr' altare  al  sistema  della  logica  hegeliana;  ; il  Comte,  almeno  nei  primi  volumi  delle  sue  opere,  ci ha  lasciato  (chiedo  perdono  a  tutti  gV  iddii  della  Senna) una  specie  di  rassegna,  ma  di  rassegna  ragionata,  giu- diziosa e,  dicasi  pure,  ingegnosa,  delle  particolari  disci- pliiie,  massime  di  quelle  che  a  lui  tormivan  più  familiari. Ho  detto  nei  primi  volumi,  perchè  nelle  opere  poste- riori, com'  è  noto,  desiderando  compier  V  edifizio,  egli ammannì  un  sistema  di  politica,  un  sistema  di  religione e  d' educazione,  un  sistema  di  morale  positiva,  e  financo d'igiene:  morale  senza  principio,  se  pur  non  vogliamo appellare  così  certa  regola  di  condotta  eh'  egli  espresse con  quella  brutta  parola  d' Altruismo  :  religione  senza Dio,  se  pur  non  vogliamo  piegare  il  ginocchio  e  dar  in- censo a  quella  divinità  chiamata  il  Grand*Essere;  intomo alla  quale,  com'è  noto,  il  fondatore  del  Positivismo  fran- cese finì  per  fantasticare  alla  maniera  de'  neoplatonici Alessandrini  e  del  FICINO.  Checche  ne  sia,  può  dirsi ch'egli  predicasse  bene  quant'a  metodo,  ma  razzolasse male  quant'a  sistema,  perchè  affermava,  anzi  esagerava nella  pratica  ciò  che  sdegnava  e  risolutamente  negava nella  teoria  e  nell'ordine  speculativo;  intendo  il  con- cetto dell'  unità  o  Sistematismo  nd  sapere,  secondo  il suo  linguaggio. Da  questo  primo  riscontro,  che  diremo  esteriore perchè  riflette  la  forma  generale  delle  opere  e  un po'  anche  il  valore  del  metodo  ne' due  filosofi,  si  può ai^omentare  che  Mill  guardi  la  scienza  sotto  l'aspetto subbiettivo,  cioè  come  una  serie  di  concetti,  mostrando così  d'aver  piena  fiducia  in  una  logipit  che  sia  atta  a risolvere  un  problema  distinto    cJaT  problemi  e    dal soggetto  in   che  versano  le  speciali  discipline/  Esiste infatti,  egli  dice,  una  conoscerla  scientifica  déWuomo  in quanfè  un  essere  intéUettude,  morale  e  sodale,  e  quindi una  dottrina  delie  cognidom  détta  coscienza  umana.* Agli  occhi  del  Comte,  per  contrario,  non  esiste  logica tranne  che  intrinsecata  con  la  natura  stessa  di  ciascuna scienza.  Se  volete  conoscere,  per  esempio,  la  logica  della chimica  (egli  dice),  studiate  la  chimica.  Ecco  la  scienza sotto  r  aspetto  puramente  ed  empiricamente  obbiettivo; in  quanto  che  considera  le  cose  in  sé,  e  solamente come  oggetti.   Tal  difiFerenza,  com'  è  evidente,  non  è lieve,  massime  quando  tengasi  conto  de' risultati.  Il  ri- sultato cui  giugno  il  Positivismo  inglese  è  questo:  la} metafisica  esser  possibile,  ma  solo  come  ricerca  logica,! come  investigazione   e   analisi  di  concetti.  Il  che,  s'  è| pregio  nella  logica  del  Mill  per  la  fede  eh'  e'  ripone nelle  forze  del  pensiero,  è  auche  il  suo  difetto  massimo, stante  che  siffattamente  ei  chiudesi  tutto  nel  formalismo  ** logico,  secondo  che  altrove  mostrai.' So  che  il  Mill  se  ne  vuol  difendere,  facendo  vedere qual  divario  corra  fra  la  logica  formale  e  quella  eh'  e'  dice logica  della  verità.  Ma  la  pecca  di  nominalista  in  lui è  chiara.  Ed  è  chiara  per  chi  abbia  convenevolmente considerato  quelle  quattro  teoriche,  nelle  quali  il  filosofo inglese  vuol  darsi  addirittura  per  innovatore:  intendo  ' le  dottrine  della  dimostrazione,  della  definizione,  degli assiomi  e  della  induzione.  In  tutto  questo  egli  è  per- *  Vedi  Stuart  Mill,  A.  Comte  et  U  Pontivitme,  Paris. Vedi  la  Ont,  del  Po9ÌHv.  innanzi  citata,  VI,  pag.  19. fetto  Baconiano,  checché  ne  dica  egli  stesso.  Perocché, se  la  inente  ne'suoi  concetti,  secondo  questo  filosofo,  è superiore  ai  fatti;  non  però  cessa  d'essere  un  artifizio, logico,  un  artifizio  psicologico,  un  intreccio  a  cui  nulla  ; d' obbiettivo  potrà  mai  rispondere.  E  di  qua  proviene  i poi  un'  altra  conseguenza,  eh'  è  questa.  Se  nella  logica la  posizione  di  Mill  riesce  evidentemente  unilaterale  e subbiettiva,  è  pur  d' uopo  eh'  ella  si  manifesti  impotente anche  nella  scienza  storica,  eh'  è  dire  nell'organamento  ^ razionale   de'fatti    storici.   Ora  se  il  metodo  positivo giunge  a  legittimar  1'  analisi  de'  concetti  e  la   critica delle  idee,  non  bisognerà  dire  che,  come  esigenza  critica, ei  contraddica  a    medesimo  quando  dichiara  di non  potere  in  alcun  modo  studiare  idee  e  concetti  nel- l'obbiettivo lor  significato?  E  donde  questa  impotenza? Dalla  natura  stessa  della  mente,  si  può  rispondere.  Ma, s'egli  è  così,  la  possibilità  della  scienza  si  traduce  in impossibilità  vera.  Che  poi  questo  non  sia  e  non  possa essere,  ne  porge  guarentigia  sicura  il  processo  istorioo delle  scienze  tutte,  e  l' incessante  progresso  ond'  elle  ci dan  prove  luminose.  La  ricerca  in  senso  obbiettivo,  adun-? que,  è  possibile;  dove  che  per  Mill  è  addirittura  im-* possibile.  Questa  è  la  parte  debole  del  Positivismo  inglese.  ; L' errore  opposto  è  il  Jifetto  del  Positivismo  fran- cese. Se  per  Mill  psicologia  e  logica  sono  scienze  che s' alimentano  di    medesime;  per  il  positivista  francese, al  contrario,  elle  non  sono  che  appendici  della  biologia, al  modo  stesso  che  la  sociologia  é  come  un  allargamento della  storia,  ciò  é  dire  una  generalizzazione   del  fatto istorico,  ma  del  fatto  verificato  mercè  la  deduzione  delle leggi  della  natura  umana.  Qui,  ripetiamo,  la  differenza è  profonda.   La   scienza   della  civil  società,  secondo  il' Positivismo  inglese,  pone  radice  nella  così  detta  Etologia, li' Etologia  è  la  vera  scienza  dell'uomo,  egli  dice.  . Essa  è  una  generalizzazione  non  già  verificata,  ma sì  primiti/vamente  suggerita  dalla  deduzione  détte  leggi della  natura  umana.^  Ora  la  funzione  deduttiva,  nel Positivismo  inglese,  non  è  operazione  immediata,  non  è operazione  secondaria  alla  induzione,  com'  è  nel  Positi- vismo francese,  ma  è  funzione  a  priori,  è  funzione  i cui  risultati  vonn'  esser  giustificati  con  T  osservazione, e  con  la  scrupolosa  ricerca  delle  leggi  empiriche. Brevemente,  dunque:  pregio  singolare  del  Positivismo inglase  è  il  metodo  deduttivo-concreto  (per  usar  la  frase di  Mill)  applicato  alle  scienze  morali  in  generale.  Que- sto metodo  è  costituito  di  due  processi  che  si  svolgono, per  così  dire,  di  fronte;  non  già  di  due  parti  d' un  me- desimo processo, l’ una  delle  quali  sia  conseguente  al- l' altra,  com'  è  per  i  Francesi  positivisti.  Per  tal  prero- gativa massimamente  parmi  che  il  Positivismo  di  Mill mostri  accostarsi  all'  indole  della  filosofia  nostrana,  e molto  allontanarsi  dal baconianismo  alla  maniera  che questo  metodo  s'intende  da'più.*  Carattere  e  pregio poi  del  Positivismo  francese,  parmi  stia  nel  credere  alla j)ossibilità  d'una  filosofia  come  risultato  di  tutto  quanto il  sapere  umano,  e  quindi  nel  porre  come  inevitabile  o sua  condizione  la  necessità  della  storia.  L'indagine storica,  il  metodo  di  filiazione:  ecco  il  distintivo  del Comtismo,  eh' è  anco  il  massimo  suo  pregio.' Contro   Comtismo  è  facile  muovere  la  medesima difficoltà,  quantunque  in  senso  contrario ,  mossa  te- sté contro  Mill.  Se  infatti  è  possibile  una  ricerca  e una  critica  storica;  perchè  non  sarà  possibile  una  ri- cerca logica,  una  critica  dei  concetti,  come  tali?  Per- chè dunque  negare  una  logica  e  una  psicologia  supe- f *  Vedi  Mill,  Sy^time  de  Logique. Vedi  CoMTB,  Pha.  Pontive.  Voi.  V,  Lez.  48". . riore  alla  storia?  Se  non  che  delle  due  maniere  di Positivismo,  quella  de' Francesi  va  piii  facilmente  sog- getta a  contradizione;  la   qual  cosa  tiene  alla  doppia origine  storica  per  cui  si  distingue  cotesto  sistema.  Pa- recchi  scrittori   francesi  infatti  hanno  avvertito,  che ove  il  Comte   parla  di  natura  e   di  scienze  fisiche,  è decisamente  sensista,  materialista  e  nominalista  ;  men- tre che  ove  parla  di  filosofia  politica  e  storica  si  mo- stra panteista,  ma  senza  dar  prova  di  quella  specula- zione ingegnosa,  di  quella  mirabile  unità  razionale,  cui sanno  poggiare,  bene  o  male  che  sia,  i  Panteisti  moderni.'  Donde  tal  contraddizione?  Dall'essere  il  Comte,  } per  una  parte,  figlio  del  Sensismo  francese  ;  dall'  altra  ì poi  figlio  del  Sansimonismo,  che,  com'  è  noto,  è  forma  j grossolana  di  panteismo.  Per  questa  doppia  tendenza  | i  Positivisti  di  Francia  non  possono  salvarsi  dal  cadere  j nelle  conseguenze  d' uno  de'  due  sistemi  :  materialismo, 0  panteismo.  So  eh' e'  fan  presto  a  difendersi  dall'una taccia  come  dall'  altra.  Ma  la  logica  vale  qualcosa  più delle  parole  e  delle  calde  proteste.  E  veramente  chec- ché se  ne  possa  dire,  uno  degli  scrittori  poco  fa  citati ha  fatto  toccar  con  mano  al  Littré,  che  inevitabile  re- sultato del  Positivismo  è  il  materialismo.*  E  d'altra parte  sappiamo,  come  tutti  i  Positivisti  oggi,  e  propria-  ' mente  i  Comtisti,  faccian  causa  comune  con  que'  della  \ sinistra  hegeliana,  co'  quali  hanno  intimo  legame,  se-l condo  che  mostreremo.  Ho  detto  come  per  ragion  d'origine  al  Positivismo francese  tomi  più  facile  inciampar  nelle  contraddi- zioni. Ne  poi^o  qualche  esempio.  Non  si  vuol  sapere nulla  di  cause  finali!  Ma  non  è  forse  il  medesimo  Lit- [Vedi  Rbkocttibb,  Annuairephìl   Q  nell^altro .  Vaohb- BOT,  Metaphi9iq\w  potive. ;  Trattenim. Jakbt,  Onte  phiL *  Vedi  Janbt]  tré  quegli  che,  mentre  grida  contro  il  principio  della finalità,  lo  afferma    ove  dice,  per  esempio,  l'essenza stessa  della  materia  oi^anizzata  esser  la  causa  prima della  finalità?  Eccoci  in  pieno  materialismo,  e  in  pieno sistema;  tutto  che  i  Positivisti  non  vogliano  esser  detti né  materialisti,    sistematici.  Ancora,  io  domando:  se  per domma  del  metodo  positivo  nulla  è  da  accettare  che  non sia  guarentito  immediatamente  o  mediatamente  da' fatti; perchè,  al  di    de^  fenomeni  e  dell'  esperienza  e  delle leggi  che  se  ne  traggono,  voler  credere  in  un  obbietto il  quale,  per  inconoscibile  che  sia,  é  sempre  un'  afferma- zione della  ragione?  Domando:  è  egli  atto  di  metodo positivo,  di  critica,  di  ricerca,  il  parlare  di  certo  grande oceano  qui  vieni  battre  notre  rive,  et  pour  lequd  nous n'avons  ni  barque,  ni  voiles,  mais  doni  la  dcdre  vision est  aussi  sahUaire  que  formUàble?  È  egli  atto  di  Posh tivismo  e  di  ricerca  che  sdegni  qualunque  spiraglio  di soprassensibile  e  di  soprannaturale,  parlarci  così  d'un Infinito,  comecché  non  se  ne  riconoscano  tutti  quelli  air tributi  che  il  fanno  tale?  E  se  ponete  la  possibilità  di conoscere  cotesto  vostro  inconoscibile  per  il  quale  dite di  non  aver  barca    vele  che  bastino,  ma  la  cui  cMaroi visione  é  pur  tanto  sàkiiare  al  pensiero;  in  che  maniera non  accorgervi  come  tutta  la  storia  della  filosofia  non altro  sia  stata  per  tutt'i  secoli  scorsi  fuorché  una  serie di  risposte,  per  così  dire,  a  cotesta  medesima  domanda che  neanche  voi  dite  illegittima,    strana?  Sarann'elle erronee  tali  risposte:  ne  potrò  convenire.  Ma  saran  tutte errori  da  farne  proprio  tavola  rasa? Da  siffatte  considerazioni  ci  é  dato  trarre  una  conseguenza. Nel   Positivismo   oggi  avverasi  una  legge; quella  legge  che  accompagna  sempre  ogni  novello  indi- rizzo nella  filosofia,  eh'  é  dire  l' opposizione  nel  seno  % stesso  del  sistema.  Ecco  una  ragione  di  più  per  dichia- rare,  che  dunque  il  Positivismo  è  un  sistema  come  tutti  , gli  altri  !  La  cagione  profonda,  dice  il  Littré,  che  divide  / Comte  da  Mill,  è  il  punto  di  vista  psicologico  e  logico nel  quale  s'è  messo  il  filosofo  inglese,  e  la  definizione reale,  obbiettiva,  non  già  formale    psicologica,  con  che si  presenta  la  scienza  nel  filosofo  francese.^  Ora  se  il  Po- sitivismo inglese  è  principalmente  un  formalismo  logico, e  il  Positivismo  francese  è  essenzialmente  un  empirismo  ! storico;  ne  viene  di  conseguenza  che,  in  virtiì  della stessa  critica  positiva,  noi  dobbiamo  riconoscer  legit-^ tima  una  terza  forma  di  Positivismo,  la  quale  sappia  sebi-    Vedi  Op.  di  Vico,  ediz.  Predar!,  pag.  762. Vedi  Op.  cit.  Risposta  a FINETTI] cosmologici  sparsi  nel  LS}ro  Metafisico,  e  in  questi  attingere forza  a  meglio  interpretare  e  propugnare  le  applicazioni fatte  dal  Vico  nella  Sdenisa  Nuova.  La  contraddizione, dunque,  passata  dal  maestro  al  discepolo  * e  il  non  aver  saputo  cogliere  il  principio  cosmologico del  Vico,  fece    che  tale  polemica,  nel  modo  ch'era sostenuta  da DUNI,  apparisse  inefficace  e  manchevole. Debole  e  manchevole  infatti  ci  sembra  questa  ma- niera di  ragionare  :  «  Voi  vorreste  che  i  primi  fondatori delle  nazioni  fossero  stati  dotati  d' innocenza  di  costumi. Ma,  caro  signor  censore,  come  potete  voi  spiegare  le origini  dell’idolatria,  la  barbarie,  l’immanità  negli  usi delle  orride  loro  religioni  piene  di  duro  materialismo? Come  l'immanità  delie  loro  leggi  e  costumi,  le  cui  re- ligioni si  sono  per  lungo  tempo  conservate  finanche  nei tempi  della  maggior  loro  cultura,  per  qui  tacere  le  origini delle  lingue,  delle  poesie,  della  frode  e  cose  simili? Come  finalmente  i  progressi  di  tali  nazioni  di  cui  ne abbiamo  le  memorie  troppo  sicure,  e  non  soggette  alla minime  dubbiezze?  Ma,  giacché  i  monumenti  e  la  sto- ria degli  antichissimi  e  de'  presenti  barbari  popoli  sono per  voi  sogni,  favole  e  delirii,  perchè  non  ci  dite  con quali  altri  principii,  origini  e  progressi  di  cose  umane debbasi  ragionare  di  questo  mondo,  degli  uomini,  deUe nazioni,  delle  tante  umane  istituzioni,  delle  origini  e progressi  delle  umane  industrie  nelle  colture  delle  co- gnizioni,alle  tante  maravigliose  invenzioni,  nei  governi e  polizia  de'  popoli  ed  in  tante  altre  maraviglie  che  os- serviamo nel  gran  teatro  di  questo  mondo  degli  uomini? Come  non  sapete  che  i  costumi  e  le  leggi  umane  deb- bano necessariamente  trarre  loro  origine  e  progressi daUe  idee  degli  stessi  uomini? Come  potete  negare  il vario  corso  di  tali  costumi,  che  di  grado  in  grado  spogliandosi del  materialismo,  li  troviamo  di  fatto  più  puri nell'  età  avanzata  che  nella  fanciullezza  di  tutte  le  na- zioni.* Io  non  dico  che  tutto  ciò  non  sia  vero:  dico *  Vedi  Risp.  a FINETTI che  DUNI,  a  difendere  invittamente  la  sentenza  del suo  maestro,  avrebbe  dovuto  movere  dai  principii  co- smologici e  psicologici,  i  cui  germi  non  mancano  cer- tamente nelle  opere  di Vico. Gasuista  acutissimo,  quanto  insolente,  il  Finetti  sor- rideva a  sentir  elogiare  e  difendere  questa  dottrina della  Scienza  Nuova;  e  tutto  pieno  d'entusiasmo  reli- gioso rispondeva  con  XXIII  obbiezioni  cavate  dai  libri santi.'  Quindi  esclamava: Dottrine  veramente  altissime  ! religiosissimi  e  ammirevoli  pensamenti  !  Tra  le  varie  cose onde  pretende  il  Vico  di  far  grandemente  spiccare  la divina  Provvidenza,  una  è  quel  capriccioso  di  lui  corso delle  nazioni  sulle  regole,  diciam  così,  del  trel  II  Duni andrà  in  estasi  a  tal  pensamento  ;  e  pure  a  me  è  sog- getto da  ridere,  spezialmente  quando  si  pretende  con à  costante  ternario  di  far  spiccare  la  divina  Provvi- denza ;  essendo  chiaro  eh'  ella  rìsplende  nella  grandezza ed  importanza  de'  fini  e  nella  idoneità  e  giusta  propor- zione dei  mezzi,  e  non  già  nel  far  correre  le  nazioni pe'  numeri  di  tre  o  quattro.  Un  tale  giuoco  non  sembra certamente  degno  dell'  infinita  sapienza  di  Dio.  »  E  al- trove, allargando  la  sua  critica,  aggiunge  :  «  La  maniera di  filosofare  inventata  dal  Vico  è  tale,  che  può  porgere delle  armi  per  oppugnare  la  Religione.  e  non  poco corredo  a  chi  voglia  farne  uso  per  impugnare  e  met- tere in  dubbio  la  Sacra  Scrittura  e  la  divina  rivela- zione....; »  tanto  che  paragonandolo  al  Boulanger,  uno. degl'increduli  de  suoi  tempi  (com'  egli  stesso  nota),  non dubita  porre  a  riscontro  le  dottrine  dell'uno  con  quelle dell'altro  per  otto  diflferenti  capi. Com'  è  chiaro,  FINETTI non  ebbe  tutt'  i  torti  se  gli venne  in  grave  sospetto  la  Scienza  Nuova.  Avea  torto bensì  nel  confondere,  come  ROMANO,  tale  dottrina  del Vico  difesa  da  DUNI,  con  quella  de' filosofi  francesi  Vedi  Sommario  delle  oppoeizioni  del  Sietema  Ferino   di  Vico  alla Sacra  SeriUura,  de' suoi  tempi.  Ed  è  a  confessare  che  questo  mede- simo torto  hann'  avuto  di  poi  parecchi  altri  critici,  an- che viventi,  laddove  parlano  della  dottrina  su  lo  stato ferino  propugnata  nella  Sdeiiza  Nuova»  Avvertiamo  una volta  per  sempre  che  lo  stato  di  natura  di Vico  noa ci  ha  che  vedere  con  quello  de'  giusnaturalisti.  E  tornando  a FINETTI,  a  meglio  capire  la maniera  della  sua  critica,  nonché  il  carattere  delle  sue opposizioni,  giova  qui  rammentare  certe  parole,  da  lui stesso  riferite  con  aria  di  trionfo,  d'un  personaggio"^ napoletano.  Il  quale,  stato  già  scolare  per  più  anni  di Vico,  raccontava  come  il  suo  maestro  in  Napoli  fosse ritenuto  per  uomo  veramente  dotto,  ma  che  poi  fosse stimato  pwsfjso  a  cagione  delle  sue  stravaganti  opinionL Finetti  si  degna  dirci  d' aver  chiesto  a  quel  gentiluomo partenopeo  se  quando  Vico  scrisse  la  Scienjsa  Nuova fosse  dotto,  0  non  più  veramente  pazzo.    ediz.  Siena] ligente  fu,  al  pari  di DUNI,  PAGANO,  di  cui  il  solo nome  è  ricordo  pietoso  ad  ogni  anima  gentile  e  aperta ai  sensi  di  libertà.  Come  in DUNI,  così  pure  in PAGANO le  idee  vichiane  leggiamo  esposte  con  chiarezza  e facilità,  ma  anche  con  troppa  imitazione;  che  anzi  è da  confessare  come  in  lui  faccian  difetto  alcuni  pregi di DUNI,  per  esempio    dove   pone  questi  principii  : che  lo  stato  della  primitiva  barbarie  non  fosse  gene- rale ;  che  la  gelosia,  piuttosto  che  un  certo  vago  senso religioso,  spingesse l’uomo  al  matrimonio  ;  e  che  tra  la barbarie  originaria  e  la   barbarie  medievale  Vico non  iscorgesse  divario  di  sorta: il  che a  noi  non  sembra  punto  vero.  Ma  grave  errore di PAGANO è  quello  di  volere  interpretare  la  storia  in un  senso  troppo  fisiologico;  e  questo  tiene  alla  efficacia che  nella  sua,  mente  esercitò  la  filosofia  francese  di quell'età.  E  alla  stessa  cagione  forse   è  da  riferire s' ei  non  seppe  vedere  come  il  processo  storico  non  sia . né  possa  essere  unilaterale,  ma  complesso,  organico, dovendo  abbracciar  tutte  le  manifestazioni  e  tutti  gli elementi  d' una  data  storia  e  civiltà.  Per  le  quali  cose non  possiamo  accettare  la  sentenza  ond' altri  ha  pro- nunziato, che  i  Saggi  del  PAGANO siano  la  interpretp,- zione  più  fedele  della  Sciema  Nuova:  tanto  piii  che il  Pagano,  intendendo  in  maniera  grossolana  al  pari dello  Stellini  la  dottrina  del  corso  e  ricorso,  non  dubita sostenere  che  le  nazioni  tutte  a  per  lo  stesso  movimento onde  son  rimenate  alla  luce  della  cultura,  ricadono nelle  tenebre  della  natia  barbarie.  »  Nel  che  non  s'accorge quel  nobile  e  sventurato  ingegno  come  il  ricorso di Vico  sia  anche  progresso,  e  come  il  suo  svolgimento abbia  luogo  in  età  diflFerente  da  quella  in  che  accade  t il  corso  della  civiltà;  mentre  al  contrario  in  un  medesimo popolo ,  per  esempio  nel  greco,  egli  vede  insieme  un  | eorso  e  un  ricorso  storico.*  Il  Pagano  dunque  non  iscorge *  Vedi  PAGANO,  Op.  edlz.  Capolagro, il  modo  con  che  il  suo  maestro  intese  coordinare  i  diversi momenti  de'  grandi  periodi  della  storia  eh'  ei  disse  corsi e  ricorsi  storici.  Non  riesce  a  salvam  dall'errore,  nel quale  intoppò  lo  Stellini,  d'ammettere  una  prima  età storica  non  ferina,  ma  innocente.  Non  sa  vedere  l' er- rore di  VICO,  oggi  assai  grave,  delle  catastrofi  e  dei  cataclismi fisici  onde  gli  uomini  furon  da  prima  scossi  e menati  a  civiltà.  Finalmente,  come  origine  assoluta  delle famighe  ponendo  il  ratto  delle  donne  per  opera  degli uomini  forti,  non  s' avvede  che  nelle  dottrine  del  maestro, più  che-  cagione,  cotesta  era  semplice  occasione, non  altrimenti  che  le  suddette  catastrofi  e  cataclismi di  natura.  Ma  è  da  notare  che  fra  tanti  errori  egli talora  sorpassa  il  maestro,  non  che  i  mitologi  suoi  con- temporanei, quando  sostiene,  per  esempio,  che  i  Greci, \  quant'  a  mitologia,  non  facevano  che  vestir  poetica- mente racconti  d' origine  primitivamente  orientale. Né  a  quel  tempo  erasi  ancor  difi'usa  quella  febbre, che  tutti  oggi  invade,  dell'  orientalismo  indiano.  E  CUOCO,  benché  seguisse  Vico  nelle  esagerate ,  interpretazioni  del  suo  Platone  in  Italia,  romanzo  fatto sul  gusto  délVAnacarsi  del  Barthélemy;  ne  divina  ta- lora qualche  idea  originale  come  quando  pone,  a  dirne solo  quest'esempio,  un'origine  spontanea  anzi  che  co- municata e  artificiale  alle  manifestazioni  storiche,  reli- giose, mitologiche,  poetiche  e  poUtiche.  Così  mercé  PAGANO  e  CUOCO,  entrambi  ingegnosi  discepoli  di Vico,  temperavasi  quella  dottrina  del  maestro  che,  come vedremo  in  altro  luogo,  potrebb'essere  interpretata  con opposti  e  contrari  significati.  E  vuoisi  che CUOCO  meditasse  e  anche  scrivesse  un  lavoro  sulla  Sdenta Nuova,  ma  che  da    medesimo  avesse  poi  distrutto, forse  per  que'  motivi  politici  che    crudelmente  gli  fu- nestaron  l'animo,  il  quale,  non  meno  di PAGANO,  egli ebbe  pieno  di  carità  patria.  Di CUOCO in   sostanza non  abbiamo  ne  interpretazioni,    esplicazioni  del pensiero  che  informava  la  Scienza  Nuova,  degne  d'esser rammentiite.  È  bene  anzi  avvertire  com'  egli  ne  accogliesse alcune  idee  al  tutto  erronee:  quella,  per  esem- pio, d'  un'  antichissima  sapienza  italica,  anteriore  alla romana  e  alla  greca  per  cui  riteneva  che  gli  Etruschi, sparsi  un  tempo  per  tutte  le  terre  italiane,  avessero costituito  un  popolo  solo.  Non  pertanto CUOCO  dà s^ni  evidenti  d'avere  studiato  la  Scienza  Nuova  ed essersene  giovato,  chi  consideri  quanto  egli  imitasse  e ripetesse  le  idee  del  Vico,  ma  sempre  in  modo  inge- gnoso, acuto,  geniale,  sul  corso  della  civiltà,  su  la  co-l stituzione  di  Roma  e  su  la  legislazione  in  universale. Chi  dovea  più  d' ogn'  altro  valersi  di Vico  in  fatto  I di  principii  legislativi  fa  il  Filangieri.  Il  quale,  se  stu- •  diasse  le  opere  del  nostro  filosofo,  e  se  in  grande  ve- nerazione avesse  alcuni  principii  di  lui,  ce  lo  attesta,  da  una  parte,  una  lettera  del  Goethe  scritta  da Napoli,  e  dall'altra  le  citazioni  ch'egli stesso  £a  e  le  dottrine  eh'  e'  non  di  rado  toglie  dalla Sdenta  Nuova.  Dalle  opere  del  Vico  infatti  esce  lumi- nosa la  prova  dell'  esistenza  d' un  elemento  universale e  assoluto  nelle  leggi  guardate  lungo  il  processo  isto- rico,  e  per  cui  la  legislazione  nella  storia  non  è  altro che  la  incarnazione  dell'idea  del  Diritto;  della  quafe egli  aveva  additato,  come  vedremo,  il  principio  -nel- r  opera  sul  Diritto  Universale.  Perciò  nella  Scienza Nuova  avverte  che  la  filosofia  del  Diritto  considera Vuomo  guai  ddb'  essere mentre  la  legislazione  censi-  ' dera  V  uomo  quale  è  per  farne  buoni  usi  neW  umana società}  Ora  appunto  la  seconda  parte  di  questa  sen- tenza tolse  a  studiare  il  Filangieri,  e  però  diciamo  che  la . scienza  della  legislazione  altro  non  sia,  chi  ben  guardi,  ' che  un'  applicazione  di  questo  concetto  vichiano.  E  vera- mente, se  ad  applicare  ottime  leggi  al  civile  consorzio *  Vedi  nel  Cintohi,  Studi  oritiei,  ec.  Vedi  Degnità  VU. è  necessaria  l'esperienza;  e  se  l'arte  dello  sperimento non  è  possibile  in  siflFatt'  ordin  di  cose  tranne  che  me- diante la  storia;  perocché  se  la  storia  elevata  a  filo- sofia è  atta  a  mostrare  che  i  fatti  legislativi,  guardati nella  loro  idea  e  nelle  attinenze  con  altri  fatti  pos8on  essere  considerati  come  altrettanti  esperimenti  che la  civiltà  va  seco  medesima  operando:  se  tutto  ciò  è vero,    da  concludere  che  l' antecedente  logico  della Scienea  deUa  LegislcusAone  sia  per  l' appunto  la  Scienea Nuova.  Laonde  non  parmi  che  il  Lerminier  s' apponga, dicendo  FILANGIERI seguace  del  Montesquieu,*  per  la semplice  ragione  che  il  medesimo  Filangieri  ebbe  co- scienza di  non  dover  battere  le  vie  già  con  tanta  gloria calcate  dal  filosofo  francese,  com'egli  stesso  ci  assicura. FILANGIERI non  intese  a  ricercar  leggi,    a  descriver  | costumi  :  volle  anzi  levarsi  alla  teorica  dei  costumi  e  • delle  leggi.  Ora  cotesta  teorica,  come  vedremo,  è  inutile cercarla  nel  Montesquieu;  ed  è  inutile  cercarvela  anche per  confessione  degli  stessi  Francesi.  Ripeto  quindi  che la  Scienza  della  Legislazione,  chi  la  guardi  nella  originalità  del  suo  disegno,  è  di  fattura  tutta  italiana,  e possiamo  designarla  perciò  come  una  pagina  (splendida pagina  in  vero!)  della  Scienza  Nuova.  Ciò  non  pertanto  è  da  confessare  come FILANGIERI talvolta  s'accosti,  forse  anche  troppo,  al  fare  di ROMAGNOSI,  il  cui  pensiero  mostra  d'  avere  tanta  affinità con  la  filosofia  francese.  In  gran  parte  meccanica  e artificiale  riesce  infatti  la  sua  dottrina  storica,  alla quale  si  riferisce  la  legge  ch'egli  espone  su  le  Religieni e  eh'  è  pure  una  debole  imitazione  attinta  in Vico  ;  1 ma  è  tal  legge,  ch'io  starei  per  dirla  disorganata. Filangieri  è  da  lodare  per  piil  conti,  massime  per  aver I  saputo  cogliere  il  vero  di  quel  principio  vichiano  sulla incomunicabiUtà  originaria  dei  miti  presso  popoli  differenti: *  col  che  mostra  d'  aver  attinenze  sempre  piiì  '  ItUroduction  generai  eo. Vedi  Scienxa  ddla  Legialanone,  apffini  con  gli  altri  seguaci  e  imitatori  d'  un  comune maestro  e  d'  un  ispiratore  comune,  quali  abbiam  visto essere  stati  per  differenti  guise DUNI,  CUOCO, PAGANO. Se  non  che,  come  la  tendenza  alla  pura  imitazione eccita  spesso  la  critica,  parimenti  la  critica  efficace! e  produttiva  viene  più  spesso  eccitata  dalla  critica infeconda  e  negativa.  Così  DELFICO CIVITELLA quantunque più  volte  citi Vico  e  ne  accetti  perfino  al-  ) cune  dottrine  su  la  Giurisprudenza  romana,  si  pre- senta come  negazione    lui  quando  si  pensi  che  Vico  e primo  interprete  critico  del  Diritto  Romano,  e dicasi  pure  della  Storia  romana.  Il  dubbio  critico  e  fe- condo dell'uno  su  le  origini  di  Roma  e  delle  XII  Tavole, diventò  dubbio  scettico  nell'  altro.  Egli  infatti giunse  a  dire  che  la  comune  opinione  sulla  grandezza romana  devesi  ridurre  al  solo  ingrandimento  de' con- fini, ottenuto  spesso  con  mezzi  rei  ed  infami.*  E  se GRAVINA  appoggiandosi  all'  autorità  di  CICERONE appella  Diritto  per  eccellenza il  Diritto  Romano;  il  Delfico,  in  su  lo  scorcio  1 dello  stesso  secolo,  non  teme  affermare  che  Roma, tuttora  barbara  e  ignorante,  avea  già  veduto  a'  suoi fianchi  gli  Etruschi,  i  Sabini,  gli  Umbri,  celebri  già per  leggi  e  per  giustizia,  gli  Equi  e  gli  Equicoli, così  appellati  perchè  giusti.  Che  cosa  ne  fecero  i  Ro- mani se  non  distruggerli,  piuttosto  che  imitarli?'  Le grandi  lodi  poi  fatte  in  ogni  tempo  ai  frammenti delle  XII  Tavole,  egli  chiamava  letterario  fanatismo. Il  tanto  encomiato  Diritto  Civile  riguardava  come  ri- saltato delle  interpretazioni  dei  Giurisprudenti  e  delle dispute  forensi.  Incertezza,  arbitrio,  volontà  di  conservare r  aristocratico  dispotismo  diceva  essere  il  carattere proprio  del  Diritto  Romano.  Che  se  Roma  cadde, Vedi  Riocrehe  nU  vero  earattere  della  Oiurttprudenxa  Romana  e  dei  \ 9uoi  cultori.  Firenze,  Introd. non  cadde  perchè  oppressa  dal  pondo  dell'  estrema  sua grandezza,  ma  per  mancanza  di  base  e  difetto  di  solida architettura  nell'edifizio.  E  conchiudendo  poi  la  prima parte  del  suo  libro,  afferma  che  :  (c  la  giustizia  di  Roma fu  in  principio  quale  può  essere  neUa  barbarie;  d'indi| quale  dev'  essere  nell'  anarchia,  nella  confusione  delle leggi,  e  nella  generale  corruzione. Talché  in  ogni  età al  pensiero  del  Delfico CIVITELLA Roma  si  presenta  in  antitesi  con la  ragione  e  con  la  umanità:  la  giurisprudenza  per  lui è  il  fatale  retaggio  eh'  ella  ci  lasciò,  e  i  secoli  ne  hanno moltiplicato  le  specie.*  Vedremo  altrove,  che  se  Vico  fu  primo  a  studiare con  riservatezza  guardinga  e  saviamente  scettica  la  storia del  popolo  e  del  Diritto  Romano  assai  cose  distrug- gendo accolte  già  e  sanzionate  dall'  autorità  di  molti secoli;  non  però  cadde  in  quell'  aperto  e  desolante  scetti- cismo che,  uccidendo  i  fatti  nella  storia,  spegne  ad  un tempo  la  fede  nell'  animo  di  chi  ne  interpreta  il  signi- ficato, com'è  appunto  il  caso  del  Delfico CIVITELLA.  Vico  anzi pervenne  a  dimostrare,  come  vedremo,  una  legge  d' intimo progresso  nelle  successive  manifestazioni  storiche  ' del  diritto  romano.  E  questo  evidentemente  contraddice al  dubbio  scettico  del  Delfico. Così  può  dirsi  chiuso  il  primo  periodo  degli  scrit- tori che  han  discorso  di  questa  o  quella  dottrina  del nostro  filosofo.  Nel  qual  periodo,  ciò  che  ha  molto  valore  | per  noi,  è  la  polemica  fra   Duni  e FINETTI: il  resto  è lavoro  d'imitazione  piii  o  meno  fedele  che  solamente  nel Filangieri  comincia  ad  assumere  forma  d' esplicazione  ' originale.  E  questa  tendenza  imitativa,  che  finisce  con  lo scetticismo  giuridico  e  storico  del  Delfico,  ci  mostra  poi quanto  sia  vera  quell'osservazione  fatta  da  parecchi  sto- rici nostrani,  che  la  snervata  filosofia  firancese  principal- mente scemasse  originalità  agli  scrittori  italiani  d' allora, togliendo  loro  il  poter  discemere  qual  novità  di  principi! avesse  introdotto  il  Vico  nel  regno  della  scienza  e  della storia  umana. Possiamo  dire che  corra  un  abisso. Nell'ordine  puramente  speculativo ci  è  di  mezzo  il  Criticismo;  e  nell'ordine  delle  idee  stori-  1 che  e  giuridiche,  come  in  quello  de'  fatti  politici,  abbiamo i  filosofi  giusnaturalisti  francesi,  e  la  grande  Rivoluzione. Con  la  Scienza  Nuova  noi  avevamo  già  prevenuto l'esigenza  critica,  dal  puro  mondo  dell'attività  psicolo- gica trasferendola  e  compiendola  nel  regno  dell'  attività storica;  e  nell'ordine  delle  idee  avevamo  sorpassato  al-tresì la  Rivoluzione,  perchè,  ammesso  il  processo  istorico al  quale,  secondo  la  Scienza  Nuova,  deon  soggiacere  tutti i  fatti  e  tutte  le  idee,  non  v'è  pagina  in  questo  libro  dove non  si  senta  la  necessità,  e  non  si  tocchi  con  mano,  per così  dire,  lo  scoppio  d'un  radicale  innovamento  negli  or- dini del  consorzio  civile,  politico  e  sociale.*  Brevemente: nei  tempi  moderni  veggiamo  accadere  nel  nostro  pen- siero quello  stesso  che  venne  verificandosi  nell'  età  del Risorgimento.  Co' nostri  vecchi  filosofi  noi  avevamo  arditamente sorpassato  la  Riforma,  nel  modo  stesso  che  con le  nostre  scuole  politiche  (sempre  nell'  ordine  dell'idee) *  Nella  Sociologia  mostreremo  che  co*principii  del  suo  Diritto  C7ni-1 vende  il  nostro  filosofo  Compie  la  dottrina  della  Socialità  di  Orozio, corregge  i  prìncipii  e  quindi  le  consegoonze  der  Naturalimno  speculativo  e wteta/meo  di  Spinoza,  inrera  il  Natwali«mo  empirico  di  Hobbes,  contraddice al  TeoeraiÌ9wu>  della  scuola  di  Bossuet,  alio  Scetticismo  giuridico  di  Bayle, di  Pascal  e  di  Montaigne,  e  previene  le  idee  principali  di  Montesquieaj e  di  Rousseau  legittimandole  nel  suo  concetto  istorico. avevamo  già  sorpassato  le  tendenze  nonché  i  bisogni politici  di  quell'età.* Col  primo  schiudersi  del  nuovo  secolo,  adunque,  non può  non  ischiudersi  un  periodo  novello  di  studi  assai più  severi  circa  le  dottrine  del  Vico  ;  talché  V  abisso fra' due  secoli  poco  fa  accennato  per  noi  non  esiste,  e in  ogni  modo  la  Scienza  Nuova  avrebbe  trionfato  nel- r  animo  nostro  come  nelle  nostre  menti:  avrebbe  trion- fato nella  nostra  storia  civile  come  nel  nostro  pensiero filosofico,  quand'  anche  il  gran  fatto  della  Eivoluzione non  ci  avesse  scosso.  Ci  saremmo  arrivati  da  per  noi  J forse  più  lenti,  ma  certo  più  securi.  D  segnale  dunque de' nuovi  studi  s'inaugura  cqu  coscienza  più  chiara  sul valore  delle  dottrine  vicinane,  e  tal  segnale  ci  è  dato  innanzi tutto  da  im  poeta  assai  splendido  nella  forma  quale e MONTI,  e  da  un  poeta  assai  potente  e  insieme potentissimo  prosatore  quale  si  e FOSCOLO.  In  una  delle  nostre  più  illustri  Università,  MONTI pronunzia  quella  beUissima  sentenza  che  poi  tutti  hsìn ripetuto  e  ripetono  parlando  di  Vico:  La  Scienza Nuova  è  come  la  montagna  di  Golfonday  irta  di  scogli e  gravida  di  diamanti.  E  quindi  soggiungeva:  Chi amasse  di  chiamare  a  rivista  le  idee  generatrici  e  pro- fonde delle  quali  si  è  fatto  saccheggio  nel  Fico,  tesse- rebbe lungo  catalogo,  e  nuderebbe  a  moUe  riputa^zioni.* Ma  MONTI  sente  la  verità  e  grandezza  delle  idee vichiane  com'  un  poeta. FOSCOLO    un  nuovo  passo e  va  molto  più  innanzi  allora  che  nel  celebrato discorso  d'apertura  all'insegnamento  letterario  nella stessa  Università  Pavese,  piglia  a  trattare  con  l' usata  maschiezza  d'ingegno  il  vasto  soggetto  dell' origine  e dell'  ufficio  della  letteratura;  nel  quale  prova  insieme quant'  avesse  studiato  le  opere  del  nostro  filosofo,  e come  sotto  novelle  forme  si  possa  applicarne  le  dot- *  Ferbari,  Cforto  augii  aeriUori  Politiei  italiani^  V.   Monti,  Proluaùme  agli  atudi  delV  Univeraità   di  Pavia,  MUa- no,  trine  anche  nei  temi  letterari. FOSCOLO ha  colto il  valore  d'alcune  sentenze  psicologiche  sparse  nei  lihri del  filosofo  napoletano  ;  e  da  queste  appunto  ei  seppe trarre  il  concetto  posto  come  principio  fondamentale del  suo  ragionamento.  Egli,  infatti,  ricorre  ai  bisogni dell'uomo  nel  rintracciar l’origine  delle  lettere;  e  quindi reputa  necessario  investigarne  la  natura  psicologica studiando  le  facoltà  stesse  dell'  uomo.'  Che  poi  avesse meditato  e  inteso  le  altre  dottrine  del  filosofo,  lo  mostra il  modo,  per  dire  un  esempio,  con  che  egli  discorre  \ ea  l'origine  e  su  la  natura  della  parola;  la  quale,  traducendo quasi  lo  stesso  linguaggio  dinVico,  dice  essere ingenita  in  noi  e  contemporanea  dia  formazione  dei sensi  estemi  e  delle  potente  mentali.  Seguace  del  nostro filosofo  anche  si  palesa  quand'  accenna  fuggevolmente a  certe  idee  (per  esempio  a  quelle  del  diritto  e  del dovere)  le  quali,  manifestandosi  dapprima  idoleggiate con  simboli  ed  immagini,  si  snodano  poscia  e  parlan quasi  da    stesse  nella  nuda  verità  di  ragione.  Seguace altresì  quando  tocca  delle  origini  del  consorzio  sociale e  dell'imperio  civile:  del  che  poi  egli  stesso  ci  assi- cura dove,  accennando  a' poeti  filosofi,  dice  che  delie verità  sui  principii  di  tutte  le  nazioni  vedute  dal  VicOy egli  s' è  studiato  dimostrare  e  applicare  le  conseguenze alla  storia  dei  nostri  tempi}  Dottrine  del  Vico,  finalmen- te, applica  nel  discorso  su  le  De^cazioni  nella  Chioma  ' di  Berenice,  secondo  che  confessa  da    medesimo. Ma  alla  Scienza  Nuova  volge  tosto  gli  occhi  con  ben altro  acume  di  critica  il  napoletano  Cataldo  lannelli; la  qual  critica,  come  vedremo,  esagerandosi  nel  Roma- gnosi,  finisce  per  esser  perdutamente  scettica  nel  Fer- rari. Di  tutte  le  opere  o  studi  fatti  su  la  Scienza  Nuova quella che  più  d'ogn' altra  merita  d'esser  letta  e  me-  ! ditata  è  appunto  l' opera  del  modesto  impiegato  della •  Vedi  Ditearto  dell’origine  e  deW  ufficio  detta  LettercUura^  nel  volume deUe  Lesioni   Queste  osservazioni  hann'  anch'  elle  un  aspetto  di verità  ;  ma  se  ROMAGNOSI avesse  meditato  la  Sdevusa Nuova  con  più  amore  e  men  disprezzo  e  meno  boria  a  lui, del  resto,  tanto  naturale,  avrebbe  visto  che  Vico  altro non  intese  dire,  come  vedremo,  se  non  quello  precisa- mente eh'  egli  stesso  ha  detto  qui  assai  male  e  senz'  al- cun  metodo  filosofico.  E  perchè  poi  reputa  impossibile  la similarità  de' circoli  storici?  Perchè  intese  anch' egli, in  modo  volgare,  come  parecchi  altri,  il  valore  di  cosi fatta  legge.  Ei  non  poteva  persuadersi  come  nella  sto- ria ci  sia  ritorni  e  ripetizione  di  forma  (meccanismo); ma  non  s'avvide  che  se  pel  Vico  nella  storia  ci  è  ri- petizioni, cotesto  ripetizioni  non  sono  possibili  senza veraci  innovazioni  (dinamismo). Io  non  so  capacitarmi  come  l' ingegno  potentissimo di ROMAGNOSI non  penetrasse  nell'  intimo  della  Scienza Nuova.  Non  so  capacitarmi  com'ei  facesse  una  critica Certo  U  Romafirnosi  non  TÌde  che  se  Vico  prevenne  Roasseau  e tutti  qnei  giasnataralisti  dell’epoca, i  quali    volentieri  ciarlavano sa  lo  ttato  di  natura,  li  prevenne  correggendoli,  cioè  legittimando  ra- zionalmente cotesto  stato  natarale,  col  porre  in  opera  ben  altri  prin- eipii  di  psicologia  e  di  storia  cho  non  eran  quelli  de' saddetti  filosofi. debole  e  scucita  cosi  che  gira  sempre  attorno  senza mai  coglier  la  sostanza  delle  dottrine  di Vico.  U  che senza  dubbio  terrà  alla  forma  della  sua  filosofia,  della quale  il  Rosmini  pose  in  evidenza  i  molti  e  sostanziali  i difetti,  e,  nonostante  le  calde  e  lunghe  difese  del  Nova, i  giudizi  del  Roveretano  restano  pur  oggi  intatti  e  verL Romagnosi,  in  ima  parola,  non  poteva  pregiar  la Scienza  Nuovii,  perchè  le  sue  dottrine  putiscon  di  meccanismo. Artificiale  e  meccanica  è  in  lui  la  dottrina  sul governo  dello  stato,  ch'ei  paragona  al  cervello  dell'ani- male. Artificiale  e  meccanica  la  dottrina  dei  Tesmo- fori  in  politica  e  in  religione  ;  le  quali  per  lui  sono bensì  strumenti  benefici  al  popolo,  ma  nelle  mani  dello stato.  E  dottrina  presso  che  meccanica  quella  de'  suoi Fattori  dell'  incivilimento.  Perfino  la  terminologia eh'  egli  adopera  ne  palesa  l' indole  della  mente  e  delle idee:  storia  naturale  dei  popoli,  fisiologia  degli  stati, funzioni  meccaniche  e  dinamiche  della  società,  dina- mica e  meccanica  morale,  e  simiU.  Come  passaggio  della  critica  empirica  e  negativa del  Romagnosi  alla  critica  scettica  di FERRARI,  si  pre- senta la  traduzione  e  l' anaUsi  che  della  Sdenjsa  Nuova die  alla  Francia  6  alla  eulta  Europa  l' illustre  Michelet. Agli  occhi  degl'Italiani  questo  scrittore  ha  due grandi  meriti:  d' aver  fatto  conoscere  il  nostro  filosofo isin  dal  1827  fuori  d'Italia,  e,  che  più  monta,  d'averlo fatto  capire  nella  sua  verità  mercè  quell'  arte  facile, disinvolta  e  con  quel  fare  schietto  e  rapido  con  cui,  tra- ducendola, seppe  imprimere  alla  Scienga  Nuova  forma netta  e  fedele.  Se  non  che,  per  quanto  Michelet  non sia  crìtico  interprete  (né  egli  vi  pretende)  ma  critico espositore,  non  pertanto  i  suoi  giudizi  son  tutti  co- *  Si  yegga  la  definizione  che  ne    nello  Leggi  dtlV ineivUimento,  FERRARI  ha  rilevato  con  molta  esattezza  la  differenza  tra  Vico e ROMAGNOSI  nel  lihro  La  menu  di  Romagnoti.  E  noE  a  torto  poi  il chiarissimo  FERRI pone  Romagnosi  come  primo  ponHvi^ta In  Italia.    Ved.  RÌ9t.  de  la  PhU.  lud.,  scienziosi  e  pressoché  tutti  pieni  di  verità.  Eccone  un saggio.  Ci  ha  due  Scienze  Nuove,  egli  dice;  ma  se  le Scienze  Nuove  son  due,  la  prima  d' esse  è  insieme  I r  ultima  parola  dell' autore  ;  ultima  quant' alla  sostanza delle  idee.  Un'altra  osservazione  è  questa:  carattere e  intento  supremo  di  codesta  Scienza  Nuova  è  quello d'essere  una  filosofia,  e  nel  medesimo  tempo  una  storia dell'umanità.  E  un'altra  riflessione  che  merita  sia ricordata,  è  la  seguente:  il  concetto  d'una  perfezione stazionaria  accennata  dal  Vico  nella  Scienza  Nuova  e riprodottasi  poscia  in  tanti  libri,  non  riappare  altrimenti nella  seconda  Scienza  Nuova.  Mi  giova  notare  con  ispe- dalità  quest'  ultimo  pensiero  del  Michelet,  per  correg- ger la  sentenza  di  tutti  quegl'  interpreti  i  quali  per d  lungo  tempo  ci  han  detto  e  ridetto  che  dei  corsi  e ricorsi  entro  cui  Vico  chiuse  V  umanità  (per  dir  la parola  consacrata),  ei  non  abbia  parlato  fuorché  nella seconda  Scienza  Nuova.  Non  ne  ha  parlato  mai,  in  nessun libro,  in  veruna  pagina  de'  suoi  libri  I  La  staziona- rietà (sia  detto  unU  buona  volta  per  tutte)  non  è  con- cetto vichiano.  Io  noi  trovo  esplicito,    implicito  in lui  ;  e  non  iscaturisce  in  verun  modo  dall'  insieme  delle sue  dottrine.  Il  concetto  del  corso  e  ricorso  storico, adunque,  alla  maniera  volgare  ch'é  inteso  da' più,  è concetto  che  assolutamente  ripugna  al  pensiero  e  alle scritture  del  nostro  filosofo. Ma  non  tutti  i  giudizi  del  Michelet  ci  paiono  ugualmente giusti.  Ei  non  giugno  a  spiegar  convenevol- mente, per  esempio,  il  concetto  storico  del  nostro  filo- 1 sofo  su  la  forma  del  governo  monarchico;  tanto  meno que'due  principii  accennati  piii  d'una  volta  nella  iScien^^a Nuova  e  nel  DvrìUo  Universale  su  la  necessità  in  che può  ritrovarsi  un  popolo  di  consentire  a  lasciarsi  gover- nare ov'  ei  non  sappia  governarsi,  e  su  l' affidar  l' im- pero del  mondo  alla  solerte  prudenza  dei  migUorì.  Il  Michelet seppe  delle  opere  del  Duni,  ma  forse  non  potè leggerle:  così  parrebbe  almeno  dal  modo  con  che  lo SrnuAiii.  ff cita  fiiggevolmente  solo  una  volta.  Se  quindi  avesse  cono- l  scinto  DUNI,  avrebbe  dato  al  Jus  Gentium  del  Vico  il suo  proprio  valore.  E  s'inganna  poi  quand' aflFerma,  che il  Libro  Metafisico  sia  la  sola  scrittura,  le  cui  dottrine non  fossero  state  trasportate  nella  Scienza  Nuova,  del che  lo  riprende  giustamente  il  Predari.  Ma  il  Miche- let ci  compensa  di  cotesti  erronei  giudizi  laddove  con acume  non  ordinario  confessa  di  riconoscere  nel  Vico  U metafisico  sottile  ,e  profondo.  E  poi  ci    prova  sicura d'animo  spassionato  e  libero  da  ogni  boria  nazionale, quando,  egli  francese,  francamente  dichiara  essere  Vico  r  antagonista  per  eccdlenaa  del  CartesianismOy l'avversario  più  illuminato  e  più  eloquente  dello  spirito del  secolo  XVIII.'  Anche  quest'osservazione  è d'ogni  parte  vera  e  luminosa;  perocché  se  carattere  di quel  secolo,  come  giustamente  si  crede,  fu  la  negazione assoluta,  la  negazione  in  tutto  e  di  tutti,  distintivo,  al contrario,  delle  dottrine  del  Vico  si  fu  quello  di  tutto restaurare,  e  tutto  affermare  mercè  l'opera  del  me- todo isterico.*  E  poiché  siamo  a  parlare  de'  Francesi,  occorre  far menzione  degli  altri  che  in  quel  paese,  nell'epoca  di che  trattiamo,  non  reputarono  tempo  perso  volger  la mente  al  nostro  filosofo.  E  primo  fira  tutti  il  Lerminier, *  Vedi  Prtncipet  de  la  PhU.  de  VHiat,  traduite  de  la  Scietua  Nuova de  J.  B.  Vieoy  BruxeUes  La  ridazione  fatta  dal  Michelet  détte  occasioce  iu  Italia  ad  una critica  del  Kicci    pubblicata  nell’Antologia  del  Vieusseax  RICCI mostra  come  lo  storico  francese  altro  non  desse alla  Francia  che  ì  frantumi  della  Scienza  Nuova,  e  per  cinque  diversi capi  ne  rileva  la  incompiutezza.  Oltre  a  questo  pregio,  negli  articoli  del Btcci  re  n'  è  un  altro;  l’aver  posto  in  chiaro,  meglio  forse  che  non  facess^i il  Dani,  il  significato  della  parola  Autorità^  che  ne*  libri  del  nostro  filo- sofo non  è  di  lieve  momento,  e  mostra  che  talora  egli  assume  questa parola  nel  senso  del  Gius   Komano  come  sorgiva  de*  diritti  pubblici  e privati;  talora  com*effotto  del  consenso  d’una nazione  in  un  dato  prin- cipio; tal*  altra  come  potestà,  come  potere  ch*ò  negazione  di  ragione  e di  coscienza  speculativa.  Notiamo  altresì  come  il  Ricci  è  quegli,  fra*  cri- tici, che  più  insiste  su  l*  ufficio  del  Seneualiemo  nelle  idee  storiche  delj Vico.  Ved.  Art.  I,  pag.  85. come  quegli  che  nelle  due  principali  sue  scritture  ne discorre  sempre  con  entusiasmo,  con  amore  e  grande  ve- nerazione. Ben  s' appone  a  designar  la  Sciema  Nuova come  il  monumento  sublime  e  hieearro^  in  cui  è  viva  la impronta  delle  fofrme  e  dei  colori  dd  medio  evo,  e  che fa  del  Vico  centro dette  antiche  tradizioni,  e  insieme  precursore  déUa  Scienza Nuova:   talché  non  a  torto  fino  dal  1829  lo  considerò come  il  vero  predecessore  de'  Wolf,  de'  Niebuhr,  e  degli Hegeliani.  Se  non  che  non  sempre  questo  dotto  e  simpa- tico scrittore    nel  vero,  come  quando  lo  dichiara  padre dell' JEfcfewswto  moderno,^  o  come  laddove  osserva  che nella  storia  del  mondo  egli  trasportasse  quella  di  Roma. Lerminier  non  vide  che  di  questa  seconda  istoria  ei  gio- V06SÌ  a  meglio  intender  la  natura  della  prima,  alle  storie tutte  e  perfino  alla  storia  universale  trasferendo  gli  ele- menti essenziali,  originari,  universali  costituenti  la  na- tura umana.  Assai  meglio  avrebbe  detto  d'aver  egli  tras- ferito la  psicologia  nella  storia,  anzi  che  la  storia  di questo  0  quel  popolo  alla  storia  di  altri,  ovvero  a  quella di  tutt'i  popoli  in  universale.  Né,  d'altra  parte,  il  Vico intese  applicare  una  legge  alla  storia  in  generale;  er- rore, come  vedremo,  dei  Teologisti  e  degli  Hegeliani: intese  bensì  applicarla  ai  popoli  considerati  nelle  indi- viduali lor  tradizioni  e  civiltà.  Tanto  meno  poi  é  lecito creder  eh'  egli  ponesse  identità  fra'  tempi  eroici  primi- tivi e'  '1  medio  evo:  bensì  è  vero  eh' e'  vi  discemesse  un moto  perenne  di  ripetizione  essenzialmente  progressiva. Altrove  il  Lerminier,  parlando  del  Machiavelli,  os- serva come  r  autore*  della  Scienza  Nuova  correggesse lo  spirito  storico  del  Segretario  fiorentino,  mercé  una pciitica  ideale  e  platonica.  '  Questa  sentenza  in  parte è  vera;  e  dico  in  parte,  poiché  si  può  chiedere  se co'  suoi  principii  applicabili  alla  politica,  il  Vico  abbia •  Vedi  Introd.  gin.  à  VHitioire  du  Droit,  cap.  Xm. *0p.  cit.  pag.  167. •  Vedi  JKrt.  de  la  Phtl,  du  Droit,  Tom.  U,  pag.  102. corretto,  o  non  piuttosto  compiuto  ciò  che  nel  Machia- velli è  solamente  arte  politica.  Tutt'  insieme  dunque  può dirsi,  che  se  la  critica  del  Lerminier  non  è  molto  acuta né  molto  sicura  in  alcuni  giudizi,  ella  riesce  nondimeno a  cogliere  con  lucidezza  tutta  francese  la  natura  e  '1 fine  della  mente  e  deUe  opere  del  nostro  filosofo.'  Su'  giudizi  del  Lerminier  riguardanti  le  idee  giurìdiche e  politiche  di  Vico  torneremo  in  altra  occasio- ne. Qui  giova  notare  come  in  Francia,  quasi  nel  mede- simo tempo  in  che  gli  scrittori  di  cui  abbiamo  accennato facevan  conoscere  il  nostro  filosofo,  altri  presero  a  par- lame  come  il  Gousin,  Teodoro  Jouffroy,  il  Ballanche. Tutti  ripeton  le  usate  lodi,  e  qualche  giudizio  del  Gou- sin, al  solito,  a  volerlo  sottilmente  esaminare,  non  riesce molto  esatto.  Quando  vuol fard  credere,  per  esempio, che Vico,  benché  combattesse  Gartesio  ne  seguiva nuUameno  la  filosofia  generale^*  ognuno  capisce  com'ei  si studi  attaccare  al  gran  carro  del  cartesianismo  perfino il  Vico;  quasi  che,  anco  a  detta  del  francese  Michelet, non  ne  fosse  stato  anzi  V  avversario  piii  terribile. E  va  lungi  dal  vero  quand'  osserva,  che  tutto  ciò  che è  nel  Bossuet  e  in Vico  trovasi  in  Herder;  quasi  che si  possa  ignorare  che  Fautore  della  Metacritìca  contro il  Kant  non  fosse  altro  che  un  buon  sensista,  il  quale '  perciò  non  dubitava  credere  che  dall'  organismo  pul- lulasse ogni  nostro  pensiero  e  facoltà:^  nella  quale sentenza  ci  conferma  il  suo  traduttore  francese  il  Qui- net.  U  Gousin  poi  dice  il  vero  laddove  pone  l'Herder '  come  compimento  del  Vico  quant'  al  concetto  della  na- tura e  della  efficacia  che  la  natura  dispiega  sulla  storia. Ma  avrebbe  dovuto  avvertire  che  s'egli  è  compimento  *  Eccone,  per  esempio,  una  prora  nella  seguente  arguta  osserraxione:   w/tico  più  che  scettico,  con  la  sua  critica  egli  comin- cia a  riprender  V  andamento   pacato  e  sereno   dello .  lannelli.  Il  Cattaneo  è  come  Y  anello  fra  FERRARI e TOMMASEO. Noi   non  possiamo,  egli  dice,  studiare con  profitto  lo  spirito  umano  in  sé,  nella  sua  essen- za, bensì  nelle  sue  elaborazioni  storiche,  e  nelle  situa- zioni più  numerose  e  diverse  che  si  possa.  Però  bisogna studiare  il  poliedro  ideologico  nel  fluissimo  numero di  sue  faccey  e  da  questo  terreno  tutto  storico  e  speri- metitàle  dovrà  sorgere  la  vera  cognizione  dell'uomo;  la quale  indarno  si  cerca  nei  nascondigli  della  coscienza. Lo  studio  dell'  individuo  nella  società, l’ideologia  sodale: ecco  una  sentenza  piena  di  verità  per  cui  CATTANEO si  chiarisce  assennato  seguace  di Vico.  E  che egli  abbia  inteso  il  pensiero  del  filosofo  napoletano  lo pruova  l'altra  osservazione  su  le  successive  trasforma- zioni storiche  del  diritto,  per  cui  nella  Scienza  Nuova a  troviamo  fusa  la  dottrina  d^l'  interessi  come  cam- peggia nel  Machiavello  con  la  dottrina  della  ragione i  esposta  da  Grozio,    togliendo  eoa  la  contraddizione che   divideva  la  storia  dalla  filosofia.'  »  Che  se  anche il  Cattaneo  s'  addolora  al  pensiero  dei  Circoli  fatali che  Vico  ebbe  in  comune,  secondo  lui,  col  Machia- mipremi  principii  d'umanità,  PuDOR  e  Libbrtas,  che  sono  il  cardine  della  ' Scienza  Nuova,  e  per  cui  anch*  il  servo,  anch’il  bimane  un  bel  giorno diventa  uomo,  personalità  ?  é'*  Cade  col  Machiavelli  nd  »iHema  delU  dué fati,  V  ima  harharay  V  altra  eivtU,  No,  introduce  nn  nuovo  sistems  nelle due  differenti  fasi,  Tuna  tpantanea  e  raltrart^faMo;  e  questo  non  è  circolo fatale,  identico,  ma  progressivo.  Dice  poi  che  il  Vico  eroit  que  la vdonU  peut  eorrompre  Vceuvre  de  la  roMon.  Qui  evidentemente FERRARI non  ha  saputo,    poteva  col  suo  scetticismo,  intender* e  comporre  in  organismo  i  principii  psicologici  del  suo  maestro. *  Firbàri,  Vieo  et  VltaUe.  Paris  CiTTRinBO,  nel  Politeonieo. Vedi  Periodico  oit  velli  e  col  Campanella,  una  consonanza  mirabile  però  sa trovare  fra  i  più  recenti  sistemi  umanitari  e  quello  del Vico,  agli  occhi  del  quale  la  Provvidenza,  con  V  occa- sione degV  interessi  delle  inique  passioni,  trae  la  giustizia effettuandola  gradatamente  nel  mondo  delle  nazioni. Laonde  osserva  come  prima  di  Fichte,  segnatamente prima  di  Schelling,  a  lui  fosse  dato  riguardar  la  ragione  ' qual  facoltà  che  occasionalmente  si  sveglia  nell'uman genere.' •CONTINUA  IL  PERIODO  DE' CRITICI  E  DEGLI  ERUDITI. Co'  suoi  Studi  Critici  V  illustre TOMMASEO segna  il passaggio  al  terzo  periodo,  e  quindi  ad  una  terza  classe di  scrittori  che  si  sono  occupati  di  Vico.  Critico  e  filosofo, infatti,  egli  stabilisce  V  anello  fra  i  puri  critici  e  gì'  in- terpreti filosofi  negli  studi  riguardanti  il  nostro  autore: Imitazione  e  riproduzione,  come  negli  scrittori  del  primo periodo,  non  era  possibile  nell'ingegno  versatile,  dut- tile, acuto  ed  elegante  del  Tommaseo;  e  tanto  meno possibile  in  lui  una  critica  scettica  alla  maniera  del Ferrari.  Piena  la  mente  e  l'anima  di  fede  e  di  pro- fondo sentire,  questo  scrittore  è  anche  filosofo,  e  vi pretende.  Egli  ha  scritto  libri  di  filosofia;  ha  inter- pretato, e  non  di  rado  con  sottigliezza  scolastica  ha difeso  il  princìpio  speculativo  del  Rosmini,  e  propu- gnatolo con  ardore  giovanile.  Nessuno  dunque  può  ne- gare a  quest'ingegno  artistico  e  severo  buona  dose di  virtù  speculativa. Sarà  filosofo  scologizzante,  sarà filosofo  più  che  rosminiano,  ma  è  filosofo,  oltre  che critico  de'  più  sottili:  è  filosofo  e  critico,  e,  senza  con- Nel  PoUteenico  trasto,  quant'  a  proprietà  di  linguaggio  occupa  oggi  1 primo  seggio  fra  i  viventi  scrittori  del  nostro  paese. Nessuno  meglio  di  lui  poteva  farsi  a  rilevar  le  bellezze nella  parte  letteraria  ed  estetica  delle  idee  del  no- stro filosofo.  E,  facile  a  spigolare  ne'  campi  altrui,  anche in  questo  egli  è  andato  scegliendo  fior  da  fiore,  e ne  presenta  cotal  mazzo  che  lascia  scorgere  l'arte  di  chi n'  ha  fatto  la  scelta.  Chi,  prima  di  lui,  avea  saputo  ritrar r  indole,  per  esempio,  di  certe  composizioni  poetiche  del Vico,  additar  la  possente  originalità  nello  stile,  la  selvaggia lobustezza  della  parola,  la  forma  singolare  dell' ingegno,  e  segnatamente  l' animo  e  tutto  il  carattere morale  dell'uomo?  Una  delle  più  notevoli  pagine  della prosa  italiana,  egli  osserva,  è  la  nobile  immagine  di donna  egregia  lodata  dal  Vico  :  ed  è  verissimo;  e  vere  ed argute  non  meno  ci  paion  quelle  considerazioni  su  la storia  del  Caraffa,  nella  quale  spesso  questi  è  dipinto non  qncd  era  ma  guai  doveva  essere,  per  meritare  le  lodi di VICO.  La  dignità  del  lodatore  si  vendica  per  tal  modo della  indegnità  del  lodato j  e  la  lode  diventa  condaivna.^ Ma  il  Tommaseo,  ho  detto,  è  anche  ingegno  speculativo, e  spesso  è  felice  nell'intravedere  il  vero  di  certe  idee filosofiche  del  Vico.  Ecco  un'acuta  riflessione:  Fólibio  e gli  antichi  deducono  osscì-va^ioni  generali  da*  fottio  U  MACHIAVELLI trae  consiglif  Vico  determina  leggi.  Ma  le  SUE LEGGI  NON  PANNO  FORZA  ALLA  PRATICA,  anzi  egli dice  cìie  l'uomo  dee  nelle  teorie  r attenersi  come  cavallo aìiimosoy  per  poi  nelle  pratiche  cose  correr  di  maggior lena}  Altra  bella  osservazione  è  quando  nota  come  da Platone  egli  traesse  non  l'idea,    la  ispirazione  della sua  storia  ideale.  Il  che  mi  piace  avvertire  col  Tommaseo contro  chi  pretende  rimontare  sino  al  filosofo  ateniese a  ripescarvi  un  antecedente  alla  Scienza  Nuova!  Veris- simo altresì  che  le  due  Scienze  Nuove  paiono  entrambe due  grandi  edifici  secondo  la  medesima  idea  architettati: Tommaseo,  Studi  Critici.  Venezia, questo  avverta  chi  ha  creduto  vedere  nella  seconda di  esse  non  so  che  stravaganze,  follie  o  puerilità.  Con salde  ragioni  poi  contro  parecchi  critici  del  Vico  egli dimostra  come  nelle  opere  di  lui  si  manifesti  potente, vera,  chiara  l'idea  del  progresso;  perchè  se  aUe  cose umane  vide  un  corso  e  ricorso  in  orbita  fissa,  non  disse che  V  orbita  non  si  potesse  più  e  più  sempre  cól  volger de' tempi  allargare^  E  non  meno  della  critica  che riguarda  per  diretto  il  Vico,  preziose  paionmi  anche quelle  undici  appendici  indirizzate  ad  illuminare  il  testo dove  il  filosofo  napoletano  sorge  principal  figura:  dico le  appendici  sopra  STELLINI, Grozio,  ROMAGNOSI,  FOSCOLO, sul  gius  sacro  e  sul  gius  romano,  su  le  origini sociali,  su  gli  Sciti,  Illirici,  Slavi,  sul  Niebuhr  ed  altri. Il  Tommaseo  vuol  esser  rammentato  ed  encomiato eziandio  per  un  altro  lavoro  speciale  sul  Diritto  Univer- 1 sale,^  È  un  esame  critico,  al  solito,  assai  condensato e  sparso  di  riflessioni  ingegnose,  d'opportuni  e  fedeli riscontri  e  di  felici  divinazioni  nel  penetrare  le  idee  del filosofo.  Ma  è  pur  d'uopo  confessare  che  se  come  cri- tico nessuno  può  entrargli  innanzi  per  sobrietà  e  giu- stezza di  giudizi,  come  filosofo  non  tutti  sapranno  accet- tarne ogni  sentenza.  Molte  interpretazioni  e  parecchie confutazioni  eh'  ei  move  al  Vico  noi  non  potremmo  acco- gUere:  quella  per  esempio  dove,  accennando  alla  luce metafisica  del  nostro  filosofo,  si  studia  vederci  non  pili che  Tessere  ideale  di SERBATI,'  e  T  altra  onde  presume che  dal  concetto  della  Trinità  egli  traesse  l' ordinamento delle  facoltà  umane,  e  nel  medesimo  concetto  scorgesse radicarsi  la  metafisica,  la  morale  e  fin  la  giurispruden- • fe  anche  di TOMMASEO quesV  altra  bellissima osseryazionc  :  Dalle  proprie  averUure  Vico  dedusse  H  mondo  invecchiato  : ma  ^gìi  medesimo  ci  vieta  di   crederlOf  egli  che  pronunziò:  mundus  enim jaTenescit  adhuc;  interpretazione  luminosa  deUa  sua /rantesa  dottrina  delh* legje  de  ricorsi,  e  risposta  sufficiente  a    lo  accusa  di  negare  al  genere umano  ogni  forza  (T  avatuamenfo.  Dizionario  Estetico»   ^kudi  Filosofici,   Venezia  mdoooxl, . l«  Stwli  OrUici, ] za.  Sbaglio  grave,  dice,  Taver  negato  la  trasmigrazione I  delle  civiltà  da  popolo  in  popolo  innalzandovi  mura di  bronzo.  Errore  gravissimo  poi  da  restame  scandalizzati, più  che  uno,  mille  Tommasèi,  gli  par  la  sen- tenza, che  dopo  il  diluvio  gli  uomini  si  disumanas- sero 1  *  E  qui  r  illustre  critico  si  fa  forte  delle  censure   di LAMI,  di ROMANO e  di FINETTI  e  di  tutti  gli  opposi- tori del  primo  periodo,  co' quali  dopo  un  secolo  e  mezzo par  ch'ei  si  trovi  in  pieno  accordo. TOMMASEO  non  po- teva penetrare  nelle  dottrine  speculative  di VICO,  e  da quéste  trarre,  più  che  dai  due  o  tre  passi  d'autori  lettini o  dagli  urli  dell'uomo  bestiale  assordante  l'aria  e  le selve,  nuove  dottrine  e  vere  su  le  origini  dell'  umanità, non  discordanti  oggi  co' risultati  delle  scienze  naturali. Come  si  vede,  con  una  critica  sempre  acuta  nelle sue  osservazioni  tuttoché  non  sempre  vera  ne' suoi  giu- dizi, il  Tommaseo  è  stato  il  primo  fra  noi  ad  espri- merci '1  bisogno  d' interpretare  in  maniera  filosofica  le dottrine  del  nostro  filosofo  ;  ma  non  vi  giugne,    il poteva,  perchè  non  gliel  permettevan    le  esigenze della  fede  tanto  salda  e  vigorosa  nell'  animo  suo,    la filosofia  schiettamente  Kosminiana  nella  quale  è  uso  at- tingere i  principii  filosofici  e  i  criteri  metodici.  Usciamo ora  un'altra  volta  dal  nostro  paese,  e  vediamo  se  nel giro  degli  anni  di  che  parUamo  gli  studi,  i  giudizi  e  la stima  circa  il  nostro  filosofo  sian  venuti  sempreppiù progredendo  anche  presso  altra  letteratura  come  presso di  noi. L'illustre  Renouvier  avrebbe  stimato  manchevole la  sua  storia  della  filosofia  moderna  ove  anch'  egli  non avesse  accennato  all'autore  della  Scienza  Nuova. Vico,  egli  dice  ripetendo  un'aflFermazionedel  Michelet, ToMMAsio,  Studi  Filotojiciy  Studi  Gritici,  Due  o  tre  pa$9Ì  d*  autori  latini  e  H  troppo  reU^oto  rispetto  di  tutu torta  tradizioni  in  tali  togni  tmarrirono  tale  ingegno. del  CDUsin,  del  Lerminier,  dello  JoufiFroy  e  d'altri  fran- cesi, ha  fatto  alla  scienza  una  rivelazione  nuova  creando la  filosofia  della  storia;  talché  dopo  la  morte  de' due martki  suoi  compatrioti  Bruno  e  Campanella,  ei  ci  si presenta  davvero  qual  rivelatore  d'un  mondo  nuovo.* Un'  altra  osservazione,  di  cui  è  bene  prender  nota,  è quella  dov'  egli  afferma  che,  quant'  a  Cartesio,  il  Vico ebbe  pieno  diritto  a  biasimarne  l'incompiutezza  del metodo,  egli  che,  considerando  come  scienze  la  poesia, la  storia  e  la  filologia,  potè  gettar -le  basi  d'un metodo  novello  supremamente  sperimentale,  storico  e comprensivo.  Ma  quali  sono  propriamente  i  principii filosofici  del  Vico?  Ha  egli  una  serie  di  principii  meta- fisici? Renouvier  non  risponde  a  questa  domanda,  e  si tiene  contento  nell'  affermare  solamente  eh'  egli  ama/va la  metafisica  di  Descartes. Sarebbe  questo  il  luogo  di  rammentare  il  Bouchez;  * ma,  fra  tutt'  i  francesi,  questi  è  l' unico  scrittore  che del  Nostro  abbia  parlato  in  guisa  assai  meschina,  tanto che  a  veder  come  lo  cita  e  come  n'  espone  le  idee,  farebbe sospettare  di  non  averlo  letto,  o  che  ne  abbia solamente  discorso  per  sentita  dire.«£  noi  non  avremmo tirato  fuori  il  nome  di  questo  debolissimo  filosofo  della storia  e  tenutone  conto,  se  nel  suo  libro  non  si  vedesse confermata  certa  notizia  della  quale  giova  prender  nota. Citando  un  vecchio  periodico  di  Francia,  Bouchez  dice come  le  opere  di  Vico  fossero  quivi  note  già  sino  dai primi  lustri  del  secolo  passato.  I  francesi  dunque  molto probabilmente  non  ignoravano  il  primo  libro  del  Diritto  \ Universale  e,  che  più  monta,  neanche  il  secondo  nel  ' quale  è  racchiusa,  com'  è  noto,  la  sostanza  della  Scienza Ifuova.  La  qual  cosa  abbiam  voluto  qui  avvertire  col fine  di  rinfiancare  vie  piii  la  sentenza  d'alcuni  critici su  l'origine  delle  molte  affinità  fra  alcune  idee  del  Vico, *  RBiroinriBB,Jfaraii««Z  de PhUot.  moderne  ;  Paris  et  Uipsig  BouoHBZ,  Inltrod.  è  la  Scietkce  de  VHiet,  ec.  Paris, e  quelle  di  certi  filosofi  e  storici  francesi  anteriori  alla rivoluzione,  massime  del  Tm^ot  e  di  Condorcet. Nel  tempo  di  cui  parliamo  novella  traduzione comparve  in  Francia  per  opera  dell'  autrice  anonima  del Saggio  sulla  formaeUme  dd  damma  eaftólico.  E  anche qui  e'  è  progresso;  perchè  se  la  traduzione  det Michelet, come  si  disse,  è  una  riduzione  non  molto  fedele  e  man- cante di  critica,  la  traduzione  di  che  discorriamo,  oltre d'esser  propriamente  traduzione,  è  poi  fornita  d'un lungo  lavoro  su  le  opere  e  su  le  dottrine  del  Vico,  pre- gevole soprattutto  per  V  analisi  cui  è  sottoposto  il  pen- siero del  nostro  filosofo.* L' autore  di  questa  prefazione s' accorge  subito  ov'è  il  nodo  delle  dottrine  e  del  metodo vichiano.  Cotesto  nodo,  evidentemente,  è  nella  distin- zione e  insieme  nella  relazione  tra  il  vero  e  il  certo,  tra la  ragioìie  e  Vautoritcu^  E  innanzi  tutto  osserva  come  la parola  autorità  pel  Vico  voglia  dir  volontà,  coscienza, 1  voce  interiore,  sorgente  di  quel  conoscere  ond' all'uomo non  riesce  additar  le  ragioni  scientifiche  e  universali. Brevemente;  la  coscienza  è  autorità  anzi  la  piìi  grave delle  autorità.  La  ragione  poi  è  facoltà  che  giugno  a dimostrar  la  cosa  scientificamente,  e  quindi  produce  il vero.  E  poiché  tutto  ciò  che  1'  uomo  dimostra  è  fatto da  lui  e  però  ha  natura  finita,  ne  segue  che  il  vero debb'  essere  inferiore  al  certo.  V  è  pertanto  differenza  tra il  vero  metafisico  e  '1  vero  matematico:  questo  è  nostra fattura,  e  quindi  è  vero;  quello,  in  vece,  non  ci  appar- tiene come  nostro  effetto,  e  in  conseguenza  riguardo  a noi  è  solamente  un  certo.  Ora  siccome  conoscere  vuol dire  scomporre  ed  astrarre  per  cavarne  gli  elementi; così  di  Dio  non  potremo  aver  nozione  vera,  ma  certa, stantechè  non  ne  sia  dato  scomporre  ciò  eh'  è  essenzialmente uno,    ritrovar  cause  di  ciò  che  è  causa  per  sé. È  necessario  adunque  un  modo  nuovo  di  conoscere  Dio;   La  lunga  ed  elaborata  prefazione  a  coi  alludiamo  si  vaole  scrìtta da  un  celebre  storico  firancese, A.  M., amico  della  traduttrice. La  Seience  NouveUe,  trad.  etc.,  Paris,  e  però  necessaria  una  nuova  facoltà.  Questa  facoltà  è  ap- punto il  volere,  che  si  rivela  col  mezzo  della  coscienza. La  nozione  di  Dio  quindi  è  un  fatto  di  coscienza  e  di  au- torità, perchè  autorità  e  coscienza  tornano  il  medesimo. Ho  voluto  accennar  brevemente  queste  osservazioni non  solo  a  mostrare  che  la  prefazione  di  cui  parliamo non  è  da  annoverarsi  fra  le  solite  ampolle  messe  in  fronte alle  traduzioni  delle  opere  di  grandi  autori,  ma  a  far Tederò  altresì  come  in  essa  racchiudansi  interpretazioni davvero  ingegnose.  Il  traduttore  poi  avverte  la  confusione fatta  da  VICO  tra  Zenone  lo  stoico  al  quale  è attribuita  la  dottrina  del  punto  metafisico,  e  quel  Zenone  a VELIA che  riguarda  i  corpi  siccome  aggregati d'infinito  numero  d^ atomi  o  di  punti.  Nota  essere  esclurivo  di VICO  quel  concetto  per  cui  si  considera  il  corpo siccome  |?wn^o  metaifisico  esteso.  Osserva  (e  qui  prego  gli altri  critici  H  tener  conto  di  tale  osservazione)  che  il Vico  non  volle    poteva  respinger  l' idea  del  progresso, attesoché  avrebbe  contraddetto  alla  propria  metafisica: le$  cercle4  doni  il  entoure l’hutnanité  doit  nécessairement marcher  en  avant.^  La  qual  sentenza,  che  cioè  nel  padre della  scienza  storica  rifulga  chiarissima,  chi  sappia  di- scemerla,  l'idea  del  progresso,  è  sostenuta  in  modo splendido  da  un  altro  francese  vivente,  dal  De  Ferron come  appresso  vedremo. Fra  le  idee  originali  di Vico  il  traduttore  pone anche  questa:  V  uniformità  originaria  di  civiltà  appo differenti  popoli  più  come  eftetto  della  comune  natura  e dell'  unità  di  fine  che  ne  presiede  allo  svolgimento,  anzi che  come  resultato  di  comunicazioni  dirette  avvenute fira  popoli  diversi.'  Riferisce  al  Vico  la  scoperta  de'  tipi fantastici  di  differenti  classi  d'uomini  contro  chi  non vi  sapeva  scorgere  altro  fiiorchè  personificazione  di  forze naturali.  À  lui  medesimo  riferisce  l' aver  dimostrato  storicamente il  processo  delle  tre  forme  politiche  generali, [ La  Science  Nouvdle  OVli. aristocrazia,  democrazia,  monarchia  ;  V  aver  avuto  co- scienza come    l’eloquio    la  civiltà  latina  fossero provenute  di  Grecia;  e,  anziché  divinato  (come  vorreb- bero alcuni  tedeschi),  aver  egli  dimostrato  in  gran  parte i  suoi  principii  storici,    solamente  dato  impulso  alla presente  filosofia  della  storia,  ma  avere  concorso  pro- priamente a  svolgerla,  a  costituirla:  al  qual  proposito notiamo  come  il  traduttore  giustamente  rivendichi  a Vico  il  merito  attribuito  a  Champollion,  d' aver  inter- I  pretato  e  svolto  le  conseguenze  del  celebre  passo  di  San Clemente  Alessandrino.  Fa  vedere  poi  come  in  pili  cose ei  mirasse  più  giusto  e  più  sicuro  dei  suoi  successori quant'  alla  storia  del  Diritto;  per  esempio,  su  la  tanto vitale  distinzione  fra  popolo  e  plebe,  non  veduta  da !  Livio,  e  comprovata  dopo  il  Vico  dal  Beaufort  e  da Niebuhr.  Mostra  quindi  essere  assolutamente  nuovo  il modo  con  che  V  autore  della  Scienza  Nuova  considera e  risolve  la  questione  circa  l'origine  delle  XII  Tavole; nel  che  lodiamo  la  forza  e  la  maniera  ingegnosa  ond' anch'  egli  sa  difenderne  la  verità.  Verissimo,  final- mente, quel  giudizio  su  la  dottrina  risguardante  Omero e  i  poemi  omerici,  accorgendosi  come  il  Vico  non  in- tendesse con  tal  dottrina  negare  un  Omero  personale  che 'impresse  forma  esteriore  ai  suddetti  poemi,  ma  negare bensì,  nel  che  egli  ebbe  ed  ha  ragione,  un  Omero  che fosse  creatore  de'  medesimi,  come  vedremo  a  suo  luogo. Tali  sono  i  pregi  di  quest'assennato  lavoro  critico che  va  innanzi  alla  seconda  traduzione  della  Scienza Nuova.  Ma  non  vi  mancano  difetti;  e  ne  cito  qualche esempio.  Come  non  iscorger  l' attinenza  fra  il  vero  e il  certo  di VICO?  Come  non  veder  che  1'  autorità  altro non  è  che  la  stessa  ragione  considerata  quale  obbietto che  propone    a    medesima,  essendo  due  termini  co- testi che,  come  altrove  diremo,  van  soggetti  anch'essi alla  legge  di  conversione?  Se  questo  avesse  inteso  il traduttore,  non  avrebbe  affermato  che  dell'  assoluto  non si  possa  aver  nozione,  ma  sentimento.  Nella  Ragione  e jìeW Autorità  del  Vico  egli  forse  ha  voluto  scorgere  qual- cosa della  Ragion  pura  e  della  Ragion  pratica  del  Kant,  ' G  certo  non  s' è  intieramente  ingannato.  Ma  non  s' incanna egli  quando  si  piace  di  scendere  a  conclusioni  cosi immediate  col  Criticismo?  Che  poi  tanto  in  metafisica quanto  in  geometria  il  punto  sìsl principio  d^ estensione; che  però  la  matematica,  sia  come  dire,  copia  materiale atta  a  farci  conoscere  il  tipo  immateriale  eh' è  appunto  la  r»i  avverato  dopo  la  pubUicaiione  di  tale  storia,  aTcndo  questo scrittore  poeto  il  gran  princìpio  per  cui  la  storia  è  aommesea  {dVim- pero  di  leggi  univeraali.  Ma  non  è  questa  per l’ appunto  la  grande  sco- perta della  Scienza  Nuova  almeno  quant*al  suo  principio?  E  tutte  le leggi  su  la  costanza  de*  fatti  sociali  trovate  da  Buckle  e  più  dal  Que- tulut,  non  sono  forse  altrettante  applicazioni  sociali  di  quel  princìpio? Ma  prima  di  procedere  innanzi  giova  rispondere  ad mia  difficoltà  non  diffìcile,  a  nascer  nella  mente  di  qualche pedante.  Si  domanderà:  perchè  insieme  co' puri  cri- tici ed  eruditi  in  questo  secondo  periodo  avete  messo  filo- sofi di  gran  nome?  La  risposta  è  facile  e  chiara:  primo, perchè  tale  è  l'ordine  cronologico  di  cotesti  filosofi; secondo,  perchè  costoro  han  parlato  o  accennato  alle dottrine  del  Vico,  adoperando  una  critica  più  presto erudita  e  storica  che  filosofica.  Qui  non  potevamo disporre  e  coordinare  gli  autori  in  ragione  delle  opere scritte  e  per  gli  studi  eh'  essi  han  coltivato  e  per  la forma  del  loro  ingegno,  bensì  pel  valore  della  critica ch'essi  hanno  esercitato  su  le  dottrine  del  nostro  filo- sofo. Nessuno  ha  dato  segno  d'elevarsi  ai  veri  prin- dpii  di  queste  dottrine,  non  perchè  non  sapessero,  ma sia  perchè  alcuni  di  essi  non  ebbero  tal  fine  parlando dinVico,  sia  perchè  non  han  creduto  ad  una  filosofia  ' di  quest'autore.  Nondimeno  a  contar  dai  primi  fino agli  ultimi  scrittori  appartenenti  a  questo  secondo  pe- riodo, dallo  Jannelli,  per  esempio,  al  secondo  traduttore francese  della  Sdenta  Nuova,  è  evidente  un  progresso mercè  cui  la  critica  sul  nostro  filosofo,  da  erudita  e  sto-  \ rica  e  filologica,  viene  assumendo  gradatamente  valore sempre  più  filosofico;  di  modo  che  T ordine  logico,  in questo  nostro  saggio  di  storia  sulla  Scienza  Nuova, risponde  perfettamente  all'  ordine  cronologico. La  critica  nel  senso  d' interpretazione  filosofica  sarà quind'  innanzi  il  carattere  per  cui  si  distingueranno  gli autori  a' quali  verremo  accennando  nel  seguente  capitolo. periodo  degl'  interpreti  filosofi. Il  terzo  periodo  degli  studi  sul  filosofo  napoletano, se  è  vero  che  ha  da  risolversi  logicamente,  come  s'è detto,  in  una  critica  filosofica,  doveva  esser  dischiuso propriamente  da'  filosofi  come  quelli  i  quali,  più  che  fer- marsi alle  applicazioni,  costumano  anzi  risalire  ai  prin- cipii  e  alle  ragioni  di  esse.  Or  le  ragioni  e  i  principi! (  della  Scienza  Nuova  giacciono  sparsi,  quasi  germi  fe- condi, nelle  opere  latine  del  nostro  filosofo  ;  e  a  queste vediamo  accennare  più  spesso,  e  ad  esse  volgersi  più che  ad  altro  la  mente  degli  scrittori  che  noi  verremo adunando  ed  esaminando  in  questo  terzo  periodo. Primo  di  tutti,  infatti,  al  Libro  Metafisico  ricorre r  illustre ROVERE;  e,  trovatovi  il  criterio  del vero  e  del  fatto  che  è  come  il  nodo  vitale  di  tutte  le teoriche  vichiane,  nel  Binnovamento  dell'  antica  filosofia I  italiana  viene  applicandolo  a  quella  dottrina  ch'ei  disse della  hvtuijsione.  Sennonché,  un  criterio  qual  è  questo di  valore  essenzialmente  universale,  come  vedremo,  un criterio  che  nelle  più  elevate  questioni  di  metafisica assume  qualità  e  forma  di  principio;  nelle  mani  del  filosofo pesarese  invece  piglia  natura  e  proporzioni,  per cosi  dire,  di  norma  psicologica,  o  ideologica  che  sia: né  quindi  ebbe  torto  il  Rosmini  se  in  cosiffatto  innesto operato  dal  Mamiani  vide  annidarsi  difetti  non  pochi, né  lievi  magagne,  confessate  oggi  tacitamente  e  nobilmente dall'  autore  delle  Confessioni  d’un  metafisico. Vedremo  a  suo  luogo  se  quando  Vico  propose  quel criterio,  non  intendesse    punto    poco  uscir  da'  termini della  Intuizione,  come  allora  pensavasi  '1  Ma- miani.* Il  quale,  ove  oggi  tornasse  a  parlarne,  certo ne  discorrerebbe  in  ben  altri  sensi  e  co' riguardi  di  buon platonico,  più  che  di  filosofo  naturale  seguace  della filosofia  del  comun  senso,  al  modo  che  con    acceso entusiasmo  prese  a  fare  trentacinque  anni  addietro.*  Del •  Vedi  Del  Rinnovamento  della  FU.  antica  Itah,  Parijri.  1 Difatto  nelle  Con/esnoni  ROVERE designa  il filosofo napoletano  come il  vero  e  ardito  rinnovatore  della  teorica  delle idee,  ma  non  dice  come,  non  dice  perchè,  e  non  giustifica  in  alcun  luogo ed  in  vernn  modo  tale  affermazione.    Teramente  il  poterà,  stantechè rimanente  il  merito  a  cui  egli  può  e  dee  pretendere panni  questo.  Primo  d'  ogni  altro  ei  richiamò  alla mente  degl'italiani  non  pur  la  dottrina  su  l'anzidetto criterio,  ma  eziandio  alcune  teorie  cosmologiche  sparse nel  libro  De  Antiquissima  Itàlorum  sapientia.  Tale  si  è quella  de'  punti  metafisici  come  generatori  di  solidi,  in quanto  ci  significano  una  forza  unica  che  in  ciascun corpo  meditiamo  sotto  la  concezione  d'  un  punto:  tale queir  altra  su  la  continuità  che  questa  forza  infonde  a tutte  cose:  *  tale  anco  la  idea  del  conato  motore  iden- tico per  tutto:  tale  il  concetto  della  incomunicabilità del  moto  onde  ogni  particola  materiale  si  può  dir  che possieda  in  proprio  il  principio  motivo  già  ricevuto  da tutto  il  subbietto,  talché  il  moto  sia  da  ritenere  per  al tutto  spontaneo:'  tale,  finalmente,  l'idea  della  impos- sibilità del  vuoto  assoluto,  e  1'  altra  che  il  divisibile accusi  r  indivisibile,  l' indefinito  e  l' immutabile  in  seno alle  fenomeniche  e  divise  realtà.' Ognun  vede  quanto ROVERE del  Rinnovamento cogliesse  giusto  in  queste  idee  cosmologiche  di VICO. Dopo  trenta  e  piii  anni  però  egli  è  ritornato  a  parlarne, ma  troppe  cose  nella  nuova  cosmologia  scordandosi  della vecchia.  Ristringendoci  infatti,  per  ora,  al  concetto  isto- rico,  se  dell'  antico  maestro  invocato  sei  lustri  innanzi ei  pur  si  rammenta,  se  ne  rammenta  sol  per  addolorarsi anch'  egli  che  il  Vico  fosse  stato  l' autore  della  dottrina   Corsi  e  ricorsi  storici  (malaugurata  dottrina!)    sa darsi  pace  pensando  come  mai  nella  mente  di  quel sommo  tal  gravissimo  errore  fosse  potuto  capire.  Al  contrario oggi  egli  stima  d'aver  gettato  le  basi  alla  filosofia storica,  mercè  l' idea  dell'  finità  organica  del  mondo isterico.  Ma,  diciamolo  con  buona  pace   dell'illustre U  sua  teorica   neopIatoDìca  delle  idee  sia  diametralmente  opposta  a quella  che,  come  redremo,  scaturisce  dall*  insieme  delle  dottrine  richiane.  Dd  Rinnovamento^  ec  pai|^.  297. nomo,  cotesto  a  noi  sembra  ed  è  un  concetto  assolutamente  vìchiano.  Per  tre  fattori,  infatti,  dice  il  Mamiani, il  mondo  de' popoli  forma  unità  organica;  e  sono  questi: 1*  natura  comune  e  perpetua  negli  uomini;  2  È  una  relazione *  Vedi  negli  Atti  dell’Accademia  di  Torino, celesta,  tra  Kant  e  Vico,  della  quale  giova  tejier  conto;  e abbiam  voluto  farlo  citando  le  parole  del  valoroso  BERTINI. CONTI,  pensatore  profondamente  cattolico e  altrettanto  onesto  e  sincero  nelle  sue  convinzioni,  ha voluto  consacrare  intera  una  lezione  alle  dottrine  del I  nostro  filosofo  nel  suo  Specchio  della  storia  generale  della filosofia.  Chi  conosce  i  principi!  filosofici  dell'  illustre  ed elegante  scrittore  toscano  saprà  indovinar  subito  quale esposizione  egli  faccia  di VICO,  e  sospettare  in  che  senso ne  interpreti  le  dottrine.  Può  dirsi  eh'  e'  sia  il  rovescio degli  hegeliani;  perchè  si  studia  di  tirar  tutto  dalla sua  parte  l' A.  della  Scienza  Nuova,  segnalandolo  naturalmente com'  uno  de'  tanti  anelli  della  sua  filosofia  perenne. Io  non  istarò  qui  a  negare  ne  che  il  Vico  sia cattolico,    che  la  critica  del  prof,  pisano  sia  fatta male.  Sarà  anzi  critica  savia  e  coerente:  ma  è  tutto Vico  della  prima  maniera  quello  eh'  ei  ci  dà,  perocché niente  vi  sappia  discemere  che  non  si  ritrovi  più  o men  palesemente  in  Agostino,  in AQUINO,  in  AOSTA, e  simili.  Però  in VICO nulla  ci  é  di  nuovo,  nel  senso del  filosofo  samminiatese,  salvo  che  il  concetto  d'una filosofia  civile.    potrebb'  esser  diversamente,  ammessa la  maniera  con  che  suol  procedere  in  tale  esposizione  cri- tica appoggiandosi  per  lo  pili  in  certe  aflFermazioni  gene- rali e  duttilissime  del  nostro  filosofo,  qual  è,  per  esempio, questa:  Dio,  com'è  U  principio  ddV essere,  così  è  anche del  conoscere.  Quante  mai  conseguenze  non  si  potreb- bero far  rampollare  da  cosifiatto  principio  !  Un  giobertiano,  per  esempio,  vi  mostrerebbe  com'  ei  si  sgomitoli tutto  nelle  note  formolo  e  cicli  creativi  e  concrea- tivi assoluti  e  relativi  di  cui  al  solito  egli  ha  piena  la bocca;  dovechè  un  hegeliano  non  mancherebbe  darvi pruova  di  tal  destrezza,  da  sciorinarvi  sotto  gli  occhi a  fil  di  logica  tutta  la  rete  delle  sue  leggi  dialettiche. In VICO  c'è  parecchie  di  cpsi  fatte  sentenze;    a CONTI poteva  riuscir  difficile  tirarle  alla  sua  filosofia comprensiva.  Ma  egli  dice  benissimo  dove  osserva  che  i prìncipii  del  Vico,  anzi  che  condurre  al  panteismo,  lo combattono;  e  in  ciò  noi  conyeniamo  pienamente.  Or non  sarebbe  stato  mestieri  dimostrar  come  non  vi  con- dncano  e  conte  lo  possan  combattere?  Consentiamo altresì  col  dotto  scrittore  in  tutte  quelle  saggio  rifles- sioni eh' e' sa  fare  su  l'indole  comprensiva  e  storica del  metodo  vichiano.  Ma  non  sapremmo  concedergli che  la  dottrina  dei  corsi  e  ricorsi  apparisca  solo  nella seconda  Scienza Nuova.  È  quistione  di  fatto  eh'  ei  potrà risolvere  col  ridar  un'  occhiata  al  sommario  della 1*  Scienza  Nuova.  Farà  male  anche  a  lui  cotesta  dibat- tuta e  combattuta  dottrina;  ed  è  forse  per  questo  ch'egli procaccia  di  trovar  modo  a  scusarne  l'autore:  ma,  più che  scusarlo,  avrebbe  dovuto  e  potuto  difenderlo.  Crede anch' egli  poi,  erroneamente,  come FERRARI,  che  VICO s'ispirasse  alla  teorica  delle  monadi  di  Leibnitz; ma  contro  il  Ferrari  mostra,  e  fa  benissimo,  quanto  il Vico  fosse  lungi  dal  confonder  la  causalità  con  l' identità  ideale.  Finalmente  osserviamo  che  i  principii  ond'  il Vico  resiste  al  Cartesianismo  e  che  il  Conti  riduce  a  tre, sono  da  lui  debitamente  interpretati,  meno  T  ultimo poco  fa  menzionato;  che  Dio,  cioè,  essendo  principio dell'  essere,  è  anche  principio  del  conoscere.  Accettando questa  sentenza  accetta  anco  l' altra  tanto  familiare  al Vico,  per  cui  la  metafisica,  la  matematica  e  l'etica  siano da  Dio. Anche  cotesta  è  afi'ermazione  generale,  onde nnlla  può  concluderai  finché  non  si  giùnga  a  mostrare come  precisamente  accada  che  quelle  scienze  rampol- lino da  Dio.  Per  ciò  medesimo  accoglie  e  ripete  quel- r  altro  pensiero  che  il  sommo  della  certezza  risegga nella  metafisica;  contraddicendo  cosi  a  ciò  eh'  egli  stesso ana  pagina  innanzi  aveva  accettato  da Vico:  la  certezza somma  potersi  l'aggiugnere  unicamente  con  le matematiche.  Bisogna  pur  confessare  che  con  la  sua critica  il  Conti  ha  lasciato  il  Vico  dove  appunto  l' avean A.  CoNTf,  Storia  della  Filotofich  Firenze    condotto,  per  esempio,  il  Duni,  Tlannelli,  il  Tommaseo, r Amari,  il  Rosmini  e  tutti  gl'interpreti  filosofi  cattolici. E  noi  non  sapremmo  fargliene  carico:  con  la  sua maniera  di  filosofare  non  poteva  far  diversamente. Anche  l'illustre  Franchi,  scettico  ingegnoso,  one- stissimo, sincero,  e  critico  furibondo,  pare  talora  siasi data  la  pena  di  leggere  qualche  libro  del  Vico;  e  ne  parla I  in  due  luoghi  neUe  sue  Letture  sulla  storia  della  filosofia moderna.  È  noto  come  il  Vico  più  volte  accenni  a  Bacone, nella  Scienza  Nuova,  nel  Libro  Metafisico,  nel- ^  r  Orojsiotie  sugli  studi,  e  fin  nelle  sue  Vindicue  contro gli  Atti  degli  eruditi  di  Lipsia.  Lo  rammenta  sempre con  parole  amorose  e  riverenti,  annoverandolo,  com'è noto,  fra'  suoi  maestri.  Il  valoroso  Ausonio  reputa  esagerati cotesti  elogi,  massime,  die'  egli,  quando  si  pensi a  GALILEI.  Non  possiamo  qui  intrattenerci  sul  valore speculativo  di  Bacone:  il  divario  e  le  somiglianze  fra  lui e  il  nostro  GALILEI accennammo  altrove.*  Ma  gli  elogi  del Vico  al  filosofo  che  primo  ebbe  coscienza  della  teoria sperimentale  (dico  della  teoria)  non  dovrebbero  parere esagerati  a  nessuno:  Franchi  anzi  avrebbe  dovuto chiamarsene  contento,  se  avesse  badato  all'indirizzo  sto- rico e  però  sperimentale  cui  è  tutta  volta  la  Scienza Nuova.    qui  giova  gran  fatto  invocar  l'autorità  di Cartesio,  dicendo  ch'ei  fece  appena  menzione  di  Bacone; del  Newton  che  noi  nominò  mai;  del  Locke  che lo  citò  solo  una  volta,  non  come  filosofo,  bensì  come storico. Questa  anzi  è  una  ragione  di  più  per  apprez- zare gli  elogi  che  ne  fa  VICO.  Qual  è  il  motivo  princi- pale onde  r  autore  della  Scienza  Nuova  encomia  tanto spesso  r  autore  del  Nuovo  Organo?  Questo,  parmi;  l'esigenza in  Bacone  a  dimostrar  con  esperimenti  la  verità già  concepita,  e  quasi  preveduta  col  pensiero.*  La  ragione dunque  ond'  al  Vico  piaceva  Bacone,  ci  mostra com'  egli  sapesse  intendere  e  pregiare  la  mente  del  filo- [Vedi  la  nostra  memorìa  su  GALILEI.  Bologna.  Vico,  Vindìeke^  nve  NoUb  in  Ada  erudiUìrvm  lAptitnna] sofo  inglese.  E  dico  intendere  e  pregiare,  perciocché -egli  non  iscorgeva  nel  Nìmvo  Organo  quel  rachitico sperimentalismo  che  ci  san  vedere  i  positivisti,  e  per  cui solamente  e  con  tanto  calore  costoro  invocano  a  maestro il  conte  di  Sant'Alban.  Di  che  proviene  poi  un'altra  ri- flessione ;  ed  è  che  dalla  citazione  di  VICO  testé  riferita è  manifesto,  come  gli  sperimenti  non  sieno  la  sorgiva, bensì  la  riproduzione,  la  conferma  di  ciò  che  in  qualche  ' maniera  si  è  innanzi  concepito  ;  e  per  cui  i  diritti  dello spiritò  restano  salvi  di  fronte  a  qualsiasi  forma  d'empirismo. D'altra  parte,  poiché  senza  sperimenti  ciò  che  s'è speculato  riesce  al  tutto  sterile  e  vuoto,  ne  segue  che  non senza  buone  ragioni  nella  Scienza  Nuova  il  metodo  di iilosofare  del  Nuovo  Organo  è  detto  essere  il  metodo più  accertato.  Avea  dunque  torto  il  Vico  nel  profondere •encomii  al  Gran  Cancelliere?  Esagerazione  é  il  dire, nell'  Autobiografia,  essere  stata  grande  fortuna  per  lui aver  avuto  notizia  del  libro  del  Signor  di  Verolamio? Ma  e'  é  di  pili.  Il  Franchi  reputa  Bacone  padre  di  quella storia  che  l' autore  del  nuovo  Organo  disse  letteraria,  e senza  cui  la  storia  del  mondo  pare  vagli  come  la  statua* di  PoUfemo  priva  dell'  occhio.  Or  come  va  che  l' acutis- simo critico  non  s' è  accorto  esser  la  Scienza  Nuova  pre- cisamente cotest'  occhio  dato  dal  Vico  al  Polifemo  di Bacone?  E  non  é  ella  cotesta  un'altra  relazione  fra' due filosofi?  E  non  è  in  questa  relazione  appunto  il  motivo degli  encomii  esagerati?  FRANCHI parla  di VICO anche  a  proposito  del  Cogito  di  Cartesio.  È  noto  come l' autore  della  Scieìiea  Nuova,  ragionando  di  questo  cri- terio, facesse  menzione  altresì  del  detto  di  Sosia:  quum cogito,  equidem  certe  idem  sum  qui  semper  fui.  Ne  parla €ome  fatto  inconcusso  inverso  a  cui  le  lance  dello  Scet- ticismo, per  acutissime  che  paiano,  rimangono  spuntate appunto  perchè  il  dubbio,  essendo  anche  pensiero  e quindi  importando  identità  personale,  racchiude  certezza. Il  Franchi  domanda  (e  nel  domandare,    segno di  stupire  in  che  maniei'a  la  penna  d'un  Vico  abbia potuto  scrivere  tali  enormezzel):  che  cosa  mai  ci  ha che  vedere  il  motto  volgare  di  Plauto  col  principio filosofico  di  Cartesio?  Ma,  buonissimo  e  valoroso  Au- sonio, trattasi  per  T  appunto  di  questo  I  La  posizione Cartesiana  è  ella  davvero  un  principio,  o  no?  È  egli un  vero,  o  non  piuttosto  un  certo? Tra  i  filosofi  vi  è  anche  MAZZARELLA, che  in  quest'  nltim'  anni  ha  parlato  di Vico  nella  sua  Storia della  Critica,  e  ne  ha  considerato  l'ingegno  critico  in relazione  alla  critica  anteriore  e  posteriore  all'autore della  Scienza  Nuova.  Con  la  solita  chiarezza  e  sempli- cità e  dirittura  di  pensiero  egli  ha  saputo  mostrar  che cosa  rappresenti  il  filosofo  di  Napoli  nella  Storia  della Critica  :  !•  il  disprezzo  della  critica  meramente  erudita: 2 zioni  poco  fa  rammentato,  niun  altro  fra  noi  ha  parlato  del  Diritto   Univermle tranne  roi:rregio   prof.  Luchini  nella  sua  Critica  della  penalità^ condotta  secondo  i  principii  del  filosofo  napoletano.  Egli  ha  messo  a  riscontro ia  dottrina  del  Nostro  con  le  teoriche  di  Kant,  del  Bentham,  di ROMAGNOSI, di ROSSI  e  della  Scuola  toscana,  e  se  ne  dichiara  seguace. Vedremo  nella  «Socto^ofTtd  s'egli  siasi  apposto  nello  mterpretar  la  teorica della  penalità  dell*  autore  del  Diritto  Univtrtale, anteriori.  Di  fatto,  porre  a  fondamento  della  società  un doppio  bisogno  materiale  e  morale,  eh' è  dire  l'istinto  al bene  essenzialmente  morale  e  all'utile  tolto  nel  significato di  equo-buono;  dimostrar  Funo  anteriore  logicamente all’altro  e  questo  mostrar  co'  fatti  anteriore  a  quello per  sola  ragion  cronologica;  trame  quindi  il  principio giuridico  ed  etico  d' una  doppia  società  (soci^as  veri  e sodetas  (squi-boni)  ;  far  consistere  la  natura  d'entrambe in  uno  scambio  di  beni  materiali  e  morali  fra  gì'  indi- vidui; porre  il  concetto  di  giustizia  come  proporzione onde  questi  beni  vonn' esser  distribuiti,  ri  che  quan- d' anco  non  esistesse  un  bene  di  genere  morale  ma  solo  beni  materiali  ci  avrebbe  a  essere  ciò  nullamanco  una misura  secondo  la  quale  siffatti  beni  devano  andar  ripartiti, e  quindi  la  necessità  del  medesimo  concetto  di giustizia  anche  nelle  attinenze  puramente  materiali  fra gli  uomini:  presentare  siffattamente  la  scienza  del  diritto, dice  il  Franck,  vuol  dire  creare  addirittiu*a  la  filo-  ' sofia  delie  relimoni  civili  e  sociali,  la  benintesa  Sociologia. Due  sono  perciò  le  regole  fondamentali  dell'umana condotta  che  scaturiscono  da'principii  di VICO:  operare di  buona  fede  rispettando  la  verità  in  tutto,  ed esser  utile  ai  propri  simili. ("onvien  confessare,  diciamolo di  passata,  che  ove  il  Franck  avesse  tenuto conto  principalmente  di  questi  criterii,  non  avrebbe speso  molte  parole  a  biasimare  il  Vico  a  proposito  del- l'esagerato  concetto  che  questi  ebbe  intorno  alla  carità, la  quale  talora,  com'è  noto,  egli  confonde  con  la  giustizia. Altro  pregio  insigne  di  questo  scrittore  è  l'aver  sa- puto cogliere  i  veri  principii  del  Diritto  punitivo  del  ' nostro  filosofo,  mostrando  com'  egli,  col  tener  d' occhio nella  sua  dottrina  non  pure  il  colpevole  ma  anche  i diritti  e  gì'  interessi  della  società,  compia  nel  medesimo tempo  le  due  opposte  teoriche  penali;  quella,  cioè,  dei sistematici  platoneggianti  che  nel  comminar  la  pena mirano  soltanto  all'  ammenda  del  colpevole,  e  l' altra degli  ntilitarii  e  positivisti  che  della  parte  morale  non  ^ sanno  tener  conto,  ne  punto,  ne  poco.  