Grice e Siciliani:
la ragione conversazionale e la critica della filosofia zoologica e la
psico-genia di Vico – la scuola di Galatina -- filosofia pugliese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Galatina). Filosofo pugliese.
Filosofo italiano. Galatina Lecce, Puglia. Studia a Otranto, Lecce e Napoli,
dalla quale fugge dopo essere stato segnalato alla polizia a causa delle sue
simpatie liberali. Si laurea a Pisa sotto STUDIATI, stringendo inoltre un
proficuo rapporto di collaborazione con PUCCINOTTI, che influsce molto sua
filosofia. Sringe rapporti di profonda amicizia con personalità importanti e
influenti della cultura, quali: CENTOFANTI, PACINI, CAPPONI, e BUFFALINI.
Seguendo la sua vocazione, orienta i propri studi verso le discipline
filosofiche e ottenne la cattedra di filosofia nel regio liceo di Firenze.
Iniziato in massoneria nella loggia fiorentina "La Concordia.” Nominato
professore di filosofia a Bologna. Divenne docente ordinario della stessa
disciplina sempre nell'Ateneo felsineo. A Bologna tenne anche un corso di
sociologia. Qui, inoltre, strinse amicizia con CARDUCCIi, anch'egli accademico
a Bologna ed entra in contatto con FIORENTINO e SPAVENTA. Dirige la Rivista
bolognese di scienze, lettere, arti e scuole. Ne abbandona la direzione per
divergenze maturate in seno alla direzine generate, probabilmente,
dall'impostazione eclettica che S. intende dare alla rivista e che contrastava
con l'indirizzo idealistico voluto da FIORENTINO. A Bologna istitue un centro
di studi pedagogici, contribuendo all'elevazione della pedagogia al rango di
scienza. Convinto assertore della valorizzazione della persona e perciò la sua
azione educativa, per giungere alla conquista della libertà e del carattere
morale da parte del soggetto da educare, prevedeva l'intervento della famiglia
e della società. Altro sua filosofia fondamentale e il principio
dell'autodidattica che, pur non escludendo l'azione dell'educatore, mette in
primo piano il protagonismo del soggetto da educare. Ricevette onoranze e
attestati di stima da parte di molti studiosi europei e americani, mentre in
Italia la sua fama fu oscurata da giudizi negativi, espressi anzitutto da
Gentile che vede in lui un'espressione benché autonoma del positivism. Di
recente è stata rivalutata l'influenza vichiana sul suo pensiero. A lui è
dedicata la biblioteca civica di Galatina, nella quale è conservato il
"Fondo S." la raccolta, cioè, dei libri appartenuti al filosofo. A
lui è dedicato anche il Liceo di Lecce. Di formazione giobertiana, si accosta a VICO, tentando di inaugurare una
filosofia mediana -- detta della terza via -- che individua una sintesi tra
opposte e differenti discipline. Dal suo punto di vista, infatti, ogni
filosofia contiene del buono e delle esagerazioni. Metodo della filosofia
mediana e dunque, quello di salvare ciò
che c'è di buono della filosofia per rigettarne le astrattezze e le
esagerazioni. Con il saggio “Zoologia
filosofica” (Napoli) approde nel più ampio dibattito, ricevendo apprezzamenti e
pareri favorevoli dai più illustri scienziati internazionali. Nel frattempo
approfonde e da il suo contributo speculativo alle nuove discipline che muovano
alla ricerca di un'identità epistemologica: la sociologia (“Socialismo,
darwinismo e sociologia” (Bologna); “Teorie sociali e socialismo” (Firenze) e
la psicologia – “Prolegomeni alla psicogenia” (Bologna). SANCTIS confere a S.
la presidenza di congressi a Firenze, Venezia, Genova, Milano, e Roma. Queste
esperienze lo portano a un approfondimento sempre maggiore della filosofia alla
quale contribue a conferire un indirizzo scientifico, positivista e ampiamente
laico (v. le sue opere Rivoluzione e pedagogia moderna, La scienza
nell'educazione). “Filosofia della scienza” (Firenze); “Il metodo numerico e la
statistica” (Firenze); “Della legge storica” (Firenze); “Della libertà ed unità
organica della filosofia” (Firenze); “Della fisiologia sperimentale” (Pisa);”
“Medicina filosofica” (Firenze); “I
principi metafisici di VICO” (Firenze); “Il triumvirato: ALIGHIERI, GALILEI, E
VICO” (Firenze); Ai popoli salentini e al gonfalone di Galatina un saluto e un
augurio (Firenze); “Il criterio filosofico” (Bologna); Critica del positivismo
(Bologna); Le fonti storiche della filosofia positiva in Italia in GALILEI
(Bologna) Gli hegeliani in Italia (Bologna); La condanna del positivismo
(Bologna); Della pedagogia all’educazione in Italia (Bologna); L’educazione
(Bologna); Sul rinnovamento della filosofia in Italia (Firenze); “La scienza
dell'educazione nelle scuole italiane come antitesi alla pedagogia (Bologna);
Dei massimi problemi della pedagogia (Roma); Il sacro secondo i dettami della
filosofia (Firenze); L’nsegnamento della pedagogia (Torino); Della pedagogia scientifica
(Milano); Rivoluzione e pedagogia moderna (Torino); Storia critica delle teorie
sociali (Bologna); Fra vescovi e cardinali (Roma); Rivoluzione e pedagogia
(Torino); “L’educazione secondo i principi della sociologia” (Bologna);
Rinnovamento e filosofia internazionale (Bologna); La nuova biologia (Milano)
Le questioni contemporanee e la libertà morale nell'ordine giuridico (Bologna).
CALOGERO, Enciclopedia Italiana, Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori,
Mimesis-Erasmo, Milano-Roma, Gentile, Le origini della filosofia contemporanea
in Italia. Calogero. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Invitto e Paparella, “Ri-leggere S.” (Lecce); Capone Galatinesi
illustri, Guida Biografica, Galatina, Tor Graf Galatina, Carteggio familiar, Luceri, Centro Studi Salentini, Lecce, P. S. e Pozzolini. Filosofia e Letteratura,
Convegno Galatina Treccani L'Enciclopedia italiana, Psicologia filosofica.
SUL RINNOVAMENTO DELLA FILOSOFIA POSITIVA
IN ITALIA PBOrESBOBB DI FILOSOFIA NELLA
R. UNIVEBSITÀ DI BOLOOKA,QlX PB0FES80BE
NEL B. LICEO DI FIBENZE, FIRENZE, G.
BARBÈRA, PRINTBD IN ITALY-;atana Quest'opera è
stata depositata al
Ministero d'Agricoltura, Industria
e Commercio per godere
i diritti accordati dalla logge sulla proprietà letteraria. G. BarbI'.ra. !', (rcnuitifi
TERENZIO MAMIANI DELLA
ROVERE. Mio SiQsoR Conte.
Ella fu
primo tra i
moderni italiani a
tentare un rinnovamento della
filosofia e a Lei
pure spetta il
vanto d' aver continuMa
e compiuta la nobile
tradizione de' OaUuppi^
de Rosmini e de' Giobertij della
quale per fermo
rimarranno durevoli tracce nella
storia dd pensiero
nazionale. A chi dunque
meglio che dUa,
S. V. potrei intitolare questo
mio saggio j il
quale mira al
fine medesimo cui Ella
indirizzava il suo
primo lavoro? Che se
talora^ per quella
libertà di giudizio alla
quale Ella stessa
educò le nostre
menti con le sue
dotte scritture^ troverà
contbaittUi in queste pagine
akuni jprincijpii da
Lei propugnati ^ non
vorfà perciò reputare
scemato qud senso
di schietta riverenza chcy
come ai pochi
sommi onde si onora
U paese nostro,
le professano tutt^
i cid tori degli
studi severi. Anzi
novella prova di
questa larga tolleranza io
m* èbbi testé,
quando, con la squisita
gentilezza che in
Lei è natura,
Le piacque accettare V
offerta di questa
mia fatica. La
quale io spero vorrà
giudicare benignamente: al che mi conforta
pure il ricordo
di certe argute
parole ch^ Ella dicevami
ima volta chiudendo
un lungo conversare circa
le gravi divergenze
delle diverse scuole filosofiche:
«porro unum necessarium ! coscienza e
fervore nel lavoro:
il resto verrà da
sé. » Suo deditissimo P. Siciliani. BiTiglìano presso
Monte Senario In questo
salutare innovamento politico
d'Italia cui assistiamo trepidanti,
un libro di
rinnovamento filosofico dovrebbe giugnere
opportuno e gradito. Perocché se tutti
oggi andiamo ripetendo
l'arguta frase d’AZEGLIO — fatta
ormai V Italia, Insogna
far gl’taliani— parmi
sia d'uopo cercare
di rifarci innanzi tutto
nell'intimo di nostra
coscienza, nella radice, nella
sorgente stessa d' ogni
umano e civil
progresso, eh' è dire
il pensiero filosofico.
Andare a Roma,
grazie agli eventi fortunati
e al nostro
buon diritto nazionale, non è
stato guari difficile,
né sarà difficile,
speriamo, potervi restare. Ma
vi staremo senza
dubbio materialmente, se Roma,
la vecchia Roma,
il pensiero cattolico non
si verrà anch'esso
riformando e svecchiando. La qual
cosa certo conseguiremo
per gradi e con
le arti che
dovrebbe saperci dare
la sapienza politica, civile
e amministrativa ;
ma gioverà non
dimenticar mai come l' espediente
più d' ogn' altro
efficace e sicuro ad
opera siffatta, sia
per appunto una rinnovata filosofia n bisogno
di restaurar la
filosofia surse di
buon'ora neir animo degl’italiani
; il che
parrebb' essere un d^' caratteri speciali
della storia della
nostra speculazione, sino da
quando gli scrittori
del Rinascimento, scosso il
giogo della scolastica,
mandavan fuori i lor
libri col titolo
De PhilosophÙB renovatione.
Né quindi è a
meravigliare se cotal
necessità sia venuta
crescendo sempre più nelP
animo e nella
mente nostra col
succedersi degli anni, tanto
che a siffatta
impresa nobilissima abbiam visto
provarsi gV ingegni
più illuminati e fecondi:
primo fra tutti,
in questo secolo,
il Mamiani col
Binnovamento della Filosofia
antica italiana e, poco appresso,
SERBATI col Binnovamento
della Filosofia in Italia;
indi il Gioberti
con la Introduzione aUo studio
dèlia Filosofia, con la quale
mirava anch' egli ad
una restaurazione filosofica
nel nostro paese;
e, per ultimo, il
professore Spaventa ha
procacciato volgere anch' egli
al medesimo intento
le sue dotte
scritture, in ispecie quella
su la Filosofia
dd Gioberti. Se non
che rinnovare, pel
filosofo di Pesaro,
altro non voleva dire
se non restaurare
certi principi! e richiamare
in vigore alcune
industrie metodiche de' filosofi appartenenti, la
massima parte, all'età
gloriosa del nostro Risorgimento.
Talché, quando il
Rosmini gli fece toccar
con mano i
pericoli ne' quali
s' era messo mostrandogli come
il Binnovamento proposto
da lui conducesse diritto
ad una maniera
di sensismo, e'
venne modificando
siffattamente le dottrine
propugnate nel suo primo
libro, che dopo
trenta e più
anni s' é studiato nelle Confessioni
d'un Metafisico d'inaugurare un novello
Platonismo, siccome forma
di filosofare acconcia air
indole della mente
italiana. H Roveretano poi non
solo mirò a
restaurar cose vecchie,
ma volle produrre altresì
qualcosa di nuovo.
E pur nullameno, chi guardi
ben addentro ne'
copiosi e disameni
volumi che seppe darci
quella mente potentissima,
tranne il • problema
psicologico eh' ei
giunse ad illustrare
in guisa davvero originale,
ogn' altra cosa
in lui parrebbe invecchiata e
quasi stantia. Della
stessa menda riesce offesa
la Introduzione di Gioberti.
Che V ardente
e generoso autore del
Primo^ intendeva svecchiare
(come diceva, gloriandosene, egli
stesso) le idee
cardinali di quattro o
cinque filosofi cristiani,
il cui sussidio
e autorità invocava quasi
ad ogni voltar
di pagina. Non parlo
qui del rinnovamento
eh' e' veniva
meditando nella protologia: nella
quale senza dubbio
avremmo avuto germi fecondissimi
di vera e
solida ristorazione
filosofica, se a
queir ingegno privilegiato
e supremamente italiano fosse
stato pur conceduto
imprimere valore diffinitivo, forma
netta e coerente,
alle diverse dottrine che
con ansia febbrile
andava saggiando e trasmutandosele in
sangue. Per contrario SPAVENTA, del quale
abbiamo in grandissimo
pregio l'ingegno e l'amicizia,
intese dare anch' egli
nuovo indirizzo al pensiero
italiano, ma battendo
ben altra via;
la via del- l'Idealismo assoluto.
E studiossi d'inserirci
nell'animo e nella mente
i principii dell' Hegelianismo, per
due ragioni: sì perchè
egli pensa esser
questo il vero
e compiuto sistema di
speculazione, almeno secondo
che viene interpretato da
lui ; e
sì perchè gli
è parso d'averne rintracciato
i germi in
certi nostri filosofi a
cominciare dal Telesio,
per esempio, fino a
Gioberti. Fer noi rinnovare
non vuol dir
solamente richiamare,
instaurare, svegliar dalP
antico, né solamente importare dal
di fiiora; che
sì nelF un
caso come nelr
altro il rinnovamento,
anziché naturale, spontaneo, autonomo, storico,
riescirebbe artifiziale, imposto,
incosciente e, dirò quasi,
meccanico. Vuol dire
bensì far da noi:
far da noi
con elementi che
ci appartengano, ma tali
che serbino (ciò
che più monta)
^virtù d' originalità e di verace
modernità. Vuol dire »
insomma esplicare; né
si può esplicare
senza correggere, compiere,
inverare. Avremo sbagliato strada
anche noi? Potrebb' essere! Non saremmo
i primi, e,
certo, neanche gli ultimi.
In qualunque modo .
ci sembra che,
pure sbagliando, noi non
resteremo troppo indietro
fra le mummie, né
avremo corso tropp'
oltre col pericolo
di fiac- \ card
'1 collo. So
ben io che
i Positivisti fan
presto ; ad innovar
la filosofia radiandola
addirittura da' libri
^ e dandole il
ben servito dalle nostre
scuole grandi e mezzane,
quasi fosse un
trattato di teologia
dommatica. Ma costoro
avrebber fatto i
conti senza Toste. £
r oste in
tal caso é lo stesso
pensiero, anzi la mente
stessa, dalla quale
per nostra fortuna
mai non riesciranno a
sradicare il profondo
e sempre più
acuto bisogno del filosofare
: senza dir
già che, s' ei
riescissero ne' loro
intenti, scambio di
sciogliere V intricato nodo, altro
non avrebber fatto
che tagliarlo di
netto ; e che
potessero giugnere a
tagliarlo con sicurezza ninno il
crederà, pensando come
la spada eh'
e' ci brandiscon sul
viso non par
che somigli quella
del gran discepolo d'Aristotele! Accennato il
carattere generale ed
il proposito del mio
saggio, toccherò della
sua forma e
del suo disegno. Mi
si potrà chiedere
: È egli
cotesto vostro saggio un
lavoro di genere
critico, storico, monografico, ovvero dommatico? A
parlar proprio non
è nulla di
tutto questo. Un lavoro
d' indole dommatica, per
solito, dee racchiuder l'esigenza d'un
sistema nuovo, d'una
dottrina ori- ginale, se pur
non voglia esser
vana ripetizione ed increscevole imitazione
del passato. Ora
un novello) sistema filosofico
oggi sarebbe impresa
da muovere a riso,
od a pietà.
Sono ormai ventidue
secoli, e noi, tardi
nepoti, ci andiamo
pur sempre aggirando,
ivi sostanza, fra il
Platonismo, e l' Aristotelismo. La
qual cosa non recherà
maraviglia a chi
consideri bene la storia
del pensiero filosofico,
nella quale, volta
e gira, non si
può esser che
con l' uno o
con l' altro sistema, ovvero fra l'
uno e
l' altro, e però
con tutt' e
due, se pur non
vogliamo smarrirci inevitabilmente e
miseramente in una forma
di scetticismo, o
di nullismo. Ai di
nostri, dunque, un
nuovo sistema filosofico
p^rmi utopia, sogno e,
stavo per dire,
ciarlatanismo. L' ingegno
filosofico oggi deve
assumer valore di
funzione critica
rintegrativa, nella quale
si faccia luogo
alla concorde attività di
due forze, la
storia e '1
pensiero, che vuol dire
il fatto e
'1 da fare. La
monografia poi, o
è d'indole semplicemente storica e
obbiettiva, ovvero d' indole
critica. Se storica obbiettiva, ella
avrebbe a essere,
dirò così, un fedel
ritratto, una perfetta
immagine della mente
d'un filosofo, 0 di
tutta una scuola
di filosofi. Or cotesto
immagini e ritratti,
se da una
parte tornano inutili e
infruttuosi stantechè non
facciano che ripeter
sot- t' altra forma cose
che potremmo leggere
nella stessa lor fonte,
dalP altra mi
paion quasi impossibili,
perchè è impossibile penetrar
davvero nelle intime
viscere del pensiero altrui,
e farai dentro
alle occulte pieghe della
mente d' un filosofo.
H notissimo detto di
Kant si può
e devesi applicare
anche qui: quidqtUd recipUur, ad
modum recipietUis recipitur.
Che se poi la
monografia è di
genere critico, ella
riesce assai pericolosa; perchè
trattandosi d'interpretare, è pur
facilissimo affibbiare agli
altri quel che
invece frulla nel capo
nostro ; nel
qual vizio intoppano,
com' è ^ noto,
gli Hegeliani, sì
per la natura
stessa del loro metodo,
e sì per
le secreto esigenze
del loro sistema. Da
ultimo, un lavoro
di genere puramente
istorico oggi non dovrebb'
essere impresa molto
ardua fra tanti libri
storici che ci
piovon da tutte
le parti. Basta sposare
un sistema, una
dottrina da farla servire
qual criterio giudicativo;
basterà un po' d'
acume critico, un po'
di tedesco per
le citazioni obbligate a
pie di pagina,
e poi molta
e molta dose
di pazienza e di
sgobbo per raccogliere
e adunar notizie
e teoriche da farle
servire al criterio
giudicativo che ci torna
comodo. Per me l'ideale
d'un buon libro,
l'ideale d'un libro serio,
coscenzioso e positivo
di genere filosofico,
oggi dovrebb' essere, diciamo
così, una sintesi
di tutt' e quattro
cotesti aspetti o
condizioni le quali,
guardate disgiuntamente e solitariamente, si
palesan manchevoli tutte
e difettose. Ha
da essere perciò,
nel medesimo tempo, monografico,
isterico, critico, e
anche dommatico sino a
certo segno. Cotesto
ideale (negozio non molto
agevole, come sanno
coloro che se
ne intendono e che
possiedono quel che
dicesi gusto de^
lavori filosofici), non può
essere un ricamo
sovra una stoffa altrui, e
neanche un parto
assoluto del nostro
cervello ; sibbene ha da essere
il risultamento di due forze
com- binate, come dicevo poco
fa ; ciò
è dire della mente
di chi
scrive, e di chi per
avventura possa più
spiccatamente rappresentare
il corso tradizionale
della scienza. A questo
sol patto sarà
dato pervenire al connubio
fra la teorica
e '1 fatto,
tra la scienza
e la storia della
scienza, portandole entrambe
ad un fiato^ come
direbbe il filosofo
nel quale io
amo attingere ispirazioni. Laonde
chi volesse oggi
filosofare con co- scienza ,
dovrebbe saper costruire,
come dicon gli Hegeliani
(e qui dicon
benissimo) ; ma
dovrebbe co- ^ struire
senza tradire, che
è per V
appunto il gran guaio
della critica hegeliana. Questa grave
difficoltà parmi d' averla
superata, s' io molto non m'
illudo, E mi
pare d' averla supe- rata, perchè il
mio libro è
come la sintesi
e vorre' dir la
fusione razionale e
organica de' quattro
aspetti quassù rammentati ;
e tal sarebbe
la novità Cquant'
al disegno e alla
forma del lavoro)
alla quale vorrei pretendere, se
avessi coscienza d' aver
raggiunto lo scopo. Cotesto
scopo, lo veggo
da me, io non ho potuto
raggiugnerlo, perchè ho
dovuto costringere e rannicchiare
il mio pensiero
entro un dato
numero di pagine, affogando
in nota molte
e molte cose
alle quali avre' voluto
pur dare ben
altro svolgimento e fisonomia.
Però chiedo un po' di
compatimento quant'al modo col
quale ho incarnato
il disegno, ma
domando severità di giudizio
quant' alle idee.
Le quali, meditate da
me per tempo
non breve, sento
di poter difendere contro
chi vorrà farmi l’onore
d' una critica non leggiera,
non velenosa, non
da scuola, né da
sacristia (alla quale
non saprei rispondere,
né risponderò), ma d'una
critica seria, onesta,
profittevole. Il Gioberti scrisse
che il critico
onesto e co- I
scienzioso deve durar
la metà della
fatica spesa dal- l' autore nel
meditare e scrivere
un' opera di
scienza. |Leibnitz andava molto
più in là,
e richiedeva da'lettori quasi '1
medesimo lavoro sostenuto
dallo scrittore. Io non
pretendo, né davvero
posso pretender l' una
cosa, né r altra
: ma certo
potrò desiderare che,
chi voglia giudicarmi con
qualche serietà, debba
leggere e (se oggi
non fosse troppo)
meditare un po' le
cose ch'io dico. 11
che ho voluto
qui avvertire, perché,
se può dubitarsi che
in politica esistano
le cosi dette
con- sorterie, certo é che
tra' filosofi cominciano
a far capolino certe
fratellanze le quali
giudicano d' un la- voro a
priori, guardando solo
al titolo e
al nome del- l'autore. Dio
ci liberi dalle
fratellanze filosofiche! Esse per
me, a dirla
schietta, sono altrettante
Compagnie di Gesù negli
ordini del pensiero
e della libera speculazione metafisica. Questo mio saggio, e l'
altro che terrà
dietro su' principi della
Sociologia^ non é l'
espressione di nessun partito,
di nessuna setta,
di nessuna scuola. Non
é frutto di
speculazioni e ricerche
passionate, per- che io
non mi sento
schiavo di nessuna
scuola, servo di nessun
nome, né milito
sotto nessuna bandiera più
0 meno germanica,
italica o francese
che sia. \Baiùmem, quo
ea me cumgue
ducete sequar: ecco tutto.
Neanche sarebbe una
di quelle novità
sba- lorditole alle quali siamo
avvezzi da dieci
anni a questa parte.
Esso anzi è
la più modesta
cosa del mondo: che
per quanto il
titolo paia ardito,
non sarà tale per
chi ripensi, come
la sostanza delle
dottrine eh' io propugno
non mi appartenga
in modo assoluto. S'altri mi
darà dell' ecclettico, risponderò
d'esser tale precisamente, ma
nel profondo significato
che costumava dare il
Leibnitz a questa
usata e abusata
pa- rola. E se qualcuno
poi trovasse, che
questa o cotesta dottrina alla
quale verrò accennando
non sia propriamente dell' autore
eh' io dico
d' ormeggiare nel metodo e
Dell'indirizzo filosofico, tanto
meglio per me.
Rispondo come in un
caso simile rispose
egli medesimo a certi
suoi avversari :
Che se finalmente
non volete » ricevere
questa sentenza come
di Zcìione^ mi
dispiace » di darlavi
come mia; ma
pur la vi
darò sola, e B
non assistita da
nomi grandi. » €
Le cose fuori
del loro stato
naturale non dnrano né s'
adagiano. » —
Vico. Non intendo scrivere
la storia, e
tanto meno far la
crìtica minuta del
Positivismo; indirizzo che,
come ognun sa, non
senza buon§ e
diverse ragioni invade
oggi e per- vadeTa
mente di molti
filosofi, di scienziati,
di storici e scrittori
d'ogni maniera. Altra
volta m'avvenne d'accen- nare alla parte
debole di cotesto,
diciamolo pure, sistema filosofico. E
allora parvemi, fra
1' altro, di
provar que- sto: che il
Positivismo, secondo il
concetto che se ne
sono formati segnatamente
i Francesi, non
pur mancava di storia,
ma non può
averne avuta di
nessuna sorta.* Oggi poi
dovrò intrattenermi a
ragionare su le
dir. verse forme che
il Positivismo ha
preso e può
prendere in avvenire, giacché
ormai comincia ad
avere anch'egli una storia,
per brevissima che
sia, da raccontare;
e [quindi rilevare certa
parentela ch'egli ha
con l'Hege- 'lianismo. Nel
quale riscontro probabilmente
meriterò anch' io, dall'
alto giudicatorio su
cui siedon gli
Hege- liani, la solita commiserevole
sentenza che, com'è
pur [Vedi Critica
del Positivismo, Bologna,
Monti]. 5ICILUM. 1 troppo noto,
suona così: Pover'uomo,
non ne capisce niente di
niente; non Im dramma di
potenza speculativa, ^ ne
briciolo di nerbo
dialettico! Mostrerò, da
ultimo, se . una
vera forma di
Positivismo, ch'io chiamerò
Filosofia Positiva italiana,
sia per avventura
i)ossibile; e] in qual
maniera si possa,
mercè sua, pervenire
a corregger r uno
e compiere l’altro
de' due sistemi
suddetti, accogliendo quelle parti
veramente pregevoli che in
essi certamente non
mancano. Comecché il Positivismo
non sia ne
voglia essere un sistema, pure
quant' all' origine
psicologica, per così
dirla, non mi sembra
eh' e' s'abbia a distinguere
gran fatto dagli altri
sistemi filosofici. La
ragione immediata del
suo apparire parmi risegga
nell' esigenza di
contrapporsi ad una forma
contraria di filosofare
creduta affatto erronea
; e questo filosofare
in tal caso
è il dommatismo
metafi- sico. (IJom' è chiaro,
cotesta in sostanza
è l'origine stessa dello
scetticismo, secondo che
c'insegna tutta una
storia di ventidue secoli,
ne' quali affermazioni
risolute souosi contrapposte a
risolute e persistenti
negazioni. Il Positivista,
infatti, reputa inconcludente
ogni speculazione! trascendentale. Positivismo
quindi vuol dire
esigenza! della prova, esigenza,
bisogno della dimostrazione; maC della
prova di fatto,
della dimostrazione sperimentale. Se non
che, a guardarci
bene, lo stesso
Positivismo ma- nifesta già senz'addarsene un
bisogno filosofico, una tendenza
speculativa, un'attività trascendente
là dove, per dirne
una, procaccia di
raggiungere la così
detta comples- sità
crescente nel coordinamento
de' fatti, e nel
volere imprimere forma gerarchica
all'insieme delle particolari discipline. Col
che non intendo
dire che il
Positivismo sìa già una
metafisica ; ma
è per lo
meno una metafisica incosciente, come
un illustre scrittore
francese, non senza cert'
aria di meritato
rimprovero, ha detto
al Littré. Per la
qual cosa paimi,
che il Positivista
contraddica*^ apertamente a sé
stesso quando vien
su gonfio e
pettoruto a dichiarar guerra
sino all' ultimo
sangue contro a ogni
maniera d'indagini metafisiche;
tanto che la tendenza
de' Positivisti a filosofare,
tendenza del resto naturalissima e
necessaria, diventerebbe atto,
facoltà, vo'dire
diventerebbe metafisica vera,
quando potesse avverarsi una
condizione. Mi spiego
subito. Io non
credo offendere anima viva
osservando che fra'
Positivisti irancesi sia un
bel po' difficile
trovare un solo
che ab- bia studiato con
amore, per esempio,
la Ragion Pura di Kant,
segnatamente la Critica
dd giudizio: difficilissimo poi ritrovare
uno solo, fra'Positivisti italiani
militanti ^ sotto le
bandiere del Comte o
meglio del Littré,
che con pari amore
e spassionatezza d' animo
abbia letto, per esempio,
il Nuovo Saggio
di SERBATI. Prescindendo dalle mende
svariate di che
non va esente
il Criticismo e nemmanco
il metodo psicologico
rosminiano, io non so
persuadermi come, dopo
aver letto e
inteso a dovere
lei due scritture mentovate,
si possa essere
o dirsi Positivi vista, secondo
il concetto volgare
che di questa
parola ci ha dato
e ci dà
oggi chi piti
ne parla. Se non
che nessuno immagini
eh' io qui
intenda far \ un
fascio del Positivismo
Francese, del Positivismo
In- \ glese e,
se vogliamo, anche
del Positivismo Germanico;
1 benché quest'ultimo, assumendo
sempre più forma
di schietto e nuovo
e ardito materialismo,
mostri esser già un
sistema beli' e
buono, checché se
ne sia detto
o vo- glia dirsene in
contrario. Ma di
questo, fra poco.
Quan- t' all' altre due
forme di Positivismo,
ninno sarà che '
ignori le polemiche
tanto gravi, pacate,
esemplarmente ' serene fra
Mill e Littré
avvenute or fa
un anno. \ E molti conosceranno
le obbiezioni che
quel robusto ingegno di
Herbert Spencer ha
saputo muover contro certe
dottrine del Comte.
Chi abbia vaghezza
poi di sapere qual
sia il carattere
e il resultato
di queste due maniere
di Positivismo, potrà
innanzi tutto guardare
alla forma, al fine,
persino al titolo
delle opere nelle
quali tale dottrina è
insegnata e propugnata.
Così, mentre Stuart Min
ha fatto una
logica, o, a
dir meglio, un ft
Sistema di Logica,
che potrebbe riguardarsi
addirittura \ come un
contr' altare al sistema
della logica hegeliana;
; il Comte, almeno
nei primi volumi
delle sue opere,
ci ha lasciato (chiedo
perdono a tutti
gV iddii della
Senna) una specie di
rassegna, ma di
rassegna ragionata, giu- diziosa e, dicasi
pure, ingegnosa, delle
particolari disci- pliiie, massime
di quelle che
a lui tormivan
più familiari. Ho detto
nei primi volumi,
perchè nelle opere
poste- riori, com' è noto,
desiderando compier V
edifizio, egli ammannì un
sistema di politica,
un sistema di
religione e d' educazione, un
sistema di morale
positiva, e financo d'igiene: morale
senza principio, se pur non
vogliamo appellare così certa
regola di condotta
eh' egli espresse con
quella brutta parola
d' Altruismo : religione
senza Dio, se pur
non vogliamo piegare
il ginocchio e
dar in- censo a quella
divinità chiamata il
Grand*Essere; intomo alla quale,
com'è noto, il
fondatore del Positivismo
fran- cese finì per fantasticare
alla maniera de'
neoplatonici Alessandrini e del FICINO. Checche
ne sia, può
dirsi ch'egli predicasse bene
quant'a metodo, ma
razzolasse male quant'a sistema,
perchè affermava, anzi
esagerava nella pratica ciò
che sdegnava e
risolutamente negava nella teoria
e nell'ordine speculativo;
intendo il con- cetto dell' unità
o Sistematismo nd
sapere, secondo il suo
linguaggio. Da questo primo
riscontro, che diremo
esteriore perchè riflette la
forma generale delle
opere e un po'
anche il valore
del metodo ne' due
filosofi, si può ai^omentare che
Mill guardi la
scienza sotto l'aspetto subbiettivo, cioè
come una serie
di concetti, mostrando così d'aver
piena fiducia in
una logipit che
sia atta a risolvere
un problema distinto
sì cJaT problemi
e sì dal soggetto
in che versano
le speciali discipline/
Esiste infatti, egli dice,
una conoscerla scientifica
déWuomo in quanfè un
essere intéUettude, morale
e sodale, e
quindi una dottrina delie
cognidom détta coscienza
umana.* Agli occhi del
Comte, per contrario,
non esiste logica tranne
che intrinsecata con
la natura stessa
di ciascuna scienza. Se
volete conoscere, per
esempio, la logica
della chimica (egli dice),
studiate la chimica.
Ecco la scienza sotto
r aspetto puramente
ed empiricamente obbiettivo; in quanto
che considera le
cose in sé,
e solamente come oggetti.
Tal difiFerenza, com'
è evidente, non è
lieve, massime quando
tengasi conto de' risultati. Il ri-
sultato cui giugno il
Positivismo inglese è
questo: la} metafisica esser
possibile, ma solo
come ricerca logica,! come
investigazione e analisi
di concetti. Il
che, s' è| pregio
nella logica del
Mill per la
fede eh' e'
ripone nelle forze del
pensiero, è auche
il suo difetto
massimo, stante che siffattamente
ei chiudesi tutto
nel formalismo ** logico,
secondo che altrove
mostrai.' So che il
Mill se ne
vuol difendere, facendo
vedere qual divario corra
fra la logica
formale e quella
eh' e' dice logica
della verità. Ma
la pecca di
nominalista in lui è
chiara. Ed è
chiara per chi
abbia convenevolmente
considerato quelle quattro
teoriche, nelle quali
il filosofo inglese vuol
darsi addirittura per
innovatore: intendo ' le
dottrine della dimostrazione, della
definizione, degli assiomi e
della induzione. In
tutto questo egli
è per- * Vedi
Stuart Mill, A.
Comte et U
Pontivitme, Paris. Vedi la
Ont, del Po9ÌHv.
innanzi citata, VI,
pag. 19. fetto Baconiano,
checché ne dica
egli stesso. Perocché, se
la inente ne'suoi
concetti, secondo questo
filosofo, è superiore ai
fatti; non però
cessa d'essere un
artifizio, logico, un artifizio
psicologico, un intreccio
a cui nulla
; d' obbiettivo potrà mai
rispondere. E di
qua proviene i poi
un' altra conseguenza,
eh' è questa.
Se nella logica la
posizione di Mill
riesce evidentemente unilaterale
e subbiettiva, è pur d'
uopo eh'
ella si manifesti
impotente anche nella scienza
storica, eh' è
dire nell'organamento ^ razionale
de'fatti storici. Ora
se il metodo
positivo giunge a legittimar
1' analisi de'
concetti e la
critica delle idee, non
bisognerà dire che,
come esigenza critica, ei
contraddica a sé
medesimo quando dichiara
di non potere in
alcun modo studiare
idee e concetti
nel- l'obbiettivo lor
significato? E donde
questa impotenza? Dalla natura
stessa della mente,
si può rispondere.
Ma, s'egli è così,
la possibilità della
scienza si traduce
in impossibilità vera. Che
poi questo non
sia e non
possa essere, ne porge
guarentigia sicura il
processo istorioo delle scienze
tutte, e l' incessante
progresso ond' elle
ci dan prove luminose.
La ricerca in
senso obbiettivo, adun-? que,
è possibile; dove
che per Mill
è addirittura im-* possibile. Questa
è la parte
debole del Positivismo
inglese. ; L' errore opposto
è il Jifetto
del Positivismo fran- cese. Se per
Mill psicologia e
logica sono scienze
che s' alimentano di sé
medesime; per il
positivista francese, al contrario,
elle non sono
che appendici della
biologia, al modo stesso
che la sociologia
é come un
allargamento della storia, ciò é dire
una generalizzazione del
fatto istorico, ma del
fatto verificato mercè
la deduzione delle leggi
della natura umana.
Qui, ripetiamo, la
differenza è profonda. La
scienza della civil
società, secondo il' Positivismo inglese,
pone radice nella
così detta Etologia, li' Etologia è
la vera scienza
dell'uomo, egli dice.
. Essa è una
generalizzazione non già
verificata, ma sì primiti/vamente suggerita
dalla deduzione détte
leggi della natura umana.^
Ora la funzione
deduttiva, nel Positivismo inglese,
non è operazione
immediata, non è operazione
secondaria alla induzione,
com' è nel
Positi- vismo francese, ma è
funzione a priori,
è funzione i cui
risultati vonn' esser
giustificati con T
osservazione, e con la
scrupolosa ricerca delle
leggi empiriche. Brevemente, dunque:
pregio singolare del
Positivismo inglase è il
metodo deduttivo-concreto (per
usar la frase di
Mill) applicato alle
scienze morali in
generale. Que- sto metodo è
costituito di due
processi che si
svolgono, per così dire,
di fronte; non
già di due
parti d' un me- desimo processo, l’ una delle
quali sia conseguente
al- l' altra, com' è
per i Francesi
positivisti. Per tal
prero- gativa massimamente
parmi che il
Positivismo di Mill mostri
accostarsi all' indole
della filosofia nostrana,
e molto allontanarsi dal baconianismo alla
maniera che questo metodo
s'intende da'più.* Carattere
e pregio poi del
Positivismo francese, parmi
stia nel credere
alla j)ossibilità d'una filosofia
come risultato di
tutto quanto il sapere
umano, e quindi
nel porre come
inevitabile o sua condizione
la necessità della
storia. L'indagine storica, il
metodo di filiazione:
ecco il distintivo
del Comtismo, eh' è anco
il massimo suo
pregio.' Contro Comtismo è
facile muovere la
medesima difficoltà,
quantunque in senso
contrario , mossa te- sté contro Mill.
Se infatti è
possibile una ricerca
e una critica storica;
perchè non sarà
possibile una ri- cerca logica, una
critica dei concetti,
come tali? Per- chè dunque negare
una logica e
una psicologia supe- f *
Vedi Mill, Sy^time
de Logique. Vedi CoMTB,
Pha. Pontive. Voi.
V, Lez. 48". . riore alla
storia? Se non
che delle due
maniere di Positivismo, quella
de' Francesi va piii
facilmente sog- getta a contradizione; la
qual cosa tiene
alla doppia origine storica
per cui si
distingue cotesto sistema.
Pa- recchi scrittori francesi
infatti hanno avvertito,
che ove il Comte
parla di natura
e di scienze
fisiche, è decisamente sensista,
materialista e nominalista
; men- tre che ove
parla di filosofia
politica e storica
si mo- stra panteista, ma
senza dar prova
di quella specula- zione ingegnosa, di
quella mirabile unità
razionale, cui sanno poggiare,
bene o male
che sia, i
Panteisti moderni.' Donde
tal contraddizione? Dall'essere
il Comte, } per
una parte, figlio
del Sensismo francese
; dall' altra
ì poi figlio del
Sansimonismo, che, com'
è noto, è
forma j grossolana di
panteismo. Per questa
doppia tendenza | i
Positivisti di Francia
non possono salvarsi
dal cadere j nelle
conseguenze d' uno de'
due sistemi :
materialismo, 0 panteismo. So eh'
e' fan
presto a difendersi
dall'una taccia come dall'
altra. Ma la
logica vale qualcosa
più delle parole e
delle calde proteste.
E veramente chec- ché se
ne possa dire,
uno degli scrittori
poco fa citati ha
fatto toccar con
mano al Littré,
che inevitabile re- sultato del Positivismo
è il materialismo.* E
d'altra parte sappiamo, come
tutti i Positivisti
oggi, e propria-
' mente i Comtisti,
faccian causa comune
con que' della
\ sinistra hegeliana, co'
quali hanno intimo
legame, se-l condo che
mostreremo. Ho detto
come per ragion d'origine
al Positivismo francese tomi
più facile inciampar
nelle contraddi- zioni. Ne poi^o
qualche esempio. Non
si vuol sapere nulla
di cause finali!
Ma non è
forse il medesimo
Lit- [Vedi Rbkocttibb, Annuairephìl
Q nell^altro . Vaohb- BOT,
Metaphi9iq\w potive. ; Trattenim. Jakbt, Onte
phiL * Vedi Janbt] tré
quegli che, mentre
grida contro il
principio della finalità, lo
afferma là ove
dice, per esempio,
l'essenza stessa della materia
oi^anizzata esser la
causa prima della finalità?
Eccoci in pieno
materialismo, e in
pieno sistema; tutto che
i Positivisti non
vogliano esser detti né
materialisti, né sistematici.
Ancora, io domando:
se per domma del
metodo positivo nulla
è da accettare
che non sia guarentito
immediatamente o mediatamente
da' fatti; perchè, al di
là de^ fenomeni
e dell' esperienza
e delle leggi che
se ne traggono,
voler credere in
un obbietto il quale,
per inconoscibile che
sia, é sempre
un' afferma- zione della ragione?
Domando: è egli
atto di metodo positivo, di
critica, di ricerca,
il parlare di
certo grande oceano qui
vieni battre notre
rive, et pour
lequd nous n'avons ni
barque, ni voiles,
mais doni la
dcdre vision est aussi
sahUaire que formUàble?
È egli atto
di Posh tivismo e
di ricerca che
sdegni qualunque spiraglio
di soprassensibile e di
soprannaturale, parlarci così
d'un Infinito, comecché non
se ne riconoscano
tutti quelli air tributi
che il fanno
tale? E se
ponete la possibilità
di conoscere cotesto vostro
inconoscibile per il
quale dite di non
aver barca né
vele che bastino,
ma la cui
cMaroi visione é pur
tanto sàkiiare al
pensiero; in che
maniera non accorgervi come
tutta la storia
della filosofia non altro
sia stata per
tutt'i secoli scorsi
fuorché una serie di
risposte, per così
dire, a cotesta
medesima domanda che neanche
voi dite illegittima,
né strana? Sarann'elle erronee tali
risposte: ne potrò
convenire. Ma saran
tutte errori da farne
proprio tavola rasa? Da
siffatte considerazioni ci
é dato trarre
una conseguenza. Nel Positivismo
oggi avverasi una legge;
quella legge che
accompagna sempre ogni
novello indi- rizzo nella filosofia,
eh' é dire
l' opposizione nel seno %
stesso del sistema.
Ecco una ragione
di più per
dichia- rare, che dunque
il Positivismo è
un sistema come
tutti , gli altri
! La cagione
profonda, dice il
Littré, che divide
/ Comte da Mill,
è il punto
di vista psicologico
e logico nel quale
s'è messo il
filosofo inglese, e
la definizione reale, obbiettiva,
non già formale
né psicologica, con
che si presenta la
scienza nel filosofo
francese.^ Ora se
il Po- sitivismo inglese è
principalmente un formalismo
logico, e il Positivismo
francese è essenzialmente un
empirismo ! storico; ne
viene di conseguenza
che, in virtiì
della stessa critica positiva,
noi dobbiamo riconoscer
legit-^ tima una terza
forma di Positivismo,
la quale sappia
sebi- Vedi Op.
di Vico, ediz.
Predar!, pag. 762. Vedi
Op. cit. Risposta
a FINETTI] cosmologici
sparsi nel LS}ro
Metafisico, e in
questi attingere forza a
meglio interpretare e
propugnare le applicazioni fatte dal
Vico nella Sdenisa
Nuova. La contraddizione, dunque, passata
dal maestro al
discepolo * e il
non aver saputo
cogliere il principio
cosmologico del Vico, fece
sì che tale
polemica, nel modo
ch'era sostenuta da DUNI, apparisse
inefficace e manchevole. Debole e
manchevole infatti ci
sembra questa ma- niera di
ragionare : « Voi vorreste
che i primi
fondatori delle nazioni fossero
stati dotati d' innocenza
di costumi. Ma, caro
signor censore, come
potete voi spiegare
le origini dell’idolatria, la
barbarie, l’immanità negli
usi delle orride loro
religioni piene di
duro materialismo? Come l'immanità
delie loro leggi
e costumi, le
cui re- ligioni si sono
per lungo tempo
conservate finanche nei tempi
della maggior loro
cultura, per qui
tacere le origini delle
lingue, delle poesie,
della frode e
cose simili? Come finalmente
i progressi di
tali nazioni di
cui ne abbiamo le
memorie troppo sicure,
e non soggette
alla minime dubbiezze? Ma,
giacché i monumenti
e la sto- ria degli antichissimi
e de' presenti
barbari popoli sono per
voi sogni, favole
e delirii, perchè
non ci dite
con quali altri principii,
origini e progressi
di cose umane debbasi
ragionare di questo
mondo, degli uomini,
deUe nazioni, delle tante
umane istituzioni, delle
origini e progressi delle
umane industrie nelle
colture delle co- gnizioni,alle tante
maravigliose invenzioni, nei
governi e polizia de'
popoli ed in
tante altre maraviglie
che os- serviamo nel gran
teatro di questo
mondo degli uomini? Come
non sapete che i costumi
e le leggi
umane deb- bano
necessariamente trarre loro
origine e progressi daUe idee
degli stessi uomini? Come
potete negare il vario
corso di tali
costumi, che di
grado in grado
spogliandosi del
materialismo, li troviamo
di fatto più
puri nell' età avanzata
che nella fanciullezza
di tutte le na-
zioni.* Io non dico
che tutto ciò
non sia vero:
dico * Vedi Risp.
a FINETTI che DUNI, a
difendere invittamente la
sentenza del suo maestro,
avrebbe dovuto movere
dai principii co- smologici e psicologici,
i cui germi
non mancano cer- tamente nelle opere
di Vico. Gasuista
acutissimo, quanto insolente,
il Finetti sor- rideva a
sentir elogiare e
difendere questa dottrina della Scienza
Nuova; e tutto
pieno d'entusiasmo reli- gioso rispondeva con
XXIII obbiezioni cavate
dai libri santi.' Quindi
esclamava: Dottrine
veramente altissime ! religiosissimi e
ammirevoli pensamenti ! Tra le
varie cose onde pretende
il Vico di
far grandemente spiccare
la divina Provvidenza, una
è quel capriccioso
di lui corso delle
nazioni sulle regole,
diciam così, del
trel II Duni andrà
in estasi a
tal pensamento ;
e pure a
me è sog- getto da
ridere, spezialmente quando
si pretende con à
costante ternario di
far spiccare la
divina Provvi- denza ; essendo
chiaro eh' ella
rìsplende nella grandezza ed importanza
de' fini e
nella idoneità e
giusta propor- zione dei mezzi,
e non già
nel far correre
le nazioni pe' numeri
di tre o
quattro. Un tale
giuoco non sembra certamente degno
dell' infinita sapienza
di Dio. »
E al- trove, allargando la
sua critica, aggiunge
: « La
maniera di filosofare inventata
dal Vico è
tale, che può
porgere delle armi per
oppugnare la Religione.
e non poco corredo
a chi voglia
farne uso per
impugnare e met- tere in
dubbio la Sacra
Scrittura e la
divina rivela- zione....; » tanto
che paragonandolo al
Boulanger, uno.
degl'increduli de suoi
tempi (com' egli
stesso nota), non dubita
porre a riscontro
le dottrine dell'uno
con quelle dell'altro per
otto diflferenti capi. Com'
è chiaro, FINETTI non
ebbe tutt' i
torti se gli venne
in grave sospetto
la Scienza Nuova.
Avea torto bensì nel
confondere, come ROMANO,
tale dottrina del Vico
difesa da DUNI,
con quella de' filosofi
francesi Vedi Sommario
delle oppoeizioni del
Sietema Ferino di
Vico alla Sacra SeriUura,
de' suoi tempi. Ed
è a confessare
che questo mede- simo torto hann'
avuto di poi
parecchi altri critici,
an- che viventi, laddove parlano
della dottrina su lo stato ferino
propugnata nella Sdeiiza
Nuova» Avvertiamo una volta
per sempre che
lo stato di
natura di Vico noa ci
ha che vedere
con quello de'
giusnaturalisti. E tornando
a FINETTI, a meglio
capire la maniera della
sua critica, nonché
il carattere delle
sue opposizioni, giova qui
rammentare certe parole,
da lui stesso riferite
con aria di
trionfo, d'un personaggio"^ napoletano. Il
quale, stato già scolare per
più anni di Vico,
raccontava come il
suo maestro in
Napoli fosse ritenuto per
uomo veramente dotto,
ma che poi
fosse stimato pwsfjso a
cagione delle sue
stravaganti opinionL Finetti si
degna dirci d' aver
chiesto a quel
gentiluomo partenopeo se quando
Vico scrisse la
Scienjsa Nuova fosse dotto,
0 non più
veramente pazzo. ediz.
Siena] ligente fu, al
pari di DUNI, PAGANO,
di cui il
solo nome è ricordo
pietoso ad ogni
anima gentile e
aperta ai sensi di
libertà. Come in DUNI,
così pure in PAGANO le
idee vichiane leggiamo
esposte con chiarezza
e facilità, ma anche
con troppa imitazione;
che anzi è da
confessare come in
lui faccian difetto
alcuni pregi di DUNI, per
esempio là dove
pone questi principii
: che lo stato
della primitiva barbarie
non fosse gene- rale ;
che la gelosia,
piuttosto che un
certo vago senso religioso, spingesse l’uomo al
matrimonio ; e
che tra la barbarie
originaria e la
barbarie medievale Vico non
iscorgesse divario di
sorta: il che a noi
non sembra punto
vero. Ma grave
errore di PAGANO è quello di
volere interpretare la
storia in un senso
troppo fisiologico; e
questo tiene alla
efficacia che nella sua,
mente esercitò la
filosofia francese di quell'età.
E alla stessa
cagione forse è
da riferire s' ei non
seppe vedere come
il processo storico
non sia . né possa
essere unilaterale, ma
complesso, organico, dovendo abbracciar
tutte le manifestazioni e
tutti gli elementi d' una
data storia e
civiltà. Per le
quali cose non possiamo
accettare la sentenza
ond' altri ha pro- nunziato, che i
Saggi del PAGANO siano
la interpretp,- zione più
fedele della Sciema
Nuova: tanto piii
che il Pagano, intendendo
in maniera grossolana
al pari dello Stellini
la dottrina del
corso e ricorso,
non dubita sostenere che
le nazioni tutte
a per lo
stesso movimento onde son
rimenate alla luce
della cultura, ricadono nelle tenebre
della natia barbarie.
» Nel che
non s'accorge quel nobile
e sventurato ingegno
come il ricorso di Vico sia
anche progresso, e come il
suo svolgimento abbia luogo
in età diflFerente
da quella in
che accade t il
corso della civiltà;
mentre al contrario
in un medesimo popolo , per
esempio nel greco,
egli vede insieme
un | eorso e
un ricorso storico.*
Il Pagano dunque
non iscorge * Vedi PAGANO, Op.
edlz. Capolagro, il modo
con che il
suo maestro intese
coordinare i diversi momenti de'
grandi periodi della
storia eh' ei
disse corsi e ricorsi
storici. Non riesce
a salvam dall'errore,
nel quale intoppò lo
Stellini, d'ammettere una
prima età storica non
ferina, ma innocente.
Non sa vedere
l' er- rore di VICO, oggi
assai grave, delle
catastrofi e dei
cataclismi fisici onde gli
uomini furon da
prima scossi e menati
a civiltà. Finalmente,
come origine assoluta
delle famighe ponendo il
ratto delle donne
per opera degli uomini
forti, non s' avvede
che nelle dottrine
del maestro, più che-
cagione, cotesta era
semplice occasione, non altrimenti
che le suddette
catastrofi e cataclismi di
natura. Ma è da notare
che fra tanti
errori egli talora sorpassa
il maestro, non
che i mitologi
suoi con- temporanei, quando sostiene,
per esempio, che i Greci, \
quant' a mitologia,
non facevano che
vestir poetica- mente
racconti d' origine primitivamente orientale. Né
a quel tempo
erasi ancor difi'usa
quella febbre, che tutti
oggi invade, dell'
orientalismo indiano. E CUOCO, benché
seguisse Vico nelle
esagerate , interpretazioni del
suo Platone in
Italia, romanzo fatto sul
gusto délVAnacarsi del
Barthélemy; ne divina
ta- lora qualche idea originale
come quando pone,
a dirne solo quest'esempio, un'origine
spontanea anzi che
co- municata e artificiale alle
manifestazioni storiche, reli- giose, mitologiche, poetiche
e poUtiche. Così
mercé PAGANO e CUOCO, entrambi
ingegnosi discepoli di Vico,
temperavasi quella dottrina
del maestro che,
come vedremo in altro
luogo, potrebb'essere interpretata
con opposti e contrari
significati. E vuoisi
che CUOCO meditasse e
anche scrivesse un
lavoro sulla Sdenta Nuova,
ma che da
sé medesimo avesse
poi distrutto, forse per
que' motivi politici
che sì crudelmente
gli fu- nestaron l'animo,
il quale, non
meno di PAGANO, egli ebbe
pieno di carità
patria. Di CUOCO in sostanza non
abbiamo ne interpretazioni, né
esplicazioni del pensiero che
informava la Scienza
Nuova, degne d'esser rammentiite. È
bene anzi avvertire
com' egli ne
accogliesse alcune idee al
tutto erronee: quella,
per esem- pio, d' un'
antichissima sapienza italica,
anteriore alla romana e alla greca
per cui riteneva
che gli Etruschi, sparsi un
tempo per tutte
le terre italiane,
avessero costituito un popolo
solo. Non pertanto CUOCO dà s^ni
evidenti d'avere studiato
la Scienza Nuova
ed essersene giovato, chi
consideri quanto egli
imitasse e ripetesse le
idee del Vico,
ma sempre in
modo inge- gnoso, acuto, geniale,
sul corso della
civiltà, su la
co-l stituzione di Roma
e su la
legislazione in universale. Chi dovea
più d' ogn' altro
valersi di Vico in
fatto I di principii
legislativi fa il
Filangieri. Il quale,
se stu- • diasse
le opere del
nostro filosofo, e
se in grande
ve- nerazione avesse alcuni principii
di lui, ce
lo attesta, da
una parte, una
lettera del Goethe
scritta da Napoli, e
dall'altra le citazioni
ch'egli stesso £a e
le dottrine eh'
e' non di
rado toglie dalla Sdenta
Nuova. Dalle opere
del Vico infatti
esce lumi- nosa la prova
dell' esistenza d' un
elemento universale e assoluto
nelle leggi guardate
lungo il processo
isto- rico, e per
cui la legislazione
nella storia non
è altro che la
incarnazione dell'idea del
Diritto; della quafe egli
aveva additato, come
vedremo, il principio
-nel- r opera sul
Diritto Universale. Perciò
nella Scienza Nuova avverte
che la filosofia
del Diritto considera Vuomo guai
ddb' essere mentre la
legislazione censi- ' dera
V uomo quale
è per farne
buoni usi neW
umana società} Ora appunto
la seconda parte
di questa sen- tenza tolse a
studiare il Filangieri,
e però diciamo
che la . scienza della
legislazione altro non
sia, chi ben
guardi, ' che un'
applicazione di questo
concetto vichiano. E
vera- mente, se ad applicare
ottime leggi al
civile consorzio * Vedi
nel Cintohi, Studi
oritiei, ec. Vedi
Degnità VU. è necessaria
l'esperienza; e se
l'arte dello sperimento non è
possibile in siflFatt'
ordin di cose
tranne che me- diante la
storia; perocché se
la storia elevata
a filo- sofia è atta
a mostrare che
i fatti legislativi,
guardati nella loro idea e nelle
attinenze con altri
fatti pos8on essere
considerati come altrettanti
esperimenti che la civiltà
va seco medesima
operando: se tutto
ciò è vero, .è
da concludere che l'
antecedente logico della Scienea
deUa LegislcusAone sia
per l' appunto la
Scienea Nuova. Laonde non
parmi che il
Lerminier s' apponga,
dicendo FILANGIERI seguace del
Montesquieu,* per la semplice
ragione che il
medesimo Filangieri ebbe
co- scienza di non dover
battere le vie
già con tanta
gloria calcate dal filosofo
francese, com'egli stesso
ci assicura. FILANGIERI non intese
a ricercar leggi,
né a descriver
| costumi : volle
anzi levarsi alla
teorica dei costumi
e • delle leggi.
Ora cotesta teorica,
come vedremo, è
inutile cercarla nel Montesquieu;
ed è inutile
cercarvela anche per confessione
degli stessi Francesi.
Ripeto quindi che la
Scienza della Legislazione,
chi la guardi
nella originalità del
suo disegno, è
di fattura tutta
italiana, e possiamo designarla
perciò come una
pagina (splendida pagina in
vero!) della Scienza
Nuova. Ciò non
pertanto è da
confessare come FILANGIERI talvolta s'accosti,
forse anche troppo,
al fare di ROMAGNOSI,
il cui pensiero
mostra d' avere
tanta affinità con la
filosofia francese. In
gran parte meccanica
e artificiale riesce infatti
la sua dottrina
storica, alla quale si
riferisce la legge
ch'egli espone su
le Religieni e eh'
è pure una
debole imitazione attinta
in Vico ; 1 ma
è tal legge,
ch'io starei per
dirla disorganata. Filangieri è
da lodare per
piil conti, massime
per aver I saputo
cogliere il vero
di quel principio
vichiano sulla
incomunicabiUtà originaria dei
miti presso popoli
differenti: * col che
mostra d' aver
attinenze sempre piiì
' ItUroduction generai
eo. Vedi Scienxa ddla
Legialanone, apffini con
gli altri seguaci
e imitatori d'
un comune maestro e
d' un ispiratore
comune, quali abbiam
visto essere stati per
differenti guise DUNI, CUOCO, PAGANO. Se non
che, come la
tendenza alla pura
imitazione eccita spesso la
critica, parimenti la
critica efficace! e produttiva
viene più spesso
eccitata dalla critica infeconda e
negativa. Così DELFICO CIVITELLA quantunque più volte
citi Vico e ne
accetti perfino al- )
cune dottrine su
la Giurisprudenza romana,
si pre- senta come negazione
dì lui quando
si pensi che
Vico e primo interprete
critico del Diritto
Romano, e dicasi pure
della Storia romana.
Il dubbio critico
e fe- condo dell'uno su
le origini di
Roma e delle
XII Tavole, diventò dubbio
scettico nell' altro.
Egli infatti giunse a dire che
la comune opinione
sulla grandezza romana devesi
ridurre al solo
ingrandimento de' con- fini,
ottenuto spesso con
mezzi rei ed
infami.* E se GRAVINA
appoggiandosi all' autorità
di CICERONE appella Diritto
per eccellenza il Diritto
Romano; il Delfico,
in su lo
scorcio 1 dello stesso
secolo, non teme
affermare che Roma, tuttora
barbara e ignorante,
avea già veduto
a' suoi fianchi gli
Etruschi, i Sabini,
gli Umbri, celebri
già per leggi e
per giustizia, gli
Equi e gli
Equicoli, così appellati perchè
giusti. Che cosa
ne fecero i Ro-
mani se non distruggerli,
piuttosto che imitarli?'
Le grandi lodi poi
fatte in ogni
tempo ai frammenti delle XII
Tavole, egli chiamava
letterario fanatismo. Il tanto
encomiato Diritto Civile
riguardava come ri- saltato delle interpretazioni dei
Giurisprudenti e delle dispute
forensi. Incertezza, arbitrio,
volontà di conservare r
aristocratico dispotismo diceva
essere il carattere proprio del
Diritto Romano. Che
se Roma cadde, Vedi
Riocrehe nU vero
earattere della Oiurttprudenxa Romana
e dei \ 9uoi
cultori. Firenze, Introd. non
cadde perchè oppressa
dal pondo dell'
estrema sua grandezza, ma
per mancanza di
base e difetto
di solida architettura nell'edifizio. E conchiudendo poi
la prima parte del
suo libro, afferma
che : (c
la giustizia di
Roma fu in principio
quale può essere
neUa barbarie; d'indi| quale
dev' essere nell'
anarchia, nella confusione
delle leggi, e nella
generale corruzione. Talché in
ogni età al pensiero
del Delfico CIVITELLA Roma si
presenta in antitesi
con la ragione e
con la umanità:
la giurisprudenza per
lui è il fatale
retaggio eh' ella
ci lasciò, e
i secoli ne
hanno moltiplicato le specie.*
Vedremo altrove, che se Vico
fu primo a
studiare con riservatezza guardinga
e saviamente scettica
la storia del popolo
e del Diritto
Romano assai cose
distrug- gendo accolte già e
sanzionate dall' autorità
di molti secoli; non
però cadde in
quell' aperto e
desolante scetti- cismo che, uccidendo
i fatti nella
storia, spegne ad un
tempo la
fede nell' animo
di chi ne
interpreta il signi- ficato, com'è appunto
il caso del
Delfico CIVITELLA. Vico anzi pervenne
a dimostrare, come
vedremo, una legge
d' intimo progresso nelle successive
manifestazioni storiche ' del diritto romano.
E questo evidentemente
contraddice al dubbio scettico
del Delfico. Così può
dirsi chiuso il
primo periodo degli
scrit- tori che han discorso
di questa o
quella dottrina del nostro
filosofo. Nel qual
periodo, ciò che
ha molto valore
| per noi, è
la polemica fra
Duni e FINETTI: il resto
è lavoro d'imitazione piii
o meno fedele
che solamente nel Filangieri comincia
ad assumere forma
d' esplicazione ' originale. E
questa tendenza imitativa,
che finisce con lo
scetticismo giuridico e
storico del Delfico,
ci mostra poi quanto
sia vera quell'osservazione fatta
da parecchi sto- rici nostrani, che
la snervata filosofia
firancese principal- mente
scemasse originalità agli
scrittori italiani d' allora, togliendo loro
il poter discemere
qual novità di
principi! avesse introdotto il
Vico nel regno
della scienza e
della storia umana. Possiamo dire che
corra un abisso. Nell'ordine puramente
speculativo ci è di
mezzo il Criticismo;
e nell'ordine delle
idee stori- 1 che
e giuridiche, come
in quello de'
fatti politici, abbiamo i
filosofi giusnaturalisti francesi,
e la grande
Rivoluzione. Con la Scienza
Nuova noi avevamo
già prevenuto l'esigenza critica,
dal puro mondo
dell'attività psicolo- gica
trasferendola e compiendola
nel regno dell'
attività storica; e nell'ordine
delle idee avevamo
sorpassato al-tresì la Rivoluzione,
perchè, ammesso il
processo istorico al quale,
secondo la Scienza
Nuova, deon soggiacere
tutti i fatti e
tutte le idee,
non v'è pagina
in questo libro
dove non si senta
la necessità, e
non si tocchi
con mano, per così
dire, lo scoppio
d'un radicale innovamento
negli or- dini del consorzio
civile, politico e
sociale.* Brevemente: nei tempi
moderni veggiamo accadere
nel nostro pen- siero quello stesso
che venne verificandosi
nell' età del Risorgimento. Co' nostri
vecchi filosofi noi
avevamo arditamente
sorpassato la Riforma,
nel modo stesso
che con le nostre
scuole politiche (sempre
nell' ordine dell'idee) *
Nella Sociologia mostreremo
che co*principii del
suo Diritto C7ni-1 vende
il nostro filosofo
Compie la dottrina
della Socialità di
Orozio, corregge i prìncipii
e quindi le
consegoonze der Naturalimno
speculativo e wteta/meo di
Spinoza, inrera il
Natwali«mo empirico di
Hobbes, contraddice al TeoeraiÌ9wu> della
scuola di Bossuet,
alio Scetticismo giuridico
di Bayle, di Pascal
e di Montaigne,
e previene le
idee principali di
Montesquieaj e di Rousseau
legittimandole nel suo
concetto istorico. avevamo già
sorpassato le tendenze
nonché i bisogni politici di
quell'età.* Col primo schiudersi
del nuovo secolo,
adunque, non può non ischiudersi un
periodo novello di
studi assai più severi
circa le dottrine
del Vico ;
talché V abisso fra' due secoli
poco fa accennato
per noi non
esiste, e in ogni
modo la Scienza
Nuova avrebbe trionfato
nel- r animo nostro
come nelle nostre
menti: avrebbe trion- fato nella nostra
storia civile come
nel nostro pensiero filosofico, quand'
anche il gran
fatto della Eivoluzione non ci
avesse scosso. Ci
saremmo arrivati da
per noi J forse
più lenti, ma
certo più securi.
D segnale dunque de' nuovi studi
s'inaugura cqu coscienza
più chiara sul valore
delle dottrine vicinane,
e tal segnale
ci è dato
innanzi tutto da im
poeta assai splendido
nella forma quale e MONTI, e
da un poeta
assai potente e
insieme potentissimo
prosatore quale si e
FOSCOLO. In una
delle nostre più
illustri Università, MONTI pronunzia quella
beUissima sentenza che
poi tutti hsìn ripetuto
e ripetono parlando
di Vico: La
Scienza Nuova è come
la montagna di
Golfonday irta di
scogli e gravida di
diamanti. E quindi
soggiungeva: Chi amasse di
chiamare a rivista
le idee generatrici
e pro- fonde delle quali
si è fatto
saccheggio nel Fico,
tesse- rebbe lungo catalogo, e
nuderebbe a moUe
riputa^zioni.* Ma MONTI sente
la verità e
grandezza delle idee vichiane
com' un poeta. FOSCOLO dà
un nuovo passo e
va molto più
innanzi allora che
nel celebrato discorso d'apertura
all'insegnamento letterario nella stessa
Università Pavese, piglia
a trattare con l'
usata maschiezza d'ingegno
il vasto soggetto
dell' origine e dell' ufficio
della letteratura; nel
quale prova insieme quant' avesse
studiato le opere
del nostro filosofo,
e come sotto novelle
forme si possa
applicarne le dot- *
Ferbari, Cforto augii
aeriUori Politiei italiani^
V. Monti, Proluaùme
agli atudi delV
Univeraità di Pavia,
MUa- no, trine anche
nei temi letterari. FOSCOLO ha colto il
valore d'alcune sentenze
psicologiche sparse nei
lihri del filosofo napoletano
; e da
queste appunto ei
seppe trarre il concetto
posto come principio
fondamentale del suo ragionamento.
Egli, infatti, ricorre
ai bisogni dell'uomo nel
rintracciar l’origine delle lettere;
e quindi reputa necessario
investigarne la natura
psicologica studiando le facoltà
stesse dell' uomo.'
Che poi avesse meditato e
inteso le altre
dottrine del filosofo,
lo mostra il modo,
per dire un
esempio, con che
egli discorre \ ea
l'origine e su
la natura della
parola; la quale,
traducendo quasi lo stesso
linguaggio dinVico, dice
essere ingenita in noi e contemporanea
dia formazione dei sensi
estemi e delle
potente mentali. Seguace
del nostro filosofo anche
si palesa quand'
accenna fuggevolmente a certe
idee (per esempio
a quelle del
diritto e del dovere)
le quali, manifestandosi dapprima
idoleggiate con simboli ed
immagini, si snodano
poscia e parlan quasi
da sé stesse
nella nuda verità
di ragione. Seguace altresì quando
tocca delle origini
del consorzio sociale e
dell'imperio civile: del
che poi egli
stesso ci assi- cura dove, accennando
a' poeti filosofi, dice
che delie verità sui
principii di tutte
le nazioni vedute
dal VicOy egli s' è
studiato dimostrare e
applicare le conseguenze alla storia
dei nostri tempi}
Dottrine del Vico,
finalmen- te, applica nel discorso
su le De^cazioni
nella Chioma ' di
Berenice, secondo che
confessa da sé
medesimo. Ma alla Scienza
Nuova volge tosto
gli occhi con
ben altro acume di
critica il napoletano
Cataldo lannelli; la qual
critica, come vedremo,
esagerandosi nel Roma- gnosi,
finisce per esser
perdutamente scettica nel
Fer- rari. Di tutte le
opere o studi
fatti su la
Scienza Nuova quella che più
d'ogn' altra merita d'esser
letta e me- !
ditata è
appunto l' opera del
modesto impiegato della •
Vedi Ditearto dell’origine
e deW ufficio
detta LettercUura^ nel
volume deUe Lesioni Queste
osservazioni hann' anch'
elle un aspetto
di verità ; ma
se ROMAGNOSI avesse meditato
la Sdevusa Nuova con
più amore e
men disprezzo e
meno boria a lui,
del resto, tanto
naturale, avrebbe visto
che Vico altro non
intese dire, come
vedremo, se non
quello precisa- mente eh' egli
stesso ha detto qui
assai male e
senz' al- cun metodo
filosofico. E perchè
poi reputa impossibile
la similarità de' circoli storici?
Perchè intese anch' egli, in modo
volgare, come parecchi
altri, il valore
di cosi fatta legge.
Ei non poteva
persuadersi come nella
sto- ria ci sia ritorni
e ripetizione di
forma (meccanismo); ma non
s'avvide che se
pel Vico nella
storia ci è ri-
petizioni, cotesto ripetizioni non
sono possibili senza veraci
innovazioni (dinamismo). Io non
so capacitarmi come
l' ingegno potentissimo di
ROMAGNOSI non penetrasse nell'
intimo della Scienza Nuova. Non
so capacitarmi com'ei
facesse una critica Certo
U Romafirnosi non
TÌde che se
Vico prevenne Roasseau
e tutti qnei giasnataralisti dell’epoca, i
quali sì volentieri
ciarlavano sa lo ttato
di natura, li
prevenne correggendoli, cioè
legittimando ra- zionalmente
cotesto stato natarale,
col porre in
opera ben altri
prin- eipii di psicologia e
di storia cho
non eran quelli
de' saddetti filosofi.
debole e
scucita cosi che
gira sempre attorno
senza mai coglier la
sostanza delle dottrine
di Vico. U che senza
dubbio terrà alla
forma della sua
filosofia, della quale il
Rosmini pose in
evidenza i molti
e sostanziali i difetti,
e, nonostante le
calde e lunghe
difese del Nova, i
giudizi del Roveretano
restano pur oggi
intatti e verL Romagnosi, in
ima parola, non
poteva pregiar la Scienza
Nuovii, perchè le
sue dottrine putiscon
di meccanismo. Artificiale e
meccanica è in
lui la dottrina
sul governo dello stato,
ch'ei paragona al
cervello dell'ani- male.
Artificiale e meccanica
la dottrina dei
Tesmo- fori in politica
e in religione
; le quali
per lui sono bensì
strumenti benefici al
popolo, ma nelle
mani dello stato. E
dottrina presso che
meccanica quella de'
suoi Fattori dell' incivilimento. Perfino
la terminologia eh' egli
adopera ne palesa
l' indole della mente
e delle idee: storia
naturale dei popoli,
fisiologia degli stati, funzioni meccaniche
e dinamiche della
società, dina- mica e meccanica
morale, e simiU.
Come passaggio della
critica empirica e
negativa del Romagnosi alla
critica scettica di FERRARI,
si pre- senta la traduzione
e l' anaUsi che
della Sdenjsa Nuova die
alla Francia 6
alla eulta Europa
l' illustre Michelet. Agli occhi
degl'Italiani questo scrittore
ha due grandi meriti:
d' aver fatto conoscere
il nostro filosofo isin
dal 1827 fuori
d'Italia, e, che
più monta, d'averlo fatto capire
nella sua verità
mercè quell' arte
facile, disinvolta e con
quel fare schietto
e rapido con
cui, tra- ducendola, seppe imprimere
alla Scienga Nuova
forma netta e fedele.
Se non che,
per quanto Michelet
non sia crìtico interprete
(né egli vi
pretende) ma critico espositore, non
pertanto i suoi
giudizi son tutti
co- * Si yegga
la definizione che
ne dà nello
Leggi dtlV ineivUimento, FERRARI
ha rilevato con
molta esattezza la
differenza tra Vico e ROMAGNOSI nel
lihro La menu
di Romagnoti. E
noE a torto
poi il chiarissimo FERRI pone
Romagnosi come primo
ponHvi^ta In Italia. —
Ved. RÌ9t. de
la PhU. lud.,
scienziosi e pressoché
tutti pieni di
verità. Eccone un saggio.
Ci ha due
Scienze Nuove, egli
dice; ma se le
Scienze Nuove son
due, la prima
d' esse è insieme
I r ultima parola
dell' autore ; ultima
quant' alla sostanza delle idee.
Un'altra osservazione è
questa: carattere e intento
supremo di codesta
Scienza Nuova è
quello d'essere una filosofia,
e nel medesimo
tempo una storia dell'umanità. E
un'altra riflessione che
merita sia ricordata, è
la seguente: il
concetto d'una perfezione stazionaria accennata
dal Vico nella
Scienza Nuova e riprodottasi poscia
in tanti libri,
non riappare altrimenti nella seconda
Scienza Nuova. Mi
giova notare con
ispe- dalità quest' ultimo
pensiero del Michelet,
per correg- ger la sentenza
di tutti quegl'
interpreti i quali
per d lungo tempo
ci han detto
e ridetto che
dei corsi e ricorsi
entro cui Vico
chiuse V umanità
(per dir la parola
consacrata), ei non
abbia parlato fuorché
nella seconda Scienza Nuova.
Non ne ha
parlato mai, in
nessun libro, in veruna
pagina de' suoi
libri I La
staziona- rietà (sia detto unU
buona volta per
tutte) non è con-
cetto vichiano. Io noi
trovo esplicito, né
implicito in lui ;
e non iscaturisce
in verun modo
dall' insieme delle sue
dottrine. Il concetto
del corso e
ricorso storico, adunque, alla
maniera volgare ch'é
inteso da' più, è concetto
che assolutamente ripugna
al pensiero e alle
scritture del nostro
filosofo. Ma non tutti
i giudizi del
Michelet ci paiono
ugualmente giusti. Ei non
giugno a spiegar
convenevol- mente, per
esempio, il concetto
storico del nostro
filo- 1 sofo su la
forma del governo
monarchico; tanto meno que'due
principii accennati piii
d'una volta nella
iScien^^a Nuova e nel
DvrìUo Universale su
la necessità in che
può ritrovarsi un
popolo di consentire
a lasciarsi gover- nare ov' ei
non sappia governarsi,
e su l' affidar
l' im- pero del mondo alla
solerte prudenza dei
migUorì. Il Michelet seppe delle
opere del Duni,
ma forse non
potè leggerle: così parrebbe
almeno dal modo
con che lo SrnuAiii.
ff cita fiiggevolmente solo
una volta. Se
quindi avesse cono- l
scinto DUNI, avrebbe
dato al Jus
Gentium del Vico
il suo proprio valore.
E s'inganna poi
quand' aflFerma, che il Libro
Metafisico sia la
sola scrittura, le
cui dottrine non fossero
state trasportate nella
Scienza Nuova, del che
lo riprende giustamente
il Predari. Ma
il Miche- let ci compensa
di cotesti erronei
giudizi laddove con acume
non ordinario confessa
di riconoscere nel
Vico U metafisico sottile
,e profondo. E
poi ci dà
prova sicura d'animo spassionato
e libero da
ogni boria nazionale, quando, egli
francese, francamente dichiara
essere Vico r
antagonista per eccdlenaa
del CartesianismOy
l'avversario più illuminato
e più eloquente
dello spirito del secolo
XVIII.' Anche quest'osservazione è d'ogni
parte vera e
luminosa; perocché se
carattere di quel secolo,
come giustamente si
crede, fu la
negazione assoluta, la negazione
in tutto e
di tutti, distintivo,
al contrario, delle dottrine
del Vico si
fu quello di
tutto restaurare, e tutto
affermare mercè l'opera
del me- todo isterico.* E
poiché siamo a
parlare de' Francesi,
occorre far menzione degli
altri che in
quel paese, nell'epoca
di che trattiamo, non
reputarono tempo perso
volger la mente al
nostro filosofo. E
primo fira tutti
il Lerminier, * Vedi
Prtncipet de la
PhU. de VHiat, traduite
de la Scietua
Nuova de J. B. Vieoy BruxeUes La
ridazione fatta dal
Michelet détte occasioce
iu Italia ad una
critica del Kicci
pubblicata nell’Antologia del
Vieusseax RICCI mostra come
lo storico francese
altro non desse alla
Francia che ì
frantumi della Scienza
Nuova, e per
cinque diversi capi ne
rileva la incompiutezza. Oltre
a questo pregio,
negli articoli del Btcci
re n' è
un altro; l’aver
posto in chiaro,
meglio forse che
non facess^i il Dani,
il significato della
parola Autorità^ che
ne* libri del
nostro filo- sofo non è
di lieve momento,
e mostra che
talora egli assume
questa parola nel senso
del Gius Komano
come sorgiva de*
diritti pubblici e privati;
talora com*effotto del
consenso d’una nazione in
un dato prin- cipio; tal* altra
come potestà, come
potere ch*ò negazione
di ragione e di
coscienza speculativa. Notiamo
altresì come il
Ricci è quegli,
fra* cri- tici, che più
insiste su l*
ufficio del Seneualiemo
nelle idee storiche
delj Vico. Ved. Art.
I, pag. 85. come
quegli che nelle
due principali sue
scritture ne discorre sempre
con entusiasmo, con
amore e grande
ve- nerazione. Ben s' appone a
designar la Sciema
Nuova come il monumento
sublime e hieearro^
in cui è
viva la impronta delle
fofrme e dei
colori dd medio
evo, e che fa
del Vico centro dette
antiche tradizioni, e
insieme precursore déUa
Scienza Nuova: talché non
a torto fino
dal 1829 lo
considerò come il vero
predecessore de' Wolf,
de' Niebuhr, e
degli Hegeliani. Se non
che non sempre
questo dotto e
simpa- tico scrittore dà nel
vero, come quando
lo dichiara padre dell' JEfcfewswto moderno,^
o come laddove
osserva che nella storia
del mondo egli
trasportasse quella di
Roma. Lerminier non vide
che di questa
seconda istoria ei
gio- V06SÌ a meglio
intender la natura
della prima, alle
storie tutte e perfino
alla storia universale
trasferendo gli ele- menti essenziali, originari,
universali costituenti la na-
tura umana. Assai meglio avrebbe
detto d'aver egli
tras- ferito la psicologia nella
storia, anzi che
la storia di questo
0 quel popolo
alla storia di
altri, ovvero a
quella di tutt'i popoli
in universale. Né,
d'altra parte, il
Vico intese applicare una
legge alla storia
in generale; er- rore, come vedremo,
dei Teologisti e
degli Hegeliani: intese bensì
applicarla ai popoli
considerati nelle indi- viduali lor tradizioni
e civiltà. Tanto
meno poi é
lecito creder eh' egli ponesse
identità fra' tempi
eroici primi- tivi e' '1
medio evo: bensì
è vero eh' e'
vi discemesse un moto
perenne di ripetizione
essenzialmente progressiva.
Altrove il Lerminier,
parlando del Machiavelli,
os- serva come r autore*
della Scienza Nuova
correggesse lo spirito storico
del Segretario fiorentino,
mercé una pciitica ideale
e platonica. '
Questa sentenza in
parte è vera; e
dico in parte,
poiché si può
chiedere se co' suoi
principii applicabili alla
politica, il Vico
abbia • Vedi Introd.
gin. à
VHitioire du Droit,
cap. Xm. *0p. cit.
pag. 167. • Vedi
JKrt. de la
Phtl, du Droit,
Tom. U, pag. 102. corretto, o non
piuttosto compiuto ciò
che nel Machia- velli è solamente
arte politica. Tutt'
insieme dunque può dirsi,
che se la
critica del Lerminier
non è molto
acuta né molto sicura
in alcuni giudizi,
ella riesce nondimeno a
cogliere con lucidezza
tutta francese la
natura e '1 fine
della mente e
deUe opere del
nostro filosofo.' Su'
giudizi del Lerminier
riguardanti le idee
giurìdiche e politiche di
Vico torneremo in
altra occasio- ne. Qui giova
notare come in
Francia, quasi nel
mede- simo tempo in che
gli scrittori di
cui abbiamo accennato facevan conoscere
il nostro filosofo,
altri presero a par-
lame come il
Gousin, Teodoro Jouffroy,
il Ballanche. Tutti ripeton
le usate lodi,
e qualche giudizio
del Gou- sin, al solito,
a volerlo sottilmente
esaminare, non riesce molto
esatto. Quando vuol fard
credere, per esempio, che Vico, benché
combattesse Gartesio ne
seguiva nuUameno la filosofia
generale^* ognuno capisce
com'ei si studi attaccare
al gran carro
del cartesianismo perfino il
Vico; quasi che,
anco a detta
del francese Michelet, non
ne fosse stato
anzi V avversario
piii terribile. E va
lungi dal vero
quand' osserva, che
tutto ciò che è
nel Bossuet e in Vico
trovasi
in Herder; quasi
che si possa ignorare
che Fautore della
Metacritìca contro il Kant
non fosse altro
che un buon
sensista, il quale '
perciò non dubitava
credere che dall'
organismo pul- lulasse ogni nostro
pensiero e facoltà:^
nella quale sentenza ci
conferma il suo
traduttore francese il
Qui- net. U Gousin
poi dice il
vero laddove pone
l'Herder ' come compimento
del Vico quant'
al concetto della
na- tura e della efficacia
che la natura
dispiega sulla storia. Ma
avrebbe dovuto avvertire
che s'egli è
compimento * Eccone,
per esempio, una
prora nella seguente
arguta osserraxione: w/tico
più che scettico,
con la sua
critica egli comin- cia a
riprender V andamento
pacato e sereno
dello . lannelli. Il
Cattaneo è come
Y anello fra FERRARI
e TOMMASEO. Noi non possiamo,
egli dice, studiare con
profitto lo spirito
umano in sé,
nella sua essen- za, bensì nelle
sue elaborazioni storiche,
e nelle situa- zioni più numerose
e diverse che
si possa. Però
bisogna studiare il poliedro
ideologico nel fluissimo
numero di sue faccey
e da questo
terreno tutto storico
e speri- metitàle dovrà
sorgere la vera
cognizione dell'uomo; la quale
indarno si cerca
nei nascondigli della
coscienza. Lo studio dell'
individuo nella società, l’ideologia sodale: ecco
una sentenza piena
di verità per
cui CATTANEO si chiarisce
assennato seguace di Vico.
E che egli abbia
inteso il pensiero
del filosofo napoletano
lo pruova l'altra osservazione
su le successive
trasforma- zioni storiche
del diritto, per
cui nella Scienza
Nuova a troviamo fusa
la dottrina d^l'
interessi come cam- peggia nel Machiavello
con la dottrina
della ragione i esposta
da Grozio, togliendo
eoa la contraddizione che divideva
la storia dalla
filosofia.' » Che
se anche il Cattaneo
s' addolora al
pensiero dei Circoli
fatali che Vico ebbe
in comune, secondo
lui, col Machia- mipremi principii
d'umanità, PuDOR e
Libbrtas, che sono
il cardine della
' Scienza Nuova, e
per cui anch*
il servo, anch’il
bimane un bel
giorno diventa uomo, personalità
? é'* Cade
col Machiavelli nd
»iHema delU dué fati,
V ima harharay
V altra eivtU,
No, introduce nn
nuovo sistems nelle due
differenti fasi, Tuna
tpantanea e raltrart^faMo; e
questo non è
circolo fatale, identico, ma
progressivo. Dice poi
che il Vico
eroit que la vdonU
peut eorrompre Vceuvre
de la roMon.
Qui evidentemente FERRARI non ha
saputo, né poteva
col suo scetticismo,
intender* e comporre in
organismo i principii
psicologici del suo
maestro. * Firbàri, Vieo
et VltaUe. Paris
CiTTRinBO, nel Politeonieo. Vedi Periodico
oit velli e
col Campanella, una
consonanza mirabile però
sa trovare fra i
più recenti sistemi
umanitari e quello
del Vico, agli occhi
del quale la
Provvidenza, con V
occa- sione degV interessi delle
inique passioni, trae
la giustizia effettuandola gradatamente
nel mondo delle
nazioni. Laonde osserva come
prima di Fichte,
segnatamente prima di Schelling,
a lui fosse
dato riguardar la
ragione ' qual facoltà
che occasionalmente si
sveglia nell'uman genere.'
•CONTINUA IL PERIODO
DE' CRITICI E DEGLI
ERUDITI. Co' suoi Studi
Critici V illustre TOMMASEO segna il passaggio
al terzo periodo,
e quindi ad
una terza classe di
scrittori che si
sono occupati di
Vico. Critico e
filosofo, infatti, egli stabilisce
V anello fra
i puri critici
e gì' in- terpreti filosofi negli
studi riguardanti il
nostro autore: Imitazione e
riproduzione, come negli
scrittori del primo periodo, non
era possibile nell'ingegno
versatile, dut- tile, acuto ed
elegante del Tommaseo;
e tanto meno possibile in
lui una critica
scettica alla maniera
del Ferrari. Piena la
mente e l'anima
di fede e
di pro- fondo sentire, questo
scrittore è anche
filosofo, e vi pretende.
Egli ha scritto
libri di filosofia;
ha inter- pretato, e non
di rado con
sottigliezza scolastica ha difeso
il princìpio speculativo
del Rosmini, e
propu- gnatolo con ardore giovanile.
Nessuno dunque può
ne- gare a quest'ingegno artistico
e severo buona
dose di virtù speculativa. Sarà filosofo
scologizzante, sarà filosofo più
che rosminiano, ma
è filosofo, oltre
che critico de' più
sottili: è filosofo
e critico, e,
senza con- Nel PoUteenico
trasto, quant' a
proprietà di linguaggio
occupa oggi 1 primo
seggio fra i
viventi scrittori del
nostro paese. Nessuno meglio
di lui poteva
farsi a rilevar
le bellezze nella parte
letteraria ed estetica
delle idee del
no- stro filosofo. E, facile
a spigolare ne'
campi altrui, anche in
questo egli è
andato scegliendo fior
da fiore, e ne
presenta cotal mazzo
che lascia scorgere
l'arte di chi n'
ha fatto la
scelta. Chi, prima
di lui, avea
saputo ritrar r indole,
per esempio, di
certe composizioni poetiche
del Vico, additar la
possente originalità nello
stile, la selvaggia lobustezza della
parola, la forma
singolare dell' ingegno, e
segnatamente l' animo e
tutto il carattere morale dell'uomo?
Una delle più
notevoli pagine della prosa
italiana, egli osserva,
è la nobile
immagine di donna egregia
lodata dal Vico
: ed è
verissimo; e vere
ed argute non meno
ci paion quelle
considerazioni su la storia
del Caraffa, nella
quale spesso questi
è dipinto non qncd
era ma guai
doveva essere, per
meritare le lodi di VICO.
La dignità del
lodatore si vendica
per tal modo della
indegnità del lodato j
e la lode
diventa condaivna.^ Ma il
Tommaseo, ho detto,
è anche ingegno
speculativo, e spesso è
felice nell'intravedere il
vero di certe
idee filosofiche del Vico.
Ecco un'acuta riflessione:
Fólibio e gli antichi
deducono osscì-va^ioni generali
da* fottio U MACHIAVELLI
trae consiglif Vico
determina leggi. Ma
le SUE LEGGI NON
PANNO FORZA ALLA
PRATICA, anzi egli dice
cìie l'uomo dee
nelle teorie r attenersi
come cavallo aìiimosoy per
poi nelle pratiche
cose correr di
maggior lena} Altra bella
osservazione è quando
nota come da Platone
egli traesse non
l'idea, sì la
ispirazione della sua storia
ideale. Il che
mi piace avvertire
col Tommaseo contro chi
pretende rimontare sino
al filosofo ateniese a
ripescarvi un antecedente
alla Scienza Nuova!
Veris- simo altresì che le
due Scienze Nuove
paiono entrambe due grandi
edifici secondo la
medesima idea architettati: Tommaseo, Studi
Critici. Venezia, questo avverta
chi ha creduto
vedere nella seconda di
esse non so
che stravaganze, follie
o puerilità. Con salde
ragioni poi contro
parecchi critici del Vico egli dimostra
come nelle opere
di lui si
manifesti potente, vera, chiara
l'idea del progresso;
perchè se aUe
cose umane vide un
corso e ricorso
in orbita fissa,
non disse che V
orbita non si
potesse più e
più sempre cól
volger de' tempi allargare^ E
non meno della
critica che riguarda per
diretto il Vico,
preziose paionmi anche quelle
undici appendici indirizzate
ad illuminare il
testo dove il filosofo
napoletano sorge principal
figura: dico le appendici
sopra STELLINI, Grozio, ROMAGNOSI, FOSCOLO, sul
gius sacro e
sul gius romano,
su le origini sociali, su gli Sciti,
Illirici, Slavi, sul
Niebuhr ed altri. Il
Tommaseo vuol esser
rammentato ed encomiato eziandio per un altro
lavoro speciale sul
Diritto Univer- 1 sale,^ È
un esame critico,
al solito, assai
condensato e sparso di
riflessioni ingegnose, d'opportuni
e fedeli riscontri e
di felici divinazioni
nel penetrare le
idee del filosofo. Ma
è pur d'uopo
confessare che se
come cri- tico nessuno può
entrargli innanzi per
sobrietà e giu- stezza di giudizi,
come filosofo non
tutti sapranno accet- tarne ogni sentenza.
Molte interpretazioni e
parecchie confutazioni eh' ei
move al Vico
noi non potremmo
acco- gUere: quella per
esempio dove, accennando
alla luce metafisica del
nostro filosofo, si
studia vederci non
pili che Tessere ideale
di SERBATI,' e T
altra onde presume che
dal concetto della
Trinità egli traesse
l' ordinamento delle facoltà umane,
e nel medesimo
concetto scorgesse radicarsi la
metafisica, la morale
e fin la giurispruden-
• fe anche di TOMMASEO quesV altra
bellissima osseryazionc : Dalle
proprie averUure Vico
dedusse H mondo
invecchiato : ma ^gìi
medesimo ci vieta
di crederlOf egli
che pronunziò: mundus
enim jaTenescit adhuc; interpretazione luminosa
deUa sua /rantesa dottrina
delh* legje de ricorsi,
e risposta sufficiente
a dà lo
accusa di negare
al genere umano ogni
forza (T avatuamenfo.
Dizionario Estetico» ^kudi
Filosofici, Venezia mdoooxl, . l«
Stwli OrUici, ] za. Sbaglio
grave, dice, Taver
negato la trasmigrazione I delle
civiltà da popolo
in popolo innalzandovi
mura di bronzo. Errore
gravissimo poi da
restame scandalizzati, più che
uno, mille Tommasèi,
gli par la
sen- tenza, che dopo il
diluvio gli uomini
si disumanas- sero 1 *
E qui r illustre critico
si fa forte
delle censure di LAMI,
di ROMANO e di FINETTI e
di tutti gli
opposi- tori del primo periodo,
co' quali dopo un
secolo e mezzo par
ch'ei si trovi
in pieno accordo. TOMMASEO non
po- teva penetrare nelle dottrine
speculative di VICO, e da
quéste trarre, più
che dai due
o tre passi
d'autori lettini o dagli
urli dell'uomo bestiale
assordante l'aria e le
selve, nuove dottrine
e vere su
le origini dell'
umanità, non discordanti oggi
co' risultati delle scienze
naturali. Come si vede,
con una critica
sempre acuta nelle sue
osservazioni tuttoché non
sempre vera ne' suoi
giu- dizi, il Tommaseo è
stato il primo
fra noi ad
espri- merci '1 bisogno d' interpretare in
maniera filosofica le dottrine
del nostro filosofo
; ma non
vi giugne, né il
poteva, perchè non
gliel permettevan né
le esigenze della fede
tanto salda e
vigorosa nell' animo
suo, né la filosofia
schiettamente Kosminiana nella
quale è uso
at- tingere i principii filosofici
e i criteri
metodici. Usciamo ora un'altra
volta dal nostro
paese, e vediamo
se nel giro degli
anni di che
parUamo gli studi,
i giudizi e la
stima circa il
nostro filosofo sian
venuti sempreppiù
progredendo anche presso
altra letteratura come
presso di noi. L'illustre Renouvier
avrebbe stimato manchevole la
sua storia della
filosofia moderna ove
anch' egli non avesse
accennato all'autore della
Scienza Nuova. Vico, egli
dice ripetendo un'aflFermazionedel Michelet, ToMMAsio, Studi
Filotojiciy Studi Gritici,
Due o tre
pa$9Ì d* autori
latini e H
troppo reU^oto rispetto
di tutu torta tradizioni
in tali togni
tmarrirono tale ingegno. del
CDUsin, del Lerminier,
dello JoufiFroy e
d'altri fran- cesi, ha fatto
alla scienza una
rivelazione nuova creando la
filosofia della storia;
talché dopo la
morte de' due martki suoi
compatrioti Bruno e
Campanella, ei ci si
presenta davvero qual
rivelatore d'un mondo
nuovo.* Un' altra osservazione,
di cui è
bene prender nota,
è quella dov' egli
afferma che, quant'
a Cartesio, il
Vico ebbe pieno diritto
a biasimarne l'incompiutezza del metodo,
egli che, considerando
come scienze la
poesia, la storia e
la filologia, potè
gettar -le basi d'un metodo
novello supremamente sperimentale,
storico e comprensivo. Ma
quali sono propriamente
i principii filosofici del
Vico? Ha egli
una serie di
principii meta- fisici?
Renouvier non risponde
a questa domanda,
e si tiene contento
nell' affermare solamente
eh' egli ama/va la
metafisica di Descartes. Sarebbe questo
il luogo di
rammentare il Bouchez;
* ma, fra tutt'
i francesi, questi
è l' unico scrittore
che del Nostro abbia
parlato in guisa
assai meschina, tanto che
a veder come
lo cita e
come n' espone
le idee, farebbe sospettare di
non averlo letto,
o che ne
abbia solamente discorso per
sentita dire.«£ noi
non avremmo tirato fuori
il nome di
questo debolissimo filosofo
della storia e tenutone
conto, se nel
suo libro non
si vedesse confermata certa
notizia della quale
giova prender nota. Citando
un vecchio periodico
di Francia, Bouchez
dice come le opere
di Vico fossero
quivi note già
sino dai primi lustri
del secolo passato.
I francesi dunque
molto probabilmente non ignoravano
il primo libro
del Diritto \ Universale
e, che più
monta, neanche il
secondo nel ' quale
è racchiusa, com'
è noto, la
sostanza della Scienza Ifuova. La
qual cosa abbiam
voluto qui avvertire
col fine di rinfiancare
vie piii la
sentenza d'alcuni critici su
l'origine delle molte
affinità fra alcune
idee del Vico, *
RBiroinriBB,Jfaraii««Z de
PhUot. moderne ; Paris
et Uipsig BouoHBZ,
Inltrod. è la
Scietkce de VHiet,
ec. Paris,
e quelle
di certi filosofi
e storici francesi
anteriori alla rivoluzione, massime
del Tm^ot e di Condorcet. Nel tempo
di cui parliamo
novella traduzione comparve in
Francia per opera
dell' autrice anonima
del Saggio sulla formaeUme
dd damma eaftólico.
E anche qui e'
è progresso; perchè
se la traduzione
det Michelet, come si disse,
è una riduzione
non molto fedele
e man- cante di critica,
la traduzione di
che discorriamo, oltre d'esser
propriamente traduzione, è
poi fornita d'un lungo
lavoro su le
opere e su le dottrine
del Vico, pre- gevole soprattutto per
V analisi cui
è sottoposto il
pen- siero del nostro filosofo.* L' autore di questa prefazione s' accorge subito
ov'è il nodo
delle dottrine e
del metodo vichiano. Cotesto
nodo, evidentemente, è
nella distin- zione e insieme
nella relazione tra
il vero e
il certo, tra la
ragioìie e Vautoritcu^
E innanzi tutto
osserva come la parola
autorità pel Vico
voglia dir volontà,
coscienza, 1 voce interiore,
sorgente di quel
conoscere ond' all'uomo non riesce
additar le ragioni
scientifiche e universali. Brevemente; la
coscienza è autorità
anzi la piìi
grave delle autorità. La
ragione poi è
facoltà che giugno
a dimostrar la cosa
scientificamente, e quindi
produce il vero. E
poiché tutto ciò
che 1' uomo
dimostra è fatto da
lui e però
ha natura finita,
ne segue che
il vero debb' essere
inferiore al certo.
V è pertanto
differenza tra il vero
metafisico e '1
vero matematico: questo
è nostra fattura, e
quindi è vero;
quello, in vece,
non ci appar- tiene come nostro
effetto, e in
conseguenza riguardo a noi
è solamente un
certo. Ora siccome
conoscere vuol dire scomporre
ed astrarre per
cavarne gli elementi; così di
Dio non potremo
aver nozione vera,
ma certa, stantechè non
ne sia dato
scomporre ciò eh'
è essenzialmente uno, né
ritrovar cause di
ciò che è
causa per sé. È
necessario adunque un
modo nuovo di
conoscere Dio; La
lunga ed elaborata
prefazione a coi
alludiamo si vaole
scrìtta da un celebre
storico firancese, A. M., amico
della traduttrice. La Seience
NouveUe, trad. etc.,
Paris, e però
necessaria una nuova
facoltà. Questa facoltà
è ap- punto il volere,
che si rivela
col mezzo della
coscienza. La nozione di
Dio quindi è
un fatto di
coscienza e di au-
torità, perchè autorità e
coscienza tornano il
medesimo. Ho voluto accennar
brevemente queste osservazioni non solo
a mostrare che
la prefazione di
cui parliamo non è
da annoverarsi fra
le solite ampolle
messe in fronte alle
traduzioni delle opere
di grandi autori,
ma a far Tederò
altresì come in
essa racchiudansi interpretazioni davvero ingegnose.
Il traduttore poi
avverte la confusione fatta da VICO tra
Zenone lo stoico
al quale è attribuita
la dottrina del
punto metafisico, e
quel Zenone a VELIA che
riguarda i corpi
siccome aggregati d'infinito numero
d^ atomi o di
punti. Nota essere
esclurivo di VICO quel
concetto per cui
si considera il
corpo siccome |?wn^o metaifisico
esteso. Osserva (e
qui prego gli altri
critici H tener
conto di tale
osservazione) che il Vico
non volle né
poteva respinger l' idea
del progresso, attesoché avrebbe
contraddetto alla propria
metafisica: le$ cercle4 doni
il entoure l’hutnanité doit
nécessairement marcher en avant.^
La qual sentenza,
che cioè nel
padre della scienza storica
rifulga chiarissima, chi
sappia di- scemerla, l'idea
del progresso, è
sostenuta in modo splendido da
un altro francese
vivente, dal De
Ferron come appresso vedremo. Fra
le idee originali
di Vico il traduttore
pone anche questa: V
uniformità originaria di
civiltà appo differenti popoli
più come eftetto
della comune natura
e dell' unità di fine
che ne presiede
allo svolgimento, anzi che
come resultato di
comunicazioni dirette avvenute fira
popoli diversi.' Riferisce
al Vico la
scoperta de' tipi fantastici di
differenti classi d'uomini
contro chi non vi
sapeva scorgere altro
fiiorchè personificazione di
forze naturali. À lui
medesimo riferisce l' aver
dimostrato storicamente il processo
delle tre forme
politiche generali, [
La Science Nouvdle
OVli. aristocrazia,
democrazia, monarchia ; V aver
avuto co- scienza come né l’eloquio né
la civiltà latina
fossero provenute di Grecia;
e, anziché divinato
(come vorreb- bero alcuni tedeschi),
aver egli dimostrato
in gran parte i
suoi principii storici,
né solamente dato
impulso alla presente filosofia
della storia, ma
avere concorso pro- priamente a svolgerla,
a costituirla: al
qual proposito notiamo come
il traduttore giustamente
rivendichi a Vico il
merito attribuito a
Champollion, d' aver inter- I
pretato e svolto
le conseguenze del
celebre passo di San
Clemente Alessandrino. Fa
vedere poi come
in pili cose ei
mirasse più giusto
e più sicuro
dei suoi successori quant' alla
storia del Diritto;
per esempio, su
la tanto vitale distinzione
fra popolo e
plebe, non veduta
da ! Livio, e
comprovata dopo il
Vico dal Beaufort
e da Niebuhr. Mostra
quindi essere assolutamente
nuovo il modo con
che V autore
della Scienza Nuova
considera e risolve la
questione circa l'origine
delle XII Tavole; nel
che lodiamo la
forza e la
maniera ingegnosa ond' anch'
egli sa difenderne
la verità. Verissimo,
final- mente, quel giudizio su
la dottrina risguardante
Omero e i poemi
omerici, accorgendosi come
il Vico non
in- tendesse con tal dottrina
negare un Omero
personale che 'impresse forma
esteriore ai suddetti
poemi, ma negare bensì,
nel che egli
ebbe ed ha
ragione, un Omero
che fosse creatore de'
medesimi, come vedremo
a suo luogo. Tali
sono i pregi
di quest'assennato lavoro
critico che va innanzi
alla seconda traduzione
della Scienza Nuova. Ma
non vi mancano
difetti; e ne
cito qualche esempio. Come
non iscorger l' attinenza
fra il vero e
il certo
di VICO? Come non
veder che 1'
autorità altro non è
che la stessa
ragione considerata quale
obbietto che propone sé
a sé medesima,
essendo due termini
co- testi che, come altrove
diremo, van soggetti
anch'essi alla legge di
conversione? Se questo
avesse inteso il traduttore, non
avrebbe affermato che
dell' assoluto non si
possa aver nozione,
ma sentimento. Nella
Ragione e jìeW Autorità del
Vico egli forse
ha voluto scorgere
qual- cosa della Ragion pura
e della Ragion
pratica del Kant,
' G certo non s'
è intieramente ingannato.
Ma non s' incanna egli quando
si piace di
scendere a conclusioni
cosi immediate col Criticismo?
Che poi tanto
in metafisica quanto in
geometria il punto
sìsl principio d^ estensione; che però
la matematica, sia
come dire, copia
materiale atta a farci
conoscere il tipo
immateriale eh' è appunto
la r»i avverato
dopo la pubUicaiione
di tale storia,
aTcndo questo scrittore poeto
il gran princìpio
per cui la
storia è aommesea
{dVim- pero di leggi
univeraali. Ma non
è questa per l’ appunto la
grande sco- perta della Scienza
Nuova almeno quant*al
suo principio? E
tutte le leggi su
la costanza de*
fatti sociali trovate
da Buckle e
più dal Que- tulut,
non sono forse
altrettante applicazioni sociali
di quel princìpio? Ma
prima di procedere
innanzi giova rispondere
ad mia difficoltà non
diffìcile, a nascer
nella mente di
qualche pedante. Si domanderà:
perchè insieme co' puri
cri- tici ed eruditi in
questo secondo periodo
avete messo filo- sofi di
gran nome? La
risposta è facile
e chiara: primo, perchè
tale è l'ordine
cronologico di cotesti
filosofi; secondo, perchè costoro
han parlato o
accennato alle dottrine del
Vico, adoperando una
critica più presto erudita e
storica che filosofica.
Qui non potevamo disporre e
coordinare gli autori
in ragione delle
opere scritte e per
gli studi eh'
essi han coltivato
e per la forma
del loro ingegno,
bensì pel valore
della critica ch'essi hanno
esercitato su le
dottrine del nostro
filo- sofo. Nessuno ha dato
segno d'elevarsi ai
veri prin- dpii di
queste dottrine, non
perchè non sapessero,
ma sia perchè alcuni
di essi non
ebbero tal fine
parlando dinVico, sia perchè
non han creduto
ad una filosofia
' di quest'autore. Nondimeno
a contar dai
primi fino agli ultimi
scrittori appartenenti a
questo secondo pe- riodo, dallo Jannelli,
per esempio, al
secondo traduttore francese della
Sdenta Nuova, è
evidente un progresso mercè cui
la critica sul
nostro filosofo, da
erudita e sto- \
rica e
filologica, viene assumendo
gradatamente valore sempre più
filosofico; di modo
che T ordine logico,
in questo nostro saggio
di storia sulla
Scienza Nuova, risponde perfettamente
all' ordine cronologico. La critica
nel senso d' interpretazione filosofica
sarà quind' innanzi il
carattere per cui
si distingueranno gli autori
a' quali verremo accennando
nel seguente capitolo. periodo degl'
interpreti filosofi. Il terzo
periodo degli studi
sul filosofo napoletano, se è
vero che ha
da risolversi logicamente,
come s'è detto, in
una critica filosofica,
doveva esser dischiuso propriamente da'
filosofi come quelli
i quali, più
che fer- marsi alle applicazioni,
costumano anzi risalire
ai prin- cipii e
alle ragioni di
esse. Or le
ragioni e i
principi! ( della Scienza
Nuova giacciono sparsi,
quasi germi fe- condi, nelle opere
latine del nostro
filosofo ; e a queste vediamo accennare
più spesso, e
ad esse volgersi
più che ad altro
la mente degli
scrittori che noi
verremo adunando ed esaminando
in questo terzo
periodo. Primo di tutti,
infatti, al Libro
Metafisico ricorre r illustre ROVERE; e,
trovatovi il criterio
del vero e del
fatto che è come il
nodo vitale di
tutte le teoriche vichiane,
nel Binnovamento dell'
antica filosofia I italiana
viene applicandolo a
quella dottrina ch'ei
disse della hvtuijsione. Sennonché,
un criterio qual è questo di
valore essenzialmente universale,
come vedremo, un criterio
che nelle più
elevate questioni di
metafisica assume qualità e
forma di principio;
nelle mani del
filosofo pesarese invece piglia
natura e proporzioni,
per cosi dire, di
norma psicologica, o
ideologica che sia: né
quindi ebbe torto
il Rosmini se
in cosiffatto innesto operato dal
Mamiani vide annidarsi
difetti non pochi, né
lievi magagne, confessate
oggi tacitamente e
nobilmente dall' autore delle
Confessioni d’un metafisico. Vedremo a
suo luogo se
quando Vico propose
quel criterio, non intendesse
né punto né
poco uscir da'
termini della Intuizione, come
allora pensavasi '1 Ma-
miani.* Il quale, ove
oggi tornasse a
parlarne, certo ne discorrerebbe
in ben altri
sensi e co' riguardi
di buon platonico, più
che di filosofo
naturale seguace della filosofia del
comun senso, al
modo che con
sì acceso entusiasmo prese
a fare trentacinque
anni addietro.* Del •
Vedi Del Rinnovamento
della FU. antica
Itah, Parijri. 1 Difatto
nelle Con/esnoni ROVERE designa il filosofo napoletano come il
vero e ardito
rinnovatore della teorica
delle idee, ma non
dice come, non
dice perchè, e
non giustifica in
alcun luogo ed in
vernn modo tale
affermazione. Nò Teramente
il poterà, stantechè rimanente il
merito a cui
egli può e
dee pretendere panni questo.
Primo d' ogni
altro ei richiamò
alla mente degl'italiani non
pur la dottrina
su l'anzidetto criterio, ma
eziandio alcune teorie
cosmologiche sparse nel libro
De Antiquissima Itàlorum
sapientia. Tale si è
quella de' punti
metafisici come generatori
di solidi, in quanto
ci significano una
forza unica che
in ciascun corpo meditiamo
sotto la concezione
d' un punto:
tale queir altra su
la continuità che
questa forza infonde
a tutte cose: * tale anco
la idea del
conato motore iden- tico per tutto:
tale il concetto
della incomunicabilità del moto
onde ogni particola
materiale si può
dir che possieda in
proprio il principio
motivo già ricevuto
da tutto il subbietto,
talché il moto
sia da ritenere
per al tutto spontaneo:'
tale, finalmente, l'idea
della impos- sibilità del vuoto
assoluto, e 1'
altra che il
divisibile accusi r indivisibile,
l' indefinito e l' immutabile
in seno alle fenomeniche
e divise realtà.' Ognun vede
quanto ROVERE del Rinnovamento
cogliesse giusto in
queste idee cosmologiche
di VICO. Dopo trenta e
piii anni però
egli è ritornato
a parlarne, ma troppe
cose nella nuova
cosmologia scordandosi della vecchia. Ristringendoci infatti,
per ora, al
concetto isto- rico, se
dell' antico maestro
invocato sei lustri
innanzi ei pur si
rammenta, se ne
rammenta sol per
addolorarsi anch' egli che
il Vico fosse
stato l' autore della
dottrina Corsi e
ricorsi storici (malaugurata
dottrina!) né sa darsi
pace pensando come
mai nella mente
di quel sommo tal
gravissimo errore fosse
potuto capire. Al
contrario oggi egli stima
d'aver gettato le
basi alla filosofia storica, mercè
l' idea dell' finità
organica del mondo isterico. Ma,
diciamolo con buona
pace dell'illustre U sua
teorica neopIatoDìca delle
idee sia diametralmente opposta
a quella che, come
redremo, scaturisce dall*
insieme delle dottrine
richiane. Dd Rinnovamento^
ec pai|^. 297. nomo,
cotesto a noi
sembra ed è un concetto
assolutamente vìchiano. Per
tre fattori, infatti,
dice il Mamiani, il
mondo de' popoli forma
unità organica; e
sono questi: 1* natura
comune e perpetua
negli uomini; 2
È una relazione *
Vedi negli Atti dell’Accademia di
Torino, celesta, tra Kant e Vico,
della quale giova
tejier conto; e abbiam
voluto farlo citando
le parole del
valoroso BERTINI. CONTI, pensatore
profondamente cattolico e altrettanto
onesto e sincero
nelle sue convinzioni,
ha voluto consacrare intera
una lezione alle
dottrine del I nostro
filosofo nel suo
Specchio della storia
generale della filosofia. Chi
conosce i principi!
filosofici dell' illustre
ed elegante scrittore toscano
saprà indovinar subito
quale esposizione egli faccia
di VICO, e sospettare
in che senso ne
interpreti le dottrine.
Può dirsi eh'
e' sia il
rovescio degli hegeliani; perchè
si studia di
tirar tutto dalla sua
parte l' A. della
Scienza Nuova, segnalandolo
naturalmente com' uno de'
tanti anelli della
sua filosofia perenne. Io
non istarò qui
a negare ne
che il Vico
sia cattolico, né che
la critica del
prof, pisano sia
fatta male. Sarà anzi
critica savia e
coerente: ma è
tutto Vico della prima
maniera quello eh'
ei ci dà,
perocché niente vi sappia
discemere che non si ritrovi
più o men palesemente
in Agostino, in AQUINO,
in AOSTA, e simili.
Però in VICO nulla ci
é di nuovo,
nel senso del filosofo
samminiatese, salvo che il concetto
d'una filosofia civile. Né
potrebb' esser diversamente,
ammessa la maniera con
che suol procedere
in tale esposizione
cri- tica appoggiandosi per lo
pili in certe
aflFermazioni gene- rali e duttilissime
del nostro filosofo,
qual è, per
esempio, questa: Dio, com'è
U principio ddV essere,
così è anche del
conoscere. Quante mai
conseguenze non si
potreb- bero far rampollare da
cosifiatto principio ! Un giobertiano,
per esempio, vi
mostrerebbe com' ei
si sgomitoli tutto nelle
note formolo e
cicli creativi e
concrea- tivi assoluti e relativi
di cui al
solito egli ha
piena la bocca; dovechè
un hegeliano non
mancherebbe darvi pruova di
tal destrezza, da
sciorinarvi sotto gli
occhi a fil di
logica tutta la
rete delle sue
leggi dialettiche. In VICO c'è
parecchie di cpsi
fatte sentenze; né a CONTI
poteva riuscir difficile
tirarle alla sua
filosofia comprensiva. Ma egli
dice benissimo dove
osserva che i prìncipii
del Vico, anzi
che condurre al
panteismo, lo combattono; e
in ciò noi
conyeniamo pienamente. Or non
sarebbe stato mestieri
dimostrar come non
vi con- dncano e
conte lo possan
combattere? Consentiamo
altresì col dotto
scrittore in tutte
quelle saggio rifles- sioni eh' e' sa fare
su l'indole comprensiva
e storica del metodo
vichiano. Ma non
sapremmo concedergli che la
dottrina dei corsi
e ricorsi apparisca
solo nella seconda Scienza Nuova. È
quistione di fatto
eh' ei potrà risolvere col
ridar un' occhiata
al sommario della 1*
Scienza Nuova. Farà
male anche a
lui cotesta dibat- tuta e
combattuta dottrina; ed
è forse per
questo ch'egli procaccia di
trovar modo a
scusarne l'autore: ma,
più che scusarlo, avrebbe
dovuto e potuto
difenderlo. Crede anch' egli poi,
erroneamente, come FERRARI, che VICO
s'ispirasse alla teorica
delle monadi di
Leibnitz; ma contro il
Ferrari mostra, e
fa benissimo, quanto
il Vico fosse lungi
dal confonder la
causalità con l' identità
ideale. Finalmente osserviamo
che i principii
ond' il Vico resiste
al Cartesianismo e
che il Conti
riduce a tre, sono
da lui debitamente
interpretati, meno T
ultimo poco fa menzionato;
che Dio, cioè,
essendo principio dell' essere,
è anche principio
del conoscere. Accettando questa sentenza
accetta anco l' altra
tanto familiare al Vico,
per cui la
metafisica, la matematica
e l'etica siano da
Dio. Anche cotesta è
afi'ermazione generale, onde nnlla
può concluderai finché
non si giùnga
a mostrare come precisamente
accada che quelle
scienze rampol- lino da Dio.
Per ciò medesimo
accoglie e ripete
quel- r altro pensiero
che il sommo
della certezza risegga nella
metafisica; contraddicendo cosi a ciò
eh' egli stesso ana
pagina innanzi aveva
accettato da Vico: la
certezza somma potersi l'aggiugnere
unicamente con le matematiche. Bisogna
pur confessare che
con la sua critica
il Conti ha
lasciato il Vico
dove appunto l' avean A.
CoNTf, Storia della
Filotofich Firenze condotto,
per esempio, il
Duni, Tlannelli, il
Tommaseo, r Amari, il Rosmini
e tutti gl'interpreti
filosofi cattolici. E noi
non sapremmo fargliene
carico: con la sua
maniera di filosofare
non poteva far
diversamente. Anche
l'illustre Franchi, scettico
ingegnoso, one- stissimo,
sincero, e critico
furibondo, pare talora
siasi data la pena
di leggere qualche
libro del Vico;
e ne parla I
in due luoghi
neUe sue Letture
sulla storia della
filosofia moderna. È noto
come il Vico
più volte accenni
a Bacone, nella Scienza
Nuova, nel Libro
Metafisico, nel- ^ r
Orojsiotie sugli studi,
e fin nelle
sue Vindicue contro gli
Atti degli eruditi
di Lipsia. Lo
rammenta sempre con parole
amorose e riverenti,
annoverandolo, com'è noto, fra'
suoi maestri. Il
valoroso Ausonio reputa
esagerati cotesti elogi, massime,
die' egli, quando
si pensi a GALILEI.
Non possiamo qui
intrattenerci sul valore speculativo di
Bacone: il divario
e le somiglianze
fra lui e il
nostro GALILEI accennammo altrove.*
Ma gli elogi
del Vico al filosofo
che primo ebbe
coscienza della teoria sperimentale (dico
della teoria) non
dovrebbero parere esagerati a
nessuno: Franchi anzi
avrebbe dovuto chiamarsene contento,
se avesse badato
all'indirizzo sto- rico e però
sperimentale cui è
tutta volta la
Scienza Nuova. Né qui
giova gran fatto
invocar l'autorità di Cartesio,
dicendo ch'ei fece
appena menzione di
Bacone; del Newton che
noi nominò mai;
del Locke che lo
citò solo una
volta, non come
filosofo, bensì come storico. Questa anzi
è una ragione
di più per
apprez- zare gli elogi che ne fa VICO. Qual
è il motivo
princi- pale onde r autore
della Scienza Nuova
encomia tanto spesso r
autore del Nuovo
Organo? Questo, parmi;
l'esigenza in Bacone a
dimostrar con esperimenti
la verità già concepita,
e quasi preveduta
col pensiero.* La
ragione dunque ond' al
Vico piaceva Bacone,
ci mostra com' egli
sapesse intendere e
pregiare la mente
del filo- [Vedi la
nostra memorìa su GALILEI. Bologna.
Vico, Vindìeke^ nve
NoUb in Ada
erudiUìrvm lAptitnna] sofo inglese.
E dico intendere
e pregiare, perciocché -egli non
iscorgeva nel Nìmvo
Organo quel rachitico sperimentalismo che
ci san vedere
i positivisti, e
per cui solamente e
con tanto calore
costoro invocano a
maestro il conte di
Sant'Alban. Di che
proviene poi un'altra
ri- flessione ; ed è
che dalla citazione
di VICO testé
riferita è manifesto, come
gli sperimenti non
sieno la sorgiva, bensì la
riproduzione, la conferma
di ciò che in qualche
' maniera si è
innanzi concepito ;
e per cui
i diritti dello spiritò
restano salvi di
fronte a qualsiasi
forma d'empirismo. D'altra parte,
poiché senza sperimenti
ciò che s'è speculato
riesce al tutto
sterile e vuoto,
ne segue che
non senza buone ragioni
nella Scienza Nuova
il metodo di iilosofare
del Nuovo Organo
è detto essere
il metodo più accertato.
Avea dunque torto
il Vico nel
profondere •encomii al Gran
Cancelliere? Esagerazione é
il dire, nell' Autobiografia, essere
stata grande fortuna
per lui aver avuto
notizia del libro
del Signor di
Verolamio? Ma e' é
di pili. Il
Franchi reputa Bacone
padre di quella storia
che l' autore del
nuovo Organo disse
letteraria, e senza cui
la storia del
mondo pare vagli
come la statua* di
PoUfemo priva dell'
occhio. Or come
va che l' acutis- simo critico non s'
è accorto esser
la Scienza Nuova
pre- cisamente cotest'
occhio dato dal
Vico al Polifemo
di Bacone? E non
é ella cotesta
un'altra relazione fra' due filosofi? E
non è in
questa relazione appunto
il motivo degli encomii
esagerati? FRANCHI parla di VICO anche
a proposito del
Cogito di Cartesio.
È noto come l' autore della
Scieìiea Nuova, ragionando
di questo cri- terio, facesse menzione
altresì del detto
di Sosia: quum cogito,
equidem certe idem
sum qui semper
fui. Ne parla €ome
fatto inconcusso inverso
a cui le lance dello
Scet- ticismo, per
acutissime che paiano,
rimangono spuntate appunto perchè
il dubbio, essendo
anche pensiero e quindi
importando identità personale,
racchiude certezza. Il Franchi
domanda (e nel
domandare, dà segno di
stupire in che
maniei'a la penna
d'un Vico abbia potuto
scrivere tali enormezzel):
che cosa mai
ci ha che vedere
il motto volgare
di Plauto col
principio filosofico di Cartesio?
Ma, buonissimo e
valoroso Au- sonio, trattasi per
T appunto di
questo I La
posizione Cartesiana è ella
davvero un principio,
o no? È egli
un vero,
o non piuttosto
un certo? Tra i
filosofi vi è
anche MAZZARELLA, che in
quest' nltim' anni
ha parlato di Vico
nella sua Storia della
Critica, e ne
ha considerato l'ingegno
critico in relazione alla
critica anteriore e
posteriore all'autore della Scienza
Nuova. Con la
solita chiarezza e
sempli- cità e dirittura di
pensiero egli ha
saputo mostrar che cosa
rappresenti il filosofo
di Napoli nella
Storia della Critica :
!• il disprezzo
della critica meramente
erudita: 2 zioni poco fa
rammentato, niun altro
fra noi ha
parlato del Diritto
Univermle tranne roi:rregio prof.
Luchini nella sua
Critica della penalità^ condotta secondo
i principii del
filosofo napoletano. Egli
ha messo a
riscontro ia dottrina del
Nostro con le
teoriche di Kant,
del Bentham, di ROMAGNOSI, di ROSSI e
della Scuola toscana,
e se ne
dichiara seguace. Vedremo nella
«Socto^ofTtd s'egli siasi
apposto nello mterpretar
la teorica della penalità
dell* autore del
Diritto Univtrtale, anteriori. Di
fatto, porre a
fondamento della società
un doppio bisogno materiale
e morale, eh' è
dire l'istinto al bene
essenzialmente morale e
all'utile tolto nel
significato di equo-buono; dimostrar
Funo anteriore logicamente all’altro e
questo mostrar co'
fatti anteriore a
quello per sola ragion
cronologica; trame quindi
il principio giuridico ed
etico d' una doppia
società (soci^as veri e
sodetas (squi-boni) ;
far consistere la
natura d'entrambe in uno
scambio di beni
materiali e morali
fra gì' indi- vidui; porre il
concetto di giustizia
come proporzione onde questi
beni vonn' esser distribuiti,
ri che quan- d' anco
non esistesse un
bene di genere
morale ma solo
beni materiali ci
avrebbe a essere
ciò nullamanco una misura
secondo la quale
siffatti beni devano
andar ripartiti, e quindi
la necessità del
medesimo concetto di giustizia
anche nelle attinenze
puramente materiali fra gli
uomini: presentare siffattamente
la scienza del
diritto, dice il Franck,
vuol dire creare
addirittiu*a la filo-
' sofia delie relimoni
civili e sociali,
la benintesa Sociologia. Due sono
perciò le regole
fondamentali dell'umana condotta che
scaturiscono da'principii di VICO:
operare di buona fede
rispettando la verità
in tutto, ed esser
utile ai propri
simili. ("onvien
confessare, diciamolo di passata,
che ove il
Franck avesse tenuto conto
principalmente di questi
criterii, non avrebbe speso
molte parole a
biasimare il Vico
a proposito del- l'esagerato concetto
che questi ebbe
intorno alla carità, la
quale talora, com'è
noto, egli confonde
con la giustizia. Altro pregio
insigne di questo
scrittore è l'aver
sa- puto cogliere i veri
principii del Diritto
punitivo del ' nostro
filosofo, mostrando com'
egli, col tener
d' occhio nella sua dottrina
non pure il
colpevole ma anche
i diritti e gì'
interessi della società,
compia nel medesimo tempo le due opposte
teoriche penali; quella,
cioè, dei sistematici platoneggianti che
nel comminar la
pena mirano soltanto all'
ammenda del colpevole,
e l' altra degli ntilitarii
e positivisti che
della parte morale
non ^ sanno tener
conto, ne punto,
ne poco. Ma
sopra tale argomento ci
rifaremo altrove di
proposito. Seguitando
intanto, parmi che
il pregio massimo
della crìtica di questo
scrittore stia nel
modo col quale
considera i principiì
delia politica; prìncipii
che, quantunque nello stato
di germe, possiamo
rintracciare nel Diritto
Um- versale. La politica
del Vico, egli
osserva giustamente, è tutta
fondata sul Diritto,
ma in armonia
con la storia. Sentenza verissima
e feconda, che Franck avrebbe dovuto rifletter
meglio dove censura
il Nostro per
alcune applicazioni eh' ei
venne facendo alla
storia. Laddove il Vico,
egli dice, s' accinge
ad applicare il
metodo allo studio del
Diritto, urta evidentemente
ad un doppio scoglio
; da una
parte, quand' egli
chiede soccorso alla sola
ragione, risica di
confondere e spesso confonde il
dominio della giurisprudenza con
quello della metafisica; dall'altra
poi, quando chiede
aiuto alla storia, altro
non fa che
aggirarsi in mezzo
alle istituzioni e ai
destini del popolo
romano, quasiché la storia
di questo popolo
fosse la storia
universale. In altre parole
il Franck dice
così: VICO da una
parte , svapora nell'a priorismo
e dà nelle
astrazioni; mentre poi dall'
altra intoppa nell'
empirismo. Il Franck dice
benissimo. Nel filosofo
napoletano questa doppia tendenza
è manifesta. Ma
anziché difetto cotesto, perché
non dirlo pregio?
Non é egli
stesso, in- fatti, che non
rifinisce d'incelare il
metodo vichiano appunto perché
consiste nel connubio
della filosofia con la
filologia, della metafisica
con la giurisprudenza, della ragione
con l'autorità? Or
l'esigenza d'un doppio
organo, d' un doppio strumento
nel metodo, non
é la condizione legittima, e
propriamente la parte
vitale d' una dottrina, doveché
gli errori d' appUcazione hanno
valore Affatto secondario? Il
non aver poi
riflettuto a questo ha
fatto sì che
il Franck giugnesse
ad una conseguenza non vera,
dicendo che il
Montesquieu, quant'al metodo, vinca
e superi il
filosofo italiano. Paragoni,
somiglianze, analogie, riscontri fra
questi due scrittori
non sono possibili. Montesquieu
non ebbe neanche
sentore àeV n metodo
vichiano; ed ecco
perchè l'opera su
lo Spirito ddle leggi
non è una
filosofia della storia,
non è la
Scienza Nuova, né quindi
credo che lo
scrittore francese siasi ispirato né
punto né poco
neir italiano, come
inchine- rebbero a supporre Lerminier, Carraignani,
Amari ed altri. Il
senso delle storicità,
come primo fra
tutti osserva FERRARI, manca affatto
nel Montesquieu; e manca
in lui, come
tutti oggimai ritengono,
il compi- mento razionale filosofico;
vi mancano insomma
i principii, 0, per dir
la parola che
usano gli stessi
Francesi a tal proposito,
vi manca il
carattere détta raziofialità. ^j L' ultimo libro
nel quale si
parli cou serietà
scien- tifica del nostro filosofo,
è quello di Ferron,
ingegnoso e abilissimo filosofo.
Nessun francese meglio
dì 1 lui ha
saputo cogliere il
significato razionale della
Scienza I Nuova, comprenderne
il metodo isterico,
e pome l'autora in
quel seggio che
gli spetta fra
i pensatori dell'
evo moderno. Tracciata la
storia dell'idea del
progresso,^' egli entra a
discorrer su la
scienza de' fatti
storici qual' era concepita
prima di VICO,
sul DIRITTO ROMANO rispetto alle
dottrine di lui,
su la Scienza
Nuova di fronte alla
critica moderna, e
con erudizione eletta, acconcia, sobria
e non affollata,
prende a trattare
la ' Il Canuignani
dice benissimo dove
affernia che il
metodo del Mon- )
tesqaien rassomiglia al
microscopio, in mentre
che quello del
Vico rende imagine del
telescopio. (Storia della
FU, del Diritto)
Che poi il difetto
di razionalità costituisca
la parte debole
deiropora del filosofa francese, è
cosa ormai detta
e ridetta e
provata fino dal
secolo passato, e confermata
sempreppifi dai moderni.
Non potendo trattenerci
in questi particolari, rimandiamo
i lettori al
giudizio che in
proposito danno i seguenti
scrittori, e che
torna conforme al
nostro espresso poco
fa: Duxi, Saggio mila
Giuritpr. univ.,
FlLAKOlRRI, Se. della
Legialaz.^ lotrod. MaCKINTOSH, Vige,
nur Vétude du
Droit de la nature, ec. — RoTTBSKAg, Emil, Fra
i moderni poi
cons. Lebminirr, Biat,^ ginér, Barkt,
Hiwf. dea idéen morale»
et politiquea en France —
Jakrt, Hiat. ec.
yol. II, pag.
516. — DaFAO,^; De
la méth. d*olaervation
aux aciencea mor. et poi.,. Qneit* ultimo
anzi dice mancare
affatto nel Montesquìon
una teorica. quistione su
Tetà dell'oro, e
l'altra su T orìgine
e sul valore de'
poemi omerici. Il buon
senso di Ferron nel saper
rilevare in siffatte
quistioni il merito
del no- stro filosofo a
me sembra davvero
mirabile. Con dirit- tura di giudicio
intende la relazione
fra il diritto
civile e '1 diritto
filosofico ; e
con tal chiave
nelle mani riesce ad
interpretar debitamente la
storia ideale che l'
autore della Scienza Nuova
seppe cogliere nello
svolgimento del gius romano.
Uno per lui
è il sistema
del Vico; onde
le due Scienze Nuove
non sono da
riguardarsi altrimenti che come
detix rédadions éCun
ménte sujet: al
che do- vrebbe por mente
il nostro Cantoni.
Ritiene egli pure che
lo Champollion non
discoprisse, bensì confermasse pienamente la
dottrina del Vico
su la storia
della scrit- tura, tale essendo
infatti la triplice
scrittura egiziana
geroglifica, jeratica e
demotica. Dimostra ch'egli
prima d'ogn' altri ritrovò e
compose in armonia
parecchie dottrine accettate oggi
e rassodate difinitivamente dalla scienza, quali
sono, per citarne
qualcuna, la formazione del dramma
satirico riguardato come
sorgente d'ogni poesia drammatica,
l'anteriorità del linguaggio
poetico al linguaggio prosaico,
e simili. Da
ultimo fa rilevare come, non
contento d' avere scoperto
la legge secondo cui
si vanno svolgendo
nel corso isterico
le grandi ci- viltà nonché le
forme semplici del
reggimento politico,
profondasse la mente
nel ricercare e
determinare il carattere d' un'
epoca anteriore alla
città ed alle
ari- stocrazie feudali,
epoca che costituisce
appunto l'età divina. La
quale osservazione, fatta
da un francese, dovrebbero oggimai
spassionatamente meditare i
posi- tivisti francesi che non
rifiniscon di celebrare
la sco- pei'ta della
legge sociologica del
loro maestro! Ma nel
De Ferron incontriamo
riflessioni che non ci
è venuto fatto
ritrovare in verun
critico. Base della città,
die' egli, fondamento
del formarsi delle
nazioni per r A.
della Scienza Nuova
non è Y
istinto della so- ciabilità, come credevano
i giusnatnralisti suoi
contemporanei. Se tale
istinto può aver
creato la iaiiiiglia
e le tribiì, non
però basta a
fondar la città ,
non riesce a condurre
un popolo ad
una data costituzione
poli- tica. È necessaria dunque
una l'orza estrinseca,
senza cui r uomo
rimarrebbesi nello stato
pastorale. Ora co- tal
forza estrinseca e
tutta naturale consiste
nel fatto del successivo
migrare delle tribù
da alcuni centri;
nel loro successivo aggrupparsi
in dati luoghi;
nel fissare lor sedi,
ond' è resa
possibile l'agricùltura; e
finalmente) nel fatto delle
conquiste, le quali
hanno virtù di
creare e rendere sempre
più stabili e
quasi organiche le
nazioni sedentarie. Tutto questo,
dice benissimo il
De Fer- ron, scaturisce
a fil di
logica dalle dottrine
del Vico. Diciamolo ora
con parole nostre:
l’organismo sociale, la società, è
da natura; è
nella natura: l'organisiifo
dello Stato, in vece,
è sottoposto a
processo ; questo
processo tiene ad arte;
ma quest' arte
è fondata aqch'ella
in natura. La relazione
storica, dunque, ecco
il concetto del Vico
che il De
Ferron ha interpretato
a meraviglia. , Altra
osservazione assai notevole
parmi questa. Non v'è
stato né v'
è, die' egli, chi
i;on abbia celebrato
il filosofo di Napoli
qual padre della
filosofia della sto- ria; mais on
se garde d'exposer
sa méthode historique, aristoteliemie, i
cui principii son
oggi venuti applicando
, in diverse ricerche
storiche Macaulay, Michelet,
Guizot.' Con queste
parole il De
Ferron mostra d' aver pienamente compreso
il metodo della
Scienza Nuova; metodo essenzialmente aristotelico,
checché ne abbian' detto
e si piaccian
dire certi hegeliani.
Ed ecco per- ché egli
s' allontana da
parecchi altri critici
nell* ap- prezzare il concetto
vichiano sul progresso;
rispetto al quale consente
con Y anonimo
traduttore francese, col Tommaseo,
con lo Spaventa
e con altri,
per citare qui '
È uno de'
principii su' quali
è fondata la
Sociologia del Comte
e ch'eglif spesso appella
contenBo, cospirazione {Coum
de PhiU posity
voi. V). Sarà anche
questa una scoperta
del Positivista francese?
Db Ferron, tre
nomi che, quantunque
discordanti nel resto,
con- vengono ciò nondimanco nel
credere che in Vico
esista r idea del
progresso. E a
chi neghi o
dubiti che cote- sto concetto ritrovasi
nella Scienza Nuova,
il De Fer- ron
è pronto a
rispondere: cela parati
impassible a PRIORI, car
le progrès décovUe
de son sy stèrne;
mais en otUre U le prodame
formellemeYU} Si dirà
che il Vico non
vide 1' elemento,
la molla principalissima delprogresso,
cioè la trasformazione dei
rapporti econo- spirito.
Uno de' suoi
pregi, come s' è
detto, è la
posi- zione del pensiero qual
inizio di scienza
indipendente da ogni qualunque
autorità : ma
di ciò, com'
è noto, Cartesio non
può vantarsi d' essere
stato primo divul- gatore e sostenitore
nel regno della
scienza.' Vero pregio, pregio
massimo dell'autore delle
Me- ditazioni sta neir aver
considerato come originaria virtù dell'anima
l'attività stessa del
pensiero; aver posto r
anima come il
pensiero stesso, e
però come sog- getto e
obbietto.' Senonchè il
pensiero per lui
non era altro che
rappresentazione, e, come
tale, unione a dir
cosi meccanica, incosciente,
immediata di due
oppositi elementi,
dell'universale e del
particolare, dell'infinito e del
finito. Come dunque
potev' egli riuscire
al vei'o or- ganamento del sapere
filosofico, posto un
fatto empirico, Dt$c et
le Cartinanimne, Introd.
Franchi, St. detta
FiL mod., Tol.
1, letlnrs Jaitbt, (Euw,
phiL de LeibnitZj
ToL I., Introd.
—Trn- mtiiAinf, Su ddla
FU. La riforma cartesiana,
cosa arvertita presso
che da tutti
gli storiografi, non giunse
nuova fra noi,
tanto clie la
si riguardi come
rinno- ramento filosofico, quanto
che come reazione
scolastica. ATevamo avnto già
PETRARCA, poi VINCI,
la scuola Telesiana – TELESIO (si veda), poi
la scuola Galileiana – GALILEI (si veda). (Vedi Libri,
HUt. de» •eienc,
math., ~ PncoiiroTTi,
Sl della Med,^ voi.
ult.) Potremmo dire altresì che
TAconzio, come osserva
giustamente il Franck
[Diet, de» »eiene.
phiL) fosse stato
in ITALIA il
devander \ del metodo
cartesiano. Avevamo avuto
anche BRUNO; e segnatamente CAMPANELLA, le
cui opere non
dovettero esser del
tutto ignote a
Cartesio, come nota il
Bitter {Hi»t. de
la phU. mod.).
Ma anche qui, al
solito, s* inciampica
neir esagerazione quando si
vuol risalire fino a
sant'Agostino a ripescar
1* antecedente del
pronunziato Cartesiano ! Nò
io mi
ci vo' opporre,
sapendo che in
quel Santo Padre
e' è pur
troppo r esigenza cartesiana
(Vedi per es.:
De Lib. Arò.,
e spe- cialmente De Civii.
Dei). Ma il
valore della posizione
è tanto diversa ne*
due filosofi, quanto
diversi i tempi
in ch*ei vissero, trattandosi ben
più che di
certezza d'esistenza. Il
Cousin poi, com'è noto,
va fino al
No»ee te ipeum
di Socrate !
Contentiamoci di questo,
che non è poeo:
un eclettico ne
potrebbe far di
peggio. • DiBOARTBS, Médit., Lettre», U
II, U». Obi.
répotue», I, 4. posta
una dualità empìrica?
E in che
maniera spiegare nel pensiero
l'unione del finito
con l'infinito? Ma che
davvero l' idea di
Dio sia innata
e a priori
nella nostra mente com'
egli stesso afferma,
* al modo
eh' è innata, non
nata, cmmcUa l' idea
di noi medesimi
(ciò eh' è proprio la
novità di Cartesio)
è ancor cosa
da dimostrare. È ella
possibile nel nostro
pensiero l'idea dell'infinito veramente detto?
L'essere adegua il
conoscere, dicono certi interpreti
hegeliani; e poiché
nel conoscere v'è r
infinito, il pensiero
è dunque infinito
: ecco la
novità vera di Cartesio,
su la quale
s' imbasa propriamente la filosofia
moderna. — Ma
il pensiero è egli propriamente l'essere, come
si vorrebbe darci
ad intendere? Non potrebbe
stare che cotesta
fosse un'affermazione arbitraria di
Cartesio, fatta legittima,
più che altro,
dal desiderio, nonché dall' artifiziosa interpretazione che
gli hegeliani porgono all'entimema
cartesiano? Diranno non ci essere
artifizio di sorta
in questa loro
inter- pretazione. Ma non è
forse egli stesso,
Cartesio, il quale a
chiare note ci
dice in che
senso parli d'innatismo, afiermando, la
natura stessa averci
fornito d'una facoltà mercé
cui produceìido queUPidea
possiamo conoscere Dio?* Checché
ne sia, era
d'uopo rivedere, chiarire
e correggere in gran
parte la posizione
cartesiana del pensiero. Questo
quant' al Descartes,
come iniziatore del novello
indirizzo. Quanto poi
agli esplicatori del
Carte- sianismo, in
generale, era d' uopo
restituire alla scienza'' il
concetto delle cause
finali invocando segnatamente lo studio
della storia; porre
l'assoluto come obbietto •
Descartes, Médit. 8«.
Vedi nella Troinhn.
oljection9f Z" Rép,
: e nella
Rép. à M.
Begiut. Non ignoro che
nella Meditaz. 3^
e 5" egli
dice apei-tamente, Tidea di
Dio essere innata
in quanto ci
^ imprenta da
lui medesimo. E
qoi è chiara la
contraddizione tra ciò
eh* egli afferma
in queste Meditazioni, e le
illustrazioni ch’egli stesso
ne dà nelle
Risp. alle obbiezioni
poco fa indicate. Bisogna
dunque levarla di
mezzo tale contraddizione; è
fuori dubbio. Ma perchè
pretendere di leTarla
con T identificare
Dio e pen- siero, facendo contro
cosi a tutte
lo esigenze della
metafisica cartesiana ? anziché
come principio di
ricerca; accomunare in un
subbietto dinamico universale
tanto la costituzione
del mondo fisico, quanto
quella del mondo
morale ; e
quindi statuir le norme
d'un metodo non
geometrico, non puramente psicologico,
né assolutamente a
priori nella, costruttura della
Scienza Prima. Questo per
V appunto presero
a fare il
Leibnitz in Germania e,
poco appresso, VICO IN ITALIA. Non vorrei
che i
lettori stimassero inconcludente
il ravvicinamento di questi
due nomi, e
inutile e vuoto
un riscontro delle loro
dottrine. Non è
cotesto, intendiamoci, uno
de' soliti riscontri onde
rigurgitano certi libri
odierni appo cui non
di rado si
dà per concreta,
storica, reale un'attinenza meramente logica,
o ideale che
sia. Il riscontro
tra il filosofo di
Napoli e il
filosofo di Lipsia
è tutto ideale
; ma la ragione
di esso pone
radice, meglio che
in qual- che riposta e
fatai legge dialettica,
in queste due
ragioni principalmente: !• nella
forma e natura
stessa di lor mente
: 2* nelle
condizioni della filosofia
del secolo XVII. E
innanzi tratto ricordo
anche qui, non
esser possibile dimostrare che
il filosofo italiano
siasi ispirato nel
filosofo ) di Lipsia ormeggiandone
metodi e dottrine,
com' altri hann' affermato.' Nullamanco
l'affinità fra alcune
dot- [Vico ha coscienza della propria
posizione specalativa, e
sciente- mente opponevasi
alP esagerazioni ed
errori cui ruppero
le diverse dire- zioni e
scuole nate dair
indirizzo cartesiano. £gli
conobbe lo opere
di Spi- no}^, di Locke,
di Malebranche, e Tisi oppose.
Quant'a Spinoza, cfr.
Op. voi. QnanV a Locke,
Quant'al Malebranche, INon
è dunque niente
vero ciò che
è stato affermato
da un hegeliano che
il Vico, posto
eh* abbia speculato,
speculasse incoscia- mente e senz"
alcuna
relazione alla storia
della scienza. * In
tutte le suo
scritture ne rammenta
il nome appena
appena due volte a
proposito, non già
di qualche dottrina
filosofica, ma delle
controversie fra Newton e
Ldbuìtz. Una di
queste citazioni è
nella seconda Sa meth,,
ec, Leibnitz, Meth,
nova ditte, dpcend.
juritpr,, P. II,
§ 29. Amendne si
presentano al pubblico
con questioni di
metodo; ricerca degl* ingegni veramente grandi,
anziché da filosofi pedanti
e scolastici, come
si crede. ' Nella
Ragion degli Hudi
v' ha i
criteri per lo
studio della ginrisprndenza. * Vedi quant' al
Leibnitz Mimoire» de
VAeadfmie de Berlin^
voi. I,art. 1. '
Leibnitz, Xouv. Et», . il
sustrato della Scienza
Nuova, si che
vede svolgersi cotale idea
anche attraverso gli
antichi poemi. Quant' alla
fisica poi, alla
res extensa di
Cartesio, agli atomi fisici
del Gassendi, contrappongon
gli (domi di sostanza,
gli atomi metafisici,^
i punti, i
momenti me- tafisici e lo
sforzo impedito nell'essenza
stessa dell'uni- verso.' Per questa
medesima ragione entrambi
parlano linguaggio
somigliante circa la
natura delle matemati-i che. Di
fatti contro Cartesiani
e Hobbesiani Leibnitz mostra la
inefficacia di siffatte
scienze nelle indagini propriamente filosofiche,
e al di
là del calcolo
aritmetico e geometrico crede
esserci luogo ad
un altro e più
rilevante calcolo che
tiene all' analisi
delle idee; stan- techè
nella sostanza, die' egli,
ci abbia sempre
qualcosa d' infinito.' La medesima
insufficienza del metodo
geo- metrico scorge anche il
Vico in più
luoghi delle sue
scrit- ture; e lo reputa
difficile, anzi impossibile
alla mente del metafisico.^
Col che essi
anticipano alcune idee
di Kant in proposito. *
Lbibnits!, %ff. noìit;.
etc, Vico, Risp.
1« al GiomaU
de' Letterati, L*
affinità de*dne filosofi, come si vede, è
mirabile anche nel
linguaggio: punti metaJUici,
conato («VTf^i'X^'av)
tramezzante la potenza
e Tatto (Lbibkitz,
Op.), 0, come
direbbe il Vico,
la Quiete e
il Moto; per
cai la matte- ria, anziché passiva,
ò per entrambi
una forza viva. Anche
i punti matematici
per entrambi non
sono che simboli
de* metajitici; e
i punti jieiei
per tutt'e due
riescono indivisibili, ma
solo in apparenza. La
ragione poi ond*essì
adoperano la parola
punto è la
idede- sima; ed è,
che il punto
racchiude infinito numero
di relazioni. Finalmente si
potrebbe dir propria
anche del Vico
la nota sentenza
del Leibnitz: eonatue e*t
ad motum, ut
punctum ad epatium;
e pel Vico vedi
nelle Risposte al
Oior. de* Lett.). In
omnibu» èubetantiis aliquid
eet infiniti; unde
fit ut a
nobie per/ecte intelligi
potint sciite notionee
incompUtfr, qualee eunt
numeromm, figurarumj
aliorumque hujuemodi modorum
a rebus animo
abstractorum. Lkibxitz, Op., Vedi
neW Autobiografia, AìtroY e dice
che la matematica
è la più
certa di tutte le
scienze, perchè prova
per cause [De
Antiq, Ital.), ma il
metodo di essa
riesce esiziale, sterile
e pericoloso quando
si voglia adoperare nelle
altre discipline (Risp,
a Gaeta), disastroso
poi nella fisica, neir
educazione degT ingegni
(/&»', passim), utile
solamente neir ordinare anziché
nello scoprire (De
Antiq., Ital. Entrambi
poi riconoscono in
Dio le stesse
primalità: potenza, volontà, intelligenza;* e
se nell'uno troviamo il
principio che Dio
creando non possa
produrre altro che il
migliore e il
più perfetto de' mondi,
in Vico tale dottrina
si lascia argomentare,
come vedremo, dal- l' insieme delle
sue dottrine. Quant'
alla storia, V un
d' essi riconosce un
progredire continuo nel
tutto, e la possibilità del
regresso nelle parti;'
dovechè l'altro, meglio determinando
e dimostrando cotal
concetto, pone la dottrina
dé*c(/rsi e ricorsi
storici, in cui
sono racchiuse le idee
di progresso e
regresso, governati da una
medesima legge. Che
se è stato
detto esser d'uopo risalire, meglio
che al celebre
Discorso del Bossuet,
alla metafisica del Leibnitz
per ritrovare un
concetto spe- ! culativo
che fosse come
il vero antecedente
della filosofia della storia,
s'è detto giusto;
atteso che veramente
il filosofo di Lipsia,
col sommettere al
principio della ragion sufficiente l' ordine
delle cose fisiche
e morali, dischiuse la
via alla dottrina
del Determinismo universale,
perocché tutto per lui
si annodi nel
mondo, tutto si
corrisponda, tutto armonizzi. In Vico
veggiamo questa medesima esigenza
; ma nello
stesso tempo ne
troviamo la correzione.
Perciocché se anche
per lui il
passato è gravido del
presente, al modo
stesso che il
presente partorisce il futuro;
non tutto però
nel mondo delle nazioni
é avvinto a
leggi fatali e
cieche, perché nel regno
dello spirito vi è agli
occhi suoi la
ragione, v' è pur
la libertà, sicché
tutto il processo
isterico per l'Autore della
Scienza Nuova non
é altro, in
sostanza, j che la
soluzione del problema
della libertà, sia
che tu la consideri
negl' individui, sia
che negli Stati.
Dinanzi alla mente d'entrambi,
dunque, risplende chiara
la legge della continuità
nel giro de' fatti
umani e storici. Né
si creda che l'
affinità fra ^
i due filosofi
non si Lribnitz,
MonaU., Op., ediz.
Erd., Vico» De Univ.
Jur, Idem, Theod.,
8. * Idoin, eod.,
8. lasci scorgere altresì
nelle contraddizioni e
non di rado anche
nelle strettoie fra
cui gi resta
impigliata la coscienza religiosa. Ei
cominciano a scrivere
innanzi d'aver fissato, determinato
e organato le
proprie idee ;
di modo che, se l'
uno fin
quasi ai quarant'
anni, fino alla
com- parsa delle
Meditazioni,* va fluttuando
non libero da incongruenze, l’altro
va tentennando fino
alla terza edizione
della Scienza Nuova.
Onde non è
a meravigliare se tutt'
e due si
contraddicano quant' al
concetto di creazione ;
perchè, se V
uno ponendo la
moltiplicità delle monadi come
primitiva ed esistente
per necessità metafisica, dice
nullamanco esser Dio
quegli che sceglie r
ottimo fra i
mondi, e immagina
delle monadi create par
des fidgurcUiotis continudles
dalla divinità; l'altro poi,
stabihto il criterio della
conversione in senso
metafisico, non dubita parlarci
del miracolo della
creazione, e
dell'annullamento del mondo!
— Quanto aiprincipii, in generale,
si palesano entrambi
eclettici ; ma
è d' uopo intenderci nell'
applicar loro cotesto
nome. Sono eclet- tici appunto nel
significato e nel
valore che lo
stesso Leibnitz dav' a
tal voce; nel
qual valore ci
conferme- rebbero molte
sentenze del Vico.
Sono eclettici, io
dico, non perchè raccolgano
in un tutto
ciò che si presenta
come vero squadernato
ne' differenti sistemi,
eh' è precisamente il fiacco
e volgare eclettismo
sfornito d' ogni
originalità; ma sì
perchè, aggiugnendo anch'essi
qual- che altra cosa di
proprio, riescono a
comunicare novello impulso a
tutti gli ordini
delle scienze. Rispetto alle fonti
del conoscere, o
fondamenti del sapere,
alla doppia sorgente vichiana
del vero e
del certo risponde '
Meditationea de cognitionet
veritate et ideiti f
1684. Lribnitz, Monad,f Vedi
questa sentenza del
Leibnitz nelle Lettre*
à Rémond de
Montmort, edlz. Erd.,
e ne* Nouv,
£»»., Hb. I.
Nel Vico poi
troviamo molte affermazioni del
tenore seguente: Chi
ai trae fuori
da questi prin- eipii,
guardi clC ei non traggati
fuori deìV umanità,
E eh* egli
poi sia eolettico in
questo senso, anziché
nel significato voluto
dal Cousin, dal
ristica e popolare
col suo concetto
della monade. (La FU.
di Oiohertif ) Più chiaro
e più accoucio
di tutti sembraci
il modo col
quale il Chalibosus pone relazione
fra' successori di
Leibnitz. Kant, egli
osserva, col concetto della cosa
in s?, col
noumeno, nega Leibnitz;
la scuola di
Jacobi con r ide&
d* un contenuto
razionale accessibile solo
al sentimento, s' op- pone all'idealismo critico
di Kant, e nel medesimo
tempo all'idealismo
subiettivo di Fichte;
mentre la scuola
di Herbart col
realismo delle mo- nadi e
col realismo psicologico,
si oppone all'idealismo
obbiettivo e assoluto
di Schelling e
di HegeL (Willm)
Questi due gruppi rappresentano un
doppio svolgimento del
pari esclusivo del
concetto mo- Men fortunato
del Leibnitz il
Vico non ispiegò
gran- d' efficacia in Italia,
nettampoco in Europa,
per le ra- gioni ormai dette
e ridette da' suoi
critici ed espositori. Ma anche
in questo gioverebbe
guardarci dal cadere
in esagerazioni. Posta la
storia della Scienza
Nuova da noi tracciata, nessuno,
crediamo, vorrà più
oltre dubitare che l'azione
del filosofo italiano
fosse stata nulla,
così ne' suoi contemporanei, come
ne' suoi seguaci.
Legami intimi, vincoli speculativi
necessari, storici, nou
vi sono ;
e quindi è inutile
cercarvi continuità e
processo veramente detto. GENOVESI e GALLUPPI, per
dire un esempio,
tutto- ché non ignorassero, in
ispecie il primo,
le opere di
lui, scrissero non pertanto
come s' egli non
fosse esistito al mondo
mai. Verso il
sesto lustro del
presente secolo, in quella
che co' seguaci
di Hegel comincia
a declinare il moto
filosofico originale di
Germania, e in
Francia come in Inghilterra
odonsi i primi
rumori del Positivismo, vedemmo come
anche fra noi si cominciasse
a sentir più acuto
il bisogno al
filosofare. E cosi
il Mamiani (il Mamiani
del Rinnovamento), e
quasi nel medesimo anno
il Rosmini, si
provano a rannodar
gli anelli della nostra
tradizione filosofica, ma
con efficacia assai
lieve. E dico lieve,
perchè, quantunque ella
ingagliardisse vie più col
crescer degU anni
e col succedersi
de' nostri filo- sofi, non pertanto
pretendere di stabilire
in essa tradi- zione un vero
processo ed una
continuità logicamente
progressiva, a me
sembra vana impresa
e, fino a
certo punto, anche infruttuosa.
Giova ripeterlo: a
voler rin- tracciare alcun filo
di cotesta tradizione
in maniera positiva, ciò
è dire storica,
né soltanto ideale,
io per me non
iscorgo altra via
tranne quella che
noi abbiamo, anziché percorsa, additata;
intendo la via
che dal Vico
ci mena ai nostri
ultimi filosofi, ma
per mezzo de'
giusnatu- oadologico; ma vi
ò certamente un
progresso fra 1
rappresentanti del primo e
qaelli del secondo.
Vedi per le
notizie particolari di
questo periodo fllotollco tedesco
il Barohoc dr
Ponhoem, Hìh, de la Phil. depuU UibnitK
juMqu'à Hegel. —
BuuLE, Hi9t. de
la PhU,, voi. Vili. ralisti,
de'sociologisti, de'critici e
degli storici attraverso i
tre differenti periodi
già discorsi. Altre
vie ci saranno, io
lo so; ma
tutte artifiziali, tutte
pericolose, tutte vuote 0
rigonfie de' soliti
riscontri ideali che
agli occhi dello storico
e del critico
positivo valgono fin' a certo
segno. Con la qual
cosa non è
a credere che noi
pretendiamo dare alla filosofia
italiana caratteri e
prerogative eh' ella non
ha, né può
avere di fronte
a quella di
Grermania. Il professore Spaventa
osserva, che la
filosofia italiana non costituisce
processo, né assomiglia,
per così dire,
ad un filo che
si sgomitoli necessariamente e
razionalmen- te, com' é quello
che in organismo
vivente e palpitante annoda l' Idealismo
critico con l' Idealismo
assoluto, mercé l'Idealismo subbiettivo
di Fickte e
l'Idealismo obbiettivo di Schelling:
non é, in
somma, unevolturìone
strettamente logica, un
dispiegamento serrato, compatto, e
come chi dicesse
inquadrato e chiuso
tutto in sé
medesimo com' una severa dimostrazione
geometrica. Il professore di
Napoli dice benissimo.
Questo oggi dicon tutti;
e questo medesimo
ripetiamo anche noi.
Solamente chiederemmo: non potrebbe
stare che cotesto filar
compatto e processuale;
che coteste filiamoni
se- riali, com' ha detto lo
Spencer ai Positivisti
francesi; che, in somma,
coteste annodature organiche,
conside- rate (già
s'intende) nell'ordine istorico,
fossero per avventura altrettante
immaginazioni del nostro
cervello, meglio che relazioni
di fatto a
cui ci spinga
la ragione, meglio che
attinen/ie concrete in
cui ci confermi
la storia? Annodamenti, giunture,
articolazioni intime formano di
certo il pregio
massimo della Scienza;
costituiscono r essenzial condizione
del sistema ;
sono la vita della
ragione, avvisata come
funzione filosofica e
metafisica. Ma si vorrà
dire che tutto
ciò sia anche
pregio e condizione vitale
ove dall'ordine astratto
e teore- tico e individuale
si discenda in
quello delle applica- zioni e della
storia, per esempio
ad un periodo
storico nel quale ci
sia dato assistere
all'opera svariata di molti
ingegni, al lavoro
molteplice di più
menti fra loro diverse
per infinito numero di
condizioni, condizioni
differenti per luogo,
tempo, educazione, carattere
indi- viduale, e civiltà? È
egli pregio, di
grazia, o non
più veramente difetto il
prendere un dirizzone
e andare sino in
fondo diritto come
fil di spada?
E dov'è, dunque, la
necessaria moltiplicità di
direzioni, e quella
ricchezza d'aspetti
differenti, e quella
varietà di vedute
e di metodi e
dottrine in cui
risiede, a dir
proprio, il moto
e l' essere e la
vita feconda della
storia? I quattro
filosofi di Germania costituiscono, come
dire, una mente
sola, un sol pensiero;
formano quasi un
sol uomo che
svolga e deter- mini la propria
attività: e, in
effetti, come un
sol uomo essi hanno
saputo filar sillogismi
e tesser la
scienza cosi da comporre,
sto per dire,
una catena salda
e com- patta di soli
quattro anelli.* Per
contrario la filosofia italiana non
ci pone sott'
occhio nulla di
simile. Ella non è
un processo, o
al più è
un processo distratto,
rotto, saltellante, fatt'a pezzi
e a bocconi,
Qual relazione mai tra VICO e GALLUPPI?
tra GALLUPPI, SERBATI
e GIOBERTI? tra GIOBERTI e
lo scettico Fer?
fra Ausonio critico radicalissimo, e
il cattohcissimo Conti?
fra il neo- platonico ROVERE e il
severo storico BERTINI ?
fra' nostri Hegeliani e
i nostri redivivi
Tomisti? Riconosciamo francamente
i pregi del
periodo filosofico
germanico; e non
meno francamente riconosciamo i difetti
della nostra moderna
filosofia considerata sotto r
aspetto storico. Ma
ci si permetta
una confessione, ed è
che noi
saremmo tentati a
scegliere più presto
questi di- fetti, anziché que'pregi
; per la
semplice ragione accennata poco fa,
che gli uni,
nella mancanza d'unità
e d'un'euriti- mia stecchita
e geometrica, ci
presentano il fecondo
moto * Ecco come
il Remnsat riduce
quasi a forma
geometrica V andamento progressivo del
pensiero germanico, o
meglio, de* quattro
filosofi in discorso :
L* idea^ dice
Kant, non prova
che «d «fe««a
: l’idea^ ripigìiè Firkte^
produce Veuere: Videa,
soggiunte Schelling^ riproduce
V e«itcrc : V idf^, eondwe
Hegel,, > Vetsere.
(De la Phil.
ÀUem,) del fatto istorico,
dovecchè gli altri,
nell' evoluzione serrata e
compassata di loro
speculazioni, ci traggono
e e' incatenano allo
spirito dommatico, esclusivo,
unilate- rale del filosofare, e
perciò medesimo racchiudon
la morte del pensiero
appunto perchè presumon
di chiudere il circolo
dello stesso pensiero.
Non dimentichino gli
ama- tori de' periodi storici
filati e serrati,
come la storia della
scienza e delle
grandi età, presso
cui rifulse più splendido
il pensiero filosofico,
stia tutta contro
di loro. Si rammentino
che nell' età
gloriosa del Rinascimento
in Italia cotesto filar
sottile di speculazione,
cotesto fitto an- nodarsi di più
scuole e stringersi
e allacciarsi di
più filo- sofi
impersonandosi quasi in
un sol filosofo,
non ebbe luogo. Non
ebbe luogo, checché
se ne dica,
nel più celebrato periodo che
ci presenti la
storia del pensiero
umano, il periodo della
filosofia greca, né
prima né dopo
Socrate; ma in esso
il critico vede
una moltiplicità sempre
più crescente e feconda
da' primi Ionici agli
ultimi Stoici, agli ultimi
Scettici, agU ultimi
Neoplatonici, tuttoché quelle scuole
così differenti si
fossero succeduta sotto
l' impero d'una legge universale,
storica e psicologica
insieme. Questa legge conforme
alla quale si
venne svolgendo il
pensiero spe- culativo nelle scuole
greche, possiamo trovarla
accennata dal Laerzio (come
hanno osservato il
Brandis e il
Ritter) là dov^egli
afferma che presso quei
popolo la filosofia
sMniziò con la
nozione d*una pluralità^
indi venne progredendo con
quella d* un' assoluta
um'rà, e appresso
cercò di stabilire una
relazione fra' due concetti.
E questi caratteri,
in generale, ci additano
veramente la scuola
ionica e pitagorea,
la scuola eleatica e
poi quelle d'Anassagora
e d'Empedocle; ma
sempre in maniera
esclu- siva, grossolana,
oggettiva e naturale.
La comparsa di
Socrate segna un ricorto
della medesima legge,
ma con ben
altro significato e
indirizzo razionale. Accanto a lui vediamo
sorgere la Sofistica:
il che vuol
dire che, oome in
ogni ritorno istorico,
nel 2fi periodo
della filosofia greca
ha luogo un doppio
lavoro di demolizione
e di ricostruzione; l'uno
rappresentato da' Sofisti» l'altro
da' Socratici. Ond'è
che la sofistica
né vuol esser
avuta in dispregio, come' fanno
alcuni fra'quali il
Ritter, e nemmanco
esagerarne il valore e
l'importanza isterica secondochò
fanno altri, per
esempio l'Hermann, col porre
i Sofisti a
capo d'un periodo
novello di filoso- fare. Nella storia
del pensiero greco
(passaggio al 2o
periodo), tanto vale un
Sofista, quanto un
Socratico; appunto perchè
se la negazione
del primo non è
annullamento di speculazione,
l'affermazione del secondo
non Un vincolo storico,
reale, positivo, cosciente,
lo tro- viamo fra Platone
e Aristotele. Al
di qua e
molto più al di
là de' due
luminari non ci
ha che relazioni
ideali, gran numero delle
quali è, piò
che altro, l'effetto della critica
armeggiona di certi
storiografi; essendo già note
le spostature a
comodo che son
venute muli- nando certe fantasie
hegeliane dietro l'esempio
del maestro, ponendo, per
dime una, dopo
la scuola Zeno- niana
d' Elea quella d'
Eraclito, con aperta
smentita della storia, de'
fatti, della cronologia
e de' dati
storici più sicuri, e
considerando Socrate, per
dirne un'altra, come logicamente
posteriore ai Sofisti,
mentre è noto .come
il gran figliuolo
dell'umile Fenareta fosse
loro contemporaneo!
Rammentiamoci che cotesti
lambicchi e distillatoi, cui
si pretende sottoporre
la storia, non ti
può dir neanche
posizione sistematica, ovvero
esplicazione organica d'nn dato
ordln d' idee. Ma la ricostmzione
rappresentata da Socrate
è essen- zialmente
psicologica ed etica,
non più naturale,
empirica ed estrinseca
; stantechè in loi,
come incontra in
ogni ricorto ttoricOf
ripetesi il ca- rattere della pluralità
oggettiva (però come
eoncetH, i quali
importano la coscienza), e
quindi in Platone
ed Aristotele si
ripetono, ma trasfl- gorati, gli
altri due caratteri.
Platone infatti pone
V unità assoluta
in 8Ò, mentre che
Aristotele si studia
ritracciare una relazione
fra quel- la mmo e
il moluplieet sforzandosi
di levare il
dissidio fra 1*
immanenza deU*a8ffoInto nel mondo,
e la permanenza
del mondo neir
assoluto avvi- sato in sé stesso. Dopo
il *i0 la
Log, d^Ari»U^ T.
U, 19^. ' n
Barchou de Penho^ln
dice anche lui
non di rado,
come il Boullier,
qualche enormità tutta
francese. Per esempio
questa, che Cartesio, Spinoza e
Malebranche formino una
mrd4>nlmn icuofa^ e
una ntf^itm dot' trino/
— Vedi Op. cit.,
p. 101. discredere ad
ogni processo istorico
nel pensiero filosofico? Tutt' altro!
L'esigenza del processo,
in tutto, non è
meno salda e
men vivace nella
nostra, che nella
vostra mente. In noi
non sistematici assoluti
eli' è piii
vera, più legittima, più
pratica, positiva :
ecco la nostra
pre- tensione. Sarà puerile o
troppo ardita cotesta
pTeten- sione : ma,
fra tante pretensioni
che c'è al
mondo, e delle quali
si mostrano cotanto
ricchi gli annali
della filosofia, non ci
potrà capir anche
questa? Un processo
nel pensiero filosofico, tanto
nella storia universale
come ne' suoi differenti
periodi e sin
nelle diverse scuole
d'un sol periodo, ci
ha da essere;
e ci ha
da essere appunto perchè la
storia, anche agli
occhi nostri, è
sempre l'opera d'un disegno.
Ma poiché l'incarnazione di co-
testo disegno non è
soltanto effetto di
pensiero inco- sciente, ma è
la risultante di
condizioni molte, svariate, complesse per
numero e complicate
per natura, fra
cui signoreggiano le intuizioni,
prevalgono i sentimenti,
pri- meggiano le tendenze istintive;
ne seguita che
il processo non può
manifestare, come si
pretenderebbe, una forma squisitamente
organica e seriale,
Ei debb' essere incompiuto, com'
avviene d' ogn' altro
fatto storico. Or s'egli
è incompiuto, non
bisognerà pur compierlo?
E chi potrà compierlo,
chi potrà integrarlo
fuorché il pensiero che
lo studia e
sommette alla propria
speculazione? Un processo dunque
ci ha da
essere; ma ha da
essere insieme obbiettivo
e subbiettivo, storico
e specu- lativo, essendo l' opera
combinata non già
dalla nostra fantasia, com'
è vezzo di
certi storiografi che
annodano, per esempio, Cartesio
e Kant co' fili
ch'ei sanno mae- strevolmente rimaneggiare a
tutto lor profitto,
bensì r opera combinata
fra il pensiero
che fa, e
il pensiero che, facendo,
vede, scopre e
progredisce e sale
sempre più in su.
Spieghiamoci meglio. Non si tratta
di com- binare fra loro
le diverse menti
de' filosofi d'un dato periodo: si
tratta di combinar
tutto il periodo,
o, per lo meno,
i risultati di
tutta la speculazione
d' un dato periodo filosofico,
con noi medesimi,
cioè con la
nostra mente, co' bisogni
della presente speculazione.
Nel primo caso, plasmando
a nostra immagine
e simiglianza una data
serie di dottrine
e di filosofi,
la storia sarebbe fatta
da noi :
nel secondo, invece,
ella sarebbe fatta
mercè una doppia forza,
in virtù d'una
doppia leva; cioè
da sé stessa, e
anche da noi.
Non è quindi
la storia, la storia
come storia, quella
che possa e
deva render com- patto organando appuntino
il processo; il
quale perciò non può
esser costituito nella
sua forma organica
da più scuole e
da più menti
considerate queste alla
maniera d'una scuola od' una
mente; bensì dev'esser
fatto tale da chi,
venendo dopo, è
deputato a raccoglierne
l'eredità. Se non fosse
così che cosa
ne seguirebbe? Ne seguirebbe
che per nessun
miracolo al mondo
sapremmo salvarci da questa
conseguenza: che, cioè,
la storia della scienza
s' identificherebbe, si compenetrerebbe con la
scienza stessa;* e
quindi per inevitabil
necessità do- vremmo
giungere ad uno
di questi due
corollari: credere, cioè, o che
il sapore filosofico
1' avremmo oggi beli' e
conseguito, o che
noi conseguiremmo giammai, essendo indefiniti
i limiti della
storia. Dimodoché do- vremmo, com'è evidente,
imbrancarci o con
gli Hegeliani, ovvero co' Positivisti. E,
se co' primi,
non avremmo torto dijicantar
su tutt'i tuoni
d'aver già piantato
le colonne d'Ercole; né,
se co' secondi, c'inganneremmo menomamente nel
predicare illusorie le
speranze d' un sapere propriamente
scientifico e metafisico.
La condizione dunque
del processo istorico
del pensiero filosofico non
istà nell'esserci fUicusione
e continuità ne' suoi rappresentanti: basterà
che ci sia
svolgimento e progresso, e
quindi vincoli ideali
ove sieno impossibili gli storici;
i quali non
di rado è
impresa ben vana il
cercare, non potendo
esistere, o, pur
esistendo, non *
È questo, coni*
è noto, ano
de* dommi supremi
deU* Hegeliauismo, (Tedi Hrocl,
Logique) e del
Positivismo, tuttoché il
significato ne sia diverso.Vedi
CoirrB e Littbì
nelle Op. innanzi
citate. sarebbero che eccezioni.
Anche noi quindi
crediamo che nella storia
della filosofia c'è
attinenze; ma aggiungiamo che c'è
anche salti: e
se c'è attinenze
e salti, la
conse- guenza (conseguenza
buona solamente per
noi, anziché per gli
aggomitolatori e sgomitolatori
de' periodi storici) è
questa, che una
critica è necessaria;
necessaria una critica filosofica
atta a scoprire
le une, e
colmare gli altri. Tornando
ora al proposito,
nella storia della
filosofia italian«r ci è
salti, per esempio,
fra BRUNO e VICO,
fra VICO e GALLUPPI,
fra GALLUPPI e SERBATI e GIOBERTI: ma
non ce ne
maraviglieremo per ciò, sapendo
che se questo
non è pregio,
non può dirsi nemmanco difetto.
Poiché il punto,
ad ogni modo,
sta nel vedere se
tomi possibile scoprirvi
una progressione ideale; e
questa per appunto
debb' esser l'opera concorde de'
viventi filosofi, e
il frutto d' una
storia saviamente critica. Nulla infatti
è inutile nella
storia della scienza,
e tantp meno in
quella della filosofia.
Agli occhi dello storico
spiegano egual valore
tanto il moto
speculativo attuatosi dal Leibnitz
ad Hegel, quanto
quello che, pur con
varietà d'indirizzi, è
venuto effettuandosi fra
noi da VICO a GIOBERTI Nello
svolgersi di*questi due
periodi filosofici potremo verificare
una gran legge;
la legge medesima che
presiede alla storia
generale del pensiero filosofico. Mi
spiego subito e
in brevi termini,
anticipando un' idea che
altrove giustificherò. Platonismo
e Aristote- lismo sono due
parole di significato
altamente compren- sivo per la
storia della filosofia
occidentale. Non solamente elle racchiudono
una legge che
ritrae la natura del
processo isterico della
filosofia, ma cotesta lor
legge è anche principio,
un principio d'indole
teoretica. Non v' è
infatti, né v'
è stato filosofo,
il quale non
si possa dir seguace
dell' uno o
dell' altro indirizzo,
ovvero d'entrambi, ma accordati
e accostati insieme
in uno de' tanti
modi tentati e
ritentati già fino
da antico, a contare
da CICERONE a BOEZIO, da BOEZIO
a BESSARIONE, e dagli altri
molti che nel
Rinascimento si provarono in
simili accordi, fino
al Rosmini. D'altra
parte chi pigli per
poco a filosofare
con serietà scientifica
anziché da burla, come
par che vogliano
fare oggi critici
e positivisti, non può a meno
di non riconoscer
nelle cose un fondamento
assoluto. Ora tal
fondamento assoluto non può
esser posto tranne
che in uno
di questi tre
modi: o nel senso
dell' idea platonica,
o nel significato
della cate- goria aristotelica, ovvero
in una terza
maniera nella quale tomi
possibile un accordo
fra l'esigenza dell'uno,
e quella dell' altro
indirizzo. Qual debba
esser la natura
di tale accordo e
come porlo in
opera, diremo altrove.
Qui giova avvertire che
siffatta legge non
solo racchiude il
nodo, per così dire,
della storia della
filosofia, tanto guai-data neir insieme
del suo svolgimento
universale quanto nei suoi
particolari periodi, ma
costituisce ad un
tempo la vera scienza
della storia del
pensiero speculativo, appunto perchè forma
il triplice aspetto
sotto cui può
esser con- siderata in sé
medesima la mente del
filosofo nella soluzione del
problema metafisico. Si
dirà per avventura che
cotesta maniera di
considerare la storia
del pensiero filosofico sia
merce hegeliana? Può
darsi che in
appa- renza la si dimostri
tale. Ma fin
d'ora avvertiamo che cosiffatto principio
è superiore all' hegelianismo stesso, in
quanto costituisce il
criterio col quale
potrà esser giudicato il
valore speculativo di
quel sistema. Tornando al
proposito, posto il
Cartesianismo, Leibnitz e
Vico non potevan
essei-e, e nel
fatto non sono, né
puri platonici, né
puri aristotelici. Essi
bensì ci espri- mono il conato
verso un accostamento
scambievoli dei due indirizzi;
tale essendo il
valore della loro
universa- lità, e di quella
sintesi confusa ond'
inaugurano, come avvertimmo, i
due periodi moderni
della filosofia te- desca e
italiana: i quali
perciò, rappresentando l'analisi, costituiscono il
lavoro a cui
necessariamente conduce quella
sintesi. Invero dopo
Leibnitz in Germania e
dopo il Vico
in Italia, la
filosofia assume, tanto
nel- l'uno quanto nell'altro paese,
il vecchio contenuto,
ma sotto novelle forme:
da una parte,
la filosofia fondata nel
sentimento, e l'idealismo assoluto;
dall'altra, lo psicologismo scolastico,
e l'ontologismo: indirizzi
più o meno esagerati del
platonismo e dell'
aristotelismo. E lasciando qui
de' due aspetti vieti
della filosofia germanica e
dell'italiana, le due
forme che in
esse ad- dimostrano più spiccata
originalità rassomigliano quasi a
due correnti che
riescono a due
punti fra loro
opposti e contrari, e
sono la filosofia
ctisiologica, e quella dell'assoluta identità.
Se nella prima
vi è, come
s'è detto, processo e
continuità di sviluppo;
nella seconda non manca
già un carattere
comune tra i suoi propugnatori, n Teismo
fra noi è
venuto assumendo evidentemente forma sempre
più netta, meno
impacciata, men grossolana; perchè
se il concetto
religioso, per dime un
esempio, agli -occhi
di GALLUPPI e di SERBATI e di GIOBERTI
costituisce un elemento
essen- ziale nell'organamento del loro
sistema, la rdigion
civile di cui ci
parla ROVERE, è
una parola com' un' altra; una parola
che non dice
nulla, o pochissimo;
e pure ha fatto
e fa tanto
comodo all' autore
! Questo processo e
questo risultato della
filosofia itaUana è
come una risultante di
più forze: fra
cui è da
notare innanzi tutto r
educazione storica tradizionale
e cattolica, la forma
e natura speciale
dell'ingegno italiano non
così facile, come dissi,
a dar negli
estremi, e segnatamente gl'influssi della
stessa filosofia germanica.
Queste ed altre cagioni
partoriscono il movimento
filosofico in Italia nel
nostro secolo. Il
pensiero filosofico nostrano (e
qui han ragione
gli Hegeliani) è
venuto promosso, eccitato dal
pensiero germanico ;
a quel modo,
potremmo dire, che le
diverse forme di
filosofia del nostro
Risorgimento vennero eccitate
dal sùbito risvegliarsi della
filosofia greca e
platonica; da' com- Aatori
arabi e aristotelici
delle scuole di
Padova, di Bologna, di Firenze.
Il Criticismo esercita
grande Zone sili GALLUPPI;
e le tre
forme dell'Idealismo ger- n/anico,
subbiettivo obbiettivo ed
assoluto, spiegano alla lor
volta influssi potenti,
immediati sul Gioberti
e sul Rosmini, come
ci dimostrano la
Protologia del primo e
Ja Teosofia del
secondo, e anche
in gran parte
sul Msaniani. Ma se è
vero, com' è
verissimo, che i
nostri filosofi han procacciato
d'ormeggiare i Tedeschi,
e questi sono valsi
ad eccitare in
quelli piìi gagliarda
la virtù speculativa; è
altrettanto vero che
gì' Italiani mai non cessaron
di combattere le
pretensioni sistematiche as- solute del Germanismo;
e questo è
un altro carattere comune che
li distingue. Si
può dire, in
somma, che il pensiero
italiano sia venuto
affilando le armi
nella fucina dello stesso
avversario: ecco tutto. Di
chi sarà il
trionfo? Chi canterà
gl'inni della vittoria ? Parliamoci
tondo e netto.
Il trionfo dell'
Ontologi- smo e del Neoplatonismo, come
ci è dato
da' nostri filo- sofi, è
un' illusione ; ma non
sarà meno illusione
il trionfo dell' Idealismo
assoluto. Noi dunque
non faremo festa ne
all' uno ne
all' altro, né
batteremo le mani
alla vittoria del Grermanismo
né dell'Italianismo, per la
semplice ragione che
in siffatt' ordin
di cose le
credute vittorie ci paiono
sogni di menti
ammalate. Queste due scuole,
queste due filosofie
(ci sia permesso
stringerle entrambe sotto due
concetti o indirizzi
distinti) ci rap- presentano la speculazione
ardita del nostro
secolo; ma per opposte
ragioni si dilungano
entrambe dalla casti- gatezza della sintesi
ontologica, discostandosi in
pari tempo dalla severità
del metodo istorico
e psicologico. Sennoncthè, oggi
segnatamente, chi ben
le guardi, elle cercano
allearsi e compiersi
a vicenda, giusto
perchè rappresentano e riproducono
anch'esse l'antica lotta fra
r Aristotelismo e
il Platonismo, tanto
in sé stessa e
nel loro insieme,
quanto nelle loro
particolari divi- sioni, esprìmendoci
perciò il bisogno
perenne e crescente di
quell'accordo sperato sempre,
ma non attinto
mai. Questo panni, dunque,
tutto il significato
del loro svolgimento; e questo
mi sembra il
problema alla cui
soluzione elle s' affaticano da
un secolo e
mezzo a questa parte.
Non è egli
giusto quindi affermare
che chi spera nel
trionfo assoluto dell'una
su l'altra spera
invano, e chi s' affida
in certi accordi
e temperamenti in
sostanza esclusivi e unilaterali
non ispera peggio?
Citiamone un esempio. Il
Gioberti dello Spaventa,
lavoro (checché se ne
dica dagli hegelianissimi) d'una
potenza critica vera- ramente
singolare fra noi
dopo i libri
del Rosmini, nelle intenzioni dell'
autore dovrebb' essere
un accordo tra la
filosofia italiana, e
la così detta
filosofia moderna Europea. Lasciando stare
quel moderna e
molto piii Y
europea (frase, la quale
a me rammenta
quella che han
su la punta della
lingua i Pontefici
di Roma quando
costoro menan vanto de' creduti
e desiderati dugento
milioni di cattolici), io
chiederei, se il
fare assorbire à
quel modo eh' egli
ha fatto il
filosofo italiano dal
filosofo tedesco, sia da
dirsi accordo, o
non più veramente
un solenne trionfo del
secondo sul primo,
e quindi '1
trionfo assoluto del divenire
sul creare? ¥* allora
dov'è mai l'ac- cordo fra le
due filosofie? Un accordo,
come suona la
parola, è necessario,
ed è razionale; che
posta l'analisi, posto
il lavoro anali- tico di quel
doppio indirizzo, una
sintesi ne dovrà
sgor- gare di necessità. E il fatto
stesso ce ne
porge prova e guarentigia.
Il Mamiani, l'autore
delle Confessioni^ ha pronunziato,
fira le altre,
questa gran verità:
d'aver egli concluso e
chiuso, fra noi,
un periodo filosofico
nel quale egli stesso,
con GALLUPPI e con SERBATI e
con GIOBERTI, è venuto cogliendo
allori molti, e
ben meritati. L'À. delle
Confessioni ha detto
benissimo: ha chiuso
dav- vero un periodo ;
ma solo ha
dimenticato avvertirci che in
esso egU ha
chiuso anche sé
medesimo. Chi consi- deri infatti il
suo neoplatonismo, per
quel tanto che contiene
di correzione verso
gli altri nostri
filosofi, l'illustre
Pesarese ha merito
grande; ma avvisato
in sé stesso cotesto
neoplatonismo, specie quant'
alla parte psicologica, è
già morto in
sul nascere. E
doveva esser così, almeno
per chi voglia
ammettere che la
storia della filosofia non
possa esser ripetizione
inutile e in- fruttuosa di teoriche
trascendentali. D'altra parte
l'Hegelianismo, checché se ne voglia
dire, ha oggimai
esaurito la propria vitalità
con lo scindersi
nello tre note scuole
di destra, sinistra
e centro. Oggi
dunque non è impossibile
raccorre i frutti
di così lungo,
di così osti- nato lavoro, e
di lotte e
contrasti e discussioni
infinite attuatesi nei due
paesi, appo cui l'
ingegno europeo serba piii
acconcia e vigorosa
virtù speculativa. A tale
impresa hann' influito
efficacemente i nostri
hegeliani, r opera dei
quali riguardata stòiicamente,
io non dubiterei chiamarla provvidenziale. Nelle
mani di questo infaticabile artefice
che appelliamo storia,
i nostri hegeliani sono, mi
si lasci dir
così, un istrumento,
un mezzo, acciocché nel
possibile accordo delle
due filo- sofie abbia a
trionfare il vero.
Più che apostoli
e messia e predicatori
della buona novella,
com' essi medesimi
si piaccion segnalarsi, sia
col tradurre le
opere di Hegel, come
fa VERA (si veda), sia col modificarne
e interpretarne le dottrine,
come fa SPAVENTA (si veda), e'
mi paion la
condizione imprescindibile,
efficace, perché il
pensiero filosofico possa innovare
sé stesso nella
pienezza d' una coscienza speculativa chiara,
intima, vivace, sceverando
dal vero quel carattere
arbitrario di costruzioni
dommatiche il quale accompagna
i pronunziati dell'
Idealismo assoluto. L'
Hegelianismo é cosa
nostra: lo ha
detto SPAVENTA (si veda); ed
é verissimo. Ma
é cosa nostra
in quanto è anche
un assoluto realismo;
realismo obbiettivo nel vero
senso della parola,
non già campato
a mezz'aria, com'è quello
di Hegel, il
quale perciò usurpa, non
legittima il significato
della obbiettività.
Ripetiamolo: se la
filosofia ha bisogno
d'innovarsi esi- i stro \ ica.
i diventando positiva e
razionalmente positiva, tale
esi genza del pensiero
italiano e tedesco,
pia che dal
nostro cervello, ha da
scaturire dalla stessa
ragione istorica Osservando lo
svolgersi di queste
due forme del
pen- siero filosofico
moderno, è facile
accorgersi com'elle assomiglino (ci
si permetta un
paragone) al cammino di
due linee le
quali, partendo lontane
fra loro, nondimeno si
vadano accostando sempreppiù.
L'una s'è mossa prima
dell' altra ; e assai
più spedita e
più rapida ne'
suoi passi e difilatamente
ha percorso assai
più lungo tratto che
non abbia guadagnato
la seconda. Questa
poi s' è mossa dopo,
e spesso è
venuta sviando e
svagando per più e
diverse ragioni; ma,
non altrimenti che
ne' feno- meni elettrici
d'induzione, passo passo
ne ha sentito gì'
influssi, e le
si è venuta
più e più
avvicinando. Un punto di
coincidenza, dunque, fra
queste due linee
convergenti è necessario; ma
la grave difficoltà
sta nel trovare cotesto
punto. Usciamo di
figura. Se i
due periodi filosofici nel
dischiudersi per opera
di Leibnitz e del Vico
mostrano, come vedemmo,
cert' affinità spontanea e incosciente,
è pur mestieri
che cotest' affi- nità
s'abbia da palesare
altresì nel loro
chiudersi; ma s' ha da
palesare cosciente, riflessa,
e quindi promossa, eccitata, ricercata
e partorita dalla
stessa ragione come funzione
filosofica. E pensiero
moderno debbe aver coscienza di
tale affinità: né
può averla se
non la cerca; né può cercarla
efficacemente se non la pone. Ninno
si meraTigli se
fra* vari indirìzzi
moderni della filosofia
noi qui non abbiamo
tenuto conto altro
cbe della speculazione
tedesca, e dell* italiana.
L' ingregno inglese procede
sempre a un
modo, ne da due
secoli A
questa parto ò
mai uscito dalle
orme segnategli dal
suo Bacone, e poi
dal Locke, da
Hume e dalla
Scuola scozzese. Spencer
e Mill ce *1
dicono chiaramente ;
ne* quali filosofi
è pur chiaro
un progresso rispetto ai
loro antecessori, ma è un
progresso monotono, omogeneo.
L’ingegno francese poi, dopo
le grandi tracce
lasciategli dal Cartesianismo, si è
svolto sempre fra il
Sensismo eil un
acquoso Spiritualismo ;
né la scuola eclettica, i
cut ultimi rappresentanti oggi
fan tanto onore
alla Francia, ha nulla
di veramente originale.
)£ una bella
eccezione in quel
paese la scuola e
gli studi iniziati
dal Main^de Biran.
Se dunque originalità
di Italia e Glermania,
madri d'ogni grande
filosofia e dìvi- natrici
delle più ardite
concezioni metafisiche, per
ne- cessità isterica hann'a risalire
alle loro primitive
sor- genti moderne, Leibnitz e VICO; ma
risalirvi (intendia- moci)
con tutta quell'opulenta ricchezza
che a noi porge
il lavoro di
specukzione compiutasi nello
spazio di due secoli.
Il trionfo ha
da esser comune,
perchè comune, quantunque diviso,
è stato il
lungo lavoro. Se non
fosse cosi, la
conseguenza, per le
menti che con ansia
febbrile e con
ignorati e crudeli
tormenti ma con altrettanta
fede si travagliano
invittamente nella ricerca d'ogni
parte spinosa della
verità, sa- rebbe dura davvero,
sarebbe sconfortevole. E
la con- seguenza è, che
la storia sarebbe
un' ingiustizia :
ingiu- stizia altrettanto
manifesta e insopportabile, quanto inesplicabile. Ancora
: se questi
due periodi, queste
due filosofie di cui
si parla, non
avessero quelle attinenze
e quel valore e
quel fine che
noi diciamo, elle
assomiglie- rebbero a due forze
distratte, inconsapevoU, naturali, sciolte da
ogni legge, libere
da ogni ragione;
sì veramente che le
analogie e le
differenze e l'intero
loro svolgimento sarebbero tutte
cose accidentali, estrinseche, meccaniche, fortuite,
e perciò stesso
empiriche, perciò stesso inesplicabili, perciò
stesso insignificanti, non
al- trimenti che que' riscontri
ingegnosi ma vani,
ma incon- cludenti, che alcuni
storici sanno scorgere
fi-a la storia d'un
popolo, e quella
d'un altro, fra
la China, per
esempio, e l'Europa, tra
Confucio e Pitagora,
fra il Celeste
Impero e il Teocratismo
papale, come fa
il nostro FERRARI
Or noi domandiamo alla
coscienza di tutti
gl'indefessi indagatori del vero;
domandiamo alla coscienza
degli amici sinceri e
de’sinceri nemici della
filosofia : È egli
mai possibile speculazione oggi
è possibile, è d'
uopo ricercarla, quantunque
sotto forme diverse e
con risultato e
valore differente, nell*
ingegno tedesco e italiano.
So che gli
Hegel ianissimi sorrideranno di
gran cuore a
queste parole. Ma io
qui vo’restringermi a
chiedere, se da
quarantanni a questa parte
fuori d’Italia ci
sìa stato filosofo
che possa reggere
al para- gone dell'ingegno del
Rosmini, miracoloso per
acutezxa speculativa. che la
storia, massime la
storia del pensiero
filosofico, abbia da essere,
o un' opera
cotanto ingiusta, ovvero
un artifizio cotanto sterile,
infruttuoso e meccanico? Concludo per
ciò che riguarda
il nostro filosofo nonché la
seconda parte del
nostro lavoro. Si
è detto e si
dice che il
Vico non ispiegò
efficacia di sorta
nel soQ. secolo. E poi s' aggiunge
che, quand' ei
venne sco- perto (e fu
vera scoperta) noi
già l' avevamo sorpassato. Sarà vera V una
cosa e l' altra.
Ma gli uomini
grandi e ì grandi
ingegni, se vogliamo
stare all' osservazione di Mill, i
quali per difetto
di favorevoli oc- casioni non poteron
lasciare traccia alcuna
di sé nella loro
età, spesso sono
stati di gran
valore per i
posteri.* Tale per noi è Vico;
e tale si
é pure la
sua Scienza Nuova. S'ei
nulla valse pe'
nostri padri (il
che non è vero),
vale moltissimo per
noi. Solamente in
lui potremo rannodar gli
anelli della nostra
tradizione scientifica: in lui
ricongiugnere il nostro
Rinascimento col nostro moderno Risorgimento.
Per andare avanti
debitamente, come suona il
motto volgare, è d'
uopo dare un
passo indietro : Chi
vuol salire, pigli
V aire. Se
questo é vero, se
questo é necessario
in tutto; non
sarà altrettanto vero, altrettanto
necessario in filosofia? Con sifi'atti
intendimenti noi prendiamo
ad interpre- tare il principio
filosofico della Scienza
Nuova. L' acuto Littré lia
detto benissimo: Tout
annonce gu'on ne
verrà plus aucune grande
éruption métaphysigue, comparàble à
celles qui otit
signaU Vére moderne
depuis Descartes, et qui
ont abouti à
HegeV Ma la
conseguenza vera non è
quella che ne
trae il positivista
francese, bensì quella che
ne ricaviamo noi
: e tal
conseguenza é la
necessità di critica, la
necessità di ritomo
critico su la
feconda speculazione degli ultimi
grandi filosofi, e
quindi la ne- cessità d'un accordo
fra essi. ' St.