Ma  sopra  tale argomento  ci  rifaremo  altrove  di  proposito.  Seguitando intanto,  parmi  che  il  pregio  massimo  della  crìtica  di questo  scrittore  stia  nel  modo  col  quale  considera  i  principiì  delia  politica;  prìncipii  che,  quantunque  nello stato  di  germe,  possiamo  rintracciare  nel  Diritto  Um- versale.  La  politica  del  Vico,  egli  osserva  giustamente, è  tutta  fondata  sul  Diritto,  ma  in  armonia  con  la  storia. Sentenza  verissima  e  feconda,  che  Franck  avrebbe dovuto  rifletter  meglio  dove  censura  il  Nostro  per  alcune applicazioni  eh'  ei  venne  facendo  alla  storia.  Laddove il  Vico,  egli  dice,  s' accinge  ad  applicare  il  metodo allo  studio  del  Diritto,  urta  evidentemente  ad  un doppio  scoglio  ;  da  una  parte,  quand'  egli  chiede  soccorso alla  sola  ragione,  risica  di  confondere  e  spesso confonde  il  dominio  della  giurisprudenza  con  quello della  metafisica;  dall'altra  poi,  quando  chiede  aiuto alla  storia,  altro  non  fa  che  aggirarsi  in  mezzo  alle istituzioni  e  ai  destini  del  popolo  romano,  quasiché  la storia  di  questo  popolo  fosse  la  storia  universale.  In altre  parole  il  Franck  dice  così:  VICO da  una  parte , svapora  nell'a  priorismo  e    nelle  astrazioni;  mentre poi  dall'  altra  intoppa  nell'  empirismo. Il  Franck  dice  benissimo.  Nel  filosofo  napoletano questa  doppia  tendenza  è  manifesta.  Ma  anziché  difetto cotesto,  perché  non  dirlo  pregio?  Non  é  egli  stesso,  in- fatti, che  non  rifinisce  d'incelare  il  metodo  vichiano appunto  perché  consiste  nel  connubio  della  filosofia  con la  filologia,  della  metafisica  con  la  giurisprudenza,  della ragione  con  l'autorità?  Or  l'esigenza  d'un  doppio  organo, d' un  doppio  strumento  nel  metodo,  non  é  la  condizione legittima,  e  propriamente  la  parte  vitale  d' una dottrina,  doveché  gli  errori  d' appUcazione  hanno  valore Affatto  secondario?  Il  non  aver  poi  riflettuto  a  questo ha  fatto    che  il  Franck  giugnesse  ad  una  conseguenza non  vera,  dicendo  che  il  Montesquieu,  quant'al  metodo, vinca  e  superi  il  filosofo  italiano.  Paragoni,  somiglianze, analogie,   riscontri   fra  questi  due  scrittori  non  sono possibili.  Montesquieu  non  ebbe  neanche  sentore  àeV  n metodo  vichiano;  ed  ecco  perchè  l'opera  su  lo  Spirito ddle  leggi  non  è  una  filosofia  della  storia,  non  è  la  Scienza Nuova,    quindi  credo  che  lo  scrittore  francese  siasi ispirato    punto    poco  neir  italiano,  come  inchine- rebbero a  supporre  Lerminier,  Carraignani,  Amari ed  altri.  Il  senso  delle  storicità,  come  primo  fra  tutti osserva FERRARI,  manca  affatto  nel  Montesquieu;  e manca  in  lui,  come  tutti  oggimai  ritengono,  il  compi- mento razionale  filosofico;  vi  mancano  insomma  i  principii,  0,  per  dir  la  parola  che  usano  gli  stessi  Francesi a  tal  proposito,  vi  manca  il  carattere  détta  raziofialità. ^j L' ultimo  libro  nel  quale  si  parli  cou  serietà  scien- tifica del  nostro  filosofo,  è  quello  di Ferron,  ingegnoso e  abilissimo  filosofo.  Nessun  francese  meglio    1 lui  ha  saputo  cogliere  il  significato  razionale  della  Scienza  I Nuova,  comprenderne  il  metodo  isterico,  e  pome  l'autora in  quel  seggio  che  gli  spetta  fra  i  pensatori  dell'  evo moderno.   Tracciata  la  storia  dell'idea  del  progresso,^' egli  entra  a  discorrer  su  la  scienza  de'  fatti  storici qual'  era  concepita  prima  di  VICO,  sul  DIRITTO ROMANO rispetto  alle  dottrine  di  lui,  su  la  Scienza  Nuova  di fronte  alla  critica  moderna,  e  con  erudizione  eletta, acconcia,  sobria  e  non  affollata,  prende  a  trattare  la '  Il  Canuignani  dice  benissimo  dove  affernia  che  il  metodo  del  Mon-  ) tesqaien  rassomiglia  al  microscopio,  in  mentre  che  quello  del  Vico  rende imagine  del  telescopio.  (Storia  della  FU,  del  Diritto)  Che  poi  il difetto  di  razionalità  costituisca  la  parte  debole  deiropora  del  filosofa francese,  è  cosa  ormai  detta  e  ridetta  e  provata  fino  dal  secolo  passato, e  confermata  sempreppifi  dai  moderni.  Non  potendo  trattenerci  in  questi particolari,  rimandiamo  i  lettori  al  giudizio  che  in  proposito  danno  i seguenti  scrittori,  e  che  torna  conforme  al  nostro  espresso  poco  fa:  Duxi, Saggio  mila    Giuritpr.   univ.,  FlLAKOlRRI,  Se.  della  Legialaz.^ lotrod.  MaCKINTOSH,  Vige,  nur  Vétude  du  Droit  de la nature,  ec.    RoTTBSKAg,   Emil,  Fra  i  moderni   poi  cons.   Lebminirr,   Biat,^ ginér,    Barkt,   Hiwf.  dea  idéen  morale»  et  politiquea  en France —  Jakrt,  Hiat.  ec.  yol.  II,  pag.  516.    DaFAO,^; De  la  méth.  d*olaervation  aux  aciencea   mor.  et  poi.,. Qneit*  ultimo  anzi  dice  mancare  affatto  nel  Montesquìon  una  teorica. quistione  su  Tetà  dell'oro,  e  l'altra  su  T orìgine  e  sul valore  de'  poemi omerici.  Il  buon  senso  di Ferron nel  saper  rilevare  in  siffatte  quistioni  il  merito  del  no- stro filosofo  a  me  sembra  davvero  mirabile.  Con  dirit- tura di  giudicio  intende  la  relazione  fra  il  diritto  civile e  '1  diritto  filosofico  ;  e  con  tal  chiave  nelle  mani  riesce ad  interpretar  debitamente  la  storia  ideale  che  l' autore della  Scienza  Nuova  seppe  cogliere  nello  svolgimento  del gius  romano.  Uno  per  lui  è  il  sistema  del  Vico;  onde  le due  Scienze  Nuove  non  sono  da  riguardarsi  altrimenti che  come  detix  rédadions  éCun  ménte  sujet:  al  che  do- vrebbe por  mente  il  nostro  Cantoni.  Ritiene  egli  pure che  lo  Champollion  non  discoprisse,  bensì  confermasse pienamente  la  dottrina  del  Vico  su  la  storia  della  scrit- tura, tale  essendo  infatti  la  triplice  scrittura  egiziana geroglifica,  jeratica  e  demotica.  Dimostra  ch'egli  prima d'ogn' altri  ritrovò  e  compose  in  armonia  parecchie dottrine  accettate  oggi  e  rassodate  difinitivamente  dalla scienza,  quali  sono,  per  citarne  qualcuna,  la  formazione del  dramma  satirico  riguardato  come  sorgente  d'ogni poesia  drammatica,  l'anteriorità  del  linguaggio  poetico al  linguaggio  prosaico,  e  simili.  Da  ultimo  fa  rilevare come,  non  contento  d' avere  scoperto  la  legge  secondo cui  si  vanno  svolgendo  nel  corso  isterico  le  grandi  ci- viltà nonché  le  forme  semplici  del  reggimento  politico, profondasse  la  mente  nel  ricercare  e  determinare  il carattere  d' un'  epoca  anteriore  alla  città  ed  alle  ari- stocrazie feudali,  epoca  che  costituisce  appunto  l'età divina.  La  quale  osservazione,  fatta  da  un  francese, dovrebbero  oggimai  spassionatamente  meditare  i  posi- tivisti francesi  che  non  rifiniscon  di  celebrare  la  sco- pei'ta  della  legge  sociologica  del  loro  maestro! Ma  nel  De  Ferron  incontriamo  riflessioni  che  non ci  è  venuto  fatto  ritrovare  in  verun  critico.  Base  della città,  die'  egli,  fondamento  del  formarsi  delle  nazioni per  r  A.  della  Scienza  Nuova  non  è  Y  istinto  della  so- ciabilità, come  credevano  i  giusnatnralisti  suoi  contemporanei.  Se  tale  istinto  può  aver  creato  la  iaiiiiglia  e le  tribiì,  non  però  basta  a  fondar  la  città ,  non  riesce a  condurre  un  popolo  ad  una  data  costituzione  poli- tica. È  necessaria  dunque  una  l'orza  estrinseca,  senza cui  r  uomo  rimarrebbesi  nello  stato  pastorale.  Ora  co- tal  forza  estrinseca  e  tutta  naturale  consiste  nel  fatto del  successivo  migrare  delle  tribù  da  alcuni  centri;  nel loro  successivo  aggrupparsi  in  dati  luoghi;  nel  fissare lor  sedi,  ond'  è  resa  possibile  l'agricùltura;  e  finalmente) nel  fatto  delle  conquiste,  le  quali  hanno  virtù  di  creare e  rendere  sempre  più  stabili  e  quasi  organiche  le  nazioni sedentarie.  Tutto  questo,  dice  benissimo  il  De  Fer- ron,  scaturisce  a  fil  di  logica  dalle  dottrine  del  Vico. Diciamolo  ora  con  parole  nostre:  l’organismo  sociale, la  società, è  da  natura;  è  nella  natura:  l'organisiifo  dello Stato,  in  vece,  è  sottoposto  a  processo  ;  questo  processo tiene  ad  arte;  ma  quest'  arte  è  fondata  aqch'ella  in  natura. La  relazione  storica,  dunque,  ecco  il  concetto  del Vico  che  il  De  Ferron  ha  interpretato  a  meraviglia.  , Altra  osservazione  assai  notevole  parmi  questa.  Non v'è  stato    v'  è,  die' egli,  chi  i;on  abbia  celebrato  il filosofo  di  Napoli  qual  padre  della  filosofia  della  sto- ria; mais  on  se  garde  d'exposer  sa  méthode  historique, aristoteliemie,  i  cui  principii  son  oggi  venuti  applicando  , in  diverse  ricerche  storiche   Macaulay,  Michelet,  Guizot.'  Con  queste  parole  il  De  Ferron  mostra  d' aver pienamente  compreso  il  metodo  della  Scienza  Nuova; metodo  essenzialmente  aristotelico,  checché  ne  abbian' detto  e  si  piaccian  dire  certi  hegeliani.  Ed  ecco  per- ché egli  s'  allontana  da  parecchi  altri  critici  nell*  ap- prezzare il  concetto  vichiano  sul  progresso;  rispetto  al quale  consente  con  Y  anonimo  traduttore  francese,  col Tommaseo,  con  lo  Spaventa  e  con  altri,  per  citare  qui '  È  uno  de'  principii  su'  quali  è  fondata  la  Sociologia  del  Comte  e ch'eglif  spesso  appella  contenBo,  cospirazione  {Coum  de  PhiU  posity  voi.  V). Sarà  anche  questa  una  scoperta  del  Positivista  francese?  Db  Ferron,  tre  nomi  che,  quantunque  discordanti  nel  resto,  con- vengono ciò  nondimanco  nel  credere  che  in Vico  esista r  idea  del  progresso.  E  a  chi  neghi  o  dubiti  che  cote- sto concetto  ritrovasi  nella  Scienza  Nuova,  il  De  Fer- ron  è  pronto  a  rispondere:  cela  parati  impassible  a PRIORI,  car  le  progrès  décovUe  de  son  sy stèrne;  mais en  otUre  U  le  prodame  formellemeYU}  Si  dirà  che  il Vico  non  vide  1'  elemento,  la  molla  principalissima  delprogresso,  cioè  la  trasformazione  dei  rapporti  econo-  spirito.  Uno  de'  suoi  pregi,  come  s' è  detto,  è  la  posi- zione del  pensiero  qual  inizio  di  scienza  indipendente da  ogni  qualunque  autorità  :  ma  di  ciò,  com'  è  noto, Cartesio  non  può  vantarsi  d' essere  stato  primo  divul- gatore e  sostenitore  nel  regno  della  scienza.' Vero  pregio,  pregio  massimo  dell'autore  delle  Me- ditazioni sta  neir  aver  considerato  come  originaria virtù  dell'anima  l'attività  stessa  del  pensiero;  aver posto  r  anima  come  il  pensiero  stesso,  e  però  come  sog- getto e  obbietto.'  Senonchè  il  pensiero  per  lui  non  era altro  che  rappresentazione,  e,  come  tale,  unione  a  dir cosi  meccanica,  incosciente,  immediata  di  due  oppositi elementi,  dell'universale  e  del  particolare,  dell'infinito  e del  finito.  Come  dunque  potev'  egli  riuscire  al  vei'o  or- ganamento del  sapere  filosofico,  posto  un  fatto  empirico, Dt$c  et  le  Cartinanimne,  Introd.  Franchi,  St.  detta  FiL  mod.,  Tol.  1, letlnrs  Jaitbt,  (Euw,  phiL  de  LeibnitZj  ToL  I.,  Introd.  —Trn- mtiiAinf,  Su  ddla  FU. La  riforma  cartesiana,  cosa  arvertita  presso  che  da  tutti  gli  storiografi, non  giunse  nuova  fra  noi,  tanto  clie  la  si  riguardi  come  rinno- ramento  filosofico,  quanto  che  come  reazione  scolastica.  ATevamo  avnto già  PETRARCA,  poi  VINCI,  la  scuola  Telesiana – TELESIO (si veda),  poi  la  scuola  Galileiana – GALILEI (si veda). (Vedi  Libri,  HUt.  de»  •eienc,  math.,  ~  PncoiiroTTi,  Sl  della Med,^  voi.  ult.)  Potremmo  dire  altresì  che  TAconzio,  come  osserva  giustamente  il  Franck  [Diet,  de»  »eiene.  phiL)  fosse  stato  in  ITALIA  il  devander  \ del  metodo  cartesiano.  Avevamo  avuto  anche BRUNO;  e  segnatamente CAMPANELLA,  le  cui  opere  non  dovettero  esser  del  tutto  ignote  a  Cartesio, come  nota  il  Bitter  {Hi»t.  de  la  phU.  mod.).  Ma  anche qui,  al  solito,  s*  inciampica  neir esagerazione  quando  si  vuol  risalire  fino a  sant'Agostino  a  ripescar  1*  antecedente  del  pronunziato  Cartesiano  !  Nò io  mi  ci  vo'  opporre,  sapendo  che  in  quel  Santo  Padre  e'  è  pur  troppo r  esigenza  cartesiana  (Vedi  per  es.:  De  Lib.  Arò.,  e  spe- cialmente De  Civii.  Dei).  Ma  il  valore  della  posizione  è tanto  diversa  ne*  due  filosofi,  quanto  diversi  i  tempi  in  ch*ei  vissero, trattandosi  ben  più  che  di  certezza  d'esistenza.  Il  Cousin  poi,  com'è noto,  va  fino  al  No»ee  te  ipeum  di  Socrate  !  Contentiamoci  di  questo,  che non  è  poeo:  un  eclettico  ne  potrebbe  far  di  peggio. •  DiBOARTBS,  Médit., Lettre»,  U  II,  U».  Obi.  répotue»,  I,  4. posta  una  dualità  empìrica?  E  in  che  maniera  spiegare nel  pensiero  l'unione  del  finito  con  l'infinito?  Ma  che davvero  l' idea  di  Dio  sia  innata  e  a  priori  nella  nostra mente  com'  egli  stesso  afferma,  *  al  modo  eh'  è  innata, non  nata,  cmmcUa  l' idea  di  noi  medesimi  (ciò  eh' è  proprio la  novità  di  Cartesio)  è  ancor  cosa  da  dimostrare. È  ella  possibile  nel  nostro  pensiero  l'idea  dell'infinito veramente  detto?  L'essere  adegua  il  conoscere,  dicono certi  interpreti  hegeliani;  e  poiché  nel  conoscere  v'è r  infinito,  il  pensiero  è  dunque  infinito  :  ecco  la  novità vera  di  Cartesio,  su  la  quale  s' imbasa  propriamente  la filosofia  moderna.    Ma  il  pensiero  è  egli  propriamente l'essere,  come  si  vorrebbe  darci  ad  intendere?  Non potrebbe  stare  che  cotesta  fosse  un'affermazione  arbitraria di  Cartesio,  fatta  legittima,  più  che  altro,  dal desiderio,  nonché  dall' artifiziosa  interpretazione  che  gli hegeliani  porgono  all'entimema  cartesiano? Diranno non  ci  essere  artifizio  di  sorta  in  questa  loro  inter- pretazione. Ma  non  è  forse  egli  stesso,  Cartesio,  il  quale a  chiare  note  ci  dice  in  che  senso  parli  d'innatismo, afiermando,  la  natura  stessa  averci  fornito  d'una  facoltà mercé  cui  produceìido  queUPidea  possiamo  conoscere Dio?*  Checché  ne  sia,  era  d'uopo  rivedere,  chiarire  e correggere  in  gran  parte  la  posizione  cartesiana  del pensiero.  Questo  quant'  al  Descartes,  come  iniziatore  del novello  indirizzo.  Quanto  poi  agli  esplicatori  del  Carte- sianismo, in  generale,  era  d' uopo  restituire  alla  scienza'' il  concetto  delle  cause  finali  invocando  segnatamente lo  studio  della  storia;  porre  l'assoluto  come  obbietto •  Descartes,  Médit.  8«.  Vedi  nella  Troinhn.  oljection9f  Z"  Rép,  :  e  nella  Rép.  à  M.  Begiut. Non  ignoro  che  nella  Meditaz.  3^  e  5"  egli  dice  apei-tamente,  Tidea di  Dio  essere  innata  in  quanto  ci  ^  imprenta  da  lui  medesimo.  E  qoi  è chiara  la  contraddizione  tra  ciò  eh*  egli  afferma  in  queste  Meditazioni, e  le  illustrazioni  ch’egli  stesso  ne    nelle  Risp.  alle  obbiezioni  poco  fa indicate.  Bisogna  dunque  levarla  di  mezzo  tale  contraddizione;  è  fuori dubbio.  Ma  perchè  pretendere  di  leTarla  con  T  identificare  Dio  e  pen- siero, facendo  contro  cosi  a  tutte  lo  esigenze  della  metafisica  cartesiana  ? anziché  come  principio  di  ricerca;  accomunare  in  un subbietto  dinamico  universale  tanto  la  costituzione  del mondo  fisico,  quanto  quella  del  mondo  morale  ;  e  quindi statuir  le  norme  d'un  metodo  non  geometrico,  non puramente  psicologico,    assolutamente  a  priori  nella, costruttura  della  Scienza  Prima. Questo  per  V  appunto  presero  a  fare  il  Leibnitz  in Germania  e,  poco  appresso,  VICO IN ITALIA.  Non  vorrei che  i  lettori  stimassero  inconcludente  il  ravvicinamento di  questi  due  nomi,  e  inutile  e  vuoto  un  riscontro  delle loro  dottrine.  Non  è  cotesto,  intendiamoci,  uno  de'  soliti riscontri  onde  rigurgitano  certi  libri  odierni  appo  cui non  di  rado  si    per  concreta,  storica,  reale  un'attinenza meramente  logica,  o  ideale  che  sia.  Il  riscontro  tra il  filosofo  di  Napoli  e  il  filosofo  di  Lipsia  è  tutto  ideale  ; ma  la  ragione  di  esso  pone  radice,  meglio  che  in  qual- che riposta  e  fatai  legge  dialettica,  in  queste  due  ragioni principalmente:  !•  nella  forma  e  natura  stessa  di  lor mente  :  2*  nelle  condizioni  della  filosofia  del  secolo  XVII. E  innanzi  tratto  ricordo  anche  qui,  non  esser  possibile dimostrare  che  il  filosofo  italiano  siasi  ispirato  nel  filosofo ) di  Lipsia  ormeggiandone  metodi  e  dottrine,  com'  altri hann' affermato.'  Nullamanco  l'affinità  fra  alcune  dot- [Vico  ha coscienza  della  propria  posizione  specalativa,  e  sciente- mente opponevasi  alP  esagerazioni  ed  errori  cui  ruppero  le  diverse  dire- zioni e  scuole  nate  dair  indirizzo  cartesiano.  £gli  conobbe  lo  opere  di  Spi- no}^, di  Locke,  di  Malebranche,  e  Tisi  oppose.  Quant'a  Spinoza,  cfr.  Op. voi. QnanV  a  Locke,  Quant'al  Malebranche,  INon  è  dunque  niente  vero  ciò  che  è  stato  affermato  da  un hegeliano  che  il  Vico,  posto  eh*  abbia  speculato,  speculasse  incoscia- mente  e  senz"  alcuna  relazione  alla  storia  della  scienza. *  In  tutte  le  suo  scritture  ne  rammenta  il  nome  appena  appena  due volte  a  proposito,  non  già  di  qualche  dottrina  filosofica,  ma  delle  controversie fra  Newton  e  Ldbuìtz.  Una  di  queste  citazioni  è  nella  seconda Sa  meth,,  ec,   Leibnitz,  Meth,  nova  ditte,  dpcend.  juritpr,,  P.  II,  §  29.  Amendne si  presentano  al  pubblico  con  questioni  di  metodo;   ricerca  degl* ingegni veramente  grandi,  anziché  da  filosofi  pedanti  e  scolastici,  come  si  crede. '  Nella  Ragion  degli  Hudi  v'  ha  i  criteri  per  lo  studio  della  ginrisprndenza. *  Vedi  quant' al  Leibnitz  Mimoire»  de  VAeadfmie  de  Berlin^  voi.  I,art.  1. '  Leibnitz,  Xouv.  Et», . il  sustrato  della  Scienza  Nuova,  si  che  vede  svolgersi cotale  idea  anche  attraverso  gli  antichi  poemi. Quant'  alla  fisica  poi,  alla  res  extensa  di  Cartesio, agli  atomi  fisici  del  Gassendi,  contrappongon  gli  (domi di  sostanza,  gli  atomi  metafisici,^  i  punti,  i  momenti  me- tafisici e  lo  sforzo  impedito  nell'essenza  stessa  dell'uni- verso.' Per  questa  medesima  ragione  entrambi  parlano linguaggio  somigliante  circa  la  natura  delle  matemati-i che.  Di  fatti  contro  Cartesiani  e  Hobbesiani  Leibnitz mostra  la  inefficacia  di  siffatte  scienze  nelle  indagini propriamente  filosofiche,  e  al  di    del  calcolo  aritmetico e  geometrico  crede  esserci  luogo  ad  un  altro  e  più rilevante  calcolo  che  tiene  all'  analisi  delle  idee;  stan- techè  nella  sostanza,  die' egli,  ci  abbia  sempre  qualcosa d' infinito.'  La  medesima  insufficienza  del  metodo  geo- metrico scorge  anche  il  Vico  in  più  luoghi  delle  sue  scrit- ture; e  lo  reputa  difficile,  anzi  impossibile  alla  mente del  metafisico.^  Col  che  essi  anticipano  alcune  idee  di Kant  in  proposito. *  Lbibnits!,  %ff.  noìit;.  etc,  Vico,  Risp.    al  GiomaU  de'  Letterati,  L*  affinità  de*dne  filosofi, come  si  vede,  è  mirabile  anche  nel  linguaggio:  punti  metaJUici,  conato («VTf^i'X^'av)  tramezzante  la  potenza  e  Tatto  (Lbibkitz,  Op.),  0,  come  direbbe  il  Vico,  la  Quiete  e  il  Moto;  per  cai  la  matte- ria, anziché  passiva,  ò  per  entrambi  una  forza  viva. Anche  i  punti  matematici  per  entrambi  non  sono  che  simboli  de*  metajitici;  e  i  punti  jieiei  per  tutt'e  due  riescono  indivisibili,  ma  solo  in  apparenza. La  ragione  poi  ond*essì  adoperano  la  parola  punto  è  la  idede- sima;  ed  è,  che  il  punto  racchiude  infinito  numero  di  relazioni.  Finalmente si  potrebbe  dir  propria  anche  del  Vico  la  nota  sentenza  del  Leibnitz: eonatue  e*t  ad  motum,  ut  punctum  ad  epatium;  e pel  Vico  vedi  nelle  Risposte  al  Oior.  de*  Lett.). In  omnibu»  èubetantiis  aliquid  eet  infiniti;  unde  fit  ut  a  nobie  per/ecte  intelligi  potint  sciite  notionee  incompUtfr,  qualee  eunt  numeromm, figurarumj  aliorumque  hujuemodi  modorum  a  rebus  animo  abstractorum. Lkibxitz,  Op.,  Vedi  neW Autobiografia,  AìtroY e  dice  che  la  matematica  è  la  più  certa di  tutte  le  scienze,  perchè  prova  per  cause  [De  Antiq,  Ital.), ma  il  metodo  di  essa  riesce  esiziale,  sterile  e  pericoloso  quando  si  voglia adoperare  nelle  altre  discipline  (Risp,  a  Gaeta),  disastroso  poi nella  fisica,  neir  educazione  degT  ingegni  (/&»',  passim),  utile  solamente neir  ordinare  anziché  nello  scoprire  (De  Antiq.,  Ital.  Entrambi  poi  riconoscono  in  Dio  le  stesse  primalità: potenza,  volontà,  intelligenza;*  e  se  nell'uno  troviamo il  principio  che  Dio  creando  non  possa  produrre  altro che  il  migliore  e  il  più  perfetto  de' mondi,  in  Vico tale  dottrina  si  lascia  argomentare,  come  vedremo,  dal- l' insieme  delle  sue  dottrine.  Quant'  alla  storia,  V  un d' essi  riconosce  un  progredire  continuo  nel  tutto,  e  la possibilità  del  regresso  nelle  parti;'  dovechè  l'altro, meglio  determinando  e  dimostrando  cotal  concetto,  pone la  dottrina  dé*c(/rsi  e  ricorsi  storici,  in  cui  sono  racchiuse le  idee  di  progresso  e  regresso,  governati  da  una medesima  legge.  Che  se  è  stato  detto  esser  d'uopo risalire,  meglio  che  al  celebre  Discorso  del  Bossuet,  alla metafisica  del  Leibnitz  per  ritrovare  un  concetto  spe- !  culativo  che  fosse  come  il  vero  antecedente  della  filosofia della  storia,  s'è  detto  giusto;  atteso  che  veramente  il filosofo  di  Lipsia,  col  sommettere  al  principio  della  ragion sufficiente  l' ordine  delle  cose  fisiche  e  morali,  dischiuse la  via  alla  dottrina  del  Determinismo  universale,  perocché tutto  per  lui  si  annodi  nel  mondo,  tutto  si  corrisponda, tutto  armonizzi.  In Vico  veggiamo  questa medesima  esigenza  ;  ma  nello  stesso  tempo  ne  troviamo la  correzione. Perciocché  se  anche  per  lui  il  passato  è gravido  del  presente,  al  modo  stesso  che  il  presente partorisce  il  futuro;  non  tutto  però  nel  mondo  delle nazioni  é  avvinto  a  leggi  fatali  e  cieche,  perché  nel regno  dello  spirito  vi  è  agli  occhi  suoi  la  ragione,  v'  è pur  la  libertà,  sicché  tutto  il  processo  isterico  per l'Autore  della  Scienza  Nuova  non  é  altro,  in  sostanza, j  che  la  soluzione  del  problema  della  libertà,  sia  che  tu  la consideri  negl'  individui,  sia  che  negli  Stati.  Dinanzi  alla mente   d'entrambi,  dunque,  risplende  chiara  la  legge della  continuità  nel  giro  de' fatti  umani  e  storici. Né  si  creda  che  l' affinità  fra  ^  i  due  filosofi  non  si  Lribnitz,  MonaU.,  Op.,  ediz.  Erd., Vico»  De  Univ.  Jur,   Idem,  Theod.,  8. *  Idoin,  eod.,  8. lasci  scorgere  altresì  nelle  contraddizioni  e  non  di  rado anche  nelle  strettoie  fra  cui  gi  resta  impigliata  la  coscienza religiosa.  Ei  cominciano  a  scrivere  innanzi  d'aver fissato,  determinato  e  organato  le  proprie  idee  ;  di  modo che,  se  l' uno  fin  quasi  ai  quarant'  anni,  fino  alla  com- parsa delle  Meditazioni,*  va  fluttuando  non  libero  da incongruenze,  l’altro  va  tentennando  fino  alla  terza  edizione  della  Scienza  Nuova.  Onde  non  è  a  meravigliare se  tutt'  e  due  si  contraddicano  quant'  al  concetto di  creazione  ;  perchè,  se  V  uno  ponendo  la  moltiplicità delle  monadi  come  primitiva  ed  esistente  per  necessità metafisica,  dice  nullamanco  esser  Dio  quegli  che  sceglie r  ottimo  fra  i  mondi,  e  immagina  delle  monadi  create par  des  fidgurcUiotis  continudles  dalla  divinità;  l'altro poi,  stabihto  il  criterio  della  conversione  in  senso  metafisico, non  dubita  parlarci  del  miracolo  della  creazione, e  dell'annullamento  del  mondo!    Quanto  aiprincipii, in  generale,  si  palesano  entrambi  eclettici  ;  ma  è  d' uopo intenderci  nell'  applicar  loro  cotesto  nome.  Sono  eclet- tici appunto  nel  significato  e  nel  valore  che  lo  stesso Leibnitz  dav'  a  tal  voce;  nel  qual  valore  ci  conferme- rebbero molte  sentenze  del  Vico.  Sono  eclettici,  io  dico, non  perchè  raccolgano  in  un  tutto  ciò  che  si  presenta come  vero  squadernato  ne'  differenti  sistemi,  eh'  è  precisamente il  fiacco  e  volgare  eclettismo  sfornito  d' ogni originalità;  ma    perchè,  aggiugnendo  anch'essi  qual- che altra  cosa  di  proprio,  riescono  a  comunicare  novello impulso  a  tutti  gli  ordini  delle  scienze. Rispetto alle  fonti  del  conoscere,  o  fondamenti  del  sapere,  alla doppia  sorgente  vichiana  del  vero  e  del  certo  risponde '  Meditationea  de  cognitionet  veritate  et  ideiti f  1684. Lribnitz,  Monad,f  Vedi  questa  sentenza  del  Leibnitz  nelle  Lettre*  à  Rémond  de  Montmort,  edlz.  Erd.,  e  ne*  Nouv,  £»».,  Hb.  I.  Nel  Vico  poi  troviamo molte  affermazioni  del  tenore  seguente:  Chi  ai  trae  fuori  da  questi  prin- eipii,  guardi  clC  ei  non  traggati  fuori  deìV  umanità,  E  eh*  egli  poi  sia eolettico  in  questo  senso,  anziché  nel  significato  voluto  dal  Cousin,  dal  ristica  e  popolare  col  suo  concetto  della  monade.  (La  FU.  di  Oiohertif ) Più  chiaro  e  più  accoucio  di  tutti  sembraci  il  modo  col  quale  il  Chalibosus pone  relazione  fra'  successori  di  Leibnitz.  Kant,  egli  osserva,  col  concetto della  cosa  in  s?,  col  noumeno,  nega  Leibnitz;  la  scuola  di  Jacobi con  r  ide&  d*  un  contenuto  razionale  accessibile  solo  al  sentimento,  s' op- pone all'idealismo  critico  di  Kant,  e  nel  medesimo  tempo  all'idealismo subiettivo  di  Fichte;  mentre  la  scuola  di  Herbart  col  realismo  delle  mo- nadi e  col  realismo  psicologico,  si  oppone  all'idealismo  obbiettivo  e  assoluto  di  Schelling  e  di  HegeL  (Willm)  Questi  due  gruppi rappresentano  un  doppio  svolgimento  del  pari  esclusivo  del  concetto  mo- Men  fortunato  del  Leibnitz  il  Vico  non  ispiegò  gran- d' efficacia  in  Italia,  nettampoco  in  Europa,  per  le  ra- gioni ormai  dette  e  ridette  da' suoi  critici  ed  espositori. Ma  anche  in  questo  gioverebbe  guardarci  dal  cadere  in esagerazioni.  Posta  la  storia  della  Scienza  Nuova  da  noi tracciata,  nessuno,  crediamo,  vorrà  più  oltre  dubitare  che l'azione  del  filosofo  italiano  fosse  stata  nulla,  così  ne' suoi contemporanei,  come  ne'  suoi  seguaci.  Legami  intimi, vincoli  speculativi  necessari,  storici,  nou  vi  sono  ;  e  quindi è  inutile  cercarvi  continuità  e  processo  veramente  detto. GENOVESI e GALLUPPI,  per  dire  un  esempio,  tutto- ché non  ignorassero,  in  ispecie  il  primo,  le  opere  di  lui, scrissero  non  pertanto  come  s' egli  non  fosse  esistito  al mondo  mai.  Verso  il  sesto  lustro  del  presente  secolo,  in quella  che  co'  seguaci  di  Hegel  comincia  a  declinare  il moto  filosofico  originale  di  Germania,  e  in  Francia  come in  Inghilterra  odonsi  i  primi  rumori  del  Positivismo, vedemmo  come  anche  fra  noi  si  cominciasse  a  sentir più  acuto  il  bisogno  al  filosofare.  E  cosi  il  Mamiani (il  Mamiani  del  Rinnovamento),  e  quasi  nel  medesimo anno  il  Rosmini,  si  provano  a  rannodar  gli  anelli  della nostra  tradizione  filosofica,  ma  con  efficacia  assai  lieve. E  dico  lieve,  perchè,  quantunque  ella  ingagliardisse  vie più  col  crescer  degU  anni  e  col  succedersi  de' nostri  filo- sofi, non  pertanto  pretendere  di  stabilire  in  essa  tradi- zione un  vero  processo  ed  una  continuità  logicamente progressiva,  a  me  sembra  vana  impresa  e,  fino  a  certo punto,  anche  infruttuosa.  Giova  ripeterlo:  a  voler  rin- tracciare alcun  filo  di  cotesta  tradizione  in  maniera  positiva, ciò  è  dire  storica,    soltanto  ideale,  io  per  me  non iscorgo  altra  via  tranne  quella  che  noi  abbiamo,  anziché percorsa,  additata;  intendo  la  via  che  dal  Vico  ci  mena ai  nostri  ultimi   filosofi,  ma  per  mezzo  de'  giusnatu- oadologico;  ma  vi  ò  certamente  un  progresso  fra  1  rappresentanti  del primo  e  qaelli  del  secondo.  Vedi  per  le  notizie  particolari  di  questo periodo  fllotollco  tedesco  il  Barohoc  dr  Ponhoem,  Hìh,  de  la  Phil.  depuU UibnitK  juMqu'à  Hegel.    BuuLE,  Hi9t.  de  la  PhU,,  voi.  Vili. ralisti,  de'sociologisti,  de'critici  e  degli  storici  attraverso i  tre  differenti  periodi  già  discorsi.  Altre  vie  ci  saranno, io  lo  so;  ma  tutte  artifiziali,  tutte  pericolose,  tutte  vuote 0  rigonfie  de'  soliti  riscontri  ideali  che  agli  occhi  dello storico  e  del  critico  positivo  valgono  fin'  a  certo  segno. Con  la  qual  cosa  non  è  a  credere  che  noi  pretendiamo dare  alla  filosofia  italiana  caratteri  e  prerogative  eh'  ella non  ha,    può  avere  di  fronte  a  quella  di  Grermania. Il  professore  Spaventa  osserva,  che  la  filosofia  italiana non  costituisce  processo,    assomiglia,  per  così  dire,  ad un  filo  che  si  sgomitoli  necessariamente  e  razionalmen- te, com'  é  quello  che  in  organismo  vivente  e  palpitante annoda  l' Idealismo  critico  con  l' Idealismo  assoluto, mercé  l'Idealismo  subbiettivo  di  Fickte  e  l'Idealismo obbiettivo  di  Schelling:  non  é,  in  somma,  unevolturìone strettamente  logica,  un  dispiegamento  serrato,  compatto, e  come  chi  dicesse  inquadrato  e  chiuso  tutto  in    medesimo com' una  severa  dimostrazione  geometrica.  Il professore  di  Napoli  dice  benissimo.  Questo  oggi  dicon tutti;  e  questo  medesimo  ripetiamo  anche  noi.  Solamente chiederemmo:  non  potrebbe  stare  che  cotesto filar  compatto  e  processuale;  che  coteste  filiamoni  se- riali, com' ha  detto  lo  Spencer  ai  Positivisti  francesi; che,  in  somma,  coteste  annodature  organiche,  conside- rate (già  s'intende)  nell'ordine  istorico,  fossero  per avventura  altrettante  immaginazioni  del  nostro  cervello, meglio  che  relazioni  di  fatto  a  cui  ci  spinga  la  ragione, meglio  che  attinen/ie  concrete  in  cui  ci  confermi  la storia?  Annodamenti,  giunture,  articolazioni  intime  formano di  certo  il  pregio  massimo  della  Scienza;  costituiscono r  essenzial  condizione  del  sistema  ;  sono  la  vita della  ragione,  avvisata  come  funzione  filosofica  e  metafisica. Ma  si  vorrà  dire  che  tutto  ciò  sia  anche  pregio e  condizione  vitale  ove  dall'ordine  astratto  e  teore- tico e  individuale  si  discenda  in  quello  delle  applica- zioni e  della  storia,  per  esempio  ad  un  periodo  storico nel   quale  ci  sia  dato  assistere  all'opera  svariata  di molti  ingegni,  al  lavoro  molteplice  di  più  menti  fra  loro diverse  per  infinito  numero  di  condizioni,  condizioni differenti  per  luogo,  tempo,  educazione,  carattere  indi- viduale, e  civiltà?  È  egli  pregio,  di  grazia,  o  non  più  veramente difetto  il  prendere  un  dirizzone  e  andare  sino in  fondo  diritto  come  fil  di  spada?  E  dov'è,  dunque, la  necessaria  moltiplicità  di  direzioni,  e  quella  ricchezza d'aspetti  differenti,  e  quella  varietà  di  vedute  e  di  metodi e  dottrine  in  cui  risiede,  a  dir  proprio,  il  moto  e  l' essere e  la  vita  feconda  della  storia?  I  quattro  filosofi  di  Germania costituiscono,  come  dire,  una  mente  sola,  un  sol pensiero;  formano  quasi  un  sol  uomo  che  svolga  e  deter- mini la  propria  attività:  e,  in  effetti,  come  un  sol  uomo essi  hanno  saputo  filar  sillogismi  e  tesser  la  scienza cosi  da  comporre,  sto  per  dire,  una  catena  salda  e  com- patta di  soli  quattro  anelli.*  Per  contrario  la  filosofia italiana  non  ci  pone  sott'  occhio  nulla  di  simile.  Ella  non è  un  processo,  o  al  più  è  un  processo  distratto,  rotto, saltellante,  fatt'a  pezzi  e  a  bocconi,  Qual  relazione mai  tra  VICO  e GALLUPPI?  tra  GALLUPPI,  SERBATI  e GIOBERTI?  tra  GIOBERTI e  lo  scettico  Fer?  fra  Ausonio critico  radicalissimo,  e  il  cattohcissimo  Conti?  fra  il  neo- platonico ROVERE e  il  severo  storico  BERTINI ?  fra'  nostri Hegeliani  e  i  nostri  redivivi  Tomisti?  Riconosciamo  francamente  i  pregi  del  periodo  filosofico germanico;  e  non  meno  francamente  riconosciamo i  difetti  della  nostra  moderna  filosofia  considerata  sotto r  aspetto  storico.  Ma  ci  si  permetta  una  confessione,  ed  è che  noi  saremmo  tentati  a  scegliere  più  presto  questi  di- fetti, anziché  que'pregi  ;  per  la  semplice  ragione  accennata poco  fa,  che  gli  uni,  nella  mancanza  d'unità  e  d'un'euriti- mia  stecchita  e  geometrica,  ci  presentano  il  fecondo  moto *  Ecco  come  il  Remnsat  riduce  quasi  a  forma  geometrica  V  andamento progressivo  del  pensiero  germanico,  o  meglio,  de*  quattro  filosofi in  discorso  :  L*  idea^  dice  Kant,  non  prova  che  «d  «fe««a  : l’idea^  ripigìiè Firkte^ produce  Veuere:  Videa,  soggiunte  Schelling^  riproduce  V  e«itcrc  :  V  idf^, eondwe  Hegel,,  >  Vetsere.  (De  la  Phil.  ÀUem,) del  fatto  istorico,  dovecchè  gli  altri,  nell'  evoluzione serrata  e  compassata  di  loro  speculazioni,  ci  traggono  e e'  incatenano  allo  spirito  dommatico,  esclusivo,  unilate- rale del  filosofare,  e  perciò  medesimo  racchiudon  la  morte del  pensiero  appunto  perchè  presumon  di  chiudere  il circolo  dello  stesso  pensiero.  Non  dimentichino  gli  ama- tori de'  periodi  storici  filati  e  serrati,  come  la  storia della  scienza  e  delle  grandi  età,  presso  cui  rifulse  più splendido  il  pensiero  filosofico,  stia  tutta  contro  di  loro. Si  rammentino  che  nell'  età  gloriosa  del  Rinascimento  in Italia  cotesto  filar  sottile  di  speculazione,  cotesto  fitto  an- nodarsi di  più  scuole  e  stringersi  e  allacciarsi  di  più  filo- sofi impersonandosi  quasi  in  un  sol  filosofo,  non  ebbe luogo.  Non  ebbe  luogo,  checché  se  ne  dica,  nel  più  celebrato periodo  che  ci  presenti  la  storia  del  pensiero  umano,  il periodo  della  filosofia  greca,    prima    dopo  Socrate; ma  in  esso  il  critico  vede  una  moltiplicità  sempre  più crescente  e  feconda  da' primi  Ionici  agli  ultimi  Stoici,  agli ultimi  Scettici,  agU  ultimi  Neoplatonici,  tuttoché  quelle scuole  così  differenti  si  fossero  succeduta  sotto  l' impero d'una  legge  universale,  storica  e  psicologica  insieme. Questa  legge  conforme  alla  quale  si  venne  svolgendo  il  pensiero  spe- culativo nelle  scuole  greche,  possiamo  trovarla  accennata  dal  Laerzio (come  hanno  osservato  il  Brandis  e  il  Ritter)    dov^egli  afferma  che presso  quei  popolo  la  filosofia  sMniziò  con  la  nozione  d*una  pluralità^  indi venne  progredendo  con  quella  d*  un' assoluta  um'rà,  e  appresso  cercò  di stabilire  una  relazione  fra' due  concetti.  E  questi  caratteri,  in  generale, ci  additano  veramente  la  scuola  ionica  e  pitagorea,  la  scuola  eleatica e  poi  quelle  d'Anassagora  e  d'Empedocle;  ma  sempre  in  maniera  esclu- siva, grossolana,  oggettiva  e  naturale.  La  comparsa  di  Socrate  segna un  ricorto  della  medesima  legge,  ma  con  ben  altro  significato  e  indirizzo razionale.  Accanto  a  lui  vediamo  sorgere  la  Sofistica:  il  che  vuol  dire  che, oome  in  ogni  ritorno  istorico,  nel  2fi  periodo  della  filosofia  greca  ha  luogo un  doppio  lavoro  di  demolizione  e  di  ricostruzione;  l'uno  rappresentato da'  Sofisti»  l'altro  da'  Socratici.  Ond'è  che  la  sofistica    vuol  esser  avuta in  dispregio,  come' fanno  alcuni  fra'quali  il  Ritter,  e  nemmanco  esagerarne il  valore  e  l'importanza  isterica  secondochò  fanno  altri,  per  esempio l'Hermann,  col  porre  i  Sofisti  a  capo  d'un  periodo  novello  di  filoso- fare. Nella  storia  del  pensiero  greco  (passaggio  al  2o  periodo),  tanto vale  un  Sofista,  quanto  un  Socratico;  appunto  perchè  se  la  negazione  del primo  non  è  annullamento  di  speculazione,  l'affermazione  del  secondo  non Un  vincolo  storico,  reale,  positivo,  cosciente,  lo  tro- viamo fra  Platone  e  Aristotele.  Al  di  qua  e  molto  più al  di    de'  due  luminari  non  ci  ha  che  relazioni  ideali, gran  numero  delle  quali  è,  piò  che  altro,  l'effetto della  critica  armeggiona  di  certi  storiografi;  essendo già  note  le  spostature  a  comodo  che  son  venute  muli- nando certe  fantasie  hegeliane  dietro  l'esempio  del maestro,  ponendo,  per  dime  una,  dopo  la  scuola  Zeno- niana  d' Elea  quella  d'  Eraclito,  con  aperta  smentita della  storia,  de'  fatti,  della  cronologia  e  de'  dati  storici più  sicuri,  e  considerando  Socrate,  per  dirne  un'altra, come  logicamente  posteriore  ai  Sofisti,  mentre  è  noto .come  il  gran  figliuolo  dell'umile  Fenareta  fosse  loro contemporaneo!  Rammentiamoci  che  cotesti  lambicchi e  distillatoi,  cui  si  pretende  sottoporre  la  storia,  non ti  può  dir  neanche  posizione  sistematica,  ovvero  esplicazione  organica  d'nn dato  ordln  d' idee.  Ma  la  ricostmzione  rappresentata  da  Socrate  è  essen- zialmente psicologica  ed  etica,  non  più  naturale,  empirica  ed  estrinseca  ; stantechè  in  loi,  come  incontra  in  ogni  ricorto  ttoricOf  ripetesi  il  ca- rattere della  pluralità  oggettiva  (però  come  eoncetH,  i  quali  importano la  coscienza),  e  quindi  in  Platone  ed  Aristotele  si  ripetono,  ma  trasfl- gorati,  gli  altri  due  caratteri.  Platone  infatti  pone  V  unità  assoluta  in 8Ò,  mentre  che  Aristotele  si  studia  ritracciare  una  relazione  fra  quel- la mmo  e  il  moluplieet  sforzandosi  di  levare  il  dissidio  fra  1*  immanenza deU*a8ffoInto  nel  mondo,  e  la  permanenza  del  mondo  neir  assoluto  avvi- sato in    stesso.  Dopo  il  *i0  la  Log,  d^Ari»U^  T.  U,  19^. '  n  Barchou  de  Penho^ln  dice  anche  lui  non  di  rado,  come  il  Boullier,  qualche  enormità  tutta  francese.  Per  esempio  questa,  che  Cartesio, Spinoza  e  Malebranche  formino  una  mrd4>nlmn  icuofa^  e  una  ntf^itm  dot' trino/  — Vedi  Op.  cit.,  p.  101. discredere  ad  ogni  processo  istorico  nel  pensiero  filosofico? Tutt'  altro!  L'esigenza  del  processo,  in  tutto,  non  è meno  salda  e  men  vivace  nella  nostra,  che  nella  vostra mente.  In  noi  non  sistematici  assoluti  eli'  è  piii  vera, più  legittima,  più  pratica,  positiva  :  ecco  la  nostra  pre- tensione. Sarà  puerile  o  troppo  ardita  cotesta  pTeten- sione  :  ma,  fra  tante  pretensioni  che  c'è  al  mondo,  e  delle quali  si  mostrano  cotanto  ricchi  gli  annali  della  filosofia, non  ci  potrà  capir  anche  questa?  Un  processo  nel pensiero  filosofico,  tanto  nella  storia  universale  come ne'  suoi  differenti  periodi  e  sin  nelle  diverse  scuole  d'un sol  periodo,  ci  ha  da  essere;  e  ci  ha  da  essere  appunto perchè  la  storia,  anche  agli  occhi  nostri,  è  sempre l'opera  d'un  disegno.  Ma  poiché  l'incarnazione  di  co- testo disegno  non  è  soltanto  effetto  di  pensiero  inco- sciente, ma  è  la  risultante  di  condizioni  molte,  svariate, complesse  per  numero  e  complicate  per  natura,  fra  cui signoreggiano  le  intuizioni,  prevalgono  i  sentimenti,  pri- meggiano le  tendenze  istintive;  ne  seguita  che  il  processo non  può  manifestare,  come  si  pretenderebbe,  una forma  squisitamente  organica  e  seriale,  Ei  debb'  essere incompiuto,  com'  avviene  d' ogn'  altro  fatto  storico.  Or s'egli  è  incompiuto,  non  bisognerà  pur  compierlo?  E  chi potrà  compierlo,  chi  potrà  integrarlo  fuorché  il  pensiero che  lo  studia  e  sommette  alla  propria  speculazione? Un  processo  dunque  ci  ha  da  essere;  ma  ha  da essere  insieme  obbiettivo  e  subbiettivo,  storico  e  specu- lativo, essendo  l' opera  combinata  non  già  dalla  nostra fantasia,  com'  è  vezzo  di  certi  storiografi  che  annodano, per  esempio,  Cartesio  e  Kant  co' fili  ch'ei  sanno  mae- strevolmente rimaneggiare  a  tutto  lor  profitto,  bensì r  opera  combinata  fra  il  pensiero  che  fa,  e  il  pensiero che,  facendo,  vede,  scopre  e  progredisce  e  sale  sempre più  in  su.  Spieghiamoci  meglio.  Non  si  tratta  di  com- binare fra  loro  le  diverse  menti  de' filosofi  d'un  dato periodo:  si  tratta  di  combinar  tutto  il  periodo,  o,  per lo  meno,  i  risultati  di  tutta  la  speculazione  d' un  dato periodo  filosofico,  con  noi  medesimi,  cioè  con  la  nostra mente,  co'  bisogni  della  presente  speculazione.  Nel  primo caso,  plasmando  a  nostra  immagine  e  simiglianza  una data  serie  di  dottrine  e  di  filosofi,  la  storia  sarebbe fatta  da  noi  :  nel  secondo,  invece,  ella  sarebbe  fatta  mercè una  doppia  forza,  in  virtù  d'una  doppia  leva;  cioè  da sé  stessa,  e  anche  da  noi.  Non  è  quindi  la  storia,  la storia  come  storia,  quella  che  possa  e  deva  render  com- patto organando  appuntino  il  processo;  il  quale  perciò non  può  esser  costituito  nella  sua  forma  organica  da  più scuole  e  da  più  menti  considerate  queste  alla  maniera d'una  scuola  od' una  mente;  bensì  dev'esser  fatto  tale da  chi,  venendo  dopo,  è  deputato  a  raccoglierne  l'eredità. Se  non  fosse  così  che  cosa  ne  seguirebbe?  Ne seguirebbe  che  per  nessun  miracolo  al  mondo  sapremmo salvarci  da  questa  conseguenza:  che,  cioè,  la  storia della  scienza  s' identificherebbe,  si  compenetrerebbe  con la  scienza  stessa;*  e  quindi  per  inevitabil  necessità  do- vremmo giungere  ad  uno  di  questi  due  corollari:  credere, cioè, o  che  il  sapore  filosofico  1'  avremmo  oggi beli' e  conseguito,  o  che  noi  conseguiremmo  giammai, essendo  indefiniti  i  limiti  della  storia.  Dimodoché  do- vremmo, com'è  evidente,  imbrancarci  o  con  gli  Hegeliani, ovvero  co' Positivisti.  E,  se  co'  primi,  non  avremmo torto  dijicantar  su  tutt'i  tuoni  d'aver  già  piantato  le colonne  d'Ercole;  né,  se  co' secondi,  c'inganneremmo menomamente  nel  predicare  illusorie  le  speranze  d' un sapere  propriamente  scientifico  e  metafisico.  La  condizione  dunque  del  processo  istorico  del  pensiero filosofico  non  istà  nell'esserci  fUicusione  e  continuità ne' suoi  rappresentanti:  basterà  che  ci  sia  svolgimento e  progresso,  e  quindi  vincoli  ideali  ove  sieno  impossibili gli  storici;  i  quali  non  di  rado  è  impresa  ben  vana il  cercare,  non  potendo  esistere,  o,  pur  esistendo,  non  *  È  questo,  coni*  è  noto,  ano  de*  dommi  supremi  deU*  Hegeliauismo, (Tedi  Hrocl,  Logique)  e  del  Positivismo,  tuttoché  il  significato ne  sia  diverso.Vedi  CoirrB  e  Littbì  nelle  Op.  innanzi  citate. sarebbero  che  eccezioni.  Anche  noi  quindi  crediamo  che nella  storia  della  filosofia  c'è  attinenze;  ma  aggiungiamo che  c'è  anche  salti:  e  se  c'è  attinenze  e  salti,  la  conse- guenza (conseguenza  buona  solamente  per  noi,  anziché per  gli  aggomitolatori  e  sgomitolatori  de'  periodi  storici) è  questa,  che  una  critica  è  necessaria;  necessaria  una critica  filosofica  atta  a  scoprire  le  une,  e  colmare  gli altri.  Tornando  ora  al  proposito,  nella  storia  della  filosofia italian«r  ci  è  salti,  per  esempio,  fra  BRUNO e  VICO,  fra VICO  e  GALLUPPI,  fra  GALLUPPI e SERBATI  e  GIOBERTI:  ma  non  ce  ne  maraviglieremo per  ciò,  sapendo  che  se  questo  non  è  pregio,  non  può  dirsi nemmanco  difetto.  Poiché  il  punto,  ad  ogni  modo,  sta nel  vedere  se  tomi  possibile  scoprirvi  una  progressione ideale;  e  questa  per  appunto  debb' esser  l'opera  concorde de'  viventi  filosofi,  e  il  frutto  d' una  storia  saviamente critica. Nulla  infatti  è  inutile  nella  storia  della  scienza,  e tantp  meno  in  quella  della  filosofia.  Agli  occhi  dello storico  spiegano  egual  valore  tanto  il  moto  speculativo attuatosi  dal  Leibnitz  ad  Hegel,  quanto  quello  che,  pur con  varietà  d'indirizzi,  è  venuto  effettuandosi  fra  noi  da VICO a GIOBERTI  Nello  svolgersi  di*questi  due  periodi filosofici  potremo  verificare  una  gran  legge;  la  legge medesima  che  presiede  alla  storia  generale  del  pensiero filosofico.  Mi  spiego  subito  e  in  brevi  termini,  anticipando un'  idea  che  altrove  giustificherò.  Platonismo  e  Aristote- lismo sono  due  parole  di  significato  altamente  compren- sivo per  la  storia  della  filosofia  occidentale.  Non  solamente elle  racchiudono  una  legge  che  ritrae  la  natura del  processo  isterico  della  filosofia, ma  cotesta  lor  legge è  anche  principio,  un  principio  d'indole  teoretica.  Non v'  è  infatti,    v'  è  stato  filosofo,  il  quale  non  si  possa dir  seguace  dell'  uno  o  dell'  altro  indirizzo,  ovvero d'entrambi,  ma  accordati  e  accostati  insieme  in  uno de'  tanti  modi  tentati  e  ritentati  già  fino  da  antico,  a contare  da  CICERONE a BOEZIO,  da  BOEZIO a BESSARIONE, e  dagli  altri  molti  che  nel  Rinascimento  si  provarono in  simili  accordi,  fino  al  Rosmini.  D'altra  parte  chi pigli  per  poco  a  filosofare  con  serietà  scientifica  anziché da  burla,  come  par  che  vogliano  fare  oggi  critici  e positivisti,  non  può  a  meno  di  non  riconoscer  nelle  cose un  fondamento  assoluto.  Ora  tal  fondamento  assoluto  non può  esser  posto  tranne  che  in  uno  di  questi  tre  modi:  o nel  senso  dell'  idea  platonica,  o  nel  significato  della  cate- goria aristotelica,  ovvero  in  una  terza  maniera  nella  quale tomi  possibile  un  accordo  fra  l'esigenza  dell'uno,  e  quella dell'  altro  indirizzo.  Qual  debba  esser  la  natura  di  tale accordo  e  come  porlo  in  opera,  diremo  altrove.  Qui  giova avvertire  che  siffatta  legge  non  solo  racchiude  il  nodo, per  così  dire,  della  storia  della  filosofia,  tanto  guai-data neir  insieme  del  suo  svolgimento  universale  quanto  nei suoi  particolari  periodi,  ma  costituisce  ad  un  tempo  la vera  scienza  della  storia  del  pensiero  speculativo,  appunto perchè  forma  il  triplice  aspetto  sotto  cui  può  esser  con- siderata in    medesima  la mente  del  filosofo  nella  soluzione del  problema  metafisico.  Si  dirà  per  avventura che  cotesta  maniera  di  considerare  la  storia  del  pensiero filosofico  sia  merce  hegeliana?  Può  darsi  che  in  appa- renza la  si  dimostri  tale.  Ma  fin  d'ora  avvertiamo  che cosiffatto  principio  è  superiore  all' hegelianismo  stesso, in  quanto  costituisce  il  criterio  col  quale  potrà  esser giudicato  il  valore  speculativo  di  quel  sistema. Tornando  al  proposito,  posto  il  Cartesianismo,  Leibnitz  e  Vico  non  potevan  essei-e,  e  nel  fatto  non  sono, né  puri  platonici,    puri  aristotelici.  Essi  bensì  ci  espri- mono il  conato  verso  un  accostamento  scambievoli  dei due  indirizzi;  tale  essendo  il  valore  della  loro  universa- lità, e  di  quella  sintesi  confusa  ond'  inaugurano,  come avvertimmo,  i  due  periodi  moderni  della  filosofia  te- desca e  italiana:  i  quali  perciò,  rappresentando  l'analisi, costituiscono  il  lavoro  a  cui  necessariamente  conduce  quella  sintesi.  Invero  dopo  Leibnitz  in  Germania e  dopo  il  Vico  in  Italia,  la  filosofia  assume,  tanto  nel- l'uno quanto  nell'altro  paese,  il  vecchio  contenuto,  ma sotto  novelle  forme:  da  una  parte,  la  filosofia  fondata nel  sentimento, e  l'idealismo  assoluto;  dall'altra,  lo psicologismo  scolastico,  e  l'ontologismo:  indirizzi  più o meno  esagerati  del  platonismo  e  dell'  aristotelismo. E  lasciando  qui  de' due  aspetti  vieti  della  filosofia  germanica e  dell'italiana,  le  due  forme  che  in  esse  ad- dimostrano più  spiccata  originalità  rassomigliano  quasi a  due  correnti  che  riescono  a  due  punti  fra  loro  opposti e  contrari,  e  sono  la  filosofia  ctisiologica,  e  quella dell'assoluta  identità.  Se  nella  prima  vi  è,  come  s'è detto,  processo  e  continuità  di  sviluppo;  nella  seconda non  manca  già  un  carattere  comune  tra  i  suoi  propugnatori, n  Teismo  fra  noi  è  venuto  assumendo  evidentemente forma  sempre  più  netta,  meno  impacciata, men  grossolana;  perchè  se  il  concetto  religioso, per  dime  un  esempio,  agli  -occhi  di GALLUPPI e  di SERBATI e  di GIOBERTI  costituisce  un  elemento  essen- ziale nell'organamento  del  loro  sistema,  la  rdigion  civile di  cui  ci  parla  ROVERE,  è  una  parola  com' un' altra; una  parola  che  non  dice  nulla,  o  pochissimo;  e  pure ha  fatto  e  fa  tanto  comodo  all'  autore  !  Questo  processo e  questo  risultato  della  filosofia  itaUana  è  come  una risultante  di  più  forze:  fra  cui  è  da  notare  innanzi tutto  r  educazione  storica  tradizionale  e  cattolica,  la forma  e  natura  speciale  dell'ingegno  italiano  non  così facile,  come  dissi,  a  dar  negli  estremi,  e  segnatamente gl'influssi  della  stessa  filosofia  germanica.  Queste  ed altre  cagioni  partoriscono  il  movimento  filosofico  in Italia  nel  nostro  secolo.  Il  pensiero  filosofico  nostrano (e  qui  han  ragione  gli  Hegeliani)  è  venuto  promosso, eccitato  dal  pensiero  germanico  ;  a  quel  modo,  potremmo dire,  che  le  diverse  forme  di  filosofia  del  nostro  Risorgimento  vennero  eccitate  dal  sùbito risvegliarsi  della  filosofia  greca  e  platonica;  da'  com- Aatori  arabi  e  aristotelici  delle  scuole  di  Padova, di Bologna,  di  Firenze.  Il  Criticismo  esercita  grande Zone  sili  GALLUPPI;  e  le  tre  forme  dell'Idealismo  ger- n/anico,  subbiettivo  obbiettivo  ed  assoluto,  spiegano alla  lor  volta  influssi  potenti,  immediati  sul  Gioberti  e sul  Rosmini,  come  ci  dimostrano  la  Protologia  del  primo e  Ja  Teosofia  del  secondo,  e  anche  in  gran  parte  sul Msaniani.  Ma  se  è  vero,  com'  è  verissimo,  che  i  nostri filosofi  han  procacciato  d'ormeggiare  i  Tedeschi,  e  questi sono  valsi  ad  eccitare  in  quelli  piìi  gagliarda  la  virtù speculativa;  è  altrettanto  vero  che  gì' Italiani  mai  non cessaron  di  combattere  le  pretensioni  sistematiche  as- solute del  Germanismo;  e  questo  è  un  altro  carattere comune  che  li  distingue.  Si  può  dire,  in  somma,  che il  pensiero  italiano  sia  venuto  affilando  le  armi  nella fucina  dello  stesso  avversario:  ecco  tutto. Di  chi  sarà  il  trionfo?  Chi  canterà  gl'inni  della vittoria  ? Parliamoci  tondo  e  netto.  Il  trionfo  dell'  Ontologi- smo e  del  Neoplatonismo,  come  ci  è  dato  da'  nostri  filo- sofi, è  un'  illusione  ;  ma  non  sarà  meno  illusione  il trionfo  dell'  Idealismo  assoluto.  Noi  dunque  non  faremo festa  ne  all'  uno  ne  all'  altro,    batteremo  le  mani  alla vittoria  del  Grermanismo    dell'Italianismo,  per  la semplice  ragione  che  in  siffatt'  ordin  di  cose  le  credute vittorie  ci  paiono  sogni  di  menti  ammalate.  Queste  due scuole,  queste  due  filosofie  (ci  sia  permesso  stringerle entrambe  sotto  due  concetti  o  indirizzi  distinti)  ci  rap- presentano la  speculazione  ardita  del  nostro  secolo;  ma per  opposte  ragioni  si  dilungano  entrambe  dalla  casti- gatezza della  sintesi  ontologica,  discostandosi  in  pari tempo  dalla  severità  del  metodo  istorico  e  psicologico. Sennoncthè,  oggi  segnatamente,  chi  ben  le  guardi,  elle cercano  allearsi  e  compiersi  a  vicenda,  giusto  perchè rappresentano  e  riproducono  anch'esse  l'antica  lotta fra  r  Aristotelismo  e  il  Platonismo,  tanto  in    stessa e  nel  loro  insieme,  quanto  nelle  loro  particolari  divi- sioni,  esprìmendoci  perciò  il  bisogno  perenne  e  crescente di  quell'accordo  sperato  sempre,  ma  non  attinto  mai. Questo  panni,  dunque,  tutto  il  significato  del  loro  svolgimento; e  questo  mi  sembra  il  problema  alla  cui  soluzione elle  s' affaticano  da  un  secolo  e  mezzo  a  questa parte.  Non  è  egli  giusto  quindi  affermare  che  chi  spera nel  trionfo  assoluto  dell'una  su  l'altra  spera  invano,  e chi  s' affida  in  certi  accordi  e  temperamenti  in  sostanza esclusivi  e  unilaterali  non  ispera  peggio?  Citiamone  un esempio.  Il  Gioberti  dello  Spaventa,  lavoro  (checché  se ne  dica  dagli  hegelianissimi)  d'una  potenza  critica  vera- ramente  singolare  fra  noi  dopo  i  libri  del  Rosmini,  nelle intenzioni  dell'  autore  dovrebb'  essere  un  accordo  tra  la filosofia  italiana,  e  la  così  detta  filosofia  moderna  Europea. Lasciando  stare  quel  moderna  e  molto  piii  Y  europea (frase,  la  quale  a  me  rammenta  quella  che  han  su  la punta  della  lingua  i  Pontefici  di  Roma  quando  costoro menan  vanto  de' creduti  e  desiderati  dugento  milioni  di cattolici),  io  chiederei,  se  il  fare  assorbire  à  quel  modo eh'  egli  ha  fatto  il  filosofo  italiano  dal  filosofo  tedesco, sia  da  dirsi  accordo,  o  non  più  veramente  un  solenne trionfo  del  secondo  sul  primo,  e  quindi  '1  trionfo  assoluto del  divenire  sul  creare? ¥*  allora  dov'è  mai  l'ac- cordo fra  le  due  filosofie? Un  accordo,  come  suona  la  parola,  è  necessario,  ed è  razionale;  che  posta  l'analisi,  posto  il  lavoro  anali- tico di  quel  doppio  indirizzo,  una  sintesi  ne  dovrà  sgor- gare di  necessità.  E  il  fatto  stesso  ce  ne  porge  prova e  guarentigia.  Il  Mamiani,  l'autore  delle  Confessioni^ ha  pronunziato,  fira  le  altre,  questa  gran  verità:  d'aver egli  concluso  e  chiuso,  fra  noi,  un  periodo  filosofico  nel quale  egli  stesso,  con GALLUPPI  e  con SERBATI e  con GIOBERTI, è  venuto  cogliendo  allori  molti,  e  ben  meritati. L'À.  delle  Confessioni  ha  detto  benissimo:  ha  chiuso  dav- vero un  periodo  ;  ma  solo  ha  dimenticato  avvertirci  che in  esso  egU  ha  chiuso  anche    medesimo.  Chi  consi- deri infatti  il  suo  neoplatonismo,  per  quel  tanto  che contiene  di  correzione  verso  gli  altri  nostri  filosofi, l'illustre  Pesarese  ha  merito  grande;  ma  avvisato  in sé  stesso  cotesto  neoplatonismo,  specie  quant'  alla  parte psicologica,  è  già  morto  in  sul  nascere.  E  doveva  esser così,  almeno  per  chi  voglia  ammettere  che  la  storia della  filosofia  non  possa  esser  ripetizione  inutile  e  in- fruttuosa di  teoriche  trascendentali.  D'altra  parte  l'Hegelianismo,  checché  se  ne  voglia  dire,  ha  oggimai  esaurito la  propria  vitalità  con  lo  scindersi  nello  tre  note scuole  di  destra,  sinistra  e  centro.  Oggi  dunque  non  è impossibile  raccorre  i  frutti  di  così  lungo,  di  così  osti- nato lavoro,  e  di  lotte  e  contrasti  e  discussioni  infinite attuatesi  nei  due  paesi,  appo  cui  l' ingegno  europeo serba  piii  acconcia  e  vigorosa  virtù  speculativa.  A  tale impresa  hann'  influito  efficacemente  i  nostri  hegeliani, r  opera  dei  quali  riguardata  stòiicamente,  io  non  dubiterei chiamarla  provvidenziale.  Nelle  mani  di  questo infaticabile  artefice  che  appelliamo  storia,  i  nostri  hegeliani sono,  mi  si  lasci  dir  così,  un  istrumento,  un mezzo,  acciocché  nel  possibile  accordo  delle  due  filo- sofie abbia  a  trionfare  il  vero.  Più  che  apostoli  e  messia e  predicatori  della  buona  novella,  com'  essi  medesimi  si piaccion  segnalarsi,  sia  col  tradurre  le  opere  di  Hegel, come  fa  VERA (si veda),  sia  col  modificarne  e  interpretarne  le dottrine,  come  fa  SPAVENTA (si veda),  e'  mi  paion  la  condizione imprescindibile,  efficace,  perché  il  pensiero  filosofico possa  innovare    stesso  nella  pienezza  d' una  coscienza speculativa  chiara,  intima,  vivace,  sceverando  dal  vero quel  carattere  arbitrario  di  costruzioni  dommatiche  il quale  accompagna  i  pronunziati  dell'  Idealismo  assoluto. L' Hegelianismo  é  cosa  nostra:  lo  ha  detto  SPAVENTA (si veda);  ed  é  verissimo.  Ma  é  cosa  nostra  in quanto  è  anche  un  assoluto  realismo;  realismo  obbiettivo nel  vero  senso  della  parola,  non  già  campato  a mezz'aria,  com'è  quello  di  Hegel,  il  quale  perciò  usurpa, non  legittima  il  significato  della  obbiettività. Ripetiamolo:  se  la  filosofia  ha  bisogno  d'innovarsi esi-  i stro  \ ica.  i diventando  positiva  e  razionalmente  positiva,  tale  esi genza  del  pensiero  italiano  e  tedesco,  pia  che  dal  nostro cervello,  ha  da  scaturire  dalla  stessa  ragione  istorica Osservando  lo  svolgersi  di  queste  due  forme  del  pen- siero filosofico  moderno,  è  facile  accorgersi  com'elle assomiglino  (ci  si  permetta  un  paragone)  al  cammino di  due  linee  le  quali,  partendo  lontane  fra  loro,  nondimeno si  vadano  accostando  sempreppiù.  L'una  s'è  mossa prima  dell'  altra  ;  e  assai  più  spedita  e  più  rapida  ne'  suoi passi  e  difilatamente  ha  percorso  assai  più  lungo  tratto che  non  abbia  guadagnato  la  seconda.  Questa  poi  s' è mossa  dopo,  e  spesso  è  venuta  sviando  e  svagando  per più  e  diverse  ragioni;  ma,  non  altrimenti  che  ne' feno- meni elettrici  d'induzione,  passo  passo  ne  ha  sentito gì'  influssi,  e  le  si  è  venuta  più  e  più  avvicinando.  Un punto  di  coincidenza,  dunque,  fra  queste  due  linee  convergenti è  necessario;  ma  la  grave  difficoltà  sta  nel trovare  cotesto  punto.  Usciamo  di  figura.  Se  i  due  periodi filosofici  nel  dischiudersi  per  opera  di Leibnitz e  del  Vico  mostrano,  come  vedemmo,  cert' affinità spontanea  e  incosciente,  è  pur  mestieri  che  cotest' affi- nità s'abbia  da  palesare  altresì  nel  loro  chiudersi;  ma s' ha  da  palesare  cosciente,  riflessa,  e  quindi  promossa, eccitata,  ricercata  e  partorita  dalla  stessa  ragione  come funzione  filosofica.  E  pensiero  moderno  debbe  aver coscienza  di  tale  affinità:    può  averla  se  non  la cerca;    può  cercarla  efficacemente  se  non  la  pone. Ninno  si  meraTigli  se  fra*  vari  indirìzzi  moderni  della  filosofia  noi qui  non  abbiamo  tenuto  conto  altro  cbe  della  speculazione  tedesca,  e dell*  italiana.  L' ingregno  inglese  procede  sempre  a  un  modo,  ne  da  due secoli  A  questa  parto  ò  mai  uscito  dalle  orme  segnategli  dal  suo  Bacone, e  poi  dal  Locke,  da  Hume  e  dalla  Scuola  scozzese.  Spencer  e  Mill  ce  *1 dicono  chiaramente  ;  ne*  quali  filosofi  è  pur  chiaro  un  progresso  rispetto ai  loro  antecessori,  ma  è  un  progresso  monotono,  omogeneo.  L’ingegno francese  poi,  dopo  le  grandi  tracce  lasciategli  dal  Cartesianismo,  si  è svolto  sempre  fra il  Sensismo  eil  un  acquoso  Spiritualismo  ;    la  scuola eclettica,  i  cut  ultimi  rappresentanti  oggi  fan  tanto  onore  alla  Francia, ha  nulla  di  veramente  originale.    una  bella  eccezione  in  quel  paese  la scuola  e  gli  studi  iniziati  dal  Main^de  Biran.  Se   dunque  originalità  di Italia  e  Glermania,  madri  d'ogni  grande  filosofia  e  dìvi- natrici  delle  più  ardite  concezioni  metafisiche,  per  ne- cessità isterica  hann'a  risalire  alle  loro  primitive  sor- genti moderne,  Leibnitz  e  VICO;  ma  risalirvi  (intendia- moci) con  tutta  quell'opulenta  ricchezza  che  a  noi porge  il  lavoro  di  specukzione  compiutasi  nello  spazio di  due  secoli.  Il  trionfo  ha  da  esser  comune,  perchè comune,  quantunque  diviso,  è  stato  il  lungo  lavoro. Se  non  fosse  cosi,  la  conseguenza,  per  le  menti  che con  ansia  febbrile  e  con  ignorati  e  crudeli  tormenti ma  con  altrettanta  fede  si  travagliano  invittamente nella  ricerca  d'ogni  parte  spinosa  della  verità,  sa- rebbe dura  davvero,  sarebbe  sconfortevole.  E  la  con- seguenza è,  che  la  storia  sarebbe  un'  ingiustizia  :  ingiu- stizia altrettanto  manifesta  e  insopportabile,  quanto inesplicabile.  Ancora  :  se  questi  due  periodi,  queste  due filosofie  di  cui  si  parla,  non  avessero  quelle  attinenze  e quel  valore  e  quel  fine  che  noi  diciamo,  elle  assomiglie- rebbero a  due  forze  distratte,  inconsapevoU,  naturali, sciolte  da  ogni  legge,  libere  da  ogni  ragione;    veramente che  le  analogie  e  le  differenze  e  l'intero  loro svolgimento  sarebbero  tutte  cose  accidentali,  estrinseche, meccaniche,  fortuite,  e  perciò  stesso  empiriche,  perciò stesso  inesplicabili,  perciò  stesso  insignificanti,  non  al- trimenti che  que'  riscontri  ingegnosi  ma  vani,  ma  incon- cludenti, che  alcuni  storici  sanno  scorgere  fi-a  la  storia d'un  popolo,  e  quella  d'un  altro,  fra  la  China,  per  esempio, e  l'Europa,  tra  Confucio  e  Pitagora,  fra  il  Celeste  Impero e  il  Teocratismo  papale,  come  fa  il  nostro  FERRARI  Or  noi domandiamo  alla  coscienza  di  tutti  gl'indefessi  indagatori del  vero;  domandiamo  alla  coscienza  degli  amici  sinceri e  de’sinceri  nemici  della  filosofia :  È  egli  mai  possibile speculazione  oggi  è  possibile,  è  d' uopo  ricercarla,  quantunque  sotto forme  diverse  e  con  risultato  e  valore  differente,  nell*  ingegno  tedesco  e italiano.  So  che  gli  Hegel ianissimi  sorrideranno  di  gran  cuore  a  queste parole.  Ma  io  qui  vo’restringermi  a  chiedere,  se  da  quarantanni  a questa  parte  fuori  d’Italia  ci  sìa  stato  filosofo  che  possa  reggere  al  para- gone dell'ingegno  del  Rosmini,  miracoloso  per  acutezxa  speculativa. che  la  storia,  massime  la  storia  del  pensiero  filosofico, abbia  da  essere,  o  un'  opera  cotanto  ingiusta,  ovvero  un artifizio  cotanto  sterile,  infruttuoso  e  meccanico? Concludo  per  ciò  che  riguarda  il  nostro  filosofo nonché  la  seconda  parte  del  nostro  lavoro.  Si  è  detto e  si  dice  che  il  Vico  non  ispiegò  efficacia  di  sorta  nel soQ.  secolo.  E  poi  s' aggiunge  che,  quand'  ei  venne  sco- perto (e  fu  vera  scoperta)  noi  già  l' avevamo  sorpassato. Sarà  vera  V  una  cosa  e  l' altra.  Ma  gli  uomini  grandi e  ì  grandi  ingegni,  se  vogliamo  stare  all'  osservazione di Mill,  i  quali  per  difetto  di  favorevoli  oc- casioni non  poteron  lasciare  traccia  alcuna  di    nella loro  età,  spesso  sono  stati  di  gran  valore  per  i  posteri.* Tale  per  noi  è  Vico;  e  tale  si  é  pure  la  sua  Scienza Nuova.  S'ei  nulla  valse  pe'  nostri  padri  (il  che  non  è vero),  vale  moltissimo  per  noi.  Solamente  in  lui  potremo rannodar  gli  anelli  della  nostra  tradizione  scientifica: in  lui  ricongiugnere  il  nostro  Rinascimento  col  nostro moderno  Risorgimento.  Per  andare  avanti  debitamente, come  suona  il  motto  volgare,  è  d' uopo  dare  un  passo indietro  :  Chi  vuol  salire,  pigli  V  aire.  Se  questo  é  vero, se  questo  é  necessario  in  tutto;  non  sarà  altrettanto vero,  altrettanto  necessario  in  filosofia? Con  sifi'atti  intendimenti  noi  prendiamo  ad  interpre- tare il  principio  filosofico  della  Scienza  Nuova.  L' acuto Littré  lia  detto  benissimo:  Tout  annonce  gu'on  ne  verrà plus  aucune  grande  éruption  métaphysigue,  comparàble à  celles  qui  otit  signaU  Vére  moderne  depuis  Descartes, et  qui  ont  abouti  à  HegeV  Ma  la  conseguenza  vera  non è  quella  che  ne  trae  il  positivista  francese,  bensì  quella che  ne  ricaviamo  noi  :  e  tal  conseguenza  é  la  necessità di  critica,  la  necessità  di  ritomo  critico  su  la  feconda speculazione  degli  ultimi  grandi  filosofi,  e  quindi  la  ne- cessità d'un  accordo  fra  essi.  '  St.  Mill.  SytL  de  Log.,   LiTTRi,  Princ  de  Phtl.  Poeit.,  Pré/,,  pag.  59,  Paris,  1868, Il  concetto  della  Scienza  e  '1  concetto  del  Criterio  si richiamano  a  vicenda,  poiché  non  si  può  determinar  l'uno senza  additare  nel  medesimo  tempo  il  significato  del- l' altro.  La  prova  più  facile  e  megUo  convincente  di  tale affermazione  ci  è  data  dalla  storia  della  filosofia;  non v'essendo  sistema,  non  dottrina  filosofica,  nella  quale que'  due  concetti  non  rispondan  fra  loro  per  caratteri comuni,  e  per  note  affini  ed  omogenee.  E  poiché  applicare il  criterio  vai  come  imprimere  forma  al  conoscere,  onde poi  risulta  il  metodo;  è  naturale  che,  tanto  l' idea  della scienza,  quanto  quella  del  criterio,  abbiano  a  racchiu- dere altresì  la  nozione  del  metodo.  Se  non  che,  scienza metodo  e  criterio  sono  tre  concetti  dipendenti  dalla soluzione  d' un  medesimo  problema,  del  problema  della conoscenza:  nel  quale  perciò  si  radica  propriamente, direbbe  il  Trendelemburg,  l' ultima  differenza  de'  sistemi. Sono  dunque  tre  aspetti  diversi,  sono  tre  diverse determinazioni  d'un  medesimo  subbietto;  le  quali  noi non  possiamo  definire,  ma  espUcare,  stanteché  la  defi- nizione, secondo  il  detto  di CAMPANELLA,  sia  come  la conclusione  e  quasi  l' epilogo  della  scienza  stessa.  Nel circolo  della  riflessione  infatti  la  mente,  ripiegandosi in    medesima  si  compie,  si  pone,  si  determina,  cioè si  definisce;  e  si  definisce  perchè  si  è  venuta  esplicando; e  con  r esplicarsi  mostra  col  fatto  che  cos'è  mai  l’intendere, quali  vie  abbia  percorso,  e  con  che  guarentigie si  possa  pervenire  ai  risultamenti  più  sicuri  del  sapere. Nondimeno  ci  è  cose  che  noi  potremo  sapere  fino da  ora  ;  voglio  dire  le  condizioni  del  sapere.  In  che  mai dobbiamo  fondare  la  scienza?  In  che  porre  i  limiti  del sapere  metafisico?  I  più  de'  filosofi,  com'  è  noto,  si  fanno tosto  a  rispondere:  «  su  la  natura  e  sul  valore  dell'uomo stesso.  »  Ma  il  punto  è  precisamente  questo:  qual'  è  mai la  natura,  qual  è  il  valore  dell'  uomo  ?  La  risposta  più seria  e  positiva  a  tale  domanda,  se  non  vogliamo  per- derci nelle  solite  ciance  trascendentali,  panni  questa: che  l'uomo,  l'uomo  quale  ci  è  dato  da' fatti  e  dalla storia,  non  l' uomo  concepito  sotto  forma  di  spirito  del mondo  {der  WéUgeisf),  non  sia  tutto,  e  nemmanco  nulla: di  che  ci  porgono  guarentigia  nel  medesimo  tempo  la coscienza,  l'esperienza  e  la  ragione.  Ora  se  questo  è  vero, due  conseguenze  n'emergono  innegabili;  la  prima,  che la  scienza,  tolta  nel  significato  di  sapere  metafisico, non  può  esser    propriamente  negativa,    propria- mente assoluta;  la  seconda,  che  non  si  può  esser  siste- matici e  dommatici,  non  essendo  noi  tanto  fortunati  da possedere  una  formola  assoluta  entro  cui  mostrar  chiusa la  ragione  ultima  e  propriamente  essenziale  delle  cose. Ma  diremo  perciò  che  il  filosofare  altro  non  possa  essere fuorché  una  pura  e  semplice  ricerca  sfornita  di  qual  si voglia  risultamento  metafisico  che  sia  positivo,  sicuro, determinato?'  Che  se  anche  per  noi  filosofia  suona ri- '  Homo  quia  neque  nthU  e«(,  neqite  omnia^  nee  nihil  percipit,  nec  in,' Jinitum,  De  sntiqaiss.  Italoram  sapientia,  Filosofo  dommatieo  e  filosofo  nttematioo  a$8oluto  per  noi  suona  il medesimo,  anche  ammesso  che  un  sistema  possa  esser  costruito  per  sola Tìrtù  di  ragione,  e  innalzato  (se  fosse  possibile)  ad  evidenza  matematica, secondo  che  pretendon  gli  Hegeliani.  Il  dommatismo  volgare,  teologico, fondandosi  in  un  principio  estrinseco  alla  ragione,  è  da  ripudiarsi  per difetto;  ne  conveniamo.  Ma  il  dommatismo  sistematico  de*  metafisici  assolati col  pretender  troppo,  anzi  tutto,  non  è  da  ripudiarsi  per  eccesso  ? Différiscon  ne'  mezzi  infinitamente,  io  lo  so  ;  ma  il  risultato  è  il  mede- cerca  e  amor  di  sapere,  nondimeno  è  ricerca  effettiva, è  ricerca  non  solo  atta  a  raccogliere  il  fatto,  ma  tale  che sia  un  fare  altresì  ella  medesima,  cioè  una  funzione  cri- tica, ma  efficace,  positiva,  attuale,  come  può  e  debb'es- sere  dopo  il  Kant;  funzione  quindi  capace  non  già  a  ri- mandarci al  futuro,  cioè  ai  risultati  della  storia,  sibbene a  saperci  dire  qualcosa  anc'  oggi  su'  grandi  e  terribili problemi  di  nostra  esistenza,  del  mondo,  della  vita,  della società.  Se  la  scienza  è  possibile,  come  alcuni,  positivisti cominciano  a  credere,*  non  vuol  essere  in  qualche  maniera attuale?  Poiché,  giova  bene  ripeterlo  anche  qui, un  possibile  che  mai  non  esca  dalla  nuda  possibilità,  in realtà  non  è  alti*o  che  un  impossibile! È  da  dire  perciò  che  tanto  V  idealista  assoluto  o l'ontologista  Giobertiano,  i  quali  in  una  formola,  tut- toché diversissima,  ti  assommano  la  ragione  d'ogni  umano e  divino  sapere,  quanto  il  positivista  e  il  puro  critico che  ogni  sapere  metafisico  dichiarano  impossibile,  escano tutti  dal  positivo,  perchè  chiudon  l'indagine,  e  spengono siffattamente  ogni  bisogno  critico  nel  pensiero.  E così  neir  uno  come  nell'  altro  caso,  la  mente  si  rimane impigliata  in  un'  affermazione  supremamente  dommatica:  dommatica  positiva  (sistematica)  nel  primo,  dom- matica  negativa  (esclusione  della  metafisica)  nel  secondo. Or  la  filosofia  intanto  può  assumere  forma  e  valore  di speculaziope  positiva,  in  quanto  riesce  a  schivare  non pure  il  donmiatismo  (il  sistema  assòluto  propriamente detto),  ma  eziandio  l'assoluto  positivismo  (scetticismo, nullismo  metafisico).  Fra  questi  contrari  il  filosofo  che Simo,  perchè  Tano  con  la  credenza  e  l'altro  con  la  dimostrazione  pre- samono  darci  tutto  il  vero.  Entrambi  quindi  negano  1*  attività  speculatÌTa; il  primo  la  nega  dichiarando  la  ragione  impotente,  il  secondo  la  nega reputandola  esauribile  anzi  esaurita  e  soddisfatta.  Che  nel]*  insieme  delle dottrine  del  Vico  non  vi  sia  pretensione  di  gUtema  propriamente  detto, Tabbiam  visto  riportando  alcune  parole  della  Conchu.  del Libro  MetaJUieot  e  meglio  si  può  vedere  laddov*egli  accenna  ai  dom- matici  del  suo  tempo  ch'erano  i  Cartesiani. De  Antiqui^,  etc.,  Vedi  la  Conclus.  dell'ultimo  libro  del  Taine  suìV Intelliyenza, voglia  esser  davvero  positivo,  sa  di  non  esser  dommatico;  ma  poi  sa  qualche  altra  cosa.  Egli  sa  di  non  poter esser  mai  dommatico,  non  mai  sistematico  assoluto. Sa  di  non  saper  tutto,  e,  che  più  monta,  può  giugnere a  conoscere  la  ragione  per  cui  deve  ignorare  qualche cosa.  È  il  caso  del  sapere  del  non  sapere,  appunto  per- chè se  ne  ha  coscienza.  E  non  è  ignoranza  cotesta? mi  si  dirà.    Sì,  certo,  è  ignoranza:  ma  è  ignoranza dotta,  direbbe  il  Cusano. Tre  ci  sembrano  adunque  le  condizioni,  tre  i  caratteri precipui  del  filosofare  che  voglia  riescire  seriamente e  razionalmente  positivo;  e  sono  questi: La  speculazione  filosofica  non  può  esser  fondata sopra  elementi  che  non  siano  sperimentali,  ma  di esperienza  intema  ed  esterna.  Tutto  è  processo,  genesi, attività  nel  pensiero;  stantechè  tutto  in  lui  sia  generato, tutto  edotto  mercè  i  dati  sperimentali.    questo  vuol dire  sensismo,  psicologismo  grossolano,  nettampoco  materialismo ed  empirismo,  come  potrebbe  parere  a  tutta prima;  perocché  non  per  nulla  ne'  ricchi  annali  della moderna  filosofia  esistono,  chi  voglia  meditarli  sul  serio, i  Nuovi  Saggi  del  Leibnitz,  la  Critica  della  Ragion  pura e  quella  sul  Giudizio  di  Kant,  il  Nuovo  Saggio  del  Ros- mini, e  qualche  altro  libro  di  questo  genere,  ma  non certo  d' egual  valore.  Fatti  dunque  (ripetiamo  anche  noi co'  Positivisti)  e  leggi  de'  fatti  ;  ma,  aggiungiamo,  la ragione  anche  degli  uni  e  dell'altre. La  filosofia  non  meriterà  titolo  di  positiva,  dove pretenda  procedere  scompagnata  dall'  altre  scienze,  e far  da  sé.  Come  nella  soluzione  de'  grandi  problemi  que- ste non  bastano  a    stesse,  parimenti  non  v'  è  ragione a  credere  che  anche  quella  da  sola  non  abbia  a  soggia- cere alla  medesima  condizione.  Che  se  mossa  da  antico orgoglio  presuma  d'essere  scienza  di  tutto,  per  ciò  appunto eli' abbisogna  di  tutto;  abbisogna  di  tutt'i  fatti, di  tutta  r  esperienza,  del  concorso  di  tutte  quante  le sfere  e  discipline  dell'  lunana  enciclopedia.  Il  perchè  non si  può  dire  in  modo  assoluto  esser  la  metafisica  quella  che generi  le  scienze;  vecchia  pretensione  del  teologismo che  ci  ricaccerebbe  nel  più  fitto  medio  evo:  ma  nean- che si  può  aflFermare  esser  le  scienze  quelle  che,  come altrove  notammo,  possano  di  per    sole  partorire  la filosofia.  A  due  patti  la  funzione  filosofica  riesce  positiva: quando  sia  generata  dalle  scienze,  e  quando,  ge- nerata che  sia  in  qual  si  voglia  modo,  possa  e  sappia come  ogni  produzione  organica  viver  da  sé,  e  far  vi- vere. Non  è  dunque  vero  che  all'altre  discipline  ella porga  principii  e  dispensi  metodi  e  partecipi  criteri.  Riceve anzi  dal  di  fuori  tutte  queste  cose;  ma  per  legit- timarle, organarle,  ricrearle  :  il  che  non  può  esser  rico- nosciuto dal  positivista  conseguente  a    stesso,  senza ch'egli  inciampichi  in  contraddizioni  per  quanto  evidenti altrettanto  inevitabili. Il  terzo  carattere,  conseguenza  da' due  primi,  è questo;  che  concepita  così  la  filosofia  di  fronte  alle  altre scienze,  ella  riesce  positiva,  ma  non  però  cessa  di  posse- dere un  valore  metafisico.  Diventa  metafisica,  non  meta- fisica teologica,    metafisica  a  priori  e  tutta  d'un  pezzo; orditura  dialettica  ideale  somigliante  a  rete  d' acciaio  che stringa,  affoghi  e  strozzi  tutto  ciò  che  tocca  o  ricopre. Diventa  bensì  metafisica  atta  a  costruire    stessa,  ma  in quanto  costruisce  anche  le  scienze;  in  quanto,  in  somma, é  attività  filosofica  d'un'  attività  anteriore,  dell'attività scientifica,  sperimentale,  molteplice,  essenzialmente  ana- litica e  particolare.  Non  é  quindi  lecito  confondere, né  identificare  queste  due  sorgenti  d'attività,  sia  ridu- cendo la  prima  alla  seconda,  sia  facendo  che  questa venga  tutta  assorbita  in  quella.  Evidentemente  con- traddiremmo ad  un  fatto;  contraddiremmo  al  bisogno potente  in  ogni  tempo,  in  ogni  luogo  per  la  speculazione. Perocché  non  è  possibile  (per  dirla  con  le  me- morabili parole  di  Kant)  che  V  uomo  rinunei  alla  metafisica, come  non  rinunzia  cMa  respiratone  anche  con la  paura  di  respirare  uri  aria  malefica. Queste  condizioni  che  noi  poniamo  alla  ricerca  filosofica sono,  quanto  semplici,  altrettanto  positive.  Non  è a  dirsi  eh'  elle  precludano  e  arrestino  in  modo  alcuno  la funzione  critica,  secondo  che  incontra  tanto  ai  nemici d'ogni  sistema,  quant’ai  sistematici  assoluti.  Nel  deter- minare infatti  la  natura  e  '1  fine  della  scienza,  i  primi ci  dicono:  «  non  bisogna  tentar l’impossibile  prefiggen- doci '1  fine  di  conoscere  VinconoscìbUe,  l’assoluto. Ecco posta  al  sapere  una  condizione  essenzialmente  negativa, perchè  contraddice  alla  natura  stessa  del  pensiero  e  dell’attività  critica.*  I  secondi  poi,  cioè  i  sistematici,  sostengono che  la  scienza  non  solo  può  e  deve  attingere r  assoluto,  ma  ha  da  ridurlo  trasparente  così  da  adequarlo, da  conoscerlo  sicuti  esty  altrimenti  vai  come  nulla conoscere.*  Ma  se  cotesto  conoscere  (metafisicamente) il  tutto,  fosse  un  bel  sogno;  non  ne  verrebbe  che  nulla *  I  poBitWisti  credono  anch*  essi  no  fatto  il  bisogrno  specalativo  ;  e come  fatto  noi  negano.  Ma  dopo  aver  distinto  quel  che  in  esso  ?*  ha  di permanente,  cioè  la  presenza  perpetua  dell'infinito  nollo  spirito,  da  ciò che  è  transeunte,  eh'  è  dire  1*  inutile  sforzo  a  risolverò  problemi  per  se medesimi  insolubili,  sogrgiungono :  e  Se  l'Assoluto  è  qualche  cosa,  non  può essere  che  una  realtà. Ora og^ni  realtà  si  conosce  mercè  l'esperienza,  la quale,  del  resto,  non  potendosi  applicare  all’assoluto,  ci  fa  piombare  In un  circolo  senza  uscita.  Dunque  la  metafisica  e  una  fase  tratmtorta  dello spirito  umano (Littré,  Prineip.  de  Phtl.  Posiu  Prófac.)  Innanzi tutto  domandiamo,  se  condizione  permanente  del  fatto,  che  nel caso  nostro  è  il  bisogno  della  speculazione,  ò  la  presenza  nel  pensiero d'un  infinito,  non  sarà  appunto  per  ciò  possibile  una  ricerca  metafisica? Quant'all'inutile  sforzo  poi  non  approda  fondarsi  nella  storia,  non  potendo in  siffatt'  ordin  di  cose  indurre  legittimamente  dal  passato  al  futuro. Finalmente,  quant'al  circolo  senz'uscita,  osserviamo  che  l'assoluto  è  reale, realissimo,  ma  non  di  realtà  sensata  e  tangibile  ;  e  non  è  vero  che  ogni realtà  non  si  possa  altrimenti  conoscere  se  non  per  l'esperienza  ;  errore capitale  del  Positivismo.  Queste  ed  altre  risposte  han  dato  al  Littré  i medesimi  francesi,  specialmente  Janet,  Caro,  Vacherot,  Rénouvier,  Pillon, Reville,  Laugel.  A  noi  piace  rammentargli  un'altra  bella  sentenza  d'un filosofo  poco  fa  citato  non  certamente  benevolo  ai  matefisici:  Una  me- tajinca  è  tempre  enttita  e  tempre  eneterà  nell*  umanità^  perche  etto  ì  ine- rente  alle  invettigagioni  della  ragione  umana  che  epecìda.   Kant,  Critica ddUi  Ragion  Pura^  noli' Introd.  alla  2.*  odiz.  Niente  ni  conosce  te  tutto  non  ti  conotce. SPAVENTA,  Lex.  di  FU. Vrba,  specialmente  nell' /n6  resultato  d'azioni  e  reazioni  fra  il  mondo  fisico  e quello  dello  spirito,  e  quindi  d'  una  doppia  serie  di leggi,  naturali  e  psicologiche,  modificate  dalle  diverse ,  attribuendogli  caratteri  e  valore  non  propri:  avrete  falsato  la natura  delle  scienze  ;  le  avrete  confuse;  ne  avrete  guasta  V  ìndole,  turbando cosi  tutta  r  economia  razionale  del  sapere. Questa  dottrina,  essenzialmente  psicologica  e  quindi  razionalmente positiva,  contraddice,  com'  è  evidente,  alla  distribuzione  enciclopedica de*  sistematici,  per  esempio  a  quella  del  Gioberti  e  di  Beerei  ;  e  nel  mentre racchiude  i  pregi  della  classificazione  de*  Positivisti  inglesi  e  fran- cesi, ne  corregge  insieme  i  difetti.  Ma  i  pregi  e  la  verità  d*  un  criterio ordinativo  non  può  vedersi  altro  che  nelle  sue  diverse  applicazioni,  nelle •quali  non  possiamo  intrattenerci.  Solo  notiamo  che  tal  dottrina  ò  un*  in- terpretazione de*  principi!  psicologici  del  nostro  filosofo,  come  vedremo. *  T.  BuCKLS,  History  of  OivUiMation  in  England . fa  benissimo.  Ma  nella  sua  dottrina  cotal  distinzione  à un'inconseguenza.  La  costituzione  d'una  scienza  muove dalla  ragione  :  la  evoltmone  di  essa,  per  contrario,  è  frutto della  storia.  Or  se  F  una  cosa  non  è  V  altra,  è  da  con- cludere che  la  scienza  è  superiore  alla  storia.  Perchè dunque  compenetrarvela?  D'altra  parte,  non  è  punto  vero che,  vuoi  nella  genesi  ideale  o  psicologica  delle  scienze, vuoi  nella  lor  genesi  storica,  procedasi  dalla  parte  al tutto,  dal  semplice  al  composto,  dal  rudimentale  e  irreducibile al  complesso,  come  vogliono  i  Francesi.  È  vero bensì  che  dal  tutto  si  va  al  tutto,  cioè  dal  tutto  iniziale al  tutto  attuale,  o,  come  direbbe  lo  Spencer  in  suo  lin- guaggio, dall'  omogeneo  slVeferogeneo,^  La  genesi  storica del  sapere,  infatti,  rassomiglia  quella  della  società  stessa: nella  quale  dapprima  i  poteri  dello  Stato,  per  esempio, anziché  distinguersi  fra  loro,  formano  un  potei'e  unico  ; e,  anziché  individui  liberi,  vi  esiste  un  solo  individuo. Parimenti  le  scienze  forman  dapprima  una  scienza  ;  uno le  possiede,  uno  o  pochi  le  insegnano,  come  uno  è  quegli che  comanda.  Però  diciamo  che  la  genesi  storica  di  esse procede  per  tre  momenti  (vecchio  concetto  aristotelico) cioè  :  Sintesi  iniziale  e  confusa,  poi  Analisi,  e  poi  Sintesi finale.  Nel  primo  di  cotesti  momenti  non  s' ha  una  data serie  di  scienze,  come  dice  il  positivista  francese.  S' ha bensì  tutte  le  scienze,  ma  fomite  d' un  carattere  comu- ne ;  il  qual  carattere  sta  nel  comporre  il  sapere  traen- done le  ragioni  da  tutt'  altra  fonte  che  non  è  Y  intimità stessa  dello  spirito.  In  questo  primo  momento,  in  somma, [La  legge  secondo  cui  Spencer  chiarisce  la  sua  teorica  del  pro- gresso con  tanta  sapienza  ed  erudizione  da  lasciar  maravigliata  la  mente d*ogni  lettore,  si  potrebbe  applicare  benissimo  alla  genesi  delle  scienze intesa  storicamente.  Egli,  come  8*ò  detto,  non  ha  fatto  quest'applicazione. Ma  ci  è  da  sospettare  che,  facendola,  rieacirebbe  incompleta,  com’è  incompleto il  principio  su  cui  è  basata.  Il  procedere  daW  omogeneo  alV  ete- rogeneo è  davvero  un  processo  :  ma  è  processo  che  non  risolve,  mancan- doci un  terzo  momento  necessario  a  compiere  il  primo  e  1  secondo.  Oltre questo  difetto,  il  principio  di  Spencer  ha l’altro  di  non  esser  nuovo, anzi  vecchissimo,  perchè  risale  ad  Aristotele:  *Aft  70?^  sv  tw  iffS^C \jncf.p^st  To  vfpÓTtpov,  De  An.  II,  m. lo  spirito  è,  come  dire,  fuori  di  sé,  nella  natura,  nelr  autorità,  e  quindi  la  scienza  è  quasi  indotta;  ma  tale induzione  dapprima  è  affatto  empirica,  naturale,  gros- solana, divina,  direbbe  il  Vico.  Nel  secondo  momento ci  ha  distinzione,  analisi,  astrazione:  e  qui  la  mente, accostandosi  a    medesima,  deduce.  Nel  terzo,  final- mente, il  pensiero  possiede    stesso,  perchè  possiede l'altro:  egli  é  filosofia  perchè  è  scienza;  ed  è  scienza vera  perchè  è  filosofia.  Ci  è  dunque  rispondenza,  ci  è  ar- monia fra  la  genesi  ideale  e  la  genesi  stòrica  della  scienza, non  già  compenetrazione,  come  vorrebbe  Comte. Anche  noi  quindi  crediamo  in  una  legge  di  succes- sione nell'attività  del  pensiero;    respingiamo  una  di- sposizione gerarchica  e  genealogica  del  sapere.  Ma  né r  uua  è  assoluta  filiazione,    1'  altra  è  composizione organica  e  compatta    che  le  scienze  che  seguono  altro non  possan  essere  fuorché  semplici  appendici  di  quelle che  precedono.  È  vero:  il  pensiero  nella  storia  as- sume innanzi  tutto  forma  teologica.  £  quando  accada eh'  egli  abbia  carattere  metafisico,  il  suo  contenuto  sarà sempre  di  natura  mitologica,  religiosa,  tradizionale,  ri- velata, essendo  sempre  un  prodotto  d' autorità.  Appresso riveste  forma  naturale  ;  stanteché  sorgano  le  scienze  le quali,  svolgendosi  com' elementi  particolari  del  papere, si  vanno  liberamente  determinando  con  metodo  appropriato a  ciascuna  di  esse.  In  un  terzo  periodo,  final- mente, piglia  forma  complessa  e  insieme  universale  come nel  primo;  toa  non  più  sotto  forma  teologica,    me- tafisica ed  a  priori,  bensì  filosofica;  appunto  perché  è deputato  a  raccoglier  la  ricca  eredità  accumulatasi  negli antecedenti  periodi.  Or  se  è  vero,  come  dicemmo,  che il  pensiero  è  superiore  alla  storia  tuttoché  emerga dalla  storia,  non  è  men  vero  che  la  speculazione  riflessa trascende  anch'olla  le  scienze,  comecché  dalle scienze  sia  venuta  germogliando.  CJondanniamo  dunque, anche  noi,  la  metafisica  che  si  presenta  com' elabora- zione teologica  riflessa.  Condanniamo,  per  dirla  col  Littré,  quel  punto  di  vista  metafisico  eh' è  trasformaeiane del  punto  di  vista  teologico.  Ma  potremmo  condannare quella  metafisica  eh' è  insieme  critica  e  inveramento del  punto  di  vista  positivo?  In  altre  parole,  condanniamo rìsolutamente  la  metafisica  fatta  a  priori;  ma non  meno  risolutamente  neghiamo  che  la  terza  fase^  il terzo  stato  della  scienza,  abbia  da  esser  positivo  nel senso  che  i  Francesi  tolgon  questa  parola.  Lo  staio positivo  de'  Gomtiani,  afferma  un  giudice  non  sospetto, non  è  che  un'ignoranza  confessata  della  causa:  an avowed  ignoring  of  cause  àltogether^  Ed  è  veramente così.  L'attività  riflessa  della  ragione  intanto  giugno  ad esser  funzione  critica  feconda  e  profittevole,  in  quanto riesce  a  superare  il  positivo  mediante  il  positivo.  Or  è tejnpo  d' interrogare  il  nostro  filosofo. Che  cosa  ci  lascia  indurre  Vico  tanto  riguardo al  concettx)  della  scienza  in  generale,  quanto  rispetto alla  costituzione  e  coordinamento  delle  umane  disci- pline? Rifacciamoci  da  questo  secondo  punto. Ei  non  parla  di  formolo  dommatiche,    d'alberi genealogici.  Anzi  ci  avverte  come  in  certo  senso  la metafisica  abbia  da  esser  subordinata  aUa  fisica;  la quale    per  vero  ciò  che  sperimentalmente  possiamo imitare}  Sennonché  qui  è  da  far  piìi  osservazioni.  Una scienza  è  indipendente  nel  metodo  e  autonoma  nel  pro- cesso. Questo  è  il  nostro  pensiero.  Ma  potrebb' esser '  Sprncrb,  The  daasif.  of  The  Scienc,,  De  Anttq.  hai,  Sap,^  nella  Condunone,  Si  dirà  che  per  lai  la scienza  tovrana  sìa  la  teologia:  ed  è  t ero;  ma  è  sovrana  solo  in  quanto è  la  piil  oerta.  Ora  il  eerto  nelle  sue  dottrine  non  è  il  vero,  ciò  ò  dire un  prodotto  di  ragione,  bensì  un  effetto di persuasione,  un  prodotto di  natura  empirica  inseritoci  nell*  animo  dall*  autorità.  Quanto  egli  poi si  mostri  avverso  alle  scompartÌEioni  sistematiche  delle  scienze,  vuoi nel  senso  pontivteta,  vuoi  nel  senso  metajUieo  dommatico^  può  vedersi  là dove  con  sottile  ironia  parla  de'  Cartesiani  (dommatici  del  suo  tempo) i  quali  unum  Metaphyeicam  «Me  docent  qua  notte  indubium  det  verum^  et ab  eOf  TAKQUiM  a  fontr  teeunda  in  aUa»  teientiae  derivari.»,,  quare  metaphyeieam  eeterie  »eientu9  fundo»^  euique  9uum  aatedere  exietimant.  anche  tale  nelle  sue  ultime  conclusioni?  No,  certo: stantechè  queste,  essendo  di  natura  universale,  hann'  a dipendere  dal  lavoro,  anziché  d^una,  di  tutte  quante le  umane  discipline.  Più  ancora:  potrebb'ella  dirsi  in- dipendente rispetto  alle  condizioni  logiche  e  formali? Nettampoco:  se  così  fosse,  tornerebbe  impossibile  l'unità della  enciclopedia.  Finalmente  si  potrebbe  osservare, con  Spencer,  che  a  sapere  se  i  corpi  esistano  la fisica  non  abbisogni  nuli' affatto  della  metafisica.  Ed è  vero.  Ma  evidentemente  cotesta  notizia,  più  che  ra- zionale, è  notizia  empirica.  Or  bene,  quando  il  fisico volesse  darsi  dimostrazion  razionale  del  soggetto  o della  materia  eh'  egli  ha  fra  mano,  e  cod  legittimare il  postulato  onde  move  il  suo  pensiero,  non  diverrebbe per  ciò  solo  un  filosofo?  Diverrebbe,  io  credo.  Nel processo  della  scienza,  dunque,  v'ha  un  momento  nel quale  il  fisico,  od  altri  che  sia,  non  può  far  a  meno della  speculazione  metafisica.  Se  a  tal  esigenza  egli sappia  e  possa  per  avventura  soddisfare  da  sé,  tanto meglio:  vuol  dire  che,  oltre  d' esser  fisico  e  fisiologo  e geologo  e  simili,  egli  è  anche  filosofo.  Ma  ov'  egli  non senta  questo  bisogno,  con  che  diritti  e  ragioni  disco- )ioscere  ogni  valore  alla  ricerca  filosofica?  Il  vincolo che  tutte  aduna  e  stringe  le  scienze  son  le  norme  logiche ;  la  necessità  logica  che  scaturisce  dall'  intima  costituzione dello  stesso  pensiero.  Intesa  quindi  come  logica, la  filosofia  precede  e  accompagna  le  sfere  diverse  del sapere;  ma,  in  quant'è  metafisica,  ella  tien  dietro  ad esse,  e  ne  é  il  risultato  finale.  E  anche  in  ciò  siamo Aristotelici. Mei.,  Tal  si  è  pure  la  sentenza  del  Vico.  In  questo  senso  egli afferma  che  ninna  geienta  bene  incomineia  »e  dalia  mektfieiea  (logica)  non prenda  i  prineipii;  perchè  ella  ì  la  eeienna  che  ripartieee  alle  altre  i  lor propri  eoggetti;  e  poichi  non  pud  (in  quanto  metafisica)  dare  U  9W>,  dà loro  immagini  del  euo.  Onde  la  Geometria  ne  prende  U  punto  e  V  dieegna  ; VArUmetiea  V  uno,  e  *l  moltiplica  ;  la  Meccanica  il  conato,  e  V  attacca  ai corpi.  (Risp.  al  Oiomale  de^Lett.)  In  queste  parole  parmi  chiaro  T  ufficio della  filosofia,  in  generale,  rispetto  alle  altre  scienze.  Filosofia  è  logica. Veniamo  al  concetto  della  scienza;  ma  gioverà  fare innanzi  tratto  un'  osservazione  storica.  Dicemmo  com'  Vico  sia  tra  Cartesio  e  KAnt,  vuoi  storicamente,  vuoi teoreticamente.  Posizione  puramente  psicologica  è  quella del  primo;  puramente  logica  e  psicologica  quella  del secondo,  la  cui  dottrina  perciò  molto  acconciamente  è stata  detta  Idealismo  crìtico,  o  Criticismo  ideale.  