Mill. SytL de
Log., LiTTRi, Princ
de Phtl. Poeit., Pré/,,
pag. 59, Paris,
1868, Il concetto della
Scienza e '1
concetto del Criterio
si richiamano a vicenda,
poiché non si
può determinar l'uno senza
additare nel medesimo
tempo il significato
del- l' altro. La prova
più facile e
megUo convincente di
tale affermazione ci è data dalla
storia della filosofia;
non v'essendo sistema, non
dottrina filosofica, nella
quale que' due concetti
non rispondan fra loro per
caratteri comuni, e per
note affini ed
omogenee. E poiché
applicare il criterio vai
come imprimere forma
al conoscere, onde poi
risulta il metodo;
è naturale che,
tanto l' idea della scienza, quanto
quella del criterio,
abbiano a racchiu- dere altresì la
nozione del metodo.
Se non che,
scienza metodo e criterio
sono tre concetti
dipendenti dalla soluzione d' un
medesimo problema, del
problema della conoscenza: nel
quale perciò si
radica propriamente, direbbe il
Trendelemburg, l' ultima differenza
de' sistemi. Sono dunque
tre aspetti diversi,
sono tre diverse determinazioni d'un
medesimo subbietto; le
quali noi non possiamo
definire, ma espUcare,
stanteché la defi- nizione, secondo il
detto di CAMPANELLA, sia
come la conclusione e
quasi l' epilogo della
scienza stessa. Nel circolo
della riflessione infatti
la mente, ripiegandosi in sé
medesima si compie,
si pone, si
determina, cioè si definisce;
e si definisce
perchè si è
venuta esplicando; e con r
esplicarsi mostra col
fatto che cos'è
mai l’intendere, quali vie
abbia percorso, e con che
guarentigie si possa pervenire
ai risultamenti più
sicuri del sapere. Nondimeno ci
è cose che
noi potremo sapere
fino da ora ;
voglio dire le
condizioni del sapere.
In che mai dobbiamo
fondare la scienza?
In che porre
i limiti del sapere
metafisico? I più
de' filosofi, com'
è noto, si fanno
tosto a
rispondere: « su la natura
e sul valore
dell'uomo stesso. » Ma
il punto è precisamente questo:
qual' è mai la
natura, qual è
il valore dell'
uomo ? La
risposta più seria e
positiva a tale
domanda, se non
vogliamo per- derci nelle solite
ciance trascendentali, panni
questa: che l'uomo, l'uomo
quale ci è
dato da' fatti e
dalla storia, non l' uomo
concepito sotto forma
di spirito del mondo
{der WéUgeisf), non
sia tutto, e
nemmanco nulla: di che
ci porgono guarentigia
nel medesimo tempo
la coscienza, l'esperienza e
la ragione. Ora
se questo è
vero, due conseguenze n'emergono
innegabili; la prima,
che la scienza, tolta
nel significato di
sapere metafisico, non può
esser né propriamente
negativa, né propria- mente assoluta; la
seconda, che non
si può esser
siste- matici e dommatici, non
essendo noi tanto
fortunati da possedere una
formola assoluta entro
cui mostrar chiusa la ragione
ultima e propriamente
essenziale delle cose. Ma
diremo perciò che
il filosofare altro
non possa essere fuorché una
pura e semplice
ricerca sfornita di
qual si voglia risultamento
metafisico che sia
positivo, sicuro,
determinato?' Che se
anche per noi
filosofia suona ri- ' Homo
quia neque nthU
e«(, neqite omnia^
nee nihil percipit,
nec in,' Jinitum, De
sntiqaiss. Italoram sapientia,
Filosofo dommatieo e
filosofo nttematioo a$8oluto
per noi suona
il medesimo, anche ammesso
che un sistema
possa esser costruito
per sola Tìrtù di
ragione, e innalzato
(se fosse possibile)
ad evidenza matematica, secondo che
pretendon gli Hegeliani.
Il dommatismo volgare,
teologico, fondandosi in un
principio estrinseco alla
ragione, è da
ripudiarsi per difetto; ne
conveniamo. Ma il
dommatismo sistematico de*
metafisici assolati col pretender
troppo, anzi tutto,
non è da
ripudiarsi per eccesso
? Différiscon ne' mezzi
infinitamente, io lo
so ; ma
il risultato è
il mede- cerca e
amor di sapere,
nondimeno è ricerca
effettiva, è ricerca non
solo atta a
raccogliere il fatto,
ma tale che sia
un fare altresì
ella medesima, cioè
una funzione cri- tica, ma
efficace, positiva, attuale,
come può e
debb'es- sere dopo il
Kant; funzione quindi
capace non già
a ri- mandarci al futuro,
cioè ai risultati
della storia, sibbene a
saperci dire qualcosa
anc' oggi su'
grandi e terribili problemi di
nostra esistenza, del
mondo, della vita,
della società. Se la
scienza è possibile,
come alcuni, positivisti cominciano a
credere,* non vuol
essere in qualche
maniera attuale? Poiché, giova
bene ripeterlo anche
qui, un possibile che
mai non esca
dalla nuda possibilità,
in realtà non è
alti*o che un
impossibile! È da dire
perciò che tanto
V idealista assoluto
o l'ontologista Giobertiano, i
quali in una
formola, tut- toché
diversissima, ti assommano
la ragione d'ogni
umano e divino sapere,
quanto il positivista
e il puro
critico che ogni sapere
metafisico dichiarano impossibile,
escano tutti dal positivo,
perchè chiudon l'indagine,
e spengono siffattamente ogni
bisogno critico nel
pensiero. E così neir
uno come nell'
altro caso, la
mente si rimane impigliata in un' affermazione
supremamente dommatica: dommatica
positiva (sistematica) nel
primo, dom- matica negativa
(esclusione della metafisica)
nel secondo. Or la
filosofia intanto può
assumere forma e
valore di speculaziope positiva,
in quanto riesce
a schivare non pure
il donmiatismo (il
sistema assòluto propriamente detto), ma
eziandio l'assoluto positivismo
(scetticismo, nullismo
metafisico). Fra questi
contrari il filosofo
che Simo, perchè Tano
con la credenza
e l'altro con
la dimostrazione pre- samono
darci tutto il
vero. Entrambi quindi
negano 1* attività
speculatÌTa; il primo la
nega dichiarando la
ragione impotente, il
secondo la nega reputandola esauribile
anzi esaurita e
soddisfatta. Che nel]*
insieme delle dottrine del
Vico non vi
sia pretensione di
gUtema propriamente detto, Tabbiam visto
riportando alcune parole
della Conchu. del Libro
MetaJUieot e meglio
si può vedere
laddov*egli accenna ai
dom- matici del suo
tempo ch'erano i
Cartesiani. De Antiqui^, etc.,
Vedi la Conclus.
dell'ultimo libro del
Taine suìV Intelliyenza,
voglia esser davvero
positivo, sa di non esser
dommatico; ma poi
sa qualche altra
cosa. Egli sa di non
poter esser mai dommatico,
non mai sistematico
assoluto. Sa di non
saper tutto, e,
che più monta,
può giugnere a conoscere
la ragione per
cui deve ignorare
qualche cosa. È il
caso del sapere
del non sapere,
appunto per- chè se ne
ha coscienza. E
non è ignoranza
cotesta? mi si dirà.
— Sì, certo,
è ignoranza: ma
è ignoranza dotta, direbbe
il Cusano. Tre ci
sembrano adunque le
condizioni, tre i
caratteri precipui del filosofare
che voglia riescire
seriamente e razionalmente positivo;
e sono questi: La
speculazione filosofica non
può esser fondata sopra
elementi che non
siano sperimentali, ma di
esperienza intema ed
esterna. Tutto è
processo, genesi, attività nel
pensiero; stantechè tutto
in lui sia
generato, tutto edotto mercè
i dati sperimentali.
Né questo vuol dire
sensismo, psicologismo grossolano,
nettampoco materialismo ed empirismo,
come potrebbe parere
a tutta prima; perocché
non per nulla
ne' ricchi annali
della moderna filosofia esistono,
chi voglia meditarli
sul serio, i Nuovi
Saggi del Leibnitz,
la Critica della
Ragion pura e quella
sul Giudizio di
Kant, il Nuovo
Saggio del Ros- mini, e
qualche altro libro
di questo genere,
ma non certo d' egual
valore. Fatti dunque
(ripetiamo anche noi co'
Positivisti) e leggi
de' fatti ;
ma, aggiungiamo, la ragione
anche degli uni e dell'altre. La filosofia
non meriterà titolo
di positiva, dove pretenda
procedere scompagnata dall'
altre scienze, e far
da sé. Come
nella soluzione de'
grandi problemi que- ste non
bastano a sé
stesse, parimenti non
v' è ragione a
credere che anche
quella da sola
non abbia a
soggia- cere alla medesima condizione.
Che se mossa
da antico orgoglio presuma
d'essere scienza di
tutto, per ciò
appunto eli' abbisogna di tutto;
abbisogna di tutt'i
fatti, di tutta r
esperienza, del concorso
di tutte quante
le sfere e discipline
dell' lunana enciclopedia.
Il perchè non si
può dire in
modo assoluto esser
la metafisica quella
che generi le scienze;
vecchia pretensione del
teologismo che ci ricaccerebbe
nel più fitto
medio evo: ma
nean- che si può aflFermare
esser le scienze
quelle che, come altrove
notammo, possano di
per sé sole
partorire la filosofia. A
due patti la
funzione filosofica riesce
positiva: quando sia generata
dalle scienze, e
quando, ge- nerata che sia
in qual si
voglia modo, possa
e sappia come ogni
produzione organica viver
da sé, e
far vi- vere. Non è
dunque vero che
all'altre discipline ella porga
principii e dispensi
metodi e partecipi
criteri. Riceve anzi dal di fuori
tutte queste cose;
ma per legit- timarle, organarle, ricrearle
: il che
non può esser
rico- nosciuto dal
positivista conseguente a
sé stesso, senza ch'egli
inciampichi in contraddizioni per
quanto evidenti altrettanto inevitabili. Il terzo
carattere, conseguenza da' due
primi, è questo; che
concepita così la
filosofia di fronte
alle altre scienze, ella
riesce positiva, ma non però
cessa di posse- dere un valore
metafisico. Diventa metafisica,
non meta- fisica teologica, né
metafisica a priori
e tutta d'un
pezzo; orditura dialettica ideale
somigliante a rete
d' acciaio che stringa, affoghi
e strozzi tutto
ciò che tocca
o ricopre. Diventa bensì
metafisica atta a
costruire sé stessa,
ma in quanto costruisce
anche le scienze;
in quanto, in
somma, é attività filosofica
d'un' attività anteriore,
dell'attività scientifica, sperimentale, molteplice,
essenzialmente ana- litica e particolare.
Non é quindi
lecito confondere, né identificare
queste due sorgenti
d'attività, sia ridu- cendo la prima
alla seconda, sia
facendo che questa venga
tutta assorbita in
quella. Evidentemente con- traddiremmo ad un
fatto; contraddiremmo al
bisogno potente in ogni
tempo, in ogni
luogo per la
speculazione. Perocché non è
possibile (per dirla
con le me- morabili parole di
Kant) che V
uomo rinunei alla
metafisica, come non rinunzia
cMa respiratone anche
con la paura di
respirare uri aria
malefica. Queste condizioni che
noi poniamo alla
ricerca filosofica sono, quanto
semplici, altrettanto positive.
Non è a dirsi
eh' elle precludano
e arrestino in
modo alcuno la funzione
critica, secondo che
incontra tanto ai
nemici d'ogni sistema, quant’ai
sistematici assoluti. Nel
deter- minare infatti la natura
e '1 fine
della scienza, i
primi ci dicono: « non bisogna
tentar l’impossibile prefiggen-
doci '1 fine di
conoscere VinconoscìbUe, l’assoluto. Ecco posta al
sapere una condizione
essenzialmente negativa,
perchè contraddice alla natura stessa
del pensiero e dell’attività critica.*
I secondi poi,
cioè i sistematici,
sostengono che la scienza
non solo può
e deve attingere r
assoluto, ma ha
da ridurlo trasparente
così da adequarlo, da
conoscerlo sicuti esty
altrimenti vai come
nulla conoscere.* Ma se
cotesto conoscere (metafisicamente) il tutto,
fosse un bel
sogno; non ne
verrebbe che nulla *
I poBitWisti credono
anch* essi no
fatto il bisogrno
specalativo ; e come
fatto noi negano.
Ma dopo aver
distinto quel che
in esso ?*
ha di permanente, cioè
la presenza perpetua
dell'infinito nollo spirito,
da ciò che è
transeunte, eh' è
dire 1* inutile
sforzo a risolverò
problemi per se medesimi
insolubili, sogrgiungono : e
Se l'Assoluto è
qualche cosa, non
può essere che una
realtà. Ora og^ni realtà si
conosce mercè l'esperienza,
la quale, del resto,
non potendosi applicare
all’assoluto, ci fa
piombare In un circolo
senza uscita. Dunque
la metafisica e
una fase tratmtorta
dello spirito umano (Littré, Prineip.
de Phtl. Posiu
Prófac.) Innanzi tutto domandiamo,
se condizione permanente
del fatto, che
nel caso nostro è
il bisogno della
speculazione, ò la
presenza nel pensiero d'un
infinito, non sarà
appunto per ciò
possibile una ricerca
metafisica? Quant'all'inutile
sforzo poi non
approda fondarsi nella
storia, non potendo in
siffatt' ordin di
cose indurre legittimamente dal
passato al futuro. Finalmente, quant'al
circolo senz'uscita, osserviamo
che l'assoluto è
reale, realissimo, ma non
di realtà sensata
e tangibile ;
e non è vero che
ogni realtà non si
possa altrimenti conoscere
se non per
l'esperienza ; errore capitale del
Positivismo. Queste ed
altre risposte han
dato al Littré
i medesimi francesi, specialmente
Janet, Caro, Vacherot,
Rénouvier, Pillon, Reville, Laugel.
A noi piace
rammentargli un'altra bella
sentenza d'un filosofo poco
fa citato non
certamente benevolo ai
matefisici: Una me- tajinca
è tempre enttita
e tempre eneterà
nell* umanità^ perche
etto ì ine- rente
alle invettigagioni della
ragione umana che
epecìda. Kant, Critica ddUi
Ragion Pura^ noli' Introd.
alla 2.* odiz.
Niente ni conosce
te tutto non
ti conotce. SPAVENTA, Lex.
di FU. Vrba, specialmente
nell' /n6 resultato d'azioni
e reazioni fra
il mondo fisico
e quello dello spirito,
e quindi d'
una doppia serie
di leggi, naturali e
psicologiche, modificate dalle
diverse , attribuendogli caratteri
e valore non
propri: avrete falsato
la natura delle scienze
; le avrete
confuse; ne avrete
guasta V ìndole,
turbando cosi tutta r
economia razionale del
sapere. Questa dottrina, essenzialmente psicologica
e quindi razionalmente positiva, contraddice,
com' è evidente,
alla distribuzione enciclopedica de* sistematici,
per esempio a
quella del Gioberti
e di Beerei
; e nel
mentre racchiude i pregi
della classificazione de*
Positivisti inglesi e
fran- cesi, ne corregge insieme
i difetti. Ma
i pregi e
la verità d*
un criterio ordinativo non
può vedersi altro
che nelle sue
diverse applicazioni, nelle •quali
non possiamo intrattenerci. Solo
notiamo che tal
dottrina ò un*
in- terpretazione de*
principi! psicologici del
nostro filosofo, come
vedremo. * T. BuCKLS,
History of OivUiMation
in England . fa benissimo.
Ma nella sua
dottrina cotal distinzione
à un'inconseguenza. La costituzione
d'una scienza muove dalla
ragione : la
evoltmone di essa,
per contrario, è
frutto della storia. Or
se F una
cosa non è
V altra, è
da con- cludere che la
scienza è superiore
alla storia. Perchè dunque
compenetrarvela? D'altra parte,
non è punto
vero che, vuoi nella
genesi ideale o
psicologica delle scienze, vuoi
nella lor genesi
storica, procedasi dalla
parte al tutto, dal
semplice al composto,
dal rudimentale e
irreducibile al complesso, come
vogliono i Francesi.
È vero bensì che
dal tutto si
va al tutto,
cioè dal tutto
iniziale al tutto attuale,
o, come direbbe
lo Spencer in
suo lin- guaggio, dall' omogeneo
slVeferogeneo,^ La genesi
storica del sapere, infatti,
rassomiglia quella della
società stessa: nella quale
dapprima i poteri
dello Stato, per
esempio, anziché distinguersi fra
loro, formano un
potei'e unico ; e,
anziché individui liberi,
vi esiste un
solo individuo. Parimenti le
scienze forman dapprima
una scienza ; uno
le possiede, uno
o pochi le
insegnano, come uno
è quegli che comanda.
Però diciamo che la genesi
storica di esse procede
per tre momenti
(vecchio concetto aristotelico) cioè :
Sintesi iniziale e
confusa, poi Analisi,
e poi Sintesi finale. Nel
primo di cotesti
momenti non s' ha
una data serie di
scienze, come dice
il positivista francese.
S' ha bensì tutte le
scienze, ma fomite
d' un carattere comu- ne ;
il qual carattere
sta nel comporre
il sapere traen- done le ragioni
da tutt' altra
fonte che non
è Y intimità stessa dello
spirito. In questo
primo momento, in
somma, [La legge secondo
cui Spencer chiarisce
la sua teorica
del pro- gresso con tanta
sapienza ed erudizione
da lasciar maravigliata
la mente d*ogni lettore,
si potrebbe applicare
benissimo alla genesi
delle scienze intesa storicamente.
Egli, come 8*ò
detto, non ha
fatto quest'applicazione. Ma ci
è da sospettare
che, facendola, rieacirebbe
incompleta, com’è incompleto il
principio su cui è basata.
Il procedere daW
omogeneo alV ete- rogeneo è davvero
un processo :
ma è processo
che non risolve,
mancan- doci un terzo momento
necessario a compiere
il primo e
1 secondo. Oltre questo
difetto, il principio
di Spencer ha l’altro
di non esser
nuovo, anzi vecchissimo, perchè
risale ad Aristotele:
*Aft 70?^ sv tw
iffS^C \jncf.p^st To vfpÓTtpov,
De An. II, m. lo
spirito è, come
dire, fuori di
sé, nella natura,
nelr autorità, e
quindi la scienza
è quasi indotta;
ma tale induzione dapprima
è affatto empirica,
naturale, gros- solana,
divina, direbbe il
Vico. Nel secondo
momento ci ha distinzione,
analisi, astrazione: e
qui la mente, accostandosi a
sé medesima, deduce.
Nel terzo, final- mente, il pensiero
possiede sé stesso,
perchè possiede l'altro: egli
é filosofia perchè
è scienza; ed
è scienza vera perchè
è filosofia. Ci
è dunque rispondenza,
ci è ar- monia fra
la genesi ideale
e la genesi
stòrica della scienza, non
già compenetrazione, come
vorrebbe Comte. Anche noi
quindi crediamo in
una legge di
succes- sione nell'attività del pensiero;
né respingiamo una
di- sposizione gerarchica e genealogica
del sapere. Ma né
r uua
è assoluta filiazione,
né 1' altra
è composizione organica e
compatta sì che
le scienze che
seguono altro non possan
essere fuorché semplici
appendici di quelle che
precedono. È vero:
il pensiero nella
storia as- sume innanzi tutto
forma teologica. £
quando accada eh' egli
abbia carattere metafisico,
il suo contenuto
sarà sempre di natura
mitologica, religiosa, tradizionale,
ri- velata, essendo sempre un
prodotto d' autorità. Appresso riveste forma
naturale ; stanteché
sorgano le scienze
le quali, svolgendosi com' elementi
particolari del papere, si
vanno liberamente determinando
con metodo appropriato a
ciascuna di esse.
In un terzo
periodo, final- mente,
piglia forma complessa
e insieme universale
come nel primo; toa
non più sotto
forma teologica, né me-
tafisica ed a priori,
bensì filosofica; appunto
perché è deputato a
raccoglier la ricca
eredità accumulatasi negli antecedenti periodi.
Or se è
vero, come dicemmo,
che il pensiero è
superiore alla storia
tuttoché emerga dalla storia,
non è men
vero che la
speculazione riflessa
trascende anch'olla le
scienze, comecché dalle scienze
sia venuta germogliando.
CJondanniamo dunque, anche noi,
la metafisica che
si presenta com' elabora- zione teologica riflessa.
Condanniamo, per dirla
col Littré, quel
punto di vista
metafisico eh' è trasformaeiane del punto
di vista teologico.
Ma potremmo condannare quella metafisica
eh' è insieme critica
e inveramento del punto
di vista positivo?
In altre parole,
condanniamo rìsolutamente la metafisica
fatta a priori;
ma non meno risolutamente
neghiamo che la
terza fase^ il terzo
stato della scienza,
abbia da esser
positivo nel senso che
i Francesi tolgon
questa parola. Lo
staio positivo de' Gomtiani,
afferma un giudice
non sospetto, non è
che un'ignoranza confessata
della causa: an avowed
ignoring of cause
àltogether^ Ed è
veramente così. L'attività riflessa
della ragione intanto
giugno ad esser funzione
critica feconda e
profittevole, in quanto riesce
a superare il
positivo mediante il
positivo. Or è tejnpo
d' interrogare il nostro
filosofo. Che cosa ci
lascia indurre Vico
tanto riguardo al concettx)
della scienza in
generale, quanto rispetto alla
costituzione e coordinamento
delle umane disci- pline? Rifacciamoci da
questo secondo punto. Ei
non parla di
formolo dommatiche, né
d'alberi genealogici. Anzi ci
avverte come in
certo senso la metafisica
abbia da esser
subordinata aUa fisica;
la quale dà per
vero ciò che
sperimentalmente possiamo
imitare} Sennonché qui
è da far
piìi osservazioni. Una scienza
è indipendente nel
metodo e autonoma
nel pro- cesso. Questo è
il nostro pensiero.
Ma potrebb' esser ' Sprncrb,
The daasif. of The Scienc,,
De Anttq. hai,
Sap,^ nella Condunone,
Si dirà che
per lai la scienza
tovrana sìa la
teologia: ed è t
ero; ma
è sovrana solo
in quanto è la
piil oerta. Ora il eerto
nelle sue dottrine
non è il
vero, ciò ò dire
un prodotto di
ragione, bensì un
effetto di persuasione, un prodotto di
natura empirica inseritoci
nell* animo dall*
autorità. Quanto egli
poi si mostri avverso
alle scompartÌEioni sistematiche
delle scienze, vuoi nel
senso pontivteta, vuoi
nel senso metajUieo
dommatico^ può vedersi
là dove con sottile
ironia parla de'
Cartesiani (dommatici del
suo tempo) i quali
unum Metaphyeicam «Me
docent qua notte
indubium det verum^
et ab eOf TAKQUiM
a fontr teeunda
in aUa» teientiae
derivari.»,, quare metaphyeieam
eeterie »eientu9 fundo»^
euique 9uum aatedere
exietimant. anche tale
nelle sue ultime
conclusioni? No, certo: stantechè queste,
essendo di natura
universale, hann' a dipendere
dal lavoro, anziché
d^una, di tutte
quante le umane discipline.
Più ancora: potrebb'ella
dirsi in- dipendente rispetto alle
condizioni logiche e
formali? Nettampoco: se così
fosse, tornerebbe impossibile
l'unità della enciclopedia. Finalmente
si potrebbe osservare, con Spencer,
che a sapere
se i corpi
esistano la fisica non
abbisogni nuli' affatto della
metafisica. Ed è vero.
Ma evidentemente cotesta
notizia, più che
ra- zionale, è notizia empirica.
Or bene, quando
il fisico volesse darsi
dimostrazion razionale del
soggetto o della materia
eh' egli ha
fra mano, e
cod legittimare il postulato
onde move il
suo pensiero, non
diverrebbe per ciò solo
un filosofo? Diverrebbe,
io credo. Nel processo
della scienza, dunque,
v'ha un momento
nel quale il fisico,
od altri che
sia, non può
far a meno della
speculazione metafisica. Se
a tal esigenza
egli sappia e possa
per avventura soddisfare
da sé, tanto meglio:
vuol dire che,
oltre d' esser fisico
e fisiologo e geologo
e simili, egli
è anche filosofo.
Ma ov' egli
non senta questo bisogno,
con che diritti
e ragioni disco- )ioscere ogni
valore alla ricerca
filosofica? Il vincolo che
tutte aduna e
stringe le scienze
son le norme
logiche ; la necessità
logica che scaturisce
dall' intima costituzione dello stesso
pensiero. Intesa quindi
come logica, la filosofia
precede e accompagna
le sfere diverse
del sapere; ma, in
quant'è metafisica, ella
tien dietro ad esse,
e ne é
il risultato finale.
E anche in
ciò siamo Aristotelici. Mei., Tal
si è pure
la sentenza del
Vico. In questo
senso egli afferma che
ninna geienta bene
incomineia »e dalia
mektfieiea (logica) non prenda
i prineipii; perchè
ella ì la
eeienna che ripartieee
alle altre i lor
propri eoggetti; e
poichi non pud
(in quanto metafisica)
dare U 9W>,
dà loro immagini del
euo. Onde la
Geometria ne prende
U punto e
V dieegna ; VArUmetiea
V uno, e
*l moltiplica ;
la Meccanica il
conato, e V
attacca ai corpi. (Risp.
al Oiomale de^Lett.)
In queste parole
parmi chiaro T
ufficio della filosofia, in
generale, rispetto alle
altre scienze. Filosofia
è logica. Veniamo al
concetto della scienza;
ma gioverà fare innanzi
tratto un' osservazione
storica. Dicemmo com'
Vico sia tra
Cartesio e KAnt,
vuoi storicamente, vuoi teoreticamente. Posizione
puramente psicologica è
quella del primo; puramente
logica e psicologica
quella del secondo, la
cui dottrina perciò
molto acconciamente è stata
detta Idealismo crìtico,
o Criticismo ideale.
Nella posizione cartesiana, avvertimmo
anche questo, il
pensiero non è altro
che un fatto:
la coscienza trascendentale di Kant
poi tiene doppio
rispetto; è una e
molteplice, è diflferenza
e medesimezza, in
quanto importa il doppio
elemento formale e
materiale nella cognizio- ne. Ora, per
quanto diverse, queste
due posizioni han comune
un carattere; quello
d'esser solitarie, astratte, puramente suhbiettive,
e quindi insufficienti
; nel che ci
confermerebbe, s'altro mancasse,
il resultato puramente speculativo cui
pervennero le scuole
diverse inaugurate da que'
due filosofi. L' analisi
della Ragion pura
alla fin fine a
che mai riesce?
A metterci in
guardia dell'assoluto di ragione,
rilevandone i paralogismi
e le antinomie,
e facendoci assistere scontenti
e umiliati a
quell'inutile ideale che ci rende immagine,
a dir cosi,
dell' acqua di Tantalo :
per cui s'è
detto che l'autore
del Criticismo, sempre per
quell' esigenza d' un
ideale rimastogli in
tronco, scambio di chiudere,
apri anzi le
porte ad una
varietà di scetticismo, come
osserva il B.
Saint-Hilaire : nel
che tutti convengono, perfino
Hegel, il quale
appunto con l'idealismo obbiettivo
e assoluto cercò
soddisfare aU' in- soddisfatto
bisogno della Ragion
pura.^ Cartesio poi
dove psicologia, metafisica e
simili. Come logica
eli* è scienza
madre, in quanto è
universale condizione d*
ogni disciplina. Che
poi in senso
di metafisica debba riguardarsi
come risultato finale,
ci è avvertito
dnl medesimo filosofo dove
accenna alla relazione ch’ella ha,
per esempio, cou la
geometria: Geometria e
Metaphy$iea mum verum
tMccipity et aecepttun (e
però elaborato) in
iptam Metaphynctim refundit.
De Antiq.y Giusta
quindi, per tal
motivo, l’accusa fatta al criticismo dallo
stesso B. Saint-Hilaire:
Kant a voulu /aire
une revolution} il
na guère en/anté qu'iine anarokie
plue fatale. Log. d' Axist.,
Pref. si riduce
egli? Alla necessità
d' invocare il solito
Deus ex machina, tornatogli
insufficiente il criterio
delPevidenza e deir idea
chiara e distinta
; senza dir
già eh' egli medesimo
annunziava il Cogito
qual semplice ritrovato atto a
soddisfare il bisogno
di sua mente,
non già pel fine
d' insegnare agli altri
un metodo a
ben governare il pensiero
: seulement (son
sue precise parole)
de faire voir en
quelle sorte fai
tàché de conduire
la mienne. Nella posizione
di Vico, per contrario,
è schivato nel medesimo
tempo tanto il
fatto empirico di
Cartesio, e quindi V
indirizzo dell' ecclettismo e
di quel timido spiritualismo che
da lui hann'oggi
redato i Francesi, quanto lo
scetticismo al quale
pur tiene aperto
il fianco il criticismo, nonché
quella serie di
posizioni che, nate
da Kant, riescono all'
Idealismo assoluto. Con
qual mezzo? Con un
mezzo semplicissimo. Col
criterio del vero
e del fatto ;
ma elevato a
dignità e valore
di principio. L'osser- vazione che Vico
fa a Cartesio
è, quanto agevole,
altrettanto efficace.
Neanche gli scettici
dubitano di pensare, egli
dice: essi aifermano
solo che del
pensiero non si possa
avere scienza, bensì
cosdensa} Ora il
pensiero car- tesiano è un
eerto, non già
un vero; quindi
ha natura di segno,
d'indizio certo (rsxfxyj/jtov), della
cui certezza ninno al
mondo non ha
mai saputo né
voluto dubitare. Di qui
si vede
come la sua
posizione speculativa non
istia già nell'aflFermare una
verità di fatto,
sì nell' indagarne l'origine, la
genesi, la guisa:
cioè nel far
la critica del
vero che appare alla
coscienza, perché sdre
est tenere genus seu
formam qua res
fiat. E si vede come
il criterio vichiano
del fare il
vero acchiuda una
dottrina schietta- mente
aristotelica, eh' è
dire la ragion
vitale di quel- *
Yed. le bello
riflessioni del Rsnottvzkb
in proposito. EnsaU
de Ori- tiqne generale^
toni. Il, part.
3. ' I difetti
che nella posizione
Cartesiana scorge il
nostro filosofo gli abbiamo
già riferiti. GIOBERTI non s'ingannava
nel dire che Oarteno
non ebbe il
menomo sentore de*
teeori che n
acchiudono nel SUO Cogito.
(Protol. VOLTI) l'artifizio logico
secreto, naturale, onde
la mente nel discorso
rinviene il medio
termine. La mente
sa perchè fa: AtTtov
Sort vójfjffef >?
i^épytia} Or di
cotesta attività occulta, superiore
ed essenzialmente eduttiva,
sensisti, scettici,
empirici, positivisti non
hanno coscienza. Essi ignorano
cogikdionis causs€e, seu
quo poeto cogitalo
fiai^ * ilTTff ff9.ittpòit
OTt ra ?ov«p£i
ovra tiQ ivspysiav
àva- '^òiJLstfx gUjOtcxerai. Airtov
5'ò?i vónii^ >j
èvipynx. ÌItt' $5 ève py
e loti >i
Sxivafii^' xa« Antiqui^.
ItaLf Anch' egli
quindi è scettico
la sua parte: e
debb' essere, in forza
del suo medesimo
criterio. Ritiene infatti che,
quantunque la mente
conosca sé stossa,
ignora nondimeno la
propria genesi : Dutn
«e mens cognoscttp
non facit; et
quia non /acit^
neacit genvs quo «e
cognoscit. Con la
qual sentenza potrebbe
sembrare cb'ei cada in
contraddizione con sé
stesso; ma riflettendo
che la mente che
«» conotce qui
ya intesa non
come facoltà, bensì
come potenza (della qual
distinzione ragioneremo appresso),
la contraddizione si
dile- gua. Così pure è
da intendersi quell'altra
sentenza ove dice
che l'occhio Tede le
cose, e pur
non vede sé stesso; che
a veder so
medesimo egli abbisogna d'uno
specchio; e però
chiama insufficiente l'idea
chiara e distinta di
Cartesio. Dal tutt' insieme
quindi possiamo argomentare
tre conseguenze: 1° Che
la posizione del
Vico non è
né dommatica nò
scettica, ma essenzialmente critica;
e Critica del
vero per eccellenza
egli definisca, ricordiamolo anche
qui, la metafìsica:
2» Che a
pervenire al sapere
scien- tifico non basti il
eerto, il fatto,
l'indizio, nò il
criterio che il
vero sia il fatto;
ma è d'uopo
che cotesto criterio
sia levato anche
a principio: 3" Che
a Ini non
manca il nuovo
pensiero, il nuovo
Cogito reoo bum, come
vorrebbe Spaventa; anzi
possiede chiara l'esigenza,
per lo meno, della
critica psicologica, bastevole
a prevenire il
Kant. Dico esigenza, perché il
problema critico a
lui si presenta
sotto 1' aspetto
isterico, ciò che forma
la sua novità
; e avvertimmo
come V aspetto
storico importi già r
esigenza psicologica. Se
poi si vuol
dire che a
lui manchi il
Cogit*» nel significato di
mediazione assoluta e
però di perfetta
trasparenza deWes- aercf Spaventa
ha ragione. Ma
questo per noi,
anziché difetto, é
pregio grandissimo. E qui il filosofo
di Napoli é
tanto dappresso a
quel di Kcenisberg, quant' altri
non s' immagina. Dommatici
e sistematici, hege- liani e
ontologisti cattolici, unisconsi
ad una voce
nel battezzare scet- tico l'autore del
Criticismo. Perciò gli
Hegeliani credono compierlo
di- cendo, che la Ragion
Pratica ò siffattamente
collegata con la
Ragion Pura, che la prima in
sostanza non sia
altro che l' incarnazione, il
com- plemento della seconda, ma
che questa di
per sé stessa
inevitabilmente meni allo scetticismo.
Io non vo'
negar tutto questo.
Osservo solo che due
sono i grandi
concetti di Kant:
che non si
possa giungere al vero
sistema, alla dottrina
propriamente dommatica^ che,
ciò non Non si
può ridire il
mal governo che s'
è fatto
e se- guita a farsi
del criterio vichiano.
In molti libri
leg- giamo: criterio del vero
è il fatto;
e da tutti
è stato inteso
• 0 in modo
materiale ed empirico,
ovvero in significato trascendentale e
assoluto. Se così
fosse, quel filosofo avrebbe consacrato,
da una parte,
ogni sorta d'empirismo e
di materialismo ;
e dall' altra
avrebbe fatto ragione
ad ogni maniera di
panteismo. La formula
vera, la vera
po- sizione della scienza e
del pensiero, per
lui, non è
questa: Criterio dd vero
essere il fatto
; bensì quest'
altra : La conversione del
vero col fatto.
Fra la prima
e la seconda ci
è un abisso
addirittura. E per
veder cotesto abisso e
ritrarsene, è mestieri
penetrar Bell'insieme delle
sue dottrine con la
luce del medesimo
principio. La chiave
di volta d' ogni positiva
speculazione, e quindi
il vero Deus intus
adest della mente
di questo filosofo,
e però il
bandolo a strigar tanti
nodi che avviluppano
il suo pensiero,
è ap- punto cotesto criterio,
secondo che noi lo interpretiamo. 11 criterio
ha da esser
egli un segno,
un indizio del vero,
0 piuttosto un
primo vero? Ha
da esprimerci un dato,
un fatto, o
pur V essenza
del vero, la
condizione originaria e trascendente
del conoscere? Intendendolo al
primo modo, la
scienza tornerà impossibile, e trionfa
lo scetticismo ;
perocché non ci
sal- veremo dal noto circolo
eh' è questo: per
conoscer la ostante, non
si cada nollo
scetticismo, appunto perchè
egli non crede che
il non esser
sistematici Teglia dire
essere scettici addirittura. (V. Critica
dtUa Ragion Pura)
Per me la
riyoluzione operata dal filosofo
prussiano nel regno
della speculazione, cioè
quanta alla natura del
sapere, sta tutta
qui. Il Vico
in ciò lo
prevenne: almeno era su
la medesima strada.
Quindi può dirsi
che entrambi condannino le
due posizioni esclusiye
del Si^temaH^mo e
dello Soetticinno. verità è necessario il
criterio; e per
ayer il criterio
è necessaria la verità. Pigliandolo poi
nel secondo modo, difficilmente schiveremo
un sistema esclusivo
e dommatico. Il
vero criterio, dunque,
ha da esser
Tuna cosa e l'altra;
indizio e principio.
Come indizio, come
postulato atto a conquider
lo scetticismo e
inaugurare la scienza, e' consiste
nel porre, come
si è detto,
il fatto qual criterio
del vero ;
né e'' è
altra via. Come principio,
sta nel porre, dall'una
parte, la conversione
del vero cól fatto,
e dall'altra, come
appresso mostreremo, la
conversione del fatto nd
vero, applicandolo all'
essere e a tutte
le categorie dell'essere.
Or in questa
seconda forma assume egli
davvero natura di
principio? Di certo, l'assume;
giusto perchè importa
l'essenzial con- dizione
dell'essere stesso. Ma non anticipiamo. Abbiam detto
che di questa
dottrina del Vico
s' è fatto mal
governo. Mostrammo già come primo
fra tutti ne discorresse
il Mamiani, e,
poco appresso, SERBATI.
Giova qui riassumer
le ragioni della
controversia fra' due
filosofi. Il Mamiani
accogliendo questo criterio,
come si disse, osserva
che con esso
il Vico non
intende pro- por nulla
che esca da'
termini della intuinone
(secon- dochè allora diceva
l'A. del Rimiovamento), ma
considerare in essa, oltr'
a' caratteri universali,
alcune doti più particolari,
col fine di
proferire a un
tempo medesimo il criterio
della certezza, e
'1 criterio della
scienza. In altre parole
egli dice: col
suo criterio il
Vico intende guardare non
pure al formale
della cognizione, ma
ezian- dio al materiale obbiettivo.*
Tutto questo è
vero ; ed è
verissimo che, tranne
la natura fisica
e quella degli
atti del mondo estemo,
tutt' altro pel
filosofo napoletano sia produzione del
pensiero, com'avviene dell'algebra
e della geometria. È
fuori dubbio altresì
che il criterio
per lui non pure
ha da esser
segno del vero,
ma anche principio. «
Nee ulla »ane
alia patct via
qua eeepticit re
ipaa convelli poétit,
niti ut veri criterium
9Ìt id ip»um
fecitte* t De
Antiquisi, Ttaì, • ìiAìttAVif
Rinnovdm, ec, Sennonché FA.
del Rinnovamento non
vide allora ciò
che avria potuto e
dovuto veder oggi
V A. delle
Confessioni. Non vide che
l'aspetto originale di
tal dottrina non
istà nel riguardare il criterio vichiano
qual semplice segno
ed inizio di scienza,
ma qual principio,
qual legge dell'es- sere stesso in
universale. Laonde non
avendone còlto altro che
il significato psicologico,
accadde che alla possente
lima di Rosmini
non poteva tornar
guari difficile ridurre in
polvere cotesto criterio
al modo che
ma- neggiavalo il Mamiani.' Se
non che è
da confessare come
neanche il Rosmini dal
canto suo valesse
a cogUere né
la dottrina in
discorso né quella parte
di vero che,
con altrettanta verità
quanto calore, propugna il
Pesarese. È noto
che il criterio
pel Rosmini ha da
essere un principio,
e dev' esprimere
la verità prima, l'essenza
della verità. Or
qual è l'essenza del
vero? Eccotelo ricorrere
al solito rifugio
àeW Ente idmle! Ma se
cotesta potrà dirsi
condizione di cono- scenza, non però
é principio di
scienza, criterio del
sa- pere per via di
scienza. Che cosa
potrà insegnarci mai con
la sua vuotaggine
l'essere possibile? l^ou
è dunque cotesto il
criterio di cui
parlava il Mamiani,
e tanto meno quello
del Vico. — Non potendo
indugiare in mi- nute osservazioni sul
modo con che
il Rosmini interpreta la
dottrina di che
parliamo, osserveremo solamente
che sapere il vero,
pel filosofo di
Napoli, non é
solo un cono- scere il vero,
come vuole il
Rosmini, ma è
porre, è fare,
é creare il vero;
altrimenti per nessun
miracolo al mondo giugneremmo ad
averne notizia. Conoscere
per Vico non *
RosMiKT, Rinnovami, ddla
FU. in Ttalia,
Milano. Gioverebbe Ieg(?ere in
questo copioso volarne
del Roveretano qnel
lungo capitolo e que*
prolissi cementi nonché
quelle sette conseguenze
che la invitta dialettica
Rosminiana seppe cavare
dal criterio secondochè
in- tendevalo il Mamiani.
A lui bastò
congegrnare, al solito,
una di quelle sue
tavole sinottiche nelle
quali ei dimostra
di quanta e
qual vena analitica fosse ricca
la sua mente,
per metter Tavversario
col suo criterio accanto ad
Elvesio, ad Epicuro
e ad altrettali!
Ved. Tav. Sinottica
(WSitt. FU.j intomo al
criterio della cert&ma^
voi. è vedere,
non è patire,
non è semplicemente
appren- dere. È vedere, patire,
apprendere, appunto perchè
il pensiero è essenzialmente un
conoscere. In una
parola, se il vero
non si conosce
facendolo, non si
conosce nuU'aifatto; non s'intende.*
Quand' è infatti che
di- ciamo di pensare? Giusto
quand'abbiamo idee. Avere idee
importa cólligere dementa
rei; ex quibus
perfecHs- sime exprimatur idea.
Il vero è l'
idea, ma
l' idea in- nanzi che sia
tale: è l'idea
germe, l'idea potenza,
la stesso spirito in
potenza, il pensiero
non per anche
at- tuatosi come tale: in una parola
è il senso
che si leva a
dignità d' intelletto. Raccolta
l' idea, fatta l'idea,
cioè dispiegatasi la meìite,
eccoti il vero-fatto.
Mi si domanderà in
che maniera il
Vico chiami esterni
gli elementi onde risulta
l'idea? Perchè, rispondo,
l'eduzione del- l'idea suppone la
formazione del concetto;
e il concetto suppone una
serie di atti
induttivi che appresso
deter- mineremo. Tutto ciò è
come estemo all'idea;
è condizione, non causa
del suo processo. Senonchè col
raccorre gli elementi
esterni la mente pone
qualcosa di proprio:
pone se stessa
come pensiero; diventa ella
stessa le cose ; diventa
tutte le cose.
Ond' è agevole vedere
come il criterio
del Vico sia
il princi- pio del metodo
geometrico, che per
lui, ricordiamoci,, suona genetico.
Mi spiegherò con
un esempio. Come si
hanno gli assiomi,
le verità prime
e necessarie, se- condo i
positivisti? Mercè 1'
esperienza, risponderebbe il Mill.
L' assioma che due
rette non cTiiudono
spazio [Leggere è raccogliere
gli elementi della
tcriUura onde le
parole tono composte ;
con V intendere
è COLLIORBB elbmbnta
RBI, KX QUIBUS
PRRrBCTis-31VA RXPRIMATOR IDRA. Donde è lecito conghietturare che gl’antichi ittt- liani
conveniseero in queeto
pensiero : Vbrum rssr
ipsuv factum.» Qual è cotesto
fatto? È il
pensiero, il vero-fatto:
perchò ricevuto, indotto,
rac- colto, e anche edotto
dalla mente. In
tale questione il
nostro filosofo, contro il
solito, non manca
di chiarezza. Egli
infatti dice: e
AUora il vero 9Ì
converte col /atto,
quando trae il
9uo essere dalla
mente d^ lo
eonoece ; HI QDOD
YERUM 00GNO8CIT0R SUUM
K8SR A MBNTB
HABBAT QUOQaR A QOA
cooKosci'TOR.» De Antiqui^,,
De Origine et
ventate Scientiaruni..
Sgorga immediate dall'esperienza. Che
se apparentemente si origina
dal pensiero, cotesto
pensiero in tal caso
non è altro
salvochè una ripetizione
dell'espe- rienza : è r
immaginazione che allarga
i limiti del
fatto. Ma questa, evidentemente, se
è una maniera
di sapere, non è
il vero conoscere;
perchè cotesto conoscere
non sarebbe una mia
fattura, sibbene imitazione,
copia del- l'esperienza. Che
cosa, invece, vi
direbbe il Vico
a tal proposito? Direbbe:
non istate a
immaginarvi due rette portevi
già dall' esperienza
e poi prolungate
all'infinito: fatevele da per
voi medesimi coteste
rette. Ma come
farle ? Generandole entro
voi, per voi
stessi, con elementi
sperimentali; e così, più
che l' immagine del
fatto, avrete la vera
definizione, e però
la genesi del
fatto. Concepite il punto
come prolungato verso
un altro punto:
eccovi la linea. Or
se due rette
hanno in comune
due punti, po- trann'elle chiudere
spazio? Non potranno.
Questo pre- cisamente è il
vero-fatto, il vero
da me stesso
fatto, da me stesso
prodotto, da me
stesso generato.* Per non
chiamare il vero
fattura di nostra
mente, il Roveretano si
puntella nel solito
argomento de' caratteri della verità:
immutabilità, assolutezza, eternità, necessità, università
e simili. Ma
ci sarà lecito
chiedere Men« humana
eontinet dementa verorum
quce digerere et
eomponere poMt'ti et ex
quibu$ dUpontU et
compoeitie, exittit verum
quod demoiutraiU {teientice) ut
demontiratio eadem ae
operatio «i/, et
verum idem ao
faetum. > Ve Antiq.f
cap. Ili, 4. Né Yale
che SERBATI, chiamando
in soccorso lo stesso
Vico, dica, questi
elementi esser le
idee e coteste
idee crearti ed eccitarti
da Dio negli
animi degli uomini.
Per questa frase
VA., della Scienza iVuova è
stato battezzato Malebranchiano !
Ma come non
vedere che in quel
luogo il filosofo
intende parlare del
senso dato a
questa dottrina da coloro
che eteogitarono tali
locuzioni, le quali
ei non accetta
perchè non sempre accetta
il significato delle
parole latine, come
osserva lo stesso Rosmini a
proposito del verum e del factum
f Bastino queste
parole: e Par, igitur
eet ut qui
ha» loeutione* excogitarint,
ideas in hominum
animi* a Deo oreari
exeitarique eunt opinati,
Fa meraviglia che
il Rosmini non siasi
accorto come quattro
righe più giù l’autore contraddica apertamente a
Malebranche {Malebranckii doctrina
arguitur) : e come,
se fosse vera
V interpretazione eh* ei ne
dà, il Vico
avrebbe sciu- pato
addirittura il senso
verace e originalissimo del
suo criterio. una proposizione
d' Euclide serba ella
questi ed altret- tali caratteri perchè
ve li abbia
inseriti la mente
di Euclide come tale,
o non piuttosto
il pensiero medesimo, il
pensiero in quanto
è identico appo
tutt' i pensanti, identico nelle
sue leggi essenziali,
identico nelle condi- zioni logiche originarie?
Nella proposizione 4 -j-
4 = 8 havvi
necessità. Perchè? Perchè
lo stesso pensiero ne
ha messo gli
elementi. Ma perchè vien
fiiora 8 e non
10? Precisamente perchè
ci abbiam posto
il 4 -h 4:
cangiate questo, e
avrete cangiato anche
quello. E perchè serberà
egli un valore
universale tanto da non
parer fatto né d'
ieri né
d'oggi, né intuito
solamente in Francia o
in Australia, nell'
età della pietra
ripolita 0 nel bel
mezzo del secolo
XIX? Appunto perchè
il pensiero è anch' egli
necessario, universale nelle
sue native condizioni in
ciascun individuo che
in qual si voglia
tempo o luogo
sia capace di
pronunziar 4 -f- 4.
Le critiche dunque
che altri potrebbe
trarre dal RoHmini
là dov' ei
si studia d' interpretare a
suo modo la mente
del Vico rispetto
al problema del
conoscere, tornano tutte vane,
tutte manchevoli. Ma veniamo
al più sodo.
Il criterio del
nostro filosofo si porge
altresì come il
fondamento più saldo
della dottrina della prova.
Nel conoscere per
cause, egli dice .
seguendo lo schietto
Aristotelismo, sta la
vera scien- za: il che
si riduce al
medesimo criterio della
conversione del vero col
fatto.* Che cos'
è in sostanza
il provare per cause?
Al solito è
un raccoglier gli
elementi della cosa.* Provar
dunque per cause,
e con- vertire il vero
col fatto, suona
il medesimo. Un
esem- pio. Il principe Alberto,
dice St. Mill,
morirà. Perchè? Non perchè
tutti gli uomini
(egli risponde) sian
mor- tali ; si perchè
tutti quelli a
me noti e
che son vissuti, *
« Probare per
cauMaat e/Jhere eat,
Effecttu eH verum
quod eum facto eonvertitur. (De Antiq.
— }TCx>j, ri
x fitriy^o^Tx ti
^caviac, ntpi aiTcaec xxt
^px^i sVtiv, if
o^xpi^ivripa^, -il dn'koìjvripaiy {Mttaph.\,\), Or questo
precisamente ò U
metodo che il
Vico, certo in
modo assai confuso, esitante,
arruffatissimo, adopera nelle
sue ricerche; nò
quindi il De Ferron
s' ò apposto male
nel dichiararlo, come
vedemmo, metodo essenzialmente aristotelico. * Dice
anzi così: H
mio criterio i
in me aeeieurato
daUa eeienga Hi Dio,
eiCl fonU e
regalia dT ogni
vero. (Risp. II
al Oior. de^Lett.) eh'
ella non possiede,
ma che pur
va con infinito
pro- cesso e per gradi
accostando sempre più.
Talché quando sentiamo il
metafisico teologista e
Tontologista affermare la scienza
divina essere norma
e regola dell'
umano sapere, mostrando credere
con ciò d'averne
contezza vuoi per virtù
d'un rapido volo
d'intuito, vuoi per
notizia chi sa come
e da chi
graziosamente rivelataci, e' non
dicon nulla di
serio, nulla di
positivo addirittura. Per affermar
tutto questo con
tanta sicurezza, non
do- vremmo possederla cotesta scienza?
Non dovremmo anzi dominarla
e rimaneggiarla a
nostra posta così
come l'agrimensore fa del
suo compasso? Norma vera,
norma che noi
dominiamo davvero, norma già
nota al mondo
prima d'ogni altra,
semplice, evidente,
inconcussa, è per
l'appunto la matematica. Della quale
l'A. della Scienza
Nuova, non altrimenti che Leibnitz,
GALILEI, BOEZIO, CICERONE, Aristotele,
Pla- tone, Pitagora, è grandemente
innamorato, e sempre ne
parla, e sempre
con passione viva
ne esalta i
pregi* La contraddizione ch'altri
vede nel porre
ch'ei fa qual modello
del sapere or
la scienza divina
or la matematica, è
affatto apparente. Che
nell'un caso parla,
o intende parlare, deìVidea
massima della scienza,
della scienza di- vina, la
quale altro non
potrà essere salvo
che la per- fetta conversione del
Vero col Fatto,
la compenetrazione assoluta dell'oggetto
col soggetto. Nell'altro,
invece, di- scorre non già
dell'idea massima, bensì
d'un tipo, d'una forma
che, più d'ogni
altra accostandosi alla
prima, più fedelmente la
esprima e la
rappresenti. Tal si
è per appunto la
matematica. Tipo infatti
del sapere squisita- mente razionale per
lui è la
scienza dell'astratta quan- tità; tant'è vero
che Dio stesso,
die' egli in suo
lin- guaggio, non altrimenti opera
nel mondo delle
forme reali, di quel
che faccia il
matematico nel mondo
delle figure.* Questo parmi
'1 significato più
acconcio da dare Ved.
Risp. n al
CHorn. de' LetU,
§ IV. a tal
sentenza del Vico
se non vogliamo
farlo cadere in aperta
contradizione con seco
medesimo; non già
che Dio e la
sua scienza abbian
da esser davvero
norma immediata, origine e
sorgente del sapere
umano 1 È
un para- gone, è una
figura e nulla
più. E poiché intende
a questa maniera
la scienza di- vina, perciò riesce
a salvarsi dagli
estremi cui per
vie diverse rompon l' idealista
assoluto e il
teologista ontologo. Pel
primo scienza umana
e scienza divina
son tut- t'uno: pel
secondo ce n' è
tal divario quanto
fra il finito e
V infinito. Se
non che Rosmini
e Gioberti nelle
opere postume, ormeggiando gli
aprioristi, pongono anch'essi medesimezza fra
V una e
Y altra scienza,
distinguendo solamente,
specie il Rosmini,
la materia dalla
forma, e questa reputando
identica, e quella
diversa nelle due scienze.*
Ma, s'egli è
così, divario essenziale
non ci è, né
ci può essere;
stanteché l'essenziale nel
conoscere, più che nella
materia, stia nella
forma. Invece secondo la
dottrina del Vico
può dirsi, che
se tra l'una
e l' altra scienza non
corra assoluta identità,
non vi possa
esser nemmanco assoluta difi'erenza.
Il pensiero divino
co- nosce, perché raccoglie gli
elementi; e nel
raccorli reci' meivte li
pone. Il pensiero
umano va raccogliendoli an- che lui,
e nel raunarli
idealmente li pone.
E tale vera- mente appare la
sua sentenza là
dove osserva che il
conoscere umano si
discerne dal divino
quanto il solido dal
piano, quanto 1'
effige in rilievo
dal monogramma. SERBATI, Teosofia^
GIOBERTI, ProtoUy Altra
difficoltà, secondo alcuni
critici, sarebbe questa.
Se vero sapere è
il sapere per
cagioni, se conoscere
Tal produrre, se
pensare è fare
; com* è possibile
arere scienza dell*
assoluto senza farlo,
senza produrlo? Cono- scere Dìo a
questa maniera non
è un assurdo?
anzi una bestemmia,
a detta del medesimo
Vico? — Per
tutta risposta io
to* riferire alcune
sue pa- role le quali
racchiudono, panni, il
significato sincero di
sua mente, chec- ché ne
possa dire in
contrario egli stesso:
(Hist. ) E altroTO,
parlando del perìodo della
filosofia greca, dice
il suo processo
esser e eon/orme
au déveloj^- ment iiUelìeetuel
de Vhofinne, don»
Vindividu eomme dan»
Veipèoe, ear la civili»ation tend
toujour» de la
circonférence au oenlre, periodi storici
perchè la materia
si presta a
tal fine, come farebb'egli,
il Ritter, a
rilevare e ponderare
acconciamente i caratteri delle
differenti scuole e
sistemi senza il sussidio
d'una norma anteriore
e superiore alla storia?
Eccoci ricascati nella
solita necessità d'un criterio
che valga ad
imprimere forma razionale
alla storia : senza
di che lo
storico potrà esser
pregevole per erudizione, prezioso
per esattezza storica,
saggio e conscienzioso
per fedeltà critica,
ma non per
questo avrà valicato i
confini dell' empirismo.
Tale è il
Ritter fra gli storici
contemporanei della filosofia.
Egli è critico
sa- vissimo, checché ne dica
la scuola di
Hegel. È interprete coscienzioso, indipendente,
scrupoloso, accuratissimo; ma non
è filosofo. A
lui fa paura
il dommatismo ;
fa paura il sistema
nella interpretazione istorica
: e non
ha torto. Ma non
si può essere
storico filosofo senz*
esser dom- matico e
sistematico? Il gran
pregio di Ritter sta
nel carattere d'
indipendenza eh' ei
dà alle differenti
scuole. Ma un principio
sopra cui s'incardini
la sua critica,
e gli porga ragione
di tale indipendenza,
a lui manca assolutamente. 11 criterio
mercè cui lo
storico potrà render
utile lo studio della
storia ed elevarla
insieme a dignità
scientifica, sta neir interpretar
la successione e
la genesi e le
attinenze de' sistemi
filosofici ponendo in
opera il criterio delle tre
posizioni che noi
abbiamo accennato. Queste tre
posizioni (e altre
non sono possibili)
invocate a chiarirci nel
magistero della critica
e della interpre- tazione della storia,
non costituiscon già
un criterio empirico, né
un criterio d' indole
eclettica; tanto meno
un criterio dommatico, sistematico,
ricostruttivo. Non è
criterio empirico, perchè non
sono i fatti
storici (e nel
caso nostro i fatti
storici sono i
sistemi filosofici) che lo partoriscano, 0 lo
spieghino; ma egli
stesso è che
spiega la comparsa delle^differenti scuole
e dottrine filosofiche nel regno
della storia. Non
è poi criterio
eclettico per- chè non iscaturisce
dalla storia, né da'
sistemi; anzi ci fa
capaci d' interpretar V
una e giudicar
gli altri senza esser
sistematici : sentenza
che per taluno
avrebbe faccia di paradosso,
ma non è.*
Finalmente il nostro
criterio non è sistematico,
perchè non isgorga
dalle viscere stesse di
alta metafisica, né
quindi importa ombra
di necessità dialettiche, a
priori, metafisiche. Ma
qui dobbiamo intenderci con
gli storici hegeliani. Qual è
il criterio storico
di Hegel? È
il principio stesso cella
sua filosofia; V
identità assoluta. Una
infatti per lui è
la filosofia, uno
il sistema ;
e le dottrine
par- ticolari non altro che
forme diverse d'
un medesimo contenuto. 11
dommatismo sistematico nella
storia de' si- *
La H;nola del
Cousin scimmiottando Hegel,
com'è noto, Terrebbe far
germinare la filosofia
dalla storia, o
considera perciò come
elementi organici necessari, aempiici
e irriducihili solo
quattro sistemi; Sensismo, Idealismo, Scetticismo,
Misticismo. Da questi
fa risultare la
storia d'ogni tempo e
ln)go; o da
essi medesimi vuol
far germogliare la
filosofia: La teoria deve
emergere dalla storia.
[Court ec. Ber.)
Or 80 la storia
in ogni grand’età
e in ogni
periodo filosofico presenta qne
soliti qiattro demetiti
organieif ne segue
che la teoria,
dovendo pul- lulare appuiÉo da
essi, altro non
potrà esser che
un accozzo eterogeneo e,
meglio che un
eclettismo, un sincretismo.
Se gli elementi
infatti sono contraddittorìi ed
eterogenei, non dovrà
esser tale altrosì
l’insieme che ne verrà
fuom V Che
se per tale
accozzo è mestieri
d* un criterio,
eccoci tosto fuori della
storia; e allora
non sarà altrimenti
vero il gran
domma che la teoria
abbia da emerger
dalla stessa storia.
Altro difetto di Cousin
è, che iella
sua divisione non
trovan luogo parecchi
sistemi, come per es.
il Critclsmo, e
Y Idealismo assoluto:
1’uno perchè non
è sistema, e nemmanco
icetticismo; l'altro perchè,
sotto il riguardo
psicologico, sarebbe l’
unione di due
sistemi, secondochè avverte
egli stesso. Inoltre non
giunge a determinar
nettamente la fiinzione
dello Scetticismo nella storia,
e distinruerla dalla
funziono che esercita
il Misticismo, il
quale definisce, le eotf>
ds désespoire de
la raièon humaine:
quasi che il
secondo fosse un atto
legativo cosciente, com'è
il primo, e
non già positivo
in qnanto che imprta
fede, contemplazione, sentimento
e simili. Finalmente chi non vorrà
legare p^li Eclettici
che il Misticismo,
il Sensismo e lo
Scetticismo siaio da
riguardarsi come altrettanti
sistemi V Ecco a che mena
un criteri) erroneo
su la divisione
e genesi de'
sistemi filosofici. Non s' intende
h storia, e
poi si precipita
senza rimedio in
una teoria affatto sincretici
e però assurda. La
storci della filosofia
mani/estaf ne* vari
sistemi che sono
apparsi, una sola
i medesima filosofia
che ha percorso
diversi gradi, e
prova che i prineipii
particolari di ciascun
sittema non sono
che parti d* un
solo e
medesimo utto. >
(Hbgel, Log. Introd. trad.
Vercu Wilmx, stemi non
potrebbe risaltare più
evidente, più rigoroso, più
universale, più assoluto.
Noi innanzi tutto
neghiamo risolutamente che le
vario dottrine non
possan essere altro fuorché
momenti diversi d* una
filosofia. Dov'è identità di
contenuto, a dirne
un esempio, fra
Idealismo e Materialismo? Tra
Teismo e Panteismo
naturale o ideale che
sia? Ci vuol
davvero la pupilla
lincea degli hege- liani a
vedere, o meglio,
a travedere siffatte
ideatità di contenuto ! D'
altra parte, se
posta la evoluzione
della idea 0 contenuto
dello spirito ne
seguita (come dicono) che
la filosofia ha
da esser identica
alla storia: non è
egli codesto un
principio degno d' un
eclettico francese? Non è
la negazione più
aperta, più schietta
del progresso in filosofia,
meno, s'intende, epoca
memoranda in che con
la sua bacchetta
d'acciaio il gran negi-omante del
Nord ebbe diffinitivamente segnato
e chiuso in perpetuo
il circolo della
filosofia? S'egli è così,
la dottrina ^é*
circoli e de'
ricorsi storbi che il
Vera dice esser
l' errore madornale della
Sdenzii NuovOj per me
sarebbe anzi una
conseguenza logica, imme- diata, inevitabile dell'
Hegelianisrao, almeno quant'
al pensiero speculativo.* Hi9t., voi.
IH). La successione
istorica de' sistemi
perciò riesce identica a
quella delle determÌDazioui logiche
della Idea: il
perchè in fondo a
tuttM sistemi non
si occulta altro
che un medesioo
oontenuto. * Chi consideri
bene le dottrine
e applichi con
acciiiatezza le esi- genze del metodo
vichiano alla storia
de' sistemi, si accorgerà
tosto corno nella filosofia,
guardata storicamente, ci
abbia da esser
moIiipUcità di momenti, e,
che più monta,
diversità di contenuto;
del che /a storia
dt'Ila filosofia greca, come
accennammo porge splendido
esempio. Ma, si badi,
ciò non toglie
punto che ci
abbia da esser»,
come di fatto ci
è, differenze di
forma. Se i
ritomi e i
rieorgi «tarici nm
importassero anche in filosofia
un contenuto nuovo
pur occultato sotto
vecchia forma, che cos'
altro sarebbe la
storia del pensiero
filosofico salvo che
an' og- ;,Mo8a e
sterile ripetizione d'un
medosiuio uggiosissimo spettacolo'?
Nella storia de' sistemi, più
che in altre,
il moto e
lo svolgim4Qto storico
non somiglia ad una
linea retta, come
dicono alcuni, e
mmmanco ad un circolo,
come pretendono altri.
La storia della
filosofia 3 linea
retta e circolo insiememente.
È linea retta,
chi guardi al
contenuto ; ed
è poi circolo, chi
consideri la forma,
cioè la parto
meccanica do' fatti;
giacche la storia, lo
dicono e lo
credon tutti, ò
fornita alch'ella del
suo Un' altra osservazione
contro gli Hegeliani
poiché ci calza. Se V ingegno
filosofico (quello, ben
inteso, de- gl'
imperturbabili e severi
negromanti in filosofia)
racchiude in sé tanta
virtù e tal
vena architettonica da costruire
con lavorio tutto
a priori il
sistema della scienza dell'essere
e del conoscere;
la conseguenza parmi chiara,
irrepugnabile : ed
é che la
storia della filosofia non
potrà non riescire
affatto inutile e
insignificante. A che sciupar
tempo, a che
sprecar la nostra
attività critica a studiar
ne' bozzetti piii o manco
smorti e me- lensi e
sconci e abortivi
che ci presenta
la storia, se abbiamo
già dinanzi agli
occhi in marmo
vivo e quasi palpitante il
Davide e '1
Mosè? Dicono: «
Noi invo- chiamo la storia
de' sistemi, é vero,
ma per semplice
gua- rentigia del sistema: la
invochiamo com' una riprova
di fatto, com' una
conferma sperimentale.... »
Conferma di che? Della
costruzione a priori,^
Dunque codesta vostra costruzione è
una congegnatura inefficace!
D' altra parte, se il
sistema giace ascoso
e beli' e
apparecchiato nella storia e
non fa che
germinare da essa,
in questo caso non
sarà inutile la
vostra costruttura ideale,
a priori? Brevemente, una
delle due: La
costruzione a priori del
sistema é ella
assoluta? Dimque è
faccenda inutile la storia
de' sistemi. Il
sistema giace egli
beli' e apparecchiato nella
storia? Dunque inutile
ogni alma- meccanismo.
Ora dunque per
noi il pensiero
fllosofico ò daTvero
progressivo; è progressivo sul
serio; progressivo noi
verace senso della parola
progresso, appunto perchè
si svolge anche,
e sopratutto, nel
suo contenuto. £ qui,
com* è chiaro,
noi rispetto agli
Hegeliani siamo addirit- tura a:rU antipodi;
e non è
altrimenti il nostro
povero don Giam- battista quegli che
non ebbe la
fortuna (sic) di scoprire
la gran Ugge dd
progredire della utnanità,
ma è proprio
il loro Hegel
cui toccò la sventura
(abbiano pazienza!) di
non conoscerla, anzi
di negarla co- testa
legge; o almeno,
riconosciutala da Talete,
Tha poi negata a
tutt*i secoli avvenire,
condannandoli senza scam(H>
a ruminare eternamente la
medesima formola metafisica!
Il concetto del
vero prògre99o è
concetto propriamente impossibile
nella mente degli
Hegeliani, come vedremo nella
Sociologia. MiOHKLiT, Exam, Crit,
de la Mèi.
d'Arisi., Paris] nacchìo architettonico dialettico
a priori. Nel
primo caso voi sarete
altrettanti Dii; e
noi non v'intendiamo, perchè confessiamo
di non esser
capaci d' intendere un linguaggio
e un pensiero
sovrumano. Nel secondo
poi sarete eclettici, o
positivisti; e noi
vi superiamo. Non v'è scampo.
Se la storia
de' sistemi ha
da servire di
per sé sola a
darci la filosofia;
se, d'altra parte,
la congegnatura a
priori ha da
essere assoluta e
tutta d'un pezzo: come
legittimarle entrambe? perchè
invocar la neces- sità d'entrambe? Intendo
l'eclettico che, non
sapendo rinvenir filo d' energia
speculativa ne' bisogni
intimi del suo pensiero,
viene a chieder
soccorso alla storia.
Intendo non meno il
positivista che con
le mani sotto
le ascelle tutto aspetta
dalla storia appunto
perchè non ha
briciol di fede nelle
native forze della
ragion filosofica, e
sorride agli sforzi ne'
quali nobilmente altri
si prova. Ma
come potrò intender gli
hegeliani che invocan
la storia nel momento
istesso che vantano
la singoiar pretensione di costruir
l' edifizio scientifico a
priori rifacendosi dal tetto
? Che cosa dunque
è da concludere?
Precisamente r opposto di
ciò eh' essi
pretendono: che ne
la storia contiene il
sistema, né la
mente può costruirlo
e dedurlo a
priori. Né induzione,
al solito, né
deduzione neanch' in quest'
ordin di cose.
La possibilità d' una
dottrina metafisica può
germinare dall' azione
combi- nata delle due forze;
dalla storia de' sistemi
interpretati a dovere, e
dalla energia intima
del pensiero speculativo. Or tutto
ciò potrebb' egli
esser possibile, se
questo pensiero non fosse
ad un tempo
e dentro e
fuori della storia?* Schmidt divìde
la storia de’
sistemi filosofici morendo
dal con- cetto della filosofia
elio per lui è teienza
del fondamento ultimo
del nottro pentierOf e
delV a$§oluto, E
poiché cotest' obbietto
si può concepire
in tre gaise, cioè
obbiettivamente, sabbio ttiv
amente e
neirun modo e
nell* altro riconoscendoli entrambi
come identici, però
ne deduce 1’opposizione de* sistemi,
e la divisione
della storia. La
prima e più
generale divisione è questa;
1» filosofia grreca
; 2o filosofia
nuova avanti Kant
; S*" filosofia Il
nostro criterio non
è niente di
tutto questo. Non è
empirico, non è
eclettico, non è
sistematico, non è dom-
matico. E positivo,
e razionalmente positivo.
Ed è tale perchè
piglia di mira
non già i
sistemi propriamente detti, anzi
le posizioni ultime,
più semplici, irreducibili del filosofare,
squadrandole sotto doppio
rispetto; sotto il rispetto
della scienza, e
del suo oggetto.
Le posizioni possibili dell'
ingegno filosofico, di fronte al
sapere metafisico, dicemmo esser tre:
!• impossibilità della
metafisica (Scetticismo); 2» sua
attualità (Sistema beir
e com- piuto); 3» sua
possibilità (Critica). Anche
tre, dicemmo, le posizioni
del suo oggetto,
cioè le possibili
soluzioni del problema metafisico.
Dunque tre han
da essere i
sommi generi sotto cui
la storia può
venir adunando, disponen- do, ordinando le
dottrine, gì' indirizzi,
i metodi, le
esigenze speculative
formanti le specie
e sottospecie, le recente
dopo Kunt {St,
della FU.). Innan^ù
tutto questa è
una diTisione essenzialmente sistematica,
e riesce alla
filosofia dell* identità:
il che solo basterebbe
a condannarla. Il
concetto inoltre nel
quale è fondata •
è superlativamente esclusivo;
tanto cbe rimaui^on
fuori del corso
isterico interi periodi di
speculazione occidentale, per
non parlare della
filosofia orientale. Così precisamente
egli tratta, per
esempio, la scolastica:
la quale, tuttoché non
si possa dire
speculazione metafisica, non
però cessa d'essere 8peéulazione,quantunque in
servigio della teologia
e del domma. K
poi, come mai
dalla filosofia greca,
con un salto
più che mortale,
si piomba a Cartesio?
Dov* è qui,
non dico la
verità, ma la
realtà del processo storico della
filosofia? Un'altra domanda.
Schmidt pone Videntìtà come contrassegno
del 8^ periodo
della filosofia. Ma,
con qual diritto,
con che verità qualificar
tutt* i filosofi
di cui egli
parla nel suo
S"* periodo col carattere
dell* identità? Come
si vede, lo
Schmidt cade nel
1* a pr»art«mo hegeliano, ma
senza far pompa
de* grandi pregi
di Hegel. Tranne
V op- posizione fra' sistemi,
nonché la triplice
maniera onde in
essi è concepito l'assoluto, ei
confessa dì non
saper altro per
via a priori
di concreto, di particolare circa
la storia delle
scuole e delle
dottrine filosofiche: doveccbò
Hegel non pnr
move dalla logica,
come s'ò detto,
e dalle alture logiche procaccia
dedurre i sistemi
ed i momenti
della storia, ma
più an- cora li costruisce;
li costruisce indipendentemente dalla
storia. Il metodo dello
Schmitd, quindi, avrebbe
una parte accettabile,
un aspetto vero; che,
cioè, r indagine
storica, per lui,
non riescirebbe un
di più affatto inutile, come
in sostanza dovrebb' essere per
Hegel. Se non
che cotesto bel pregio
svanisce, tostraf«, appresso
il vero metafinoo.
Or questa genesi a
cui egli accenna,
si applica evidentemente
tanto al processo
delle scienze, quanto a
quello della filosofia;
e, di più,
risponde appnntìno alla
storia e al processo
ideale de' metodi. I
metodi per lui
sono ìtq ;V
Induzione^ il Sittogiemo, il
Sorite. {De Antiquiee.)
È bene avvertire com'ecfli, discorrendo
del Sorite^ sbagli
nell'attnbuire a Socrate
quella forma. d'induzione
cui allude nel
Libro metafìtico; e
non meno sbaglia, come
osservammo, quando chiama
sillogistico il metodo
aristotelico. Ma questi, com'
ò chiaro, sono
sbagli di storia,
inesattezze di fatto,
non già di dottrina.
Ciò che importa
è che sin
nel Libro metaJUico
egli sa scorgere un
vincolo, un processo,
e quindi un
progresso fra le tre posizioni metodiche del
pensiero: Induzione, Dedazione,
Eduzione, rispondenti alla storia
delle scienze, come
a quella della
filosofia. Giova perciò
intenderci bene. L'
Induzione, per lui, è un
artifizio sintetico, ma
d'indole empirica; ondo la
mente non facendo
che raccogliere, adunare,
procede dall'effetto alla causa,
e quindi è
analisi, diremmo, sintetica.
(Inductio, pioura àna- lytica;
Stllooismus, stntrtioa. Ved.
De Conet, PhUologim)
Il Sillogismo invece è
un artifizio deduttivo,
è ainteei analitica
per cui la mente
procede dalla cagione
all'effetto; ma è
incerto nel euo
procedimento e però
inetto a scoprire
{De AntiquÌ9$., cap.
II, VII, 4).
Questo è quel metodo
eh* ei condanna
ne' Cartesiani, ed
è quel 9ÌUogi»mo
debole oÌ79iv'/ì^
i7uXXo7(7]txo; che Aristotele
biasimava in Platone
(>lna/. Poet.,!,)
Finalmente il Sorite,
per lui, è
tutt' altro di ciò
che ne dice la logica
or- dinaria. II Sorite non è, a
dir proprio, nò
sintesi, né analisi.
Non è ana- lisi sintetica che
dall'effetto ealga alla
cagione, e nemmeno
è sintesi analitica che
dalia causa eeenda
all'effetto. Invece è
funzione che oofuxitena
caute con caute:
Qui utitcb borite
gauss ab oaussis,
ouiqur proxi- MAif ATTBXIT.
{De AntiquÌ89„ De
certa /acultate eciendi, ) Perciò
il Sorite essendo la
funzione sillogistica nella
forma pid compiuta,
presuppone e racchiude in
sé l'analisi e
la sintesi, la
deduzione e l'induzione,
e di fronte a
queste debb* esser
superiore e posteriore.
Dunque la funzione
discor- siva che egli appella
Sorite e che
pone nel terzo
momento della storia Se
tutto questo che
noi siamo venuti
sin qua discorrendo è
vero, quale ne
sarà la conseguenza?
Sarà che tanto nella
storia deUa filosofia,
quanto nel succedersi de' sistemi,
il progresso non
è, come ci
predicano i posi- tivisti, un' illusione
de' filosofi di
mente ammalata e nebulosa,
ma un fatto
storico e psicologico
ad un tempo
; una storica e
psicologica necessità. I
diff'erenti sistemi, ci dicono
i filosofi deW
avvenire^ possono conferire
al pro- gresso non come
cagioni determinanti, ma
come sem- ideale de*
metodi, non è
altro che il
processo ednttiro di
cai altrove abl)iaino
discorso. Neir annodar
cau»e con carne
sta V invenzione
del termine medio, e
perciò la conversione
dd vero col
fatto (p. 215-46).
Se non che talora
anche in ciò
egli si contraddice
! ifferma, per
es.*, che V
analisi (la qaale abbiam
visto essere per
lui posteriore alla
sintesi, e però,
come artifizio deduttivo, posteriore
ali* induttivo), sia il metodo
puramente cri- tico de* Cartesiani
; e non
senza ragione lo
condanna, perchè esclusivo
e solitario. Ma più
volte poi dice
esser tale anche
il Sorite; cioè
un ar- tifizio puramente critico
e analitico. {De AnUqxUss,^
Ds Nos. Temp. Stud.
Jiat,, Argum. RUp,
i* al Glor.
de' Lett., §
IV. -- /?« Oonst.
PhiloL, Sec. Se.
Nuo.) Ma non
abbiam vist ) com'egli
medesimo ponga il
Sorite dopo Vlnduzimie
che è analisi-sintetica, e dopo
il Sillogismò che
è sintesi-analitica? Come,
dunque, se è
posteriore e superiore, potrà
esser non altro
che pura critica
e pura ana- lisi, e
perciò anteriore e
inferiore? Non è
contraddizione palpabile cotestaV A
levar di mezzo
siffatti controsensi, bisognerà
stare alla definizione eh' ei medesimo
ne porge del
Sorite: funzione che
concatena cause con ca«we,
non già effetti
con causcy o
eause con effetti.
Ella compenetra, come dicemmo,
in un medesimo
circolo l'analisi e
la sintesi, l'artifizio
induttivo e '1 deduttivo].
fe insomma il
nwtodo ch'egli sposso
appella geometrico (Risp. al
Oior. de' LcU.).
È, ripetiamo, il
metodo ednttivo, genetico, il
quale non è
geometrico in quanto
debba essere tolto cosi
com' è dalla
matematica, ma nel
senso che dalla
geometria s'ha da pigliar
la dimostrationCf cioè
la guisa per
far la scienza.
Lo dice egli stosso;
non m^hodus geometrica^
sed demonsb'otio. E
dopo ciò auguriamoci che
alcuni suoi crìtici
non vorranno maravigliarsi
più oltre ch'egli abbia
voluto appellar geometrico
il metodo proprio
della sua Scienza Nuova!
{i^ Se. JVuo.).
Uno de' continovi lavori
di questa scienza d
dimostrare FIL PILO....
lo spiegarsi delle
idee umane . Concludendo: Col
porre la genesi
psicologica de* metodi e '1
processo isterico delle tre
funzioni metodiche, il
nostro filosofo ci
ha dato insieme la
dottrina su la
genesi positiva delle
scienze, secondo l'interpretazione che noi
altrove abbiamo accennato
(p. 230), e
sopra questa legge si
modella eziandio la
storia ideale della
filosofia^ com'egli dice,
o la storia naturale
de' sistemi JUoéoJtci. Sono
germi cotesti, io
lo veggo; ma germi
fecondissimi. plici
condizioni del progredire;
cioè com' errori che si
combattano, e che
nel combattersi a
vicenda si correggano. La contraddizione qui
è palpabile ;
e non è la
prima né
l'ultima nella quale
intoppino i positivisti. I sistemi
filosofici non sono
che errori, e
pur si correggono !
Ma, so correggonsi,
in clie maniera
saran tutti un errore?
È possibile correzione
senz'una parte di
vero? Or se racchiudon
parte di verità,
certo non avrebbe
a parere impresa disperata
poterli assommare; per la
semplice ragione che
se la mente
umana è quella
che ha potuto partorirli
e poi di
mano in mano
correggerli, ella medesima potrà
venirli adunando in
organismo, nel che, come
si disse, è
necessario un criterio
superiore/ Abbiamo detto esser
triplice il processo
delle cose governato da
un medesimo criterio,
il quale perciò
as- sume valore di principio
: la Conversione
del vero col fatto.
Ora il primo
processo a cui
è d' uopo
fare cotesta applicazione
è appunto la
storia, perocché lo
spi- rito nasce nella storia,
e la fa.
E poiché nel
medesimo processo isterico é
racchiuso il processo
psicologico il quale n'
è il fondamento
più immediato in
quanto é la * I sistemi
si combattono, è
vero: essi rappresentano
il transito a verità
; e anche
questo è verissimo.
Ma ciò fanno
non tanto perchè
sono errori, non tanto
perchè lottano, qaanto
perchè racchiudono in
sé mede- simi un elemento
di speculazione e
perciò di verità
metafisica. In una parola,
essi lottano, ma
non per distruggersi
a vicenda, sì
per legittimarsi, e compiersi.
Giova ripeterlo anche
qui: Positivismo e
Idealismo assoluto mancano del
vero concetto del
progresso nella storia
de' sistemi. L* uno
considerandoli come produzioni
fantastiche della mente,
crede che poco alla
volta essi finiscano
per divorarsi a
vicenda senza verun incomodo degli
spettatori; dovecchò l'altro,
avvisandoli come organi
e vegetazioni d' una medesima
pianta, nega loro
ogni ulteriore progresso giunto che
sia a vedere
sbocciato quel fiore
nel quale sono
contenuti in atto rami,
fronde, foglie, tronco
e radici della
pianta. Questo fiore, si
sa, non può
essere altro che
la filosofia dell'identità. Ora
a me pare che,
se hegeliani e
positivisti vorranno per
poco tenersi conseguenti
a sé stessi, la
storia della filosofia
agli occhi loro
non potrà essere
altro che un caput
mortuum; sempre per
la solita ragione,
che gli uni
hanno intera fiducia nella
costruzione ideale della
metafisica, mentre gli
altri non ne hanno
punto, anzi la
negano. Caput mortuuml
nò più, né
meno. La logica è
inesoraWle. stessa nostra coscienza,
perciò la prima
applicazione di quel principio
riguarda la genesi
psicologica. Ma, innanzi tutto,
che cosa ci
dice la storia
della psicologia rispetto al
problema psicologico? Capitolo Quarto. platonismo e
aristotelismo nel problema psicologico. Il nodo
al quale per ragioni più o manco
immediate si rappicca la soluzione de'
piii vitali problemi
delle scienze morali, e
stavo per dire
anche quelli della
me- tafisica, è il problema
psicologico, che un
moderno filo- sofo ha giustamente
appellato problema generatore.^ La psicologia
segue anch' ella
una legge cui
vediamo soggiacere ogn' altra
parte della filosofia.
Pigliando a considerare il problema psicologico
sotto l' aspetto teoretico, ci
accorgeremo tosto della
possibilità d' una dop- pia soluzione, che
si riferisce a
due sistemi fra
loro opposti e contrari:
i quali sistemi,
per quanto si
voglian fregiare di titoli
vistosi e facciano
pompa di nomi
pili 0 meno appariscenti,
ci rivelano sempre
alla fin fine
l'esigenza del materialismo, ovvero
quella dello spiritualismo. Se pigliassimo
poi a guardare
il medesimo problema sotto r
aspetto isterico, sarebbe
agevole il vedere come
quelle due soluzioni
mettan capo a'
due maggiori filosofi dell'antichità, Platone
e Aristotele, ne'
quali s'im- batte sempre la
mente dello storico
quando meno se '1
crede. Che se oltr'
ai due massimi
filosofi di Grecia
togliessimo ad esame anche
la teorica psicologica
degl' insigni rappresentanti della
sapienza cristiana. Agostino ed AQUINO, i
quali non fanno
che ormeggiare i due
Fichte, Doetrine de ki Seienetf
trad. Grimbl^t,] greci quanto
le necessità del
domma comportavano, avremmo beli'
e fissato l' obbietto
e determinato i
confini della critica intorno
alle principali soluzioni
date sul problema in
discorso, e fors'anco
avremmo tirato le somme
linee d' un intero
disegno isterico della
scienza psicologica fino all'
età del Rinascimento^
I quattro filo- sofi menzionati comprendono
in germe tutte
le posi- zioni psicologiche possibili,
meno una; meno quella, cioè,
che, nulla serbando
di filosofico e
di psicologico, si riduce
tutta a negozio
di biologia, come
vorrebbero certi moderni fisiologisti. Nella storia
della filosofia, infatti,
avviene quel medesimo che
in ogn' altr'
ordin di cose
morali : le
prime tracce dello sviluppo,
i germi del
processo, come germi, s'annidan tutti
nelle origini. Nelle
origini la virtù
spon- tanea e divinatrice dell'
ingegno emerge vigorosa
e potente così che
basta ad alimentare
i' attività analitica di
più secoli, ed
eccitar 1' ansia
e '1 bisogno
speculativo di più e
più generazioni. Le
origini . riflesse della
spe- culazione occidentale
pongono lor prima
radice nel pensiero greco; massime
in quel perìodo
in cui Platone
e Aristotele rappresentando, per
così dire, 1'
analisi in cui sdoppiossi
e ingagliardì la
sintesi socratica, giun- gono a
toccar l'apice della
riflessione metafisica sotto duo
forme distinte; distinte
nell'idea, diverse nella forma
e anco nello
stile, ma atte
ad integrarsi e
compiersi a vicenda. Il
vivente storico inglese
della Grecia ha detto
che la speculazione
europea, nonché gran parte
dell'orientale, altro non
sia stata in
sostanza fuorché un commentario
intricato e perpetuo
de' due massimi filosofi.
A compiere il
concetto avrebbe potuto •e
dovuto aggiugnere che
in cotesto commentario,
in cotest' analisi, tanto
più evidente appare
il progresso, quanto più
intenso é lo
svolgersi delle dottrine,
e più fitto e
più variato il
succedersi delle scuole.
Chi dunque pigliasse a
far la storia
critica del Platonismo
e dell'Aristotelismo, e' sarebbe
già in grado
di far la
sto- ria della filosofia:
in cui lo
scetticismo avrebbe quella funzione e
queir ufficio che
gli spetta; ufficio
senza fallo assai rilevante,
ma, come dicemmo,
di semplice stru- mento più che d'
artefice; funzione di
mezzo, d' espediente,
d'incentivo piii che
d'elemento vitale della
scienza. Se infatti v'
ha cosa nella
quale consentano appieno i
due massimi filosofi,
è questa: che
il concetto del
sa- pere, del sapere per
via di scienza,
debbasi appuntare neir universale,
stante che dall'
universale possa emer- gere unicamente la
possibilità della metafisica. Ecco perchè
tale possibilità è già beli'
e dimostrata, s' altra prova
mancasse, dal fatto
storico, dalla storia della
filosofia. Ecco perchè
lo scetticismo, siane
qualunque la forma, è
distrutto, o meglio,
è ridotto al suo
legittimo valore, dall'esistenza atessa
e dallo svolgimento cui son
venuti soggiacendo il
Platonismo e l'Aristotelismo. Ed ecco
perchè, ripetiamolo, questi
due grandi sistemi racchiudono un
significato supremamente comprensiva per due
rispetti diversi, l'uno
storico e l'altro
teore- tico, e per due
diverse ragioni altrove
accennate. Sul carattere precipuo
del Platonismo ci
sarebbe a sperare che
né critici, né
storici qund' innanzi
avessero a discutere più
oltre. Volumi in
foglio scrissero antichi e
riscrissero moderni, sia
per determinare il
concetto platonico del Bene,
sia per isgroppare
que' tanti viluppi su
la natura delle
idee, sia per
ispecificar l' attinenza
peculiare fra esse
e Dio, o
per lumeggiare il
processo della dialettica e
chiarir la forma
verace del metodo filosofico platonico,
o, finalmente, per
additare il rap- porto fra '1
pensiero e l' obbietto
sovrassensibile di esso. Pare
che i più
oggi consentano a
ritenere, il distintivo platonico star
nella teorica dell'
esemplarismo, e quindi nella
dottrina (vera o
no che sia)
delle idee avvisate oom' eteme conoscibilità, e com^ eterne
e assolute specie delle
cose, 11 che
tanto più avrebbe
a parer vero,
in ^Ytìov wjTTioòc To
(zé^iov (iTxpct^ityt/y.) iS\tntv.
Tm. Cfr. quanto che il
punto attorno a
cui s'aggira la
critica dello Stagirita sta
tutta qui: Videa
non pure esser Buperiore alle
cose, ma tutta
al di là e tutta
al di fuori delle
cose. Né le
tre scuole d' interpreti
che hanno a capo
Herbart Hegel e
Bitter, e che
in Germania oggi dividonsi '1
campo della critica
sul significato essenziale e
speculativo de' dialoghi
platonici, dissentono guari
in- torno a cotesto particolare,
quantunque tutt' e
tre rie- scano a dissidii
profondi nell' applicar
la critica non tanto
erudita, quanto d'interpretazione filosofica. Difficoltà pili
gravi porge l’Aristotelismo; col
qual nome intendo abbracciare
tanto Aristotele, quanto
la interminabile tratta de' suoi
commentatori. Queste difficoltà senza fallo
tengono all' indole
stessa della dot- trina aristotelica, all'esser
eUa, per così
dire, bifronte, racchiudendo i
germi di due
contrarie ed opposte
dire- zioni speculative:
cosa che, ove
non fosse universalmente riconosciuta, basterebbe
a comprovarcela, s' altro
man- casse , la critica
che neanc' oggi
ha smesso e
certo mai non ismetterà
la speranza di
porre in accordo
lo Stagirita con sé
medesimo. Eertanto, riconosciuta
l' ambiguità e r indeterminatezza del
sistema aristotelico nonché il
difetto d' impasto omogeneo
in parecchie sue
teoriche; considerato come Aristotele
uscito del tirocinio platonico dovea
serbare, come serbò
evidenti, alcune tendenze già
inseritegli nell' animo
dalla viva e
potente e drammatica parola
di chi seppe
concepire e scrivere il
Protagora e '1
Filébo; tenuto conto
sopratutto del-
l'opposizione gagliarda e
severa ch'ei mosse
contr'al maestro; e, finalmente,
considerato lo svolgersi
così va- rio, così intricato,
così opposto ne' suoi
resultamenti cui r Aristotelismo
andò «oggetto attraverso
civiltà diverse, tempi diversi,
luoghi divedi : non
avrebbe a parer Stallbacm, ne*
ProUgom, al Parmenide di VELIA, SERBATI, Aritt.
eep. ed esam.f Introd. Zkllbr, DeU^
espogiz. aritt, della
fil, di PUxtone, c.
rV. Tbbndelsnburo, Plut.
de id., Mabtik,
Éhui. mr le Tim.,
Àrgom, CousiN, Du
vrai, du beau
et du bien,
loz. IV.
troppo ardito T
argomentare, come dal
tatt' insieme delle sue
teoriche, in ispecie
dalle tendenze molteplici
degli esegeti d'ogni età,
cotest' indirizzi devan essere tre,
me- glio che due. De'
quali indirizzi noi
chiameremo il primo ip&rpsicólogko; il
secondo. Triturale oàempirico;
e il terzo medio,
ovvero
aristotelico-platonico
propriamente detto. Dal significato
stesso di queste
parole, ognuno s'accor- gerà come il
nostro criterio diflferenziale, e
la divisione riguardante gì'
indirizzi della dottrina
aristotelica nonché le diverse
esegesi a cui
elle conducono, sia
per noi principalmente di
natura psicologica; e non può
non esser tale. Aristotele,
infatti, non cessando
d' essere Aristotele, è anche
mezzo platonico. Un
criterio diflFerenziale, dunque,
circa le dottrine
de' due filosofi,
non potrebb' essere attinto in
altra sorgente salvo
che in quella della
psicologia, dove appunto
riluce piii netto il
dissidio, checché ne
dica il Ravaisson,*
tra i due filosofi
della Grecia. D' altra
parte cotesta nostra
divi- sione non solo si
porge come criterio
a discemere e giudicar
le diverse scuole
aristoteUche, ma ci
sommini- stra modo altresì per
valutare l' esplicazione storica
del Platonismo al lume
di quel terzo
indirizzo che noi
pensatamente abbiamo
appellato medio. 11
quale, se con
gli altri due l' abbiam
detto aristotelico, non è meno
platonico perciò. Cotesto indirizzo
medio, infatti, non
è ori- ginario, ma secondario.
Non è nato
fatto, ma capace di
farsi, di generarsi,
d'assumere fattezze proprie
e fisonomia sempre più
individuale e spiccata
nel corso della storia.
Però più d'uno
storico della filosofia
ha paragonato 1' Aristotelismo
e '1 Platonismo
a due fiumi che
risalgono verso due
sorgenti diverse; e
meglio avrebber detto due
correnti distinte d'
un medesimo fiume, le
quali, scorrendo, sempre
più si rimescolano e
conifondono per entro
a un medesimo
alveo. Nel- r Aristotelismo
quindi ci è
il Platonismo, o
meglio ci * E9$ai
de Ifitaph, d' ÀrUt,
Tom. I, Introd.
p. Y. è germi
di due maniere
di Platonismo, legittimo
e spurio. Il Platonismo
spurio in sostanza
è Arabismo; e la
cagion prossima, X
origine immediata di
esso non risale già
alla dottrina platonica,
come altri ha
creduto cogliendo a frullo
qualche sentenza qua
e là sparsa ne' dialoghi del
filosofo ateniese; ma
risale al medesimo Aristotele; e
ciò per due
diverse ragioni. La
prima delle quali, come
ha osservato un
illustre storiografo,* si radica
nell'opposizione che lo
Stagirita ingaggiò con- tro il
maestro ; e
questa, più che
cagione, noi diremmo sia
stata occasione, incentivo
alla dottrina averroistica. La seconda
poi vuoisi riferire,
come toccammo, all'indeterminatezza e ambiguità
della stessa dottrina
aristotelica su l'intelletto; tant' è
vero che Alessandro d'
Afrodisea, intendendolo in
parte sotto l'aspetto
empirico, potrebbe aver fatto
più sdrucciola, per
parte sua, la strada
all'Averroismo.' Se dunque
tale è l'Aristo- telismo di fronte
al Platonismo, si
può dire che,
ove altri pigliasse a
far una storia
compiuta del primo
conforme al criterio che
noi diciamo, farebbe
anche la storia del
secondo, cioè del
Platonismo vero, del
Platonismo legittimo,
appunto perchè nell'uno
e' è, anche 1'
altro, ma corretto, o
a dir meglio,
compiuto per più
d'un rispetto.' Ora che i
tre indirizzi non
siano per avventura
tre fantasie del nostro
cervello, potrebb' apparir
manifesto dalle sentenze diverse
che noi potremmo
agevolmente venir adunando nel
medesimo Aristotele, se
potessimo, anche a far
bella mostra di
peregrina ma non
difficile erudizione,
ingolfarci in esami
di esegesi minuta
e par- ticoleggiata, e
se il Rosmini
non avesse già,
meglio che * Renan,
Averrhoé» et VAverr.^
pag. 42. * Ravaisson,
Bonghi parlando della
metafisica d'Aristotele osserva,
c^ tutti qtianti %
»Ì9temi fino a
Carteno ei »%
»ono tpecehiati dentro^
e ci hanno jwù
o meno riconoeciuto
il proprio vieo,
(Lett. al Rosm.,
Trad. della Me- taf.i).
Nourisson dice fino
a Leibnitz. {Tabi,
de» progrU, ec., 2*
ediz, 1S59 nella
Condu$,) Perchè non
dire fino ad
Hegel addirittura? ogn' altri,
posto in sodo
con maniera davvero
magistrale r esistenza nello
Stagirita de' due
primi indirizzi. Ma una
prova più chiara
potrebbe averla chi
guardasse al modo con
che sonosi venute
svolgendo e diramando e
poi intricando e
vie più ravviluppando
fra loro le va-
rie scuole aristoteUche non
solo per tutte
quelle dieci età che
il nostro Patrizi
distingue nella storia
degli esegeti aristotelici, ma
eziandio per tutto
il periodo che corre
dall' epoca del
Rinascimento fino agli
ultimi critici tedeschi hegeUani
e non hegeliani,
Michelet, Pranti, Zeller, Trendelenburg. Da
Teofrasto, per eserapio,
a Stratone di
Lampsaco incomincia a
prevalere di già r
indirizzo naturale, pigliando
forma sempre più empirica
di guisa che si potrebbe
dire non v'essere stacco assoluto
fra questo indirizzo
aristotehco, e quelle scuole
che vi tenner
dietro, segnatamente l'Epicurea e
la Stoica.* 11
Nominalismo del medioevo
che SERBATI più
acconciamente appellerebbe Bealisfno
aristotelico, nonché il naturalismo
d'alcuni peripatetici, ci
palesano anch' essi
l' indirizzo empirico. ' I
Positivisti, finalmente, credono
anch' essi oggidì potersi
agganciare allo Stagirita,
ne in verità avrebbero gran
torto se troppo
facilmente non dimen- ticassero come accanto
all'Aristotele positivista ci sia
un Aristotele filosofo
anzi metafisico propriamente
detto. D'altra parte, il
Neoplatonismo e più
l'interminabile serie dei commentatori
arabi o arabeggianti
che smarrivansi in quella grossolana
forma di panteismo
])sico- logico annidatasi nella
dottrina dell'intelletto agente così
balordamente interpretata in
Aristotele, non ci palesano
schiettissimo l'indirizzo iperpsicologico? Fra questi
estremi quanto evidente
nella storia al- [Ravaisson. SERBATI,
ArUu eiip. ed
etam.y Introd. Roussblot,
Étud^ tvr la Phil.
dan» le moì/en
àgef l» Saint-RinÌ Taillak> DntB» Seot
Erigene et la
Phil, Seolwtt., CousiN,
Fragni, de PkiU du
fnoyen Age, [trettanto necessaria
in teoria è la posizione
mediana. Ella si studia
porre nn accordo
fra l'esigenza fondamentale del Platonismo,
e quella dell' Aristotelismo; fra
l'uni- Tersale in sé,
e Y universale
anche nel mondo.
Se non che è
facile vedere come
questa posizione abbia
a ren- dere immagine, diremmo
quasi, del ferro
magnetico il quale senza
posa oscilla fra
mezzo al polo
positivo e al polo
negativo. Tale davvero
è l' indirizzo medio,
un ferro magnetico :
per cui non
è impresa agevole
stabilire, per esempio, se
certi realisti e
certi nominalisti dell' evo
medio, de' quali
il Rosmini con l'
usata pazien- tissima industria andò
scovando più e
diverse famiglie, sLin da
dichiararsi aristotelici meglio
che platonici. L' indirizzo
medio nelle dottrine
filosofiche, massime
parlando di Platonismo
e d' Aristotelismo avvisati
nel loro svolgimento istorico,
spicca per questo
contrassegno: d' esser la
molla maestra, per
così dire, del
progresso nello sviluppo del
pensiero speculativo. Or
s'egli è tale, non
debb' esser rappresentato
da que' filosofi
che Pretendono alcuni storici
ctie il nominalismo non
dlfForìsca punto dal Concettualismo (per
es. il Cocsin,
(Euvres cT Abelardo Introd., in
ciò confutato meritamente
da SERBATI, Atìm, ec.)
Meno a?7entato degli
altri il Roverotano
si contenta designare
il secondo com*
una gpecie del primo.
E sia pure.
Ma se fra
Tun sistema e
T altro non
fosse alcun diyario, dovremmo
porre in un
fascio, non diciamo
con quanta ve- rità, i
nomi di Roscellino,
di Guglielmo di
Champeaux e d'Abelardo? Per noi
la differenza delle
tre direzioni filosofiche
medievali è precisa- mente quella che
esiste fra le
tre posizioni dell'
universale rispetto alle cose
: ante rem,
in re, poH
rem. Non dico
già che tra
Nominalismo e Concettualismo corra quel
medesimo divario che
pur troppo intercede
fra essi presi insieme,
e quella specie
di Realismo per
cui si distingue, 'per es., Anselmo
d* Aosta. Ma la differenza
è pur evidente,
essendoci differenza, parmi, tra
V ammettere e
'I negare Vunivenalenel
concetto. Checche se ne
dica, la
scuola di Roscellino
è nominale pura.
Quella di Guglielmo
di Champeaux è schiettamente
realista. Ma un
barlume di vero
progresso nella scolastica traluce
nel concettualismo. Esso ci
rappresenta, almeno compera possibile
in quell'età e
in quelle condizioni
della scienza, l'indirizzo aristotelico medio.
Il Concettualismo è
tanto superiore al
Nominalismo, quanto Io spirito
all'esperienza, -le idee
ai fatti, il
senso al pensiero. Il
Rimuaat e il
Nouritaon han saputo
rilevare a meraviglia
i meriti di questo
indirizzo nel periodo
scolastico. (Abìlakd, Tahleaux
de» progrì») la critica
non radamente finisce
per battezzare con
titoli diversi e disparati
e talvolta anche
opposti, non altri- menti che gli
zoologisti adoperano riguardo
a certe specie zoologiche
le quali, in
via di formazione
specifica, non possiedon per
anche caratteri netti,
spiccati e ben determinati?
Tal si è
agli occhi nostri,
per dire un esempio,
Afrodisio; il quale,
tuttoché meritasse titolo di
secondo Aristotele, ninno
però vorrà dichiarare schietto
aristotelico. S'egli infatti,
combatte la dottrina atomistica
degli Epicurei nonché
quella delle forme seminali
degli Stoici, é
questa una buona ragione
perché non sia
detto seguace dell'
indirizzo ari- stotelico
empirico. E, inoltre,
se contro Avveroé
piglia a corregger la
dottrina dell' intelletto
possibile, ciò dimostra com'
ei non sia
nuli' afiatto un
iperpsicologista, e per la
stessa ragione non
é a confondersi
co' puri platonici. Che se,
finalmente, opponendosi allo
stesso Aristotele procaccia dimostrare
come la specie
anziché nell'individuo sia nel
pensiero, con ciò
si manifesta chia- ramente seguace dell'indirizzo mediano.
L' Afrodisio dunque, se potessi
designarlo così, sarebbe
il concet- tualista per eccellenza
fra gli esegeti
ellenici, e quindi potrebbe rappresentarci l'antecedente
ideale del Con- cettualismo mediqevale. Egli
per primo nella
storia dell' Aristotelismo ci
esprime il bisogno
d' accordare le due opposte
direzioni aristoteliche, restando
egli stesso aristotelico, e però
non arabo, né
sensista. — Si
potrebbe facilmente
dimostrare, se qui
fosse luogo, che
il mede- simo indirizzo ci
esprime e la
medesima funzione eser- cita san Tommaso
nel medioevo; talché
nell'età medioevale AQUINO
rappresenta ciò che l'
Afrodisio fra' primi commentatori
greci.* * Parlando d’AQUINO
BONGHI dice: Quello
che m'ha fatto molto
maravigliare, e di
cui non mi
$on reso cofUo
pienamentef come •' accordi
in tanti luoghi
coW A/roditeo^ tema
perft citarlo mai,
ìé accordo ^ tale
che non pud
ewer casuale. (LeU.
al Rosm.) È
vero, AQUINO non conoscerà
che di nome
rAfrodisio. Lo conosceva
per mezzo d*A7erroé; eppure
tanto spesso trovasi
d'accordo con lui
neir in- Altri esempi
più spiccati potremmo
averli nel Ri- nascimento; esempi di
filosofì che a
tutta prima non paiono
stare né di qua ne
di là. Tali
per noi sono,
a dime questi, PORZIO, ZABARELLA, LAGALLA, CASTELLANI;
e non
esiteremmo annoverarvi anche
il Sessano, come quegli
che finì per
combatter l'Averroismo e dar
molto da pensare
a' seguaci dell'
indirizzo empirico fra' quali
in cima a
tutti siede il
Pomponazzi * Che
se il Patrizzi e più FICINO, fra
gli altri, si
palesano schietti
neoplatonici, cotesto lor
platonismo non va
certamente confuso con l'Arabismo.
Anche noi crediamo
che certi Platonici e
certi Peripatetici arabeggino
la lor parte, e
tanto s'assomiglino fra
loro quanto due
gocciole d'acqua. Ma perchè
pretendere porli in
un mazzo? La lor
mente muove da
sorgive diverse; così
che, in- terpretando a lor
modo Aristotele e
Platone, gli uni spesso
vaporano, come s' è
detto, in una
forma confusa di panteismo
psicologico, in mentre
che gli altri
svo- lazzano sì da restare
immersi e balordicci
in mezzo agli splendori
d' un misticismo il
quale se non
è panteismo poco ci
corre. Arabismo quindi
non è Plato- nismo; 0, se
si vuole, è
i) fiacco, è
il grossolano Plato- nismo venuto fuori,
come to^tommo, attraverso
la critica male interpretata
d' Aristotele contro
il suo maestro. Se
dunque la storia
dell'Aristotelismo è lì
pronta a mostrarci incarnate
nelle sue scuole
tre diverse tendenze, ciò
vorrà dire più
cose. Vuol dire
che queste tre
tendenze debbono esistere, ma
esistere come in
germe nelle dottrine e
nella mente stessa
del Caposcuola. Vuol dire terpretare il
JUo$ofo, che davvero
tale consenso non
può esser ccituale. Quale n'
è, dunque, la
ragione? BONGHI non
ne avrebbe fatto
le mera- viglie se avesse
pensato eh* eran
tutt' e due
nel medesimo indirizzo,
nel- r indirizzo aristotelico
mediOf per quante
possano esser le
differenze. Molti filosofi italiani,
che d'ordinario sono
mossi iu fascio
con POMPONAZZI 0 con gli
schietti averroisti ovvero
co' puri platonici
(come appunto NIFO) a
noi paion seguaci
più o mono
spiccati dell'indirizzo
medio, quando siano
interpretati con benignità
di giudizio, e
senza le traveggole d'una
critica sistematica. ch'elle hann'a
distinguersi e sdoppiarsi
e correre il
palio del processo istorico.
E vuol dire,
perciò, che a
questo ior successivo distinguersi
ha da presiedere
una legge di progresso
che per passi
lenti, ma sicuri,
valga a ri- condurre r analisi
alla verità della
sua sintesi primi- tiva. Aristotelismo e Platonismo,
ripetiamolo, non sono a
dir proprio due
filosofie ; né
sono due serie
di filosofi gli Aristotelici
veri ed i
veri Platonici. Sono
ben due filosofie que’due
commenti così opposti
fra loro e
contrari, che, fondandosi in un concetto
b empiricamente naturale o
esageratamente
iperpsicologico del pensièro, vennero fabbricandosi
col succedersi de'
secoli, con l'in- calzarsi de' filosofi,
e con 1'
avvicendarsi delle scuole. Non
seguiremo perciò, a
questo proposito, la
sentenza del Buhle, del
Bitter, del Renan
tb d' altri
storici che altro divario
non sanno scorgere,
fra' peripatetici del Rinascimento, se
non quello eh'
è possibile riconoscere fra' commentatori
d' un medesimo caposcuola.
Come confonder ACHILLINI con PORZIO?
e PORZIO con NIFO?
e NIFO con ZABARELLA e
con GONTARINI? e tutti questi
con ZIMARA e
con altri di
simil tenore? Il criterio
innanzi stabilito ci
può far comprendere perchè mai
tutti quelli che
han sempre sospirato
un accordo fra l' uno
e l' altro sistema,
risentano piii del- l' indirizzo platonico
anziché dell' aristotelico;
e perchè accanto a BESSARIONE, a PICO
Mirandolano, al citato
Gontarini, al MAZZONI,
e a tutti
gli altri che
credono toccar col dito
il vagheggiato accordo,
non manchino i
Donato, i Folieta. i
Buratella che reputino
pazzia cosiflFatto accordo. I
primi ci dimostrandoci
fatto che nell'Ari- [Una prora
estrinseca che fra il Platonismo
e l’Aristotelismo pri- mitivi
non V*
è, masdme in
certi ponti di
metafisica, divario sostan- ziale, potrebb* esser
tolta dalla maniera
ond' Aristotele conduce
la crìtica inverso alla
fllosofia del sno
maestro. Lo Scbleiermacher Tha
chiamata critica da maestro
di scuola: e,
per alcuni rispetti,
non a torto.
Zeller infatti ha mostrato
ad evidenza come
il discepolo stiracchi
non di rado il
maestro per meglio
abbatterlo. Ved. Op. cìt.
trad. da BONGHI
specialmente nel Cap. iV. stotelismo c'è il Platonismo,
e però l'indirizzo
medio; i secondi poi
che nello Stagirita
ci ha i
germi delle altre opposte
e contrarie direzioni.
Un accordo è
possibile ; ma non
fatto a maniera
^meccanica e per
sovrapposizione, come si pensano
certi viventi neoplatonici
col trasferire all'un filosofo
ciò che si
crede faccia difetto all'
altro, e dando
per esempio ad
Aristotele l' idea pla- tonica, e a
Platone il concetto
della Juva^c? o
della ytvevii aristotelica. Il
discepolo ha pur
egli la sua
idea, cgme al maestro
non manca la
virtù del fatto
e il valore dell'esperienza.
L'accordo quindi è
opera della storia; ed
è r opera
travagliosa della critica
rintegratrice. La quale, rotondando
le sporgenze e
ammorbidendo le angolosità che
pur troppo si
lasciano scorger ne' due filosofi, li
modifica, li rimpasta,
li trasfonde 1'
uno nel- r altro
e li trasfigura
siffattamente che ci
scompaian dagli occhi Aristotele
e Platone, senza
che perciò abbia a
scomparire ed estinguersi
quell'eterna e vivace
esi- genza cui levossi il
pensiero indoeuropeo fin
da' primi momenti della sua
riflessione speculativa e
metafisica. Ripetiamolo
anche qui. Il
risultamento finale dell'Aristotelismo e del
Platonismo non è
già il trionfo dell'uno su
l'altro, od al
contrario. È il
trionfo d'entrambi, per una
ragione altrove rammentata
a proposito delle due
moderne filosofie. E que'
critici che tanto sudano
e s' arrovellano
a mettere in
trono vuoi un Aristotele
passato attraverso i
lambicchi d'una critica infedele ed
eunuca, vuoi un
Platone rimpannucciato co'
cenci d'un troppo
vieto tradizionalismo, negano, senz'
addarsene, la storia.
Negano la storia,
perchè disconoscono gran parte
del lavoro storico
già compiutosi per opera
degli esegeti ellenici,
arabi, alessandrini, latini, italiani del
Risorgimento. Reca
marayiglia davvero il
pensare come in
questa maniera di
critica incappino perfino, parlando
d'Aristotele^ gli hegeliani
più assennati quando affermano, per
esempio, che aìVidea
topra le cose
di PlaUme AnstoteU SOSTITUÌ Videa
delle coae^ o
la forma. Basterebbe
già la parola
909Htu\ a far cangiare
ftsonomia, non pure
airAristotelismo e al
Platonismo, ma a
tutta Premesse queste considerazioni generali,
veniamo alla quistione psicologica.
U problema psicologico
al quale si connette
ogn' altro, è quello
che risguarda la relazione
fra V anima
e '1 corpo.
Se cotesta relazione interviene fra
mosso e movente,
per usare l' antico
lin- guaggio, s'ha
l'indirizzo platonico; il
quale j>wò trovar riscontro con
la posizione iperpsicologica della
esegesi de' commentatori averroisti.
Se è relazione
di potenza e Aleuto,
pigliando l' atto come
determinazione o semplice la
storia della scienza.
B tal si
è infatti il
linguaggio tenuto nella
ìot critica da Hegel,
dal Michelet, dal
Franti, dallo Zeller,
ne' quali attingono ispirazione i
nostri hegeliani. Ma
dicendo che Aristotele
sostituì oc, non sembra
che lo Stagìrita
abbia inteso di
negare addirittura V idea platonica? Giacché a
poter sostituire bisogna
innanzi negare; e
per mettere qualcosa, è
d^uopo averne levato
qualche altra. Ora
il vero si
è che Aristotele, oltre la
specie come predicabile,
il che costituisce
proprio la novità sua
di rimpetto a
Platone, riconosce altresì
la specie separata^
la specie in sé, là forma
in sé, spoglia
di materia. La
qual forma in sé
(s Zi
poi aurvj x^-^'
aur^fv vj uo^^tj)
è altrettanto chiara
in Aristo- tele,'quanto la
forma mista alla
materia (ùtgjùti^jvvj (uterà
rrì; vItiq). lì divario
fra* due ftlosoft
perciò non risguarda
la prima, vo*
dir la specie per
eccellenza, ma si la seconda,
cioè la cosa
contenente la specie.
Di che si vede
come per lo
Stagirita, oltre l'insieme
de' due elementi (to
au voXov) ci sia
ben altro ancora.
Al di là
del to' slSoz
sv fn uXv),
infatti, vi ha l'essere,
vi ha la
ragion delle cose,
tÒ tìSo;, (Ved.
Metaph.). Intanto, che cosa
ti fanno i
critici hegeliani ?
Essi pigliano quel
che loro toma comodo.
Pigliano il to'
oùvoXov, e il
resto considerano come
un caput mortnumj o
sentenziano: Ècco qua
il vero Aristotele!
Che sia l'Aristotele del loro
cervello, è chiaro,
né vi cape
ombra di dubbio.
Che sia l'Aristotele che ci
porge la storia,
lo neghiamo risolutamente; né
ci man- cherebbe modo a
darne dimostrazione, se
questo fosse il
luogo. Si dirà che
quel caput mortuum
sia come il
Deus ex machina
dì Cartesio? una contraddizione? Innanzi
tutto potrebbe stare
ch'ella non fosse
tale: e tale infatti
non la reputarono
i nostri vecchi
critici del Rinascimento,
né tale è creduta
oggi da' massimi
e più severi
interpreti moderni, qual è
Trendelenburg in Germania,
SERBATI in ITALIA,
Ravaisson e B.
Saint- Hilaire in Francia.
Checché ne sia,
la critica seria
e feconda starebbe appunto nel
levar di mezzo
la contraddizione, ma
senza negare nò ra-
diare in Aristotele l'esigenza
platonica; se no,
risicheremo d'incespicare
nel solito scoglio,
quello cioè di
far la storia
zoppicando, e far
cammi- nare la macchina con
una sola ruota.
Nessuno de' quattro
critici poco fa rammentati,
fra' moderni, e
neanche fra gli
antichi il nostro
Simone Porzio per esempio,
avrebbero detto, né
dicono, sostituì. Avrebbero
dette aggiunse, a/mpìè, eon-ewT,
iiirern, t' simili. modificazione della
potenza, avrai la
posizione empirica
dell'Aristotelismo, il cui
rappresentante più logico,
più originale nell' età
del risorgimento dicemmo
essere il Pomponaccio. Se
cotest' attinenza, per ultimo,
è quella di forma
e di matefia,
ma intesa in
maniera che la
prima tuttoché rampolli dalla
seconda non però
sia come assorbita da
questa e ne
dipenda in modo
assoluto, ma anzi
la superi, la informi
di sé e
basti ad alimentarsi
di sé me- desima; in tal
caso avremo una
terza posizione, la
cui esi- genza é pur
manifesta in Aristotele,
e nella quale
pone radice la soluzione
più acconcia del
problema psicologico. L'
indirizzo iperpsicólogico, nome
che d' ordinario scambiasi con
l'altro di platonico,
ha natura dedut- tiva, e costituisce
il metodo degli
spiritualisti di tutt'
i tempi : nelle
cui mani la
psicologia assorbe siifattamente la fisiologia,
da ridurla alle
umili condizioni di
sem- .plice appendice della
prima. L'indirizzo aristotelico empirico ha
natura puramente induttiva;
ed é il
metodo de'mateiialisti
d'ogni età, nonché
di certi moderni biologisti e
positivisti, agli occhi
de' quali la scienza dell'
anima é com'
un' ultima pagina,
una modesta ap- pendice della fisiologia,
ovvero una specie
d'enume- razione, come
direbbe Hegel, di ciò che
é l'anima, di ciò
che in lei
avviene, di ciò
eh' ella opera.
* L' indi- rizzo medio, finalmente,
facendo giusta parte
e ragione tanto alla
psicologia quant' alla
fisiologia, interpreta il rapporto
fra la potenza
e l' atto col
sussidio del metodo genetico ;
e così giugno
a salvare ad
un' ora medesima i
diritti dello spirito
e quelli della
materia. A siffatto risultamento
ci mena la
critica e la
sto- ria delle differenti soluzioni
date a quest'
arduo pro- blema.
Rifacciamoci brevemente dal
Platonismo. Il concetto psicologico
del gran figliuolo
d' Aristone, se é
parso profondo a
molti in quanto
che mira, come direbbe
Cousin, a congiugner
la natura intelligibile * Phil,
de VEnprit, trad. VERA,
con la materiale
maritando due mondi
opposti nell'anima razionale e
sensitiva [cf. Grice, The power structure of the soul], pur
nullameno e' riesce manche- volissimo chi pensi
come anima e
corpo al filosofo
d’Atene s’affacciassero dislegati,
scissi, e solamente
ap- paiati così fra loro
com' il nocchiero
col suo naviglio.* Nessun vincolo
secreto, adunque, nessun
nodo, né ombra di
processo nelle funzioni
psicologiche pel padre
del Platonismo.' Di qua proviene che
per lui la
mente, vivendo d' una vita
superiore, non abbisogna,
a dir proprio, di
pareli^; il pensiero
essendo già per sé stesso un
discorso con sé
medesimo: Sto^UyaSat^ Perciò
stesso una divisione razionale
e organica degli
atti psicologici teoretici nella
dottrina platonica è
impossibile: laonde quant'
all' essenza propria
e specificante l' anima,
piut- tosto che generarsi, si
compone; o, come
osserva accon- ciamente un acuto
scrittore, si raccozza,
non si esplica.® Il
concetto psicologico dunque
del primitivo Plato- nismo é tanto
incompiuto, quanto incompiuto
si palesa quello della
sua cosmologia, nonché
l' altro delle relazioni fra
il mondo e
gli etemi paradigmi. Il
processo psicologico é
assai meglio determinato neir Aristotelismo. Ed
é tale in
grazia della dottrina dell'entelechia, e della
relazione fra la
materia e la
L' anima uriiana
è formata alla
stessa maniera dell*
anima del mondo. {Tim.,
trad. Coubin) È qualcosa
d' intermedio fra il
mondo sensibile e
V idea. (Zeller,
Eapo- »tx. arìatotelica della
jUoBofia platonica.^ p.
304.) * Di qui
la celebre definizione
dell* uomo alla
quale han fatto
e fauno buon viso
tutti gli spiritualisti: Avro^f
tu toO» (Tw^aro;
OLpy^ov (àjÀo'koyTntTafisv
«vO^owttov govai etc.
Ved. nel Primo
Alcib.f 51. • Chaigkbt,
De la Paycologie
de Platon^ Paris,
Ved. nel Soph,,
trad. del Cousin, La
classazione accennata nella
Repub. si riferisce agli atti
morali; e lo
stesso può dirsi
dell'altra simboleggiata nel
mito poetico del Fedro.
Solo nel Teeteto
havvi un principio
di divisione teo- retica delle funzioni
psicologiche, ma anche
questa manchevole. • BONQHI,
Storia del concetto
deWAnipia neUe varie
scuole antiche e del
medio-evot, nei Saggi
di FU, Civile^
Genova' Arist., 2)« i4»., :
W\j'/ri sanv «vtc>«x***
**^/'**'''*' arà^y.roc yuTtprou Sovy.jjLH
Zwvj'v j^^ovto?. forma. Tale
anche dove si
rifletta al valore
che Aristotele porge al
senso come rappresentazione com' elemento essenziale del
pensiero,* nonché all'ufficio
eh' egli attri- buisce all'immaginazione (>3stxaT«a) come
facoltà me- diana fra senso
e ragione;* anticipando
così la dottrina su
la relazione che
il Kant stabilì
fra questa facoltà e
le altre due
estreme funzioni dello
spirito. Con que- ste idee
fondamentali, checche ne dicano
coloro che col B.
Saint-Hilaire non rifiniscono
d'incelare la psicologia platonica," Aristotele
creò la psicologia
come scienza indipendente dalla
biologìa, gettando insieme
le basi della zoopsicologia
che, nelle mani
segnatamente del Darwin e
dell' Agassiz, oggi comincia
ad assumere di- gnità e
significato razionale. Ecco
dunque uno degli esplicamenti , una
delle correzioni dell'Aristotelismo verso il
Platonismo neU' àmbito
delle ricerche psicologiche. Nel Timeo
Platone riguarda l'animo
qual moto originario e
spontaneo fàuToxtv»Toc); Aristotele,
meglio avvisandosi, estende siffattamente
cotal virtii da
riferirla altresì all' animale.^
E questo, senza
dubbio, fu un
passo gigantesco. Ma se nel
filosofo di Stagira
vi ha passi
cCoro ad ogni pie
sospinto, non per
questo vi manca
la scòria. La sua
psicologia, come quella
del suo maestro,
è manchevole ; ed
è manchevole, perchè
riesce tale altresì la costituzione della
sua cosmologia. Il
sistema dell'universo per lui
è quasi una
catena di cui
gli anelli principali '
rappresentati dalla forma
e dalla materia,
dalla potenza e dall'atto
(5uvx/:xtc ed ivtpyéia),
si ripetono, s' ingradano e
moltiplicano viepiù col
distendersi di essa. *
Akist., Ve An.f
lib. I, cai).
L ^ * Idem.
Ta y.iv ovv
e*trìvì rò vokjtcxov
«v toìc (por.vróÌ9fia9t voti. De
An., B. SAnrr-HiLAiRK, Tmité
de VAme^ Introd. *
Abist., Melaph. X. *
Intendiamo accennare a*
due princìpii intemi
che per Aristotele costituiscon r essere
e sono anzi
Tessere; a differenza
degli altri 4no ntemi
che ne costituiscono
i Jimiti. (Meutph. ) È
una scala in
cui per moto
continuo, dallo stato
di sonno e di
stupore, la potenza
s'aderge al più
alto grado dell'attività pura.
In cotesta relazione
trovasi precisamente la materia
corporea di fronte
agli esseri vegetabili e
sensitivi ; il vegetabile e
'1 sensitivo rimpetto all'essere intellettivo;
e T intellettivo inverso
agi' intel- ligibili.' Ma in che
risied'egli cotal passaggio?
Tutto ciò che agisce
non può non
essere un ente
in atto, cioè la
specie che operando
sopra un ente
potenziale vien così traendolo
dal nulla.' La
forma dunque che
germoglia dalla materia è
davvero il passo
d^oro nella cosmologia aristotelica;
come il passaggio
empirico e al tutto
materiale e puramente
generativo dall' uno all'
altro, n' è
la parte inaccettabile
ed erronea. La potenza
non movesi da sé per
intima energia, ma solo
in virtii del
movente, della forma.
Il potenziale, in una
parola, non giugne
all'attualità, salvo che
per mozione d'un attuale.*
Or com'è possibile
che la potènza riesca anteriore
all'atto, se in
realtà è sempre
un atto quello che
ha da movere
il termine correlativo
? Che se l'atto
è antecedente alla
potenza e la precede
altresì di tempo
; ^ non
è egli chiaro
che cotesta po- tenza abbia a
riescire affatto vuota
e sterile e
infeconda, posto eh' ella
abbisogni sempre d' un
atto che la
tragga ad atto? • Ma c'è di
più. Se l'originalità
d'Aristotele risiede neir aver
visto l' elemento formale
intrhisecarsi col materiale ;
e la forma
in quanto reale
costituire perciò la sostanza
(ouVJa); e questa
esser non altro
che processo. V? fuo-c;,
wTTff rin trvvtyjia
XavOoévscv to' TtsBóptov
aur&ìv xat tÒ ^ttjoy
wOTi/Owv ««TTt'v. Hi»U Anim.f
Vili. Arist., Metaph., De Oenerat.
Aninu. O
ffTTÌv VI xcv)}(7(;
«V Tw xtv>jTw,
Stj'koy' i'»Ts\éyr^siwc, 7ivj(T5a£
rt): la parte
fiacca di sua dottrina,
invece sta nell'aver
posto, com'ho toccato, medesimezza di
natura, fra le
due supreme determina- zioni degli enti
nell'ordine delle sensate
realtà, onde poi accade
che rimanga difettosa
tutta la cosmologia.
La potenza avvisata in
sé medesima è
Sivafii^, In quanto fluisce verso
l'atto è tvspysia.
In quant'è atto,
stato, riposo, stasi, è 5VT«>ex«ta. In
quanto poi transigi
ad atto novello ripiglia
valore d' Bvspyùv., e
così di seguito. Il
moto (KlvYiTit:), il
conato^ come direbbe
il Leiljnitz, il conato
0 lo sforzo,
come direbbe il
Vico, costituisce l'essenza di
tutti questi tennini
diversi; in lui
s'in- centrano potenza ed atto;*
il perchè formando
fra loro continuità, compongono
un sol ente
capace di passare attraverso stati
o momenti in sé stessi
diversi per intrinseca eccellenza. La
produzione si fa
sempre nella medesima specie,
ed all' univoco.
* Or se cotest'
appunto è la
natura del passaggio, non è
egli chiaro che
le cose devan
liescire identiche nella sostanza?
Non é chiaro
che, ov' elle
progrediscano, cotesto lor progresso
altro non sarà
che trasformazione, ninno potendo
affermare che trasformarsi
vai progredire ? E s'
é così,
a qual fine
e con che
ragioni mover critica al
maestro, nella cui
dottrina il mondo
non è che parvenza,
fenomeno, ombra vaniente
e passeggera? Nella dottrina
cosmologica aristotelica, dunque,
il pròcessus è
al tutto apparente.
Apparente e fallace
la spon- taneità e r
intrinseca attuosità delle
forze. Né AQUINO ebbe torto
d' affermare, contro gli
arabeggianti dell'età sua i
quali così appunto
interpretavano Aristotele,
che una
forma sostanziale novella
mai non appare, *
"iÌTxs \sins70n TO
'key^Biv slvxc xat
ivépystav xat fivj 9*
ecyae, Metaph,, Mrtaph. ove
la vecchia non
isparisca; e che
la generazione, concepita qual
moto continuo e come incessabile
tras- formazione d' un
subbietto identico, renda
le forme novelle affatto accessorie
e accidentali.' Se
quindi il genie possente d'Aristotele
seppe scorgere e
dimostrare una delle grandi
leggi della realtà,
vo' dir la
continuità tra forma e
materia (tò (ruv-^sf),
la relazione intima
fra la ^uvaj^xì; e
r £VTf>èX5*«» P^rò
il profoudo concetto
della £V5/>7sia; non però
giunse a vedere
quell'altra condi- zione, non meno
imprescindibile della prima,
la quale seguendo una
vecchia frase pitagorica
potremmo appellar legge ddV
intervallo {StitTTviiia), I medesimi
pregi e le
stesse manchevolezze nella sua
psicologia. L' uomo è tu
vo>ov : dunque
è materia e forma
ad un'ora medesima.
L'anima intellettiva, quindi, è
atto. E la
potenza di quest'atto?
È il senso....
La- sciando le induzioni favorevoli
che si potrebbero
fare circa tal dottrina
d'Aristotele interpretando il
concetto del senso ch'ei
chiama generale, si
potrebbe domandare: in che
sta la relazione,
e qual' è
mai la natura
del passaggio fra' due -termini?
Se ci è
continuità, in che
maniera il senso può
diventar ragione, l'esteso
inesteso, la materia pensiero?
Se poi non
v'.è continuità (né ci
può essere una
volta eh' ei
medesimo invoca la
mente dal di fuora^),
com' è che
alla fin fine
si ritrovan, por cosi
dire, sovrapposte le
tre anime che
sono anch' elle forma
e materia, atto
e potenza? Trendelenburg e Rosmini,
fra gli altri,
han messo a
nudo, com' è noto
• Summa e
— fe bene
arvertire come gli
storiografi hegeliani,
imbattendosi in questa
dottrina Aristotelica, credano scoprir le
Indie e vi
s'aggancino tenacemente, senz'addarsene ch'ei
s'agganciano, anziché al vero e genuino
Aristotele, ad nn
tronco arabo !
E' non s'accorgono come
già da sette
secoli siano stati
mlnerati da quel
mo- desto fraticello che, primo
e meglio d' ogn'
altri, mise a
nudo le maga- gne dell' Averroismo ove
dimostra Averroè peripatetiofn
philotopJUm de- pravatore
Ved. Opusc. Contra
AverroytUy; e nella Somma
q. LXXIX. * Aribt.,
Or Gerterot, Anim.,
questo sconcio aristotelico.
L' un d' essi non
capisce in che maniera
lo Stagirita interrompesse
la serie pre- clara, e
però si studia
correggerlo facendo che
la mente in potenza
(tw Travra 7£vsf
cor*»;), ma anche potenza
del corpo (d^jv^im
tow jw/xaro;).' E
nello stesso metodo fu
poscia ormeggiato da
parecchi filosoh del Rinascimento :
da quelli segnatamente
che tra V
anima e '1 corpo
introdussero un' attinenza
di causalità reci- proca, stante clie
la natura partorisca
la forma in
quanto é potenza anch'
ella, ma potenza
attuosa ; e
la forma (juinci rigeneri
e ravvivi la
materia in quanto
la compie. Se non
che il Tomismo,
scordando spesso l'ottimo indirizzo d'Aristotele,
tìgge gli occhi
nella materia, e in
questa presume riporre
talora la ragione
e '1 principio dell' individualità. Errore
del quale secondo
alcuni sto- rici tornerà sempre
vano il voler
difendere il dottore Angelico, quando
si consideri che
la materia, perchè
si ' Idem, eoci.,
XG: educitur e
potentia imtterice. Ved. ueirOp.
cit. del RAyAiSHUN,
porga qual principio
d'individuazione, ha pur
bisogno d'esser determinata, suggellata,
segnata: or da
che cosa mai può
esser ella improntata
sadvo che dalla
forma? ciò che formava
appunto il nòcciolo
della opposizione degli Scotisti.*
Del buon indirizzo
aristotelico inoltre si dimentica
san Tommaso dove,
rasentando l'aristote- lismo
emJ)irico, si mostra
così titubante su
la verace natura del
senso, che la
potenza per lui
non è così piena
e così feconda
come pur domanderebbe
la produzione dell'atto; e
quindi sente necessità
di chieder sussidio a
un lume piovutoci
addosso non sai
dir come * Io
qui non intendo
propugnare la teorica
sa T indìvidnazione di san
Tommaso. Son anch'
io del parere
che gli Scotistl
non aressero poi tatt*
i torti neir
opporrisi, perchè davvero
non mancano sentenze nel Tomismo
che debbano andar
soggette ad una
critica severa. Ma
fa meraviglia il pensare
come non tutti
che ne han
parlato siansi dati
cura d' interpretare con benignità
siffatta dottrina; e
più meraviglia il
vedere come r abbian
trattata male anco
i più versati
nella filosofia sco- lastica e nello
studio deir Àquinate,
qual* ò, per
esempio, lo Jourdain che
tanto nel 1®
quanto nel 2*
voi. Dell’opera poco
fa citata, si
mette a sfatar l’Angelico
AQUINO (si veda) in modo poco
serio per le
contraddizioni nelle quali secondo
lui, cade 1* autore della
Somma, e per
V inanUà con
che tratta siffatta questione.
Si dice e
si scrive che
il principio d*
itulividwuione per TAquinate stia
nella materia; e
se davvero fosse
così, non s*
avrebbe torto a dargliene
biasimo. Ha, a
voler interpretare con
dirittura di giu- dizio la
dottrina tomistica, non
è proprio e
sempre la materia
quella in cui è
da riporsi tal
principio, slbbene ciò
che in un
ente ha ragione di
primo subbietto. Ecco
le parole deirAquinate:
Ulud qntodtenet rationem
primi tubieeti, est
oausa individuationie et
divieionin tpeciei in
euppoeitis. E qual'
è questo primo
«ubbietto t Est
id quod in
alio recipi non potesL
Or le forme
separate, per ciò
che non ponno
esser ricevute in altro,
hanno ragion di
primo subbietto; però
s'individuano; e però
In et« tot »unt
epeeies, quot eunt
individua, (Ved. De
nat. materia, e
8.) Or la materia
è ella principio
di distinzione? Si,
certo: ma in
quanto e sin dove
ha funzione di
primo subbietto. Nella
dottrina tomistica, dunque, il
principio d' individuazione non
sarebbe nò la
forma né la
materia, ma or l'una
or l'altra secondo
che quella o
questa esercita funzione
di primo subbietto. So
che i dubbi
non per questo
si diradano, né
gli op- positori cessano. Ma io, ripeto,
non difendo in
tutto tal dottrina,
sibbene chiarisco la
interpretazione da darsene,
e la critica
da fame. Vedi in proposito
le lettere dell'
egregrio Aless. Bbrntazzoli
assai dotto nella filosofia d’AQUINO:
Di un ulteriore
e definitivo esplicamenio
ddla FlIoHofin /tcnlasttra ec,
Bologna, ISCl. né perchè,*
invocando così un
atto immediato di creazione.
Se l'anima è
forma, atto puro,
potrebbe esser generata dal
corpo? Non potrebbe,
risponde AQUINO: ciò eh'
è immateriale è
impossibile che ram- polli per via
di generazione ;
la quale non è altro,
a dir proprio, che
trasformazione. Ma potrebb'
esser fatta della sostanza
divina? Tanto meno;
perchè questa non è
che un atto
purissimo.' Eccotelo dunque
anche lui all' intervento
del solito DetAS
ex machina; alla
neces- sità d' un atto peculiare
di creazione ex
niMlo, Or non vi
sarebb'egli altra via
al nascimento dell'anima
fuori di queste due,
generazione o creazione
estranea e divina? —
CJom'è evidente l'A.
della Somma (non
altrimenti che l'A. della
OUtà di Dio
risguardo a Platone)
eredita, co' grandi pregi,
anch' i difetti della
dottrina aristotelica. Il concetto
della individuahtà è
concetto capitale nella storia
della psicologia. È
propriamente la radice prima
onde pullula, chi
ben guardi, tutto
il pensiero moderno filosofico,
politico, religioso. La
teorica della
individuazione, perciò, è l'
addentellato più acconcio
per cui, nella storia
delle soluzioni riguardanti
il problema psicologico, il
medioevo, segnatamente il
Tomismo, si congiugne con l'
età e
co' filosofi del
Rinascimento. Non ostante i
pregi e i
meriti grandi che
l'Aquinate può vantare verso
l'Aristotelismo e più
verso il Platonismo, la sua
dottrina doveva esser
corretta mostrando che il
principio d' individuazione non
istà, a dir
proprio, nella forma, né
tampoco nella materia,
ovvero nell'una o nell'altra
secondo la ragione
del primo suòbietto.
Meglio ponendo il problema
psicologico si dovea
mostrare che 1' anima
è individuale non
perchè informi una
materia, ma sì perchè,
materia ella medesima,
diventa forma; perchè l' anima
si fa coscienza;
perchè la coscienza
empirica attinge valore d'autocoscienza e
di libero pen- [Summa,
!• 2», CXI,
art. 2: impre9no
divini luminii in
noòw, re- fidgentia divincB
cIoritoiM in anima, •
Summa] siero, nel cui
regno non v'
ha materia e
organismo che lo spirito
non vinca e
sorpassi, né fantasma
o imma- gine eh' ei
non superi e
sottoponga a sé
stesso. Ora produrre, o
almeno compiere cotal
dimostrazione in maniera positiva
ponendola sotto novelli
punti di luce, non
era possibile senz'
il concetto della
storicità, essendoché
appunto in seno alla
specie, in seno
al co- mune e alla
moltiplicità appaia e
si determini e
spicchi vie più la
nota della differenza,
tuttoché cotal differenza germogli nelP
individuo, e sempre
per natia virtù
dell' individuo. A tal'
opera spiegarono grand'
efficacia innanzi tutto i
nostri filosofi del
Risorgimento. Altrove
mostreremo come in
tal' epoca si
riproduca il medesimo triplice indirizzo
della scolastica, ma con esigenza
ben diversa, perché la
storia è tale
artefice che mai
non ricopia sé stessa.
Qui notiamo solamente
che nel medioevo le
tre tendenze aristoteliche, le
quali abbiamo appellato iperpsicólogica, empirica
e media, riproducono nel Risorgimento
l'esigenza del Realismo,
del Nominalismo e del
Concettualismo, ma trasformandola. Se per
queste tre scuole
la ricerca filosofica
versava su la natura
dell' universale dapprima,
e poi, massime
con r Aquinate AQUINO, su
la natura del
medesimo universale ma in
relazione col particolare
(principio d' individuazione);
per i
filosofi del Rinascimento,
in vece, ella
risguardava in modo precfpuo
la natura intellettiva
dell'anima, nonché il rapporto
fra il pensiero
e l'organismo. Essi
modifi- cano profondamente
tanto il Platonismo
quanto l' Ari- stotelismo;
così che
alcuni, specie quelli
che rappresentano r indirizzo
medio , non intendono
ristringere l'intelletto nel puro
senso, ma lo
allargano si che, 'ri- collegando il problema
psicologico al problema
cosmo- logico, si sforzano di
rannodar l'anima in
quanto intelligente con la
natura in quanto
intelligibile.* * Noi avremmo
buono in mano
a dimostrare, se
qai fosse luogo,
che r indirizzo medio
aristotelico nel Rinascimento
fa rappresentato, sebbene in
maniera incerta e
assai confusa come
portava il carattere
di quel- Il Rinascimento
apparecchiava la moderna
psicolo- gia, ma non la
costituiva. E non
la costituiva perchè il
problema psicologico non
può ricevere acconcia
soluzione quando sia troppo
confinato nelle pure
indagini psicologiche. V'era, per
esempio, chi studiavasi
di pro- * vare
V immortalità dello
spirito e chiarire
le ragioni e i
modi ond' il
pensiero nel suo
operare s' addimostra indipendente dal
corpo. E v'
era poi chi
facevasi ad in- vocare il
sussidio de' soliti influssi
divini come fanno anc'oggi, a
tre e quattro
secoli di distanza,
i nostri neoplatonici. Or
io non dirò
che il problema
su' destini dello spirito
possa esser risoluto
così facilmente quan- t' altri s' immagina.
Dirò che alla
psicologia potrà dirivare qualche
sprazzo di luce
non già mostrando (inutile tentativo!)
che l'anima sia
indipendente dal corpo, ovvero
che Dio faccia
piovere il suo
influsso su r intelletto
arzigogolando in che
guisa lo irraggi,
lo il- ^ lumini
e lo riscaldi;
ma procedendo per
altra via; procedendo per una
via men soggetta
alle angustie del- l'empirismo, 0
meno aperta alle
facili speculazioni dell' a priorismo.
Se Dio influisce,
comunque si voglia, su
l'anima, altro ei
non potrà fare
che modificarne
l'operazione: cangiarne la
natura non può
davvero. Che se, d' altra
parte, si giugno
a dimostrare l' indi-pendenza dal corpo,
non per questo
s' avrà dimostrato ch'ella sia
proprio immortale, se
pure non vogliamo r
età, da parecchi
filosofi ; fra'
quali notiamo il
Contarini, PORZIO, ZABARELLA,
VIO, SPINA (si veda), SCAINO (si veda) fra gì'
interpreti, 0 anche SESSANO. Il
quale, nella forma
ultima da lui
data alla dottrina 8U
r anima, si
può dire che
si rannodi con AQUINO
e perciò anche
con TAfrodisio; onde BONGHI ha
detto benissimo affermando
che, nell' in- terpretare
Aristotile, il Sessano
segue appunto il
commontatore greco {Meta/, rf'Arwt.,
Leti, ed Roam.).
Questi ed altri
vecchi nostri filosofi andrebbero studiati,
interpretati, e naturalmente
anche corretti secondo il
criterio che abbiamo
appellajto medio. Specialmente
andrebbe studiato il povero
Nìfo cosi malconcio
e sfatato dal
nostro collega Fio- rentino: al quale
il Franck, del
resto, ha saputo
dire che il
Sessano non pure fu
il piò, Maggio
metafisico del suo
tempo, ma, più
ancora, che il Pomponazzi
trovò appunto nel
Nifo un contraddittore imbarazzante,
e d'una grande autorità.
— (Joum, dee Sav.
Magg. 1869.) acconciarci alla
celebre quanto inutile
distinzione del Pomponazzi dell'Io
fisico e dell'Io
intellettivo, e del- l' anima
propriamente mortale e
impropriamente immortale! Al pili
potremmo giugnere a
dir questo; che r
anima non finisca
così come finisce
il corpo, cioè disgregandosi e
trasformandosL. Ma cotesta
soluzione non è affatto
negativa? Tutt' insieme
dunque la speculazione
del Rinasci- mento, per quanto
riguarda il problema
psicologico, era piuttosto negazione
anziché affermazione :
negazione del medioevo, e
apparecchio a novelle
affermazioni. Nean- che il Pomponaccio,
il più schietto
seguace dell' indi- rizzo aristoteUco naturale^
potrebb' esser detto materia- lista nello stretto
senso della parola.
Il significato vero del
suo libro su
la immortalità, diciamolo
di passata, è quello
di porre sott'
occhio, da una
parte, le magagne delle
viete dimostrazioni su
la natura, e
sul fine e su
r origine dell'
anima; e manifestare,
dall' altra, il bi-
sogno di prove più
salde, e però
la necessità in cui
trovavasi il pensiero
filosofico di tentare
ben altre soluzioni, e
schiudersi altre vie.
Qual' era una di
queste vie? La durata
dello spirito, come
personalità, doveva esser indagata
nella medesima essenza
e costituzione intima del
pensiero. £ a
tal fine che cos' era
necessario? Era necessario lo
studio del processo
isterico; appunto perchè l'intima
costituzione del pensiero
si rivela da sé
medesima nello svolgimento
della vita dello spirito;
e la vita
dello spirito è
appunto la storia. In
altre parole : era
necessario vedere per
via di fatto, cioè
col processo storico,
come l' essenza dello
spirito tutta nelP esser egli
un conato, un'attività
profonda che sempre più
si estrica da'viluppi
di natura e di
sé stesso; che
sempre più si
determina in sé,
e si compenetra con
la natura e
con sé medesimo;
e come per siffatta
qualità egli sia
capace di trascender
la natura, di sorpassare
l'organismo, di superare
anche sé medesimo, pur
rimanendo sempre una
personalità. Ed eccoci pervenuti
alia conclusione dove
in questo capitolo
desideravamo giugnere, e per la
quale abbiam dovuto fare
sì lungo giro
da risalire fino
alla doppia sorgente storica
del concetto psicologico.
Se per più e
diverse ragioni ne
il Platonismo né
l'Aristotelismo primitivi
non pervennero, in
generale, a determinare
il vero concetto dello
spirito quantunque ne
apparecchiassero gli
elementi da secoli
molti, il che
non è poco
; se i due
massimi rappresentanti della
filosofia cristiana, tuttoché introducessero due
nuovi concetti in
siffatta questione, non però
giunsero a salvarsi
da incongruenze manifeste
; se, da ultimo,
cop lo sdoppiarsi
dell'Aristotelismo nel
Risorgimento fu messa
a nudo la
fallacia delle vecchie posizioni, l'insufficienza d'im
argomentare fiacco e barcollante
esprimendoci così l'esigenza
di prove novelle in
siffatte indagini: è
chiaro come all'uscire del medio
evo importasse rannodare
i quattro concetti attorno a'
quali vennero travagliandosi per
sì lunghi secoli co'
lor proseliti i
quattro filosofi cui
siamo venuti accennando, correggerli,
esplicarli, compierli, e
statuire una dottrina positiva
circa la genesi
psicologica. In altre parole:
importava accettar l'esigenza
psicologica platonica risguardante il
connubio del doppio
mondo sensato e razionale:
ma occorreva anche
correggerlo mercé il concetto
della triplicità intima,
originaria cui poggiò, primo
fra tut^i. Agostino.
Importava altresì accettar r
esigenza aristotelica del
processo psicologico, e nel
medesimo tempo modificare
profondamente e trarre a
maggior compimento il
concetto della generazione psichica dello
Stagirita mercè il
concetto di creazione; il
che tentò fare,
e lo fece
da par suo, AQUINO
(si veda): ma più ancora
importava correggere il concetto
creativo de' Tomisti e de' filosofi
cristiani, in generale,
cancel- lando in esso queir
immediatezza divina eh'
è un dato
di fede anziché di
ragione, avvisandolo invece
com' essenzial condizione dello
spirito. Questo, possiamo
dire, si studiaron
di fare tutt'
insieme parecchi filosofi
italiani de| Rinascimento, o
per lo meno
ne sentivano la
necessità. ^ Nessuno vi
riesci compiutamente, per
la ragione qua ^ dietro
accennata, d' aver
voluto ristringer tale
ricerca ^^ negli angusti
confini della psicologia.
Ad essi mancava un
altro grande concetto.
Mancava un'altra posizione, per cui
si distingue infinitamente
il Rinascimento dal tempo
moderno. Mancava l'esigenza
di riguardare il pensiero
innanzi tutto come
genesi psicologica, e
questa genesi psicologica poi
considerare qual fondamento
im- mediato della genesi storica.
Però non è
da meravi- gliare se alla
scuola de' nostri
politici facesse difetto la
vera nozione del
diritto sopra cui
si puntella uni- camente la scienza
politica, nonché il
concetto vero della individualità, senza
cui non può
sorgere né perpetuarsi lo Stato
libero. Né fa
meraviglia se i
teologi assorbissero il gius
nella morale, e
se una riforma
religiosa allora non potesse
fra noi essere
effettuata nelr ordine
civile, comecché fosse
già in gran
parte pe- netrata nella mente
de' nostri filosofi. Mostrammo come
il Vico si
colleghi col Cartesianismo; e dicemmo
che co' nostri
filosofi del Risorgimento ei si
congiugne logicamente, più
che per le quistioni metafisiche, per
la ricerca psicologica.
In lui si
compie la posizione cartesiana,
e si riproducono
e ringiovaniscono i vecchi
principii improntati del
sentimento della viva realtà.
Vi é dunque
un' attinenza ideale,
vi é un legame
logico tra la
posizione di VICO, della Scienza Nuova, e
quella de' filosofi del
Risorgimento. Alla ri- cerca psicologica nuda,
astratta, empirica e
subbiettiva, deve tener dietro
necessariamente la ricerca
informata alla esigenza della
storicità. Ecco perchè
a ricostruire la storia
del pensiero italiano non
avremmo guari bisogno
né di Cartesio né
del Cartesianismo, se
non fosse per
alcune questioni cosmologiche e
ontologiche. Egli si
ricongiugne co' filosofi del
Rinascimento in tre
modi, come nel
pros- simo capitolo mostreremo; ma
di più li
trascende infinitamente, perchè
se è vero
che nel medio
evo il pensiero filosofico riponeva
l'essenza dello spirito,
a così dire, furori
di §è, mentre
nel Rinascimento, attraverso forme diverse,
inchinava a riporlo
sotto di se;
è natu- rale che, col
sentire la necessità
del processo istorico, novello sentiero
egli avesse a
dischiudersi, rintracciando
quell'essenza nel seno
stesso dello spirito
siccome centro e insieme
processo della storia.
Gli storici della
filosofia italiana,
ripetiamolo anche qui,
non potranno far a
meno, quando voglian
discoprire un vincolo
ideale fra le due
epoche, di questa
relazione alla quale
siamo venuti accennando, e
su la quale
ci rifaremo più
riposatamente in luogo più
acconcio. Capitolo Quinto.
ORGANISMO E PROCESSO
PSICOLOGICO. {Fxmdamenio
razionale del processo
istorico.) I punti sostanziali ne'
quali possiamo stringer
la dottrina psicologica, seguendo
le orme del
nostro filo- sofo, son questi: !•
Concepire in maniera
compiuta e vera
la natura della facoltà
psichica in generale. 2«
Distinguere nelle funzioni
psicologiche due processi, conoscitivo e
operativo, ma formanti
unico organismo, unico circolo. 3*
Riguardar gli atti
psicologici come una
moltiplicità di funzioni
distinte e per
sé stesse irreducibili; ma nondimeno
determinate e recate
in atto dalla
virtù d' unico principio
originario. 4* Finalmente, porre
siccome base razionale
e immediata del processo
istorico lo stesso
processo psicologico. Col primo
di questi concetti
il nostro filosofo
si col- lega dirittamente
con Aristotele, e
con gli Aristotelici del Rinascimento
seguaci dell' indirizzo
medio; e nel medesimo
tempo corregge, in
ordine alla psicologia,
quel vecchio domma del
falso Aristotelismo e
del malinteso Platonismo che
suona così: niente
moversi da sé, che
non sia mosso.
Col secondo e
col terzo imprime forma
razionale e organica
alla scienza dello
spirito tanto contro Averroisti
e Neoplatonici che
troppo distac- cano i due
elementi onde risulta
V ente umano,
quanto contro quegli Aristotelici
empirici che, troppo
affogando r uno neir
altro, finiscono per
confonder la sfera
della psicologia con quella
della biologia: ma,
sì nel primo come
nel secondo caso,
egli serba Y
esigenza psicologica
platonica che dicemmo
consistere nella distinzione
dei due elementi, nonché
V esigenza aristotelica
la quale riguarda il
processo nelle funzioni
psicologiche. CJon gli stessi
concetti onde corregge
nella quistione psicologica il Platonismo
e l'Aristotelismo, previene
l' esigenza del Criticismo intomo
al doppio ordine
della Ragion teoretica e
della Ragion pratica,
e insieme la
invera e la compie.
Col quarto concetto,
finalmente, imprime significato razionale e
positivo al fatto
storico, e crea
la Scienza Nuova. Innanzi tratto
intendiamoci sul metodo
acconcio a simili indagini. Tommaso Buckle
osserva che i filosofi,
parlando su la natura
dell'anima, non sanno
pigliar le mosse altro
che o dalle
sensazioni, o dalle
idee; riuscendo così, nell'un
modo e nell’altro,
ad un metodo
solitario, astratto, inefficace, inconcludente.* Sennonché
egli stesso, il Bu-
ckle, non giugno a
salvarsi dal primo
difetto. 11 suo
metodo isterico, differente dal
deduttivo inverso raccomandato dal Mill,
é addirittura un
metodo empirico; onde inciampa
in quel sensismo
ch'egli condannando vorrebbe causare. Checché
ne sia, l'osservazione é
degna d'un * HUtory
of Civilization in
England]. positivista
inglese ; e
noi, pur correggendola, non
dubi- tiamo farla nostra. A
schivare infatti tanto
le conseguenze d'un gretto
empirismo, quanto le
arditezze d'un magro e
sfumante idealismo, è
forza movere non
dal fatto della sensazione,
eh' è cosa estrinseca
e quasi soprav- venuta allo spirito,
e nemmanco dalle
ideej le quali
in sostanza non sono,
per noi, fiiorchè
produzioni di lui; ma
da lui stesso
; dallo stesso
spirito in quanto
pensiero. Bisogna movere, in
somma, dal centro,
anziché dalla circonferenza; dalle
facoltà, ma dalle
facoltà concepite quali sono
in realtà, cioè
come funzioni. A
tal uopo è necessario
adoperare un metodo
che non escluda,
ma che sappia includer
le esigenze di
tutt' i metodi; em- pirico, naturale, sperimentale,
psicologico astratto, fisio- logico, e simili.
In una parola,
è necessario il
metodo genetico ; il
quale, rispetto alla
psicologia, è ciò
che il metodo eduttivo
è rispetto all'ordine
del conoscere.' * Il
metodo col qnale
i Positiristi presamono
di far la
scienza psicolosrica è
al tutto empirico
e artificiale; ma
qui non intendo
porre in nn fascio
psicologi positÌYisti inglesi
e francesi, com*ha
fatto il Vacherot. {Betf. de»
Deux MondeSf die.)
Spencer, Mill e Bain
stimano che la psicologia
è superiore, indipendente dalla biologia,
precisamente come la
deduzione è indipendent-e
e superiore air induzione
pel Mill, e
come la Sociologia
è indipendente dalla
storia tanto pel Mill
quanto per lo
Spencer. I Francesi,
al contrario, facendo della
Psicologia una semplice appendice della
Biologia, non sanno
con- cepir r nna senza
1’altra. lì ri'y a
point de p9yeolog%e
en déhors de la
biologie. (LiTTRÉ, A.
Oomte et St.
Mill) Tale anche
è per la deduzione
rispetto air induzione,
la psicologia rispetto
alla storia, la Dinamica
rispetto alla Statica
Sociale. Sennonché, qualunque
ne sia la differenza,
le due scuole
intoppano in due
errori diversi; nel
formalismo empirico Tuna, e
nel materialismo Tal
tra: e così
entrambe rendono im- possibile la scienza
della psiche. Rifacciamoci
brevemente dagP Inglesi. Qual
debb* essere, secondo
St. Mill, il
fine della psicologia?
Non altro che la
ricerca diretta delle
ntceeeeioni mentali, (Sjfét,
de Log, tom.
II, p. 484.) E
quaV è la
legge più semplice,
più generale cui
si riducono i fenomeni
psichici? Quella àéiV anaoeiazione delle
idee; la grran
legge osserrata da
Hume. [La PhU.
de Hamilton) Innanzi
tratto si può osservare:
La legge dell’associazione è
legge empirica, e
quindi ò un fatto:
ma qual n'è
la ragione? Senza
questa ragione potreste
uscire dall'empirismo? st.
Mill non ispiega
cotesto fatto, ma 1’accetta dair
esperienza. Altro difetto gravissimo,
conseguenza del primo,
è questo; che Il
metodo genetico applicato
alla ricerca psicolo- gica attinge valor
positivo e insieme
razionale, quando la legge
d* associazione nou
racchiude necessità psicologica
di sorta. È una
legge men che
empirica, e può
mancare. Dunque una
notizia scien- tifica circa la
natura psicologica, per
lui, è impossibile. Più ancora:
il prodotto ddV anaociaziowi
è un fatto
«t* generi»: egli
stesso ne conviene. {DUaertation and
DiicuMiona) Or bene,
come spiegare cotesto 9ui
generi» con la
pura legge d’associazione? Ci
ò qui rispondenza,
ci ò proporzione tra l’effetto e
la causa? Finalmente,
come spiegare con la
semplice associazione il
gran fatto della
coscienza f Bisognerà
dunque concludere che la
legge, la quale
St. Mill dice
esser la più
semplice e ge- nerale fra tutte
quelle d' ordine psichico,
importi qualche altro
fatto ante- riore, 0 irreducibile.
La psicologia contemporanea
inglese quindi cade
nel formalismo empirico. E se riesce
a distinguer la
psicologia dalla biologia e
dalla storia (eh*
è il suo
pregio), non riesce
a trovare fra V una
e le altro vincolo
di sorta. —
Tocchiamo ora della
scuola psicologica de’ Positivisti francesi. Il Littré
riguarda la psicologia
qual semplice appendice
ed appli- cazione della biologia;
e vuol quindi
trattarla con metodo
analogo. Ma fa una
distinzione acuta e
ingegnosa di cui
giova tener conto,
perchè forma la sua
stessa condanna. Egli
pone un divario
profondo tra la fa-
coltà e il suo prodotto. Logica,
ideologia, psicologia (egli
dice) non si distinguon
menomamente dalla biologia
quando siano avvisato
come funzioni; ma, guardate
nei lor prodotti,
se ne differenziano
in infinito. Parimente il
linguaggio, come facoltà,
è faccenda biologica
; ed ha
la sua ragione in
una delle circonvoluzioni anteriori
del tessuto cerebrale,
secondochè ci assicuran
oggi gli sperimenti
fisiologici : ma,
come grammatica, se ne
discosta per grand*
intervallo, o nou
ci ha che
veder niente con la
biologia. Che cosa
rispondere? Rispondiamo, troppo
antica e troppo vera
esser oggimai la
sentenza aristotelica, che
tra la natura
della causa e quella
dell' effetto non
possa esserci divario
essenxiaie. Or negli
esempi quassù arrecati il
divario essenziale e*
è: gli st>essi
positivisti non- ardiscono dubitarne. Come
dunque spiegarlo cotesto
divario? È egli
possibile spiegarlo senza riconoscer
la differenza fra
le due scienze
non solo quant' a* prodotti psicologici,
ma anche quant*alle
facoltà? Como funziono il
linguaggio non appartiene
egli anche al
quadrumane? Ora in forza
di che cosa
riesce tanto profondamente
diverso il risultato
nel bimane che ha
pur comune col
quadrumane la funzione?
Si dirà in
forza del- l' unione, del
numero, dell* attrito
nella specie, nella
società? Ma non vivono
in società anche
alcune famiglie di
quadrumani? Eppure quella funzione non
ha dato, e
mai non darà
il risultato che
pur dovrebbe! Àncora: se
il prodotto fosse
tant^ diverso dalla
facoltà solo per
ragion del- l' associazione e
del contatto, che
cosa ne verrebbe?
Che 1* uomo
sarebbe fornito di qualità
e doti essenziali
non per so
stesso, cioè non
perchè individuo, ma per
altri e da
altri, cioè perchè
membro della società.
Or tutti sanno che la £eicoltà
della parola, cosi
intimamente annodata col
pensiero, non e dote
accidentale ìn& eÈsenziffova;i^«i!l;
\iytxaiy to xvpiov
in fvTf>f;i^sta jctc.
(Id. Eod.) È Vachu
in aetu degli
Aristotelici del Risorgimento
segnaci deir indirizzo medio, per
esempio ^del Gontarini,
come aTrertimmo. RàTAiBSOX,
Métaplu d'Aritt.,. psicologica. Lo
spirito è essenzialmente processo,
è ge- nerazione, ma non
trasformazione. Non va
dalla parte al tutto, come
avviene delle combinazioni
meccaniche; ma dal tutto
al tutto, dal
tutto potenziale al
tutto attuale, dal di
dentro al di
fuori, da una
sintesi origi- naria e confusa,
ad una sintesi
analizzata.* Voglio dire che
il processo psicologico
s'inaugura non già
con que- sta o cotesta
facoltà, anzi con
tutte le facoltà.
Le quali perciò non
sono funzioni determinate
e specificate sin dalla
loro origine, ma
convengon tutte nell'essere
altrettante potenze, e, come
tali, formano unica
potenza originaria, eh' è conato
essenziale, sforzo incessante.* Che cosa
sia questo conato,
si vedrà nell'
altro capitolo. Qui dobbiamo
considerar le facoltà
psicologiche come ce le
presenta il fatto,
cioè come una
moltiplicità di funzioni. Che
cos'è la facoltà
psicologica? È un
passaggio dalla potenza all'
atto. Ella ci
esprime la pronta
ne- cessità di fare, di
determinarsi, d' attuarsi;
e quindi vuol dire
facilità, prontezza, solerzia,
agevolezza di fare.' Or la
facoltà intanto significa
pronta e spontcmea solerzia di
fare, in quanto
fa il proprio
obbietto; in quanto si
fa come funzione;
in quanto si
pone come [Anche in
ciò la psicologia
somiglia alla fisiologia,
ma non tì si
confonde. L’organogenia s' inaugura,
meglio che con
uno, con tutti
gli or- gani ad un
tempo. Per esempio
i centri primitiTi
multipli del sistema nervoso, che
la microscopia ci
pone sott* occhio,
chiarisce e conferma quest' assunto.
Cfr. Vulpian,
Physìologie gfn. et
comp. du syaL
nere. — LhittS, SyH. New. cerebro-spinale. Glkibbrrg,
Intinto e Libero
cwbitrio trad, del Langillotti,
Nap. Oonatum uni menti
attrihuimu»f quce libero
arbitrio prcedita pottH BUB8TARB.... eoque
pacto potett motitm
subsistrre et stare
in conato [De Univ.).
Ne* corpi e*
è moto, secondo
il concetto cosmologico del Vico,
ma nell* animo e
è moto e
eoncUo: o meglio,
il moto qui
as- sumendo natura di conato
è moto del moto, e
quindi è aetw
in actu. Expedita
seu expromtn f'iciendi
solertia (De Antiquisn,
TtaU Sap.^ . Facoltà
suona anche proprietà,
ma proprietà cosciente
: di- stinzione confermataci dal
comun linguaggio che
attribuisce la proprietà alle cose,
ma predica dell*
nomo \h facoltà.
Vedi le belle
riflessioni dello JouFPRoy in
proposito {^filang. Phil.,
ed. Bruxelles attività: FacuUaùes
sunt eorum, quce
fadmus. Ecco il
concetto psicologico piìi
originale di VICO (si veda). Il
germe di que- sto concetto è schiettamente aristotelico; ed è
la chiave ond' egli,
anticipando la moderna
psicologia, preveniva il Fichte,
e insieme ne
correggeva V esagerazione. Dunque la
facoltà posta come
funzione psicologica che fa sé stessa
in quanto fa
il proprio obbietto,
è il ' passo
d'oro del Libro
Metafisico. Ad esso
rispondono altri due che
troviamo nel Diritto
Universale e nella Scienza
Nuova; e tutt'e
tre riescono a
comporre l'organismo del processo
psicologico. Tale organismo,
in- fatti, parmi racchiuso in
queste due sentenze:
!• che r uomo
è innanzi tutto
SensOy appresso Immaginazione e quindi
Ragione: 2*» che
l'uomo è un
Potere, un Volere e
un Conoscere potenzialmente infinito. ÀRlST. De an.
DoTe
stanno, a mo*
d'esempio, i colori,
i sapori, gli odori,
il tatto? Se il
senso è facoltà,
ne segue che
tu in sostanza
hai a far
i colori nel vedere,
tu i sapori
nel guastare, tu
i suoni nelP
udire, tn gli
odori nel- r annusare,
tu stesso il
freddo e '1
caldo \iel toccare.
Nam si «enatu
facultates sunt, videndo
colore», sapores gustando,
sono» nudiendo, tangendo frigida et
calida rerum facimua.
{De Antiquisa) Parimenti
con le immagini e
con le rappresentazioni la
yirtù fantastica partorisce
il proprio obbietto, e
si fa; di
modo che scegliendo
il meglio di
natura ed elevandolo a
valore di tipo,
a questo vien
conformando V opera
d* arte. De medio lectam
{formam) ttupra fidem
extoUunt, et ad
eam auos heroaa con/ormant. (Ibi, 2.)
E la memoria,
potenza che rifa
e penetra so
mede- sima, non potrebbe rifarsi
e penetrarsi ove
innanzi non si
fosse fatta; ne quindi
può esser quella
magra e sterile
ritentiva di che
ci parlano i sensisti.
L' intelletto è facoltà
anche lui, perchè
col determinarsi viene a
geminarsi nel giudizio,
e perciò vede
; e vede,
perchè occhio dell'
intel- letto è il giudizio
: Judicium eat
oculus intellectu; né
potrebbe intellet- tivamente vedere, se
non intendesse; nò
intendere, ove anch'agli,
al solito, non facesse
il proprio obbietto.
Intellectus verna
faeultaa est, quo quum quid
intelligimua, id verum
facimua, . In tutto
questo il Vico ormeggia
Aristotele. Per es.
la visione, secondo
lo Stagirita, è
Vatto dd colore; l'udito
è V aUo
del auono. (Ravaisson
Metaph, d^ Ariat.,
Aeist. De An.)
Il primo di
questi due principii
è evidentemente aristotelico,
per- chè dall* ou^SvitTiq al voù^, com'
è noto, ricorrono
parecchi gradi e sfu-
mature componenti tutte un
unico processo: ^ója,
^àvTacr|ua, se V
Intel- ligenee^ Lauoel, Probi,
de V Atne, Litthé, Revue de
Phil. Potit. Consulta anche
le op. «it.
di VuLPiAN e di
Lhuts. dell' immaginazione, cioè
all' intendimento, nonché
il passaggio dall'intendimento alla
ragione? Fra il
termine sensato dell' intuizione
e '1 fantasma
e' è un
abisso. Un abisso tra
il fantasma^ tra
il fantasma anche
salito ad universale poetico^
ed il concetto.
Un abisso ancora fra
il- concetto, e
la nozione, l' idea,
V universale pro- priamente detto. Bisogna
credere, perciò, che
dall' un gruppo all'altro di
funzioni psichiche non
esista continuità, ma transito
; non passaggio
immediato, ma in- tervallo. Or bene,
come, altro che
per miracolo, l' una facoltà potrebbe
trasformarsi nell'altra? Non
è dunque la facoltà
che si trasforma
e diventa ;
ma è lo
spi- rito che si forma,
che si determina
nel multiplo e me-
diante il multiplo delle
facoltà. Laonde attraverso
e al disotto a
questa multiplicità di
funzioni, è mestieri
supporre una facoltà madre
che, come facoltà
deUe facoltà compia i
diversi passaggi e
intervalli, e sia
come il principio dinamico
dell'organismo psicologico. Ma di
questo faremo parola
nel prossimo capitolo
dove ricer- cheremo la genesi
del processo psicologico.
Seguitiamo. Quel che s'è
dettò del processo
conoscitivo, dicasi pure del
processo operativo e
pratico dell' organisriio psi- cologico. Una medesima
legge governa tanto
la genesi del conoscere,
quanto quella dell'operare.
I diversi gradi e
momenti del processo
operativo rispondono a' di- versi gradi e
momenti del processo
conoscitivo. L'operare
infatti è determinato
dal conoscere per necessità
tutta psicologica. Come dunque
potrebbe non riprodurre
la medesima legge? Il
processo pratico suppone
il teoretico, stantechò
la funzione yo- litiva,
alla quale si
riferisce ogn' altra facoltà
d'ordine operativo, sia funzione
essenzialmente secondaria. Accenneremo
qui i diversi
passag^ di questo processo
secondo i tre
gruppi (no««ey oeU«,^oMe)
additatici dal Vico; ma
ci ristringeremo a
notarne i difTerenti
gradi seguendo l'ordine ascensi vo, tuituraU
e, per cosi
dire, cronologico. L a)
Istinto fisiolooigo. —
Risponde alla Sensazione; anzi
è la sensazione stessa,
ma sotto l'aspetto
riflesso, attivo, comecché
incosciente. In esso quindi
si ripeton le
medesime condizioni, non
altro essendo fuorché unità
incosciente e confusa
fra Vagente e'I
motivo dell'azione. Additato così
con fuggevoli tocchi
il doppio aspetto onde
risulta il processo
psicologico, potremo intendere ormai quella
dottrina del nostro
filosofo a cui
più di una volta
venimmo alludendo nelP
abbozzar la storia della
Scienza Nuova: dico
la dottrina del
Vero e del Certo,
che ha riscontro
con V altra
della Bagione e dd-
VAidorità, 11 vero
è produzione di
Ragione; il certo
è produzione d^ Autorità,^ Ma
come nelP ordine
conosci- [Istinto uitano (il
poste del Vico
nel sao primo
grado empi- rico). — Si
ripeton le condizioni
della Percezione sensata.
I due termini qui
cominciano a distingaersi
; ma VigUnto
non è por
anche desiderio. L'istinto anche
qui è immohile,
è cieco, e
pnr nonostante è
umano. Ed è umano
principalmente perchò non
può rimanere istinto^
ma dehb* esser superato dal
desiderio, dee diventar
desiderio. e) Dbsidebio.
~ Risponde alla
Rappresentazione, e n'
è l’attività. Il motivo
dell* azione è
determinato, particolare. Quindi
fra questo motivo e
r agente havvi
necessità empirica, immediatezza. d) Passignk. Risponde ai
primi gradi deirimmaginazione, e,
come questa, è mobile
e varia; e
perciò è meno
indeterminata che non
sia il desiderio. Il
Desiderio è uno,'
la Passione ha
più forme. L'obbietto
che la determina non è il
particolare, e neanche
il generale. Appartiene
al-r individuo considerato
non come individuo,
ma com' elemento
di società. Segna dunque
un passaggio; il
passaggio dal desiderio
al libero arbitrio. II.
e) LiBRRo ARBITRIO. — L* obbietto
è generale, astratto;
perciò è più mobile
della Passione, e
quindi costituisce il
passaggio dalla necessità empirica alla
necessità razionale (libertà volgarmente
intesa). Risponde alla Immaginazione
imitatrice e riproduttiice
eh* è tuttora
schiava della natura; al
modo istesso che
il libero arbitrio
è dominato da
un motivo tuttora eteronomo.)
Dbtkrminazionk (passaggio del
libero arbitrio alla
Libertà).Risponde, più che
all'Immaginazione
(combinatrice), alle varie
forme del- l' Intendimento. Varietà
d* obbietti. g) SuK
DIVBRSR POBMB {contrarietàf
contraddizione j dezione). — Anche
qui ha luogo
un processo come
neU* Intendimento. L*
elezion razionale non ò
più libero arbitrio,
ma Libertà. ) Libertà. È
determinata dalla Ragione
: perciò importa
la necessità razionale. Libertà
quindi è dovere
appunto perchè è
ragione. Ma può tornare
ad una delle
tre forme d'arbitrio,
stantechè la necessità, ond'è signoreggiata, sia
necessità morale. ») Personalità.
È l’Autorità che
si converte con
la Ragione. È il
risultato del processo
psicologico, e rappresenta
il circolo delle
facoltà perchò le suppone
tutte, e le
contiene in atto.
1& dunque la
circonfe- renza, cioè rio pienOf
attuale. Qual n*è il centro?
(Vedi nel Gap.
seg.) * n concetto
à^ÀtUorità è una
delle idee cardinali
dell'opera sul Piritto UniversaJle. Noi' qui
ne parliamo per
incidenza; perchè questa tivo
è mestieri che
il vero si
converta col fatto,
così nelr ordine
pratico il certo
fa d'uopo che
si converta col vero.
In altre parole,
se il processo
teoretico guardato
psicologicamente è una
conversione del vero
col fatto; il processo
operativo, al contrario,
guardato storica- mente, è una
conversione del certo
col vero. La
relazione che Vico pone
tra il vero e
'1 Certo, somiglia quella che
nell'Aristotelismo tiene la
forma verso la ma-
teria, ma considerata nel
processo isterico. Risponde altresì alla
relazione eh' egli
medesimo scorge tra la
filologia e la
filosofia. La filologia
porge i placiti
del- l' umano arbitrio (placita
humani arbitri) ;
la filosofia indaga i
principii necessari di
natura (necessaria na- turcey
Perciò][aiferma. La
Filosofia contempla la Ra-
gione onde viene la
Scienza del Vero:
la Filologia osserva l’Autorità
deW umano Arbitrio
onde vien la Coscienza
del Certo.^n Or
la Ragione, producendo
il dottrina dovendo esser
considerata principalmente sotto
T aspetto istorico (nel che
sta tutto il
suo pregio e
la sua norità),
dovrà quindi formare oggetto d' interpretazione e
dì studio nella
Sociologia. Qui dobbiamo avvertire solamente
che, quantunque i
siguiiìcati della parola
Autorità pel Vico sian
diversi (Autorità polìtica,
religiosa, monastica, incononiica, civile e
simili) nullameno tutte
le specie d'autorità,
chi interpreti bene la
sua mente, hanno
d' aver per fondamento
originario queir An^ontò alla quale,
propter rerum novitateìn^
ei volle dare
un titolo nuovo,
e V appellò AUCTOttlTAS NATURALIS,
ACCTOEITAS ì>tATURMj[De Univ.
Jur., XCI). PerciÒ la
definisce: Humana: natura:
proprietae. Perciò non
dubita chiamarla divina. Perciò
la designa come
T unità vivente
delle tre funzioni costituenti l' ordine
pratico psicologico: noBsCf
velie, posse. Perciò, finalmente,
la dice Suitas;
e la Suitas
nell'uomo vale, per
lui, ciò che in Dio VAseitas.
Vedremo altrove esser
questa una dottrina originale
onde l'autore della
Scienza Nuova prevenne
la moderna filosofia del
Diritto. Del che
niuno de' critici
di cui parlammo
ha avuto sentore, tranne
il Carmignani e
l'Amari; ma l'uno,
come dicemmo, ne parla
superficialmente, e l'altro
in senso tutto
cattolico e tradizionale. De Constantia
Jurispr., Proem., Sc. Nuova,
Si noti qui,
a maggiore schiarimento del metodo
vichiano, che la
Filosofia è quella
che contempla, e la
Filologia quella che
ossava. Secondo il nostro
linguaggio, quella deduce, e
questa induce. Or
la Scienza Nuova
non fa propriamente
l'una cosa, né l' altra.
Essa pone in
opera entrambe cotoste
funzioni, e le couipenctra in
una terza che
dicemmo essere il
ma),àstoro eduttivo. vero^ costituisce
il processo della
coscienza ; in
mentre che r Autorità, producendo
il certo e
legittimandosi nella
ragione, forma il
processo dell'autocoscienza, e partorisce
il concetto della
personalità (Proprietas sui; Suikis).
Sotto l'aspetto isterico,
perciò, l'Autorità è il
libero arbitrio che
diventa libertà, e
quindi Ragione: sotto l'aspetto
psicologico è lo
stesso libero arbitrio già
divenuto ragione. Ond'
è che come
il certo non è
il vero
ma una parte
del vero così
V Autorità non è
Ragione, ma è
partecipe di ragione. Che
cosa è da concludere
da tutto ciò?
Che il processo
pratico, riguar- dato
psicologicamente, comincia là
ove finisce il
teoretico. Questo, infatti, s' inaugura
col senso, e,
sempre più ascendendo, si
risolve nella ragione.
Quello, invece, move dalla
ragione avvisata come
semplice colioscere, e,
tran- sitando pel volere, finisce nel
potere; ma nel
potere divenuto già attività
concreta, piena, reale,
vivente, stantechè il libero
volere importi la
ragione. Che se tra
conoscere ed operare,
fra coscienza e autocoscienza,
0 (per
usare il linguaggio
del nostro filosofo)
tra Ra- gione e Autorità,
fra il Vero
e il Certo
e tra filosofia e
filologia havvi un
processo; è necessaria,
è inevitabile una conversione
fra' due termini.
Dunque 1' Autorità devesi poter
elevare a dignità
di Ragione; al
modo istesso che la
ragione operativa debbe
aver coscienza di sé
medesima anche come
ragion conoscitiva. Or che
è ella
mai cotest' Autorità
convertitasi in ragione
se non l'autocoscienza? E
non è appunto
quest'Autorità autocoscente
quella che, assolvendo
l' uno e l' altro
pro- ' Ut autem
VBRUM constai RATiONE,
ita criltuu nititur
auotoritate, vd noHra $en»uum
quat dicitur aUTO^i'a,
vel aìtorum dicti»,
qua in tpeei^e dicitur AUOTORlTAS,
cx quorum alterutra
naicitur PRRSCASIO. Sed
ipta auctoRITA8 e«t
^ar» ^rwofrfam RATiONis. {De
Univ. Jur.y Proloq.)
Vedi le di- verse applicazioni del
Vero e del
Certo. Il primo scolare
del Vico. Emanuele
Dani, come arrertimmo,
fin dal se- colo passato colse
giusto in questa
dottrina del suo
maestro, massime quant* al
valore e alla
relazione de' suddetti
concetti. (Tedi Saggio
di Oiuriprndenza Unirrr^aU, ed.
cit., p. CVIII). cesso, costituisce
l'essere veramente umano
(universale)? E che cos'
è l' ente umano,
che cos' è
VHumaniiaSj per cui l'individuo
è davvero individuo,
subbietto veracemente
universale, fuorché la
personalità? E che
cos'è la persona se
non queir unità
vivente e operante
del triphce diritto originario
(tutèla^ dominio e
libertà) nella quale s' incarna
e s' impersona la
triplice funzione del Potere,
del Volere e
del Conoscere?* Col concetto
su la relazione
fra il processo
conosci- tivo e '1 processo
operativo dell'organismo psicologico Vico non
solo previene l' esigenza
Kantiana del dop- pio ordine di
ragione, ma, che
più monta, la
supera. La previene distinguendo
la Ragion pura
(Batio) dalla Ragion pratica
(Autoritas). E dovea
distinguerla, perchè i due
processi conoscitivo e
pratico, tuttoché formanti unico organismo,
hanno, come s' è
visto, origine, natura, e
andamento diverso. La
supera poi, in
quanto che scorge la
conversione (ripetiamolo) non
pur fra l'una e
l'altra ragione, ma
eziandio nell'una e
nell'altra guardate ciascuna in
sé stessa. Come
processo conoscitivo la Ragione
dee convertirsi con
sé stessa; e non
potrebbe, ove non
divenisse anche Autorità.
Come processo pratico l'autorità
non potrebbe neanch' ella
con- vertirsi con sé medesima,
s' ella stessa
non divenisse Ragione. Li
altre parole: il
conoscere non potrebb' esser vero conoscere,
ove non fosse
un processo, una
con- versione de' tre gruppi
di funzioni teoretiche innanzi discorse. L'operare
non sarebbe vero
operare, se anch'egli
non fosse una
conversione de' tre
gruppi delle funzioni operative.
Finalmente il processo
conoscitivo * De Univ.
Jur. Di qui nasce
il concetto del gitu
e della libertà
secondo le dottrino
Yichiane, come altrove
mostre- remo. Ma già i
lettori prevedono qnal
uso noi saremo
per fare di
cotesta dottrina nelle questioni
polìtiche, giuridiche, religiose
e pedagogiche. Posto il
concetto àdV Auctoritcu naturalU^
e dell’Autorità in
generale come particeptf RaHonUy
cioè come facoltà
che devesi convertire
con la Ragione, ognuno
saprà argomentare qual
valore giuridico abbian
per noi r autorità
politica e 1*
autorità religiosa nelle
teoriche sociologiche. e '1
processo operativo non
sarebbero tali, ove
non fos- sero essi stessi
una conversione tra
se medesimi. Così
il circolo è compiuto;
e così rimane
sbandita ogni maniera di
dualismo e di
formalismo nel regno
della psicologia. Or la
mancanza di processo
è precisamente il
tarlo che rode le dottrine del
Kant. Posto il noumeno
come un'incognita, posta la
conoscenza com'una specie
di combaciamento meccanico anziché
come processo dinamico del
fatto con l'idea
e della materia
con la forma; non
poteva non chiudersi
ogni via per
intendere il fenomeno, e
salvarsi dal cadere
in quella specie
di scetticismo metafisico del
quale altrove toccammo
(p. 238). Senza esempio
nella storia della
filosofia egli dimostra la necessità
di certe condizioni
superiori all' esperienza nel fatto
del conoscere. Ecco
la massima sua
gloria. Ma non perviene
a spiegar cotesto
fatto, perchè non
giunge a risolvere il
dualismo tra la sensibilità e l'
intelletto col discoprirne il
germe comune eh'
egli stesso )ion
dubita chiamare sconosciuto. D'altra
parte, dal disegno della
Critica della Ragion
Pura egli trae
quello della Critica della
Ragiofi Pratica, Nell'una
move dal senso, e,
attraverso l' intendimento, giugne
alla ragione. Nel- r
altra tiene un cammino
opposto, perchè dal
concetto di libertà scende
nelle facoltà inferiori.
Or 1' errore non
istà, certo, in
questo cammino, in
questo circolo ; ma
piuttosto nell' aver
interrotto cotesto circolo.
Donde avrebbe dovuto partire
nell' organar 1'
edifizio della Ragion Pratica
? Precisamente da
quel punto ove'
pon termine la Ragion
Pura, Egli invece
fa un salto;
salto mortale; perchè voltando
le spalle alla
ragion pura (né poteva
altrimenti), si basa
nel concetto di
libera cau- salità.* Ov' è
dunque il processo
fra l' un ordine
e l' al- tro? Ov' è r unità,
r organismo del
circolo psicologico? Nella distinzione
Kantiana e' è
del vero. Ed
è che la Ragion
Pura è facoltà
passiva in quanto
ha per Kant, Crit,
de la Raiaon
Aire, Tissot. > Idem,
Crit. de la
Maieon Pratique, termine il
fenomeno, tuttoché s'
addimostri attiva nel concepire
e disporre e
costruir questo fenomeno
me- diante quella mirabile tela
delle categorie.* La
Ragion pratica, al contrario,
è profondamente attiva,
stanteche con r
atto del puro
volere ella ponga
il noumeno^ Se non
che il grand'
uomo non vide
che né la
Ragion pratica è assolutamente
attiva, né la
Ragion pura è assolutamente passiva.
Il conoscere, certo,
serba carat- tere di passività
; non altrimenti
che V operare
ha ca- rattere d' attività.
Ma sono tali
in modo relativo.
Sono tali, cioè, in
quanto T ordine pratico
sopravviene a compiere il
teoretico, non già
nel senso che
nel secondo abbiasi a
conseguire ciò eh' è
riescito impossibile nel primo,
vo'dir la* posizione
del noumeno. Che
cos'è infatti cotesto noumeno
nell'ordine pratico? Perchè
la Ragion pratica s'
ha da porre
qual puro volere,
cioè com'un fatto a
priori? Insomma, che
cos'è questo rolere
che vuole sé
stesso? A tal grave
quesito il Criticismo
non risponde, checché ne
abbia detto poco
fa uno della
scuola della Morale
In- dipendente che in ciò
crede poter ormeggiare
il filosofo prussiano. Che
anzi, se la
legge morale procede
dalla libertà come volontà
indipendente e superiore
a qualsi- voglia motivo, cioè
come autonomia che
trascenda ogni eteronomia; è
da confessare che
un principio siffatto
è condizione ni tutto
subbiettiva, e quindi
sorgente mu- tabile appunto perchè
assolutamente libera. Un
atto assofuto di volere,-
il volere come
volere, io non l'in- tendo. Non intendo
il voglio perchè
voglio^ giusto perchè non
capisco un atto
che sia razionale
e insieme scisso e
quasi staccato dalla
ragion pura. Brevemente:
non intendo una Ragion
pratica che non
sappia né possa convertirsi con
la Ragion teoretica.''
Se la radice
del [Kant, Orìt, de
la liaison Pure,
Orit, de la
Raiaon Pratique, Secondo
Kant la Ragion
pura, oltr'esser fornita
dell’uao tpeculiiivoy ha
eziandio un tntereaae
pratico; il quale
consiste semplicemente dovere sta
nel sapere; la
volontà di sua
natura sarà sempre una
funzione secondaria, non
mai primaria: si che,
ove nel processo
istorico si svolga
da sé, in
tal caso ella si
determina non già
come libertà, ma
come potere, come desiderio,
come passione, come
libero arbitrio. Laonde se
il filosofo prussiano
sente la necessità
d' un reale nel suo
formalismo critico, cotesta
necessità per lui non
può racchiudere il
vero concetto del
dovere, perchè importa una
tendenza cieca. Non
è dunque un
atto etico veramente detto,
ma un bisogno
assolutamente empirico. Dal che
si vede agevolmente
non essere al
tutto vero ciò che
aflFermano due serie
di critici rispetto
alla natura de' due
ordini di ragioni
poste dal Criticismo.
Alcuni credono esserci contradizione
perchè, mentre Ja
Ragion pura è indirizzata
solamente (tuttoché con artifizio
for- male) a regolare V
esperiènza, la Ragion
pratica, invece, è destinata
a ricostruire, a
costituire; e costruisce
mercè la posizione del
noumeno, del libero
volere, reintegrando
siffattamente i postulati
distrutti nell'ordine teoretico. Altri pensano,
fra* quali Spaventa,*
che la contraddi- zione non istia
già fra le
due Ragioni, ma
in ciascuna d'esse. Per
noi è vera
l'una e l'altra
sentenza, ma in questo
senso; che la
contraddizione del Criticismo
non istà, come abbiam
detto, nel porre
due sfere diverse
di ragioni; due ordini
di processi psicologici,
ma si nel non
aver risoluto nessun
de' due. La
contraddizione esiste non pure
in ciascuna delle
due sfere, ma
anche tra l'una e
l'altra ad un
tempo; con la
differenza, che nell' un
caso eli' è essenziale,
dovechè nell'altro è
secon- daria. Togliete quella, e
avrete insieme levato
questa. Togliete il dualismo
e '1 formalismo
nella Ragion pura, avrete
parimente riparato al
formalismo e al
dualismo della Ragion pratica.
Perciò sommettete a
processo nel determinaref non
già ne) eogtituire
la Ragion pratica.
La Ragion pura
pratica »i eoHituiace
da «2. Ecco
il grave difetto
del kantismo nell’ordine morale. FU,
di Kant e «uà relaxione
coUa FU, /tal.,
Torino, Puna e
1' altra, e
avrete schivata la
contraddizione; e invece delle Idee sulla Storia Universale idee
che paion come disorganate,
avrete l'organismo della
Scienza Nuova.Or la contraddizione, che
per tre divers^e
maniere offende il criticismo, potrà
essere tolta unicamente quando dalla
dualità, onde non
si potè liberare
il Kant, sappiasi risalire
all' unità sua.
Qual sia questa
radicale unità da cui
move, ed alla
quale ritoma il
processo psicologico, diremo fra
poco. Torniamo a Vico. La
Ragion pratica, l'Autorità,
VAuctoritas naturalis^ che per lui costituisce
la base del
processo pratico in tutt'e
tre i momenti
in che questo
si svolge, non
è già un primo
staccato da un
altro primo al
tutto formale, ma è
un secondo che si converte
con un primo^
e per tale conversione
formano entrambi, anziché
dualità irresoluta,
unidualUà, Per l'Autore
della Scienza Nuova
la ragione, in quanto
ragione, è una
non due,^ Non
due perciò le sorgive
onde rampollano i
ragionamenti ; bensì
Il significato della
storia per Kant
si riduce a
questo. Come gli uomini
si son costituiti
in società per
ischivar la guerra,
cosi tutt* i popoli
tendono a stabilirsi
in federazione universale
{Idée de eeque
pourrait ètre Vhiètoire
universelle dana le»
vuee d^n eitoyen
du monde). La P
sentenza è un
errore degno degli
Hobbesiaui: la 2"
è un'utopia la quale
partorisce 1* altra
della Pctce universnlcf
e V altra
ancora d* una Chiena
filoeofica il cui
fine dovrebb' esser
quello di sorvegliare
alla mo- rale del genere
umano (Vedi nella
Relig, dana lee
lim. de la
raiwn). Sennon- ché è impossibile
spiegar la stona
col porne V
origino in una
condizione accidentale, in una
necessità euipirica qual'
è appunto la
guerra. II fatto isterico può
essere spiegato col
risalire alle leggi
psicologiche, e scoprirne il
processo. Or poteva
egli, il Kant,
prefiggersi tal fine
s* ei non
seppe levare il dissidio
fra le due
Ragioni e mostrarne
la conversione V
Da ciò anche dipende
quel proporre, air
attuazione del progresso,
mezzi affatto artiflziali com'è
la federazione universale,
la chiesa filosofica,
e simili. * « Con lo
apiegarai delle umane
idee^ i fatti,
i diritti e
le cose umane si
andaron sempre più
dirozzando, prima dalla
acrupoloaità delle auperatìzioni, poi
dalla aolennità degli
atti legittimi e
dalle angustie delle
parole, finalmente da ogni
eorpìdenxa; per ridursi
al loro puro
e vero principio che
è loro propria
aoatanza. * Or
qual è questa
aoatanza propria, qual è
questo principio vero e puro
àe^ fatti e de'
diritti umani^ eh'
è dire del- l' ordine pratico?
È la aoatanza
umana, la noatra
volontà determinata dalla noatra
mente con la
Forza del Vrbo
che ai chiama
Coscienza. {Prima Se. Nuova) due
le maniere del
ragionare. Di fatto,
se lo spirito
in quant' è conoscere
(Batio) produce il
vero e dà
la scienza ; e
in quant' è
operare (Auctoritds) produce
il certo e cosi
esplica e conferma
la prima, ovvero
la prenunzia e
Y an- ticipa ; ne
viene che tra
Y ordine teoretico
e Y ordine pratico una
conversione è necessaria.