Nella posizione  cartesiana,  avvertimmo  anche  questo,  il  pensiero non  è  altro  che  un  fatto:  la  coscienza  trascendentale di  Kant  poi  tiene  doppio  rispetto;  è  una  e molteplice,  è  diflferenza  e  medesimezza,  in  quanto  importa il  doppio  elemento  formale  e  materiale  nella  cognizio- ne. Ora,  per  quanto  diverse,  queste  due  posizioni  han comune  un  carattere;  quello  d'esser  solitarie,  astratte, puramente  suhbiettive,  e  quindi  insufficienti  ;  nel  che  ci confermerebbe,  s'altro  mancasse,  il  resultato  puramente speculativo  cui  pervennero  le  scuole  diverse  inaugurate da  que'  due  filosofi.  L' analisi  della  Ragion  pura  alla  fin fine  a  che  mai  riesce?  A  metterci  in  guardia  dell'assoluto di  ragione,  rilevandone  i  paralogismi  e  le  antinomie,  e facendoci  assistere  scontenti  e  umiliati  a  quell'inutile ideale  che  ci  rende  immagine,  a  dir  cosi,  dell' acqua  di Tantalo  :  per  cui  s'è  detto  che  l'autore  del  Criticismo,  sempre per  quell'  esigenza  d' un  ideale  rimastogli  in  tronco, scambio  di  chiudere,  apri  anzi  le  porte  ad  una  varietà di  scetticismo,  come  osserva  il  B.  Saint-Hilaire  :  nel  che tutti  convengono,  perfino  Hegel,  il  quale  appunto  con l'idealismo  obbiettivo  e  assoluto  cercò  soddisfare  aU' in- soddisfatto bisogno  della  Ragion  pura.^  Cartesio  poi  dove psicologia,  metafisica  e  simili.  Come  logica  eli*  è  scienza  madre,  in quanto  è  universale  condizione  d*  ogni  disciplina.  Che  poi  in  senso  di metafisica  debba  riguardarsi  come  risultato  finale,  ci  è  avvertito  dnl  medesimo filosofo  dove  accenna  alla  relazione ch’ella  ha,  per  esempio,  cou la  geometria:  Geometria  e  Metaphy$iea  mum  verum  tMccipity  et  aecepttun (e  però  elaborato)  in  iptam  Metaphynctim  refundit.  De  Antiq.y  Giusta  quindi,  per  tal  motivo, l’accusa  fatta  al  criticismo  dallo  stesso B.  Saint-Hilaire:  Kant  a  voulu /aire  une  revolution}  il  na  guère  en/anté qu'iine  anarokie  plue  fatale.  Log.  d' Axist.,  Pref.  si  riduce  egli?  Alla  necessità  d' invocare  il  solito  Deus  ex machina,  tornatogli  insufficiente  il  criterio  delPevidenza e  deir  idea  chiara  e  distinta  ;  senza  dir  già  eh'  egli medesimo  annunziava  il  Cogito  qual  semplice  ritrovato atto  a  soddisfare  il  bisogno  di  sua  mente,  non  già  pel fine  d' insegnare  agli  altri  un  metodo  a  ben  governare il  pensiero  :  seulement  (son  sue  precise  parole)  de  faire voir  en  quelle  sorte  fai  tàché  de  conduire  la  mienne. Nella  posizione  di Vico,  per  contrario,  è  schivato nel  medesimo  tempo  tanto  il  fatto  empirico  di  Cartesio, e  quindi  V  indirizzo  dell' ecclettismo  e  di  quel  timido spiritualismo  che  da  lui  hann'oggi  redato  i  Francesi, quanto  lo  scetticismo  al  quale  pur  tiene  aperto  il  fianco  il criticismo,  nonché  quella  serie  di  posizioni  che,  nate  da Kant,  riescono  all'  Idealismo  assoluto.  Con  qual  mezzo? Con  un  mezzo  semplicissimo.  Col  criterio  del  vero  e  del fatto  ;  ma  elevato  a  dignità  e  valore  di  principio.  L'osser- vazione che  Vico  fa  a  Cartesio  è,  quanto  agevole,  altrettanto efficace.  Neanche  gli  scettici  dubitano  di  pensare, egli  dice:  essi  aifermano  solo  che  del  pensiero  non  si possa  avere  scienza,  bensì  cosdensa}  Ora  il  pensiero  car- tesiano è  un  eerto,  non  già  un  vero;  quindi  ha  natura  di segno,  d'indizio  certo  (rsxfxyj/jtov),  della  cui  certezza  ninno al  mondo  non  ha  mai  saputo    voluto  dubitare.  Di  qui si  vede  come  la  sua  posizione  speculativa  non  istia  già nell'aflFermare  una  verità  di  fatto,    nell' indagarne  l'origine, la  genesi,  la  guisa:  cioè  nel  far  la  critica  del  vero che  appare  alla  coscienza,  perché  sdre  est  tenere  genus seu  formam  qua  res  fiat.  E  si  vede  come  il  criterio  vichiano  del  fare  il  vero  acchiuda  una  dottrina  schietta- mente aristotelica,  eh'  è  dire  la  ragion  vitale  di  quel- *  Yed.  le  bello  riflessioni  del  Rsnottvzkb  in  proposito.  EnsaU  de  Ori- tiqne  generale^  toni.  Il,  part.  3. '  I  difetti  che  nella  posizione  Cartesiana  scorge  il  nostro  filosofo  gli abbiamo  già  riferiti. GIOBERTI non  s'ingannava  nel  dire  che Oarteno  non  ebbe  il  menomo  sentore  de*  teeori  che  n  acchiudono  nel  SUO Cogito.  (Protol.  VOLTI) l'artifizio  logico  secreto,  naturale,  onde  la  mente  nel discorso  rinviene  il  medio  termine.  La  mente  sa  perchè fa:  AtTtov  Sort  vójfjffef  >?  i^épytia}  Or  di  cotesta  attività occulta,  superiore  ed  essenzialmente  eduttiva,  sensisti, scettici,  empirici,  positivisti  non  hanno  coscienza.  Essi ignorano  cogikdionis  causs€e,  seu  quo  poeto  cogitalo  fiai^ *  ilTTff  ff9.ittpòit  OTt  ra  ?ov«p£i  ovra  tiQ  ivspysiav  àva- '^òiJLstfx  gUjOtcxerai.  Airtov  5'ò?i  vónii^  >j  èvipynx.  ÌItt'  $5 ève py  e  loti  >i  Sxivafii^'  xa«  Antiqui^.  ItaLf  Anch'  egli  quindi  è  scettico  la  sua parte:  e  debb' essere,  in  forza  del  suo  medesimo  criterio.  Ritiene  infatti che,  quantunque  la  mente  conosca    stossa,  ignora  nondimeno  la  propria genesi  :  Dutn  «e  mens  cognoscttp  non  facit;  et  quia  non  /acit^  neacit genvs  quo  «e  cognoscit.  Con  la  qual  sentenza  potrebbe  sembrare cb'ei  cada  in  contraddizione  con    stesso;  ma  riflettendo  che  la mente  che  «»  conotce  qui  ya  intesa  non  come  facoltà,  bensì  come  potenza (della  qual  distinzione  ragioneremo  appresso),  la  contraddizione  si  dile- gua. Così  pure  è  da  intendersi  quell'altra  sentenza  ove  dice  che  l'occhio Tede  le  cose,  e  pur  non  vede    stesso;  che  a  veder  so  medesimo  egli abbisogna  d'uno  specchio;  e  però  chiama  insufficiente  l'idea  chiara  e  distinta di  Cartesio.  Dal  tutt' insieme  quindi  possiamo  argomentare  tre conseguenze:    Che  la  posizione  del  Vico  non  è    dommatica    scettica, ma  essenzialmente  critica;  e  Critica  del  vero  per  eccellenza  egli  definisca, ricordiamolo  anche  qui,  la  metafìsica:    Che  a  pervenire  al  sapere  scien- tifico non  basti  il  eerto,  il  fatto,  l'indizio,    il  criterio  che  il  vero  sia il  fatto;  ma  è  d'uopo  che  cotesto  criterio  sia  levato  anche  a  principio: 3"  Che  a  Ini  non  manca  il  nuovo  pensiero,  il  nuovo  Cogito  reoo  bum, come  vorrebbe  Spaventa;  anzi  possiede  chiara  l'esigenza,  per  lo  meno, della  critica  psicologica,  bastevole  a  prevenire  il  Kant.  Dico  esigenza, perché  il  problema  critico  a  lui  si  presenta  sotto  1'  aspetto  isterico,  ciò che  forma  la  sua  novità  ;  e  avvertimmo  come  V  aspetto  storico  importi  già r  esigenza  psicologica.  Se  poi  si  vuol  dire  che  a  lui  manchi  il  Cogit*» nel  significato  di  mediazione  assoluta  e  però  di  perfetta  trasparenza  deWes- aercf  Spaventa  ha  ragione.  Ma  questo  per  noi,  anziché  difetto,  é  pregio grandissimo.  E  qui  il  filosofo  di  Napoli  é  tanto  dappresso  a  quel  di Kcenisberg,  quant' altri  non  s' immagina.  Dommatici  e  sistematici,  hege- liani e  ontologisti  cattolici,  unisconsi  ad  una  voce  nel  battezzare  scet- tico l'autore  del  Criticismo.  Perciò  gli  Hegeliani  credono  compierlo  di- cendo, che  la  Ragion  Pratica  ò  siffattamente  collegata  con  la  Ragion Pura,  che  la  prima  in  sostanza  non  sia  altro  che  l' incarnazione,  il  com- plemento della  seconda,  ma  che  questa  di  per    stessa  inevitabilmente meni  allo  scetticismo.  Io  non  vo'  negar  tutto  questo.  Osservo  solo  che due  sono  i  grandi  concetti  di  Kant:  che  non  si  possa  giungere  al vero  sistema,  alla  dottrina  propriamente  dommatica^  che,  ciò  non Non  si  può  ridire  il  mal  governo  che  s' è  fatto  e  se- guita a  farsi  del  criterio  vichiano.  In  molti  libri  leg- giamo: criterio  del  vero  è  il  fatto;  e  da  tutti  è  stato  inteso  • 0  in  modo  materiale  ed  empirico,  ovvero  in  significato trascendentale  e  assoluto.  Se  così  fosse,  quel  filosofo avrebbe  consacrato,  da  una  parte,  ogni  sorta  d'empirismo e  di  materialismo  ;  e  dall'  altra  avrebbe  fatto  ragione  ad ogni  maniera  di  panteismo.  La  formula  vera,  la  vera  po- sizione della  scienza  e  del  pensiero,  per  lui,  non  è  questa: Criterio  dd  vero  essere  il  fatto  ;  bensì  quest'  altra  :  La conversione  del  vero  col  fatto.  Fra  la  prima  e  la  seconda ci  è  un  abisso  addirittura.  E  per  veder  cotesto  abisso e  ritrarsene,  è  mestieri  penetrar  Bell'insieme  delle  sue dottrine  con  la  luce  del  medesimo  principio.  La  chiave  di volta  d' ogni  positiva  speculazione,  e  quindi  il  vero  Deus intus  adest  della  mente  di  questo  filosofo,  e  però  il  bandolo a  strigar  tanti  nodi  che  avviluppano  il  suo  pensiero,  è  ap- punto cotesto  criterio,  secondo  che  noi  lo  interpretiamo. 11  criterio  ha  da  esser  egli  un  segno,  un  indizio  del vero,  0  piuttosto  un  primo  vero?  Ha  da  esprimerci  un dato,  un  fatto,  o  pur  V  essenza  del  vero,  la  condizione originaria  e  trascendente  del  conoscere? Intendendolo  al  primo  modo,  la  scienza  tornerà  impossibile, e  trionfa  lo  scetticismo  ;  perocché  non  ci  sal- veremo dal  noto  circolo  eh' è  questo:  per  conoscer  la ostante,  non  si  cada  nollo  scetticismo,  appunto  perchè  egli  non  crede che  il  non  esser  sistematici  Teglia  dire  essere  scettici  addirittura. (V.  Critica  dtUa  Ragion  Pura)  Per  me  la  riyoluzione operata  dal  filosofo  prussiano  nel  regno  della  speculazione,  cioè  quanta alla  natura  del  sapere,  sta  tutta  qui.  Il  Vico  in  ciò  lo  prevenne:  almeno era  su  la  medesima  strada.  Quindi  può  dirsi  che  entrambi  condannino le  due  posizioni  esclusiye  del  Si^temaH^mo  e  dello  Soetticinno. verità  è  necessario  il  criterio;  e  per  ayer  il  criterio  è necessaria  la  verità. Pigliandolo  poi  nel  secondo  modo, difficilmente  schiveremo  un  sistema  esclusivo  e  dommatico.  Il  vero  criterio,  dunque,  ha  da  esser  Tuna  cosa  e l'altra;  indizio  e  principio.  Come  indizio,  come  postulato atto  a  conquider  lo  scetticismo  e  inaugurare  la scienza,  e' consiste  nel  porre,  come  si  è  detto,  il  fatto  qual criterio  del  vero  ;    e''  è  altra  via. Come  principio,  sta nel  porre,  dall'una  parte,  la  conversione  del  vero  cól fatto,  e  dall'altra,  come  appresso  mostreremo,  la  conversione del  fatto  nd  vero,  applicandolo  all'  essere  e  a tutte  le  categorie  dell'essere.  Or  in  questa  seconda forma  assume  egli  davvero  natura  di  principio?  Di certo,  l'assume;  giusto  perchè  importa  l'essenzial  con- dizione dell'essere  stesso.  Ma  non  anticipiamo. Abbiam  detto  che  di  questa  dottrina  del  Vico  s'  è fatto  mal  governo.  Mostrammo  già  come  primo  fra  tutti ne  discorresse  il  Mamiani,  e,  poco  appresso, SERBATI. Giova  qui  riassumer  le  ragioni  della  controversia  fra' due filosofi.  Il  Mamiani  accogliendo  questo  criterio,  come  si disse,  osserva  che  con  esso  il  Vico  non  intende  pro- por  nulla  che  esca  da'  termini  della  intuinone  (secon- dochè  allora  diceva  l'A.  del  Rimiovamento),  ma  considerare in  essa,  oltr'  a'  caratteri  universali,  alcune  doti più  particolari,  col  fine  di  proferire  a  un  tempo  medesimo il  criterio  della  certezza,  e  '1  criterio  della  scienza. In  altre  parole  egli  dice:  col  suo  criterio  il  Vico  intende guardare  non  pure  al  formale  della  cognizione,  ma  ezian- dio al  materiale  obbiettivo.*  Tutto  questo  è  vero  ;  ed  è verissimo  che,  tranne  la  natura  fisica  e  quella  degli  atti del  mondo  estemo,  tutt'  altro  pel  filosofo  napoletano  sia produzione  del  pensiero,  com'avviene  dell'algebra  e  della geometria.  È  fuori  dubbio  altresì  che  il  criterio  per  lui non  pure  ha  da  esser  segno  del  vero,  ma  anche  principio. «  Nee  ulla  »ane  alia  patct  via  qua  eeepticit  re  ipaa  convelli  poétit,  niti ut  veri  criterium  9Ìt  id  ip»um  fecitte*  t  De  Antiquisi,  Ttaì, •  ìiAìttAVif  Rinnovdm,  ec, Sennonché  FA.  del  Rinnovamento  non  vide  allora  ciò  che avria  potuto  e  dovuto  veder  oggi  V  A.  delle  Confessioni. Non  vide  che  l'aspetto  originale  di  tal  dottrina  non  istà nel  riguardare  il  criterio  vichiano  qual  semplice  segno  ed inizio  di  scienza,  ma  qual  principio,  qual  legge  dell'es- sere stesso  in  universale.  Laonde  non  avendone  còlto altro  che  il  significato  psicologico,  accadde  che  alla possente  lima  di  Rosmini  non  poteva  tornar  guari  difficile ridurre  in  polvere  cotesto  criterio  al  modo  che  ma- neggiavalo  il  Mamiani.' Se  non  che  è  da  confessare  come  neanche  il  Rosmini dal  canto  suo  valesse  a  cogUere    la  dottrina  in  discorso né  quella  parte  di  vero  che,  con  altrettanta  verità  quanto calore,  propugna  il  Pesarese.  È  noto  che  il  criterio  pel Rosmini  ha  da  essere  un  principio,  e  dev'  esprimere  la verità  prima,  l'essenza  della  verità.  Or  qual  è  l'essenza del  vero?  Eccotelo  ricorrere  al  solito  rifugio  àeW Ente idmle!  Ma  se  cotesta  potrà  dirsi  condizione  di  cono- scenza, non  però  é  principio  di  scienza,  criterio  del  sa- pere per  via  di  scienza.  Che  cosa  potrà  insegnarci  mai con  la  sua  vuotaggine  l'essere  possibile?  l^ou  è  dunque cotesto  il  criterio  di  cui  parlava  il  Mamiani,  e  tanto meno  quello  del  Vico. — Non  potendo  indugiare  in  mi- nute osservazioni  sul  modo  con  che  il  Rosmini  interpreta la  dottrina  di  che  parliamo,  osserveremo  solamente  che sapere  il  vero,  pel  filosofo  di  Napoli,  non  é  solo  un  cono- scere il  vero,  come  vuole  il  Rosmini,  ma  è  porre,  è  fare,  é creare  il  vero;  altrimenti  per  nessun  miracolo  al  mondo giugneremmo  ad  averne  notizia.  Conoscere  per  Vico  non *  RosMiKT,  Rinnovami,  ddla  FU.  in  Ttalia,  Milano. Gioverebbe  Ieg(?ere  in  questo  copioso  volarne  del  Roveretano  qnel  lungo capitolo  e  que*  prolissi  cementi  nonché  quelle  sette  conseguenze  che  la invitta  dialettica  Rosminiana  seppe  cavare  dal  criterio  secondochè  in- tendevalo  il  Mamiani.  A  lui  bastò  congegrnare,  al  solito,  una  di  quelle sue  tavole  sinottiche  nelle  quali  ei  dimostra  di  quanta  e  qual  vena  analitica fosse  ricca  la  sua  mente,  per  metter  Tavversario  col  suo  criterio accanto  ad  Elvesio,  ad  Epicuro  e  ad  altrettali!  Ved.  Tav.  Sinottica  (WSitt. FU.j  intomo  al  criterio  della  cert&ma^  voi.  è  vedere,  non  è  patire,  non  è  semplicemente  appren- dere. È  vedere,  patire,  apprendere,  appunto  perchè  il pensiero  è  essenzialmente  un  conoscere.  In  una  parola, se  il  vero  non  si  conosce  facendolo,  non  si  conosce nuU'aifatto;  non  s'intende.*  Quand' è  infatti  che  di- ciamo di  pensare?  Giusto  quand'abbiamo  idee.  Avere idee  importa  cólligere  dementa  rei;  ex  quibus  perfecHs- sime  exprimatur  idea.  Il  vero  è  l' idea,  ma  l' idea  in- nanzi che  sia  tale:  è  l'idea  germe,  l'idea  potenza,  la stesso  spirito  in  potenza,  il  pensiero  non  per  anche  at- tuatosi come  tale:  in  una  parola  è  il  senso  che  si  leva a  dignità  d' intelletto.  Raccolta  l' idea,  fatta  l'idea,  cioè dispiegatasi  la  meìite,  eccoti  il  vero-fatto.  Mi  si  domanderà in  che  maniera  il  Vico  chiami  esterni  gli  elementi onde  risulta  l'idea?  Perchè,  rispondo,  l'eduzione  del- l'idea suppone  la  formazione  del  concetto;  e  il  concetto suppone  una  serie  di  atti  induttivi  che  appresso  deter- mineremo. Tutto  ciò  è  come  estemo  all'idea;  è  condizione, non  causa  del  suo  processo. Senonchè  col  raccorre  gli  elementi  esterni  la  mente pone  qualcosa  di  proprio:  pone  se  stessa  come  pensiero; diventa  ella  stessa  le  cose  ;  diventa  tutte  le  cose.  Ond'  è agevole  vedere  come  il  criterio  del  Vico  sia  il  princi- pio del  metodo  geometrico,  che  per  lui,  ricordiamoci,, suona  genetico.  Mi  spiegherò  con  un  esempio.  Come si  hanno  gli  assiomi,  le  verità  prime  e  necessarie,  se- condo i  positivisti?  Mercè  1'  esperienza,  risponderebbe il  Mill.  L' assioma  che  due  rette   non  cTiiudono  spazio [Leggere  è  raccogliere  gli  elementi  della  tcriUura  onde  le  parole  tono composte  ;  con  V  intendere  è  COLLIORBB  elbmbnta  RBI,  KX  QUIBUS  PRRrBCTis-31VA  RXPRIMATOR  IDRA. Donde è lecito conghietturare che gl’antichi  ittt- liani  conveniseero  in  queeto  pensiero :  Vbrum  rssr  ipsuv  factum.» Qual  è cotesto  fatto?  È  il  pensiero,  il  vero-fatto:  perchò  ricevuto,  indotto,  rac- colto, e  anche  edotto  dalla  mente.  In  tale  questione  il  nostro  filosofo, contro  il  solito,  non  manca  di  chiarezza.  Egli  infatti  dice:  e  AUora  il  vero 9Ì  converte  col  /atto,  quando  trae  il  9uo  essere  dalla  mente  d^  lo  eonoece  ; HI  QDOD  YERUM  00GNO8CIT0R  SUUM  K8SR  A  MBNTB  HABBAT  QUOQaR  A  QOA cooKosci'TOR.»  De  Antiqui^,,  De  Origine  et  ventate  Scientiaruni.. Sgorga  immediate  dall'esperienza.  Che  se  apparentemente si  origina  dal  pensiero,  cotesto  pensiero  in  tal caso  non  è  altro  salvochè  una  ripetizione  dell'espe- rienza :  è  r  immaginazione  che  allarga  i  limiti  del  fatto. Ma  questa,  evidentemente,  se  è  una  maniera  di  sapere, non  è  il  vero  conoscere;  perchè  cotesto  conoscere  non sarebbe  una  mia  fattura,  sibbene  imitazione,  copia  del- l'esperienza.  Che  cosa,  invece,  vi  direbbe  il  Vico  a  tal proposito?  Direbbe:  non  istate  a  immaginarvi  due  rette portevi  già  dall'  esperienza  e  poi  prolungate  all'infinito: fatevele  da  per  voi  medesimi  coteste  rette.  Ma  come  farle  ? Generandole  entro  voi,  per  voi  stessi,  con  elementi  sperimentali; e  così,  più  che  l' immagine  del  fatto,  avrete  la vera  definizione,  e  però  la  genesi  del  fatto.  Concepite il  punto  come  prolungato  verso  un  altro  punto:  eccovi  la linea.  Or  se  due  rette  hanno  in  comune  due  punti,  po- trann'elle  chiudere  spazio?  Non  potranno.  Questo  pre- cisamente è  il  vero-fatto,  il  vero  da  me  stesso  fatto,  da me  stesso  prodotto,  da  me  stesso  generato.* Per  non  chiamare  il  vero  fattura  di  nostra  mente, il  Roveretano  si  puntella  nel  solito  argomento  de'  caratteri della  verità:  immutabilità,  assolutezza,  eternità, necessità,  università  e  simili.  Ma  ci  sarà  lecito  chiedere  Men«  humana  eontinet  dementa  verorum  quce  digerere  et  eomponere poMt'ti  et  ex  quibu$  dUpontU  et  compoeitie,  exittit  verum  quod  demoiutraiU {teientice)  ut  demontiratio  eadem  ae  operatio  «i/,  et  verum  idem  ao  faetum.  > Ve  Antiq.f  cap.  Ili,  4.    Yale  che  SERBATI,  chiamando  in  soccorso lo  stesso  Vico,  dica,  questi  elementi  esser  le  idee  e  coteste  idee  crearti  ed eccitarti  da  Dio  negli  animi  degli  uomini.  Per  questa  frase  VA.,  della  Scienza iVuova  è  stato  battezzato  Malebranchiano  !  Ma  come  non  vedere  che  in quel  luogo  il  filosofo  intende  parlare  del  senso  dato  a  questa  dottrina  da coloro  che  eteogitarono  tali  locuzioni,  le  quali  ei  non  accetta  perchè  non sempre  accetta  il  significato  delle  parole  latine,  come  osserva  lo  stesso Rosmini  a  proposito  del verum  e  del factum f  Bastino  queste  parole:  e  Par, igitur  eet  ut  qui  ha»  loeutione*  excogitarint,  ideas  in  hominum  animi*  a Deo  oreari  exeitarique  eunt  opinati,  Fa  meraviglia  che  il  Rosmini non  siasi  accorto  come  quattro  righe  più  giù  l’autore  contraddica apertamente  a  Malebranche  {Malebranckii  doctrina  arguitur)  : e  come,  se  fosse  vera  V  interpretazione  eh*  ei  ne  dà,  il  Vico  avrebbe  sciu- pato addirittura  il  senso  verace  e  originalissimo  del  suo  criterio. una  proposizione  d' Euclide  serba  ella  questi  ed  altret- tali caratteri  perchè  ve  li  abbia  inseriti  la  mente  di Euclide  come  tale,  o  non  piuttosto  il  pensiero  medesimo, il  pensiero  in  quanto  è  identico  appo  tutt'  i  pensanti, identico  nelle  sue  leggi  essenziali,  identico  nelle  condi- zioni logiche  originarie?  Nella  proposizione  4 -j-  4  =  8 havvi  necessità.  Perchè?  Perchè  lo  stesso  pensiero ne  ha  messo  gli  elementi. Ma  perchè  vien  fiiora  8  e non  10?  Precisamente  perchè  ci  abbiam  posto  il  4  -h  4: cangiate  questo,  e  avrete  cangiato  anche  quello.  E perchè  serberà  egli  un  valore  universale  tanto  da  non parer  fatto    d' ieri    d'oggi,    intuito  solamente in  Francia  o  in  Australia,  nell'  età  della  pietra  ripolita 0  nel  bel  mezzo  del  secolo  XIX?  Appunto  perchè  il pensiero  è  anch' egli  necessario,  universale  nelle  sue native  condizioni  in  ciascun  individuo  che  in  qual  si voglia  tempo  o  luogo  sia  capace  di  pronunziar  4  -f-  4. Le  critiche  dunque  che  altri  potrebbe  trarre  dal  RoHmini    dov'  ei  si  studia  d' interpretare  a  suo  modo la  mente  del  Vico  rispetto  al  problema  del  conoscere, tornano  tutte  vane,  tutte  manchevoli. Ma  veniamo  al  più  sodo.  Il  criterio  del  nostro  filosofo si  porge  altresì  come  il  fondamento  più  saldo  della dottrina  della  prova.  Nel  conoscere  per  cause,  egli  dice  . seguendo  lo  schietto  Aristotelismo,  sta  la  vera  scien- za: il  che  si  riduce  al  medesimo  criterio  della  conversione del  vero  col  fatto.*  Che  cos'  è  in  sostanza  il provare  per  cause?  Al  solito  è  un  raccoglier  gli  elementi della  cosa.*  Provar  dunque  per  cause,  e  con- vertire il  vero  col  fatto,  suona  il  medesimo.  Un  esem- pio. Il  principe  Alberto,  dice  St.  Mill,  morirà.  Perchè? Non  perchè  tutti  gli  uomini  (egli  risponde)  sian  mor- tali ;  si  perchè  tutti  quelli  a  me  noti  e  che  son  vissuti, *  «  Probare  per  cauMaat  e/Jhere  eat,  Effecttu  eH  verum  quod  eum  facto eonvertitur. (De  Antiq.     }TCx>j,  ri  x  fitriy^o^Tx  ti  ^caviac,  ntpi aiTcaec  xxt  ^px^i  sVtiv,  if  o^xpi^ivripa^,  -il  dn'koìjvripaiy {Mttaph.\,\), Or  questo  precisamente  ò  U  metodo  che  il  Vico,  certo  in  modo  assai confuso,  esitante,  arruffatissimo,  adopera  nelle  sue  ricerche;    quindi il  De  Ferron  s' ò  apposto  male  nel  dichiararlo,  come  vedemmo,  metodo essenzialmente  aristotelico. *  Dice  anzi  così:  H  mio  criterio  i  in  me  aeeieurato  daUa  eeienga  Hi Dio,  eiCl  fonU  e  regalia  dT  ogni  vero.  (Risp.  II  al  Oior.  de^Lett.) eh'  ella  non  possiede,  ma  che  pur  va  con  infinito  pro- cesso e  per  gradi  accostando  sempre  più.  Talché  quando sentiamo  il  metafisico  teologista  e  Tontologista  affermare la  scienza  divina  essere  norma  e  regola  dell'  umano  sapere, mostrando  credere  con  ciò  d'averne  contezza  vuoi per  virtù  d'un  rapido  volo  d'intuito,  vuoi  per  notizia chi  sa  come  e  da  chi  graziosamente  rivelataci,  e'  non dicon  nulla  di  serio,  nulla  di  positivo  addirittura.  Per affermar  tutto  questo  con  tanta  sicurezza,  non  do- vremmo possederla  cotesta  scienza?  Non  dovremmo anzi  dominarla  e  rimaneggiarla  a  nostra  posta  così  come l'agrimensore  fa  del  suo  compasso? Norma  vera,  norma  che  noi  dominiamo  davvero, norma  già  nota  al  mondo  prima  d'ogni  altra,  semplice, evidente,  inconcussa,  è  per  l'appunto  la  matematica. Della  quale  l'A.  della  Scienza  Nuova,  non  altrimenti che  Leibnitz,  GALILEI, BOEZIO, CICERONE, Aristotele,  Pla- tone, Pitagora,  è  grandemente  innamorato,  e  sempre ne  parla,  e  sempre  con  passione  viva  ne  esalta  i  pregi* La  contraddizione  ch'altri  vede  nel  porre  ch'ei  fa  qual modello  del  sapere  or  la  scienza  divina  or  la  matematica, è  affatto  apparente.  Che  nell'un  caso  parla,  o  intende parlare,  deìVidea  massima  della  scienza,  della  scienza  di- vina, la  quale  altro  non  potrà  essere  salvo  che  la  per- fetta conversione  del  Vero  col  Fatto,  la  compenetrazione assoluta  dell'oggetto  col  soggetto.  Nell'altro,  invece,  di- scorre non  già  dell'idea  massima,  bensì  d'un  tipo,  d'una forma  che,  più  d'ogni  altra  accostandosi  alla  prima,  più fedelmente  la  esprima  e  la  rappresenti.  Tal  si  è  per  appunto la  matematica.  Tipo  infatti  del  sapere  squisita- mente razionale  per  lui  è  la  scienza  dell'astratta  quan- tità; tant'è  vero  che  Dio  stesso,  die' egli  in  suo  lin- guaggio, non  altrimenti  opera  nel  mondo  delle  forme reali,  di  quel  che  faccia  il  matematico  nel  mondo  delle figure.*  Questo  parmi  '1  significato  più  acconcio  da  dare Ved.  Risp.  n  al  CHorn.  de'  LetU,  §  IV. a  tal  sentenza  del  Vico  se  non  vogliamo  farlo  cadere  in aperta  contradizione  con  seco  medesimo;  non  già  che  Dio e  la  sua  scienza  abbian  da  esser  davvero  norma  immediata, origine  e  sorgente  del  sapere  umano  1  È  un  para- gone, è  una  figura  e  nulla  più. E  poiché  intende  a  questa  maniera  la  scienza  di- vina, perciò  riesce  a  salvarsi  dagli  estremi  cui  per  vie diverse  rompon  l' idealista  assoluto  e  il  teologista  ontologo.  Pel  primo  scienza  umana  e  scienza  divina  son  tut- t'uno:  pel  secondo  ce  n' è  tal  divario  quanto  fra  il  finito e  V  infinito.  Se  non  che  Rosmini  e  Gioberti  nelle  opere postume,  ormeggiando  gli  aprioristi,  pongono  anch'essi medesimezza  fra  V  una  e  Y  altra  scienza,  distinguendo solamente,  specie  il  Rosmini,  la  materia  dalla  forma,  e questa  reputando  identica,  e  quella  diversa  nelle  due scienze.*  Ma,  s'egli  è  così,  divario  essenziale  non  ci  è, né  ci  può  essere;  stanteché  l'essenziale  nel  conoscere, più  che  nella  materia,  stia  nella  forma.  Invece  secondo la  dottrina  del  Vico  può  dirsi,  che  se  tra  l'una  e  l' altra scienza  non  corra  assoluta  identità,  non  vi  possa  esser nemmanco  assoluta  difi'erenza.  Il  pensiero  divino  co- nosce, perché  raccoglie  gli  elementi;  e  nel  raccorli  reci' meivte  li  pone.  Il  pensiero  umano  va  raccogliendoli  an- che lui,  e  nel  raunarli  idealmente  li  pone.  E  tale  vera- mente appare  la  sua  sentenza    dove  osserva  che  il conoscere  umano  si  discerne  dal  divino  quanto  il  solido dal  piano,  quanto  1'  effige  in  rilievo  dal  monogramma. SERBATI,  Teosofia^  GIOBERTI,  ProtoUy  Altra  difficoltà,  secondo  alcuni  critici,  sarebbe  questa.  Se  vero  sapere è  il  sapere  per  cagioni,  se  conoscere  Tal  produrre,  se  pensare  è  fare  ;  com*  è possibile  arere  scienza  dell*  assoluto  senza  farlo,  senza  produrlo?  Cono- scere Dìo  a  questa  maniera  non  è  un  assurdo?  anzi  una  bestemmia,  a detta  del  medesimo  Vico?    Per  tutta  risposta  io  to*  riferire  alcune  sue  pa- role le  quali  racchiudono,  panni,  il  significato  sincero  di  sua  mente,  chec- ché ne  possa  dire  in  contrario  egli  stesso:    (Hist. )  E  altroTO,  parlando  del  perìodo della  filosofia  greca,  dice  il  suo  processo  esser  e  eon/orme  au  déveloj^- ment  iiUelìeetuel  de  Vhofinne,  don»  Vindividu  eomme  dan»  Veipèoe,  ear  la civili»ation  tend  toujour»  de  la  circonférence  au  oenlre, periodi  storici  perchè  la  materia  si  presta  a  tal  fine, come  farebb'egli,  il  Ritter,  a  rilevare  e  ponderare  acconciamente i  caratteri  delle  differenti  scuole  e  sistemi senza  il  sussidio  d'una  norma  anteriore  e  superiore alla  storia?  Eccoci  ricascati  nella  solita  necessità  d'un criterio  che  valga  ad  imprimere  forma  razionale  alla storia  :  senza  di  che  lo  storico  potrà  esser  pregevole  per erudizione,  prezioso  per  esattezza  storica,  saggio  e  conscienzioso  per  fedeltà  critica,  ma  non  per  questo  avrà valicato  i  confini  dell'  empirismo.  Tale  è  il  Ritter  fra  gli storici  contemporanei  della  filosofia.  Egli  è  critico  sa- vissimo, checché  ne  dica  la  scuola  di  Hegel.  È  interprete coscienzioso,  indipendente,  scrupoloso,  accuratissimo;  ma non  è  filosofo.  A  lui  fa  paura  il  dommatismo  ;  fa  paura il  sistema  nella  interpretazione  istorica  :  e  non  ha  torto. Ma  non  si  può  essere  storico  filosofo  senz*  esser  dom- matico  e  sistematico?  Il  gran  pregio  di Ritter  sta  nel carattere  d' indipendenza  eh'  ei    alle  differenti  scuole. Ma  un  principio  sopra  cui  s'incardini  la  sua  critica,  e gli  porga  ragione  di  tale  indipendenza,  a  lui  manca assolutamente. 11  criterio  mercè  cui  lo  storico  potrà  render  utile lo  studio  della  storia  ed  elevarla  insieme  a  dignità  scientifica, sta  neir  interpretar  la  successione  e  la  genesi  e le  attinenze  de'  sistemi  filosofici  ponendo  in  opera  il  criterio delle  tre  posizioni  che  noi  abbiamo  accennato. Queste  tre  posizioni  (e  altre  non  sono  possibili)  invocate a  chiarirci  nel  magistero  della  critica  e  della  interpre- tazione della  storia,  non  costituiscon  già  un  criterio  empirico, né  un  criterio  d' indole  eclettica;  tanto  meno  un criterio  dommatico,  sistematico,  ricostruttivo.  Non  è  criterio empirico,  perchè  non  sono  i  fatti  storici  (e  nel  caso nostro  i  fatti  storici  sono  i  sistemi  filosofici)  che  lo  partoriscano, 0  lo  spieghino;  ma  egli  stesso  è  che  spiega la  comparsa  delle^differenti  scuole  e  dottrine  filosofiche nel  regno  della  storia.  Non  è  poi  criterio  eclettico  per- chè non  iscaturisce  dalla  storia,    da' sistemi;  anzi  ci fa  capaci  d' interpretar  V  una  e  giudicar  gli  altri  senza esser  sistematici  :  sentenza  che  per  taluno  avrebbe  faccia di  paradosso,  ma  non  è.*  Finalmente  il  nostro  criterio non  è  sistematico,  perchè  non  isgorga  dalle  viscere  stesse di  alta  metafisica,    quindi  importa  ombra  di  necessità dialettiche,  a  priori,  metafisiche.  Ma  qui  dobbiamo intenderci  con  gli  storici  hegeliani. Qual  è  il  criterio  storico  di  Hegel?  È  il  principio stesso  cella  sua  filosofia;  V  identità  assoluta.  Una  infatti per  lui  è  la  filosofia,  uno  il  sistema  ;  e  le  dottrine  par- ticolari non  altro  che  forme  diverse  d'  un  medesimo contenuto.  11  dommatismo  sistematico  nella  storia  de'  si- *  La  H;nola  del  Cousin  scimmiottando  Hegel,  com'è  noto,  Terrebbe far  germinare  la  filosofia  dalla  storia,  o  considera  perciò  come  elementi organici  necessari,  aempiici  e  irriducihili  solo  quattro  sistemi;  Sensismo, Idealismo,  Scetticismo,  Misticismo.  Da  questi  fa  risultare  la  storia  d'ogni tempo  e  ln)go;  o  da  essi  medesimi  vuol  far  germogliare  la  filosofia:  La teoria  deve  emergere  dalla  storia.  [Court  ec.  Ber.)  Or 80  la  storia  in  ogni  grand’età  e  in  ogni  periodo  filosofico  presenta qne  soliti  qiattro  demetiti  organieif  ne  segue  che  la  teoria,  dovendo  pul- lulare appuiÉo  da  essi,  altro  non  potrà  esser  che  un  accozzo  eterogeneo e,  meglio  che  un  eclettismo,  un  sincretismo.  Se  gli  elementi  infatti  sono contraddittorìi  ed  eterogenei,  non  dovrà  esser  tale  altrosì  l’insieme  che ne  verrà  fuom  V  Che  se  per  tale  accozzo  è  mestieri  d*  un  criterio,  eccoci tosto  fuori  della  storia;  e  allora  non  sarà  altrimenti  vero  il  gran  domma che  la  teoria  abbia  da  emerger  dalla  stessa  storia.  Altro  difetto  di Cousin  è,  che  iella  sua  divisione  non  trovan  luogo  parecchi  sistemi,  come per  es.  il  Critclsmo,  e  Y  Idealismo  assoluto:  1’uno  perchè  non  è  sistema, e  nemmanco  icetticismo;  l'altro  perchè,  sotto  il  riguardo  psicologico, sarebbe  l’ unione  di  due  sistemi,  secondochè  avverte  egli  stesso.  Inoltre non  giunge  a  determinar  nettamente  la  fiinzione  dello  Scetticismo  nella storia,  e  distinruerla  dalla  funziono  che  esercita  il  Misticismo,  il  quale definisce,  le  eotf>  ds  désespoire  de  la  raièon  humaine:  quasi  che  il  secondo fosse  un  atto  legativo  cosciente,  com'è  il  primo,  e  non  già  positivo  in qnanto  che  imprta  fede,  contemplazione,  sentimento  e  simili.  Finalmente chi  non  vorrà  legare  p^li  Eclettici  che  il  Misticismo,  il  Sensismo  e  lo Scetticismo  siaio  da  riguardarsi  come  altrettanti  sistemi  V  Ecco  a  che mena  un  criteri)  erroneo  su  la  divisione  e  genesi  de'  sistemi  filosofici. Non  s' intende  h  storia,  e  poi  si  precipita  senza  rimedio  in  una  teoria affatto  sincretici  e  però  assurda. La  storci  della  filosofia  mani/estaf  ne*  vari  sistemi  che  sono  apparsi,  una  sola  i  medesima  filosofia  che  ha  percorso  diversi  gradi,  e  prova che  i  prineipii  particolari  di  ciascun  sittema  non  sono  che  parti  d*  un solo  e  medesimo  utto.  >  (Hbgel,  Log.  Introd. trad.  Vercu  Wilmx, stemi  non  potrebbe  risaltare  più  evidente,  più  rigoroso, più  universale,  più  assoluto.  Noi  innanzi  tutto  neghiamo risolutamente  che  le  vario  dottrine  non  possan  essere altro  fuorché  momenti  diversi  d* una  filosofia.  Dov'è  identità di  contenuto,  a  dirne  un  esempio,  fra  Idealismo  e Materialismo?  Tra  Teismo  e  Panteismo  naturale  o  ideale che  sia?  Ci  vuol  davvero  la  pupilla  lincea  degli  hege- liani a  vedere,  o  meglio,  a  travedere  siffatte  ideatità  di contenuto  !  D' altra  parte,  se  posta  la  evoluzione  della idea  0  contenuto  dello  spirito  ne  seguita  (come  dicono) che  la  filosofia  ha  da  esser  identica  alla  storia:  non  è egli  codesto  un  principio  degno  d' un  eclettico  francese? Non  è  la  negazione  più  aperta,  più  schietta  del  progresso in  filosofia,  meno,  s'intende,  epoca  memoranda in  che  con  la  sua  bacchetta  d'acciaio  il  gran negi-omante  del  Nord  ebbe  diffinitivamente  segnato  e chiuso  in  perpetuo  il  circolo  della  filosofia?  S'egli  è così,  la  dottrina  ^é*  circoli  e  de'  ricorsi  storbi  che  il Vera  dice  esser  l' errore  madornale  della  Sdenzii  NuovOj per  me  sarebbe  anzi  una  conseguenza  logica,  imme- diata, inevitabile  dell'  Hegelianisrao,  almeno  quant'  al pensiero  speculativo.* Hi9t.,  voi.  IH).  La  successione  istorica  de'  sistemi  perciò  riesce identica  a  quella  delle  determÌDazioui  logiche  della  Idea:  il  perchè  in fondo  a  tuttM  sistemi  non  si  occulta  altro  che  un  medesioo  oontenuto. *  Chi  consideri  bene  le  dottrine  e  applichi  con  acciiiatezza  le  esi- genze del  metodo  vichiano  alla  storia  de' sistemi,  si  accorgerà  tosto  corno nella  filosofia,  guardata  storicamente,  ci  abbia  da  esser  moIiipUcità  di  momenti, e,  che  più  monta,  diversità  di  contenuto;  del  che /a  storia  dt'Ila filosofia  greca,  come  accennammo  porge  splendido  esempio. Ma,  si  badi,  ciò  non  toglie  punto  che  ci  abbia  da  esser»,  come  di  fatto ci  è,  differenze  di  forma.  Se  i  ritomi  e  i  rieorgi  «tarici  nm  importassero anche  in  filosofia  un  contenuto  nuovo  pur  occultato  sotto  vecchia  forma, che  cos'  altro  sarebbe  la  storia  del  pensiero  filosofico  salvo  che  an'  og- ;,Mo8a  e  sterile  ripetizione  d'un  medosiuio  uggiosissimo  spettacolo'?  Nella storia  de' sistemi,  più  che  in  altre,  il  moto  e  lo  svolgim4Qto  storico  non somiglia  ad  una  linea  retta,  come  dicono  alcuni,  e  mmmanco  ad  un circolo,  come  pretendono  altri.  La  storia  della  filosofia  3  linea  retta  e circolo  insiememente.  È  linea  retta,  chi  guardi  al  contenuto  ;  ed  è  poi circolo,  chi  consideri  la  forma,  cioè  la  parto  meccanica  do'  fatti;  giacche la  storia,  lo  dicono  e  lo  credon   tutti,  ò  fornita  alch'ella  del  suo Un'  altra  osservazione  contro  gli  Hegeliani  poiché ci  calza.  Se  V  ingegno  filosofico  (quello,  ben  inteso,  de- gl' imperturbabili  e  severi  negromanti  in  filosofia)  racchiude in    tanta  virtù  e  tal  vena  architettonica  da costruire  con  lavorio  tutto  a  priori  il  sistema  della scienza  dell'essere  e  del  conoscere;  la  conseguenza  parmi chiara,  irrepugnabile  :  ed  é  che  la  storia  della  filosofia non  potrà  non  riescire  affatto  inutile  e  insignificante. A  che  sciupar  tempo,  a  che  sprecar  la  nostra  attività critica  a  studiar  ne'  bozzetti  piii  o  manco  smorti  e  me- lensi e  sconci  e  abortivi  che  ci  presenta  la  storia,  se abbiamo  già  dinanzi  agli  occhi  in  marmo  vivo  e  quasi palpitante  il  Davide  e  '1  Mosè?  Dicono:  «  Noi  invo- chiamo la  storia  de' sistemi,  é  vero,  ma  per  semplice  gua- rentigia del  sistema:  la  invochiamo  com' una  riprova  di fatto,  com'  una  conferma  sperimentale....  »  Conferma  di che?  Della  costruzione  a  priori,^  Dunque  codesta  vostra costruzione  è  una  congegnatura  inefficace!  D' altra parte,  se  il  sistema  giace  ascoso  e  beli'  e  apparecchiato nella  storia  e  non  fa  che  germinare  da  essa,  in  questo caso  non  sarà  inutile  la  vostra  costruttura  ideale,  a priori?  Brevemente,  una  delle  due:  La  costruzione  a priori  del  sistema  é  ella  assoluta?  Dimque  è  faccenda inutile  la  storia  de'  sistemi.  Il  sistema  giace  egli  beli'  e apparecchiato  nella  storia?  Dunque  inutile  ogni  alma-  meccanismo.  Ora  dunque  per  noi  il  pensiero  fllosofico  ò  daTvero  progressivo; è  progressivo  sul  serio;  progressivo  noi  verace  senso  della parola  progresso,  appunto  perchè  si  svolge  anche,  e  sopratutto,  nel  suo contenuto.  £  qui,  com*  è  chiaro,  noi  rispetto  agli  Hegeliani  siamo  addirit- tura a:rU  antipodi;  e  non  è  altrimenti  il  nostro  povero  don  Giam- battista quegli  che  non  ebbe  la  fortuna  (sic)  di  scoprire  la  gran Ugge  dd  progredire  della  utnanità,  ma  è  proprio  il  loro  Hegel  cui  toccò la  sventura  (abbiano  pazienza!)  di  non  conoscerla,  anzi  di  negarla  co- testa  legge;  o  almeno,  riconosciutala  da  Talete,  Tha  poi negata  a  tutt*i  secoli  avvenire,  condannandoli  senza  scam(H>  a  ruminare eternamente  la  medesima  formola  metafisica!  Il  concetto  del  vero  prògre99o  è  concetto  propriamente  impossibile  nella  mente  degli  Hegeliani, come  vedremo  nella  Sociologia. MiOHKLiT,  Exam,  Crit,  de  la  Mèi.  d'Arisi.,  Paris] nacchìo  architettonico  dialettico  a  priori.  Nel  primo caso  voi  sarete  altrettanti  Dii;  e  noi  non  v'intendiamo, perchè  confessiamo  di  non  esser  capaci  d' intendere  un linguaggio  e  un  pensiero  sovrumano.  Nel  secondo  poi sarete  eclettici,  o  positivisti;  e  noi  vi  superiamo. Non  v'è scampo.  Se  la  storia  de'  sistemi  ha  da  servire  di  per  sé sola  a  darci  la  filosofia;  se,  d'altra  parte,  la  congegnatura  a  priori  ha  da  essere  assoluta  e  tutta  d'un  pezzo: come  legittimarle  entrambe?  perchè  invocar  la  neces- sità d'entrambe?  Intendo  l'eclettico  che,  non  sapendo rinvenir  filo  d' energia  speculativa  ne'  bisogni  intimi  del suo  pensiero,  viene  a  chieder  soccorso  alla  storia.  Intendo non  meno  il  positivista  che  con  le  mani  sotto  le  ascelle tutto  aspetta  dalla  storia  appunto  perchè  non  ha  briciol di  fede  nelle  native  forze  della  ragion  filosofica,  e  sorride agli  sforzi  ne'  quali  nobilmente  altri  si  prova.  Ma  come potrò  intender  gli  hegeliani  che  invocan  la  storia  nel momento  istesso  che  vantano  la  singoiar  pretensione di  costruir  l' edifizio  scientifico  a  priori  rifacendosi  dal tetto  ? Che  cosa  dunque  è  da  concludere?  Precisamente r  opposto  di  ciò  eh'  essi  pretendono:  che  ne  la  storia contiene  il  sistema,    la  mente  può  costruirlo  e  dedurlo  a  priori.    induzione,  al  solito,    deduzione neanch'  in  quest'  ordin  di  cose.  La  possibilità  d'  una dottrina  metafisica  può  germinare  dall'  azione  combi- nata delle  due  forze;  dalla  storia  de' sistemi  interpretati a  dovere,  e  dalla  energia  intima  del  pensiero  speculativo. Or  tutto  ciò  potrebb'  egli  esser  possibile,  se  questo pensiero  non  fosse  ad  un  tempo  e  dentro  e  fuori  della storia?* Schmidt  divìde  la  storia  de’  sistemi  filosofici  morendo  dal  con- cetto della  filosofia  elio  per  lui  è  teienza  del  fondamento  ultimo  del  nottro pentierOf  e  delV  a$§oluto,  E  poiché  cotest'  obbietto  si  può  concepire  in  tre gaise,  cioè  obbiettivamente,  sabbio ttiv amente  e  neirun  modo  e  nell*  altro riconoscendoli  entrambi  come  identici,  però  ne  deduce  1’opposizione de*  sistemi,  e  la  divisione  della  storia.  La  prima  e  più  generale  divisione è  questa;    filosofia  grreca  ;  2o  filosofia  nuova  avanti  Kant  ;  S*"  filosofia Il  nostro  criterio  non  è  niente  di  tutto  questo.  Non  è empirico,  non  è  eclettico,  non  è  sistematico,  non  è  dom- matico.  E  positivo,  e  razionalmente  positivo.  Ed  è  tale perchè  piglia  di  mira  non  già  i  sistemi  propriamente detti,  anzi  le  posizioni  ultime,  più  semplici,  irreducibili del  filosofare,  squadrandole  sotto  doppio  rispetto;  sotto il  rispetto  della  scienza,  e  del  suo  oggetto.  Le  posizioni possibili  dell'  ingegno  filosofico,  di  fronte  al  sapere  metafisico, dicemmo  esser  tre:  !•  impossibilità  della  metafisica (Scetticismo);    sua  attualità  (Sistema  beir  e  com- piuto); 3»  sua  possibilità  (Critica).  Anche  tre,  dicemmo, le  posizioni  del  suo  oggetto,  cioè  le  possibili  soluzioni  del problema  metafisico.  Dunque  tre  han  da  essere  i  sommi generi  sotto  cui  la  storia  può  venir  adunando,  disponen- do, ordinando  le  dottrine,  gì'  indirizzi,  i  metodi,  le  esigenze speculative  formanti  le  specie  e  sottospecie,  le recente  dopo  Kunt  {St,  della  FU.).  Innan^ù  tutto  questa  è  una  diTisione  essenzialmente  sistematica,  e  riesce  alla  filosofia  dell*  identità:  il che  solo  basterebbe  a  condannarla.  Il  concetto  inoltre  nel  quale  è  fondata •  è  superlativamente  esclusivo;  tanto  cbe  rimaui^on  fuori  del  corso  isterico interi  periodi  di  speculazione  occidentale,  per  non  parlare  della  filosofia orientale.  Così  precisamente  egli  tratta,  per  esempio,  la  scolastica:  la quale,  tuttoché  non  si  possa  dire  speculazione  metafisica,  non  però  cessa d'essere  8peéulazione,quantunque  in  servigio  della  teologia  e  del  domma. K  poi,  come  mai  dalla  filosofia  greca,  con  un  salto  più  che  mortale,  si piomba  a  Cartesio?  Dov*  è  qui,  non  dico  la  verità,  ma  la  realtà  del  processo storico  della  filosofia?  Un'altra  domanda.  Schmidt  pone  Videntìtà come  contrassegno  del  8^  periodo  della  filosofia.  Ma,  con  qual  diritto,  con che  verità  qualificar  tutt*  i  filosofi  di  cui  egli  parla  nel  suo  S"*  periodo  col carattere  dell*  identità?  Come  si  vede,  lo  Schmidt  cade  nel  1*  a  pr»art«mo hegeliano,  ma  senza  far  pompa  de*  grandi  pregi  di  Hegel.  Tranne  V  op- posizione fra'  sistemi,  nonché  la  triplice  maniera  onde  in  essi  è  concepito l'assoluto,  ei  confessa    non  saper  altro  per  via  a  priori  di  concreto,  di particolare  circa  la  storia  delle  scuole  e  delle  dottrine  filosofiche:  doveccbò  Hegel  non  pnr  move  dalla  logica,  come  s'ò  detto,  e  dalle  alture logiche  procaccia  dedurre  i  sistemi  ed  i  momenti  della  storia,  ma  più  an- cora li  costruisce;  li  costruisce  indipendentemente  dalla  storia.  Il  metodo dello  Schmitd,  quindi,  avrebbe  una  parte  accettabile,  un  aspetto  vero; che,  cioè,  r  indagine  storica,  per  lui,  non  riescirebbe  un  di  più  affatto inutile,  come  in  sostanza  dovrebb' essere  per  Hegel.  Se  non  che  cotesto bel  pregio  svanisce,  tostraf«,  appresso  il  vero  metafinoo.  Or  questa  genesi a  cui  egli  accenna,  si  applica  evidentemente  tanto  al  processo  delle  scienze, quanto  a  quello  della  filosofia;  e,  di  più,  risponde  appnntìno  alla  storia e  al  processo  ideale  de' metodi.  I  metodi  per  lui  sono  ìtq  ;V  Induzione^  il Sittogiemo,  il  Sorite.  {De  Antiquiee.)  È  bene  avvertire com'ecfli,  discorrendo  del  Sorite^  sbagli  nell'attnbuire  a  Socrate  quella forma. d'induzione  cui  allude  nel  Libro  metafìtico;  e  non  meno  sbaglia, come  osservammo,  quando  chiama  sillogistico  il  metodo  aristotelico.  Ma questi,  com'  ò  chiaro,  sono  sbagli  di  storia,  inesattezze  di  fatto,  non  già di  dottrina.  Ciò  che  importa  è  che  sin  nel  Libro  metaJUico  egli  sa scorgere  un  vincolo,  un  processo,  e  quindi  un  progresso  fra  le  tre  posizioni metodiche  del  pensiero:  Induzione,  Dedazione,  Eduzione,  rispondenti  alla storia  delle  scienze,  come  a  quella  della  filosofia.  Giova  perciò  intenderci bene.  L' Induzione,  per  lui,  è  un  artifizio  sintetico,  ma  d'indole  empirica; ondo  la  mente  non  facendo  che  raccogliere,  adunare,  procede  dall'effetto alla  causa,  e  quindi  è  analisi,  diremmo,  sintetica.  (Inductio,  pioura  àna- lytica;  Stllooismus,  stntrtioa.  Ved.  De  Conet,  PhUologim)  Il Sillogismo  invece  è  un  artifizio  deduttivo,  è  ainteei  analitica  per  cui  la mente  procede  dalla  cagione  all'effetto;  ma  è  incerto  nel  euo  procedimento  e  però  inetto  a  scoprire  {De  AntiquÌ9$.,  cap.  II,  VII,  4).  Questo  è quel  metodo  eh*  ei  condanna  ne'  Cartesiani,  ed  è  quel  9ÌUogi»mo  debole oÌ79iv'/ì^  i7uXXo7(7]txo;  che  Aristotele  biasimava  in  Platone  (>lna/.  Poet.,!,) Finalmente  il  Sorite,  per  lui,  è  tutt' altro  di  ciò  che  ne  dice  la  logica  or- dinaria. II  Sorite  non  è,  a  dir  proprio,    sintesi,    analisi.  Non  è  ana- lisi sintetica  che  dall'effetto  ealga  alla  cagione,  e  nemmeno  è  sintesi analitica  che  dalia  causa  eeenda  all'effetto.  Invece  è  funzione  che  oofuxitena  caute  con  caute:  Qui  utitcb  borite  gauss  ab  oaussis,  ouiqur  proxi- MAif  ATTBXIT.  {De  AntiquÌ89„  De  certa /acultate  eciendi, )  Perciò  il  Sorite essendo  la  funzione  sillogistica  nella  forma  pid  compiuta,  presuppone  e racchiude  in    l'analisi  e  la  sintesi,  la  deduzione  e  l'induzione,  e  di  fronte a  queste  debb*  esser  superiore  e  posteriore.  Dunque  la  funzione  discor- siva che  egli  appella  Sorite  e  che  pone  nel  terzo  momento  della  storia Se  tutto  questo  che  noi  siamo  venuti  sin  qua  discorrendo è  vero,  quale  ne  sarà  la  conseguenza?  Sarà  che tanto  nella  storia  deUa  filosofia,  quanto  nel  succedersi de'  sistemi,  il  progresso  non  è,  come  ci  predicano  i  posi- tivisti, un'  illusione  de'  filosofi  di  mente  ammalata  e nebulosa,  ma  un  fatto  storico  e  psicologico  ad  un  tempo  ; una  storica  e  psicologica  necessità.  I  diff'erenti  sistemi,  ci dicono  i  filosofi  deW  avvenire^  possono  conferire  al  pro- gresso non  come  cagioni  determinanti,  ma  come  sem- ideale  de*  metodi,  non  è  altro  che  il  processo  ednttiro  di  cai  altrove  abl)iaino  discorso.  Neir  annodar  cau»e  con  carne  sta  V  invenzione  del  termine medio,  e  perciò  la  conversione  dd  vero  col  fatto  (p.  215-46).  Se  non che  talora  anche  in  ciò  egli  si  contraddice  !  ifferma,  per  es.*,  che  V  analisi (la  qaale  abbiam  visto  essere  per  lui  posteriore  alla  sintesi,  e  però,  come artifizio  deduttivo,  posteriore  ali*  induttivo),  sia  il  metodo  puramente  cri- tico de*  Cartesiani  ;  e  non  senza  ragione  lo  condanna,  perchè  esclusivo  e solitario.  Ma  più  volte  poi  dice  esser  tale  anche  il  Sorite;  cioè  un  ar- tifizio puramente  critico  e  analitico.  {De  AnUqxUss,^  Ds Nos.  Temp.  Stud.  Jiat,,  Argum.  RUp,  i*  al  Glor.  de'  Lett.,  §  IV.  --  /?« Oonst.  PhiloL,  Sec.  Se.  Nuo.)  Ma  non  abbiam  vist  ) com'egli  medesimo  ponga  il  Sorite  dopo  Vlnduzimie  che  è  analisi-sintetica, e  dopo  il  Sillogismò  che  è  sintesi-analitica?  Come,  dunque,  se  è  posteriore e  superiore,  potrà  esser  non  altro  che  pura  critica  e  pura  ana- lisi, e  perciò  anteriore  e  inferiore?  Non  è  contraddizione  palpabile  cotestaV A  levar  di  mezzo  siffatti  controsensi,  bisognerà  stare  alla  definizione eh' ei  medesimo  ne  porge  del  Sorite:  funzione  che  concatena  cause  con ca«we,  non  già  effetti  con  causcy  o  eause  con  effetti.  Ella  compenetra,  come dicemmo,  in  un  medesimo  circolo  l'analisi  e  la  sintesi,  l'artifizio  induttivo e  '1  deduttivo].  fe  insomma  il  nwtodo  ch'egli  sposso  appella geometrico  (Risp.  al  Oior.  de'  LcU.).  È,  ripetiamo,  il  metodo ednttivo,  genetico,  il  quale  non  è  geometrico  in  quanto  debba  essere tolto  cosi  com'  è  dalla  matematica,  ma  nel  senso  che  dalla  geometria s'ha  da  pigliar  la  dimostrationCf  cioè  la  guisa  per  far  la  scienza.  Lo dice  egli  stosso;  non  m^hodus  geometrica^  sed  demonsb'otio.  E  dopo  ciò auguriamoci  che  alcuni  suoi  crìtici  non  vorranno  maravigliarsi  più  oltre ch'egli  abbia  voluto  appellar  geometrico  il  metodo  proprio  della  sua Scienza  Nuova!  {i^  Se.  JVuo.).  Uno  de' continovi  lavori  di  questa scienza  d  dimostrare  FIL  PILO....  lo  spiegarsi  delle  idee  umane . Concludendo:  Col  porre  la  genesi  psicologica  de* metodi  e '1  processo isterico  delle  tre  funzioni  metodiche,  il  nostro  filosofo  ci  ha  dato  insieme la  dottrina  su  la  genesi  positiva  delle  scienze,  secondo  l'interpretazione che  noi  altrove  abbiamo  accennato  (p.  230),  e  sopra  questa legge  si  modella  eziandio  la  storia  ideale  della  filosofia^  com'egli  dice,  o la  storia  naturale  de' sistemi  JUoéoJtci.  Sono  germi  cotesti,  io  lo  veggo; ma  germi  fecondissimi. plici  condizioni  del  progredire;  cioè  com' errori  che  si combattano,  e  che  nel  combattersi  a  vicenda  si  correggano. La  contraddizione  qui  è  palpabile  ;  e  non  è  la prima    l'ultima  nella  quale  intoppino  i  positivisti. I  sistemi  filosofici  non  sono  che  errori,  e  pur  si  correggono !  Ma,  so  correggonsi,  in  clie  maniera  saran  tutti un  errore?  È  possibile  correzione  senz'una  parte  di  vero? Or  se  racchiudon  parte  di  verità,  certo  non  avrebbe  a parere  impresa  disperata  poterli  assommare;  per  la semplice  ragione  che  se  la  mente  umana  è  quella  che ha  potuto  partorirli  e  poi  di  mano  in  mano  correggerli, ella  medesima  potrà  venirli  adunando  in  organismo,  nel che,  come  si  disse,  è  necessario  un  criterio  superiore/ Abbiamo  detto  esser  triplice  il  processo  delle  cose governato  da  un  medesimo  criterio,  il  quale  perciò  as- sume valore  di  principio  :  la  Conversione  del  vero  col fatto.  Ora  il  primo  processo  a  cui  è  d'  uopo  fare  cotesta  applicazione  è  appunto  la  storia,  perocché  lo  spi- rito nasce  nella  storia,  e  la  fa.  E  poiché  nel  medesimo processo  isterico  é  racchiuso  il  processo  psicologico  il quale  n'  è  il  fondamento  più  immediato  in  quanto  é  la *  I  sistemi  si  combattono,  è  vero:  essi  rappresentano  il  transito  a verità  ;  e  anche  questo  è  verissimo.  Ma  ciò  fanno  non  tanto  perchè  sono errori,  non  tanto  perchè  lottano,  qaanto  perchè  racchiudono  in    mede- simi un  elemento  di  speculazione  e  perciò  di  verità  metafisica.  In  una parola,  essi  lottano,  ma  non  per  distruggersi  a  vicenda,    per  legittimarsi, e  compiersi.  Giova  ripeterlo  anche  qui:  Positivismo  e  Idealismo  assoluto mancano  del  vero  concetto  del  progresso  nella  storia  de'  sistemi. L*  uno  considerandoli  come  produzioni  fantastiche  della  mente,  crede che  poco  alla  volta  essi  finiscano  per  divorarsi  a  vicenda  senza  verun incomodo  degli  spettatori;  dovecchò  l'altro,  avvisandoli  come  organi  e vegetazioni  d' una  medesima  pianta,  nega  loro  ogni  ulteriore  progresso giunto  che  sia  a  vedere  sbocciato  quel  fiore  nel  quale  sono  contenuti in  atto  rami,  fronde,  foglie,  tronco  e  radici  della  pianta.  Questo  fiore, si  sa,  non  può  essere  altro  che  la  filosofia  dell'identità.  Ora  a  me  pare che,  se  hegeliani  e  positivisti  vorranno  per  poco  tenersi  conseguenti  a  sé stessi,  la  storia  della  filosofia  agli  occhi  loro  non  potrà  essere  altro che  un  caput  mortuum;  sempre  per  la  solita  ragione,  che  gli  uni  hanno intera  fiducia  nella  costruzione  ideale  della  metafisica,  mentre  gli  altri non  ne  hanno  punto,  anzi  la  negano.  Caput  mortuuml    più,    meno. La  logica  è  inesoraWle. stessa  nostra  coscienza,  perciò  la  prima  applicazione di  quel  principio  riguarda  la  genesi  psicologica.  Ma, innanzi  tutto,  che  cosa  ci  dice  la  storia  della  psicologia rispetto  al  problema  psicologico? Capitolo  Quarto. platonismo  e  aristotelismo nel  problema  psicologico. Il  nodo  al  quale per ragioni più o manco immediate si rappicca la soluzione de'  piii  vitali  problemi  delle scienze  morali,  e  stavo  per  dire  anche  quelli  della  me- tafisica, è  il  problema  psicologico,  che  un  moderno  filo- sofo ha  giustamente  appellato  problema  generatore.^ La  psicologia  segue  anch'  ella  una  legge  cui  vediamo soggiacere  ogn'  altra  parte  della  filosofia.  Pigliando  a considerare  il  problema  psicologico  sotto  l' aspetto  teoretico, ci  accorgeremo  tosto  della  possibilità  d' una  dop- pia soluzione,  che  si  riferisce  a  due  sistemi  fra  loro opposti  e  contrari:  i  quali  sistemi,  per  quanto  si  voglian fregiare  di  titoli  vistosi  e  facciano  pompa  di  nomi  pili 0  meno  appariscenti,  ci  rivelano  sempre  alla  fin  fine  l'esigenza del  materialismo,  ovvero  quella  dello  spiritualismo. Se  pigliassimo  poi  a  guardare  il  medesimo  problema sotto  r  aspetto  isterico,  sarebbe  agevole  il  vedere come  quelle  due  soluzioni  mettan  capo  a'  due  maggiori filosofi  dell'antichità,  Platone  e  Aristotele,  ne'  quali  s'im- batte sempre  la  mente  dello  storico  quando  meno  se  '1 crede. Che  se  oltr'  ai  due  massimi  filosofi  di  Grecia  togliessimo ad  esame  anche  la  teorica  psicologica  degl'  insigni rappresentanti  della  sapienza  cristiana.  Agostino ed AQUINO,  i  quali  non  fanno  che  ormeggiare  i  due Fichte,  Doetrine  de  ki  Seienetf  trad.  Grimbl^t,] greci  quanto  le  necessità  del  domma  comportavano, avremmo  beli'  e  fissato  l' obbietto  e  determinato  i  confini della  critica  intorno  alle  principali  soluzioni  date sul  problema  in  discorso,  e  fors'anco  avremmo  tirato  le somme  linee  d' un  intero  disegno  isterico  della  scienza psicologica  fino  all'  età  del  Rinascimento^  I  quattro  filo- sofi menzionati  comprendono  in  germe  tutte  le  posi- zioni psicologiche  possibili,  meno  una;  meno  quella, cioè,  che,  nulla  serbando  di  filosofico  e  di  psicologico, si  riduce  tutta  a  negozio  di  biologia,  come  vorrebbero certi  moderni  fisiologisti. Nella  storia  della  filosofia,  infatti,  avviene  quel  medesimo che  in  ogn'  altr'  ordin  di  cose  morali  :  le  prime tracce  dello  sviluppo,  i  germi  del  processo,  come  germi, s'annidan  tutti  nelle  origini.  Nelle  origini  la  virtù  spon- tanea e  divinatrice  dell'  ingegno  emerge  vigorosa  e  potente così  che  basta  ad  alimentare  i'  attività  analitica di  più  secoli,  ed  eccitar  1'  ansia  e  '1  bisogno  speculativo di  più  e  più  generazioni.  Le  origini .  riflesse  della  spe- culazione occidentale  pongono  lor  prima  radice  nel  pensiero greco;  massime  in  quel  perìodo  in  cui  Platone  e Aristotele  rappresentando,  per  così  dire,  1'  analisi  in cui  sdoppiossi  e  ingagliardì  la  sintesi  socratica,  giun- gono a  toccar  l'apice  della  riflessione  metafisica  sotto duo  forme  distinte;  distinte  nell'idea,  diverse  nella forma  e  anco  nello  stile,  ma  atte  ad  integrarsi  e  compiersi a  vicenda.  Il  vivente  storico  inglese  della  Grecia ha  detto  che  la  speculazione  europea,  nonché  gran parte  dell'orientale,  altro  non  sia  stata  in  sostanza fuorché  un  commentario  intricato  e  perpetuo  de'  due massimi  filosofi.  A  compiere  il  concetto  avrebbe  potuto •e  dovuto  aggiugnere  che  in  cotesto  commentario,  in cotest'  analisi,  tanto  più  evidente  appare  il  progresso, quanto  più  intenso  é  lo  svolgersi  delle  dottrine,  e  più fitto  e  più  variato  il  succedersi  delle  scuole.  Chi  dunque pigliasse  a  far  la  storia  critica  del  Platonismo  e dell'Aristotelismo,  e'  sarebbe  già  in  grado  di  far  la  sto- ria  della  filosofia:  in  cui  lo  scetticismo  avrebbe  quella funzione  e  queir  ufficio  che  gli  spetta;  ufficio  senza  fallo assai  rilevante,  ma,  come  dicemmo,  di  semplice  stru- mento più  che  d' artefice;  funzione  di  mezzo,  d' espediente, d'incentivo  piii  che  d'elemento  vitale  della  scienza. Se  infatti  v'  ha  cosa  nella  quale  consentano  appieno i  due  massimi  filosofi,  è  questa:  che  il  concetto  del  sa- pere, del  sapere  per  via  di  scienza,  debbasi  appuntare neir  universale,  stante  che  dall'  universale  possa  emer- gere unicamente  la  possibilità  della  metafisica. Ecco  perchè  tale  possibilità  è  già  beli'  e  dimostrata, s' altra  prova  mancasse,  dal  fatto  storico,  dalla  storia della  filosofia.  Ecco  perchè  lo  scetticismo,  siane  qualunque la  forma,  è  distrutto,  o  meglio,  è  ridotto  al  suo legittimo  valore,  dall'esistenza  atessa  e  dallo  svolgimento cui  son  venuti  soggiacendo  il  Platonismo  e  l'Aristotelismo. Ed  ecco  perchè,  ripetiamolo,  questi  due  grandi  sistemi racchiudono  un  significato  supremamente  comprensiva per  due  rispetti  diversi,  l'uno  storico  e  l'altro  teore- tico, e  per  due  diverse  ragioni  altrove  accennate. Sul  carattere  precipuo  del  Platonismo  ci  sarebbe  a sperare  che    critici,    storici  qund'  innanzi  avessero a  discutere  più  oltre.  Volumi  in  foglio  scrissero  antichi e  riscrissero  moderni,  sia  per  determinare  il  concetto platonico  del  Bene,  sia  per  isgroppare  que'  tanti  viluppi su  la  natura  delle  idee,  sia  per  ispecificar  l' attinenza peculiare  fra  esse  e  Dio,  o  per  lumeggiare  il  processo della  dialettica  e  chiarir  la  forma  verace  del  metodo filosofico  platonico,  o,  finalmente,  per  additare  il  rap- porto fra  '1  pensiero  e  l' obbietto  sovrassensibile  di  esso. Pare  che  i  più  oggi  consentano  a  ritenere,  il  distintivo platonico  star  nella  teorica  dell'  esemplarismo,  e  quindi nella  dottrina  (vera  o  no  che  sia)  delle  idee  avvisate oom' eteme  conoscibilità,  e  com^  eterne  e  assolute  specie delle  cose,   11  che  tanto  più  avrebbe  a  parer  vero,  in ^Ytìov    wjTTioòc    To  (zé^iov    (iTxpct^ityt/y.)   iS\tntv.    Tm. Cfr. quanto  che  il  punto  attorno  a  cui  s'aggira  la  critica dello  Stagirita  sta  tutta  qui:  Videa  non  pure  esser Buperiore  alle  cose,  ma  tutta  al  di    e  tutta  al  di  fuori delle  cose.    le  tre  scuole  d' interpreti  che  hanno  a capo  Herbart  Hegel  e  Bitter,  e  che  in  Germania  oggi dividonsi  '1  campo  della  critica  sul  significato  essenziale e  speculativo  de'  dialoghi  platonici,  dissentono  guari  in- torno a  cotesto  particolare,  quantunque  tutt'  e  tre  rie- scano a  dissidii  profondi  nell'  applicar  la  critica  non tanto  erudita,  quanto  d'interpretazione  filosofica. Difficoltà  pili  gravi  porge l’Aristotelismo;  col  qual nome  intendo  abbracciare  tanto  Aristotele,  quanto  la interminabile  tratta  de' suoi  commentatori.  Queste  difficoltà senza  fallo  tengono  all'  indole  stessa  della  dot- trina aristotelica,  all'esser  eUa,  per  così  dire,  bifronte, racchiudendo  i  germi  di  due  contrarie  ed  opposte  dire- zioni speculative:  cosa  che,  ove  non  fosse  universalmente riconosciuta,  basterebbe  a  comprovarcela,  s' altro  man- casse ,  la  critica  che  neanc'  oggi  ha  smesso  e  certo mai  non  ismetterà  la  speranza  di  porre  in  accordo  lo Stagirita  con    medesimo.  Eertanto,  riconosciuta  l' ambiguità e  r  indeterminatezza  del  sistema  aristotelico  nonché il  difetto  d' impasto  omogeneo  in  parecchie  sue  teoriche; considerato  come  Aristotele  uscito  del  tirocinio platonico  dovea  serbare,  come  serbò  evidenti,  alcune tendenze  già  inseritegli  nell'  animo  dalla  viva  e  potente e  drammatica  parola  di  chi  seppe  concepire  e  scrivere il  Protagora  e  '1  Filébo;  tenuto  conto  sopratutto  del- l'opposizione  gagliarda  e  severa  ch'ei  mosse  contr'al maestro;  e,  finalmente,  considerato  lo  svolgersi  così  va- rio, così  intricato,  così  opposto  ne' suoi  resultamenti cui  r  Aristotelismo  andò  «oggetto  attraverso  civiltà  diverse, tempi  diversi,  luoghi  divedi :  non  avrebbe  a  parer Stallbacm,  ne*  ProUgom,  al  Parmenide di VELIA, SERBATI,  Aritt.  eep. ed  esam.f  Introd. Zkllbr,  DeU^  espogiz.  aritt,  della  fil,  di  PUxtone, c.  rV. Tbbndelsnburo,  Plut.  de  id.,  Mabtik,  Éhui.  mr  le Tim.,  Àrgom,  CousiN,  Du  vrai,  du  beau  et  du  bien,  loz.  IV. troppo  ardito  T  argomentare,  come  dal  tatt'  insieme  delle sue  teoriche,  in  ispecie  dalle  tendenze  molteplici  degli esegeti  d'ogni  età,  cotest' indirizzi  devan  essere  tre,  me- glio che  due.  De'  quali  indirizzi  noi  chiameremo  il  primo ip&rpsicólogko;  il  secondo.  Triturale  oàempirico;  e  il  terzo medio,  ovvero  aristotelico-platonico  propriamente  detto. Dal  significato  stesso  di  queste  parole,  ognuno  s'accor- gerà come  il  nostro  criterio  diflferenziale,  e  la  divisione riguardante  gì'  indirizzi  della  dottrina  aristotelica  nonché le  diverse  esegesi  a  cui  elle  conducono,  sia  per  noi principalmente  di  natura  psicologica;  e  non  può  non esser  tale.  Aristotele,  infatti,  non  cessando  d' essere Aristotele,  è  anche  mezzo  platonico.  Un  criterio  diflFerenziale,  dunque,  circa  le  dottrine  de'  due  filosofi,  non potrebb' essere  attinto  in  altra  sorgente  salvo  che  in quella  della  psicologia,  dove  appunto  riluce  piii  netto il  dissidio,  checché  ne  dica  il  Ravaisson,*  tra  i  due filosofi  della  Grecia.  D' altra  parte  cotesta  nostra  divi- sione non  solo  si  porge  come  criterio  a  discemere  e giudicar  le  diverse  scuole  aristoteUche,  ma  ci  sommini- stra modo  altresì  per  valutare  l' esplicazione  storica  del Platonismo  al  lume  di  quel  terzo  indirizzo  che  noi  pensatamente abbiamo  appellato  medio.  11  quale,  se  con  gli altri  due  l' abbiam  detto  aristotelico,  non  è  meno  platonico perciò.  Cotesto  indirizzo  medio,  infatti,  non  è  ori- ginario, ma  secondario.  Non  è  nato  fatto,  ma  capace di  farsi,  di  generarsi,  d'assumere  fattezze  proprie  e fisonomia  sempre  più  individuale  e  spiccata  nel  corso della  storia.  Però  più  d'uno  storico  della  filosofia  ha paragonato  1'  Aristotelismo  e  '1  Platonismo  a  due  fiumi che  risalgono  verso  due  sorgenti  diverse;  e  meglio avrebber  detto  due  correnti  distinte  d'  un  medesimo fiume,  le  quali,  scorrendo,  sempre  più  si  rimescolano e  conifondono  per  entro  a  un  medesimo  alveo.  Nel- r  Aristotelismo  quindi  ci  è  il  Platonismo,  o  meglio  ci *  E9$ai  de  Ifitaph,  d'  ÀrUt,  Tom.  I,  Introd.  p.  Y. è  germi  di  due  maniere  di  Platonismo,  legittimo  e spurio.  Il  Platonismo  spurio  in  sostanza  è  Arabismo; e  la  cagion  prossima,  X  origine  immediata  di  esso  non risale  già  alla  dottrina  platonica,  come  altri  ha  creduto cogliendo  a  frullo  qualche  sentenza  qua  e    sparsa ne' dialoghi  del  filosofo  ateniese;  ma  risale  al  medesimo Aristotele;  e  ciò  per  due  diverse  ragioni.  La  prima delle  quali,  come  ha  osservato  un  illustre  storiografo,* si  radica  nell'opposizione  che  lo  Stagirita  ingaggiò  con- tro il  maestro  ;  e  questa,  più  che  cagione,  noi  diremmo sia  stata  occasione,  incentivo  alla  dottrina  averroistica. La  seconda  poi  vuoisi  riferire,  come  toccammo,  all'indeterminatezza e  ambiguità  della  stessa  dottrina  aristotelica su  l'intelletto;  tant' è  vero  che  Alessandro d'  Afrodisea,  intendendolo  in  parte  sotto  l'aspetto  empirico, potrebbe  aver  fatto  più  sdrucciola,  per  parte  sua, la  strada  all'Averroismo.'  Se  dunque  tale  è  l'Aristo- telismo di  fronte  al  Platonismo,  si  può  dire  che,  ove  altri pigliasse  a  far  una  storia  compiuta  del  primo  conforme al  criterio  che  noi  diciamo,  farebbe  anche  la  storia del  secondo,  cioè  del  Platonismo  vero,  del  Platonismo legittimo,  appunto  perchè  nell'uno  e' è,  anche  1'  altro, ma  corretto,  o  a  dir  meglio,  compiuto  per  più  d'un rispetto.' Ora  che  i  tre  indirizzi  non  siano  per  avventura  tre fantasie  del  nostro  cervello,  potrebb'  apparir  manifesto dalle  sentenze  diverse  che  noi  potremmo  agevolmente venir  adunando  nel  medesimo  Aristotele,  se  potessimo, anche  a  far  bella  mostra  di  peregrina  ma  non  difficile erudizione,  ingolfarci  in  esami  di  esegesi  minuta  e  par- ticoleggiata,  e  se  il  Rosmini  non  avesse  già,  meglio  che *  Renan,  Averrhoé»  et  VAverr.^  pag.  42. *  Ravaisson,  Bonghi  parlando  della  metafisica  d'Aristotele  osserva,  c^  tutti qtianti  %  »Ì9temi  fino  a  Carteno  ei  »%  »ono  tpecehiati  dentro^  e  ci  hanno jwù  o  meno  riconoeciuto  il  proprio  vieo,  (Lett.  al  Rosm.,  Trad.  della  Me- taf.i).  Nourisson  dice  fino  a  Leibnitz.  {Tabi,  de»  progrU,  ec., 2*  ediz,  1S59  nella  Condu$,)  Perchè  non  dire  fino  ad  Hegel  addirittura? ogn'  altri,  posto  in  sodo  con  maniera  davvero  magistrale r  esistenza  nello  Stagirita  de'  due  primi  indirizzi.  Ma una  prova  più  chiara  potrebbe  averla  chi  guardasse al  modo  con  che  sonosi  venute  svolgendo  e  diramando e  poi  intricando  e  vie  più  ravviluppando  fra  loro  le  va- rie scuole  aristoteUche  non  solo  per  tutte  quelle  dieci età  che  il  nostro  Patrizi  distingue  nella  storia  degli esegeti  aristotelici,  ma  eziandio  per  tutto  il  periodo che  corre  dall'  epoca  del  Rinascimento  fino  agli  ultimi critici  tedeschi  hegeUani  e  non  hegeliani,  Michelet, Pranti,  Zeller,  Trendelenburg.  Da  Teofrasto,  per  eserapio,  a  Stratone  di  Lampsaco  incomincia  a  prevalere di  già  r  indirizzo  naturale,  pigliando  forma  sempre  più empirica  di  guisa  che  si  potrebbe  dire  non  v'essere stacco  assoluto  fra  questo  indirizzo  aristotehco,  e  quelle scuole  che  vi  tenner  dietro,  segnatamente  l'Epicurea e  la  Stoica.*  11  Nominalismo  del  medioevo  che SERBATI più  acconciamente  appellerebbe  Bealisfno  aristotelico, nonché  il  naturalismo  d'alcuni  peripatetici,  ci  palesano  anch'  essi  l' indirizzo empirico.  '  I  Positivisti,  finalmente,  credono  anch'  essi oggidì  potersi  agganciare  allo  Stagirita,  ne  in  verità avrebbero  gran  torto  se  troppo  facilmente  non  dimen- ticassero come  accanto  all'Aristotele  positivista  ci  sia un  Aristotele  filosofo  anzi  metafisico  propriamente  detto. D'altra  parte,  il  Neoplatonismo  e  più  l'interminabile serie  dei  commentatori  arabi  o  arabeggianti  che  smarrivansi  in  quella  grossolana  forma  di  panteismo  ])sico- logico  annidatasi  nella  dottrina  dell'intelletto  agente così  balordamente  interpretata  in  Aristotele,  non  ci palesano  schiettissimo  l'indirizzo  iperpsicologico? Fra  questi  estremi  quanto  evidente  nella  storia  al- [Ravaisson.  SERBATI,  ArUu  eiip.  ed  etam.y  Introd.  Roussblot,  Étud^ tvr  la  Phil.  dan»  le  moì/en  àgef  l» Saint-RinÌ  Taillak> DntB»  Seot  Erigene  et  la  Phil,  Seolwtt.,  CousiN,  Fragni,  de  PkiU du  fnoyen  Age, [trettanto  necessaria  in  teoria  è  la  posizione  mediana. Ella  si  studia  porre  nn  accordo  fra  l'esigenza  fondamentale del  Platonismo,  e  quella  dell' Aristotelismo;  fra  l'uni- Tersale  in  sé,  e  Y  universale  anche  nel  mondo.  Se  non che  è  facile  vedere  come  questa  posizione  abbia  a  ren- dere immagine,  diremmo  quasi,  del  ferro  magnetico  il quale  senza  posa  oscilla  fra  mezzo  al  polo  positivo  e al  polo  negativo.  Tale  davvero  è  l' indirizzo  medio,  un ferro  magnetico  :  per  cui  non  è  impresa  agevole  stabilire, per  esempio,  se  certi  realisti  e  certi  nominalisti dell'  evo  medio,  de'  quali  il  Rosmini  con  l' usata  pazien- tissima industria  andò  scovando  più  e  diverse  famiglie, sLin  da  dichiararsi  aristotelici  meglio  che  platonici.  L' indirizzo  medio  nelle  dottrine  filosofiche,  massime parlando  di  Platonismo  e  d' Aristotelismo  avvisati  nel loro  svolgimento  istorico,  spicca  per  questo  contrassegno: d'  esser  la  molla  maestra,  per  così  dire,  del  progresso nello  sviluppo  del  pensiero  speculativo.  Or  s'egli  è tale,  non  debb'  esser  rappresentato  da  que'  filosofi  che Pretendono  alcuni  storici  ctie  il nominalismo  non  dlfForìsca  punto dal  Concettualismo  (per  es.  il  Cocsin,  (Euvres  cT Abelardo  Introd., in  ciò  confutato  meritamente  da SERBATI,  Atìm,  ec.)  Meno  a?7entato  degli  altri  il  Roverotano  si  contenta  designare  il  secondo  com*  una gpecie  del  primo.  E  sia  pure.  Ma  se  fra  Tun  sistema  e  T  altro  non  fosse alcun  diyario,  dovremmo  porre  in  un  fascio,  non  diciamo  con  quanta  ve- rità, i  nomi  di  Roscellino,  di  Guglielmo  di  Champeaux  e  d'Abelardo? Per  noi  la  differenza  delle  tre  direzioni  filosofiche  medievali  è  precisa- mente quella  che  esiste  fra  le  tre  posizioni  dell'  universale  rispetto  alle cose  :  ante  rem,  in  re,  poH  rem.  Non  dico  già  che  tra  Nominalismo  e  Concettualismo corra  quel  medesimo  divario  che  pur  troppo  intercede  fra  essi presi  insieme,  e  quella  specie  di  Realismo  per  cui  si  distingue, 'per  es., Anselmo  d*  Aosta.  Ma  la  differenza  è  pur  evidente,  essendoci  differenza, parmi,  tra  V  ammettere  e  'I  negare  Vunivenalenel  concetto.  Checche  se  ne dica,  la  scuola  di  Roscellino  è  nominale  pura.  Quella  di  Guglielmo  di Champeaux  è  schiettamente  realista.  Ma  un  barlume  di  vero  progresso nella  scolastica  traluce  nel concettualismo.  Esso  ci  rappresenta,  almeno compera  possibile  in  quell'età  e  in  quelle  condizioni  della  scienza,  l'indirizzo aristotelico  medio.  Il  Concettualismo  è  tanto  superiore  al  Nominalismo, quanto  Io  spirito  all'esperienza,  -le  idee  ai  fatti,  il  senso  al pensiero.  Il  Rimuaat  e  il  Nouritaon  han  saputo  rilevare  a  meraviglia  i meriti  di  questo  indirizzo  nel  periodo  scolastico.  (Abìlakd,  Tahleaux  de»  progrì») la  critica  non  radamente  finisce  per  battezzare  con  titoli diversi  e  disparati  e  talvolta  anche  opposti,  non  altri- menti che  gli  zoologisti  adoperano  riguardo  a  certe specie  zoologiche  le  quali,  in  via  di  formazione  specifica, non  possiedon  per  anche  caratteri  netti,  spiccati e  ben  determinati?  Tal  si  è  agli  occhi  nostri,  per  dire un  esempio,  Afrodisio;  il  quale,  tuttoché meritasse  titolo  di  secondo  Aristotele,  ninno  però  vorrà dichiarare  schietto  aristotelico.  S'egli  infatti,  combatte la  dottrina  atomistica  degli  Epicurei  nonché  quella delle  forme  seminali  degli  Stoici,  é  questa  una  buona ragione  perché  non  sia  detto  seguace  dell'  indirizzo  ari- stotelico empirico.  E,  inoltre,  se  contro  Avveroé  piglia a  corregger  la  dottrina  dell'  intelletto  possibile,  ciò  dimostra com'  ei  non  sia  nuli'  afiatto  un  iperpsicologista, e  per  la  stessa  ragione  non  é  a  confondersi  co' puri platonici.  Che  se,  finalmente,  opponendosi  allo  stesso Aristotele  procaccia  dimostrare  come  la  specie  anziché nell'individuo  sia  nel  pensiero,  con  ciò  si  manifesta  chia- ramente seguace  dell'indirizzo  mediano.  L' Afrodisio dunque,  se  potessi  designarlo  così,  sarebbe  il  concet- tualista per  eccellenza  fra  gli  esegeti  ellenici,  e  quindi potrebbe  rappresentarci  l'antecedente  ideale  del  Con- cettualismo mediqevale.  Egli  per  primo  nella  storia  dell' Aristotelismo  ci  esprime  il  bisogno  d' accordare  le  due opposte  direzioni  aristoteliche,  restando  egli  stesso  aristotelico, e  però  non  arabo,    sensista.    Si  potrebbe facilmente  dimostrare,  se  qui  fosse  luogo,  che  il  mede- simo indirizzo  ci  esprime  e  la  medesima  funzione  eser- cita san  Tommaso  nel  medioevo;  talché  nell'età  medioevale AQUINO rappresenta  ciò  che  l' Afrodisio fra'  primi  commentatori  greci.* *  Parlando  d’AQUINO  BONGHI  dice:  Quello  che  m'ha  fatto molto  maravigliare,  e  di  cui  non  mi  $on  reso  cofUo  pienamentef  come •'  accordi  in  tanti  luoghi  coW  A/roditeo^  tema  perft  citarlo  mai,  ìé  accordo ^  tale  che  non  pud  ewer  casuale.  (LeU.  al  Rosm.)  È  vero, AQUINO  non  conoscerà  che  di  nome  rAfrodisio.  Lo  conosceva  per mezzo  d*A7erroé;  eppure  tanto  spesso  trovasi  d'accordo  con  lui  neir  in- Altri  esempi  più  spiccati  potremmo  averli  nel  Ri- nascimento; esempi  di  filosofì  che  a  tutta  prima  non paiono  stare    di  qua  ne  di  là.  Tali  per  noi  sono,  a dime  questi,  PORZIO, ZABARELLA, LAGALLA, CASTELLANI; e  non  esiteremmo  annoverarvi  anche  il  Sessano, come  quegli  che  finì  per  combatter  l'Averroismo  e dar  molto  da  pensare  a'  seguaci  dell'  indirizzo  empirico fra'  quali  in  cima  a  tutti  siede  il  Pomponazzi  *  Che  se  il Patrizzi  e  più FICINO,  fra  gli  altri,  si  palesano  schietti neoplatonici,  cotesto  lor  platonismo  non  va  certamente confuso  con  l'Arabismo.  Anche  noi  crediamo  che  certi Platonici  e  certi  Peripatetici  arabeggino  la  lor  parte, e  tanto  s'assomiglino  fra  loro  quanto  due  gocciole d'acqua.  Ma  perchè  pretendere  porli  in  un  mazzo? La  lor  mente  muove  da  sorgive  diverse;  così  che,  in- terpretando a  lor  modo  Aristotele  e  Platone,  gli  uni spesso  vaporano,  come  s' è  detto,  in  una  forma  confusa di  panteismo  psicologico,  in  mentre  che  gli  altri  svo- lazzano sì  da  restare  immersi  e  balordicci  in  mezzo agli  splendori  d' un  misticismo  il  quale  se  non  è  panteismo poco  ci  corre.  Arabismo  quindi  non  è  Plato- nismo; 0,  se  si  vuole,  è  i)  fiacco,  è  il  grossolano  Plato- nismo venuto  fuori,  come  to^tommo,  attraverso  la  critica male  interpretata  d'  Aristotele  contro  il  suo  maestro. Se  dunque  la  storia  dell'Aristotelismo  è    pronta  a mostrarci  incarnate  nelle  sue  scuole  tre  diverse  tendenze, ciò  vorrà  dire  più  cose.  Vuol  dire  che  queste  tre  tendenze debbono  esistere,  ma  esistere  come  in  germe  nelle  dottrine e  nella  mente  stessa  del  Caposcuola. Vuol  dire terpretare  il  JUo$ofo,  che  davvero  tale  consenso  non  può  esser  ccituale. Quale  n'  è,  dunque,  la  ragione?  BONGHI  non  ne  avrebbe  fatto  le  mera- viglie se  avesse  pensato  eh*  eran  tutt'  e  due  nel  medesimo  indirizzo,  nel- r  indirizzo  aristotelico  mediOf  per  quante  possano  esser  le  differenze. Molti  filosofi  italiani,  che  d'ordinario  sono  mossi  iu  fascio  con POMPONAZZI 0  con  gli  schietti  averroisti  ovvero  co'  puri  platonici  (come appunto  NIFO)  a  noi  paion  seguaci  più  o  mono  spiccati  dell'indirizzo medio,  quando  siano  interpretati  con  benignità  di  giudizio,  e  senza  le traveggole  d'una  critica  sistematica. ch'elle  hann'a  distinguersi  e  sdoppiarsi  e  correre  il  palio del  processo  istorico.  E  vuol  dire,  perciò,  che  a  questo ior  successivo  distinguersi  ha  da  presiedere  una  legge di  progresso  che  per  passi  lenti,  ma  sicuri,  valga  a  ri- condurre r  analisi  alla  verità  della  sua  sintesi  primi- tiva. Aristotelismo  e Platonismo,  ripetiamolo,  non  sono a  dir  proprio  due  filosofie  ;    sono  due  serie  di  filosofi gli  Aristotelici  veri  ed  i  veri  Platonici.  Sono  ben  due filosofie  que’due  commenti  così  opposti  fra  loro  e  contrari, che,  fondandosi  in  un  concetto  b  empiricamente naturale  o  esageratamente  iperpsicologico  del  pensièro, vennero  fabbricandosi  col  succedersi  de'  secoli,  con  l'in- calzarsi de'  filosofi,  e  con  1'  avvicendarsi  delle  scuole. Non  seguiremo  perciò,  a  questo  proposito,  la  sentenza del  Buhle,  del  Bitter,  del  Renan  tb  d'  altri  storici  che altro  divario  non  sanno  scorgere,  fra'  peripatetici  del Rinascimento,  se  non  quello  eh'  è  possibile  riconoscere fra'  commentatori  d' un  medesimo  caposcuola.  Come confonder ACHILLINI con PORZIO?  e  PORZIO  con  NIFO? e  NIFO con  ZABARELLA e  con GONTARINI?  e  tutti questi  con  ZIMARA  e  con  altri  di  simil  tenore? Il  criterio  innanzi  stabilito  ci  può  far  comprendere perchè  mai  tutti  quelli  che  han  sempre  sospirato  un accordo  fra  l' uno  e  l' altro  sistema,  risentano  piii  del- l' indirizzo  platonico  anziché  dell'  aristotelico;  e  perchè accanto  a  BESSARIONE,  a PICO  Mirandolano,  al  citato  Gontarini,  al  MAZZONI,  e  a  tutti  gli  altri  che  credono  toccar col  dito  il  vagheggiato  accordo,  non  manchino  i  Donato, i  Folieta.  i  Buratella  che  reputino  pazzia  cosiflFatto accordo.  I  primi  ci  dimostrandoci  fatto  che  nell'Ari- [Una  prora  estrinseca  che  fra  il  Platonismo  e l’Aristotelismo  pri- mitivi non  V*  è,  masdme  in  certi  ponti  di  metafisica,  divario  sostan- ziale, potrebb*  esser  tolta  dalla  maniera  ond'  Aristotele  conduce  la  crìtica inverso  alla  fllosofia  del  sno  maestro.  Lo  Scbleiermacher  Tha  chiamata critica  da  maestro  di  scuola:  e,  per  alcuni  rispetti,  non  a  torto.  Zeller infatti  ha  mostrato  ad  evidenza  come  il  discepolo  stiracchi  non  di  rado il  maestro  per  meglio  abbatterlo. Ved.  Op.  cìt.  trad.  da  BONGHI  specialmente nel  Cap.  iV. stotelismo  c'è  il  Platonismo,  e  però  l'indirizzo  medio; i  secondi  poi  che  nello  Stagirita  ci  ha  i  germi  delle  altre opposte  e  contrarie  direzioni.  Un  accordo  è  possibile  ; ma  non  fatto  a  maniera  ^meccanica  e  per  sovrapposizione, come  si  pensano  certi  viventi  neoplatonici  col trasferire  all'un  filosofo  ciò  che  si  crede  faccia  difetto all'  altro,  e  dando  per  esempio  ad  Aristotele  l' idea  pla- tonica, e  a  Platone  il  concetto  della  Juva^c?  o  della ytvevii  aristotelica.  Il  discepolo  ha  pur  egli  la  sua  idea, cgme  al  maestro  non  manca  la  virtù  del  fatto  e  il valore dell'esperienza. L'accordo  quindi  è  opera  della  storia; ed  è  r  opera  travagliosa  della  critica  rintegratrice. La  quale,  rotondando  le  sporgenze  e  ammorbidendo  le angolosità  che  pur  troppo  si  lasciano  scorger  ne' due filosofi,  li  modifica,  li  rimpasta,  li  trasfonde  1'  uno  nel- r  altro  e  li  trasfigura  siffattamente  che  ci  scompaian dagli  occhi  Aristotele  e  Platone,  senza  che  perciò  abbia a  scomparire  ed  estinguersi  quell'eterna  e  vivace  esi- genza cui  levossi  il  pensiero  indoeuropeo  fin  da' primi momenti  della  sua  riflessione  speculativa  e  metafisica. Ripetiamolo  anche  qui.  Il  risultamento  finale  dell'Aristotelismo e  del  Platonismo  non  è  già  il  trionfo dell'uno  su  l'altro,  od  al  contrario.  È  il  trionfo  d'entrambi, per  una  ragione  altrove  rammentata  a  proposito delle  due  moderne  filosofie.  E  que' critici  che  tanto sudano  e  s'  arrovellano  a  mettere  in  trono  vuoi  un Aristotele  passato  attraverso  i  lambicchi  d'una  critica infedele  ed  eunuca,  vuoi  un  Platone  rimpannucciato co' cenci  d'un  troppo  vieto  tradizionalismo,  negano, senz'  addarsene,  la  storia.  Negano  la  storia,  perchè disconoscono  gran  parte  del  lavoro  storico  già  compiutosi per  opera  degli  esegeti  ellenici,  arabi,  alessandrini, latini,  italiani  del  Risorgimento. Reca  marayiglia  davvero  il  pensare  come  in  questa  maniera  di  critica incappino  perfino,  parlando  d'Aristotele^  gli  hegeliani  più  assennati  quando affermano,  per  esempio,  che  aìVidea  topra  le  cose  di  PlaUme  AnstoteU SOSTITUÌ  Videa  delle  coae^  o  la  forma.  Basterebbe  già  la  parola  909Htu\  a  far cangiare  ftsonomia,  non  pure  airAristotelismo  e  al  Platonismo,  ma  a  tutta Premesse  queste  considerazioni  generali,  veniamo alla  quistione  psicologica.  U  problema  psicologico  al quale  si  connette  ogn' altro,  è  quello  che  risguarda  la relazione  fra  V  anima  e  '1  corpo.  Se  cotesta  relazione interviene  fra  mosso  e  movente,  per  usare  l' antico  lin- guaggio, s'ha  l'indirizzo  platonico;  il  quale  j>wò  trovar riscontro  con  la  posizione  iperpsicologica  della  esegesi de'  commentatori  averroisti.  Se  è  relazione  di  potenza  e Aleuto,  pigliando  l' atto  come  determinazione  o  semplice la  storia  della  scienza.  B  tal  si  è  infatti  il  linguaggio  tenuto  nella  ìot critica  da  Hegel,  dal  Michelet,  dal  Franti,  dallo  Zeller,  ne'  quali  attingono ispirazione  i  nostri  hegeliani.  Ma  dicendo  che  Aristotele  sostituì  oc,  non sembra  che  lo  Stagìrita  abbia  inteso  di  negare  addirittura  V  idea  platonica? Giacché  a  poter  sostituire  bisogna  innanzi  negare;  e  per  mettere qualcosa,  è  d^uopo  averne  levato  qualche  altra.  Ora  il  vero  si  è  che  Aristotele, oltre  la  specie  come  predicabile,  il  che  costituisce  proprio  la novità  sua  di  rimpetto  a  Platone,  riconosce  altresì  la  specie  separata^  la specie  in  sé,    forma  in  sé,  spoglia  di  materia.  La  qual  forma  in  sé (s  Zi  poi  aurvj  x^-^'  aur^fv  vj  uo^^tj)  è  altrettanto  chiara  in  Aristo- tele,'quanto  la  forma  mista  alla  materia  (ùtgjùti^jvvj  (uterà  rrì;  vItiq).  lì divario  fra*  due  ftlosoft  perciò  non  risguarda  la  prima,  vo*  dir  la  specie per  eccellenza,  ma  si  la  seconda,  cioè  la  cosa  contenente  la  specie.  Di  che si  vede  come  per  lo  Stagirita,  oltre  l'insieme  de' due  elementi  (to  au  voXov) ci  sia  ben  altro  ancora.  Al  di    del  to'  slSoz  sv  fn  uXv),  infatti,  vi ha  l'essere,  vi  ha  la  ragion  delle  cose,    tìSo;,  (Ved.  Metaph.).  Intanto, che  cosa  ti  fanno  i  critici  hegeliani  ?  Essi  pigliano  quel  che  loro toma  comodo.  Pigliano  il  to'  oùvoXov,  e  il  resto  considerano  come  un  caput mortnumj  o  sentenziano:  Ècco  qua  il  vero  Aristotele!  Che  sia  l'Aristotele del  loro  cervello,  è  chiaro,    vi  cape  ombra  di  dubbio.  Che  sia  l'Aristotele che  ci  porge  la  storia,  lo  neghiamo  risolutamente;    ci  man- cherebbe modo  a  darne  dimostrazione,  se  questo  fosse  il  luogo.  Si  dirà che  quel  caput  mortuum  sia  come  il  Deus  ex  machina    Cartesio?  una contraddizione?  Innanzi  tutto  potrebbe  stare  ch'ella  non  fosse  tale:  e  tale infatti  non  la  reputarono  i  nostri  vecchi  critici  del  Rinascimento,  né tale  è  creduta  oggi  da'  massimi  e  più  severi  interpreti  moderni,  qual  è Trendelenburg  in  Germania,  SERBATI  in  ITALIA,  Ravaisson  e  B.  Saint- Hilaire  in  Francia.  Checché  ne  sia,  la  critica  seria  e  feconda  starebbe appunto  nel  levar  di  mezzo  la  contraddizione,  ma  senza  negare    ra- diare in  Aristotele  l'esigenza  platonica;  se  no,  risicheremo  d'incespicare nel  solito  scoglio,  quello  cioè  di  far  la  storia  zoppicando,  e  far  cammi- nare la  macchina  con  una  sola  ruota.  Nessuno  de'  quattro  critici  poco fa  rammentati,  fra'  moderni,  e  neanche  fra  gli  antichi  il  nostro  Simone Porzio  per  esempio,  avrebbero  detto,    dicono,  sostituì.  Avrebbero  dette aggiunse,  a/mpìè,  eon-ewT,  iiirern,  t'  simili. modificazione  della  potenza,  avrai  la  posizione  empirica dell'Aristotelismo,  il  cui  rappresentante  più  logico,  più originale  nell'  età  del  risorgimento  dicemmo  essere  il Pomponaccio.  Se  cotest' attinenza,  per  ultimo,  è  quella  di forma  e  di  matefia,  ma  intesa  in  maniera  che  la  prima tuttoché  rampolli  dalla  seconda  non  però  sia  come  assorbita da  questa  e  ne  dipenda  in  modo  assoluto,  ma  anzi  la superi,  la  informi  di    e  basti  ad  alimentarsi  di    me- desima; in  tal  caso  avremo  una  terza  posizione,  la  cui  esi- genza é  pur  manifesta  in  Aristotele,  e  nella  quale  pone radice  la  soluzione  più  acconcia  del  problema  psicologico. L' indirizzo  iperpsicólogico,  nome  che  d' ordinario scambiasi  con  l'altro  di  platonico,  ha  natura  dedut- tiva, e  costituisce  il  metodo  degli  spiritualisti  di  tutt'  i tempi  :  nelle  cui  mani  la  psicologia  assorbe  siifattamente la  fisiologia,  da  ridurla  alle  umili  condizioni  di  sem- .plice  appendice  della  prima.  L'indirizzo  aristotelico empirico  ha  natura  puramente  induttiva;  ed  é  il  metodo de'mateiialisti  d'ogni  età,  nonché  di  certi  moderni biologisti  e  positivisti,  agli  occhi  de' quali  la  scienza dell'  anima  é  com'  un'  ultima  pagina,  una  modesta  ap- pendice della  fisiologia,  ovvero  una  specie  d'enume- razione, come  direbbe  Hegel,  di  ciò  che  é  l'anima,  di ciò  che  in  lei  avviene,  di  ciò  eh'  ella  opera.  *  L' indi- rizzo medio,  finalmente,  facendo  giusta  parte  e  ragione tanto  alla  psicologia  quant'  alla  fisiologia,  interpreta  il rapporto  fra  la  potenza  e  l' atto  col  sussidio  del  metodo genetico  ;  e  così  giugno  a  salvare  ad  un'  ora  medesima i  diritti  dello  spirito  e  quelli  della  materia. A  siffatto  risultamento  ci  mena  la  critica  e  la  sto- ria delle  differenti  soluzioni  date  a  quest'  arduo  pro- blema. Rifacciamoci  brevemente  dal  Platonismo. Il  concetto  psicologico  del  gran  figliuolo  d'  Aristone, se  é  parso  profondo  a  molti  in  quanto  che  mira,  come direbbe  Cousin,  a  congiugner  la  natura  intelligibile *  Phil,  de  VEnprit,  trad. VERA,  con  la  materiale  maritando  due  mondi  opposti  nell'anima razionale  e  sensitiva [cf. Grice, The power structure of the soul],  pur  nullameno  e' riesce  manche- volissimo chi  pensi  come  anima  e  corpo  al  filosofo  d’Atene  s’affacciassero  dislegati,  scissi,  e  solamente  ap- paiati così  fra  loro  com'  il  nocchiero  col  suo  naviglio.* Nessun  vincolo  secreto,  adunque,  nessun  nodo,    ombra di  processo  nelle  funzioni  psicologiche  pel  padre  del Platonismo.'  Di  qua  proviene  che  per  lui  la  mente,  vivendo d' una  vita  superiore,  non  abbisogna,  a  dir  proprio, di  pareli^;  il  pensiero  essendo  già  per    stesso un  discorso  con    medesimo:  Sto^UyaSat^  Perciò  stesso una  divisione  razionale  e  organica  degli  atti  psicologici teoretici  nella  dottrina  platonica  è  impossibile: laonde quant'  all'  essenza  propria  e  specificante  l' anima,  piut- tosto che  generarsi,  si  compone;  o,  come  osserva  accon- ciamente un  acuto  scrittore,  si  raccozza,  non  si  esplica.® Il  concetto  psicologico  dunque  del  primitivo  Plato- nismo é  tanto  incompiuto,  quanto  incompiuto  si  palesa quello  della  sua  cosmologia,  nonché  l' altro  delle  relazioni fra  il  mondo  e  gli  etemi  paradigmi. Il  processo  psicologico  é  assai  meglio  determinato neir  Aristotelismo.  Ed  é  tale  in  grazia  della  dottrina dell'entelechia, e  della  relazione  fra  la  materia  e  la   L'  anima  uriiana  è  formata  alla  stessa  maniera  dell*  anima  del mondo.  {Tim.,  trad.  Coubin) È  qualcosa  d' intermedio  fra  il  mondo  sensibile  e  V  idea.  (Zeller,  Eapo- »tx.  arìatotelica  della  jUoBofia  platonica.^  p.  304.) *  Di  qui  la  celebre  definizione  dell*  uomo  alla  quale  han  fatto  e  fauno buon  viso  tutti  gli  spiritualisti:  Avro^f  tu  toO»  (Tw^aro;  OLpy^ov (àjÀo'koyTntTafisv  «vO^owttov  govai  etc.  Ved.  nel  Primo  Alcib.f  51. •  Chaigkbt,  De  la  Paycologie  de  Platon^  Paris,  Ved.  nel  Soph,,  trad.  del  Cousin,  La  classazione  accennata  nella  Repub. si  riferisce agli  atti  morali;  e  lo  stesso  può  dirsi  dell'altra  simboleggiata  nel  mito poetico  del  Fedro.  Solo  nel  Teeteto  havvi  un  principio  di  divisione  teo- retica delle  funzioni  psicologiche,  ma  anche  questa  manchevole. •  BONQHI,  Storia  del  concetto  deWAnipia  neUe  varie  scuole  antiche  e del  medio-evot,  nei  Saggi  di  FU,  Civile^  Genova'  Arist.,  2)« i4»., :  W\j'/ri  sanv  «vtc>«x***  **^/'**'''*' arà^y.roc  yuTtprou  Sovy.jjLH  Zwvj'v  j^^ovto?. forma.  Tale  anche  dove  si  rifletta  al  valore  che  Aristotele porge  al  senso  come  rappresentazione  com' elemento essenziale  del  pensiero,*  nonché  all'ufficio  eh'  egli  attri- buisce all'immaginazione  (>3stxaT«a)  come  facoltà  me- diana fra  senso  e  ragione;*  anticipando  così  la  dottrina su  la  relazione  che  il  Kant  stabilì  fra  questa  facoltà e  le  altre  due  estreme  funzioni  dello  spirito.  Con  que- ste idee  fondamentali,  checche  ne  dicano  coloro  che  col B.  Saint-Hilaire  non  rifiniscono  d'incelare  la  psicologia platonica,"  Aristotele  creò  la  psicologia  come  scienza indipendente  dalla  biologìa,  gettando  insieme  le  basi della  zoopsicologia  che,  nelle  mani  segnatamente  del Darwin  e  dell' Agassiz,  oggi  comincia  ad  assumere  di- gnità e  significato  razionale.  Ecco  dunque  uno  degli esplicamenti ,  una  delle  correzioni  dell'Aristotelismo verso  il  Platonismo  neU'  àmbito  delle  ricerche  psicologiche. Nel  Timeo  Platone  riguarda  l'animo  qual  moto originario  e  spontaneo  fàuToxtv»Toc);  Aristotele,  meglio avvisandosi,  estende  siffattamente  cotal  virtii  da  riferirla altresì  all'  animale.