In che risiede r
intima natura della
volontà? Intelletto e
volontà, nel- r ordine
psicologico spontaneo, hanno
radice comune: per cui
se r atto
del volere non
è propriamente atto d' intendere, e nondimeno lo
sforzo d' intendere : è lo stesso
conoscere, ma in
quanto si realizza
come Ragione universale, come
operare umano, autonomo,
razionale. La ragione dunque
è facoltà di
conversione per eccellen- za ; e
quindi lo spirito
dee conformarsi al
naturale ordin delle cose.
E che è
mai il naturale
ordin delle cose?
È la Datura, l'essenza,
il valore, l' essere
stesso delle cose.* Ora,
conformarsi all'essere delle
cose, non vuol
dire convertirsi con lui,
diventar lui? Col
concetto d' ordine adunque il
Vico determina la
natura non del
solo co- noscere ne del
solo operare, ma
la natura d' entrambi; cioè della
Ragione vivente e
concreta; della Ragione
co- mune, universale, imiana. La
quale, supponendo già il
concetto d'ordine, cioè
dire supponendo il
processo Qpnoscitivo,
importa anche il
processo operativo come risultato necessario
dell' essenza umana.* *
Con/ormatìo eum ipso
ordine rerum e$t
et dicitur batio.
{De Univ, Jur.^ Proem.j )
Questa con/ormatio mentis
suppone già il
processo cono- scitÌTO, e
quindi il criterio
della Convernone del
vero col fatto.
Ella dunque è risultamento
delle funzioni teoretiche,
e insieme principio
delle fun- zioni pratiche. È
la sostanza umana
determinata con la
Forza del Vero. *
Il Rosmini nella
FU. del Diritto fa
la critica del concetto
d* ordine com'
è inteso dal
Vico. Il Finetti
area fatto lo stesso
fin dal secolo
scorso nelle sue
polemiche col Dnni
e col Concinna. {De
Prineip. Jur. ) Ma né V
uno nò 1* altro
s*è accorto come la
facoltà, che per
Vico dee conformarsi
air ordine naturale,
non sia il puro
conoscere e neanche
il solo operare;
cioè non la
Ratio e nemmanco VAuetoritas, ma
la Ragione per
eccellenza, la Ragione
in quant' è risultato finale e
quindi princìpio del
doppio processo psicologico.
£ la ragione,
in- somma, in quanto è
conversione essenziale con la natura,
con la storia, con
lo Stato, col
supremo suo fine,
e della quale
il Duni dice
che dove Concludiamo quant'
al processo pratico.
La ragion pratica non
contraddice alla teoretica.
Intanto eli' è pratica, in
quanto è comando
; ma è
comando della ragione fondata nel
concetto del fine
razionale, che vuol dire
d' un fine il
quale iraponesi come
legge, e perciò come
imperativo. Cotesto fine
imperante, manifestato o imposto
dalla ragione (e
tutto ciò per
noi è ragion pratica), inevitabilmente importa
la necessità etica,
il cui soggetto è
la volontà: ond'
è che tra
la volontà e il
suo fine, eh'
è appunto il
bene morale, òorre
una sin- tesi necessaria. Che
se l' imperativo per
Kant è la
stessa volontà in quanto
è libera da
ogni movente particolare e
d'ogni particolare interesse;
anche per noi
cotesto imperativo è il
volere libero da
ogni qualunque motivo, meno
da quello che
scende dalla ragione,
o per mezzo della
ragione; ma di
quella ragione pura
o conoscitiva la quale,
essendo il vero
convertentesi col fatto,
intende e legittima il
fenomeno. Fra lei e’1
noumeno non esiste un
abisso, com' è
pur troppo pel
Criticismo. E in
questo senso non ha
torto Hegel d'affermare che
libertà è ragione, e
ragione è libertà.
Il motivo dell'
azione, in- fatti, è intrinsecato
con la ragione;
scaturisce non già dall'
estemo, come incontra
nelle azioni di
natura mec- canica, ma dall' intemo.
L'agente dunque è
razional- mente libero; e però
è liberamente necessario.
Il per- chè se una
sintesi necessaria annoda
il volere col
suo fine, è pur
mestieri che la
volontà si converta
con la ragione, e
produca la virtù.
Così nella sfera
pratica, non diversamente che
nella teoretica, il
criterio è sempre il
medesimo : la
conversione del vero
col fatto, eh' è
dire della legge
con la volontà.
E poiché la
legge neir ordine etico
partorisce il dovere,
e la volontà
nel- r ordine giuridico
produce il diritto; perciò accade
che la Morale, nella
dottrina del nostro
filosofo, deve stare al
Diritto cosi come
il vero sta
al fatto, come
la Ra-non c'^
uniformaziont,, non e'?
ragione, (Vedi noi
Saggio di Giuritprw denzn Umvermle^
.> gione air Autorità.
Sono due sfere
di fatti diversi;
due ordini di scienze
differenti per origine,
e per applica- zione. Il Diritto
non iscaturisce dalla
Morale, ne tam- poco la morale puo emerger
dal Diritto. Se
cosi fosse, l'una di
queste scienze annullerebbe
l'altra, assor- bendola.
Esse dunque non
s'identificano, ma si
con- vertono.* Tal si è,
come rapidamente l'abbiamo descritto, l'or- ganismo psicologico ne'
suoi elementi e
nella sua natura. Ma
quest' organismo può
e debb' esser
considerato riguardo a due
soggetti, che sono
l'individuo e la
specie, cioè dire psicologicamente e
storicamente. Nell'individuo
ci è
dato studiarlo, come chi
dicesse, nella condizione statica, cioè
nel suo equilibrio,
nella sua compiutezza, a cagione
delle mutue relazioni
onde i due
processi ri- chiamansi a
vicenda. Psicologicamente, infatti,
il pen- siero inaugura, determina
e compie il
processo pratico. Lo inaugura
come senso in
quanto eccita il
potere: lo determina come
rappresentazione,
immaginazione, in- tendimento
che sveglia e
sprona il volere:
lo compie, finalmente, come
ragione, la quale
costituisce l'essenza stessa della
libertà. La Ragione
dunque è l'atto,
la forma dell'Autorità; come
l'Autorità è la
potenza e la materia
della Ragione.* Io
voglio ed opero
perchè conosco : né
per altro potrò
conoscere se non
perchè debbo operare. La
ragion del volere
pone sua radice
nel conoscere ; come
la ragione e
'1 fine del
conoscere altro po- trebb'
esser che Y
operare. Chi vuol
conoscere per cono- scere è
un mezz' uomo.
E la scienza
per la scienza
è frase ch'io non
intendo, come non
la intendeva nem- meno Aristotele.^ I
due processi, adunque,
ne' quali si sdoppia
e determina l' organismo
psicologico nell' indi- viduo, s' importano a
vicenda, e tutt'
insieme compon- • Sotto
il rapporto psicolosrico
può dirsi, come
più d*una volta
ar- verte il nostro
filosofo, che ex
Rottone Auctontas ipm
orta ett. (De Univ. Jur.) *
Rayaisson, Em, 9ur la Mitaph.
ec. gono un sol
circolo. In questo
circolo per 1'
appunto sta l'autogenesi dello
spirito. Al contrario nella
storia, che vuol
dire nella specie avvisata come
un individuo attraverso
il tempo, l'organismo psicologico ci
è dato considerarlo
quasi in via di
formazione, cioè sotto
il rapporto dinamico,
e perciò nelle condizioni
del movimento. Avviene
infatti' in quest'ordin
di cose quel
che la scuola
di Lamarck pensa del
REGNO ZOOLOGICO.
Nell'organismo compiuto, nel mammifero, ci è tutta
la scala zoologica,
ma in atto; al
modo istesso che
nelle differenti specie
d'organismi inferiori
abbiamo l'organismo perfetto,
ma come squa- dernato nella successione
seriale de' diversi
momenti del suo sviluppo.
Se questa dottrina,
secondochè altrove diremo, non
è al tutto
vera in ordine
alla storia naturale, è
verissima nella storia
umana. La condi- zione statica non
può verificarsi nell'
ordine de' fatti, massime de' fatti
storici. Nel regno della
realtà, anziché quiete ed
equilibrio, tutto è
moto incessante, sviluppo, attrito, disequilibrio
perpetuo: onde la
Statica sociale de' Sociologisti
non è che
un' astrazione del
pensiero. Il processo psicologico
adunque, avvisato staticamente,
è tipo, è realtà
compiuta, alla quale
c'innalziamo scru- tando la natura
dell'individuo, investigando le
leggi della psicologia. Un
processo psicologico in
via di formazione non è
altrimenti Statica, ma
Dinamica. Ora il
processo psicologico è r
atto, il tipo
del processo isterico;
e quindi vana impresa
è il pretendere
d' imprimer ÌForma di scienza
alla storia, senza
porvi a fondamento
imme- diato la psicologia. La
storia non fa
che ripeter la psicologia; ma
al modo che
la circonferenza ripete
il centro. Che è mai la
circonferenza fuorché lo
stesso centro considerato, direbbe
il Gioberti, fuori
di sé? Tal è
la specie rispetto
all’individuo; tal si é pure
la storia di fronte
alla psicologia.* Ciò
che nell' una
si compie * Vedi
le belle riflessioni
del Noubisson in
proposito. (La nature humainef Ess.
de Fsycol. appliquée,
Paris) attaraverso lunghi secoli,
nell' altra, cioè
nell' individuo, s' assolve attraverso
una serie d' anni
e di differenti
età. E ciò che
sono i secoli
per la storia
e gli anni
e le diverse età
per l' individuo, sono
per la coscienza
at- tuale que' diversi momenti
necessari aftinché ella
possa recare in atto
la doppia fimzione
del conoscere e del-
l' operare. Ma per quante
sian le differenze,
la legge è
sempre una; non essendo
possibile che le
note essenziali alla specie
manchino ai membri,
manchino agli elementi
di essa, ciò è
dire agP individui.*
Perciò nella storia
tanto il processo teoretico
quanto il processo
pratico s'inau- gura cod come
nell' individuo. U
senso, lo vedremo
in altro luogo, sale
a ragione attraverso
le funzioni in- termedie dell'immaginazione e
dell'intendimento. Il
potere, l'istinto (il
che verificheremo nella
sociologia) assume valore di
Ubertà mercè la
successione delle moltiplici forme
cui soggiaccion le
passioni e le
deter- minazioni del libero arbitrio,
e siffattamente crea
il Diritto e lo
Stato. Così la
storia è una
correzione lenta ma incessante,
ma progressiva di
due forze che
mai non posano, Autorità
e Rag^ne. La molla occulta
del- [Ce qui 9e
paage dan» Vévolvtion
4e Vindividu est
la tacine de
ce qui se passe
dans VévoìuHon de
Vétte eoUectii*. (Littbé, PatoUs
de Phil. Posit.) Ognan
vede che questo
principio non è,
come ci dicono
i Po- sitivisti di Francia,
una loro invenzione
peregrina. È uno
de* con- cetti fondamentali della
Scienza Nuova; ed
è insieme la
correzione del Comtismo, per la ragione
più volte rammentata
che la psicologia pel Vico
non iscatnrìsce dalla
storia, ma è
anzi la storia,
cioè la scienza istorica quella
che dee tórre
a modello, a
criterio la psicologia. *
Tutte le opere
del Vico sono
una dimostrazione continua
di quésto concetto. Lasciando
delle facoltà d*
ordine conoscitivo, basta meditare le
diverse forme attraverso
cui procede VAutotità,
per vedere come davvero
ella sia potenzialmente ragione.
Vi è progresso,
per dime un esempio,
fra le tre
forme d* autorità
monasHcOf economica e
eivUe (De Univ. Jut.);
e vi ò
progresso nella storia
dell* autorità considerata nelle
diverso maniere del
reggimento politico {Ptima
Se, Nuova —Sec. Se.
Nuova) Scoprire la conversione
dell' Autotità con
la Ragione, è
una delle sue principali esigenze,
e quindi uno
de' precipui aspetti
della Scienza Nuova. r
umano progredire, infatti,
sta nella faticosa
conver- sione d' entrambe. Perchè sé
la storia è
la vita del
ge- nere umano,* il processo
di questa vita,
lo svolgimento di quest'organismo altro
non potrà essere
fuorché il ridursi di
quella dualità a
valore d' unità. Il
processo istorico adunque non
fa che ripetere,
ma sotto forme
sempre diverse, il processo
psicologico : talché
se la psicologia, come ha
detto il Michelet,
é quasi la
storia in miniatura, cioè la
storia come raccolta,
adunata e quasi
concen- trata in un sol
punto; la storia
alla sua volta,
secondo l'osservazione
altrove accennata del
Cattaneo, altro non sarà
che la psicologia
stessa in più
vaste proporzioni, e sotto
aspetti molteplici e
svariatissimi. Ma quel
punto, quel centro (ripetiamo
la figura), vai
tutta la circonfe- renza; vai più
che la circonferenza. Se
la psicologia infatti nasce
dalla storia, chi
vorrà dire che
la prima non possa
essere altro fuorché
una semplice appendice della seconda?
La psicologia è
superiore alla storia, come
il presente è
superiore al passato.
E le leggi psichiche sono
anteriori a quelle
del fatto istorico,
al modo istesso che
il criterio e
la norma, in
generale, sono anteriori alla
materia interpretata e
giudicata.' Perciò dice che
il suo libro
è anche nn».
JUotoJia deW autorità
{Sec. Se. Nuova) atta
a ridurre a
leggi certe V
umano arbitrio di ma
natura incertÌ9»imo. * Vita
generila humani Hiètoria
est, [De Univ. Jur.)
* Il
Taine dice benissimo
dove osserva che
la pttyeologìt ««
à ehaque départentent de l’hintoire humaine
ce que l^i
physiologie generai^ e»t
h la phyaiologie partictdiire.
de ehaque
esplce ou doAèe
animale. {De Vlntelli- gence, Pref.)
Che
oggi la psicolog^ia
debba esser condizione essenziale alla
scienza del fatto
storico, ninno è
che ne dubiti.
Ma la questióne ò
ben altra, e
di ben altro
valore che non
crede il Taine. Come
s' ha da considerar
la psicologia rispetto
alla storia, e
perciò r individuo rispetto alla
specie'? Ecco il punto!
Predicarci la necessità della psicologia
nella indagine del
fatto storico è un
bel nulla, se
innanzi tratto non si
stabilisca qual relazione
corra fra le
due scienze. Mi
spiego subito. Se Io
svolgersi delle concezioni
religiose, delle creazioni
artistiche e letterarie e
delle scoperte scientifiche
in un dato
periodo istorico e presso
un dato popolo
non sono in
realtà altro che un’applicazione, un caso
particolare di quelle
medesime leggi che in
ogn'istante regolano lo svolgimento psicologico
di ciascun nomo;
brevemente, se il
fatto storico H nostro
filosofo non pure
colse, ma dimostrò
la relazione tra r uno e l’altro ordin
di fatti, e fece quel che
non giunsero a fare i
nostri platonici e
aristotelici del
Rinascimento; ciò che
non fece tutto
il Cartesianismo; ciò che
dopo di lui
non seppe fare
il Critici- smo in ordine
alla storia; ciò
che non han
fatto, né sanno fare
i Positivisti e
gli Idealisti assoluti;
i quali trascendono il
positivo perchè disconoscono
la difficile arte de'
confini nella scienza
del mondo e della
storia. Alla sua mente
lampeggiò il vero
concetto dell' ente umano:
il concetìo àeW
individuo universale vivente, concreto, reale;
e sotto doppia
forma venne applicando il
suo massimo criterio
della conversione del
vero col foHo nel
conoscere, e del
certo col vero
nell' operare. Recò in atto
quindi non una,
ma due grandi
leve, la psicologia da
una parte, e
la critica de'
fatti storici dal- l'altra;
la filosofia e la filologia;
e perciò un
a priori di natura
puramente psicologica, e un a
posteriori indagato
pazientemente con oculata
osservazione: e così
gettando le basi del
vero metodo storico
razionalmente positivo,
riesci a
comporre la scienza
dello spirito. Però
Storia e Psicologia non
sono due cose,
ma una. Esse
formano la vera scienza
dello spirito, quando
sian portate ad un
fiato, com' egli
dice con significantissima frase.
Ecco il grande valore
della Sdensfa Nuova,
per quanti possano essere i
suoi difetti nella
forma, nel disegno,
nelle conclusioni, nelle applicazioni.
Lo dichiara egli
stesso: il mio saggio
è wrxR filosofia
deW umanità. Perchè filosofia?
non è
che un'applicazione delle
lejrgi psicologiche: ne
viene che nella psicologìa solamente
possiamo ritrovare il
criterio, il principio,
la teorica da applicare
nella intorpretaziono del
fatto isterico. Dnnqne?
Danque (mi par chiaro)
la psicologia è
anteriore, e superiore
alla storia. Or io
non so
davvero come siffatta
conseguenza possa accordarsi
co'princìpii di Taine,
specie con quello
ond'ei ci dichiara,
che il fatto
della coscienza non è
altro che vm
fantamna metajinco! Il
problema storico è problema
psicologico: lo sappiamo
anche noi da
un secolo e mezzo a questa
parte. Quel che
non sappiamo è
il modo col
quale il valoroso estetico francese
potrà giugnere a
risolvere cotesto problema
col suo Positivismo. perchè ne
inve^iga le coffionV
Or le cagioni
imme- diate e positive del
processo istorico, non
s'hann' a ra- dicar tutte nel
processo psicologico, eh'
è, dire nella
natura umana? Volere
investigar le ragioni
della storia nonché i
principii della sociologia
invocando la dicdeUica immanente détta
Idea come fan
gli Hegeliani, ovvero r
opera della Provvidenza
immediata come fanno
Onto- logisti e Teologisti
; è uscir
dalla Storia, dalla
natura umana, dalla psicologia
; ed è
rendere il processo
storico un processo affatto
meccanico e arbitrario.
Un principio estrinseco e
superiore che non
emerga dalle viscere stesse della
storia, ma che
alla storia si
sovrapponga e s'imponga, che
cosa dee produrre?
Da una parte,
mec- canismo, e arbitrio dall'altra.
Ed è anche
un uscir dalla storia,
dalla psicologia e
dalla natura umana,
queir in- vocare i soU
fatti siccome leggi
empiriche riferendole a cagioni
tutte estrinseche, tutte
mutabiU tutte acdden- taU,
come sono il
clima, la razza,
l'educazione e cento e
mille condizioni esteriori
e secondarie di
cui ci parlano i
positivisti e i
filosofi dell’avvenire. Il
fondamento razionale positivo del
processo istorico dunque è
l'organismo psicologico, ma
ravvisato come processo. Questa precisamente
è l' esigenza più
legittima, la condizione più salda del
metodo istorico che
sca- turisca dalle opere, dalle
dottrine, dalla mente
del Vico. Metodo isterico
è anch'esso metodo
genetico, metodo eduttivo. E
metodo genetico vuol
dir metodo essenzial- mente psicologico. Ne
segue perciò che la
legge isterica delle tre
età -- divina, eroica,
umana), pone sua
ra- [Ved. Prim, Se
Nuav.y Le tre/any
o stati del
Positvismo francese non
sono che un
fatto, una legge empirica,
non la ragione,
non il principio
delia storia. Lo
con- fessa lo stesso Littré;
il quale perciò
avendo visto la
necessità di correg- gere e compiere
anche in questo
il maestro, alle
tre fasi del
Comte sosti- toisce le
cinque forme di
civiltà calcate sopra
altrettante facoltà psicologiche. (Vedi A.
Comte et la
Phil, Pont.) Cosi
il Littré ritoma
a VICO, cioè al
concetto psicologico, quantunque
sbagli nella scelta
della strada. dice non già
in un fatto
parHccHare quale sarebbe
il nascere, il crescere
ed il perire
dell'individuo, come ve- demmo pretendere VERA, ma
sì neljo stesso organismo, nello
stesso circolo delle
funzioni psicolo- giche. Ciò che
dunque è processo
teoretico e pratico deUe
facoltà e quindi
conversione del vero
col fatto e del
certo col vero
nell' individuo ; nella specie,
nella comu- nanza civile, assume
forma e valore
d' organismo e di processo
isterico. Ecco perchè
nello svolgimento della storia
e delle diverse
civiltà, lo stato,
la fase, o
(secondo il linguaggio del
Vico) V età
divina ritrova sua
ragione intima, immediata, nel
predominio ed esplicazione
deUe due funzioni elementari,
empiriche e naturali,
che sono il Senso
ed il Potere.
La fase eroica per
contrario, è l’incarnazione del volere e
dell' Immaginazione. E,
finalmente la fase umana
è V attuazione
e quindi il
trionfo e la signoria
della Ragione spiegata,
la quale neU'
or- dine della vita civile,
politica e sociale
si traduce nel trionfo
della libertà. La
storia dunque è
un organismo come la
psicologia; e quindi
le leggi psicologiche
sono il criterio interpretativo principale
del fatto isterico. Questo è il vero
concetto della VoUcer
Psycólogie per VA. della
Scienza Nuova. Dove
sta il difficile?
Ap- punto nel far cotesti
interpretazione; appunto nel- r
applicare le leggi
psicologiche alla storia.
In tale applicazione occorre
schivare (come vedremo
in So- ciologia) que' due
gravissimi errori ne'
quali rompono Hegeliani e
Positivisti: cioè l'universalismo nel
com- porre la filosofia della
civiltà, e il
particolarismo e '1 determinismo nel
fissarne le leggi.
Due perciò sono
le condizioni razionali per
la scienza della
storia: V appli- care al fatto
isterico le leggi
psicologiche; ma applicar- le, non già
all' umanità, come
fanno i seguaci
di Hegel, bensì a'
popoli, alle schiatte,
alle tradizioni :
2** tener conto delle
mille cagioni estrinseche
ed irraziouaU che in
modi infinitamente diversi
e molteplici turbano
lo svolgimento della storia;
ond' emerge la necessità,
ripe* tiamolo, della psicologia
e della crìtica
storica nello stabilire i
principii deUa filosofia
dello spirito. Or cotesto
metodo, oltreché nelle
dottrine metafisi- che,
anche nelle teorie
storiche e sociologiche
risulta logicamente, come vedremo,
dallMndirizzo medio del- l'Aristotelismo rappresentatoci, ne'
tempi moderni, dalla Sdenta
Nuova. Nella Scienza
Nuova, e perciò
nel me- todo isterico e
psicologico del Vico,
abbiamo la con- danna più severa
e la confutazione
di fatto degli
estremi indirizzi
aristotelici rinnovatisi in
questo secolo per opera
dell' Hegelianismo e
del Positivismo nel
regno degli studi storici
e sociologici. Ma qual
è la genesi
e quindi la
teleologia del pro- cesso psicologico? That
is the question! Re la genesi e
teleologia psicologica. Lo spirito
ha le sue
leggi come la
natura; ed è anch'
egli un organismo
come la natura.
Perciò dap- prima è Sintesi
iniziale, come si
disse, poi Analisi,
poi Sintesi finale. Spencer direbbe
che l' organismo psicologico procede dall'
omogeneo indeterminato, all'
etero- geneo; e
dall'eterogeneo (avrebbe dovuto
aggiungere;, fa ritomo all'
omogeneo, ma all'
omogeneo determinato e universale. Fin
qui abbiamo studiato
la psicologia nel fatto.
Movendo da una
dualità empirica, cioè
dal senso che iniziando
il processo teoretico
s' eleva a dignità
d'intelletto, e A^X potere
che preludendo al
processo pratico assume valore
di libera volontà,
abbiamo sorpreso l'organismo psicologico nel
momento stesso dello
sviluppo, dell'analisi,
dell'eterogeneità, della diflFerenza e
moltipli- cità delle sue
funzioni. Or è d'
uopo rimontare all'ori- gine psicologica. È
d' uopo ricercar
la cellula madre
di quest'organismo. È d'uopo
investigare il centro
di questo cìroolo, la
sintesi origìiiaxia di
quest'analisi che a noi
porge la
coscienza. La genesi dello
spirito vuol esser
guardata in tre modi,
sotto tre forme,
per tre fini
diversi : psicologi- camente, logicamente, ideologicamente. La
Psicologia studia lo spirito,
ma in quanto
è un multiplo
di funzioni, d’operazioni, di
facoltà. La Logica studia
lo spirito, ne ricerca le
funzioni psicologiche, ma
in quanto producono, generano, partoriscono. L' Ideologia, finalmente,
studia anch' essa lo
spirito, ne indaga
le funzioni psicologiche, ma guardandole
ne' lor prodotti
generali La Logica
dun- que siede in mezzo
all' una e
all' altra scienza.
Ella studia non altro
che relazioni :
studia le relazioni
fra la causa e
l'effetto, le attinenze
tra la forza
e le sue produzioni,
e quindi
raccoglie leggi universali,
attinenze necessarie, poiché se
lo spirito si
differenzia appo gl'individui
per attività ed energia
di potenza e
per moltiplicità di
risul- tati, non differisce menomamente
per le leggi
alle quali dee soggiacere
ciascun individuo. La
Logica è universale, obbiettiva; e
quindi indipendente dal
soggetto, non al- trimenti che la
matematica. Or queste
tre scienze che r
analisi immoderata delle
scuole ha ridotto
a frantumi, non sono
che tre aspetti
d'un medesimo subbietto:
d'un subbietto, cioè, avvisato
P come forza
e potenza: come atto
e risultato ;
finalmente come potenza
in quanto diventa atto,
e però come
relazione dell' un termine verso
l'altro. Psicologia, dunque.
Logica e Ideologia dovranno condurci
ad una medesima
conseguenza nel problema su
la gencHi psicologica. Nel processo
psicologico dicemmo esserci
un primo ed un
ultimo atto. Questo
primo e quest'ultimo
atto, anziché facoltà, come
pretendon gU Spiritualisti, anzi- ché semplici condizioni
psicologiche riducibili alla
fin fine alle funzioni
biologiche, come ci
predicano i Posi- tivisti,* sono invece
facoltà delle facoltà.
E son tali
per- [Per esempio Mill [cf.
Grice, “More Grice to The Mill”] {La
PhU, de Hamilton,
trad. CazeUes). H.
Taink (2>« VintelUgence). che runa
d' esse è originaria,
e V altra
è complementare ; perchè
la prima è
potenza, e la
seconda è atto
: perchè, in somma,
quella è T
Io in quant'
è coscienza primitiva,
e questa è V
Io in quant'
è pienezza di
personalità, auto-coscienza.
Or è
mestieri ammettere che
la coscienza, in quant' è
facoltà détte facoltà,
esista dapprima come potenza
originaria; preesista com’energia
irreducibile; preceda come atto
che sia tutto,
e nulla; e
vaglia quindi a costituir
la natura stessa
di quell'ente che
nella scala zoologica diciamo
ente umano, E
innanzi tratto, s'egli
è vero che le fimzioni
psicologiche convengon tutte
nell'es- sere un conato di
natura essenzialmente teleologica,
è d'uopo che, attraverso
a tutte e
in fondo a
ciascuna, si occulti un
atto rudimentale, radicale,
comune, essenzialmente
generatore, contenente universale
e indeterminato del doppio
processo psicologico teoretico e
pratico. D' altra parte, se il fatto
ci addita una
dualità empirica, concreta ed
elementare, cioè il
senso e il
potere ; ne
viene che queste due
facoltà, sia che
le si guardino
nel loro obbietto e
natura, sia che
nel fine cui
sono indirizzate, ci rappresentino
due opposti, ci
esprimon due contrari; e,
come tali, abbisognano
d'un soggetto comune
in cui (secondo l'esigenza
dell'Aristotelismo) elle sussistano originariamente. La duaUtà empirica
e, per così
dirla, sensata, ci rimena
infatti $ui una
dualità superiore e trascendente, la
quale a sua
volta non può
non essere altresì unità,
unità confusa, unidualità
anteriore, e della quale
possiamo dire ciò
che Aristotele afferma
delle parti avvisate in
riguardo al tutto.
Se la parte
poten- zialmente e
cronologicamente precede il
tutto; attual- mente e logicamente
il tutto dee
preceder la parte.* ^Xou
xai >f uX>i
TT^c ouVtac" Jtar'
«vT«Xj;^tiav 5' u^7«/oov
5«a- XxtBivroi- y(/.p x«t*
£vTi>JX«*av «(T']at. (Met.)
Ecco la ragiono (sia
detto di passata)
onde la Psicologia
differisce in immenso
dalla Zoopsicologia, checché ne
dicano il Darwin,
V Agassiz, il
Vogt ed altret- tali. Neir ordino
zoopsicologico la dualità
empirica del »etuo
e dell' i»Hnto esiste; ed
è unità confusa,
è unidualità: ma
riman sempre tale,
sempre Questo tutto originario,
quest' unità la
quale anche come primigenia
è numero, cioè
unìdualità e però
facoltà déHe facóUà, è
ciò che con
antica ma significativa
pa- rola il Vico suole
appellar mente, mens.^ Alla
medesima conseguenza ci
conduce la logica
e r ideologia. Rammentiamoci
della dottrina su
la cono- scenza. Se neir
ordine del conoscere
il fatto è
il dato, il fenomeno,
ciò eh' è
posto, la cieca
percezione; insomma, ciò che
non può esser
conosciuto di per
sé stesso: il vero,
per conta'ario, è l’elemento
ideale, astratto, vuoto, formale, a
priori ; ma
a priori in
quant' origina imme- diate dal seno
stesso del pensiero.
In che sta,
dunque, il nello
stato potenziale: mentre
neir ordine psicologico, cioè
umano, ella diventa atto,
numero, e quindi
il Senso e
il Potere vi
assumono anche valore di
sentimento e di
coscienza. Se dunque
è così, chi
vorrà credere che quella
dualità sia puramente
animale come nella
Zoopsìcologia ? Se fosse
tale, non dovrehhe
restar sempre la
medesima, come incontra nel
soargetto zoopsicologico?
Dunque (la conseguenza
parmi chiara) quella
dualità nell’ente umano deve
importare qual cos'altro
che non sia
puro Senso, né puro
Istinto. * Quel che
latinamente egli chiama
men« cmimi è
essenzialmente pen- siero; e pensare
per lui è
manifestare sé a
sé medesimo: Mens
cogitando se extbet {De
AsUiqHÌ9.). Or la
mente è principio
unico di tutte le
facoltà: principium unum Men»; e I’occhio di
lei é appunto
la ragione: eujw oculua
Ratio {De Univ.
Proem.). Dunque ciò
eh' è di
là e dentro e
dietro a quest'
occhio eh' é
la Ragione, é
appunto la MenU;
la quale perciò è
anteriore a tutti
i gradi, a
tutti i momenti
del processo cono- scitivo. Se non
che lo spirito,
in quant'ò menUf
vede anch'essa; altrimenti come si
farebbe a dirla
mente? Ma allora
soltanto ella disceme,
allora soltanto é oechiof
e perciò era visione,
quando diventa ragione
epiegata, e quindi processo
teoretico. Per intender meglio
il significato della
mente, ricordiamoci del »ene%u
intemtu, del eennu
eui, della eoecienta,
cwn-eeientia, di cui egli
parla in più
luoghi delle sue
scritture. In ispecie
è da riflettere quando afferma, la
coscienza essere insieme
univereale e particolare; e il
senso intimo, individuaUt
e insieme comune,
fi da riflettere
dove accenna ad una
facoltà naturale e
epontanea ond' é
fornita la eomuiune natura degli
uomini. È da
riflettere, finalmente, e
specialmente, ove parla di
certi giudizi istintivi
eh' egli chiama
giudizi fatti sknza
bifles- 8I0NK. (Vedi Prim.
e See. Se
Nuow% passim.) Or
di sotto a
questo linguaggio esce chiara
una conseguenza; la
necessità, cioè, di
riconoscere come, attraverso a
tutte le diiferenti
forme psicologiche, esista
un punto centrale onde
s' irradiano e dove
si riconducon tutte
le funzioni dello
spi- rito. Quest'esigenza
psicologica nel Vico
parmi evidente per
ciò che s* è
detto, e
per ciò che
ancora diremo. conoscere? Nella
conversione de' due elementi.
Intendere è legere; e
legere è cdligere
dementa rei, cioè
coUigere il vario sensato,
il fatto. Questo fatto
dunque vien raccolto e
innalzato a dignità
di vero e
quindi ad unità,
appunto quando la mente,
generando sé stessa,
conosca insieme la guisa
onéPtma cosa è
fatta. Or in
cotesta genesi hawi
un intimo vincolo per
cui V eiFetto
è anche causa,
e la causa eflFetto; ed
è questa quella
tal funzione eduttiva
onde la ragione, annodando
cause con cause,
e però conver- tendo il vero
col fatto e
viceversa, rintraccia il
medio termine, e fa
la scienza. Se
intanto il co- noscere è
un atto di
sintesi ond'il vero
è forma, predicato, categoria, ma non per
anche attributo e però
cognizione, mentre il
fatto è materia
e parvenza feno- menale; ne segue,
esser davvero una
grande scoperta della moderna
psicologia quella fatta
dal Kant e
legittimata in gran parte
dal Rosmini, ma
presentita dal nostro filosofo;
che, cioè, pensare
sia essenzialmente
giudicare.* Che cos'
è infatti il
giudizio fuorché il
predicato assumente forma evalore
d'attributo? Dunque, anziché nel
cogliere il puro
vero, o nell'apprendere il puro
fatto il giudizio
risiede nel concetto.
Ma che è egli
mai il concetto
salvochè la conversione
del vero col fatto,
considerati questi com' elementi
essenziali nella sfera dell'intendimento? Ora, tornando
al proposito, comecché il
vero e '1
fatto, convertendosi, gene- rino il
concetto e quindi
il giudizio, e
col giudizio fac- Kant,
Orit. de la
Raùon Pure. Log,
Tra»cend., BosMiin, Nuo, Sagg,
L' atto del conoscere
ò m'rtò di
vedere il tutto
di eitueheduna omo, e
dì vederlo tutto
ineieme^ ehi tanto
propriamente tuona intblliobri,
e allora veramente ueiam
Tintblletto. (Vedi Lett.
al Sotta.) È
agevole scorgere, por tutto
ciò che abbiamo
detto qui e
altrove, quanto in Vico sia
chiara Tesigeriza kantiana deirunirà
eintetica detTapper-
eezione, non che
quella della percezione
intellettiva Rosminiana, e
meglio ancora (per qaèl
che diremo), V
altra del Sentimento
fondamentale. Ma in grazia
del suo criterio,
al solito, si
può riuscire a
schivare il tubbietti- viemo e il
formaliemo dell'uno e
delPaltro filosofo adoperando
il metodo deduttivo. cian possibile
ad un tempo
la coscienza e
l'esperienza; nuUamanco, a somiglianza
delle funzioni ond'
essi ram- pollano, restan sempre
una dualità, ma
dualità origina- ria;
stantechè non potendo
T uno emerger
dalP altro, né r
altro dalF uno,
debbano coesistere entrambi
nella coscienza. Se non
che, una dualità
originaria non è
forse un assurdo? Senza
dubbio, un assurdo.
Dunque è necessaria certa unità
iniziale, intima, primigenia,
appo cui 1 vero
e il fatto
sussistano germinalmente come in
grembo ad una
sintesi confusa. Alla medesima
conclusione potrebbe giugnere
chi pigliasse a guardar
Y intero processo
logico, cioè le
fun- zioni teoretiche tanto nel
lor movimento, quanto
ne' lor risultati. Percezione,
Giudizio e Sillogismo
son tre gradi, tre
momenti, tre forme
distinte d'una medesima
funzione eh' è la Mente.^
Nella percezione la
Mente si manifesta come unità
immediata appo cui
oggetto e soggetto
sian tuttora confasi. Nel
giudizio, invece, predomina
l'analisi, la differenza; perchè
i termini standovi
fra loro di
fronte l'un r altro
e quasi irresoluti,
avviene che la
mente debbasi palesare
come dualità. Ma
poiché il giudizio
im- porta necessariamente un ritorno
sopra sé stesso,
e questo ritomo appunto
costituisce il sillogismo
; accade che in
questo ritomo, nel
sillogismo, la mente
si palesi come unità
e dualità in
atto, come triplicità
attuale, come mente spiegai'a.
Or se l’organismo logico
e l'ideo-logico son anch'essi
un processo non
altrimenti che l'organismo psicologico;
se il risultato
finale di cotesto processo, la
funzione terminativa di
cotest' organismo è • €
Tre» mentit operationes:
Pkroiptio, JUDIOIDM, Batiooinatio.
Tri- bua artilM diriguntvr:
Topica, Critioa, Mbthooo.
{De AntiquUe.? aavT6)v,
Met.). E s'aggira
poi attorno alla seconda,
cioè al senso
e all' esperienza,
perchè dee verificar
la prima, cioè dove
inverare il principio,
o, eh' è
il medesimo, dee
convertire il vero col
fatto^ il voù;
potenziale con l'esperienza.
Perciò il voù;
attuale è la conversione per
antonomasia, massime quando
assuma valore di
Ragione, Perciò stesso la
scienza, diciamolo anche
una volta, non
può essere un magistero
deduttivo, nettampoco un
artifizio meramente induttivo. *
e Metaphtfatei enim
claritat eadem eat
numero ae illa
lueÌ9 quam non nin
per opaca cogno»eimu».
Si enim in
clathratam fenestram qua
lucem in aedee tuimittitf
intente ac diu
intueari» ; deinde
in eorpue omnino
opacum aciem oculorum eonpertae;
non lucem «ed
lucida ckuhra tibi
videre videaria. Ad hoc
imitar metaphtfeieum verum
illustre c«(, nullo
fink ooNOL0Drr(TR, NTTLLA FORMA
disorrnitur; quia est
infìnitìim omnium formorum
principium : phy9Ìea mtnt
opaca, nempe formata
et finita in
quibu» metaphyeid veri
lu- men videmue (De
Antiquie) Come si
vede, anche in
ciò il Vico non
fa che inverare
l' Aristotelismo. Che in
Aristotele infatti ci
sia il con- cetto del Noùc
potenziale come noi l'
intendiamo, e però
anziché passivo, come parrebbe,
sia fornito anch'
egli d' attività stantechò
possieda un oggetto somigliante
alla luce che
fa essere in
atto i colori,
si può vedere dalla
seguente sentenza: xa
la mente in potenua
d'Aristotele, 2** V
ettere ideale di SERBATI;
ma levando 1
difetti che certo non
mancano nelle loro
dottrine. Difetto d'Aristotele,
come avver- timmo, ò la
mente che vien
difuora. Difetto del
Bosmini, poi, è
V immobilità originarla e
la presenza non
legittimata del suo
Ente poetibile dinanzi
alla mente. Anche per
noi la mente
vien di fuori
; ma questo
di fuori è la natura in
generale. È un
di fuori nel
senso eh' ella
serba intimi vincoli
con la natura e col sensibile,
e sorge per
virtù propria, ma
col mezzo del
sen- sibile. Tal si è
l'interpretazione che potremmo
dare a questa
celebre frase aristotelica, nò
ci mancherebbero testi
in proposito per
confermarla; tanto la natura
non può essere
intelligibile in quant'
ò sem- plice realtà, ma in quant' è
potenza attuosa, conato, processo, divenire.
Or in che
maniera potrebb' esser tutte queste
cose ove non
includesse una legge,
un ritmo, una misura,
una forma di
moto, un moto
ordinato? Che s'ella è per sé
stessa intelligibile in
quanto che espli- candosi mostra sé
medesima e si
fa intendere ;
eviden- temente non potrebbe fai-si
intendere ove non
impor- tasse tre condizioni, ciò
è dire un
principio, un mezzo, ed
un fine. Se
dunque la natura
è potenza attuosa
e quindi per sé
stessa intelligibile, ha
da essere altresì))otenzialmente intelligente. E sarà intelligente
attuale ove quelle tre
condizioni siano insieme
compenetrate in unità: quando,
cioè, il principio
sia soggetto, il
fine oggetto, il mezzo
relazione. Che cos'è dunque
lo spirito nell'atto
suo radicale, nel suo
momento originario? È
soggetto, oggetto e
relazione: pensante, pensato e
pensiero. Però l' intima sua
struttura è insieme
dua- lità e unità, difi'erenza
e medesimezza, e
quindi, come si disse,
triplicità; ma triplicità
sotto forma di
sintesi iniziale e confusa.
Ne segue perciò
che l' intuito, la mente,
il NoJ; potenziale
altro non possa
essere, per noi, fuorché
il momento istesso
in che la
natura diventa pensiero; il
momento per cui
l'anima attinge forma e
sostanza d'intelletto. Ora
il primo pensiero non
potrebb' esser triplicità,
non potrebb' esser
sintesi primitiva, quando non
fosse l’intelligibile
divenuto altresì intelligente. Dunque
la Mente è la
natura incarnatasi come individuo;
l'intuito è l'individuo
che, trascendendo sé medesimo,
assume valore di coscienza. più che interpretazione somigliante
ne dettero alcuni
aristotelici del Rina- scimento, fra cai
meritano d* esser
menzionati PORZIO e ZABARELLA come quelli
che considoramno la
luce intelligibile quasi
di8»eminata tuHle /arme materiali^
e Dio come
influente sa V
irUdletto potnbihf non in
quanto intéUigente, ma
solo in quanto
intelligibile. (Vedi SERBATI, Peieol,, Ddle
Sentenze de' FU —
Rinnooam.) Possiamo dire perciò
che cotesto Noù?
potenziale ci renda immagine
della testa di
Giano. Con una
delle sue facce ccrtesto
Giano guarda al processo
della sostanza; guarda alla
natura in quanto
piglia valore d'individuo: dovechè con
l'altra inaugura, geminandosi,
il processo psicologico, del
quale son due
forme essenziali il
processo sociologico, e il
processo storico. Se
non che, lasciando per
ora del processo
della storia e
della sociologia, importa notare come
dalla costituzione primitiva
del pen- siero, secondochè noi
l'abbiamo designata, emergano, fra
le altre, alcune
conseguenze risguardanti l'essere
individuale, l'origine e'I
fine dell'anima. lUfacciamoci dalla prima. La
triplicità originaria, o, eh' è
il medesimo, il se-
creto vincolo fra oggetto
e soggetto, costituisce
la ra- dice prima della
individualità, e però
il fondamento cardinale della
libera determinazione. Se
infatti il N^uc potenziale è
due cose e
non una, cioè
mente e luce,
ne segue che in
quant'è niente è
soggetto; e come
soggetto non può non esser
reale, moltiplioe, diverso,
individuale: in quant'è luce,
poi, è oggetto;
e come oggetto
deve serbar carattere indeterminato, comune,
universale. Ora il concetto
di persona risale
appunto al connubio
di questi due elementi
primitivi. E invero,
come mai l' in- dividuo potrebb' esser individuo
se non fosse
oggetto, fornito perciò della
nota d'universalità? E
come, d'altra parte, potrebb' esser davvero
universale ove non fosse
nello stesso tempo
un soggetto concreto,
vivente, particolare? Il particolare
è il fatto;
e al pari del
fatto e' sarà
vero, quando assuma
valore universale, non ismettendo
d'esser particolare. Similmente
l'uni- versale è il vero;
e al pari
del vero sarà
un fatto, quando rivesta,
anche come universale,
natura di particolare. La conversione
del particolare e del generale non
può farsi che
nell'origine stessa del pensiero.
Or se tutto ciò
è indubitato, come
potranno salvarsi dal- l'errore più esiziale
all'umano consorzio, eh' è
l'annuilamento del vero
concetto di persona,
tutte quelle di- verse famiglie di
filosofi che altrove
riducemmo ai due indirizzi
estremi dell’Aristotelismo?
Gli aristotelici empirici e
naturalisti e positivisti,
infatti, distruggon la
per- sonalità perchè negano il
Nou; potenziale come
diverso dal senso; perchè
lo riducono al
senso. Ma la
distruggono altred gP iperpsicologisti antichi
e moderni, cioè gli
Averroisti e gli
Hegeliani: i primi
perchè separando i due
elementi credono il
soggetto abbia a
partecipare deir oggetto posto
fuori e sopra dell'individuo; i
secondi perchè fanno assorbir
l'individuo entro a
quell'oceano immobile e sconfinato,
ch'essi addimandano Spirito
Universale. La quale affinità
di risultati non
avrebbe a recar meraviglia,
chiunque sappia come
la dottrina del- l'in^eZZ^^ agente,
e l'altra non
meno speciosa dello Spirito
Vniversàlej rappresentino,
sotto forme diverse di
speculazione, l’iper-psicologismo aristotelico. Da questa
prima conseguenza poi
nasce una seconda
di massimo rilievo. Posto
il Noù; potenziale
non già come passivo,
anzi come fornito
originariamente d'attività spontanea in
quanto che nella
sua nativa indetermina- tezza è pur
determinato da un
oggetto; si riesce
a schivare così quell'errore
supremo a cui
rompono, per vie
diverse, i suddetti filosofi
seguaci de' due opposti
indirizzi aristotelici, e che
riflette i destini
dell'anima e dell'umana
per- sonalità. Se infatti nella
mente, nel NoJc
potenziale ri- siede la ragione
della individualità e
quindi la radice prima
della personalità, ne
segue che lo
spirito, essendo coscienza originaria
e quindi soggetto
superiore all'orga- nismo,
non può, tuttoché sgorgato
dall'organismo, finire così come
finisce la funzione
organica. Se l'organismo, come dicemmo,
è numero che
diventa unità, o
meglio, unione d'indole dinamica,
è chiaro com'ei
non possa altrimenti finire,
salvo che disgregandosi
e trasformandosi. Il suo
fine è semplice ritomo;
è ritomo pro- priamente detto: il
suo progresso è
regresso nel signifi- cato di monotono
rifacimento. Per contrario
lo spìrito è unità
e numero sin
dal momento ìstesso
eh' egli è pensiero.
Dunque non può
altrimenti finire fuorché attuandosi vie
piii e compiendosi
come individuo, come coscienza, anziché
annullandosi come tale
per vivere in grembo
all' universale d' una
vita che non
é vita. Il suo
finire non significa
ritornare, ma persistere.
11 suo progredire non è
regredire, ma incessante
determinarsi. Non è insomma
un monotono rifarsi,
un ripetersi come
la specie: é uà
perpetuo farsi: un
perpetuo rinnovellarsi dell' individuo
in sé, e
per sé medesimo.
Che sia così, ce
ne fa capaci
l’essenza stessa del
finito, delle forze, della
natura. Perché, davvero, se
la natura é
conato essenziale, non verrebbe
evidentemente a contraddire
a sé medesima ov'
ella non superasse
il senso e,
trascen- dendo il fantasma, non se ne
distaccasse rendendosene
indipendente?^ * A questa maniera
di prora intende
accennare Platone dove
afferma che r immortalità
non è nò
un eato di
cui saremmo felici
ore ci toccasse, nò
una aperanM della
quale è pur
bollo lusio^^are noi
medesimi: x3c).oV 7a/9 o'
xtv'Tuvoc, X3tì jr^vj
rà roiavra tò^mp
ffTroé^scv eaurù. {Fed.^ ed.
Stallbanm) Che se
altri ci chiedesse
notizia su la
pecnliàr forma della nostra
esistenza sovramondana e
sul modo con
che il NoJ; attuale
sarà unito coll’assoluto, noi
risponderemmo francamente di non
ne saper nulla.
WpoaithOfW razionalmente
poA/etVo, in siffatta
quistione in che consiste?
Consiste in ciò;
che il Noù;
attuale, in quanto
pienezza di coscienza e di personalità,
finisco di necessità
neir Assoluto, cioò finisce
col non finire;
e quindi il
soggetto j>of«»ùifmeiUe tn/ìntro, qual si è
appunto lo spirito,
non può finire
come finiscon gli
altri soggetti finiti,
i quali finiscono appunto perchò non
sono propriamente aoggeui.
Orda cotesto pentivo si
dipartono tanto coloro
che nella soluzione
di siffatto problema
ci vogliono dar troppo,
quanto quegli altri
che finiscono col
non darci nulla addirittura. Escon dal
positivo razionale o
fecondo, per cadere
nel dom- matico tradizionale,
i Teologistt col
loro inferno, paradiso,
purgatorio, eternità delle pene,
e che so
io. Escon parimenti
da questo positivo,
per cadere neira priorinno
dommatico e sistematico
e nel Nullismo,
gli Hegeliani con la
teoria dell* individuo
accidentef fenomenico e
pataeggiero, £d escono finalmente
dal positivo gli
stessi Positivisti per
cadere nel ne- gativo, sia che
dicano col Littré
esser davvero impossibile
indovinar nulla intomo a
siffatto problema, sia
che affehnìno col
Feuerback di saperne ogni
cosa quando sia
risoluto co* principii
dello schietto materialismo. 31a sopra
questo tema ci
rifaremo altrove. Qui ci basti
d'aver accennato ad una
maniera non troppo
usata di provare
la immanenza necessaria della personalità
come coscienza individuale. Questo quant'al
destino dell'anima umana.
Che cosa potrà dir
la filosofia positiva
nuant' all' origine sua?
Tutto nell'ordine psicologico
move dal senso;
ma nulla non può
nascere per ragion
del senso. Se
lo spi- rito è essenzialmente pensare
e giudicare, e
quindi, come s' è detto,
luce metafisica, intuito,
mente e però triplicità; ne conseguita
ch'ei nasce a sé stesso,
ch'ei genera sé stesso
come pensiero. Ecco
il vero significato dell'innatismo, dell'idee innate,
dell' innate facoltà. Questa conclusione,
circa l' origine psicologica, contraddice, al solito,
tanto al Materialismo
che non sa
ele- varsi più oltre delle
pure leggi meccaniche,
quanto a quell'astratto e
nebuloso Spiritualismo che,
incapace di scendere nel
regno de' fatti,
non sa penetrare
nell' espe- rienza, ed alimentarsene. Però
la filosofia positiva,
nel problema su l' origine
del soggetto psicologico,
non vuole, non può
accettare il principio
della trasformazione della materia
come pretendon gli
aristotelici empirici
rappresentati oggidì dagli
Hegeliani di parte
sinistra ; e non
può del pari
accettare il principio
(pur ridotto a forma
squisitamente razionale e
metafisica) d'una crea- zione estrinseca, immediata,
superiore, secondoché stimano, il
tomista, il teologist^,
l' averroista, il neoplato- nico, r ontologista.
Dottrine ipotetiche entrambe,
elle non sanno reggere
al martello della
critica. La prima riesce
insufficiente a spiegare
il fatto del
penciero: la seconda torna
inutile a legittimarne
la natura. Tra il
senso e l’intelligenza ci
ha intimo nesso ;
ma ci ha da
essere pure indipendenza
e diversità. Anche qui
si verifica ciò
che ha luogo
attraverso a tutti
i differenti gradi della
scala de' sommi generi
cui si riducon le
forze di natura:
si verifica, vo'dire,
quella doppia legge che
altrove appellammo della
continuità ideale^ o degl'
intervalli reali, Havvi
continuità perchè, posto
il senso, posta la
natura, è possibile,
anzi è necessario l'intelletto: si
che può dirsi
che dall'uno scaturisca l'altro. Ma
ci è pure
intervalli, perocché se
l'intelletto germina dal senso,
o meglio nel
senso, non per
questo potrà esser lecito
confonderlo col senso.
Ci spiegheremo brevemente.
Dicemmo come l'esigenza
massima, il principio
che qualifica l’Aristotelismo
sia quello che
si riferisce alla relazione tra
la potenza e
Tatto. Gli Aristotelici
empirici (per esempio gli
Hegeliani di parte
sinistra), ci dicon che
la potenza diventa
atto; e, applicando
siffatto pnn- cipio alla
psicologia col fine
di determinare l' attinenza fra l'anima
e '1 corpo,
affermano che l'anima
debba rampollare dal corpo in
forza della leggQ
del diventare. Che cos'
è per essi
il diventare? È
il to 7$ vo?
tolto in significato al
tutto empìrico e
sperimentale; il quale perciò
vuol dire trasformazione, generazione,
ripetizione e quindi passaggio
incessante (attraverso infinito
nu- mero di forme) d'un
soggetto identico, d'un
fondamento universale ma concreto
e sensato, qual
è appunto la Materia.^ Gli Aristotelici
iperpsicologisti poi (fra'
quali sono d'annoverarsi gli Hegeliani di
destra), ci dicono
an- ' È questa
la teorica propugnata,
come altrove toccammo,
da* moderni Materialisti tedeschi.
Essa, com' è
noto, è rappresentata
dal Feuerbach, è divulgata
e sostenuta con
incredìbile superficialità dal
Di' BUchner (Foror ei Matth-e,
trad. Gamper, Leipzig
Science et Nature
etc trad. De- landre, Paris), ed è applicata
dal Moleschott alle
scienze fisiologiche. Ho appellato
Arùtoteliei empirici questi
moderni materialisti usciti
dal fianco sinistro doirHegelianismo, perchè
davvero considerati st>orlcamente e* non
fanno che svolgere l’indirizzo naturale
deirAristotelismo. Bel qual fatto
hanno coscienza essi
medesimi, segnatamente il
Moleschott, il più ingegnoso
fra tutti, quando
afferma che Vunion
de laphilosophie et
de la acience ne
e^eH rialieée qu'une
foie don» ArÌ9tote,
{La Oirculation de la
Vie, Paris) Ora
s'intende agevolmente comò
pel Moleschott questo connubio
della Filosofia con
la Scienza nella
mente dello Staglrita si
compiesse tutto a
scapito della metafisica.
Aristotele, egli dice,
è conoscitore delle .opere
d* arte, degli
uomini e degli
animali [Ibi). Eviden- temente il dotto
fisiologo riconosce in
Aristotele l'autore d'una Rettorica,
d' una
Storia degli animali,
e degli otto
libri su la
Politica. Ma perchè dimenticar r
autore della Ptieologia,
della iSi'HoywKca, dell' £Wea
e segna- tamente della Metafisica
t Non è
vero dunque che l’Aristotelismo de' Po- sitivisti, do' Materialisti
e degli Hegeliani
di sinistra è
addirittura falso, erroneo, mutilato
storicamente o teoreticamente V ch'essi
che ìsl potenza diventa
atto; ma il
loro diventai^e, anziché grossolana
ed empirica trasformazione, è, per
cosi dire, un' addizione
ideale, cioè posizione
e contrappo- sizione,
determinazione, individuazione progressiva,
ma d' un soggetto unico,
universale, intimo, trascendente, assoluto, eh' è
appunto l' Idea.^ Ora il soggetto
del di- ventare, tanto per
l'empirismo quanto per
l'iperpsicologismo
aristotelico, cioè tanto
per la sinistra
quanto per la destra
hegeliana, è sempre
uno, sempre iden- tico a
sé stesso, chiamisi
Idea, chiamisi Materia.
Ecco dunque la ragione
per cui ne'
risultati, massime nella soluzione del
problema psicologico, le
due scuole s' ac- cordano a meraviglia.
Di fatto, l'anima
per gli uni na^e dalla
materia, è materia,
e finisce nella
materia: per gli altri
nasce in virtù
dell' idea, è l'
idea, e
finisce nell'Idea. Qual è
dunque il fine
supremo dell'anima? Non altro
che un ritomo,
un estinguersi nell'
Idea, o nella Materia: ecco
tutto. L'intima parentela
tra il Positivismo e l’Hegelianismo non
potrebb' esser più
evidente I Seguaci dell'
indirizzo medio dell'
Aristotelismo, a noi pare
che l' interpretazione legittima
della sentenza ari- stotelica in discorso
non sia questa,
che cioè la
potenza diventi atto; ma
quest' altra, che
la potenza passi
ad essere atto. Se non fosse
così, tutto affogherebbe
sotto il pesante domma
dell'identità assoluta, né
vi sarebbe differenza di
contenuto fra le
cose in generale,
e nem- manco fra
il senso e
l'intelletto in particolare.
Or se questo fosse,
anziché progresso avremmo
processo; e ' La
materia e la
forma, la pot&Ma
e V atto,
la forma e
il contenuto, non ooetitHÌacono
altro che due
momenti deWIdea, (Hbgsl,
Log., Vedi anche
neir Introd. di VERA)
L’Idea perciò s’occulta eeaenxialmenu
in entrambo i
momenti ; con
questo sem- plice divario, che
nell* atto essa
è piìi determinata,
più individuata, più enudeata
(direbbe con parola
significantissima Vittorio.
Imbriaui) di quel che
non sia nella
materia e nella
potenza. Dunque, io
concludo, la difTe- renia
non istà nel
quali, ma nel qoaktvm ;
e perciò diventare
non altro Tale, a
dir proprio, che
traeformanL Ecco il
punto di coincidenza
de* due estremi indirizzi
aristotelici; ed è
pur quello nel
quale per logica
necessità debbono consentire (checché
se ne dica)
la destra e
la sinistra Hegeliana. quindi monotonia,
eterno e indefinito
cangiamento di forme. Tutto
quindi si ridurrebbe
ad un meccanismo materiale, ovvero
ad un meccanismo
ideale; e leggo universale del
mondo sarebbe o
la necessità empirica
e fisiologica, ovvero la
necessità dialettica: fatalismo
cieco nell' un caso
come nelF altro.
Invece l' essenza del
pro- cesso cosmico per noi,
come vedremo, sta
nel canato secondo eh'
è inteso dal
Vico. Ma come
il conato po- trebb' esser conato
ove non includesse
l' intervallo, la diversità vera,
cioè la diversità
di contenuto? Conato è
passaggio nello stretto
senso della parola
(irjìpytx otTf)>?;); è transito,
non trasformazione; eduzione
(edu* dio entis ad
a4ium) ma eduzione
intrinseca, e quindi conversione del
fatto ìid vero,
cioè dire conversione della potenza
nell’atto, creazione intima ,
creazione spontanea. La potenza
dunque recasi ad
atto non in quant'
è potenza , ma
in quanto cessa
d' esser po- tenza, e
passa ad esser
atto; cioè in
quanVè potenza feconda. E
come potrebb' esser feconda
(tò ^warov), ove non
fosse privajsfione («rrf/jvjTc;)?» Or
tutto ciò, come sarebb'
egli possibile senza
la doppia condizione
della continuità ideale e
dell'intervallo reale?
Torniamo all' assunto.
L' intelletto nasce dal
senso: è vero. Ma
forse che nascere
vài risultare? Se
così fosse, r intelletto
non essendo altro
che un risultato,
starebbe rispetto al senso
così oomQ precisamente
nella storta del chimico
sta un sale
rispetto agli elementi
onde risulta, cioè all'
acido e alla
base. Or questo
(chi noi ' Questo
è il senso
che noi diamo
al principio aristotelico
della pn- «astone. {Metaph.)
Anziché principio negativo^
la pr«ea«ira posto
oggimai nella sua
massima evidenza sopratutto
da Rosmini. A niuuo
è lecito dubitare
della necessità d’una
forma oggettiva originaria nella sfera
de* fatti psicologici.
Con salde ragioni
il Kant ha
dimostra- to, contr*ogni maniera d'empirismo
psicologico, che lo
spirito intanto pensa in
quanto giudica; e
più ancora Rosmini
ha posto in
chiaro che lo spirito
giudica appunto perchè
è toggeito e
oggetto insiememente. Vedi Nuo.
Saggio passim. Rinnowm, Psicologia, Introd,
alla FU.) I
difetti della teorica
Rosminiana li accenneremo
in quest'altro capitolo.
Qui osserviamo che in
tale dottrina il
filosofo italiano si
ricollega con AQUINO (si veda), e, chi
volesse andare più in su,
anche con Alessandro
Afrodiséo, e quindi
con Aristotele. Nello Stagirita
infatti ò chiaro
questo principio: NotjtvÌ
^i in iTÌpcK. do. Ma nem- manco
è presupposta al
corpo, come dice
lo stesso Pla- tone, 0
piovutagli addosso dal
di fuori e
dall'alto in certo mese
e in certo
momento della vita
intrauterina, come affermano tomisti
e teologi, senza
dirci ne come
né perchè: e tanto
meno potrebb* esser venuta
fuora e ve- nir fuora
qual risultamento di
leggi meccaniche e
fisiologiche. L'anima è creata;
o, per dir
meglio, l'anima crea sé
medesima per una
legge profondamente dinamica che
si confonde e
compenetra con l' essenza
stessa della natura e
del finito. Perciò
alla domanda, se fra
l'anima e '1 corpo
come fra il
sentire e l'intendere
oi è salti ed
abissi, rispondiamo subito
che sì; ma
tosto aggiungiamo, che, a
colmare cotesti abissi
e varcare cotesti salti,
né la psicologia
positiva ha punto
biso- gno d' invocar V atto
immediato d' un deus
ex machina, né r
ideobgia ha mestieri
d' un a
priori che, dardeg- giando all' anima
il raggio dell'
intelligibile sovramon- dano, svegli
ed ecciti in
essa la virtù
dell' intelletto. Questo,
e solamente questo,
noi potevamo dire
'quan- t' alla genesi e
quant' alla teleologia
dell' anima umana, puntellandoci unicamente
su la na- tura dell' atto
essenziale, dell' atto
radicale onde vuol esser
costituito il pensiero.
La psicologia non
sarebbe famMndoèi bel bello
diventa miracolosamente intelletto,
ignorando cosi o facendo
le Tlste d'ignorare
gli studi profondi
e le parti
accettabili deUa psicologia Rosminiana; sì
serva pure: noi
non istaremo a
perderci ranno e sapone.
Ma non sarà
certamente villania il
dover dire di lui
con Aristotele: uoeo;
yixp f^fw o
toiowtoc y, toéoùtoc
'A^ril davvero positiva, non
sarebbe razionalmente positiva, quand' ella
presumesse di risolvere
diffinitivamente, doni-
maticamente, sistematicamente questi
due problemi, che non
senza ragione Leibnitz
appellò terribili. Ella deve
saper contraddire a
due estremi opposti
e contrari. Da una
parte dee contraddire
allo Spiritualismo e al materialismo; dall'altra
al positivismo. Dee
contraddire al volgare
spiritualista e al
materialista, perchè
entrambi pretendono, tuttoché
per vie e
risul- tati assai diversi, d'aver
risoluto in maniera
invincibile cotesto doppio problema,
mentre nel fatto
l'un d'essi disconosce il
valore intimo, l'autonomìa
dell'anima, e l'altro finisce
per impugnanie perfino
l'esistenza. Deve poi contraddire
al Positivismo, perchè
questo, al solito, non
volendo sapere di
siffatti problemi, ne
dichiara im- possibile tal soluzione,
e quindi inutile
il parlarne. Il filosofo
seriamente positivo può
fare qualcosa di più
che non
sappia il Positivista.
Ma confessa di
non saper giugnere fin
dove, con volo
icario e fatale,
sanno spin- gersi
materialisti e spiritualisti, empirici
e tradiziona- listi,
hegeliani di destra
ed hegeliani di
sinistra, mistici e ontologisti.
I principìi della
psicologia positiva che abbiamo
interpretato nell' autore
della Sdenza Nuova ci
possono far capaci
di determinare siffattamente
la genesi e la
teleologia dello spìrito,
da chiuder l'adito allo
scetticismo e al
nullismo. Il che
non dovrebb' esser poco,
anzi dovrebb' essere
moltissimo, agli occhi
almeno di coloro che
modestamente sanno e
voglion ricono- scere i confini
del pensiero umano. Abbiam
visto come la
genesi del processo
psicologico sia
essenzialmente genesi teleologica.
Ella dunque ci
vieta d'essere scettici per
sistema, ci vieta
d'esser nuUisti circa il
sapere metafisico. Se
il mondo della
natura e quello dello
spirito, come altrove
toccammo, sono processo
e conversione, stantechè il
primo sia numero
che volge ad unità
e il secondo
unità che, in
sé medesima attuandosi, divien numero;
anche l’assoluto, serbando medesimezza di legge,
ha da esser
non altro che
conversione, processo,
mediazione. È dunque
possibile che la
mente penetri in qualche
maniera nel regno
delle realtà me- tafisiche. Ma se
la legge è
comune, sarà pur
tale il contenuto? Agli occhi
del modesto indagatore
del vero la metafisica
è la scienza
de' confini. Or
questi confini appunto ignorano tanto
i Neoplatonici quanto
i Neoari- stotelici per opposite
ragioni. Di fatto anche
qui, e sopratutto
qui, navighiamo fra Scilla
e Gariddi: siamo
fra que'due soliti
estremi, come si disse,
in che travagliasi
'1 pensiero filosofico
fino da' tempi in cui
sovraneggiarono i due
grsmà'' istitutorì déW uman genere,
come il vivente
filosofo berlinese non dubita
chiamare Platone ed
Aristotele.' Qual è,
in ge- nerale, l'esigenza e
quindi '1 distintivo
de' Platonici e del Neoplatonismo
di tutte l'età
nell'afifermar l'assoluto? È il
propugnare la conoscenza
immediata e primitiva dell' obbietto
metafisico, qualunque ne
sia 1' ampiezza, il
grado, il valore
dell'intùito. Qual è,
invece, l'esi- genza degli Aristotelici
e del Neoaristotelismo? È il
* 1|I0HIL«T, Metaph,
d'ArUL. mantenere la mediatezza
del conoscere metafisico,
ovvero menomarla cosi da
renderla inefficace, e
talora persino affatto negativa.' I
metodi de' Neoplatonici nelP
attinger l'assoluto ' In
armonia con le
idee accennate già
nel Gap. Ili
di questo secondo libro
sa la storia
generalo del pensiero
filosofico, noi togliamo
in sig^nificato largo le
parole Neo-platonismo e Neo-aristotelismo. In
esse comprendiamo più e
differenti scuole di
filosoft. E quindi
non sono soltanto
filosofi Neo- platonici gli
Alestandrini o quelli
àeXht scuola Toscana «
od altri simili tra' filosofi
cristiani. Filosofo neoplatonico è
chi, pur modificando
il Platonismo, ne
sorbi, come notammo, due
esigenze, di cui 1’una ò
p9Ìeologtea e 1*
altra è tnetaJUica. La prima
consiste nel porre
un* attinenza primitiTa,
e quindi una
connes- sione originaria Tra la
mente e l'obbietto metafisico. Secondo
tal criterio, fra* neoplatonici
andrebbero annoverati parecchi
filosofi arabeggianti, av- vegnaché per ragione
isterica ei risalgano,
come toccammo, allo
Stagirita. La seconda esigenza
poi risiede nel
riguardar le idee siccome
entità aottanxialmente eaemplatrici;
il che costituisce
davvero il distintivo del
Platonismo in generale.
Or le diverse
famiglie o varietà di
platonici e di
neoplatonici possono esser
coordinate, nella storia della
filosofia, secondochè queste
due posizioni si
presentano più o meno
modificate. Per iVeoameoCetùn
poi intendiamo qne'filosofi
che contraddicono, in generale,
ali* anzidetta esigenza
psicologica e metafisica.
E poiché il Platonismo, come
dicemmo e come
avverte il Barthélemy
Saint-Hilaire {Phif9.
d*ÀrÌ9t., Pref.), si
riproduco e si
trasforma in Aristotele
non pure quanto alla
filosofia ma eziandio
quanto ad ogni
altra sfera di
scibile, cosi noli' Aristotelismo
è d’uopo saper
rintracciare i germi
del triplice indirizzo speculativo
da noi altrove
accennato, massime deirindirìzzo
mediof nel quale unicamente
è possibile rinvenir
la correzione del
Platonismo e dell’Aristotelismo.
Ripetiamolo anche qui:
tutta la storia
del pensiero filosofico occidentale
consiste nelJo svolgimento
fecondo e svariatissimo di questi
tre indirizzi; ciò
ò dire nella
lotta perenne delle
due estreme posizioni, e
nel trionfo lento
e faticoso, ma
immancabile, della posizione mediana. Se
questo è vero,
ne segue (almeno
per chi serbi
alcuna fiducia nel progresso
della ragion filosofica)
che se nessun
filosofo oggi può
dirsi od essere un
puro platonico od un
puro aristotelico, tutti
invece dobbiamo essere e
dirci neoplatonici, o
neoarìstotelici, ovvero seguaci
del terzo in- dirizzo; il quale,
sia storicamente, sia
teoricamente, vien fuora
tostochè sian dati i
due primi. Noi
non possiamo intrattenerci
sopra questa materia e
corredar di prove
isteriche tale assunto,
essondo ben altro
il compito del nostro
lavoro. Ma riteniamo
per sicuro che
una storia par- ticolare 0 generale
della nostra scienza,
la quale non
sia condotta con silEatti
criteri, altro alla
fin fine non
potrà esser che
un lavoro d* in-
tarsio, come tanti se ne vedono,
ovvero un arbitrio
sistematico, dom- matico e
fftntastico dairnn capo
ali* altro. (Vedi
tutto ciò che
abbiamo discorso a tal
proposito ( potranno differir
nella forma più
o manoo arbitraria con che ci è
data la dottrina
delP immediatezza. Ma tutti
ci palesan lo
stesso difetto: l'esser
dommatici, Tesser sistematici; poiché
tutti trascendon T esigenza
d'un po- sitivo e fecondo
psicologismo. L'
esagerazione di cotesto indirizzo è
rappresentato da chi
presume conseguir la notizia
dell' assoluto con
la ragione, ma
con la ragione che
si lasci guidar
dalla fede, e
sorreggere dal senti- mento. Con siffatta
maniera di speculazione
noi non ci abbiamo
che vedere. Essa
ci rappresenta quella
posi- zione metafisica che altrove
appellammo DommcUismo
empirico. Dobbiamo dunque
rifiutarla. E dob- biamo rifiutarla, sia
perchè in sostanza
ella riesce a negar
la speculazione trascendente,
ùa perchè s'oppone alle
condizioni più elementari
della scienza Le altre
forme di Neoplatonismo
afferman l'immediatezza
dell' oggetto metafisico
ponendo l' intùito, ma l'
intùito che legittima sé
stesso in quanto
che, assumendo virtù riflessa, diventa
ragione. Secondo tale
indirizzo appunto è venuta
svolgendosi la speculazione
italiana nel moderno periodo della
nostra filosofia. Talché
noi dovendo, come richiede
l'indole stessa del
nostro lavoro, tener
conto non pur della
ragion teoretica, ma
eziandio della ragione isterica, verremo
accennando alla dottrina
di Rosmini, Gioberti e
Mamiani, che ne
sono i più
legittimi rappresentanti.
Rifacciamoci dal primo
come quegli che per
ragion cronologica e
per valore di
speculazione va innanzi a
tutti. A SERBATI s' é
voluto dar titolo
d' idealista piato- nico. *
Con egual ragione
altri potrebbe dargli
titolo di realista aristotelico.
Il Roveretano corregge
davvero il neoplatonismo nella
ricerca psicologica ;
ma v' è
un punto vitale nel
quale, come si
vedrà, ei si
palesa più che
ne- * È un
titolo in gran
parte sbagliato. Quelle
eh' ei dice
propriamente idee per lui
sono eeemplari delV
eetenxa inteUigibiUf non'
già eeemplatrici per «è
medeeime, {ArieU E«p.
ed eeam,, Pref.)
Come dunque ò
idealista platonico ?
platonico. Con ingegno
potentemente analitico, temprata alla
severa speculazione d' Aristotele
e dell’Aquinate egli ha
dimostrato ciò che in modo
assai vago eran venuti
affermando gli aristotelici
su la necessità
d^ una forma oggettiva
nella mente. Ma
egli non si
contenta dell'essere in quanto
essere: lo dichiara
altresì immobile, immutabile,
obbiettivo, inalterabile, se^nplice,
uno, immescibile, infinito^ necessario,
insussistente, ideale} Ecco il
puntello ond' egli
s' augura di spiccare
il volo inverso ali
Assoluto. Ma innanzi
tutto guardiamo tale
dottrina sotto il rispetto
psicologico eh' è appuntò
il tema pre- cipuo del presente
capitolo. Col porre l'Essere
come oggetto primitivo
della mente, e col
dichiararlo fornito del
carattere d' universalità, il Rosmini
taglia i nervi,
come dicemmo, ad
ogni maniera di sensismo,
e nel medesimo
tempo corregge il
Critici- smo: lo corregge non
già mondandolo (com'
ei si vanta) della
magagna della subbiettività
di cui non
sa neppur liberare sé
medesimo, bensì dimostrando
quant* inutile fardello sia
quella moltitudine di
categorie originarie ond' il Kantismo
si distingue fra' moderni
sistemi di filosofia. Ecco
ciò che forma
l'onore della psicologia rosminiana. * Ma qual
è il suo
difetto? È il
non aver indagato fino
alla più fonda
radice quel eh'
egli stesso appella il
minimum della cognizione;
e quindi l'aver fatto
pesare su l'obbietto
originario un ingombro
di note e d'attributi
cotanto copioso, da
fargli smarrire affatto il
carattere dell'
originarietà. E, davvero,
cotest' og- getto è egli
ideale? Dunque è
già beli' e
determinato. Ór come un
obbietto determinato potrà
esercitare fun-[PAGANINI mostra 1’affinità
fra SERBATI od AQUINO
quant'alla teorica del
lume intellettivo. {Sagg.
9opra «an Tomm, éC
Aquino e t7
Roeminif Pisa) Vedi Rinnovam.—
Ptieologia, — Nuo.
Sagg. SPAVENTA ha pasto
in sodo questo
gran merito del
filosofo italiano di fronte
al Criticismo nel
prezioso opuscolo altrove
citato so la '
FUo9ofia di Kant
e la tua relazione con
la FUotoJia Italiana,
Torino. 2Ìoni di Primo
psicologico? Non verremmo
cosi a tur- bare e
confonder l'ordine primitivo
della conoscenza col riflesso?
Dunque Y essere
ideale nell'organismo della psiche,
anziché Primo psicologico,
sarà il Primo
logico. Quanto poi air
attributo della infinità,
egli ha ragione dove
aflerma con san
Tommaso, la natura
del soggetto dover partecipare
a quella dell'oggetto:
e quindi se a
questo appartiene il
carattere della infinità,
non si vede perchè
non debba appartenere
anche a quello.
Or s' egli è cosi,
è dunque infinito
il pensiero? Lasciamo
agli hege- hani cotesta
innocua pretensione finché
non ce n' abbiau
dato valide e
serie dimostrazioni."
Se, inoltre, cotal
forma innata è
immobile, immuta- bile,
immescibUe e inalteràbile,
perciò non le
sarà dato moversi di per sé
stessa. Ella si
move bensì, ella
diventa, ma in virtù
d' una determinazione, in
forza d' un' op- pliccunone. Chi
recherà ad atto
cotest' applicazione? La
[SPAVENTA ha ragione
: « V errore di SERBATI
non ì il
fare ddV eteere come
eeeere il primo
eeientijico o logico,
ma di fame jil primo peiedogieo: non
U primo pensabile,
ma il primo
eonoeeibUe, » (Le
prime categorie della Log,
di Hegel, negli
Aui dtUa B,
Accad, di Nap.) SERBATI stesso
prevede questa grave
difficoltà, e tenta
rispondere in più modi
riparando al solito
arsenale delle distinzioni;
ma questa volta con
assai poca fortuna.
{Peieologia) In altre
opere, e anche nel
Nuo, Sag., avea
chiamato infinito il
pensiero, non però
eotto tuui gli aepeUi.
Ma un inAnito di
cotesta foggia chi
vorrà accettarlo? La creduta
infinità dell* oggetto
primitivo non ò
infinità, ma indetermi- natezza, E di
fatto la nota
epeeijicante della Ittee
metaJUiea^ secondo la sentenza
di VICO (si veda) altrove riferita
è appunto la
indeterminatezza, la
potenzialità, ma la
potenzialità non vuota
e subbiettiva de’ AQUINISTI AQUINO e de*
Peripatetici, bensì piena,
feconda, oggettiva, essendo
nella sua essenza un
eonato. Or se
questo ò il carattere dell*
oggetto, e se la natura
del soggetto ha da
rispondere a quella
della sua forma,
ne seguita che
alreggette indeterminato dee
far riscontro una
facoltà d*indol6 somigliante. Ma che
cos*ò un pensiero
indeterminato nel suo
oggetto salvo che un
essere potenzialmente infinito,
un subbietto che
tendit ad infinitum,
come lo deRnisce lo
stesso VICO? Dunque
1* indeterminatezza è il
carattere pre- cipuo della luce
metafieiea, tuttoché in so stessa
ella sia determinata
In quanto che non
cessa, ripetiamo, d’essere
un oggetto; mentre
che la potenzialità feconda
è il carattere
del pensiero inteso
come soggetto. S. 2Ì ragione.
Or bene, la
ragione non vi
potrebb' essere mossa tranne
che da sé
stessa, ovvero dal
senso. Dal senso, no
; che saremmo
sempre impigliati in
una forma più 0 meno schietta
di sensismo, dal
quale indirizzo il filosofo
di Rovereto rifugge
ad ogni patto.
Dunque da sé stessa.
Ma, si può
chiedere: muovesi ella
da sé in quant'
è soggetto, ovvero
in quant' é
oggetto? In quant'
è soggetto, no. Un
soggetto spoglio di
forma è una
pò* tenza vuota; è
la pura potentia,
la purafaeultas degli scolastici: e
come tale riesce
incapace d'esercitar fun- zione di
Primo psicologico. Movesi
dunque siccome og- getto; movesi in
quant' è luce fnetafisica.
Or come si
potrà movere s' ella é
immobile, immutabile, immescibUe,
iikiZ- terabile? — Da ultimo,
il difetto che
in tale indagine
egli ha comune con
parecchi altri aristotelici,
e pel quale
vuol esser segnalato come
neoplatonico, risguarda l' origine di
cotesta forma ideale.
Donde mai cotal
luce? Piove dall' alto,
0 piuttosto rampolla
dal basso? Non
dall'alto, non dall' assoluto in
maniera diretta, egli
risponde; nettampoco dal
basso, cioè dall'esperienza. Rosmini
qui ha ragione: nessuno,
crediamo, vorrà fargliene
carico. Donde e come,
dunque, ella viene?
' • Vedi Antropologia. — Sistema
FUotofieo, p. 82. '
Bisogna confessare che
nel punto più
vitale delle sae
dottrine, eh* è Torigine dell*
obbietto primitiro della
monte, questo filosofo
fu sempre titubante anche
ne* suoi lavori
postumi. In alcune
opere evidentemente 8* accosta
a san Tommaso,
dove dice, per
esempio, che Tessere
ideale è un cotal
raggio ddla divinità,
il quale noi
tftdremmo in modo
ineffabile identijì earai
con etaa quando
ci si potesse
disvelare la divina
e$»enMa. (Atto. Sagg., vol.
II.) Altrove ritiene
che la forma
intellettiva non ci
abbia che vedere con
Dio ; e
• dove pur ci fosse
un* attinenza, difficilmente
(egli sogin»?"®) ci salveremmo
dal panteismo. {FU.
dd Diritto, voi.
II, p. 195.) E
con tutfaO questo
el non dubita
alTermare, additando la
nota scap- patoia della distinzione
tra forma reale
e forma idecUe,
che Dio si co-
munica al pensiero idealmeìUe,
non già realmente
! Ma che
cosa ò mai, e
come avviene cotesta
eomunieagione ideale f
Che 8*ella è
possibile, come, in tal
caso, potrete salvarvi
dal panteismo ideale?
Il Rosmini parla chiaro
(Teoeojia, su la
Partecipazione del divino
nella inteUigmza) ove dice
che 1* essere
iniziale della mente
e 1* estere
divino sono addirittura identici.
Dunque non v*
è scampo: o
egli non riesce
a salvarsi dal panteismo,
ovvero deve attribuire
all' obbietto della
mente la 11 Rosmini
crede potere attinger
la notizia dell'
as- soluto ponendo in opera
alcuni espedienti, per
esempio il processo d' dimincunone, d' intcgrcmone e
slmili. Ma sopra qual
fondamento si basano
cotesti processi? Ap- punto sul
concetto dell'Essere ideale.
Da cotesto con- cetto egli stima
possibile trar gli
elementi a comporre quello dell'
obbietto metafisico. Perciò
dagli attributi dell' ente
ideale vuol concludere
a quelli dell'
essere in sé: perciò
dal simile vuol
procedere al simile.
Or co- testo è un
processo senza processo:
è un processo
ap- parente, illusorio, perchè dal
simile non si
procede al simile, ma
si è nel
simile. D' altra parte,
per isquisiti che si
voglian supporre i
metodi eh' egli
adopera a tal proposito, mai
non avverrà che
gli attributi dell'
ente ideale possano porgere
quelli del reale.
In che ma- niera convertir le
note d'assolutezza, d'universalità e d'infinità,
che son proprie
dell'uno, con quelle
del- l'altro? E dove e
come poi andare
a ripescar l'attri- buto della realtà?
Checché se ne
dica, a tale
domanda ei non risponde,
o ricasca nel
ginepraio delle viete
ar- gomentazioni scolastiche.
E mentre crede
compiere o correggere il
celebrato argomento di
sant'Anselmo, non s' accorge il
grand' uomo come
restino tuttora incrollabili le gravi
difficoltà affacciate dal
Criticismo. Pur non ostante
egli reputa negativa
l' idea di Dio.
Or come negativa se
ci avete saputo
disasconder tante peregrinità a
questo riguardo? E
s'ella é davvero
negativa, non siamo già
nel Positivismo? E
se non é
assolutamente negativa,
perchè non è
tale? perché non
può esser tale? nota
della realtà alla
maniera del Gioberti.
In altra opera
postuma {Ari9t, Etp, ed
etam,) le titubanze
non iscemano; perchò
quan- tunque modifichi in alcune
parti la sua
dottrina l’essere nondimeno ^W si
prosenta sempre come
ideale^ e crede
confermar la propria
sentenza con r autorità d'Aristotele.
Dalla prima ali* ultima
opera del Rosmini, dunque, il
problema su la
conoscenza s’aggira sempre
nelP equivoco tra il
Primo pticologieo 6
il Primo logico;
ne qnindi crediamo
che l’Idealismo Rosminiano
siasi di mano
in mano accostato
air Ontologismo del Gioberti,
come pensa il
eh. FERRI (Est. tur
VHist. de la
Phil. en Italie) La
guisa ond^ il
Boveretano crede poter
penetrare nel mondo metafisico
non sarebbe, a
parlar proprio, un processo,
una mediazione. Nessuna
conversione sarà mai possibile
fra due termini
simili appunto perchè
fra questi, ripetiamo, non è possibile
un intervallo. £ dato ci sia
cotesto intervallo, è poi necessaria
una continuità ideale; la
quale, unzichè per
comunicazione dell' oggetto,
com’egli pensa, avviene
per eduzione per
parte del soggetto. Né
è maraviglia eh'
ei non abbia
visto tali necessità, chiunque pensi
come la filosofia
di SERBATI partecipa a quel
difetto che, come
altrove notammo, è il
verme pia micidiale
che roda il kantismo. Tutto
in lui sembra immobile,
freddo, sterile come
il suo ente
ideale. Psicologia,
ideologia, cosmologia, storia,
diritto, politica e religione,
nel loro insieme,
paion quasi altrettanti organi, anziché
un organismo, perocché
uiun soffio vitale imprima
forza e movimento
a tutte queste
membra. A lui, in
somma, fa difetto
l’esigenza del processo. Eppure air
A. del Nuovo
Saggio non sarebbe
mancato il fondamento positivo
sopra cui avrebbe
potuto in- nalzar r edifizio
della psicologia, e
apparecchiare cori la soluzione
d'alcuni problemi cosmologici.
Avrebbe avuto una gran
chiave nella sua
teorica sai Sentimento fondametìicde, intomo
a cui nessuno,
dopo Aristotele, ha saputo
discorrere con eguale
acume e accuratezza,
come saggiamente osserva il
Ferri.^ Ma neanche
in questo ei potè
pervenire a disascondere
quel secreto vincolo
che in seno all'unità
primigenia del Noù;
potenziale annoda [Però Gioberti
non a torto
rassomigliò ad uno
ttaUauUe il si- stema Rosminiano. La
forma stessa del
suo iugesrno mostra
cotal difetto. Kcco perchè
non gli fa
dato cogliere, come
accennammo il valore
del metodo Tichiano.
Ecco perchè altra
lllosoila della storia agli
occhi suoi non
dovrebb* esser possìbile,
fuorché quella d*
Agostino, del Bossuet, dello
Schlegel, del De
Maistre. Non altro
concetto sociolo- gico,
salro che quello
della società divina
naitirale. Non altra
cosmolo- gia che quella del
Tomismo. Non altra
fisiologia e patologia,
tranne che quella de*
Tocchi vitalisti. . la visione
ideale, la percezione
empirica, nonché il
sentimento fondamentale.' I
difetti del Rosmini
prese a correggere GIOBERTI; ma die
neir esagerazione. In
maniera invitta egli
mostrò la fallacia della
posizione dell' ente
ideale, ma cadde
nell’arbitrario anche lui
quando ingolfossi nel
mare magno del suo
intùito. Se infatti
havvi dottrina psicologica
la quale più spiccatamente
contraddica al criterio
della conversione, e quindi
all' esigenza metodica
aristotelica della Sdema Nuova,
è appunto quella
del Neoplatonismo che con
entusiasmo senza pari,
con ingegno mirabile
e con vena fecondissma
di speculazione egli
prese ad inno- vare fra noi
con anima ITALICAMENTE generosa. A
nessun italo oggi potrebb’esser
lecito disconoscere i grandi
meriti del filosofo
subalpino: a nessuno
i bene- fizi grandissimi che
in età assai
triste sepp' egli
operar nella mente e
nell'animo di tutti
con le sue
scritture. ' fi noto
come per SERBATI sia
U tentimeruo intimo
e perfettamente uno che
uniece la eeneitività
e V intelletto.
{Nuov. Sagg. ; Ariet.). Ma
in che maniera
poi accordare questa sentenza
con quel! * altra
ove dice, la
ragione eeeer quella
che unieee il eentibile
e V intelligibile
f {Pncologia). L* anità
de* due elementi
qui sarebbe posteriore,
mentre sarebbe ante^ riore
la dualità, e
quindi, come dualità
primitiva, inconcepibile. Il che
ci è
confermato da lui
stesso dove afferma,
la vitione ideale
non aver relazione di
torta con la
percezione empirica, {Antropologiaf C.
VILI). Ora a me
pare che il
Sentimento fondamentale avrebbe
potuto porgrersi a lui
come base d*
una dottrina psicologica
razionalmente positiva, quando avesse
pigliato a considerarla
come unità Iniziale,
come sintesi origina- ria del doppio
elemento della conoscenza
: il che
non apparisce in
alcun luogo delle sue
scritture. Che cos*è,
infatti, il Sentimento
fondamentale f te V atto onde
V anima vivifica
il corpo, {Antropohf.), Or bene,
checché se ne
possa dire, cotesta
evidentemente è psicologia neoplatonica, e
però tutt' altro che
positiva. Invece per
noi il Senso fondamentale ha
natura di conato,
e quindi rappresenta,
anzi incarna il momento
in che la
vita, la ^uvauc;
biologica, superando so
medesima, passa ad assumere
anche valore di
pensiero. In altre
parole: l'anima pel Rosmini
è energia primordiale,
ò una originariamente (Ibi,
e. IX) ; ma
è una come*
anima, non già
come anima e
corpo, come vita
e pen- siero. E con
questo difetto, eh*
egli ha comune
co' platonici e
con san- t'Agostino come v^emmo, contraddice evidentemente all'indirizzo medio
arittoulico secondochè noi lo intendiamo. Ma chi
è oggimai che
vorrà propugnare sul
serio la sua teorica
psicologica tuttoché sia da accogliere
e svol- gere non pochi
principii della sua
Protologia? ^ Fra le
molte e gravi
obbiezioni mosse contro
V on- tologismo giobertiano, noi
ci restringeremo a
ripetere quella
semplicissima affacciata poco
fa contro il Ro-
smini, e che con
assai più ragione
s' attaglia a GIOBERTI. Come oggetto
primitivo del pensiero,
la formula del- l' Etite
creante è un
oggetto determinato, sia
che si tolga a
considerar la natura
de' suoi membri,
sia che la
spe- cie di relazione che
li rannoda in
organismo. In che maniera
dunque può essere
inizio, principio della
genesi psicologica? Anziché il
minimum del pensabile,
qui s' avrebbe il maximum
del conoscibile. Or s'
egli é
così, la scienza, io
chiedo, sarà ella
generazione, conversione,
eduzione, o non
più veramente copia,
imitazione, ritratto d' un vero
che non ci
appartiene? La posizione dell'Intuito giobertiano
è dunque arbitraria,
ipotetica, oscurissima, come primo
d'ogn' altri ebbe
a mostrare lo stesso
SERBATI. Perciò la formula non
può essere riguardata, secondochè
pretendon gli ontologisti,
come sorgente d' ogni
scienza, criterio d'
ogni scibile, fonda- mento d' ogni
dimostrazione, come Primo
ed Ultimo del pensiero.
Il Nov; degl’ontologisti italiani
è la vecchia dottrina dell'
Intelleito agente^ ma
passata attraversò la scolastica, e
ricorretta dal pensiero
filosofico cristiano. È r
IntelligibiHtà, la VerUà
di sant'Agostino, ma
deter- minata, concreta,
reale. È la
Reminiscenza platonica, ma fatta
viva, presente, parlante
al pensiero. Egli
dun- * Ved. il
nostro opusc. Introduzione
allo ttttdio delle
acìenxe naturali e ttoriche,
Firenze, Celiini, Ved. GIOBERTI
e il Panteismo,
Lucca. Dopo il GIOBERTI di SPAVENTA è
impossibile difendere l’intuito
del filosofo di
Torino: se ne
persuadano gli ontologisti.
Noi accettiamo la sua
critica: ma chi
?orrà accettar le
conseguenze eh «i
ne trae, o la relazioni eh'
egli pone fra Io Ctisiologismo, in
generale, o l’Idealismo
assoluto? Anche qnant*al
concetto creativo della /Vo(o/o^ fra
Tuno e r altro
sbtema, come avvertimmo,
corre un abisso.
' « que è
r esagerazione del
Platonismo. È un
iperpsicologi- smo avente il
suo primo puntello
nel catechismo, né può
quindi essere accettata
dalla ragion filosofica
positiva.* Sennonché gli ontologisti
si fan forti,
come accen- nammo, della celebre
sentenza vichiana su
la rispon- denza fra r
ordine logico e
Y ordine ontologico." Il nostro
filosofo non parla
d' ordine logico e
ontolo- gico, ma sì d' un
Primo logico, e d'
un Primo
Vero Me- [Qui abbiamo
inteso accenDare alla
dottrina deir Intuito
come ci è data
nelle prime opere di GIOBERTI. Ognuno
sa che nelle
scritture pò- stnme egli
Tiene talora a
modificarla sì che
s* accosta a SERBATI,
o me- glio, ad AQUINO. Per
esempio, dice: {De
Univ, Jur. Da questo
lemma è agevole
argomen- tare che Dio è
Primo, sia che
tu lo consideri
come essente, sia
che come conoscente. Qui
non v* ha
luogo ad interpretazioni. Ma
vi è il
lemma VII che dice: Itaque
Primum Verum Methaphysieum
et Primum Verum
Lo ' gicum, unum idemque
esse. Qui la
critica interpretativa è
necessaria, perchè qui la
contraddizione con l' insieme
delle altre sue
dottrine è pur troppo
evidente. Se la
rispondenza cai allude
il nostro fosse
da interpretarsi come pretendono
ontologisti e nooplatonici,
olla contrad- direbbe alla dottrina
del conoscere e
del metodo ;
la quale in
siffatte ambiguità dee prevalere
nel pensiero del
critico, come quella
che costi- tuisce
propriamente T originalità
di VICO. Se dunque
in forza del
suo criterio la scienza
debb* esser frutto
d* uno s?olgimonto
riflesso e di ri-
cerca e di critica
essenzialmente eduttiva, parmi
evidente come il
rap- porto fra r ordine
delle cose e
quello delle idee,
anziché di corrispondenza originaria e
di parallelismo primitivo,
abbia da essere
invece di rispon- denza derivata, e
di parallelismo riflesso.
In una parola:
cotesto paral-
lelismo,cotesta equazione, non
è un principio,
è un risultato.
Nel che 11 fliosofo
di Napoli, com*
era da sospettare,
interpreta ed invera
il beninteso Aristotelismo, perchè
è lo stesso
Aristotele quegli che
osserva come la radice
di tutti gli
errori de' Platonici sia
per l'appunto la
confusione dell'ordine logico con
l'ordine dell'essere, e però delle
causo reali del- l'essere, con
lo cause formali
della scienza: KW
ou TtdvroL o€a tu
\6yù» zjporepoiy xaì
tVì oÙTc'a vipÓTspx^
{Metaph.). tafisico,
considerandoli entrambi come
unum idemque. Siamo dunque
nel panteismo? ovvero
in una dottrina neoplatonica? Intendiamoci.