^  E  questo,  senza  dubbio,  fu  un  passo gigantesco. Ma  se  nel  filosofo  di  Stagira  vi  ha  passi  cCoro  ad ogni  pie  sospinto,  non  per  questo  vi  manca  la  scòria. La  sua  psicologia,  come  quella  del  suo  maestro,  è  manchevole ;  ed  è  manchevole,  perchè  riesce  tale  altresì  la costituzione  della  sua  cosmologia.  Il  sistema  dell'universo per  lui  è  quasi  una  catena  di  cui  gli  anelli  principali '  rappresentati  dalla  forma  e  dalla  materia,  dalla potenza  e  dall'atto  (5uvx/:xtc  ed  ivtpyéia),  si  ripetono, s' ingradano  e  moltiplicano  viepiù  col  distendersi  di  essa. *  Akist.,  Ve  An.f  lib.  I,  cai).  L  ^ *  Idem.  Ta  y.iv  ovv  e*trìvì    vokjtcxov  «v  toìc  (por.vróÌ9fia9t  voti. De  An.,  B.  SAnrr-HiLAiRK,  Tmité  de  VAme^  Introd. *  Abist.,  Melaph.  X. *  Intendiamo  accennare  a*  due  princìpii  intemi  che  per  Aristotele costituiscon  r essere  e  sono  anzi  Tessere;  a  differenza  degli  altri  4no ntemi  che  ne  costituiscono  i  Jimiti.  (Meutph. ) È  una  scala  in  cui  per  moto  continuo,  dallo  stato  di sonno  e  di  stupore,  la  potenza  s'aderge  al  più  alto grado  dell'attività  pura.  In  cotesta  relazione  trovasi precisamente  la  materia  corporea  di  fronte  agli  esseri vegetabili  e  sensitivi  ;  il  vegetabile  e  '1  sensitivo  rimpetto all'essere  intellettivo;  e  T intellettivo  inverso  agi' intel- ligibili.' Ma  in  che  risied'egli  cotal  passaggio?  Tutto ciò  che  agisce  non  può  non  essere  un  ente  in  atto,  cioè la  specie  che  operando  sopra  un  ente  potenziale  vien così  traendolo  dal  nulla.'  La  forma  dunque  che  germoglia dalla  materia  è  davvero  il  passo  d^oro  nella cosmologia  aristotelica;  come  il  passaggio  empirico  e al  tutto  materiale  e  puramente  generativo  dall'  uno all'  altro,  n'  è  la  parte  inaccettabile  ed  erronea.  La potenza  non  movesi  da    per  intima  energia,  ma solo  in  virtii  del  movente,  della  forma.  Il  potenziale, in  una  parola,  non  giugne  all'attualità,  salvo  che  per mozione  d'un  attuale.*  Or  com'è  possibile  che  la  potènza riesca  anteriore  all'atto,  se  in  realtà  è  sempre  un atto  quello  che  ha  da  movere  il  termine  correlativo  ? Che  se  l'atto  è  antecedente  alla  potenza  e  la  precede altresì  di  tempo  ;  ^  non  è  egli  chiaro  che  cotesta  po- tenza abbia  a  riescire  affatto  vuota  e  sterile  e  infeconda, posto  eh'  ella  abbisogni  sempre  d' un  atto  che  la  tragga ad  atto? •  Ma  c'è  di  più.  Se  l'originalità  d'Aristotele  risiede neir  aver  visto  l' elemento  formale  intrhisecarsi  col  materiale ;  e  la  forma  in  quanto  reale  costituire  perciò  la sostanza  (ouVJa);  e  questa  esser  non  altro  che  processo. V?  fuo-c;,  wTTff  rin  trvvtyjia    XavOoévscv  to'  TtsBóptov  aur&ìv  xat tÒ  ^ttjoy  wOTi/Owv  ««TTt'v.  Hi»U  Anim.f  Vili. Arist.,  Metaph., De  Oenerat.  Aninu. O  ffTTÌv  VI  xcv)}(7(;  «V  Tw  xtv>jTw,  Stj'koy'  i'»Ts\éyr^siwc,  7ivj(T5a£  rt):  la  parte  fiacca  di sua  dottrina,  invece  sta  nell'aver  posto,  com'ho  toccato, medesimezza  di  natura,  fra  le  due  supreme  determina- zioni degli  enti  nell'ordine  delle  sensate  realtà,  onde  poi accade  che  rimanga  difettosa  tutta  la  cosmologia.  La potenza  avvisata  in    medesima  è  Sivafii^,  In  quanto fluisce  verso  l'atto  è  tvspysia.  In  quant'è  atto,  stato, riposo,  stasi,  è  5VT«>ex«ta.  In  quanto  poi  transigi  ad atto  novello  ripiglia  valore  d' Bvspyùv.,  e  così  di  seguito. Il  moto  (KlvYiTit:),  il  conato^  come  direbbe  il  Leiljnitz, il  conato  0  lo  sforzo,  come  direbbe  il  Vico,  costituisce l'essenza  di  tutti  questi  tennini  diversi;  in  lui  s'in- centrano potenza  ed  atto;*  il  perchè  formando  fra  loro continuità,  compongono  un  sol  ente  capace  di  passare attraverso  stati  o  momenti  in    stessi  diversi  per  intrinseca eccellenza.  La  produzione  si  fa  sempre  nella medesima  specie,  ed  all'  univoco.  * Or  se  cotest'  appunto  è  la  natura  del  passaggio, non  è  egli  chiaro  che  le  cose  devan  liescire  identiche nella  sostanza?  Non  é  chiaro  che,  ov'  elle  progrediscano, cotesto  lor  progresso  altro  non  sarà  che  trasformazione, ninno  potendo  affermare  che  trasformarsi  vai  progredire ?  E  s' é  così,  a  qual  fine  e  con  che  ragioni  mover critica  al  maestro,  nella  cui  dottrina  il  mondo  non  è che  parvenza,  fenomeno,  ombra  vaniente  e  passeggera? Nella  dottrina  cosmologica  aristotelica,  dunque,  il  pròcessus  è  al  tutto  apparente.  Apparente  e  fallace  la  spon- taneità e  r  intrinseca  attuosità  delle  forze.  Né AQUINO ebbe  torto  d' affermare,  contro  gli  arabeggianti dell'età  sua  i  quali  così  appunto  interpretavano  Aristotele, che  una  forma  sostanziale  novella  mai  non  appare, *  "iÌTxs  \sins70n   TO   'key^Biv  slvxc    xat    ivépystav    xat    fivj 9*  ecyae,  Metaph,, Mrtaph.  ove  la  vecchia  non  isparisca;  e  che  la  generazione, concepita  qual  moto  continuo  e  come  incessabile  tras- formazione d' un  subbietto  identico,  renda  le  forme  novelle affatto  accessorie  e  accidentali.'  Se  quindi  il  genie possente  d'Aristotele  seppe  scorgere  e  dimostrare  una delle  grandi  leggi  della  realtà,  vo'  dir  la  continuità  tra forma  e  materia  (tò  (ruv-^sf),  la  relazione  intima  fra  la ^uvaj^xì;  e  r  £VTf>èX5*«»  P^rò  il  profoudo  concetto  della £V5/>7sia;  non  però  giunse  a  vedere  quell'altra  condi- zione, non  meno  imprescindibile  della  prima,  la  quale seguendo  una  vecchia  frase  pitagorica  potremmo  appellar legge  ddV  intervallo  {StitTTviiia), I  medesimi  pregi  e  le  stesse  manchevolezze  nella sua  psicologia.  L' uomo  è  tu vo>ov  :  dunque  è  materia  e forma  ad  un'ora  medesima.  L'anima  intellettiva,  quindi, è  atto.  E  la  potenza  di  quest'atto?  È  il  senso....  La- sciando le  induzioni  favorevoli  che  si  potrebbero  fare circa  tal  dottrina  d'Aristotele  interpretando  il  concetto del  senso  ch'ei  chiama  generale,  si  potrebbe  domandare: in  che  sta  la  relazione,  e  qual'  è  mai  la  natura  del  passaggio fra' due  -termini?  Se  ci  è  continuità,  in  che  maniera il  senso  può  diventar  ragione,  l'esteso  inesteso, la  materia  pensiero?  Se  poi  non  v'.è  continuità  (né  ci può  essere  una  volta  eh'  ei  medesimo  invoca  la  mente dal  di  fuora^),  com'  è  che  alla  fin  fine  si  ritrovan,  por cosi  dire,  sovrapposte  le  tre  anime  che  sono  anch'  elle forma  e  materia,  atto  e  potenza? Trendelenburg  e Rosmini,  fra  gli  altri,  han  messo  a  nudo,  com'  è  noto •  Summa  e    fe  bene  arvertire  come  gli  storiografi hegeliani,  imbattendosi  in  questa  dottrina  Aristotelica,  credano scoprir  le  Indie  e  vi  s'aggancino  tenacemente,  senz'addarsene  ch'ei  s'agganciano, anziché  al  vero  e  genuino  Aristotele,  ad  nn  tronco  arabo  !  E'  non s'accorgono  come  già  da  sette  secoli  siano  stati  mlnerati  da  quel  mo- desto fraticello  che,  primo  e  meglio  d' ogn'  altri,  mise  a  nudo  le  maga- gne dell' Averroismo  ove  dimostra  Averroè  peripatetiofn  philotopJUm  de- pravatore Ved.  Opusc.  Contra  AverroytUy; e  nella  Somma  q.  LXXIX. *  Aribt.,   Or  Gerterot,  Anim.,  questo  sconcio  aristotelico.  L' un  d' essi  non  capisce  in che  maniera  lo  Stagirita  interrompesse  la  serie  pre- clara, e  però  si  studia  correggerlo  facendo  che  la  mente in  potenza  (tw  Travra  7£vsf  cor*»;),  ma  anche potenza  del  corpo  (d^jv^im  tow  jw/xaro;).'  E  nello  stesso metodo  fu  poscia  ormeggiato  da  parecchi  filosoh  del Rinascimento  :  da  quelli  segnatamente  che  tra  V  anima e  '1  corpo  introdussero  un'  attinenza  di  causalità  reci- proca, stante  clie  la  natura  partorisca  la  forma  in  quanto é  potenza  anch'  ella,  ma  potenza  attuosa  ;  e  la  forma (juinci  rigeneri  e  ravvivi  la  materia  in  quanto  la  compie. Se  non  che  il  Tomismo,  scordando  spesso  l'ottimo indirizzo  d'Aristotele,  tìgge  gli  occhi  nella  materia,  e in  questa  presume  riporre  talora  la  ragione  e  '1  principio dell'  individualità.  Errore  del  quale  secondo  alcuni  sto- rici tornerà  sempre  vano  il  voler  difendere  il  dottore Angelico,  quando  si  consideri  che  la  materia,  perchè  si '  Idem,  eoci.,  XG:  educitur  e  potentia  imtterice. Ved.  ueirOp.  cit.  del  RAyAiSHUN,  porga  qual  principio  d'individuazione,  ha  pur  bisogno d'esser  determinata,  suggellata,  segnata:  or  da  che  cosa mai  può  esser  ella  improntata  sadvo  che  dalla  forma? ciò  che  formava  appunto  il  nòcciolo  della  opposizione degli  Scotisti.*  Del  buon  indirizzo  aristotelico  inoltre  si dimentica  san  Tommaso  dove,  rasentando  l'aristote- lismo emJ)irico,  si  mostra  così  titubante  su  la  verace natura  del  senso,  che  la  potenza  per  lui  non  è  così piena  e  così  feconda  come  pur  domanderebbe  la  produzione dell'atto;  e  quindi  sente  necessità  di  chieder sussidio  a  un  lume  piovutoci  addosso  non  sai  dir  come *  Io  qui  non  intendo  propugnare  la  teorica  sa  T  indìvidnazione  di san  Tommaso.  Son  anch'  io  del  parere  che  gli  Scotistl  non  aressero  poi tatt*  i  torti  neir  opporrisi,  perchè  davvero  non mancano  sentenze  nel Tomismo  che  debbano  andar  soggette  ad  una  critica  severa.  Ma  fa  meraviglia il  pensare  come  non  tutti  che  ne  han  parlato  siansi  dati  cura d' interpretare  con  benignità  siffatta  dottrina;  e  più  meraviglia  il  vedere come  r  abbian  trattata  male  anco  i  più  versati  nella  filosofia  sco- lastica e  nello  studio  deir  Àquinate,  qual*  ò,  per  esempio,  lo  Jourdain che  tanto  nel    quanto  nel  2*  voi.  Dell’opera  poco  fa  citata,  si  mette a  sfatar  l’Angelico  AQUINO (si veda) in  modo  poco  serio  per  le  contraddizioni  nelle  quali secondo  lui,  cade  1*  autore  della  Somma,  e  per  V  inanUà  con  che  tratta siffatta  questione.  Si  dice  e  si  scrive  che  il  principio  d*  itulividwuione per  TAquinate  stia  nella  materia;  e  se  davvero  fosse  così,  non  s*  avrebbe torto  a  dargliene  biasimo.  Ha,  a  voler  interpretare  con  dirittura  di  giu- dizio la  dottrina  tomistica,  non  è  proprio  e  sempre  la  materia  quella in  cui  è  da  riporsi  tal  principio,  slbbene  ciò  che  in  un  ente  ha  ragione di  primo  subbietto.  Ecco  le  parole  deirAquinate:  Ulud  qntodtenet  rationem  primi  tubieeti,  est  oausa  individuationie  et  divieionin  tpeciei  in  euppoeitis.  E  qual'  è  questo  primo  «ubbietto  t  Est  id  quod  in  alio  recipi  non potesL  Or  le  forme  separate,  per  ciò  che  non  ponno  esser  ricevute  in altro,  hanno  ragion  di  primo  subbietto;  però  s'individuano;  e  però  In et«  tot  »unt  epeeies,  quot  eunt  individua,  (Ved.  De  nat.  materia,  e  8.)  Or la  materia  è  ella  principio  di  distinzione?  Si,  certo:  ma  in  quanto  e  sin dove  ha  funzione  di  primo  subbietto.  Nella  dottrina  tomistica,  dunque, il  principio  d' individuazione  non  sarebbe    la  forma    la  materia,  ma or  l'una  or  l'altra  secondo  che  quella  o  questa  esercita  funzione  di primo  subbietto.  So  che  i  dubbi  non  per  questo  si  diradano,    gli  op- positori cessano.  Ma  io,  ripeto,  non  difendo  in  tutto  tal  dottrina,  sibbene  chiarisco  la  interpretazione  da  darsene,  e  la  critica  da  fame. Vedi in  proposito  le  lettere  dell'  egregrio  Aless.  Bbrntazzoli  assai  dotto  nella filosofia  d’AQUINO:  Di  un  ulteriore  e  definitivo  esplicamenio  ddla FlIoHofin  /tcnlasttra  ec,  Bologna,  ISCl. né  perchè,*  invocando  così  un  atto  immediato  di creazione.  Se  l'anima  è  forma,  atto  puro,  potrebbe esser  generata  dal  corpo?  Non  potrebbe,  risponde AQUINO:  ciò  eh'  è  immateriale  è  impossibile  che  ram- polli per  via  di  generazione  ;  la  quale  non  è  altro,  a  dir proprio,  che  trasformazione.  Ma  potrebb'  esser  fatta della  sostanza  divina?  Tanto  meno;  perchè  questa  non è  che  un  atto  purissimo.'  Eccotelo  dunque  anche  lui all'  intervento  del  solito  DetAS  ex  machina;  alla  neces- sità d' un  atto  peculiare  di  creazione  ex  niMlo,  Or  non vi  sarebb'egli  altra  via  al  nascimento  dell'anima  fuori di  queste  due,  generazione  o  creazione  estranea  e  divina? —  CJom'è  evidente  l'A.  della  Somma  (non  altrimenti che  l'A.  della  OUtà  di  Dio  risguardo  a  Platone)  eredita, co'  grandi  pregi,  anch' i  difetti  della  dottrina  aristotelica. Il  concetto  della  individuahtà  è  concetto  capitale nella  storia  della  psicologia.  È  propriamente  la  radice prima  onde  pullula,  chi  ben  guardi,  tutto  il  pensiero moderno  filosofico,  politico,  religioso.  La  teorica  della individuazione,  perciò,  è  l' addentellato  più  acconcio  per cui,  nella  storia  delle  soluzioni  riguardanti  il  problema psicologico,  il  medioevo,  segnatamente  il  Tomismo,  si congiugne  con  l' età  e  co'  filosofi  del  Rinascimento.  Non ostante  i  pregi  e  i  meriti  grandi  che  l'Aquinate  può vantare  verso  l'Aristotelismo  e  più  verso  il  Platonismo, la  sua  dottrina  doveva  esser  corretta  mostrando  che  il principio  d' individuazione  non  istà,  a  dir  proprio,  nella forma,    tampoco  nella  materia,  ovvero  nell'una  o nell'altra  secondo  la  ragione  del  primo  suòbietto.  Meglio ponendo  il  problema  psicologico  si  dovea  mostrare  che 1'  anima  è  individuale  non  perchè  informi  una  materia, ma    perchè,  materia  ella  medesima,  diventa  forma; perchè  l' anima  si  fa  coscienza;  perchè  la  coscienza  empirica attinge  valore  d'autocoscienza  e  di  libero  pen- [Summa,  !•  2»,  CXI,  art.  2:  impre9no  divini  luminii  in  noòw,  re- fidgentia  divincB  cIoritoiM  in  anima, •  Summa] siero,  nel  cui  regno  non  v'  ha  materia  e  organismo  che lo  spirito  non  vinca  e  sorpassi,    fantasma  o  imma- gine eh'  ei  non  superi  e  sottoponga  a    stesso. Ora  produrre,  o  almeno  compiere  cotal  dimostrazione in  maniera  positiva  ponendola  sotto  novelli  punti  di luce,  non  era  possibile  senz'  il  concetto  della  storicità, essendoché  appunto  in  seno alla  specie,  in  seno  al  co- mune e  alla  moltiplicità  appaia  e  si  determini  e  spicchi vie  più  la  nota  della  differenza,  tuttoché  cotal  differenza germogli  nelP  individuo,  e  sempre  per  natia  virtù  dell' individuo.  A  tal'  opera  spiegarono  grand'  efficacia  innanzi tutto  i  nostri  filosofi  del  Risorgimento.  Altrove mostreremo  come  in  tal'  epoca  si  riproduca  il  medesimo triplice  indirizzo  della  scolastica,  ma  con  esigenza  ben diversa,  perché  la  storia  è  tale  artefice  che  mai  non ricopia    stessa.  Qui  notiamo  solamente  che  nel  medioevo le  tre  tendenze  aristoteliche,  le  quali  abbiamo appellato  iperpsicólogica,  empirica  e  media,  riproducono nel  Risorgimento  l'esigenza  del  Realismo,  del  Nominalismo e  del  Concettualismo,  ma  trasformandola.  Se per  queste  tre  scuole  la  ricerca  filosofica  versava  su la  natura  dell'  universale  dapprima,  e  poi,  massime  con r  Aquinate AQUINO,  su  la  natura  del  medesimo  universale  ma in  relazione  col  particolare  (principio  d' individuazione); per  i  filosofi  del  Rinascimento,  in  vece,  ella  risguardava  in modo  precfpuo  la  natura  intellettiva  dell'anima,  nonché il  rapporto  fra  il  pensiero  e  l'organismo.  Essi  modifi- cano profondamente  tanto  il  Platonismo  quanto  l' Ari- stotelismo; così  che  alcuni,  specie  quelli  che  rappresentano r  indirizzo  medio ,  non  intendono  ristringere l'intelletto  nel  puro  senso,  ma  lo  allargano  si  che, 'ri- collegando il  problema  psicologico  al  problema  cosmo- logico, si  sforzano  di  rannodar  l'anima  in  quanto  intelligente con  la  natura  in  quanto  intelligibile.* *  Noi  avremmo  buono  in  mano  a  dimostrare,  se  qai  fosse  luogo,  che r  indirizzo  medio  aristotelico  nel  Rinascimento  fa  rappresentato,  sebbene in  maniera  incerta  e  assai  confusa  come  portava  il  carattere  di  quel- Il  Rinascimento  apparecchiava  la  moderna  psicolo- gia, ma  non  la  costituiva.  E  non  la  costituiva  perchè il  problema  psicologico  non  può  ricevere  acconcia  soluzione quando  sia  troppo  confinato  nelle  pure  indagini psicologiche.  V'era,  per  esempio,  chi  studiavasi  di  pro- *  vare  V  immortalità  dello  spirito  e  chiarire  le  ragioni  e i  modi  ond'  il  pensiero  nel  suo  operare  s'  addimostra indipendente  dal  corpo.  E  v'  era  poi  chi  facevasi  ad  in- vocare il  sussidio  de' soliti  influssi  divini  come  fanno anc'oggi,  a  tre  e  quattro  secoli  di  distanza,  i  nostri neoplatonici.  Or  io  non  dirò  che  il  problema  su'  destini dello  spirito  possa  esser  risoluto  così  facilmente  quan- t' altri  s' immagina.  Dirò  che  alla  psicologia  potrà dirivare  qualche  sprazzo  di  luce  non  già  mostrando (inutile  tentativo!)  che  l'anima  sia  indipendente  dal corpo,  ovvero  che  Dio  faccia  piovere  il  suo  influsso  su r  intelletto  arzigogolando  in  che  guisa  lo  irraggi,  lo  il- ^  lumini  e  lo  riscaldi;  ma  procedendo  per  altra  via;  procedendo per  una  via  men  soggetta  alle  angustie  del- l'empirismo,  0  meno  aperta  alle  facili  speculazioni dell' a  priorismo.  Se  Dio  influisce,  comunque  si  voglia, su  l'anima,  altro  ei  non  potrà  fare  che  modificarne l'operazione:  cangiarne  la  natura  non  può  davvero. Che  se,  d' altra  parte,  si  giugno  a  dimostrare  l' indi-pendenza dal  corpo,  non  per  questo  s' avrà  dimostrato ch'ella  sia  proprio  immortale,  se  pure  non  vogliamo r  età,  da  parecchi  filosofi  ;  fra'  quali  notiamo  il  Contarini,  PORZIO,  ZABARELLA,  VIO,  SPINA (si veda),  SCAINO (si veda) fra  gì'  interpreti, 0  anche SESSANO.  Il  quale,  nella  forma  ultima  da  lui  data  alla  dottrina 8U  r  anima,  si  può  dire  che  si  rannodi  con AQUINO  e  perciò  anche  con TAfrodisio;  onde  BONGHI  ha  detto  benissimo  affermando  che,  nell' in- terpretare Aristotile,  il  Sessano  segue  appunto  il  commontatore  greco {Meta/,  rf'Arwt.,  Leti,  ed  Roam.).  Questi  ed  altri  vecchi  nostri  filosofi andrebbero  studiati,  interpretati,  e  naturalmente  anche  corretti  secondo il  criterio  che  abbiamo  appellajto  medio.  Specialmente  andrebbe studiato  il  povero  Nìfo  cosi  malconcio  e  sfatato  dal  nostro  collega  Fio- rentino: al  quale  il  Franck,  del  resto,  ha  saputo  dire  che  il  Sessano  non pure  fu  il  piò,  Maggio  metafisico  del  suo  tempo,  ma,  più  ancora,  che  il Pomponazzi  trovò  appunto  nel  Nifo  un  contraddittore  imbarazzante,  e d'una  grande  autorità.  — (Joum,  dee  Sav.  Magg.  1869.) acconciarci  alla  celebre  quanto  inutile  distinzione  del Pomponazzi  dell'Io  fisico  e  dell'Io  intellettivo,  e  del- l' anima  propriamente  mortale  e  impropriamente  immortale! Al  pili  potremmo  giugnere  a  dir  questo;  che r  anima  non  finisca  così  come  finisce  il  corpo,  cioè disgregandosi  e  trasformandosL.  Ma  cotesta  soluzione non  è  affatto  negativa? Tutt' insieme  dunque  la  speculazione  del  Rinasci- mento, per  quanto  riguarda  il  problema  psicologico,  era piuttosto  negazione  anziché  affermazione  :  negazione  del medioevo,  e  apparecchio  a  novelle  affermazioni.  Nean- che il  Pomponaccio,  il  più  schietto  seguace  dell'  indi- rizzo aristoteUco  naturale^  potrebb' esser  detto  materia- lista nello  stretto  senso  della  parola.  Il  significato  vero del  suo  libro  su  la  immortalità,  diciamolo  di  passata,  è quello  di  porre  sott'  occhio,  da  una  parte,  le  magagne delle  viete  dimostrazioni  su  la  natura,  e  sul  fine  e  su r  origine  dell'  anima;  e  manifestare,  dall'  altra,  il  bi- sogno di  prove  più  salde,  e  però  la  necessità  in  cui trovavasi  il  pensiero  filosofico  di  tentare  ben  altre  soluzioni, e  schiudersi  altre  vie.  Qual'  era  una  di queste vie?  La  durata  dello  spirito,  come  personalità,  doveva esser  indagata  nella  medesima  essenza  e  costituzione intima  del  pensiero.  £  a  tal  fine  che  cos'  era  necessario? Era  necessario  lo  studio  del  processo  isterico; appunto  perchè  l'intima  costituzione  del  pensiero  si rivela  da    medesima  nello  svolgimento  della  vita dello  spirito;  e  la  vita  dello  spirito  è  appunto  la  storia. In  altre  parole  :  era necessario  vedere  per  via  di  fatto, cioè  col  processo  storico,  come  l' essenza  dello  spirito tutta  nelP esser  egli  un  conato,  un'attività  profonda che  sempre  più  si  estrica  da'viluppi  di  natura  e di    stesso;  che  sempre  più  si  determina  in  sé,  e  si compenetra  con  la  natura  e  con    medesimo;  e  come per  siffatta  qualità  egli  sia  capace  di  trascender  la natura,  di  sorpassare  l'organismo,  di  superare  anche sé  medesimo,  pur  rimanendo  sempre  una  personalità. Ed  eccoci  pervenuti  alia  conclusione  dove  in  questo capitolo desideravamo  giugnere,  e  per  la  quale  abbiam dovuto  fare    lungo  giro  da  risalire  fino  alla  doppia sorgente  storica  del  concetto  psicologico.  Se  per  più  e diverse  ragioni  ne  il  Platonismo    l'Aristotelismo  primitivi non  pervennero,  in  generale,  a  determinare  il  vero concetto  dello  spirito  quantunque  ne  apparecchiassero gli  elementi  da  secoli  molti,  il  che  non  è  poco  ;  se  i  due massimi  rappresentanti  della  filosofia  cristiana,  tuttoché introducessero  due  nuovi  concetti  in  siffatta  questione, non  però  giunsero  a  salvarsi  da  incongruenze  manifeste  ; se,  da  ultimo,  cop  lo  sdoppiarsi  dell'Aristotelismo  nel Risorgimento  fu  messa  a  nudo  la  fallacia  delle  vecchie posizioni,  l'insufficienza  d'im  argomentare  fiacco e  barcollante  esprimendoci  così  l'esigenza  di  prove novelle  in  siffatte  indagini:  è  chiaro  come  all'uscire del  medio  evo  importasse  rannodare  i  quattro  concetti attorno  a'  quali  vennero  travagliandosi  per    lunghi secoli  co'  lor  proseliti  i  quattro  filosofi  cui  siamo  venuti accennando,  correggerli,  esplicarli,  compierli,  e  statuire una  dottrina  positiva  circa  la  genesi  psicologica.  In altre  parole:  importava  accettar  l'esigenza  psicologica platonica  risguardante  il  connubio  del  doppio  mondo sensato  e  razionale:  ma  occorreva  anche  correggerlo mercé  il  concetto  della  triplicità  intima,  originaria  cui poggiò,  primo  fra  tut^i.  Agostino.  Importava  altresì  accettar r  esigenza  aristotelica  del  processo  psicologico,  e nel  medesimo  tempo  modificare  profondamente  e  trarre a  maggior  compimento  il  concetto  della  generazione psichica  dello  Stagirita  mercè  il  concetto  di  creazione; il  che  tentò  fare,  e  lo  fece  da  par  suo,  AQUINO (si veda):  ma più  ancora  importava  correggere  il concetto  creativo de' Tomisti  e  de' filosofi  cristiani,  in  generale,  cancel- lando in  esso  queir  immediatezza  divina  eh'  è  un  dato  di fede  anziché  di  ragione,  avvisandolo  invece  com'  essenzial condizione  dello  spirito.  Questo,  possiamo  dire,  si  studiaron  di  fare  tutt'  insieme  parecchi  filosofi  italiani  de| Rinascimento,  o  per  lo  meno  ne  sentivano  la  necessità.  ^ Nessuno  vi  riesci  compiutamente,  per  la  ragione qua  ^ dietro  accennata,  d'  aver  voluto  ristringer  tale  ricerca  ^^ negli  angusti  confini  della  psicologia.  Ad  essi  mancava un  altro  grande  concetto.  Mancava  un'altra  posizione, per  cui  si  distingue  infinitamente  il  Rinascimento  dal tempo  moderno.  Mancava  l'esigenza  di  riguardare  il pensiero  innanzi  tutto  come  genesi  psicologica,  e  questa genesi  psicologica  poi  considerare  qual  fondamento  im- mediato della  genesi  storica.  Però  non  è  da  meravi- gliare se  alla  scuola  de'  nostri  politici  facesse  difetto la  vera  nozione  del  diritto  sopra  cui  si  puntella  uni- camente la  scienza  politica,  nonché  il  concetto  vero della  individualità,  senza  cui  non  può  sorgere    perpetuarsi lo  Stato  libero.    fa  meraviglia  se  i  teologi assorbissero  il  gius  nella  morale,  e  se  una  riforma  religiosa allora  non  potesse  fra  noi  essere  effettuata  nelr  ordine  civile,  comecché  fosse  già  in  gran  parte  pe- netrata nella  mente  de'  nostri  filosofi. Mostrammo  come  il  Vico  si  colleghi  col  Cartesianismo; e  dicemmo  che  co'  nostri  filosofi  del  Risorgimento ei  si  congiugne  logicamente,  più  che per  le  quistioni metafisiche,  per  la  ricerca  psicologica.  In  lui  si  compie la  posizione  cartesiana,  e  si  riproducono  e  ringiovaniscono i  vecchi  principii  improntati  del  sentimento  della viva  realtà.  Vi  é  dunque  un'  attinenza  ideale,  vi  é  un legame  logico  tra  la  posizione di VICO,  della  Scienza Nuova,  e  quella  de' filosofi  del  Risorgimento.  Alla  ri- cerca psicologica  nuda,  astratta,  empirica  e  subbiettiva, deve  tener  dietro  necessariamente  la  ricerca  informata alla  esigenza  della  storicità.  Ecco  perchè  a  ricostruire  la storia  del pensiero  italiano  non  avremmo  guari  bisogno    di Cartesio    del  Cartesianismo,  se  non  fosse  per  alcune questioni  cosmologiche  e  ontologiche.  Egli  si  ricongiugne co'  filosofi  del  Rinascimento  in  tre  modi,  come  nel  pros- simo capitolo  mostreremo;  ma  di  più  li  trascende  infinitamente,  perchè  se  è  vero  che  nel  medio  evo  il  pensiero filosofico  riponeva  l'essenza  dello  spirito,  a  così dire,  furori  di  §è,  mentre  nel  Rinascimento,  attraverso forme  diverse,  inchinava  a  riporlo  sotto  di  se;  è  natu- rale che,  col  sentire  la  necessità  del  processo  istorico, novello  sentiero  egli  avesse  a  dischiudersi,  rintracciando quell'essenza  nel  seno  stesso  dello  spirito  siccome  centro e  insieme  processo  della  storia.  Gli  storici  della  filosofia italiana,  ripetiamolo  anche  qui,  non  potranno  far a  meno,  quando  voglian  discoprire  un  vincolo  ideale fra  le  due  epoche,  di  questa  relazione  alla  quale  siamo venuti  accennando,  e  su  la  quale  ci  rifaremo  più  riposatamente in  luogo  più  acconcio. Capitolo  Quinto. ORGANISMO    E    PROCESSO    PSICOLOGICO. {Fxmdamenio  razionale  del  processo  istorico.) I  punti sostanziali  ne'  quali  possiamo  stringer  la dottrina  psicologica,  seguendo  le  orme  del  nostro  filo- sofo, son  questi: !•  Concepire  in  maniera  compiuta  e  vera  la  natura della  facoltà  psichica  in  generale. 2«  Distinguere  nelle  funzioni  psicologiche  due  processi, conoscitivo  e  operativo,  ma  formanti  unico  organismo, unico  circolo. 3*  Riguardar  gli  atti  psicologici  come  una  moltiplicità  di  funzioni  distinte  e  per    stesse  irreducibili; ma  nondimeno  determinate  e  recate  in  atto  dalla  virtù d'  unico  principio  originario. 4*  Finalmente,  porre  siccome  base  razionale  e  immediata del  processo  istorico  lo  stesso  processo  psicologico. Col  primo  di  questi  concetti  il  nostro  filosofo  si  col- lega  dirittamente  con  Aristotele,  e  con  gli  Aristotelici del  Rinascimento  seguaci  dell'  indirizzo  medio;  e  nel medesimo  tempo  corregge,  in  ordine  alla  psicologia,  quel vecchio  domma  del  falso  Aristotelismo  e  del  malinteso Platonismo  che  suona  così:  niente  moversi  da  sé, che  non  sia  mosso.  Col  secondo  e  col  terzo  imprime forma  razionale  e  organica  alla  scienza  dello  spirito tanto  contro  Averroisti  e  Neoplatonici  che  troppo  distac- cano i  due  elementi  onde  risulta  V  ente  umano,  quanto contro  quegli  Aristotelici  empirici  che,  troppo  affogando r  uno  neir  altro,  finiscono  per  confonder  la  sfera  della psicologia  con  quella  della  biologia:  ma,    nel  primo come  nel  secondo  caso,  egli  serba  Y  esigenza  psicologica platonica  che  dicemmo  consistere  nella  distinzione  dei due  elementi,  nonché  V  esigenza  aristotelica  la  quale riguarda  il  processo  nelle  funzioni  psicologiche.  CJon  gli stessi  concetti  onde  corregge  nella  quistione  psicologica il  Platonismo  e  l'Aristotelismo,  previene  l' esigenza del  Criticismo  intomo  al  doppio  ordine  della  Ragion  teoretica e  della  Ragion  pratica,  e  insieme  la  invera  e  la compie.  Col  quarto  concetto,  finalmente,  imprime  significato razionale  e  positivo  al  fatto  storico,  e  crea  la Scienza  Nuova. Innanzi  tratto  intendiamoci  sul  metodo  acconcio  a simili  indagini. Tommaso  Buckle  osserva  che  i filosofi,  parlando su  la  natura  dell'anima,  non  sanno  pigliar  le  mosse altro  che  o  dalle  sensazioni,  o  dalle  idee;  riuscendo  così, nell'un  modo  e  nell’altro,  ad  un  metodo  solitario,  astratto, inefficace,  inconcludente.*  Sennonché  egli  stesso,  il  Bu- ckle, non  giugno  a  salvarsi  dal  primo  difetto.  11  suo  metodo isterico,  differente  dal  deduttivo  inverso  raccomandato dal  Mill,  é  addirittura  un  metodo  empirico;  onde inciampa  in  quel  sensismo  ch'egli  condannando  vorrebbe causare.  Checché  ne  sia,  l'osservazione  é  degna  d'un *  HUtory  of  Civilization  in  England]. positivista  inglese  ;  e  noi,  pur  correggendola,  non  dubi- tiamo farla  nostra.  A  schivare  infatti  tanto  le  conseguenze d'un  gretto  empirismo,  quanto  le  arditezze  d'un magro  e  sfumante  idealismo,  è  forza  movere  non  dal  fatto della  sensazione,  eh' è  cosa  estrinseca  e  quasi  soprav- venuta allo  spirito,  e  nemmanco  dalle  ideej  le  quali  in sostanza  non  sono,  per  noi,  fiiorchè  produzioni  di  lui; ma  da  lui  stesso  ;  dallo  stesso  spirito  in  quanto  pensiero. Bisogna  movere,  in  somma,  dal  centro,  anziché  dalla circonferenza;  dalle  facoltà,  ma  dalle  facoltà  concepite quali  sono  in  realtà,  cioè  come  funzioni.  A  tal  uopo  è necessario  adoperare  un  metodo  che  non  escluda,  ma che  sappia  includer  le  esigenze  di  tutt' i  metodi;  em- pirico, naturale,  sperimentale,  psicologico  astratto,  fisio- logico, e  simili.  In  una  parola,  è  necessario  il  metodo genetico  ;  il  quale,  rispetto  alla  psicologia,  è  ciò  che  il metodo  eduttivo  è  rispetto  all'ordine  del  conoscere.' *  Il  metodo  col  qnale  i  Positiristi  presamono  di  far  la  scienza  psicolosrica  è  al  tutto  empirico  e  artificiale;  ma  qui  non  intendo  porre  in  nn fascio  psicologi  positÌYisti  inglesi  e  francesi,  com*ha  fatto  il  Vacherot. {Betf.  de»  Deux  MondeSf  die.)  Spencer,  Mill  e Bain  stimano che  la  psicologia  è  superiore,  indipendente dalla  biologia,  precisamente  come  la  deduzione  è  indipendent-e  e  superiore air  induzione  pel  Mill,  e  come  la  Sociologia  è  indipendente  dalla  storia tanto  pel  Mill  quanto  per  lo  Spencer.  I  Francesi,  al  contrario,  facendo della  Psicologia  una  semplice appendice  della  Biologia,  non  sanno  con- cepir r  nna  senza  1’altra.    ri'y  a  point  de  p9yeolog%e  en  déhors  de  la biologie.  (LiTTRÉ,  A.  Oomte  et  St.  Mill)  Tale  anche  è  per la  deduzione  rispetto  air  induzione,  la  psicologia  rispetto  alla  storia, la  Dinamica  rispetto  alla  Statica  Sociale.  Sennonché,  qualunque  ne  sia la  differenza,  le  due  scuole  intoppano  in  due  errori  diversi;  nel  formalismo empirico  Tuna,  e  nel  materialismo  Tal  tra:  e  così  entrambe  rendono  im- possibile la  scienza  della  psiche.  Rifacciamoci  brevemente  dagP  Inglesi. Qual  debb*  essere,  secondo  St.  Mill,  il  fine  della  psicologia?  Non altro  che  la  ricerca  diretta  delle  ntceeeeioni  mentali,  (Sjfét,  de  Log,  tom.  II, p.  484.)  E  quaV  è  la  legge  più  semplice,  più  generale  cui  si  riducono  i fenomeni  psichici?  Quella  àéiV anaoeiazione  delle  idee;  la  grran  legge  osserrata  da  Hume.  [La  PhU.  de  Hamilton)  Innanzi  tratto  si può  osservare:  La  legge  dell’associazione  è  legge  empirica,  e  quindi  ò  un fatto:  ma  qual  n'è  la  ragione?  Senza  questa  ragione  potreste  uscire  dall'empirismo?  st.  Mill  non  ispiega  cotesto  fatto,  ma  1’accetta  dair  esperienza. Altro  difetto  gravissimo,  conseguenza  del  primo,  è  questo;  che Il  metodo  genetico  applicato   alla  ricerca  psicolo- gica attinge  valor  positivo  e  insieme  razionale,  quando la  legge  d*  associazione  nou  racchiude  necessità  psicologica  di  sorta.  È una  legge  men  che  empirica,  e  può  mancare.  Dunque  una  notizia  scien- tifica circa  la  natura  psicologica,  per  lui,  è  impossibile. Più  ancora:  il prodotto  ddV  anaociaziowi  è  un  fatto  «t*  generi»:  egli  stesso  ne  conviene. {DUaertation  and  DiicuMiona)  Or  bene,  come  spiegare  cotesto 9ui  generi»  con  la  pura  legge  d’associazione?  Ci  ò  qui  rispondenza,  ci  ò proporzione  tra  l’effetto  e  la  causa?  Finalmente,  come  spiegare  con  la semplice  associazione  il  gran  fatto  della  coscienza  f  Bisognerà  dunque concludere  che  la  legge,  la  quale  St.  Mill  dice  esser  la  più  semplice  e  ge- nerale fra  tutte  quelle  d' ordine  psichico,  importi  qualche  altro  fatto  ante- riore, 0  irreducibile.  La  psicologia  contemporanea  inglese  quindi  cade  nel formalismo  empirico.  E  se  riesce  a  distinguer  la  psicologia  dalla  biologia e  dalla  storia  (eh*  è  il  suo  pregio),  non  riesce  a  trovare  fra  V  una  e  le altro  vincolo  di  sorta.    Tocchiamo  ora  della  scuola  psicologica  de’ Positivisti francesi. Il  Littré  riguarda  la  psicologia  qual  semplice  appendice  ed  appli- cazione della  biologia;  e  vuol  quindi  trattarla  con  metodo  analogo.  Ma fa  una  distinzione  acuta  e  ingegnosa  di  cui  giova  tener  conto,  perchè forma  la  sua  stessa  condanna.  Egli  pone  un  divario  profondo  tra  la  fa- coltà e  il  suo  prodotto.  Logica,  ideologia,  psicologia  (egli  dice)  non  si distinguon  menomamente  dalla  biologia  quando  siano  avvisato  come funzioni;  ma,  guardate  nei  lor  prodotti,  se  ne  differenziano  in  infinito. Parimente  il  linguaggio,  come  facoltà,  è  faccenda  biologica  ;  ed  ha  la  sua ragione  in  una  delle  circonvoluzioni  anteriori  del  tessuto  cerebrale,  secondochè  ci  assicuran  oggi  gli  sperimenti  fisiologici  :  ma,  come  grammatica, se  ne  discosta  per  grand*  intervallo,  o  nou  ci  ha  che  veder  niente  con  la biologia.  Che  cosa  rispondere?  Rispondiamo,  troppo  antica  e  troppo vera  esser  oggimai  la  sentenza  aristotelica,  che  tra  la  natura  della  causa e  quella  dell'  effetto  non  possa  esserci  divario  essenxiaie.  Or  negli  esempi quassù  arrecati  il  divario  essenziale  e*  è:  gli  st>essi  positivisti  non-  ardiscono dubitarne.  Come  dunque  spiegarlo  cotesto  divario?  È  egli  possibile spiegarlo  senza  riconoscer  la  differenza  fra  le  due  scienze  non solo  quant' a* prodotti  psicologici,  ma  anche  quant*alle  facoltà?  Como funziono  il  linguaggio  non  appartiene  egli  anche  al  quadrumane?  Ora  in forza  di  che  cosa  riesce  tanto  profondamente  diverso  il  risultato  nel  bimane che  ha  pur  comune  col  quadrumane  la  funzione?  Si  dirà  in  forza  del- l' unione,  del  numero,  dell*  attrito  nella  specie,  nella  società?  Ma  non vivono  in  società  anche  alcune  famiglie  di  quadrumani?  Eppure  quella funzione  non  ha  dato,  e  mai  non  darà  il  risultato  che  pur  dovrebbe!  Àncora: se  il  prodotto  fosse  tant^  diverso  dalla  facoltà  solo  per  ragion  del- l' associazione  e  del  contatto,  che  cosa  ne  verrebbe?  Che  1*  uomo  sarebbe fornito  di  qualità  e  doti  essenziali  non  per  so  stesso,  cioè  non  perchè individuo,  ma  per  altri  e  da  altri,  cioè  perchè  membro  della  società.  Or tutti  sanno  che  la  £eicoltà  della  parola,  cosi  intimamente  annodata  col  pensiero, non  e  dote  accidentale ìn& eÈsenziffova;i^«i!l;  \iytxaiy  to  xvpiov  in  fvTf>f;i^sta  jctc.  (Id.  Eod.) È  Vachu  in  aetu  degli  Aristotelici  del  Risorgimento  segnaci  deir  indirizzo medio,  per  esempio  ^del  Gontarini,  come  aTrertimmo.  RàTAiBSOX,  Métaplu  d'Aritt.,. psicologica.  Lo  spirito  è  essenzialmente  processo,  è  ge- nerazione, ma  non  trasformazione.  Non  va  dalla parte al  tutto,  come  avviene  delle  combinazioni  meccaniche; ma  dal  tutto  al  tutto,  dal  tutto  potenziale  al  tutto  attuale, dal  di  dentro  al  di  fuori,  da  una  sintesi  origi- naria e  confusa,  ad  una  sintesi  analizzata.*  Voglio  dire che  il  processo  psicologico  s'inaugura  non  già  con  que- sta o  cotesta  facoltà,  anzi  con  tutte  le  facoltà.  Le  quali perciò  non  sono  funzioni  determinate  e  specificate  sin dalla  loro  origine,  ma  convengon  tutte  nell'essere  altrettante potenze,  e,  come  tali,  formano  unica  potenza originaria,  eh' è  conato  essenziale,  sforzo  incessante.* Che  cosa  sia  questo  conato,  si  vedrà  nell'  altro  capitolo. Qui  dobbiamo  considerar  le  facoltà  psicologiche come  ce  le  presenta  il  fatto,  cioè  come  una  moltiplicità  di  funzioni. Che  cos'è  la  facoltà  psicologica?  È  un  passaggio dalla  potenza  all'  atto.  Ella  ci  esprime  la  pronta  ne- cessità di  fare,  di  determinarsi,  d'  attuarsi;  e  quindi vuol  dire  facilità,  prontezza,  solerzia,  agevolezza  di fare.'  Or  la facoltà  intanto  significa  pronta  e  spontcmea solerzia  di  fare,  in  quanto  fa  il  proprio  obbietto;  in quanto  si  fa  come  funzione;  in  quanto  si  pone  come [Anche  in  ciò  la  psicologia  somiglia  alla  fisiologia,  ma  non    si confonde.  L’organogenia  s' inaugura,  meglio  che  con  uno,  con  tutti  gli  or- gani ad  un  tempo.  Per  esempio  i  centri  primitiTi  multipli  del  sistema nervoso,  che  la  microscopia  ci  pone  sott*  occhio,  chiarisce e  conferma quest'  assunto.  Cfr.  Vulpian,  Physìologie  gfn.  et  comp.  du  syaL  nere.  — LhittS,  SyH.  New.  cerebro-spinale.  Glkibbrrg,  Intinto  e  Libero  cwbitrio trad,  del  Langillotti,  Nap. Oonatum  uni  menti  attrihuimu»f  quce  libero  arbitrio  prcedita  pottH BUB8TARB....  eoque  pacto  potett  motitm  subsistrre  et  stare  in  conato  [De Univ.).  Ne*  corpi  e*  è  moto,  secondo  il  concetto  cosmologico del  Vico,  ma  nell* animo  e  è  moto  e  eoncUo:  o  meglio,  il  moto  qui  as- sumendo natura  di  conato  è  moto  del  moto,  e  quindi  è  aetw  in  actu.  Expedita  seu  expromtn  f'iciendi  solertia  (De  Antiquisn,  TtaU  Sap.^ .  Facoltà  suona  anche  proprietà,  ma  proprietà  cosciente  :  di- stinzione confermataci  dal  comun  linguaggio  che  attribuisce  la  proprietà alle  cose,  ma  predica  dell*  nomo  \h  facoltà.  Vedi  le  belle  riflessioni  dello JouFPRoy  in  proposito  {^filang.  Phil.,  ed.  Bruxelles attività:  FacuUaùes  sunt  eorum,  quce  fadmus.  Ecco  il  concetto  psicologico  piìi  originale  di VICO (si veda).  Il  germe  di  que- sto concetto  è schiettamente  aristotelico; ed  è  la  chiave ond'  egli,  anticipando  la  moderna  psicologia,  preveniva il  Fichte,  e  insieme  ne  correggeva  V  esagerazione. Dunque  la  facoltà  posta  come  funzione  psicologica che  fa    stessa  in  quanto  fa  il  proprio  obbietto,  è  il  ' passo  d'oro  del  Libro  Metafisico.  Ad  esso  rispondono altri  due  che  troviamo  nel  Diritto  Universale  e  nella Scienza  Nuova;  e  tutt'e  tre  riescono  a  comporre  l'organismo del  processo  psicologico.  Tale  organismo,  in- fatti, parmi  racchiuso  in  queste  due  sentenze:  !•  che r  uomo  è  innanzi  tutto  SensOy  appresso  Immaginazione e  quindi  Ragione:  2*»  che  l'uomo  è  un  Potere,  un  Volere e  un  Conoscere  potenzialmente  infinito. ÀRlST.  De  an.  DoTe  stanno,  a  mo*  d'esempio,  i  colori,  i  sapori, gli  odori,  il  tatto? Se  il  senso  è  facoltà,  ne  segue  che  tu  in  sostanza  hai  a  far  i  colori  nel vedere,  tu  i  sapori  nel  guastare,  tu  i  suoni  nelP  udire,  tn  gli  odori  nel- r  annusare,  tu  stesso  il  freddo  e  '1  caldo  \iel  toccare.  Nam  si  «enatu  facultates  sunt,  videndo  colore»,  sapores  gustando,  sono»  nudiendo,  tangendo frigida  et  calida  rerum  facimua.  {De  Antiquisa)  Parimenti  con le  immagini  e  con  le  rappresentazioni  la  yirtù  fantastica  partorisce  il proprio  obbietto,  e  si  fa;  di  modo  che  scegliendo  il  meglio  di  natura ed  elevandolo  a  valore  di  tipo,  a  questo  vien  conformando  V  opera  d*  arte. De  medio  lectam  {formam)  ttupra  fidem  extoUunt,  et  ad  eam  auos  heroaa con/ormant.  (Ibi,  2.)  E  la  memoria,  potenza  che  rifa  e  penetra  so  mede- sima, non  potrebbe  rifarsi  e  penetrarsi  ove  innanzi  non  si  fosse  fatta; ne  quindi  può  esser  quella  magra  e  sterile  ritentiva  di  che  ci  parlano i  sensisti.  L' intelletto  è  facoltà  anche  lui,  perchè  col  determinarsi  viene a  geminarsi  nel  giudizio,  e  perciò  vede  ;  e  vede,  perchè  occhio  dell'  intel- letto è  il  giudizio  :  Judicium  eat  oculus  intellectu;    potrebbe  intellet- tivamente vedere,  se  non  intendesse;    intendere,  ove  anch'agli,  al solito,  non  facesse  il  proprio  obbietto.  Intellectus  verna  faeultaa est,  quo quum  quid  intelligimua,  id  verum  facimua, .  In  tutto  questo  il Vico  ormeggia  Aristotele.  Per  es.  la  visione,  secondo  lo  Stagirita,  è  Vatto dd  colore;  l'udito  è  V  aUo  del  auono.  (Ravaisson  Metaph,  d^  Ariat.,  Aeist.  De  An.)  Il  primo  di  questi  due  principii  è  evidentemente  aristotelico,  per- chè dall*  ou^SvitTiq  al  voù^,  com'  è  noto,  ricorrono  parecchi  gradi  e  sfu- mature componenti  tutte  un  unico  processo:  ^ója,  ^àvTacr|ua,  se  V  Intel- ligenee^  Lauoel,  Probi,  de  V Atne, Litthé, Revue  de  Phil.  Potit. Consulta  anche  le  op.  «it.  di VuLPiAN  e  di  Lhuts. dell'  immaginazione,  cioè  all'  intendimento,  nonché  il passaggio  dall'intendimento  alla  ragione?  Fra  il  termine sensato  dell'  intuizione  e  '1  fantasma  e'  è  un  abisso. Un  abisso  tra  il  fantasma^  tra  il  fantasma  anche  salito ad  universale  poetico^  ed  il  concetto.  Un  abisso  ancora fra  il-  concetto,  e  la  nozione,  l' idea,  V  universale  pro- priamente detto.  Bisogna  credere,  perciò,  che  dall' un gruppo  all'altro  di  funzioni  psichiche  non  esista  continuità, ma  transito  ;  non  passaggio  immediato,  ma  in- tervallo. Or  bene,  come,  altro  che  per  miracolo,  l' una facoltà  potrebbe  trasformarsi  nell'altra?  Non  è  dunque la  facoltà  che  si  trasforma  e  diventa  ;  ma  è  lo  spi- rito che  si  forma,  che  si  determina  nel  multiplo  e  me- diante il  multiplo  delle  facoltà.  Laonde  attraverso  e  al disotto  a  questa  multiplicità  di  funzioni,  è  mestieri  supporre una  facoltà  madre  che,  come  facoltà  deUe  facoltà compia  i  diversi  passaggi  e  intervalli,  e  sia  come  il principio  dinamico  dell'organismo  psicologico.  Ma  di questo  faremo  parola  nel  prossimo  capitolo  dove  ricer- cheremo la  genesi  del  processo  psicologico.  Seguitiamo. Quel  che  s'è  dettò  del  processo  conoscitivo,  dicasi pure  del  processo  operativo  e  pratico  dell' organisriio  psi- cologico. Una  medesima  legge  governa  tanto  la  genesi del  conoscere,  quanto  quella  dell'operare.  I  diversi gradi  e  momenti  del  processo  operativo  rispondono  a' di- versi gradi  e  momenti  del  processo  conoscitivo.  L'operare infatti  è  determinato  dal  conoscere  per necessità  tutta psicologica.  Come  dunque  potrebbe  non  riprodurre  la medesima  legge?   Il  processo  pratico  suppone  il  teoretico,  stantechò  la  funzione  yo- litiva,  alla  quale  si  riferisce  ogn' altra  facoltà  d'ordine  operativo,  sia funzione  essenzialmente  secondaria.  Accenneremo  qui  i  diversi  passag^ di  questo  processo  secondo  i  tre  gruppi  (no««ey  oeU«,^oMe)  additatici  dal Vico;  ma  ci  ristringeremo  a  notarne  i  difTerenti  gradi  seguendo  l'ordine ascensi vo,  tuituraU  e,  per  cosi  dire,  cronologico. L  a)  Istinto  fisiolooigo.    Risponde  alla  Sensazione;  anzi  è  la sensazione  stessa,  ma  sotto  l'aspetto  riflesso,  attivo,  comecché  incosciente. In  esso  quindi  si  ripeton  le  medesime  condizioni,  non  altro  essendo fuorché  unità  incosciente  e  confusa  fra  Vagente  e'I  motivo  dell'azione. Additato così con  fuggevoli  tocchi  il  doppio  aspetto onde  risulta  il  processo  psicologico,  potremo  intendere ormai  quella  dottrina  del  nostro  filosofo  a  cui  più  di una  volta  venimmo  alludendo  nelP  abbozzar  la  storia della  Scienza  Nuova:  dico  la  dottrina  del  Vero  e  del Certo,  che  ha  riscontro  con  V  altra  della  Bagione  e  dd- VAidorità,  11  vero  è  produzione  di  Ragione;  il  certo  è produzione  d^ Autorità,^  Ma  come  nelP  ordine  conosci- [Istinto  uitano  (il  poste  del  Vico  nel  sao  primo  grado  empi- rico). —  Si  ripeton  le  condizioni  della  Percezione  sensata.  I  due  termini qui  cominciano  a  distingaersi  ;  ma  VigUnto  non  è  por  anche  desiderio. L'istinto  anche  qui  è  immohile,  è  cieco,  e  pnr  nonostante  è  umano.  Ed è  umano  principalmente  perchò  non  può  rimanere  istinto^  ma  dehb*  esser superato  dal  desiderio,  dee  diventar  desiderio.  e)  Dbsidebio.  ~  Risponde  alla  Rappresentazione,  e  n'  è  l’attività. Il  motivo  dell*  azione  è  determinato,  particolare.  Quindi  fra  questo  motivo e  r  agente  havvi  necessità  empirica,  immediatezza. d)  Passignk. Risponde  ai  primi  gradi  deirimmaginazione,  e,  come questa,  è  mobile  e  varia;  e  perciò  è  meno  indeterminata  che  non  sia  il desiderio.  Il  Desiderio  è  uno,'  la  Passione  ha  più  forme.  L'obbietto  che la  determina  non  è  il  particolare,  e  neanche  il  generale.  Appartiene  al-r  individuo  considerato  non  come  individuo,  ma  com'  elemento  di  società. Segna  dunque  un  passaggio;  il  passaggio  dal  desiderio  al  libero  arbitrio. II.  e)  LiBRRo  ARBITRIO. — L*  obbietto  è  generale,  astratto;  perciò  è più  mobile  della  Passione,  e  quindi  costituisce  il  passaggio  dalla  necessità empirica  alla  necessità razionale  (libertà  volgarmente  intesa).  Risponde alla  Immaginazione  imitatrice  e  riproduttiice  eh*  è  tuttora  schiava  della natura;  al  modo  istesso  che  il  libero  arbitrio  è  dominato  da  un  motivo tuttora  eteronomo.)  Dbtkrminazionk  (passaggio  del  libero  arbitrio  alla  Libertà).Risponde,  più  che  all'Immaginazione  (combinatrice),  alle  varie  forme  del- l' Intendimento.  Varietà  d*  obbietti. g)  SuK  DIVBRSR  POBMB  {contrarietàf  contraddizione j  dezione).  — Anche  qui  ha  luogo  un  processo  come  neU*  Intendimento.  L*  elezion  razionale non  ò  più  libero  arbitrio,  ma  Libertà. )  Libertà. È  determinata  dalla  Ragione  :  perciò  importa  la necessità  razionale.  Libertà  quindi  è  dovere  appunto  perchè  è  ragione. Ma  può  tornare  ad  una  delle  tre  forme  d'arbitrio,  stantechè  la  necessità, ond'è  signoreggiata,  sia  necessità  morale. »)  Personalità.  È  l’Autorità  che  si  converte  con  la  Ragione.  È il  risultato  del  processo  psicologico,  e  rappresenta  il  circolo  delle  facoltà perchò  le  suppone  tutte,  e  le  contiene  in  atto.  1&  dunque  la  circonfe- renza, cioè  rio  pienOf  attuale.  Qual  n*è  il  centro?  (Vedi  nel  Gap.  seg.) *  n  concetto  à^ÀtUorità  è  una  delle  idee  cardinali  dell'opera  sul Piritto   UniversaJle. Noi'  qui  ne  parliamo  per  incidenza;  perchè  questa tivo  è  mestieri  che  il  vero  si  converta  col  fatto,  così  nelr  ordine  pratico  il  certo  fa  d'uopo  che  si  converta  col vero.  In  altre  parole,  se  il  processo  teoretico  guardato psicologicamente  è  una  conversione  del  vero  col  fatto; il  processo  operativo,  al  contrario,  guardato  storica- mente, è  una  conversione  del  certo  col  vero.  La  relazione che  Vico  pone  tra  il vero  e  '1  Certo,  somiglia quella  che  nell'Aristotelismo  tiene  la  forma  verso  la  ma- teria, ma  considerata  nel  processo  isterico.  Risponde altresì  alla  relazione  eh'  egli  medesimo  scorge  tra  la filologia  e  la  filosofia.  La  filologia  porge  i  placiti  del- l' umano  arbitrio  (placita  humani  arbitri)  ;  la  filosofia indaga  i  principii  necessari  di  natura  (necessaria  na- turcey  Perciò][aiferma. La  Filosofia  contempla  la  Ra- gione onde  viene  la  Scienza  del  Vero:  la  Filologia osserva l’Autorità deW  umano  Arbitrio  onde  vien  la Coscienza  del  Certo.^n  Or  la  Ragione,  producendo  il dottrina  dovendo  esser  considerata  principalmente  sotto  T aspetto  istorico (nel  che  sta  tutto  il  suo  pregio  e  la  sua  norità),  dovrà  quindi  formare oggetto  d' interpretazione  e    studio  nella  Sociologia.  Qui  dobbiamo avvertire  solamente  che,  quantunque  i  siguiiìcati  della  parola  Autorità pel  Vico  sian  diversi  (Autorità  polìtica,  religiosa,  monastica,  incononiica, civile  e  simili)  nullameno  tutte  le  specie  d'autorità,  chi  interpreti  bene la  sua  mente,  hanno  d' aver  per  fondamento  originario  queir An^ontò  alla quale,  propter  rerum  novitateìn^  ei  volle  dare  un  titolo  nuovo,  e  V  appellò AUCTOttlTAS  NATURALIS,  ACCTOEITAS   ì>tATURMj[De  Univ.   Jur.,   XCI).   PerciÒ la  definisce:  Humana: natura: proprietae.  Perciò  non  dubita chiamarla  divina.  Perciò  la  designa  come  T  unità  vivente  delle  tre  funzioni costituenti  l' ordine  pratico  psicologico:  noBsCf  velie,  posse. Perciò,  finalmente,  la  dice  Suitas;  e  la  Suitas  nell'uomo  vale,  per  lui, ciò  che  in  Dio  VAseitas.  Vedremo  altrove  esser  questa  una dottrina  originale  onde  l'autore  della  Scienza  Nuova  prevenne  la  moderna filosofia  del  Diritto.  Del  che  niuno  de'  critici  di  cui  parlammo  ha  avuto sentore,  tranne  il  Carmignani  e  l'Amari;  ma  l'uno,  come  dicemmo,  ne parla  superficialmente,  e  l'altro  in  senso  tutto  cattolico  e  tradizionale. De  Constantia  Jurispr.,  Proem., Sc.  Nuova,  Si  noti  qui,  a  maggiore  schiarimento del  metodo  vichiano,  che  la  Filosofia  è  quella  che  contempla,  e la  Filologia  quella  che  ossava. Secondo  il  nostro  linguaggio,  quella  deduce, e  questa  induce.  Or  la  Scienza  Nuova  non  fa  propriamente  l'una cosa,    l' altra.  Essa  pone  in  opera  entrambe  cotoste  funzioni,  e  le couipenctra  in  una  terza  che  dicemmo  essere  il  ma),àstoro  eduttivo. vero^  costituisce  il  processo  della  coscienza  ;  in  mentre che  r Autorità,  producendo  il  certo  e  legittimandosi nella  ragione,  forma  il  processo  dell'autocoscienza,  e partorisce  il  concetto  della  personalità  (Proprietas  sui; Suikis).  Sotto  l'aspetto  isterico,  perciò,  l'Autorità  è  il libero  arbitrio  che  diventa  libertà,  e  quindi  Ragione: sotto  l'aspetto  psicologico  è  lo  stesso  libero  arbitrio già  divenuto  ragione.  Ond'  è  che  come  il  certo  non  è il  vero  ma  una  parte  del  vero  così  V  Autorità  non  è Ragione,  ma  è  partecipe  di  ragione. Che  cosa  è  da concludere  da  tutto  ciò?  Che  il  processo  pratico,  riguar- dato psicologicamente,  comincia    ove  finisce  il  teoretico. Questo,  infatti,  s' inaugura  col  senso,  e,  sempre  più ascendendo,  si  risolve  nella  ragione.  Quello,  invece,  move dalla  ragione  avvisata  come  semplice  colioscere,  e,  tran- sitando pel  volere,  finisce nel  potere;  ma  nel  potere divenuto  già  attività  concreta,  piena,  reale,  vivente, stantechè  il  libero  volere  importi  la  ragione.  Che  se tra  conoscere  ed  operare,  fra  coscienza  e  autocoscienza, 0  (per  usare  il  linguaggio  del  nostro  filosofo)  tra  Ra- gione e  Autorità,  fra  il  Vero  e  il  Certo  e  tra  filosofia e  filologia  havvi  un  processo;  è  necessaria,  è  inevitabile una  conversione  fra'  due  termini.  Dunque  1'  Autorità devesi  poter  elevare  a  dignità  di  Ragione;  al  modo istesso  che  la  ragione  operativa  debbe  aver  coscienza di    medesima  anche  come  ragion  conoscitiva.  Or  che è  ella  mai  cotest'  Autorità  convertitasi  in  ragione  se non  l'autocoscienza?  E  non  è  appunto  quest'Autorità autocoscente  quella  che,  assolvendo  l' uno  e  l' altro  pro- '  Ut  autem  VBRUM  constai  RATiONE,  ita  criltuu  nititur  auotoritate, vd  noHra  $en»uum  quat  dicitur  aUTO^i'a,  vel  aìtorum  dicti»,  qua  in  tpeei^e dicitur  AUOTORlTAS,  cx  quorum  alterutra  naicitur  PRRSCASIO.  Sed  ipta  auctoRITA8  e«t  ^ar»  ^rwofrfam  RATiONis. {De  Univ.  Jur.y  Proloq.)  Vedi  le  di- verse applicazioni  del  Vero  e  del  Certo. Il  primo  scolare  del  Vico.  Emanuele  Dani,  come  arrertimmo,  fin  dal  se- colo passato  colse  giusto  in  questa  dottrina  del  suo  maestro,  massime quant*  al  valore  e  alla  relazione  de'  suddetti  concetti.   (Tedi  Saggio  di Oiuriprndenza    Unirrr^aU,  ed.   cit.,  p.  CVIII). cesso,  costituisce  l'essere  veramente  umano  (universale)? E  che  cos'  è  l' ente  umano,  che  cos'  è  VHumaniiaSj  per cui  l'individuo  è  davvero  individuo,  subbietto  veracemente universale,  fuorché  la  personalità?  E  che  cos'è la  persona  se  non  queir  unità  vivente  e  operante  del triphce  diritto  originario  (tutèla^  dominio  e  libertà)  nella quale  s' incarna  e  s' impersona  la  triplice  funzione  del Potere,  del  Volere  e  del  Conoscere?* Col  concetto  su  la  relazione  fra  il  processo  conosci- tivo e  '1  processo  operativo  dell'organismo  psicologico Vico  non  solo  previene  l' esigenza  Kantiana  del  dop- pio ordine  di  ragione,  ma,  che  più  monta,  la  supera. La  previene  distinguendo  la  Ragion  pura  (Batio)  dalla Ragion  pratica  (Autoritas).  E  dovea  distinguerla,  perchè i  due  processi  conoscitivo  e  pratico,  tuttoché  formanti unico  organismo,  hanno,  come  s' è  visto,  origine, natura,  e  andamento  diverso.  La  supera  poi,  in  quanto che  scorge  la  conversione  (ripetiamolo)  non  pur  fra l'una  e  l'altra  ragione,  ma  eziandio  nell'una  e  nell'altra guardate  ciascuna  in    stessa.  Come  processo  conoscitivo la  Ragione  dee  convertirsi  con    stessa;  e  non potrebbe,  ove  non  divenisse  anche  Autorità.  Come  processo pratico  l'autorità  non  potrebbe  neanch' ella  con- vertirsi con    medesima,  s'  ella  stessa  non  divenisse Ragione.  Li  altre  parole:  il  conoscere  non  potrebb' esser vero  conoscere,  ove  non  fosse  un  processo,  una  con- versione de'  tre  gruppi  di  funzioni teoretiche  innanzi discorse.  L'operare  non  sarebbe  vero  operare,  se  anch'egli  non  fosse  una  conversione  de'  tre  gruppi  delle funzioni  operative.  Finalmente  il  processo  conoscitivo *  De  Univ.  Jur. Di  qui  nasce  il  concetto  del gitu  e  della  libertà  secondo  le  dottrino  Yichiane,  come  altrove  mostre- remo. Ma  già  i  lettori  prevedono  qnal  uso  noi  saremo  per  fare  di  cotesta dottrina  nelle  questioni  polìtiche,  giuridiche,  religiose  e  pedagogiche. Posto  il  concetto  àdV Auctoritcu  naturalU^  e  dell’Autorità  in  generale come  particeptf  RaHonUy  cioè  come  facoltà  che  devesi  convertire  con  la Ragione,  ognuno  saprà  argomentare  qual  valore  giuridico  abbian  per noi  r  autorità  politica  e  1*  autorità  religiosa  nelle  teoriche  sociologiche. e  '1  processo  operativo  non  sarebbero  tali,  ove  non  fos- sero essi  stessi  una  conversione  tra  se  medesimi.  Così  il circolo  è  compiuto;  e  così  rimane  sbandita  ogni  maniera di  dualismo  e  di  formalismo  nel  regno  della  psicologia. Or  la  mancanza  di  processo  è  precisamente  il  tarlo che  rode  le  dottrine  del  Kant. Posto  il  noumeno  come un'incognita,  posta  la  conoscenza  com'una  specie  di combaciamento  meccanico  anziché  come  processo  dinamico del  fatto  con  l'idea  e  della  materia  con  la  forma; non  poteva  non  chiudersi  ogni  via  per  intendere  il  fenomeno, e  salvarsi  dal  cadere  in  quella  specie  di  scetticismo metafisico  del  quale  altrove  toccammo  (p.  238). Senza  esempio  nella  storia  della  filosofia  egli dimostra la  necessità  di  certe  condizioni  superiori  all'  esperienza nel  fatto  del  conoscere.  Ecco  la  massima  sua  gloria.  Ma non  perviene  a  spiegar  cotesto  fatto,  perchè  non  giunge a  risolvere  il  dualismo tra la sensibilità  e l' intelletto col  discoprirne  il  germe  comune  eh'  egli  stesso  )ion  dubita chiamare  sconosciuto.  D'altra  parte,  dal  disegno della  Critica  della  Ragion  Pura  egli  trae  quello  della Critica  della  Ragiofi  Pratica,  Nell'una  move  dal  senso, e,  attraverso  l' intendimento,  giugne  alla  ragione.  Nel- r  altra  tiene un  cammino  opposto,  perchè  dal  concetto di  libertà  scende  nelle  facoltà  inferiori.  Or  1'  errore non  istà,  certo,  in  questo  cammino,  in  questo  circolo  ; ma  piuttosto  nell'  aver  interrotto  cotesto  circolo.  Donde avrebbe  dovuto  partire  nell'  organar  1'  edifizio  della Ragion  Pratica  ?  Precisamente  da  quel  punto  ove'  pon termine  la  Ragion  Pura,  Egli  invece  fa  un  salto;  salto mortale;  perchè  voltando  le  spalle  alla  ragion  pura  (né poteva  altrimenti),  si  basa  nel  concetto  di  libera  cau- salità.* Ov'  è  dunque  il  processo  fra  l' un  ordine  e  l' al- tro? Ov'  è  r  unità,  r  organismo  del  circolo  psicologico? Nella  distinzione  Kantiana  e'  è  del  vero.  Ed  è  che la  Ragion  Pura  è  facoltà  passiva  in  quanto   ha  per Kant,  Crit,  de  la  Raiaon  Aire,  Tissot. >  Idem,  Crit.  de  la  Maieon  Pratique, termine  il  fenomeno,  tuttoché  s'  addimostri  attiva  nel concepire  e  disporre  e  costruir  questo  fenomeno  me- diante quella  mirabile  tela  delle  categorie.*  La  Ragion pratica,  al  contrario,  è  profondamente  attiva,  stanteche  con  r  atto  del  puro  volere  ella  ponga  il  noumeno^ Se  non  che  il  grand'  uomo  non  vide  che    la  Ragion pratica  è  assolutamente  attiva,    la  Ragion  pura  è assolutamente  passiva.  Il  conoscere,  certo,  serba  carat- tere di  passività  ;  non  altrimenti  che  V  operare  ha  ca- rattere d'  attività.  Ma  sono  tali  in  modo  relativo.  Sono tali,  cioè,  in  quanto T  ordine  pratico  sopravviene  a compiere  il  teoretico,  non  già  nel  senso  che  nel  secondo abbiasi  a  conseguire  ciò  eh' è  riescito  impossibile nel  primo,  vo'dir  la*  posizione  del  noumeno.  Che  cos'è infatti  cotesto  noumeno  nell'ordine  pratico?  Perchè  la Ragion  pratica  s'  ha  da  porre  qual  puro  volere,  cioè com'un  fatto  a  priori?  Insomma,  che  cos'è  questo  rolere  che  vuole    stesso? A  tal  grave  quesito  il  Criticismo  non  risponde,  checché ne  abbia  detto  poco  fa  uno  della  scuola  della  Morale  In- dipendente che  in  ciò  crede  poter  ormeggiare  il  filosofo prussiano.  Che  anzi,  se  la  legge  morale  procede  dalla  libertà come  volontà  indipendente  e  superiore  a  qualsi- voglia motivo,  cioè  come  autonomia  che  trascenda  ogni eteronomia;  è  da  confessare  che  un  principio  siffatto  è condizione  ni  tutto  subbiettiva,  e  quindi  sorgente  mu- tabile appunto  perchè  assolutamente  libera.  Un  atto assofuto  di  volere,-  il  volere  come  volere,  io  non l'in- tendo. Non  intendo  il  voglio  perchè  voglio^  giusto  perchè non  capisco  un  atto  che  sia  razionale  e  insieme  scisso e  quasi  staccato  dalla  ragion  pura.  Brevemente:  non intendo  una  Ragion  pratica  che  non  sappia    possa convertirsi  con  la  Ragion  teoretica.''  Se  la  radice  del [Kant,  Orìt,  de  la  liaison  Pure,  Orit,  de  la  Raiaon  Pratique,  Secondo  Kant  la  Ragion  pura,  oltr'esser  fornita  dell’uao  tpeculiiivoy  ha  eziandio  un  tntereaae  pratico;  il  quale  consiste  semplicemente dovere  sta  nel  sapere;  la  volontà  di  sua  natura  sarà sempre  una  funzione  secondaria,  non  mai  primaria:  si che,  ove  nel  processo  istorico  si  svolga  da  sé,  in  tal  caso ella  si  determina  non  già  come  libertà,  ma  come  potere, come  desiderio,  come  passione,  come  libero  arbitrio. Laonde  se  il  filosofo  prussiano  sente  la  necessità  d' un reale  nel  suo  formalismo  critico,  cotesta  necessità  per  lui non  può  racchiudere  il  vero  concetto  del  dovere,  perchè importa  una  tendenza  cieca.  Non  è  dunque  un  atto  etico veramente  detto,  ma  un  bisogno  assolutamente  empirico. Dal  che  si  vede  agevolmente  non  essere  al  tutto  vero  ciò che  aflFermano  due  serie  di  critici  rispetto  alla  natura de'  due  ordini  di  ragioni  poste  dal  Criticismo.  Alcuni credono  esserci  contradizione  perchè,  mentre  Ja  Ragion pura  è  indirizzata  solamente (tuttoché  con  artifizio  for- male) a  regolare  V  esperiènza,  la  Ragion  pratica,  invece, è  destinata  a  ricostruire,  a  costituire;  e  costruisce  mercè la  posizione  del  noumeno,  del  libero  volere,  reintegrando siffattamente  i  postulati  distrutti  nell'ordine  teoretico. Altri  pensano,  fra*  quali  Spaventa,*  che  la  contraddi- zione non  istia  già  fra  le  due  Ragioni,  ma  in  ciascuna d'esse.  Per  noi  è  vera  l'una  e  l'altra  sentenza,  ma  in questo  senso;  che  la  contraddizione  del  Criticismo  non istà,  come  abbiam  detto,  nel  porre  due  sfere  diverse  di ragioni;  due  ordini  di  processi  psicologici,  ma  si  nel non  aver  risoluto  nessun  de'  due.  La  contraddizione esiste  non  pure  in  ciascuna  delle  due  sfere,  ma  anche tra  l'una  e  l'altra  ad  un  tempo;  con  la  differenza,  che nell'  un  caso  eli' è  essenziale,  dovechè  nell'altro  è  secon- daria. Togliete  quella,  e  avrete  insieme  levato  questa. Togliete  il  dualismo  e  '1  formalismo  nella  Ragion  pura, avrete  parimente  riparato  al  formalismo  e  al  dualismo della  Ragion  pratica.  Perciò  sommettete   a  processo nel  determinaref  non  già  ne)  eogtituire  la  Ragion  pratica.  La  Ragion  pura  pratica  »i  eoHituiace  da  «2.  Ecco  il  grave  difetto  del kantismo  nell’ordine  morale. FU,  di  Kant  e  «uà  relaxione  coUa  FU,  /tal.,  Torino,   Puna  e  1'  altra,  e  avrete  schivata  la  contraddizione;  e invece  delle Idee sulla  Storia Universale  idee  che  paion come  disorganate,  avrete  l'organismo  della  Scienza Nuova.Or  la  contraddizione,  che  per  tre  divers^e  maniere offende  il criticismo,  potrà  essere  tolta  unicamente quando  dalla  dualità,  onde  non  si  potè  liberare  il  Kant, sappiasi  risalire  all'  unità  sua.  Qual  sia  questa  radicale unità  da  cui  move,  ed  alla  quale  ritoma  il  processo psicologico,  diremo  fra  poco.  Torniamo  a Vico. La  Ragion  pratica,  l'Autorità,  VAuctoritas  naturalis^ che  per  lui  costituisce  la  base  del  processo  pratico  in tutt'e  tre  i  momenti  in  che  questo  si  svolge,  non  è  già un  primo  staccato  da  un  altro  primo  al  tutto  formale, ma  è  un  secondo  che  si  converte  con  un  primo^  e  per tale  conversione  formano  entrambi,  anziché  dualità  irresoluta, unidualUà,  Per  l'Autore  della  Scienza  Nuova  la ragione,  in  quanto  ragione,  è  una  non  due,^  Non  due perciò  le  sorgive  onde  rampollano  i  ragionamenti  ;  bensì  Il  significato  della  storia  per  Kant  si  riduce  a  questo.  Come  gli uomini  si  son  costituiti  in  società  per  ischivar  la  guerra,  cosi  tutt*  i popoli  tendono  a  stabilirsi  in  federazione  universale  {Idée  de  eeque  pourrait  ètre  Vhiètoire  universelle  dana  le»  vuee  d^n  eitoyen  du  monde). La  P  sentenza  è  un  errore  degno  degli  Hobbesiaui:  la  2"  è  un'utopia la  quale  partorisce  1*  altra  della  Pctce  universnlcf  e  V  altra  ancora  d*  una Chiena  filoeofica  il  cui  fine  dovrebb'  esser  quello  di  sorvegliare  alla  mo- rale del  genere  umano  (Vedi  nella  Relig,  dana  lee  lim.  de  la  raiwn).  Sennon- ché è  impossibile  spiegar  la  stona  col  porne  V  origino  in  una  condizione accidentale,  in  una  necessità  euipirica  qual'  è  appunto  la  guerra.  II  fatto isterico  può  essere  spiegato  col  risalire  alle  leggi  psicologiche,  e  scoprirne il  processo.  Or  poteva  egli,  il  Kant,  prefiggersi  tal  fine  s*  ei  non  seppe levare  il  dissidio  fra  le  due  Ragioni  e  mostrarne  la  conversione  V  Da  ciò anche  dipende  quel  proporre,  air  attuazione  del  progresso,  mezzi  affatto artiflziali  com'è  la  federazione  universale,  la  chiesa  filosofica,  e  simili. *  «  Con  lo  apiegarai  delle  umane  idee^  i  fatti,  i  diritti  e  le  cose  umane si  andaron  sempre  più  dirozzando,  prima  dalla  acrupoloaità  delle  auperatìzioni,  poi  dalla  aolennità  degli  atti  legittimi  e  dalle  angustie  delle  parole, finalmente  da  ogni  eorpìdenxa;  per  ridursi  al  loro  puro  e  vero  principio che  è  loro  propria  aoatanza.  *  Or  qual  è  questa  aoatanza  propria,  qual  è questo  principio  vero  e  puro  àe^ fatti  e  de'  diritti  umani^  eh'  è  dire  del- l' ordine  pratico?  È  la  aoatanza  umana,  la  noatra  volontà  determinata dalla  noatra  mente  con  la  Forza  del  Vrbo  che  ai  chiama  Coscienza. {Prima  Se.  Nuova) due  le  maniere  del  ragionare.  Di  fatto,  se  lo  spirito  in quant'  è  conoscere  (Batio)  produce  il  vero  e    la  scienza  ; e  in  quant'  è  operare  (Auctoritds)  produce  il  certo  e  cosi esplica  e  conferma  la  prima,  ovvero  la  prenunzia  e  Y  an- ticipa ;  ne  viene  che  tra  Y  ordine  teoretico  e  Y  ordine pratico  una  conversione  è  necessaria.  In  che  risiede r  intima  natura  della  volontà?  Intelletto  e  volontà,  nel- r  ordine  psicologico  spontaneo,  hanno  radice  comune: per  cui  se  r  atto  del  volere  non  è  propriamente  atto d' intendere,  e  nondimeno  lo  sforzo  d' intendere  :  è  lo stesso  conoscere,  ma  in  quanto  si  realizza  come  Ragione universale,  come  operare  umano,  autonomo,  razionale. La  ragione  dunque  è  facoltà  di  conversione  per  eccellen- za ;  e  quindi  lo  spirito  dee  conformarsi  al  naturale  ordin delle  cose.  E  che  è  mai  il  naturale  ordin  delle  cose?  È la  Datura,  l'essenza,  il  valore,  l' essere  stesso  delle  cose.* Ora,  conformarsi  all'essere  delle  cose,  non  vuol  dire convertirsi  con  lui,  diventar  lui?  Col  concetto  d' ordine adunque  il  Vico  determina  la  natura  non  del  solo  co- noscere ne  del  solo  operare,  ma  la  natura  d' entrambi; cioè  della  Ragione  vivente  e  concreta;  della  Ragione  co- mune, universale,  imiana.  La  quale,  supponendo  già  il concetto  d'ordine,  cioè  dire  supponendo  il  processo Qpnoscitivo,  importa  anche  il  processo  operativo  come risultato  necessario  dell'  essenza  umana.* *  Con/ormatìo  eum  ipso  ordine  rerum  e$t  et  dicitur  batio.  {De  Univ, Jur.^  Proem.j )  Questa  con/ormatio  mentis  suppone  già  il  processo  cono- scitÌTO,  e  quindi  il  criterio  della  Convernone  del  vero  col  fatto.  Ella  dunque è  risultamento  delle  funzioni  teoretiche,  e  insieme  principio  delle  fun- zioni pratiche.  È  la  sostanza  umana  determinata  con  la  Forza  del   Vero. *  Il  Rosmini  nella  FU.  del  Diritto fa  la  critica del  concetto  d*  ordine  com'  è  inteso  dal  Vico.  Il  Finetti  area  fatto  lo stesso  fin  dal  secolo  scorso  nelle  sue  polemiche  col  Dnni  e  col  Concinna. {De  Prineip.  Jur. )  Ma    V  uno    1* altro  s*è  accorto come  la  facoltà,  che  per  Vico  dee  conformarsi  air  ordine  naturale,  non  sia il  puro  conoscere  e  neanche  il  solo  operare;  cioè  non  la  Ratio  e  nemmanco VAuetoritas,  ma  la  Ragione  per  eccellenza,  la  Ragione  in  quant' è  risultato finale  e  quindi  princìpio  del  doppio  processo  psicologico.  £  la  ragione,  in- somma, in  quanto  è  conversione  essenziale  con  la  natura,  con  la  storia, con  lo  Stato,  col  supremo  suo  fine,  e  della  quale  il  Duni  dice  che  dove Concludiamo  quant'  al  processo  pratico.  La  ragion pratica  non  contraddice  alla  teoretica.  Intanto  eli' è pratica,  in  quanto  è  comando  ;  ma  è  comando  della  ragione fondata  nel  concetto  del  fine  razionale,  che  vuol dire  d' un  fine  il  quale  iraponesi  come  legge,  e  perciò come  imperativo.  Cotesto  fine  imperante,  manifestato  o imposto  dalla  ragione  (e  tutto  ciò  per  noi  è  ragion pratica),  inevitabilmente  importa  la  necessità  etica,  il cui  soggetto  è  la  volontà:  ond'  è  che  tra  la  volontà  e  il suo  fine,  eh'  è  appunto  il  bene  morale,  òorre  una  sin- tesi necessaria.  Che  se  l' imperativo  per  Kant  è  la  stessa volontà  in  quanto  è  libera  da  ogni  movente  particolare e  d'ogni  particolare  interesse;  anche  per  noi  cotesto  imperativo è  il  volere  libero  da  ogni  qualunque  motivo, meno  da  quello  che  scende  dalla  ragione,  o  per  mezzo della  ragione;  ma  di  quella  ragione  pura  o  conoscitiva la  quale,  essendo  il  vero  convertentesi  col  fatto,  intende e  legittima  il  fenomeno. Fra  lei  e’1  noumeno  non  esiste un  abisso,  com'  è  pur  troppo  pel  Criticismo.  E  in  questo senso  non  ha  torto Hegel  d'affermare  che  libertà  è ragione,  e  ragione  è  libertà.  Il  motivo  dell'  azione,  in- fatti, è  intrinsecato  con  la  ragione;  scaturisce  non  già dall'  estemo,  come  incontra  nelle  azioni  di  natura  mec- canica, ma  dall' intemo.  L'agente  dunque  è  razional- mente libero;  e  però  è  liberamente  necessario.  Il  per- chè se  una  sintesi  necessaria  annoda  il  volere  col  suo fine,  è  pur  mestieri  che  la  volontà  si  converta  con  la ragione,  e  produca  la  virtù.  Così  nella  sfera  pratica, non  diversamente  che  nella  teoretica,  il  criterio  è sempre  il  medesimo  :  la  conversione  del  vero  col  fatto, eh'  è  dire  della  legge  con  la  volontà.  E  poiché  la  legge neir  ordine  etico  partorisce  il  dovere,  e  la  volontà  nel- r  ordine  giuridico  produce  il  diritto; perciò  accade  che la  Morale,  nella  dottrina  del  nostro  filosofo,  deve  stare al  Diritto  cosi  come  il  vero  sta  al  fatto,  come  la  Ra-non  c'^  uniformaziont,,  non  e'?  ragione,  (Vedi  noi  Saggio  di   Giuritprw denzn   Umvermle^  .> gione  air  Autorità.  Sono  due  sfere  di  fatti  diversi;  due ordini  di  scienze  differenti  per  origine,  e  per  applica- zione. Il  Diritto  non  iscaturisce  dalla  Morale,  ne  tam- poco la morale  puo emerger  dal  Diritto.  Se  cosi  fosse, l'una  di  queste  scienze  annullerebbe  l'altra,  assor- bendola. Esse  dunque  non  s'identificano,  ma  si  con- vertono.* Tal  si  è,  come  rapidamente  l'abbiamo descritto,  l'or- ganismo psicologico  ne'  suoi  elementi  e  nella  sua  natura. Ma  quest'  organismo  può  e  debb'  esser  considerato  riguardo a  due  soggetti,  che  sono  l'individuo  e  la  specie, cioè  dire  psicologicamente  e  storicamente.  Nell'individuo ci  è  dato  studiarlo,  come  chi  dicesse,  nella  condizione statica,  cioè  nel  suo  equilibrio,  nella  sua  compiutezza, a  cagione  delle  mutue  relazioni  onde  i  due  processi  ri- chiamansi  a  vicenda.  Psicologicamente,  infatti,  il  pen- siero inaugura,  determina  e  compie  il  processo  pratico. Lo  inaugura  come  senso  in  quanto  eccita  il  potere:  lo determina  come  rappresentazione,  immaginazione,  in- tendimento che  sveglia  e  sprona  il  volere:  lo  compie, finalmente,  come  ragione,  la  quale  costituisce  l'essenza stessa  della  libertà.  La  Ragione  dunque  è  l'atto,  la forma  dell'Autorità;  come  l'Autorità  è  la  potenza  e  la materia  della  Ragione.*  Io  voglio  ed  opero  perchè  conosco :    per  altro  potrò  conoscere  se  non  perchè  debbo operare.  La  ragion  del  volere  pone  sua  radice  nel  conoscere ;  come  la  ragione  e  '1  fine  del  conoscere  altro  po- trebb'  esser  che  Y  operare.  Chi  vuol  conoscere  per  cono- scere è  un  mezz'  uomo.  E  la  scienza  per  la  scienza  è frase  ch'io  non  intendo,  come  non  la  intendeva  nem- meno Aristotele.^  I  due  processi,  adunque,  ne'  quali  si sdoppia  e  determina  l' organismo  psicologico  nell'  indi- viduo, s' importano  a  vicenda,  e  tutt'  insieme  compon- •  Sotto  il  rapporto  psicolosrico  può  dirsi,  come  più  d*una  volta  ar- verte  il  nostro  filosofo,  che  ex  Rottone  Auctontas  ipm  orta  ett.  (De  Univ. Jur.) *  Rayaisson,  Em,  9ur  la  Mitaph.  ec. gono  un  sol  circolo.  In  questo  circolo  per  1'  appunto  sta l'autogenesi  dello  spirito. Al  contrario  nella  storia,  che  vuol  dire  nella  specie avvisata  come  un  individuo  attraverso  il  tempo,  l'organismo psicologico  ci  è  dato  considerarlo  quasi  in  via di  formazione,  cioè  sotto  il  rapporto  dinamico,  e  perciò nelle  condizioni  del  movimento.  Avviene  infatti'  in  quest'ordin  di  cose  quel  che  la  scuola  di  Lamarck  pensa del  REGNO ZOOLOGICO.  Nell'organismo  compiuto,  nel mammifero,  ci  è  tutta  la  scala  zoologica,  ma  in  atto; al  modo  istesso  che  nelle  differenti  specie  d'organismi inferiori  abbiamo  l'organismo  perfetto,  ma  come  squa- dernato nella  successione  seriale  de'  diversi  momenti del  suo  sviluppo.  Se  questa  dottrina,  secondochè  altrove diremo,  non  è  al  tutto  vera  in  ordine  alla  storia naturale,  è  verissima  nella  storia  umana.  La  condi- zione statica  non  può  verificarsi  nell'  ordine  de'  fatti, massime  de' fatti  storici.  Nel  regno  della  realtà,  anziché quiete  ed  equilibrio,  tutto  è  moto  incessante,  sviluppo, attrito,  disequilibrio  perpetuo:  onde  la  Statica  sociale de'  Sociologisti  non  è  che  un'  astrazione  del  pensiero.  Il processo  psicologico  adunque,  avvisato  staticamente,  è tipo,  è  realtà  compiuta,  alla  quale  c'innalziamo  scru- tando la  natura  dell'individuo,  investigando  le  leggi  della psicologia.  Un  processo  psicologico  in  via  di  formazione non  è  altrimenti  Statica,  ma  Dinamica.  Ora  il  processo psicologico  è  r  atto,  il  tipo  del  processo  isterico;  e  quindi vana  impresa  è  il  pretendere  d' imprimer  ÌForma  di scienza  alla  storia,  senza  porvi  a  fondamento  imme- diato la  psicologia.  La  storia  non  fa  che  ripeter  la psicologia;  ma  al  modo  che  la  circonferenza  ripete  il centro.  Che  è  mai  la  circonferenza  fuorché  lo  stesso centro  considerato,  direbbe  il  Gioberti,  fuori  di  sé?  Tal è  la  specie  rispetto  all’individuo;  tal  si  é  pure  la  storia di  fronte  alla  psicologia.*  Ciò  che  nell'  una  si  compie *  Vedi  le  belle  riflessioni  del  Noubisson  in  proposito.  (La  nature humainef  Ess.  de  Fsycol.  appliquée,  Paris) attaraverso  lunghi  secoli,  nell'  altra,  cioè  nell'  individuo, s' assolve  attraverso  una  serie  d' anni  e  di  differenti  età. E  ciò  che  sono  i  secoli  per  la  storia  e  gli  anni  e  le diverse  età  per  l' individuo,  sono  per  la  coscienza  at- tuale que'  diversi  momenti  necessari  aftinché  ella  possa recare  in  atto  la  doppia  fimzione  del  conoscere  e  del- l' operare. Ma  per  quante  sian  le  differenze,  la  legge  è  sempre una;  non  essendo  possibile  che  le  note  essenziali  alla specie  manchino  ai  membri,  manchino  agli  elementi  di essa,  ciò  è  dire  agP  individui.*  Perciò  nella  storia  tanto  il processo  teoretico  quanto  il  processo  pratico  s'inau- gura cod  come  nell'  individuo.  U  senso,  lo  vedremo  in altro  luogo,  sale  a  ragione  attraverso  le  funzioni  in- termedie dell'immaginazione  e  dell'intendimento.  Il potere,  l'istinto  (il  che  verificheremo  nella  sociologia) assume  valore  di  Ubertà  mercè  la  successione  delle moltiplici  forme  cui  soggiaccion  le  passioni  e  le  deter- minazioni del  libero  arbitrio,  e  siffattamente  crea  il Diritto  e  lo  Stato.  Così  la  storia  è  una  correzione  lenta ma  incessante,  ma  progressiva  di  due  forze  che  mai non  posano,  Autorità  e  Rag^ne. La  molla  occulta  del- [Ce  qui  9e  paage  dan»  Vévolvtion  4e  Vindividu  est  la  tacine  de  ce  qui se  passe  dans  VévoìuHon  de  Vétte  eoUectii*.  (Littbé,  PatoUs  de  Phil.  Posit.) Ognan  vede  che  questo  principio  non  è,  come  ci  dicono  i  Po- sitivisti di  Francia,  una  loro  invenzione  peregrina.  È  uno  de*  con- cetti fondamentali  della  Scienza  Nuova;  ed  è  insieme  la  correzione del  Comtismo,  per  la  ragione  più  volte  rammentata  che  la  psicologia pel  Vico  non  iscatnrìsce  dalla  storia,  ma  è  anzi  la  storia,  cioè  la  scienza istorica  quella  che  dee  tórre  a  modello,  a  criterio  la  psicologia. *  Tutte  le  opere  del  Vico  sono  una  dimostrazione  continua  di quésto  concetto.  Lasciando  delle  facoltà  d*  ordine  conoscitivo,  basta meditare  le  diverse  forme  attraverso  cui  procede  VAutotità,  per  vedere come  davvero  ella  sia  potenzialmente  ragione.  Vi  è  progresso,  per  dime un  esempio,  fra  le  tre  forme  d*  autorità  monasHcOf  economica  e  eivUe  (De Univ.  Jut.);  e  vi  ò  progresso  nella  storia  dell*  autorità considerata  nelle  diverso  maniere  del  reggimento  politico  {Ptima  Se,  Nuova —Sec.  Se.  Nuova) Scoprire  la  conversione  dell'  Autotità  con  la  Ragione,  è  una  delle  sue principali  esigenze,  e  quindi  uno  de'  precipui  aspetti  della  Scienza  Nuova. r  umano  progredire,  infatti,  sta  nella  faticosa  conver- sione d' entrambe.  Perchè    la  storia  è  la  vita  del  ge- nere umano,*  il  processo  di  questa  vita,  lo  svolgimento  di quest'organismo  altro  non  potrà  essere  fuorché  il  ridursi di  quella  dualità  a  valore  d' unità.  Il  processo  istorico adunque  non  fa  che  ripetere,  ma  sotto  forme  sempre diverse,  il  processo  psicologico  :  talché  se  la  psicologia, come  ha  detto  il  Michelet,  é  quasi  la  storia  in  miniatura, cioè  la  storia  come  raccolta,  adunata  e  quasi  concen- trata in  un  sol  punto;  la  storia  alla  sua  volta,  secondo l'osservazione  altrove  accennata  del  Cattaneo,  altro  non sarà  che  la  psicologia  stessa  in  più  vaste  proporzioni,  e sotto  aspetti  molteplici  e  svariatissimi.  Ma  quel  punto, quel  centro  (ripetiamo  la  figura),  vai  tutta  la  circonfe- renza; vai  più  che  la  circonferenza.  Se  la  psicologia infatti  nasce  dalla  storia,  chi  vorrà  dire  che  la  prima non  possa  essere  altro  fuorché  una  semplice  appendice della  seconda?  La  psicologia  è  superiore  alla  storia, come  il  presente  è  superiore  al  passato.  E  le  leggi psichiche  sono  anteriori  a  quelle  del  fatto  istorico,  al modo  istesso  che  il  criterio  e  la  norma,  in  generale, sono  anteriori  alla  materia  interpretata  e  giudicata.' Perciò  dice  che  il  suo  libro  è  anche  nn».  JUotoJia  deW  autorità  {Sec.  Se. Nuova)  atta  a  ridurre  a  leggi  certe  V  umano  arbitrio  di  ma natura  incertÌ9»imo. *  Vita  generila  humani  Hiètoria  est,  [De  Univ.  Jur.) *  Il  Taine  dice  benissimo  dove  osserva  che  la  pttyeologìt  ««  à  ehaque départentent  de  l’hintoire  humaine  ce  que  l^i  physiologie  generai^  e»t  h  la phyaiologie  partictdiire.  de  ehaque  esplce  ou  doAèe  animale.  {De  Vlntelli- gence,  Pref.)  Che  oggi  la  psicolog^ia  debba  esser  condizione essenziale  alla  scienza  del  fatto  storico,  ninno  è  che  ne  dubiti.  Ma  la questióne  ò  ben  altra,  e  di  ben  altro  valore  che  non  crede  il  Taine. Come  s' ha  da  considerar  la  psicologia  rispetto  alla  storia,  e  perciò r individuo  rispetto  alla  specie'?  Ecco il  punto!  Predicarci  la  necessità della  psicologia  nella  indagine  del  fatto  storico  è  un  bel  nulla,  se  innanzi tratto  non  si  stabilisca  qual  relazione  corra  fra  le  due  scienze.  Mi  spiego subito.  Se  Io  svolgersi  delle  concezioni  religiose,  delle  creazioni  artistiche e  letterarie  e  delle  scoperte  scientifiche  in  un  dato  periodo  istorico  e presso  un  dato  popolo  non  sono  in  realtà  altro  che  un’applicazione,  un caso  particolare  di  quelle  medesime  leggi  che  in ogn'istante  regolano  lo svolgimento  psicologico  di  ciascun  nomo;  brevemente,  se  il  fatto  storico H  nostro  filosofo  non  pure  colse,  ma  dimostrò  la  relazione tra  r  uno  e  l’altro  ordin  di  fatti,  e  fece  quel che  non  giunsero  a  fare  i  nostri  platonici  e  aristotelici del  Rinascimento;  ciò  che  non  fece  tutto  il  Cartesianismo; ciò  che  dopo  di  lui  non  seppe  fare  il  Critici- smo in  ordine  alla  storia;  ciò  che  non  han  fatto,  né sanno  fare  i  Positivisti  e  gli  Idealisti  assoluti;  i  quali trascendono  il  positivo  perchè  disconoscono  la difficile arte de'  confini  nella  scienza  del  mondo e  della  storia. Alla  sua  mente  lampeggiò  il  vero  concetto  dell'  ente umano:  il  concetìo  àeW  individuo  universale  vivente, concreto,  reale;  e  sotto  doppia  forma  venne  applicando il  suo  massimo  criterio  della  conversione  del  vero  col foHo  nel  conoscere,  e  del  certo  col  vero  nell' operare. Recò  in  atto  quindi  non  una,  ma  due  grandi  leve,  la psicologia  da  una  parte,  e  la  critica  de'  fatti  storici  dal- l'altra;  la  filosofia  e  la  filologia;  e  perciò  un  a  priori  di natura  puramente  psicologica,  e  un  a  posteriori  indagato pazientemente  con  oculata  osservazione:  e  così  gettando le  basi  del  vero  metodo  storico  razionalmente  positivo, riesci  a  comporre  la  scienza  dello  spirito.  Però  Storia e  Psicologia  non  sono  due  cose,  ma  una.  Esse  formano la  vera  scienza  dello  spirito,  quando  sian  portate  ad  un fiato,  com'  egli  dice  con  significantissima  frase.  Ecco  il grande  valore  della  Sdensfa  Nuova,  per  quanti  possano essere  i  suoi  difetti  nella  forma,  nel  disegno,  nelle  conclusioni, nelle  applicazioni.  Lo  dichiara  egli  stesso:  il mio  saggio  è  wrxR  filosofia  deW umanità. Perchè  filosofia? non  è  che  un'applicazione  delle  lejrgi  psicologiche:  ne  viene  che  nella psicologìa  solamente  possiamo  ritrovare  il  criterio,  il  principio,  la  teorica da  applicare  nella  intorpretaziono  del  fatto  isterico.  Dnnqne?  Danque (mi  par  chiaro)  la  psicologia  è  anteriore,  e  superiore  alla  storia.  Or  io non  so  davvero  come  siffatta  conseguenza  possa  accordarsi  co'princìpii di Taine,  specie  con  quello  ond'ei  ci  dichiara,  che  il  fatto  della  coscienza non  è  altro  che  vm  fantamna  metajinco!  Il  problema  storico  è problema  psicologico:  lo  sappiamo  anche  noi  da  un  secolo  e  mezzo  a questa  parte.  Quel  che  non  sappiamo  è  il  modo  col  quale  il  valoroso estetico  francese  potrà  giugnere  a  risolvere  cotesto  problema  col  suo Positivismo. perchè  ne  inve^iga  le  coffionV  Or  le  cagioni  imme- diate e  positive  del  processo  istorico,  non  s'hann'  a  ra- dicar tutte  nel  processo  psicologico,  eh'  è,  dire  nella  natura umana? Volere  investigar  le  ragioni  della  storia nonché  i  principii  della  sociologia  invocando  la  dicdeUica immanente  détta  Idea  come  fan  gli  Hegeliani,  ovvero r  opera  della  Provvidenza  immediata  come  fanno  Onto- logisti  e  Teologisti  ;  è  uscir  dalla  Storia,  dalla  natura umana,  dalla  psicologia  ;  ed  è  rendere  il  processo  storico un  processo  affatto  meccanico  e  arbitrario.  Un  principio estrinseco  e  superiore  che  non  emerga  dalle  viscere stesse  della  storia,  ma  che  alla  storia  si  sovrapponga  e s'imponga,  che  cosa  dee  produrre?  Da  una  parte,  mec- canismo, e  arbitrio  dall'altra.  Ed  è  anche  un  uscir  dalla storia,  dalla  psicologia  e  dalla  natura  umana,  queir  in- vocare i  soU  fatti  siccome  leggi  empiriche  riferendole  a cagioni  tutte  estrinseche,  tutte  mutabiU  tutte  acdden- taU,  come  sono  il  clima,  la  razza,  l'educazione  e  cento e  mille  condizioni  esteriori  e  secondarie  di  cui  ci  parlano i  positivisti  e  i  filosofi  dell’avvenire. Il fondamento razionale  positivo  del  processo  istorico dunque  è  l'organismo  psicologico,  ma  ravvisato  come processo. Questa  precisamente  è  l' esigenza  più  legittima, la  condizione  più  salda  del  metodo  istorico  che  sca- turisca dalle  opere,  dalle  dottrine,  dalla  mente  del  Vico. Metodo  isterico  è  anch'esso  metodo  genetico,  metodo eduttivo.  E  metodo  genetico  vuol  dir  metodo  essenzial- mente psicologico.  Ne  segue  perciò  che  la legge  isterica delle  tre  età  -- divina,  eroica,  umana),  pone  sua  ra- [Ved.  Prim,  Se  Nuav.y  Le  tre/any  o  stati  del  Positvismo  francese  non  sono  che  un  fatto, una  legge  empirica,  non  la  ragione,  non  il  principio  delia  storia.  Lo  con- fessa lo  stesso  Littré;  il  quale  perciò  avendo  visto  la  necessità  di  correg- gere e  compiere  anche  in  questo  il  maestro,  alle  tre  fasi  del  Comte  sosti- toisce  le  cinque  forme  di  civiltà  calcate  sopra  altrettante  facoltà  psicologiche. (Vedi  A.  Comte  et  la  Phil,  Pont.)  Cosi  il  Littré  ritoma  a VICO,  cioè  al  concetto  psicologico,  quantunque  sbagli  nella  scelta  della strada. dice  non  già  in  un  fatto  parHccHare  quale  sarebbe  il  nascere, il  crescere  ed  il  perire  dell'individuo,  come  ve- demmo pretendere VERA,  ma    neljo  stesso organismo,  nello  stesso  circolo  delle  funzioni  psicolo- giche. Ciò  che  dunque  è  processo  teoretico  e  pratico deUe  facoltà  e  quindi  conversione  del  vero  col  fatto  e  del certo  col  vero  nell'  individuo  ;  nella  specie,  nella  comu- nanza civile,  assume  forma  e  valore  d' organismo  e  di processo  isterico.  Ecco  perchè  nello  svolgimento  della storia  e  delle  diverse  civiltà,  lo  stato,  la  fase,  o  (secondo il  linguaggio  del  Vico)  V  età  divina  ritrova  sua  ragione intima,  immediata,  nel  predominio  ed  esplicazione  deUe due  funzioni  elementari,  empiriche  e  naturali,  che  sono il  Senso  ed  il  Potere.  La  fase  eroica per  contrario,  è l’incarnazione  del  volere  e  dell'  Immaginazione.  E,  finalmente la  fase  umana  è  V  attuazione  e  quindi  il  trionfo e  la  signoria  della  Ragione  spiegata,  la  quale  neU'  or- dine della  vita  civile,  politica  e  sociale  si  traduce  nel trionfo  della  libertà.  La  storia  dunque  è  un  organismo come  la  psicologia;  e  quindi  le  leggi  psicologiche  sono il  criterio  interpretativo  principale  del  fatto  isterico. Questo  è  il  vero  concetto  della  VoUcer  Psycólogie  per VA.  della  Scienza  Nuova.  Dove  sta  il  difficile?  Ap- punto nel  far  cotesti  interpretazione;  appunto  nel- r  applicare  le  leggi  psicologiche  alla  storia.  In  tale applicazione  occorre  schivare  (come  vedremo  in  So- ciologia) que'  due  gravissimi  errori  ne'  quali  rompono Hegeliani  e  Positivisti:  cioè  l'universalismo  nel  com- porre la  filosofia  della  civiltà,  e  il  particolarismo  e  '1 determinismo  nel  fissarne  le  leggi.  Due  perciò  sono  le condizioni  razionali  per  la  scienza  della  storia:  V  appli- care al  fatto  isterico  le  leggi  psicologiche;  ma  applicar- le, non  già  all'  umanità,  come  fanno  i  seguaci  di  Hegel, bensì  a'  popoli,  alle  schiatte,  alle  tradizioni  :  2**  tener conto  delle  mille  cagioni  estrinseche  ed  irraziouaU  che in  modi  infinitamente  diversi  e  molteplici  turbano  lo svolgimento  della  storia;  ond' emerge  la  necessità,  ripe* tiamolo,  della  psicologia  e  della  crìtica  storica  nello stabilire  i  principii  deUa  filosofia  dello  spirito. Or  cotesto  metodo,  oltreché  nelle  dottrine  metafisi- che, anche  nelle  teorie  storiche  e  sociologiche  risulta logicamente,  come  vedremo,  dallMndirizzo  medio  del- l'Aristotelismo rappresentatoci,  ne'  tempi  moderni,  dalla Sdenta  Nuova.  Nella  Scienza  Nuova,  e  perciò  nel  me- todo isterico  e  psicologico  del  Vico,  abbiamo  la  con- danna più  severa  e  la  confutazione  di  fatto  degli  estremi indirizzi  aristotelici  rinnovatisi  in  questo  secolo  per opera  dell'  Hegelianismo  e  del  Positivismo  nel  regno degli  studi  storici  e  sociologici. Ma  qual  è  la  genesi  e  quindi  la  teleologia  del  pro- cesso psicologico?  That  is  the  question! Re la genesi  e  teleologia  psicologica. Lo  spirito  ha  le  sue  leggi  come  la  natura;  ed  è anch'  egli  un  organismo  come  la  natura.  Perciò  dap- prima è  Sintesi  iniziale,  come  si  disse,  poi  Analisi,  poi Sintesi finale.  Spencer  direbbe  che  l' organismo  psicologico procede  dall'  omogeneo  indeterminato,  all'  etero- geneo; e  dall'eterogeneo  (avrebbe  dovuto  aggiungere;,  fa ritomo  all'  omogeneo,  ma  all'  omogeneo  determinato  e universale.  Fin  qui  abbiamo  studiato  la  psicologia  nel fatto.  Movendo  da  una  dualità  empirica,  cioè  dal  senso che  iniziando  il  processo  teoretico  s' eleva  a  dignità  d'intelletto, e  A^X  potere  che  preludendo  al  processo  pratico assume  valore  di  libera  volontà,  abbiamo  sorpreso  l'organismo psicologico  nel  momento  stesso  dello  sviluppo, dell'analisi,  dell'eterogeneità, della diflFerenza e  moltipli- cità  delle  sue  funzioni.  Or  è  d' uopo  rimontare  all'ori- gine psicologica.  È  d'  uopo  ricercar  la  cellula  madre  di quest'organismo.  È  d'uopo  investigare  il  centro  di  questo cìroolo,  la  sintesi  origìiiaxia  di  quest'analisi  che  a  noi porge  la  coscienza. La  genesi  dello  spirito  vuol  esser  guardata  in  tre modi,  sotto  tre  forme,  per  tre  fini  diversi  :  psicologi- camente, logicamente,  ideologicamente.  La  Psicologia studia  lo  spirito,  ma  in  quanto  è  un  multiplo  di  funzioni, d’operazioni,  di  facoltà.  La  Logica studia  lo  spirito, ne ricerca le funzioni  psicologiche,  ma  in  quanto  producono, generano,  partoriscono. L' Ideologia,  finalmente,  studia anch'  essa  lo  spirito,  ne  indaga  le  funzioni  psicologiche, ma  guardandole  ne'  lor  prodotti  generali  La  Logica  dun- que siede  in  mezzo  all'  una  e  all'  altra  scienza.  Ella  studia non  altro  che  relazioni  :  studia  le  relazioni  fra  la  causa e  l'effetto,  le  attinenze  tra  la  forza  e  le  sue  produzioni, e  quindi  raccoglie  leggi  universali,  attinenze  necessarie, poiché  se  lo  spirito  si  differenzia  appo  gl'individui  per attività  ed  energia  di  potenza  e  per  moltiplicità  di  risul- tati, non  differisce  menomamente  per  le  leggi  alle  quali dee  soggiacere  ciascun  individuo.  La  Logica  è  universale, obbiettiva;  e  quindi  indipendente  dal  soggetto,  non  al- trimenti che  la  matematica.  Or  queste  tre  scienze  che r  analisi  immoderata  delle  scuole  ha  ridotto  a  frantumi, non  sono  che  tre  aspetti  d'un  medesimo  subbietto:  d'un subbietto,  cioè,  avvisato  P  come  forza  e  potenza:  come atto  e  risultato  ;  finalmente  come  potenza  in  quanto diventa  atto,  e  però  come  relazione  dell' un  termine verso  l'altro.  Psicologia,  dunque.  Logica  e  Ideologia dovranno  condurci  ad  una  medesima  conseguenza  nel problema  su  la  gencHi  psicologica. Nel  processo  psicologico  dicemmo  esserci  un  primo ed  un  ultimo  atto.  Questo  primo  e  quest'ultimo  atto, anziché  facoltà,  come  pretendon  gU  Spiritualisti,  anzi- ché semplici  condizioni  psicologiche  riducibili  alla  fin fine  alle  funzioni  biologiche,  come  ci  predicano  i  Posi- tivisti,* sono  invece  facoltà  delle  facoltà.  E  son  tali  per- [Per  esempio  Mill  [cf. Grice, “More Grice to The Mill”] {La  PhU,  de  Hamilton,  trad.  CazeUes).  H.  Taink  (2>«  VintelUgence). che  runa  d' esse  è  originaria,  e  V  altra  è  complementare  ; perchè  la  prima  è  potenza,  e  la  seconda  è  atto  :  perchè,  in somma,  quella  è  T  Io  in  quant'  è  coscienza  primitiva,  e questa  è  V  Io  in  quant'  è  pienezza  di  personalità,  auto-coscienza. Or  è  mestieri  ammettere  che  la  coscienza,  in quant' è  facoltà  détte  facoltà,  esista  dapprima  come potenza  originaria;  preesista  com’energia  irreducibile; preceda  come  atto  che  sia  tutto,  e  nulla;  e  vaglia  quindi a  costituir  la  natura  stessa  di  quell'ente  che  nella  scala zoologica  diciamo  ente  umano,  E  innanzi  tratto,  s'egli  è vero  che  le fimzioni  psicologiche  convengon  tutte  nell'es- sere un  conato  di  natura  essenzialmente  teleologica,  è d'uopo  che,  attraverso  a  tutte  e  in  fondo  a  ciascuna,  si occulti  un  atto  rudimentale,  radicale,  comune,  essenzialmente generatore,  contenente  universale  e  indeterminato del  doppio  processo  psicologico  teoretico  e  pratico.  D' altra parte,  se  il  fatto  ci  addita  una  dualità  empirica, concreta  ed  elementare,  cioè  il  senso  e  il  potere  ;  ne  viene che  queste  due  facoltà,  sia  che  le  si  guardino  nel  loro obbietto  e  natura,  sia  che  nel  fine  cui  sono  indirizzate, ci  rappresentino  due  opposti,  ci  esprimon  due  contrari; e,  come  tali,  abbisognano  d'un  soggetto  comune  in  cui (secondo  l'esigenza  dell'Aristotelismo)  elle  sussistano originariamente.  La  duaUtà  empirica  e,  per  così  dirla, sensata,  ci  rimena  infatti  $ui  una  dualità  superiore  e trascendente,  la  quale  a  sua  volta  non  può  non  essere altresì  unità,  unità  confusa,  unidualità  anteriore,  e  della quale  possiamo  dire  ciò  che  Aristotele  afferma  delle parti  avvisate  in  riguardo  al  tutto.  Se  la  parte  poten- zialmente e  cronologicamente  precede  il  tutto;  attual- mente e  logicamente  il  tutto  dee  preceder  la  parte.* ^Xou  xai  >f  uX>i  TT^c  ouVtac"  Jtar'  «vT«Xj;^tiav  5'  u^7«/oov  5«a- XxtBivroi-  y(/.p  x«t*  £vTi>JX«*av  «(T']at.  (Met.)  Ecco  la  ragiono (sia  detto  di  passata)  onde  la  Psicologia  differisce  in  immenso  dalla Zoopsicologia,  checché  ne  dicano  il  Darwin,  V  Agassiz,  il  Vogt  ed  altret- tali. Neir  ordino  zoopsicologico  la  dualità  empirica  del  »etuo  e  dell'  i»Hnto esiste;  ed  è  unità  confusa,  è  unidualità:  ma  riman  sempre  tale,  sempre Questo  tutto  originario,  quest'  unità  la  quale  anche come  primigenia  è  numero,  cioè  unìdualità  e  però  facoltà déHe  facóUà,  è  ciò  che  con  antica  ma  significativa  pa- rola il  Vico  suole  appellar  mente,  mens.^ Alla  medesima  conseguenza  ci  conduce  la  logica  e r  ideologia.  Rammentiamoci  della  dottrina  su  la  cono- scenza. Se  neir  ordine  del  conoscere  il  fatto  è  il  dato,  il fenomeno,  ciò  eh'  è  posto,  la  cieca  percezione;  insomma, ciò  che  non  può  esser  conosciuto  di  per    stesso:  il vero,  per  conta'ario,  è l’elemento  ideale,  astratto,  vuoto, formale,  a  priori  ;  ma  a  priori  in  quant'  origina  imme- diate dal  seno  stesso  del  pensiero.  In  che  sta,  dunque,  il  nello  stato  potenziale:  mentre  neir ordine  psicologico,  cioè  umano,  ella diventa  atto,  numero,  e  quindi  il  Senso  e  il  Potere  vi  assumono  anche valore  di  sentimento  e  di  coscienza.  Se  dunque  è  così,  chi  vorrà  credere che  quella  dualità  sia  puramente  animale  come  nella  Zoopsìcologia  ?  Se fosse  tale,  non  dovrehhe  restar  sempre  la  medesima, come  incontra  nel  soargetto  zoopsicologico? Dunque  (la  conseguenza  parmi  chiara)  quella  dualità nell’ente  umano  deve  importare  qual  cos'altro  che  non  sia  puro  Senso, né  puro  Istinto. *  Quel  che  latinamente  egli  chiama  men«  cmimi  è  essenzialmente  pen- siero; e  pensare  per  lui  è  manifestare    a    medesimo:  Mens  cogitando se  extbet  {De  AsUiqHÌ9.).  Or  la  mente  è  principio  unico  di  tutte le  facoltà:  principium  unum  Men»;  e  I’occhio  di  lei  é  appunto  la  ragione: eujw  oculua  Ratio  {De  Univ.  Proem.).  Dunque  ciò  eh'  è  di    e  dentro e  dietro  a  quest'  occhio  eh'  é  la  Ragione,  é  appunto  la  MenU;  la  quale perciò  è  anteriore  a  tutti  i  gradi,  a  tutti  i  momenti  del  processo  cono- scitivo. Se  non  che  lo  spirito,  in  quant'ò  menUf  vede  anch'essa;  altrimenti come  si  farebbe  a  dirla  mente?  Ma  allora  soltanto  ella  disceme,  allora soltanto  é  oechiof  e  perciò  era  visione,  quando  diventa  ragione  epiegata,  e quindi  processo  teoretico. Per  intender  meglio  il  significato  della  mente, ricordiamoci  del  »ene%u  intemtu,  del  eennu  eui,  della  eoecienta,  cwn-eeientia, di  cui  egli  parla  in  più  luoghi  delle  sue  scritture.  In  ispecie  è  da  riflettere quando afferma,  la  coscienza  essere  insieme  univereale  e  particolare; e  il  senso  intimo,  individuaUt  e  insieme  comune,  fi  da  riflettere  dove accenna  ad  una  facoltà  naturale  e  epontanea  ond'  é  fornita  la  eomuiune natura  degli  uomini.  È  da  riflettere,  finalmente,  e  specialmente,  ove parla  di  certi  giudizi  istintivi  eh'  egli  chiama  giudizi  fatti  sknza  bifles- 8I0NK.  (Vedi  Prim.  e  See.  Se  Nuow%  passim.)  Or  di  sotto  a  questo  linguaggio esce  chiara  una  conseguenza;  la  necessità,  cioè,  di  riconoscere come,  attraverso  a  tutte  le  diiferenti  forme  psicologiche,  esista  un  punto centrale  onde  s' irradiano  e  dove  si  riconducon  tutte  le  funzioni  dello  spi- rito. Quest'esigenza  psicologica  nel  Vico  parmi  evidente  per  ciò  che  s*  è detto,  e  per  ciò  che  ancora  diremo. conoscere?  Nella  conversione  de' due  elementi.  Intendere è  legere;  e  legere  è  cdligere  dementa  rei,  cioè  coUigere  il vario  sensato,  il  fatto. Questo  fatto  dunque  vien  raccolto e  innalzato  a  dignità  di  vero  e  quindi  ad  unità,  appunto quando  la  mente,  generando    stessa,  conosca  insieme  la guisa  onéPtma  cosa  è  fatta.  Or  in  cotesta  genesi  hawi  un intimo  vincolo  per  cui  V  eiFetto  è  anche  causa,  e  la  causa eflFetto;  ed  è  questa  quella  tal  funzione  eduttiva  onde la  ragione,  annodando  cause  con  cause,  e  però  conver- tendo il  vero  col  fatto  e  viceversa,  rintraccia  il  medio termine,  e  fa  la  scienza.  Se  intanto  il  co- noscere è  un  atto  di  sintesi  ond'il  vero  è  forma,  predicato, categoria,  ma  non  per  anche  attributo  e  però cognizione,  mentre  il  fatto  è  materia  e  parvenza  feno- menale; ne  segue,  esser  davvero  una  grande  scoperta della  moderna  psicologia  quella  fatta  dal  Kant  e  legittimata in  gran  parte  dal  Rosmini,  ma  presentita  dal nostro  filosofo;  che,  cioè,  pensare  sia  essenzialmente giudicare.*  Che  cos'  è  infatti  il  giudizio  fuorché  il  predicato assumente  forma  evalore  d'attributo?  Dunque, anziché  nel  cogliere  il  puro  vero,  o  nell'apprendere  il puro  fatto  il  giudizio  risiede  nel  concetto.  Ma  che  è egli  mai  il  concetto  salvochè  la  conversione  del  vero col  fatto,  considerati  questi  com' elementi  essenziali nella  sfera  dell'intendimento? Ora,  tornando  al  proposito, comecché  il  vero  e  '1  fatto,  convertendosi,  gene- rino il  concetto  e  quindi  il  giudizio,  e  col  giudizio  fac- Kant,  Orit.  de  la  Raùon  Pure.  Log,  Tra»cend.,  BosMiin, Nuo,  Sagg,  L' atto  del  conoscere  ò  m'rtò  di  vedere  il  tutto  di  eitueheduna  omo, e    vederlo  tutto  ineieme^  ehi  tanto  propriamente  tuona  intblliobri,  e  allora veramente  ueiam  Tintblletto.  (Vedi  Lett.  al  Sotta.)  È  agevole  scorgere, por  tutto  ciò  che  abbiamo  detto  qui  e  altrove, quanto  in Vico  sia  chiara  Tesigeriza kantiana  deirunirà  eintetica  detTapper- eezione,  non  che  quella  della  percezione  intellettiva  Rosminiana,  e  meglio ancora  (per  qaèl  che  diremo),  V  altra  del  Sentimento  fondamentale.  Ma  in grazia  del  suo  criterio,  al  solito,  si  può  riuscire  a  schivare  il  tubbietti- viemo  e  il formaliemo  dell'uno  e  delPaltro  filosofo  adoperando  il  metodo deduttivo. cian  possibile  ad  un  tempo  la  coscienza  e  l'esperienza; nuUamanco,  a  somiglianza  delle  funzioni  ond'  essi  ram- pollano, restan  sempre  una  dualità,  ma  dualità  origina- ria; stantechè  non  potendo  T  uno  emerger  dalP  altro, né  r  altro  dalF  uno,  debbano  coesistere  entrambi  nella coscienza.  Se  non  che,  una  dualità  originaria  non  è  forse un  assurdo?  Senza  dubbio,  un  assurdo.  Dunque  è  necessaria certa  unità  iniziale,  intima,  primigenia,  appo cui  1  vero  e  il  fatto  sussistano  germinalmente  come in  grembo  ad  una  sintesi  confusa. Alla  medesima  conclusione  potrebbe  giugnere  chi pigliasse  a  guardar  Y  intero  processo  logico,  cioè  le  fun- zioni teoretiche  tanto  nel  lor  movimento,  quanto  ne'  lor risultati.  Percezione,  Giudizio  e  Sillogismo  son  tre  gradi, tre  momenti,  tre  forme  distinte  d'una  medesima  funzione eh' è  la  Mente.^  Nella  percezione  la  Mente  si  manifesta come  unità  immediata  appo  cui  oggetto  e  soggetto  sian tuttora  confasi.  Nel  giudizio,  invece,  predomina  l'analisi, la  differenza;  perchè  i  termini  standovi  fra  loro  di  fronte l'un  r  altro  e  quasi  irresoluti,  avviene  che  la  mente  debbasi  palesare  come  dualità.  Ma  poiché  il  giudizio  im- porta necessariamente  un  ritorno  sopra    stesso,  e questo  ritomo  appunto  costituisce  il  sillogismo  ;  accade che  in  questo  ritomo,  nel  sillogismo,  la  mente  si  palesi come  unità  e  dualità  in  atto,  come  triplicità  attuale, come  mente  spiegai'a.  Or  se l’organismo  logico  e  l'ideo-logico son  anch'essi  un  processo  non  altrimenti  che l'organismo  psicologico;  se  il  risultato  finale  di  cotesto processo,  la  funzione  terminativa  di  cotest' organismo  è •    Tre»  mentit  operationes:  Pkroiptio,  JUDIOIDM,  Batiooinatio.  Tri- bua  artilM  diriguntvr:  Topica,  Critioa,  Mbthooo.  {De  AntiquUe.?  aavT6)v,  Met.).  E  s'aggira  poi  attorno alla  seconda,  cioè  al  senso  e  all'  esperienza,  perchè  dee  verificar  la  prima, cioè  dove  inverare  il  principio,  o,  eh'  è  il  medesimo,  dee  convertire  il  vero col  fatto^  il  voù;  potenziale  con  l'esperienza.  Perciò  il  voù;  attuale  è  la conversione  per  antonomasia,  massime  quando  assuma  valore  di  Ragione, Perciò  stesso  la  scienza,  diciamolo  anche  una  volta,  non  può  essere  un magistero  deduttivo,  nettampoco  un  artifizio  meramente  induttivo. *  e  Metaphtfatei  enim  claritat  eadem  eat  numero  ae  illa  lueÌ9  quam  non nin  per  opaca  cogno»eimu».  Si  enim  in  clathratam  fenestram  qua  lucem  in aedee  tuimittitf  intente  ac  diu  intueari»  ;  deinde  in  eorpue  omnino  opacum aciem  oculorum  eonpertae;  non  lucem  «ed  lucida  ckuhra  tibi  videre  videaria. Ad  hoc  imitar  metaphtfeieum  verum  illustre  c«(,  nullo  fink  ooNOL0Drr(TR, NTTLLA  FORMA  disorrnitur;  quia  est  infìnitìim  omnium  formorum  principium  : phy9Ìea  mtnt  opaca,  nempe  formata  et  finita  in  quibu»  metaphyeid  veri  lu- men videmue (De  Antiquie)  Come  si  vede,  anche  in  ciò  il  Vico non  fa  che  inverare  l' Aristotelismo.  Che  in  Aristotele  infatti  ci  sia  il  con- cetto del  Noùc  potenziale  come  noi  l' intendiamo,  e  però  anziché  passivo, come  parrebbe,  sia  fornito  anch'  egli  d' attività  stantechò  possieda  un oggetto  somigliante  alla  luce  che  fa  essere  in  atto  i  colori,  si  può  vedere dalla  seguente  sentenza:  xa  la  mente in  potenua  d'Aristotele,  2**  V  ettere  ideale  di SERBATI;  ma  levando  1  difetti che  certo  non  mancano  nelle  loro  dottrine.  Difetto  d'Aristotele,  come  avver- timmo, ò  la  mente  che  vien  difuora.  Difetto  del  Bosmini,  poi,  è  V  immobilità originarla  e  la  presenza  non  legittimata  del  suo  Ente  poetibile  dinanzi  alla mente.  Anche  per  noi  la  mente  vien  di  fuori  ;  ma  questo  di  fuori  è  la  natura in  generale.  È  un  di  fuori  nel  senso  eh'  ella  serba  intimi  vincoli  con  la natura  e  col  sensibile,  e  sorge  per  virtù  propria,  ma  col  mezzo  del  sen- sibile. Tal  si  è  l'interpretazione  che  potremmo  dare  a  questa  celebre  frase aristotelica,    ci  mancherebbero  testi  in  proposito  per  confermarla;  tanto la  natura  non  può  essere  intelligibile  in  quant'  ò  sem- plice realtà,  ma  in  quant' è  potenza  attuosa,  conato, processo,  divenire.  Or  in  che  maniera  potrebb' esser tutte  queste  cose  ove  non  includesse  una  legge,  un  ritmo, una  misura,  una  forma  di  moto,  un  moto  ordinato?  Che s'ella  è  per    stessa  intelligibile  in  quanto  che  espli- candosi mostra    medesima  e  si  fa  intendere  ;  eviden- temente non  potrebbe  fai-si  intendere  ove  non  impor- tasse tre  condizioni,  ciò  è  dire  un  principio,  un  mezzo, ed  un  fine.  Se  dunque  la  natura  è  potenza  attuosa  e quindi  per    stessa  intelligibile,  ha  da  essere  altresì))otenzialmente  intelligente. E sarà  intelligente  attuale ove  quelle  tre  condizioni  siano  insieme  compenetrate in  unità:  quando,  cioè,  il  principio  sia  soggetto,  il  fine oggetto,  il  mezzo  relazione. Che  cos'è  dunque  lo  spirito  nell'atto  suo  radicale, nel  suo  momento  originario?  È  soggetto,  oggetto  e  relazione:  pensante,  pensato e  pensiero. Però  l' intima  sua  struttura  è  insieme  dua- lità e  unità,  difi'erenza  e  medesimezza,  e  quindi,  come si  disse,  triplicità;  ma  triplicità  sotto  forma  di  sintesi iniziale  e  confusa.  Ne  segue  perciò  che  l' intuito,  la mente,  il  NoJ;  potenziale  altro  non  possa  essere,  per noi,  fuorché  il  momento  istesso  in  che  la  natura  diventa pensiero;  il  momento  per  cui  l'anima  attinge forma  e  sostanza  d'intelletto.  Ora  il  primo  pensiero non  potrebb'  esser  triplicità,  non  potrebb'  esser  sintesi primitiva,  quando  non  fosse l’intelligibile  divenuto  altresì intelligente. Dunque la  Mente è  la  natura  incarnatasi come  individuo;  l'intuito  è  l'individuo  che, trascendendo    medesimo,  assume  valore di  coscienza. più che interpretazione  somigliante  ne  dettero  alcuni  aristotelici  del  Rina- scimento, fra  cai  meritano  d*  esser  menzionati PORZIO  e  ZABARELLA come  quelli  che  considoramno  la  luce  intelligibile  quasi  di8»eminata  tuHle /arme  materiali^  e  Dio  come  influente  sa  V  irUdletto  potnbihf  non  in quanto  intéUigente,  ma  solo  in  quanto  intelligibile.  (Vedi SERBATI,  Peieol,, Ddle  Sentenze  de'  FU —  Rinnooam.) Possiamo  dire  perciò  che  cotesto  Noù?  potenziale  ci renda  immagine  della  testa  di  Giano.  Con  una  delle  sue facce  ccrtesto  Giano guarda  al  processo  della  sostanza; guarda  alla  natura  in  quanto  piglia  valore  d'individuo: dovechè  con  l'altra  inaugura,  geminandosi,  il  processo psicologico,  del  quale  son  due  forme  essenziali  il  processo sociologico,  e  il  processo  storico.  Se  non  che,  lasciando per  ora  del  processo  della  storia  e  della  sociologia,  importa notare  come  dalla  costituzione  primitiva  del  pen- siero, secondochè  noi  l'abbiamo  designata,  emergano, fra  le  altre,  alcune  conseguenze  risguardanti l'essere individuale,  l'origine  e'I  fine  dell'anima.  lUfacciamoci dalla  prima. La  triplicità  originaria,  o,  eh'  è  il  medesimo,  il  se- creto vincolo  fra  oggetto  e  soggetto,  costituisce  la  ra- dice prima  della  individualità,  e  però  il  fondamento cardinale  della  libera  determinazione.  Se  infatti  il  N^uc potenziale  è  due  cose  e  non  una,  cioè  mente  e  luce,  ne segue  che  in  quant'è  niente  è  soggetto;  e  come  soggetto non  può non  esser  reale,  moltiplioe,  diverso,  individuale: in  quant'è  luce,  poi,  è  oggetto;  e  come  oggetto  deve  serbar carattere  indeterminato,  comune,  universale.  Ora  il concetto  di  persona  risale  appunto  al  connubio  di  questi due  elementi  primitivi.  E  invero,  come  mai  l' in- dividuo potrebb' esser  individuo  se  non  fosse  oggetto, fornito  perciò  della  nota  d'universalità?  E  come, d'altra  parte,  potrebb' esser  davvero  universale  ove non  fosse  nello  stesso  tempo  un  soggetto  concreto,  vivente, particolare?  Il  particolare  è  il  fatto;  e  al  pari del  fatto  e'  sarà  vero,  quando  assuma  valore  universale, non  ismettendo  d'esser  particolare.  Similmente  l'uni- versale è  il  vero;  e  al  pari  del  vero  sarà  un  fatto, quando  rivesta,  anche  come  universale,  natura  di  particolare. La  conversione  del  particolare  e  del  generale non  può  farsi  che  nell'origine  stessa  del pensiero.  Or se  tutto  ciò  è  indubitato,  come  potranno  salvarsi  dal- l'errore più  esiziale  all'umano  consorzio,  eh' è  l'annuilamento  del  vero  concetto  di  persona,  tutte  quelle  di- verse famiglie  di  filosofi  che  altrove  riducemmo  ai  due indirizzi  estremi  dell’Aristotelismo? Gli  aristotelici  empirici e  naturalisti  e  positivisti,  infatti,  distruggon  la  per- sonalità perchè  negano  il  Nou;  potenziale  come  diverso dal  senso;  perchè  lo  riducono  al  senso.  Ma  la  distruggono altred  gP  iperpsicologisti  antichi  e  moderni,  cioè gli  Averroisti  e  gli  Hegeliani:  i  primi  perchè  separando i  due  elementi  credono  il  soggetto  abbia  a  partecipare deir  oggetto  posto  fuori e  sopra  dell'individuo;  i  secondi perchè  fanno  assorbir  l'individuo  entro  a  quell'oceano immobile  e  sconfinato,  ch'essi  addimandano  Spirito  Universale. La  quale  affinità  di  risultati  non  avrebbe  a recar  meraviglia,  chiunque  sappia  come  la  dottrina  del- l'in^eZZ^^  agente,  e  l'altra  non  meno speciosa dello Spirito  Vniversàlej  rappresentino, sotto  forme  diverse di  speculazione,  l’iper-psicologismo  aristotelico. Da  questa  prima  conseguenza  poi  nasce  una  seconda  di massimo  rilievo.  Posto  il  Noù;  potenziale  non  già  come passivo,  anzi  come  fornito  originariamente  d'attività spontanea  in  quanto  che  nella  sua  nativa  indetermina- tezza è  pur  determinato  da  un  oggetto;  si  riesce  a  schivare così  quell'errore  supremo  a  cui  rompono,  per  vie  diverse, i  suddetti  filosofi  seguaci  de' due  opposti  indirizzi  aristotelici, e  che  riflette  i  destini  dell'anima  e  dell'umana  per- sonalità. Se  infatti  nella  mente,  nel  NoJc  potenziale  ri- siede la  ragione  della  individualità  e  quindi  la  radice prima  della  personalità,  ne  segue  che  lo  spirito,  essendo coscienza  originaria  e  quindi  soggetto  superiore  all'orga- nismo, non  può, tuttoché  sgorgato  dall'organismo,  finire così  come  finisce  la  funzione  organica.  Se  l'organismo, come  dicemmo,  è  numero  che  diventa  unità,  o  meglio, unione  d'indole  dinamica,  è  chiaro  com'ei  non possa  altrimenti  finire,  salvo  che  disgregandosi  e  trasformandosi. Il  suo  fine  è semplice  ritomo;  è  ritomo  pro- priamente detto:  il  suo  progresso  è  regresso  nel  signifi- cato di  monotono  rifacimento.  Per  contrario  lo  spìrito è  unità  e  numero  sin  dal  momento  ìstesso  eh'  egli  è pensiero.  Dunque  non  può  altrimenti  finire  fuorché attuandosi  vie  piii  e  compiendosi  come  individuo,  come coscienza,  anziché  annullandosi  come  tale  per  vivere  in grembo  all'  universale  d' una  vita  che  non  é  vita.  Il  suo finire  non  significa  ritornare,  ma  persistere.  11  suo  progredire non  è  regredire,  ma  incessante  determinarsi.  Non è  insomma  un  monotono  rifarsi,  un  ripetersi  come  la specie:  é    perpetuo  farsi:  un  perpetuo  rinnovellarsi dell'  individuo  in  sé,  e  per    medesimo.  Che  sia  così, ce  ne  fa  capaci  l’essenza  stessa  del  finito,  delle  forze, della  natura. Perché,  davvero,  se  la  natura  é  conato essenziale,  non  verrebbe  evidentemente  a  contraddire  a sé  medesima  ov'  ella  non  superasse  il  senso  e,  trascen- dendo il  fantasma,  non  se  ne  distaccasse  rendendosene indipendente?^ *  A  questa  maniera  di  prora  intende  accennare  Platone  dove  afferma che  r  immortalità  non  è    un  eato  di  cui  saremmo  felici  ore  ci  toccasse, nò  una  aperanM  della  quale  è  pur  bollo  lusio^^are  noi  medesimi:  x3c).oV 7a/9  o'  xtv'Tuvoc,  X3tì  jr^vj    roiavra  tò^mp  ffTroé^scv  eaurù. {Fed.^  ed.  Stallbanm)  Che  se  altri  ci  chiedesse  notizia  su  la  pecnliàr forma  della  nostra  esistenza  sovramondana  e  sul  modo  con  che  il  NoJ; attuale  sarà  unito  coll’assoluto,  noi  risponderemmo  francamente  di non  ne  saper  nulla.  WpoaithOfW  razionalmente poA/etVo,  in  siffatta  quistione in  che  consiste?  Consiste  in  ciò;  che  il  Noù;  attuale,  in  quanto  pienezza di  coscienza  e  di  personalità,  finisco  di  necessità  neir  Assoluto,  cioò finisce  col  non  finire;  e  quindi  il  soggetto  j>of«»ùifmeiUe  tn/ìntro, qual  si è  appunto  lo  spirito,  non  può  finire  come  finiscon  gli  altri  soggetti  finiti,  i quali  finiscono  appunto perchò  non  sono  propriamente  aoggeui.  Orda  cotesto pentivo  si  dipartono  tanto  coloro  che  nella  soluzione  di  siffatto  problema  ci vogliono  dar  troppo,  quanto  quegli  altri  che  finiscono  col  non  darci  nulla addirittura.  Escon dal  positivo  razionale  o  fecondo,  per  cadere  nel  dom- matico  tradizionale,  i  Teologistt  col  loro  inferno,  paradiso,  purgatorio, eternità  delle  pene,  e  che  so  io.  Escon  parimenti  da  questo  positivo,  per cadere  neira  priorinno  dommatico  e  sistematico  e  nel  Nullismo,  gli Hegeliani  con  la  teoria  dell*  individuo  accidentef  fenomenico  e  pataeggiero, £d  escono  finalmente  dal  positivo  gli  stessi  Positivisti  per  cadere  nel  ne- gativo, sia  che  dicano  col  Littré  esser  davvero  impossibile  indovinar  nulla intomo  a  siffatto  problema,  sia  che  affehnìno  col  Feuerback  di  saperne ogni  cosa  quando  sia  risoluto  co*  principii  dello  schietto  materialismo. 31a  sopra  questo  tema  ci  rifaremo  altrove.  Qui  ci  basti  d'aver  accennato ad  una  maniera  non  troppo  usata  di  provare  la  immanenza  necessaria della  personalità  come  coscienza  individuale. Questo  quant'al  destino  dell'anima  umana.  Che  cosa potrà  dir  la  filosofia  positiva  nuant' all' origine  sua? Tutto  nell'ordine  psicologico  move  dal  senso;  ma nulla  non  può  nascere  per  ragion  del  senso.  Se  lo  spi- rito è  essenzialmente  pensare  e  giudicare,  e  quindi, come  s' è  detto,  luce  metafisica,  intuito,  mente  e  però triplicità; ne  conseguita  ch'ei  nasce  a    stesso,  ch'ei genera    stesso  come  pensiero.  Ecco  il  vero  significato dell'innatismo, dell'idee  innate,  dell'  innate  facoltà. Questa  conclusione,  circa  l' origine  psicologica, contraddice, al  solito,  tanto  al  Materialismo  che  non  sa  ele- varsi più  oltre  delle  pure  leggi  meccaniche,  quanto  a quell'astratto  e  nebuloso  Spiritualismo  che,  incapace  di scendere  nel  regno  de'  fatti,  non  sa  penetrare  nell'  espe- rienza, ed  alimentarsene.  Però  la  filosofia  positiva,  nel problema  su  l' origine  del  soggetto  psicologico,  non  vuole, non  può  accettare  il  principio  della  trasformazione della  materia  come  pretendon  gli  aristotelici  empirici rappresentati  oggidì  dagli  Hegeliani  di  parte  sinistra  ;  e non  può  del  pari  accettare  il  principio  (pur  ridotto  a forma  squisitamente  razionale  e  metafisica)  d'una  crea- zione estrinseca,  immediata,  superiore,  secondoché  stimano, il  tomista,  il  teologist^,  l' averroista,  il  neoplato- nico, r  ontologista.  Dottrine  ipotetiche  entrambe,  elle non  sanno  reggere  al  martello  della  critica.  La  prima riesce  insufficiente  a  spiegare  il  fatto  del  penciero:  la seconda  torna  inutile  a  legittimarne  la  natura. Tra  il  senso  e l’intelligenza  ci  ha  intimo  nesso ;  ma ci  ha  da  essere  pure  indipendenza  e  diversità.  Anche qui  si  verifica  ciò  che  ha  luogo  attraverso  a  tutti  i  differenti gradi  della  scala  de' sommi  generi  cui  si  riducon le  forze  di  natura:  si  verifica,  vo'dire,  quella  doppia legge  che  altrove  appellammo  della  continuità  ideale^  o degl'  intervalli  reali,  Havvi  continuità  perchè,  posto  il senso,  posta  la  natura,  è  possibile,  anzi  è  necessario l'intelletto:  si  che  può  dirsi  che  dall'uno  scaturisca l'altro.  Ma  ci  è  pure  intervalli,  perocché  se  l'intelletto germina  dal  senso,  o  meglio  nel  senso,  non  per  questo potrà  esser  lecito  confonderlo  col  senso.  Ci  spiegheremo brevemente. Dicemmo  come  l'esigenza  massima,  il  principio  che qualifica l’Aristotelismo  sia  quello  che  si  riferisce  alla relazione  tra  la  potenza  e  Tatto.  Gli  Aristotelici  empirici (per  esempio  gli  Hegeliani  di  parte  sinistra),  ci  dicon che  la  potenza  diventa  atto;  e,  applicando  siffatto  pnn- cipio  alla  psicologia  col  fine  di  determinare  l' attinenza fra  l'anima  e  '1  corpo,  affermano  che  l'anima  debba rampollare  dal  corpo  in  forza  della  leggQ  del  diventare. Che  cos'  è  per  essi  il  diventare?  È  il  to  7$ vo?  tolto  in significato  al  tutto  empìrico  e  sperimentale;  il  quale perciò  vuol  dire  trasformazione,  generazione,  ripetizione e  quindi  passaggio  incessante  (attraverso  infinito  nu- mero di  forme)  d'un  soggetto  identico,  d'un  fondamento universale  ma  concreto  e  sensato,  qual  è  appunto  la Materia.^ Gli  Aristotelici  iperpsicologisti  poi  (fra'  quali  sono d'annoverarsi  gli  Hegeliani  di  destra),  ci  dicono  an- '  È  questa  la  teorica  propugnata,  come  altrove  toccammo,  da*  moderni Materialisti  tedeschi.  Essa,  com'  è  noto,  è  rappresentata  dal  Feuerbach,  è divulgata  e  sostenuta  con  incredìbile  superficialità  dal  Di' BUchner  (Foror ei  Matth-e,  trad.  Gamper,  Leipzig  Science  et  Nature  etc  trad.  De- landre, Paris),  ed  è  applicata  dal  Moleschott  alle  scienze  fisiologiche. Ho  appellato  Arùtoteliei  empirici  questi  moderni  materialisti  usciti  dal fianco  sinistro  doirHegelianismo,  perchè  davvero  considerati  st>orlcamente e*  non  fanno  che  svolgere l’indirizzo  naturale  deirAristotelismo.  Bel  qual fatto  hanno  coscienza  essi  medesimi,  segnatamente  il  Moleschott,  il  più ingegnoso  fra  tutti,  quando  afferma  che  Vunion  de  laphilosophie  et  de  la acience  ne  e^eH  rialieée  qu'une  foie  don»  ArÌ9tote,  {La  Oirculation  de  la Vie,  Paris)  Ora  s'intende  agevolmente  comò  pel  Moleschott questo  connubio  della  Filosofia  con  la  Scienza  nella  mente  dello  Staglrita si  compiesse  tutto  a  scapito  della  metafisica.  Aristotele,  egli  dice,  è  conoscitore delle  .opere  d*  arte,  degli  uomini  e  degli  animali  [Ibi).  Eviden- temente il  dotto  fisiologo  riconosce  in  Aristotele  l'autore  d'una  Rettorica, d'  una  Storia  degli  animali,  e  degli  otto  libri  su  la  Politica.  Ma  perchè dimenticar  r  autore  della  Ptieologia,  della  iSi'HoywKca,  dell' £Wea  e  segna- tamente della  Metafisica  t  Non  è  vero  dunque  che l’Aristotelismo  de' Po- sitivisti, do'  Materialisti  e  degli  Hegeliani  di  sinistra  è  addirittura  falso, erroneo,  mutilato  storicamente  o  teoreticamente  V ch'essi  che  ìsl potenza  diventa  atto;  ma  il  loro  diventai^e, anziché  grossolana  ed  empirica  trasformazione,  è,  per cosi  dire,  un' addizione  ideale,  cioè  posizione  e  contrappo- sizione, determinazione,  individuazione  progressiva,  ma d' un  soggetto  unico,  universale,  intimo,  trascendente, assoluto,  eh' è  appunto  l' Idea.^  Ora  il  soggetto  del  di- ventare, tanto  per  l'empirismo  quanto  per  l'iperpsicologismo  aristotelico,  cioè  tanto  per  la  sinistra  quanto per  la  destra  hegeliana,  è  sempre  uno,  sempre  iden- tico a    stesso,  chiamisi  Idea,  chiamisi  Materia.  Ecco dunque  la  ragione  per  cui  ne'  risultati,  massime  nella soluzione  del  problema  psicologico,  le  due  scuole  s' ac- cordano a  meraviglia.  Di  fatto,  l'anima  per  gli  uni na^e  dalla  materia,  è  materia,  e  finisce  nella  materia: per  gli  altri  nasce  in  virtù  dell'  idea,  è  l' idea,  e  finisce nell'Idea.  Qual  è  dunque  il  fine  supremo  dell'anima?  Non altro  che  un  ritomo,  un  estinguersi  nell'  Idea,  o  nella Materia:  ecco  tutto.  L'intima  parentela  tra  il  Positivismo e l’Hegelianismo  non  potrebb'  esser  più  evidente  I Seguaci  dell'  indirizzo  medio  dell'  Aristotelismo,  a  noi pare  che  l' interpretazione  legittima  della  sentenza  ari- stotelica in  discorso  non  sia  questa,  che  cioè  la  potenza diventi  atto;  ma  quest'  altra,  che  la  potenza  passi  ad essere  atto.  Se  non  fosse  così,  tutto  affogherebbe  sotto il  pesante  domma  dell'identità  assoluta,    vi  sarebbe differenza  di  contenuto  fra  le  cose  in  generale,  e  nem- manco  fra  il  senso  e  l'intelletto  in  particolare.  Or  se questo  fosse,  anziché  progresso  avremmo  processo;  e '  La  materia  e  la  forma,  la  pot&Ma  e  V  atto,  la  forma  e  il  contenuto, non  ooetitHÌacono  altro  che  due  momenti  deWIdea,  (Hbgsl,  Log.,  Vedi  anche  neir  Introd.  di VERA)  L’Idea perciò  s’occulta  eeaenxialmenu  in  entrambo  i  momenti  ;  con  questo  sem- plice divario,  che  nell*  atto  essa  è  piìi  determinata,  più  individuata,  più enudeata  (direbbe  con  parola  significantissima  Vittorio. Imbriaui)  di  quel che  non  sia  nella  materia  e  nella  potenza.  Dunque,  io  concludo,  la  difTe- renia  non  istà  nel  quali,  ma  nel  qoaktvm  ;  e  perciò  diventare  non  altro Tale,  a  dir  proprio,  che  traeformanL  Ecco  il  punto  di  coincidenza  de*  due estremi  indirizzi  aristotelici;  ed  è  pur  quello  nel  quale  per  logica  necessità debbono  consentire  (checché  se  ne  dica)  la  destra  e  la  sinistra  Hegeliana. quindi  monotonia,  eterno  e  indefinito  cangiamento  di forme.  Tutto  quindi  si  ridurrebbe  ad  un  meccanismo materiale,  ovvero  ad  un  meccanismo  ideale;  e  leggo universale  del  mondo  sarebbe  o  la  necessità  empirica  e fisiologica,  ovvero  la  necessità  dialettica:  fatalismo  cieco nell'  un  caso  come  nelF  altro.  Invece  l' essenza  del  pro- cesso cosmico  per  noi,  come  vedremo,  sta  nel  canato secondo  eh'  è  inteso  dal  Vico.  Ma  come  il  conato  po- trebb' esser  conato  ove  non  includesse  l' intervallo,  la diversità  vera,  cioè  la  diversità  di  contenuto?  Conato è  passaggio  nello  stretto  senso  della  parola  (irjìpytx otTf)>?;);  è  transito,  non  trasformazione;  eduzione  (edu* dio  entis  ad  a4ium)  ma  eduzione  intrinseca,  e  quindi conversione  del  fatto  ìid  vero,  cioè  dire  conversione della  potenza  nell’atto,  creazione  intima ,  creazione spontanea.  La  potenza  dunque  recasi  ad  atto  non  in quant'  è  potenza ,  ma  in  quanto  cessa  d'  esser  po- tenza, e  passa  ad  esser  atto;  cioè  in  quanVè  potenza feconda.  E  come  potrebb' esser  feconda  (tò  ^warov),  ove non  fosse  privajsfione  («rrf/jvjTc;)?»  Or  tutto  ciò,  come sarebb'  egli  possibile  senza  la  doppia  condizione  della continuità  ideale  e  dell'intervallo  reale? Torniamo  all'  assunto.  L' intelletto  nasce  dal  senso: è  vero.  Ma  forse  che  nascere  vài  risultare?  Se  così  fosse, r  intelletto  non  essendo  altro  che  un  risultato,  starebbe rispetto  al  senso  così  oomQ  precisamente  nella  storta del  chimico  sta  un  sale  rispetto  agli  elementi  onde risulta,  cioè  all'  acido  e  alla  base.  Or  questo  (chi  noi '  Questo  è  il  senso  che  noi  diamo  al  principio  aristotelico  della  pn- «astone.  {Metaph.)  Anziché  principio  negativo^  la  pr«ea«ira  posto  oggimai  nella  sua  massima  evidenza  sopratutto  da  Rosmini.  A niuuo  è  lecito  dubitare  della  necessità  d’una  forma  oggettiva  originaria nella  sfera  de*  fatti  psicologici.  Con  salde  ragioni  il  Kant  ha  dimostra- to, contr*ogni  maniera  d'empirismo  psicologico,  che  lo  spirito  intanto pensa  in  quanto  giudica;  e  più  ancora  Rosmini  ha  posto  in  chiaro che  lo  spirito  giudica  appunto  perchè  è  toggeito  e  oggetto  insiememente. Vedi  Nuo.  Saggio  passim. Rinnowm, Psicologia,  Introd,  alla  FU.)  I  difetti  della  teorica  Rosminiana  li  accenneremo  in  quest'altro  capitolo.  Qui  osserviamo  che  in tale  dottrina  il  filosofo  italiano  si  ricollega  con AQUINO (si veda),  e,  chi volesse  andare  più  in  su,  anche  con  Alessandro  Afrodiséo,  e  quindi  con Aristotele.  Nello  Stagirita  infatti  ò  chiaro  questo  principio:  NotjtvÌ  ^i in  iTÌpcK.  do.  Ma  nem- manco  è  presupposta  al  corpo,  come  dice  lo  stesso  Pla- tone, 0  piovutagli  addosso  dal  di  fuori  e  dall'alto  in  certo mese  e  in  certo  momento  della  vita  intrauterina,  come affermano  tomisti  e  teologi,  senza  dirci  ne  come  né perchè:  e  tanto  meno  potrebb* esser  venuta  fuora  e  ve- nir fuora  qual  risultamento  di  leggi  meccaniche  e  fisiologiche. L'anima  è  creata;  o,  per  dir  meglio,  l'anima crea    medesima  per  una  legge  profondamente  dinamica che  si  confonde  e  compenetra  con  l' essenza  stessa della  natura  e  del  finito.  Perciò  alla  domanda,  se  fra l'anima  e '1  corpo  come  fra  il  sentire  e  l'intendere  oi è  salti  ed  abissi,  rispondiamo  subito  che  sì;  ma  tosto aggiungiamo,  che,  a  colmare  cotesti  abissi  e  varcare cotesti  salti,    la  psicologia  positiva  ha  punto  biso- gno d' invocar  V  atto  immediato  d' un  deus  ex  machina, né  r  ideobgia  ha  mestieri  d'  un  a  priori  che,  dardeg- giando all'  anima  il  raggio  dell'  intelligibile  sovramon- dano,  svegli  ed  ecciti  in  essa  la  virtù  dell'  intelletto.  Questo,  e  solamente  questo,  noi  potevamo  dire  'quan- t' alla  genesi  e  quant'  alla  teleologia  dell'  anima  umana, puntellandoci  unicamente  su  la  na- tura dell'  atto  essenziale,  dell'  atto  radicale  onde  vuol esser  costituito  il  pensiero.  La  psicologia  non  sarebbe famMndoèi  bel  bello  diventa  miracolosamente  intelletto,  ignorando  cosi  o facendo  le  Tlste  d'ignorare  gli  studi  profondi  e  le  parti  accettabili  deUa psicologia Rosminiana;    serva  pure:  noi  non  istaremo  a  perderci ranno  e  sapone.  Ma  non  sarà  certamente  villania  il  dover  dire  di  lui con  Aristotele:  uoeo;  yixp  f^fw  o  toiowtoc  y,  toéoùtoc  'A^ril davvero  positiva,  non  sarebbe  razionalmente  positiva, quand'  ella  presumesse  di  risolvere  diffinitivamente,  doni- maticamente,  sistematicamente  questi  due  problemi,  che non  senza  ragione  Leibnitz  appellò  terribili.  Ella deve  saper  contraddire  a  due  estremi  opposti  e contrari.  Da  una  parte  dee  contraddire  allo  Spiritualismo e  al  materialismo;  dall'altra  al positivismo.  Dee contraddire  al  volgare  spiritualista  e  al  materialista, perchè  entrambi  pretendono,  tuttoché  per  vie  e  risul- tati assai  diversi,  d'aver  risoluto  in  maniera  invincibile cotesto  doppio  problema,  mentre  nel  fatto  l'un  d'essi disconosce  il  valore  intimo,  l'autonomìa  dell'anima,  e l'altro  finisce  per  impugnanie  perfino  l'esistenza.  Deve poi  contraddire  al  Positivismo,  perchè  questo,  al  solito, non  volendo  sapere  di  siffatti  problemi,  ne  dichiara  im- possibile tal  soluzione,  e  quindi  inutile  il  parlarne.  Il filosofo  seriamente  positivo  può  fare  qualcosa  di  più che  non  sappia  il  Positivista.  Ma  confessa  di  non  saper giugnere  fin  dove,  con  volo  icario  e  fatale,  sanno  spin- gersi materialisti  e  spiritualisti,  empirici  e  tradiziona- listi, hegeliani  di  destra  ed  hegeliani  di  sinistra,  mistici e  ontologisti.  I  principìi  della  psicologia  positiva  che abbiamo  interpretato  nell'  autore  della  Sdenza  Nuova ci  possono  far  capaci  di  determinare  siffattamente  la genesi  e  la  teleologia  dello  spìrito,  da  chiuder  l'adito allo  scetticismo  e  al  nullismo.  Il  che  non  dovrebb'  esser poco,  anzi  dovrebb'  essere  moltissimo,  agli  occhi  almeno di  coloro  che  modestamente  sanno  e  voglion  ricono- scere i  confini  del  pensiero  umano. Abbiam  visto  come  la  genesi  del  processo  psicologico sia  essenzialmente  genesi  teleologica.  Ella  dunque  ci  vieta d'essere  scettici  per  sistema,  ci  vieta  d'esser  nuUisti  circa il  sapere  metafisico.  Se  il  mondo  della  natura  e  quello dello  spirito,  come  altrove  toccammo,  sono  processo  e conversione,  stantechè  il  primo  sia  numero  che  volge ad  unità  e  il  secondo  unità  che,  in    medesima  attuandosi, divien  numero;  anche l’assoluto,  serbando  medesimezza di  legge,  ha  da  esser  non  altro  che  conversione, processo,  mediazione.  È  dunque  possibile  che  la  mente penetri  in  qualche  maniera  nel  regno  delle  realtà  me- tafisiche. Ma  se  la  legge  è  comune,  sarà  pur  tale  il  contenuto? Agli  occhi  del  modesto  indagatore  del  vero  la metafisica  è  la  scienza  de'  confini.  Or  questi  confini  appunto ignorano  tanto  i  Neoplatonici  quanto  i  Neoari- stotelici per  opposite  ragioni. Di  fatto  anche  qui,  e  sopratutto  qui,  navighiamo  fra Scilla  e  Gariddi:  siamo  fra  que'due  soliti  estremi,  come si  disse,  in  che  travagliasi  '1  pensiero  filosofico  fino da' tempi  in  cui  sovraneggiarono  i  due  grsmà'' istitutorì déW  uman  genere,  come  il  vivente  filosofo  berlinese  non dubita  chiamare  Platone  ed  Aristotele.'  Qual  è,  in  ge- nerale, l'esigenza  e  quindi  '1  distintivo  de' Platonici  e del  Neoplatonismo  di  tutte  l'età  nell'afifermar  l'assoluto? È  il  propugnare  la  conoscenza  immediata  e  primitiva dell'  obbietto  metafisico,  qualunque  ne  sia  1'  ampiezza, il  grado,  il  valore  dell'intùito.  Qual  è,  invece,  l'esi- genza degli  Aristotelici  e  del  Neoaristotelismo?  È  il *  1|I0HIL«T,  Metaph,  d'ArUL. mantenere  la  mediatezza  del  conoscere  metafisico,  ovvero menomarla  cosi  da  renderla  inefficace,  e  talora persino  affatto  negativa.' I  metodi  de' Neoplatonici  nelP  attinger  l'assoluto '  In  armonia  con  le  idee  accennate  già  nel  Gap.  Ili  di  questo  secondo libro  sa  la  storia  generalo  del  pensiero  filosofico,  noi  togliamo  in  sig^nificato largo  le  parole Neo-platonismo  e  Neo-aristotelismo.  In  esse  comprendiamo più  e  differenti  scuole  di  filosoft.  E  quindi  non  sono  soltanto  filosofi  Neo- platonici  gli  Alestandrini  o  quelli  àeXht  scuola  Toscana «  od altri  simili  tra' filosofi  cristiani. Filosofo  neoplatonico  è  chi,  pur  modificando  il  Platonismo,  ne  sorbi,  come notammo,  due  esigenze,  di  cui  1’una  ò  p9Ìeologtea  e  1*  altra  è  tnetaJUica. La  prima  consiste  nel  porre  un*  attinenza  primitiTa,  e  quindi  una  connes- sione originaria  Tra  la  mente  e  l'obbietto metafisico.  Secondo  tal  criterio, fra*  neoplatonici  andrebbero  annoverati  parecchi  filosofi  arabeggianti,  av- vegnaché per  ragione  isterica  ei  risalgano,  come  toccammo,  allo  Stagirita. La  seconda  esigenza  poi  risiede  nel  riguardar  le  idee siccome  entità  aottanxialmente  eaemplatrici;  il  che  costituisce  davvero  il distintivo  del  Platonismo  in  generale.  Or  le  diverse  famiglie  o varietà  di  platonici  e  di  neoplatonici  possono  esser  coordinate,  nella  storia della  filosofia,  secondochè  queste  due  posizioni  si  presentano  più  o  meno modificate.  Per  iVeoameoCetùn  poi  intendiamo  qne'filosofi  che  contraddicono, in  generale,  ali*  anzidetta  esigenza  psicologica  e  metafisica.  E  poiché  il Platonismo,  come  dicemmo  e  come  avverte  il  Barthélemy  Saint-Hilaire {Phif9.  d*ÀrÌ9t.,  Pref.),  si  riproduco  e  si  trasforma  in  Aristotele  non pure  quanto  alla  filosofia  ma  eziandio  quanto  ad  ogni  altra  sfera  di  scibile, cosi  noli'  Aristotelismo  è  d’uopo  saper  rintracciare  i  germi  del  triplice indirizzo  speculativo  da  noi  altrove  accennato,  massime  deirindirìzzo  mediof nel  quale  unicamente  è  possibile  rinvenir  la  correzione  del  Platonismo  e dell’Aristotelismo. Ripetiamolo  anche  qui:  tutta  la  storia  del  pensiero filosofico  occidentale  consiste  nelJo  svolgimento  fecondo  e  svariatissimo di  questi  tre  indirizzi;  ciò  ò  dire  nella  lotta  perenne  delle  due  estreme posizioni,  e  nel  trionfo  lento  e  faticoso,  ma  immancabile,  della  posizione mediana.  Se  questo  è  vero,  ne  segue  (almeno  per  chi  serbi  alcuna  fiducia nel  progresso  della  ragion  filosofica)  che  se  nessun  filosofo  oggi  può  dirsi od  essere  un  puro  platonico  od  un  puro  aristotelico,  tutti  invece  dobbiamo essere  e  dirci  neoplatonici,  o  neoarìstotelici,  ovvero  seguaci  del  terzo  in- dirizzo; il  quale,  sia  storicamente,  sia  teoricamente,  vien  fuora  tostochè sian  dati  i  due  primi.  Noi  non  possiamo  intrattenerci  sopra  questa  materia e  corredar  di  prove  isteriche  tale  assunto,  essondo  ben  altro  il compito  del  nostro  lavoro.  Ma  riteniamo  per  sicuro  che  una  storia  par- ticolare 0  generale  della  nostra  scienza,  la  quale  non  sia  condotta  con silEatti  criteri,  altro  alla  fin  fine  non  potrà  esser  che  un  lavoro  d*  in- tarsio, come  tanti  se  ne  vedono,  ovvero  un  arbitrio  sistematico,  dom- matico  e  fftntastico  dairnn  capo  ali*  altro.  (Vedi  tutto  ciò  che  abbiamo discorso  a  tal  proposito  ( potranno  differir  nella  forma  più  o  manoo  arbitraria con  che  ci  è  data  la  dottrina  delP  immediatezza.  Ma tutti  ci  palesan  lo  stesso  difetto:  l'esser  dommatici,  Tesser sistematici;  poiché  tutti  trascendon  T esigenza  d'un  po- sitivo e  fecondo  psicologismo.  L' esagerazione  di  cotesto indirizzo  è  rappresentato  da  chi  presume  conseguir  la notizia  dell'  assoluto  con  la  ragione,  ma  con  la  ragione che  si  lasci  guidar  dalla  fede,  e  sorreggere  dal  senti- mento. Con  siffatta  maniera  di  speculazione  noi  non  ci abbiamo  che  vedere.  Essa  ci  rappresenta  quella  posi- zione metafisica  che  altrove  appellammo  DommcUismo empirico.  Dobbiamo  dunque  rifiutarla.  E  dob- biamo rifiutarla,  sia  perchè  in  sostanza  ella  riesce  a negar  la  speculazione  trascendente,  ùa  perchè  s'oppone alle  condizioni  più  elementari  della  scienza Le  altre  forme  di  Neoplatonismo  afferman  l'immediatezza dell'  oggetto  metafisico  ponendo  l' intùito,  ma  l' intùito che  legittima    stesso  in  quanto  che,  assumendo  virtù riflessa,  diventa  ragione.  Secondo  tale  indirizzo  appunto è  venuta  svolgendosi  la  speculazione  italiana  nel  moderno periodo  della  nostra  filosofia.  Talché  noi  dovendo,  come richiede  l'indole  stessa  del  nostro  lavoro,  tener  conto  non pur  della  ragion  teoretica,  ma  eziandio  della  ragione isterica,  verremo  accennando  alla  dottrina  di Rosmini,  Gioberti  e  Mamiani,  che  ne  sono  i  più  legittimi rappresentanti.  Rifacciamoci  dal  primo  come  quegli  che per  ragion  cronologica  e  per  valore  di  speculazione  va innanzi  a  tutti. A  SERBATI s'  é  voluto  dar  titolo  d' idealista  piato- nico.  *  Con  egual  ragione  altri  potrebbe  dargli  titolo  di realista  aristotelico.  Il  Roveretano  corregge  davvero  il neoplatonismo  nella  ricerca  psicologica  ;  ma  v'  è  un  punto vitale  nel  quale,  come  si  vedrà,  ei  si  palesa  più  che  ne- *  È  un  titolo  in  gran  parte  sbagliato.  Quelle  eh'  ei  dice  propriamente idee  per  lui  sono  eeemplari  delV  eetenxa  inteUigibiUf  non'  già  eeemplatrici per  «è  medeeime,  {ArieU  E«p.  ed  eeam,,  Pref.)  Come  dunque  ò  idealista platonico  ? platonico.  Con  ingegno  potentemente  analitico,  temprata alla  severa  speculazione  d' Aristotele  e  dell’Aquinate egli  ha  dimostrato  ciò  che  in  modo  assai  vago  eran venuti  affermando  gli  aristotelici  su  la  necessità  d^  una forma  oggettiva  nella  mente.  Ma  egli  non  si  contenta dell'essere  in  quanto  essere:  lo  dichiara  altresì  immobile,  immutabile,  obbiettivo,  inalterabile,  se^nplice,  uno, immescibile,  infinito^  necessario,  insussistente,  ideale}  Ecco il  puntello  ond'  egli  s' augura  di  spiccare  il  volo  inverso ali  Assoluto.  Ma  innanzi  tutto  guardiamo  tale  dottrina sotto  il  rispetto  psicologico  eh' è  appuntò  il  tema  pre- cipuo del  presente  capitolo. Col  porre  l'Essere  come  oggetto  primitivo  della  mente, e  col  dichiararlo  fornito  del  carattere  d' universalità,  il Rosmini  taglia  i  nervi,  come  dicemmo,  ad  ogni  maniera di  sensismo,  e  nel  medesimo  tempo  corregge  il  Critici- smo: lo  corregge  non  già  mondandolo  (com'  ei  si  vanta) della  magagna  della  subbiettività  di  cui  non  sa  neppur liberare    medesimo,  bensì  dimostrando  quant*  inutile fardello  sia  quella  moltitudine  di  categorie  originarie ond' il  Kantismo  si  distingue  fra' moderni  sistemi  di filosofia.  Ecco  ciò  che  forma  l'onore  della  psicologia rosminiana.  *  Ma  qual  è  il  suo  difetto?  È  il  non  aver indagato  fino  alla  più  fonda  radice  quel  eh'  egli  stesso appella  il  minimum  della  cognizione;  e  quindi  l'aver fatto  pesare  su  l'obbietto  originario  un  ingombro  di note  e  d'attributi  cotanto  copioso,  da  fargli  smarrire affatto  il  carattere  dell' originarietà.  E,  davvero,  cotest'  og- getto è  egli  ideale?  Dunque  è  già  beli'  e  determinato. Ór  come  un  obbietto  determinato  potrà  esercitare  fun-[PAGANINI mostra  1’affinità  fra  SERBATI od AQUINO quant'alla  teorica  del  lume  intellettivo.  {Sagg.  9opra  «an  Tomm, éC  Aquino  e  t7  Roeminif  Pisa) Vedi  Rinnovam.—  Ptieologia,     Nuo.  Sagg. SPAVENTA  ha  pasto  in  sodo  questo  gran  merito  del  filosofo italiano  di  fronte  al  Criticismo  nel  prezioso  opuscolo  altrove  citato  so  la '  FUo9ofia  di  Kant  e  la  tua  relazione  con  la  FUotoJia  Italiana,  Torino. 2Ìoni  di  Primo  psicologico?  Non  verremmo  cosi  a  tur- bare e  confonder  l'ordine  primitivo  della  conoscenza col  riflesso?  Dunque  Y  essere  ideale  nell'organismo  della psiche,  anziché  Primo  psicologico,  sarà  il  Primo  logico. Quanto  poi  air  attributo  della  infinità,  egli  ha  ragione dove  aflerma  con  san  Tommaso,  la  natura  del  soggetto dover  partecipare  a  quella  dell'oggetto:  e  quindi  se  a questo  appartiene  il  carattere  della  infinità,  non  si  vede perchè  non  debba  appartenere  anche  a  quello.  Or  s' egli è  cosi,  è  dunque  infinito  il  pensiero?  Lasciamo  agli  hege- hani  cotesta  innocua  pretensione  finché  non  ce  n'  abbiau dato  valide  e  serie  dimostrazioni." Se,  inoltre,  cotal  forma  innata  è  immobile,  immuta- bile, immescibUe  e  inalteràbile,  perciò  non  le  sarà  dato moversi  di  per    stessa.  Ella  si  move  bensì,  ella  diventa, ma  in  virtù  d' una  determinazione,  in  forza  d' un'  op- pliccunone.  Chi  recherà  ad  atto  cotest' applicazione?  La [SPAVENTA  ha  ragione  :  «  V  errore  di SERBATI  non  ì  il  fare ddV  eteere  come  eeeere  il  primo  eeientijico  o  logico,  ma  di  fame  jil  primo peiedogieo:  non  U  primo  pensabile,  ma  il  primo  eonoeeibUe,  »  (Le  prime categorie  della  Log,  di  Hegel,  negli  Aui  dtUa  B,  Accad,  di  Nap.)  SERBATI stesso  prevede  questa  grave  difficoltà,  e  tenta  rispondere in  più  modi  riparando  al  solito  arsenale  delle  distinzioni;  ma  questa  volta con  assai  poca  fortuna.  {Peieologia)  In  altre  opere, e  anche  nel  Nuo,  Sag.,  avea  chiamato  infinito  il  pensiero,  non  però  eotto tuui  gli  aepeUi.  Ma  un  inAnito  di  cotesta  foggia  chi  vorrà  accettarlo? La  creduta  infinità  dell*  oggetto  primitivo  non  ò  infinità,  ma  indetermi- natezza, E  di  fatto  la  nota  epeeijicante  della  Ittee  metaJUiea^  secondo  la sentenza  di VICO (si veda)  altrove  riferita  è  appunto  la  indeterminatezza, la  potenzialità,  ma  la  potenzialità  non  vuota  e  subbiettiva  de’ AQUINISTI AQUINO  e de*  Peripatetici,  bensì  piena,  feconda,  oggettiva,  essendo  nella  sua  essenza un  eonato.  Or  se  questo  ò  il  carattere  dell*  oggetto,  e  se  la  natura  del soggetto  ha  da  rispondere  a  quella  della  sua  forma,  ne  seguita  che  alreggette  indeterminato  dee  far  riscontro  una  facoltà  d*indol6  somigliante. Ma  che  cos*ò  un  pensiero  indeterminato  nel  suo  oggetto  salvo  che  un essere  potenzialmente  infinito,  un  subbietto  che  tendit  ad  infinitum,  come  lo deRnisce  lo  stesso  VICO?  Dunque  1* indeterminatezza  è  il  carattere  pre- cipuo della  luce  metafieiea,  tuttoché  in  so  stessa  ella  sia  determinata  In quanto  che  non  cessa,  ripetiamo,  d’essere  un  oggetto;  mentre  che  la potenzialità  feconda  è  il  carattere  del  pensiero  inteso  come  soggetto. S.  2Ì ragione.  Or  bene,  la  ragione  non  vi  potrebb'  essere mossa  tranne  che  da    stessa,  ovvero  dal  senso.  Dal senso,  no  ;  che  saremmo  sempre  impigliati  in  una  forma più  0  meno  schietta  di  sensismo,  dal  quale  indirizzo  il filosofo  di  Rovereto  rifugge  ad  ogni  patto.  Dunque  da sé  stessa.  Ma,  si  può  chiedere:  muovesi  ella  da    in quant'  è  soggetto,  ovvero  in  quant'  é  oggetto?  In  quant'  è soggetto,  no.  Un  soggetto  spoglio  di  forma  è  una  pò* tenza  vuota;  è  la  pura  potentia,  la  purafaeultas  degli scolastici:  e  come  tale  riesce  incapace  d'esercitar  fun- zione di  Primo  psicologico.  Movesi  dunque  siccome  og- getto; movesi  in  quant' è  luce  fnetafisica.  Or  come  si  potrà movere  s' ella  é  immobile,  immutabile,  immescibUe,  iikiZ- terabile? —  Da  ultimo,  il  difetto  che  in  tale  indagine  egli ha  comune  con  parecchi  altri  aristotelici,  e  pel  quale  vuol esser  segnalato  come  neoplatonico,  risguarda  l' origine di  cotesta  forma  ideale.  Donde  mai  cotal  luce?  Piove dall'  alto,  0  piuttosto  rampolla  dal  basso?  Non  dall'alto, non  dall' assoluto  in  maniera  diretta,  egli  risponde;  nettampoco  dal  basso,  cioè  dall'esperienza.  Rosmini  qui ha  ragione:  nessuno,  crediamo,  vorrà  fargliene  carico. Donde  e  come,  dunque,  ella  viene?  ' •  Vedi  Antropologia. —  Sistema  FUotofieo,  p.  82. '  Bisogna  confessare  che  nel  punto  più  vitale  delle  sae  dottrine, eh* è  Torigine  dell*  obbietto  primitiro  della  monte,  questo  filosofo  fu  sempre titubante  anche  ne*  suoi  lavori  postumi.  In  alcune  opere  evidentemente 8*  accosta  a  san  Tommaso,  dove  dice,  per  esempio,  che  Tessere  ideale  è un  cotal  raggio  ddla  divinità,  il  quale  noi  tftdremmo  in  modo  ineffabile identijì earai  con  etaa  quando  ci  si  potesse  disvelare  la  divina  e$»enMa.  (Atto. Sagg.,  vol.  II.)  Altrove  ritiene  che  la  forma  intellettiva  non  ci  abbia  che vedere  con  Dio  ;  e    dove  pur  ci  fosse  un*  attinenza,  difficilmente  (egli sogin»?"®)  ci  salveremmo  dal  panteismo.  {FU.  dd  Diritto,  voi.  II,  p.  195.) E  con  tutfaO  questo  el  non  dubita  alTermare,  additando  la  nota  scap- patoia della  distinzione  tra  forma  reale  e  forma  idecUe,  che  Dio  si  co- munica al  pensiero  idealmeìUe,  non  già  realmente  !  Ma  che  cosa  ò  mai, e  come  avviene  cotesta  eomunieagione  ideale  f  Che  8*ella  è  possibile,  come, in  tal  caso,  potrete  salvarvi  dal  panteismo  ideale?  Il  Rosmini  parla chiaro  (Teoeojia,  su  la  Partecipazione  del  divino  nella inteUigmza)  ove  dice  che  1*  essere  iniziale  della  mente  e  1*  estere  divino sono  addirittura  identici.  Dunque  non  v*  è  scampo:  o  egli  non  riesce  a salvarsi  dal  panteismo,  ovvero  deve  attribuire  all'  obbietto  della  mente  la 11  Rosmini  crede  potere  attinger  la  notizia  dell'  as- soluto ponendo  in  opera  alcuni  espedienti,  per  esempio il  processo  d' dimincunone,  d' intcgrcmone  e  slmili.  Ma sopra  qual  fondamento  si  basano  cotesti  processi?  Ap- punto sul  concetto  dell'Essere  ideale.  Da  cotesto  con- cetto egli  stima  possibile  trar  gli  elementi  a  comporre quello  dell'  obbietto  metafisico.  Perciò  dagli  attributi dell'  ente  ideale  vuol  concludere  a  quelli  dell'  essere  in sé:  perciò  dal  simile  vuol  procedere  al  simile.  Or  co- testo è  un  processo  senza  processo:  è  un  processo  ap- parente, illusorio,  perchè  dal  simile  non  si  procede  al simile,  ma  si  è  nel  simile.  D' altra  parte,  per  isquisiti che  si  voglian  supporre  i  metodi  eh'  egli  adopera  a  tal proposito,  mai  non  avverrà  che  gli  attributi  dell'  ente ideale  possano  porgere  quelli  del  reale.  In  che  ma- niera convertir  le  note  d'assolutezza,  d'universalità e  d'infinità,  che  son  proprie  dell'uno,  con  quelle  del- l'altro? E  dove  e  come  poi  andare  a  ripescar  l'attri- buto della  realtà?  Checché  se  ne  dica,  a  tale  domanda ei  non  risponde,  o  ricasca  nel  ginepraio  delle  viete  ar- gomentazioni scolastiche.  E  mentre  crede  compiere  o correggere  il  celebrato  argomento  di  sant'Anselmo,  non s' accorge  il  grand'  uomo  come  restino  tuttora  incrollabili le  gravi  difficoltà  affacciate  dal  Criticismo.  Pur  non ostante  egli  reputa  negativa  l' idea  di  Dio.  Or  come  negativa se  ci  avete  saputo  disasconder  tante  peregrinità a  questo  riguardo?  E  s'ella  é  davvero  negativa,  non siamo  già  nel  Positivismo?  E  se  non  é  assolutamente negativa,  perchè  non  è  tale?  perché  non  può  esser  tale? nota  della  realtà  alla  maniera  del  Gioberti.  In  altra  opera  postuma {Ari9t,  Etp,  ed  etam,)  le  titubanze  non  iscemano;  perchò  quan- tunque modifichi  in  alcune  parti  la  sua  dottrina l’essere  nondimeno  ^W si  prosenta  sempre  come  ideale^  e  crede  confermar  la  propria  sentenza con  r autorità  d'Aristotele.  Dalla  prima  ali* ultima  opera  del  Rosmini, dunque,  il  problema  su  la  conoscenza  s’aggira  sempre  nelP  equivoco  tra il  Primo  pticologieo  6  il  Primo  logico;  ne  qnindi  crediamo  che l’Idealismo Rosminiano  siasi  di  mano  in  mano  accostato  air  Ontologismo  del Gioberti,  come  pensa  il  eh.  FERRI (Est.  tur  VHist.  de  la  Phil.  en  Italie) La  guisa  ond^  il  Boveretano  crede  poter  penetrare nel  mondo  metafisico  non  sarebbe,  a  parlar  proprio,  un processo,  una  mediazione.  Nessuna  conversione  sarà  mai possibile  fra  due  termini  simili  appunto  perchè  fra  questi, ripetiamo,  non  è  possibile  un  intervallo.  £  dato  ci  sia cotesto  intervallo,  è  poi  necessaria  una  continuità  ideale; la  quale,  unzichè  per  comunicazione  dell'  oggetto,  com’egli  pensa,  avviene  per  eduzione  per  parte  del  soggetto. Né  è  maraviglia  eh'  ei  non  abbia  visto  tali  necessità, chiunque  pensi  come  la  filosofia  di SERBATI partecipa  a  quel  difetto  che,  come  altrove  notammo,  è  il verme  pia  micidiale  che  roda  il  kantismo.  Tutto  in  lui sembra  immobile,  freddo,  sterile  come  il  suo  ente  ideale. Psicologia,  ideologia,  cosmologia,  storia,  diritto,  politica e  religione,  nel  loro  insieme,  paion  quasi  altrettanti organi,  anziché  un  organismo,  perocché  uiun  soffio vitale  imprima  forza  e  movimento  a  tutte  queste  membra. A  lui,  in  somma,  fa  difetto  l’esigenza  del  processo. Eppure  air  A.  del  Nuovo  Saggio  non  sarebbe  mancato il  fondamento  positivo  sopra  cui  avrebbe  potuto  in- nalzar r  edifizio  della  psicologia,  e  apparecchiare  cori la  soluzione  d'alcuni  problemi  cosmologici.  Avrebbe avuto  una  gran  chiave  nella  sua  teorica  sai  Sentimento fondametìicde,  intomo  a  cui  nessuno,  dopo  Aristotele,  ha saputo  discorrere  con  eguale  acume  e  accuratezza,  come saggiamente  osserva  il  Ferri.^  Ma  neanche  in  questo  ei potè  pervenire  a  disascondere  quel  secreto  vincolo  che in  seno  all'unità  primigenia  del  Noù;  potenziale  annoda [Però  Gioberti  non  a  torto  rassomigliò  ad  uno  ttaUauUe  il  si- stema Rosminiano.  La  forma  stessa  del  suo  iugesrno  mostra  cotal  difetto. Kcco  perchè  non  gli  fa  dato  cogliere,  come  accennammo  il  valore  del  metodo  Tichiano.  Ecco  perchè  altra  lllosoila  della  storia agli  occhi  suoi  non  dovrebb*  esser  possìbile,  fuorché  quella  d*  Agostino, del  Bossuet,  dello  Schlegel,  del  De  Maistre.  Non  altro  concetto  sociolo- gico, salro  che  quello  della  società  divina  naitirale.  Non  altra  cosmolo- gia che  quella  del  Tomismo.  Non  altra  fisiologia  e  patologia,  tranne  che quella  de*  Tocchi  vitalisti. . la  visione  ideale,  la  percezione  empirica,  nonché  il  sentimento fondamentale.' I  difetti  del  Rosmini  prese  a  correggere GIOBERTI; ma  die  neir  esagerazione.  In  maniera  invitta  egli  mostrò la  fallacia  della  posizione  dell'  ente  ideale,  ma  cadde  nell’arbitrario  anche  lui  quando  ingolfossi  nel  mare  magno del  suo  intùito.  Se  infatti  havvi  dottrina  psicologica  la quale  più  spiccatamente  contraddica  al  criterio  della conversione,  e  quindi  all'  esigenza  metodica  aristotelica della  Sdema  Nuova,  è  appunto  quella  del  Neoplatonismo che  con  entusiasmo  senza  pari,  con  ingegno  mirabile  e con  vena  fecondissma  di  speculazione  egli  prese  ad  inno- vare fra  noi  con  anima  ITALICAMENTE generosa.  A  nessun italo  oggi  potrebb’esser  lecito  disconoscere  i grandi  meriti  del  filosofo  subalpino:  a  nessuno  i  bene- fizi grandissimi  che  in  età  assai  triste  sepp'  egli  operar nella  mente  e  nell'animo  di  tutti  con  le  sue  scritture. '  fi  noto  come  per SERBATI  sia  U  tentimeruo  intimo  e  perfettamente uno  che  uniece  la  eeneitività  e  V  intelletto.  {Nuov.  Sagg. ; Ariet.).  Ma  in  che  maniera  poi  accordare questa  sentenza  con  quel! *  altra  ove  dice,  la  ragione  eeeer  quella  che unieee  il  eentibile  e  V  intelligibile  f  {Pncologia). L*  anità  de*  due  elementi  qui  sarebbe  posteriore,  mentre  sarebbe  ante^ riore  la  dualità,  e  quindi,  come  dualità  primitiva,  inconcepibile.  Il  che ci  è  confermato  da  lui  stesso  dove  afferma,  la  vitione  ideale  non  aver relazione  di  torta  con  la  percezione  empirica,  {Antropologiaf  C.  VILI).  Ora a  me  pare  che  il  Sentimento  fondamentale  avrebbe  potuto  porgrersi  a  lui come  base  d*  una  dottrina  psicologica  razionalmente  positiva,  quando avesse  pigliato  a  considerarla  come  unità  Iniziale,  come  sintesi  origina- ria del  doppio  elemento  della  conoscenza  :  il  che  non  apparisce  in  alcun luogo  delle  sue  scritture.  Che  cos*è,  infatti,  il  Sentimento  fondamentale  f te  V  atto  onde  V  anima  vivifica  il  corpo,  {Antropohf.), Or  bene,  checché  se  ne  possa  dire,  cotesta  evidentemente  è  psicologia neoplatonica,  e  però  tutt' altro  che  positiva.  Invece  per  noi  il  Senso fondamentale  ha  natura  di  conato,  e  quindi  rappresenta,  anzi  incarna  il momento  in  che  la  vita,  la  ^uvauc;  biologica,  superando  so  medesima, passa  ad  assumere  anche  valore  di  pensiero.  In  altre  parole:  l'anima pel  Rosmini  è  energia  primordiale,  ò  una  originariamente  (Ibi,  e.  IX)  ; ma  è  una  come*  anima,  non  già  come  anima  e  corpo,  come  vita  e  pen- siero. E  con  questo  difetto,  eh*  egli  ha  comune  co'  platonici  e  con  san- t'Agostino come  v^emmo, contraddice  evidentemente all'indirizzo  medio  arittoulico  secondochè  noi  lo  intendiamo. Ma  chi  è  oggimai  che  vorrà  propugnare  sul  serio  la sua  teorica  psicologica  tuttoché  sia  da  accogliere  e  svol- gere non  pochi  principii  della  sua  Protologia?  ^ Fra  le  molte  e  gravi  obbiezioni  mosse  contro  V  on- tologismo giobertiano,  noi  ci  restringeremo  a  ripetere quella  semplicissima  affacciata  poco  fa  contro  il  Ro- smini, e  che  con  assai  più  ragione  s' attaglia  a GIOBERTI. Come  oggetto  primitivo  del  pensiero,  la  formula  del- l' Etite  creante  è  un  oggetto  determinato,  sia  che  si  tolga a  considerar  la  natura  de'  suoi  membri,  sia  che  la  spe- cie di  relazione  che  li  rannoda  in  organismo.  In  che maniera  dunque  può  essere  inizio,  principio  della  genesi psicologica?  Anziché  il  minimum  del  pensabile,  qui s' avrebbe  il  maximum  del  conoscibile.  Or  s' egli  é  così, la  scienza,  io  chiedo,  sarà  ella  generazione,  conversione, eduzione,  o  non  più  veramente  copia,  imitazione,  ritratto d' un  vero  che  non  ci  appartiene?  La  posizione dell'Intuito  giobertiano  è  dunque  arbitraria,  ipotetica, oscurissima,  come  primo  d'ogn'  altri  ebbe  a  mostrare lo  stesso  SERBATI. Perciò  la formula  non  può  essere riguardata,  secondochè  pretendon  gli  ontologisti,  come sorgente  d'  ogni  scienza,  criterio  d'  ogni  scibile,  fonda- mento d'  ogni  dimostrazione,  come  Primo  ed  Ultimo  del pensiero.  Il  Nov;  degl’ontologisti  italiani  è  la  vecchia dottrina  dell'  Intelleito  agente^  ma  passata  attraversò  la scolastica,  e  ricorretta  dal  pensiero  filosofico  cristiano. È  r  IntelligibiHtà,  la  VerUà  di  sant'Agostino,  ma  deter- minata, concreta,  reale.  È  la  Reminiscenza  platonica, ma  fatta  viva,  presente,  parlante  al  pensiero.  Egli  dun- *  Ved.  il  nostro  opusc.  Introduzione  allo  ttttdio  delle  acìenxe  naturali e  ttoriche,  Firenze,  Celiini,  Ved. GIOBERTI  e  il  Panteismo,  Lucca. Dopo  il  GIOBERTI di SPAVENTA  è  impossibile  difendere l’intuito del  filosofo  di  Torino:  se  ne  persuadano  gli  ontologisti.  Noi  accettiamo  la sua  critica:  ma  chi  ?orrà  accettar  le  conseguenze  eh  «i  ne  trae,  o  la relazioni  eh'  egli  pone  fra  Io  Ctisiologismo,  in  generale,  o l’Idealismo assoluto?  Anche  qnant*al  concetto  creativo  della /Vo(o/o^  fra  Tuno  e r  altro  sbtema,  come  avvertimmo,  corre  un  abisso.    '    « que  è  r  esagerazione  del  Platonismo.  È  un  iperpsicologi- smo  avente  il  suo  primo  puntello  nel  catechismo,    può quindi  essere  accettata  dalla  ragion  filosofica  positiva.* Sennonché  gli  ontologisti  si  fan  forti,  come  accen- nammo, della  celebre  sentenza  vichiana  su  la  rispon- denza fra  r  ordine  logico  e  Y  ordine  ontologico." Il  nostro  filosofo  non  parla  d' ordine  logico  e  ontolo- gico, ma    d' un  Primo  logico,  e  d' un  Primo  Vero  Me- [Qui  abbiamo  inteso  accenDare  alla  dottrina  deir  Intuito  come  ci è  data  nelle  prime  opere di GIOBERTI.  Ognuno  sa  che  nelle  scritture  pò- stnme  egli  Tiene  talora  a  modificarla    che  s*  accosta  a SERBATI,  o  me- glio, ad AQUINO.  Per  esempio,  dice:    {De  Univ,  Jur. Da  questo  lemma  è  agevole  argomen- tare che  Dio  è  Primo,  sia  che  tu  lo  consideri  come  essente,  sia  che  come conoscente.  Qui  non  v*  ha  luogo  ad  interpretazioni.  Ma  vi  è  il  lemma  VII che  dice: Itaque  Primum  Verum  Methaphysieum  et  Primum  Verum  Lo ' gicum,  unum  idemque  esse.  Qui  la  critica  interpretativa  è  necessaria, perchè  qui  la  contraddizione  con  l' insieme  delle  altre  sue  dottrine  è pur  troppo  evidente.  Se  la  rispondenza  cai  allude  il  nostro  fosse  da interpretarsi  come  pretendono  ontologisti  e  nooplatonici,  olla  contrad- direbbe alla  dottrina  del  conoscere  e  del  metodo  ;  la  quale  in  siffatte ambiguità  dee  prevalere  nel  pensiero  del  critico,  come  quella  che  costi- tuisce propriamente  T  originalità  di VICO.  Se  dunque  in  forza  del  suo criterio  la  scienza  debb*  esser  frutto  d*  uno  s?olgimonto  riflesso  e  di  ri- cerca e  di  critica  essenzialmente  eduttiva,  parmi  evidente  come  il  rap- porto fra  r  ordine  delle  cose  e  quello  delle  idee,  anziché  di  corrispondenza originaria  e  di  parallelismo  primitivo,  abbia  da  essere  invece  di  rispon- denza derivata,  e  di  parallelismo  riflesso.  In  una  parola:  cotesto  paral- lelismo,cotesta  equazione,  non  è  un  principio,  è  un  risultato.  Nel  che 11  fliosofo  di  Napoli,  com*  era  da  sospettare,  interpreta  ed  invera  il  beninteso Aristotelismo,  perchè  è  lo  stesso  Aristotele  quegli  che  osserva  come la  radice  di  tutti  gli  errori  de' Platonici  sia  per  l'appunto  la  confusione dell'ordine  logico  con  l'ordine  dell'essere,  e  però  delle  causo  reali  del- l'essere,  con  lo  cause  formali  della  scienza:  KW  ou  TtdvroL  o€a  tu \6yù»  zjporepoiy  xaì  tVì  oÙTc'a  vipÓTspx^  {Metaph.). tafisico,  considerandoli  entrambi  come  unum  idemque. Siamo  dunque  nel  panteismo?  ovvero  in  una  dottrina neoplatonica?  Intendiamoci.  Qual  debba  essere  per  lui il  Primo  psicologico,  s' è  visto. Or  quali  han  da  essere,  in  armonia  con  le  sue dottrine  psicologiche,  il primo  logico  e '1  Primo  ontologico? Il  Primo  logico  sarà,    vi  cape  dubbio,  un  princi- pio mediato,  risultante,  secondario,  cioè  posteriore  al Primo  psicologico.  Se  infatti  il  processo  della  psiche s'  attua  ingradandosi  in  pili  gruppi  di  facoltà  compo- nenti fra  loro  un  organismo;  e  se  il  processo conoscitivo  importa  una  serio  di  leggi  atte  a  governare le  diveree  funzioni,  che  vuol  dire  le  facoltà  stesse  avvi- sate in  relazione  co'  loro  prodotti  (rappresentazioni,  fan- tasmi, concetti,  nozioni,  idee,  giudizi  ec.)  ;  avviene  che come,  data  una  funzione,  è  già  beli'  e  dato  logicamente il  suo  prodotto  e  quinci  una  serie  di  leggi  che  ne  regga lo^'svolgimento;  così,  posto  il  Primo  psicologico,  non  potrebbe a  verun  patto  mancare  il  Primo  logico.  Ora  se il  Primo  psicologico  è  V  essere  indeterminato,  eh'  è  dire il  Nov;  potenziale, in  quant'  è  luce  metafisica;  quale  sarà il  Primo  logico?  Non  altro  che l’essere  nella  sua  prima determinazione  riflessa: l'essere  in  quanto  ideale;  il quale  perciò  suppone,  sotto  il  riguardo  cronologico,  il sensato  reale,  il  fatto;  stantechè  il  senso,  come  toccam- mo, resti  incluso  nel  circolo  psicologico.  L'ente  ideale adunque  è  un  primo:  qui  ha  ragione  SERBATI.  Ma  è anche  un  ultimo;  uUimo  psicologico,  e  primo  logico. Al qual  proposito  giova  notare  che  ove  il Roveretano avesse  riguardato a questa  maniera 1' Ente  possibile, non  sarebbe  caduto  nell'aperta  contraddizione  di  considerar l'essere  come  ideale^  e  come  immobile  ad  un tempo;  stantechè  se  in  quanto  è  luce  metafisica,  cioè  in quanto  originario  ei  non  può  non  essere  indeterminato, come  ideale  invece  è  mobilissimo,  essendo  già  beli'  e  determinato, e  come  tale  ci  esprime  lo  stesso  moto  della facoltà,  la  facoltà  in  quanto  è  funzione. Quale  sarà  intanto  il  Primum Verum  Metaphysicum? Posto  il primo  logico  e  quindi  '1  processo  della  logica e  r  orditura  de'  concetti,  il  lavoro  speculativo  della mente  non  può  ad  altro  pervenire  fuorché  ad  uno  di questi  due  risultati:  o  air  essere  indeterminato  riflesso qual  è,  per  esempio, l’indeterminato  secondo eh'  è  posto dall’Hegelianismo  quasi  chiave  di  volta  dell'edifìzio  dialettico;  ovvero  all'  essere  determinato  mercè  Tartifizio  del  metodo  compositivo  sintetico,  d' integrcurìone; voglio  dire,  all'essere  pieno,  all'essere  fornito  delle  note più  eminenti o  delle  primalità  cui  sappia  poggiare  il pensiero  speculativo  soccorso  dall'esperienza.  Ora  il Primo  vero  metafisico  al  quale  accenna Vico  non  può esser  l' ente  indeterminato  inteso  come  luce  metafisica, perchè  questa,  essendo  essenzialmente  indeterminata,  cioè indeterminata  per  necessità  di  natura  in  quant'è  oggetto primitivo  della  mente,  è  quindi  un  Primo  psicologico  anrichè  metafisico.  Non  può  esser  neanco  l' Indeterminato così  detto  dialettico  al  quale,  come  voglion  gli  Hegeliani, per  un'  assclida  e  subitaifiea  astrandone  si  levi  la  mente e  vi  si  estingua,  e  in  grazia  di  siffatta  estinzione scoppi  la  prima  scintilla  dialettica.  E  non  può  essere, sia  perchè  cotesto  Indeterminato  contraddirebbe  al  con* cetto  che  il  Vico  ci  porge  dell'assoluto,  sia  perchè, frutto  d'un  lavoro  onninamente  astrattivo,  manca  ne- cessariamente d'ogni  condizione  d'obbiettiva  e  metafi- sica sussistenza.  Se  dunque  non  è  l' indeterminato  né come  luce  metafisica    come  posto  dall'astrazione, che  eoe'  altro  sarà  fuorché  l' ente  concepito  come  de- terminato nelle  sue  primalità  essenziali, l’ente  trascen- dente, il  Nosse-Velle-Posse  infinUum?  Sennonché,  per metafisico  che  sia cotesto essere, ninno vorrà  dirlo  reale. Donde  trarre  siffatta  determinazione?  Forse  da  un  in- tuito primigenio?  Ipotesi! Dal  regno  de' fatti  e  della '  Il  Primo  Hegeliano,  dice  Spaventa,  ò  queUo  che  non  ha  altra  denominanione  che  di  non  averne  alcuna,  {Ddle  prime  Categ.  della  Log.  di  Hegti, Hbqil,  Log.,  trad. VERA) esperienza?  Impresa  vana!  Dalle  viscere  dello  stesso pensiero  per  astrazione  assolila  e  subitanea?  Illusione! D' altra  parte,  tuttoché  entità  ideale,  non  per  questo sarà  lecito  credere  che  il  Primo  metatìsico  abbia  da essere  assolutamente  astratto,  poiché  come  determinato, cioè  come  concepito  e  costruito  dalla  mente,  è  pur mestieri  eh'  e'  risponda  ad  una  realtà.  Egli  dunque  è metafisico  ma  non  per  questo  può  cessare  d'essere identico  al primo  logico.  Perchè?  Perchè  da  questo appunto  lo  trae  la  virtù  speculativa.  Vico  dunque ha  ragione:  il primum verum metaphysicum è  unum idemque col primum logicum,  giusto  perchè  il  pensiero vien  costruendo  l'uno  mediante  l'altro.  Brevemente: egli  è  metafisico,  perchè  ha  valore  obbiettivo; ed  è  poi  unum  idemque con  l' essere  logico  e  però  col Primo  psicologico,  perchè  non  è,  a  dir  proprio,  una realtà,  quantunque  per  necessità  metafisica  abbia  un riferimento  alla  realtà.  Ma  qui  si  può  chiedere:  dunque il  Primo  metafisico  non  sarà  egli    assolutamente reale,    assolutamente  ideale,    obbiettivo,    subbiettivo?  Precisamente  così.  Non  è  l'una  cosa    l'altra, ma  è  r  una  e  l' altra  insieme,  stantechè  sia  potenzial- mente infinito.  E  poiché  come  infinito  potenziale  non è  perfetta  conversione  di    con    medesimo,  però  fugge, quasi  diremmo,    stesso.  EgU  è,  in  somma,  un  essenzial  conato;  e  come  tale  non  può  non  riferirsi  necessa- riamente ad  una  realtà,  e  in  questo  senso  possiede  na- tura metafisica.  Dico  necessaria tale oggettività,  perchè il  Primo  metafisico,  quando  sia  determinato  dal  pen- siero speculativo,  non  è  altro  che  la  stessa  triplicità psicologica,  ma  riguardata  nella  sua  universalità.  Che cos'è  mai  cotesta  triplicità  universale?  È  mentalità  in sé,  è  dialettica  in  sé,  è  oggettività  in  sé.  Ella  dunque non  può  esser  considerata  nell'  individuo,  ma  fuori  dell' individuo,  in  un  soggetto  appo  cui  le  primalità  del- l' essere  si  convertano  e  compenetrino:  il  che  è  davvero impossibile  nell'  individuo,  come  quello  che  non  è  il pensiero  (voùc)  ma  la  facoltà  del  pensiero  (vouc  ^wa^ust) secondo  la  sentenza  aristotelica. Se  il  Primo  metafisico, inoltre,  fosse  indeterminato,  non  avrebbe  alcun opposto,  quantunque  serbasse  distinzione  come  oggetto di  pensiero. Al  contrario  éoncepito  come  determinato, e'  tosto  diventa  obbiettivo ;  e  così  da  Primo  vero  metafisico assume  virtù  di  Principio  metafisico.  Or  che  cos'  è questo  principio  metafisico?  Che  cos'è  la  realtà  alla quale  ei  si  riferisce?  È  l'Assoluto:  ma  l'Assoluto  che  è davvero  assoluto,  come  appresso  mostreremo. ÀR1ST.,  De  An.t  li,  iv.  Cfr.  anche  la  Metaph. Secondo  l'interpretazione  che  noi  qui  abbiam  dato alla  sentenza del  Vico  8i  può  dire  che  il  Primo  Metafisico,  essendo  il  vero  in  attinenza col  realtf  sia  il fatto,  cioè  il  fatto  del  pensiero  speculativo,  il  fatto  della scienza  che  convertesi  col  Vero  assoluto,  il  quale,  come  vedremo,  è  il  primo fatto  per  eccellenza.  Accade  perciò  che  il  Primum  Verum  Metaphysicum debba  riguardarsi  come  anello  di  congiunzione  fra  la  Logica  e  la  Me- tafisica; ond'ò  che  fra  queste  due  scienze,  anziché  esserci  quella  mediazione Hegeliana  la  quale  in  sostanza  ò  una  compenetrazione  asso- luta, ci  è  invece  conversione;  e  la  conversione  esprime  non  già  identità nella  difTerenza,  ma  identità  e  insieme  differenza.  Vi  è,  in  altro  parole, medesimezza  di  legge,  di  forma,  e  qnìndi  continuità  ideale;  ma  ci  è  pure differenza,  differenza  essenziale,  differenza  di  contenuto,  e  però  intervallo retde.  Ecco  perchè  il  Vico,  svecchiando  un  principio  aristotelico,  afferma: «  Qìullo  eh*  è  metafisico  in  quanto  contempla  le  co»e  per  tutti  i  generi  del- V  eteere,  la  steesa  è  la  logica  in  qwanto  considera  le  cose  jìer  tutti  i  generi di  eignificarle. Questa  relazione  fra  la  Logica  e  la  Metafisica  fu  dal  no- stro filosofo  incarnata  sotto  forma  simbolica  nella  IHpiniura ;  e  nell'  Introduzione  alla  Scienza  Nuova  la  venne  determinando  nel  concetto  del  M(»ndo DILLE  Menti  r  di  Dio.  Menti  pensiero  spirito,  e  perciò  Psicologìa  Logica e  Ideologia,  come  vedemmo,  formano  tutt*un  processo.  Un  processo ha  da  essere  anche l’Assoluto.  Ma  le  Menti  e  Dio  formano  anch'  essi un  processo,  un  organismo,  un  Mondo:  in  quanto  che  fra  que'duo termini  ci  ha  da  essere  conversione. Questo  tutto  organico  lo  dicemmo proceeto  ideale  per  parte  del  primo  termine,  cioè  delle  Menti,  nel  senso che  ha  da  essere  mediazione  razionale,  conoscitiva.  Perciò  Primo  vero metafineo  e  Principio  metafinco.  Logica  e  Metafisica,  Menti  e  Dio,  com- pongono un  Mondo;  un  Mondo  superiore  a  quello  della  Natura  nonché  a quello  dello  Spirito,  inteso  questo  come  sviluppo  isterico,  come  storia che  è  Vita  Humani  Qeneri,  Dal  tutt' insieme  quindi  si  vede  come  il suo  Primo  Vero  metafisico  non  sia  nient'  affatto  una  vuotaggine,  un’entità formale  e  puramente  astratta.  È  la  sua  luce  metafieica^  non  già indeterminata,  anzi  determinata  mediante    stessa;  determinata  mediante il  processo  eduttlTO.   È  il  risultato  estremo  del  Noùc  attuale  e Veniamo  al  vivente  rappresentante  del  Neoplatonismo in  ITALIA.  L'illustre ROVERE  ha  visto  la  necessità d'imprimere  novella  forma  e  rigor  logico  alla  dot- trina platonica  della  conoscenza,  modificando  la  teorica di GIOBERTI,  e  correggendo  quella  del  Rosmim'.  A  spiegare perciò  l'elemento  universale  del  pensiero  ei  si raccomanda  alla  solita  àncora  di  salvezza,  l'Intuito  del l'Assoluto,  ma  con  l’interposmone  delle  idee;  le  quali  per lui  somiglierebbero  quasi  ad  altrettanti  spiragli  ond'alla mente  lampeggia  la  Divinità.  Tutto  ciò,  del  resto,  non toglie  eh'  egli  abbia  da  ammettere  doppio  ordin  di  conoscenze,  percezioni  e  intellezioni,  assai  diverse  fra  loro e  pur  fra  loro  collegate  per  via  di  rappresentansia.  Ma non  potendo  intrattenerci  a  riassumer  le  ragioni  sopra cui  si  regge  cotal  dottrina,  ci  ristringiamo  a  far  poche osservazioni  guardandola  segnatamente  sotto  l'aspetto psicologico.  Due  ne  sembrano  i  difetti  principali:  l’nvocare l'intuito  dell'Assoluto  nello  spiegar  l'elemento universale  della  conoscenza;  2**  non  dimostrare  per  che mai  ragioni  l' ordine  delle  percezioni  abbia  a  rispondere a  quello  delle  intellezioni. Se  ne  l'intellezione,  come  vuole  il  Mamiani,  può rampollare  in  modo  alcuno  dalla  percezione,    questa ci  ha  che  vedere  con  quella  tuttoché  entrambe  devano esser  congiunte  in  armonia;  la  dottrina  psicologica  del rifleASo;  epilogo  della  scienza  psicolo^^ica,  e  però  Defìnwione  e  Principio della  Metafisica.  Or  la  luce  in  quant’è  oggetto  del  Noù;  potenziale  no! la  dicemmo  metafitioa  perchè,  quantunque  superiore  al  sensOf  è  nondi- meno po9ta  da  natura,  ò  originaria,  e  quindi  essenzialmente  obbiettiva. La  conclusione  dunque  parmi  chiara:  Primo  pticologico,  Primo  logico'  e Primo  vero  metaJUioo  non  sono  tre  entità  ruote  e  formali,  giuochetti d'astrazione,  indovinelli  da  algthritiij  come  direbbe  lo  stesso  Vico,  ma sono  tre  anelli  d’una  medesima  catena,  tre  momenti  dinamici  d*  una medesima  energia  essenzialmente  obbiettiva.  Questa  (per  concludere  contro i  Neoplatonici  ontologisti)  parmi  V  interpretazione  più  acconcia  del  rap- portoche  il  filosofo  di  Napoli  pone  fra  il  /Vìnto  logico  e’1  Primo  vero metafisico,  e  quindi  fra  l’ordine  logico  e  l’ordine  ontologico.  Ogn' altra non  riescirebbe  a  salvarlo  dalle  contraddizioni  col  proprio  metodo,  e  tanto meno  poi  dalle  incongruenze  con  la  ragion  filosofica  positiva. Pesarese  parrebbe,  come  ad  altri  è  parsa,  una  specie d'alcliimia.  Per  quanto  diverse,  le  percezioni  e  le  intelle- zioni hann'a  convergere  si  da  appuntarsi  quasi  due  raggi in  un  centro  comune,  cKè  V unità  sostaiìzUàe  dello  spirito. Or  non  è  questo  precisamente  ciò  che  da  ventidue  se- coli va  chiedendo  il  pensiero  filosofico:  come  mai,  cioè, se  diverse,  elle  compongono  fra  loro  unità?  Abbiamo un  intùito  di  qua,  e  un  intùito  di  là:  la  percezione  che  av- vertendo un  termine  estriìiseco  lo  apprende  siccome  forza, e  la  visione,  l'intùito  ideale^  che  con  T interposizione delle  idee  coglie  l'Assoluto.  Non  siamo  già  in  una  for- ma di  dualismo  psicologico  che  fu  ed  è  sempre  la  pie- tra d^nciampo  d'ogni  fatta  platonici?  Non  abbiamo qui  sott'  occhio  Y  etemo  e  gravissimo  difetto  del  Neo- platonismo, la  mancanza  di  processo?  Oltre l’alchimia  (col  dovuto  rispetto  al  grand'  uomo)  qui  veggiamo una  macchina  a  doppio  retaggio:  senso  e  concetti, esperienza  e  luce  divina,  fatti  e  Assoluto  splendente cui  lo  spirito  inerisce  con  marginale  adesione,  e  per  via di  contatto  spiìituale.  Chi  fa  tutto  ciò?  Come  avviene tutto  ciò?  L'illustre  di  Pesaro  ci  dice  e  ripete  a  sazietà, che  fra  l'ordine  delle  intellezioni  e  quello  delle percezioni  ci  ha  corrdaeione  ordinata  e  continua,  ri- spondenza puntualissima^  squisitissima  armonia.  E  sta bene  :  chi  non  è  scettico  sistematico  non  penerà  gran fatto  a  riconoscere  e  sentire  cotesta  e  ben  altre  armonie. Ma  quel  che  ignoriamo,  e  pur  vorremmo  sapere, è  appunto  il  motivo  di  cotesta  squisita  rispondenza.  Or questo  motivo,  non  ci  è,  o  almeno  è  impresa  non  molto agevole  rinvenirla  nelle  Confessioni  d*un  metafisico  Perocché s'io  ho  da  coglier  l'Assoluto  mercè  l'idee,  o, meglio,  se  è  l’Assoluto  quegli  che  ha  da  comunicarmele   Mamiaki,  Con/ftioni  d'un  mttaJUieOf  Idem,  eo: €  come  avvenga  che  ad  una  data  pereenone  rieponda  una  daUx  idea?  non  già  graziosamente,  anzi  inevitabilmente,  quale  ne sarà  la  conseguenza?  Sarà  che  la  ragione  onde  questa 0  cotesta  percezione  ha  da  rispondere  a  quella  o  quel- l'altra  intellezione,  in  altro  non  si  potrà  occultare fuorché  in  un  vieto  occasionalismo,  od  in  una  vieta  e grossolana  armonia  prestabilita.  Non  v'è  scampo. No'  parecchi  cangiamenti  cai  è  andata  sogrgetta  la  mente  del  Ma- miani,  sol  una  dottrina  è  rimasta  immutata  nelle  sue  scrìttnre,  e  della quale  ei  si  loda  più  d*  una  volta.  È  la  dottrina  su  la  percezione,  che  il nostro  egregio  amico  prof.  Ferri  dichiara  bellissima.  Bellissima  sarà: ma  è  altrettanto  salda?  Forse  che  Ano SERBATI con r  acuta  lama  della  sua  crìtica  non  la  ridusse  a  polvere  nel  suo  Rinnovamento f  Intendiamoci  bene.  La  percezione  del  Mamiani  non  è  senso,  e nemmanco,  a  dir  proprio,  giudizio.  Che  cos*ò  dunque?  È  e  im  intuire V  atto  involto  nella  8en9axione  die  congiugne  in  uno  due  termini^  oggetto eentiio  e  avvertito  come  fortOy  e  soggetto  tentenìe.  »  {Oonfeasionif ;  Meditazioni  Carte»).  Or  bene,  che  è  egli  mai  co- testo intuire?  Quar  è  la  natura  intima  di  quest'atto?  È  difficile averne  risposta  ben  determinata.  L'animn,  dice  il  Mamiani  più  d*una volta,  è  dotata  d^una  veduta  it^eriore  di  ti  medeaimaj  e  questa  interior veduta  è  quasi  occhio  mentalcf  pupilla  spirituale,  anteriore  al  fatto della  percezione.  Che  cos*  è,  di  grazia,  cotest oeeAio,  cotesta  pupilla, cotesta  veduta  interiore  f  È  forse  un  giudizio?  No,  risponde: che  alla funziono  giudicativa  devq  andare  innanzi  la  percezione.  {Confeenoni).  Che  cos*ò  dunque?  Per  quanto  altri  voglia  andar  ri- cercando no'  copiosi  volumi  di  questo  Neoplatonico,  mai  non  gli  verrà fatto  ripescarne  risposta.  Ora  a  noi  pare  che  tal  veduta  interiore  di  si altro  non  possa  essere  tranne  che  un  ritorcersi,  un  geminarsi  primitivo, e  perciò  un  insieme  d'oggetto  e  di  soggetto,  una  triplicità  iniziale,  uu giudizio.  Sarà  giudizio  sui  generis;  sarà  giudino  fcUto  stnxa  riflessione come  direbbe  il  Vico;  ma,  in  sostanza,  ò  giudizio.  Se  dunque  è  tale,  non importa  un  oggetto?  Or  quale  sarà  l'oggetto  dell' infmor  veduta,  cioò  la luce  di  queir  occhio,    quella  pupilla  t  V  Ente  possibile  no,  certo:  e  il Mamiani  con  dialettica  stringente  e  per  quattro  differenti  capi  s' accinge a  far  minare  dalle  fondamenta  la  teorica  rosminiana,  e  in  parte  vi riesce.  Che  cosa  dunque  sarà?  A  quel  che  ne  pare, neanche  qui  egli  risponde.  E,  checché  possa  dirne,  certa  cosa  è  che  so l'anima  è  davvero  dotata  d'una  interna  veduta  (la  quale  perciò  è  logi- camente anteriore  alla  percezione),  a  spiegar  questa  non  si  può  prescin- dere da  quella.  Se  la  cosa  infatti  non  procedesse  così,  in  che  maniera la  percezione  verrebbe  capace  di  trascendere  i  limiti  del  puro  sensato  ? Brevemente:  l' Io  non  percepisce,  V  Io  non  avverte  un  termine  esteriore siccome /orsa,  senza  eh' e' /)ereept«ca  e  avverta  so  medesimo.  Or  che cos'  ò  il  percepire    stesso,  tranne  che  un  atto  giudicativo  ?  Dunque anteriormente  al    fatto   della  percezione   (com'  ei  la  intende),  ci  ha  da Se  non  che,  la  più  fresca  novità  delle  Confessioni è  r  intuizione  dell'Assoluto  ;  quindi  la  invitta  prova che  ne  scende,  secondo  ROVERE (si veda) Mamiani,  su  l'esistenza  di Dio  ;  quindi  la  salda  costituzione  a  priori  della  Meta- fisica. Innanzi  tutto:  se  cotesta  intuizione  non  è  altro fuorché  una  semplice  contiguità,  un'  adesion  marginale del  pensiero  con  l'Assoluto,  non  è  chi  in  essa  non  sap- pia ravvisare  quel  toccamento  spirituale  de*  Yecchi  Neo- platonici, dottrina  rinverdita,  quindici  anni  avanti  '1  Pe- sarese, dall'illustre  neoplatonico  Pomari.  Vero  è  che la  sentenza  la  quale  a  tal  proposito  risulterebbe  dal- l'insieme  delle  sue  dottrine  potrebb' esser  questa:  che il  suo  intùito  non  sia  già  un  atto  originario,  potenziale, essenziale,  bensì  tutt'  un  ordine  d' intuizioni  per  quante potrann' esser  le  idee  attraverso  alle  quali  avvien  che traspaia  l' Assoluto.  Or  s' egli  è  così  (né  sappiamo  dir davvero  s' e'  sia  così),  perché  aflFermare  più  d'una  volta, esser  necessaria,  inevitabile  uxìl  intuizione  perenne  e  immediata délV  Etite  sortitaci  da  natura  e  dalla  essenza  dd nostro  spirito?  *  Se  l' intuizione  dell'Assoluto  é  un  atto essenziale,  come  potrebbe  non  esser  primitivo?  E  s' egli é  primitivo,  non  è  a  reputarsi  anteriore  logicamente alla  percezione?  In  sostanza,  se l’Assoluto  é  quegli  che ^presenta  al  pensiero,  e'  s'ha  a  mostrare  fino  dal  primo atto  della  mente;  la  quale  perciò  sarà  mente,  sarà  pen- essere  qualcos'altro  che  ne  sìa  la  vital  condizione.  Evidentemente r  acuta  pupilla  speculativa  del  Pesarese  non  s’è  profondata  nolla  na- tura di  siffatta  condizione.  E  puro  con  quest*  alchimia  e'  non  dubita  cre- dere d*  avere  una  buona  volta  composto  in  armonia  1*  antica  lotta  fra Platonismo  ed  Aristotelismo  ! ' ROVERE dice  :  «  balena  con  evidenza  V  intuito  cT  una  poeitiva, immota  ed  universale  realtà^,,  indeterminata  e  inqualiJiiMta  e  perciò  oeeura e  non  deecrivibile,  >  {Meditaz,  Carte».)  Non  è  egli  cotesto  V  ohbiette  intelligibile  colto  dall*  intùito,  nulla  interpoeita  creatura,  di  che parlano,  per  esempio,  i  seguaci  di  sant*  Agostino,  e,  fra  questi,  il  For- narì?  (Ved.  VelV  Armonia  Univ.). Meditai, Cartee, Questa  sentenza,  come  ò  chiaro,  è in  aperta  contraddizione  con  quell'altra  onde  il  Mamiani  afferma  e  ri- pete, nulla  non  v'esser  nolla  sua  dottrina  d'innato,  nulla  di  primitivo. Vedi  Riep,  al  eig,  dott,  Akt»,  Brentazzoli,  Bologna] siero,  solo  in  grazia  di  chi  le  sta  dinanzi.  Ora  se  il  yero, metafisico  o  no  che  sia,  non  è  fatto  dalla  mente,  ma  da essa  ricevuto,  evidentemente  il  Neoplatonismo  di ROVERE viene  a  contraddire  alla  dottrina  psicologica  del Vico,  rompe  contro  alle  severe  obbiezioni  mosse  al  Gio- berti, e  massimamente  soggiace  a  quella  grave  difficoltà che  Aristotele  oppose  al  suo  gran  maestro  circa  la  inu* tilità  deir  esperienza  e  de'  fatti  e  delle  percezioni,  posto che  il  vero  e  l'universale,  in  che  risiede  propriamente  la scienza,  debba  ne' suoi  principii  derivarci  dall'alto  e dal  di  fuori,  meglio  che  dal  didentro/ Se  non  che,  ingegno  elegantissimo  e  ricco  di  vena  poe- tica, questo  filosofo  spesso  indovina.  Talora  infatti  sem- bra non  esser  l'Assoluto  quegli  che  determina  e  significa se  medesimo  nelle  idee;  bensì  la  mente  stessa  la  quale, generando  cotesto  idee,  determina  idealmente,  esprime e  significa  l' Assoluto :  tanto  che  non  sarebbe  altrimenti lo  splendor  divino  che  penetrando  quasi  attraverso  gli esilissimi  spiragli  delle  idee  ne  promoverebbe  l'intùito, ma  la  stessa  virtù  riflessa  ne  verrebbe  argomentando r  esistenza  e  la  natura  per  necessità  eduttiva. Ora  solo *  AbisTm  M«iaph.y  Mamianì  potrebbe  dire:  il  mio  intiiito sta  in  ciò,  che  ogn*  idea,  avendo  a  significare  per  propria  natura  un  obbietto, debba  importare  un'  enistenza  etema,  ed  una  $peciaU  determinazione  ddVente aMolìtto  e  infinito. Accettiamo  anche  questa  posizione.  Che  cosa  ne Terrà?  Poiché  gli  obbietti  tignijiecuiei  dallo  idee  non  potranno  esser  altro salvo  cho  determinazioni  ad  intra  o  determinazioni  ad  extra  del- r  assoluto,  sorge  la  necessità  di  spiegare  se  1*  intuito  s*  appunterà  verso le  une,  meglio  che  verso  le  altre.  Stando  alla  dottrina  della  maboinalb ADS8I0NR  e  del  toecawtento  epirituale,  V  intuito,  non  essendo  un  atto  pene- trativo, coglierebbe  le  seconde  anzi  che  le  prime:  e  quindi,  innanzi  ogni altra  determinazione  dell*  assoluto,  dovrebbe  afferrar  quella  dell*  atto creativo.  Or  se  questo  è  vero,  parmi  evidente  come  la  dottrina  del Mamiani  su  la  conoscenza  non  si  discosti  neppur  d*un  apice,  quanValla sostanza,  dalla  dottrina  di  Gioberti,  il  quale  non  ha  mai  preteso  che  il suo  intùito  abbia  da  essere  un  atto  penetrativo.  