Qual debba essere
per lui il Primo
psicologico, s' è visto. Or
quali han da
essere, in armonia
con le sue dottrine
psicologiche, il primo logico
e '1 Primo ontologico? Il Primo
logico sarà, né
vi cape dubbio,
un princi- pio mediato, risultante,
secondario, cioè posteriore
al Primo psicologico. Se
infatti il processo
della psiche s' attua
ingradandosi in pili
gruppi di facoltà
compo- nenti fra loro un
organismo; e se
il processo conoscitivo importa
una serio di
leggi atte a
governare le diveree funzioni,
che vuol dire
le facoltà stesse
avvi- sate in relazione co'
loro prodotti (rappresentazioni, fan- tasmi, concetti, nozioni,
idee, giudizi ec.)
; avviene che come,
data una funzione,
è già beli'
e dato logicamente il suo
prodotto e quinci
una serie di
leggi che ne
regga lo^'svolgimento; così, posto
il Primo psicologico,
non potrebbe a verun
patto mancare il
Primo logico. Ora se
il Primo
psicologico è V
essere indeterminato, eh' è dire il
Nov; potenziale, in quant'
è luce metafisica;
quale sarà il Primo
logico? Non altro
che l’essere nella sua
prima determinazione riflessa:
l'essere in quanto
ideale; il quale perciò
suppone, sotto il
riguardo cronologico, il sensato
reale, il fatto;
stantechè il senso,
come toccam- mo, resti incluso
nel circolo psicologico.
L'ente ideale adunque è
un primo: qui
ha ragione SERBATI.
Ma è anche un
ultimo; uUimo psicologico,
e primo logico. Al qual proposito
giova notare che
ove il Roveretano avesse riguardato a questa maniera 1' Ente possibile, non sarebbe
caduto nell'aperta contraddizione di
considerar l'essere come ideale^
e come immobile
ad un tempo; stantechè
se in quanto
è luce metafisica,
cioè in quanto originario
ei non può
non essere indeterminato, come ideale
invece è mobilissimo,
essendo già beli'
e determinato, e come
tale ci esprime
lo stesso moto
della facoltà, la facoltà
in quanto è
funzione. Quale sarà intanto
il Primum Verum Metaphysicum? Posto il primo
logico e quindi
'1 processo della
logica e r orditura
de' concetti, il
lavoro speculativo della mente
non può ad
altro pervenire fuorché
ad uno di questi
due risultati: o
air essere indeterminato
riflesso qual è, per
esempio, l’indeterminato secondo
eh' è
posto dall’Hegelianismo
quasi chiave di
volta dell'edifìzio dialettico;
ovvero all' essere
determinato mercè Tartifizio
del metodo compositivo
sintetico, d' integrcurìone;
voglio dire, all'essere
pieno, all'essere fornito
delle note più eminenti o
delle primalità cui
sappia poggiare il pensiero
speculativo soccorso dall'esperienza. Ora il
Primo vero metafisico
al quale accenna Vico
non può esser l' ente
indeterminato inteso come
luce metafisica, perchè questa,
essendo essenzialmente indeterminata, cioè indeterminata per
necessità di natura
in quant'è oggetto primitivo della
mente, è quindi
un Primo psicologico
anrichè metafisico. Non
può esser neanco
l' Indeterminato così detto dialettico
al quale, come
voglion gli Hegeliani, per un'
assclida e subitaifiea
astrandone si levi
la mente e vi
si estingua, e
in grazia di
siffatta estinzione scoppi la
prima scintilla dialettica.
E non può
essere, sia perchè cotesto
Indeterminato contraddirebbe al
con* cetto che il
Vico ci porge
dell'assoluto, sia perchè, frutto d'un
lavoro onninamente astrattivo,
manca ne- cessariamente
d'ogni condizione d'obbiettiva
e metafi- sica sussistenza. Se
dunque non è l'
indeterminato né come luce
metafisica né come
posto dall'astrazione, che eoe'
altro sarà fuorché
l' ente concepito come
de- terminato nelle sue primalità
essenziali, l’ente trascen-
dente, il Nosse-Velle-Posse infinUum?
Sennonché, per metafisico che
sia cotesto essere, ninno vorrà
dirlo reale. Donde trarre
siffatta determinazione? Forse
da un in- tuito primigenio? Ipotesi! Dal
regno de' fatti e
della ' Il Primo
Hegeliano, dice Spaventa,
ò queUo che
non ha altra
denominanione che di
non averne alcuna,
{Ddle prime Categ.
della Log. di
Hegti, Hbqil, Log., trad. VERA) esperienza? Impresa
vana! Dalle viscere
dello stesso pensiero per
astrazione assolila e
subitanea? Illusione! D'
altra parte, tuttoché
entità ideale, non
per questo sarà lecito
credere che il
Primo metatìsico abbia
da essere assolutamente astratto,
poiché come determinato, cioè come
concepito e costruito
dalla mente, è pur
mestieri eh' e'
risponda ad una
realtà. Egli dunque
è metafisico ma non
per questo può
cessare d'essere identico al primo
logico. Perchè? Perchè
da questo appunto lo
trae la virtù
speculativa. Vico dunque ha
ragione: il primum verum metaphysicum
è unum idemque col primum logicum, giusto
perchè il pensiero vien
costruendo l'uno mediante
l'altro. Brevemente: egli è
metafisico, perchè ha
valore obbiettivo; ed è
poi unum idemque con
l' essere logico e
però col Primo psicologico,
perchè non è,
a dir proprio,
una realtà, quantunque per
necessità metafisica abbia
un riferimento alla realtà.
Ma qui si
può chiedere: dunque il
Primo metafisico non
sarà egli né
assolutamente reale, né assolutamente
ideale, né obbiettivo,
né subbiettivo? Precisamente
così. Non è
l'una cosa né
l'altra, ma è r
una e l' altra
insieme, stantechè sia
potenzial- mente infinito. E poiché
come infinito potenziale
non è perfetta conversione
di sé con
sé medesimo, però
fugge, quasi diremmo, sé
stesso. EgU è,
in somma, un
essenzial conato; e
come tale non
può non riferirsi
necessa- riamente ad una realtà,
e in questo
senso possiede na- tura metafisica. Dico
necessaria tale oggettività,
perchè il Primo metafisico,
quando sia determinato
dal pen- siero speculativo, non
è altro che
la stessa triplicità psicologica, ma
riguardata nella sua
universalità. Che cos'è mai
cotesta triplicità universale?
È mentalità in sé,
è dialettica in
sé, è oggettività
in sé. Ella
dunque non può esser
considerata nell' individuo,
ma fuori dell' individuo, in
un soggetto appo
cui le primalità
del- l' essere si convertano
e compenetrino: il che è
davvero impossibile nell' individuo,
come quello che
non è il pensiero
(voùc) ma la
facoltà del pensiero (vouc
^wa^ust) secondo la sentenza
aristotelica. Se il Primo
metafisico, inoltre, fosse indeterminato, non
avrebbe alcun opposto, quantunque
serbasse distinzione come
oggetto di pensiero. Al contrario
éoncepito come determinato, e' tosto
diventa obbiettivo ; e
così da Primo
vero metafisico assume virtù
di Principio metafisico.
Or che cos' è
questo principio metafisico?
Che cos'è la
realtà alla quale ei
si riferisce? È
l'Assoluto: ma l'Assoluto
che è davvero assoluto,
come appresso mostreremo. ÀR1ST., De
An.t li, iv.
Cfr. anche la
Metaph. Secondo
l'interpretazione che noi
qui abbiam dato alla
sentenza del Vico 8i può dire
che il Primo
Metafisico, essendo il
vero in attinenza col
realtf sia il fatto,
cioè il fatto
del pensiero speculativo,
il fatto della scienza
che convertesi col
Vero assoluto, il
quale, come vedremo,
è il primo fatto
per eccellenza. Accade
perciò che il
Primum Verum Metaphysicum debba riguardarsi
come anello di
congiunzione fra la
Logica e la Me-
tafisica; ond'ò che fra
queste due scienze,
anziché esserci quella
mediazione Hegeliana la quale
in sostanza ò
una compenetrazione asso- luta, ci è
invece conversione; e
la conversione esprime
non già identità nella difTerenza,
ma identità e
insieme differenza. Vi
è, in altro
parole, medesimezza di legge,
di forma, e
qnìndi continuità ideale;
ma ci è pure
differenza, differenza essenziale,
differenza di contenuto,
e però intervallo retde. Ecco
perchè il Vico,
svecchiando un principio
aristotelico, afferma: « Qìullo
eh* è metafisico
in quanto contempla
le co»e per
tutti i generi
del- V eteere, la
steesa è la
logica in qwanto
considera le cose
jìer tutti i
generi di eignificarle. Questa relazione
fra la Logica
e la Metafisica
fu dal no- stro filosofo incarnata
sotto forma simbolica
nella IHpiniura ; e
nell' Introduzione alla
Scienza Nuova la
venne determinando nel
concetto del M(»ndo DILLE
Menti r di
Dio. Menti pensiero
spirito, e perciò
Psicologìa Logica e Ideologia,
come vedemmo, formano
tutt*un processo. Un
processo ha da essere
anche l’Assoluto. Ma le
Menti e Dio
formano anch' essi un
processo, un organismo,
un Mondo: in
quanto che fra
que'duo termini ci ha
da essere conversione. Questo tutto
organico lo dicemmo proceeto ideale
per parte del
primo termine, cioè
delle Menti, nel
senso che ha da
essere mediazione razionale,
conoscitiva. Perciò Primo
vero metafineo e Principio
metafinco. Logica e
Metafisica, Menti e
Dio, com- pongono un Mondo;
un Mondo superiore
a quello della
Natura nonché a quello
dello Spirito, inteso
questo come sviluppo
isterico, come storia che
è Vita Humani
Qeneri, Dal tutt' insieme
quindi si vede
come il suo Primo
Vero metafisico non
sia nient' affatto
una vuotaggine, un’entità formale e
puramente astratta. È la sua
luce metafieica^ non
già indeterminata, anzi determinata
mediante sé stessa;
determinata mediante il processo
eduttlTO. È il
risultato estremo del
Noùc attuale e Veniamo
al vivente rappresentante del
Neoplatonismo in ITALIA. L'illustre ROVERE ha
visto la necessità d'imprimere novella
forma e rigor
logico alla dot- trina platonica della
conoscenza, modificando la
teorica di GIOBERTI, e correggendo
quella del Rosmim'.
A spiegare perciò l'elemento
universale del pensiero
ei si raccomanda alla
solita àncora di
salvezza, l'Intuito del l'Assoluto, ma
con l’interposmone delle
idee; le quali
per lui somiglierebbero quasi
ad altrettanti spiragli
ond'alla mente lampeggia la
Divinità. Tutto ciò,
del resto, non toglie
eh' egli abbia
da ammettere doppio
ordin di conoscenze,
percezioni e intellezioni,
assai diverse fra
loro e pur fra
loro collegate per
via di rappresentansia. Ma non
potendo intrattenerci a
riassumer le ragioni
sopra cui si regge
cotal dottrina, ci
ristringiamo a far
poche osservazioni
guardandola segnatamente sotto
l'aspetto psicologico. Due ne
sembrano i difetti
principali: l’nvocare
l'intuito dell'Assoluto nello
spiegar l'elemento
universale della conoscenza;
2** non dimostrare
per che mai ragioni
l' ordine delle percezioni
abbia a rispondere a
quello delle intellezioni. Se ne
l'intellezione, come vuole
il Mamiani, può rampollare in
modo alcuno dalla
percezione, uè questa ci
ha che vedere
con quella tuttoché
entrambe devano esser congiunte
in armonia; la
dottrina psicologica del rifleASo;
epilogo della scienza
psicolo^^ica, e però
Defìnwione e Principio della Metafisica.
Or la luce
in quant’è oggetto
del Noù; potenziale
no! la dicemmo metafitioa
perchè, quantunque superiore
al sensOf è
nondi- meno po9ta da natura,
ò originaria, e
quindi essenzialmente obbiettiva. La conclusione
dunque parmi chiara:
Primo pticologico, Primo
logico' e Primo vero
metaJUioo non sono
tre entità ruote
e formali, giuochetti d'astrazione, indovinelli
da algthritiij come
direbbe lo stesso
Vico, ma sono tre
anelli d’una medesima
catena, tre momenti
dinamici d* una medesima
energia essenzialmente obbiettiva.
Questa (per concludere
contro i Neoplatonici ontologisti)
parmi V interpretazione più
acconcia del rap- portoche
il filosofo di
Napoli pone fra
il /Vìnto logico
e’1 Primo vero metafisico, e
quindi fra l’ordine
logico e l’ordine
ontologico. Ogn' altra non riescirebbe
a salvarlo dalle
contraddizioni col proprio
metodo, e tanto meno
poi dalle incongruenze
con la ragion
filosofica positiva.
Pesarese parrebbe, come
ad altri è
parsa, una specie d'alcliimia. Per
quanto diverse, le
percezioni e le
intelle- zioni hann'a
convergere si da
appuntarsi quasi due
raggi in un centro
comune, cKè V unità
sostaiìzUàe dello spirito. Or
non è questo
precisamente ciò che
da ventidue se- coli va
chiedendo il pensiero
filosofico: come mai,
cioè, se diverse, elle
compongono fra loro
unità? Abbiamo un intùito
di qua, e
un intùito di
là: la percezione che av-
vertendo un termine estriìiseco
lo apprende siccome
forza, e la visione,
l'intùito ideale^ che
con T interposizione delle idee
coglie l'Assoluto. Non
siamo già in
una for- ma di dualismo
psicologico che fu
ed è sempre
la pie- tra d^nciampo d'ogni
fatta platonici? Non
abbiamo qui sott' occhio
Y etemo e
gravissimo difetto del
Neo- platonismo, la mancanza di
processo? Oltre l’alchimia (col
dovuto rispetto al
grand' uomo) qui
veggiamo una macchina a
doppio retaggio: senso
e concetti, esperienza e
luce divina, fatti
e Assoluto splendente cui lo
spirito inerisce con
marginale adesione, e
per via di contatto
spiìituale. Chi fa
tutto ciò? Come
avviene tutto ciò? L'illustre
di Pesaro ci
dice e ripete
a sazietà, che fra
l'ordine delle intellezioni
e quello delle percezioni ci
ha corrdaeione ordinata
e continua, ri- spondenza puntualissima^ squisitissima
armonia. E sta bene
: chi non
è scettico sistematico
non penerà gran fatto
a riconoscere e
sentire cotesta e
ben altre armonie. Ma
quel che ignoriamo,
e pur vorremmo
sapere, è appunto il
motivo di cotesta
squisita rispondenza. Or questo
motivo, non ci
è, o almeno
è impresa non
molto agevole rinvenirla nelle
Confessioni d*un metafisico
Perocché s'io ho da
coglier l'Assoluto mercè
l'idee, o, meglio, se
è l’Assoluto quegli
che ha da
comunicarmele Mamiaki, Con/ftioni
d'un mttaJUieOf Idem,
eo: € come avvenga
che ad una
data pereenone rieponda
una daUx idea?
non già graziosamente, anzi
inevitabilmente, quale ne sarà
la conseguenza? Sarà
che la ragione
onde questa 0 cotesta
percezione ha da
rispondere a quella
o quel- l'altra intellezione,
in altro non si potrà
occultare fuorché in un
vieto occasionalismo, od
in una vieta
e grossolana armonia prestabilita.
Non v'è scampo. No'
parecchi cangiamenti cai
è andata sogrgetta
la mente del
Ma- miani, sol una
dottrina è rimasta
immutata nelle sue
scrìttnre, e della quale
ei si loda
più d* una
volta. È la
dottrina su la
percezione, che il nostro
egregio amico prof.
Ferri dichiara bellissima.
Bellissima sarà: ma è
altrettanto salda? Forse
che Ano SERBATI con r acuta
lama della sua
crìtica non la
ridusse a polvere
nel suo Rinnovamento f Intendiamoci
bene. La percezione
del Mamiani non è senso,
e nemmanco, a dir
proprio, giudizio. Che
cos*ò dunque? È e im
intuire V atto involto
nella 8en9axione die
congiugne in uno
due termini^ oggetto eentiio e
avvertito come fortOy
e soggetto tentenìe.
» {Oonfeasionif ; Meditazioni
Carte»). Or bene,
che è egli
mai co- testo intuire? Quar
è la natura
intima di quest'atto?
È difficile averne risposta
ben determinata. L'animn,
dice il Mamiani
più d*una volta, è
dotata d^una veduta
it^eriore di ti
medeaimaj e questa
interior veduta è quasi
occhio mentalcf pupilla
spirituale, anteriore al
fatto della percezione. Che
cos* è, di
grazia, cotest oeeAio, cotesta
pupilla, cotesta veduta interiore
f È forse
un giudizio? No,
risponde: che alla funziono giudicativa
devq andare innanzi
la percezione. {Confeenoni).
Che cos*ò dunque?
Per quanto altri
voglia andar ri- cercando no' copiosi
volumi di questo
Neoplatonico, mai non
gli verrà fatto ripescarne
risposta. Ora a
noi pare che tal veduta
interiore di si altro
non possa essere
tranne che un
ritorcersi, un geminarsi
primitivo, e perciò un
insieme d'oggetto e
di soggetto, una
triplicità iniziale, uu giudizio.
Sarà giudizio sui
generis; sarà giudino
fcUto stnxa riflessione come direbbe
il Vico; ma,
in sostanza, ò
giudizio. Se dunque
è tale, non importa
un oggetto? Or
quale sarà l'oggetto
dell' infmor veduta, cioò
la luce di queir
occhio, dì quella
pupilla t V
Ente possibile no,
certo: e il Mamiani
con dialettica stringente
e per quattro
differenti capi s' accinge a
far minare dalle
fondamenta la teorica
rosminiana, e in
parte vi riesce. Che
cosa dunque sarà?
A quel che
ne pare, neanche qui
egli risponde. E,
checché possa dirne,
certa cosa è
che so l'anima è
davvero dotata d'una
interna veduta (la
quale perciò è
logi- camente anteriore alla percezione),
a spiegar questa
non si può
prescin- dere da quella. Se
la cosa infatti
non procedesse così,
in che maniera la
percezione verrebbe capace
di trascendere i
limiti del puro
sensato ? Brevemente: l' Io
non percepisce, V
Io non avverte
un termine esteriore siccome /orsa, senza
eh' e' /)ereept«ca e avverta
so medesimo. Or che
cos' ò
il percepire sé
stesso, tranne che
un atto giudicativo
? Dunque anteriormente al
fatto della percezione
(com' ei la
intende), ci ha da
Se non
che, la più
fresca novità delle
Confessioni è r intuizione
dell'Assoluto ; quindi
la invitta prova che
ne scende, secondo
ROVERE (si veda) Mamiani, su l'esistenza
di Dio ; quindi
la salda costituzione
a priori della
Meta- fisica. Innanzi tutto: se
cotesta intuizione non
è altro fuorché una
semplice contiguità, un'
adesion marginale del pensiero
con l'Assoluto, non è chi
in essa non
sap- pia ravvisare quel toccamento
spirituale de* Yecchi
Neo- platonici, dottrina
rinverdita, quindici anni
avanti '1 Pe- sarese, dall'illustre neoplatonico
Pomari. Vero è che
la sentenza la
quale a tal
proposito risulterebbe dal- l'insieme delle
sue dottrine potrebb' esser questa:
che il suo intùito
non sia già
un atto originario,
potenziale, essenziale,
bensì tutt' un ordine d' intuizioni
per quante potrann' esser le
idee attraverso alle
quali avvien che traspaia
l' Assoluto. Or s' egli
è così (né
sappiamo dir davvero s' e'
sia così), perché
aflFermare più d'una
volta, esser necessaria, inevitabile
uxìl intuizione perenne
e immediata délV Etite
sortitaci da natura
e dalla essenza
dd nostro spirito? *
Se l' intuizione dell'Assoluto
é un atto essenziale, come
potrebbe non esser
primitivo? E s' egli é
primitivo, non è
a reputarsi anteriore
logicamente alla percezione? In
sostanza, se l’Assoluto é
quegli che ^presenta al
pensiero, e' s'ha
a mostrare fino
dal primo atto della
mente; la quale
perciò sarà mente,
sarà pen- essere qualcos'altro
che ne sìa la vital
condizione. Evidentemente r acuta
pupilla speculativa del
Pesarese non s’è
profondata nolla na- tura di
siffatta condizione. E
puro con quest*
alchimia e' non
dubita cre- dere d* avere
una buona volta
composto in armonia
1* antica lotta
fra Platonismo ed Aristotelismo
! ' ROVERE dice : «
balena con evidenza
V intuito cT
una poeitiva, immota ed
universale realtà^,, indeterminata
e inqualiJiiMta e
perciò oeeura e non
deecrivibile, > {Meditaz,
Carte».) Non è
egli cotesto V
ohbiette intelligibile colto
dall* intùito, nulla
interpoeita creatura, di che
parlano, per esempio,
i seguaci di
sant* Agostino, e,
fra questi, il
For- narì? (Ved. VelV
Armonia Univ.). Meditai, Cartee, Questa sentenza,
come ò chiaro,
è in aperta contraddizione con
quell'altra onde il
Mamiani afferma e ri-
pete, nulla non v'esser
nolla sua dottrina
d'innato, nulla di
primitivo. Vedi Riep, al
eig, dott, Akt»,
Brentazzoli, Bologna] siero, solo
in grazia di chi le
sta dinanzi. Ora
se il yero, metafisico o
no che sia,
non è fatto
dalla mente, ma da
essa ricevuto, evidentemente
il Neoplatonismo di ROVERE viene a
contraddire alla dottrina
psicologica del Vico, rompe
contro alle severe
obbiezioni mosse al
Gio- berti, e massimamente soggiace
a quella grave
difficoltà che Aristotele oppose
al suo gran
maestro circa la
inu* tilità deir esperienza
e de' fatti
e delle percezioni,
posto che il vero
e l'universale, in che risiede
propriamente la scienza, debba
ne' suoi principii derivarci
dall'alto e dal di
fuori, meglio che
dal didentro/ Se non
che, ingegno elegantissimo
e ricco di
vena poe- tica, questo filosofo
spesso indovina. Talora
infatti sem- bra non esser
l'Assoluto quegli che
determina e significa se
medesimo nelle idee;
bensì la mente
stessa la quale, generando cotesto
idee, determina idealmente,
esprime e significa l' Assoluto :
tanto che non
sarebbe altrimenti lo splendor
divino che penetrando
quasi attraverso gli esilissimi spiragli
delle idee ne
promoverebbe l'intùito, ma la
stessa virtù riflessa
ne verrebbe argomentando r esistenza
e la natura
per necessità eduttiva. Ora
solo * AbisTm M«iaph.y
Mamianì potrebbe dire:
il mio intiiito sta
in ciò, che
ogn* idea, avendo
a significare per
propria natura un
obbietto, debba importare un'
enistenza etema, ed
una $peciaU determinazione ddVente aMolìtto e
infinito. Accettiamo anche questa
posizione. Che cosa
ne Terrà? Poiché gli
obbietti tignijiecuiei dallo
idee non potranno
esser altro salvo cho
determinazioni ad intra
o determinazioni ad
extra del- r assoluto,
sorge la necessità
di spiegare se
1* intuito s*
appunterà verso le une,
meglio che verso
le altre. Stando
alla dottrina della
maboinalb ADS8I0NR e del
toecawtento epirituale, V
intuito, non essendo
un atto pene- trativo, coglierebbe le
seconde anzi che
le prime: e
quindi, innanzi ogni altra
determinazione dell* assoluto,
dovrebbe afferrar quella
dell* atto creativo. Or
se questo è
vero, parmi evidente
come la dottrina
del Mamiani su la
conoscenza non si
discosti neppur d*un
apice, quanValla sostanza, dalla
dottrina di Gioberti,
il quale non
ha mai preteso che il
suo intùito abbia
da essere un
atto penetrativo. Ma il termine
esterno, il sensato (egli
dirà) si ha
per via di percenone,
Ad un
acuto Qio- bortiano qui
non tornerebbe guari
difAcile cogliere l’autore delle
Oon- fe99ioni in aperta
contradizione con so
medesimo. Nelle Con/e99Ìoni è
sempre T Assoluto
quegli che s'affaccia
ed eccita e promovo
lo spirito al
pensiero, e solo
in qualche luogo
(per per cotesta via
egli avrebbe potuto
correggere il Gioberti, e
riconoscere insieme la
parte di vero
che è pur
nelle dottrine Rosminiane. Solo
per cotesta via
avrebb'egli inverato il Platonismo,
e dischiuso fra
noi un periodo novello di
speculazione feconda, razionale,
positiva e, che più
rileva, conseguente alla
storia della scienza. E
solo per cotesta
via non sarebbe
incappato nella in- coerenza di porre
l'assoluto come uiroOt^tc, e
in un'ora medesima dichiararlo
oggetto d'intùito. Perocché
se con l'analisi delle
idee ci è
dato risalire per
logica neces- sità fino a
cotesta uttotsjc;, a
me pare che
una dottrina psicologica 0
ideologica, la quale
invochi '1 sussidio
d'un intuito, sia un
fuor d'opera addirittura.
Con ciò stesso avrebbe corretto il valor
rappresentativo delle idee, eh'
è r altra
originalità cui pretende
il Neoplatonismo di ROVERE. Quale
attinenza è mai
fra l'idea e
l'ideato? Non quella di
somiglianza come han
creduto balorda- mente i Malebranchiani, egli
risponde; ma si
quella d'una vera e
propria significazione. Eccolo
dunque anche qui, senza
addarsene, alla famigerata
wa/jo^ix platonica tanto invocata
da Gioberti nella
sua prima maniera
di filosofare. Nel che il Pesarese,
anziché progredire, è ri-
masto molto indietro all'
autore della Protólogia
nella quale, com' é
noto, il concetto
della piOiSi; rivelasi
im- prontato d'una forma novella,
e, fino a
certo segno, origi- nale. Ma lasciando
stare del regresso
e dello scadimento notevolissimo che
nella specuhizione italiana
ci segnano le Confessioni
d' un metafisico ove
si ponga a
riscontro lo dottrine del ROVERE
(si veda) Mamiani coll’ultima forma
cui s' era levato
r ingegno potentissimo
del Gioberti, è
bene qui accennare un'ultima
osservazione su l' attinenza
che il pesarese pone
fra le intellezioni
e il loro
obbietto) fa trasparire
la nuora tendenza
cni allo- diamo. Ma
noU* opuscolo dì
risposta ni BONATELLI (si veda) (Bologna) questa tendenza è pid chiara, tuttoché
manifestata foggevolmente e forse
Inconsapevolmente. Dico inconsapevolmente perchè
nelle Meditazioni rinnovate e*
ricasca nella solita
presenaialità, nella tolita
marginale ndenone^ come ci
attestano le sentenze
qna dietro riferite. Le
idee importano il divino, egli
dice; poiché non sono
fuorché altrettanti simboli,
altrettante significa- zioni
dell' Assoluto. Se
questo è vero
ne segue che,
in quanto simboli e
segni, elle non
avran valore infino
a che cotesti simboli
non siano intesi
e interpretati. Macome
la mente potrà
giugnere ad intendere
e inter- pretare siffatti segni?
Mercé l'ordine delle
percezioni. Or bene, se l'
idea non
basta a significar
sé medesima né a
farsi intendere da sé, evidentemente
per noi ell'é come
un chiaror confuso,
vago, indeterminato,
insignificante, e quindi
al tutto inutile
alla scienza. D' altra parte,
se l' ordin delle
percezioni é di
sua na- tura cosiffattamente limitato
da essere incapace
a darci r universale,
non potrà non
riescire anch' egli
d'ingom- bro inutile alla mente.
Si dirà di
poter superare il
fenomeno e attinger la
scienza mercé il
connubio dell'or- dine
percettivo con l'intellettivo? Questo
é per l'appuntò ciò
che pretende il
Mamiani. Ma, se
eoa fosse, non
ved- remmo ad assomigliare il
regno della scienza
e delle idee a
quello di natura
e delle fisiche
efficienze, ove se a
due cavalli non
vien fatto di
tirarsi dietro un
carro vi potranno benissimo
riescir quattro? Mamiani
afferma non dimostra la
platonica 7ra/)0Tc«: afferma,
non dimostra la platonica
xotvwvèa. E per
tutta dimostrazione ci
annuns^ia che l'idea
é significativa, perché?
perché havvi un obbietto
nel quale debb'
ella necessariamente termi- nare.Or in che modo
legittima egli cotesto
obbietto? Lo legittima, come
s' é visto,
dichiarandolo presente^ po- nendolo presente! Questo
é proprio il
nocciolo magagnato del Neoplatonismo. La
preserunalUà dell'Assoluto è un'ipotesi,
un'affermazione arbitraria: ecco
tutto.Corte dottrine di ROVERE
ci ricacciano addirittura
fra i Plotino, i
Proclo e gli
Ammonio, appo cai
facilmente troverebbe riscontro
il sno concetto del Bene.
E chi pigliasse
poi a rovistare
attentamente nelle antiche scuole,
per esempio nel
vecchio e anonimo
autore della Teologia (Rayaibson), potrebbe
ritrovar più che
un germe della dottrina
sn \*influxu$ divintu
che neir Arabismo
e anche nella
Sco- [Concludiamo. Noi abbiam
dovuto fare una
critica rapidissima del Neoplatonismo
italiano considerandolo
segnatamente sotto l'aspetto
psicologico, perchè i tre
filosofi di cui
abbiamo toccato ci
rappresentano le posi- zioni più serie,
le forme principali
ond'il Platonismo crede attinger
l'obbietto metafisico. Rosmini
è il meno dommatico, il
meno arbitrario, il
piii positivo e
quindi il meno platonico
fra tutt' i
platonici. Egli pecca
nel porre l' essere della
mente come ideale;
e lo sbaglio
di siffatta posizione vale
a spiegarci le
contraddizioni in cui spesso
ha inciampato nella
psicologia, nonché le
gravi manchevolezze nel suo
disegno ontologico su
le tre forme dell'
Essere. Assai piii di
SERBATI pecca GIOBERTI nella dottrina
psicologica affermando l'essere
come reale e, che
più monta, come
recde determinato. Non
meno di GIOBERTI e di
SERBATI pecca ROVERE ponendo cotesto
reale come infinito
in se, e
come presente al
pen- siero mercè l'
interposizione delle idee.
Si direbbe dunque che
il Neoplatonismo italiano,
in questi tre
filosofi, abbia progredito su la via dell' a
priorismo e dell'
iperpsico- logismo. Essi han
dato tre passi,
ma indietreggiando sempre più;
perchè con l'esagerare
l'esigenza platonica han trascurato
l' esigenza aristotelica, tuttoché
ciascun d' essi abbia
creduto d' aver impresso
oggimai un accordo definitivo fra'
sistemi de' due
vecchi filosofi. L'ultimo segnatamente, il
Mamiani, mostra d'aver
progredito assai più di SERBATI e di GIOBERTI in questa
via. Sotto certi rispetti,
infatti, il Neoplatonismo
del Pesarese par che
confini col Teologismo:
talora anzi vi si confonde, chiunque ripensi
a quelle cinque
differenti maniere (oltre la
sesta della comunione
ideale ond' abbiamo parlato) mercè cui
egli stima debbansi
attuare gV influssi
divini. E Dio che
crea l' anima, e
la fa esistere.
Ma è anche
Dio che le fa
intendere presentandosi a
lei attraverso le
idee. È Dio che
le fa ammirare
il bello, e
incarnarlo. È Dio
che lastica tien luogo
del processut.Vedi lo
stesso Rayaisson. Vachebot, Hi8t,
critique de VÉcole
d'^Alexandrie, T. II,
iv.) le fa operare
il bene e
la virtù. Che
più altro? È
Dio per- fino che, disponendola
ineffabilmente, la eccita,
la trae all'adorazione. È
proprio il regno
di Dio su
questa nostra terra 1
E Y illustre
Mamiani potrebbe oggi
ripetere le pietose e
calde parole del
Malebranche: 0 Dieu! exaucez ma
prière, après que
vous Vaurez formée
en mai! Capitolo Ottavo, continua lo
stesso argomento. {Critica del
NeoarigtoteUsmo), Notammo
come il principio
del conoscere metafisico immediato ponga
radice, per dirla
con le parole
di He- gel, nel rapporto
d' un nesso primitivo
ed essenziale fra il
pensiero e T Assoluto,
fra il soggetto
e T oggetto/
Àb- biam visto come
il Neoplatonismo italiano
moderno propugni questa connessione
sotto tre forme
più o manco razionali; e
come abbia quindi
a tornare assai
difficile al Rosmini, e
molto più al
Gioberti e al
Mamiani, li potersi difender
dair accusa di
panteismo ideale. Gli estremi
si toccano anche
qui. Con la
teorica dell' intuizione e
deir immediatezza i
nostri Neoplatonici riescono, checché se
ne dica, a'
risultati cui perviene
la dottrina della mediazimie
propugnata dagli altri
nostri viventi filosofi, seguaci
caldissimi dell'Idealismo germanico. Dicemmo qual
sia la doppia
esigenza onde il
Neo-platonismo si divaria dal
Neo-aristotelismo quant'al conoscere metafisico. Per la
natura istessa di questa
doppia esigenza avviene
che, come nel
primo, cosi pure nel
secondo indirizzo sono
possibili più forme, più
maniere, più metodi,
sia che si
tolga di mira
il modo con che
si crede poter
attinger l'assoluto, sia che
il risultato ultimo
a cui si
potrà giugnere. Non «
Hegel, Log. volendo tener
conto di quella
vieta e volgar
maniera di mediatezza che,
quantunque sotto aspetti
differenti, fa sempre un
salto mortale quando
presuma levarsi dall'effetto alla
causa e dal
dato alla condizione
del dato; possiamo ridurre
a due le
forme più generali
e comprensive di tal
mediazione. Esse, al
solito, risal- gono a que'
due estremi in
che dicemmo sdoppiarsi r
Aristotelismo: perchè anche
nella quistione metafisica il
primo di cotest'
indirizzi ci è
oggi rappresentato dal Positivismo e
dal Materialismo; l'uno affermando, nulla mai
non potersi conoscer
di metafisico, e
l'altro innalzando a dignità
d' assoluto la
stessa materia, senza legittimarne menomamente
il concetto. Il
secondo poi vuol essei^e
anch' egli avvisato sotto
doppio rispetto, potendo assumere
due forme che,
per due differenti ragioni, rivestano
entrambe carattere iperpsicologico. Si può
infatti mantener la
posizione d' un.
immediato irradiamento per virtù
d'un principio superiore,
gene- rale e comune e s'
ha uq
indirizzo averroistico; il
quale, benché storicamente sìa
come un virgulto
sbocciato nel giardino dell'Aristotelismo, può
siffattamente svolgersi e grandeggiare, come
nel fatto è
avvenuto, da toccarsi
e talora confondersi col
Neoplatonismo. Ma, d'altra
parte, può assumere forma
squisita di scienza,
e s' ha, come ne'
tempi moderni, una
delle tre maniere
dell'Idealismo germanico
appellate subbiettiva, obbiettiva,
assoluta. Sennonché è da notare come
fra tutt'i sistemi quello dell'assoluta identità
serbi '1 distintivo
d'esser natura- lismo e ipei-psicologismo insieme,
e racchiudere, co'
molti pregi, i moltissimi
difetti dell'uno e
dell'altro indirizzo. In metafisica
l'Hegeliano è iperpsicologista. Perocché quantunque non
attinga l' assoluto per
opera d' un in- tuito e
d'un'immediata visione più
o meno spiccatamente neoplatonica, dice
e crede mostrare
di poterlo cogliere quasi d'assalto,
come toccammo, cioè
per stibitanea ed assoluta
astraeione dd pensiero
puro. Dice e
crede mo- strare di poter
dedurre a tìl
di logica la dialettica che per
lui costituisce la
chiave di volta
d' ogni scibile e d' ogni
ordine di realtà..
Anch' egli dunque
trascende; e però anch' egli
vizia l'esigenza d'un
positivo e severo psicologismo. Ma,
oltreché iperpsicologista, l'Hegeliano è
anche naturalista. Checche
se ne dica,
la sua logica obbiettiva, la
dialettica intrinsecata e
compenetrata con la stessa
metafisica, non è
altro alla fin
delle fini che imitazione e
ripetizione della stessa
natura, delle stesse leggi
di natura, tuttoché
ridotte al grado
più univer- sale e squisito
di trasparenza ideale,
pura, assoluta, per cui
la forma costituisce
lo stesso contenuto,
e viceversa. Il perché
se l'Idealismo assoluto,
come altrove notammo, è
stato detto con
felice espressione esser l’àlgebra dd naturalisino, con
altrettanta verità può
dirsi essere un' algebra
della psicologia, del
pensiero e delle
idee ; tanto che
ci sarà lecito
designar come indovinello
d'alge- bristi (direbbe Vico)
quell'assoluto che gli
Hegeliani con miracolo non
mai visto fanno
venir fuora dalle
neb- biose alture della dialettica.
Possiamo dunque affermare che
Positivisti e Idealisti
assoluti oggi rappresentino
gli estremi indirizzi dell'
Aristotelismo. E queste
due forme neoaristoteliche, tuttoché
fra Joro si
differenzino toto cedo nel
metodo e nel
concetto della scienza,
nuUameno si toccano ne'
risultati, massime in
quello risguardante il valore
e '1 destino
dell' umana personalità.* * Chi
tien conto della
necessità d* ìndole
tutta fisiologica ed
empi- rica secondochò è intesa
da' positivisti e
da* niaterìalisti, e
della necessità tntta dialettica
ideale assoluta com'è
concepita dagli Hegeliani,
tosto 8* accorgerà d' un*
altr’ attinenza fra queste
due tendenze della
moderna speculazione. Il dinamismo
noli* essere, nelle
cose, nella scienza
e nella storia, sparisce
cosi per 1*
una come pet
1* altra dottrina.
Meccanismo ideale, come dicemmo,
e meccanismo fisiologico
e materiale: necessità logica e
formale, e necessità
empirica e meccanica;
ecco tutto. Oggi dunque
potremmo affermare dell'una
e dell'altra scuola
ciò che Aristo- tele diceva de' pittagorìci e de'
platonici: 'A).Xa yiyovi
roì fiscBri- fixrcx. To?c
vvv >j ^tXoao^ia
{Metaph.) Cosi Hegeliani
e Positivisti, come avvertimmo
nella Introduxione, tuttoché
movano da due
punti Uh loro interamente
diversi ed opposti,
riescono pur nullamanco
fid una me- desima legge. E come al
Platonismo primitivo tenne
dietro la scuola
di Rifacciamoci da'
Positivisti, i quali,
ove discoiTono intorno al
problema del conoscere
metafisico, non mo- strano quella serietà
scientifica della quale
non pertanto vanno lodati
quando parlano de'
principi! metodici da ap-
plicarsi alle scienze. Quant'
al problema d'una
realtà metafisica e' non sofirono
d'esser messi in
un fascio con gli
scettici sistematici e
co' nullisti ;
e, davvero, non
han torto. I Positivisti infatti
ci parlano d'
un Inconoscibile. Dunque essi
confessano V esistenza
d' un obbietto trascendente. Ma come
legittimano cotest' obbietto? Come
ne determinano l'idea tosto
che ne parlano?
I Positivisti francesi ne
discorrono, ci piace
ripetere anche qui la
frase, come d' un
oceano immenso doni
la daire vision est
amsi salutaire que
formidable.* I Positivisti
inglesi poi ci porgono
un concetto più
determinato di cotesto Deus
àbsconditus, àicenàoìo potenza,
forzc^ di cui
V uni- verso è simbolo
e manifestazione} Il positivista
francese qui, com'
è evidente, s' addi- mostra pili positivo,
0 meglio, più
negativo dell'inglese, e quindi
più timido, più
circospetto, più scettico
di di Speusippu cbe
radiò addirittara il
numero ideale (yortroc,
sc^yjtcxo;) sostitueodoTì il nunioro
sensibile appunto perchè
queir idea come
astratta e generale parevale
cosa inutile (Arist.
Metaph,, Rataibbon, i!^>eu- 9ippe); parimente
oggi Positivisti e
Materialisti, in luogo
dell* /iea, pon- gono' II Fatto
e la Materia;
e cosi mentre
negano V Idealismo
assoluto, mostrano d'arer con
osso doppia ed
intima relazione, una
storica e l'altra teoretica. La
storia del pensiero
filosofico progredisce, non
v'ha dubbio: ma anche
nel progredire si
ripete. Ecco qua
-una prova, chi
vuol vederla. E.
LiTTBi, A, Comte
et la Phil.
Poeit. Per quanto negativo, nullameno
questo concetto del
Littré su V
Assoluto è una
cor- rezione deir idea del
Orand' Eetere intorno
alla quale con
tanta vuotag- gine avea finito
per arzigogolare Comte. Spencer, Firft
Prìnci^ee^ Alcune idee
di questo scrittore su
V obbietto metafisico
superano quelle di
St. Hill. L’Autore del
Sietema di Logica
parla del soprannaturale, come
notammo in altro luogo,
da schietto formalista,
senza poterlo quindi
legittimare in altra guisa
che per empirica
credenza. (Ved. A,
Comte et Le
Potitivitme) La relatività del
eonoecere per lui
non è, a
dir proprio, quella
di Spencer, e neanche
quella de* Positivisti
francesi. Vedi il
novero eh* egli
stesso fa de’diversi modi
con che può
intendersi la relatività
della conoscenza nella PhiL
de Hamilton, ed.
cit. e. I. fronte
alla scienza :
ma le contraddizioni in
che restano entrambi avviluppati
son le medesime.
Anch' essi infatti, i
Positivisti, obbediscono e
rendono omaggio al bisogno
speculativo che punge
ed eccita continuo
il pensiero filosofico, stantgchè
non solo riconoscono
la realtà d' un oggetto
trascendente, ma lo
determinano, lo pon- gono, lo
specificano in qualche
modo. Che cos'è,
per esempio, l'Inconoscibile onde
ci parla l'illustre
Spencer? È il fondo
occulto delle religioni,
e insieme l'estremo termine a
cui riescono le
scienze. Le religioni pongono tale
obbietto per virtù
d'istinto: le scienze
lo subiscon per legge
del proprio svolgimento.
Tra fede e
ragione, perciò, non v'è
antagonismo: l'Inconoscibile n'è l'
obbietto comune. Conciliarle dunque è
possibile, tosto che s'abbia
diffinito le idee
madri onde scienze
e religioni sono inviluppate.
E poiché le
une in sostanza
Aon fanno che riconoscere
ciò che le
altre contengono ed
espli- cano istintivamente, ne segue
che lo spirito
umano' per mezzo della
scienza perviene là
ond' egli stesso
era partito con la
fede, cioè all'Inconoscibile. Il pensiero
del filosofo inglese
è chiaro e
spiccato, ma non altrettanto
vero. Innanzi tutto:
perchè le reli- gioni e
molto più le
scienze non potranno
pervenire a render conoscibile
in alcun modo
l' Inconoscibile di cui pur
confessate la realtà?
Forse che tale
impossibilità, ripetiamolo, non contraddice
apertamente all'attività
critica del vostro
pensiero speculativo, alla
stessa esi- genza del vostro
metodo critico e
positivo? Non dubi- tate affermarlo esistente
cotesto Inconoscibile. Giungete anzi
a determinarlo come
forza di cui l’universo è
manifestojsnone. Or bene
perchè non dare
un altro passo? Perchè
non ispecificar l'attinenza
eh' è tra l'Inconoscibile e '1
conoscibile? In altre
parole, domandiamo: col porre
i termini, non
siete già nella
necessità logica di mostrarci
in qualche maniera
la relazione di
essi, dirci quale attinenza
interceda per avventura
tra la forjsfa e
la sua manifestazione, quale
sia il vincolo
che annoda insieme la
potenza e l'universo
onde quella potenza è
simboleggiata? Brevemente: siete
qui in una forma
di panteismo, o di teismo?
Il Positivista non risponde;
e pur dovrebbe:
dovrebbe se davvero
amasse mostrarsi ed esser
positivo. Inoltre, l'Inconoscibile onde
move la fede,
e Fin- conoscibile cui
giugno la scienza,
dice lo Spencer, sono una cosa.
Ma perchè? Perchè
col prodotto confondere due facoltà
fra loro diverse?
L'Inconoscibile della fede incontra
un limite invalicabile
in questa o
cotesta intuizione
particolare in cui
l'Assoluto è compreso
dal sen- timento religioso appo
un dato popolo,
e presso una
data civiltà. L'
Inconoscibile delle scienze,
invece, è l' inconoscibile di ragione;
e, come tale,
non può restare
per- petuamente indeterminato,
pel solito motivo
che, ove rimanesse cosi
necessariamente, l' indagine positiva
annullerebbe sé stossa; e
annullerebbe sé stessa
perchè r esigenza critica
non sarebbe altrimenti
un' esigenza invitta, naturale,
un irresistibile e
crescente bisogno
speculativo. Ora se
il contenuto della
fede è condizio- nato ad una
forma speciale; se
per la natura
stessa della funzione psicologica
ond' ei rampolla
riman chiuso e quasi
cristallizzato nella particolarità
d'un senti- mento: perchè, domandiamo,
voler condannare alla medesima
sorte l’Inconoscibile delle scienze?
Perchè così inesorabilmente pretendere
di segnare i
confini alla ragione ponendo
limiti all' attività
del pensiero specu- lativo, eh' è pur la
forza più libera
dell'universo? Non è anch'
ella, cotesta, una
forma di dommatismo? '
11 PositiTÌsto dirà:
tosto che voi
pigliate a determinare
Vlitco- no9cihile, siete già
beli e uscito dalla
scienaa^ e cadrete
nella metafisica. verissimo: questo
accade, e questo
appunto deve accadere.
Altrove mo- strammo come ciascuna
scienza, come tutte
le scienze, riescano
inef- ftcaci nel tentare
la soluzione di
certi problemi, segnatamente
nel determinare il concetto dell’Assoluto. Il
Positivista che è
tutto scienza e solamente
scienza, da una
parte ha paura
della speculazione, mentre dall* altra
sente il bisogno
di determinare in
qualche modo cotesto assoluto, e
lo determina, per
esempio, alla maniera
di Spencer o del [Concludiamo quant'
a’ Positivisti. Il Positivismo
gallico rispetto al
conoscere metafisico ci
dà un Immenso indeterminato ; un Incondizionato reale,
il positivismo in- glese poi,
facendo un altro
passo, determina vie
più cotesta ignota realtà,
e giugne ad
affermare che le
forze, la materia, il
movimento, la vita
e l'universo non
siano fuorché simboli e
rappresentazioni.- Altre affermazioni d'altre maniere
di Positivismo che
pongano T assoluto senza penetrar
nel regno della
metafisica^ io non
cono- sco;ne, a dir
vero, sono possibili.* Littré con
offesa apertissima della
logica. Ora, chi
non voglia offendere non
pur la logica
ma neanche il
hnon senso, e
insieme salvarsi dalla contraddizione, dove
altro può penetrare,
uscendo dal regno
delle «ctetue, fuorché in
quello della tiietajUiea^
ma della metafìsica
intesa non già
come scienza/>rtma, anzi ultimaf
Determinare in qualche
modo la Potenza
di cui r universo
è manifestazione; specificaro
questo Immento formidàbile
e pvr •alutare oltre
cui non sa
penetrar rocchio dello
Scienze ma della
cai realtà nessuno che
abbia mente sana
potrà dubitare; cotesta
impresa, diciamo, non è né impossibile
nò puerile, altro
che per gli
animi volgari, incuranti e
stupidi. La relatività
nel conoscere non
ò muro di
bronzo; non è oceano
assolutamente sconftnato. Il conoscere
metafìsico è possibile;
ma ò possibile
come aesolato e
come relativo insiememente.
È a«- eolutOf nel
senso che salva
il pensiero dal
nullismo metafìsico; ed è relativoj
nel senso che
non istringe la
mente entro la
rigida catena d* una
formola sistematica. Se
intanto ò vero,
come dice Spencer, che
tra V In- conoscibile delle religioni
e V Inconoscibile delle
scienze non esiste
antago- nismOy no viene
che, fra gli
altri fini, la
speculazione metafisica debba
pre» figgersi anche questo:
trasformare la fede,
interpretar la credenza,
porre a nodo il
germe delFidea che
pure si s
voi ve attraverso
le produzioni mi- tiche, superare il
sentimento riducendo l'immaginazione a
ragione se- condochò richiede
il processo psicologico,
e siffattamente porgere
guarentigie sperimentali al- l'inveramento della
scienza mercè le
applicazioni storiche in
generale. In questa rapida
critica su la
tendenza metafisica del
Positivismo non abbiamo tenuto
conto dell' Umanismo
di FRANCHI, e del
suo Dio
ddV Umanità che
nega il Dio
detta Bibbia {Razionalismo
del popolo, Ginevra), e
neanche del Fatto
della vita, àeW
Istinto ài cui parla
FERRARI {Filosofia della
Hivol.), perchè non
ci paion con- cetti scrii, né
degni di critica
seria. Quando s' è
detto che il Dio Umanità^ che
la Vita della
storia con tutte
le sue leggi
non sono che due fatti i
quali perciò abbisognan
d'una spiegazione, s'è
detto tutto. Ora
a cotesta qualsiasi
spiegazione non sanno
e non vogliono
accostarsi questi due arditissimi
scrittori per paura
della metafisica; e
però non sono positivisti, L' uno
è critico, non
Criticista, com' egli
pretenderebbe giac- Or bene,
la filosofia positiva,
la speculazione razio- nalmente positiva, accetta,
deve accettar l' una
e V altra posizione de'
Positivisti inglesi e
francesi, perchè ci
rap- presentano entrambe uno sforzo
di metafisica, perchè sono
entrambe un preludio
alla metafisica. Se non che esse
sono una metafisica
incosciente, una metafisica
negativa, perchè sentono ma
non soddisfano l'esigenza speculativa. Come dunque soddisfare all'esigenza dav- vero positiva nella
speculazione trascendente? Eviden- temente bisognerà appagarla
superando il negativo, superando quel
sazievole non so,
quel non mi
preme sapere quel non si può sapere
che ad ogn'
istante e con incredibile noia
ci ripetono i Positivisti,
ma nel medesimo tempo restare
nel positivo. E
qual è il
positivo in metafisica? Lo
dicemmo già, e
lo ripetiamo: schivare gli
estremi; perocché il
nemico mortale della
positività metafisica son le
colonne d'Ercole del
tutto sapere, e del
nulla sapere metafisico. Se quindi
la vera filosofia positiva
ha da accettare
quel che il
Posi- tivismo ci dà e
nel medesimo tempo superarlo
in forza dello stesso
metodo positivo, deve
accogliere l' esistenza che il
crìticista, il vero
Kantiano affinchè sia
tale, dehb' esser
tutto d*un pezzo, dero
accettare anche i
sommi pronunziati della
Ragion Pratica, Ausonio dunque
è un puro
critico, un critico
sottile, è il
doctor mbtilissimwi de* dì
nostri, abile scaltri
mai a trovare
il pel neir
uovo neMibri altrui, ma
non così nel
dare una dottrina,
una teorica propria,
fosse pur la
teorica del giudizio. FERRARI
invece è
scettico sistematico
meravig^lioso nell’acca- tastare
erudizione come nel
distrugger sistemi, ma
nullista in metafisica al
pari d’Ausonio. Costoro
perciò son fuori
d’ogni forma di platonismo e d'ogni
forma d'Aristotelismo; e se ne
vantano; e se
ne gloriano: e si
sortano pure! Ma non sono
fuori della storia,
chi sappia che
cosa vo- glia dire storia
della scienza e
della filosofia. FRANCHI e FERRARI hanno esercitato fra
noi quella funzione,
parte benefica e
parte malefica, che
vie- ne esercitando lo scetticismo
in certi dati
periodi storici; funzione
al tutto negativa, ma
necessaria. Ma la storia
dovrebbe insegnar loro due
cose: che il
l)Ì80gno speculativo è
uu gran fatto,
e che la
possibiltà d' una metafisica positiva
non è un
sogno. A questi
critici e scettici,
di cui fra noi
oggi non è
penuria, opponiamo un
dilemma invincibile do) BERTINI
su la
possibilità di rintracciare
un principio metafisico.
(Ved. La\ FU, Greca
prima di Socrate,
esposiz, storico- critica)
d' un*
ignota realtà in quanto è Potenza e virtù
dell' universo, ma legittimarla.
Così il metodo
positivo, assumendo valor critico
e razionale, non
più sarà l'esagerazione d'uno de' due
estremi indirizzi dell'Aristotelismo, ne
contrad- dirà'altrimenti alla sua
posizione media, anzi
varrà a confermarla, ad
inverarla, ad esplicarla
sempre più.* L'opposto indirizzo
del Neoaristotelismo dicemmo esser
THegelianismo. L'Hegeliano
si oppone al
Neopla- tonico, perchè non accetta
veruna sorta d' immediatezza nel conoscere
metafisico. Si oppone
al Positivista e ad
ogni maniera d' empirismo,
perchè non può
accoglier la nozione d'
un assoluto portoci
dalla coscienza volgare, empirica o
dommatica ch'ella sia.
Qui egli ha
piena- mente ragione. Ma qual
è la sua
via? Qual è il suo metodo? Dov'egli
mira? L'abbiamo detto: l'Hegeliano riconosce l' assoluto,
ma lo riconosce
ponendolo, facen- dolo;e lo
legittima per necessità
tutta dialettica. Lo pone
e lo fa
non perchè ci
è, anzi perchè
ci ha da essere
; e per
ciò nessuno potrà
dire eh' e'
ci sia prima che
il pensiero s'accinga
a farlo. Di
qui una conclusione singolarissima: Tutto
ciò che esiste,
è anteriore a quello
per cui virtù
solamente egU è
possibile e reale!
Ma non anticipiamo. Che cos' è dunque
l'assoluto per i neo-
aristotelici iperpsicologisti? Là risposta
non è sì
facile per noi quant'
avrebbe da essere
per loro. L' Assoluto è
il Tutto: è l'
assoluta e immanente
relazione : è la
relazione della relazione:
lo Spirito.' * E
così pure ?a
in forno T affermazione del
Littbì: c qui
e»t mitapKyn- e»«n, iCe»tpa9
po9ÌiivÌ9U; qui ett
positiwtefn'ett pa$ métaphyiieien (Princip, de Phil.
Ponit. par A.
Comte, Préf. d^un
ditdple) Noa senza
ragione un nostro
acutissimo hegeliano (Dr
Mris, Dopo la r^aureOf
voi. I.) chiama
Hegel V ArÌ9ioule
moderno. Ma qual
ò proprio V Ari-
stotole rappresentato dal
filosofo di Stoccarda V
Ecco il punto!
U nostro valoroso e
carissimo professore, questo
Oariholdi deW Hegdianimno come
al- trove r abbiamo chiamato,
non ammette che un solo
Aristotele, il suo Aristotele! 'L'assoluto, dice
un fodol ripetitore
di Hegel, non
è questo o quello,
r identità o
la differenza, ma
il tutto nella
differenza e neil' unità tua, E il conoscere
assoluto poi sta
nel porre i
termini, nel mostrar Sennonché, in
cotest' assoluta relazione,
in cotesto centro eh' è
anche circonferenza, è
pur d'uopo cominciare. Da qual
parte rifarci? Qual
è il Primo?
Eccoci nel cuore dell' Hegelianismo: nella
più alta e
nascosa fortezza dove già da un
pezzo la breccia
è stata ajiertaper
opera degli stessi
tedeschi, massime dal Trendelenburg. All'assoluto,
essi dicono, si
perviene solo per medicunone. Ma»
cotesto lavoro di
mediazione, come s'inaugura e
perchè? A siffatto
processo va innanzi un
momento d' assóltUa e
subitanea astra- zione} Col subitaneo
astrarre il puro
pensiero pone. Che cosa?
Pone Vinse, l'Essere,
o meglio l'Indeter- minato. L'indeterminato non è soggetto
né oggetto; non è
pensante né pensato:
ma è qualcosa
oltre cui non si
può andare, e
senza cui nulla
non sarà mai
possibile, e mercè cui
tutto sarà attuabile
: l' idea assoluta,
l' etema nozione {der ewige
Begriff.y Ecco Vàbsólute
Prius, il Vero primo,
e però il
vero Fatto.* La prima
osservazione che qui
sorge spontanea è la
seguente. Cotesto Indeterminato
è cosiffatto, che
non si può nemmanco
pensare: perocché ove
accanto a lui
fosse come s* oppongano
fra loro, e
come e perchè,
opposti, si concilino.
(Vkba, Introd, alla Log.
di ffegel). ~ 1/
assoluto, dico un altro
Hegeliano, non è
Tldea, non la
Natura, non lo
Spirito, ma è
Vldea- Natura-t^rito; la rdoMÌone
dtlla relaztotie; VindifferenMa
differenxiata indifferentemente
(Spaventa, Le», di
FU.) Il vero
abeolute Priue è
1* atti- vità, il pensiero,
lo spirito: non
TEnte che come
puro essere è
Premp- poHo cominciamento ;
ma il Ponente,
vero Principio, che
ò lo Spirito.
FiL. di GIOBERTI. SPAVENTA ne
chiarisce il pensiero
cosi: Io mi levo aU^eeeere
per una riaoluMtone immediata f
per un'auoluta a$trazione.
{Le Categ. della Log,
di ffegd). Hrgbl,
Log, voi. I,
Jntrod. L* Indeterminato per SPAVENTA è
il È proprio
uno scherzo, un
indovinello da algebristi
! Dunque, mi si
chiederà, nel ^an
sistema è egli
ripudiato V elemento
della differenza? Tutt* altro.
611 Hegeliani anzi
in ogni lor
libro, in ciascuna lor
pagina s* affannano
a mostrare e
giustificar co* fatti
cotesta legge tanto necessaria
air organamento della
dialettica. Ma quanto
i Gesuiti non s’arrapinano
anch^essi a parlarci
di libertà di
pensiero e di
coscienza? K pure chi
non sa come
la libertà vera
per costoro sia
la schiavitù al Sillabo
e al Domma,
per cui la
ragione è libera
solo in quanto
è as- sorbita dalla fede?
Tal si è
il diverso per
gli Hegeliani: un
fuor d* opera. E*
ne parlan sempre,
ma alla fin
delle fini poi
si trovano ingoiati
nel- r identico. L'alterità
che scorge Hegel
nel suo pensierpuro
è (ripeto la sua
frase) ineffabile e
assolviamente vuota. Or
una differenza assoluta- mente vuota non
è forse indifferenza,
cioè non differenza,
identità, vuo- taggine
addirittura? E dato
ci sia cotesta
differenza, sarà ella
di na- tura metafisica, o
non piuttosto logica?
E una differenza
non metafisica, domanderò, sarà
ella vera differenza
o non più
veramente semplice di- stinzione? Ecco la
ragione per cui
l'Idealismo assoluto non
può riescire a dimostrare
l'oggettività della conoscenza,
e salvarsi dal
pretto forma- lismo ond' è
tutto magagnato. Che
se poi la
gran pretensione sta
nel volerci dare la
scienza assoluta, e 'sarebbe
d'uopo, ripeto, che
la logica, proprio come
logica, fosse la
metafisica; talché col
far l'una si fa-
rebbe anche l' altra,
e così potrebb'
esser risoluto l' arduo
problema del- l'
oggettività. Invece il più valoroso
de’nostri Hegeliani come
rispon- d'egli a questo
proposito? Se n'esce
pel rotto della
cuffia dicendo. Tale oggettività
non d un
problema logico: la
logica ami la
presuppone, (SPAVENTA) La
presuppone? Mi par
di sognare! Se dunque
è così, la
conseguenza chiara come
il sole, almeno
per noi im- barbogiti sempre più
nella vecchia logica
aristotelica, sarà questa: che
la logica, grande
o piccola che
sia, subbiettiva od
obbiettiva che si voglia,
non sarà e
mai non potrà
esser quella che
ci si vuol
dare ad intendere, la
chiave, cioè, del
grand' edlfizio, il
fondamento a priori
dell'enciclopedia, la vera
metafisica del conoscere.
Nò qui vale
invocar la Fenomenologia qual
propedeutica atta a
dimostrare 1’oggettività, come fa' lo
stesso Spaventa. Cotesta
invocazione anzi è
una ragione di
più per dichiarar la
logica degli hegeliani
una tela di
ragno. Perchè se
la Fenomonalogia ha
da esser la
propedeutica necessaria della
Logica, il pro- cesso a
priori e assoluto
nel costruire la
scienza diventerà una
parola [LIB. H. della
nuova loj^ica, s' è
provato a schiacciarlo.
Ci è rie- scito?
Un vizio magagna
tutta la logica
hegeliana, dice anch' egli; ed è
vizio d'origine, in
quanto che pone
ra- dice nelle viscere stesse
del momento astratto,
e pro- priamente nel concetto
dell'Indeterminato.
L'Indeterminato è un equivalente
comune dell' Essere
e del Non-essere, dell'Idea
e del pensiero,
dell'astratto e dell'ASTRAENTE. Di fatto,
che cosa mai
sono cotesto Essere e
cotesto Non-essere? Ei son cosa
indeterminata; ma non sono
lo stesso Indeterminato. Se
fossero, la difiFerenza tornerebbe davvero
impossibile (difetto radicale dell'Idealismo obbiettivo
dello Schelling), perchè
avrebbe a sgorgare dall'identità. Che se non
fossero la stessa cosa,
tornerebbe impossibile il
contrario, cioè l'identità. Essere e
Non-essere, dunque, sono
un medesimo, è vero,
ma solo in
quanto indeterminati, non
già in quanto indifferenti.
Essere e Nulla
sono lo stesso,
ma non come essere e Nulla.
Una prima osservazione
potrebb' esser questa. Se tra
r Essere e'1
Nulla havvi identità e
diiferenza; iden- Yuota di
senso, an a
priori che non
è a priori,
e perciò un*
ironia, come dlcovamo poco
fa. Ancora: se la
Logica in cotesto
processo a priori
ha da pretuppoire la Fenomenologia, ne
segrue che l’una di
queste due scienze non
potrà essere altro
che imitazione, ripetizione,
copia, copia anche ridotta
al grado supremo
di trasparenza ideale,
ma sempre copia deir altra; e
quindi s'intoppa nella
solita conseguenza, che
cioè la conge?natura dialettica
hegeliana, anziché una
metafisica, sarà un
pretto formalismo, un assoluto
soggettivismo. Che se
la Logica prewpponendo necessariamente la
Fenomenologia non può
non essere altro
che una copia trasparentissima di
questa, non sappiamo
dir davvero che
cosa gli Hegeliani avranno
da opporre al
metodo di certi
Teologisti i quali
pi- gliano a discorrere della
natura di Dio
appoggriandosi nelle leggi
psico- logiche, ricopiandole,
ripetendole e trasportando
così la psicologia
nella teologia. Del resto,
sul significato e
sul- fine e
sul valore della
Fenome- nitlogiat i seguaci
di Hegel, com*è
noto, navigano pur
troppo in opposte correnti neir
interpretar la mente
del maestro. È
d' nopo dunque
che innanzi tutto e s’accordino fra
loro e ci
sappian dire se
la Logica sia davvero
la scienza madre,
la scienza davvero
o priori, ovvero
abbia da presupporre qualcos'altro
dinanzi a sé. In
entrambe i casi
le difficoltà saranno insormontabili. * Spatbmta,
Le prime Categ,
ecc. loc. cit. tità
perchè entrambi indeterminaéi, e
differenza perchè entrambi indifferenti;
io domando: cotesto
indifferente non è già
di per sé
stesso un indeterminato, cioè
non differente, cioè non
determinato? Dìinqne Isl
differenza di cotesto indifferente
è una parola
com' un' altra; un pio desiderio:
perocché, ripetiamolo, se l'
indifferente è irrélativo, sarà per sé
stesso irrazionale, sarà
il nulla, sarà il
nulla addirittura: quel
nulla che, come
dice il Vico, non
può cominciar nulla,
e nulla terminare
: vuotaggi- ne, e voragginel
Ora piuttosto che
dirlo un absclide Prius cotesto
Indeterminato, non vuol
esser anzi ritenuto come
un vero capui
mortuum, incapace a
costituir la scienza perchè
incapace a far
cominciare il pensiero?" Sennonché il
Professore di Napoli,
nel corregger V
Hegelianismo, par che voglia
uccidere il verme
velenoso pro- cacciando
mostrare che il
diverso ponga radice
nel Nul- la, ma nel
Nulla inteso non
già com' essere purissimo, astrattissimo, scioperato,
bensì come astraente,
come NuHa-pensiero il quale,
perciò, non cessa
né può cessare d' esser pensiero.
Or bene, l' illustre
uomo così non
ri- solve, ma sposta la
grave difficoltà del
Trendelenburg. Egli riesce a
mettere un po' di
calcina alla breccia,
è vero; ma senz'
addarsene poi n'
apre un' altra
non meno fatale della
prima, perché l' intrusione
del diverso è
sempre lì duro a
chiedergli ragione di sé. Infatti,
s'egli considera l'Essere come
un in sé,
e considera come
un in se anch' il
Non-essere; non v'
è nessuna ragione
al mondo perchè non
abbia da riguardare
anche come un
in se il connubio
de' due termini.
Intanto che cosa
fa il dotto filosofo ?
Giusto nel momento
che s' hann' a
decider le sorti della logica obbiettiva,
giusto nell' istante
supremo * RÌ9p, al
Oiom, de* Leti.,
T, IL. Si dirà:
è indeterminato anche
il vostro intelli^bile,
la {«ce metafisica del vostro
filosofo. Verissimo, io
rispondo: ma tra
il nostro indeterminato e
quello degli Hegeliani
corre tanto divario,
quanto fra un oggetto
posto da natura,
e quello colto
d'oMatto; fra T
oggetto ori- ginario intuito, e
r oggetto afferrato
por risoluzione astrattiva.
Veggasi quel che s*ò discorso
nella sezione in cui
la logica dee
poter rivestire natura
e valore di metafisica, egli
cangia bruscamente posizione,
e invoca il pensiero,
invoca 1' astraente,
invoca l’astrazione, e cosi dileguatasi
a un tratto
V obbiettività, ci
fa divagare nel mondo
delle pure forme,
ed eccoci di
bel nuovo ricacciati e
ravviluppati per entro
alle fitte maglie
della tela di ragno!
Dunque (mi si
chiederà) a voler
pene- trare sul serio nel
regno metafisico, nel
mondo delle Menti e di Dio
con metodo razionalmente
positivo, chg cosa è
da fare? Il
da fare è
manifesto: bisognerà che il
connubio de' due
termini, cioè il
divenire, sia quel
medesimo che sono cotesti
suoi termini, dal
cui annoda- mento esso dee
pullulare. In altre
parole, bisogna eh' e'
sia da sé, che
sia per sé,
che sia mediante
se. Fa d' uopo,
in- somma, che r Essere
(ripetiamo volentieri la
bella frase del Trendelenburg) sia dialettico, ma
dialettico davvero, non da
burla; dialettico nel
verace significato della
paro- la, e quindi atto
a moversi da
sé medesimo, anche
senza il vostro pensare,
anche fuori del
vostro pensare. Cosi
gli Hegeliani potrebbero schivare
qualvogliasi intrusione; e così
(e solamente così)
potrebbero conseguir quella
che tanto essi desiderano,
la scienza assoluta.
Ma questo non ha
fatto Hegel; e
questo non ha
fatto Spaventa benché con
tanto acume siasi
adoperato a rammendar
lo strappo micidiale che
con abilità di
grande maestro ha
saputo operare il dottissimo
Trendelenburg nella logica
hegelia- na. E perciò il
sistema delF identità
assoluta è, e
resterà in perpetuo, come
é stato appellato
nella stessa Germa- nia, il monismo
del pensiero (monismi^
des Gedenkes). Abbiam detto
che l' impossibilità di
mostrare il prin- cipio della difierenza
nel regno della
logica fa sì che
il passaggio al mondo della
natura si manifesti
arbi- trario, illusorio, fallace.
L'idea logica, dice VERA,
è la
Idea cieca, l’Idea
senza coscienza né
pensiero, la nuda possibilità:
in somma é
l'Idea, ma non
l'Idea dell' Idea. In
cotesta imperfezione logica
sta proprio la ragione
del passaggio alla
natura, e quindi
la sua legge, e
la sua necessità.*
Dunque, in altre
parole, perchè r inderminato
è indeterminato, perciò
diventa determi- nato ; perchè
è possibile, perciò
diventa reale ;
perchè è privazione, perciò
h posizione. Eccoci alla
tt-ostc? aristo- telica. Ma dicemmo
che la privazione
non è negazione, non è vaga e
astratta indeterminatezza, non è pretta potenzialità, ma
energia, principio positivo,
e potenza feconda (to'
^uvarov). Or l’idea dell’Idea
di cui parla VERA,
è qualcosa d'assolutamente potenziale
e d'in- determinato; è una
possibilità logica, il
to' ev^e^opevov, non già
il tò ^uvktov,
e quindi, meglio
che principio po- sitivo, è
negazione d'ogni principio.
Come dunque prin- cipia e
fa principiare? Come passa
e fa passare?
In-, somma, com'è che
diventa?* * Hegel, Log.,
Introd. n divenirey
osserra il medesimo
traduttore, compie la
a/era dd- V E98ere
e del Non-esaerey
e forma ti
passaggio alla sfera
ptù concreta del- l' Idea,
dove per novelle
addizioni V Essere
e il Non-essere
diventanoy o meglio son
divenute qualità, quantità, essenza. (Log..) Ma come
fatte, da chi
Jhtte e perchè
fatte coteste novelle
addizioni? Data la sfera
dell* Essere, del
Non-essere e del
Divenire, si passa
tosto e necessa- riamente alla sfera
concreta del medesimo
e del diverso...
Ma come si
passa? Chi vi dà
il diritto d'affermare
cotal passaggio? Torniamo
a domandarlo: siamo qui
fra* contraddittori, ovvero
fra* contrari? Siamo
fra nn termine posto
ed un altro
opposto, o non
più veramente fra
il puro pensiero
e il soggetto determinatissimo e
vivente che dicesì
naturai Per quanto
si faccia, la sola
relazione logica e
la sola necessità
logica torneran sempre inefficaci, e
però Hegel (secondo
la severa critica
dello Stahl) non
giunge mai ad un
mondo reale. Egli
passa dal puro
pensiero alla Natura
perchè? Perchè l'uno dee
negare sé stesso
ponendo l'altro, l' opposto.
Ora il ca- rattere dell'opposto, della
Natura, non è
la realtà, la
sostanzialità, la causalità (attribuiti
già allo stesso
pensiero puro), ma
è la negazione
del- l'essere sostanziale, reale,
causale. Che cosa
dunque rimane alla
Natura? La semplice determinazione del
tempo e dello
spazio (Ved. Enciclop).
Or per qual
ragione si dovrà
ammettere che questa
natura estesa e temporanea
debba esistere attualmente,
che, cioè, sia
reale e non
semplicemente pensata come estesa
e temporanea, socondochè
ci accade ne' sogni? L'opposto
del pensiero puro
è la Natura
solo come tempora- nea ed estesa
: ma per
aver 1' opposizione
forse che non
basta pensarla come tale?
L^ Idealismo oggettivo di
Hegel (conclude lo
Stahl) non è meno
di quello soggettivo
di Fichte un
puro mondo di
sogni: Tunica differenza ì
che vi manca
ehi sogna, »
{FU. del Diritto. A.
quest' ultimo e severo
giudizio dello Stahl
ci piace qui
aggiungere quello d' un
altro Parlando dell'Idealismo
assoluto non possiamo dispensarci dall' accennar poche
cose, quant' occorre al nostro
proposito, sul suo
organamento generale, e
su le sue relazioni
storiche col Platonismo
e con V
Aristoteli- smo in generale. Gli
Hegeliani riconoscono che
il mondo si svolge
per una legge
interna anziché per un caso o
per necessità ineluttabile
e geometrica, come
pensano gli Spinozisti ne' tempi
moderni, e come
pensavano gli Epicurei in
antico. L' Hegelianismo racchiude
una grande idea; l'idea
del processo, che
vuol dh-e d'un
fine da conseguire con
pienezza di coscienza,
di libertà, di ra-
zionalità. L'Idealismo assoluto, quindi,
anziché cieco meccanismo e
fatalismo ineluttabile, parrebbe
un es- senziale e profondo
e universale dinamismo.
Ma eccoci al punto
1 Al di
là della natura,
ci si dice,
è l' Idea che
per ogni conto è
indeterminata e potenziale
: al di
qua poi ci é
lo Spirito, eh'
é l' Idea dell'
Idea. Ora abbiam
visto come la Natura
non si possa
movere per l' Idea,
perchè ninno potrà mai
dare quel che
non possiede. Tanto
meno poi si potrà
movere per lo
Spirito, perchè lo
Spirito vien posteriore alla
natura, e le
si sovrappone. Ck)me
dunque movesi cotesta Natura?
Per necessità logica.
E quale è il
fine, quale il
motivo ond'é spinta,
eccitata, illuminata? La razionalità.
Or non è
ella cotesta una
forma di fata- lismo cieco e
geometrico che, quant'
a' risultati, non
si di- varia né pur
d'un apice dallo Spinozismo? Qual
differen- aotoreTole
scrittore su* difetti
sostanziali deiridealismo assoluto.
« Non 9% pud
leggere Hegel tenxa
chieder9Ì ei ragioni
ttd terio. Spesso
cade ntl fatalismo y nella
personificazione, e, leggendolo,
par d* assistere
alla /or- matone d* una
mitologia, alla genesi
di un mondo
che somiglia qtuilo degli
Gnostici, in cui
avviene che le
idee piglino corpo,
marcino^ e subi- scano le piti
svariate vicende. (SoBRRERt
M^langes rf* Histoire
religieuse). A proposito
della Logica hegeliana
poi ci sembra
notevole questa sent-enza d*ano
che se ne
intende, e che
per il solito è
temperatissimo ne* suoi
giudizi: Higd n*a
pas renouveU la
seience, comme Venthow situme de
ses disciples Va
parfois prodanU; il
Va dénatwée, malgri
les avertissements de Kant,
et en la faisant la
premiare des seiences,
ou pour mieux dire
la seuU scienoe,
U Va tuée,
(I. Babthìlkmt Saikt-Hilaibie Logique d^Arisiote,
GL, Pré&ce.) za, infatti,
fra la necessità
dialettica e la
necessità mate- matica, fra lo
Stoico l’ Epicureo lo
Spinoziano e l’Idealista
assoluto fuorché la
coscienza, in quest'
ultimo, della razionalità, eh'
è dir la
coscienza e la
trasparente visione di cotesta
superiore, arcana, invincibile,
inelut- tabile necessità?^ Quanto
poi alle sue
relazioni storiche, notammo
già come r Hegelianismo
distinguasi da ogni
altro sistema per la«pretensione di
volerli tutti accordare
e tutti com- piere e
tutti inverare. E
poiché guardando al
modo generale onde si
suol determinare il
fondamento asso- luto delle cose,
tutte quante le
soluzioni metafisiche
possono esser rimenate
ai due indirizzi
del Platonismo e deir
Aristotelismo, così gV
Idealisti assoluti, con la
dottrina delia Idea
e quindi del
metodo dialettico, re- putano d'esser finalmente
pervenuti ad accordare
l'esi- [Nò Tale che
alcuni fra i
più intelligenti Hegeliani^
stimando dMnter- pretar meglio
la mente del
maestro, riguardino i
tre momenti del
processo assoluto, nonché i
tre termini del
gran sillogismo, come
in un sol
momeìUo^ cioè nella loro
immanenza, nell'attuale ed
assoluta relazione, vomire
nella immanenza àeWIdea della
Natura e dello
Spirito- dandoci così
a credere che cotesta
non è altrimenti
la metafisica della
Idea immobile e ir-
rigidita, e neanche della
Mente, e tanto
meno poi dell*
Ente, ma si la
metafisica Tera perchè
metafisica dello spirito. Con l’aggiugnere al
con- cetto del processo e del reale
divenire quello dell’immanenza, panni
che le difficoltà, anziché
scemare, crescano. Fra
que*tre momenti e
que*tre termini, infatti, una
relazione caueale è
ineyitabile, essendo verità
troppo antica ed altrettanto
irrepugnabile, che la
catua ì per
la tua e$9enta avanti V
effetto (Twv yàp
fiéd^v^ wv coriv
l5« xt etrj^oirov
xae' o/BOTfjOov, ocva^xacov givat
tÒ zrpórspoy airtov
t«5v /xct' auro. Arist.,
Metapk.). E questo
principio rlbadiscon oggi
per Tia speri- mentale tutte le
scienze naturali e
fisiche, mostrando ad
evidenza come la natura
fisica, nello svolgimento
cosmico, preceda alla
comparsa del regno vegetale,
il vegetale (secondo
alcuni) all'animale, e
air animale rumano. Come
dunque persistere a
farci erodere aW immanenza
del ter- nario f Come
scaldarsi tanto per
darci ad intendere
che V Idea
i insieme Natura e
Spirito- e che
la Natura è
insieme Idea e
Spirito f È
metafisica positiva cotesta? o
non più veramente
un abuso di
logica nonché un'in- giuria ai pronunziati
più sicuri della
moderna scienza di
natura? L'op- posizione più salda,
più seria, più
invitta all' Idealismo
assoluto la fanno oggi
le discipline sperimentali.
R pure gli
Hegeliani non se
ne accor- gono! Felicissimi loro! genza
metafisica dell' uno,
con quella dell'altro
sistema. Or è in
questo preteso accordo
eh' ei si
palesano iper-psicologisti per
doppio rispetto. Osservammo
come uno de' massimi
concetti dell' Aristotelismo
sia quello del moto;
fondamento e sintesi
di tutte le
categorie, ou xoivóv.
Metaph. TóSe yy.p
rt tÒ f^soóiievov
>? Si xcvyjaiC}
ov. Phys,, *
Twv a^à^ffwv Z"»
e) xévvjo'cc); oX>)
^%p ri zapi
fVT£(ai (TXSìpi?
ÒLV^p7)T0Lt. Melaph.y '
Tal è, per
esempio, il ciottissimo
Felice Raraisson, il
quale, se- gnatamente nel 2**
yolame dell* opera
che noi più
Tolte abbiamo citato, si
mostra critico assai
poco benigno verso
le teoriche platoniche
nel porre a riscontro
la Dùdettiea e
la Metajitùsa, E
di questo difetto
è stato giustamente ripreso
dagli stessi francesi
fra* quali Janet.
{ÉhuL tur la DialecHque
dant Platon et
dans Hegel, Paris) come
nota lo Zeller,
che le idee
abbiano da esser
lo stesso che i
sensibili; onde poi
la conseguenza su
l'inutilità di ciò che
Aristotele chiama sensibili
etemi, la facilità
di rilevare T assurdo
delle essente separate,^
il rimprovero su la
necessaria vacuità degli
eterni parodigmi, e
la irrisa e, certo,
ridevole mitologia delle
idee come reminiscenze d' un' altra
vita.* Ora il
Platonismo espostoci da
Aristo- tele arieggia, per più
rispetti, al sistema
dell' assoluta identità :
di guisa che
ov' altri desiderasse
elementi per una severa
confutazione della dottrina
hegeliana, dovrebbe
intendere Platone così
come lo intese
il suo ce- lebre discepolo e come
lo
stesso Platone si
rivela talvolta nel Parmenide
e nel Sofista,
e saperne quindi
ritrarre gli assurdi. Anche
nel Platonismo passato
per la trafila dello
Stagirita si può
dire esser la
logica quella che crea
il mondo, essendo
la nozione, il
generale, Punita
indeterminata che pone
il multiplo. Fra
il finito e
l'tw/ì- nito, fra l' Ente
ed il Non-ente,
fra 1' Uno
e V Altro (rauToi, 5dÌ7spoy)
nou ci ha chc uu
rapporto di natura logica; sia che si
parli di fx^juviacc,
sia che di
fisOf^ic, ovvero d'una relazione
intima ed essenziale
emergente "Ere Sol^iisv av
aSiivarov ywpc'c stvae
tìj'v ouT^av xai OH
VI o\J7iOL' wt7«
ctw; «y ac
cosai ovacat t»v
apxyfAOiTta'» oZdOLi
X^P**"^ suv. Metaph, Quanto al
vaJore della critica
Aristotelica cons. lo
Zbllkb {Eapo- •inone arittotelica
ecc.). Vedi anche Tbendblbkbubq come intende
i n^ùròc àpt^fAoi
{PleUonU de idei»
et numerie doetrina ex
Ariet. iUtutrata, Lipzia,
Stillbaum, Prolog, in Parmenide di VELIA, ove
tocca dell* esposizione
aristotelica. !. Simon, Étnd.
tur la Théodieée
de Platon et
cT Artet, —
Cuosiir, note al Tim. dorè
Platone è difeso
dall* accusa riguardante
la causa finale. Jacqitks, Thior.
dee Idée* réfutiee
par Ariet, —
Lkvbano, De la Critique
et Ice Idéee
Platonicienne» par Ariat.
au
premier liv. de la
Métaph. — Lrclf.bc,
Penniee de Platon
preceduti da una
Hist. abrégie du plaumieme,
Oggimai dunque le
interpretazioni e la
difesa in favore di
Platone sono tante
e così evidenti,
che la crìtica
aristotelica è ri- dotta ai
suoi legittimi confini.
Molte obbiezioni Aristotele
andò cercando col lumicino;
ma alcune reggono
e reggeranno contro
ogni forma di Platonismo
come altrove toccammo,
e come vedremo
meglio nel pros- simo capitolo. dalla natura
stessa delle idee
secondochè appare nel Parmenide di VELIA. Non
è questo il luogo per
dire qual possa essere
il significato sincero
di questo celebre
dialogo e quale il
metodo più acconcio
onde vuol essere
inter- pretata la mente di
Platone. Ripetiamo che
per lo Stagirita,
come per alcuni
critici francesi, sembra
che il filosofo Ateniese
rimonti all' assoluto
mercè gli artifizi dell' astrazione,
dispogliando le cose
de' lor caratteri individuali, risalendo
gradatamente a' rispettivi
proto- tipi, e giugnendo così
al minimo della
realtà, cioè al generale
che per sé
stesso è cosa
indeterminata e vuo- ta.*Ora,
dare al Platonismo
cotesto valore tornava comodo al
discepolo per meglio
combattere il maestro
; ed era altresì
naturale, atteso che
il metodo adoperato da
Aristotele, anziché iperpsicologico ed
astratto, come dicevamo, si
palesa essenzialmente psicologico,
speri- mentale, induttivo
nell'ampio significato di
questa pa- rola, per cui
la sua metafisica
riesciva al massimo
delle realtà eh' è l'Atto
puro. Così ciò
che per questi
in- terpreti è il minimum
pel malinteso Platonismo,
è il maximum pel
beninteso Aristotelismo. Questo fa
oggi l'idealismo assoluto,
ma il fa con
quella ricchezza d'espedienti,
come giustamente osserva r
illustre traduttore di
Hegel, e con
quella possente vena di
speculazione, che sanno
dar venti e
più secoli di storia
e di profonda
attività filosofica. L' Hegeliano condanna il
metodo aristotelico, lo
dice empirico, e si
studia invece di
seguire e compiere
il metodo dialettico dell'autore del
Parm^enide; ma nel
fatto non fa
che per- petuare la vuota
posizione del Sofista
in quanto che
col TÒ ov di
questo dialogo, che
è precisamente il
suo In- determinato, e' si
riman sempre nelle
secche della logica. Rayaisson. Vera,
V Hegelianifime tt la
PhUoBopkie. Ma è poi
davvero Y Indeterminato la
posizione del Sofista?
È egli tale forse
r«»«er« che ì
realmente e aaeolvUamejUe : rw
travre^wc ovt«? {Soph.)
L'Idealista assoluto non
riesce al minimum
platonico, è vero: ma
comincia dal minimum
dell'essere, perchè salendo di
slancio, come dicemmo,
air Indeterminato, coglie immediatamente (es
egreift) l'In -sé {dans
ansich) che è Nulla
ed Essere, e
poi con metodo
dialettico e generativo egli viene
sgomitolando, a così
dire, ogni cosa con
ritmo costante, immutabile,
invincibile, matematico, monotono, per
indi riuscire al
medesimo punto onde era
mosso per l' innanzi.
E con ciò
pensa d'aver con- seguito il vantato
accordo fra l’Aristotelismo e
il Platonismo, mentre in
realtà ad altro
non riesce che ad
una forzata compenetrazione e
meschianza del melenso e
indiscerniljile tò cv con quel
Noùc immobile, solitario
e tutto chiuso entro
sé stesso di
cui Aristotele parla nel
XII libro della
Metafisica. L'Hegeliano quindi
é iperpsicologista per doppio
conto. Egli incarna,
esplica logicamente e compie
mirabilmente uno de'
due indirizzi estremi dell'
Aristotelismo, e insieme
interpreta il Pla- tonismo con una
critica che somiglia
non poco a
quella d' Aristotile.
Concludiamo. Abbiam visto
come la forma
di me- diazione onde i
Positivisti mostrano d'aver
coscienza dell' Assoluto sia
contraddittoria. Essi protestano
di non saper nulla,
di non poter
nulla sapere di
metafisico; ma nel fatto
confessano un nescio
quid, la realtà
d' un ob- bietto trascendente.
Lo confessano in
maniera empirica, e si
contraddicono anche qui,
perché, dichiai'andolo Inconoscibile, negano così
l' esigenza più vivace
della ricerca, negano
il metodo positivo,
negano la critica
severa e feconda. Positivisti,
Critici, Scettici o com’altrimenti si chiamino
cotesti filosofi déW
avvenire, non hanno
e non vogliono aver
fede nell' indagine
d' un sapere metafisico. Essi dunque
condannano sé medesimi,
il proprio metodo, la
ragione e la
storia della scienza,
poiché non fanno che
perpetuare un aristotelismo
fiacco, empirico, unila- terale, impotente, negativo. Ad
un opposto resultato riesce il
neoaristotelico
iperpsicolggista.
L'idealista as- Bolnto dice
di conoscer l'Assoluto,
d'intenderlo nel senso più
stretto di questa
parola, perchè lo
fa solo in
pen- sandolo, e ripensandolo il
rende a sé
stesso traspa- rente. Chi conosce
Bram è già
Bram, dice il
filosofo indiano. Chi giugne
a pensar Dio,
l'infinito, ci dicon gl'Hegeliani, egli è già
Dio, è già
l'infinito. Ma il
modo con che pervengono
a pensarlo, il
processo di mediazione, non è
processo, non procede,
non cammina, ma
sé in sé rigira,
direbbe l'ALIGHIERI, poiché
riman sempre nel mondo
del più puro
pensiero, del subbiettivismo, in
quel letto di Procuste
appellato formalismo logico,
come del- l' Hegelianismo dice
un illustre scrittore
vivente di Germania.' Cotesto processo
quindi é una
mediazione bugiarda, perchè non
é vera e
legittima conversione.
Quell'ombra, dunque, di
dottrina metafisica, quel vano
conato di conoscenza
trascendente che ci
porgono i Positivisti col
confessare la realtà
d'unDews absconditus ci rappresenta
una delle forme
costituenti la prima
|)0- sùnone speculativa; la
quale perciò, chi
guardi alla legge istorica aristotelica
secondo cui si svolve il
pensiero filosofico,
s'addimostra tutt' altro che positivo,
in quanto che
ci rappresenta l'esagerazione del Dommciismo
empirico. La dottrina
hegeliana poi neir attingere
a modo suo l'
Assoluto e nel
determinarlo, ci rappresenta invece
la seconda posizione
speculativa, ed è l'esagerazione del
processo deduttivo, in
quanto é dommatismo
sistematico assoluto; e
neanche questo merita nome
di positivo. I
Neoaristetelici moderni, dun- que, sia
che per necessità
di sentimento e d'
opinione e d'istinto pongano
l' Inconoscibile, sia che a furia
di spe- culazione
trascendentale pongano l'Indeterminato come un
absdute Prius, partono
dall'ignoto; partono dal- l' impensabile. Essi
movono dal buio,
o riescono al buio:
talché rassomigliano a
que' filosofi di
cui parla Aristotele, i
quali fanno nascer
tutte cose dalla
notte: ol * CoLEBBOOKE,
PhiL dea HindotUf
Ess. II. Gbbvihub,
Hìh, du IHx*Neuviéme
SihUe, Paris. fx vuxTo'c
7fvvo3vTic. Perciò i
Neoaristotelici, s' appellinQ
Hegeliani o Positivisti,
meritano, comecché per
ragioni diflFerenti, il titolo
di filosofi della
notte; mentre i Neo-
platonici con le vantate
visioni, intuizioni, splendori, irradiamenti e
influssi divini, ben
ci figurano i
filosofi del giorno e
della luce. Il positivo
nel conoscere metafisico
non istà nella immediatezza de'
Neoplatonici, e neanche
nella media- zione de' Neoaristotelici. In
che dunque vuol
farsi consistere? Re LA RICERCA
DELL'ASSOLUTO SECONDO LA RAGION
FILOSOFICA POSITIVA, altrove notammo
come l’essere s' incarni
e sostanzii ne'tre
processi, ideale^ naturale,
istoricO'Sociologko: e come il
Vico, a significare
l'indipendenza di ciascuno e
insieme la comune
legislazione, siasi ben
apposto nel chiamarli a
Mondo delie Menti
e di Dio^
Mondo della Natura^ Mondo
dello Spirito. Avvertimmo altresì che
le scienze le
quali studiano lo
spirito in sé stesso
indipendentemente dallo svolgimento
isterico, si adunan tutte
nelle tre discipline
fra loro distinte
eppur connesse in unico
organismo, i cui
tre momenti, per così
esprimerci, sono il primo
psicologico, il primo logico
e’1 primo vero metafisico. Ora il processo ideale è
la dialettica; la
quale vo- lendo essere avvisata
sotto doppio rispetto,
ideologico e metafisico, è
davvero, come l'han
sempre designata i Platonici
ed i neo platonici, una
scala; ma una
scala a doppio congegno;
una scala ascensiva
e discensiva, come direbbero certi
viventi critici francesi
nell' interpretare il
Parmenide di Platone,'
In qnanto ascensiva,
è ideologia ;
e V ideologia,
se non avesse
alcun valore dialet- tico, altro non
sarebbe che una
serie di norme
logiche e un cumulo
di leggi e
d'attinenze onninamente formali. Essa
dunque rappresenta il
processo eduttivo. Questo processo
muove dal Primo
logico, e riesce
al Primo vero metafisico;
e vi riesce
col mezzo delle idee
(ntpi iSé(av) che
sono il medio
per eccellenza, lo strumento
pili acconcio, più
legittimo, e perciò
la prova razionalmente positiva
per potere attinger
la notizia del- l'Assoluto. In quanto
poi la dialettica
è discensiva, è metafisica;
ed è metafisica
perchè, giunti, come
accen- nammo, al sommo della
scala, il Primo
vero meta- fisico assume valore
di principio metafisico che
è an- ch'egli .processo
e conversione con
sé e col
fuori di sé. In Vico
é abbastanza chiara
l'esigenza di questo doppio
rispetto della dialettica
laddove, nella sim- bolica Dipintura della
Scienza Nuova, pone
il pen- siero e l'essere
come formanti un
organismo, un sol mondo,
il Mondo delle
Menti e di Dio. Vedi
per es. Jankt,
Étude »ur la
Dicdectìque ecc., ed. cit. p. Vaoherot,
HÌ9t. critique de
VÉcole (TAlex.^ NoCTRlsSOir, Expo8Ìtion de la Théorie
pUUonieienne de$ idée»,
PftHs, Simon, HìH. de VÉcole d'Alex. Perchè le
idee tornino fruttuose
han d' avere un
valore dialettico. Cons. a
questo proposito Plat.,
De Rep., Sop}i.\
— Abist., Metaph., Proclo,
Comm, in Parm. Il
metodo dialettico beninteso risale,
secondochò notammo, a
Socrate, come quegli
che trasferi tale parola
dagli usi della
vita (^ta'kéyt'jBxL^ eonvereare),
agli usi della scienza.
Però dialettica, nel
suo razionale significato, indica la
convenione della mente,
vuoi con sé
medesima, vuoi con
altro. Vico intende a
meraviglia tale origino
istorica, nonché Tapplicazione
speculativa alla scienza, laddove
afferma: V ordine
delle umane cote
i d* ouervare
le cote SIMILI, prima
per ISPIROASSI, dipoi per provabr
; e ciò
prima con V
ESKM- PLO che ti
contenta d* una
coea^ finalmente con
V INDUZIONE che
ne ha hi' eogno
di piò: onde
Socrate, padre di
tutte le eitte
de*filo9ofi, introdueee la Dialettica
con l’Induzione che
poi compiè Aristotele
col eillogiemo eJte rum
regge senza un
universale, {Se, Nuo.)
Veggasi quel che
abbiamo discorso quant* al
metodo. Ricordiamoci che per
noi la metafisica
non ò sdema
aeedlmUi, bensì Il nodo
gordiano della filosofia,
e però la
chiave della metafisica, son
le idee. Se
il lettore ha
badato al processo e
alla genesi psicologica
che assai fuggevol- mente venimmo tratteggiando, avrà
potuto indurre qual sia
e qual debba
essere, secondo V
esigenza del filoso- fare positivo, r
origine e la
natura delle idee.