Ma  il  termine  esterno, il  sensato  (egli  dirà)  si  ha  per  via  di  percenone, Ad  un  acuto  Qio- bortiano  qui  non  tornerebbe  guari  difAcile  cogliere l’autore  delle  Oon- fe99ioni  in  aperta  contradizione  con  so  medesimo. Nelle  Con/e99Ìoni  è  sempre  T  Assoluto  quegli  che  s'affaccia  ed eccita  e  promovo  lo  spirito  al  pensiero,  e  solo  in  qualche  luogo  (per per  cotesta  via  egli  avrebbe  potuto  correggere  il  Gioberti, e  riconoscere  insieme  la  parte  di  vero  che  è  pur  nelle dottrine  Rosminiane.  Solo  per  cotesta  via  avrebb'egli inverato  il  Platonismo,  e  dischiuso  fra  noi  un  periodo novello  di  speculazione  feconda,  razionale,  positiva  e, che  più  rileva,  conseguente  alla  storia  della  scienza. E  solo  per  cotesta  via  non  sarebbe  incappato  nella  in- coerenza di  porre  l'assoluto  come  uiroOt^tc, e  in  un'ora medesima  dichiararlo  oggetto  d'intùito.  Perocché  se  con l'analisi  delle  idee  ci  è  dato  risalire  per  logica  neces- sità fino  a  cotesta  uttotsjc;,  a  me  pare  che  una  dottrina psicologica  0  ideologica,  la  quale  invochi  '1  sussidio  d'un intuito,  sia  un  fuor  d'opera  addirittura.  Con  ciò  stesso avrebbe corretto il  valor  rappresentativo  delle  idee, eh'  è  r  altra  originalità  cui  pretende  il  Neoplatonismo di ROVERE.  Quale  attinenza  è  mai  fra  l'idea  e  l'ideato? Non  quella  di  somiglianza  come  han  creduto  balorda- mente i  Malebranchiani,  egli  risponde;  ma  si  quella d'una  vera  e  propria  significazione.  Eccolo  dunque  anche qui,  senza  addarsene,  alla  famigerata  wa/jo^ix  platonica tanto  invocata  da  Gioberti  nella  sua  prima  maniera  di filosofare.  Nel  che  il  Pesarese,  anziché  progredire,  è  ri- masto molto  indietro  all'  autore  della  Protólogia  nella quale,  com'  é  noto,  il  concetto  della  piOiSi;  rivelasi  im- prontato d'una  forma  novella,  e,  fino  a  certo  segno,  origi- nale. Ma  lasciando  stare  del  regresso  e  dello  scadimento notevolissimo  che  nella  specuhizione  italiana  ci  segnano le  Confessioni  d' un  metafisico  ove  si  ponga  a  riscontro lo  dottrine  del  ROVERE (si veda) Mamiani  coll’ultima  forma  cui  s'  era levato  r  ingegno  potentissimo  del  Gioberti,  è  bene  qui accennare  un'ultima  osservazione  su  l' attinenza  che  il pesarese  pone  fra  le  intellezioni  e  il  loro  obbietto)  fa  trasparire  la  nuora  tendenza  cni  allo- diamo.  Ma  noU*  opuscolo    risposta  ni  BONATELLI (si veda)  (Bologna) questa  tendenza è pid chiara, tuttoché manifestata  foggevolmente  e forse  Inconsapevolmente.  Dico  inconsapevolmente  perchè  nelle  Meditazioni rinnovate  e*  ricasca  nella  solita  presenaialità,  nella  tolita  marginale ndenone^  come  ci  attestano  le  sentenze  qna  dietro  riferite. Le  idee  importano  il  divino,  egli  dice;  poiché  non sono  fuorché  altrettanti  simboli,  altrettante  significa- zioni dell'  Assoluto.  Se  questo  è  vero  ne  segue  che,  in quanto  simboli  e  segni,  elle  non  avran  valore  infino  a che  cotesti  simboli  non  siano  intesi  e  interpretati.  Macome  la  mente  potrà  giugnere  ad  intendere  e  inter- pretare siffatti  segni?  Mercé  l'ordine  delle  percezioni. Or  bene,  se  l' idea  non  basta  a  significar    medesima né  a  farsi  intendere  da  sé,  evidentemente  per  noi ell'é  come  un  chiaror  confuso,  vago,  indeterminato, insignificante,  e  quindi  al  tutto  inutile  alla  scienza. D' altra  parte,  se  l' ordin  delle  percezioni  é  di  sua  na- tura cosiffattamente  limitato  da  essere  incapace  a  darci r  universale,  non  potrà  non  riescire  anch'  egli  d'ingom- bro inutile  alla  mente.  Si  dirà  di  poter  superare  il  fenomeno e  attinger  la  scienza  mercé  il  connubio  dell'or- dine percettivo  con  l'intellettivo?  Questo  é  per  l'appuntò ciò  che  pretende  il  Mamiani.  Ma,  se  eoa  fosse,  non  ved- remmo ad  assomigliare  il  regno  della  scienza  e  delle  idee a  quello  di  natura  e  delle  fisiche  efficienze,  ove  se  a due  cavalli  non  vien  fatto  di  tirarsi  dietro  un  carro  vi potranno  benissimo  riescir  quattro?  Mamiani  afferma non  dimostra  la  platonica  7ra/)0Tc«:  afferma,  non  dimostra la  platonica  xotvwvèa.  E  per  tutta  dimostrazione  ci  annuns^ia  che  l'idea  é  significativa,  perché?  perché  havvi un  obbietto  nel  quale  debb'  ella  necessariamente  termi- nare.Or  in  che  modo  legittima  egli  cotesto  obbietto? Lo  legittima,  come  s'  é  visto,  dichiarandolo  presente^  po- nendolo presente!  Questo  é  proprio  il  nocciolo  magagnato del  Neoplatonismo.  La  preserunalUà  dell'Assoluto è  un'ipotesi,  un'affermazione  arbitraria:  ecco  tutto.Corte  dottrine  di ROVERE  ci  ricacciano  addirittura  fra  i  Plotino, i  Proclo  e  gli  Ammonio,  appo  cai  facilmente  troverebbe  riscontro  il  sno concetto  del Bene.  E  chi  pigliasse  poi  a  rovistare  attentamente  nelle antiche  scuole,  per  esempio  nel  vecchio  e  anonimo  autore  della  Teologia (Rayaibson),  potrebbe  ritrovar  più  che  un  germe della  dottrina  sn  \*influxu$  divintu  che  neir  Arabismo  e  anche  nella  Sco- [Concludiamo.  Noi  abbiam  dovuto  fare  una  critica rapidissima  del  Neoplatonismo  italiano  considerandolo segnatamente  sotto  l'aspetto  psicologico,  perchè  i  tre filosofi  di  cui  abbiamo  toccato  ci  rappresentano  le  posi- zioni più  serie,  le  forme  principali  ond'il  Platonismo crede  attinger  l'obbietto  metafisico.  Rosmini  è  il  meno dommatico,  il  meno  arbitrario,  il  piii  positivo  e  quindi il  meno  platonico  fra  tutt'  i  platonici.  Egli  pecca  nel porre  l' essere  della  mente  come  ideale;  e  lo  sbaglio  di siffatta  posizione  vale  a  spiegarci  le  contraddizioni  in  cui spesso  ha  inciampato  nella  psicologia,  nonché  le  gravi manchevolezze  nel  suo  disegno  ontologico  su  le  tre  forme dell'  Essere.  Assai  piii  di SERBATI pecca GIOBERTI nella dottrina  psicologica  affermando  l'essere  come  reale  e, che  più  monta,  come  recde  determinato.  Non  meno  di GIOBERTI  e  di SERBATI  pecca ROVERE ponendo cotesto reale  come  infinito  in  se,  e  come  presente  al  pen- siero mercè  l' interposizione  delle  idee.  Si  direbbe  dunque che  il  Neoplatonismo  italiano,  in  questi  tre  filosofi,  abbia progredito  su  la  via  dell'  a  priorismo  e  dell'  iperpsico- logismo.  Essi  han  dato  tre  passi,  ma  indietreggiando sempre  più;  perchè  con  l'esagerare  l'esigenza  platonica han  trascurato  l' esigenza  aristotelica,  tuttoché  ciascun d'  essi  abbia  creduto  d' aver  impresso  oggimai  un  accordo definitivo  fra'  sistemi  de'  due  vecchi  filosofi.  L'ultimo segnatamente,  il  Mamiani,  mostra  d'aver  progredito assai  più  di SERBATI e di GIOBERTI in  questa  via.  Sotto certi  rispetti,  infatti,  il  Neoplatonismo  del  Pesarese  par che  confini  col  Teologismo:  talora  anzi  vi  si  confonde, chiunque  ripensi  a  quelle  cinque  differenti  maniere  (oltre la  sesta  della  comunione  ideale  ond' abbiamo  parlato) mercè  cui  egli  stima  debbansi  attuare  gV  influssi  divini.  E Dio  che  crea  l' anima,  e  la  fa  esistere.  Ma  è  anche  Dio che  le  fa  intendere  presentandosi  a  lei  attraverso  le  idee. È  Dio  che  le  fa  ammirare  il  bello,  e  incarnarlo.  È  Dio  che lastica  tien  luogo  del  processut.Vedi  lo  stesso  Rayaisson. Vachebot,  Hi8t,  critique  de  VÉcole  d'^Alexandrie,  T.  II,  iv.) le  fa  operare  il  bene  e  la  virtù.  Che  più  altro?  È  Dio  per- fino che,  disponendola  ineffabilmente,  la  eccita,  la  trae all'adorazione.  È  proprio  il  regno  di  Dio  su  questa  nostra terra  1  E  Y  illustre  Mamiani  potrebbe  oggi  ripetere  le pietose  e  calde  parole  del  Malebranche:  0  Dieu!  exaucez ma  prière,  après  que  vous  Vaurez  formée  en  mai! Capitolo  Ottavo, continua  lo  stesso  argomento. {Critica  del  NeoarigtoteUsmo), Notammo  come  il  principio  del  conoscere  metafisico immediato  ponga  radice,  per  dirla  con  le  parole  di  He- gel, nel  rapporto  d' un  nesso  primitivo  ed  essenziale  fra il  pensiero  e  T Assoluto,  fra  il  soggetto  e  T  oggetto/  Àb- biam  visto  come  il  Neoplatonismo  italiano  moderno propugni  questa  connessione  sotto  tre  forme  più  o  manco razionali;  e  come  abbia  quindi  a  tornare  assai  difficile al  Rosmini,  e  molto  più  al  Gioberti  e  al  Mamiani,  li potersi  difender  dair  accusa  di  panteismo  ideale.  Gli estremi  si  toccano  anche  qui.  Con  la  teorica  dell'  intuizione e  deir  immediatezza  i  nostri  Neoplatonici  riescono, checché  se  ne  dica,  a'  risultati  cui  perviene  la  dottrina della  mediazimie  propugnata  dagli  altri  nostri  viventi filosofi,  seguaci  caldissimi  dell'Idealismo  germanico. Dicemmo  qual  sia  la  doppia  esigenza  onde  il  Neo-platonismo si  divaria  dal  Neo-aristotelismo  quant'al  conoscere metafisico. Per  la  natura  istessa  di questa  doppia  esigenza  avviene  che,  come  nel  primo, cosi  pure  nel  secondo  indirizzo  sono  possibili  più  forme, più  maniere,  più  metodi,  sia  che  si  tolga  di  mira  il modo  con  che  si  crede  poter  attinger  l'assoluto,  sia che  il  risultato  ultimo  a  cui  si  potrà  giugnere.   Non «  Hegel,  Log. volendo  tener  conto  di  quella  vieta  e  volgar  maniera di  mediatezza  che,  quantunque  sotto  aspetti  differenti, fa  sempre  un  salto  mortale  quando  presuma  levarsi dall'effetto  alla  causa  e  dal  dato  alla  condizione  del dato;  possiamo  ridurre  a  due  le  forme  più  generali  e comprensive  di  tal  mediazione.  Esse,  al  solito,  risal- gono a  que'  due  estremi  in  che  dicemmo  sdoppiarsi r  Aristotelismo:  perchè  anche  nella  quistione  metafisica il  primo  di  cotest'  indirizzi  ci  è  oggi  rappresentato  dal Positivismo  e  dal  Materialismo;  l'uno  affermando,  nulla mai  non  potersi  conoscer  di  metafisico,  e  l'altro  innalzando a  dignità  d'  assoluto  la  stessa  materia,  senza legittimarne  menomamente  il  concetto.  Il  secondo  poi vuol  essei^e  anch' egli  avvisato  sotto  doppio  rispetto, potendo  assumere  due  forme  che,  per  due  differenti ragioni,  rivestano  entrambe  carattere  iperpsicologico. Si  può  infatti  mantener  la  posizione  d'  un.  immediato irradiamento  per  virtù  d'un  principio  superiore,  gene- rale e  comune  e  s' ha  uq  indirizzo  averroistico;  il  quale, benché  storicamente  sìa  come  un  virgulto  sbocciato  nel giardino  dell'Aristotelismo,  può  siffattamente  svolgersi  e grandeggiare,  come  nel  fatto  è  avvenuto,  da  toccarsi  e talora  confondersi  col  Neoplatonismo.  Ma,  d'altra  parte, può  assumere  forma  squisita  di  scienza,  e  s' ha,  come ne'  tempi  moderni,  una  delle  tre  maniere  dell'Idealismo germanico  appellate  subbiettiva,  obbiettiva,  assoluta. Sennonché  è  da  notare  come  fra tutt'i  sistemi  quello dell'assoluta  identità  serbi  '1  distintivo  d'esser  natura- lismo e  ipei-psicologismo  insieme,  e  racchiudere,  co'  molti pregi,  i  moltissimi  difetti  dell'uno  e  dell'altro  indirizzo. In  metafisica  l'Hegeliano  è  iperpsicologista.  Perocché quantunque  non  attinga  l' assoluto  per  opera  d' un  in- tuito e  d'un'immediata  visione  più  o  meno  spiccatamente neoplatonica,  dice  e  crede  mostrare  di  poterlo  cogliere quasi  d'assalto,  come  toccammo,  cioè  per  stibitanea  ed assoluta  astraeione  dd  pensiero  puro.  Dice  e  crede  mo- strare di  poter  dedurre  a  tìl  di  logica  la  dialettica  che per  lui  costituisce  la  chiave  di  volta  d' ogni  scibile  e d' ogni  ordine  di  realtà..  Anch'  egli  dunque  trascende;  e però  anch' egli  vizia  l'esigenza  d'un  positivo  e  severo psicologismo.  Ma,  oltreché  iperpsicologista,  l'Hegeliano è  anche  naturalista.  Checche  se  ne  dica,  la  sua  logica obbiettiva,  la  dialettica  intrinsecata  e  compenetrata  con la  stessa  metafisica,  non  è  altro  alla  fin  delle  fini  che imitazione  e  ripetizione  della  stessa  natura,  delle  stesse leggi  di  natura,  tuttoché  ridotte  al  grado  più  univer- sale e  squisito  di  trasparenza  ideale,  pura,  assoluta,  per cui  la  forma  costituisce  lo  stesso  contenuto,  e  viceversa. Il  perché  se  l'Idealismo  assoluto,  come  altrove  notammo, è  stato  detto  con  felice  espressione  esser  l’àlgebra  dd naturalisino,  con  altrettanta  verità  può  dirsi  essere un'  algebra  della  psicologia,  del  pensiero  e  delle  idee  ; tanto  che  ci  sarà  lecito  designar  come  indovinello  d'alge- bristi (direbbe Vico)  quell'assoluto  che  gli  Hegeliani con  miracolo  non  mai  visto  fanno  venir  fuora  dalle  neb- biose alture  della  dialettica.  Possiamo  dunque  affermare che  Positivisti  e  Idealisti  assoluti  oggi  rappresentino  gli estremi  indirizzi  dell'  Aristotelismo.  E  queste  due  forme neoaristoteliche,  tuttoché  fra  Joro  si  differenzino  toto cedo  nel  metodo  e  nel  concetto  della  scienza,  nuUameno si  toccano  ne'  risultati,  massime  in  quello  risguardante il  valore  e  '1  destino  dell'  umana  personalità.* *  Chi  tien  conto  della  necessità  d*  ìndole  tutta  fisiologica  ed  empi- rica secondochò  è  intesa  da'  positivisti  e  da*  niaterìalisti,  e  della  necessità tntta  dialettica  ideale  assoluta  com'è  concepita  dagli  Hegeliani,  tosto 8*  accorgerà  d' un*  altr’ attinenza  fra  queste  due  tendenze  della  moderna speculazione.  Il  dinamismo  noli*  essere,  nelle  cose,  nella  scienza  e  nella storia,  sparisce  cosi  per  1*  una  come  pet  1*  altra  dottrina.  Meccanismo ideale,  come  dicemmo,  e  meccanismo  fisiologico  e  materiale:  necessità logica  e  formale,  e  necessità  empirica  e  meccanica;  ecco  tutto.  Oggi dunque  potremmo  affermare  dell'una  e  dell'altra  scuola  ciò  che  Aristo- tele diceva  de' pittagorìci  e  de' platonici:  'A).Xa  yiyovi  roì  fiscBri- fixrcx.  To?c  vvv  >j  ^tXoao^ia  {Metaph.)  Cosi  Hegeliani  e  Positivisti, come  avvertimmo  nella  Introduxione,  tuttoché  movano  da  due  punti  Uh loro  interamente  diversi  ed  opposti,  riescono  pur  nullamanco  fid  una  me- desima legge.  E  come  al  Platonismo  primitivo  tenne  dietro  la  scuola  di Rifacciamoci  da' Positivisti,  i  quali,  ove  discoiTono intorno  al  problema  del  conoscere  metafisico,  non  mo- strano quella  serietà  scientifica  della  quale  non  pertanto vanno  lodati  quando  parlano  de'  principi!  metodici  da  ap- plicarsi alle  scienze.  Quant'  al  problema  d'una  realtà metafisica  e' non  sofirono  d'esser  messi  in  un  fascio  con gli  scettici  sistematici  e  co'  nullisti  ;  e,  davvero,  non  han torto. I  Positivisti  infatti  ci  parlano  d'  un  Inconoscibile. Dunque  essi  confessano  V  esistenza  d' un  obbietto  trascendente. Ma  come  legittimano  cotest' obbietto?  Come  ne determinano  l'idea  tosto  che  ne  parlano?  I  Positivisti francesi  ne  discorrono,  ci  piace  ripetere  anche  qui  la frase,  come  d' un  oceano  immenso  doni  la  daire  vision est  amsi  salutaire  que  formidable.*  I  Positivisti  inglesi poi  ci  porgono  un  concetto  più  determinato  di  cotesto Deus  àbsconditus,  àicenàoìo  potenza,  forzc^  di  cui  V  uni- verso è  simbolo  e  manifestazione} Il  positivista  francese  qui,  com'  è  evidente,  s' addi- mostra pili  positivo,  0  meglio,  più  negativo  dell'inglese, e  quindi  più    timido,   più   circospetto,  più  scettico  di di  Speusippu  cbe  radiò  addirittara  il  numero  ideale  (yortroc,  sc^yjtcxo;) sostitueodoTì  il  nunioro  sensibile  appunto  perchè  queir  idea  come  astratta e  generale  parevale  cosa  inutile  (Arist.  Metaph,,  Rataibbon,  i!^>eu- 9ippe);  parimente  oggi  Positivisti  e  Materialisti,  in  luogo  dell* /iea,  pon- gono' II  Fatto  e  la  Materia;  e  cosi  mentre  negano  V  Idealismo  assoluto, mostrano  d'arer  con  osso  doppia  ed  intima  relazione,  una  storica  e  l'altra teoretica.  La  storia  del  pensiero  filosofico  progredisce,  non  v'ha  dubbio: ma  anche  nel  progredire  si  ripete.  Ecco  qua  -una  prova,  chi  vuol  vederla.  E.  LiTTBi,  A,  Comte  et  la  Phil.  Poeit. Per  quanto negativo,  nullameno  questo  concetto  del  Littré  su  V  Assoluto  è  una  cor- rezione deir  idea  del  Orand'  Eetere  intorno  alla  quale  con  tanta  vuotag- gine avea  finito  per  arzigogolare  Comte. Spencer,  Firft  Prìnci^ee^  Alcune  idee  di  questo scrittore  su  V  obbietto  metafisico  superano  quelle  di  St.  Hill.  L’Autore del  Sietema  di  Logica  parla  del  soprannaturale,  come  notammo  in  altro luogo,  da  schietto  formalista,  senza  poterlo  quindi  legittimare  in  altra guisa  che  per  empirica  credenza.  (Ved.  A,  Comte  et  Le  Potitivitme) La  relatività  del  eonoecere  per  lui  non  è,  a  dir  proprio,  quella  di  Spencer, e  neanche  quella  de*  Positivisti  francesi.  Vedi  il  novero  eh*  egli  stesso fa  de’diversi  modi  con  che  può  intendersi  la  relatività  della  conoscenza nella  PhiL  de  Hamilton,  ed.  cit.  e.  I. fronte  alla  scienza  :  ma  le  contraddizioni  in  che  restano entrambi  avviluppati  son  le  medesime.  Anch'  essi  infatti, i  Positivisti,  obbediscono  e  rendono  omaggio  al bisogno  speculativo  che  punge  ed  eccita  continuo  il  pensiero filosofico,  stantgchè  non  solo  riconoscono  la  realtà d' un  oggetto  trascendente,  ma  lo  determinano,  lo  pon- gono, lo  specificano  in  qualche  modo.  Che  cos'è,  per esempio,  l'Inconoscibile  onde  ci  parla  l'illustre  Spencer? È  il  fondo  occulto  delle  religioni,  e  insieme  l'estremo termine  a  cui  riescono  le  scienze. Le  religioni  pongono tale  obbietto  per  virtù  d'istinto:  le  scienze  lo  subiscon per  legge  del  proprio  svolgimento.  Tra  fede  e  ragione, perciò,  non  v'è  antagonismo:  l'Inconoscibile  n'è  l' obbietto comune. Conciliarle  dunque  è  possibile,  tosto  che s'abbia  diffinito  le  idee  madri  onde  scienze  e  religioni sono  inviluppate.  E  poiché  le  une  in  sostanza  Aon  fanno che  riconoscere  ciò  che  le  altre  contengono  ed  espli- cano istintivamente,  ne  segue  che  lo  spirito  umano' per  mezzo  della  scienza  perviene    ond'  egli  stesso  era partito  con  la  fede,  cioè  all'Inconoscibile. Il  pensiero  del  filosofo  inglese  è  chiaro  e  spiccato, ma  non  altrettanto  vero.  Innanzi  tutto:  perchè  le  reli- gioni e  molto  più  le  scienze  non  potranno  pervenire  a render  conoscibile  in  alcun  modo  l' Inconoscibile  di  cui pur  confessate  la  realtà?  Forse  che  tale  impossibilità, ripetiamolo,  non  contraddice  apertamente  all'attività critica  del  vostro  pensiero  speculativo,  alla  stessa  esi- genza del  vostro  metodo  critico  e  positivo?  Non  dubi- tate affermarlo  esistente  cotesto  Inconoscibile.  Giungete anzi  a  determinarlo  come  forza  di  cui l’universo  è  manifestojsnone.  Or  bene  perchè  non  dare  un  altro  passo? Perchè  non  ispecificar  l'attinenza  eh' è  tra  l'Inconoscibile e  '1  conoscibile?  In  altre  parole,  domandiamo: col  porre  i  termini,  non  siete  già  nella  necessità  logica di  mostrarci  in  qualche  maniera  la  relazione  di  essi, dirci  quale  attinenza  interceda  per  avventura  tra  la forjsfa  e  la  sua  manifestazione,  quale  sia  il  vincolo  che annoda  insieme  la  potenza  e  l'universo  onde  quella potenza  è  simboleggiata?  Brevemente:  siete  qui  in  una forma  di  panteismo,  o  di  teismo?  Il  Positivista  non risponde;  e  pur  dovrebbe:  dovrebbe  se  davvero  amasse mostrarsi  ed  esser  positivo. Inoltre,  l'Inconoscibile  onde  move  la  fede,  e  Fin- conoscibile  cui  giugno  la  scienza,  dice  lo  Spencer, sono una  cosa.  Ma  perchè?  Perchè  col  prodotto  confondere due  facoltà  fra  loro  diverse?  L'Inconoscibile  della  fede incontra  un  limite  invalicabile  in  questa  o  cotesta  intuizione particolare  in  cui  l'Assoluto  è  compreso  dal  sen- timento religioso  appo  un  dato  popolo,  e  presso  una  data civiltà.  L' Inconoscibile  delle  scienze,  invece,  è  l' inconoscibile di  ragione;  e,  come  tale,  non  può  restare  per- petuamente indeterminato,  pel  solito  motivo  che,  ove rimanesse  cosi  necessariamente,  l' indagine  positiva  annullerebbe sé  stossa;  e  annullerebbe    stessa  perchè r  esigenza  critica  non  sarebbe  altrimenti  un'  esigenza invitta,  naturale,  un  irresistibile  e  crescente  bisogno speculativo.  Ora  se  il  contenuto  della  fede  è  condizio- nato ad  una  forma  speciale;  se  per  la  natura  stessa della  funzione  psicologica  ond'  ei  rampolla  riman  chiuso e  quasi  cristallizzato  nella  particolarità  d'un  senti- mento: perchè,  domandiamo,  voler  condannare  alla medesima  sorte l’Inconoscibile  delle  scienze?  Perchè così  inesorabilmente  pretendere  di  segnare  i  confini  alla ragione  ponendo  limiti  all'  attività  del  pensiero  specu- lativo, eh' è  pur  la  forza  più  libera  dell'universo?  Non è  anch'  ella,  cotesta,  una  forma  di  dommatismo? '  11  PositiTÌsto  dirà:  tosto  che  voi  pigliate  a  determinare  Vlitco- no9cihile,  siete  già  beli e  uscito  dalla  scienaa^  e  cadrete  nella  metafisica. verissimo:  questo  accade,  e  questo  appunto  deve  accadere.  Altrove  mo- strammo come  ciascuna  scienza,  come  tutte  le  scienze,  riescano  inef- ftcaci  nel  tentare  la  soluzione  di  certi  problemi,  segnatamente  nel  determinare il  concetto dell’Assoluto.  Il  Positivista  che  è  tutto scienza  e  solamente  scienza,  da  una  parte  ha  paura  della  speculazione, mentre  dall* altra  sente  il  bisogno  di  determinare  in  qualche  modo  cotesto assoluto,  e  lo  determina,  per  esempio,  alla  maniera  di  Spencer  o  del [Concludiamo  quant'  a’ Positivisti.  Il  Positivismo  gallico  rispetto  al  conoscere  metafisico  ci    un  Immenso indeterminato  ;  un  Incondizionato  reale,  il positivismo  in- glese poi, facendo  un  altro  passo,  determina  vie  più  cotesta ignota  realtà,  e  giugne  ad  affermare  che  le  forze,  la materia,  il  movimento,  la  vita  e  l'universo  non  siano fuorché  simboli  e  rappresentazioni.-  Altre  affermazioni d'altre  maniere  di  Positivismo  che  pongano  T assoluto senza  penetrar  nel  regno  della  metafisica^  io  non  cono- sco;ne,  a  dir  vero,  sono  possibili.* Littré  con  offesa  apertissima  della  logica.  Ora,  chi  non  voglia  offendere non  pur  la  logica  ma  neanche  il  hnon  senso,  e  insieme  salvarsi  dalla contraddizione,  dove  altro  può  penetrare,  uscendo  dal  regno  delle  «ctetue, fuorché  in  quello  della  tiietajUiea^  ma  della  metafìsica  intesa  non  già  come scienza/>rtma,  anzi  ultimaf  Determinare  in  qualche  modo  la  Potenza  di  cui r  universo  è  manifestazione;  specificaro  questo  Immento  formidàbile  e  pvr •alutare  oltre  cui  non  sa  penetrar  rocchio  dello  Scienze  ma  della  cai realtà  nessuno  che  abbia  mente  sana  potrà  dubitare;  cotesta  impresa, diciamo,  non  è    impossibile    puerile,  altro  che  per  gli  animi  volgari, incuranti  e  stupidi.  La  relatività  nel  conoscere  non  ò  muro  di  bronzo; non  è  oceano  assolutamente  sconftnato.  Il conoscere  metafìsico  è  possibile;  ma  ò  possibile  come  aesolato  e  come  relativo  insiememente.  È  a«- eolutOf  nel  senso  che  salva  il  pensiero  dal  nullismo  metafìsico;  ed  è  relativoj  nel  senso  che  non  istringe  la  mente  entro  la  rigida  catena  d*  una formola  sistematica.  Se  intanto  ò  vero,  come  dice Spencer,  che  tra  V  In- conoscibile delle  religioni  e  V Inconoscibile  delle  scienze  non  esiste  antago- nismOy  no  viene  che,  fra  gli  altri  fini,  la  speculazione  metafisica  debba  pre» figgersi  anche  questo:  trasformare  la  fede,  interpretar  la  credenza,  porre a  nodo  il  germe  delFidea  che  pure  si  s  voi  ve  attraverso  le  produzioni  mi- tiche, superare  il  sentimento  riducendo  l'immaginazione  a  ragione  se- condochò  richiede  il  processo  psicologico,  e  siffattamente  porgere  guarentigie  sperimentali  al- l'inveramento  della  scienza  mercè  le  applicazioni  storiche  in  generale. In  questa  rapida  critica  su  la  tendenza  metafisica  del  Positivismo non  abbiamo  tenuto  conto  dell'  Umanismo  di  FRANCHI,  e  del suo  Dio  ddV  Umanità  che  nega  il  Dio  detta  Bibbia  {Razionalismo  del popolo,  Ginevra),  e  neanche  del  Fatto  della  vita,  àeW  Istinto  ài  cui parla  FERRARI  {Filosofia  della  Hivol.),  perchè  non  ci  paion  con- cetti scrii,    degni  di  critica  seria.  Quando  s' è  detto  che  il  Dio  Umanità^ che  la  Vita  della  storia  con  tutte  le  sue  leggi  non  sono  che  due  fatti i  quali  perciò  abbisognan  d'una  spiegazione,  s'è  detto  tutto.  Ora  a  cotesta  qualsiasi  spiegazione  non  sanno  e  non  vogliono  accostarsi  questi due  arditissimi  scrittori  per  paura  della  metafisica;  e  però  non  sono positivisti,  L' uno  è  critico,  non  Criticista,  com'  egli  pretenderebbe  giac- Or  bene,  la  filosofia  positiva,  la  speculazione  razio- nalmente positiva,  accetta,  deve  accettar  l' una  e  V  altra posizione  de'  Positivisti  inglesi  e  francesi,  perchè  ci  rap- presentano entrambe  uno  sforzo  di  metafisica,  perchè sono  entrambe  un  preludio  alla  metafisica.  Se  non  che esse  sono  una  metafisica  incosciente,  una  metafisica  negativa, perchè  sentono  ma  non  soddisfano  l'esigenza speculativa. Come dunque  soddisfare all'esigenza  dav- vero positiva  nella  speculazione  trascendente?  Eviden- temente bisognerà  appagarla  superando  il  negativo, superando  quel  sazievole  non  so,  quel  non  mi  preme sapere quel  non  si  può  sapere  che  ad  ogn'  istante  e  con incredibile  noia  ci ripetono  i  Positivisti,  ma  nel  medesimo tempo  restare  nel  positivo.  E  qual  è  il  positivo in  metafisica?  Lo  dicemmo  già,  e  lo  ripetiamo:  schivare gli  estremi;  perocché  il  nemico  mortale  della  positività metafisica  son  le  colonne  d'Ercole  del  tutto  sapere,  e del  nulla  sapere  metafisico. Se  quindi  la vera  filosofia  positiva  ha  da  accettare  quel  che  il  Posi- tivismo ci    e  nel  medesimo  tempo  superarlo  in  forza dello  stesso  metodo  positivo,  deve  accogliere  l' esistenza che  il  crìticista,  il  vero  Kantiano  affinchè  sia  tale,  dehb'  esser  tutto  d*un pezzo,  dero  accettare  anche  i  sommi  pronunziati  della  Ragion  Pratica, Ausonio  dunque  è  un  puro  critico,  un  critico  sottile,  è  il  doctor  mbtilissimwi de*    nostri,  abile  scaltri  mai  a  trovare  il  pel  neir  uovo  neMibri  altrui, ma  non  così  nel  dare  una  dottrina,  una  teorica  propria,  fosse  pur  la  teorica del  giudizio. FERRARI invece  è  scettico  sistematico meravig^lioso  nell’acca- tastare erudizione  come  nel  distrugger  sistemi,  ma  nullista  in  metafisica al  pari  d’Ausonio.  Costoro  perciò  son  fuori  d’ogni  forma  di platonismo e  d'ogni  forma  d'Aristotelismo;  e  se  ne  vantano;  e  se  ne  gloriano:  e si  sortano  pure!  Ma  non  sono  fuori  della  storia,  chi  sappia  che  cosa  vo- glia dire  storia  della  scienza  e  della  filosofia.  FRANCHI e FERRARI hanno esercitato  fra  noi  quella  funzione,  parte  benefica  e  parte  malefica,  che  vie- ne esercitando  lo  scetticismo  in  certi  dati  periodi  storici;  funzione  al tutto  negativa,  ma  necessaria. Ma  la  storia  dovrebbe  insegnar loro  due  cose:  che  il  l)Ì80gno  speculativo  è  uu  gran  fatto,  e  che  la  possibiltà d' una  metafisica  positiva  non  è  un  sogno.  A  questi  critici  e  scettici,  di  cui fra  noi  oggi  non  è  penuria,  opponiamo  un  dilemma  invincibile  do)  BERTINI su  la  possibilità  di  rintracciare  un  principio  metafisico.  (Ved.  La\ FU,  Greca  prima  di  Socrate,  esposiz,  storico- critica) d'  un*  ignota  realtà  in quanto è Potenza e  virtù  dell'  universo, ma  legittimarla.  Così  il  metodo  positivo,  assumendo valor  critico  e  razionale,  non  più  sarà  l'esagerazione  d'uno de' due  estremi  indirizzi  dell'Aristotelismo,  ne  contrad- dirà'altrimenti  alla  sua  posizione  media,  anzi  varrà  a confermarla,  ad  inverarla,  ad  esplicarla  sempre  più.* L'opposto  indirizzo  del  Neoaristotelismo  dicemmo esser  THegelianismo. L'Hegeliano  si  oppone  al  Neopla- tonico, perchè  non  accetta  veruna  sorta  d' immediatezza nel  conoscere  metafisico.  Si  oppone  al  Positivista  e  ad ogni  maniera  d' empirismo,  perchè  non  può  accoglier  la nozione  d'  un  assoluto  portoci  dalla  coscienza  volgare, empirica  o  dommatica  ch'ella  sia.  Qui  egli  ha  piena- mente ragione.  Ma  qual  è  la  sua  via?  Qual  è il suo metodo?  Dov'egli  mira? L'abbiamo  detto:  l'Hegeliano riconosce  l' assoluto,  ma  lo  riconosce  ponendolo,  facen- dolo;e  lo  legittima  per  necessità  tutta  dialettica.  Lo pone  e  lo  fa  non  perchè  ci  è,  anzi  perchè  ci  ha  da essere  ;  e  per  ciò  nessuno  potrà  dire  eh'  e'  ci  sia  prima che  il  pensiero  s'accinga  a  farlo.  Di  qui  una  conclusione singolarissima:  Tutto  ciò  che  esiste,  è  anteriore  a quello  per  cui  virtù  solamente  egU  è  possibile  e  reale!  Ma non  anticipiamo. Che  cos'  è  dunque  l'assoluto  per  i  neo- aristotelici iperpsicologisti?    risposta  non  è    facile per  noi  quant'  avrebbe  da  essere  per  loro.  L' Assoluto è  il  Tutto:  è  l' assoluta  e  immanente  relazione  :  è  la relazione  della  relazione:  lo  Spirito.' *  E  così  pure  ?a  in  forno  T affermazione  del  Littbì:  c  qui  e»t  mitapKyn- e»«n,  iCe»tpa9  po9ÌiivÌ9U;  qui  ett  positiwtefn'ett  pa$  métaphyiieien (Princip, de  Phil.  Ponit.  par  A.  Comte,  Préf.  d^un  ditdple)  Noa  senza  ragione  un  nostro  acutissimo  hegeliano  (Dr  Mris,  Dopo  la r^aureOf  voi.  I.)  chiama  Hegel  V  ArÌ9ioule  moderno.  Ma  qual  ò  proprio  V  Ari- stotole  rappresentato  dal  filosofo  di  Stoccarda V  Ecco  il  punto!  U  nostro valoroso  e  carissimo  professore,  questo  Oariholdi  deW Hegdianimno  come  al- trove r  abbiamo  chiamato,  non  ammette  che  un  solo  Aristotele,  il  suo Aristotele! 'L'assoluto,  dice  un  fodol  ripetitore  di  Hegel,  non  è  questo  o quello,  r  identità  o  la  differenza,  ma  il  tutto  nella  differenza  e  neil' unità tua,  E  il  conoscere  assoluto  poi  sta  nel  porre  i  termini,   nel  mostrar Sennonché,  in  cotest'  assoluta  relazione,  in  cotesto centro  eh' è  anche  circonferenza,  è  pur  d'uopo  cominciare. Da  qual  parte  rifarci?  Qual  è  il  Primo?  Eccoci nel  cuore  dell' Hegelianismo:  nella  più  alta  e  nascosa fortezza  dove  già  da  un  pezzo  la  breccia  è  stata  ajiertaper  opera  degli  stessi  tedeschi,  massime  dal  Trendelenburg.  All'assoluto,  essi  dicono,  si  perviene  solo  per medicunone.  Ma»  cotesto  lavoro  di  mediazione,  come s'inaugura  e  perchè?  A  siffatto  processo va  innanzi  un  momento  d' assóltUa  e  subitanea  astra- zione} Col  subitaneo  astrarre  il  puro  pensiero  pone. Che  cosa?  Pone  Vinse,  l'Essere,  o  meglio  l'Indeter- minato. L'indeterminato  non  è  soggetto    oggetto; non  è  pensante    pensato:  ma  è  qualcosa  oltre  cui  non si  può  andare,  e  senza  cui  nulla  non  sarà  mai  possibile,  e mercè  cui  tutto  sarà  attuabile  :  l' idea  assoluta,  l' etema nozione  {der  ewige  Begriff.y  Ecco  Vàbsólute  Prius,  il Vero  primo,  e  però  il  vero  Fatto.* La  prima  osservazione  che  qui  sorge  spontanea  è  la seguente.  Cotesto  Indeterminato  è  cosiffatto,  che  non  si può  nemmanco  pensare:  perocché  ove  accanto  a  lui  fosse come  s*  oppongano  fra  loro,  e  come  e  perchè,  opposti,  si  concilino.  (Vkba, Introd,  alla  Log.  di  ffegel).  ~  1/ assoluto,  dico  un altro  Hegeliano,  non  è  Tldea,  non  la  Natura,  non  lo  Spirito,  ma  è  Vldea- Natura-t^rito;  la  rdoMÌone  dtlla  relaztotie;  VindifferenMa  differenxiata indifferentemente  (Spaventa,  Le»,  di  FU.)  Il  vero  abeolute  Priue  è  1*  atti- vità, il  pensiero,  lo  spirito:  non  TEnte  che  come  puro  essere  è  Premp- poHo  cominciamento  ;  ma  il  Ponente,  vero  Principio,  che  ò  lo  Spirito.  FiL.  di  GIOBERTI. SPAVENTA  ne  chiarisce  il  pensiero  cosi:  Io  mi  levo  aU^eeeere  per una  riaoluMtone  immediata f  per  un'auoluta  a$trazione.  {Le  Categ.  della Log,  di  ffegd).  Hrgbl,  Log,  voi.  I,  Jntrod.  L* Indeterminato  per  SPAVENTA  è  il    È  proprio  uno  scherzo,  un  indovinello  da  algebristi  ! Dunque,  mi  si  chiederà,  nel  ^an  sistema  è  egli  ripudiato  V  elemento  della differenza?  Tutt*  altro.  611  Hegeliani  anzi  in  ogni  lor  libro,  in  ciascuna lor  pagina  s*  affannano  a  mostrare  e  giustificar  co*  fatti  cotesta  legge tanto  necessaria  air  organamento  della  dialettica.  Ma  quanto  i  Gesuiti non  s’arrapinano  anch^essi  a  parlarci  di  libertà  di  pensiero  e  di  coscienza? K  pure  chi  non  sa  come  la  libertà  vera  per  costoro  sia  la  schiavitù  al Sillabo  e  al  Domma,  per  cui  la  ragione  è  libera  solo  in  quanto  è  as- sorbita dalla  fede?  Tal  si  è  il  diverso  per  gli  Hegeliani:  un  fuor  d*  opera. E*  ne  parlan  sempre,  ma  alla  fin  delle  fini  poi  si  trovano  ingoiati  nel- r  identico.  L'alterità  che  scorge  Hegel  nel  suo  pensierpuro  è  (ripeto  la sua  frase)  ineffabile  e  assolviamente  vuota.  Or  una  differenza  assoluta- mente vuota  non  è  forse  indifferenza,  cioè  non  differenza,  identità,  vuo- taggine addirittura?  E  dato  ci  sia  cotesta  differenza,  sarà  ella  di  na- tura metafisica,  o  non  piuttosto  logica?  E  una  differenza  non  metafisica, domanderò,  sarà  ella  vera  differenza  o  non  più  veramente  semplice  di- stinzione? Ecco  la  ragione  per  cui  l'Idealismo  assoluto  non  può  riescire a  dimostrare  l'oggettività  della  conoscenza,  e  salvarsi  dal  pretto  forma- lismo ond'  è  tutto  magagnato.  Che  se  poi  la  gran  pretensione  sta  nel volerci  dare  la  scienza  assoluta,  e 'sarebbe  d'uopo,  ripeto,  che  la  logica, proprio  come  logica,  fosse  la  metafisica;  talché  col  far  l'una  si  fa- rebbe anche  l'  altra,  e  così  potrebb'  esser  risoluto  l' arduo  problema  del- l' oggettività.  Invece  il  più  valoroso  de’nostri  Hegeliani  come  rispon- d'egli  a  questo  proposito?  Se  n'esce  pel  rotto  della  cuffia  dicendo. Tale  oggettività  non  d  un  problema  logico:  la  logica  ami  la  presuppone,  (SPAVENTA)  La  presuppone?  Mi  par  di  sognare!  Se dunque  è  così,  la  conseguenza  chiara  come  il  sole,  almeno  per  noi  im- barbogiti sempre  più  nella  vecchia  logica  aristotelica,  sarà  questa: che  la  logica,  grande  o  piccola  che  sia,  subbiettiva  od  obbiettiva  che  si voglia,  non  sarà  e  mai  non  potrà  esser  quella  che  ci  si  vuol  dare  ad intendere,  la  chiave,  cioè,  del  grand'  edlfizio,  il  fondamento  a  priori  dell'enciclopedia,  la  vera  metafisica  del  conoscere.    qui  vale  invocar  la Fenomenologia  qual  propedeutica  atta  a  dimostrare  1’oggettività,  come fa' lo  stesso  Spaventa.  Cotesta  invocazione  anzi  è  una  ragione  di  più  per dichiarar  la  logica  degli  hegeliani  una  tela  di  ragno.  Perchè  se  la  Fenomonalogia  ha  da  esser  la  propedeutica  necessaria  della  Logica,  il  pro- cesso a  priori  e  assoluto  nel  costruire  la  scienza  diventerà  una  parola   [LIB.  H. della  nuova  loj^ica,  s' è  provato  a  schiacciarlo.  Ci  è  rie- scito?  Un  vizio  magagna  tutta  la  logica  hegeliana,  dice anch' egli;  ed  è  vizio  d'origine,  in  quanto  che  pone  ra- dice nelle  viscere  stesse  del  momento  astratto,  e  pro- priamente nel  concetto  dell'Indeterminato.  L'Indeterminato è  un  equivalente  comune  dell'  Essere  e  del Non-essere,  dell'Idea  e  del  pensiero,  dell'astratto  e  dell'ASTRAENTE. Di  fatto,  che  cosa  mai  sono  cotesto  Essere e  cotesto  Non-essere?  Ei  son  cosa  indeterminata;  ma non  sono  lo stesso Indeterminato.  Se fossero, la difiFerenza  tornerebbe  davvero  impossibile  (difetto  radicale dell'Idealismo  obbiettivo  dello  Schelling),  perchè  avrebbe a  sgorgare  dall'identità.  Che  se  non  fossero  la  stessa cosa,  tornerebbe  impossibile  il  contrario,  cioè  l'identità. Essere  e  Non-essere,  dunque,  sono  un  medesimo, è  vero,  ma  solo  in  quanto  indeterminati,  non  già  in quanto  indifferenti.  Essere  e  Nulla  sono  lo  stesso,  ma non  come essere  e  Nulla. Una  prima  osservazione  potrebb' esser  questa.  Se tra  r  Essere  e'1  Nulla  havvi  identità  e  diiferenza;  iden- Yuota  di  senso,  an  a  priori  che  non  è  a  priori,  e  perciò  un*  ironia,  come dlcovamo  poco  fa. Ancora:  se  la  Logica  in  cotesto  processo  a  priori  ha da  pretuppoire  la  Fenomenologia,  ne  segrue  che l’una  di  queste  due scienze  non  potrà  essere  altro  che  imitazione,  ripetizione,  copia,  copia anche  ridotta  al  grado  supremo  di  trasparenza  ideale,  ma  sempre  copia deir altra;  e  quindi  s'intoppa  nella  solita  conseguenza,  che  cioè  la conge?natura  dialettica  hegeliana,  anziché  una  metafisica,  sarà  un  pretto formalismo,  un  assoluto  soggettivismo.  Che  se  la  Logica  prewpponendo necessariamente  la  Fenomenologia  non  può  non  essere  altro  che  una  copia trasparentissima  di  questa,  non  sappiamo  dir  davvero  che  cosa  gli Hegeliani  avranno  da  opporre  al  metodo  di  certi  Teologisti  i  quali  pi- gliano a  discorrere  della  natura  di  Dio  appoggriandosi  nelle  leggi  psico- logiche, ricopiandole,  ripetendole  e  trasportando  così  la  psicologia  nella teologia.  Del  resto,  sul  significato  e  sul-  fine  e  sul  valore  della  Fenome- nitlogiat  i  seguaci  di  Hegel,  com*è  noto,  navigano  pur  troppo  in  opposte correnti  neir  interpretar  la  mente  del  maestro.  È  d'  nopo  dunque  che innanzi  tutto  e  s’accordino  fra  loro  e  ci  sappian  dire  se  la  Logica  sia davvero  la  scienza  madre,  la  scienza  davvero  o  priori,  ovvero  abbia  da presupporre  qualcos'altro  dinanzi  a  sé.  In  entrambe  i  casi  le  difficoltà saranno  insormontabili. *  Spatbmta,  Le  prime  Categ,  ecc.  loc.  cit. tità  perchè  entrambi  indeterminaéi,  e  differenza  perchè entrambi  indifferenti;  io  domando:  cotesto  indifferente non  è  già  di  per    stesso  un  indeterminato,  cioè  non differente,  cioè  non  determinato?  Dìinqne  Isl  differenza di  cotesto  indifferente  è  una  parola  com' un' altra;  un pio  desiderio:  perocché,  ripetiamolo,  se  l' indifferente  è irrélativo,  sarà  per    stesso  irrazionale,  sarà  il  nulla,  sarà il  nulla  addirittura:  quel  nulla  che,  come  dice  il  Vico, non  può  cominciar  nulla,  e  nulla  terminare  :  vuotaggi- ne, e  voragginel  Ora  piuttosto  che  dirlo  un  absclide Prius  cotesto  Indeterminato,  non  vuol  esser  anzi  ritenuto come  un  vero  capui  mortuum,  incapace  a  costituir  la scienza  perchè  incapace  a  far  cominciare  il  pensiero?" Sennonché  il  Professore  di  Napoli,  nel  corregger  V  Hegelianismo,  par  che  voglia  uccidere  il  verme  velenoso  pro- cacciando mostrare  che  il  diverso  ponga  radice  nel  Nul- la, ma  nel  Nulla  inteso  non  già  com' essere  purissimo, astrattissimo,  scioperato,  bensì  come  astraente,  come NuHa-pensiero  il  quale,  perciò,  non  cessa    può  cessare d' esser  pensiero.  Or  bene,  l' illustre  uomo  così  non  ri- solve, ma  sposta  la  grave  difficoltà  del  Trendelenburg. Egli  riesce  a  mettere  un  po' di  calcina  alla  breccia,  è  vero; ma  senz'  addarsene  poi  n'  apre  un'  altra  non  meno  fatale della  prima,  perché  l' intrusione  del  diverso  è  sempre  lì duro  a  chiedergli  ragione  di  sé.  Infatti,  s'egli  considera l'Essere  come  un  in  sé,  e  considera  come  un  in  se anch' il  Non-essere;  non  v'  è  nessuna  ragione  al  mondo perchè  non  abbia  da  riguardare  anche  come  un  in  se il  connubio  de'  due  termini.  Intanto  che  cosa  fa  il  dotto filosofo  ?  Giusto  nel  momento  che  s' hann'  a  decider  le sorti  della  logica  obbiettiva,  giusto  nell'  istante  supremo *  RÌ9p,  al  Oiom,  de*  Leti.,  T,  IL. Si  dirà:  è  indeterminato  anche  il  vostro  intelli^bile,  la  {«ce  metafisica del  vostro  filosofo.  Verissimo,  io  rispondo:  ma  tra  il  nostro indeterminato  e  quello  degli  Hegeliani  corre  tanto  divario,  quanto  fra un  oggetto  posto  da  natura,  e  quello  colto  d'oMatto;  fra  T  oggetto  ori- ginario intuito,  e  r  oggetto  afferrato  por  risoluzione  astrattiva.  Veggasi quel  che  s*ò  discorso  nella sezione  in  cui  la  logica  dee  poter  rivestire  natura  e  valore  di metafisica,  egli  cangia  bruscamente  posizione,  e  invoca il  pensiero,  invoca  1'  astraente,  invoca l’astrazione,  e cosi  dileguatasi  a  un  tratto  V  obbiettività,  ci  fa  divagare nel  mondo  delle  pure  forme,  ed  eccoci  di  bel  nuovo ricacciati  e  ravviluppati  per  entro  alle  fitte  maglie  della tela  di  ragno!  Dunque  (mi  si  chiederà)  a  voler  pene- trare sul  serio  nel  regno  metafisico,  nel  mondo  delle Menti  e  di  Dio  con  metodo  razionalmente  positivo,  chg cosa  è  da  fare?  Il  da  fare  è  manifesto:  bisognerà  che  il connubio  de'  due  termini,  cioè  il  divenire,  sia  quel  medesimo che  sono  cotesti  suoi  termini,  dal  cui  annoda- mento esso  dee  pullulare.  In  altre  parole,  bisogna  eh'  e' sia da  sé,  che  sia  per  sé,  che  sia  mediante  se.  Fa  d' uopo,  in- somma, che  r  Essere  (ripetiamo  volentieri  la  bella  frase del  Trendelenburg)  sia  dialettico,  ma  dialettico  davvero, non  da  burla;  dialettico  nel  verace  significato  della  paro- la, e  quindi  atto  a  moversi  da    medesimo,  anche  senza il  vostro  pensare,  anche  fuori  del  vostro  pensare.  Cosi  gli Hegeliani  potrebbero  schivare  qualvogliasi  intrusione;  e così  (e  solamente  così)  potrebbero  conseguir  quella  che tanto  essi  desiderano,  la  scienza  assoluta.  Ma  questo  non ha  fatto  Hegel;  e  questo  non  ha  fatto  Spaventa  benché con  tanto  acume  siasi  adoperato  a  rammendar  lo  strappo micidiale  che  con  abilità  di  grande  maestro  ha  saputo operare  il  dottissimo  Trendelenburg  nella  logica  hegelia- na. E  perciò  il  sistema  delF  identità  assoluta  è,  e  resterà in  perpetuo,  come  é  stato  appellato  nella  stessa  Germa- nia, il  monismo  del  pensiero  (monismi^  des  Gedenkes). Abbiam  detto  che  l' impossibilità  di  mostrare  il  prin- cipio della  difierenza  nel  regno  della  logica  fa    che il  passaggio  al  mondo  della  natura  si  manifesti  arbi- trario, illusorio,  fallace. L'idea  logica,  dice  VERA, è  la  Idea  cieca,  l’Idea  senza  coscienza    pensiero,  la nuda  possibilità:  in  somma  é  l'Idea,  ma  non  l'Idea dell'  Idea.  In  cotesta  imperfezione  logica  sta  proprio  la ragione  del  passaggio  alla  natura,  e  quindi  la  sua  legge, e  la  sua  necessità.*  Dunque,  in  altre  parole,  perchè r  inderminato  è  indeterminato,  perciò  diventa  determi- nato ;  perchè  è  possibile,  perciò  diventa  reale  ;  perchè  è privazione,  perciò  h posizione.  Eccoci  alla  tt-ostc?  aristo- telica. Ma  dicemmo  che  la  privazione  non  è  negazione, non  è  vaga  e  astratta  indeterminatezza,  non  è  pretta potenzialità,  ma  energia,  principio  positivo,  e  potenza feconda  (to'  ^uvarov).  Or l’idea  dell’Idea  di  cui  parla VERA,  è  qualcosa  d'assolutamente  potenziale  e  d'in- determinato; è  una  possibilità  logica,  il  to'  ev^e^opevov, non  già  il    ^uvktov,  e  quindi,  meglio  che  principio  po- sitivo, è  negazione  d'ogni  principio.  Come  dunque  prin- cipia e  fa  principiare? Come  passa  e  fa  passare?  In-, somma,  com'è  che  diventa?* *  Hegel,  Log.,  Introd.   n  divenirey  osserra  il  medesimo  traduttore,  compie  la  a/era  dd- V  E98ere  e  del  Non-esaerey  e  forma  ti  passaggio  alla  sfera  ptù  concreta  del- l' Idea,  dove  per  novelle  addizioni  V  Essere  e  il  Non-essere  diventanoy  o meglio  son  divenute qualità,  quantità,  essenza. (Log..) Ma  come  fatte,  da  chi  Jhtte  e  perchè  fatte  coteste  novelle  addizioni?  Data la  sfera  dell*  Essere,  del  Non-essere  e  del  Divenire,  si  passa  tosto  e  necessa- riamente alla  sfera  concreta  del  medesimo  e  del  diverso...  Ma  come  si  passa? Chi  vi    il  diritto  d'affermare  cotal  passaggio?  Torniamo  a  domandarlo: siamo  qui  fra*  contraddittori,  ovvero  fra*  contrari?  Siamo  fra  nn  termine posto  ed  un  altro  opposto,  o  non  più  veramente  fra  il  puro  pensiero  e il  soggetto  determinatissimo  e  vivente  che  dicesì  naturai  Per  quanto  si faccia,  la  sola  relazione  logica  e  la  sola  necessità  logica  torneran  sempre inefficaci,  e  però  Hegel  (secondo  la  severa  critica  dello  Stahl)  non  giunge mai  ad  un  mondo  reale.  Egli  passa  dal  puro  pensiero  alla  Natura  perchè? Perchè  l'uno  dee  negare    stesso  ponendo  l'altro,  l' opposto.  Ora  il  ca- rattere dell'opposto,  della  Natura,  non  è  la  realtà,  la  sostanzialità,  la causalità  (attribuiti  già  allo  stesso  pensiero  puro),  ma  è  la  negazione  del- l'essere  sostanziale,  reale,  causale.  Che  cosa  dunque  rimane  alla  Natura? La  semplice  determinazione  del  tempo  e  dello  spazio  (Ved.  Enciclop).  Or  per  qual  ragione  si  dovrà  ammettere  che  questa  natura  estesa e  temporanea  debba  esistere  attualmente,  che,  cioè,  sia  reale  e  non  semplicemente pensata  come  estesa  e  temporanea,  socondochè  ci  accade ne' sogni?  L'opposto  del  pensiero  puro  è  la  Natura  solo  come  tempora- nea ed  estesa  :  ma  per  aver  1'  opposizione  forse  che  non  basta  pensarla come  tale?  L^ Idealismo  oggettivo  di  Hegel  (conclude  lo  Stahl)  non  è  meno di  quello  soggettivo  di  Fichte  un  puro  mondo  di  sogni:  Tunica  differenza ì  che  vi  manca  ehi  sogna,  »  {FU.  del  Diritto. A.  quest'  ultimo e  severo  giudizio  dello  Stahl  ci  piace  qui  aggiungere  quello  d' un  altro Parlando  dell'Idealismo assoluto  non  possiamo  dispensarci dall' accennar  poche  cose,  quant' occorre  al nostro  proposito,  sul  suo  organamento  generale,  e  su  le sue  relazioni  storiche  col  Platonismo  e  con  V  Aristoteli- smo in  generale.  Gli  Hegeliani  riconoscono  che  il  mondo si  svolge  per  una  legge  interna  anziché  per  un  caso  o per  necessità  ineluttabile  e  geometrica,  come  pensano  gli Spinozisti  ne' tempi  moderni,  e  come  pensavano  gli  Epicurei in  antico.  L' Hegelianismo  racchiude  una  grande idea;  l'idea  del  processo,  che  vuol  dh-e  d'un  fine  da conseguire  con  pienezza  di  coscienza,  di  libertà,  di  ra- zionalità. L'Idealismo  assoluto,  quindi,  anziché  cieco meccanismo  e  fatalismo  ineluttabile,  parrebbe  un  es- senziale e  profondo  e  universale  dinamismo.  Ma  eccoci al  punto  1  Al  di    della  natura,  ci  si  dice,  è  l' Idea  che  per ogni  conto  è  indeterminata  e  potenziale  :  al  di  qua  poi ci  é  lo  Spirito,  eh'  é  l' Idea  dell'  Idea.  Ora  abbiam  visto come  la  Natura  non  si  possa  movere  per  l' Idea,  perchè ninno  potrà  mai  dare  quel  che  non  possiede.  Tanto  meno poi  si  potrà  movere  per  lo  Spirito,  perchè  lo  Spirito  vien posteriore  alla  natura,  e  le  si  sovrappone.  Ck)me  dunque movesi  cotesta  Natura?  Per  necessità  logica.  E  quale  è  il fine,  quale  il  motivo  ond'é  spinta,  eccitata,  illuminata? La  razionalità.  Or  non  è  ella  cotesta  una  forma  di  fata- lismo cieco  e  geometrico  che,  quant'  a'  risultati,  non  si  di- varia né  pur  d'un  apice  dallo Spinozismo?  Qual  differen- aotoreTole  scrittore  su*  difetti  sostanziali  deiridealismo  assoluto.  «  Non 9%  pud  leggere  Hegel  tenxa  chieder9Ì   ei  ragioni  ttd  terio.  Spesso  cade ntl  fatalismo y  nella  personificazione,  e,  leggendolo,  par  d*  assistere  alla  /or- matone d*  una  mitologia,  alla  genesi  di  un  mondo  che  somiglia  qtuilo degli  Gnostici,  in  cui  avviene  che  le  idee  piglino  corpo,  marcino^  e  subi- scano le  piti  svariate  vicende. (SoBRRERt  M^langes  rf*  Histoire  religieuse).  A  proposito  della  Logica  hegeliana  poi  ci  sembra  notevole questa  sent-enza  d*ano  che  se  ne  intende,  e  che  per il  solito  è  temperatissimo  ne*  suoi  giudizi:  Higd  n*a  pas  renouveU  la  seience,  comme  Venthow situme  de  ses  disciples  Va  parfois  prodanU;  il  Va  dénatwée,  malgri  les avertissements  de  Kant,  et  en  la  faisant  la  premiare  des  seiences,  ou  pour mieux  dire  la  seuU  scienoe,  U  Va  tuée,  (I.  Babthìlkmt  Saikt-Hilaibie Logique  d^Arisiote,   GL,  Pré&ce.) za,  infatti,  fra  la  necessità  dialettica  e  la  necessità  mate- matica, fra  lo  Stoico l’  Epicureo  lo  Spinoziano  e l’Idealista assoluto  fuorché  la  coscienza,  in  quest'  ultimo,  della razionalità,  eh'  è  dir  la  coscienza  e  la  trasparente  visione di  cotesta  superiore,  arcana,  invincibile,  inelut- tabile necessità?^ Quanto  poi  alle  sue  relazioni  storiche,  notammo  già come  r  Hegelianismo  distinguasi  da  ogni  altro  sistema per  la«pretensione  di  volerli  tutti  accordare  e  tutti  com- piere e  tutti  inverare.  E  poiché  guardando  al  modo generale  onde  si  suol  determinare  il  fondamento  asso- luto delle  cose,  tutte  quante  le  soluzioni  metafisiche possono  esser  rimenate  ai  due  indirizzi  del  Platonismo e  deir  Aristotelismo,  così  gV  Idealisti  assoluti,  con  la dottrina  delia  Idea  e  quindi  del  metodo  dialettico,  re- putano d'esser  finalmente  pervenuti  ad  accordare  l'esi- [Nò  Tale  che  alcuni  fra  i  più  intelligenti  Hegeliani^  stimando  dMnter- pretar  meglio  la  mente  del  maestro,  riguardino  i  tre  momenti  del  processo assoluto,  nonché  i  tre  termini  del  gran  sillogismo,  come  in  un  sol  momeìUo^ cioè  nella  loro  immanenza,  nell'attuale  ed  assoluta  relazione,  vomire  nella immanenza  àeWIdea  della  Natura  e  dello  Spirito-  dandoci  così  a  credere che  cotesta  non  è  altrimenti  la  metafisica  della  Idea  immobile  e  ir- rigidita, e  neanche  della  Mente,  e  tanto  meno  poi  dell*  Ente,  ma  si  la metafisica  Tera  perchè  metafisica  dello spirito.  Con l’aggiugnere  al  con- cetto del  processo  e  del  reale  divenire  quello  dell’immanenza,  panni  che le  difficoltà,  anziché  scemare,  crescano.  Fra  que*tre  momenti  e  que*tre termini,  infatti,  una  relazione  caueale  è  ineyitabile,  essendo  verità  troppo antica  ed  altrettanto  irrepugnabile,  che  la  catua  ì  per  la  tua  e$9enta avanti  V  effetto  (Twv  yàp  fiéd^v^  wv  coriv  l5«  xt  etrj^oirov  xae' o/BOTfjOov,  ocva^xacov  givat    zrpórspoy  airtov  t«5v  /xct'  auro. Arist.,  Metapk.).  E  questo  principio  rlbadiscon  oggi  per  Tia  speri- mentale tutte  le  scienze  naturali  e  fisiche,  mostrando  ad  evidenza  come la  natura  fisica,  nello  svolgimento  cosmico,  preceda  alla  comparsa  del regno  vegetale,  il  vegetale  (secondo  alcuni)  all'animale,  e  air  animale rumano.  Come  dunque  persistere  a  farci  erodere  aW immanenza  del  ter- nario f  Come  scaldarsi  tanto  per  darci  ad  intendere  che  V  Idea  i  insieme Natura  e  Spirito-  e  che  la  Natura  è  insieme  Idea  e  Spirito  f  È  metafisica positiva  cotesta?  o  non  più  veramente  un  abuso  di  logica  nonché  un'in- giuria ai  pronunziati  più  sicuri  della  moderna  scienza  di  natura?  L'op- posizione più  salda,  più  seria,  più  invitta  all'  Idealismo  assoluto  la  fanno oggi  le  discipline  sperimentali.  R  pure  gli  Hegeliani  non  se  ne  accor- gono! Felicissimi  loro! genza  metafisica  dell'  uno,  con  quella  dell'altro  sistema. Or  è  in  questo  preteso  accordo  eh'  ei  si  palesano  iper-psicologisti  per  doppio  rispetto.  Osservammo  come  uno de'  massimi  concetti  dell'  Aristotelismo  sia  quello  del moto;  fondamento  e  sintesi  di  tutte  le  categorie,  ou  xoivóv.  Metaph.  TóSe  yy.p  rt    f^soóiievov  >?   Si  xcvyjaiC}  ov.  Phys,,  *  Twv  a^à^ffwv  Z"»  e)  xévvjo'cc);  oX>)  ^%p  ri  zapi  fVT£(ai (TXSìpi?  ÒLV^p7)T0Lt.  Melaph.y   '  Tal  è,  per  esempio,  il  ciottissimo  Felice  Raraisson,  il  quale,  se- gnatamente nel  2**  yolame  dell*  opera  che  noi  più  Tolte  abbiamo  citato, si  mostra  critico  assai  poco  benigno  verso  le  teoriche  platoniche  nel porre  a  riscontro  la  Dùdettiea  e  la  Metajitùsa,  E  di  questo  difetto  è  stato giustamente  ripreso  dagli  stessi  francesi  fra*  quali  Janet.  {ÉhuL  tur  la DialecHque  dant  Platon  et  dans  Hegel,  Paris) come  nota  lo  Zeller,  che  le  idee  abbiano  da  esser  lo  stesso che  i  sensibili;  onde  poi  la  conseguenza  su  l'inutilità  di ciò  che  Aristotele  chiama  sensibili  etemi,  la  facilità  di rilevare  T  assurdo  delle  essente  separate,^  il  rimprovero su  la  necessaria  vacuità  degli  eterni  parodigmi,  e  la  irrisa e,  certo,  ridevole  mitologia  delle  idee  come  reminiscenze d' un'  altra  vita.*  Ora  il  Platonismo  espostoci  da  Aristo- tele arieggia,  per  più  rispetti,  al  sistema  dell'  assoluta identità  :  di  guisa  che  ov'  altri  desiderasse  elementi per  una  severa  confutazione  della  dottrina  hegeliana, dovrebbe  intendere  Platone  così  come  lo  intese  il  suo  ce- lebre discepolo  e  come  lo  stesso  Platone  si  rivela  talvolta nel  Parmenide  e  nel  Sofista,  e  saperne  quindi  ritrarre gli  assurdi.  Anche  nel  Platonismo  passato  per  la  trafila dello  Stagirita  si  può  dire  esser  la  logica  quella  che crea  il  mondo,  essendo  la  nozione,  il  generale,  Punita indeterminata  che  pone  il  multiplo.  Fra  il  finito  e  l'tw/ì- nito,  fra  l' Ente  ed  il  Non-ente,  fra  1'  Uno  e  V Altro (rauToi,  5dÌ7spoy)  nou  ci  ha  chc  uu  rapporto  di  natura logica;  sia  che  si  parli  di  fx^juviacc,  sia  che  di  fisOf^ic, ovvero  d'una  relazione  intima  ed  essenziale  emergente "Ere  Sol^iisv  av  aSiivarov  ywpc'c  stvae  tìj'v  ouT^av  xai OH  VI  o\J7iOL'  wt7«  ctw;  «y  ac  cosai  ovacat  t»v  apxyfAOiTta'» oZdOLi  X^P**"^  suv.  Metaph, Quanto  al  vaJore  della  critica  Aristotelica  cons.  lo  Zbllkb  {Eapo- •inone  arittotelica  ecc.). Vedi  anche  Tbendblbkbubq come  intende  i  n^ùròc  àpt^fAoi  {PleUonU  de  idei»  et  numerie  doetrina ex  Ariet.  iUtutrata,  Lipzia,  Stillbaum,  Prolog,  in Parmenide di VELIA,  ove  tocca  dell*  esposizione  aristotelica.  !.  Simon, Étnd.  tur  la  Théodieée  de  Platon  et  cT  Artet,    Cuosiir, note  al  Tim. dorè  Platone  è  difeso  dall*  accusa  riguardante  la causa  finale.  Jacqitks,  Thior.  dee  Idée*  réfutiee  par  Ariet,    Lkvbano, De  la  Critique  et  Ice  Idéee  Platonicienne»  par  Ariat.  au  premier  liv.  de la  Métaph.    Lrclf.bc,  Penniee  de  Platon  preceduti  da  una  Hist.  abrégie du  plaumieme,  Oggimai  dunque  le  interpretazioni  e  la  difesa  in  favore di  Platone  sono  tante  e  così  evidenti,  che  la  crìtica  aristotelica  è  ri- dotta ai  suoi  legittimi  confini.  Molte  obbiezioni  Aristotele  andò  cercando col  lumicino;  ma  alcune  reggono  e  reggeranno  contro  ogni  forma  di Platonismo  come  altrove  toccammo,  e  come  vedremo  meglio  nel  pros- simo capitolo. dalla  natura  stessa  delle  idee  secondochè  appare  nel Parmenide di VELIA.  Non  è  questo  il  luogo  per  dire  qual  possa essere  il  significato  sincero  di  questo  celebre  dialogo  e quale  il  metodo  più  acconcio  onde  vuol  essere  inter- pretata la  mente  di  Platone.  Ripetiamo  che  per  lo  Stagirita,  come  per  alcuni  critici  francesi,  sembra  che  il filosofo  Ateniese  rimonti  all'  assoluto  mercè  gli  artifizi dell'  astrazione,  dispogliando  le  cose  de'  lor  caratteri individuali,  risalendo  gradatamente  a'  rispettivi  proto- tipi, e  giugnendo  così  al  minimo  della  realtà,  cioè  al generale  che  per    stesso  è  cosa  indeterminata  e  vuo- ta.*Ora,  dare  al  Platonismo  cotesto  valore  tornava comodo  al  discepolo  per  meglio  combattere  il  maestro  ; ed  era  altresì  naturale,  atteso  che  il  metodo  adoperato da  Aristotele,  anziché  iperpsicologico  ed  astratto,  come dicevamo,  si  palesa  essenzialmente  psicologico,  speri- mentale, induttivo  nell'ampio  significato  di  questa  pa- rola, per  cui  la  sua  metafisica  riesciva  al  massimo  delle realtà  eh' è  l'Atto  puro.  Così  ciò  che  per  questi  in- terpreti è  il  minimum  pel  malinteso  Platonismo,  è  il maximum  pel  beninteso  Aristotelismo. Questo  fa  oggi  l'idealismo  assoluto,  ma  il  fa  con quella  ricchezza  d'espedienti,  come  giustamente  osserva r  illustre  traduttore  di  Hegel,  e  con  quella  possente vena  di  speculazione,  che  sanno  dar  venti  e  più  secoli di  storia  e  di  profonda  attività  filosofica.  L' Hegeliano condanna  il  metodo  aristotelico,  lo  dice  empirico,  e  si studia  invece  di  seguire  e  compiere  il  metodo  dialettico dell'autore  del  Parm^enide;  ma  nel  fatto  non  fa  che  per- petuare la  vuota  posizione  del  Sofista  in  quanto  che  col TÒ  ov  di  questo  dialogo,  che  è  precisamente  il  suo  In- determinato, e'  si  riman  sempre  nelle  secche  della  logica. Rayaisson.  Vera,  V Hegelianifime  tt  la  PhUoBopkie. Ma  è  poi  davvero  Y Indeterminato  la  posizione  del  Sofista?  È  egli  tale forse  r«»«er«  che  ì  realmente  e  aaeolvUamejUe :  rw  travre^wc  ovt«? {Soph.) L'Idealista  assoluto  non  riesce  al  minimum  platonico, è  vero:  ma  comincia  dal  minimum  dell'essere,  perchè salendo  di  slancio,  come  dicemmo,  air  Indeterminato, coglie  immediatamente  (es  egreift)  l'In -sé  {dans  ansich) che  è  Nulla  ed  Essere,  e  poi  con  metodo  dialettico  e  generativo egli  viene  sgomitolando,  a  così  dire,  ogni  cosa con  ritmo  costante,  immutabile,  invincibile,  matematico, monotono,  per  indi  riuscire  al  medesimo  punto  onde era  mosso  per  l' innanzi.  E  con  ciò  pensa  d'aver  con- seguito il  vantato  accordo  fra  l’Aristotelismo  e  il  Platonismo, mentre  in  realtà  ad  altro  non  riesce  che  ad una  forzata  compenetrazione  e  meschianza  del  melenso e  indiscerniljile    cv  con  quel  Noùc  immobile,  solitario  e tutto  chiuso  entro    stesso  di  cui  Aristotele  parla nel  XII  libro  della  Metafisica.  L'Hegeliano  quindi  é iperpsicologista  per  doppio  conto.  Egli  incarna,  esplica logicamente  e  compie  mirabilmente  uno  de'  due  indirizzi estremi  dell'  Aristotelismo,  e  insieme  interpreta  il  Pla- tonismo con  una  critica  che  somiglia  non  poco  a  quella d'  Aristotile. Concludiamo.  Abbiam  visto  come  la  forma  di  me- diazione onde  i  Positivisti  mostrano  d'aver  coscienza dell'  Assoluto  sia  contraddittoria.  Essi  protestano  di  non saper  nulla,  di  non  poter  nulla  sapere  di  metafisico;  ma nel  fatto  confessano  un  nescio  quid,  la  realtà  d' un  ob- bietto  trascendente.  Lo  confessano  in  maniera  empirica, e  si  contraddicono  anche  qui,  perché,  dichiai'andolo  Inconoscibile, negano  così  l' esigenza  più  vivace  della  ricerca,  negano  il  metodo  positivo,  negano  la  critica  severa  e feconda.  Positivisti,  Critici,  Scettici  o  com’altrimenti  si chiamino  cotesti  filosofi  déW  avvenire,  non  hanno  e  non vogliono  aver  fede  nell'  indagine  d' un  sapere  metafisico. Essi  dunque  condannano    medesimi,  il  proprio  metodo, la  ragione  e  la  storia  della  scienza,  poiché  non  fanno che  perpetuare  un  aristotelismo  fiacco,  empirico,  unila- terale, impotente,  negativo.  Ad  un  opposto  resultato riesce  il  neoaristotelico  iperpsicolggista.  L'idealista  as- Bolnto  dice  di  conoscer  l'Assoluto,  d'intenderlo  nel  senso più  stretto  di  questa  parola,  perchè  lo  fa  solo  in  pen- sandolo, e  ripensandolo  il  rende  a    stesso  traspa- rente. Chi  conosce  Bram  è  già  Bram,  dice  il  filosofo  indiano. Chi  giugne  a  pensar  Dio,  l'infinito,  ci  dicon gl'Hegeliani,  egli  è  già  Dio,  è  già  l'infinito.  Ma  il  modo con  che  pervengono  a  pensarlo,  il  processo  di  mediazione, non  è  processo,  non  procede,  non  cammina,  ma    in  sé rigira,  direbbe  l'ALIGHIERI,  poiché  riman  sempre  nel mondo  del  più  puro  pensiero,  del  subbiettivismo,  in  quel letto  di  Procuste  appellato  formalismo  logico,  come  del- l' Hegelianismo  dice  un  illustre  scrittore  vivente  di  Germania.' Cotesto  processo  quindi  é  una  mediazione  bugiarda, perchè  non  é  vera  e  legittima  conversione. Quell'ombra,  dunque,  di  dottrina  metafisica,  quel vano  conato  di  conoscenza  trascendente  che  ci  porgono  i Positivisti  col  confessare  la  realtà  d'unDews  absconditus ci  rappresenta  una  delle  forme  costituenti  la  prima  |)0- sùnone  speculativa;  la  quale  perciò,  chi  guardi  alla  legge istorica  aristotelica  secondo  cui  si  svolve  il  pensiero filosofico,  s'addimostra  tutt' altro  che positivo,  in  quanto  che  ci  rappresenta  l'esagerazione del  Dommciismo  empirico.  La  dottrina  hegeliana  poi neir  attingere  a  modo  suo  l' Assoluto  e  nel  determinarlo, ci  rappresenta  invece  la  seconda  posizione  speculativa, ed  è  l'esagerazione  del  processo  deduttivo,  in  quanto é dommatismo  sistematico  assoluto;  e  neanche  questo merita  nome  di  positivo.  I  Neoaristetelici  moderni,  dun- que, sia  che  per  necessità  di  sentimento  e  d' opinione  e d'istinto  pongano  l' Inconoscibile,  sia  che  a  furia  di  spe- culazione trascendentale  pongano  l'Indeterminato  come un  absdute  Prius,  partono  dall'ignoto;  partono  dal- l' impensabile.  Essi  movono  dal  buio,  o  riescono  al buio:  talché  rassomigliano  a  que'  filosofi  di  cui  parla  Aristotele, i  quali  fanno  nascer  tutte  cose  dalla  notte:  ol *  CoLEBBOOKE,  PhiL  dea  HindotUf   Ess.  II.  Gbbvihub,  Hìh,  du  IHx*Neuviéme  SihUe,  Paris. fx  vuxTo'c  7fvvo3vTic.  Perciò  i  Neoaristotelici,  s' appellinQ Hegeliani  o  Positivisti,  meritano,  comecché  per  ragioni diflFerenti,  il  titolo  di  filosofi  della  notte;  mentre  i  Neo- platonici con  le  vantate  visioni,  intuizioni,  splendori, irradiamenti  e  influssi  divini,  ben  ci  figurano  i  filosofi del  giorno  e  della  luce. Il  positivo  nel  conoscere  metafisico  non  istà  nella immediatezza  de'  Neoplatonici,  e  neanche  nella  media- zione de'  Neoaristotelici.  In  che  dunque  vuol  farsi  consistere? Re LA  RICERCA  DELL'ASSOLUTO SECONDO  LA  RAGION  FILOSOFICA  POSITIVA, altrove  notammo  come  l’essere  s' incarni  e  sostanzii  ne'tre  processi,  ideale^  naturale,  istoricO'Sociologko: e  come  il  Vico,  a  significare  l'indipendenza  di  ciascuno e  insieme  la  comune  legislazione,  siasi  ben  apposto  nel chiamarli  a  Mondo  delie  Menti  e  di  Dio^  Mondo  della Natura^  Mondo  dello  Spirito. Avvertimmo  altresì che  le  scienze  le  quali  studiano  lo  spirito  in  sé stesso  indipendentemente  dallo  svolgimento  isterico,  si adunan  tutte  nelle  tre  discipline  fra  loro  distinte  eppur connesse  in  unico  organismo,  i  cui  tre  momenti,  per così  esprimerci,  sono  il primo  psicologico,  il primo  logico  e’1 primo  vero metafisico. Ora  il processo ideale  è  la  dialettica;  la  quale  vo- lendo essere  avvisata  sotto  doppio  rispetto,  ideologico e  metafisico,  è  davvero,  come  l'han  sempre  designata  i Platonici  ed  i  neo platonici,  una  scala;  ma  una  scala  a doppio  congegno;  una  scala  ascensiva  e  discensiva,  come direbbero  certi  viventi  critici  francesi  nell' interpretare il  Parmenide  di  Platone,'  In  qnanto  ascensiva,  è  ideologia  ;  e  V  ideologia,  se  non  avesse  alcun  valore  dialet- tico, altro  non  sarebbe  che  una  serie  di  norme  logiche e  un  cumulo  di  leggi  e  d'attinenze  onninamente  formali. Essa  dunque  rappresenta  il  processo  eduttivo. Questo  processo  muove  dal  Primo  logico,  e  riesce  al Primo  vero  metafisico;  e  vi  riesce  col  mezzo  delle idee  (ntpi  iSé(av)  che  sono  il  medio  per  eccellenza,  lo strumento  pili  acconcio,  più  legittimo,  e  perciò  la  prova razionalmente  positiva  per  potere  attinger  la  notizia  del- l'Assoluto. In  quanto  poi  la  dialettica  è  discensiva,  è metafisica;  ed  è  metafisica  perchè,  giunti,  come  accen- nammo, al  sommo  della  scala,  il  Primo  vero  meta- fisico assume  valore  di principio  metafisico  che  è  an- ch'egli  .processo  e  conversione  con    e  col  fuori  di sé.  In Vico  é  abbastanza  chiara  l'esigenza  di  questo doppio  rispetto  della  dialettica  laddove,  nella  sim- bolica Dipintura  della  Scienza  Nuova,  pone  il  pen- siero e  l'essere  come  formanti  un  organismo,  un  sol mondo,  il  Mondo  delle  Menti  e  di  Dio.  Vedi  per  es.  Jankt,  Étude  »ur  la  Dicdectìque  ecc.,  ed.  cit.  p.  Vaoherot,  HÌ9t.  critique  de  VÉcole  (TAlex.^  NoCTRlsSOir, Expo8Ìtion  de  la  Théorie  pUUonieienne  de$  idée»,  PftHs,  Simon,  HìH.  de  VÉcole  d'Alex. Perchè  le  idee  tornino  fruttuose  han  d' avere  un  valore  dialettico. Cons.  a  questo  proposito  Plat.,  De  Rep.,   Sop}i.\  — Abist.,  Metaph.,  Proclo,  Comm,  in  Parm.  Il  metodo  dialettico beninteso  risale,  secondochò  notammo,  a  Socrate,  come  quegli  che trasferi  tale  parola  dagli  usi  della  vita  (^ta'kéyt'jBxL^  eonvereare),  agli usi  della  scienza.  Però  dialettica,  nel  suo  razionale  significato, indica  la  convenione  della  mente,  vuoi  con    medesima,  vuoi  con  altro.  Vico  intende a  meraviglia  tale  origino  istorica,  nonché  Tapplicazione  speculativa  alla scienza,  laddove  afferma:  V  ordine  delle  umane  cote  i  d*  ouervare  le  cote SIMILI,  prima  per  ISPIROASSI,  dipoi  per  provabr  ;  e  ciò  prima  con  V  ESKM- PLO  che  ti  contenta  d*  una  coea^  finalmente  con  V  INDUZIONE  che  ne  ha  hi' eogno  di  piò:  onde  Socrate,  padre  di  tutte  le  eitte  de*filo9ofi,  introdueee la  Dialettica  con  l’Induzione  che  poi  compiè  Aristotele  col  eillogiemo eJte  rum  regge  senza  un  universale,  {Se,  Nuo.)  Veggasi  quel  che  abbiamo discorso  quant*  al  metodo. Ricordiamoci  che  per  noi  la  metafisica  non  ò  sdema  aeedlmUi,  bensì Il  nodo  gordiano  della  filosofia,  e  però  la  chiave della  metafisica,  son  le  idee.  Se  il  lettore  ha  badato  al processo  e  alla  genesi  psicologica  che  assai  fuggevol- mente venimmo  tratteggiando,  avrà  potuto  indurre  qual sia  e  qual  debba  essere,  secondo  V  esigenza  del  filoso- fare positivo,  r  origine  e  la  natura  delle  idee.  Coteste idee  non  sono  entità  puramente  formali,    puri  concetti dello  spirito.  Non  sono  essente  sparate,  almeno  quelle intomo  alle  quali  (come  usava  dire GALILEI)  possiamo *  discorrer  noi  umanamente;  e  però  non  sono  sostanze esteriori,  come  Aristotele  interpreta  i  napaStiyyiotrx  del filosofo  Ateniese.  Non  sono  concetti  innalzati  ad  univer- salita  determinata  ne^  quali  col  chiudersi  il  circolo  del- l' essere  si  esauriscano  ed  assolvano  le  ragioni  delle  cose, com'  è  per  gl'Idealisti  assoluti.  Non  sono,  a  dir  proprio, le  cose  stesse  nelle  assolute  lor  qualità.  E,  finalmente, non  sono  quasi  altrettanti  simboli,  o  spiragli  attraverso cui  si  affaccia  al  pensiero  l'Assoluto.  Le  idee  costituìscono  il  prodotto  del  processo  psicologico. Elle  dunque sono  una  fattura  di  nostra  mente:  son  la  mente  stessa, direbbe  Vico,  ma  la  mente  in  quanto  è  Magione  spie- gata. Ecco  le  idee  umane,  sul  cui  svolgimento  s'imba&a tutto  l'edifizio  e  tutto  il  valore  della  Scienza  Nuova.* Mcienxa  ddP  à»9oIìUo  in  quanto  è  Critica  del  Vero.  Però  accettiamo  anche qui  la  sentenza  che  costituisce,  diremmo,  la  chiave  dell*  indiriuMo  medio dell*  Aristotelismo.  Per  Aristotele  la  Metafisica  è  «ciennadeU^AatolìUo;  e questa  scienza  dell'Assoluto  è  anche  logica,  logica  in  «2,  logica  in  quanto considera  l'essere  »n  «è,  realmente  :  to'  sgw  ov  xai  x^/^'^l^v. {Metaph.):  il  che  consuona  con  la  sentenza  di  Vico  riferita  altrove: Quello  che  è  metafiaica  in  quanto  contempla  le  cote  per  tutti  i  generi  delV  e»- aere,  lo  tteseo  è  la  logica  in  quanto  considera  le  coee  per  ttUti  i  generi  di Bignifienrle.  Col  pensiero  d’Aristotele  poi  rinverga  il  concetto  del  suo  maestro. Platone,  come  ò  noto,  appella  filosofi  quelli  a’  quali  ò  dato  asseguir  la notizia  di  ciò  che  è  costante  e  assoluto  (^cXóaoooc  jiasv  oc  toù  àcc xxT«  rauToè  wc«i»tw;  e;^ovTo;  5«và^«ovi  SfxnrtfrOxt.  Bep.y). A  prima  giunta  parrebbe  che  nella  dottrina  delle  idee  il  Vico  fosse un  filosofo  arciplatonico,  ma  non  è.  La  dialettica  platonica,  intesa  in  un  certo senso,  non  può  menomamente  prescindere,  come  osserva  il  Simon,  dalla  dot- trina della  reminiscenza:  La  euppreseion  de  la  remini»cenee  en  peycologie ut  la  négation  de  la  dialectique  et  de  la  tkéorie  de»  idée. Ma  se  le  idee  sono  il  moto  stesso  e  lo  stesso  esul- tato della  energia  psichica,  e,  come  tali,  chiudono  il  cir- colo della  natura  e  dello  spirito,  non  però  chiudon  sé stesse,  anzi  dischiudonsi,  e  col  dischiudersi  ci  mostrano di  lor  natura  un  intimo  riferimento  all'  Assoluto.  Se r  uomo,  lo  spirito,  secondo  la  nozione  del  nostro  filo- sofo, non  è,  a  dir  proprio,  Y  infinito  attuale  e  nemmanco r  attuale  finito,  ma  una  potenzialità  infinita,  una  po- tenza che  tendU  ad  infinitum,  ne  seguita  che  anche, le  idee,  sue  determinazioni,  voglion  esser  fomite  del doppio  carattere  della  finità  e  della  infinità,  sia  che  le si  considerino  nelle  intime  lor  attinenze  organiche,  sia che  nella  lor  solitaria  immanenza.  Dunque  l'idea  è genm,  è  forma  metaphysica,  e,  come  tale,  somiglia  alla forma  del  plasticatore,  anziché  a  quella  del  seme.  Ma anche  come  genere,  anche  come  forma  metafisica  l' idea è  finita  e  infinita:  finita  in  ampiezza  e  universalità;  infinita in  perfezione.'  Però  tiene  del  finito,  in  quanto  che un'  idea  non  è  l'altra;  e  tiene  poi  dell'infinito,  perchè  è).  Or  la  dottrina  psicologica  del  Vico,  secondo  che  noi  siamo Tennti  interpretandola,  contraddice  ad  ogni  platonica  reminiscenza,  ad ogni  maniera  d’intùito  iperpsicologico;  anzi  non  mancano  luoghi  ne^qaali egli  condanni  questa  dottrina.  (De  Univ.j'ur.)  Quanto  alla  scienza e  alla virtù,  dice  esser  cose  che  hisogna  edurle  dalla  mente  e  dairanimo come  fa  T  ostetrico  (De  Coruu  PhiL,  e.  I).  Non  è  poi  nniraffatto  platonica nò  quant’alla  natura,    quant’all’origine  delle  idee,  perchè  le  idre, per  lui,  non  sono  gli  eterni  veri  (essenze  separate  ed  esemplatriei)^  ma  sono entità  che  significano  l'assoluto  in  quanto  si  riferiscono  a  ]uì  [De  Univ.).  Non  sono  quindi  appreso  direttamente,  ma  fatte.  Vedi,  per  es., quel  che  dice  sul  generarsi  de*  generi  e  delle  forme  metafisicke,  le  quali a  nostris  pueris  primulum  bua  spontk  «xpZtcantur. E ciò  non  pertanto  gli  hegeliani  V  han  battezzato  o  seguitano  a  battezzarlo per  platonico  sviscerato  !  Neil'  altro  capitolo  vedremo  fino  a  qnal  segno e  per  qual  ragione  egli  possa  meritarsi  questo  titolo. Forma»  intelligo  metaphysioas  (pice  a  physieis  ita  diversce  sunti  « forma  plaatm  a  forma  seminis.  Plastce  mim  forma  dum  ad  eam  quid  fer- matur,  manet  idem  et  semper  formato  perfeetlor  ;  forma  seminis,  dum  quo- tidie  se  esplicai,  demutixtur  ae  perjicitur  magie:  ita  ut  formfn  pkysicct  sint ex  formis  metaphysieis  formatw  {De  Antiq.). Vedremo  fra  poco qual  valore  abbia  quest'ultima  sentenza. Genera  esse  formas,  non  amplitudine,  sed  perfezione  injìnitas. l'altra  e,  sotto  certo  rispetto,  tutte  le  altre.  La  legge  dia- lettica, dunque,  è  la  stessa  legge  universale  dell'  essere; legge  di  conversione;  legge  d'alterità  e  di  medesimezza. Sennonché  cotesta  conversione  ideale  non  è  semplice opposizione,  e  neanche  compenetrazione,  conciossiachè la  ragione  dell'un  termine  non  istia  solamente  nell'altro. Il  dialettismo  si  radica,  non  già  nelle  idee  come  opposte fra  loro  o  come  generate,  ma,  innanzi  tutto,  nel  soggetto che  le  genera.  Un'idea  non  è  universale  perchè  perfetta, ne  perfetta  perchè  universale.  E  non  è  finita  perchè infinita,    infinita  perchè  finita.  Questo  è  l'errore  delle dialettiche  a  priori  che,  levando  a  principio  l' opposizione per  r  opposizione,  riescono  ad  un  pretto  mecca- nismo ideale.  Un'  idea  è  infinita,  o  finita,  principalmente per  sé,  e  anche  per  l' àUra.  Se  dunque  la  lor  conversione non  è  equazione,    semplice  opposizione,  ne  consegui- tano due  cose:  V  ch'elle  non  chiudono  il  circolo; 2*"  eh'  esse  importano  l' ideato  nella  pienezza  di  sua  realtà. Si  vorrà  supporre  che  anche  cotesto  ideato  sia un'idea?  un'idea  madre?  E  allora  avrà  luogo  il  mede- simo discorso,  e  saremo  sempre  daccapo.  Si  vorrà  giu- gnere  all'idea  dell'essere  mercè  i  soliti  lambicchi  de' raf- finamenti e  assottigliamenti  astrattivi?  E  avremo  la nuvola,  non  Giunone!  Certo,  l' idea  dell'  essere  non  è come  le  altre,  finita  nell'ampiezza,  bensì  infinita,  uni- versale; ma  è  vuota,  è  vacua,    altro  è  capace  di  dare fuorché  yffi'kÒLi  evvoiaf.  Ella  comprende  tutto,  ma  non  racchiude nulla:  è  un  Primo  logico,  non  già  un  Primo  vero metafisico.  Dunque  vuol  esser  determinata;  stanteché debba  cessar  d' essere  infinita  per  universalità,  e  assu- mer valore  d'idea  infinita  per  perfezione.  L' ascensione dialettica  perciò  è  incalzata  dallo  stesso  principio  della conversione;  e  la  mente  deve  posare  in  quell'ideato che,  a  dir  proprio,  sia  un  ideato  dialettico,  ciò  è  dire conversione  piena,  assoluta,  vivente,  reale.  1  Generi f  dice  il  Vico,  aono  non  per  univer»alità,  ma  per  perfezione inJiniH:  e  questo  eeeere  U  brieve  e  vero  9en§o  del  lungo  e  intricalo  F€tnn&' Se  r  idea  è  infinita  non  per  ampiegm  ma  per_per- fmone,  perciò  non  va  confusa  col  concetto;  al  modo nide  di  Platone;  e  questo  intendimento  doverti  dare  alla  famosa  Scala ddle  Idee  onde  i  Platonici  pervengono  alle  perfeUianime  ed  eteme  (Bisp.  I, al  Oiom.  De’  Lett.).  Quanto  al  brieve  e  vero  senso  del  Parmenide  toc- cheremo più  giù. Dove  poi  Vico  dice:  Genera  esse  formasy  non  amj^itu- dinef  sed  ptr/ectione  injinitas^  tosto  SOggiugne:  et  quia  injinitas in  uno Deo  esse. Come  va  intesa  questa  sentenza?  In  quanto  le  idee  possie- don  carattere  dMnfinità  e  d*  assoluta  perfezione,  elle  sono  in  Dio;  e sono  in  lui  perchè  forman  tutte  assoluta  unità,  e  assoluta  totalità:  unitotalità.  Lo  avea  detto GALILEI  che  non  era  un  metafisico:  Le  idee,  perchè inJinitCf  sono  una  sola  ndV  essenza  loro  e  nella  mente  divina  (Op.,  ed.  Albóri,  Dial.  de*  Mass.  Sist,).  Ha  in  quanto  possiedon  Tubo  e r  altro  carattere,  elle  si  producono  e  rìseggon  nello  spirito,  nel  pensiero  ; sono  il  pensiero;  e  sono  finite  e  infinite  perchè  tale  è,  ripetiamo,  la  natura stessa  dello  spirito,  cioè  potenzialità  infinita.  Ne  viene  perciò  che,  ove  le idee  fossero  infinite  in  atto,  non  potrebbero  essere  altresì  finite.  E  dove fossero  solamente  finite  e  puramente  universali,  sarebbero  forme  vuote  e astratte,  e  però,  contraddicendo  air  intera  dottrina  psicologica  del  nostro filosofo,  cadremmo  nel  pretto  sensismo.  Or  le  idee,  le  nostre  idee,  non  sono infinite  e  perfette  perchè  siano  lo  stesso  Dio  o  pertinenze  di  Dio,  ovvero spiragli  ond*ei  s*  afikccia  al  pensiero,  come  dice  il  Mamiani  col  suo  lin- guaggio tinto  di  certo  color  poetico;  ma  son  tali  perchè  tale  per  T appunto è  il  soggetto  che  le  partorisce;  il  quale  perciò,  mediando    stesso come  potenziale  infinito,  deve  per  necessità  eduttiva  concludere  alla  notizia dell’Assoluto.  Di  qui  nasce  che  le  idee  non  possono  essere  infinite di  fatto,  e  ce  *1  dice  egli  stesso:  enim  vero  ista  genera  nomine  tenue  infinita, homo  enim  ncque  nikil  est,  ncque  omnia.  Quare  nee  de  nihilo  nisi  per  aliquid  negatum,  neo  de  infinito,  nisi  per  negata  finita  cogitare  potest.  Ai enim  omnis  triangulus  habet  angulos  cequales  duobus  rectis.  Ita  bene:  sed non  id  miìU  infinitum  verum,  sed  quia  habeo  trianguli  formam  in  mentGot imprcssam,  cujus  hanc  nosco  proprietatem,  et  cu  mihi  est  archetypus  cete- roruh. Fatta  dunque  l’idea,  tosto  in  essa  io riconosco,  non  già l’infinito,  ma  il  carattere  della  infinità:  hanc  proprie- totem  nosco.  Per  questa  proprietà  essa  diventa  un  archetipo,  diventa una  misura  {archetypus  ceterorum);  e  come  archetipo  e  misura  ella,  per me,  è  un  assoluto;  e  così  è  vero,  che  Vuom  tende  a  farsi  regola  deW  uni- verso,che  vuol  dire  tende  a  farsi  assoluto.  E  qui  toma  acconcio  il  ri- confermare quella  relazione  che  tra  le  opere  di Vico  altrove  procac- ciammo chiarire.  Nella  Scienza  Nuova  Tuomo  è  regola  e  misura  in  tre maniere,  secondo  i  tre  momenti  dello  svolgimento  isterico  ;    nella  fase 0  stato  divino,  per  credenza  e  per  sentimento;    nella  fase  eroica,  per arbitrio,  forza,  potere,  volere  ;  3  nella  fase  umana,  per  magistero  logico e  scienziale,  cioè  per  la  ragione  spiegata,^eT  le  idee  {idee  umane).  Ecco dunque  una  prova  novella  che  ci  mostra  come  la  Scienza  Nuova,  anziché contraddire  al  Libro  metafisico,  lo  esplichi  e  lo  legittimi  sempreppiù,  al modo  istesso  che  questo  riassume  le  ragioni  metafisiche  di  quella. istesso  che  l'intendimento,  secondochè  mostrammo,  non è  da  confondersi  con  la  ragione.  Tanto  Videa  quanto il  concetto  sono  una  dualità,  perchè  T una  e  l'altro  sono conversione,  giudizio,  e  però  medesimezza  e  distinzione. Ma  la  dualità  dell'  idea  è  l' universalità  e  \2l  perfezione; dovechè  quella  del  concetto  è  l' estensione  e  la  compren- sione. Nel  concetto  come  vedemmo,  ci  è  sempre  un'orma del  fantasma;  e  nell'  idea  v'  è  sempi-e  un'  orma del  concetto^  cioè  il  comune,  l'universale.  Or  chi  dirà che  il  concetto  abbia  carattere  d'infinità  solo  perchè  sia comune  e  universale?*  Il  circolo,  a  mo'  d'esempio,  in quanto  è  universale,  è  concetto;  ma  in  qijanto  racchiude la  nota  essenziale  ond'  e'  si  discerne  da  ogn'  altra  no- zione, è  quello  che  è  ;  è  perfettissimo  ;  è  infinito;  e  così lo  pensa  Dio  come  l'uomo. Si  vero  id  contendane  etse  injinitum  gentu  (cioè  che  i  tre  angoli d*aii  triangolo  rettilineo  siano  eguali  a  due  retti,  eh' è  l'esempio  rife- ritopoco  fa  dallo  stesso  Vico),  quia  ad  eum  trianguli  archettfputn  accom- modari  innumeri  trianguli  po«8unt,  id  tibi  habeant  per  me  licet;  nam vocabulum  iÌ9  lubens  condono,  dum  ipti  de  re  mecum  eentiant.  Sed  enim  per- peram  loquuntur,  qui  decempedam  dixerint  injinitam,  quod  omne  extenaum ad  eam  normam  metiri  poannt,  >  {De  Antiq.) '  Galileo  nota  stupendamente  questo  privilegio  del  pensiero    dove distingue  V  intendere  extensive  dair  intendere  intensivCf  confermando  così la  dottrina  di Vico.  Vintenèive  del  filosofo  pisano  è  il  perfettamente^ com*  egli  stesso  dichiara.  Ora  v*  ha  cognizioni,  egli  dice,  le  quali,  guar- date sotto  il  rispetto  della  inteneìtà  e  della  perfezione,  agguagliano  le  di-rine  neUa  certezza  obbiettiva^  perchè  con  essa  arriviamo  a  comprenderne la  nec€99Ìtà  sopra  la  quale  non  par  che  posta  essere  sicurezza  maggiore, {Dial.  de'  Mass.  Sist,j)  Gli  esempi  co'  quali  GALILEI procaccia  chia- rire tale  idea,  son  tolti  dalla  matematica;  e  la  matematica,  anche  per lui,  è  una  fattura  della  mente;  e  però  la  certezza  e  la  necessità  ond'ei parla  scaturisce  immediatamente  dalle  leggi  stesse  della  psicologia.  So che  il  Neoplatonico  neanche  qui  si  darà  pace,  ed  opporrà  la  solita  in- Titta  necessità  di  certi  yeri  che,  vada  o  Tenga  il  pensiero,  sono  e  saran sempre  quello  che  sono.  A  questa  difficoltà  ahhiamo  già  risposto. Il due  e  due  fan  quattro  (direbbe  un  neoplatonico  alla  Maminni) gli  è  un  vero  assoluto  e necessario, né  io  posso  pensare  il  contrario; dunque  T*ha  in  lui  qualcosa  che  non  m' appartiene; e  però,o  è  Dio,  o  è pertinenza  di  Dio.  Nient' affatto!  Io  non  posso  pensare  il  contrario;  ed è  yerissimo:  ma  perchè  non  posso  pensarlo?  Perchè  non  posso  contraddirmi; ecco la  ragione  immediata. Il  regno  della  logica  non  è  il  regno Or  se  tale  è  l’organismo  delle  idee,  è  impossibile che  il  pensiero partorisca  e  generi  un'idea  la- quale sia  infinita  così  nelF  ampiezza  come  nella  perfezione. Se  potesse,  e'  già  sarebbe  V  infinito  in  atto.  Se  potesse, egli,  col  farsi,  già  sarebbe  un  fatto.  Ma  così  non  si contraddirebbe? Non  annullerebbe    stesso  anche  qui? La  conseguenza,  dunque,  parmi  chiara:  il  pensiero,  questo nostro  pensiero  con  tutto  il  suo  ^contenuto,  non possiede  l' essere,  non  è  l'essere,  non  si  compenetra  con r  essere. Questa  invincibile  manchevolezza  d'  essere, questa  insuperabile  impotenza  d' essere,  come  ci  si  rivela? quand'  è  che  ci  si  rivela?  Precisamente  nella  stessa impossibilità  d'afferrare  e  fermare  il  pensiero  nell'o/to. Ed  è  impossibile  poter  cogliere  e  fermare  quest'atto, appunto  perchè  lo  spirito,  pensando,  è  già  un  atto,  è già  faUo  (actum).  Or se  non è  atto,  non  ci  ha  da  esser r  atto  ?  Io  penso  l'essere;  io  son  l'essere: eppure  non sono  la  realtà  dell'essere!  Dunque  la  stessa  impossibilità a  dedurlo  come  tale,  mi    il  diritto  a  concluderne  la realtà.  Il  che  accade  per  una  ragione  detta  e  ridetta, che,  cioè.  Essere  e  Pensiero  non  sono  l' uno  in  due  (come direbbe  lo  Spaventa),  non  sono  l' identico  nel  diverso, ma  sono  il  due  in  wwo,  sono  piuttosto  il  diverso  nell’identico. E  qui  ci  è  dato  scorgere  sempre  più  netta- mente V  errore  degl’intuitisti  e  ie^  mediatisti.  Cotestoro, come  vedemmo,  voglion  rintracciare  la  ragion  dell'assoluto e  dell'  infinito  nel  pensiero,  e  ricorrono  ad  espedienti opposti  e  contrari.  Gli  uni  ci  dicon  che  la  mente colga  immediate l’Assoluto;  gli  altri,  che  lo  faccia. Ora chi  dice  di  vederlo,  per  me,  sogna  ad  occhi  aperti;  e senz'  addarsene  resta  impaniato  nel  panteismo.  Chi  poi dice  di  farlo,  sogna  anche  lui  e,  per  di  più,  diverte  la doli*  arbitrio.  E  perchè  poi  non  posso  contraddirmi?  Giusto  perchò  lo stesso  pensiero  è  quello  die  nel  due  e  due  fan  quattro  pone  gl’elementi e  le  condizioni  del  giudizio:  le  quali  io  non  potrei  negare,  senza  distrug- gere il  mio  stesso  pensiero.  Se  potessi,  ne  verrebbe  che  io  farei,  e  non farei:  cioè /arci  il  nulla t gente  con  indovineUi  da  algebrista,  e  finisce  per  immergersi nel  nulla:  talché  anniillando  cotesto  assoluto,  la  sua deduzione  riesce  davvero  ad  \m3i  bestemmia. Il neoplatonico s' affida  ad  un  intùito;  e  così  esagera l’impotenza in  cui  è  il  pensiero  d' esser l’essere. Il neo-aristotelico hegeliano, al  contrario,  s'affida  a    stesso;  e  così  esagera la  potenza  del  suo  pensiero  adequandolo  all'  essere. Entrambi  dunque  deducono;  ma l'uno appoggiandosi neh' obbietto  intuito, o nell’Ideato presente al  pensiero; l’altro,movendo  dsàll’indeterminato  cólto  o  posto per  astrazione  immediata  e  subitanea.  Illusione  l' immediatezza dell' uno!  illusione  e  arzigogolo  logico  la  mediatezza  dell' al trol  Non  intùiti,  ne  posizioni  a  priori: non  immediatezza,    mediatezza,  ma  conversione,  ma processo  del  pensiero  con  l'essere.  Le  idee  non  sono r  Assoluto significativo,  l' ente  in  quanto  sigtii/ica,  in quanto  presenta    stesso  al  pensiero:'  ma  é  lo  stesso pensiero quello  che  per    medesimo  é  significativo  del- l'Assoluto,  in  quanto  é  Bagione  spiegata.  Brevemente: se  r  idea  è  mezzo,  eli'  è  il  pensiero,  ma  è  il  pensiero in  quanto  rappresenta  l'Ideato,  non  già  l'Ideato  in quanto  s' affaccia  al  pensiero.  Or  qui  si  compie  nella sua  vera  forma  la  funzione  eduttiva. Parlando  della  genesi  e  classificazione  delle  varie  discipline dicemmo,  le  scienze  eduttive  ridursi  ad  una  sola, ed  esser  la  filosofia.  La  filosofia  s' intrinseca  con tutte  le  scienze;  e  però  é  anch'olla  induttiva  e  deduttiva la  sua  parte.  Ma  anch'essa  é  autonoma,  anch'essa  è trascendente,  e  come  tale  è  di  natura  eduttiva;  poiché non  cessando  d'alimentarsi  de'  tesori  adunati  dalle  altre discipline,  nondimeno  sa  e  può  trovare  alimento  in  sé stessa,  e  per  sua  propria  virtù.  Se  le  idee  infatti  hanno lor  fondamento  in  natura,  nessuna  funzione  basterebbe *  Hine  adeo  impiat  euriontatit  notandi,  qui  Deum  Optimum  Maximum a  priori  probare  ttudeiU:  nam  tantundem  ettet,  quantum  Dei  Deum  «e  /a- oere,  et  Deum  negare,  quem  quixrunt.  (Vico,  De  Antiq.) ROVERE,  Lett.  al  DoU.  BrentoMMoUf  424  DILLA  DOTTBiNA  ulosoiioa.  [lib.  n. a  scioglierle  da'  viluppi  delle  sensate  apparenze,  ove  la stessa  mente  non  sapesse  pai*torirle.  Tra  il  fantasma e  l'idea,  tra  la  forma  metafisica  e  la  fisica^  c\  è  quel  me- desimo intervallo  esistente  fra  il  senso  e  la  ragione.  Or tuttoché  le  idee  pongan  radice  nella  natura  e  si  muo- vano in  questa,  nondimeno  con  lieve  soccorso  del  senso elle  possono  esser  generate  dalla  mente,  poiché  a  concepir r  idea  del  circolo,  o  meglio,  a  fissare  il  concetto del  circolo  nella  nota  che  costituisce  la  sua  perfezione e  trasformarla  in  idea  o  forma  metafisica,  non  v'  ha mestieri  di  prolungati  lavori  d'astrazioni  e  di  generalizzazioni. La  mente  perciò  nel  concepirle  fa  altrettanti giudizi  eduttivi.  Il  giudizio  eduttivo  è  diverso,  così nella  forma  come  nel  contenuto,  dal  giudizio  induttivo, e  dal  deduttivo.  Il  suo  carattere  specificante  dicemmo radicarsi  innanzi  tutto  nella  relazione  de'  suoi  termini, e  quindi  nell'  origine  dell'  attributo.  L' attributo  non  è dato  dal  fatto;  e  però  non  è  sintetico  a  posteriori. Non è  ricavato  dal  soggetto  e  applicato  al  soggetto  stesso come  parte  del  suo  contenuto;  e  quindi  non  è  di  natura analitica.  Non  è  ripetizione  del  medesimo  soggetto  ; e  quindi  non  è  identico. Il  giudizio  eduttivo  serba  in- '  Se  pensare,  come  altrove  mostrammo,  è  giudicare,  e  giudicare  è un  atto  di  conversione  in  quanto  che  convertire  è  scorger  la  medesimezza e  la  differenza  ad  un  tempo;  ne  viene  che  il  giudizio  è  la  sintesi  di  due elementi,  convertione  del  vero  col  fattOf  sintesi  della  medesimezza  generica (vero)  e della  diversità  specifica  (fatto). Ora  guardando  alla  funzione speciale  onde  la  mente  forma concetti  e  giudizi,  ricavammo  esser  tre i  sommi  generi  a  cui  essi  potranno  rimonarsi,  e  li  appellammo  induttivi, deduttivi,  eduttivi.  Questa  divisione  è  essenziale,  perchò  si  fonda  prin- cipalmente nella  differenza  del contenuto  de’ giudizi,  e  perchò    origine alle  tre  funzioni  metodiche. Si  fonda  dunque  su  la  dottrina  della  cono- scenza e  della  scienza,  e  perciò  è  razionale  e  cpmpiuta.  L'atto  del  giudicare, Infatti,  ò  sempre  identico  nella  sua  forma  logica,  poiché  è  sempre una  conversione  al  pari  del  concetto  ond' emerge;  ma  differisce  nel  contenuto, ed  ecco  r origine  delle  tre  differenze  di  giudizi.  Tutte  quelle  in- numerevoli distinzioni  e  classi  e  divisioni  e  suddivisioni  di  atti  giudicativi fatte  da  Aristotele  sino  al  Kant  e  a SERBATI,  sono  spartizioni secondarie,  le  quali  riguardano  l' estensione,  la  quantità,  la  relazione,  la forma  e  l'indole  de' giudizi;  ma  riescon  tutte  incompiute. dole  essenzialmente  sintetica,  e  però  sgorga  dallo  stesso pensiero  per  virtù  e  necessità  eduttiva.  Ma  qual  sorta di  sintesi  è  cotesta?  Non  è  sintesi  a  priori  nel  senso de' Neoplatonici,  perocché  l'obbietto  non  è  dato  da nessun  intùito  o  visione  trascendentale.  Non  è  sintesi nel  senso  dell'  Idealismo  assoluto  e  del criticismo,  perchè r  obbietto  non  è  posto  per  mera  legge  dialettica, e  neanco  per  non  so  qual  cieca  necessità  subbiettiva. Il giudizio  eduttivo  è  un  vero  atto  sintetico,  un  atto sintetico  trascendentale  per  eccellenza  perchè  l'attributo non  è  nel  soggetto,  e  nondimeno  è  posto  dal soggetto. Qual  è  l'oggetto  di  questa  sintesi  trascendentale? È  appunto  ciò  che  le  forme  metafisiche  possiedon  di  comune. È  ciò  che  nel  concetto  e  nelle  determinazioni ideali  scopriamo  d' infinito,  non  già  nell'ampiezza,  ma sì  nella  perfezione. La  funzione  eduttiva  dunque  è  funzione dialettica,  dialettica  ascensiva. Perciò  eduzione delle  idee  non  vuol  dir  la  pura  e  semplice  generalizza- zione delle  qualità  dell'essere: vuol  dire  accrescimento dell'  essere;  vuol  dire  concentramento  dell'  essere  nella [I  griudizi  iintetici  a  priori  di  Kant  non  sono  propriamente  apriori, ma  si  riducono  a  giudizi  analitici. Il  processo  conoscitivo  è,  per  dir  così,  nna  catena,  gli  estremi della  quale  sono  due  sintesi,  e  però  due  forme  di  conversione; l’una  di esse  è  originaHay  e  l'altra  finale.  Quella  precede,  come  si  disse,  ogni riflessione, e costituisce  il  primo  psicologico, l’unidualità  primitiva;  la quale,  facendo  possibile  la  formazione  de'  concetti  mercè  il  processo psicologico,  toglie  queir  apparente  petizion  di  principio  tra  la  necessità per  cui  ogni  giudizio  deve  importare  il  concetto,  e  la  necessità  ondMl concetto  debb'  essere  un  atto  giudicativo.  La  sintesi  finale  poi  riesce  al Primo  vero  metafieico^i]  quale  devesi  convertire  col  Principio  metafisico. Avviene  perciò  che  la  sintesi  originaria  sia  costituita  dal  pensiero  e  dal suo  obbietto  che  è l’essere  in  quanto  indeterminato;  e  però  è  sintesi naturale  essendo  posta  dalla  stessa  natura. La  sintesi finale  per  contrario,  ha  per  oggetto  1’essere  determinato  ideale,  e  de- terminabile in  quanto  reale;  e  )»er  ciò  è  sintesi  superiore  alla  natura essendo  prodotta  dallo  stesso  pensiero.  Queste  due  sintesi  dunque  sono due  giudizi  d'indole  sintetica,  ma  diversissimo  n'è  il  contenuto;  per  la ragione  che,  se  nel  primo  d'essi  l'obbietto  è  posto  da  natura,  nel  secondo è  posto  dalla  stessa  mente. sua  idealità.  Or  se  tale  è  la  natura  di  questa  funzione accade  che  il principio  ond'  ella  è  governata non  possa  esser  quello  d' identità,  di  repugnanza,  di causa  e  simili;  stantechè  qui  non  si  tratti  di  logica  formale la  cui  materia  è  costituita,  in  generale,  da' giudizi deduttivi,  ne  di  logica  induttiva,  i  cui  giudizi  ri- posano sul  principio  di  causalità  e  di  sostanza  empiri- camente intesi.  Se  il  fine  della  logica  formale  sta  nel fissar  le  norme  del  ben  pensare,  e  il  fine  della  logica induttiva  nel  porgere  i  criteri  a  fruttuosamente  sperimentare; è  chiaro  esser  necessaria  una  logica  la  quale sappia  ritrovare  il  vero  facendolo,  se  pure  s' ammette che  la  metafisica  abbia  da  essere  una  critica  del  vero. Ed  è  chiaro  altresì  esser  necessario  un  principio  che sappia  guidarci  nel  processo di  siffatta  critica,  il  qual principio  è  appunto,  come  altrove  toccammo,  quello della conversione. Or  questa  funzione  eduttiva,  di  natura  essenzialmente dialettica,  non  va  dall'effetto  alla  causa,    dalla causa  all'  effetto  :  non  va  dalla  sostanza  alla  determina- zione, né  dalla  determinazione  alla  sostanza.  Le  idee  non sono  effetti,  non  sono  risultati,    determinazioni  dell'As- soluto. Se  così  fosse,  come  sarebbe  possibile  il  transito dialettico?  Il  passaggio  dialettico (nopsisi)  è  solamente possibile  dov'è  possibile  medesimezza  e  differenza; dov'è possibile  intervallo  e  continuità;  dov'è  possibile, insomma,  conversione  di  termini.  I  termini  in  quest'  or- dine di  cose,  da  una  parte,  sono  le  idea,  la  Eagiotie spiegata  ;  dall'  altra  sono  le  stesse  idee,  le  stesse  forme metafisiche,  ma  in  quanto  concludono  nel  loro  ideato, neir  ideato  come  Principio  e  Mente  reale,  nell'  ideato che  basti  a    stesso  (ro^izavov),  nell'ideato  che  nulla suppone,  ma  che  si  pone  (ro  ocvuttoOstov).  Intanto  la  ragione, tuttoché  secondo  le  leggi  altrove  notate  del  pro- cesso psicologibo  debba  mover  dalla  natura  e  dal  senso, nondimeno,  come  tale,  è caussa sui (suitas);  e  l' effetto  di tal  cagione  è  la  scienza,  le  idee,  le  quali,  in  quanto  forme metafisiche,  si  riferiscono  all'Assoluto.  E  cotesto  Asso- luto alla  sua  volta  è  Caussa  sui  (Aseitas),  ma  è  anche cagione  del  mondo  in  quanto  è mente;  e  l'effetto  di tal  cagione  è  lo  spirito,  non  già  come  Ragione  spiegata, come  Nove,  come  attualità,  ma  come  virtualità,  po- tenza, materia,  natura,  conato.  Ora  questa  evidente- mente è  conversione,  e  quindi  è  sintesi  eduttiva.  Ed è  tale  in  quanto  procede  da  causa  a  causa,  in  quanto concatenando  caussas  caussis le  annoda  e  di- stingue ad  un  tempo,  perchè  in  realtà  le  s'immedesimano e  si  distinguono  anche  fra  loro.  Il perchè,  se  da  una parte  qui  abbiamo  le  idee,  le  forme  metafisiche,  la  ragioìie spiegata,  la  coscienza,  il  vero;  mentre  dall'altra  abbiamo r  Assoluto,  r  Assoluto  in  quanto  è  mente,  in  quanto è  la  Mente,  in  quanto  è  il  Fatto  per  eccellenza;  in  una parola,  se  da  una  parte  abbiamo  quel  che  VICO (si veda)  dice le  Menti,  e  dall'altra  Dio:  ne  viene  che  in  questo  Motido delle  Menti  e  di Dio, in  quest’organismo  del  pensiero con  r  essere,  il  passaggio  dall'  un  termine  all'  altro  non è  processo  deduttivo,    tampoco  induttivo,  ma  è  pro- cesso essenzialmente  eduttivo,  perchè  anche  qui  ha  luogo la  conversione  del  vero  col  fatto,  cioè  la  conversione  delle Menti  con  Dio,  della  logica  con  V  ontologia,  dell'  ideo- logia con  la  metafisica.  Sarà  un'  alchimia  anche  questa  ? Potrebbe  stare.  Ma  chi  ben  la  consideri,  anziché  un'al- chimia, scorgerà  in  essa  il  fondamento  della  prova  le- gittima, vera,  positiva  intorno  all'Assoluto. Le  tre  ordinarie  maniere  d’argomentare  resistenza  di  Dio  furon ben  cento  volte  dimostrate  deboli,  incompiute,  fallaci,  per  la  solita  ra- gione che,  non  racchiudendo  processo,  mancano  perciò  di  valore  propria- mente dimottratico.  Il  cosi  detto  argomento  ontoìogicOf  per  es.,  qaalanque ne  sia  la  forma  datagli  da  Anselmo d’AOSTA,  Cartesio,  Malebranche,  Fénelon,  Leibnitz,  Gerdil,  SERBATI, GIOBERTI, ROVERE e  simili,  non  può  concludere  alla realtà  assoluta,  perchè,  comunque  e'  si  squadri,  ha  sempre  nn  valore  deduttivo. Gli  argomenti  poi  dettiyì«ico,  moralcf  ootmologieOf  sono  sfomiti  d*  ogni rigor  di  prova  razionale,  in  quanto  che  si  riducono  alla  forma  induttiva, la  quale,  in  tal  caso,  racchiude  nna  petizion  di  principio. Laonde  se  la deduzione  move  da  un /ntùtto, siamo  nella  ipotesi;  e  la  scienza  non  può accettar  le  ipotesi  come  principi],  tnttochò  se  ne  possa  e  debba  giovare È  dunque  vero,  è  verissimo  che  l' uomo  da    e  con la  propria  mente  faccia  Dio.  E  lo  fa  dapprima  col  senso, poi  con  r  immaginazione,  da  ultimo  con  la  ragione.  Col senso  lo  vede  immediatamente  nella  natura,  lo  sente  nella natura.  Con  l'immaginazione  lo  vede  attraverso  alla natura,   ma  lo  sente  in    medesimo.  Con  la  ragione lungo  il  suo  processo  come  d'altrettanti  mezzi.  Se  poi  muove  da  un  Indeter- minato f  siamo  nel  formalismo  psicologico,  nell*  arbitrio  logico,  e  però  si  riesce agi*  indovintUi  da  algebristi,  l’una  forma  di  deduzione  perciò  non  dimostra, cbè  anzi  invoca  appunto  l'Assoluto  per  dimostrare:  T altra  invece  dimostra troppo,  e  perciò  non  dimostra  nulla.  Dunque l’argomento  eduttivo  o  della eonveraionef  che  noi  contrapponiamo  a  qualunque  forma  di  deduzione  e d*  induzi  one,  è  prova  legittima,  stantechè  racchiuda  il  vero  termine  medio, il  vero  m«szo  tra  il  mondo  e  l’Assoluto.  Il solo  Trendelenburg  ha  parlato d'  una  forma  di  prova  ch’ei  chiama  argomento  logico,  il  quale  potrebbe avere  alcun  riscontro  col  nostro.  Ma  non  poche  sarebbero  le  difficoltà nelle  quali  intoppa  il  dotto  tedesco,  chi  guardi  al  concetto  del  moto ch’ei pone  a  capo  delle  categorie.  Neil*  ordine  psicologico  noi  moviamo  dal vero  che  per  necessità  eduttiva  si  converte  col  Fatto:  e  ne  ricaviamo  che cotesto  FaUo  non  è  già  moto,  anzi  pensiero  per  eccellenza,  mentalità assoluta.  Or  bene  s*  e*  fosse  moto,  corno  saria  possibile  una  conversione  f E  mancando  la  possibilità  della  conversione,  come  farà, l’illustre  autore delle  Bioerche  Logiche,  a  salvarsi  dal  pericolo  d’un  vuoto  formalismo? Giova  qui  rispondere  ad  un'obbiezione.  Si  dirà:  cotesto  vostro  pe- regrino argomento,  in  somma  delle  somme,  si  riduce  ad  una  forma  d*  in- duzione. Dall' effetto,  andate  alla  causa;  dal  particolare,  al  generale; dalla  determinazione,  alla  sostanza;  dal  finito,  all'infinito.  Brevemente, dal  mondo  salite  a  Dio,  sia  che  consideriate  la  natura,  sia  che  lo  spi- rito, ovvero  le  idee. Rispondo:  induzione  pura  o  semplice,  'no;  ma  processo  induttivo: il  quale,  compiendosi  nel  processo  eduttivo,  assume  quindi  valore  d'ar- gomento razionalmente  positivo.  Dio,  a  parlar  proprio,  non  è  pura  so- stanza, causa,  essere  infinito  solitario;    il  mondo  è  pura  qualità  e determinazione, puro  effetto,  puro  finito  posto  dall'infinito.  Se  Dio  fosse cagione  semplicemente  presa,  il  mondo  (l'effetto)  ne  sarebbe  l'atto.  Se fosse  sostanza,  il  mondo  ne  sarebbe  la  modificazione. Chi  ci  salverebbe dal  panteismo?  Se  poi  fosse  infinito  ut  «ie,  perchè,  domanderò  io,  se  basta a  so  stesso  ha  da  porre  il  finito  ?  Dio  è  tutte  queste  cose,  infinito,  causa, sostanza  e  simili,  ma  è  tale,  perchò  principalmente  è  idea,  pensiero,  mentalità. Or  non  è  anch'  egli  mente  e  pensiero  l’universo?  L’argomento della  conversione,  dunque,  non  va  dal  mondo  a  Dio,  non  procede  dall’effetto  alla  causa  (ohe  non  procederebbe  davvero),  ma  va,  ma  procede da  causa  a  causa  annodandole  insieme.  E  le  annoda,  perchò  serbano  me- desimezza e  diversità;  le  annoda,  perchè  adopra  il  mezzo  delle  idee;  le annoda,  perchò  educe  le  idee,  e  perchò  queste  idee  converte  con l’ideato. Un’ultima  osservazione  che  avrei  dovuto  fare  già  in  altro  luogo:  me- Io  vede  nelle  sue  stesse  idee,  perchè  lo  fa  come  idea  ; e  così  r  uomo  (ripeto  la  bella  frase di GIOBERTI)  giunge a  rendere  a  Dio  la  pariglia.  L'idea  dell'Assoluto  ha  anch' egli  i  suoi  annali  ne'  diversi  momenti  della  storia  e del  processo  psicologico. Ma  nel  far  cotest'idea,  e  pro- prio quando  l'abbiam  fatta,  noi  somigliamo  a  quell'arte- fice che  s'affatica  e  suda  e  si  travaglia  nell' incarnare il  tipo  che  gli  splende  dinanzi  alla  fantasia,  mentre la  stessa  natura  potrebbe  offrirglielo  vivo  e  palpitante nella  infinita  ricchezza  delle  sue  creazioni.  Novello  e arditissimo  Prometeo,  il  pensiero  del  filosofo  non  abbi- sogna d' alcuna  scintilla:  la  scintilla  della  vita  s' agita già  vivissima  nell'opera  stessa  delle  sue  mani.  Perocché quando  il  pensiero  abbia  prodotto  l'idea  dell'Assoluto, e' tosto  s'accorge  d'aver  prodotto  quello  che  già  e'  era, quello  che  è  il  Fatto  per  eccellenza,  e  che  non  può  esser fatto  perchè  di  sua  essenza  è  il  Fare,  E  così  pure  ci  accorgiamo di  far  Dio  con  la  scienza  e  con  l' attività  riflessa, solo  perchè  è  egli  innanzi  tutto  che  fa  noi  come  potenza, perchè  siamo  potenza,  perchè  siamo  termine  del  suo  atto.  * glio  tardi  che  mai. GIOBERTI accenna  una  sola  volta  (quant’io  sappia) al  metodo  eduttivo,  e  lo  fa  consistere  nell*  andare  dal  particolare  al  par- ticolare, dal  generale  al  generale  (Protei).  £  precisamente la  funzione  deduttiva  come  la  intende,  per  esempio,  Miìl.  La  edu- zione di GIOBERTI f  com*  ò  eTìdente,  non  ci  ha  t;he  vedere  con  la  nostra. '  Questa  precisamente  è  la  facoltà  della  quale,  come  dice  Cartesio, ci  ha  saputo  fornire  la  stessa  natura,  e  con  la  quale  noi,  produeendo Videa  di  Dio,  conosciamo  Dio.  (2Ve  ossiano  forme  dell"  infinito, e  disponendole  le  conosce,  e  in  questa  sua  cognizione  le  fa,  e  questa cognizione  d'  Iddio  è  tvMa  la  ragione  della  quale l’uomo  /m  una  porzione per  la  sua  parte,  E  poiché  l'Ente  è  assoluta  conversione  del  Vero  col fatto  interno  (Generato)  e  col  Fatto  propriamente  detto  (Mondo),  ne viene  che  debb’essere  altresì  conversione  come  pensiero  e  come  forza, come  Causa  e  Mente,  appunto  percJiì  unica  causa  quella  che  per  produrre l’effetXo  non%  ha  di  altra  bisogno  ;  come  quella  la  quale  contiene  dentro  di sì  gli  elementi  delle  cose  che  produce,  e  li  dispone,  e    ne  forma  e  com- prende  la  guisa,  e  comprendendola  manda  fuori l’effetto,  (Ved.  liisp.  al Giom.  de' Leu.). Per  quanto  questo  lingruaggio  possa  sembrar  vieto  e  coperto  di  muffa scolastica,  nullameno  tornerà  agevole  all'accorto  lettore  potervi  scorgere come  in  germe  la  soluzione  positiva  del  problema  metafisico.  In  queste tre  usate  e  abusate  parole.  Vero,  generato  e  fatto,  abbiamo,  per  così dire,  i  tre  punti  ne'  quali  s*  imperna  e  gira  il  processo  idealo  che,  considerato in  se  proprio,  costituisce  la  dialettica  discensiva.  Qui  è  la  so- stanza, com'  è  noto,  e,  sto  per  dire,  il  nocciolo  della  teorica  cristiana, ma  ^levata  al  supremo  valor  razionale  e  speculativo  oud'è  capace:  ed è  il  fine  (chi  ben  consideri  la  storia  della  filosofia  cristiana  e  non  cristiana, ortodossa  ed  eterodossa)  a  cui  par  che  convergano  insieme  e  riescano  il Platonismo  e  l'Aristotelismo  nello  differenti  loro  forme  isteriche.  Sennonché si  badi  a  non  pigliar  come  ripetizioni  vano  certe  analogie  e  somiglianze  di H  Vero  dunque  è  l'essere;  e  cotesto  essere-vero non  sarebbe  tale,  ove,  anziché  identità  sostanziale  dei- Tessere  e  del  conoscere,  anziché  assoluta  unità  e  assoluto monismo,  non  fosse  invece  un'  essenzial  dualità  e  ^nità, essenzial  conversione  del  soggetto  con l’oggetto,  e  quindi medesimezza  e  differenza  attuale.  Qui  dunque,  innanzi tutto,  il  nostro  filosofo  corregge  Aristotele  come  quegli  il quale  disconosce  una  condizione  eh' è  l'interna  necessità della  stessa  natura  dell'Assoluto.  Lo  Stagirita  pronunzia: ecTTtv  >j  vó>?o"ec  vovìtso;  vó/jtc?.  Ma  fo^c  che  l' eccellenza  del pensiero  starà  nel  pensar  solamente    come  sé,  e  non anche    come  altro?  Una Visione  veggente Sé  stessa non  ^  un  atto sterile e solitario?  Vedere  non  è  anche operare?  Pensare  non  è  generare?  Ov'è  dunque  il  gran linguaggio,  che  qui  il  Vico  potrebbe  aver  con  altri  filosofi.  Mi  spiego  subito. Per  sant'Agostino,  per  es.,  intelligibilità  e  realtà  si  compenetrano insieme,  e  danno  luogo  alla  natura  assoluta  formando  così  il  Vero-EnU fVed.  SolU?(T«oc  proprio  in  sé, e  s'  avvilirebbe:    9st6xarov  Y.ot.1  to'  rifxtwTatov  vote,  xa/  ou fAsra^aXXci  *  «t;  ;^«t/90v  7à/9  ^ /x£Ta6o>KÌ.  Metaph. pensiero  aristotelico  della  facoltà  che  pone  il  proprio obbietto  e  se  ne  distingue  ?  E  perchè,  mai  non  applicarlo anche  all' Atto,  e  soprattutto  all'Atto?*  U  Essere-Vero dunque  è  mestieri  che  sia  anche  Verbo,  anche  Fatto intemo,  anche  Generato.  Che  cos'è  il generato?  Non  è luce  metafisica,  non  è  oggetto  indeterminato  e  primigenio posto  da  natura,  come  nella  genesi  psicologica;  ma  è  luce e  colori,  è  oggetto  determinatissimo,  perchè  è  insieme la  natura  e  ciò  che  è  sopra  alla  natura.  È  dunque  il diverso,  il  diverso  dell'identico;  al  modo  istesso  che  il vero  è  l'identico  del  diverso.  Perciò  è  l'intelligibile che,  mentre  adequasi  con  l' intelligente,  se  ne  distingue. Perciò  è  il  pensante  che,  convertendosi  col  pensato,  è pensiero,  e  quindi  è  in    medesimo  il  trinuno.  Se  dun- que l'Assoluto  è  generazione  e  dinamismo  interiore,  per ciò  stesso  è  Mente:  prindpium  unum,  Mens.  Or  come potrebb'  esser  mente  senza  esser  cagione,  attività,  energia,e  quindi  idea,  possibilità,  relatività,  infinità,  mol- tiplicità  ideale? Ma  se  qui  il  nostro  filosofo  corregge  l'Aristotelismo, invera  nel  medesimo  tempo  il  Platonismo.  Il  Generato del  Vico,  in  quanto  è  termine  di  generazione  ad  intra, è  appunto  la  benintesa  idea  platonica.  Cote$ta  idea platonica  non  è  assoluta  Unità,    assoluta  Moltiplicità. Ma,  si  badi:  il  difetto  metafisico  dell*  Aristotelismo  non  è  tale  che 1*  annnlli  e  distrugga  addirittara,  ed  è  appunto  per  questo  che  Aristotele non  potrà  esser  mai  in  etemo,    un  idealista  assoluto,    un  positivista, anzi  così  egli  si  presenta  come  una  confutazione  parlante  deir  Hegella- nismo,  e  del  Positivismo.  Voglio  dire  in  sostanza  che  il  principio  metafisico dello  Stagirita  non  è,  propriamente  parlando,  erroneo,  ma  incompiuto; e  però  è  tale  che  corregge  benissimo    stesso. In che  modo?  Se  l’Atto ha  da  esser  davvero  quello  che  dice  Aristotele,  ne  viene  che,  metafisicamente e  logicamente,  è  impossibile  un  Actu»  pwru»  ab^olute.  Gli  Alessandrini se  ne  accorsero;  e  questo  è  precisamente  e  principalmente  il  lor merito  di  fronte  air  Aristotelismo.  La  verità  della  Scuola  d'Alessandria e  dell’antico  neoplatonismo  sta  chiusa  in  questo  poche  parole:  [0,in ptaiix JfiTai  Twv  ci^wv  xarà  to  tv  caurw  voitjtov  o'  vou?.  Vod.  Proclo in  Parm. Lo  stesso  dicasi,  come  vedremo,  del  Platonismo;  e così  può  affermarsi  che  Tesigenza  della  correzione,  nel  concetto  metafi- sico deU'ano  o  dell*  altro  sistema,  sia  reciproca. in  sè.  Non  è  l'identico,  ne  il  diverso.  Non  è  il  moto,  ne la  quiete.  È  dunque  l'una  e  l'altra  cosa  ad  un  tempo istesso.  È  dunque  il    E?a/yv>?;  senza  cui  ella  riescirebbe affatto  inintelligibile,  e  assurda  ;  e  quindi  ci  significa  il Momento*  nel  quale  è  insieme  numero,  senza  cessare d'esser  altresì  unità  essenziale:  talché  costituendosi centro  e  circonferenza  ad  un  tempo,  rende  siffattamente possibile  l'accordo  de' contrari.*  E  tale  accordo  sarà  pos- sibile a  questo  sol  patto  :  che  il  Momento  sia  non  pur  la Nó»Ttc  vóvjTswc  dello  Stagirita,  ma  eziandio  Mente,  e  perciò Mente  e  Verbo,  Vero  e  Generato,  e  quindi  fornito  della virtù  onde  lo  fa  ricco  il  filosofo  Ateniese.'  Così  inter- pretando il  to'    E^otéipvvjc  (senza  confonderlo  col  fjura^y.l'kety che  sarebbe  confonder  la  condizione  col  condizionato,  il Generato  col  Fatto),  non  verremo  a contraddire  al contenuto degl’altri  dialoghi,  massime  al  Sofista  ove  la natura  dell'Assoluto  ci  è  determinata  come  pensiero,^ come  mente,  e  perciò  come  pienezza  di  vita  e  d' asso- luta realtà.' FICINO  traduce  1*  'E^ai^vvj^  per  momentum indimduum; mii  in  questa  parola  e*  è  qualcosa  di  più,  esprimendoci  propriamente l’istantaneo  ;  ed ecco  perchè  Platone  lo  dice  di  natura  mirabile  e  etrana:  ^ tUTcc  aroTróf  tc^.   Partn.,  155,  E;  157,  B. *  *AjO  ouv  ìttì  to'  (xxoTTtìv  TOUTO,  sv  w  tÓt'  av  ety?,  ots  fiSTa- ^dXktfj    TToìov  5vi  ; To'  e^at^vyj?.    ydip  i^at^vrjc  Toeòv^j  ti Jfocxf  a^juatvecv  wce?  «xatvou  ^«TaSaXXov  sìq  ixoirspov,  ov  yxp i'A  ye  Tov  io-Tavai  sttùtoì  in  asTa^séXXst,  ou5'«x  tkj;  kiwitsoì? xtvovfx«v>ic  «TI  fj.tr OL^iWti'  àW  Tn  i5at^v«c  auT>j  fvtriz  oironóz Ttf  iyìndBrirat  jExcTa^u  tt^C  xiv>jo'««c  rt  y.olI  «rTOCTEwc,  iv  XP^'*^} orjSsvi  ouTa,  xat  te;  TavTvjv  5vì  xai  e'x  TauT>JC  to  rs  xtvov'jEXffvov fjitra^oiWsi  ini    éo-Tavai  xa«    écTOc  «Vi    xivelo'dae. Kcv^uvsùst.  Kat  to  ?v  5v7,  etnsp  «a"Tv?x/  Te  xat  xivjÌTat,  /xsTa- 6a^^oi  av  if  éy.drtpOL'  fjLÓvwi  ydp  av  outo?  àp^ÒTSjoa  Trotot'y»* /xeTa6a).>ov  5'  sfat^vvjf  /xsTaéai^ft,  xac  ot£.  /xsTa€a»e£,  ev ou^evt  XP'^'^V  *^  ^^^'j  ou5«  xtvofT*  av  tòts,  ou5'  àv  ^rxirt. (Parm.  156.,  d.) *  Te  9:  ;  TO  7t7vwTXJCvì5  to  yiyvtàTìLsv^^ai  fCt.TS  noinuoc  I Tra^o;  :^  àfifòrspov;  -^  to'  asv  7ra3-/?aa  to'  ^s  5aT£^ov;  ì^  ttzv- TCCTra^tv  ou5sTg/30v  ouJiTfi^ov  TOUTwv  ^fTaXau/Savsev*  (Soph.) ^ '    dai  itpò%  Atò;;  wc  a^>J'9'wc  x«vT7Ttv  xat  ^w>jv  xat  >/'vxiQv xa*  ^^óv>70'iv  tJ  paSi(ùi  7re£j3>jo"ò|txjOa      TravTsXw;   «?vti    /x>: Ma  se  r  Idea  è  il  Generato,  e  quindi  rispetto  al  Vero è  il  diverso  dell'identico  (tò  jts^oov),  ciò  nondimeno  rav- visata in    medesima  ella  è  un  possibile  ;  e,  in  quanto possibile,  è  anche  il  medesimo  d' un  altro  diveiso. Poiché  se  di  sua  natura  eli'  è  possibile,  deve  impor- tare una  moltiplicità  opposta,  estrinseca,  reale,  deter- minata; deve  necessariamente  importare  il  diverso,  il quale  sia  tale,  non  solo  di  fronte  all' ofóro,  cioè  rispetto al  Generato,  ma  anche  in    stesso  (tò  aXXo).  E  se  non includesse  cotesto  diverso?  Se  non  l' includesse,  finirebbe d' esser  possibile,  e  negherebbe    stesso.  Perciocché  un possibile,  il  quale  non  si  potesse  mai  recare  ad  atto, evidentemente  sarebbe  un  impossibile  addirittura,  o  al più  un  possibile  infecondo  e  fantastico.  Laonde,  poiché il generato  é  infinita  idealità,  e  quindi  infinita  possi- bilità, però  devesi  necessariamente  convertire  col fatto  : é  si  converte  in  quanto  lo  fa;  si  converte  in  quanto  lo pone.  Il  Vico  dunque  ha  detto  giustissimo:  Il  Vero  si converte  ad  intra  col  generato,  e  ad  extra  col fatto. Or  che  cos'  è  mai  cotesto  Fatto?  È  anch'  egli  il  diverso dell'  identico,  il  diverso  del generato  ;  ma  é  il  diverso  in sé  proprio  (tò  a).Xo),  il  mondo.  Poiché  quantunque  il  fatto e  il  generato  sono  moltiplicità,  nonpertanto  l'uno  é ,  moltiplicità  reale,  e  1’altro  ideale;  talché  se  la  prima  si 7r«/oetvac, innari  K^v  aiiro  ^>j5s  (ppovelv  ùWoi  (rtfj.'^òv  zat  oiytov voùv  oux  f  §e  twv  7r/)afg&)v  xa^'  coìpidrMv  xac  à.'k'kri'Koìv  xotvwvta navrot^^v  yavTa^ópsva  no'kXd  yatvff^at  Ixa^Tov.  Qui  pare  che r  idea  8i  divida,  si  rompa,  si  spezzi  nella  moltiplicità  fenomenalef  e  co- stituisca il  positivo  del  fenomoDO,  ma  nella  forma  inadoquatadeir esten- sione: e  siamo  quasi  all'idea  hegeliana  che  passa  ad  tsaer  natura,  che si  contrappone  nella  natura,  che  jiiventa  natura.  Perciò  la  metessi  de*  pla- tonici mostra  sempre  un  carattere  di  passività  anzichò  di  attività,  ap- punto perchè  viene  di  su,  mentre  dovrebbe  partire  di  gii,  ed  estrinsecarsi per  opera  e  virtù  del  Fatto  in  quanto  è  infinita  potenzialità.  Questo  ca- rattere passivo  della  metessi  platonica  si  scorge  anche,  e  non  dovrebbe, nel  Parmenide di VELIA:    elvat  ^Wo  7t  eTTtv  ri  p.:'0s5'C  ouTicz;  ^era ^povoìj  70Ù  Tra/oovTOff.  La  metessi  dunque  spiegherebbe  troppo; perchè  il  nesso  tra  l'idea  e  la  cosa  verrebbe  ad  esser  cotanto  immediato, da  non  farci  discernere  fra  1' una  e  l'altra  nessun  divario  essenziale;  e così  avremmo l’identità  come  essenziale,  e  la  diversità  come  fenomenale. Or  se  l'Assolato,  perchè  davvero  sia  tale,  ha  da  ossero  innanzi  tutto  una conversione  di    con    stesso,  deve  risultare  indivisibile  e  imparabile nella  sua  stessa  moltiplicità  infinita:  e  se  il  mondo  ha  da  essere  anche  lui una  conversione  di  so  con  sé,  ne  segue  ch'egli  debb' essere  essenziale moltij^icità,  moltiplicità  in  sé,  diversità  in  sé;  tanto  che  l'unità  pro- gressiva, che  in  lui  si  agita  e  vive  e  spicca  sempre  più  ne'  diversi  gradi della  realtà  cosmica,  sia  ben  altra  cosa  dell'unità  che  dimora  in  seno all'assoluto.  Dunque  il vero  che  si  converte  col fatto,  cioè  (per  parlare il  linguaggio  degli  ontologisti)  l' infinito  che  pone  il  finito  è  anche  finito, ma  non  si  confonde  per  vorun  modo  con  lui.  E  non  può,  per  queste  duo semplicissime  ragioni: perchè,  se  cosi  fosse,  ne'  due  termini  avremmo una  ripetizione  sostanziale  inutile,  e  quindi  potremmo  cancellar  l'uno  o l'altro  addirittura,  e  così  finirebbe  per  aver  ragione  il  panteista; e perchè un  infinito  avrebbe  a  partorire-,  produrre  o  porre  un  altro  infinito,  e  cosi negherebbe    medesimo.  D'altra  parte,  se  il  fatto  devesi  convertire con    medesimo  facendosi vero,  cioè  facendosi  infinito  essendo  poten- Mialità  in/inUaf  non  per  questo  si  potrà  credere  eh'  ei  si  possa  identificar con  lui,  per  le  due  ragioni  detto  poco  fa.  Dunque  stiamo  contenti  al  quia  ! né  identità  oMolutaf    aseotuta  diversità,  ma  conversione.  E  però  le  idee platoniche  non  sono  da  intendersi    come  7ra/9a^u7/xaTa,    come vov}^KTa,  secondo  che  vogliono  due  schiere  d'interpreti.  Se  fosse  così  ne verrebbe,  nel  primo  caso,  che  Vid^a  dovrobb'  esser  presente  alla  cosa  in maniera,  che  questa,  tanto  nella  sostanza,  quanto  nel  movimento,  tanto  nella materia,  quanto  nella  forma,  dipenderebbe  onninamente  dalla  prima, ed  altro non  sarebbe  fuorché  una  semplice  sua  copia;  e allora  non  avremmo  bisogno d'un  Dio  artefice, non  del  SnfAioxjp'yoi  del  Timeo,  non  del  deus  ex  macchina dall'ontologista,    della  magna  Idea  degli  Hegeliani.  Nel  secondo  caso poi  r  idea  sarebbe  un  termine  del  soggetto,  ma  un  termine,  dirò  così, meramente  soggettivo:  somiglierebbe   quindi,  anzi  8areb))e  addirittura pretare  in  modo  razionale  e  positivo  l' intuizione  reli- giosa del  Ternario  cristiano. La  cognizione  immediata  e  divinativa,  in  questo  e in  ogn'  altr'  ordine  di  conoscenze,  previene,  come  V  om- bra la  persona,  i  portati  della  speculazione  metafisica. Così  prima  ancora  che  la  Scuola  d'  Alessandria  si  pro- fondasse nelle  ardite  e  vaporose  elucubrazioni  su  la triplice  ipostasi  Plotiniana,  il  mistero  della  Trinità  alberga di  già  nella  coscienza  popolare  siccome  oggetto d' intuizione,  e  cominciava  a  rivestir  forma  e  valore dommatico  mercè  la  Riflessione  teologica.  L' assoluto è  uno  e  trino;  è  trinuno:  e  noi  ormai  lo  sappiamo.* Ma  è  egli  un  trino  ipostatico?  E  qual  n'è  l'essenza? L'assoluto  importa  tre  ipostasi:  ecco  il  mistero,  ed ecco  la  fede.^  Quanto  a  determinarne  l' essenza,  la  spe- culazione occidentale,  anche  sotto  forma  di  speculazione teologica,  non  poteva  non  interpretare  le  divinazioni altrettanto  spontanee  quanto  ricche  e  feconde  della coscienza  orientale  essenzialmente  religiosa,  con  l'in- V  inteìligìbile  del  Dio  aristotelico,  con l’intelllgrente  formerebbe  identità essenziale;  e  allora  le  idee  non  sarebbero  essenzialmente  relative  quali appunto  sono  richieste  dall' economia  del  sistema  platonico,  e  T  esigenza vera  e  giusta  della  metafisica  platonica  sparirebbe.  Dunque  cotesto  idee plaioniche  come  s'hanno  da  intendere?  Le  idee  platoniche  sono  T'Egac^v;? stesso,  ma  concepito  come  essenzialmente  relativo  &\VaUro,  ma  iiValtro  non già  come    trspoif  puro,  assoluto,  bensì  come  70  ìrspov  in  quanto  abbia un  riferimento  necessario  al    àWo,  A  questa  maniera  non  è  altrimenti vero  che,  accettando  le  idee  platoniche,  debbasi  accettare  altresì la  dottrina  dell' avajtzvYiTcCt  come  han  detto  certi  critici  moderni:  e neanche  si  è  costretti  ad  accettarla>  nelle  forme  nuove  ond'  è  stata presentata  da'  moderni  neoplatonici,  dal  Malebranche  fino  al  Mamiani. «  SiMOX,  ffitt.  de  l’Ecole  d'Alex. Il  tre  è  il  numero  che  assolve  tutte  le  condizioni  della  perfeziono, ed  è  perciò  che  tutto  è  definito  del  tre:  to'  Tràv  y.(xt  to  Travra  rof; TùtTiTt  (fìptfTTat  (Arist.  De  Coelo).  Vedi  le  belle  riflessioni di GIOBERTI  sulla  Trinità  considerata  razionalmente  {FU,  della  Rivelaz..,  XVIII) e  di  ROSSI (Regno  di  Dio  naturale,  ecc.  li  Studi  di  Zocehif) '  Prendiamo  la  parola  tpostcm  nel  significato:'  istiano  non  già  nel senso  neoplatonico  e  alessandrino. dirizzo,  al  solito,  dell' Aristotelismo  e  del  Platonismo. Il  peripatetico  nominalista  ripone  la  divina  realtà  ed essenza  nelle  triplicità  di  persone,  e  riguarda  l' unità come  un  puro  nome.  Tre  sostanze  indipendenti  e  separate, ma  congiunte  in  unità  mentale.  Perchè  congiunte? Perchè  fomite  d' egual  potere,  d' egual  volere,  d' egual conoscere.  Il  realista  platonico,  per  contrario,  vuol  far consistere  l'essenza  divina  nella  realtà  in  quanto  è unità  determinantesi  nella  triplicità  di  persone.  Agli occhi  del  primo,  dunque,  l' Assoluto  è il  tre in uno: agli occhi  del  secondo  è l’uno  in  tre:  ecco  la  lotta  interna della  riflessione  teologica  del  medioevo. Ora  giusto  perchè questa  riflessione  è  di  natura  teologica  e  dommatica, avviene  eh'  ella  non  supera,  non  può  superare  il  senti- mento, né  trascender  l'intuizione,    solvere  il  mistero, né  disimpacciarsi  dall'aperta  contraddizione.  Laonde Nominalisti  e  Realisti  vecchi  nuovi,  avvegnaché  discordi nella  maniera  di  determinare  l' essenza  del  Ternario cristiano,  non  sanno  rimuoversi  d'una  linea  dall'inse- gnamento dommatico  su  l' unità  assoluta  nella  separazione  delle  tre  persone. Se  il  ternario  cristiano,  in  quanto  germina  dall'in- tuizione rehgiosa,  è come  l'immagine  anticipata  della ragione,  in  esso  deve  acchiudersi  un  vero  che  la  ragion filosofica  dee  saper  disvelare,  correggere  e  legittimare. Questo  vero  non  risguarda  già  l'unità  nella  triplicità ipostatica:  riguarda  il  trinuno  assoluto,  l'assoluta  tri- plicità considerata,  come  abbiamo  toccato,  nella  medesimezza di  subbietto. Perocché  l' unità  di  sostanza  mai non  tornerà  conciliabile  con la pluralità di persone;  e se  così  non  fosse,  il  panteista  avrebbe  già  trionfato  nel regno  della  scienza,    io  davvero  so  dirmi  che  cosa mai  potrà  rispondere  il  sottile  teologo  all'arguto  hegeliano, il  quale  pretende  precisamente  questo:  che  la  diversità delle  persone  non  dimostri  nuli'  affatto  la  pluralità delle  sostanze.  Il  perché  pigliando  alla  lettera il  domma  della  Trinità,   la  teologia  cattolica  non  si salva  dal  precipitare  nel  tenebroso  vuoto  dell'  assoluta identità. Il  contenuto  del  ternario  cristiano  adunque  ci  significa le  tre  primalità  del conoscere,  del  volere e  del potere,  ma  nella  relazione  del vero  che,  convertendosi con    medesimo,  diventa generato,  e,  come generato, come verbo,  è  infinita  idealità  e  possibilità  del  Fatto. Interpretandolo  così  accade  che  l'intuizione  religiosa, generatasi  per  leggi  inerenti  allo  stesso processo  psicologico, rinverghi  col  concetto  metafisico  a  cui  può elevarsi  la  ragion  filosofica  positiva;  e  quindi  può  dirsi che,  come  la  religione  è  il  preludio  naturale  e  neces- sario alla  filosofia,  di  pari  modo la  speculazione  meta- fisica sia  la  interpretazione  critica  e  Tinveramento  delle intuizioni  spontanee  e  comuni  della  coscienza  religiosa. Il cristianesimo  è  la  religion  razionale  per  eccellenza,  e con  essa  oggi chiudesi  il  corso  e  ricorso  delle  creazioni propriamente  mitologiche  e  delle  grandi  rivelazioni  e divinazioni  religiose.  Ed  è  razionale  perchè  è  in    me- desima processo,  e  svolgimento.  Che  se  anch'  ella  come tutte  le  manifestazioni  della  storia  é  un  processo,  é mestieri  applicare  ad  essa  la  universal  legge  storica  e sociologica  della  Scienza.  Guardata  infatti  nella  sua storia  ideale,  anche  la  religione  é  innanzi  tutto  divinay indi  eroica,  appresso  umana.  E  giugne  ad  essere  umana quando  la  forma  siasi  potuta  elevare  a  cotal  grado  di trasparenza,  che  il  simbolo  palesi  da    medesimo l'idea,  e  il  mito  siasi  venuto  elaborando  così  che  rac- [Non  poco  8*  illudono  perciò  quo' filosofi  ohe,  come  il  Cusano  fra  gli antichi  e  il  Rosmini  fra  i  moderni,  si  sforzano  d'applicare  a  Dio  il  concetto delle  categorie  col  fine  di  spiegarsi  in  qualche  maniera  il  mistero  della Trinità.  Io  potrò  intendere  il  Cardinal  di  Cusa  dove  mi  dice  che  Unitcu, Iditas  e  Identità  siano  quasi  i  tre  momenti  dialettici  interiori  dell’assolato. R  potrei  forse  intendere  il  Roto  retano  quand'ersi  studia  mostrarmi che  Realtìk^  Jdeaìità  e  Moralità  sieno  le  tre  forme  in  che  si  determina l'essere.  Ma  come  intenderli  quando  il  primo  d'essi  afferma  che  Vvnità è  il  Padre,  Vegtiaglian Ma  il  Figlio  e  la  connessione  lo  Spirito,  e  quando il  secondo  applica  alle  tre  persone  quelle  sue  tre  sparute /orm«  ontologiche  f chiuda  un  vero  metafisi(X)  o  morale  che  sia.  Or  se  è tale  il  valore  del  sentimento  religioso  nello  svolgimento isterico  della  civil  società,  perchè  dirlo  morbo  della mente,  fiacchezza  della  coscienza  volgare,  abberrazione della  fantasia?  Se  dunque  la  ragion  filosofica  vorrà attingere  anche  qui  forma  razionalmente  positiva,  ella vi  potrà  giugnere  a  questo  sol  patto;  che  il  concetto metafisico  ond'  è  capace,  non  abbia  a  contraddire  in modo  assoluto  ai  portati  della  coscienza  religiosa.  £  se la  religione  dal  canto  suo  vorrà  essere  anch'  ella  positiva e  razionale  e  perciò  rispettabile  e  santa,  potrà essere  tale  a  questo  sol  patto;  che  sappia  porgersi  alla ragion  filosofica  siccome  riprova  e  guarentigia,  tuttoché di  natura  istintiva  ed  empirica,  ai  pronunziati  della speculazione  metafisica.  Anche  qui  regna  la  gran  legge del  concorso  di  forze  combinate,  e  del  loro  corrispon- dersi tanto  necessario  alla  eccellenza  del  risultato.  E  in tal  caso  religione  e  filosofia,  serbando  entrambe  valor positivo  e  medesimezza  di  contenuto,  formeranno  un criterio  al  cui  lume  potrà  esser  giudicata  ogn' altra filosofia  e  religione.  Una  critica  religiosa  che  si  diparta da  questo  principio,  sarà  critica  infeconda  ed  erudita, com'  è  quella  de'  Teologisti  cattolici,  ovvero  critica  esi- ziale e  sistematica  com'  è  quella  de'  mitologi  hegeliani. Tal  si  è  precisamente  il  nostro  concetto  metafisico rispetto  al  ternario  cristiano,  che  è  il  mistero  piii  com- prensivo cui  abbia  saputo  elevarsi  la  coscienza  religiosa. L'uno  è  correzione  dell'altro,  al  modo  istesso  che  questo è,  per  così  dire,  guarentigia  sperimentale  del  primo.' *  Qui  abbiamo  dovuto  accennare  solamente  al  simbolo  della  Trinità, ma  nella  Sociologia  mostreremo  di  proposito  come  la  dottrina  del  Vico su  la  natura  ed  origine  del  mito  in  generale,  sia  fondata  anch'ella  nelle  leggri del  processo  psicologico,  e  quindi  racchiuda  il  concetto  e  la  necessità  della interpretazione  morale  nell'ordine  delle  intuizioni  religiose,  e  mitologiche; deHa  qual  necessità  il  Kant,  dopo  Vico,  ebbe  assai  chiara  coscienza {Rdig,  daiu  le»  lini,  de  In  raiton).  Ora  ciò  che  qui  preme  osservare questo:  s^  col  concetto  metafisico  del  nostro  filosofo  si  può  acconcia- mente interpretare  il  simbolo  del  ternario  cristiano,  ne  scendono  due Concludiamo.  Se  è  vero  che  la  metafisica  è  scienza non  assoluta  ma  dall'  assoluto,  stantechè  sia  possibile attinger  notizia  razionalmente  positiva  circa  il  fonda- conseguenze:  P  che  il  Libro  Metafisico f  nel  quale  troviamo  depositato il  germe  del  concetto  riguardante  il  procesto  ideale,  sia  intimamente  col- legato con  la  Seiema  Nuova,  appo  cui  la  teorica  sul  mito  (superiore sotto  più  riguardi,  come  vedremo,  a  quella  de*  mitologi  e  filologi  Tiventi), non  è  che  un'  applicazione  della  sua  dottrina  psicologica,  della  quale  noi ahbiamo  svolto  i  tratti  principali:  che  interpretando  col  suo  concetto metafisico  il  simbolo  cristiano,  in  generale,  e,  in  particolare,  quello  del ternario,  si  viene  a  contraddire  in  modo  serio  e  positivo  al  panteismo. Anche  per  gli  Hegeliani  il  mistero  della  Trinità,  come  ogn'  altro  mistero, shnboleggia  una  verità  filosofica.  (Heobl,  Phil.  de  VEaprit,   ItUrod. del  Vera);  nel  che  siamo  perfettamente  d'accordo.  Ma  l'interpretazione alla  quale  costoro  sottopongon  la  simbolica  religiosa,  anziché  legittimare in  qualche  maniera  la  credenza  elevandola  a  significato  filosofico,  l'annul- lano addirittura,  perchè  la  rendono  assai  più  inintelligìbile  e  parados- sastica  ch'ella  stessa  non  sia  come  credenza.  Idea,  Natura  e  Spirito: Padre,  Figlio  e  Spirito  Santo!  Ma  che  cosa  ci  ha  che  veder  la  Natura? Non  è  egli  questo  precisamente  ìl  vecchio  concetto  degli  Alessandrini,  di Plotino,  che  pretende ritrovare  nel  Parmenide  di VELIA le  tre  famigerate  ipo- stasi dell'  Unità,  del  Multiplo,  e  dell’Unità-multiplo,  riponendo  quest'ultimo appunto  nell'anima  e  nella  natura V  (Enn.,  tBoulliet). L' interpretazione  davvero  potitiva  e  non  già  fantastica  del  contenuto religioso,  non  deve  e  non  può  contraddire  al  simbolo  (almeno  per  quel tanto  che  esso  contiene  di  filosofico),  perchè  contraddirebbe  alla  stessa ragione.  Or  quest'  elemento  di  verità,  contenuto  germinalmente  nel  sim- bolo cristiano,  riguarda  per  appunto  il  ternario  considerato  in  sé;  riguarda il  ternario  assoluto,  il  ternario  com'è  richiesto  dall'esigenza metafisica  positiva,  e  non  già  il  ternario  trasportato  anche  nel  processo della  natura,  e  nello  svolgimento  della  storia.  Questa  enorme  confusione fanno  i  Teologi,  e  la  fanno  anche  gli  Hegeliani  con  la  lor  teorica  e  critica della  simbolica  cristiana.  Che  cos'  è  il  Dio  che  eeende  nella  natura? Che  cos'è  il  Figlio  che  si  parte  dal  Padre  per  umanar»if  Che  cosa  mai sono  il  popolo  eletto,  i  profeti,  gl'ispirati,  il  mondo  latino-cristiano?  E che  cos'  è  la  Idea  che  dall'  astratta  mansione  dialettica  scende  anch'  ella e  passa  mediandosi  nella  natura  e  penetra  nella  storia?  Che  cosa  sono \6  funzioni  storiche  speciali  de'  popoli  privilegiati,  àQ*  privilegiati  perso- naggiy  del  mondo  cristiano-germanico?  L' Hegolianismo  è  davvero  una contraffazione  del  più  grossolano  Cattolicismo!  ò  una  mitologia  anche lui!  E  quanti  punti  di  contatto  anche  in  questo,  e  specialmente  in  que- sto, con  la  dottrina  sociologica  dei  Comtiani! VERA  ha  detto  bene: il  positivismo  i  una  contraffazione  dell’Hegelianismo.  E  noi  alla  nostra volta  crediamo  dir  benissimo  (col  permesso  dell'  illustre  traduttore)  che r  Hegolianismo  è  una  contraffazione  evidente  del cattolicismo.  Ma  di  ciò basti:  ce  ne  rifnrorao  altrove  più  riposatamente. mento  e  la  ragion  delle  cose;  se  è  vero,  d'altra  parte, che  il  significato  esteriore  della  storia  della  filosofia occidentale  sta  nella  lotta  fra  il platonismo  e l’aristotelismo,  mentre  il  significato  interno  ed  essenziale  di essi  risiede  nella  correzione  vicendevole  de'  due  estremi indirizzi  aristotelici  in  quanto  concorrono  al  trionfo  dell'indirizzo  medio: ne viene  che  nel  concetto del processo ideale  e  nella  relazione  de'  tre  termini  costituenti la  dialettica  discensiva  che  abbiamo  sin  qui  rapida- mente interpretata  nel  nostro  filosofo,  trovasi  non  pure il  risultato  e  insieme  l' inveramento  delle  tre  posizioni unicamente  possibili  in  metafisica  delle  quali  altrove toccammo,  ma  l' inveramento  altresì  della doppia  esigenza  deU'ùZga  platonica  e  della  categoria aristotelica.  Trovasi  la  correzione,  come  ci  sarà  dato meglio  vedere  fra  poco,  del  Dio  platonico  previdente  e provvidente,  e  dell'  immobile  Dio  aristotelico  che  nulla vede,  nulla  prevede  e  niente  provvede  nel  mondo.  E  per tutto  ciò  troviamo  l'accordo  fra  il  principio  della  medesimezza che  prevale  nel  padre  della  Dialettica,  e'I principio  della  diversità  che  predomina  nel  padre  della Metafisica.  Cìotesto  accordo  per  noi  è  vero accordo,  è vera  conciliazione,  appunto  perchè,  come  dicemmo,  è vera  correzione:  correzione  dell'Idea,  dell'essenza  che, pur  sparata,  dovrebb'  esser l' essenza  della  cosa:  correzione dell' Ji^o  il  quale,  non  ostante  l'assoluta  immo- bilità sua,  dee  muovere  il  mondo  come  causa  finale. Quest'accordo  e  questa  correzione  trovano lor  saldo fondamento  nel  criterio  della  Conversione,  elevato  a dignità  di  Pilicipio  metafisico. E  questo  medesimo  principio  metafisico  può  e  deve assumer  natura,  come  si  disse,  di  principio  speculativo, di  norma,  di  criterio  essenzialmente  isterico,  universale e  comprensivo,  a  poter  saggiare  e  acconciamente  pon- derare la  verità  delle  soluzioni  che  intomo  al  problema metafisico  han  dato  le  diverse  scuole,  e  le  differenti filosofie.  Se  ci  fosse  dato  fermarci  in  siffatti  riscontri storici,  non  sarebbe  guari  difficile  mostrare  come  in esso  trovi  correzione,  per  dir  qualche  esempio,  1’Ales- sandrinismo; il  cui  rappresentante,  Plotino,  interpre- tando erroneamente  il  metodo  dialettico  di Parmmide di VELIA e  abusando  dell'  Unità  parmenidea,  non  potè  coglier  la ragione  del  vincolo  che  insieme  annoda  i  suoi  diffe- renti generi  del  sensibile,  co' suoi  generi  dell'intelligi- bile, e  siffattamente  sfumò  nell'iperpsicologismo  plato- nico pur  credendo  d' inverare  l' Aristotelismo. Questo vincolo  e  questo  passaggio  non  potè  scorgere  l'ingegno profondo d'Erigena  con  l'ardito  concetto  della  yuVic  e con  le  quattro  diverse  maniere onde  per  lui  s'attua la  Natura;  poiché  giunto  all'assoluta  essenza,  com'è noto,  ei  se  ne  ritrasse  invocando  in  sussidio  la  teologia rivelata. Né  il  Cusano,  per  citare  un  esempio  del  rinascimento, tuttoché  con  mirabile  acume  giugnesse  a cogliere  il  concetto  àéìT  alteritcLS  e  delle  determinazioni dell'Assoluto,  bastò  a  dedurre  acconciamente  e  neces- sariamente l'attinenza  verace  onde  il  mondo  è  a  Dio congiunto,'  e  anche  lui  finì  con  intender  l'atto  crea- tivo al  modo  che  è  posto  dalla  coscienza  religiosa.  Tanto meno  l'arditissimo  BRUNO puo imbroccare  nel  segno,  con la  dottrina  de'  tre  intelletti,  quant' all'attinenza  tra  l'intelletto divino  e  l'intelletto  che  tutto  fa;   e  quindi sfumò  in  quel  suo  naturalismo  che  potrebbe  dirsi  un aristotelismo  cui  manchi  il  concetto  dell'Atto  in  sé.  Né il  Campanella  giunse  ad  applicare  in  maniera  dialettica le  sue  tre  primajità  psicologiche  all'  Assoluto,'  come  il Vanini  non  superò  guari  la  dottrina  della  natura  e della  forma  de' peripatetici.  Nello  Spinoza  poi,  meglio che  dialettica,  ci  è  meccanica  e  geometria;  poiché  il concetto  della  sostanza  unica'  è  negazione  della  tripli- *  Simon,  BUt.  Haubiau,  PhU.  Sool. '  Nio.  DB  Cusa,  DicU.  cU  Pot§e9t. *  Bbono,  Dial.,  De  Prine.j  oc. Camparblla,  MetapKt  SpurosA,  £th.t  I,  n.  U,  cita  e  d' ogni  processo  intimo  e  dinamico  nelP  Assoluto  ; onde  il  pensiero,  che  è  uno  de' due  modi  universali della  sostanza,  riesce,  con  evidente  assurdo,  molto  piii che  non  sia  la  medesima  sostanza.  In  opposizione  alla sostanza  spinoziana  sta  la  monade  del  Leibnitz.  Ma  se nel  concetto  monadologico  del  filosofo  di  Lipsia  vi  è una  divinazione  originale  che  la  scienza  moderna  è  ve- nuta semprepiii  confermando,  voglio  dire  il  concetto  di- namico, niun  vincolo  razionale  e  dialettico  esiste  tra  la gran  Monade  e  T  universo  delle  monadi,  come  altrove dicemmo.'  E  per  toccare  finalmente  de' moderni,  niuno, tranne  gli  adepti,  vorrà  creder  sul  serio  che  Hegel  col suo  ternario  assoluto  ci  abbia  dato  un  concetto  meta- fisico positivo.  Egli  anzi  ha  cancellato  aftatto  il  concetto della  conversione  ad  intra^  riducendo  siffattamente  il dinamismo  ideale  ad  un  ideale  meccanismo;  talché  il processo  geometrico  della  Sostanza  spinoziana  avrebbe più  d' un' attinenza  col  processo  formale  e  dialettico dell'Idea  hegeliana.  Alla  vera  nozione  del processo ideale  non  sono  pervenuti  poi    GIOBERTI,    SERBATI. Il  principio  ctisologico  del  primo  è  senza  dubbio un  processo,  come  vedremo  fra  poco:  ma,  appunto  perchè processo,  non  dovrà  supporre  forse  un  altro  processo  ante- riore, e  superiore?  La  dialettica  giobertiana  é  Una  dialettica a  metà;  e  il  creatore  del  filosofo  subalpino  è  troppo accosto  al  suo  concreatore,  alla  sua  iitBì^ic^  al  suo  Intel- ligihile  relativo  che,  coni'  egli  dice,  è  l' Idea  redw^ata, V  Idea  per soìiificata;  talché  potendovisi  facilmente  con- fondere, non  poteva  àgli  hegeliani  riescir  guari  difficile tirarlo  all'  Idealismo  assoluto.'  Il  Rosmini  finalmente, col  concetto  dell'  ente  iniziale  e  comunissimo  determi- [Vedi  ciò  che  abbiamo  discorso  del  Leibnitz   e  se^. Gioberti,  FU,  ddla  Rivdaz. Al  GIOBERTI  manca  e  deve  mancare,  come  vedremo  fra  poco,  il  vero concetto  della  dialettica;  e  Io  confessa  egli  medesimo    dove  si  prova a  distinguere  una  dialettica  interiore,  ed  una  dialettica  esterna (Protologia) nantesi  nelle  tre  forme  dialettiche,  non  è  giunto,  e  non poteva  giugnere  neanch'  egli  a  sciogliere  e  poi  rilegare il  vero  nodo  dialettico. Com'è  possibile  un  processo fra  quelle  sue  tre  forme?  Com'è  possibile  la  distinzione categorica  reale  del  suo  essere? Le  cose  discorse  ci  menano  a  due  conclusioni  quanto chiare, altrettanto  irrepugnabili:  P L'assoluto  è  il vero che  si  converte  ad  intra  col generato ,  e  ad  extra  col Fatto:  dunque  la  posizione  del  Fatto  è  razionalmente, liberamente  necessaria:  2**  U  Fatto  è  V  aUrOj  è  il  di- verso: ed  è  tale  per  doppio  rispetto;  come  termine ^05^0, cioè  come fatto  semplicemente  detto,  e  come  fatto  che si  fa;  come  sostanza  e  come causa:  dunque  il fatto  è estemo  al  Generato,  è  indipendente  da  lui,  non  come termine  posto,  bensì  come  Fatto  che  s'invera,  come Fatto  che  si  converte  con    stesso  e  perciò  nel vero; insomma  come  sorgente  perenne  d'attività.  Diciamolo in  altre  parole.  Dio  crea  il  mondo  in  quanto  lo  pone; e  il  mondo,  in  quanto  è  posto  come  fatto,  si  crea.  11 mondo,  adunque,  appunto  perchè  ha  natura  di  Fatto , appunto  perchè  ha  natura  di  altro  sotto  gemino  aspetto, è  insieme  posizione  e  creazione.  È  posizione,  in  quanto è  termine  di  conversione  con l’altro,  ciò  è  dire  con  Dio  : ed  è  creazione,  in quanto  è  subbietto  di  conversione  con sé  e  per    medesimo.  Perciò  se  il  Fatto  non  è  creato ma  è  postOy  ne  viene  eh'  egli  ha  da  essere  il  vero  pònente,  il  vero  creante    medesimo. SERBATI, Teotojia. La  parola  ponzione  è  brutta,  io  Io  veggo;  ma  qui  non  saprei  come dire  dÌTersamento  per  non  restare  avviluppato  negli  equivoci  ed  esagerazioDi  in  che  sono  caduti  gli  ontologisti  con l’uso  ed  abaso  deUa  parolA Il  mondo  nel  processo  cosmico  ci  si  presenta  sotto  tre aspetti.  Riguardato  come  Fatto,  egli  è  in  Dio.  Riguardato qual  fatto  che  s'invera  e  converte  con    stesso, è  fuori  di  Dio.  E,  finalmente,  considerato  qual  Fatto  che si  converte  col  vero  nel  regno  della  storia  e  della  psico- logia, non  si  può  dir  propriamente  eh'  e'  sia  fuori  di  Dio né  in  Dio,  ma  Dio  è  in  lui:  é  in  lui  nel  senso  che  il mondo  è  pensiero,  scienza.  Ecco  la  correzione e  insieme  l'accordo  del dualismo  e  del panteismo. Non  vi  é unica  ed  assoluta  sostanza:    vi  sono  due sostanze  poste  empiricamente.  Vi  è  bensì  una  dualità formante  unità:  vi  é  due  sostanze  formanti  organismo. ertaMÌ4me.  Nel  g^reco  non  ini  pare  ci  sia  una  voce  che  possa  rendere  il  concetto: anzi  non  ci  può  essere^  chi  consideri  come  al  pensiero  ellenico  manchi r  idea  alla  quale  accenniamo.  Tra l’Atto  puro  e  la  dateria  prima  deir  Aristotelismo non  ci  è  vincolo  nel  signifioato  di  potìnofu;  ma  t*  è  solamente relazione  di  finalità,  perchò  VAtto  non  pone,  ma  attrae;  e  attrae  la  materia in  quanto  essa  è  jiotoiua,  cioò  in  quanto  è  opi^i;  e  però  in  quanto  nelle cose  Tiene inserito  il  deeiderio  con  perpetua  in/ueion%  che  è  1’interpretazione erronea  de’vecchi  aristotelici e antiaristotelici  (Rjlvaisbok,  Metaph,  ec.  Neanche  nel  Platonismo  ci  è  V  idea  della  po- sizione, e  quindi    pur  la  parola  che  vi  risponda  ;  essendo  noto  come  pel filosofo  d’Atene  la  materia  sia  anche  eterna  e  al  tutto  indipendente  dal- l'ùlea,  cioè  un'assoluta  recettività,  iimeno  intendendo  Platone  come  si  fa d'ordinario:    poi  la  fii9t^i^  e  la  yLl^junii  come  toccammo,  bastano  ad esprimerci  il  concetto  della  conversione.  Il  pensiero ellenico dunque  non pervenne  a  determinar  nettamente  l'attinenza  (originaria,  non  finale) tra  l'indeterminato  e  l'Idea,  tra l’infinito  e  il  finito,  tra  la  forma  e l'Atto;  e  quindi  non  riusd,  com'ò  noto,  a  superare  il dualismo.  Ora trascendere  il  Dualismo è  uno  degli  aspetti  e  però  uno  de'  fini  della  lotta fra  il  platonismo  e l’aristotelismo.  L'alessandrinismo  tentò  superarlo, ma  evaporò  nel  concetto  dell'  identità  assoluta:  e  però  neanche  presso  gli Alessandrini  sarebbe  facile  trovare    il  concetto,    la  parola  che  significhi '1 vincolo  originario  tra  il  mondo  e  Dio.  Gli  Hegeliani  usano anch'essi,  fra  le  altre  non  meno  brutte,  la  parola  poeizione,  che  anzi costituisce  il  lor  pane  quotidiano.  Ma  per  l' Hegelianismo  poeizione  vale determinazione,  medùizione,  compenetrazione;  e  perciò,  checché  ne  dicano, esprime  un  rapporto di  natura,  per  cosi  dire,  meccanica  e  formale.  La  nostra posizione  è  diversa  dalle loro quanto  il  nostro generato dalla loro  Idea; quanto  la  nostra  convereione  dalla  loro  contrappoeizione^  negazione,  medÌ€tzione  e che  so io.  fe inutile  avvertire  che  le  parole  bara,  asa,  vasàb della  letteratura  ebraica,  esprimon tutt'altro  concetto  di  quello  che  noi intendiamo  significare  con  la  parola  poeizione. Quest'organismo  è  vita,  non  è  morte fqueet'  organismo è  profondo  dinamismo,  non  è  meccanismo.  Ed  è  vita  e dinamismo,  perchè  non  è  monismo  assoluto;  non  è  monismo inintelligibile,  assurdo,  esiziale  alla  scienza  come alla  civil  società. E  qui  ci  corre  il  debito  di  rendere  giustizia  alla mente  straordinaria di GIOBERTI,  e  correggere  nel  medesimo tempo  la  sua  formola  ctisologica.  Anch' egli  è tal  pasta  d' ingegno  che  si  svolge  e  s' allarga  e  s' in- vera e  si  corregge;  ma  non  per  questo  si  contraddice. La  novità  della  protologia  non  istà  nel  concetto  del creare  inteso  come  divenire,  secondochè  vorrebbe  Spaventa. Se  così  fosse,  egli,  in  verità,  non  avrebbe  detto nulla  di  nuovo;  come  nulla  di  nuovo  disse  nella Introdu' jrìone  col  rinverdire  la  vecchia  idea  della  creazione.  La novità  .vera,  la  nuova  esigenza  del  filosofo  subalpino  sta nel  concetto  della  concreojgione,  com'  ei  suol  dire  ;  della cancrecunone  intesa  non  già  come  fxsOf5«;  dell'Idea  verso il  mondo  e  rispetto  al  mondo,  ma  si  del  mondo  verso r Idea,  e  rispetto  all'Idea. Perciò  l'ontologismo  giobertiano  va  corretto;  va  fatto  più  conseguente  con    stesso:  e,  scambio  della  celebre  formola  dell'  Ente  creante l' Esistentey  è  forza  porre  la  formola  metafisica  di Vico nella  quale  è  racchiuso  quel  vero  e  compiuto  dialettismo che  r  ardente  scrittore  del  primato  anda  sempre  cercando con  ansia  febbrile,  e  non  trovò  mai  :  cioè  il  vero che,  convertendosi  ad  intra  ed  generato si  converte  anche ad  extra  col  fatto.  La  sua  formola  teleologica,  poi,  vuol essere  anch' ella  corretta;  e  invece  d'aflFermare  che  l’esistente ritoma  alV  ente  (prima  maniera),  o  che l’esistente concrea  Venie  concreando  se  stesso j  è  d'uopo  dire  che  il Fatto  si  converte  nel vero  e  col vero,  e  perciò  si  crea, e  perciò  si  fa  divino. Il  concetto  ctisolo^'oo  di GIOBERTI  della  prima  maniera  (e  dico marnerà  per  dir  forma  nello  stiluppo,  non  già  diversità  di  contenuto  nella sua  dottrina,  come Terrebbero  gli  Hegeliani),  sta  nel  presentar  V  atto  crea- tiro  siccome  prodaconte  T  esistenza  in  quanto  la  individua.  Nella  Intro- Mi  si  chiederà  :  la  seconda  forinola,  la  formola  cos- mologica esprimente  il  vero  concetto  della  creazione, cioè  il  Fatto  che  si  converte  nel vero,  esiste  ella in  Vico?  ' Esiste,  io  rispondo,  per  chi  la  sappia  ritrovare,  e  dedurre  ; e  dedurla  e  trovarla  è  negozio  agevolissimo.  Come  la  si deduce?  Considerando  con  accuratezza  la  sua  formola metafisica.  Quando  egli  pone  il fatto  siccome  termine  di duzione  il  creare  suona,  a  dir  proprio,  individuare.  Che  cosa  in£atti  ò r  individuo ?  È l’dea  pasMta  dalla  potenza  alTaUo. Qui  t;*  ò  dol  neoplatonismo,  e  anche  buona  doso  di  panteismo.  Della  prima maniera  altresì  è  queir  afTermare  con  tanta  sazietà  che l’uno  crea  ti  mi«l- tiplof  e  che  ii  tntdtiplo  ritoma  aU^tmo:  concetti  yaghi,  indeterminati  ed erronei  che  ci  fanno  pensare  a  Proclo  e  a  Plotino.  Se  il  GIOBERTI  fosse rimasto  qui,  non  sarebbe  stato  ingegno  potente  ed  essenzialmente  cor- rettivo di    medesimo.  Non  sarebbe  stato  ingegno  progressivo,  fecondo ed  esplicativo.  Ma se  nella protologia  fosse  giunto  al  concetto  del  divenire, più  che  esplicarsi  e  si  sarebbe  data  la  zappa  su' piedi;  si  sarebbe  cod- tradetto:  sarebbe  passato  dal  bianco  al  nero,  dal  no  al  sì,  da  Dio  alla  Idea, e  siffattamente  sarebbesi  mostrato  ingegno  leggiero,  pensatore  sghengo  e anche  un  pò vanesio.  Era  egli  tale  T  ingegno  del  GIOBERTI?  Lo  dica  chi può!  Dunque  l' A.  della  Protologia,  se  per  nostro  conforto  fosse  vissuto, non  sarebbe  divenuto  Hegeliano;  anzi avrebbe  inaugurato  novello  periodo filosofico  in  Italia  conforme  all'indole  di  nostra  mente;  ciò  che  non  ha fatto,  e  non  poteva  faro  MAMIANI. FERRI  ha  detto  benissimo:  la teconda  JUoaofia  del  GIOBERTI {che  racchiude  non  già  un  nuovo  9Ì9tema,  eibbene  uno  epirito  nuovo)^  inaugura  un  altro  periodo,  la  cui  aorte  i  rieeronta al  futuro  (Hist.).  E  davvero,  se  fosse  vissuto,  ci  avrebbe dato  un  Btnnovn mento  filosofico,  al  modo  stesso  che  ci  dìo  il rinnovamento civile  col  quale inaugura  la  nuova  ITALIA,  e  del  quale  Cavour,  dovremmo  es- serne ormai  convinti,  non  fece  che  attuare  il  programma.  Ciò  non  pertanto anche  nella protologia  si  scopre  l'uomo  vecchio,  VintuitUta,  e  però  il  neoplatonico schietto.  Non  dubita  affermare,  per  esempio,  che  Videa  pone  il  finito, e  8i  COMUNICA):  che  le  idee  formino  in  Dio  una  gela,  la  quale 9Ì  «quaderna  e  pa^aa  dalV  as9oluto  ed  relativo  merde  V  atto  della  creazione:  che l’infinito  attuale  e l’infinito  potenziale,  anziché  due  cote, formino  una  sol  cosa,  ma  sotto  doppio  aspetto:  e  che  l'infinito  potenziale  non  è    il  finito    1’infinito, ma  la  sintesi  di  essi,  non  {scorgendo  il  grand'  uomo  come  finitò,  e infinità  potenziale  non  siano  già  due  cose,  ma  due  aspetti  d*un  medesimo subbit'tto,  ciò  è  dire  il fatto  in  quanto  è  alterità  verso  il  Generato,  e verso  se  stesso.  Or  le  contraddizioni  da  cui  bisogna  salvare  il  Gioberti nella  sua  seconda  maniera  di  filosofare  sono  queste,  non  quelle  che  ci veggon  gli  Hegeliani.  E  bisogna  salvamelo  appunto,  per  liberarlo  dalle tracce  d’iper-psicologismo,  di  neo-platonismo,  di  alessandrinismo,  d'arabismo e  d' hegelianismo  che  pure  contiene. conversione  col  Generato,  cioè  il  Fatto  come  Fatto,  come posto;  con  ciò  stesso  ei  ci    questo  Fatto  come  sub- bietto  che  essenzialmente  si  converte  con    medesimo  ; cioè  come  creante  sé,  come  autogenito,  come  conato,  E come  poi  ritrovarla  cotesta  formola?  La  ritrova  chi abbia  occhi  in  fronte  ;  cioè  leggendo  la  Scienza  Nuova.  La quale  è  per  l'appunto  un'applicazione  di  essa,  ma  è  un'ap- plicazione al  mondo  de' fatti  umani,  eh' è  dire  d'ima parte,  d'un  genere,  del  sommo  genere  del  Fatto.  Che cos'è  il  Certo  che  diventa  Vero?  Che  cos'è  V Autorità che  a  grado  a  grado  assume  forma  e  valore  di  Ragione? Che  cos'  è  la  Filologia  che  diventa  Filosofia?  Che  cos'è la  storia,  l' uomo,  lo  spirito  che  dalla  fase  divina  passa alla  fase  eroica,  e  dall'eroica  all'wwana. Che  cos'è  il pensiero,  la  Mente  che  è  Senso  poi  Immaginaeione  e poi  Ragione?  Taluno  potrebbe  dire:  di  cotesta  formola Vico  non  fece  applicazione  al  mondo  della  natura. Neanche  questo  è  vero.  E  non  vero,  i)erchè  non solamente  quest'  applicazione  ci  è  dato  dedurla,  al  solito, dal  suo  principio  metafisico,  ma,  che  più  rileva,  ei  n'  ha lasciate  tracce  visibilissime,  germi  assai  fecondi  ne'  suoi principii  cosmologici, come  vedremo  appresso. Torniamo al  proposito. Dato alla creazione il  significato  e  il  valore  che  noi diciamo,  ne  vengon  fuora  parecchie  conseguenze  le  quali verremo  accennando  man  mano.  La  creazione  non  è,  per parte  di  Dio,    una  deduzione,  per  dir  così,    un'  in- duzione. Per  dedurre  il  mondo,  egli  dovrebbe  cavarlo da  sé:  assurdo  grossolano.  Per  indurlo,  poi,  dovrebbe cavarlo  da  una  materia  preesistente,  ovvero  dal  nulla. Una  materia  preesistente  senz'  alcuna  idea,  un  ricettacolo indeterminato,  come  lo  concepisce  il  Platonismo, riesce  inintelligibile,  e  ci  lascerebbe  in  pieno  dualismo. Dal  nulla  come  tale,  nel  che  sta  il  concetto  balordo  dal pietoso  credente,  tanto  meno.  Si  dirà  esserci  la  potenza Vedi a questo  proposito  quel  ohe  abbiamo  discorso  nel  Cap.  V del  Ub.  U. infinita  attuale?  Benissimo:  quest'Atto  ha  da  esser  Oenerato;  e,  in  quanto  è  Generato,  pone  il  fatto,  educe  il  fatto per  necessità  razionale,  e  quindi  per  legge  di  conversione. Se  dunque  lo  educe  per  necessità  intima  e  razionale,  veggiamo  scaturire  una  seconda  conseguenza,  ed  à  che  un mondo  particolare,  contingente  e  d' ogni  parte  finito  e mutabile  e  scorrevole,  senz'  altra  necessità  fuorché  quella d'  un  beneplacito  divino,  contraddice  apertamente  alla ragion  filosofica  positiva,  nonché  ai  risultati  sicuri  della moderna  scienza  fisica,  geologica,  cosmologica,  astronomica. Se  il  mondo,  anche  in    medesimo,  é  una  conver- sione di    con    stesso,  non  può  non  esser  necessario nella  sua  esplicazione  e  nelle  sue  leggi,  appunto  perché essendo  termine  di  conversione  d'una  causa  eh'  é  men- te, debb'  essere  anche  lui  causa,  mente,  razionalità.  U mondo,  in  somma,  é  posto  razionalmente.  Dunque  Tatto col  quale  Dio  pone  cotesto  mondo  é  liberamente  neces- sario, e necessariamente  libero. Dicemmo  qual  relazione  corra  fra  libertà  e  ragioue. Se  Tatto  volitivo  guardato  nella sna  radice,  secondo  la  legge  del  processo psicologico,  non  è  altro  in  generale  che  uno  «/orso  (Tintenderef  cotesto sforzo,  che  in  noi  ò  impedito  perchè  essenzial  conato,  nelP  Assolato  non  può aver  luogo,  e  quindi  è  speditissimo.  £cco  il  fondamento  della  necessità della  creazione.  Ma  la  sapienza  infinita!  si  dirà:  chi  ne  misura  gli  abissi? Lasciamo  gli  abissi: qui  la  faccenda  è  chiara,  perchè  ce  ne  porge  guarentigia la  psicologia:  gli  abissi  ci  sono,  pur  troppo,  ma  non  qui  ;  e  qui ci  sono,  perchè  ce  Than messi  l’ignoranza,  il  pregiudizio  e  l’immaginazione. Nò  si  creda  che  togliendo  a  Dio  la  libertà  (anche  quella  a  n«oem(ate natura),  ella  rimanga  distrutta  altresì  nell’uomo.  Innanzi  tutto  non  è  vero che  si  tolga  a  Dio  U  libertà;  anzi  gli  si    la  libertà  vera,  dal  momento  ohe si  concepisce  come  vera  e  compiuta  ragione.  L’uomo  è  ^rt»eep«rous. Non  v'è  dunque destino:  il  destino  è  la  natura  e  la  ragione;  e  appunto perchè  il  destino  è  natura,  perciò  è  lungi  d'esser cieca  necessità.  Tutto  quindi  è  provvidenza  nella  mente di VICO (si veda),  perchè  tutto  è  creazione,  attività  intima,  profonda, spontanea  si  nel  mondo  fisico,  e    nel  morale; né  senza  ragione  volle  metterla  in  cima  alle  sue  discor verter  La  provvidenza  agli  occhi  suoi  apre  e  chiude il  circolo  della  scienza,  non  meno  che  il  processo  della Storia.  Ella  perciò  è  innanzi  tutto  naturale  e  divina, appresso  eroica ,  da  ultimo  umana.  La  provvidenza umana  è  la  stessa  ragione,  la  quale  non  può  non  essere libertà:  essa  dunque  importa  pienezza  di  responsabi- lità. La  provvidenza  è  il  primo  de'  tre  grandi  principii,  0  sensi  comuni  dell’umanità:  ed  è  altresì  l'ultimo corollario  della  mente  del  filosofo. La  Provvidenza  dun- que è  principio  e  fine  della  storia  umana,  al  modo istesso  eh'  è  dedica  e  conclusione  della  Scienza  Nuova.  E  anche  quest*  altra:  ab  ipta  rerum  humatuxrum  natura.  (De  Oon$t, Philel )  Il  coDCotto  di  Vico  è  concetto  aristotelico;  e  così  infatti  1*  Afro- dìsio  interpretava  la  neceasìtà Jinea  e  naturale  d'Aristotele.  (Ved.  Noo- BI8S0N,  De  la  UberU  et  du  Haaard,  E$8a%  sur  Alexandre  d'Aphrodina»  ec. Paris) Ved. Tavola  delle  Diteoverte  nella  Prima  Seien»a  Nuowu *  Perciò  chiama  il  soo  libro  una  teologia  civile  e  ragionata  della Prowedema  divina  (Sec.  Se.  Nao.)  ;  e  più  d' ana  volta  si    Tanto d'aver  prodotto  una  nuova  dimostrazione,  una  dimostrazione  di  fatto ittorieo  circa  V  esistenza  di  Dio.  Che  cor'  ò  questa  dimoetratione  di  fatto ietoricot  t!  la  provvidenza  in  quanto  è  Fatto,  in  quanto  è  creazione.  & il  Fatto  che  si  converte  con  so  stesso,  e  mostra  quel  che  è,  quel  che contiene,  quel  che  debb' essere;  e  così,  mostrando    stesso,  mostra  anche Dio.  Perciò  la  provvidenza  non  ò  Dio  che  si  mostra,  Dio  che  interviene; ma  ò  il  mondo  delle  nazioni  che  attuandosi,  che  creandosi  e  edébrando così  la  propria  ìvatwra,  si  mostra  sensatamente,  e  si  manifesta  come  ter- mine di  conversione.  Indi  è  che  la  provvidenza  per  lui  non  può  essere un  argomento  induttivo  dimostrante  l'esistenza  di  Dio,  appunto  perchè ella  nel  mondo,  anziché  effetto,  ò  una  causa.  Questa  sua  dimostrazione di /atto  ietorico,  dunque,  è  una  forma    eduzione,  non  già  di  sem- plice induzione:  col  che  confermiamo  anche  una  volta  la  natura  del metodo  vichiano.  Ora  se  questo  è  il  significato  (significato  davvero  nuovo e  originale)  del  concetto  della prowidenaa  n^U'  A.  della  Scienza  Nuova, n  concetto  ctisologìco  inteso  al  modo  che  noi  lo  interpretiamo nel  nostro  filosofo,  si  presenta  come  il  risaltato del  mondo  moderno.  È  la  vita  stessa  della  scienza moderna:  è  il  gran  secreto  della  filosofia  positiva:  ed è  l'esigenza  massima  della  Sdenea  Nuova.  Chi  non Faccetta,  deve  negare  il  presente,  dee  dare  una  smentita alla  storia;  e  sarà  condannato  a  indietreggiare  sino  al medio  evo,  per  non  dir  già  sino  alla  Grecia. La  formola cosmologica  del  nostro  filosofo  corregge  e  trascende,  anche in  questo,  il  neoplatonismo  italiano  moderno,  ponendo non  è  a  merarigliare  s*egli  in  ciò  sia  stato  franteso  e  interpretato  assai male,  come  vedemmo,  da  certi  saoi  critici.  Jannelli  e  il  primo  ad  osserrare  che  nella  Scienza  Nuova  tale  concetto può  intendersi  in  dne  sensi;  e l’acato  archeologo  napoletano  non  s’ingannata. Talora  infatti  sembra  che  la  provvidenza,  per Vico,  abbia  a consistere  solamente  nell’azione  di  Dio.  È  la provvidenza,  per  dirne un  esempio,  che  eccita  Atejo  Capitone  e  Lahtone;  il  primo  nella  gdoèa  e tenace  cuttodia  de^  vecchi diritti, e  il  secondo  nel  propugnare  interprc tOMioni  tempre  nuove  affindii  la  romana  ffiurieprudenMa  potetèc  evtdgerai. {De  Univ,  Jur,).  La  provvidenza  egli  invoca  per  iepiegare la  rapida  e  univereale  comporta  del  Cristianesimo  merco  la  civiltà  romana; la  quale  perciò  altro  scopo  non  avrebbe  avuto  nel  mondo,  fuor- ché quello  di  schiuder  la  via  ali*  idea  cristiana. Or  tutto ciò  contraddice  ali*  esigenza  del  suo  metodo,  ed  è  in  aperta  opposizione con  la  sua  dottrina  metafisica.  Lo  stesso  religiosissimo  Jannelli,  il  quale del  resto  non  avea    punto    poco  subodorato  il  valore  della  filosofia  del suo  maestro,  non  dubita  affermare,  che  se  per  prowidenxa  nella  Scienza Nuova  •»*  vuole  intendere  eolo  V  axione  di  Dio  eugli  uomini,  Mora  non  pare che  n  faccia  altro  che  una  lemone  di  teologia  poco  neeeeearia  ai  Cattolici, ami  ai  Crietiani  e  a  tutti  gli  eneeri  ragionevoli.  Provvidenza dunque,  per  VICO (si veda),  vuol  dire  natura.  Provvedere  è  fare,  è  creare,  ò attuare. Dunque  è  incessante  e  vivace  conversione  del fatto  nel vero.  Per lui  quindi  è prowidenxa l’itetnto,  laddove,  parlando  dell* origine  della  pa- rola 2ex,  dice  che  gli  uccelli  nidificano  pretto  le  fonti.  {De  Vniv.  Jur.)   provvidenza  il  pudore,  onde  procede  la  frugalità,  la  temperanza, la  giuttÌMia,  e  simili  {De  Contt.  Juritpr.,  I[I). È  provvidenza  la storia  della  poesia,  e  le  false  religioni.  E  provvidenza  la  forma monosillabica  delle  lingue.  È  provvidenza  lo  teoppiar  de’  primi  tumulti deUe  plebi  nella  terza  età  del  tempo oscuro. È  per  provvidenza {rebut  iptit  dietantibut)  che  le  religioni  cominciano  a  venire  in  dispregio. È  prorvìdenn  {rebut  iptit  dietantibut), l’origine  dell’arte della  guerra  e  della  pace.  fe  provvidenza  che  le  Centi  Minori apprendano  dalle  Centi  Maggiori;  ed  è  provvidenza  la  templieità  e  naturalcMM  Oud*ò  condotto il corto  ddC  umanità  (Sec  Se.  Nuo.). a nudo  le  magagne  del  concetto  creativo  del  Teologismo, nonché  dell' Hegelianiamo  e  del  Positivismo:  che  vuol dire,  al  solito,  corregge  i  due  estremi  del  filosofare,  iperpsicologismo  ed  empirismo.  Di  fatto  che  cos'  è  per  l' Hegeliano la  creazione?  È  l’identico  in  guanto  si  differendo. Dunque  non  è  vera  creazione,  svolgimento,  processo; ma  ripetizione  ritmica  e,  come  dire,  inquadrata  sovra un  medesimo  fondo  che  è  la  Idea.  Pel  Positivista  il moto,  la  vita  e  l' essere  delle  cose  non  è  che  trasfor- mazione di  forze,  o  di  materia;  trasformazione  fisica, meccanica, biologica;  determinismo  affatto  meccanico, affatto  accidentale,  affatto  cieco.  Dunque  anche  per lui  la  creazione  è  ripetizione  monotona  d'un  identico subietto. Con  la  formola  cosmologica  del  nostro  filosofo,  inol- tre, si  giugne  a  conciliare  le  esigenze  legittime  del teismo e  del panteismo  su  la  natura  del  mondo.  Nel  Panteismo vi  è  un'affermazione  giusta  e  ragionevole;  ma  vi è  pure  una  negazione  iriragionevole,  erronea  ed  esiziale. L' affermazione  risguarda  lo  svolgimento  d' un  principio interno  e  divino  nel  mondo,  e  nella  natura.  La  negazione poi  riguarda  un'efficienza  sovramondana,  che  come intelletto  amore  e  potenza  ponga  il  mondo e la  natura, e  sia  presente  al  mondo  e  alla  natura. Il Teismo  grossolano e  volgare  contraddice  al  Panteismo  col  porre  l'ef- ficienza sovramondana;  ma  non  sa  intendere  per  nulla il  divino  della  natura;  non  capisce  il  divino  anche  nel mondo.  L'affermazione  del  Panteismo  è  l'esigenza  dell'Oriente, e,  in  parte,  dell'Occidente;  della  scuole  jonica, eleatica,  pitagorea,  stoica,  alessandrina;  poi  delle  grandi intelligenze  d'.Erigena,  di BRUNO,  dello  Spinoza;  ed  è anche  l' esigenza  dell'hegelianismo.  L' affermazione  poi del  Teismo  beninteso,  è  principalmente  un  portato  della speculazione  occidentale,  perchè  è l’esigenza  profonda della  metafisica  platonica,  e  della  metafisica  aristotelica. Panteismo  e  Teismo,  dunque,  oggi  sono  di  fronte;  perchè essendo  pervenuti  entrambi  al  più  alto  grado  di  speculazione,  ci  porgono  due  forinole  nette,  chiare,  spiccate: V essere,  il  non-essere  e  il  divenire,  da  una  parte. Il vero,  il  generato  e  il  fatto,  dall'  altra.  Or l’affermazione, r  esigenza  ragionevole  del panteismo  è  inclusa nella  formula  cosmologica  di Vico,  e,  che  più  importa, vi  è  anche  corretta.  L'affermazione  e  l'esigenza  ragio- nevole del teismo, poi, trova  correzione e inveramento nella  formola  metafisica  dello  stesso  filosofo.  Quant'alla parte  negativa,  cotesti  sistemi  sono  da  ripudiarsi  entrambi. Se  il teismo  ignora  il  vero  concetto  di  natura e  però  disconosce il divino e perciò  stesso  disconosce  la creazione  autonoma  del  mondo;  il  Panteismo,  alla  sua volta,  disconosce  la  vera  natura  di  Dio,  e  perciò  disconosce la  vera  natura  dell'  uomo,  e  cosi  viene  a  distruggere la  grandezza  e  l' eccellenza  dell’umana  personalità. Se  intanto  la  creazione  è  un  processo,  cioè  dire  il fatto  che  si  converte  nel vero,  si  può  domandare:  in  che maniera  s' attua  cotesto  processo?  In  altre  parole:  come avviene  che  la  creazione  diventa  provvidenza? Il  modo  con  che  s'  attua  la  creazione  potrà  dircelo solamente l’esperienza:  ce  lo  potran  dire  le  scienze  di natura,  e  le  discipline  istoriche  in  generale.  Ma  anche nella  soluzione  del  problema  cosmologica  sbagliano,  tanto quelli  che  tutto  vogliono  indurre, quanto  quegli  altri  che tutto  pretendono  dedurre.  Oggi  non  è  permessa  una  dot- trinacosmologica  empirica;  e  tanto  meno  è  permessa una  cosmologia  che,  fabbricata  a  priori,  si  rimane  campata a  mezz'aria.  La  filosofia  cosmologica  potrà  attinger valore  positivo  e  razionale  ad  un  sol  patto;  che,  cioè,  il pronunziato  generale  ch'ella  potrà  fornire  alle  scienze le  quali  si  travagliano  intorno  alla  ricerca  delle  leggi da  Mill  appellate  empiriche,  sia  del  pari,  o  possa essere,  il  risultato  complessivo  e  finale  delle  scienze  stes- Giastissime  qaiodi  le  parole  d*aii  valoroso  sorltlore  moderno. (Tttt  ùonire  le  panthéitme  que  tou»  eeux  qui  retUM  ^i>rit  de  la  vrai grandéur  de  l’homme  doivent  »e  riunir  et  eombattre (Tooqukvillk,  De  la VemoeraHe,  Paris) se.  La  metafisica  positiva  altro  non  sa  darci,  salvo  che la  legge  della  conversione  come  principio  della  essenzial costituzione  del  fatto.  Quant’al  modo  poi,  ella  non  sa, ella  non  può  assegnar    regole  ritmiche,    tricotomie a  priori  di  nessuna  sorta.  Che  se  anche  qui  per  avven- tura è  possibile  un  accordo e una  rispondenza  tra  la speculazione  del  filosofo  e l’osservazione  induttiva  e  de- duttiva dello  scienziato,  in  verità  non  si  cerca  di  meglio. In  cosiiFatto  accordo  si  avrà  la  guarentigia  più sicura  dell'  ottimo  indirizzo  cosi  dell'  una  come  dell'  al- tra sfera  di  scibile. Se  il  Fatto  à  il  diverso,  non  solo  considerato  qual termine  di  conversione  col  generato,  ma  anche  avvisato in    stesso,  avviene  che,  nel  convertirsi  con    mede- simo, e' debba  manifestare  varietà  di  momenti  e  pas- saggi e  transiti, e  quindi  intervalli  e  tjontinuità  nell’esplicazione  delle  sue  forze. Vuol  essere  insomma,  ri- petiamolo, un vero  processo, che  è  dire  svolgimento, conversione,  creazione,  anziché  una  serie  di  semplici trasformazioni  e  d' increscevoli  rimutamenti  di  forma. Vuol  esser  quindi  un  passaggio  incessante  ed  essenzial- mente dinamico  dalla  potenza  all'atto,  dall'omogeneo all'eterogeneo,  per  usare  anche  qui  la  frase  di Spencer, dall'indeterminato  al  determinato,  e  però  dal  genere  alla specie,  e  dalla  specie  all'  individuo,  per  finire  nell'  indi- viduo capace  d'essere  o  di  rappresentare  insieme  nella sua  virtù  il  genere  e  la  specie.  Tre  sono  i  sommi  generi  del  processo  cosmico;  e  altrettante  le  fermate  o, per  così  dire,  i  momenti  dell'attività  creatrice.  Tre sono  dunque  i  processi  speciali  e  differenti  attraverso  a cui  il  Fatto  si  fa,  e  che  potremo  appellare  fisico,  orgor nicOf  e  storico-sociologico  od  umano;  e  tre  sono  quindi  gli anelli  della  gran  catena;  Forza,  Vita  e  Pensiero. Fra questi  tre  processi  ci  ha  differenza  e  medesimezza,  e però  intervalli  e  continuità:  ma    questa  continuità  è di  natura  materiale,    quell'  intervallo  é  un  semphce passaggio  alla  maniera  che  lo  intendevano  e  lo  inten- dono,  come  notammo,  gli  aristotelici  empirici,  ed  i  moderni materialisti. Fra  il  processo fisico  e  il processo  organico,  per  esempio,  ci  è  continuità  ideale, e  quindi  intervallo  reale  ;  stantechè  non  sia  la  Forza che  diventi  Vita,    la  Vita  che  diventi  Pensiero,  ma è  la  forza  che  passa  ad  esser  vita,  e  la  vita  pensiero.  E nel  pensiero  compenetrandosi  non  già  sovrapponendosi od  assomandosi  le  prime,  abbiamo  nel  medesimo  tempo r  attuazione  della  forza,  e  della  vita.  Il  passaggio  quindi, come  accennammo,  non  è  semplice  trasformazione,  ma è  transito,  è  passaggio  nello  stretto  senso  della  parola (iyipyetò:  aTi>>i;),  eduzione  (eductio  entìs  ad  actum)y  e perciò  creazione.  Se  intanto  nel  passaggio  vi  ha  intervallo, cotesto  intervallo  non  è  egli  davvero  un  salto  che fa  la  natura?  L'intervallo  superato  dalla  stessa  natura è  precisamente  la  conversione  del  fatto  nel vero;  è r  energia  creativa;  è  il  vero  passaggio  dal  nulla  all'  es- sere, dalla  potenza  all'  atto:  ed  ecco  il  significato  della creazione  ex  nihilo.  Dunque  l'intervallo  per  noi  non  è (come  altrove  toccammo)  quel  che  per  gli  antichi  era  i) diastema  e  il  cenon;  negazione,  vuoto,  nulla.  È  anzi pienezza  d'essere,  attuosità  vivace,  conato  (to  Juvarov), perocché  ci  rappresenta  il  momento  in  cui  la  continuità ideale  tende  a  diventar  reale.  Ai  due  capi  della  catena poi  vedemmo  esserci  due  intervalli  ;  psicologico  l' uno, e  metafisico  l' altro.  U  primo  dicemmo  potersi  superare mercé la dialettica  ascensiva,  poiché  qui  il fatto,  già convertitosi  con    medesimo  e  perciò  divenuto  forza vita  e  pensiero,  si converte  quinci  col vero,  eh'  é  dire col primum verum  metaphysicum:  mentre  il  secondo é  superato  dall'essere  stesso  con  la  dialettica  discensiva, secondochè  ci  addimostrano  la  formola  metafisica  e  la formola  cosmologica  di Vico. Queste  sono  le  due  leggi  universali, o  meglio,  le  due condizioni  dell'attività  creatrice  di  natura.  In  virtù  di esse  é  possibile  una  scienza  cosmologica  razionalmente positiva,  poiché  in  esse  sta  il  nodo  di  que'  dibattati e  YÌtali  problemi  su  la  generazione,  su  la  genesi  spontanea, su  l'origine  delle  specie.    il  Platonismo,  né l’Aristotelismo,    alcuna  dottrina  che  risalga  a  queste due  sorgenti,  ci  potranno  dar  mai  questa  doppia  legge. Nell'uno  fa  difetto  il  concetto  del  processo;  nell'altro questo  processo,  ripetiamolo,  è  passaggio  empirico>  meccanico, generativo,  ovvero  logico  e  formale.' Ammessa  quindi  la  legge  dell'  intervallo  nell’attività creativa  di  natura,  verremo  capaci  di  correggere il  vieto  concetto  cosmogonico  del  teologismo  e  dell'empirismo. Il vecchio  naturalista  contro  il  teologista  pronunzia, che  natura  non  fadt  saltum.  A  salvare  il deus machina  il  teologo  risponde,  che  natura  fadt  sattum; e  questi  salti  per  lui  sono  altrettanti  atti  immediati del  Demiurgo.  Ora  la  verità  non  istà  dall'  una,  né dall'  altra  parte.  Naturalisti,  sperimentalisti,  determi- nisti, positivisti  hanno  ragione  a  non  credere  ai  salti; ma  non  ha  torto  il  teologo  se  dice  che  la  natura  pro- cede per  creazioni  ed  atti  creativi  diversi. Il  positivo qui  dove  sta?  Neil'  accettar  l' una  e  l' altra  affermazione, e  correggerle  entrambe.  La  natura,  certo,  non fa  salti;  non  v'essendo  ragione  perché  ella  non  proceda continua  nella  ricchezza  e  fecondità  delle  sue  produzioni Ma  eccoci  al  punto  1. Questa  continuità  (conti- nuità materiale,  fisica,  sensata)  ha  luogo  entro  la  sfera. Ma  anche  in  questa  dottrina  Aristotele  potrebb  essere  difeso, chi  lo  interpretasse  benignamente.  Se  pel  Platonismo  il divenire  e  il generarsi,  ha  luogo  per l’essenza,  per  l' idea  che  attua  la  cosa  e  la  scorge e  la  determina;  per Aristotele,  al  contrarlo,  l’indeterminato  procede  al tUterminato  qucdUativo  per  sua  propria  energia.  Fra  i  molti  passi  che potrei  addurre  mi  contento  di  questo  che  si  legge  nella Metaph.:  Uòrtpov  ouv  iv^i  tic  (Ttfatpa  uxpot.  raqSi  Xf  oixiu  vK^pct TOtc  oXcvdouC}  i  01» J*  av  aoTf  iytyvexoy  ti  ovtwc  tJv,  róSt  ri; àXXa    Toióv^c  vrifjLaivtiy  róSt    xai  (upurixivov  oux  tf(r7(v, àWà  trotcì  xac'  7evvà  ex  totJ^s  rotov^s    xat  orav  7«vv>30i7,  Ìt^i ro$t  rotòvBt.  È nna  prova di  più, come  si  vede,  della  possibilità  di rintracciare  e  dimostrare  nell'Aristotelismo,  anche  in  siflbtta  ricerca, r  indirizzo  medio della  speculazione  filosofica  contro  gì*  interpreti  empirici e  contro  gì*  iperpsicologisti  che  il  generarsi  delle  cose  in  Aristotele  trag- gono  in  due  e  contrarie  sentenze  opposite. d'una  specie,  d'un  genere,  d'un  ordine,  anziché  nel passaggio  dall'uno  all'altro.  Se  così  non  fosse,  la  na- tura non  sarebbe  guari  natura,  non  sarebbe  creazione, sibbene  ripetizione  sazievolmente  monotona  d' individui. E  non  meno  ragione  ha  il  teologo  o  il  neoplatonico  che sia,  nel  pretender  che  la  natura  proceda  a  salti;  ma non  ha  niente  ragione a predicarci  essere  il demiurgo, proprio  lui,  quegli  che  la  fa  saltare.  È  ella  stessa,  è  la stessa  potente  e  feconda  natura  che  si  muove.  E  si muove  per  qualcosa  che  non  sopraggiugne  dal  di  fuora, anzi  sgorga  dal  di  dentro. Cosi,  e  solamente  così,  è  possibile  l' autogenesi  del mondo.  Chi  non  sia  disposto  ad  accettarla,  romperà senza  rimedio  contro  Scilla,  o Cariddi;  che  vuol  dire contro  uno  de'  due  soliti  estremi. Come  intanto  s'inaugura,  come  si  svolge  e  come  si assolve  egli  il  Processo  cosmico? Delu  attività  creativa ne'  diversi  momenti  del  processo  cosmico, se  l’attività  creatrice  di  natura è  una  Conversione  del  FaUo  nel vero,  ella  non  può esplicarsi  altrimenti  che  per  gradi,  per  momenti  diversi, e  quindi  per  intervalli  e  per continuità  ideale.  Il processo  cosmico,  dunque,  è  universale. Ed  è  universale  prin- cipalmente perchè,  secondo  la  frase  di BRUNO,  racchiude in  sé,  quasi  circolo  più  ampio  altri  piccoli  circoH, il  triplice processo  Fisico,  Organico  e  Sociologico.  Così  la legge  che  governa  il  tutto  come  le  parti  è  sempre  la stessa:  è  la  gran  legge  del  trasformarsi  e  del  rintegrarsi  perpetuo,  progressivo,  incessante  delle  forze  universali e  comuni  di  natura.  Perciò  è  il  numero  che  [lIB.  H. sempre  più  volge  ad  unità;  è l’indeterminato,  l’omogeneo, l'indefinito  (tò  uopiiTòv)  che  procede  al  deter- minato, all'  eterogeneo,  al  perfetto  (tò  TsXitov).*  Se  tale dunque  è  la  natura  di  quest'  universal  movimento  che dispiegasi  nel tempo,  in  che  maniera  potrebb'  esser  un incessante  cangiar  di  forme  e  di  fenomeni?  Se  cosi fosse,  quest'universo  sarebb'  egli  un  cosmos o non  più veramente  un  increscevole  ed  eterna  monotonia  d'apparenze fenomenali,  ovvero  un  caos?  La  legge  del processo cosmico dunque è  legge  di  creazione;  è  legge  di coixyersione,  anziché  di  semplice  trasformazione. Col processo fisico  si  genera  la  forza;  e  la  forza  è  subbietto omogeneo,  sintesi  confusa,  numero  e  unità  generale, unitotalità  vaga  e  indeterminata.  Cotesto  Processo  fisico si  sdoppia  nel  Processo  organico  nel  quale  si genera  la vita;  e  la  vita  è  numero,  eterogeneità  essenziale,  essen- zial  dualità  (vegetale  e  zoologica).  Nel  processo  istorico-sociologico,  finalmente,  si  genera  lo  spirito,  il  pensiero; ed  è  un  ritomo  all'  unità,  ma  come  triplicità.  La  forza quindi  si  converte  nella  vita,  come  la  vita  si  converte  nel pensiero.  Unità,  dualità,  dualunità:  Forza,  Vita  e  Pensiero. Ecco  il processo  cosmico,  ed  è  sempre  il  Fatto  che si  converte  nel  Vero,  perocché  è  sempre  il  conato,  il  me- desimo, che  si  fa  diverso  per  intervallo.  Come  intanto. È  il  vecchio  principio  per  cui  si  distingue l’indirizzo  medio  aristotelico nella  dottrina  su  le  forze  fisiche,  organiche  e  organizzate: *H  $i  fxJffi^  ffivyet    aTrci^ov  *  to  fiiv  yoip  anstpov  otTtlsq,  Si  «vece  «s(  K^Ttt  TsXoc  (I>e  (7en.  an.).  E  più  chiaramente  ancora: 'Aft  yàp  €v  Tw  efslivii  vppxst  xo  upOTspov  {De  An.).  La scienza  moderna  non  ha  fatto  e  non  fa  che  confermare  questo  principio aristotelico;  ed  è  quel  medesimo  pronunziato  che  lo  Spencer  considera  sic- come chiave  del  processo  cosmico.  Ma  avvertimmo  già l’aspetta  manchevole delle  dottrine  del r  illustre  scrittore  inglese;  che,  cioè,  se  il  processo cosmico  è  davvero  una  creazione,  è  forza  che  nella  sua  natura altro  non  possa  essere  che  uua  teleologia, un processo essenzialmente teleologico, a partire dall'etere, dalla  materia  nebulare  indeterminata, e  scendere  giù  giù  fino  all'atto  estremo,  alla  forza  che  diciamo  pensiero. Questo  dato  vitalissimo  manca  allo  Spencer  nonché  ai  Positivisti e,  come  vedremo,  a'  naturalisti  Darwiniani. E  pure,  chi  ben  rifletta,  è un  concetto  essenzialmente  poeitioo^  perchè  è  un  fatto. rivelasi  la  prima  conversione  del  fatto?  In  altre  parole:  in  qual  modo  s' inaugura  l' attuosità  creativa  dell'universo?  La  natura  comincia  con  Tesser  conato. Ella dunque  comincia  come  sintesi  iniziale  e  confusa:  ella s' inaugura  come  materia  metafisica (Vico,  De  Antiqui^.). La  nuiteria metafisica  alla  qaale  più  voite  accenna  confasimente Vico  e  che  SERBATI,  come  toccammo,  non  interpreta  convenevol- mente,ò  neir  ordine  cosmico e naturale ciò  che  nell'  ordine  psicologico ò  la  luce  tnetaJUica.  Nel  passaggio,  nell’intervallo  in  generale,  ha  luogo nn  novello  conato,  eh' è  il  momento  creativo,  il  parto  {a/orno  impedito) della  natura;  e  quindi  racchiude  qualcosa  d’intimo,  d*  universale,  di metafisico,  d'iperfisico,  di  soprassensibile.  Ecco  perchè  talora  in Vico nonv'   ha divario nelle  parole conato, momentOf  t/orto  impedito,  luce meta/i» nea^mcUeria  metaJÌ9Ìca,virtue^vi»,  dvvxfJLi^y  «vT«).ffXJeav,  e  simili.  Però è  facile  incontrarvi  qualche  sentenza  di  questo  tenore  :  Lux  metaphyeica §eu  eduetio  virtutum  in  actue  conatu  gignitur.  Perciò  se si  vuole  interpretare  a  dovere  la  sua  mente,  il  valore  della  parola  conato, nella  quale  pone  radice  la  novità  della  cosmologia  vichiana  e  leibniziana,  è  questo :  che  il  conato  per  lui  sia  il  principio  concreto,  reale, vivente  della  natura:  che  sia  perciò  relazione  la  qual  comprenda  e  annodi in  organismo  vivente  i  tre  processi,  e  per  cui  risulti  come  la  molla  secreta deir  intero  Proceeeo  eoemólogico,  È  la  relazione  concreta,  e  reale  del  fatto col  Vero;  cioè  del  Fatto  che,  in  quanto  divereo  in  sé,  diventa  Vero.  In una  parola,  è  la  eoetanxa  della  natura,  come  fra  poco  vedremo,  e  perciò  è Vdpx^  xivKj  Tcwc  d'Aristotele (AfetopA)  ma  corretto  profondamente, e  però  trasfigurato  e  legittimato,  stantechè  non  sia  altrimenti  un  principio di  movimento  ipercosmìco,  ma  nn  principio  essenzialmente  eoemico, essenzialmente  naturale;  e  perciò  è  lo  stesso  movimento  che,  in  quant'  è motOf  si  rivela  come  autogenito. GIOBERTI  che  ha  un  senso  isterico divinativo  tutto  suo  nel  saper  cogliere  in  certe  sentenze  l'aspetto  originale d’una  dottrina,  non  dubitò  scrivere  che  la  teorica  de'  punti  e  del  i eoncUo  di  Vico  ì  il  perno  del  tuo  eietema;  aggiungendo  che  per  questa parte  egli  è  arietotelico  e  platonico  ad  un  tempo (Protol.).  Che la  dottrina  del  conato  sia  il  perno  della  sua  cosmologia,  nessun  dubbio; ma  la cosmologia  non  è  la  sua  metafisica. È  dunque il  perno,  è  la  molla della  sua  formola  eoemoloffica,  non  già  della  sua  formola  metafiica:  il perno  di  questa  seconda  è  ben  altro. Che  poi  in  questo  egli  sia  aristotelico  e  platonico  insieme,  è vero;  ma  è  tale  in  quanto  corregge,  trasforma  e  compie  i  due  vecchi filosofi,  e  perciò  in  quanto  li  accorda.  Nel platonismo  il  concetto  del conato,  al  modo  che  è  inteso  da Vico,  non  ci  è,  e  non  ci  può  essere, come  si  può  ricavare  da  tutti  que'  luoghi  ne'  quali  siamo  venuti  accen- nando rapidamente  a  quel  sistema.  Può  esserci,  e  vi  è  di  fatto  in  Aristotele, ma  confuso  e  indeterminato  cosi  che  non  si  lascia  riconoscere facilmente.  Al  qual  proposito  mi  sia  qui  lecita  nn*  osservazione  isterica. Ma  se  la  natura  comincia  con  l’esser  conato,  appunto perchè  conato  ella  dev'  esser  riguardata  sotto  doppio QualcQDo  potrebbe  confondere  questo  conato  del  filosofo  napoletano con  la  monade  leibniziana,  o,  pegfifio,  con  1*  ?pe$(?  aristotelica.  Lasciamo della  prima  perchò  ne  dicemmo  qualcosa  in  altro  luog^o.  Qnant'al secondo  osserro  che  tra  Voptl^ii  dello  Stagirita  e  il  conato  àe\  nostro filosofo,  ci  è  profondo  divario.  Accennammo  già  qualcosa  riguardo  al- r aspetto  esagerato  della  «aiMo  y!iMi2«  d'Aristotele.  L'ó^e^cc  certamente è  designato  da  lui  qual  moto  9pontaneo; e  basti  per  tutti  questo  passo: Kcvftrac  yoLp  to'  xivouufvov  t?  òpiysrat^  xat  17  xévTio'c;  rtc opsl^ti   t»spytia.  {De  Xn,)!  Ma  ò  poi  veramente  tale,  voglio dire  essenzialmente  spontaneo  cotest’opegi^  d'Aristotele?  Non  sarebbe più  tosto  un  residuo  del  maestro  passato  nella  mente  dello  scolare ?  Aristotele,  avvertimmo,  rompe  la  terie  predara  in  due  modi  ;  con 1'  intdllgibUe  venuto  di  /uorOf  BvpstOiv,  e con  la causa  finale,  cioè,  col dender€tb%le  [70  òptxTÒv  xat  to'  voutÓv).  Luce  per  ribtelligenza,  dunque, e  calore  per  la  volontà  vengon  d'altronde;  e  però  chi  determina  tanto il  peneiero,  quanto  la  tendenna,  è  il  pensiero  divino.  {Eih,  Eud.). Ora  dunque  1*  opeHc'c  per  Aristotele  non  può  esser  davvero  spontaneo, se  no  si  contraddice.  E  tant*è  vero  che  la  natura  per  lui  non  ò  pro- priamente attiva  per  so,  che  non  mancò,  fk'a'  vecchi  aristotelici,  chi  pigliasse a  dimostrare  come  in  Aristotele,  in  forza  del  suo  medesimo  sistema, debba  aver  luogo  la causa efficiente.  Se  Dio  infatti  ò canea  finale^ per  ciò  stesso  ha  da  essere  anche  canea  efficiente;  tanto  pareva  ad  Am- monio (il  primo a  dare  tale  interpretazione)  che  Aristotele  dovesse  mettersi in  accordo  con  Platone (Yed.  Rayaisson). Dunque l’ops^i^  noir  Aristotelismo  ò  ?^e^cc  non  per  essenza  propria, ma  in  grazia  d’un  determinante  estrinseco,  d’un’infiuenza  eeteriore  ;  la quale  influenza  non  essendo  stata  chiarita  nettamente  nella  sua  natura dal  filosofo  di  Stagira,  ha  fatto  e  fa  si  che  molti  i  quali  si  studiano d*  interpretarlo  benignamente,  credano  d'aver  buono  in  mano  per  assumerne le  difese,  e  fino  a  certo  punto  riescono  ad  aver  ragione.  Sennonché  il  vero concetto  dell'o^sHcc,  che  in  parte  risponda  al  conato  di Vico  e  rappresenti perciò  r  indirixMo  medio  in  siffatta  quistione,  sarebbe  da  riporre piuttosto  nella  nozione  di  svipyna  aTf>>i:,  la  quale  è  appunto  attiva per  sé,  ò  attiva  per  virtù  propria,  essendo  ciò  che  esiste  in  potenza,  ma in  quanto  s'avvia  all'atto;  e  s'avvia  per    medesima,  non  per  un  altro; s'avvia  e  procede  per  propria  essenza:  'O^óc  ttQ  ouTiav  {Me- taph.)  