Coteste idee non sono
entità puramente formali,
né puri concetti dello spirito.
Non sono essente
sparate, almeno quelle intomo
alle quali (come usava dire GALILEI)
possiamo * discorrer noi
umanamente; e però
non sono sostanze esteriori, come
Aristotele interpreta i
napaStiyyiotrx del filosofo Ateniese.
Non sono concetti
innalzati ad univer- salita determinata
ne^ quali col
chiudersi il circolo
del- l' essere si esauriscano
ed assolvano le
ragioni delle cose, com'
è per gl'Idealisti
assoluti. Non sono,
a dir proprio, le
cose stesse nelle
assolute lor qualità.
E, finalmente, non sono
quasi altrettanti simboli,
o spiragli attraverso cui si
affaccia al pensiero
l'Assoluto. Le idee
costituìscono il prodotto
del processo psicologico. Elle dunque sono
una fattura di
nostra mente: son
la mente stessa, direbbe Vico,
ma la mente
in quanto è
Magione spie- gata. Ecco le
idee umane, sul
cui svolgimento s'imba&a tutto l'edifizio
e tutto il
valore della Scienza
Nuova.* Mcienxa ddP à»9oIìUo
in quanto è
Critica del Vero.
Però accettiamo anche qui
la sentenza che
costituisce, diremmo, la
chiave dell* indiriuMo
medio dell* Aristotelismo. Per
Aristotele la Metafisica
è «ciennadeU^AatolìUo; e questa
scienza dell'Assoluto è
anche logica, logica
in «2, logica
in quanto considera l'essere
»n «è, realmente
: to' sgw
ov xai x^/^'^l^v. {Metaph.): il
che consuona con
la sentenza di
Vico riferita altrove: Quello che è metafiaica
in quanto contempla
le cote per
tutti i generi
delV e»- aere, lo
tteseo è la
logica in quanto
considera le coee
per ttUti i
generi di Bignifienrle. Col
pensiero d’Aristotele poi
rinverga il concetto
del suo maestro. Platone, come
ò noto, appella
filosofi quelli a’
quali ò dato
asseguir la notizia di
ciò che è
costante e assoluto
(^cXóaoooc jiasv oc toù àcc xxT«
rauToè wc«i»tw; e;^ovTo;
5«và^«ovi SfxnrtfrOxt. Bep.y). A
prima giunta parrebbe
che nella dottrina
delle idee il
Vico fosse un filosofo
arciplatonico, ma non
è. La dialettica
platonica, intesa in
un certo senso, non
può menomamente prescindere,
come osserva il
Simon, dalla dot- trina della reminiscenza:
La euppreseion de
la remini»cenee en
peycologie ut la négation
de la dialectique
et de la
tkéorie de» idée. Ma
se le idee
sono il moto
stesso e lo
stesso esul- tato della energia
psichica, e, come
tali, chiudono il
cir- colo della natura e
dello spirito, non
però chiudon sé stesse,
anzi dischiudonsi, e
col dischiudersi ci
mostrano di lor natura
un intimo riferimento
all' Assoluto. Se r
uomo, lo spirito,
secondo la nozione
del nostro filo- sofo, non è,
a dir proprio,
Y infinito attuale
e nemmanco r attuale
finito, ma una
potenzialità infinita, una
po- tenza che tendU ad
infinitum, ne seguita
che anche, le idee,
sue determinazioni, voglion
esser fomite del doppio
carattere della finità
e della infinità,
sia che le si
considerino nelle intime
lor attinenze organiche,
sia che nella lor
solitaria immanenza. Dunque
l'idea è genm, è
forma metaphysica, e,
come tale, somiglia
alla forma del plasticatore,
anziché a quella
del seme. Ma anche
come genere, anche
come forma metafisica
l' idea è finita e
infinita: finita in
ampiezza e universalità;
infinita in perfezione.' Però
tiene del finito,
in quanto che un'
idea non è
l'altra; e tiene
poi dell'infinito, perchè
è). Or la
dottrina psicologica del
Vico, secondo che
noi siamo Tennti interpretandola, contraddice
ad ogni platonica
reminiscenza, ad ogni maniera
d’intùito iperpsicologico; anzi
non mancano luoghi
ne^qaali egli condanni questa
dottrina. (De Univ.j'ur.)
Quanto alla scienza e
alla virtù, dice esser
cose che hisogna
edurle dalla mente
e dairanimo come fa
T ostetrico (De
Coruu PhiL, e.
I). Non è poi nniraffatto
platonica nò quant’alla natura,
né quant’all’origine delle
idee, perchè le
idre, per lui, non
sono gli eterni
veri (essenze separate
ed esemplatriei)^ ma
sono entità che significano
l'assoluto in quanto
si riferiscono a
]uì [De Univ.).
Non sono quindi
appreso direttamente, ma
fatte. Vedi, per
es., quel che dice
sul generarsi de*
generi e delle
forme metafisicke, le
quali a nostris pueris
primulum bua spontk
«xpZtcantur. E ciò non pertanto
gli hegeliani V
han battezzato o
seguitano a battezzarlo per platonico
sviscerato ! Neil'
altro capitolo vedremo
fino a qnal
segno e per qual
ragione egli possa
meritarsi questo titolo. Forma» intelligo
metaphysioas (pice a
physieis ita diversce
sunti « forma plaatm
a forma seminis.
Plastce mim forma
dum ad eam
quid fer- matur, manet
idem et semper
formato perfeetlor ;
forma seminis, dum
quo- tidie se esplicai,
demutixtur ae perjicitur
magie: ita ut
formfn pkysicct sint ex
formis metaphysieis formatw
{De Antiq.). Vedremo fra
poco qual valore abbia
quest'ultima sentenza.
Genera esse formas,
non amplitudine, sed
perfezione injìnitas.
l'altra e, sotto
certo rispetto, tutte
le altre. La
legge dia- lettica, dunque, è
la stessa legge
universale dell' essere; legge
di conversione; legge
d'alterità e di
medesimezza. Sennonché
cotesta conversione ideale
non è semplice opposizione, e
neanche compenetrazione, conciossiachè la ragione
dell'un termine non
istia solamente nell'altro. Il dialettismo
si radica, non
già nelle idee
come opposte fra loro
o come generate,
ma, innanzi tutto,
nel soggetto che le
genera. Un'idea non
è universale perchè
perfetta, ne perfetta perchè
universale. E non
è finita perchè infinita, né
infinita perchè finita.
Questo è l'errore
delle dialettiche a priori
che, levando a
principio l' opposizione per r
opposizione, riescono ad
un pretto mecca- nismo ideale. Un'
idea è infinita,
o finita, principalmente per sé, e anche
per l' àUra. Se
dunque la lor
conversione non è equazione,
né semplice opposizione,
ne consegui- tano due cose:
V ch'elle non
chiudono il circolo; 2*" eh'
esse importano l' ideato
nella pienezza di sua realtà. Si
vorrà supporre che
anche cotesto ideato
sia un'idea? un'idea madre?
E allora avrà
luogo il mede- simo discorso, e
saremo sempre daccapo.
Si vorrà giu- gnere
all'idea dell'essere mercè
i soliti lambicchi
de' raf- finamenti e
assottigliamenti astrattivi? E
avremo la nuvola, non
Giunone! Certo, l' idea
dell' essere non è
come le
altre, finita nell'ampiezza, bensì
infinita, uni- versale; ma è
vuota, è vacua,
né altro è
capace di dare fuorché
yffi'kÒLi evvoiaf. Ella
comprende tutto, ma
non racchiude nulla: è un Primo
logico, non già
un Primo vero metafisico. Dunque
vuol esser determinata;
stanteché debba cessar d' essere
infinita per universalità,
e assu- mer valore d'idea
infinita per perfezione.
L' ascensione dialettica
perciò è incalzata
dallo stesso principio
della conversione; e la
mente deve posare
in quell'ideato che, a
dir proprio, sia un ideato
dialettico, ciò è dire
conversione piena, assoluta,
vivente, reale. 1
Generi f dice il
Vico, aono non
per univer»alità, ma per perfezione inJiniH: e
questo eeeere U
brieve e vero
9en§o del lungo
e intricalo F€tnn&' Se r idea è
infinita non per
ampiegm ma per_per- fmone, perciò
non va confusa
col concetto; al
modo nide di Platone;
e questo intendimento
doverti dare alla
famosa Scala ddle Idee
onde i Platonici
pervengono alle perfeUianime
ed eteme (Bisp.
I, al Oiom. De’
Lett.). Quanto al
brieve e vero
senso del Parmenide
toc- cheremo più giù. Dove poi
Vico dice: Genera
esse formasy non
amj^itu- dinef sed ptr/ectione
injinitas^ tosto SOggiugne:
et quia injinitas in
uno Deo esse. Come va
intesa questa sentenza?
In quanto le
idee possie- don carattere
dMnfinità e d*
assoluta perfezione, elle
sono in Dio; e
sono in
lui perchè forman
tutte assoluta unità,
e assoluta totalità:
unitotalità. Lo avea
detto GALILEI che non
era un metafisico:
Le idee, perchè inJinitCf sono
una sola ndV
essenza loro e
nella mente divina
(Op., ed. Albóri,
Dial. de* Mass.
Sist,). Ha in
quanto possiedon Tubo e
r altro
carattere, elle si
producono e rìseggon
nello spirito, nel
pensiero ; sono il
pensiero; e sono
finite e infinite
perchè tale è,
ripetiamo, la natura stessa
dello spirito, cioè
potenzialità infinita. Ne
viene perciò che,
ove le idee fossero
infinite in atto,
non potrebbero essere
altresì finite. E dove
fossero solamente finite
e puramente universali,
sarebbero forme vuote
e astratte, e però,
contraddicendo air intera
dottrina psicologica del
nostro filosofo, cadremmo nel
pretto sensismo. Or
le idee, le
nostre idee, non
sono infinite e perfette
perchè siano lo
stesso Dio o
pertinenze di Dio,
ovvero spiragli ond*ei s*
afikccia al pensiero,
come dice il
Mamiani col suo
lin- guaggio tinto di certo
color poetico; ma
son tali perchè
tale per T appunto è
il soggetto che
le partorisce; il
quale perciò, mediando
sé stesso come potenziale
infinito, deve per
necessità eduttiva concludere
alla notizia dell’Assoluto. Di
qui nasce che le idee
non possono essere
infinite di fatto, e
ce *1 dice
egli stesso: enim
vero ista genera
nomine tenue infinita, homo enim
ncque nikil est,
ncque omnia. Quare
nee de nihilo
nisi per aliquid
negatum, neo de infinito, nisi
per negata finita
cogitare potest. Ai enim
omnis triangulus habet
angulos cequales duobus
rectis. Ita bene:
sed non id miìU
infinitum verum, sed
quia habeo trianguli
formam in mentGot imprcssam, cujus
hanc nosco proprietatem,
et cu mihi
est archetypus cete- roruh. Fatta dunque
l’idea, tosto in
essa io riconosco, non
già l’infinito, ma il
carattere della infinità:
hanc proprie- totem nosco.
Per questa proprietà
essa diventa un
archetipo, diventa una misura
{archetypus ceterorum); e
come archetipo e
misura ella, per me,
è un assoluto;
e così è
vero, che Vuom
tende a farsi
regola deW uni- verso,che vuol
dire tende a
farsi assoluto. E
qui toma acconcio
il ri- confermare quella relazione
che tra le
opere di Vico altrove
procac- ciammo chiarire.
Nella Scienza Nuova
Tuomo è regola
e misura in tre
maniere, secondo i
tre momenti dello
svolgimento isterico ; 1° nella
fase 0 stato divino,
per credenza e
per sentimento; 2«
nella fase eroica,
per arbitrio, forza, potere,
volere ; 3
nella fase umana,
per magistero logico e
scienziale, cioè per
la ragione spiegata,^eT
le idee {idee
umane). Ecco dunque una
prova novella che
ci mostra come
la Scienza Nuova,
anziché contraddire al Libro
metafisico, lo esplichi
e lo legittimi
sempreppiù, al modo istesso
che questo riassume
le ragioni metafisiche
di quella. istesso che
l'intendimento, secondochè mostrammo,
non è da confondersi
con la ragione.
Tanto Videa quanto il
concetto sono una
dualità, perchè T una
e l'altro sono conversione, giudizio,
e però medesimezza
e distinzione. Ma la
dualità dell' idea
è l' universalità e
\2l perfezione; dovechè quella
del concetto è l'
estensione e la
compren- sione. Nel concetto come
vedemmo, ci è
sempre un'orma del fantasma;
e nell' idea
v' è sempi-e
un' orma del concetto^
cioè il comune,
l'universale. Or chi
dirà che il concetto
abbia carattere d'infinità
solo perchè sia comune
e universale?* Il
circolo, a mo'
d'esempio, in quanto è
universale, è concetto;
ma in qijanto
racchiude la nota essenziale
ond' e' si
discerne da ogn'
altra no- zione, è quello
che è ;
è perfettissimo ;
è infinito; e così
lo pensa
Dio come l'uomo. Si
vero id contendane
etse injinitum gentu
(cioè che i
tre angoli d*aii triangolo
rettilineo siano eguali
a due retti,
eh' è l'esempio rife- ritopoco fa
dallo stesso Vico),
quia ad eum
trianguli archettfputn accom- modari
innumeri trianguli po«8unt,
id tibi habeant
per me licet;
nam vocabulum iÌ9 lubens
condono, dum ipti
de re mecum
eentiant. Sed enim
per- peram loquuntur, qui
decempedam dixerint injinitam,
quod omne extenaum ad
eam normam metiri
poannt, > {De
Antiq.) ' Galileo nota
stupendamente questo privilegio
del pensiero là
dove distingue V intendere
extensive dair intendere
intensivCf confermando così la
dottrina di Vico. Vintenèive
del filosofo pisano
è il perfettamente^ com* egli
stesso dichiara. Ora
v* ha cognizioni,
egli dice, le
quali, guar- date sotto il
rispetto della inteneìtà
e della perfezione,
agguagliano le di-rine
neUa certezza obbiettiva^
perchè con essa
arriviamo a comprenderne la nec€99Ìtà
sopra la quale
non par che
posta essere sicurezza
maggiore, {Dial. de' Mass.
Sist,j) Gli esempi
co' quali GALILEI procaccia chia- rire tale idea,
son tolti dalla
matematica; e la
matematica, anche per lui,
è una fattura
della mente; e
però la certezza
e la necessità
ond'ei parla scaturisce immediatamente dalle
leggi stesse della
psicologia. So che il
Neoplatonico neanche qui
si darà pace,
ed opporrà la
solita in- Titta necessità
di certi yeri
che, vada o
Tenga il pensiero,
sono e saran sempre
quello che sono.
A questa difficoltà
ahhiamo già risposto. Il due e
due fan quattro
(direbbe un neoplatonico
alla Maminni) gli è
un vero assoluto
e necessario, né io posso
pensare il contrario; dunque T*ha
in lui qualcosa
che non m' appartiene; e però,o
è Dio, o è
pertinenza di Dio.
Nient' affatto! Io non
posso pensare il
contrario; ed è yerissimo:
ma perchè non
posso pensarlo? Perchè
non posso contraddirmi; ecco la ragione
immediata. Il regno della
logica non è il regno Or
se tale è l’organismo delle
idee, è impossibile che il
pensiero partorisca e generi
un'idea la- quale sia infinita
così nelF ampiezza
come nella perfezione. Se potesse,
e' già sarebbe
V infinito in
atto. Se potesse, egli, col
farsi, già sarebbe
un fatto. Ma
così non si contraddirebbe? Non annullerebbe
sé stesso anche
qui? La conseguenza, dunque,
parmi chiara: il
pensiero, questo nostro pensiero
con tutto il
suo ^contenuto, non possiede
l' essere, non è
l'essere, non si
compenetra con r essere. Questa invincibile
manchevolezza d' essere, questa insuperabile
impotenza d' essere, come
ci si rivela? quand' è
che ci si
rivela? Precisamente nella
stessa impossibilità
d'afferrare e fermare
il pensiero nell'o/to. Ed
è impossibile poter
cogliere e fermare
quest'atto, appunto perchè lo
spirito, pensando, è
già un atto,
è già faUo (actum).
Or se non è atto,
non ci ha
da esser r atto
? Io penso
l'essere; io son
l'essere: eppure non sono la
realtà dell'essere! Dunque
la stessa impossibilità a dedurlo
come tale, mi
dà il diritto
a concluderne la realtà.
Il che accade
per una ragione
detta e ridetta, che,
cioè. Essere e
Pensiero non sono
l' uno in due
(come direbbe lo Spaventa),
non sono l' identico
nel diverso, ma sono
il due in
wwo, sono piuttosto
il diverso nell’identico. E qui
ci è dato
scorgere sempre più
netta- mente V errore degl’intuitisti e
ie^ mediatisti. Cotestoro, come vedemmo,
voglion rintracciare la
ragion dell'assoluto e dell'
infinito nel pensiero,
e ricorrono ad
espedienti opposti e contrari.
Gli uni ci
dicon che la
mente colga immediate l’Assoluto; gli
altri, che lo
faccia. Ora chi dice di
vederlo, per me,
sogna ad occhi
aperti; e senz' addarsene
resta impaniato nel
panteismo. Chi poi dice
di farlo, sogna
anche lui e,
per di più, diverte la doli*
arbitrio. E perchè
poi non posso
contraddirmi? Giusto perchò
lo stesso pensiero è
quello die nel
due e due
fan quattro pone
gl’elementi e le condizioni
del giudizio: le
quali io non
potrei negare, senza
distrug- gere il mio stesso
pensiero. Se potessi,
ne verrebbe che
io farei, e non
farei: cioè /arci il
nulla t gente con indovineUi
da algebrista, e
finisce per immergersi nel nulla:
talché anniillando cotesto
assoluto, la sua deduzione
riesce davvero ad
\m3i bestemmia. Il neoplatonico
s' affida ad un
intùito; e così
esagera l’impotenza in cui è
il pensiero d' esser l’essere. Il neo-aristotelico
hegeliano, al contrario, s'affida
a sé stesso;
e così esagera la
potenza del suo
pensiero adequandolo all'
essere. Entrambi dunque deducono;
ma l'uno appoggiandosi neh' obbietto
intuito, o nell’Ideato presente al
pensiero; l’altro,movendo dsàll’indeterminato cólto
o posto per astrazione
immediata e subitanea.
Illusione l' immediatezza dell'
uno! illusione e
arzigogolo logico la
mediatezza dell' al trol Non
intùiti, ne posizioni
a priori: non immediatezza,
né mediatezza, ma
conversione, ma processo del
pensiero con l'essere.
Le idee non
sono r Assoluto significativo, l' ente
in quanto sigtii/ica,
in quanto presenta sé
stesso al pensiero:'
ma é lo
stesso pensiero quello che per
sé medesimo é
significativo del-
l'Assoluto, in quanto
é Bagione spiegata.
Brevemente: se r idea
è mezzo, eli'
è il pensiero,
ma è il
pensiero in quanto rappresenta
l'Ideato, non già
l'Ideato in quanto s' affaccia
al pensiero. Or
qui si compie
nella sua vera forma
la funzione eduttiva. Parlando della
genesi e classificazione delle
varie discipline dicemmo, le
scienze eduttive ridursi
ad una sola, ed
esser la filosofia.
La filosofia s' intrinseca
con tutte le scienze;
e però é
anch'olla induttiva e
deduttiva la sua parte.
Ma anch'essa é
autonoma, anch'essa è trascendente, e
come tale è
di natura eduttiva;
poiché non cessando d'alimentarsi
de' tesori adunati
dalle altre discipline, nondimeno
sa e può
trovare alimento in sé
stessa, e per
sua propria virtù.
Se le idee
infatti hanno lor fondamento
in natura, nessuna
funzione basterebbe * Hine
adeo impiat euriontatit
notandi, qui Deum
Optimum Maximum a priori
probare ttudeiU: nam
tantundem ettet, quantum
Dei Deum «e /a-
oere, et
Deum negare, quem
quixrunt. (Vico, De
Antiq.) ROVERE, Lett. al
DoU. BrentoMMoUf 424
DILLA DOTTBiNA ulosoiioa.
[lib. n. a scioglierle
da' viluppi delle
sensate apparenze, ove la
stessa mente non
sapesse pai*torirle. Tra
il fantasma e l'idea,
tra la forma
metafisica e la
fisica^ c\ è quel me- desimo intervallo esistente
fra il senso
e la ragione.
Or tuttoché le idee
pongan radice nella
natura e si
muo- vano in questa, nondimeno
con lieve soccorso
del senso elle possono
esser generate dalla
mente, poiché a
concepir r idea del
circolo, o meglio,
a fissare il
concetto del circolo nella
nota che costituisce
la sua perfezione e
trasformarla in idea
o forma metafisica,
non v' ha mestieri
di prolungati lavori
d'astrazioni e di
generalizzazioni. La mente perciò
nel concepirle fa
altrettanti giudizi
eduttivi. Il giudizio
eduttivo è diverso,
così nella forma come
nel contenuto, dal
giudizio induttivo, e dal
deduttivo. Il suo
carattere specificante dicemmo radicarsi innanzi
tutto nella relazione
de' suoi termini, e
quindi nell' origine
dell' attributo. L' attributo
non è dato dal
fatto; e però
non è sintetico
a posteriori. Non è ricavato
dal soggetto e
applicato al soggetto
stesso come parte del
suo contenuto; e
quindi non è
di natura analitica. Non
è ripetizione del
medesimo soggetto ; e
quindi non è
identico. Il giudizio eduttivo
serba in- ' Se
pensare, come altrove
mostrammo, è giudicare,
e giudicare è un
atto di conversione
in quanto che
convertire è scorger
la medesimezza e la
differenza ad un
tempo; ne viene
che il giudizio
è la sintesi
di due elementi, convertione
del vero col
fattOf sintesi della
medesimezza generica (vero) e della
diversità specifica (fatto). Ora
guardando alla funzione speciale onde
la mente forma concetti e
giudizi, ricavammo esser
tre i sommi generi
a cui essi
potranno rimonarsi, e li appellammo
induttivi, deduttivi,
eduttivi. Questa divisione
è essenziale, perchò
si fonda prin- cipalmente nella differenza
del contenuto de’ giudizi, e
perchò dà origine alle
tre funzioni metodiche. Si
fonda dunque su
la dottrina della
cono- scenza e della scienza,
e perciò è
razionale e cpmpiuta.
L'atto del giudicare, Infatti, ò
sempre identico nella
sua forma logica,
poiché è sempre una
conversione al pari
del concetto ond' emerge;
ma differisce nel
contenuto, ed ecco r origine
delle tre differenze
di giudizi. Tutte
quelle in- numerevoli distinzioni e
classi e divisioni
e suddivisioni di
atti giudicativi fatte da
Aristotele sino al
Kant e a SERBATI,
sono spartizioni secondarie, le
quali riguardano l' estensione, la
quantità, la relazione,
la forma e l'indole
de' giudizi; ma riescon
tutte incompiute. dole essenzialmente sintetica,
e però sgorga
dallo stesso pensiero per
virtù e necessità
eduttiva. Ma qual
sorta di sintesi è
cotesta? Non è
sintesi a priori
nel senso de' Neoplatonici, perocché
l'obbietto non è
dato da nessun intùito
o visione trascendentale. Non
è sintesi nel senso
dell' Idealismo assoluto
e del criticismo, perchè r
obbietto non è
posto per mera
legge dialettica, e neanco
per non so
qual cieca necessità
subbiettiva. Il giudizio
eduttivo è un
vero atto sintetico,
un atto sintetico trascendentale per
eccellenza perchè l'attributo non è
nel soggetto, e
nondimeno è posto
dal soggetto. Qual è l'oggetto
di questa sintesi
trascendentale? È appunto ciò
che le forme
metafisiche possiedon di
comune. È ciò che
nel concetto e
nelle determinazioni ideali scopriamo
d' infinito, non già
nell'ampiezza, ma sì nella
perfezione. La funzione eduttiva
dunque è funzione dialettica, dialettica
ascensiva. Perciò eduzione
delle idee non
vuol dir la
pura e semplice
generalizza- zione delle
qualità dell'essere: vuol dire
accrescimento dell' essere; vuol
dire concentramento dell'
essere nella [I griudizi
iintetici a priori
di Kant non
sono propriamente apriori, ma
si riducono a
giudizi analitici. Il processo
conoscitivo è, per
dir così, nna
catena, gli estremi della
quale sono due
sintesi, e però
due forme di
conversione; l’una di esse è
originaHay e l'altra
finale. Quella precede,
come si disse,
ogni riflessione, e costituisce
il primo psicologico, l’unidualità primitiva;
la quale, facendo possibile
la formazione de'
concetti mercè il
processo psicologico, toglie queir
apparente petizion di
principio tra la
necessità per cui ogni
giudizio deve importare
il concetto, e
la necessità ondMl concetto debb'
essere un atto
giudicativo. La sintesi
finale poi riesce
al Primo vero metafieico^i]
quale devesi convertire
col Principio metafisico. Avviene perciò
che la sintesi
originaria sia costituita
dal pensiero e dal
suo obbietto che è l’essere in
quanto indeterminato; e però è
sintesi naturale essendo posta
dalla stessa natura. La
sintesi finale per contrario,
ha per oggetto
1’essere determinato ideale,
e de- terminabile in quanto
reale; e )»er
ciò è sintesi
superiore alla natura essendo prodotta
dallo stesso pensiero.
Queste due sintesi
dunque sono due giudizi
d'indole sintetica, ma
diversissimo n'è il
contenuto; per la ragione
che, se nel
primo d'essi l'obbietto
è posto da
natura, nel secondo è
posto dalla stessa
mente. sua idealità. Or se tale
è la natura
di questa funzione accade che il
principio ond' ella
è governata non possa
esser quello d' identità,
di repugnanza, di causa
e simili; stantechè
qui non si
tratti di logica
formale la cui materia
è costituita, in
generale, da' giudizi
deduttivi, ne di
logica induttiva, i
cui giudizi ri- posano sul principio
di causalità e di sostanza
empiri- camente intesi. Se il
fine della logica
formale sta nel fissar
le norme del
ben pensare, e
il fine della
logica induttiva nel porgere
i criteri a
fruttuosamente sperimentare;
è chiaro
esser necessaria una
logica la quale sappia
ritrovare il vero
facendolo, se pure
s' ammette che la metafisica
abbia da essere
una critica del
vero. Ed è chiaro
altresì esser necessario
un principio che sappia
guidarci nel processo di
siffatta critica, il
qual principio è appunto,
come altrove toccammo,
quello della conversione. Or
questa funzione eduttiva,
di natura essenzialmente dialettica, non
va dall'effetto alla
causa, né dalla causa
all' effetto :
non va dalla
sostanza alla determina- zione, né dalla
determinazione alla sostanza.
Le idee non sono
effetti, non sono
risultati, né determinazioni dell'As- soluto. Se così
fosse, come sarebbe
possibile il transito dialettico? Il
passaggio dialettico
(nopsisi) è solamente possibile dov'è
possibile medesimezza e
differenza; dov'è possibile
intervallo e continuità;
dov'è possibile, insomma, conversione
di termini. I
termini in quest'
or- dine di cose, da
una parte, sono
le idea, la
Eagiotie spiegata ; dall'
altra sono le
stesse idee, le
stesse forme metafisiche, ma
in quanto concludono
nel loro ideato, neir
ideato come Principio
e Mente reale,
nell' ideato che basti
a sé stesso
(ro^izavov), nell'ideato che
nulla suppone, ma che
si pone (ro
ocvuttoOstov). Intanto la
ragione, tuttoché secondo le
leggi altrove notate
del pro- cesso psicologibo debba
mover dalla natura
e dal senso, nondimeno, come
tale, è caussa sui (suitas); e l'
effetto di tal cagione
è la scienza,
le idee, le
quali, in quanto
forme metafisiche, si riferiscono
all'Assoluto. E cotesto
Asso- luto alla sua volta
è Caussa sui
(Aseitas), ma è
anche cagione del mondo
in quanto è mente;
e l'effetto di tal
cagione è lo
spirito, non già
come Ragione spiegata, come Nove,
come attualità, ma
come virtualità, po- tenza, materia, natura,
conato. Ora questa
evidente- mente è
conversione, e quindi
è sintesi eduttiva.
Ed è tale in
quanto procede da
causa a causa,
in quanto concatenando caussas
caussis le annoda e di-
stingue ad un tempo,
perchè in realtà
le s'immedesimano e si
distinguono anche fra
loro. Il perchè, se
da una parte qui
abbiamo le idee,
le forme metafisiche,
la ragioìie spiegata, la
coscienza, il vero;
mentre dall'altra abbiamo r
Assoluto, r Assoluto
in quanto è
mente, in quanto è
la Mente, in
quanto è il
Fatto per eccellenza;
in una parola, se
da una parte
abbiamo quel che VICO
(si veda) dice le Menti,
e dall'altra Dio:
ne viene che
in questo Motido delle
Menti e di Dio, in
quest’organismo del pensiero con
r essere, il
passaggio dall' un
termine all' altro
non è processo deduttivo,
né tampoco induttivo,
ma è pro- cesso essenzialmente eduttivo,
perchè anche qui ha luogo la
conversione del vero
col fatto, cioè
la conversione delle Menti
con Dio, della
logica con V
ontologia, dell' ideo- logia con la
metafisica. Sarà un'
alchimia anche questa
? Potrebbe stare. Ma chi ben
la consideri, anziché
un'al- chimia, scorgerà in essa
il fondamento della
prova le- gittima, vera, positiva
intorno all'Assoluto. Le tre
ordinarie maniere d’argomentare
resistenza di Dio
furon ben cento volte
dimostrate deboli, incompiute,
fallaci, per la
solita ra- gione che, non
racchiudendo processo, mancano
perciò di valore
propria- mente dimottratico.
Il cosi detto
argomento ontoìogicOf per
es., qaalanque ne sia
la forma datagli
da Anselmo d’AOSTA, Cartesio,
Malebranche, Fénelon, Leibnitz,
Gerdil, SERBATI, GIOBERTI, ROVERE
e simili, non
può concludere alla realtà
assoluta, perchè, comunque
e' si squadri,
ha sempre nn
valore deduttivo. Gli argomenti
poi dettiyì«ico, moralcf
ootmologieOf sono sfomiti
d* ogni rigor di
prova razionale, in
quanto che si
riducono alla forma
induttiva, la quale, in
tal caso, racchiude
nna petizion di
principio. Laonde se la deduzione
move da un /ntùtto, siamo nella
ipotesi; e la
scienza non può accettar
le ipotesi come
principi], tnttochò se
ne possa e
debba giovare È dunque
vero, è verissimo
che l' uomo da
sé e con la
propria mente faccia
Dio. E lo
fa dapprima col
senso, poi con r
immaginazione, da ultimo
con la ragione.
Col senso lo vede
immediatamente nella natura,
lo sente nella natura.
Con l'immaginazione lo
vede attraverso alla natura,
ma lo sente
in sé medesimo.
Con la ragione lungo
il suo processo
come d'altrettanti mezzi.
Se poi muove
da un Indeter- minato f siamo
nel formalismo psicologico,
nell* arbitrio logico,
e però si
riesce agi* indovintUi da
algebristi, l’una forma
di deduzione perciò
non dimostra, cbè anzi
invoca appunto l'Assoluto
per dimostrare: T altra
invece dimostra troppo, e
perciò non dimostra
nulla. Dunque l’argomento eduttivo
o della eonveraionef che
noi contrapponiamo a
qualunque forma di
deduzione e d* induzi
one, è prova
legittima, stantechè racchiuda
il vero termine
medio, il vero m«szo
tra il mondo
e l’Assoluto. Il solo
Trendelenburg ha parlato d'
una forma di
prova ch’ei chiama
argomento logico, il
quale potrebbe avere alcun
riscontro col nostro.
Ma non poche
sarebbero le difficoltà nelle quali
intoppa il dotto
tedesco, chi guardi
al concetto del
moto ch’ei pone a capo
delle categorie. Neil*
ordine psicologico noi
moviamo dal vero che
per necessità eduttiva
si converte col
Fatto: e ne
ricaviamo che cotesto FaUo
non è già
moto, anzi pensiero
per eccellenza, mentalità assoluta. Or
bene s* e*
fosse moto, corno
saria possibile una
conversione f E mancando
la possibilità della
conversione, come farà, l’illustre autore delle
Bioerche Logiche, a
salvarsi dal pericolo
d’un vuoto formalismo? Giova qui
rispondere ad un'obbiezione. Si
dirà: cotesto vostro
pe- regrino argomento, in somma
delle somme, si
riduce ad una
forma d* in- duzione. Dall' effetto, andate
alla causa; dal particolare, al
generale; dalla
determinazione, alla sostanza;
dal finito, all'infinito.
Brevemente, dal mondo salite
a Dio, sia
che consideriate la
natura, sia che lo spi- rito, ovvero le
idee. Rispondo: induzione pura
o semplice, 'no;
ma processo induttivo: il
quale, compiendosi nel
processo eduttivo, assume
quindi valore d'ar- gomento razionalmente positivo.
Dio, a parlar
proprio, non è
pura so- stanza, causa, essere
infinito solitario; nò
il mondo è
pura qualità e determinazione, puro effetto,
puro finito posto
dall'infinito. Se Dio
fosse cagione semplicemente presa,
il mondo (l'effetto)
ne sarebbe l'atto.
Se fosse sostanza, il
mondo ne sarebbe
la modificazione. Chi ci
salverebbe dal panteismo? Se
poi fosse infinito
ut «ie, perchè,
domanderò io, se
basta a so stesso
ha da porre
il finito ?
Dio è tutte
queste cose, infinito,
causa, sostanza e simili,
ma è tale,
perchò principalmente è
idea, pensiero, mentalità. Or
non è anch'
egli mente e
pensiero l’universo? L’argomento della conversione,
dunque, non va dal mondo
a Dio, non
procede dall’effetto alla
causa (ohe non
procederebbe davvero), ma
va, ma procede da
causa a causa
annodandole insieme. E
le annoda, perchò
serbano me- desimezza e diversità;
le annoda, perchè
adopra il mezzo
delle idee; le annoda,
perchò educe le
idee, e perchò
queste idee converte
con l’ideato. Un’ultima
osservazione che avrei
dovuto fare già
in altro luogo:
me- Io vede nelle
sue stesse idee,
perchè lo fa
come idea ; e
così r uomo
(ripeto la bella
frase di GIOBERTI) giunge a rendere
a Dio la
pariglia. L'idea dell'Assoluto
ha anch' egli i
suoi annali ne'
diversi momenti della
storia e del processo
psicologico. Ma nel far
cotest'idea, e pro- prio quando l'abbiam
fatta, noi somigliamo
a quell'arte- fice che s'affatica
e suda e
si travaglia nell' incarnare il tipo
che gli splende
dinanzi alla fantasia,
mentre la stessa natura
potrebbe offrirglielo vivo
e palpitante nella infinita
ricchezza delle sue
creazioni. Novello e arditissimo
Prometeo, il pensiero
del filosofo non
abbi- sogna d' alcuna scintilla: la
scintilla della vita
s' agita già vivissima nell'opera
stessa delle sue mani. Perocché quando il
pensiero abbia prodotto
l'idea dell'Assoluto, e'
tosto s'accorge d'aver
prodotto quello che
già e' era, quello
che è il
Fatto per eccellenza,
e che non
può esser fatto perchè
di sua essenza
è il Fare,
E così pure
ci accorgiamo di far
Dio con la
scienza e con l'
attività riflessa, solo perchè
è egli innanzi
tutto che fa
noi come potenza, perchè siamo
potenza, perchè siamo
termine del suo
atto. * glio tardi
che mai. GIOBERTI accenna una
sola volta (quant’io
sappia) al metodo eduttivo,
e lo fa
consistere nell* andare
dal particolare al
par- ticolare, dal generale al
generale (Protei). £
precisamente la funzione deduttiva
come la intende,
per esempio, Miìl.
La edu- zione di GIOBERTI f com*
ò eTìdente, non
ci ha t;he
vedere con la
nostra. ' Questa precisamente
è la facoltà
della quale, come
dice Cartesio, ci ha
saputo fornire la
stessa natura, e
con la quale noi, produeendo Videa di
Dio, conosciamo Dio.
(2Ve ossiano forme
dell" infinito, e disponendole
le conosce, e in questa
sua cognizione le fa, e
questa cognizione d' Iddio
è tvMa la
ragione della quale l’uomo
/m una porzione per
la sua parte,
E poiché l'Ente
è assoluta conversione
del Vero col fatto
interno (Generato) e
col Fatto propriamente
detto (Mondo), ne viene
che debb’essere altresì
conversione come pensiero
e come forza, come
Causa e Mente,
appunto percJiì unica
causa quella che
per produrre l’effetXo non%
ha di altra
bisogno ; come
quella la quale
contiene dentro di sì
gli elementi delle
cose che produce,
e li dispone,
e sì ne
forma e com- prende
la guisa, e
comprendendola manda fuori l’effetto, (Ved.
liisp. al Giom. de' Leu.). Per quanto
questo lingruaggio possa
sembrar vieto e
coperto di muffa scolastica, nullameno
tornerà agevole all'accorto
lettore potervi scorgere come in
germe la soluzione
positiva del problema
metafisico. In queste tre
usate e abusate
parole. Vero, generato
e fatto, abbiamo,
per così dire, i tre punti
ne' quali s*
imperna e gira
il processo idealo
che, considerato in se
proprio, costituisce la
dialettica discensiva. Qui
è la so- stanza, com' è
noto, e, sto
per dire, il
nocciolo della teorica
cristiana, ma ^levata al
supremo valor razionale
e speculativo oud'è
capace: ed è il
fine (chi ben
consideri la storia
della filosofia cristiana
e non cristiana, ortodossa ed
eterodossa) a cui
par che convergano
insieme e riescano
il Platonismo e l'Aristotelismo nello
differenti loro forme
isteriche. Sennonché si badi
a non pigliar
come ripetizioni vano
certe analogie e
somiglianze di H Vero
dunque è l'essere;
e cotesto essere-vero non sarebbe
tale, ove, anziché
identità sostanziale dei- Tessere
e del conoscere,
anziché assoluta unità
e assoluto monismo, non
fosse invece un'
essenzial dualità e
^nità, essenzial conversione del
soggetto con l’oggetto, e
quindi medesimezza e differenza
attuale. Qui dunque,
innanzi tutto, il nostro
filosofo corregge Aristotele
come quegli il quale
disconosce una condizione
eh' è l'interna necessità della stessa
natura dell'Assoluto. Lo
Stagirita pronunzia: ecTTtv >j
vó>?o"ec vovìtso; vó/jtc?.
Ma fo^c che l'
eccellenza del pensiero starà
nel pensar solamente
sé come sé,
e non anche sé
come altro? Una Visione
veggente Sé stessa non ^ un atto sterile e solitario? Vedere
non è anche operare? Pensare
non è generare?
Ov'è dunque il
gran linguaggio, che qui
il Vico potrebbe
aver con altri
filosofi. Mi spiego
subito. Per sant'Agostino, per
es., intelligibilità e
realtà si compenetrano insieme, e
danno luogo alla
natura assoluta formando
così il Vero-EnU fVed. SolU?(T«oc
proprio in sé, e
s' avvilirebbe: Tò
9st6xarov Y.ot.1 to'
rifxtwTatov vote, xa/ ou
fAsra^aXXci * «t;
;^«t/90v 7à/9 ^ /x£Ta6o>KÌ. Metaph. pensiero aristotelico
della facoltà che
pone il proprio obbietto e
se ne distingue
? E perchè,
mai non applicarlo anche all' Atto,
e soprattutto all'Atto?*
U Essere-Vero dunque è
mestieri che sia
anche Verbo, anche
Fatto intemo, anche Generato.
Che cos'è il generato?
Non è luce metafisica,
non è oggetto
indeterminato e primigenio posto da
natura, come nella
genesi psicologica; ma
è luce e colori,
è oggetto determinatissimo, perchè
è insieme la natura
e ciò che
è sopra alla
natura. È dunque
il diverso, il diverso
dell'identico; al modo
istesso che il vero
è l'identico del
diverso. Perciò è
l'intelligibile che, mentre adequasi
con l' intelligente, se
ne distingue. Perciò è
il pensante che,
convertendosi col pensato,
è pensiero, e quindi
è in sé
medesimo il trinuno.
Se dun- que l'Assoluto è
generazione e dinamismo
interiore, per ciò stesso
è Mente: prindpium
unum, Mens. Or
come potrebb' esser mente
senza esser cagione,
attività, energia,e quindi
idea, possibilità, relatività,
infinità, mol- tiplicità ideale? Ma
se qui il
nostro filosofo corregge
l'Aristotelismo, invera nel medesimo
tempo il Platonismo.
Il Generato del Vico,
in quanto è
termine di generazione
ad intra, è appunto
la benintesa idea
platonica. Cote$ta idea platonica non
è assoluta Unità,
né assoluta Moltiplicità. Ma, si
badi: il difetto
metafisico dell* Aristotelismo
non è tale
che 1* annnlli e
distrugga addirittara, ed
è appunto per
questo che Aristotele non potrà
esser mai in
etemo, né un
idealista assoluto, nò
un positivista, anzi così
egli si presenta
come una confutazione
parlante deir Hegella- nismo, e del Positivismo.
Voglio dire in
sostanza che il
principio metafisico dello Stagirita
non è, propriamente
parlando, erroneo, ma
incompiuto; e però è tale che
corregge benissimo sé
stesso. In che modo? Se l’Atto
ha da
esser davvero quello
che dice Aristotele,
ne viene che,
metafisicamente e
logicamente, è impossibile
un Actu» pwru»
ab^olute. Gli Alessandrini se ne
accorsero; e questo
è precisamente e
principalmente il lor merito
di fronte air
Aristotelismo. La verità
della Scuola d'Alessandria e dell’antico
neoplatonismo sta chiusa
in questo poche
parole: [0,in ptaiix JfiTai Twv
ci^wv xarà to
tv caurw voitjtov
o' vou?. Vod.
Proclo in Parm. Lo stesso
dicasi, come vedremo,
del Platonismo; e così
può affermarsi che
Tesigenza della correzione,
nel concetto metafi- sico deU'ano o
dell* altro sistema,
sia reciproca. in sè.
Non è l'identico,
ne il diverso.
Non è il
moto, ne la quiete.
È dunque l'una
e l'altra cosa
ad un tempo istesso. È
dunque il tò
E?a/yv>?; senza cui
ella riescirebbe affatto inintelligibile, e
assurda ; e
quindi ci significa
il Momento* nel quale
è insieme numero,
senza cessare d'esser altresì
unità essenziale: talché
costituendosi centro e circonferenza
ad un tempo,
rende siffattamente
possibile l'accordo de' contrari.* E
tale accordo sarà
pos- sibile a questo sol
patto : che
il Momento sia
non pur la Nó»Ttc
vóvjTswc dello Stagirita,
ma eziandio Mente,
e perciò Mente e
Verbo, Vero e
Generato, e quindi
fornito della virtù onde
lo fa ricco
il filosofo Ateniese.'
Così inter- pretando il to'
E^otéipvvjc (senza confonderlo
col fjura^y.l'kety che sarebbe
confonder la condizione
col condizionato, il Generato
col Fatto), non
verremo a contraddire al contenuto degl’altri dialoghi,
massime al Sofista
ove la natura dell'Assoluto
ci è determinata
come pensiero,^ come mente,
e perciò come
pienezza di vita
e d' asso- luta realtà.' FICINO traduce
1* 'E^ai^vvj^ per momentum
indimduum; mii in questa
parola e* è
qualcosa di più,
esprimendoci propriamente l’istantaneo ; ed
ecco perchè Platone
lo dice di
natura mirabile e
etrana: ^ tUTcc aroTróf
tc^. Partn., 155,
E; 157, B. *
*AjO ouv ìttì
to' (xxoTTtìv TOUTO,
sv w tÓt'
av ety?, ots
fiSTa- ^dXktfj Tò TToìov
5vi ; To' e^at^vyj?.
rò ydip i^at^vrjc
Toeòv^j ti Jfocxf a^juatvecv
wce? «xatvou ^«TaSaXXov
sìq ixoirspov, ov yxp
i'A ye
Tov io-Tavai sttùtoì
in asTa^séXXst, ou5'«x
tkj; kiwitsoì?
xtvovfx«v>ic «TI fj.tr OL^iWti' àW
Tn i5at^v«c auT>j
fvtriz oironóz Ttf iyìndBrirat
jExcTa^u tt^C xiv>jo'««c
rt y.olI «rTOCTEwc,
iv XP^'*^} orjSsvi ouTa,
xat te; TavTvjv
5vì xai e'x
TauT>JC to rs
xtvov'jEXffvov fjitra^oiWsi
ini tò éo-Tavai
xa« tò écTOc
«Vi tÒ xivelo'dae. Kcv^uvsùst. Kat
to ?v 5v7,
etnsp «a"Tv?x/ Te
xat xivjÌTat, /xsTa- 6a^^oi
av if éy.drtpOL'
fjLÓvwi ydp av
outo? àp^ÒTSjoa Trotot'y»* /xeTa6a).>ov 5'
sfat^vvjf /xsTaéai^ft, xac
ot£. /xsTa€a»e£, ev ou^evt
XP'^'^V *^ ^^^'j
ou5« xtvofT* av
tòts, ou5' àv
^rxirt. (Parm. 156., d.) *
Te 9: ;
TO 7t7vwTXJCvì5 to
yiyvtàTìLsv^^ai fCt.TS noinuoc
I Tra^o; :^ àfifòrspov;
-^ to' asv 7ra3-/?aa to'
^s 5aT£^ov; ì^
ttzv- TCCTra^tv ou5sTg/30v ouJiTfi^ov
TOUTwv ^fTaXau/Savsev* (Soph.) ^ '
Té dai itpò%
Atò;; wc a^>J'9'wc
x«vT7Ttv xat ^w>jv
xat >/'vxiQv xa* ^^óv>70'iv
tJ paSi(ùi 7re£j3>jo"ò|txjOa t«
TravTsXw; «?vti /x>: Ma
se r Idea
è il Generato,
e quindi rispetto
al Vero è il
diverso dell'identico (tò
jts^oov), ciò nondimeno
rav- visata in sé medesima
ella è un
possibile ; e,
in quanto possibile, è
anche il medesimo
d' un altro diveiso. Poiché se
di sua natura
eli' è possibile,
deve impor- tare una moltiplicità
opposta, estrinseca, reale,
deter- minata; deve
necessariamente importare il
diverso, il quale sia
tale, non solo
di fronte all' ofóro,
cioè rispetto al Generato,
ma anche in
sé stesso (tò
aXXo). E se non
includesse cotesto diverso?
Se non l' includesse, finirebbe d' esser possibile,
e negherebbe sé
stesso. Perciocché un possibile,
il quale non si potesse
mai recare ad
atto, evidentemente sarebbe un
impossibile addirittura, o al
più un
possibile infecondo e
fantastico. Laonde, poiché il generato é
infinita idealità, e
quindi infinita possi- bilità, però devesi
necessariamente convertire col fatto
: é si converte
in quanto lo
fa; si converte
in quanto lo pone.
Il Vico dunque
ha detto giustissimo:
Il Vero si converte
ad intra col generato, e
ad extra col fatto. Or
che cos' è
mai cotesto Fatto?
È anch' egli
il diverso dell' identico,
il diverso del generato
; ma é
il diverso in sé
proprio (tò a).Xo),
il mondo. Poiché
quantunque il fatto e
il generato sono
moltiplicità, nonpertanto l'uno
é , moltiplicità reale,
e 1’altro ideale;
talché se la
prima si 7r«/oetvac, innari K^v
aiiro ^>j5s (ppovelv
ùWoi (rtfj.'^òv zat
oiytov voùv oux f
§e twv 7r/)afg&)v xa^'
coìpidrMv xac à.'k'kri'Koìv
xotvwvta navrot^^v yavTa^ópsva no'kXd
yatvff^at Ixa^Tov. Qui
pare che r idea
8i divida, si
rompa, si spezzi
nella moltiplicità fenomenalef
e co- stituisca il positivo
del fenomoDO, ma
nella forma inadoquatadeir esten- sione: e siamo
quasi all'idea hegeliana
che passa ad
tsaer natura, che si
contrappone nella natura,
che jiiventa natura.
Perciò la metessi
de* pla- tonici mostra sempre
un carattere di
passività anzichò di
attività, ap- punto perchè viene
di su, mentre
dovrebbe partire di
gii, ed estrinsecarsi per opera
e virtù del
Fatto in quanto
è infinita potenzialità.
Questo ca- rattere passivo della
metessi platonica si
scorge anche, e
non dovrebbe, nel Parmenide di VELIA: tÒ
elvat ^Wo 7t
eTTtv ri p.:'0s5'C
ouTicz; ^era ^povoìj 70Ù
Tra/oovTOff. La metessi
dunque spiegherebbe troppo; perchè il
nesso tra l'idea
e la cosa
verrebbe ad esser
cotanto immediato, da non
farci discernere fra 1'
una e
l'altra nessun divario
essenziale; e così avremmo l’identità come
essenziale, e la
diversità come fenomenale. Or se
l'Assolato, perchè davvero
sia tale, ha
da ossero innanzi
tutto una conversione di sé con
sé stesso, deve
risultare indivisibile e
imparabile nella sua stessa
moltiplicità infinita: e
se il mondo
ha da essere
anche lui una conversione
di so con
sé, ne segue
ch'egli debb' essere essenziale moltij^icità, moltiplicità
in sé, diversità
in sé; tanto
che l'unità pro- gressiva, che in
lui si agita
e vive e
spicca sempre più
ne' diversi gradi della
realtà cosmica, sia
ben altra cosa
dell'unità che dimora
in seno all'assoluto. Dunque
il vero che si
converte col fatto, cioè
(per parlare il linguaggio
degli ontologisti) l' infinito
che pone il
finito è anche
finito, ma non si
confonde per vorun
modo con lui.
E non può,
per queste duo semplicissime ragioni: perchè, se
cosi fosse, ne'
due termini avremmo una
ripetizione sostanziale inutile,
e quindi potremmo
cancellar l'uno o l'altro
addirittura, e così
finirebbe per aver
ragione il panteista; e perchè un infinito
avrebbe a partorire-,
produrre o porre
un altro infinito,
e cosi negherebbe sé
medesimo. D'altra parte,
se il fatto
devesi convertire con sé
medesimo facendosi vero, cioè
facendosi infinito essendo
poten- Mialità in/inUaf non
per questo si
potrà credere eh'
ei si possa
identificar con lui, per
le due ragioni
detto poco fa.
Dunque stiamo contenti
al quia ! né
identità oMolutaf nò
aseotuta diversità, ma
conversione. E però
le idee platoniche non
sono da intendersi
né come 7ra/9a^u7/xaTa, né
come vov}^KTa, secondo che
vogliono due schiere
d'interpreti. Se fosse
così ne verrebbe, nel
primo caso, che
Vid^a dovrobb' esser
presente alla cosa
in maniera, che questa,
tanto nella sostanza,
quanto nel movimento,
tanto nella materia, quanto
nella forma, dipenderebbe
onninamente dalla prima, ed
altro non sarebbe fuorché
una semplice sua
copia; e allora non
avremmo bisogno d'un Dio
artefice, non del SnfAioxjp'yoi
del Timeo, non
del deus ex
macchina dall'ontologista, né della
magna Idea degli
Hegeliani. Nel secondo
caso poi r idea
sarebbe un termine
del soggetto, ma
un termine, dirò
così, meramente soggettivo: somiglierebbe quindi,
anzi 8areb))e addirittura pretare in
modo razionale e
positivo l' intuizione reli- giosa del Ternario
cristiano. La cognizione immediata
e divinativa, in
questo e in ogn'
altr' ordine di
conoscenze, previene, come
V om- bra la persona,
i portati della
speculazione metafisica.
Così prima ancora
che la Scuola
d' Alessandria si
pro- fondasse nelle ardite e
vaporose elucubrazioni su la
triplice ipostasi Plotiniana,
il mistero della
Trinità alberga di già
nella coscienza popolare
siccome oggetto d'
intuizione, e cominciava
a rivestir forma
e valore dommatico mercè
la Riflessione teologica.
L' assoluto è uno e
trino; è trinuno:
e noi ormai
lo sappiamo.* Ma è
egli un trino
ipostatico? E qual
n'è l'essenza? L'assoluto importa
tre ipostasi: ecco
il mistero, ed ecco
la fede.^ Quanto
a determinarne l' essenza,
la spe- culazione
occidentale, anche sotto
forma di speculazione teologica, non
poteva non interpretare
le divinazioni altrettanto spontanee
quanto ricche e
feconde della coscienza orientale
essenzialmente religiosa, con
l'in- V inteìligìbile del
Dio aristotelico, con l’intelllgrente formerebbe
identità essenziale; e allora
le idee non
sarebbero essenzialmente relative
quali appunto sono richieste
dall' economia del sistema
platonico, e T
esigenza vera e giusta
della metafisica platonica
sparirebbe. Dunque cotesto
idee plaioniche come s'hanno
da intendere? Le
idee platoniche sono
T'Egac^v;? stesso, ma concepito
come essenzialmente relativo
&\VaUro, ma iiValtro
non già come tò
trspoif puro, assoluto,
bensì come 70
ìrspov in quanto
abbia un riferimento necessario
al rò àWo,
A questa maniera
non è altrimenti vero che,
accettando le idee
platoniche, debbasi accettare
altresì la dottrina dell' avajtzvYiTcCt come
han detto certi
critici moderni: e neanche
si è costretti
ad accettarla> nelle
forme nuove ond'
è stata presentata da'
moderni neoplatonici, dal
Malebranche fino al Mamiani.
« SiMOX,
ffitt. de l’Ecole
d'Alex. Il tre è
il numero che
assolve tutte le
condizioni della perfeziono, ed è
perciò che tutto
è definito del
tre: to' Tràv
y.(xt to Travra
rof; TùtTiTt (fìptfTTat (Arist.
De Coelo). Vedi
le belle riflessioni di GIOBERTI sulla
Trinità considerata razionalmente
{FU, della Rivelaz..,
XVIII) e di ROSSI (Regno
di Dio naturale,
ecc. li Studi
di Zocehif) ' Prendiamo
la parola tpostcm
nel significato:' istiano
non già nel senso
neoplatonico e alessandrino. dirizzo, al
solito, dell' Aristotelismo e del Platonismo. Il peripatetico
nominalista ripone la
divina realtà ed essenza
nelle triplicità di
persone, e riguarda
l' unità come un puro
nome. Tre sostanze
indipendenti e separate, ma
congiunte in unità
mentale. Perchè congiunte? Perchè fomite
d' egual potere, d' egual
volere, d' egual conoscere. Il
realista platonico, per
contrario, vuol far consistere l'essenza
divina nella realtà
in quanto è unità
determinantesi nella triplicità
di persone. Agli occhi
del primo, dunque,
l' Assoluto è il tre in uno: agli occhi del
secondo è l’uno in
tre: ecco la
lotta interna della riflessione
teologica del medioevo. Ora
giusto perchè questa riflessione
è di natura
teologica e dommatica, avviene eh'
ella non supera,
non può superare
il senti- mento, né trascender
l'intuizione, né solvere
il mistero, né disimpacciarsi dall'aperta
contraddizione. Laonde
Nominalisti e Realisti
vecchi nuovi, avvegnaché
discordi nella maniera di
determinare l' essenza del
Ternario cristiano, non sanno
rimuoversi d'una linea
dall'inse- gnamento dommatico
su l' unità assoluta
nella separazione delle
tre persone. Se il
ternario cristiano, in
quanto germina dall'in- tuizione rehgiosa, è come
l'immagine anticipata della ragione, in
esso deve acchiudersi
un vero che
la ragion filosofica dee
saper disvelare, correggere
e legittimare. Questo vero
non risguarda già
l'unità nella triplicità ipostatica: riguarda
il trinuno assoluto,
l'assoluta tri- plicità
considerata, come abbiamo
toccato, nella medesimezza di subbietto. Perocché l' unità
di sostanza mai non
tornerà conciliabile con la pluralità di persone; e se
così non fosse,
il panteista avrebbe
già trionfato nel regno
della scienza, né
io davvero so
dirmi che cosa mai
potrà rispondere il
sottile teologo all'arguto
hegeliano, il quale pretende
precisamente questo: che
la diversità delle persone
non dimostri nuli'
affatto la pluralità delle sostanze.
Il perché pigliando
alla lettera il domma
della Trinità, la
teologia cattolica non si
salva dal precipitare
nel tenebroso vuoto
dell' assoluta identità. Il contenuto
del ternario cristiano
adunque ci significa le
tre primalità del conoscere, del
volere e del potere, ma
nella relazione del vero
che, convertendosi con sé
medesimo, diventa generato, e,
come generato, come verbo, è infinita
idealità e possibilità
del Fatto. Interpretandolo così
accade che l'intuizione
religiosa, generatasi per leggi
inerenti allo stesso processo psicologico, rinverghi col
concetto metafisico a
cui può elevarsi la
ragion filosofica positiva;
e quindi può
dirsi che, come la
religione è il
preludio naturale e
neces- sario alla filosofia, di
pari modo la speculazione
meta- fisica sia la interpretazione critica
e Tinveramento delle intuizioni spontanee
e comuni della
coscienza religiosa. Il cristianesimo è
la religion razionale
per eccellenza, e con
essa oggi chiudesi il
corso e ricorso
delle creazioni propriamente mitologiche
e delle grandi
rivelazioni e divinazioni religiose.
Ed è razionale
perchè è in
sé me- desima processo, e
svolgimento. Che se
anch' ella come tutte
le manifestazioni della
storia é un
processo, é mestieri applicare
ad essa la
universal legge storica
e sociologica della Scienza.
Guardata infatti nella
sua storia ideale, anche
la religione é
innanzi tutto divinay indi
eroica, appresso umana.
E giugne ad
essere umana quando la
forma siasi potuta
elevare a cotal
grado di trasparenza, che il simbolo
palesi da sé
medesimo l'idea, e il
mito siasi venuto
elaborando così che
rac- [Non poco 8*
illudono perciò quo' filosofi
ohe, come il
Cusano fra gli antichi
e il Rosmini
fra i moderni,
si sforzano d'applicare
a Dio il
concetto delle categorie col
fine di spiegarsi
in qualche maniera
il mistero della Trinità. Io
potrò intendere il
Cardinal di Cusa
dove mi dice
che Unitcu, Iditas e
Identità siano quasi
i tre momenti
dialettici interiori dell’assolato. R potrei
forse intendere il
Roto retano quand'ersi
studia mostrarmi che Realtìk^
Jdeaìità e Moralità
sieno le tre
forme in che
si determina l'essere. Ma
come intenderli quando
il primo d'essi
afferma che Vvnità è
il Padre, Vegtiaglian Ma il
Figlio e la
connessione lo Spirito,
e quando il secondo
applica alle tre
persone quelle sue
tre sparute /orm« ontologiche
f chiuda un vero
metafisi(X) o morale
che sia. Or
se è tale il
valore del sentimento
religioso nello svolgimento isterico della
civil società, perchè
dirlo morbo della mente,
fiacchezza della coscienza
volgare, abberrazione della fantasia?
Se dunque la
ragion filosofica vorrà attingere anche
qui forma razionalmente
positiva, ella vi potrà
giugnere a questo
sol patto; che
il concetto metafisico ond'
è capace, non
abbia a contraddire
in modo assoluto ai
portati della coscienza
religiosa. £ se la
religione dal canto
suo vorrà essere
anch' ella positiva e
razionale e perciò
rispettabile e santa,
potrà essere tale a
questo sol patto;
che sappia porgersi
alla ragion filosofica siccome
riprova e guarentigia,
tuttoché di natura istintiva
ed empirica, ai
pronunziati della
speculazione metafisica. Anche
qui regna la
gran legge del concorso
di forze combinate,
e del loro
corrispon- dersi tanto
necessario alla eccellenza
del risultato. E in
tal caso
religione e filosofia,
serbando entrambe valor positivo e
medesimezza di contenuto,
formeranno un criterio al
cui lume potrà
esser giudicata ogn' altra filosofia e
religione. Una critica
religiosa che si
diparta da questo principio,
sarà critica infeconda
ed erudita, com' è
quella de' Teologisti
cattolici, ovvero critica
esi- ziale e sistematica com'
è quella de'
mitologi hegeliani. Tal si
è precisamente il
nostro concetto metafisico rispetto al
ternario cristiano, che
è il mistero
piii com- prensivo cui abbia
saputo elevarsi la
coscienza religiosa. L'uno è
correzione dell'altro, al
modo istesso che
questo è, per così
dire, guarentigia sperimentale
del primo.' * Qui
abbiamo dovuto accennare
solamente al simbolo
della Trinità, ma nella
Sociologia mostreremo di
proposito come la
dottrina del Vico su
la natura ed
origine del mito
in generale, sia
fondata anch'ella nelle
leggri del processo psicologico,
e quindi racchiuda
il concetto e
la necessità della interpretazione morale
nell'ordine delle intuizioni
religiose, e mitologiche; deHa qual
necessità il Kant,
dopo Vico, ebbe assai
chiara coscienza {Rdig, daiu
le» lini, de
In raiton). Ora
ciò che qui
preme osservare questo: s^
col concetto metafisico
del nostro filosofo
si può acconcia- mente interpretare il
simbolo del ternario
cristiano, ne scendono
due Concludiamo. Se è vero che
la metafisica è
scienza non assoluta ma
dall' assoluto, stantechè
sia possibile attinger notizia
razionalmente positiva circa
il fonda- conseguenze: P che il
Libro Metafisico f nel
quale troviamo depositato il
germe del concetto
riguardante il procesto
ideale, sia intimamente
col- legato con la Seiema
Nuova, appo cui
la teorica sul
mito (superiore sotto più
riguardi, come vedremo,
a quella de*
mitologi e filologi
Tiventi), non è che
un' applicazione della
sua dottrina psicologica,
della quale noi ahbiamo
svolto i tratti
principali: che interpretando
col suo concetto metafisico il
simbolo cristiano, in
generale, e, in
particolare, quello del ternario,
si viene a
contraddire in modo
serio e positivo
al panteismo. Anche per
gli Hegeliani il
mistero della Trinità,
come ogn' altro
mistero, shnboleggia una verità
filosofica. (Heobl, Phil.
de VEaprit, ItUrod. del
Vera); nel che
siamo perfettamente d'accordo.
Ma l'interpretazione alla quale
costoro sottopongon la
simbolica religiosa, anziché
legittimare in qualche maniera
la credenza elevandola
a significato filosofico,
l'annul- lano addirittura,
perchè la rendono
assai più inintelligìbile e
parados- sastica ch'ella stessa
non sia come
credenza. Idea, Natura
e Spirito: Padre, Figlio
e Spirito Santo!
Ma che cosa
ci ha che
veder la Natura? Non
è egli questo
precisamente ìl vecchio
concetto degli Alessandrini,
di Plotino, che pretende ritrovare nel
Parmenide di VELIA le tre
famigerate ipo- stasi dell' Unità,
del Multiplo, e dell’Unità-multiplo, riponendo
quest'ultimo appunto nell'anima e
nella natura V (Enn.,
tBoulliet). L' interpretazione
davvero potitiva e non già
fantastica del contenuto religioso, non
deve e non
può contraddire al
simbolo (almeno per
quel tanto che esso
contiene di filosofico),
perchè contraddirebbe alla
stessa ragione. Or quest'
elemento di verità,
contenuto germinalmente nel
sim- bolo cristiano,
riguarda per appunto
il ternario considerato
in sé; riguarda il
ternario assoluto, il
ternario com'è richiesto
dall'esigenza metafisica
positiva, e non
già il ternario
trasportato anche nel
processo della natura, e
nello svolgimento della
storia. Questa enorme
confusione fanno i Teologi,
e la fanno
anche gli Hegeliani
con la lor
teorica e critica della
simbolica cristiana. Che
cos' è il
Dio che eeende
nella natura? Che cos'è
il Figlio che
si parte dal
Padre per umanar»if
Che cosa mai sono
il popolo eletto,
i profeti, gl'ispirati,
il mondo latino-cristiano? E che
cos' è la
Idea che dall'
astratta mansione dialettica
scende anch' ella e
passa mediandosi nella
natura e penetra
nella storia? Che
cosa sono \6 funzioni
storiche speciali de'
popoli privilegiati, àQ*
privilegiati perso- naggiy del
mondo cristiano-germanico? L' Hegolianismo è
davvero una contraffazione del
più grossolano Cattolicismo!
ò una mitologia
anche lui! E quanti
punti di contatto
anche in questo,
e specialmente in
que- sto, con la dottrina
sociologica dei Comtiani! VERA ha
detto bene: il positivismo
i una contraffazione dell’Hegelianismo. E
noi alla nostra volta
crediamo dir benissimo
(col permesso dell'
illustre traduttore) che r
Hegolianismo è una
contraffazione evidente del cattolicismo. Ma
di ciò basti: ce ne rifnrorao
altrove più riposatamente. mento e
la ragion delle
cose; se è
vero, d'altra parte, che
il significato esteriore
della storia della
filosofia occidentale sta nella
lotta fra il platonismo
e l’aristotelismo, mentre il
significato interno ed
essenziale di essi risiede
nella correzione vicendevole
de' due estremi indirizzi aristotelici
in quanto concorrono
al trionfo dell'indirizzo medio: ne viene che
nel concetto del processo
ideale e
nella relazione de'
tre termini costituenti la dialettica
discensiva che abbiamo
sin qui rapida- mente interpretata nel
nostro filosofo, trovasi
non pure il risultato
e insieme l' inveramento delle
tre posizioni unicamente possibili
in metafisica delle
quali altrove toccammo, ma l'
inveramento altresì della doppia
esigenza deU'ùZga platonica
e della categoria aristotelica. Trovasi
la correzione, come
ci sarà dato meglio
vedere fra poco,
del Dio platonico
previdente e provvidente, e
dell' immobile Dio
aristotelico che nulla vede,
nulla prevede e
niente provvede nel
mondo. E per tutto
ciò troviamo l'accordo
fra il principio
della medesimezza che prevale
nel padre della
Dialettica, e'I principio della
diversità che predomina
nel padre della Metafisica. Cìotesto
accordo per noi
è vero accordo, è vera
conciliazione, appunto perchè,
come dicemmo, è vera
correzione: correzione dell'Idea,
dell'essenza che, pur sparata,
dovrebb' esser l' essenza della
cosa: correzione dell' Ji^o il
quale, non ostante
l'assoluta immo- bilità sua, dee
muovere il mondo
come causa finale. Quest'accordo e questa
correzione trovano lor saldo fondamento nel
criterio della Conversione,
elevato a dignità di
Pilicipio metafisico. E questo
medesimo principio metafisico
può e deve assumer
natura, come si
disse, di principio
speculativo, di norma, di
criterio essenzialmente isterico,
universale e comprensivo, a
poter saggiare e
acconciamente pon- derare la verità
delle soluzioni che
intomo al problema metafisico han
dato le diverse
scuole, e le
differenti filosofie. Se ci
fosse dato fermarci
in siffatti riscontri storici, non
sarebbe guari difficile
mostrare come in esso
trovi correzione, per
dir qualche esempio,
1’Ales- sandrinismo; il cui rappresentante, Plotino,
interpre- tando erroneamente
il metodo dialettico
di Parmmide di VELIA e
abusando dell' Unità
parmenidea, non potè
coglier la ragione del
vincolo che insieme
annoda i suoi
diffe- renti generi del sensibile,
co' suoi generi dell'intelligi- bile, e siffattamente
sfumò nell'iperpsicologismo plato- nico pur credendo
d' inverare l' Aristotelismo.
Questo vincolo e questo
passaggio non potè
scorgere l'ingegno profondo
d'Erigena con l'ardito
concetto della yuVic
e con le quattro
diverse maniere onde per
lui s'attua la Natura;
poiché giunto all'assoluta
essenza, com'è noto, ei se ne
ritrasse invocando in
sussidio la teologia rivelata. Né il
Cusano, per citare
un esempio del rinascimento,
tuttoché con mirabile
acume giugnesse a cogliere
il concetto àéìT
alteritcLS e delle
determinazioni dell'Assoluto,
bastò a dedurre
acconciamente e neces- sariamente l'attinenza verace
onde il mondo
è a Dio congiunto,' e
anche lui finì
con intender l'atto
crea- tivo al modo che
è posto dalla
coscienza religiosa. Tanto meno
l'arditissimo BRUNO puo
imbroccare nel segno,
con la dottrina de'
tre intelletti, quant' all'attinenza tra
l'intelletto divino e l'intelletto
che tutto fa; e
quindi sfumò in quel
suo naturalismo che
potrebbe dirsi un aristotelismo cui
manchi il concetto
dell'Atto in sé. Né
il Campanella giunse
ad applicare in
maniera dialettica le sue
tre primajità psicologiche
all' Assoluto,' come
il Vanini non superò
guari la dottrina
della natura e della
forma de' peripatetici. Nello
Spinoza poi, meglio che
dialettica, ci è
meccanica e geometria;
poiché il concetto della
sostanza unica' è
negazione della tripli- *
Simon, BUt. Haubiau,
PhU. Sool. ' Nio.
DB Cusa, DicU.
cU Pot§e9t. * Bbono,
Dial., De Prine.j
oc. Camparblla, MetapKt SpurosA,
£th.t I, n.
U, cita e d'
ogni processo intimo
e dinamico nelP
Assoluto ; onde il
pensiero, che è
uno de' due modi
universali della sostanza, riesce,
con evidente assurdo,
molto piii che non
sia la medesima
sostanza. In opposizione
alla sostanza spinoziana sta
la monade del
Leibnitz. Ma se nel
concetto monadologico del
filosofo di Lipsia
vi è una divinazione
originale che la
scienza moderna è ve-
nuta semprepiii confermando, voglio
dire il concetto
di- namico, niun vincolo razionale
e dialettico esiste
tra la gran Monade
e T universo
delle monadi, come
altrove dicemmo.' E per
toccare finalmente de' moderni,
niuno, tranne gli adepti,
vorrà creder sul
serio che Hegel
col suo ternario assoluto
ci abbia dato
un concetto meta- fisico positivo. Egli
anzi ha cancellato
aftatto il concetto della conversione
ad intra^ riducendo
siffattamente il dinamismo ideale
ad un ideale
meccanismo; talché il processo
geometrico della Sostanza
spinoziana avrebbe più d' un' attinenza col
processo formale e
dialettico dell'Idea
hegeliana. Alla vera
nozione del processo ideale non
sono pervenuti poi né GIOBERTI,
né SERBATI. Il principio
ctisologico del primo
è senza dubbio un
processo, come vedremo
fra poco: ma,
appunto perchè processo, non
dovrà supporre forse
un altro processo
ante- riore, e superiore? La
dialettica giobertiana é
Una dialettica a metà;
e il creatore
del filosofo subalpino
è troppo accosto al
suo concreatore, alla
sua iitBì^ic^ al
suo Intel- ligihile relativo
che, coni' egli
dice, è l' Idea
redw^ata, V Idea per soìiificata; talché
potendovisi facilmente con- fondere, non poteva
àgli hegeliani riescir
guari difficile tirarlo all'
Idealismo assoluto.' Il
Rosmini finalmente, col concetto
dell' ente iniziale
e comunissimo determi- [Vedi ciò
che abbiamo discorso
del Leibnitz e
se^. Gioberti, FU, ddla
Rivdaz. Al GIOBERTI manca
e deve mancare,
come vedremo fra
poco, il vero concetto
della dialettica; e
Io confessa egli
medesimo là dove
si prova a distinguere
una dialettica interiore,
ed una dialettica
esterna (Protologia) nantesi
nelle tre forme
dialettiche, non è
giunto, e non poteva
giugnere neanch' egli
a sciogliere e
poi rilegare il vero
nodo dialettico. Com'è possibile
un processo fra quelle
sue tre forme?
Com'è possibile la
distinzione categorica reale del
suo essere? Le cose
discorse ci menano
a due conclusioni
quanto chiare, altrettanto
irrepugnabili: P L'assoluto è il vero
che si
converte ad intra
col generato , e ad
extra col Fatto: dunque
la posizione del
Fatto è razionalmente, liberamente necessaria:
2** U Fatto è V
aUrOj è il di-
verso: ed è tale
per doppio rispetto;
come termine ^05^0, cioè come fatto
semplicemente detto, e
come fatto che si
fa; come sostanza
e come causa: dunque
il fatto è estemo al
Generato, è indipendente
da lui, non
come termine posto, bensì
come Fatto che
s'invera, come Fatto che
si converte con
sé stesso e
perciò nel vero; insomma come
sorgente perenne d'attività.
Diciamolo in altre parole.
Dio crea il
mondo in quanto
lo pone; e il
mondo, in quanto
è posto come
fatto, si crea.
11 mondo, adunque, appunto
perchè ha natura
di Fatto , appunto perchè
ha natura di
altro sotto gemino
aspetto, è insieme posizione
e creazione. È
posizione, in quanto è
termine di conversione
con l’altro, ciò è
dire con Dio :
ed è
creazione, in quanto è
subbietto di conversione
con sé e per
sé medesimo. Perciò
se il Fatto
non è creato ma
è postOy ne
viene eh' egli
ha da essere
il vero pònente,
il vero creante
sé medesimo. SERBATI, Teotojia. La parola
ponzione è brutta,
io Io veggo;
ma qui non
saprei come dire dÌTersamento
per non restare
avviluppato negli equivoci
ed esagerazioDi in che sono
caduti gli ontologisti
con l’uso ed abaso
deUa parolA Il mondo
nel processo cosmico
ci si presenta
sotto tre aspetti. Riguardato
come Fatto, egli
è in Dio.
Riguardato qual fatto che
s'invera e converte
con sé stesso, è
fuori di Dio.
E, finalmente, considerato
qual Fatto che si
converte col vero
nel regno della
storia e della
psico- logia, non si può
dir propriamente eh' e' sia
fuori di Dio né
in Dio, ma
Dio è in
lui: é in
lui nel senso che il mondo
è pensiero, scienza.
Ecco la correzione e
insieme l'accordo del dualismo
e del panteismo. Non vi é
unica ed
assoluta sostanza: né
vi sono due sostanze
poste empiricamente. Vi
è bensì una
dualità formante unità: vi
é due sostanze
formanti organismo.
ertaMÌ4me. Nel g^reco
non ini pare
ci sia una voce che
possa rendere il
concetto: anzi non ci
può essere^ chi
consideri come al
pensiero ellenico manchi r
idea alla quale
accenniamo. Tra l’Atto puro
e la dateria
prima deir Aristotelismo non ci
è vincolo nel
signifioato di potìnofu;
ma t* è
solamente relazione di finalità,
perchò VAtto non
pone, ma attrae;
e attrae la
materia in quanto essa
è jiotoiua, cioò
in quanto è
opi^i; e però
in quanto nelle cose
Tiene inserito il deeiderio
con perpetua in/ueion%
che è 1’interpretazione erronea de’vecchi
aristotelici e antiaristotelici
(Rjlvaisbok, Metaph, ec.
Neanche nel Platonismo
ci è V
idea della po- sizione, e quindi
nò pur la
parola che vi
risponda ; essendo
noto come pel filosofo
d’Atene la materia
sia anche eterna
e al tutto
indipendente dal- l'ùlea, cioè
un'assoluta recettività, iimeno
intendendo Platone come
si fa d'ordinario: nò
poi la fii9t^i^
e la yLl^junii
come toccammo, bastano
ad esprimerci il concetto
della conversione. Il
pensiero ellenico dunque non
pervenne a determinar
nettamente l'attinenza (originaria,
non finale) tra l'indeterminato e
l'Idea, tra l’infinito e
il finito, tra la forma
e l'Atto; e quindi
non riusd, com'ò
noto, a superare
il dualismo. Ora trascendere il
Dualismo è uno degli
aspetti e però
uno de' fini
della lotta fra il platonismo e l’aristotelismo. L'alessandrinismo tentò
superarlo, ma evaporò nel
concetto dell' identità
assoluta: e però
neanche presso gli Alessandrini sarebbe
facile trovare nò
il concetto, nò
la parola che
significhi '1 vincolo
originario tra il
mondo e Dio.
Gli Hegeliani usano anch'essi, fra
le altre non
meno brutte, la
parola poeizione, che
anzi costituisce il lor
pane quotidiano. Ma per l' Hegelianismo poeizione
vale determinazione,
medùizione, compenetrazione; e
perciò, checché ne
dicano, esprime un rapporto di
natura, per cosi
dire, meccanica e
formale. La nostra posizione è
diversa dalle loro quanto il
nostro generato dalla loro Idea;
quanto la nostra
convereione dalla loro
contrappoeizione^ negazione, med̀tzione
e che so io. fe inutile
avvertire che le
parole bara, asa,
vasàb della letteratura ebraica,
esprimon tutt'altro concetto di
quello che noi intendiamo significare
con la parola
poeizione. Quest'organismo è vita,
non è morte fqueet'
organismo è profondo dinamismo,
non è meccanismo.
Ed è vita e
dinamismo, perchè non è monismo
assoluto; non è
monismo inintelligibile,
assurdo, esiziale alla
scienza come alla civil
società. E qui ci
corre il debito
di rendere giustizia
alla mente straordinaria di
GIOBERTI, e correggere
nel medesimo tempo la
sua formola ctisologica.
Anch' egli è tal pasta
d' ingegno che si
svolge e s' allarga
e s' in- vera e si
corregge; ma non
per questo si
contraddice. La novità della protologia non
istà nel concetto
del creare inteso come
divenire, secondochè vorrebbe
Spaventa. Se così fosse,
egli, in verità,
non avrebbe detto nulla
di nuovo; come
nulla di nuovo
disse nella Introdu' jrìone col
rinverdire la vecchia
idea della creazione.
La novità .vera, la
nuova esigenza del
filosofo subalpino sta nel
concetto della concreojgione, com'
ei suol dire
; della cancrecunone intesa
non già come
fxsOf5«; dell'Idea verso il
mondo e rispetto
al mondo, ma
si del mondo
verso r Idea, e rispetto
all'Idea. Perciò l'ontologismo giobertiano
va corretto; va
fatto più conseguente
con sé stesso:
e, scambio della
celebre formola dell'
Ente creante l' Esistentey è
forza porre la
formola metafisica di Vico nella
quale è racchiuso
quel vero e
compiuto dialettismo che r
ardente scrittore del primato anda
sempre cercando con ansia
febbrile, e non
trovò mai :
cioè il vero che,
convertendosi ad intra
ed generato si converte
anche ad extra col fatto. La
sua formola teleologica,
poi, vuol essere anch' ella
corretta; e invece
d'aflFermare che l’esistente ritoma alV
ente (prima maniera),
o che l’esistente concrea Venie
concreando se stesso j
è d'uopo dire
che il Fatto si
converte nel vero e col vero, e
perciò si crea, e
perciò si fa
divino. Il concetto ctisolo^'oo
di GIOBERTI della prima
maniera (e dico marnerà
per dir forma
nello stiluppo, non
già diversità di
contenuto nella sua dottrina,
come Terrebbero gli Hegeliani),
sta nel presentar
V atto crea- tiro
siccome prodaconte T
esistenza in quanto
la individua. Nella
Intro- Mi si chiederà
: la seconda
forinola, la formola
cos- mologica esprimente il vero
concetto della creazione, cioè il
Fatto che si
converte nel vero, esiste
ella in Vico? ' Esiste,
io rispondo, per
chi la sappia
ritrovare, e dedurre
; e dedurla e
trovarla è negozio
agevolissimo. Come la si
deduce? Considerando con
accuratezza la sua
formola metafisica. Quando egli
pone il fatto siccome
termine di duzione il
creare suona, a
dir proprio, individuare.
Che cosa in£atti
ò r individuo ? È l’dea
pasMta dalla potenza
alTaUo. Qui t;* ò
dol neoplatonismo, e
anche buona doso
di panteismo. Della
prima maniera altresì è
queir afTermare con
tanta sazietà che l’uno
crea ti mi«l- tiplof
e che ii
tntdtiplo ritoma aU^tmo:
concetti yaghi, indeterminati
ed erronei che ci
fanno pensare a
Proclo e a
Plotino. Se il GIOBERTI fosse rimasto
qui, non sarebbe
stato ingegno potente
ed essenzialmente cor- rettivo di sé
medesimo. Non sarebbe
stato ingegno progressivo,
fecondo ed esplicativo. Ma se
nella protologia fosse giunto
al concetto del
divenire, più che esplicarsi
e si sarebbe
data la zappa
su' piedi; si sarebbe
cod- tradetto: sarebbe passato
dal bianco al
nero, dal no
al sì, da
Dio alla Idea, e
siffattamente sarebbesi mostrato
ingegno leggiero, pensatore
sghengo e anche un pò
vanesio. Era egli
tale T ingegno
del GIOBERTI? Lo
dica chi può! Dunque
l' A. della Protologia,
se per nostro
conforto fosse vissuto, non
sarebbe divenuto Hegeliano;
anzi avrebbe inaugurato novello
periodo filosofico in Italia
conforme all'indole di
nostra mente; ciò
che non ha fatto,
e non poteva
faro MAMIANI. FERRI ha
detto benissimo: la teconda
JUoaofia del GIOBERTI {che
racchiude non già
un nuovo 9Ì9tema,
eibbene uno epirito
nuovo)^ inaugura un
altro periodo, la
cui aorte i
rieeronta al futuro (Hist.).
E davvero, se
fosse vissuto, ci
avrebbe dato un Btnnovn mento
filosofico, al modo
stesso che ci
dìo il rinnovamento civile col
quale inaugura la nuova
ITALIA, e del
quale Cavour, dovremmo
es- serne ormai convinti, non
fece che attuare
il programma. Ciò
non pertanto anche nella protologia si
scopre l'uomo vecchio,
VintuitUta, e però
il neoplatonico schietto. Non
dubita affermare, per
esempio, che Videa
pone il finito, e
8i COMUNICA): che
le idee formino
in Dio una
gela, la quale 9Ì
«quaderna e pa^aa
dalV as9oluto ed
relativo merde V
atto della creazione:
che l’infinito attuale e l’infinito
potenziale, anziché due
cote, formino una sol
cosa, ma sotto
doppio aspetto: e
che l'infinito potenziale
non è né
il finito né 1’infinito,
ma la
sintesi di essi,
non {scorgendo il
grand' uomo come
finitò, e infinità potenziale
non siano già
due cose, ma
due aspetti d*un
medesimo subbit'tto, ciò è dire il fatto
in quanto è
alterità verso il
Generato, e verso se stesso. Or
le contraddizioni da cui bisogna
salvare il Gioberti nella sua
seconda maniera di
filosofare sono queste,
non quelle che ci
veggon gli Hegeliani.
E bisogna salvamelo
appunto, per liberarlo
dalle tracce d’iper-psicologismo, di neo-platonismo, di
alessandrinismo, d'arabismo
e d' hegelianismo che
pure contiene. conversione col
Generato, cioè il
Fatto come Fatto,
come posto; con ciò
stesso ei ci
dà questo Fatto come
sub- bietto che essenzialmente si
converte con sé
medesimo ; cioè come
creante sé, come
autogenito, come conato,
E come poi ritrovarla
cotesta formola? La
ritrova chi abbia occhi
in fronte ;
cioè leggendo la
Scienza Nuova. La quale
è per l'appunto
un'applicazione di essa,
ma è un'ap- plicazione al mondo
de' fatti umani, eh' è
dire d'ima parte, d'un
genere, del sommo
genere del Fatto.
Che cos'è il Certo
che diventa Vero?
Che cos'è V Autorità che a
grado a grado
assume forma e
valore di Ragione? Che
cos' è la
Filologia che diventa
Filosofia? Che cos'è la
storia, l' uomo, lo
spirito che dalla
fase divina passa alla
fase eroica, e
dall'eroica all'wwana. Che cos'è
il pensiero, la Mente
che è Senso
poi Immaginaeione e poi
Ragione? Taluno potrebbe
dire: di cotesta
formola Vico non fece
applicazione al mondo
della natura. Neanche questo
è vero. E
non vero, i)erchè
non solamente quest' applicazione
ci è dato
dedurla, al solito, dal
suo principio metafisico,
ma, che più
rileva, ei n' ha
lasciate tracce visibilissime, germi
assai fecondi ne'
suoi principii cosmologici,
come vedremo appresso. Torniamo al proposito. Dato alla creazione il significato
e il valore
che noi diciamo, ne
vengon fuora parecchie
conseguenze le quali verremo
accennando man mano.
La creazione non
è, per parte di
Dio, né una
deduzione, per dir
così, né un' in-
duzione. Per dedurre il
mondo, egli dovrebbe
cavarlo da sé: assurdo
grossolano. Per indurlo,
poi, dovrebbe cavarlo da una materia
preesistente, ovvero dal
nulla. Una materia preesistente
senz' alcuna idea,
un ricettacolo
indeterminato, come lo
concepisce il Platonismo, riesce inintelligibile, e ci lascerebbe
in pieno dualismo. Dal
nulla come tale,
nel che sta
il concetto balordo
dal pietoso credente, tanto
meno. Si dirà
esserci la potenza Vedi a questo proposito
quel ohe abbiamo
discorso nel Cap. V
del Ub.
U. infinita attuale? Benissimo:
quest'Atto ha da
esser Oenerato; e,
in quanto è
Generato, pone il
fatto, educe il
fatto per necessità razionale,
e quindi per
legge di conversione. Se dunque
lo educe per
necessità intima e
razionale, veggiamo scaturire
una seconda conseguenza,
ed à che un
mondo particolare, contingente
e d' ogni parte
finito e mutabile e
scorrevole, senz' altra
necessità fuorché quella d'
un beneplacito divino,
contraddice apertamente alla ragion
filosofica positiva, nonché
ai risultati sicuri
della moderna scienza fisica,
geologica, cosmologica, astronomica. Se il
mondo, anche in
sé medesimo, é
una conver- sione di sé con sé
stesso, non può
non esser necessario nella sua
esplicazione e nelle
sue leggi, appunto
perché essendo termine di
conversione d'una causa
eh' é men- te, debb' essere
anche lui causa,
mente, razionalità. U mondo,
in somma, é
posto razionalmente. Dunque
Tatto col quale Dio
pone cotesto mondo
é liberamente neces- sario, e necessariamente libero. Dicemmo qual
relazione corra fra
libertà e ragioue. Se
Tatto volitivo guardato
nella sna radice, secondo
la legge del
processo psicologico, non è
altro in generale
che uno «/orso
(Tintenderef cotesto sforzo, che
in noi ò
impedito perchè essenzial
conato, nelP Assolato
non può aver luogo,
e quindi è
speditissimo. £cco il
fondamento della necessità della creazione.
Ma la sapienza
infinita! si dirà:
chi ne misura
gli abissi? Lasciamo gli
abissi: qui la faccenda
è chiara, perchè
ce ne porge
guarentigia la psicologia: gli
abissi ci sono,
pur troppo, ma
non qui ;
e qui ci sono,
perchè ce Than messi
l’ignoranza, il pregiudizio
e l’immaginazione. Nò si
creda che togliendo
a Dio la
libertà (anche quella
a n«oem(ate natura), ella
rimanga distrutta altresì
nell’uomo. Innanzi tutto
non è vero che
si tolga a
Dio U libertà;
anzi gli si
dà la libertà
vera, dal momento
ohe si concepisce come
vera e compiuta
ragione. L’uomo è
^rt»eep«rous. Non v'è dunque destino: il
destino è la
natura e la
ragione; e appunto perchè il
destino è natura,
perciò è lungi
d'esser cieca necessità. Tutto
quindi è provvidenza
nella mente di VICO (si veda), perchè
tutto è creazione,
attività intima, profonda, spontanea si
nel mondo fisico,
e rì nel
morale; né senza ragione
volle metterla in
cima alle sue
discor verter La provvidenza
agli occhi suoi
apre e chiude il
circolo della scienza,
non meno che
il processo della Storia.
Ella perciò è
innanzi tutto naturale
e divina, appresso eroica ,
da ultimo umana.
La provvidenza umana è la stessa
ragione, la quale
non può non
essere libertà: essa dunque
importa pienezza di
responsabi- lità. La provvidenza è
il primo de'
tre grandi principii,
0 sensi comuni
dell’umanità: ed è
altresì l'ultimo corollario della
mente del filosofo. La
Provvidenza dun- que è principio
e fine della
storia umana, al
modo istesso eh' è
dedica e conclusione
della Scienza Nuova.
E anche quest*
altra: ab ipta
rerum humatuxrum natura.
(De Oon$t, Philel ) Il
coDCotto di Vico
è concetto aristotelico;
e così infatti
1* Afro- dìsio interpretava
la neceasìtà Jinea e
naturale d'Aristotele. (Ved. Noo- BI8S0N,
De la UberU
et du Haaard,
E$8a% sur Alexandre
d'Aphrodina» ec. Paris) Ved. Tavola delle Diteoverte
nella Prima Seien»a
Nuowu * Perciò chiama
il soo libro
una teologia civile
e ragionata della Prowedema divina
(Sec. Se. Nao.)
; e più d'
ana volta si
dà Tanto d'aver prodotto
una nuova dimostrazione, una
dimostrazione di fatto ittorieo circa
V esistenza di
Dio. Che cor'
ò questa dimoetratione
di fatto ietoricot t! la provvidenza
in quanto è
Fatto, in quanto
è creazione. & il
Fatto che si
converte con so
stesso, e mostra
quel che è,
quel che contiene, quel
che debb' essere; e
così, mostrando sé
stesso, mostra anche Dio.
Perciò la provvidenza
non ò Dio
che si mostra,
Dio che interviene; ma ò
il mondo delle
nazioni che attuandosi,
che creandosi e
edébrando così la propria
ìvatwra, si mostra
sensatamente, e si
manifesta come ter- mine di
conversione. Indi è
che la provvidenza
per lui non
può essere un argomento
induttivo dimostrante l'esistenza
di Dio, appunto
perchè ella nel mondo,
anziché effetto, ò
una causa. Questa
sua dimostrazione di /atto ietorico,
dunque, è una
forma dì eduzione,
non già di
sem- plice induzione: col che
confermiamo anche una
volta la natura
del metodo vichiano. Ora
se questo è
il significato (significato
davvero nuovo e originale)
del concetto della prowidenaa n^U'
A. della Scienza
Nuova, n concetto ctisologìco
inteso al modo
che noi lo interpretiamo
nel nostro filosofo,
si presenta come
il risaltato del mondo
moderno. È la
vita stessa della
scienza moderna: è il
gran secreto della
filosofia positiva: ed è
l'esigenza massima della
Sdenea Nuova. Chi
non Faccetta, deve negare
il presente, dee
dare una smentita alla
storia; e sarà
condannato a indietreggiare sino
al medio evo, per
non dir già
sino alla Grecia. La
formola cosmologica del nostro
filosofo corregge e
trascende, anche in questo,
il neoplatonismo italiano
moderno, ponendo non è a merarigliare
s*egli in ciò
sia stato franteso
e interpretato assai male,
come vedemmo, da
certi saoi critici.
Jannelli e il
primo ad osserrare che
nella Scienza Nuova
tale concetto può intendersi
in dne sensi;
e l’acato archeologo napoletano
non s’ingannata. Talora infatti
sembra che la provvidenza, per Vico,
abbia a consistere solamente
nell’azione di Dio.
È la provvidenza, per
dirne un esempio, che
eccita Atejo Capitone
e Lahtone; il
primo nella gdoèa
e tenace cuttodia de^
vecchi diritti, e il secondo
nel propugnare interprc tOMioni tempre
nuove affindii la
romana ffiurieprudenMa potetèc
evtdgerai. {De Univ, Jur,).
La provvidenza egli
invoca per iepiegare la
rapida e univereale
comporta del Cristianesimo
merco la civiltà
romana; la quale perciò
altro scopo non
avrebbe avuto nel
mondo, fuor- ché quello di
schiuder la via
ali* idea cristiana. Or
tutto ciò contraddice ali*
esigenza del suo
metodo, ed è
in aperta opposizione con la
sua dottrina metafisica.
Lo stesso religiosissimo Jannelli,
il quale del resto
non avea nò
punto né poco
subodorato il valore
della filosofia del suo
maestro, non dubita
affermare, che se
per prowidenxa nella
Scienza Nuova •»* vuole
intendere eolo V
axione di Dio
eugli uomini, Mora
non pare che n
faccia altro che
una lemone di
teologia poco neeeeearia
ai Cattolici, ami ai
Crietiani e a
tutti gli eneeri
ragionevoli. Provvidenza
dunque, per VICO (si veda), vuol
dire natura. Provvedere
è fare, è
creare, ò attuare. Dunque è
incessante e vivace
conversione del fatto nel vero.
Per lui quindi è prowidenxa l’itetnto, laddove,
parlando dell* origine della
pa- rola 2ex, dice che
gli uccelli nidificano
pretto le fonti.