In  altre  parole  è  ciò  che,  imperfetto,  non  ha  il  fine  in  so stesso,  e  quindi  lo  cerca.  E  lo  corca  non  perchè  ne  sia  attratto  (plato- nismo 0  aristotelismo  platonico),  ma  k1  perchè  ne  ha  bisogno.  E  se  lo cerca  e  ne  abbisogna,  vuol  dire  che  questo  fine  non  potrà  essere  un'il- lusione addirittura.  Perciò  Aristotele  determina  il  concetto  del  moto cosi:  Twv  apy.^£Mv  eiv  «tt/  taipoc  ov^sjMca  tjXoc,  àWà  t«v tapi  To  TsXo;.  {Metapk.).  Ci  slam  voluti  intrattenere  un  mo- mento su  questo  particolare  non  solo  per  chiarire  il  concetto  di  Vico sul  conato  ma  anche  por  mostrare l’attinenza  ch'esso  ha  col  concetto  del rispetto.  Anche  del  Primo  cosmologico  possiamo  dire  qael che  dicemmo  del  Primo  psicologico:  egli  è  una  testa  di Giano;  ha  due  facce.  Il  conato  adunque  è  due  cose,  non una:  è  punto  e  momento  (cf«7ft*i^ v)  materia  e  moto, estensione  e  forza:  ma  e  punto  e  momento di  natura metafisica  che  vuol  dir  di  natura  potenziale,  virtuale, soprassensibile,  semplice,  indivisa,  universale.  In  altre parole,  il  conato  e  attuosità  concreta  e  reale;  ma  non è,  a  dir  proprio,    moto,    estensione,  bensì  virtii  di moversi,  e  d'estendersi: e come  virtù,  come  potenziaUtà, esso  in  generale  é  un  soggetto  identico. Punctum  et momentum  unum  sunt,  e  quindi  é  nel  medesimo  tempo numero  e  unità,  dualità  e  unità,  polarità  originaria,  e perciò  é  unitotalità  originaria,  concreta,  universale.  Ora il  conato  in  quanto  é  punto,  materia,  cioè  in  quant'  é soggetto  potenziale,  recettivo,  indeterminato,  omogeneo, indefinito  e  indefinibile,  é  il  ro  Ssrspov;  è  la  wa/xcc  come pura  capacità;  in  somma  é  il fatto  semplicemente  detto; il fatto  in  quanto  è  termine  di  conversione  dialettica  coi Grenerato.  Al  contrario,  in  quanto  é  momento,  ciò  é dire  materia  e  moto,  estensione  e  forza,  to'  Strtpov  e to'  notilo  e  però  to  warov,  é  il fatto  in  quanto  è  termine di  conversione  cosmologica;  è  il fatto  in quanto  é conversione  di    con    stesso;  e  quindi  é  sostanza semplice,  sostanza  universale,  sostanza  indivisibile  in sé,  ma  divisa  nelle  cose  che  sostiene.  Brevemente:  il conato,  guardato  come  puro fatto,  cioè  come  termine posto,  é  potenza  in  potenza,  come  direbbe  Aristotele (^uvfltfii;  ^uvot^n);  guardato  invece  come  termine  che  si pone,  come  soggetto  che  si  fa,  egli,  per  dirla  con  le significantissime  parole  di  Vico,  é  for/pa  che  si  fa  dentro moto  aristotelico,  il  quale,  inteso  a  doTere,  nono  tale  quale  d’ordinario Tiene  interpretato  dagli  hegeliani.  £  ci  siamo  trattenuti  anche  perchè quest'ultimi  non  abbiano  a  pigliare  il  concetto  del  conato  per  Vopt^i^ giacché  nel  conato  del  nostro  filosofo  non  ci  è  necessità  dialettiche,  nò relaiioui  di  finalità  come  neiriperpsicologismo  aristotelico  fecchio  e nuOTo.  Il  conato  del  Vico  non  è  propriamente  VEatcre,  nettampoco  il NoH-ctnrc;  dunque  non sarà  nemmanco  U  Divenire:  ecco  tetto. di    medesima:  perchè?  precisamente  perchè  SFORZARSI È  UN  CONVERTIRSI  IN    STESSO;  0  perciò è  sostanza  che  si  sforsa  a  mandar  fuori  le  cose.  Che  il  ùonato  nel  concetto  vlchiano  sìa  la  sostanza  delle  cose  e costituisca  perciò  il  nerbo  della  sna  formola  cosmologica,  si  pnò  rìca- Yare  agevolmente  da  queste  sentenze.  Che  cos*è  la  sostanza?  Sattanza, in  genertf  d  ciò  eke  »ta  9otto  e  90$tiene  la  eoaa;  indivitibile  indivisa nelle  cote  eh*  ella  fottiene,  e  $oUo  le  dìvite  cote,  quantunqtu  disuguali,  vi §ta  egualmente,  (Risp.  al  Giom.  de*  Lett,).  Questa  deflnizione  non ha  che  vedere  con  la  definizione  spinoziana:  id  quod  existit  a  te  et  per «e.  Sono  entrambe  definizioni  nominali,  e  però  vere  o  falso  flnchò  non se  ne  faccia  applicazione.  Dal  modo  con  che  applicolla  Spinoza,  venne fuora  il  suo  panteismo  acosmico  geometrizzato,  con  quella  lunga  sequela d*  assurdi  che  ognuna  conosce.  Vico  1’applica  al fatto  in  quanto  si fa vero,  non  già  al vero  che  si  converte  col generato;  e  perciò  riesce a  schivare  ogni  maniera  di  panteismo.  Infatti  egli  dice:  Quello  che  i moto  ne*  corpi  particolari,  neiVunivereo  moto  non  è;  perchè  V universo  non ha  con  ehi  altro  possa  mutar  vicinanze. Dunque  è  una  forza  OHB  fa DRNTBO  DI    MBDESiifo:  questo  in  s^  stesso  sforzarsi,  ì  uno  in  sa  strsso convertirsi.  Ciò  non  pud  eseere  del  corpo,  perchè  ciascuna  parte  del  corpo avrebbe  a  rivoltarsi  contro  di    medesima.  Onde  questo  sarebbe  tanto,  quanto le  parti  dd  corpo  si  replicassero.  Dunque,  dico  io,  IL CONATO  non  è  dd OORPO,  ma  deU*  UNI  Visse  del  corpo.  Tutto  ciò  è  chiarito  e  confer- mato da  quest'  altra  sentenza;  Virtus  est  extensi,  e  perciò  prior  extenso  est, soUicet  inextensa.  {De  Antiq.).  E spiegando  altrove  il  valore  di  quest* ul- timo concetto,  dice:  Io  mi  servo  eie* vocaboli  di  virth  e  di potetaa  appunto come  se  ne  servono  i  meeeaniei,  appo  i  quali  sono  voci  oelebratissime:  con questo  perciò  di  vario;  cA'  essi  (parla  de’  Cartesiani  seguaci  detta  dottrina meccanica)  V  attaccano  ai  corpi  particolari,  ed  io  dico  esser  dote  propria  e sola  dell*  universo.  (Risp.  al  Oiom.  De’  LeU.),  E  tornando  al  suo  concetto gradito  del  conato,  dice  plh  aperto:  Nel  mondo  vero  e  reale  vi  ha  un che  invisibile  che  produce  tutte  le  cose.  Ancora:  Uno  è  lo sforzo  delC  universo,  prrob2  dell*  univrrbo:  ed  è  l’indivisibile  centro  cui non  è  lecito  trovare  nell’universo  (esteso),  e  cAe  dentro  le  linee  deUa  sua direzione  tutti  i  disuguali  pesi  sostenendo  con  egual  forza,  tutte  le  partieo' lari  cose  sostiene  insiememente  ed  aggira.  Questa  è  la  sostanza  che  si  SFORZA mandar  fuori  le  cose. È  impossibile  commentare  queste  sentenze.  Ci  vorrebbe  un  capitolo per  parola;  e  alla  fin  fine  poi  non  riesciremmo  che  ad  una  freddura,  ad una  ripetizione  fiacca  e  sbiadita.  Bisogna  dunque  farle  soggetto  di  meditazione severa, tramutarsele  in  sangue,  e  col  loro  sussidio  interrogare! fenomeni  e  le  leggi  del  mondo  sensibile.  Posti  intanto  questi  principi! cosmologici,  ecco  alcune  norme  metodiche  per  la  filosofia  della  natura  e delle  scienze  naturali  :  In  fisica  si  trattano  le  cose  per  termini  di  eorpo  t di  moto;  in  m^afisioa  trcUtar  si  debbono  per  qudli  di  sostanza  e  di  conato, E  come  U  moto  non  è  altro  realmente  che  eorpo,  cosi  il  conato  altro realmsnU   non  sia   che  sostanza,  L’ altro  domma  metodico  ri- Se  questo  è  il  cardine  della  cosmologia  del  nostro  filosofo, le  conseguenze  e  le  applicazioni  che  se  ne  traggono riescono  supremamente  feconde,  positive,  originali  in tutte  quante  le  sfere  delle  scienze  di  natura,  dalP  astronomia alla  fisiologia,  dalla  meccanica  celeste  alla  zoologia e  alla  zoopsicologia.  Noi  non  possiamo  intrattenerci  in queste  applicazioni,  e  ce  ne  duole.  Ci  ristringeremo  ad  accennarne qualcuna,  e  rilevarne  l’aspetto  originale;  e  innanzi tutto  quella  risguardante  la  dottrina  del  Cronotopo. Se  la  sostanza  cosmica  è  una,  indivisibile  e  divisa nelle  cose  a  cui  sta  sotto  egualmente  per  diseguali  che queste  siano,  i  modi  essenziali  e  primigenii  in  che  ella si  determina,  sono  lo  spazio  e  il  tempo  puri  :  punto  e momentOj  virtus  extendendi  e  virtus  movendi.  Sennonché la  virtii  d' estendersi,  logicamente,  va  innanzi  alla  virtù del  moversi,  al  contrario  di  ciò  che  pensa  il  Gioberti; poiché,  al  solito,  se  il  Fatto  come  diverso  in    vuol  essere un  processo  autonomo,  avviene  che  la  prima  forma di  conversione,  la  prima  individuazione  cosmica,  debb' essere  il  punto  che  divien  momento;  debb' esser  la virtù  d'estendersi  che  si  gemina,  e  assume  valore  di virtù  motrice.  Perciò  la  sostanza  in  quant'  è  virtus  extendendi,  inquant'é  pura  capacità,  è  V  altro,  è  il  diverso, è  il  fatto  come  posto,  e  però  è  lo  spazio  infinito,  la  cui prima  determinazione  è  ciò  che  domandasi  etere  da’moderni. In  quanto  poi  è  virtus  movendi,  cioè  atto,  diverso gniardante  lo  stadio  delle  leggi  fisiche  ò  questo:  L’unica  ipoteti  (cioè  finzione speculativa)  per  la  qwd  dalla  MetaJUica  ndla  Fisica  discenda  giam- mai ti  po99a,  netto  le  matematiche;  e  che  il  punto  geometrico  eia  una  SOMIOLIANZA  del  metafieicOf  dot  della  sostanza;  e  ch’  ella  aia  coea  che  veramente t,  ed  i  indivisibile;  che  ci    e  sostiene  distesi  uguali  con  egual /orza:  perche  per  le  dimostnxzioni  del  Galilei  ed  altre  piene  di  meraviglittf le  disuguaglianze  quanto  si  vogliono  grandi,  ritirandoci  al  lor  principio  in- divisibile, cioì  ai  puntiy  tutte  si  perdono  e  si  confondono.  (Ibi,  174),  ti  ap- pena bisogno  d*  avvertire  che  con  la  sua  dottrina  cosmologica  ei  non  fa che  interpretare  ed  elevare  ad  altezza  metafisica  positiva  V  esigenza  del metodo  Galileiano.  Nelle  lor  relazioni  ideali  Galileo  e  Vico  si  richiamano a  vicenda.  (Ved.  il  nostro  Disc.  DanU,  Galileo  e  Vico,  Firenze,  Celliul). L'esistenza  dell’etere  od  abaro  (come  con  ragione  vuol  chiamarlo il  nostro  valoroso  e  valente  Colonnello  Pozzolinì)  che  per  i  fisici  è  una in  $èj  0  Fatto  ohe  si  fa,  la  sostanza  è  il  cominciamento originario,  autogenito  della  natura,  e  perciò  indipendente da  Dio.  Ed  è  affatto  indipendente  da  Dio  nel suo  svolgimento,  e  però  nelle  sue  leg{2p,  appunto  per- chè, come  fu  mostrato,  Dio  pone  il  mondo  non  già  come attuale,  anzi  come  potenziale.  Perchè  dunque  il  punto diventa  momento?  Per  necessità  della  propria  essenza: vo'  dire  perchè  è  diverso  in  se;  perchè  è  sformarsi  che è  uno  in    stesso  convertirsi.  Se  adunque  come  mate- ria il  conato  è  confusione,  impenetrabilità,  pura  capacità; come  virtù  di  moversi,  invece,  è  cominciamento d' ordine,  inizio  di  cosmos  finteli'  atomo,  nelP  esteso  me- tafisico il  quale,  essendo  medesimezza  e  differenza  in atto,  rappresenta  perciò  la  prima  dualità  in  cui  forza e  materia  formano  un  medesimo  subbietto. ipoteti  della  quale  non  possono  in  yenin  modo  prescindere,  nella  fonnola cosmologica  di  Vico,  invece,  assume  valore  di  teti. Essi  non  sanno  dir che  cosa  sia  quest'eeere.  Noi  sanno  oggi  e  noi  potranno  saper  mai: perchè?  Per la  semplice  ragione  ch*ei  trascende la mente: e la  trascende in  quanto  che  riguarda  un’attinenza  della sostanza  come  potta, non  già  della  sostanza  come  causa,  come  forza.  Perciò  riguardando  il  dato della  creazione,  ne  Tiene  che,  por  intendere  questo  dato  in  qualche  maniera, bisognerà  filosofare;  e  per  filosofare  in  modo  serio  e  positivo  e  razionale bisogna  ricorrere  alla  formoUi  cosmologica  del nostro  filosofo.  Non V’è  scampo:  o  questa  formola,  oppure  il  concetto inintelligibile,  grossolano e  balordo  d*una  materia  concepita  qual  ricettacolo  assoluto  e generativo  d’ogni  cosa :  eh'  è  propriamente  (chiedo  perdono  a  tutti  i materialisti  e  meccanicisti  vecchi  e  nuovi)  un  concetto  da  cretini! Dunque  il  cronotopo  non  è,  come  pretendono  i  Leibniziani,  la  succes- sione e  coesistenza  di  punti  e  di  momenti;  teorica  al  tutto  empirica la  quale  non  ispiega  nulla  di  nulla,  perchè  non  addita  la  ragione della  coesistenza.  Non  si  può  dir  nemmeno  pertinenza  deir  Assoluto  in quanto  ì l’Idea  ad  extr(h  Videa  come  potnbUità  infinita  (GIOBERTI,  ProtoU, Sagg.  Ili);  ì°  perchè  non  s'intende  che  cosa  mai  sia  codest'Idea  ad extra;  2  perchè  s*ella  è pottihilità infinita,  come  tale  appartiene  al  Fatto, il  quale  in  quanto  conato  è  precisamente  un'  infinita  po$9ÌbilitiL  Non  è poi  relazione  tra  U  finito  e  l’infinito  (FoRNABi,  DeW  Arm.  Univ.  DiaL  I) perchè,  se così  fosse,  dovendo  i  termini  partecipare  alla  natura  della relazione,  ci  avrebbe  a  essere  spazio  e  tempo  anche  nell' infinito!  Finalmente non  è  la  prima  e  immediata  esistenza  detta  Idea  (SPAVENTA,  Mem, mi  Tempo  e  tulio  Spazio,  negli  Atti  dell'  Accad.  di  Nap.),  perchè l’Idea è  incapace  di  rivestire  spazialità  e temporalità  per  le  ragioni  altrove  accennate. Dunque che  cos'è  cotesto  cronotopo?  È  precisamente  il conato; Abbiamo  detto  che l’atomo  è  l' esteso  metafisico. Esso  dunque  è  la  compenetrazione  del  punto,  e  del  momento:  è  il  punto  divenuto  momento  ;  è  la  virtù  d' esten- dersi che  s' estende  in  quanto  si  move.  Neil'  atomo  perciò, neir  esteso  metafisico,  trova  pienissima  applicazione il  pronunziato  del  Vico:  ptmctum  et  mofnentum  unum sunt  In  altre  parole:  che  cos'  è  l’atomo?  È l’ estrema realtà  (non  astrazione)  cui  possa  poggiar  la  mente. Dunque  è  la  prima  realtà  onde  move  la  natura.  Anche in  seno  all'atomo  quindi  si  dee  verificare  ciò  che  i  fisici oggi  riconoscono  in  molti  fenomeni;  il  principio  della polarità.  L'esteso  metafisico  è  un'essenzial  dualità;  è forza  e  materia  in  atto;  è  la  determmazione  originaria, autonoma  della  doppia  virtii  estensiva  e  motrice.  Dunque è  la  prima  conversione  del fatto,  in  quanto  il fatto  è  un  subbietto  diverso  in  sé.  Perciò  è  il  primo momento  della  creazione  propriamente  detta:  il  mo- mento solenne  in  cui  la  forza,  nascendo  nella  materia (non  dalla  materia),  si  crea.' ma  il  conato  in  qnanto  ò  polarità  essenziale,  essenzial  dualità.  È  la sostanza  stessa  del  mondo  in  quanto  ha  una  doppia  faccia:  estensione e  forza;  wirhu  extendendif  e  virtù»  movendi.  Ora  se  il  conato  è  un  subietto essenzialmente  duplo^  essenzialmente  polare, ì moderni  fisici  non possono, non  debbono  menomamente  ripudiarne  il  concetto,  che  anzi accettandolo,  giungerebbero  a  spiegare  più  d'  una  loro  ipotesi. Chi  dunque  dice  fona,  dice  ereazione:  ecco  il  rero  dinamismo,  il dinamismo  positi?o.  Perciò  erra  tanto  il  materialista  grossolano  quando afferma  ch/D  la forza  naaea  dalla  materia,  o  ne  sia  una  pura  e  semplice determinazione;  qnanto  il  dinamista  puro  (Hibn,  Cotuiquence»  phil.  et mHaph. de  la Thirmodinamique,  Paris)  che  pretende  concepire  la fona  anteriore  alla  materia! La forza  Don  nasce  dalla  materia,  o  per  la materia.  La  forza  si  pone,  e  perciò  si  crea  nella  materia.  Il  suo  nascere è  creare  nel  Tero  senso  della  parola;  è  uscire  ex  nihilo,  E  qual  è  il  nulla  f Il  nulla  del  filosofo cattolico,  no:  cotesto  nuUa  ò  impossibile,  perchè  ò inconcepibile.  Dunque  è  la  materia,  ma  la  materia  considerata  come  puro Fatto,  come  pura  capaciti,  come  possibilità.  Platone  la  diceya  ricetta- colo, e  diceva  benissimo.  Dov'errava?  Errava  gravemente  nel  determinare il  modo  con  che  nel  contenente  sorga  il contenuto. È precisamente l’errore del  materialista  moderno. La  forza, dice  questi,  suppone  la  materia. Certamente!  ma  non  ò  pnra  e  semplice  trae/ormanane  o  modiJicoMione  o qualità  di  materia.  La  materia  in  qnanto  diventa  forza  è  conato:  e  perciò (ripetiamolo)  ò  intervallo  già  superato;  ò  atto  propriamente  detto,  e Se  intanto  l'atomo  è  an'essenzial  dualità,  in  esso  è l'esigenza  dell'altro  atomo, delle  molecole,  del  corpo,  dell'organismo atomico.  Ma  ecco  tosto  nn  dilemma:  o  l'atomo è  semplice,  o  è  composto.  È  egli  semplice?  Dunque non  può  dare  il  composto.  È  egli  composto?  Dunque richiede  il  semplice.  Dilemma  seriissimo,  davvero. L'atomo  non  è  l'una  cosa  ne  l'altra;  o,  più  veramente,, è  r  una  cosa  e  l' altra  insieme.  Se  l'atomo,  è conato,  momento  in  cui  la  materia  e  la  forza  si  com- penetrano; come  dirlo  semplice?  come  dirlo  composto? Pertanto  se  l' atomo  è  conato,  perciò  racchiude  l' esi- genza degli  altri  atomi.  Dunque?  dunque  l'atomo  non  ha figura  in  quanto  è  un  esteso  metafisico,  ma  ha  figura  in quanto  si  marita  e  si  converte  con  altro  atomo:  la  figura è  un  risultato.  Or  se  l' atomo  è  virtii  d' estensione  che  si attudij  avviene  che,  come  tale,  e' debba  essere  attrazione: e  s'egli  è  virtii  di  moversi  in  atto,  avviene  altre  che, come  tale,  e'debb'esser  moto  essenzialmente  rotatorio} Se  dunque  1'  atomo  in  quanto  conato  è  insieme  iden- tico e  diverso,  perciò  è  in  sé,  e  fuori  di  se;  è  per  sé, e  anche  per l’altro;  abbisogna  dell'  altro.  Per  questa comune  proprietà  gli  atomi  ci  rendon  quasi  immagine delle  idee  platoniche,  la  cui  vita  sta  nell'  essere  essen- qaindi  è  atto  naovo,  atto  creatÌTo.  Eccoci  al  miracolo!  sento  grridarmi. Precisamente  al  miracolo  :  ma  gli  è  nn  miracolo  essensialmente  naturale, unlversaie, necessario;  e  per  consegnenza  non  ò  miracolo.  Se  dunoue  VeaUto metafinco  è  la  forza  in  quanto  si  genera  nella  mcUeriiif  ne  viene  cne  VaUnno ha  da  essere  tutt* altro  che  inerte.  Anzi  è  la  materia,  è l’etere,  è l’abaro,  è quel  quid  nebulare  primitivo  che,  da  unità  indeterminata,  passa  ad  essere anche  forza,  profonda  energìa  in  cui  e  per  cui  sMnaugura  il  Prooeeeo fieieo.  Se  così  non  fosse,  io  domando,  come  farebbe  il  chimico  ad  intender le  leggi  deir  affinità?  E  se  così  non  fosse,  la  moderna  dottrina  del- Tatonicità  non  andrebbe  in  fumo? '  Questo  è il  moro  etemo  e  continuo  dell’Aristotelismo,  cagione  d'ogni moto,  il  quale  perciò  non  può  non  ettere  un  moto  circolare  nello  epaxio {Phye,,  Vili,  ix),  e  come  tale  è  moto  naturale  d'un  elemento  eempliee  du non  ha  contrari  {De  Cod.,  I,  li). Al motore  motto  bisogna  sostituire  il conato. E  il  moto  circolare  non  avente  contrari  bisogna  darlo  all’essenza stessa  dell’atomo,  dell’eeteeo  metafisico. Ecco  una  delle  correzioni  vitali della  cosmologia  aristotelica  richieste  logicamente  daU'  indirimco  medio. zialmente  relative.  L' atomo  qaiadì,  in  quanto  è  medesimezza, è  attrazione;  in  quanto  è  medesimezza  e  diversità, è  rotazione  e  circolarità.  Dunque  può  dare  origine al  moto  per  induzione  e  rivoluzione,  che  à  moto secondario  e  derivato.  Or  questa  legge  si  verifica  in  una lunga  serie  di  fenomeni;  luce,  elettrico,  calorico,  magnetico.' Si  verifica  ne'  grandi  coi*pi  dell'  universo.  Perchè non  dovrà  verificarsi  altresì,  e  principalmente,  in  seno alla  stessa  vita  intima  degli  atomi?  Attrazione  e  rotazione, dunque,  riduconsi  ad  un  sol  fatto  primitivo,  universale, assoluto. Il  conato  è  moto  essenzialmente  rotatorio ;  e  quindi  è  la  sorgente  prima  d' ogni  e  qualunque forma  di  moto.  La  legge  di  rotazione  perciò  è  legge universale;  ed  è  la  sostanza  stessa  cosi  delle  grandi, come  delle  piccole  masse:  Questo  in  se  stesso  sforearsiy è  uno  in  se  stesso  convertirsi.* Le  conseguenze  di  questa  dottrina  cosmologica  sono evidenti,  originali,  modernissime. n  vuoto  è  un  assurdo;  perchè  è  un  assurdo  il  nulla.' Esiste  dunque l’universo  infinito;  ed  è  tale  non  come mondi,  ben^i  come  conato,  come  sostanza  universale determìnantesi  ne'  due  attributi  essenziali  della  spazia- lità e  temporaneità  pure.  È  un  assurdo  il  moto  comunicato, perchè  è  un  assurdo  che  la  forza  si  rompa,  si scinda,  si  divida:  senza  dir  già che,  se  è vero che  la forza debb'essere  anche  materia,  la  comuniccmone  del  moto  im- porterebbe la  compenetrazione  e  insieme  la  inerzia  degli atomi,  ciò  che  costituisce  un  doppio  assurdo.  È  uYi '  Ved.  a  questo  proposito  la  bella  Mem.  di  POZZOLINI (si veda) {Indumone delU  forte  finche, Bologna), Baudrimoni,  Atomologie e  le tre  Memorie  eu  la  atrtUtura  cUi*  Corpi.  (Bordeaux) *  Ved.  la  Mem.  su  la  Legge  univeraale  di  rotazione  del  nostro  amico prof.  Bàrbera,  della  quale  accettiamo  in  gran  parte  la  dottrina  perchè ci  sembra  un'applicazione  rigorosa  de*principii  cosmologici  di  Vico.  Di BARBERA  merita  esser  letto  il  discorso  stupendo  sul  Newton  e  la  Filoeofia Naturale  (Napoli).  La  memoria  poco  fa  citata  di POZZOLINI,  come  questi due  saggi  del  BARBERA,  sono  i  primi  segui  d' una  riforma  seria  delle scienze  astronomiche  e  della  filosofia  naturale  in  Italia.  Abibt.,  PAy«.,   Tiii. assurdo  che  il  moto  universale  cominci  e  finisca,  poiché è  un  assurdo  che  il  mondo,  che  è  pur  egli  necessario come  termine  di  conversione  dialettica  abbia  principio e  fine.  È  un  assurdo  un  impulso  primitivo  impresso  da Dio  alla  materia,  ciò  che  è l’esigenza  illegittima  del fiacco  Peripatetismo,  dell'Aristotelismo  platoneggiante: perciò  assurda  e  gratuitamente  ipotetica  la  base  nella quale  s'appoggia  la  teorica  newtoniana  sull’origine  del moto. È  un  assurdo  che  la  materia  diventata  forza, ciò  è  dire  l’atomo,  tomi  ad  esser  pura  materia;  perciò assurdo  che  la  forza  cessi  d'esser  quella  che  è  nella  sua essenza,  e  che  si  sperda,  che  decresca,  o  si  menomi  in qual  si  voglia  modo.  Sono  dunque  un  assurdo,  sono indovinelli da algebrisH  quei  conti  e  racconti  di  certi facili  calcolatori  matematici  che,  come  il  teologista  e  il millenario,  segnano  già  ne'  secoli  futuri  la  fine  e  lo  spegnimento della  terra.  Ne' loro  problemi  essi  dimenticano che  la  forza  è  creazione:  e  dimenticano  troppo  facilmente, che  creare  vuol  non  dire  annullamento. Il conato adunque,  è  il  vero  motore  immobile  e  mobilissimo dell'universo;  è  l'universo  stesso  in  quanto  è infinita  potenzialità;  è  l’àpxrì  xcv)ic  intrinsecato,  essenziato  con  l'universo  stesso. Come  tale  l'universo procede  di  numero  in  numero  (secondo  la  frase  del Bruno)  svolgendosi  come  mondi  nelle  successioni,  e perciò  è  infinito  nel  tempo;  e  come  tale  anche  l'universo, come  il  pensiero  nel  formarsi  il  concetto  dell'Assoluto, rende  a  Dio  la  pariglia. Cosi il  principio cosmo- '  LìtìQUB,  Le  premier  moteur  et  la  nature  dame  le  tyetòme  tTArietote Paris. V.  a questo  proposito  con che  assennatezza  crìtica  il Barthélemy  Saint-HUaire  dÌMOm  su  la  Cosmologia  aristotelica  (PAyttgiM trad, en  /rangaie  et  aceompagnie  dCune  paraphraee  et  de  note»  perpetueUe», Paris,  Introd.  V.  L) Cosi  resta  lesrittimato  il  concetto  su  V  Universo  e  su  lo  Spaaio  del filosofo nolano. Egli  pone  Io  spazio  come  infinito  e  però  infinito  anche l’universo  che  è  nello  spazio  [DeW  Infinito  Univereo  e  Mondi,  DinL  I.) L’unverso certamente  ò  inAnito,  ma,  ripetiamo,  ò  tale  in  quanto  è  eo- naio;  e  così  pure  lo  spazio.  Perciò  Mondo, Universo,  Spazio  ec.,  sono  infiniti nella  successione,  che  tuoI  dire  nella  lor  potenzialità. logico,  o  meglio,  il  Primo  cosmologico  di VICO (si veda),  in  mentre che  corregge  la  vecchia  cosmologia  de'  Platonici  e degli  Aristotelici,  condanna  ad  un  tempo  quella  de’ neo-aristotelici empirici  e  degl'  iperpsicologisti,  legittimando r  esigenza  de'  meccanici  e  de'  dinamisti,  de'  Cartesiani  e de'Leibniziani, che  vuol  dire  della  materia  e  della  forza. I  moderni  cosmologi  avran  fatto  moltissimo  quando avranno  ridotto  ogni  fenomeno  ad  un  ultimo  fenomeno. Essi  così  dimostreranno, o meglio,  verificheranno la vecchia divinazione  aristotelica. Ma si dovrà  arrestar qui la cosmologia  razionalmente  positiva?  No, certo. U suo  grande  problema  sta  nel  dimostrare  (e  dimostrare non  vai  mostrare)  come  quest'ultimo e  irreducibile  e universal  fenomeno,  sia  precisamente  la  sostanza  stessa delle  cose,  la  vita  stessa  degli  esseri,  la  vita  dell'uni- verso che  Vico  rassomiglia  ad  una  fiumana  onde sgorga  acqua  sempre  nuova  e  perenne:  H(BC  est  vita rerum,  fluminis  nempe  istar  quod  idem  videtur,  et  sem- per  alia  atque  alia  aqua  profluit} Se  il  Processo  fisico  s' inaugura  col  conato  in  quanto è  un  esteso  metafisico  e  risolvesi  con  l'estrinsecazione della  forza  nel  seno  stesso  della  materia;  ne  viene  che tal  debba  essere  altresì  il  corpo  nella  sua  sostanza; È  inutile  mostrare  come  il  concetto  del  nostro  filosofo  sul  Conato  sia una  correzione  del  conato  leibniziano.  Mostrammo  già  raffiniti  tra  Leibnltz  e  Vico.  Con  la  dottrina  del  conato  questi  filosofi  ci  rappresentano  en- trambi r  indirizzo  medio  dell*  Aristotelismo  negli  studi  cosmologici.  Ma  il  nostro  supera  quel  di  Lipsia,  perchè  il  suo  conato  è  essenzialmente un  e«(e«o  reale,  metafisico,  non  già  fenomenico,  ed  apparente. Questo  concetto  manca  assolutamente  nella monadologia,  Gens,  il  LoYR  {Essai  sur  l’identité  de»  agentt  qui  produigent  ec., Paris)  Obovr  {Correlation  de»  force»  phi/9Ìque§,  trad.  Moigno). E.  Saiqry  {E8»ai»nrVunité  de»  phenomène»  nature!»,  Patìs)  A.  Sroohi {Unità  ddle  forze  fiticke  ec.  Roma),  Dr  BoocHRPORif  [Du  principe generale  de  la  PhU.  naturale,  Paris).  A.  Obuyrb  {Principe  de  PhU, Phyeiqtte  ec.) "  De  Antiqui»». Gom*  è  evidente,  è  il  concotto  fisico  dell*  indi- rizzo medio  aristotelico:  La  vita  universale  della  natura  non  conosce  riposo, nò  morte:  Kac  toOto  flèOxvarov  xac  an'auTrov  xinapytt  roi^  ouTtv^ otov  ^a)>j  Ttc  ouffa  toì;  fxivtt  ^uvio-tùtc  notvtv.  Phy».,  Vili,  i. S.  8f forza  attuata;  monodinafnia;  e  però  sorgente  perenne  di forze  fisiche,  meccaniche,  chimiche,  dinamiche.  L'atomo è  sfornito  di  centro,  perchè  è  centro  egli  stesso.  Il  corpo lo  possiede  cotesto  centro  ;  ma  è  di  natura  ideale,  e  perciò rende  immagine  dell'  universo  stellare  nel  quale  il  cen- tro non  è  in  alcun  luogo,  e  pure  è  dappertutto,  il  moto nel  corpo  è  monotono;  è  un’etema  produzione  di  forza  ; e  questa  forza  non  è,  a  dir  proprio,  LA VITA (cf. Grice, “Philosophy of Life”). Però  è  un conato  onde l’analisi  delle  forze  omogenee  e  de’ comuni agenti  di  natura  tende  ad  elevarsi  alla  sintesi;  ed  è  lo  sforzo  del  numero  che  volge  ad  unità.  Or  la necessità  di  questo  conato  non  importa  egli  un  altro intervallo?  Il  centro  dunque  si  manifesta  nel  vegetabile, e  s' inaugura  il  mondo  degli  organismi.  Posto  il  Processo fisico,  la  forza,  nata  già  nella  materia,  qui  nasce  in  sé stessa,  qui  rinasce,  qui  si  rinnova,  e  qui  è  vita.  Ma  neanche il  vegetabile,  a  dir  giusto,  possiede  un centro  reale.  Dunque il  vegetabile  non  è  vita,  bensì  passaggio,  e  quindi strumento  di  vita. Il processo  fisico  perciò  trae  seco  il processo  geologico;  e  la  genesi  della  forza  importa  la genesi  della  terra.  Il  processo  geogenico  alla  sua  volta importa  il  Processo  organico  (vegetale  e  animale)  e quindi  il processo  paleontologico,  entro  cui  si  vengono accumulando  e  sovrapponendosi  cento  e  mille  faune  e flore. Dalla  roccia cristallina  non istratificata  e non fossilifera  alle  più  recenti  produzioni  geologiche;  dal jeriodo  antizoico al  post-pliocene  e all'  attuale,  rivelasi tutto  un  processo  di  forza.  È  il  Fatto  che  si  fa  come forza,  ma in quanto è altresì  conato  alla  vita. Dall’epoca  eotoica  nella  qaale  s’annunzia  la prima  aara vitale,  e molto  più  dair  epoca  paleozoica  alla  oenozoiea  e  da  questa  all’età  poti- Urxtarifi  (quaternaria),  accade  che  col  processo  fisico  e  g^logico  si  marita  il processo  paleontologico,  e  così  ci  si  manifesta  la  continuità  della  vita  at- traverso  le  forme  organiche  passate  o  presenti.  Or  se  tutto  ò  processo e  conversione  e  perciò  successione  costante  di  fatti  regrolati  da  lejrgi necessarie  ed  immutabili,  ne  viene  che  i  cataclismi,  riferiti a cagioni ipercosmiche,  contraddicono  evidentemente  alla  ragion  filosofica  positiva, nò l’ha  interpretazione  benigna  ed  ingegnosa  della  critica  teologica  che sappia  legittimare  la   cronologia  mosaica  ed  il  racconto  biblico.  Ma  a Ma  come  avviene  egli  il  passaggio  del  Processo  fisico air  organico,  e  quindi  il passaggio della forza alla  vita? Avviene  per  legge  di  conversione;  la  quale  perciò,  sup- ponendo r  intervallo,  importa  la differenza. S'invocano, al  solito,  anelli  intermedi  nel  r^no  vegetabile.  Ma  forse che  il  vegetabile  rappresenta  il  transito  eflFettivo  tra  il minerale  e l' animale?  SMnvocf  no  analogie  esteriori  fra certi  minerali  e  certe  piante. Ma  forse  che  accanto  alle analogie  non  sorgono  diflFerenze  profonde? S' invoca la eterogenesi,  e se ne traggono  disparate  illazioni  secondo il  sistema  che  si  vuol  propugnare,  come  se  la  generazione spontanea  possa  soggiacere a  dimostrazione noi  non  ci  ò  permesso  intrattenerci  intomo  a  questa  particolarità. Solamente  ci  preme  d’aTfertire  che  il  concetto  del  procetio^  nella  Geologia e  nella  storia  naturale,  forma  oggi l’onore  di Lyell  e  Darwin. Ma se  la  Scienza Nuova  ò  la  dimostrazione,  o,  per  lo meno, l’esigenza del  processo  isterico,  in  essa  è  racchiusa  la  verità  della  moderna  geologia e  zoologia.  Quando Vico  dice  che  i  fllosoA  prima  di  lui  avefaii ricercato  Dio,  la  scienza,  il  divino  nel  mondo  della  natura  e  non  per ancho in  quello  della  storia,  ei  s' ingannava.  La  vera  scienza  di  natura, in  generale,  sta  nel conoscere  principalmente  due  cose: i il  doppio processo  geogenico  e  organico  (paleo-zoologico),  in  modo affatto  sperimentale; 2*  nell’annodarli  entrambi  in  guisa  razionale  col  processo isterico.  Or la  scienza  di  natura  condotta  a  questa  maniera  è  posteriore a  lui,  essendo  nata  e  cresciuta  principalmente  sotto  gli  occhi  de' due dotti  inglesi  poco  fa  mentovati,  mentr'  ei  non  faceva  che  inaugurarla  prevenendone i  grandi  risultati.  E  questi  insigni  risultati  preveniva  non già  producendo  scoperte  geologiche,  zoologiche  e  paleontologiche,  ma incarnando  i^el  processo  de’ fatti  umani  l’esigenza  del  metodo isterico, e  gettando i  germi  d’una dottrina  cosmologica  nella  quale è  racchiusa  la  necessità  del  processo  universale,  e,  iu  questo,  la necessità  del  triplice  svolgimento  fisico,  organico  e  storico. I  vecchi  naturalisti  pretendeno  rintracciare  argomenti  in  favore della  continuità  reale  fra  questi  due  processi,  notando  la  struttura  mirabUe e  squisita,  per  es.,  deirArragonite  cotanto  affine  a  quella  d’uno  de’ più elementari  vegetabili;  come  se  nel  cristallo  la composizione  semplice,  uniforme, immobile  cosi  nel  tutto  come  nelle  parti  e  senza  centri  ne’ suoi  nuclei ed  elementi,  avesse  che  vedere  col  composto  organico  più  rudimentale! Il  fatto  della  eterogenesi  è  tuttora  un*  ipoUsi,  e  probabilmente  re- sterà sempre  tale  nel  campo  della  osservazione,  ma  è  ten  nella  mente del  filosofo.  Gl’eterogenisti  s'affaticano  a dimostrare  coi  fatto  ciò  che già  di  per  so  stesso  ò  fatto  !  La  genesi  spontanea,  appunto  perchè  tale, non  è un  fenomeno  di  trasformazione  d’indole  meccanica  della  /orna alla  vita:  essa  importa  già  un  transito,  e quindi  un  intervallo.  Come Per  la  medesima  legge  avviene  il  passaggio  dal  vegetabile all’animale.  È  vecchio  il  pregiudizio  per  cui si  è  creduto  che  Tun  ordine  d'esseri  si  congiunga  all'altro  col  digradarsi  del  processo  superiore,  e  col  perfezionarsi deU'  inferiore. Il  pesce si  congiugne con l' anfibio; gl’anelli  zoologici  inferiori  s’annodano  co’ vegetabili superiori,  e  simili  immaginazioni. Oggimai  è  d' uopo raccomandarci  alla  paleontologia,  e  alla  geologia.  Queste scienze  ci  additano  un  processo  quasi  parallelo  ne' due ordini  in  che  viene  sdoppiandosi  la  vita  sin  dalle  sue origini  primitive. Il processo organico  dunque  non  può danque  potrà  esser  possibile  in  tal  caso  una  prova  sperimentale  seria e  irrepugnabile?  Ti sono  parecchi  sperimenti,  io  lo  so.  Ma  come  fatti? Quante  e  quali  cautele  sono  state  adoperate?  La questione  della  genesi spontanea  ò  mal  posta.  E  poiché  il  naturalista  non  ò  in  grado  di  porla diversamente  di  quel  che  fa,  sarà  quindi  necessario  abbandonarne  la  so- luzione ad  altro  metodo,  ad  altra  maniera  d*  investigazione.  In  somma è  una  questione  essenzialmente  filosofica:  si  diano  pace  i  travagliati seguaci  del  Pasteur  e  del  Poullet!   Neir epoca  j9aZ«oltKeaapparÌ8con  le  grittogame  superiori:  indi,  nel- l' epoca  nuéoUtica  le  piante  conifere:  appresso,  nell’età  oenoUtica  le  fanerogame;  e,  finalmente,  nelP  età  antropolUica,  o  meglio  pott-terxiarta,  si manifesta  la  flora  attuale.  Ecco  qui  un  processo  nella  flora  primitiva.  Il medesimo  reggiamo  nello  svolgimento  della  fauna.  Co*  più  modesti  tipi vegetabili  s’accompagnano i  più  bassi  tipi  zoologici  negli  strati  inferiori che  ci  rappresentano  l'età  originaria;  e, nella  medesima  epoca negli  strati superiori  veggiamo  lu  prime  forme  di  pesci,  accanto  alle  quali  appariscon le  grittogame.  Con  le  conifere  appaiono  i  rettili;  e  negli  strati  superiori additatici  dal  periodo  eenolitico, appariscon  gl’uccelli.  Ai  rettili  ed  agli uccelli,  dappresso  alle  fanerogame  teugon  dietro  e  si  manifestano  le  forme inferiori  de’ mammiferi;  e  negli  strati  superiori  del  perìodo  terziario  si rivelano  le  primo  tracce  del  regno umano. Alla  flora  attuale  poi  s’accompagrna l’attuale FAUNA. Il processo  riesce  evidente  anche  qui,  e  il riscontro ne'caratteri  generali,  nella  flsonomia  e  nell’insieme  delle  relazioni geografiche  e  biologiche,  toma  evidentissimo. Vegetabile e Animale, dunque,  sono due correnti,  per  cosi  dirle,  che  movon da  una  medesima sorgente.  Elle  si  rassomiglian  nella  semplicità  ed  omogeneità  delle  forme primitive;  e  tal  riscontro  è  più  spiccato  in  ragione  che  il  panteologista  ascende  verso  il  centro  comune. Sennonché  il  processo  nella  serie zoologica  è  assai  più  compatto  e  variato;  lo  svolgersi  è  più  rapido,  e  l'attuarsi di  questo  svolgimento  è  più  intricato  quanto  più  ci  accostiamo  alle recenti  formazioni.  Tal  è,  per  es.,  lo  sviluppo  che  ci  palesano  gl’articolati e  i  vertebrati,  a  differenza  del  modo  con  che  si  vanno  svolgendo le  classi  de’vermi,  de’  molluschi,  de’ celenterati,  degli  echinodermt non  esser  di  natura  essenzialmente  polare.  Il  vegetabile e  l’animale  ci  rappresentano  incarnata  la  legge  universale della  dualità;  la  quale  movendo  dalF unità  sintetica iniziale  e  confusa  e  passando  per l’analisi,  riesce  ad  una sintesi  concreta,  determinata,  analizzata.  La  vita  è  vita  in quanto  si  diversifica:  è  vita  in  quanto  si  etereogenizecu^ Ma  dov'è  la  radice  primitiva  ond'emerge  questa  doppia scala  in  cui  e  per  cui  la  forza,  incarnandosi,  diventa vita?  Non  si  discerne  cotesta  radice:  non  si  verifica;  né si  può  verificare.  Fin  negli  strati  primigeni  dell'  età  ar- cheolitica  vi  è  tracce  di  vita  animale  e  vegetale.  Dunque il  fatto,  r  osservazione,  ci  pone  sott'  occhio  una  dualità. Ma  una  dualità  originaria,  ripetiamolo  anche  qui,  non  è un  assurdo?  Dunque l'analisi,  il  fatto,  suppone  già  una sintesi  rudimentale,  in  cui  sia  germinalmente  contenuta  la doppia  forma  di  vita  vegetale  ed  animale.  Or  questo  comune stipite,  che  con  felice  espressione  un  illustre  vivente naturalista  ha  chiamato  unità  astratta,  o  non  esiste  come realtà  sensata,  ovvero,  esistendo,  non  può  essere,  a  dir proprio,  ne  vegetabile,    animale,  ma  l'una  cosa  e  l'altra insieme.  S' ella  é  una  realtà,  è  destinata  a  scomparire dal  regno  della  vita,  appunto  perché  non  é  forza    vita. S'ella  é  una  realtà,  sarà  un  soggetto  di  natura  indeter- minata, fisica  e  organica  ad  un  tempo.  In  essa  la  forza diventa  vita;  e  quindi,  più  che  anello  di  continuità  reale, ci  rappresenta  una  continuità  ideale  ;  e  perciò  con  l' intervallo reale  ci  significa  la  virtù  e  l'efficacia  del  conato,  Ved.  H. SpBircRR,  E$$ay$  $ei€ntifìe,  polUicalf  (md  9peeulativef  ed.  cit. Veramente  ingegnosa  è  l’analisi che  quest’autore  fa  circa  il  modo  con che  avviene  il  procetso  zoologico  il  quale  egli  talora  chiama  |7roee««o  di  di/- /erenziafzione:  e  non  meno  ingegnosa  è  quella  sul  processo  geologico,  etnologico e  paleontologico.  Jl  difetto  sta  neir  applicare  la  sua  legge  al  processo èoeiologieOf  dov*  egli  evidentemente  abusa  delle  analogie  estrinseche col.  mondo  zoologico.  Si  vegga,  per  dirne  una,  come  considera  il  fatto de’ fili  telegrafici  che  abcompagnauo  sempre  le  vie  ferrate,  in  relazione a certe  leggi  biologiche  degli  organismi  zoologici  inferiori.  VoQT,  Le  lib.  del  diritto universale,  e  segnatamente  nella  storia  delle  cinque  età  del tempo oscuro; dalla  quale  storia  risulta  la  legge  storica e sociologica  che,  portata  a pii  largo  sviluppo,  costituisce  la scienza nuova.  Noi  consacreremo  apposito capitolo  intorno  a  questa  teorica  del tempo oscuro perchè  in  essa troveremo  il  fondamento  legittimo  della  sociologia  davvero  filosofica  e positiva.  L’altro  strumento  poi  che  Vico  avea  fra  mano  e  sapeva maneggiare  in  guisa  che  non  ci  ò  dato    pur  sospettare  alla  lontana, costituisce  propriamente  la  parto  geniale,  originalissima  del  suo  metodo isterico;  ed  ò  quella  che  noi  dicemmo  di  natura  psicologica,  e  che  di fironte  alla  prima  serba  indole  a  priori;  ma  è  un  a  priori  positivo,  positivissimo,  perchè  di  natura  psicologica.  Ella in somma cojitltuisce,  se cosi potessi  esprimermi,  un  lavoro mentale  da  geologo,  da  paleontologo.  Se  infatti  lo  spirito  dell'  uomo  in  una  data  epoca  istorìca  somiglia,  vorre dire, ad  una  caverna  ossifera,  bisognerà  studiarlo  analizzandolo,  anatomizzan- dolo, decomponendolo.  Perciò  è  necessario  dimenticar  noi  stossi,  e  lavo- rare attorno  ad  esso  in  modo  tutto  ideale  dÌ8cendendo  da  questa  no$tra umana  ingentilita  naturaf  a  queUe  affatto  fiere  ed  immani,  U quali  oi affatto negato  d^  immaginare,  e  eolamente  a gran  pena  ci  i  permeeeo  cT  intendere, (Sec.  Se.  Nuo.)  Breremento:  bisogna  aver  presenti  noi  stossi,  ma nel  medesimo  tempo  dimenticarci  :  bisogna  etordire  ogni  eeneo  «T  uwtanità (sono  sue  parole)  e  ridurei  in  uno  etato  di  eomma  ignoranjta  di  tutta l’umana  e  divina  erudizione. Questo è  precisamente  ciò  eh*  egli  dice  portare  ad  un  fiato  il  vero  e  il  eerto,  la fiioeofia  e  la  filologia.  Questo  è  il  metodo  isterico  davvero  positivo,  che è  propriamente  metodo di natura eduttiva. E questo dovrebbero  mediterò ed  applicare i nostri  sazievolissimi  predicatori  di  certi  metodi  storici  e critici  che  al  postutto  riduconsi  ad un meschino  empirismo  I perciò  medesimo  è  scienza  del  presente,  scienza  dell’oggi,  e,  fino a  certo  segno,  anche del  domani.  Ma senza  quella  filosofia  che  non  le  è  incorporata  ma  ch'ella presuppone  necessariamente,  cotesta  Scienza  Nuova  non sarebbe  niente di  tutto ciò.  Posta  infatti  la  doppia  formola  metafisica e cosmologica,  i  cui  germi  giaccion  nel libro metafisico;  posta  segnatamente  la  gran  legge  del processo  cosmico,  ella  è  davvero  un  poema, è un  gran poema, un  poema  sul serio,  ma un  poema  sui  generis. Perchè? Per questa  ragione  principalmente: perchè  è una  Storia  naturale  della  umanità  nell'uomo: perchè  in  lei  si  scruta  l'originaria  formazione  dell'  ultimo sommo genere;  perchè  eli'  è  la  celebrazione  solenne  dello Spirito  che  si  crea  nel  regno stesso  della  vita;  perchè  è la  creazione  parlante, vivente,  reale  del  pensiero  ch'esce dal  caos  delle  forze brute  fisiche,  meccaniche,  biologiche ;  perchè,  insomma,  rivela  il  Fatto  che,  convertitosi con    stesso  come forza  e come  vita,  ora  convertesi  col Vero  come  pensiero.  Ecco  l'originalità  vera  del  pensiero vichiano. È un pensiero d'una  grandezza e d'una potenza, sto  per  dire,  titanica  ! un  pensiero nuovo,  nuovissimo, anche  dopo  due  secoli  I La  Scienza  Nuova,  dunque,  rappresentandoci  la  genesi del  processo  storico  e  sociologico,  fra le  altre  cose pronunzia,  legittima,  compie  e  insieme  corregge  il  darwinismo. Una  delle Degnila sulle  quali  è  innalzato  il  suo grandioso  edifizio  è  lo  stato  ferino  dell'umanità;  cagione certamente  non  puerile  delle  dispute  e  delle  sètte  de' ferini e  degli  antiferini  surte  fra  noi,  come  toccammo, sotto gli  occhi  del  Papa  e de’ cardinali  nel  bel  mezzo  del  secolo passato. Il  suo  problema  dunque è il gran problema ond'è  agitata  e  mossa  la  scienza  odierna.  È  lo stesso  problema  che,  con  significato  assai  pili  compren- sivo, assai  più  razionale,  assai  più  sintetico  e  profonda- mente sintetico,  agita  e  muove  sotto  gli  occhi  nostri  la filologia,  la  zoologia,  la  geologia,  la  paleontologia,  l'antropologia, la  sociologia,  la  filosofia  e la storia  del diritto,  la  filosofia  e  la storia  delle  arti,  la  filosofia  eia storia  delle  religioni,  come  saggiamente  ha  detto  il  De Fèrron. Il  suo  problema  quindi  si collega con  quello  stesso di  Lamarck,  Couvier, Saint-Hilaire, Herbert,  Mathew, Omalius, Halloy,  Rafinesque,  Schaaffausen,   Hooker, de'  viventi  naturalisti,  de’ viventi  filologi,  de'  viventi  mitologi, e  degli  storici  d' ogni  maniera. Nella  Scienza  Nuova  infatti  il  processo  storico-sociologico nasce, sorge  o  si  produce  nel  processo  zoologico; ma  nasce,  sorge  o  si  produce  creandosi.  Dunque  il  6e- stione,  l’uomo  ferino,  per  quanto  ferino  e  bestione  vogliasi immaginare,  importa  già  un  intervallo.*  Come  ci si  rivela  egli  cotesto  intervallo? In  altre  parole:  com'è che  s'inaugura  il  processo  isterico?  Com'è  che  s'inizia il  regno  dell'  umanità? Al  solito  s'inaugura  con  la  gi an legge  delle  polarità,  ma  nel  medesimo  individuo:  s'inizia con  la  legge  della  dualità,  ma  nella  coscienza  stessa  dell'individuo. Ciò che nell'ordine  psicologico  è  senso  e intelligenza,  potere  e  volere. Autorità  e  Ragione;  qui, nell'ordine  sociologico  e  storico,  è  libertà  e  pudore: ecco  i  due  Principii  éC  Umanità;  principii  essenzialmente sociologici. Lo  stato  ferino  per Vico è an fatto accidentale,  ed  è  accidentale perchè  non  è  universale;  ma  questa  dicemmo  essere  un*  aporta  contrad- dizione in  che  cadde  tanto  lui,  quanto  il  suo  discepolo DUNI (si veda).  Ed  ò  contraddizione, perchè  fa  contro  non  solo  ai  suoi  principii  cosmologici,  ma anche  all’esigenza  stessa  del  suo  metodo,  fe-una  delle  contraddizioni  duo- que  dalla  quale  ei    libera  da  so  medesimo. Nessuno  prima  di Vico  aTcva  impresso  valore  ed  importanza isterica  a  questi  due  iftm  o  principìi  d’umnnità.  Grozio,  per  citare un  esempio,  parla  anch*  egli- del  pudore;  ma  non  sospetta    la  neces- sità sociologica  e  istorìca  di  questo  fatto,    il  significato  psicologico di  questa  tondenza,  e  però  non  ne  fa  uso  di  sorta'.  (Ved.  Dt  Jwr.  M.  et paeitf  "Disse  la  libertà  madrt  di  qualsivoglia  diritto  civile;  ma  perchè  madre? Citiamone  un  altro  esempio.  Anche Platone  parla  de*  due  beni.  Pudore  e  OiuetÌMÌ€L,  che  Giove  impartì  agli uomini  [Protag.,  ed.  Cousin):  ma  pel  filosofo  greco  tale tendenza  ò  partecipata,  è  comunicata,  mentre  pel  Vico  è  affiatto  naturale. Per  Platone  riiman»tà  si  manifesta  nella  CVttèt,  nella  iSepubò^tca;  dovecbè Qual  valore,  infatti,  qual  significato  hanno  queste  due parole  nella  mente  del  nostro  filosofo?  Considerate  sotto il  rispetto  storico  e  sociologico,  Pudore Libertas  non  sono idee,  concetti,  nozioni,  astrazioni;  sono  bensì  condizioni efficienti  originarie,  intime,  spontanee,  istintive  di  nostra natura.  Sono  i  due  principii  che  principian l’umanità nell'uomo;  principii  ch'ei  pone  quasi  geni  tutelari  alle porte  ddla  storia  e  delle  cose  umane.  Sono  facoltà,  ma facoltà  involute,  potenziali;  stantechè  Tobbietto  di  esse non  sia  per  anche  fatto,  noh  sia  per  anche  elaborato. Perciò  sono  giudizi,  ma,  al  solito,  giudm  sentUij  come direbbe egli  stesso; giudm fatti  senza  riflessione.  Sono dunque  tendenze  primigenie,  sono esigenze  autogenite;  e però  ci  rappresentano  anch'elle  ima  sintesi confusa,  entro cui si racchiude  infinita  virtù  esplicativa.  Qual è  infatti  il principio  d'ogni  socialità? Qual è la radice della  socialità? £ il concetto  stesso d' umanità.  £  come  si  determina, come  si  esplica dapprima  questa  tendenza  innata e  originaria  ad  umanarci?  Appunto  col  gemino  sentimento del  pudore  e della  libertà  Questa  originaria dualità  costituisce la  natura  stessa  dell'uomo,  giacché r  ente  umano  intanto  è  animale  umano,  in  quanto  non è  una  cosa,  ma  due:  (ùov  fiU7Ttxoy,  e  (wov  ttoXctcxov.  £d egli  è tale  fin  dalla  sua  prima  origine,  questa  essendo  per l'appunto  la  invitta  necessità  del  processo  iperzoolo- per Vico ò originaria,  tanto  cho  si  manifesta  anche nello stato di natura: il quale  perciò,  come  altrove accennammo,  non ò  quello  do'  giusnaturalìsti. Fra la ReptMdiea  del  filosofo  ateniese, quindi, e la  SeienMa Nuova,  anche  per  questo  rispetto  t*  è  un abisso,  checche  ne  abbiano detto  0  possano  dime certi  Hegeliani.  Per  questa  medesima  ragione non  ò  da  confonder  menomamente l’uomo  ferino della  Scienza Nuova, con gli  nomini  selvaggi  di  cui  parlavano  tanto  spesso  gli antichi,  segnatamente r  A. della  RepubUica, Aristotele, CICERONE e simili. una posizione  affatto  diversa,  a cui  bisogna  por  mente. HumaniUu  ett  hominU  hominum  juvandi  affedio, {De  Conti,  JurU- prudenHt,  0.  II,  l.)  Sed  ex  latiori  genere  Humanitatie  heie  a  nobU  aoupta  a  duobue prineijnù  ootMtal,  Pudori  et  Libebtatk.  {Id,  eod,) gico,  e della  legge  di  conversione:  rèbus  ipsis  didantìbus.  Or qual  è  la relazione  che  stringe  insieme  i due Principii  d'umanità?  È  quella  medesima  che,  posto  il processo  isterico  e  sociale,  congiugne  in  armonia  la  società di  ragione  (Societas  Veri),  e  la  società  dell'utile (Societas  qui  boni).  È  appunto  la  relazione  che  corre fra  il certo e il  vero,  tra  la  forma  e la materia. Ma  se  questa  dualità  di  principii  inauguratori  dell'umanità  nell'uomo  è originaria,  accade  che,  appunto perchè  originaria,  debba  rivestir  forma  d'unitotalità  e d'incosciente  unità.  Or come potrebb' essere  unità  ove, al  solito,  non  serbasse  natura  di  conato? Pudore e Libertà quindi  sono un conato;  sono  dualità  e  unità  insieme; sono perciò  triplicità.  Se non  che,  questa  triplicità non è  inaugurazione  del  processo  psicologico  teoretico, bensì  pratico;  non  del  processo conoscitivo,  bensì operativo.  E  dunque  una  triplicità  originaria di natura pratica,  empirica,  istintiva, e dee  quindi  serbare,  nel medesimo  tempo,  valore  psicologico  e  sociologico.  L'ente umano  adunque  è  di  sua  natura un soggetto  essenzialmente relativo.  Egli  è  in  un'ora  medesima  in    stesso, e anche  nell'oZ^ro:  è    stesso,  e insieme  debb'essere  anche l'altro. Egli  insomma,  ripetiamolo,  non  è  una,  ma  due  cose in    stesso:  uomo  e  cittadino.  E  dovendo  esser  tale  fin  Qai  risiede,  come  Tedremo,  la  condanna  della  dottrina  sociologica del  Positivismo,  e  della  confusione  eh  ella  fa  tra  la  storia  e  la  socio- logia, tra  la sociologia  e la psicologia,  tra  la  psicologia  e la  biologia, nonché l’erroneo  concetto  della  Statica  toeiale  de’ Positivisti  francesi. *  De  Univ.  Jwriè  PrineiptOj  Ex  vi  ip$iu9  humanct  natura  de  duobu$  hit  HumanitcUit  prineipii» di«8eramìt$f  ^orutn  unum,  ceu  forma,  erit  Pudor,  alterum,  vduti  matebia. erit  LiherUtf,  {De  CoMt,  Jur.) Trasportando  questo  concetto  dall'or- dine sociologico  a  quello  delle idee e della  scienza,  possiamo  affermare  che in  tal  modo Vico  abbia  posto  nella stessa coscienza,  nello  stesso  individuo, la  distinzione,  oggi  vitalissima,  tra  la  Morale  e’1  Diritto,  salvando così l’autonomia  d'entrambe  queste  discipline.  Perciò    la  Morale  può dedursi  dal  Diritto,  come  farine i giusnaturalisti  hegeliani e positivisti, nò  il diritto  dalla morale,  come  usan  fare  i  teologisti  e,  in  generale,  i filosoft  neoplatonici. Di  queste  cose  discorreremo  nella  Sociofogicu dall'  origine  sua,  fin  da  che  apparve  naturale,  sdvaggio, ferino  bestione;  perciò  in  lui  il pudore  è  conato,  stan- techè  col  conato  incofninciò  in  esso  a  spuntare  la  virtù dell’animo,  Per  la  stessa  ragione  è  tale  anche  la  Li- bertà, la  quale  è conato proprio degli agenti  liberi,,,, onde  que’ giganti  si  ristettero  dal  veezo  cT  andar  vagando per  la  gran  sélva  della  terra,  e  s’aweisearono  ad  un costume  ttdto  contrario, Ma se la relazione che annoda i  termini  di  questa  originaria  dualità  è  quella  che  corre tra  la  forma  e  la  materia  in  generale,  avviene  che  il pudore  sia  logicamente  anteriore  alla  Libertà,  e la  Libertà, alla  sua  volta,  sia  cronologicamente,  empirica- mente anteriore al pudore. See,  Scienza  Nuova Idtmf  eod,  Perciò  dice  ohe il  pudore  l  U  primo  antiehitnmo  principio  d’umanità. (Sec.  Se,  Nuova)  E  gaardADdo  agli  effetti  di  qoesto sentimento, osserva  ohe  il  Pudore  arreeta  la  vaga  venere origina  la  eocictà matrimonÌ€i!e,  donde  emerge  la  eoeietà  (Prim.  Se.  Nuova);  e  come inizia  la  società,  così  pure  inventa  la  religione:  Pudor  inventar  religionie. {De  Conti.  Jur.)  Additando  poi la  priorità  logica  del pudore di fronte alla libertà, dice:  Pudor  euetoe  jurie  naturalie  (De  Univ.  Jur,);  «Tura  a  Pudore  oria,  ad pudorem  redeunt, et  a  eontemplatione  nata, in  eontemplatione  poetremo  deeinunt  (Ihi,  OC  Vili):  Pudor  omnie  divini kumanique  Jurie  parene  (Ihi,  GIV):  Pudor  Jurie  naturalie /one  {e.  Ili): Pudor exoitator virtutie. Il senso di  libertà,  poi,  assume  dapprima nna  forma  affatto  empirica  e  naturale;  assume  forma  di  potere {poeee)  di  volere  sfornito  di  ragione,  d'arbitrio,  di  passione;  e,  come tale,  riesce  cronologicamente  anteriore  al pudore nò  potrebb*  esser  diversamente ammessa  la  relazione  intima  fra  il  processo  zoologico  e  il  processo isterico.  L' anello  vero  perciò  fra  questi  due  processi,  l’anello  reale  fra  i due mondi,  òr  «OMO  stesso;  ma l’uomo  considerato  come  un poro poeee potenza,  potestà  naturale.  Sennonchò  cotesto  ò  un  momento  indiscernibile; è  un  intervallo  che  tosto  ò  superato,  e  il  potere  già  diventa  voUre  e il volere  diventa  oonoeeere  sempre  per  la  solita  legge  del  rehue  ipeie  dio- tantUnu,  àéìVipea  rerum  natura. Libertà  e  Pudore  quindi  son  come  le due  facce  del  conato  umano:  l’una  ò  intima,  secreta,  individuale;  l’altra ò  sensata,  estrinseca,  e perciò  di  natura  essenzialmente  sociologica. Or come  tale la  libertà  ò  il  primo  punto  di  tutu  le  eoee  umane  (Sec.  Se. Nuova);  e  perciò  ex  libertate  eommereiay  ex  eommereiie  humanitae excuUa,  {De  Conet,  Jur,)  E  poichò  ò  una  condizione  primitiva, perciò  la  dice  dote proprissima  dell’uomo: NihU hcmini magie proprium quam oo2imto; ed essendo proprissima  proj>rM(o^va  del  filosofare, quanto le forme negative.  Ogni  maniera di speculazione  soccorre al progresso e  alla  ricostruzione  della  metafisica,  a  contare dalla  piiì  grossolana  affermazione  dommatica,  alla negazione  del  più  volgare  ed em])irico  pirronista;  dalla più  ardita  formola  sistematica, al più sottile sofisma dello  scetticismo  sistematico.  Ma  neanche  qui ci poteva esser  concesso  dimostrare,  senza  trascendere  i  confini  del nostro disegno,  il modo  con  che  in  mezzo  allo  svolgersi de'  due  estremi  indirizzi  siasi  venuto  incarnando  e  pigliando quasi  persona  l' indirizzo  medio.  Mostrare  insomma come  le  forme  positive  della  metafisica  siansi venute  svolgendo,  sarebbe  stato  lavoro  di  storia,  e  di crìtica:  al  modo  istesso  che  sarebbe  stato  lavoro  di esposizione  far  vedere  la  monotonia  con  che  si  sono succedute  le  forme  negative  del  filosofare. Solamente  ci  fu  mestieri  accennare  come  nell'età moderna,  dopo  le  divisioni  del  Cartesianismo  nel  quale ripetesi, con  elementi  di  novella  speculazione,  la  vecchia sintesi  aristotelica,  l'indirizzo  medio  ci  sia  rappresentato  dal  Leibnitz  in  Germania,  e, più  spiccatamente, da VICO in  Italia;  e  come  ne' tempi  a  noi  piii vicini  siansi  ripetuti  gli  estremi,  e si  ripetan  tuttora sotto  novelle  forme,  così  nell'uno  come  nell'altro paese. È iperpsicologismo il  neoplatonismo italiano  moderno: ma  forse  che  sarà  meno  iperpsicologismo  il  sistema jdeir  assoluta  identità?  È empirismo e nullismo  metafisico il  positivismo  di  Francia  ed  il  materialismo  di Germania:  ma  sarà  meno  empirismo  lo scetticismo  sistematico di  FERRARI e  certa  ibrida  forma  di  criticismo  di FRANCHI e  il  nullismo metafisico  de'  nostri  filosofi  dell’avvenire?  Vedi  qael  che  altrove  abbiamo  discorso  circa  le  forme  negative  e le  forme  po»Uìve  del  filosofare  e  circa  la  storia  della  filosofia  in  generale. Lo scetticismo  non  è  da  pigliarsi  a  gabbo,  come  par che  facciano  tutto  giorno  dommatici  e  sistematici. La  sua  funzione  istorica  ha  grande  importanza,  essendo  quasi  la  molla  efficace,  tuttoché negativa,  del  progresso  in  filosofia,    y*,ha  periodo  storico  in  cui  lo  scetticismo non  accompagni  sempre  lo  STolgrersi  del  dommatismo. Il  dommatismo  è  syariatissimo  nelle sue  forme,  e  quindi  possiede  una  storia. Lo scetticismo  invece è  immobile,  è  immutabile;  e  questo  è  insieme  il suo  pregio,  e  la  sua  condanna.  Perciò  lo  scetticismo  non  ha    può avere  una  storia,  appunto  perchè  non  importa  un  processo;  e  non  è processo  appunto  perchè  è negazione. L’arma  dello  scettico  infatti  è sempre  identica  a    stessa.  Nel  nostro  Ausonio  rivive  Enesidemo,  e  nel nostro  FERRARI vi  è  tutto  Sesto  Empirico.  Chi  si  voglia  quindi  provare  o siasi  provato,  come  il  Bissolati  (Ved.  Tntrod.  alle  fgtituxioni  Pirroniane^ Imola),  a  fare  una  storia  dello  scetticismo, altro non  fa,  altro  non potrà  mai  fare,  salvochè  una  rassegna,  un  racconto  monotono  e  sazievole d'argomenti  identici.  L'esigenza  scettica,  il  metodo  teettieOf  potrà  benissimo cangiare  i  punti  di  m«(a,  come  fann'oggi  gli  schietti  positivisti, ma  la  sostanza  rimane  e  rimarrà  sempre  la  stessa.  Invece l’esigenza dommatica  è  un  fatto  al  pari  dell' esigenza  scettica:  ma  ò un  fatto  che si  muove;  è  un  fatto  che    fa.  Hegel  ripete  Platone,  e  ripete  Erigena; ma  non  è    Platone,    Erigena.  ROSMINI  ripete  Aristotele  o  AQUINO, ma  non  è    Aristotele,  né AQUINO.  GIOBERTI  ripete  Malebranche, ma  non  è  nient'affatto  Malebranche. FERRARI  anch'egli  ripete. Ripete  Sesto  Empirico.  Ma  come  lo  ripete?  Facendone  la  fotografia!  Ora se il dommatismo  conta  una  storia  essendo  un  processo  isterico,  e  lo  scetticismo n'é  al  tutto  sfornito,  com'è  possibile  che  il  trionfo  stia  pel  secondo anziché  pel  primo?  La  funzione  isterica  dello  scetticismo  dunque è  necessaria,  essendo  »na  ruota  della  macchina;  ma  badisi a  non  confonder la  macchina  con  la ruota,,  ciò  che  costituisce  appunto  l'errore di  chi  spera  (vana  speranza!)  nel  trionfo  definitivo  del  pirronismo. Se  non  che,  lasciando  di Leibnitz  e  del  moto  filosofico d'Alemagna,  peculiar  proposito  del  nostro  saggio e  quello  d'  additare  la  correzione  e  l’inveramento delle  due  estreme  tendenze  (scettica  e  dommatica) che  nascono  e  rinascon  parennemente  nella  storia, e  che  oggi, assunta  forma  pia  conseguente e  razionale, s’addimandano  Positivismo  e  Idealismo  assoluto. Il  fondamento  di  tal  correzione  e '1 criterio  di  siffatto inveramento, per ciò  che  spetta  al  nostro  paese, pone  radice  nelle  dottrine  del  filosofo  napoletano,  interpretate e  ricercate con  metodo  critico  rintegrativo. Ma,  a  far  questo,  che  cosa  era  d'  uopo  mostrare  innanzi tutto?  Era  d'uopo  mostrare  la  possibilità  di  rin- venire in  lui  cotal  fondamento.  In altre parole, era d'uopo mostrare se in lui per avventura  fosse  alcuna originalità  di  speculazione  razionalmente  positiva: il che ci parve  opportuno  innanzi  tutto  far  vedere  in  ma- niera indiretta  e  per  via  storica,  abbozzando  una  storia de' critici e degli  espositori  delle  dottrine  vichiane.  Che poi  davvero  esistano  in  lui  germi  d'originalità  metafisica, r  abbiam  chiarito  nel  secondo  libro  di  quest'  opera, interpretando  le  sue  teoriche  con  una  forma  di  critica che  scaturisce  logicamente  dalla  stessa  triplice  paiiizione  de' periodi  ne' quali  abbiam  diviso  quel  nostro saggio  istorico. Se  pertanto  un  rinnovamento  del  pensiero  filosofico italiano  è  necessario  e  inevitabile  perchè  richiesto  dalla ragion  filosofica  positiva,  perchè  domandato  dall'  esigenza del  sapere  moderno,  e  perchè  imposto  dalle  rinnovate condizioni  politiche,  civili,  religiose  del  nostro paese; si domanda: come  innovarci?  introducendo forse il  Positivismo, o  perdurando  nello  Scetticismo? Evidentemente contraddiremmo  all'indomabile istinto verso la  scienza: contraddiremmo  al  bisogno sempre più  acuto e profondo  di  nostra  ragione:  negheremmo la  ragione.  Vorremo  innovarci  seguitando a dirci ed essere iperpsicologisti?  In  tal  caso  dovremo  accettare  due condizioni:  costruire  la  scienza  con  la  ipotesi,  con  Va priorismo;  e  disconoscere  i  limiti  del  pensiero  e  della scienza  stessa,  dando  così  alla  ragione  un  valore  dommatico,  sistematico,  assoluto,  anziché  critico  e  positivo. Chi  vorrà  oggimai  accettare  siffatte  condizioni? Dunque Positivismo  e  Idealismo  assoluto,  negazione  assoluta  di sistema  e  assoluto  sistematismOy  son  le  colonne  d’Ercole che la  moderna  Francia  e  la  moderna  Germania  ci  vogliono imporre:  esse  non  ci  appartengono,  e  a  noi  sarà lecito  abbatterle,  non  per  vana  horia  nazionale,  ma  si per  necessità  di  ragione.  Forse  che  un  rinnovamento in  senso  hegeliano  non  ha  ormai  fatto  fra  noi  le  sue prove  per  quindici  anni,  per  vent'anni?  Non  è  stato  fa- vorito con  ogni  guarentigia  di  libertà?  Non  è stato  e non  è  rappresentato  così  nel  privato  come  nel  pubblico insegnamento?  E  pure  l’Idealismo  assoluto,  almeno quant^alla  peculiare  esigenza  che  lo  distingue,  cioè come  Sistema  delP  identità  assolata  non  ci  è  passato in  sangue,  ne  poteva; e nonostante  gli  sforzi  nobilissimi di  egregi  scrittori,  egli  è  rimasto  ne' libri, e rimarrà ne' libri. Altrettanto  impossibile  riesce  un  rinnovamento dsL  positivisti.  Piii  deir  Hegelianismo  il  Positivismo è  stato  accarezzato,  favorito  per  ogni  verso,  predicato privatamente,  talora  persino  officialmente.  Ma  gF  ingegni severi  vi  han  reagito,  vi  reagiscono;  e  l’infinita  moltitudine di  que' filosofanti  che  han  su  le  labbra  cotesto  nome pomposo  e  bugiardo,  è  lungi dall' averne  ponderato  il valore,  le  conseguenze,  le  applicazioni.  Rinnovamenti  di cotal  genere, dunque,  sono  impossibili  fra  noi:  e' non sarebbero  legittimi,  coscieuti,  naturali,  autonomi,  efficaci, intimi, storici. Vogliamo  finalmente  ritentare  un  rinnovamento d'iperpsicologismo  da  ontologisti  neoplatonici? Resteremmo  quel  che  pur  troppo  siamo  stati,  e siamo:  non  andremmo  avanti;  torneremmo  indietro. Se dunque la necessità del nostro  innovamento  filosofico deve poter germinare  dalla  passata  speculazione, noi dobbiamo  rintracciarne  gli  elementi  nelle  opere  e  nella mente  di  chi  è  capace  di  rappresentare  non  pure  il  passato, ma,  più  ancora,  il  presente  e l’avvenire.  È  d'uopo attingere  ispirazione  nelle opere e nella  mente  di  chi  può soddisfare l’esigenza  positiva  e  l’esigenza  ideale  del  sa- pere, ma  correggendole  entrambe.  È  d' uopo  invocare  gli auspici  di  chi,  incarnando  il  medio  indirizzo  della  specula- zione, valga  a  rannodarci  con  la  nostra  tradizione  scientifica, e  con  lo  svolgimento  dell'intera  storia  della  filosofia. Chi  potrebb'  esser  questi,  fra  noi,  salvo  che  l’autore  della Scienza  Nuova?  Ecco l'addentellato  piii  sicuro  e  tutto nostro,  dal  quale  è  mestieri  s' inauguri  il  presente  rinnovamento filosofico  italiano. Ma,  nell'invocame  gli  auspicii, noi dobbiamo  interpretarlo  con  la  coscienza  del  sapere moderno:  noi  dobbiamo  correggere  anche  lui;  e  correggendo, lui  correggeremo  poi  stessi,  e  gli  altri:  correg- geremo il  neoplatonismo,  l' hegelianismo,  il  positivismo. Brevemente:  se  rinnovarci  è  suprema  necessità,  di  tal necessità  è  d'uopo  aver  pienezza  di  sentimento  e  di coscienza  storica.  Abbiamo dunque  bisogno  d' una  base per  muoverci,  d' un  punto  a  cui  mirare,  d' un  segno  per orientarci,  d' una  guida  tutta  nostra  in  cui  la  nostra mente  riconosca    medesima.  Chi  potrebbe  risponder meglio  a cosiffatta  esigenza  tranne colui che  seppe  concepire il  sublime  per  quanto  rozzo  e  incompiuto  disegno d'una  Scienza  Nuova? Il  nostro  quesito  adunque  era  semplice  e  chiaro; ed  è  questo  :  Come  penserebbe  il  nostro  filosofo  ov'  ei tornasse  a  vivere  in  mezzo  a  noi,  nelle  nuove condizioni politiche,  sociali,  religiose,  co'  nostri  nuovi  bisogni, con  le  nostre nuove  tendenze?  In altre  parole: come farebb'  egli  a  risolvere  oggi,  col  suo  stesso  metodo,  i grandi  problemi  della  scienza?  La  risposta  riguardante i problemi  speculativi,  è  nella  seconda  parte  del  presente libro.  La  risposta  poi  che  concerne  i  problemi  d' ordine storico,  politico,  religioso  e  pedagogico,  la  daremo  nella Sociologia.  È  che sia questa per l'appunto  l' esigenza del  suo  pensiero  ;  che  sia  questa  la  necessità  del  nostro Rinnovamento,  ce  ne  porge  guarentigia  e  conferma  la storia,  e  il modo  con  che  s'è  venuto  attuando  e  svolgendo il  nostro  pensiero  filosofico. Noi  non  possiamo  intrat- tenerci a  lumeggiare  in  qualche  maniera  cotesto  svolgi- mento. Non  possiamo rilevarne  i  caratteri,  ritrarne  la necessità  ne' passaggi,  e  dichiararne  il  progresso  ne' diffe- renti periodi,  dando  così  forma  determinata  e  compiuta al  nostro  assunto.  Questo  faremo  quando  che  sia  con  apposito lavoro,  di  cui  abbiamo  già  in  pronto  la  materia. Ma  accennare  di  volo  al  risultamento  del  nostro  pensiero senza  por  tempo  in  mezzo,  è  cosa  che  possiamo  fare anche  ora;  tanto  piii,  che  tal  risultamento,  chi  ben guardi,  traesi  facilmente  dalle  cose  discorse  in  piii  luoghi del  nostro  libro. La  storia  della  filosofia  italiana,  dunque,  a  noi  sem- bra doversi  dividere in  tre  difiFerenti  periodi,  de'  quali stringiamo in pochissimo  i  caratteri  e  le  tendenze  pe- culiari: Primo Periodo (Scolast%c(hteologico), S'inaugura  con  Boezio  Severino  (Marciano Capella, Cassiodoro  ec),  e  finisce  con  San  Tommaso  (Tomisti  e Scotisti  inclusive). Vi  è  chi  col  Gioberti  divide  la  storia  della  filosofia  italiana  in cinque  epoche  (Ved.  Prìmnto,  ed.);  e  v'è  chi  la divide  in  quattro  età,  cominciando  dal  VI  sec  avanti  Cristo  (Babtolom-  I M RS,  Dici,  den  teienc  philot.)  Divisioni  di  cotal  fatta  evidentemente  peccano d'eccesso,  in  quanto  che  abbracciano  più  e  diverse  civiltà,  e  però  non riescono  ad  imprimere  valor  razionale  e  forma  omo^renea  allo  svolgimento del  nostro  pensiero  fllosoftco.  La  storia  della  filosofia  italiana  s’inaugura quando  il  popolo  di  Roma,  cessando,  secondo  il  detto  di  Hegel,  d’essere essenzialmente  umanitario  e  univertale,  comincia  ad  essere  italiano. Il suo cominciamento  amare  il concetto  del  metodo, cioè  la  industria  induttiva,  ma  ne' fatti  d'ordine fisico sensato, e in  parte  filologico  ed  erudito.  L'indirizzo medio  perciò  s'inaugura  con  ricercare  e  determinare  il metodo,  non  già  con  l'edificare  un  sistema.  Questo  è il  lor  merito  comune;  e  questo  è  anche  il  loro  difetto, stantechè  manchi  ad  essi  la  nozione compiuta  del  mesi pretende  imprimere  ralore  a  tutta  la  storia,  quando  s’interpreta,  cosi com’es8Ì  fanno,  la  scuola  platonica  toscana,  e  le  si  vuol  dare  quel  valore ch*ei  le  danno.  Un  altro  esempio  sono  gli  studi  di  Spaventa  su Bruno e  su Campanella:  studi  bellissimi  e  pieni  di  vedute  profonde  dalVun  capo air  altro,  e  come  monografie  noi  H  accettiamo,  e  ne  caviamo  il  nostra prò:  ma  com’elemento  di  storia  generale,  la  Agnra  e  la  Asonomia  del Bruno,  per  esempio,  ò  delineata  siffattamente,  che  quando  siamo  al  significato  della  storia  generale  della filosofla,  si  toccan  con  mano  lo Gonsognense  sistematiche  e parziali  della  critica  monografica.  In  una parola  io;  voglio  dir  qoesto:  la  monograAa  ò  boli* e  buona,  ò  supremamente utile,  ma  è  sommamente  pericolosa;  perchò  se  come  studio  mo- nografico ella  può  esser  vera,  come  parte,  com’elemento  di  storia  pu^ riescire  falsissima.  Altrove  noi  proveremo  largamente  e  con  esempi mostrani tale  assunto. todo com'è  applicato  oggidì  da metafisici.  Se  non  che l'indirizzo  medio  nel  Rinascimento  ci  può  esser  più  convenevolmente rappresentato  da  que'  filosofi  che,  travagliandosi attorno  alla  quistione  dell’anima  intesa  come problema  puramente  psicologico,  fanno  ad  un  tempo  ogni sforzo  per  interpretare con benigna  critica  la  dottrina dell’inteletto possibile e dell’inteletto  agente  e  fra  questi, come  altrove  notammo,  van  rammentati  NISO (si veda), PORZIO (si veda) (il  quale  non  è  nient' affatto  un  seguace  di  POMPONAZZI (si veda), come  pretende  il  nostro  collega  FIORENTINO (si veda),  ZABARELLA (si veda), CASTELLANI (si veda), ed  altri  di  simil  valore.  Costoro sorpassano  i  confini  del  senso;  trascendono  in  parte  la modesta  indagine  psicologica  introducendo la  ricerca cosmologica, e  rannodano  così  il  problema  dell'anima  intel- ligente con  r  altro  della  natura  intelligibile.  Nessuno  ha I  pensato  a  rilevar  nettamente  questo  aspetto,  e  segnalare questa  tendenza  tanto  evidente  in  parecchi  filosofi di  quell'età. E  pur  ci  sarebbe  tanta mèsse damietere, i quando  non  fossimo  signoreggiati  dalle  prevenzioni  sistematiche del  Neoplatonismo,  o dell' Hegelianismo. Ma  l’eterogeneità,  il  contrasto,  l’opposizione  cresce sempre  più.  Da  una  parte  ella  si  esagera,  per  esempio,  con ZIMARA (si veda), CESALPINI (si veda), VANINI (si veda) e  simili;  i  quali rappresentando,  diremmo  quasi,  una  mischianza  di  naturalismo e  d' iperpsicologismo,  palesano  la. fiacchezza del  vecchio aristotelismo:  dall'  altra  poi  si  esagera  con que'  filosofi  che  presumon  d'interpretare  convenevolmente Aristotele  e  Platone,  mentre  arabeggiano  la  lor parie;  e  tali  per  esempio,  sono  LAGALLA (si veda), LICETO (si veda) ed  l’altri  di  simil  fatta.  È  il  Platonismo toscano,  è  il  naturalismo di POMPONAZZI (si veda),  è  l'arabismo  padovano  che si  prolungano  pur  sempre  svigoriti  e  indeterminati. Bruno  e  Campanella  rappresentano  anch'  essi  debolmente r  Aristotelismo  e  '1 platonismo,  ma  per  una  ragione assai  diversa.  L'esigenza  psicologica,  propria  del Rinascimento,  nei  due  arditissimi  frati  assume  ben  altro valore, e  si  allarga  a  sistema;  e  così  vediamo  i  due estremi  modificarsi  di  guisa,  che  Bruno e Campanella  ci paion quasi filosofi moderni,  e modernissimo Galilei rappresentante  dell'indirizzo  medio nella scienza fisica, in quanto ci esprime assai vivacemente l'esigenza induttiva nelle discipline  sperimentali.  BRUNO (si veda), CAMPANELLA (si veda), e BONAIUTI (si veda) Galileo Galilei, infatti,  non  ripetono  Aristotele  del Lizio e  Platone dell’ACCADEMIA,   e  neanche  intendono ad  accordarli. Essi  piuttosto  tendono  a  correggerli, e  credono  correggerli,  come  altrove  mostreremo,  in tre  diverse  maniere.  Perciò  non a  torto il filosofo nolano è riguardato  oggi  siccome  antecedente  isterico  di  Spinoza; il  filosofo  di  Stilo  è  ritenuto  come  antecedente  di  Cartesio; e  Galilei  viene  invocato  da' Positivisti  come  uno ùe'padri  del  Positivismo,  secondo  che  ci  han  fatto  grazia dirci  Comte  ed  Littré. Or  tutto  questo  sarà vero;  sarà  vera  cotesta  novità ne'  tre  filosofi:  ma  sarà  vera  nel  senso  che  a  tutti e  tre manchi  qualcosa.  Essi  ci  rappresentano,  vorre’dire,  tre esigenze  solitarie,  esclusive  e  quasi  inorganiche. In CAMPANELLA, per  esempio,  vi  è  il  concetto  della COSCIENZA e della  storia;  ma  non  vi  è  quello  dello  spirito  come  storia. In BRUNO  vi  è  il  gran  concetto della natura;  ma è  un  concetto  sifl'attamente annebbiato  e indeterminato che  riesce affatto irrelativo,  e nulla  non ha    dietro, né  avanti  a  sé. Talché  con  l'avere  affermato  che  la  prima causa  dove  essere  insieme  efficiente,  formale  e  finale,  e'  si chiarisce  seguace,  non  già  d'Aristotele del LIZIO,  come  vuole  Michelet,  ma  dell'indirizzo  naturale  dell'Aristotelismo del LIZIO.  Il metodo  di BONAIUTI Galileo Galilei,  finalmente,  é  quello  che  dove’essere; un  processo  induttivo  e  critico,  ma  solamente  applicato allo  studio  delle  leggi  fisiche.  D'altro  canto il  filosofo pisano ha  grandissimo  valore  quando  si  pensi  com'egli, riducendo le  leggi  di  natura  fisica  o  meccanica  a  fenomeni piÌL  0  manco  generali,  giugnesse  a  scacciare dal regno  degl’agenti  naturali  ogni  fantasia  astrologica  del falso  Aristotehsmo LIZIO (“Only he wrote his own horoscopes!” – Grice):  ma  chi  dice  eh' e' pervenne  a  darei Métaph, us ipsis dictantibus. Però non più individui predestinati;  non più  famiglie,    razze  privilegiate. Non più  popoli  eletti:  ma  privilegio  dell'  intelligenza, ma  trionfo della  libertà in  ogni  senso  e  sotto  qualunque  forma,  nella famiglia,  nello stato,  nella chiesa,  nella scuola,  nella società. Dunque,  formola  suprema  della  vita  e  della storia,  della  natura  e  della  speculazione,  de'  fatti  e  delle scienze  e  di  Dio  stesso: la conversione  del vero cól fatto, e del fatto col vero. Il  terzo periodo  della  nostra  filosofia  ci  rappresenta l’età  umana:  rappresenta  l'età  delle  idee,  l'età  della Bagione  spiegata.  Quale  sarà  dunque  la  conclusione? La  conclusione  è  chiarissima. Questo  terzo  periodo importa  l' esigenza,  la  necessità  d'  un  Rinnovamento: racchiude  l'esigenza e la necessità  d'una  filosofia  razio- nalmente positiva.  La  sintesi  confusa  del  primo  periodo si  ripete  anche  nel  terzo;  ed  ecco  le  contraddizioni  evidenti, manifeste,  grossolane,  talvolta  puerili  di Vico. La medesima  sintesi  veggiamo  ripetersi  ne' nostri  ultimi  filosofi neoplatonici;  ed  ecco  le  contraddizioni  di  Rosmini, ecco  i controsensi  del  Gioberti,  ecco  le  incongruenze del  neoplatonismo  di  Mamiani. Ma  cotesta  sintesi  tien dietro  ad  un'analisi,  tien  dietro  all'analisi  del  Rinascimento. Dunque,  tuttoché  erronea, ella  già  segna  un progresso.  Perciò  le  contraddizioni dei  nostri filosofi  si risolvono  di  per sé  medesime;  si  risolvono  e  correggono per  necessità  storica:  le  risolve  e  corregge  la  storia  ella stessa;  rebt4S  ipsis  dictantibus.  In  altre  parole,  il  terzo periodo  è  un  ricorso,  dice l’Autore  della  Scienza Nuova;  è  un  ricorso  d'uà  corso,  cioè  un ricorso del primo periodo. Ma  cotesto  ricorrere  non  è  già  un  sem- plice ripetersi,  bensì  é  un  ripetersi  che  si  rinnova  necessariamente, ciò  è  dir  razionalmente :  ecco  la  ragione  del suo  verace  progredire.  Quale  é  dunque  il  problema  che la  storia  del  nostro  pensiero  filosofico  tende  a  risolvere? È  sempre  l'antico,  l' antichissimo  problema,  or  divenuto novissimo:  la  correzione  e  l' accordo  della  doppia  e  vecchia  esigenza  naturale  e  iperpsicologica,  empirica  ed a  priori,  positiva  e  ideale.  Quale  n' è  poi  il  risultamento?  È  il  trionfo  dell'indirizzo  medio;  è  Finvera- mento  successivo,  progressivo  e  razionalmente  necessario di  tale  indirizzo;  ed  è  quella  perennis philosophia di Leibnitz  la  quale non è  fatta,  ma  si  fa,  e  sempre più  si  farà. Abbiam  detto  che  in  questa  terza  età  la ragione sommette  l'autorità,  trionfa  dell' Autorità,  e  la  riduce ne'  suoi  giusti  confini.  Or  nell'ordine  de'  fatti  che  cosa veggiamo?  Ci  è  dato  osservare  (noi  fortunati la  medesima legge.  Il grande  spirito  nazionale  trionfa  di  Roma; riduce  a  ragione  l'Autorità;  la  fa  ragionevole.  E  questo gran  fatto  accade  anch'  egli  per  necessità  e  provvidenza storica:  rebus  ipsis  didantìbus. Accade  senz'av vedercene; accade  senza  grandi  rumori;  accade  senza  grandi  stre- piti guerreschi;  accade  senza  i  temuti  fiumi  di  sangue. Evidentemente  il  pensiero  filosofico  italiano  è  provvidenziale I  Egli è  già  penetrato nella gloriosa  ma  altrettanto ardua,  altrettanto  spinosa  e  travagliosissima  età umana! La  legge  de'  tre  periodi, che  noi  abbiamo  a  fugge- volissimi tocchi  tratteggiato  ne'  suoi  caratteri  essen- ziali e  differenziali,  non  è,  al  solito,  una  legge  dia-lettica, non  è  legge  a  priori,  non  è  legge  sistematicaj non è legge organica  nel  significato  che  vorrebbero darle  gli  HegeUani.  È  una  legge,  ripetiamolo,  essen- zialmente storica  e  psicologica:  e  la  necessità  a  cui ella  è  informata,  anziché  dialettica,  è  anch'essa  di natura  storica  e  psicologica. Non è dunque  una  tricotomia ideale,  dialettica,  logica  e  trascendentale  applicata alla  genesi  del  nostro  pensiero  filosofico;  ma  è  una  divisione risultante  dal  fatto  stesso  della  storia,  e    è confermata  dalla  genesi  deUe  funzioni  psicologiche. Interpretando  così  la  storia  della  filosofia  italiana, il  nostro rinnovamento  speculativo  non  pur  si  presenterà come  un'  esigenza  della ragion  teoretica,  ma  come un  profondo  bisogno  altresì  della  Ragione  storica,  I fini  perciò  a'  quali  potrà  e  dovrà  pervenire  lo  storico della  nostra  filosofia  saranno  questi: 1"Egli  così  avrà  dato  forma  razionale  al  movimento filosofico  del  pensiero italiano,  a  contare  dalle sue  proprie  origini  fino  ai    nostri: Avrà  legittimato  la  Scolastica  e  la riflessione teologica  facendole  servire  entrambe  allo  svolgimento isterico  del  nostro  pensiero  filosofico. Avrà  schivato  le  pretensioni  esclusive,  le  interpretazioni erronee,  infedeli  e parziali  degli  storiografi hegeliani  che  altro  non  veggono,    nella  nostra  come nella  universale  storia  della  filosofia,  fuorché  il  trionfo d'un  Aristotelismo  o  d'un  Platonismo  interpretati,  rimaneggiatie  rimpastati  a  tutto  lor  comodo  e  favore: Potrà  giustificare  la  rinnovata  Filosofia  Positiva Italiana  correggendo  l'Arabismo  vecchio  e  nuovo,  correggendoil  vecchio  e’1  nuovo  Positivismo,  legittimando la  vera  esigenza  platonica  e  la  vera  esigenza  aristotelica,e  dimostrando  col  fatto  il  progresso  nel  corso  del nostro  pensiero  filosofico  mercè  il  trionfo  dell'indirizzo medio. Finalmente  potrà  porger  modo  alla  storia  politica, alla  storia  civile  e  alla  storia  letteraria  del  nostro paese  d' attingere  significato  razionale  e  razionalmente positivo,  elevandole  a  dignità  filosofica  legittima.  Fuori di  questi  principii  è  impresa  vana  pretendere  d' impri- mervalore  scientifico  alla  storia  del  popolo  italiano. AUTORI GHB DI PROPOSITO O PER INCIDENTE TRATTANO  DELLE  DOTTRINE  DI VICO  Giornale  de’ Letterati  oT  Italia, Osserrazioni  al  primo  libro  De  Antiqtuissima  Italomm  Sapìentia,  Venezia, Clbbioo,  JBihl  anL  e  mod.  Concinna,  Originia  futidamenta  et  capiUi  prima  JurÌ9  Naturalie.   Padova,  Damiano  Romano,  Difeta  storica  delle  Leggi  Oreche  venute  a  Roma  contro l’opinione  moderna  del  signor  Vico,  Napoli,  Quattordici  Lettere  evi  terno  principio  della  Scienza  Nuota  ec.  Napoli, Ganassoni,  Memoria  in  difesa  dd  principio  dd  Vico  tu  l’origine  delle XJI  Tatcle.  Opasc.  del  Galogerà. RoOADEl,  Saggio  del  Diritto  pubblico  o  politico  del  Regno   di  Napoli, DdV  antico  Stato  de*  popoli  d*  Italia  Cistiberina.  Vedi  anche  Colan- OELO,  Biblioteca  analitica  ec. 1  Diamo  qui  tale  indice  tanto  in  servigio  e  compimento  della  storia  e  della critica  fatta  nel  primo libro  sn  gli  scrittori  che  han  parlato  del  Vico,  quanto per  ehi  amasse  di  ripetere  i  medesimi  studi,  e  far  le  medesimo  ricerche  da  noi fatte.  Di  alcuni  di  questi  autori,  come aTrertìmmo, non ahhiam creduto prezzo deir opera far cenno;  d'altri  poi non  abbiam  potuto,  segnatamente  d’alcuni venuti  alla  luce  quando  la  prima  parte  del  nostro  layoro  era  già  in  eorso  di stampa,  come  per  esempio  del  Qalatio,  del    luca,  del  Sarchi  (traduz.  del saggio  ì Mstafisieo),  del  Laurent  e  di  qualcun  altro.  Tutti  gli  abbiam  letti  o  consultati 0  studiati  secondo  ohe  richiedeva  non  solo  il  proposito  di  questa  nostra  opera, ma  piti  ancora  quello  della  seconda  che  pubblicheremo  intorno  ai  Prineipii della  Sociologia.  Non  abbiam  potuto. leggere  gli  articoli  di Wotf  e  dell' Or««t, la  Prefatiom  del  Wsbsr  alla  trad.  della  Sdenta  Nuovuy  ì  Fogli  $parsi  del  QOichet e  gli  scritti  di  MUller  e  del  Cauer  ;  ma  ne  abbiam  dato  giudizio  traendone notizia  da  fonti  sicure. Disporremo  qnest'  indice,  quant'  ò  possibile,  secondo Vordine  cronologico,  affinchè  sia  fatto  più  chiaro  il  pensiero  a  cui  è  informato il presente  lavoro. G.  Laui,  Novelle  Letterarie,  Firenze. Vedi  pure  nelle  note  al  Meursio. FlKETTi,  De  PrineipiU  Jurx$ Naturce et Oentiam   adver$tu   Bòbbeatum, Pu/endorjium,  Woljium  et  alio. Venetiis,  Bettinellus, Sommario  delle  opposizioni  del  Sistema  Ferino  di  Vieo  alla  Sacra Scrittura.  La  faUità   dello  Stato  ferino: Appendice  al  Diritto  di Natura  e  delle  OentU E.  DuNi,  Op.,  edi?.  completa  per  cura  del  Gennarellì.  Roma Scienza del  Coetume. Saggio  sulla  Giurisprudenza  Universale. Origine  e progressi  del  Cittadino  di  Roma. A.  BuoNAFEDR,  Istoria  critica  del  moderno  diritto  di  Natura  e  delle  Genti:  la  ediz.  E fatta  a  Perugia in  sa  lo  scorcio). Stbllini, Opera  omnia. Padova (specialmente nell'Opera,  Do Ortu  et  Progressu  morum). M.  Delfico,  Ricerche  sul  vero  carattere  della  Giurisprudenza  Romana  • de*  suoi  euUori.  Napoli Pagano,  Op.  Capolago. I  Saggi  PoliHei  furon  pubblicati  in  Na- poli neir  ultimo  decennio  del  secolo  passato.) Cuoco,  Platone  in  Italia.  Milano,  FiLAKGiBBl,  Scienza  della  Legislazione.  Firenze,  Monti,  Prolusione  agli  ttudii  ddV  Università  di Pavia. Milano Foscolo, Discorso  dell’origine e dell’ ufficio  della  letteratura. Vedi  nelle  Lezioni  d'Eloquenza,  ediz.  di  Napoli,  WoLP,  nel  Museum  der  Alterthumwissenschafi. Berlino, Orblli,  Vico  e  Niehuhr.  Museo  Svizzero,  Anonimo,  Dell’antichissima  Sapienza  degli  Italiani,  versione  dal  latino. Milano,  Silvestri,  Iannblli,  Sulla  natura  e  necessità  della  Scienza  delle  cose  e  delle  Storie umane.  Napoli,  Anonimo,  nell’Indicatore  di  Gottinga COLANOELO,  Saggio  di  alcune  considerazioni  suUa  Scienza  Nuova  del  Vico. Napoli,  G.  RoifAGKOSi,  Osservazioni  sulla  Scienza  Nuova.  Weber,  traduzione  della  Scienza  Nuova.  Lipsia,  G.  Db  Cbsarb,  Sommario  delle  dottrine  di Vico,  compilato  sull’ediz. della  Scienza  Nuova  fatta  dallo  stesso  Vico  e  pubblicata nell’ediz.  dello  stesso  saggio  in  Napoli. Gallotti,  Principii  «T  una  Scienza Nuova  di  Vico,  prima  edizione pubblicata  dall'autore  riprodotta  e  annotata. Napoli, CHE   TBATTANO  DEL  VICO Michelet,  Prineìpca  de  la  PkiloBophic  de  VHUtoìre,  traduits  de  la  Scienza Nuova, Paris;   ripubblicata con   le   altre  opere  a  Bmzelles Ricci,  nell’Antoloffia  del  Vleussenx,  Firenze,  stadio  critico  su  la  tradazione  fatta  dal  Michelet). lìivitta  Enciclopedica f  Fascicolo  (art.  sa  la  tradazione  di Michelet). LBBXiinEB,  Initoduction  generale  à  VBittoire  du  Vroit.  Paris Bietoire  de  la  Philotophie  du  Droit.  Bruxelles nel  Tom.  II). Ballanchb,  Opere.  Paris, JouFFBOY,  Mélangea  Philo$opMqu€$.  Bruxelles CousiK,  Oaurs  ec,    serio, Paris Introductxon  b.  VHieioire  de  la  Phil.f  Lea,  II, T.  Maviani,  Rinnovamento  della  Filonofia  antica  italiana,  Paris,   L.  T.  (LniQi  Tonti),  Saggio  aopra  la  Scienza  Xuova  di  Vico,  Lugano, PREDABI,  Op.  del  Vico  con  traduzioni  e  commonti.  Milano,  Bravette,  Febbabi,  Op.  del  Vico  ordinate  ed  illustrate  coW  analisi  détta  MenU del  Vico  ec.  Milano,  Società  Tipografica,  Édit.  compllte  dee  oeuvre*  de  Vico,  en  six  voi.  Paris, Vico  et  r Italie.  Paris,  Eeeai  sur  le  principe  et  le$  limites  de  la  Philoeophie  de  VBittoirt Paris,  Joubert Vico  et  VItcdie  (nella  Recue  dee  Deux  ^fond€9,  Cattaneo,  Vico  e  V  Italia  (nel  Politeniico). St.  MrLL,  Sifithne  de  Logique, RosviNT,  Il  Rinnovamento  della  Filosofia  in  Italia  propoeto  dal  Conte Terenzio  Mamiani  della  Rovere,  Milano Vedi  pure  nella  Filo- •ofìa  del  Diritto,  e  nella  Filosofia  politica.) G98CHEL,  Zerstreute  Bldtter,  nella  Rivista  Giuridico-filosofica.  Schlous- Singen,  A.  Cosmc, Lettera  al  Mill  (vedi  Littrì,  Comte  et  la  Philosoplie Positive,  Paris,  loLA,  Studio  sul  Vico  e  sulla  filosofia  della  Storia,  letto  nell’Accade-miafilosofica  di  Sassari,  Torino  Maviani,  LrUere  intomo  alla  Filosofia  del  Diritto.  Napoli,  Mancini,  Intorno  alla  Filosofia  del  Diritto,  Lett.  al  conte  Terenzio Mamiani.  Napoli,  Re.kouvieb, Manuel de PhU, moderne. Paris Gioberti,  IiUrocU  allo  studio  della  Filosofia.  Losanna,  ToMMAsio,  Stridii  critici,  Venezia,  Studii  filosofici, Venezia,  voi.  II. BonCHEZ,  Jntrod,  à  la  Science de  VHist,  Paris,  Anonimo, La  Science  nouvélle  par  Vico,  trad.  par  Tautear  de  Tessa!  sur la  formation  da  Dogme  Catholiqae.  Paris,  Della  Valle,  Saggi  exdìa  Scienza  della  storia,  ossia  Santo  della  Seiema Nuova  di  Vico. Napoli,  Eocoo,  Elogio  storico  di  Vico. Napoli Farina,  Storia  (T  Italia,  narrata  al  popolo  italiano.  Firenze,  Poligrafia italiana,  Prefazione. S. Centofakti,  Una  Fortixola  logica  della  filosofici  della  storia,  Pisa, TomiASào,  Notizie  sulla  vita  e  suUe  opere  di  Vico.  Vedi  nell*  edizione della  Scienza  Nuova  fatta  a  Milano  dal  Silvestri F.  CARyiGNANl,  jStona  deUe  origini  e  de*  progressi  della  Filosofia  del  Diritto, Lucca Mancini,  Intorno  alla  Nazionalità  come  fondamento  del  Diritto  delle Genti.  Torino Ondes  Begqio,  Introduzione  ai  principii  deUe  umane  società,  Geno- va, Vannucci,  Storia  antica  d’Italia,  Firenze,  Marini, Vico al cospetto,  Napoli MUller, Vico Oleine  ^c^/ten  Neuhrandehurg.  BouLLiKR,  Hlst.  de  la  Phil,  CartUienne, Paris Poli,  Manuale  della  Storia  della  Filosofia  del  Tenncmann,  Milano. A.  De  Carlo,  Istituzione  filosofica  secondo  %  principii  di  Vico,  divisa in  quattro  volumi.  Napoli,  Giani,  DeW  unico  principio  e  deW  unico  fine  dell*  universo  Diritto.  Oper.a di  Vico  tradotta  e  commentata  coir  aggiunte  di  appendici  relative alla  materia  dell’opera  stessa.  Milano,  Della  eguàU  autorità  e  naturale  amicizia  di  tutte  le  scienze.  Milano Caubr,  nel  Museo  tedesco Amari,  Critica  d*  una  Scienza  dille  Legislazioni  comparate,  Genova,  Tipografia de’Sordo-Muti,  V.  FORNARi,  Dell’armonia  Universale,  1*ediz.  Napoli;  Firenze, Faonani,  Ddla  neeessità  e  ddT  uso  della  Divinanione  tettifieata  dalla Scienza  Nuova  di  Vico.  Alessandria,  Ristampata  a  Torino. CHE  TRATTANO  DI  VICO GIOBERTI,  Protoloffia,  Ediz.  del  Massari  (Saggio  ITI), B.  ll&zzARELLA,  La  Critica  dtUa  Scienza.  Genova,  tipi  Lavagnino,  Spavrnta,  Carattere  e  «viluppo  della  JUoBoJia  itàliajut  d  IL Periodo  de'  critici  e degli  eruditi Continua il  periodo  de' critici  e  degli  eruditi. Periodo  degl*  interpreti  filosofi Continua  il  periodo  degV  interpreti  filosofi. Conseguenze. Forma della mente,  e  carattere  delle  opere  del  Vico. Valore  della  nostra  critica.) Vico,  Leibnitz e il Cartesianismo Delle due moderne  filosofie, Germanica  e Italiana i INTERPRETAZIONE  DELLA  DOTTRINA  FILOSOFICA. Preambolo  Dottrina  della  scienza  e  del  criterio  IL  Del  criterio  e  del  metodo  nella  scienza  Òtà  Posizione  e  critica  del  Principio  speculativo n  Platonismo  e  l’Aristotelismo  nel  problema psicologico Organismo e processo  psicologico. Fondamento razionale  del  processo storico. Genesi  e  teleologia  psicologica. Del  conoscere  metafisico.  Critica  de’ moderni Neoplatonici. Vin. Continua lo stesso argomento. Critica del  Neoaristotelismo :  Positivismo  ed  Hegélianismo, Su  la  ricerca  dell* Assoluto  secondo  la  Ra- gion filosofica  positiva Del  Principio  metafisico Sul  moderno  concetto  della  Creazione  e della  Provvidenza  Xn. Deir  attività  creativa  ne’diversi  momenti del  Processo  cosmico XnL  Darwinismo,  Scienza  Nuova  e  Sociologia.  Idea  su  la  Storia della  Filosofia  Italiana Indice  degli  Autori  che  di  proposito  o  per  incidente trattano  delle  dottrine  di Vico operazione  immediata,  per  operazione  mediata,  e^non  potrebbe  non  rieecire,  per  e*  non  potrebbe  rietcire,  quel  eerto  Jiloeofoy  per  certo,  quelfloeofo.  tuo*dirc, per  vo^  dire.  Crieto  quel  centro  maeeimo,  por  Cristo, qvidl  centro  massimo, jUosofia  fisiologica,  per  Jìlosofia etisologica,  assommano  la  ragione,  per  assommano  le ragioni, T&g. Firtz,  per  iVr««.v.  13.  degVim-, ponderabili  suW  esistenza,  per  degV imponderabili  e  deW  esistenza.  Sft^rji  vrr(xpx,tt  to,  per  fyi?:??  V7ra^;^«e  to'.  Sovsifiit,  per  juva/xee. tovto,  per  toùto. Jiaviafjperxat  Jtavoiat;.7rauTt, per  Travri. affermazione  promessa,  per  affermazione promossa,  ù^iirpòi,  per  wc  irpò^.  x**^'  auTvJv,  per  xar'  auTvjy.  Avto7s  tv, per  Auto  yt  to. Sovo^iisi  Zwki'v  s^'V'  ^®^ SvvdfjLii  ^w>7v  ?yovTOf..  rsOo^tov,  per  fAi9óptoy.   tfivafjicf,  per  Svvafiig, TdJ  ^9vzx 7tvgG'5a,  per  to'  nuvroc  yiviaOxAi..  altro potrebb* es* sere,  per  altro  non  potrtbV  essere..  e  perciò  era  visione, per  e  perciò  visione.^  Pag.  351,  v.  20.  aXXov  «^eu/xaTOtiv,  per  aXXwv a?to/iaTwv.  tololtyi?,  per  Tuvxng. gL  Tra/DOff ta,  p«r  Tra^ou^ca.  che  le  fa  iìUendere, per  che  la  fa  intendere. di  coglierne  concetto,  per di  coglierne  il  concetto. es  egreift,  per  es  ergreift, dans an  sich,  per  das  an  sich. Jtvoljixffovt, per  ^vva/X8VG(.  e  s^ avvilirebbe,  ^r  e* s* avvilirebbe. ytuVe?,  per  f^J7t(. /*v?5>j,  per  iit$è.    ^a£va-5ae,  por  yaevjo'^'at.  rxpoi^vy' |xaTa,  per  7ra^a?£t7fAaTa.  del  Dio  aristotelico,  con; per  del  Dio  aristotelico  che  con, ,  y.  40,  in  due  e  cantra- rie  sentenze  apposite,  per  in  due  apposite  e  contrarie  sentenze  yjppxsi  ro,v^r  vnapxst  to. — to  (^trepov, per  TO  5«UTe/)0v.   to'  rra^Xo,  per    oiWo, delV  atonicità,  per  déV atomicità, ,  creare  vuol non  dire,  per  creare  non  vuol  dire. ci  son  addate,  por ci  son  additate. e  correggendo,  lui;  per  e  correggendo lui. chi,  davvero,  ragion  teologica;  per  che,  davvero, la  ragion teologica. Pietro Siciliani. Siciliani. Keywords: la psico-genia di Vico, ateneo felsineo, l’unita organica della filosofia, zoologia filosofica, psicogenia, “I principii metafisici di Vico”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Siciliani” – The Swimming-Pool Library. Siciliani.

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