{De Vniv. Jur.)
provvidenza il pudore,
onde procede la
frugalità, la temperanza, la giuttÌMia,
e simili {De
Contt. Juritpr., I[I). È
provvidenza la storia della
poesia, e le
false religioni. E
provvidenza la forma monosillabica delle
lingue. È provvidenza
lo teoppiar de’
primi tumulti deUe plebi
nella terza età
del tempo oscuro. È per
provvidenza {rebut iptit dietantibut)
che le religioni
cominciano a venire
in dispregio. È prorvìdenn
{rebut iptit dietantibut), l’origine dell’arte della guerra
e della pace.
fe provvidenza che
le Centi Minori apprendano dalle
Centi Maggiori; ed
è provvidenza la
templieità e naturalcMM
Oud*ò condotto il corto ddC
umanità (Sec Se.
Nuo.). a nudo le magagne
del concetto creativo
del Teologismo, nonché dell' Hegelianiamo e del Positivismo:
che vuol dire, al
solito, corregge i
due estremi del
filosofare, iperpsicologismo ed
empirismo. Di fatto
che cos' è
per l' Hegeliano la creazione?
È l’identico in
guanto si differendo. Dunque non
è vera creazione,
svolgimento, processo; ma ripetizione
ritmica e, come
dire, inquadrata sovra un
medesimo fondo che
è la Idea.
Pel Positivista il moto,
la vita e l'
essere delle cose
non è che
trasfor- mazione di forze, o
di materia; trasformazione fisica, meccanica, biologica; determinismo
affatto meccanico, affatto accidentale,
affatto cieco. Dunque
anche per lui la
creazione è ripetizione
monotona d'un identico subietto. Con la
formola cosmologica del
nostro filosofo, inol- tre, si
giugne a conciliare
le esigenze legittime
del teismo e del panteismo su
la natura del mondo. Nel
Panteismo vi è un'affermazione giusta
e ragionevole; ma vi
è pure
una negazione iriragionevole, erronea
ed esiziale. L' affermazione risguarda
lo svolgimento d' un
principio interno e divino
nel mondo, e
nella natura. La
negazione poi riguarda un'efficienza
sovramondana, che come intelletto amore
e potenza ponga
il mondo e la natura, e
sia presente al
mondo e alla
natura. Il Teismo grossolano
e volgare contraddice
al Panteismo col
porre l'ef- ficienza
sovramondana; ma non
sa intendere per
nulla il divino della
natura; non capisce
il divino anche
nel mondo. L'affermazione del
Panteismo è l'esigenza
dell'Oriente, e, in parte,
dell'Occidente; della scuole
jonica, eleatica, pitagorea, stoica,
alessandrina; poi delle
grandi intelligenze
d'.Erigena, di BRUNO, dello
Spinoza; ed è anche
l' esigenza dell'hegelianismo. L' affermazione poi del
Teismo beninteso, è
principalmente un portato
della speculazione
occidentale, perchè è l’esigenza
profonda della metafisica platonica,
e della metafisica
aristotelica. Panteismo e Teismo,
dunque, oggi sono
di fronte; perchè essendo pervenuti
entrambi al più
alto grado di
speculazione, ci porgono
due forinole nette,
chiare, spiccate: V essere, il non-essere e
il divenire, da
una parte. Il vero, il generato e
il fatto, dall'
altra. Or l’affermazione, r esigenza
ragionevole del panteismo è
inclusa nella formula cosmologica
di Vico, e, che
più importa, vi è
anche corretta. L'affermazione e
l'esigenza ragio- nevole del teismo,
poi, trova correzione e inveramento
nella formola metafisica
dello stesso filosofo.
Quant'alla parte negativa, cotesti
sistemi sono da
ripudiarsi entrambi. Se il teismo
ignora il vero
concetto di natura e
però disconosce il divino e
perciò stesso disconosce
la creazione autonoma del
mondo; il Panteismo,
alla sua volta, disconosce
la vera natura
di Dio, e
perciò disconosce la vera
natura dell' uomo,
e cosi viene
a distruggere la grandezza
e l' eccellenza dell’umana
personalità. Se intanto la
creazione è un
processo, cioè dire
il fatto che si
converte nel vero, si
può domandare: in che
maniera s' attua cotesto
processo? In altre
parole: come avviene che
la creazione diventa
provvidenza? Il modo con
che s' attua
la creazione potrà
dircelo solamente l’esperienza:
ce lo potran
dire le scienze
di natura, e le
discipline istoriche in
generale. Ma anche nella
soluzione del problema
cosmologica sbagliano, tanto quelli
che tutto vogliono
indurre, quanto quegli altri
che tutto pretendono dedurre.
Oggi non è
permessa una dot- trinacosmologica empirica;
e tanto meno
è permessa una cosmologia
che, fabbricata a
priori, si rimane
campata a mezz'aria. La
filosofia cosmologica potrà
attinger valore positivo e
razionale ad un
sol patto; che,
cioè, il pronunziato generale
ch'ella potrà fornire
alle scienze le quali
si travagliano intorno
alla ricerca delle
leggi da Mill appellate
empiriche, sia del
pari, o possa essere,
il risultato complessivo
e finale delle
scienze stes- Giastissime qaiodi
le parole d*aii
valoroso sorltlore moderno. (Tttt ùonire le
panthéitme que tou»
eeux qui retUM
^i>rit de la
vrai grandéur de l’homme
doivent »e riunir
et eombattre (Tooqukvillk, De la
VemoeraHe, Paris) se. La metafisica
positiva altro non sa darci,
salvo che la legge
della conversione come
principio della essenzial costituzione del fatto. Quant’al
modo poi, ella
non sa, ella non
può assegnar né
regole ritmiche, né
tricotomie a priori di
nessuna sorta. Che
se anche qui
per avven- tura è possibile
un accordo e una rispondenza
tra la speculazione del
filosofo e l’osservazione induttiva
e de- duttiva dello scienziato,
in verità non
si cerca di
meglio. In cosiiFatto accordo
si avrà la
guarentigia più sicura dell'
ottimo indirizzo cosi
dell' una come
dell' al- tra sfera di
scibile. Se il Fatto
à il diverso,
non solo considerato
qual termine di conversione
col generato, ma
anche avvisato in sé
stesso, avviene che,
nel convertirsi con
sé mede- simo, e' debba manifestare
varietà di momenti
e pas- saggi e transiti, e
quindi intervalli e
tjontinuità nell’esplicazione delle
sue forze. Vuol essere
insomma, ri- petiamolo, un vero processo, che
è dire svolgimento, conversione, creazione,
anziché una serie
di semplici trasformazioni e d'
increscevoli rimutamenti di
forma. Vuol esser quindi
un passaggio incessante
ed essenzial- mente dinamico dalla
potenza all'atto, dall'omogeneo all'eterogeneo, per
usare anche qui
la frase di Spencer, dall'indeterminato al
determinato, e però
dal genere alla specie,
e dalla specie
all' individuo, per
finire nell' indi- viduo capace d'essere
o di rappresentare
insieme nella sua virtù
il genere e
la specie. Tre
sono i sommi generi del processo cosmico;
e altrettante le
fermate o, per così
dire, i momenti
dell'attività creatrice. Tre sono
dunque i processi
speciali e differenti
attraverso a cui il
Fatto si fa,
e che potremo
appellare fisico, orgor nicOf
e storico-sociologico od
umano; e tre
sono quindi gli anelli
della gran catena;
Forza, Vita e
Pensiero. Fra questi tre processi
ci ha differenza
e medesimezza, e però
intervalli e continuità:
ma né questa
continuità è di natura
materiale, né quell'
intervallo é un
semphce passaggio alla maniera
che lo intendevano
e lo inten- dono,
come notammo, gli
aristotelici empirici, ed
i moderni materialisti. Fra il
processo fisico e il processo
organico, per esempio,
ci è continuità
ideale, e quindi intervallo
reale ; stantechè
non sia la
Forza che diventi Vita,
né la Vita
che diventi Pensiero,
ma è la forza
che passa ad
esser vita, e
la vita pensiero.
E nel pensiero compenetrandosi non
già sovrapponendosi od assomandosi
le prime, abbiamo
nel medesimo tempo r
attuazione della forza,
e della vita.
Il passaggio quindi, come
accennammo, non è
semplice trasformazione, ma è
transito, è passaggio
nello stretto senso
della parola (iyipyetò: aTi>>i;), eduzione
(eductio entìs ad
actum)y e perciò creazione.
Se intanto nel
passaggio vi ha
intervallo, cotesto
intervallo non è
egli davvero un
salto che fa la
natura? L'intervallo superato
dalla stessa natura è
precisamente la conversione
del fatto nel vero;
è r energia creativa;
è il vero
passaggio dal nulla
all' es- sere, dalla potenza
all' atto: ed
ecco il significato
della creazione ex nihilo.
Dunque l'intervallo per
noi non è (come
altrove toccammo) quel
che per gli
antichi era i) diastema
e il cenon;
negazione, vuoto, nulla.
È anzi pienezza d'essere,
attuosità vivace, conato
(to Juvarov), perocché ci
rappresenta il momento
in cui la
continuità ideale tende a
diventar reale. Ai
due capi della
catena poi vedemmo esserci
due intervalli ;
psicologico l' uno, e metafisico
l' altro. U primo
dicemmo potersi superare mercé la dialettica ascensiva,
poiché qui il fatto,
già convertitosi con sé
medesimo e perciò
divenuto forza vita e
pensiero, si converte quinci
col vero, eh' é dire
col primum verum metaphysicum: mentre
il secondo é superato
dall'essere stesso con
la dialettica discensiva, secondochè ci
addimostrano la formola
metafisica e la formola
cosmologica di Vico. Queste sono
le due leggi
universali, o meglio, le due
condizioni dell'attività creatrice
di natura. In
virtù di esse é
possibile una scienza
cosmologica razionalmente
positiva, poiché in
esse sta il
nodo di que'
dibattati e YÌtali problemi
su la generazione,
su la genesi
spontanea, su l'origine delle
specie. Né il
Platonismo, né l’Aristotelismo, né
alcuna dottrina che
risalga a queste due
sorgenti, ci potranno
dar mai questa
doppia legge. Nell'uno fa
difetto il concetto
del processo; nell'altro questo processo,
ripetiamolo, è passaggio
empirico> meccanico,
generativo, ovvero logico
e formale.' Ammessa quindi
la legge dell'
intervallo nell’attività
creativa di natura,
verremo capaci di
correggere il vieto concetto
cosmogonico del teologismo
e dell'empirismo. Il vecchio naturalista
contro il teologista
pronunzia, che natura non
fadt saltum. A
salvare il deus machina il
teologo risponde, che
natura fadt sattum; e
questi salti per
lui sono altrettanti
atti immediati del Demiurgo.
Ora la verità
non istà dall'
una, né dall' altra
parte. Naturalisti, sperimentalisti, determi- nisti, positivisti hanno
ragione a non
credere ai salti; ma
non ha torto
il teologo se
dice che la
natura pro- cede per creazioni
ed atti creativi
diversi. Il positivo qui dove
sta? Neil' accettar
l' una e l' altra
affermazione, e correggerle entrambe.
La natura, certo,
non fa salti; non
v'essendo ragione perché
ella non proceda continua nella
ricchezza e fecondità
delle sue produzioni Ma
eccoci al punto
1. Questa continuità (conti- nuità materiale, fisica,
sensata) ha luogo
entro la sfera. Ma
anche in questa
dottrina Aristotele potrebb
essere difeso, chi lo
interpretasse benignamente. Se
pel Platonismo il divenire
e il generarsi, ha
luogo per l’essenza, per l'
idea che
attua la cosa
e la scorge e
la determina; per Aristotele, al
contrarlo, l’indeterminato procede
al tUterminato qucdUativo per
sua propria energia.
Fra i molti
passi che potrei addurre
mi contento di
questo che si
legge nella Metaph.: Uòrtpov
ouv iv^i tic
(Ttfatpa uxpot. raqSi
Xf oixiu vK^pct TOtc
oXcvdouC} i 01» J*
av aoTf iytyvexoy
ti ovtwc tJv,
róSt ri; àXXa tÒ
Toióv^c vrifjLaivtiy róSt Sé xai
(upurixivov oux tf(r7(v, àWà
trotcì xac' 7evvà
ex totJ^s rotov^s
• xat orav
7«vv>30i7, Ìt^i ro$t rotòvBt.
È nna prova di più, come
si vede, della
possibilità di rintracciare e
dimostrare
nell'Aristotelismo, anche in
siflbtta ricerca, r indirizzo
medio della speculazione filosofica
contro gì* interpreti
empirici e contro gì*
iperpsicologisti che il
generarsi delle cose
in Aristotele trag- gono
in due e
contrarie sentenze opposite. d'una specie,
d'un genere, d'un
ordine, anziché nel passaggio
dall'uno all'altro. Se
così non fosse,
la na- tura non sarebbe
guari natura, non
sarebbe creazione, sibbene ripetizione
sazievolmente monotona d' individui. E non
meno ragione ha
il teologo o
il neoplatonico che sia,
nel pretender che
la natura proceda
a salti; ma non
ha niente ragione a predicarci essere
il demiurgo, proprio lui, quegli
che la fa
saltare. È ella
stessa, è la stessa
potente e feconda
natura che si
muove. E si muove
per qualcosa che
non sopraggiugne dal
di fuora, anzi sgorga
dal di dentro. Cosi,
e solamente così,
è possibile l' autogenesi
del mondo. Chi non
sia disposto ad
accettarla, romperà senza rimedio
contro Scilla, o Cariddi;
che vuol dire contro
uno de' due
soliti estremi. Come intanto
s'inaugura, come si
svolge e come
si assolve egli il
Processo cosmico? Delu attività
creativa ne' diversi momenti
del processo cosmico, se
l’attività creatrice di
natura è una Conversione
del FaUo nel vero,
ella non può esplicarsi altrimenti
che per gradi,
per momenti diversi, e
quindi per intervalli
e per continuità ideale.
Il processo cosmico, dunque,
è universale. Ed è
universale prin- cipalmente
perchè, secondo la
frase di BRUNO, racchiude in
sé, quasi circolo
più ampio altri
piccoli circoH, il triplice processo Fisico,
Organico e Sociologico.
Così la legge che
governa il tutto come
le parti è
sempre la stessa: è
la gran legge
del trasformarsi e
del rintegrarsi perpetuo,
progressivo, incessante delle
forze universali e comuni
di natura. Perciò
è il numero
che [lIB. H. sempre
più volge ad
unità; è l’indeterminato, l’omogeneo, l'indefinito (tò
uopiiTòv) che procede
al deter- minato, all' eterogeneo,
al perfetto (tò
TsXitov).* Se tale dunque
è la natura
di quest' universal
movimento che dispiegasi nel tempo,
in che maniera
potrebb' esser un incessante
cangiar di forme
e di fenomeni?
Se cosi fosse, quest'universo sarebb'
egli un cosmos o non
più veramente un increscevole
ed eterna monotonia
d'apparenze fenomenali,
ovvero un caos?
La legge del processo cosmico dunque è legge
di creazione; è
legge di coixyersione, anziché
di semplice trasformazione. Col processo fisico si
genera la forza;
e la forza
è subbietto omogeneo, sintesi
confusa, numero e
unità generale, unitotalità vaga
e indeterminata. Cotesto
Processo fisico si sdoppia
nel Processo organico
nel quale si genera
la vita; e la
vita è numero,
eterogeneità essenziale, essen- zial
dualità (vegetale e
zoologica). Nel processo
istorico-sociologico,
finalmente, si genera
lo spirito, il
pensiero; ed è un
ritomo all' unità,
ma come triplicità.
La forza quindi si
converte nella vita,
come la vita
si converte nel pensiero.
Unità, dualità, dualunità:
Forza, Vita e
Pensiero. Ecco il processo cosmico,
ed è sempre
il Fatto che si
converte nel Vero,
perocché è sempre
il conato, il me-
desimo, che si fa
diverso per intervallo.
Come intanto. È il
vecchio principio per cui si
distingue l’indirizzo medio aristotelico nella dottrina
su le forze
fisiche, organiche e
organizzate: *H $i fxJffi^
ffivyet tÒ aTrci^ov
* to fiiv
yoip anstpov otTtlsq,
Si «vece «s(
K^Ttt TsXoc (I>e
(7en. an.). E
più chiaramente ancora: 'Aft
yàp €v Tw
efslivii vppxst xo
upOTspov {De An.).
La scienza moderna non
ha fatto e
non fa che
confermare questo principio aristotelico; ed
è quel medesimo
pronunziato che lo
Spencer considera sic- come chiave del
processo cosmico. Ma
avvertimmo già l’aspetta manchevole delle dottrine
del r illustre scrittore
inglese; che, cioè,
se il processo cosmico è
davvero una creazione,
è forza che
nella sua natura altro
non possa essere
che uua teleologia, un processo essenzialmente
teleologico, a partire dall'etere, dalla
materia nebulare indeterminata, e scendere
giù giù fino
all'atto estremo, alla
forza che diciamo
pensiero. Questo dato vitalissimo
manca allo Spencer
nonché ai Positivisti e, come
vedremo, a' naturalisti
Darwiniani. E pure, chi
ben rifletta, è un
concetto essenzialmente poeitioo^
perchè è un
fatto. rivelasi la prima
conversione del fatto?
In altre parole:
in qual modo
s' inaugura l' attuosità creativa
dell'universo? La natura
comincia con Tesser
conato. Ella dunque comincia come
sintesi iniziale e
confusa: ella s' inaugura come
materia metafisica (Vico, De
Antiqui^.). La nuiteria metafisica alla
qaale più voite
accenna confasimente Vico e
che SERBATI, come
toccammo, non interpreta
convenevol- mente,ò neir ordine
cosmico e naturale ciò che nell'
ordine psicologico ò la
luce tnetaJUica. Nel
passaggio, nell’intervallo in
generale, ha luogo nn
novello conato, eh' è
il momento creativo,
il parto {a/orno
impedito) della natura; e
quindi racchiude qualcosa
d’intimo, d* universale,
di metafisico, d'iperfisico, di soprassensibile. Ecco
perchè talora in Vico nonv' ha divario nelle parole conato, momentOf t/orto
impedito, luce meta/i»
nea^mcUeria metaJÌ9Ìca,virtue^vi», dvvxfJLi^y
«vT«).ffXJeav, e simili.
Però è facile incontrarvi
qualche sentenza di
questo tenore :
Lux metaphyeica §eu eduetio
virtutum in actue
conatu gignitur. Perciò
se si vuole interpretare
a dovere la
sua mente, il
valore della parola
conato, nella quale pone
radice la novità
della cosmologia vichiana
e leibniziana, è
questo : che il
conato per lui
sia il principio
concreto, reale, vivente della
natura: che sia
perciò relazione la
qual comprenda e
annodi in organismo vivente
i tre processi,
e per cui
risulti come la
molla secreta deir intero
Proceeeo eoemólogico, È
la relazione concreta,
e reale del fatto
col Vero; cioè
del Fatto che,
in quanto divereo
in sé, diventa
Vero. In una parola,
è la eoetanxa
della natura, come
fra poco vedremo,
e perciò è Vdpx^
xivKj Tcwc d'Aristotele (AfetopA) ma
corretto profondamente, e però
trasfigurato e legittimato,
stantechè non sia
altrimenti un principio di
movimento ipercosmìco, ma
nn principio essenzialmente eoemico, essenzialmente naturale;
e perciò è
lo stesso movimento
che, in quant'
è motOf si rivela
come autogenito. GIOBERTI che ha un
senso isterico divinativo tutto
suo nel saper
cogliere in certe
sentenze l'aspetto originale d’una dottrina,
non dubitò scrivere
che la teorica
de' punti e
del i eoncUo di
Vico ì il
perno del tuo
eietema; aggiungendo che
per questa parte egli
è arietotelico e
platonico ad un
tempo (Protol.). Che la dottrina
del conato sia
il perno della
sua cosmologia, nessun
dubbio; ma la cosmologia non è la
sua metafisica. È dunque il
perno, è la
molla della sua formola
eoemoloffica, non già
della sua formola
metafiica: il perno di
questa seconda è
ben altro. Che poi
in questo egli sia aristotelico
e platonico insieme,
è vero; ma è
tale in quanto
corregge, trasforma e
compie i due
vecchi filosofi, e perciò
in quanto li
accorda. Nel platonismo il
concetto del conato, al
modo che è
inteso da Vico, non
ci è, e
non ci può
essere, come si può
ricavare da tutti
que' luoghi ne'
quali siamo venuti
accen- nando rapidamente a quel
sistema. Può esserci,
e vi è
di fatto in
Aristotele, ma confuso e
indeterminato cosi che
non si lascia
riconoscere facilmente. Al qual
proposito mi sia
qui lecita nn*
osservazione isterica. Ma se
la natura comincia
con l’esser conato,
appunto perchè conato ella
dev' esser riguardata
sotto doppio QualcQDo potrebbe
confondere questo conato
del filosofo napoletano con la
monade leibniziana, o,
pegfifio, con 1*
?pe$(? aristotelica. Lasciamo della prima
perchò ne dicemmo
qualcosa in altro
luog^o. Qnant'al secondo osserro
che tra Voptl^ii
dello Stagirita e
il conato àe\
nostro filosofo, ci è
profondo divario. Accennammo
già qualcosa riguardo
al- r aspetto esagerato della
«aiMo y!iMi2« d'Aristotele.
L'ó^e^cc certamente è designato
da lui qual
moto 9pontaneo; e basti
per tutti questo
passo: Kcvftrac yoLp to'
xivouufvov t? òpiysrat^
xat 17 xévTio'c;
rtc opsl^ti t»spytia. {De
Xn,)! Ma ò
poi veramente tale,
voglio dire essenzialmente spontaneo
cotest’opegi^ d'Aristotele? Non
sarebbe più tosto un
residuo del maestro
passato nella mente
dello scolare ? Aristotele,
avvertimmo, rompe la
terie predara in
due modi ; con
1' intdllgibUe venuto
di /uorOf BvpstOiv,
e con la causa finale,
cioè, col dender€tb%le [70
òptxTÒv xat to'
voutÓv). Luce per
ribtelligenza, dunque, e calore
per la volontà
vengon d'altronde; e
però chi determina
tanto il peneiero, quanto
la tendenna, è
il pensiero divino.
{Eih, Eud.). Ora dunque
1* opeHc'c per
Aristotele non può
esser davvero spontaneo, se
no si contraddice.
E tant*è vero
che la natura
per lui non
ò pro- priamente attiva per
so, che non
mancò, fk'a' vecchi
aristotelici, chi pigliasse a
dimostrare come in
Aristotele, in forza
del suo medesimo
sistema, debba aver luogo
la causa efficiente. Se Dio
infatti ò canea finale^ per
ciò stesso ha
da essere anche
canea efficiente; tanto
pareva ad Am- monio (il
primo a dare tale
interpretazione) che Aristotele
dovesse mettersi in accordo
con Platone (Yed. Rayaisson). Dunque l’ops^i^ noir
Aristotelismo ò ?^e^cc
non per essenza
propria, ma in grazia
d’un determinante estrinseco,
d’un’infiuenza eeteriore ; la
quale influenza non
essendo stata chiarita
nettamente nella sua
natura dal filosofo di
Stagira, ha fatto
e fa si che molti
i quali si
studiano d* interpretarlo benignamente,
credano d'aver buono
in mano per
assumerne le difese, e
fino a certo
punto riescono ad
aver ragione. Sennonché
il vero concetto dell'o^sHcc,
che in parte
risponda al conato
di Vico e rappresenti perciò r
indirixMo medio in
siffatta quistione, sarebbe
da riporre piuttosto nella
nozione di svipyna
aTf>>i:, la quale
è appunto attiva per
sé, ò attiva
per virtù propria,
essendo ciò che
esiste in potenza,
ma in quanto s'avvia
all'atto; e s'avvia
per sé medesima,
non per un
altro; s'avvia e procede
per propria essenza: 'O^óc
ttQ ouTiav {Me- taph.)
In altre parole
è ciò che,
imperfetto, non ha
il fine in so
stesso, e quindi
lo cerca. E
lo corca non
perchè ne sia
attratto (plato- nismo 0 aristotelismo
platonico), ma k1
perchè ne ha
bisogno. E se lo
cerca e
ne abbisogna, vuol
dire che questo
fine non potrà
essere un'il- lusione
addirittura. Perciò Aristotele
determina il concetto
del moto cosi: Twv
apy.^£Mv eiv «tt/
taipoc ov^sjMca tjXoc,
àWà t«v tapi To TsXo;. {Metapk.).
Ci slam voluti
intrattenere un mo- mento su
questo particolare non
solo per chiarire
il concetto di
Vico sul conato ma
anche por mostrare l’attinenza ch'esso
ha col concetto
del rispetto. Anche del
Primo cosmologico possiamo
dire qael che dicemmo
del Primo psicologico:
egli è una
testa di Giano; ha
due facce. Il
conato adunque è
due cose, non una:
è punto e
momento (cf«7ft*i^ v) materia
e moto, estensione e
forza: ma e
punto e momento di
natura metafisica che vuol
dir di natura
potenziale, virtuale,
soprassensibile, semplice, indivisa,
universale. In altre parole,
il conato e
attuosità concreta e
reale; ma non è,
a dir proprio,
né moto, né
estensione, bensì virtii
di moversi, e d'estendersi: e come virtù,
come potenziaUtà, esso in
generale é un
soggetto identico. Punctum et momentum
unum sunt, e
quindi é nel
medesimo tempo numero e
unità, dualità e
unità, polarità originaria,
e perciò é unitotalità
originaria, concreta, universale.
Ora il conato in
quanto é punto,
materia, cioè in
quant' é soggetto potenziale,
recettivo, indeterminato, omogeneo, indefinito e
indefinibile, é il ro Ssrspov;
è la wa/xcc
come pura capacità; in
somma é il fatto
semplicemente detto; il fatto in
quanto è termine
di conversione dialettica
coi Grenerato. Al contrario,
in quanto é
momento, ciò é dire
materia e moto,
estensione e forza, to'
Strtpov e to' notilo
e però to
warov, é il fatto
in quanto è
termine di conversione cosmologica;
è il fatto in quanto
é conversione di sé
con sé stesso;
e quindi é
sostanza semplice, sostanza universale,
sostanza indivisibile in sé,
ma divisa nelle
cose che sostiene.
Brevemente: il conato, guardato
come puro fatto, cioè
come termine posto, é
potenza in potenza,
come direbbe Aristotele (^uvfltfii; ^uvot^n);
guardato invece come
termine che si pone,
come soggetto che
si fa, egli,
per dirla con le
significantissime parole di
Vico, é for/pa
che si fa
dentro moto aristotelico, il
quale, inteso a
doTere, nono tale
quale d’ordinario Tiene interpretato
dagli hegeliani. £ ci siamo
trattenuti anche perchè quest'ultimi non
abbiano a pigliare
il concetto del
conato per Vopt^i^ giacché nel
conato del nostro
filosofo non ci
è necessità dialettiche,
nò relaiioui di finalità
come neiriperpsicologismo aristotelico
fecchio e nuOTo. Il
conato del Vico
non è propriamente
VEatcre, nettampoco il NoH-ctnrc;
dunque non sarà nemmanco
U Divenire: ecco
tetto. di sè medesima:
perchè? precisamente perchè
SFORZARSI È UN CONVERTIRSI
IN SÈ STESSO;
0 perciò è sostanza
che si sforsa
a mandar fuori
le cose. Che
il ùonato nel
concetto vlchiano sìa
la sostanza delle
cose e costituisca perciò
il nerbo della
sna formola cosmologica,
si pnò rìca- Yare
agevolmente da queste
sentenze. Che cos*è
la sostanza? Sattanza, in
genertf d ciò
eke »ta 9otto
e 90$tiene la
eoaa; indivitibile indivisa nelle cote
eh* ella fottiene,
e $oUo le
dìvite cote, quantunqtu
disuguali, vi §ta egualmente,
(Risp. al Giom.
de* Lett,). Questa
deflnizione non ha che
vedere con la
definizione spinoziana: id
quod existit a te et per
«e. Sono
entrambe definizioni nominali,
e però vere
o falso flnchò
non se ne faccia
applicazione. Dal modo
con che applicolla
Spinoza, venne fuora il
suo panteismo acosmico
geometrizzato, con quella
lunga sequela d* assurdi
che ognuna conosce.
Vico 1’applica al fatto
in quanto si fa vero,
non già al vero
che si converte
col generato; e perciò
riesce a schivare ogni
maniera di panteismo.
Infatti egli dice:
Quello che i moto
ne* corpi particolari,
neiVunivereo moto non
è; perchè V universo
non ha con ehi
altro possa mutar
vicinanze. Dunque è una
forza OHB fa DRNTBO
DI sà MBDESiifo:
questo in s^
stesso sforzarsi, ì
uno in sa
strsso convertirsi. Ciò non
pud eseere del
corpo, perchè ciascuna
parte del corpo avrebbe
a rivoltarsi contro
di sè medesima.
Onde questo sarebbe
tanto, quanto le parti
dd corpo si
replicassero. Dunque, dico
io, IL CONATO non
è dd OORPO, ma
deU* UNI Visse
del corpo. Tutto
ciò è chiarito
e confer- mato da quest'
altra sentenza; Virtus
est extensi, e perciò prior
extenso est, soUicet inextensa.
{De Antiq.). E spiegando
altrove il valore
di quest* ul- timo concetto, dice:
Io mi servo
eie* vocaboli di virth
e di potetaa appunto come
se ne servono
i meeeaniei, appo
i quali sono
voci oelebratissime: con questo
perciò di vario;
cA' essi (parla
de’ Cartesiani seguaci
detta dottrina meccanica) V
attaccano ai corpi
particolari, ed io
dico esser dote
propria e sola dell*
universo. (Risp. al
Oiom. De’ LeU.),
E tornando al
suo concetto gradito del
conato, dice plh
aperto: Nel mondo
vero e reale
vi ha un che
invisibile che produce
tutte le cose.
Ancora: Uno è lo
sforzo delC universo,
prrob2 dell* univrrbo:
ed è l’indivisibile centro
cui non è lecito
trovare nell’universo (esteso),
e cAe dentro
le linee deUa
sua direzione tutti i
disuguali pesi sostenendo
con egual forza,
tutte le partieo' lari
cose sostiene insiememente
ed aggira. Questa è
la sostanza che
si SFORZA mandar fuori
le cose. È impossibile
commentare queste sentenze.
Ci vorrebbe un
capitolo per parola; e
alla fin fine
poi non riesciremmo
che ad una
freddura, ad una ripetizione
fiacca e sbiadita.
Bisogna dunque farle
soggetto di meditazione severa, tramutarsele in
sangue, e col
loro sussidio interrogare! fenomeni e
le leggi del
mondo sensibile. Posti
intanto questi principi! cosmologici, ecco
alcune norme metodiche
per la filosofia
della natura e delle
scienze naturali :
In fisica si
trattano le cose
per termini di
eorpo t di moto;
in m^afisioa trcUtar
si debbono per
qudli di sostanza
e di conato, E
come U moto
non è altro
realmente che eorpo,
cosi il conato
altro realmsnU non sia
che sostanza, L’ altro
domma metodico ri- Se
questo è il
cardine della cosmologia
del nostro filosofo, le
conseguenze e le
applicazioni che se
ne traggono riescono supremamente
feconde, positive, originali
in tutte quante le
sfere delle scienze
di natura, dalP
astronomia alla fisiologia, dalla
meccanica celeste alla
zoologia e alla zoopsicologia. Noi
non possiamo intrattenerci
in queste applicazioni, e
ce ne duole.
Ci ristringeremo ad
accennarne qualcuna, e rilevarne
l’aspetto originale; e
innanzi tutto quella risguardante
la dottrina del
Cronotopo. Se la sostanza
cosmica è una,
indivisibile e divisa nelle
cose a cui sta sotto
egualmente per diseguali
che queste siano, i
modi essenziali e
primigenii in che
ella si determina, sono
lo spazio e
il tempo puri
: punto e momentOj
virtus extendendi e
virtus movendi. Sennonché la
virtii d' estendersi, logicamente,
va innanzi alla
virtù del moversi, al
contrario di ciò
che pensa il
Gioberti; poiché, al solito,
se il Fatto
come diverso in
sé vuol essere un
processo autonomo, avviene
che la prima
forma di conversione, la
prima individuazione cosmica,
debb' essere il punto
che divien momento;
debb' esser la virtù d'estendersi
che si gemina,
e assume valore
di virtù motrice. Perciò
la sostanza in
quant' è virtus
extendendi, inquant'é pura
capacità, è V
altro, è il
diverso, è il fatto
come posto, e
però è lo
spazio infinito, la cui
prima determinazione è
ciò che domandasi
etere da’moderni. In quanto
poi è virtus
movendi, cioè atto,
diverso gniardante lo stadio
delle leggi fisiche
ò questo: L’unica
ipoteti (cioè finzione speculativa) per la qwd
dalla MetaJUica ndla
Fisica discenda giam- mai ti
po99a, netto le
matematiche; e che
il punto geometrico
eia una SOMIOLIANZA
del metafieicOf dot
della sostanza; e ch’ ella
aia coea che
veramente t, ed i
indivisibile; che ci
dà e sostiene
distesi uguali con
egual /orza: perche per
le dimostnxzioni del
Galilei ed altre
piene di meraviglittf le disuguaglianze quanto
si vogliono grandi,
ritirandoci al lor
principio in- divisibile,
cioì ai
puntiy tutte si
perdono e si
confondono. (Ibi, 174),
ti ap- pena bisogno d*
avvertire che con
la sua dottrina
cosmologica ei non fa
che interpretare ed
elevare ad altezza
metafisica positiva V
esigenza del metodo Galileiano.
Nelle lor relazioni
ideali Galileo e
Vico si richiamano a
vicenda. (Ved. il
nostro Disc. DanU,
Galileo e Vico,
Firenze, Celliul). L'esistenza dell’etere
od abaro (come
con ragione vuol
chiamarlo il nostro valoroso
e valente Colonnello
Pozzolinì) che per
i fisici è una
in $èj
0 Fatto ohe
si fa, la
sostanza è il
cominciamento originario,
autogenito della natura,
e perciò indipendente da Dio.
Ed è affatto
indipendente da Dio
nel suo svolgimento, e
però nelle sue
leg{2p, appunto per- chè, come fu
mostrato, Dio pone
il mondo non
già come attuale, anzi
come potenziale. Perchè
dunque il punto diventa
momento? Per necessità
della propria essenza: vo'
dire perchè è
diverso in se;
perchè è sformarsi
che è uno in
sé stesso convertirsi.
Se adunque come
mate- ria il conato è
confusione, impenetrabilità, pura
capacità; come virtù di
moversi, invece, è
cominciamento d' ordine,
inizio di cosmos
finteli' atomo, nelP
esteso me- tafisico il quale,
essendo medesimezza e
differenza in atto, rappresenta
perciò la prima
dualità in cui
forza e materia formano
un medesimo subbietto. ipoteti della
quale non possono
in yenin modo
prescindere, nella fonnola cosmologica di
Vico, invece, assume
valore di teti. Essi
non sanno dir che
cosa sia quest'eeere.
Noi sanno oggi
e noi potranno
saper mai: perchè? Per la
semplice ragione ch*ei
trascende la mente: e la
trascende in quanto che
riguarda un’attinenza della sostanza come
potta, non già della
sostanza come causa,
come forza. Perciò
riguardando il dato della
creazione, ne Tiene
che, por intendere
questo dato in
qualche maniera, bisognerà filosofare;
e per filosofare
in modo serio
e positivo e
razionale bisogna ricorrere alla
formoUi cosmologica del nostro
filosofo. Non V’è scampo:
o questa formola,
oppure il concetto inintelligibile, grossolano e
balordo d*una materia
concepita qual ricettacolo
assoluto e generativo d’ogni
cosa : eh' è
propriamente (chiedo perdono
a tutti i materialisti e meccanicisti vecchi
e nuovi) un
concetto da cretini! Dunque il
cronotopo non è,
come pretendono i
Leibniziani, la succes- sione e coesistenza
di punti e
di momenti; teorica
al tutto empirica la
quale non ispiega
nulla di nulla,
perchè non addita
la ragione della coesistenza.
Non si può
dir nemmeno pertinenza
deir Assoluto in quanto
ì l’Idea ad extr(h
Videa come potnbUità
infinita (GIOBERTI, ProtoU, Sagg.
Ili); ì° perchè
non s'intende che
cosa mai sia
codest'Idea ad extra; 2
perchè s*ella è pottihilità infinita, come
tale appartiene al
Fatto, il quale in
quanto conato è
precisamente un' infinita
po$9ÌbilitiL Non è poi
relazione tra U
finito e l’infinito
(FoRNABi, DeW Arm.
Univ. DiaL I) perchè,
se così fosse, dovendo
i termini partecipare
alla natura della relazione, ci
avrebbe a essere
spazio e tempo
anche nell' infinito! Finalmente non è
la prima e
immediata esistenza detta
Idea (SPAVENTA, Mem, mi
Tempo e tulio
Spazio, negli Atti
dell' Accad. di
Nap.), perchè l’Idea è incapace
di rivestire spazialità
e temporalità per le
ragioni altrove accennate. Dunque che cos'è
cotesto cronotopo? È
precisamente il conato;
Abbiamo detto che l’atomo
è l' esteso metafisico. Esso dunque
è la compenetrazione del
punto, e del
momento: è il
punto divenuto momento
; è la
virtù d' esten- dersi che s' estende
in quanto si
move. Neil' atomo
perciò, neir esteso metafisico,
trova pienissima applicazione il pronunziato
del Vico: ptmctum
et mofnentum unum sunt
In altre parole:
che cos' è l’atomo? È l’ estrema realtà (non
astrazione) cui possa
poggiar la mente. Dunque
è la prima
realtà onde move
la natura. Anche in
seno all'atomo quindi
si dee verificare
ciò che i
fisici oggi riconoscono in
molti fenomeni; il
principio della polarità. L'esteso
metafisico è un'essenzial
dualità; è forza e
materia in atto;
è la determmazione
originaria, autonoma della doppia
virtii estensiva e
motrice. Dunque è la
prima conversione del fatto,
in quanto il fatto
è un subbietto
diverso in sé.
Perciò è il
primo momento della creazione
propriamente detta: il mo-
mento solenne in cui
la forza, nascendo
nella materia (non dalla
materia), si crea.' ma
il conato in
qnanto ò polarità
essenziale, essenzial dualità.
È la sostanza stessa
del mondo in
quanto ha una
doppia faccia: estensione e
forza; wirhu extendendif
e virtù» movendi.
Ora se il
conato è un
subietto essenzialmente duplo^ essenzialmente polare, ì moderni fisici
non possono, non debbono menomamente
ripudiarne il concetto,
che anzi accettandolo, giungerebbero
a spiegare più
d' una loro
ipotesi. Chi dunque dice
fona, dice ereazione:
ecco il rero
dinamismo, il dinamismo positi?o.
Perciò erra tanto
il materialista grossolano
quando afferma ch/D la forza
naaea dalla materia,
o ne sia
una pura e
semplice determinazione;
qnanto il dinamista
puro (Hibn, Cotuiquence»
phil. et mHaph. de la Thirmodinamique, Paris)
che pretende concepire
la fona anteriore alla
materia! La forza Don nasce
dalla materia, o
per la materia. La
forza si pone,
e perciò si
crea nella materia.
Il suo nascere è
creare nel Tero
senso della parola;
è uscire ex
nihilo, E qual è il
nulla f Il nulla
del filosofo cattolico, no:
cotesto nuUa ò
impossibile, perchè ò inconcepibile. Dunque
è la materia,
ma la materia
considerata come puro Fatto,
come pura capaciti,
come possibilità. Platone
la diceya ricetta- colo, e diceva
benissimo. Dov'errava? Errava
gravemente nel determinare il modo
con che nel
contenente sorga il contenuto. È precisamente l’errore
del materialista moderno. La
forza, dice questi, suppone
la materia. Certamente! ma
non ò pnra
e semplice trae/ormanane
o modiJicoMione o qualità
di materia. La
materia in qnanto
diventa forza è
conato: e perciò (ripetiamolo) ò
intervallo già superato;
ò atto propriamente
detto, e Se intanto
l'atomo è an'essenzial
dualità, in esso è
l'esigenza dell'altro atomo, delle
molecole, del corpo,
dell'organismo atomico. Ma ecco
tosto nn dilemma:
o l'atomo è semplice,
o è composto.
È egli semplice?
Dunque non può dare
il composto. È
egli composto? Dunque richiede il
semplice. Dilemma seriissimo,
davvero. L'atomo non è
l'una cosa ne
l'altra; o, più
veramente,, è r una
cosa e l' altra
insieme. Se l'atomo,
è conato, momento in
cui la materia
e la forza
si com- penetrano; come dirlo
semplice? come dirlo
composto? Pertanto se l' atomo
è conato, perciò
racchiude l' esi- genza
degli altri atomi.
Dunque? dunque l'atomo
non ha figura in
quanto è un
esteso metafisico, ma
ha figura in quanto
si marita e
si converte con
altro atomo: la
figura è un risultato.
Or se l' atomo
è virtii d' estensione
che si attudij avviene
che, come tale,
e' debba essere attrazione: e
s'egli è virtii
di moversi in
atto, avviene altre
che, come tale, e'debb'esser
moto essenzialmente rotatorio} Se
dunque 1' atomo
in quanto conato
è insieme iden- tico e
diverso, perciò è
in sé, e
fuori di se;
è per sé, e
anche per l’altro; abbisogna
dell' altro. Per
questa comune proprietà gli
atomi ci rendon
quasi immagine delle idee
platoniche, la cui
vita sta nell'
essere essen- qaindi è
atto naovo, atto
creatÌTo. Eccoci al
miracolo! sento grridarmi. Precisamente al
miracolo : ma
gli è nn
miracolo essensialmente naturale, unlversaie, necessario; e
per consegnenza non
ò miracolo. Se
dunoue VeaUto metafinco è la forza
in quanto si
genera nella mcUeriiif
ne viene cne
VaUnno ha da essere
tutt* altro che inerte.
Anzi è la
materia, è l’etere, è l’abaro, è quel
quid nebulare primitivo
che, da unità
indeterminata, passa ad
essere anche forza, profonda
energìa in cui
e per cui
sMnaugura il Prooeeeo fieieo. Se
così non fosse,
io domando, come
farebbe il chimico
ad intender le leggi
deir affinità? E
se così non
fosse, la moderna
dottrina del- Tatonicità non
andrebbe in fumo? '
Questo è il moro
etemo e continuo
dell’Aristotelismo, cagione d'ogni moto,
il quale perciò
non può non
ettere un moto circolare nello
epaxio {Phye,, Vili, ix), e come
tale è moto
naturale d'un elemento
eempliee du non ha
contrari {De Cod.,
I, li). Al motore motto
bisogna sostituire il conato. E
il moto circolare
non avente contrari
bisogna darlo all’essenza stessa dell’atomo,
dell’eeteeo metafisico. Ecco una
delle correzioni vitali della
cosmologia aristotelica richieste
logicamente daU' indirimco
medio. zialmente relative. L' atomo
qaiadì, in quanto
è medesimezza, è attrazione;
in quanto è
medesimezza e diversità, è
rotazione e circolarità.
Dunque può dare
origine al moto per
induzione e rivoluzione,
che à moto secondario e
derivato. Or questa
legge si verifica
in una lunga serie
di fenomeni; luce,
elettrico, calorico, magnetico.' Si verifica
ne' grandi coi*pi
dell' universo. Perchè non
dovrà verificarsi altresì,
e principalmente, in
seno alla stessa vita
intima degli atomi?
Attrazione e rotazione, dunque, riduconsi
ad un sol
fatto primitivo, universale, assoluto. Il conato
è moto essenzialmente rotatorio ;
e quindi è
la sorgente prima
d' ogni e qualunque forma di
moto. La legge
di rotazione perciò
è legge universale; ed
è la sostanza
stessa cosi delle
grandi, come delle piccole
masse: Questo in
se stesso sforearsiy è
uno in se
stesso convertirsi.* Le conseguenze
di questa dottrina
cosmologica sono evidenti, originali,
modernissime. n vuoto è
un assurdo; perchè
è un assurdo
il nulla.' Esiste dunque l’universo infinito;
ed è tale
non come mondi, ben^i
come conato, come
sostanza universale
determìnantesi ne' due
attributi essenziali della
spazia- lità e temporaneità pure.
È un assurdo
il moto comunicato, perchè è
un assurdo che la forza
si rompa, si scinda,
si divida: senza
dir già che, se è
vero che la forza debb'essere anche
materia, la comuniccmone
del moto im- porterebbe la compenetrazione e
insieme la inerzia
degli atomi, ciò che
costituisce un doppio
assurdo. È uYi '
Ved. a questo
proposito la bella
Mem. di POZZOLINI (si veda) {Indumone delU forte
finche, Bologna), Baudrimoni,
Atomologie e le tre Memorie
eu la atrtUtura
cUi* Corpi. (Bordeaux) *
Ved. la Mem.
su la Legge
univeraale di rotazione
del nostro amico prof.
Bàrbera, della quale
accettiamo in gran
parte la dottrina
perchè ci sembra un'applicazione rigorosa
de*principii cosmologici di
Vico. Di BARBERA merita
esser letto il
discorso stupendo sul
Newton e la
Filoeofia Naturale (Napoli). La memoria poco
fa citata di POZZOLINI,
come questi due saggi
del BARBERA, sono
i primi segui
d' una riforma seria
delle scienze astronomiche e
della filosofia naturale
in Italia. Abibt.,
PAy«., Tiii. assurdo che
il moto universale
cominci e finisca,
poiché è un assurdo
che il mondo,
che è pur
egli necessario come termine
di conversione dialettica
abbia principio e fine.
È un assurdo
un impulso primitivo
impresso da Dio alla
materia, ciò che è l’esigenza illegittima
del fiacco Peripatetismo, dell'Aristotelismo platoneggiante: perciò assurda
e gratuitamente ipotetica
la base nella quale
s'appoggia la teorica
newtoniana sull’origine del moto. È
un assurdo che la materia
diventata forza, ciò è dire l’atomo,
tomi ad esser
pura materia; perciò assurdo che
la forza cessi
d'esser quella che
è nella sua essenza,
e che si
sperda, che decresca,
o si menomi
in qual si voglia
modo. Sono dunque
un assurdo, sono indovinelli da algebrisH quei
conti e racconti
di certi facili calcolatori
matematici che, come
il teologista e il
millenario, segnano già
ne' secoli futuri
la fine e
lo spegnimento della terra.
Ne' loro problemi essi
dimenticano che la forza
è creazione: e
dimenticano troppo facilmente, che creare
vuol non dire
annullamento. Il conato adunque,
è il vero
motore immobile e
mobilissimo dell'universo; è l'universo
stesso in quanto
è infinita potenzialità; è l’àpxrì xcv)ic
intrinsecato, essenziato con
l'universo stesso. Come tale
l'universo procede di numero
in numero (secondo
la frase del Bruno)
svolgendosi come mondi
nelle successioni, e perciò
è infinito nel
tempo; e come
tale anche l'universo, come il
pensiero nel formarsi
il concetto dell'Assoluto, rende a
Dio la pariglia. Cosi il principio cosmo- ' LìtìQUB,
Le premier moteur
et la nature
dame le tyetòme
tTArietote Paris. V. a questo proposito
con che assennatezza crìtica
il Barthélemy Saint-HUaire dÌMOm
su la Cosmologia
aristotelica (PAyttgiM trad,
en /rangaie et
aceompagnie dCune paraphraee
et de note»
perpetueUe», Paris, Introd. V. L)
Cosi resta lesrittimato
il concetto su V Universo
e su lo
Spaaio del filosofo nolano.
Egli pone Io
spazio come infinito
e però infinito
anche l’universo che è
nello spazio [DeW
Infinito Univereo e
Mondi, DinL I.) L’unverso certamente ò
inAnito, ma, ripetiamo,
ò tale in
quanto è eo- naio;
e così pure
lo spazio. Perciò
Mondo, Universo, Spazio ec.,
sono infiniti nella successione,
che tuoI dire
nella lor potenzialità. logico, o
meglio, il Primo
cosmologico di VICO (si veda), in
mentre che corregge la
vecchia cosmologia de'
Platonici e degli Aristotelici,
condanna ad un
tempo quella de’ neo-aristotelici empirici e
degl' iperpsicologisti, legittimando r esigenza
de' meccanici e
de' dinamisti, de'
Cartesiani e de'Leibniziani,
che vuol
dire della materia
e della forza. I
moderni cosmologi avran
fatto moltissimo quando avranno ridotto
ogni fenomeno ad
un ultimo fenomeno. Essi così
dimostreranno, o meglio,
verificheranno la vecchia divinazione
aristotelica. Ma si dovrà
arrestar qui la cosmologia
razionalmente positiva? No, certo. U suo grande
problema sta nel
dimostrare (e dimostrare non vai
mostrare) come quest'ultimo e irreducibile
e universal fenomeno, sia
precisamente la sostanza
stessa delle cose, la
vita stessa degli
esseri, la vita
dell'uni- verso che Vico rassomiglia
ad una fiumana
onde sgorga acqua sempre
nuova e perenne:
H(BC est vita rerum,
fluminis nempe istar
quod idem videtur,
et sem- per alia
atque alia aqua
profluit} Se il Processo
fisico s' inaugura col
conato in quanto è
un esteso metafisico
e risolvesi con
l'estrinsecazione della
forza nel seno
stesso della materia;
ne viene che tal
debba essere altresì
il corpo nella
sua sostanza; È inutile
mostrare come il
concetto del nostro
filosofo sul Conato
sia una correzione del
conato leibniziano. Mostrammo
già raffiniti tra
Leibnltz e Vico.
Con la dottrina
del conato questi
filosofi ci rappresentano
en- trambi r indirizzo medio
dell* Aristotelismo negli
studi cosmologici. Ma
il nostro supera
quel di Lipsia,
perchè il suo
conato è essenzialmente un e«(e«o
reale, metafisico, non
già fenomenico, ed
apparente. Questo concetto manca
assolutamente nella monadologia, Gens,
il LoYR {Essai
sur l’identité de»
agentt qui produigent
ec., Paris) Obovr {Correlation
de» force» phi/9Ìque§,
trad. Moigno). E.
Saiqry {E8»ai»nrVunité de»
phenomène» nature!», Patìs)
A. Sroohi
{Unità ddle forze
fiticke ec. Roma),
Dr BoocHRPORif [Du
principe generale de la
PhU. naturale,
Paris). A. Obuyrb
{Principe de PhU, Phyeiqtte ec.) "
De Antiqui»». Gom* è
evidente, è il
concotto fisico dell*
indi- rizzo medio
aristotelico: La vita
universale della natura
non conosce riposo, nò
morte: Kac toOto
flèOxvarov xac an'auTrov
xinapytt roi^ ouTtv^ otov
^a)>j Ttc ouffa
toì; fxivtt ^uvio-tùtc
notvtv. Phy»., Vili,
i. S. 8f forza attuata;
monodinafnia; e però
sorgente perenne di forze
fisiche, meccaniche, chimiche,
dinamiche. L'atomo è sfornito
di centro, perchè
è centro egli
stesso. Il corpo lo
possiede cotesto centro
; ma è
di natura ideale,
e perciò rende immagine
dell' universo stellare
nel quale il
cen- tro non è in
alcun luogo, e
pure è dappertutto,
il moto nel corpo
è monotono; è un’etema produzione
di forza ; e
questa forza non
è, a dir proprio, LA VITA (cf. Grice, “Philosophy of Life”). Però è un
conato onde l’analisi delle
forze omogenee e de’ comuni
agenti di natura
tende ad elevarsi
alla sintesi; ed
è lo sforzo
del numero che
volge ad unità.
Or la necessità di
questo conato non
importa egli un
altro intervallo? Il centro
dunque si manifesta
nel vegetabile, e s' inaugura
il mondo degli
organismi. Posto il
Processo fisico, la forza,
nata già nella
materia, qui nasce
in sé stessa, qui
rinasce, qui si
rinnova, e qui
è vita. Ma neanche
il vegetabile, a
dir giusto, possiede
un centro reale. Dunque il
vegetabile non è
vita, bensì passaggio,
e quindi strumento di
vita. Il processo fisico perciò
trae seco il processo
geologico; e la
genesi della forza
importa la genesi della
terra. Il processo
geogenico alla sua
volta importa il Processo
organico (vegetale e
animale) e quindi il processo
paleontologico, entro cui
si vengono accumulando e
sovrapponendosi cento e
mille faune e flore. Dalla roccia cristallina non istratificata e non fossilifera alle
più recenti produzioni
geologiche; dal jeriodo antizoico al
post-pliocene e all' attuale,
rivelasi tutto un processo
di forza. È
il Fatto che
si fa come forza,
ma in quanto è altresì conato alla
vita. Dall’epoca eotoica nella
qaale s’annunzia la prima
aara vitale, e molto più
dair epoca paleozoica
alla oenozoiea e
da questa all’età
poti- Urxtarifi
(quaternaria), accade che
col processo fisico
e g^logico si
marita il processo paleontologico, e
così ci si
manifesta la continuità
della vita at- traverso
le forme organiche
passate o presenti.
Or se tutto
ò processo e conversione
e perciò successione
costante di fatti
regrolati da lejrgi necessarie ed
immutabili, ne viene
che i cataclismi,
riferiti a cagioni ipercosmiche,
contraddicono evidentemente alla
ragion filosofica positiva, nò l’ha interpretazione benigna
ed ingegnosa della
critica teologica che sappia
legittimare la cronologia
mosaica ed il
racconto biblico. Ma a
Ma come
avviene egli il
passaggio del Processo
fisico air organico, e
quindi il passaggio della forza
alla vita? Avviene per
legge di conversione;
la quale perciò,
sup- ponendo r intervallo, importa
la differenza. S'invocano, al
solito, anelli intermedi
nel r^no vegetabile.
Ma forse che il
vegetabile rappresenta il
transito eflFettivo tra il
minerale e l' animale? SMnvocf
no analogie esteriori
fra certi minerali e
certe piante. Ma forse
che accanto alle analogie
non sorgono diflFerenze
profonde? S' invoca la eterogenesi,
e se ne traggono disparate illazioni
secondo il sistema che
si vuol propugnare,
come se la
generazione spontanea possa soggiacere a
dimostrazione noi non ci
ò permesso intrattenerci
intomo a questa
particolarità. Solamente ci preme
d’aTfertire che il
concetto del procetio^
nella Geologia e nella storia naturale,
forma oggi l’onore di Lyell
e Darwin. Ma se la Scienza
Nuova ò
la dimostrazione, o, per lo meno, l’esigenza del processo
isterico, in essa è racchiusa
la verità della
moderna geologia e zoologia.
Quando Vico dice che
i fllosoA prima
di lui avefaii ricercato Dio,
la scienza, il
divino nel mondo
della natura e
non per ancho in quello
della storia, ei s'
ingannava. La vera
scienza di natura, in
generale, sta nel conoscere
principalmente due cose: i il
doppio processo geogenico e
organico (paleo-zoologico), in
modo affatto sperimentale;
2* nell’annodarli entrambi
in guisa razionale
col processo isterico. Or la
scienza di natura
condotta a questa
maniera è posteriore a
lui, essendo nata
e cresciuta principalmente sotto
gli occhi de' due dotti
inglesi poco fa
mentovati, mentr' ei
non faceva che
inaugurarla prevenendone i grandi
risultati. E questi
insigni risultati preveniva
non già producendo scoperte
geologiche, zoologiche e
paleontologiche, ma
incarnando i^el processo
de’ fatti umani l’esigenza
del metodo isterico, e gettando i
germi d’una dottrina cosmologica
nella quale è racchiusa la
necessità del processo
universale, e, iu
questo, la necessità del
triplice svolgimento fisico,
organico e storico. I
vecchi naturalisti pretendeno
rintracciare argomenti in
favore della continuità reale
fra questi due
processi, notando la
struttura mirabUe e squisita,
per es., deirArragonite cotanto
affine a quella
d’uno de’ più elementari vegetabili;
come se nel
cristallo la composizione semplice,
uniforme, immobile cosi nel
tutto come nelle
parti e senza
centri ne’ suoi nuclei ed
elementi, avesse che
vedere col composto
organico più rudimentale! Il fatto
della eterogenesi è
tuttora un* ipoUsi,
e probabilmente re- sterà sempre tale
nel campo della
osservazione, ma è
ten nella mente del
filosofo. Gl’eterogenisti s'affaticano
a dimostrare coi fatto
ciò che già di
per so stesso
ò fatto !
La genesi spontanea,
appunto perchè tale, non
è un fenomeno di
trasformazione d’indole meccanica
della /orna alla vita:
essa importa già un transito,
e quindi un intervallo.
Come Per la medesima
legge avviene il
passaggio dal vegetabile all’animale. È
vecchio il pregiudizio
per cui si è
creduto che Tun
ordine d'esseri si
congiunga all'altro col
digradarsi del processo
superiore, e col
perfezionarsi deU' inferiore.
Il pesce si congiugne con l' anfibio; gl’anelli zoologici
inferiori s’annodano co’ vegetabili superiori, e
simili immaginazioni.
Oggimai è d' uopo raccomandarci alla
paleontologia, e alla
geologia. Queste scienze ci
additano un processo
quasi parallelo ne' due ordini in che viene
sdoppiandosi la vita
sin dalle sue origini
primitive. Il processo organico
dunque non può danque
potrà esser possibile
in tal caso
una prova sperimentale
seria e irrepugnabile? Ti sono
parecchi sperimenti, io
lo so. Ma
come fatti? Quante e
quali cautele sono
state adoperate? La questione
della genesi spontanea ò
mal posta. E
poiché il naturalista
non ò in
grado di porla diversamente di
quel che fa,
sarà quindi necessario
abbandonarne la so- luzione ad altro
metodo, ad altra
maniera d* investigazione. In
somma è una questione
essenzialmente filosofica: si
diano pace i
travagliati seguaci del Pasteur
e del Poullet!
Neir epoca
j9aZ«oltKeaapparÌ8con le grittogame
superiori: indi, nel- l' epoca
nuéoUtica le piante
conifere: appresso, nell’età
oenoUtica le fanerogame;
e, finalmente, nelP
età antropolUica, o
meglio pott-terxiarta, si manifesta
la flora attuale.
Ecco qui un
processo nella flora
primitiva. Il medesimo reggiamo
nello svolgimento della
fauna. Co* più
modesti tipi vegetabili s’accompagnano i più
bassi tipi zoologici
negli strati inferiori che
ci rappresentano l'età
originaria; e, nella medesima
epoca negli strati superiori veggiamo
lu prime forme
di pesci, accanto
alle quali appariscon le
grittogame. Con le
conifere appaiono i
rettili; e negli
strati superiori additatici dal
periodo eenolitico,
appariscon gl’uccelli. Ai
rettili ed agli uccelli,
dappresso alle fanerogame
teugon dietro e
si manifestano le
forme inferiori de’ mammiferi; e
negli strati superiori
del perìodo terziario
si rivelano le primo
tracce del regno umano. Alla flora
attuale poi s’accompagrna l’attuale FAUNA. Il
processo riesce evidente
anche qui, e il
riscontro ne'caratteri generali, nella
flsonomia e nell’insieme
delle relazioni geografiche e
biologiche, toma evidentissimo. Vegetabile e Animale,
dunque, sono due correnti, per
cosi dirle, che
movon da una medesima sorgente. Elle
si rassomiglian nella
semplicità ed omogeneità
delle forme primitive; e
tal riscontro è
più spiccato in
ragione che il
panteologista ascende verso
il centro comune. Sennonché il
processo nella serie zoologica è
assai più compatto
e variato; lo
svolgersi è più
rapido, e l'attuarsi di
questo svolgimento è
più intricato quanto
più ci accostiamo
alle recenti formazioni. Tal
è, per es.,
lo sviluppo che
ci palesano gl’articolati e i
vertebrati, a differenza
del modo con
che si vanno
svolgendo le classi de’vermi,
de’ molluschi, de’ celenterati, degli
echinodermt non esser di
natura essenzialmente polare.
Il vegetabile e l’animale
ci rappresentano incarnata
la legge universale della dualità;
la quale movendo
dalF unità sintetica
iniziale e confusa
e passando per l’analisi, riesce
ad una sintesi concreta,
determinata, analizzata. La
vita è vita
in quanto si diversifica:
è vita in
quanto si etereogenizecu^ Ma dov'è
la radice primitiva
ond'emerge questa doppia scala
in cui e
per cui la
forza, incarnandosi, diventa vita?
Non si discerne
cotesta radice: non si verifica;
né si può verificare.
Fin negli strati
primigeni dell' età
ar- cheolitica vi è tracce di
vita animale e
vegetale. Dunque il fatto,
r osservazione, ci
pone sott' occhio
una dualità. Ma una
dualità originaria, ripetiamolo
anche qui, non è
un assurdo? Dunque l'analisi, il
fatto, suppone già
una sintesi rudimentale, in
cui sia germinalmente
contenuta la doppia forma
di vita vegetale
ed animale. Or
questo comune stipite, che
con felice espressione
un illustre vivente naturalista ha
chiamato unità astratta,
o non esiste
come realtà sensata, ovvero,
esistendo, non può
essere, a dir proprio,
ne vegetabile, né
animale, ma l'una
cosa e l'altra insieme. S' ella
é una realtà,
è destinata a
scomparire dal regno della
vita, appunto perché
non é forza
né vita. S'ella é
una realtà, sarà
un soggetto di
natura indeter- minata,
fisica e
organica ad un
tempo. In essa
la forza diventa vita;
e quindi, più
che anello di
continuità reale, ci rappresenta
una continuità ideale
; e perciò
con l' intervallo reale ci
significa la virtù
e l'efficacia del
conato, Ved. H. SpBircRR,
E$$ay$ $ei€ntifìe, polUicalf
(md 9peeulativef ed.
cit. Veramente ingegnosa è l’analisi
che quest’autore fa
circa il modo
con che avviene il
procetso zoologico il
quale egli talora
chiama |7roee««o di
di/- /erenziafzione: e non
meno ingegnosa è
quella sul processo
geologico, etnologico e paleontologico. Jl
difetto sta neir
applicare la sua
legge al processo èoeiologieOf dov*
egli evidentemente abusa
delle analogie estrinseche col. mondo
zoologico. Si vegga,
per dirne una,
come considera il
fatto de’ fili telegrafici che
abcompagnauo sempre le
vie ferrate, in
relazione a certe leggi biologiche
degli organismi zoologici
inferiori. VoQT, Le
lib. del diritto universale, e
segnatamente nella storia
delle cinque età
del tempo oscuro; dalla
quale storia risulta
la legge storica e sociologica che,
portata a pii largo
sviluppo, costituisce la scienza nuova. Noi
consacreremo apposito
capitolo intorno a
questa teorica del tempo oscuro perchè in
essa troveremo il fondamento
legittimo della sociologia
davvero filosofica e positiva.
L’altro strumento poi
che Vico avea
fra mano e
sapeva maneggiare in guisa
che non ci
ò dato nò
pur sospettare alla
lontana, costituisce
propriamente la parto
geniale, originalissima del
suo metodo isterico; ed ò quella
che noi dicemmo
di natura psicologica,
e che di fironte
alla prima serba
indole a priori;
ma è un
a priori positivo,
positivissimo, perchè di
natura psicologica. Ella in somma cojitltuisce, se cosi potessi esprimermi,
un lavoro mentale da
geologo, da paleontologo.
Se infatti lo
spirito dell' uomo
in una data
epoca istorìca somiglia,
vorre dire, ad una caverna
ossifera, bisognerà studiarlo
analizzandolo, anatomizzan- dolo,
decomponendolo. Perciò è
necessario dimenticar noi
stossi, e lavo- rare attorno ad
esso in modo
tutto ideale dÌ8cendendo
da questa no$tra umana
ingentilita naturaf a
queUe affatto fiere
ed immani, U quali
oi affatto negato d^ immaginare,
e eolamente a gran
pena ci i
permeeeo cT intendere, (Sec. Se.
Nuo.) Breremento: bisogna
aver presenti noi
stossi, ma nel medesimo
tempo dimenticarci :
bisogna etordire ogni
eeneo «T uwtanità (sono sue
parole) e ridurei
in uno etato
di eomma ignoranjta
di tutta l’umana e
divina erudizione. Questo è precisamente
ciò eh* egli
dice portare ad
un fiato il
vero e il
eerto, la fiioeofia e
la filologia. Questo
è il metodo
isterico davvero positivo,
che è propriamente metodo di natura eduttiva. E questo
dovrebbero mediterò ed applicare i nostri sazievolissimi predicatori
di certi metodi
storici e critici che
al postutto riduconsi
ad un meschino empirismo I perciò
medesimo è scienza
del presente, scienza
dell’oggi, e, fino a
certo segno, anche del
domani. Ma senza quella
filosofia che non
le è incorporata
ma ch'ella presuppone necessariamente, cotesta
Scienza Nuova non sarebbe
niente di tutto ciò. Posta
infatti la doppia
formola metafisica e cosmologica, i
cui germi giaccion
nel libro metafisico; posta segnatamente
la gran legge
del processo cosmico, ella
è davvero un
poema, è un gran poema, un poema
sul serio, ma un poema
sui generis. Perchè? Per
questa ragione principalmente: perchè è una
Storia naturale della
umanità nell'uomo: perchè in
lei si scruta
l'originaria formazione dell'
ultimo sommo genere; perchè eli'
è la celebrazione
solenne dello Spirito che
si crea nel
regno stesso della vita;
perchè è la creazione
parlante, vivente, reale del
pensiero ch'esce dal caos
delle forze brute fisiche,
meccaniche, biologiche ; perchè,
insomma, rivela il
Fatto che, convertitosi con sé
stesso come forza e come
vita, ora convertesi
col Vero come pensiero.
Ecco l'originalità vera
del pensiero vichiano. È un
pensiero d'una grandezza e d'una
potenza, sto per dire,
titanica ! un pensiero nuovo, nuovissimo, anche dopo
due secoli I La
Scienza Nuova, dunque,
rappresentandoci la genesi del
processo storico e
sociologico, fra le altre
cose pronunzia, legittima, compie
e insieme corregge
il darwinismo. Una delle Degnila sulle quali
è innalzato il suo
grandioso edifizio è
lo stato ferino
dell'umanità; cagione
certamente non puerile
delle dispute e
delle sètte de' ferini e
degli antiferini surte
fra noi, come
toccammo, sotto gli occhi del
Papa e de’ cardinali nel
bel mezzo del
secolo passato. Il suo problema
dunque è il gran problema ond'è
agitata e mossa
la scienza odierna.
È lo stesso problema
che, con significato
assai pili compren- sivo, assai più
razionale, assai più
sintetico e profonda- mente sintetico, agita
e muove sotto
gli occhi nostri
la filologia, la zoologia,
la geologia, la
paleontologia, l'antropologia,
la sociologia, la
filosofia e la storia del diritto,
la filosofia e la storia delle
arti, la filosofia
eia storia delle religioni,
come saggiamente ha
detto il De Fèrron. Il
suo problema quindi
si collega con quello stesso di
Lamarck, Couvier, Saint-Hilaire,
Herbert, Mathew, Omalius, Halloy, Rafinesque,
Schaaffausen, Hooker, de' viventi
naturalisti, de’ viventi filologi,
de' viventi mitologi, e
degli storici d' ogni
maniera. Nella Scienza Nuova
infatti il processo
storico-sociologico nasce, sorge
o si produce
nel processo zoologico; ma
nasce, sorge o
si produce creandosi.
Dunque il 6e- stione,
l’uomo ferino, per
quanto ferino e
bestione vogliasi
immaginare, importa già un intervallo.*
Come ci si rivela
egli cotesto intervallo? In altre
parole: com'è che s'inaugura
il processo isterico?
Com'è che s'inizia il
regno dell' umanità? Al
solito s'inaugura con
la gi an legge delle
polarità, ma nel
medesimo individuo: s'inizia con
la legge della
dualità, ma nella
coscienza stessa dell'individuo. Ciò che nell'ordine psicologico
è senso e intelligenza, potere
e volere. Autorità e
Ragione; qui, nell'ordine sociologico
e storico, è libertà e pudore:
ecco i
due Principii éC
Umanità; principii essenzialmente sociologici. Lo stato
ferino per Vico è an fatto accidentale, ed
è accidentale perchè non è universale;
ma questa dicemmo
essere un* aporta
contrad- dizione in che cadde
tanto lui, quanto
il suo discepolo DUNI (si veda). Ed
ò contraddizione, perchè fa
contro non solo
ai suoi principii
cosmologici, ma anche all’esigenza
stessa del suo
metodo, fe-una delle
contraddizioni duo- que dalla
quale ei pì
libera da so medesimo.
Nessuno prima di Vico
aTcva impresso valore
ed importanza isterica a
questi due iftm
o principìi d’umnnità.
Grozio, per citare un
esempio, parla anch*
egli- del pudore; ma non sospetta
nò la neces- sità sociologica e
istorìca di questo
fatto, nò il
significato psicologico di questa
tondenza, e però
non ne fa uso di
sorta'. (Ved. Dt
Jwr. M. et paeitf
"Disse la libertà
madrt di qualsivoglia
diritto civile; ma
perchè madre? Citiamone un
altro esempio. Anche Platone
parla de* due
beni. Pudore e
OiuetÌMÌ€L, che Giove
impartì agli uomini [Protag.,
ed. Cousin): ma
pel filosofo greco
tale tendenza ò partecipata,
è comunicata, mentre
pel Vico è
affiatto naturale. Per Platone
riiman»tà si manifesta
nella CVttèt, nella
iSepubò^tca; dovecbè Qual valore,
infatti, qual significato
hanno queste due parole
nella mente del
nostro filosofo? Considerate
sotto il rispetto storico
e sociologico, Pudore Libertas non
sono idee, concetti, nozioni,
astrazioni; sono bensì
condizioni efficienti
originarie, intime, spontanee,
istintive di nostra natura. Sono
i due principii
che principian l’umanità
nell'uomo; principii ch'ei
pone quasi geni
tutelari alle porte ddla
storia e delle
cose umane. Sono
facoltà, ma facoltà involute,
potenziali; stantechè Tobbietto
di esse non sia
per anche fatto,
noh sia per
anche elaborato. Perciò sono
giudizi, ma, al
solito, giudm sentUij
come direbbe egli stesso; giudm
fatti senza riflessione.
Sono dunque tendenze primigenie,
sono esigenze autogenite; e però
ci rappresentano anch'elle
ima sintesi confusa, entro cui si racchiude infinita
virtù esplicativa. Qual è
infatti il principio d'ogni
socialità? Qual è la radice della
socialità? £ il concetto stesso
d' umanità. £ come
si determina, come si
esplica dapprima questa tendenza
innata e originaria ad
umanarci? Appunto col
gemino sentimento del pudore
e della libertà Questa
originaria dualità costituisce
la natura stessa
dell'uomo, giacché r ente
umano intanto è
animale umano, in
quanto non è una
cosa, ma due:
(ùov fiU7Ttxoy, e
(wov ttoXctcxov. £d egli
è tale fin dalla
sua prima origine,
questa essendo per l'appunto
la invitta necessità
del processo iperzoolo- per Vico ò originaria, tanto
cho si manifesta
anche nello stato di natura: il quale
perciò, come altrove accennammo, non ò
quello do' giusnaturalìsti. Fra la ReptMdiea del
filosofo ateniese, quindi, e
la SeienMa Nuova, anche
per questo rispetto
t* è un abisso,
checche ne abbiano detto
0 possano dime certi
Hegeliani. Per questa
medesima ragione non ò
da confonder menomamente l’uomo ferino della
Scienza Nuova, con gli
nomini selvaggi di
cui parlavano tanto
spesso gli antichi, segnatamente r A. della
RepubUica, Aristotele, CICERONE e simili. una posizione affatto
diversa, a cui bisogna
por mente. HumaniUu ett
hominU hominum juvandi
affedio, {De Conti, JurU- prudenHt, 0. II, l.)
Sed ex latiori
genere Humanitatie heie
a nobU aoupta
a duobue prineijnù ootMtal,
Pudori et Libebtatk.
{Id, eod,) gico, e della
legge di conversione:
rèbus ipsis didantìbus.
Or qual è la relazione
che stringe insieme
i due Principii d'umanità? È
quella medesima che,
posto il processo isterico
e sociale, congiugne
in armonia la
società di ragione (Societas
Veri), e la
società dell'utile (Societas qui
boni). È appunto
la relazione che
corre fra il certo e il vero,
tra la forma
e la materia. Ma se questa
dualità di principii
inauguratori dell'umanità nell'uomo
è originaria, accade che,
appunto perchè originaria, debba
rivestir forma d'unitotalità
e d'incosciente unità. Or come potrebb' essere unità
ove, al solito, non
serbasse natura di
conato? Pudore e Libertà quindi
sono un conato; sono dualità
e unità insieme; sono perciò triplicità.
Se non che, questa
triplicità non è
inaugurazione del processo
psicologico teoretico, bensì pratico;
non del processo conoscitivo, bensì operativo. E
dunque una triplicità
originaria di natura pratica,
empirica, istintiva, e dee quindi
serbare, nel medesimo tempo,
valore psicologico e
sociologico. L'ente umano adunque
è di sua
natura un soggetto essenzialmente
relativo. Egli è
in un'ora medesima
in sé stesso, e anche nell'oZ^ro:
è sé stesso,
e insieme debb'essere anche l'altro. Egli insomma,
ripetiamolo, non è
una, ma due
cose in sé stesso:
uomo e cittadino.
E dovendo esser
tale fin Qai
risiede, come Tedremo,
la condanna della
dottrina sociologica del Positivismo,
e della confusione
eh ella fa
tra la storia
e la socio- logia, tra la sociologia
e la psicologia, tra la
psicologia e la biologia, nonché l’erroneo concetto
della Statica toeiale
de’ Positivisti francesi. * De
Univ. Jwriè PrineiptOj
Ex vi ip$iu9
humanct natura de
duobu$ hit HumanitcUit
prineipii» di«8eramìt$f
^orutn unum, ceu
forma, erit Pudor,
alterum, vduti matebia. erit
LiherUtf, {De CoMt,
Jur.) Trasportando questo concetto
dall'or- dine sociologico a quello
delle idee e della scienza, possiamo
affermare che in tal
modo Vico abbia posto
nella stessa coscienza,
nello stesso individuo, la
distinzione, oggi vitalissima,
tra la Morale
e’1 Diritto, salvando così l’autonomia d'entrambe
queste discipline. Perciò
nò la Morale
può dedursi dal Diritto,
come farine i
giusnaturalisti hegeliani e positivisti,
nò il diritto dalla morale,
come usan fare
i teologisti e,
in generale, i filosoft
neoplatonici. Di queste cose
discorreremo nella Sociofogicu dall' origine
sua, fin da
che apparve naturale,
sdvaggio, ferino bestione; perciò
in lui il pudore
è conato, stan- techè
col conato incofninciò
in esso a
spuntare la virtù dell’animo, Per
la stessa ragione
è tale anche
la Li- bertà, la quale
è conato proprio degli agenti
liberi,,,, onde que’ giganti si
ristettero dal veezo
cT andar vagando per
la gran sélva
della terra, e s’aweisearono ad un
costume ttdto contrario, Ma se la relazione che annoda i termini
di questa originaria
dualità è quella
che corre tra la
forma e la
materia in generale,
avviene che il pudore
sia logicamente anteriore
alla Libertà, e la
Libertà, alla sua volta,
sia cronologicamente, empirica- mente anteriore al pudore.
See, Scienza Nuova Idtmf
eod, Perciò dice
ohe il pudore l
U primo antiehitnmo
principio d’umanità. (Sec. Se,
Nuova) E gaardADdo
agli effetti di
qoesto sentimento, osserva
ohe il Pudore
arreeta la vaga
venere origina la eocictà matrimonÌ€i!e, donde
emerge la eoeietà
(Prim. Se. Nuova);
e come inizia la
società, così pure
inventa la religione:
Pudor inventar religionie. {De Conti.
Jur.) Additando poi la
priorità logica del pudore di fronte alla libertà, dice: Pudor
euetoe jurie naturalie
(De Univ. Jur,);
«Tura a Pudore
oria, ad pudorem redeunt, et
a eontemplatione nata, in
eontemplatione poetremo deeinunt
(Ihi, OC Vili):
Pudor omnie divini kumanique Jurie
parene (Ihi, GIV):
Pudor Jurie naturalie /one {e.
Ili): Pudor exoitator virtutie. Il senso di libertà,
poi, assume dapprima nna
forma affatto empirica
e naturale; assume
forma di potere {poeee) di
volere sfornito di
ragione, d'arbitrio, di
passione; e, come tale,
riesce cronologicamente anteriore
al pudore nò potrebb* esser
diversamente ammessa la relazione
intima fra il
processo zoologico e
il processo isterico. L' anello
vero perciò fra
questi due processi,
l’anello reale fra i
due mondi, òr «OMO
stesso; ma l’uomo considerato
come un poro poeee potenza, potestà
naturale. Sennonchò cotesto
ò un momento
indiscernibile; è un intervallo
che tosto ò
superato, e il
potere già diventa
voUre e il volere diventa
oonoeeere sempre per
la solita legge
del rehue ipeie
dio- tantUnu, àéìVipea rerum
natura. Libertà e Pudore
quindi son come
le due facce del
conato umano: l’una
ò intima, secreta,
individuale; l’altra ò sensata,
estrinseca, e perciò di
natura essenzialmente sociologica. Or come tale la
libertà ò il
primo punto di
tutu le eoee
umane (Sec. Se. Nuova);
e perciò ex
libertate eommereiay ex
eommereiie humanitae excuUa, {De
Conet, Jur,) E
poichò ò una
condizione primitiva, perciò la
dice dote proprissima dell’uomo: NihU hcmini magie proprium quam
oo2imto; ed essendo proprissima
proj>rM(o^va del filosofare, quanto le forme negative. Ogni
maniera di speculazione soccorre
al progresso e alla ricostruzione
della metafisica, a
contare dalla piiì grossolana
affermazione dommatica, alla negazione del
più volgare ed em])irico
pirronista; dalla più ardita
formola sistematica, al più
sottile sofisma dello scetticismo sistematico.
Ma neanche qui ci poteva esser concesso
dimostrare, senza trascendere
i confini del nostro disegno, il modo
con che in
mezzo allo svolgersi de'
due estremi indirizzi
siasi venuto incarnando
e pigliando quasi persona
l' indirizzo medio. Mostrare
insomma come le forme
positive della metafisica
siansi venute svolgendo, sarebbe
stato lavoro di
storia, e di crìtica:
al modo istesso
che sarebbe stato
lavoro di esposizione far
vedere la monotonia
con che si
sono succedute le forme
negative del filosofare. Solamente ci
fu mestieri accennare
come nell'età moderna, dopo
le divisioni del
Cartesianismo nel quale ripetesi, con elementi
di novella speculazione,
la vecchia sintesi aristotelica,
l'indirizzo medio ci
sia rappresentato dal
Leibnitz in Germania,
e, più spiccatamente, da VICO
in Italia; e
come ne' tempi a
noi piii vicini siansi
ripetuti gli estremi,
e si ripetan tuttora sotto
novelle forme, così
nell'uno come nell'altro paese. È iperpsicologismo il neoplatonismo italiano moderno: ma
forse che sarà
meno iperpsicologismo il
sistema jdeir assoluta identità?
È empirismo e nullismo metafisico
il positivismo di
Francia ed il
materialismo di Germania: ma
sarà meno empirismo
lo scetticismo sistematico di FERRARI e
certa ibrida forma
di criticismo di FRANCHI e
il nullismo metafisico de'
nostri filosofi dell’avvenire? Vedi
qael che altrove
abbiamo discorso circa
le forme negative
e le forme po»Uìve
del filosofare e
circa la storia
della filosofia in
generale. Lo scetticismo non è
da pigliarsi a
gabbo, come par che
facciano tutto giorno
dommatici e sistematici. La sua
funzione istorica ha
grande importanza, essendo
quasi la molla
efficace, tuttoché negativa, del
progresso in filosofia,
né y*,ha periodo
storico in cui
lo scetticismo non accompagni
sempre lo STolgrersi
del dommatismo. Il dommatismo
è syariatissimo nelle sue
forme, e quindi
possiede una storia. Lo scetticismo invece è
immobile, è immutabile;
e questo è
insieme il suo pregio,
e la sua
condanna. Perciò lo
scetticismo non ha
né può avere una
storia, appunto perchè
non importa un
processo; e non è
processo appunto perchè
è negazione. L’arma dello scettico
infatti è sempre identica
a sé stessa.
Nel nostro Ausonio
rivive Enesidemo, e nel
nostro FERRARI vi è
tutto Sesto Empirico.
Chi si voglia
quindi provare o siasi
provato, come il
Bissolati (Ved. Tntrod.
alle fgtituxioni Pirroniane^ Imola), a
fare una storia
dello scetticismo, altro non fa,
altro non potrà mai
fare, salvochè una
rassegna, un racconto
monotono e sazievole d'argomenti identici.
L'esigenza scettica, il
metodo teettieOf potrà
benissimo cangiare i punti
di m«(a, come
fann'oggi gli schietti
positivisti, ma la sostanza
rimane e rimarrà
sempre la stessa.
Invece l’esigenza dommatica
è un fatto
al pari dell' esigenza scettica:
ma ò un fatto
che si muove; è
un fatto che
sì fa. Hegel
ripete Platone, e
ripete Erigena; ma non
è nò Platone,
né Erigena. ROSMINI
ripete Aristotele o AQUINO,
ma non
è né Aristotele,
né AQUINO. GIOBERTI ripete
Malebranche, ma non è
nient'affatto Malebranche. FERRARI anch'egli
ripete. Ripete Sesto Empirico.
Ma come lo
ripete? Facendone la
fotografia! Ora se il dommatismo conta
una storia essendo
un processo isterico,
e lo scetticismo n'é al
tutto sfornito, com'è
possibile che il
trionfo stia pel
secondo anziché pel primo?
La funzione isterica
dello scetticismo dunque è
necessaria, essendo »na
ruota della macchina;
ma badisi a non
confonder la macchina con la
ruota,, ciò che
costituisce appunto l'errore di
chi spera (vana
speranza!) nel trionfo
definitivo del pirronismo. Se non
che, lasciando di Leibnitz
e del moto
filosofico d'Alemagna, peculiar proposito
del nostro saggio e
quello d' additare
la correzione e l’inveramento
delle due estreme
tendenze (scettica e
dommatica) che nascono e
rinascon parennemente nella
storia, e che oggi, assunta
forma pia conseguente e
razionale, s’addimandano
Positivismo e Idealismo
assoluto. Il fondamento di
tal correzione e '1 criterio
di siffatto inveramento, per
ciò che
spetta al nostro
paese, pone radice nelle
dottrine del filosofo
napoletano, interpretate e ricercate con
metodo critico rintegrativo. Ma, a far questo,
che cosa era
d' uopo mostrare
innanzi tutto? Era d'uopo
mostrare la possibilità
di rin- venire in lui
cotal fondamento. In altre parole, era d'uopo mostrare se in
lui per avventura fosse alcuna originalità di
speculazione razionalmente positiva: il che ci parve opportuno
innanzi tutto far
vedere in ma- niera indiretta e
per via storica,
abbozzando una storia de' critici e degli espositori
delle dottrine vichiane.
Che poi davvero esistano
in lui germi
d'originalità metafisica, r abbiam
chiarito nel secondo
libro di quest'
opera, interpretando le sue
teoriche con una
forma di critica che
scaturisce logicamente dalla
stessa triplice paiiizione
de' periodi ne' quali abbiam
diviso quel nostro saggio
istorico. Se pertanto un
rinnovamento del pensiero
filosofico italiano è necessario
e inevitabile perchè
richiesto dalla ragion filosofica
positiva, perchè domandato
dall' esigenza del sapere
moderno, e perchè
imposto dalle rinnovate condizioni politiche,
civili, religiose del
nostro paese; si domanda: come
innovarci? introducendo forse il Positivismo, o perdurando
nello Scetticismo? Evidentemente
contraddiremmo all'indomabile istinto
verso la scienza: contraddiremmo al
bisogno sempre più acuto e
profondo di nostra
ragione: negheremmo la ragione.
Vorremo innovarci seguitando a dirci ed essere
iperpsicologisti? In tal
caso dovremo accettare
due condizioni: costruire la
scienza con la
ipotesi, con Va priorismo;
e disconoscere i
limiti del pensiero
e della scienza stessa,
dando così alla
ragione un valore
dommatico, sistematico, assoluto,
anziché critico e
positivo. Chi vorrà oggimai
accettare siffatte condizioni? Dunque Positivismo e
Idealismo assoluto, negazione
assoluta di sistema e
assoluto sistematismOy son
le colonne d’Ercole che la moderna
Francia e la
moderna Germania ci
vogliono imporre: esse non
ci appartengono, e
a noi sarà lecito
abbatterle, non per
vana horia nazionale,
ma si per necessità
di ragione. Forse
che un rinnovamento in senso
hegeliano non ha
ormai fatto fra
noi le sue prove
per quindici anni,
per vent'anni? Non
è stato fa- vorito con ogni
guarentigia di libertà?
Non è stato e non
è rappresentato così
nel privato come
nel pubblico insegnamento? E
pure l’Idealismo assoluto,
almeno quant^alla peculiare esigenza
che lo distingue,
cioè come Sistema delP
identità assolata non
ci è passato in
sangue, ne poteva; e nonostante gli
sforzi nobilissimi di egregi
scrittori, egli è
rimasto ne' libri, e rimarrà ne'
libri. Altrettanto impossibile riesce
un rinnovamento dsL positivisti.
Piii deir Hegelianismo
il Positivismo è stato
accarezzato, favorito per
ogni verso, predicato privatamente, talora
persino officialmente. Ma
gF ingegni severi vi han reagito,
vi reagiscono; e l’infinita moltitudine di que' filosofanti che
han su le
labbra cotesto nome pomposo
e bugiardo, è
lungi dall' averne ponderato il valore,
le conseguenze, le
applicazioni. Rinnovamenti di cotal
genere, dunque, sono impossibili
fra noi: e' non sarebbero legittimi,
coscieuti, naturali, autonomi,
efficaci, intimi, storici. Vogliamo
finalmente ritentare un
rinnovamento d'iperpsicologismo
da ontologisti neoplatonici? Resteremmo quel
che pur troppo
siamo stati, e siamo:
non andremmo avanti;
torneremmo indietro. Se dunque la
necessità del nostro innovamento filosofico deve poter germinare dalla
passata speculazione, noi
dobbiamo rintracciarne gli
elementi nelle opere
e nella mente di chi è
capace di rappresentare
non pure il
passato, ma, più ancora,
il presente e l’avvenire.
È d'uopo attingere ispirazione
nelle opere e nella mente di
chi può soddisfare l’esigenza positiva
e l’esigenza ideale
del sa- pere, ma correggendole
entrambe. È d' uopo
invocare gli auspici di
chi, incarnando il
medio indirizzo della
specula- zione, valga a rannodarci
con la nostra
tradizione scientifica, e con
lo svolgimento dell'intera
storia della filosofia. Chi potrebb'
esser questi, fra
noi, salvo che l’autore della Scienza
Nuova? Ecco l'addentellato piii
sicuro e tutto nostro,
dal quale è
mestieri s' inauguri il
presente rinnovamento
filosofico italiano. Ma, nell'invocame
gli auspicii, noi dobbiamo interpretarlo
con la coscienza
del sapere moderno: noi
dobbiamo correggere anche
lui; e correggendo, lui correggeremo
poi stessi, e
gli altri: correg- geremo il neoplatonismo, l' hegelianismo, il
positivismo. Brevemente: se rinnovarci
è suprema necessità,
di tal necessità è
d'uopo aver pienezza
di sentimento e di
coscienza storica. Abbiamo dunque bisogno
d' una base per muoverci,
d' un punto a
cui mirare, d' un
segno per orientarci, d' una
guida tutta nostra
in cui la
nostra mente riconosca sé
medesima. Chi potrebbe
risponder meglio a cosiffatta esigenza
tranne colui che seppe concepire il
sublime per quanto
rozzo e incompiuto
disegno d'una Scienza Nuova? Il
nostro quesito adunque
era semplice e
chiaro; ed è questo
: Come penserebbe
il nostro filosofo
ov' ei tornasse a
vivere in mezzo
a noi, nelle
nuove condizioni politiche,
sociali, religiose, co'
nostri nuovi bisogni, con
le nostre nuove tendenze?
In altre parole: come
farebb' egli a
risolvere oggi, col
suo stesso metodo,
i grandi problemi della
scienza? La risposta
riguardante i problemi
speculativi, è nella
seconda parte del
presente libro. La risposta
poi che concerne
i problemi d' ordine storico, politico, religioso
e pedagogico, la
daremo nella Sociologia. È che
sia questa per l'appunto l' esigenza
del suo
pensiero ; che
sia questa la
necessità del nostro Rinnovamento, ce
ne porge guarentigia
e conferma la storia,
e il modo con
che s'è venuto
attuando e svolgendo il
nostro pensiero filosofico. Noi non
possiamo intrat- tenerci a lumeggiare
in qualche maniera
cotesto svolgi- mento. Non possiamo rilevarne i
caratteri, ritrarne la necessità
ne' passaggi, e dichiararne
il progresso ne' diffe- renti periodi, dando
così forma determinata
e compiuta al nostro
assunto. Questo faremo
quando che sia
con apposito lavoro, di cui abbiamo
già in pronto
la materia. Ma accennare
di volo al
risultamento del nostro
pensiero senza por tempo
in mezzo, è
cosa che possiamo
fare anche ora; tanto
piii, che tal
risultamento, chi ben guardi,
traesi facilmente dalle
cose discorse in
piii luoghi del nostro
libro. La storia della
filosofia italiana, dunque,
a noi sem- bra doversi dividere in
tre difiFerenti periodi,
de' quali stringiamo in
pochissimo i caratteri
e le tendenze
pe- culiari: Primo Periodo (Scolast%c(hteologico), S'inaugura con
Boezio Severino (Marciano Capella, Cassiodoro ec),
e finisce con
San Tommaso (Tomisti
e Scotisti inclusive). Vi è
chi col Gioberti
divide la storia
della filosofia italiana
in cinque epoche (Ved.
Prìmnto, ed.); e
v'è chi la divide
in quattro età,
cominciando dal VI sec avanti
Cristo (Babtolom- I M RS,
Dici, den teienc
philot.) Divisioni di
cotal fatta evidentemente
peccano d'eccesso, in quanto
che abbracciano più e diverse
civiltà, e però
non riescono ad imprimere
valor razionale e
forma omo^renea allo
svolgimento del nostro pensiero
fllosoftco. La storia
della filosofia italiana
s’inaugura quando il popolo
di Roma, cessando,
secondo il detto
di Hegel, d’essere essenzialmente umanitario
e univertale, comincia
ad essere italiano. Il suo cominciamento amare
il concetto del metodo, cioè
la industria induttiva,
ma ne' fatti d'ordine fisico sensato, e in parte
filologico ed erudito.
L'indirizzo medio perciò s'inaugura
con ricercare e
determinare il metodo, non
già con l'edificare
un sistema. Questo
è il lor merito
comune; e questo
è anche il
loro difetto, stantechè manchi
ad essi la
nozione compiuta del mesi pretende
imprimere ralore a
tutta la storia,
quando s’interpreta, cosi com’es8Ì
fanno, la scuola
platonica toscana, e
le si vuol
dare quel valore ch*ei
le danno. Un
altro esempio sono
gli studi di
Spaventa su Bruno e su Campanella: studi
bellissimi e pieni
di vedute profonde
dalVun capo air altro,
e come monografie
noi H accettiamo,
e ne caviamo
il nostra prò: ma com’elemento di
storia generale, la
Agnra e la
Asonomia del Bruno, per
esempio, ò delineata
siffattamente, che quando
siamo al significato
della storia generale
della filosofla, si toccan
con mano lo Gonsognense sistematiche
e parziali della critica
monografica. In una parola
io; voglio dir
qoesto: la monograAa
ò boli* e buona,
ò supremamente utile, ma è sommamente
pericolosa; perchò se
come studio mo- nografico ella può
esser vera, come
parte, com’elemento di
storia pu^ riescire falsissima.
Altrove noi proveremo
largamente e con
esempi mostrani tale assunto.
todo com'è applicato oggidì
da metafisici. Se non
che l'indirizzo medio nel
Rinascimento ci può
esser più convenevolmente rappresentato da
que' filosofi che,
travagliandosi attorno alla quistione
dell’anima intesa come problema
puramente psicologico, fanno
ad un tempo
ogni sforzo per interpretare con benigna critica
la dottrina dell’inteletto
possibile e dell’inteletto agente e
fra questi, come altrove
notammo, van rammentati
NISO (si veda), PORZIO (si veda) (il
quale non è
nient' affatto un seguace
di POMPONAZZI (si veda),
come pretende il
nostro collega FIORENTINO (si veda), ZABARELLA (si veda), CASTELLANI (si veda), ed altri
di simil valore.
Costoro sorpassano i confini
del senso; trascendono
in parte la modesta
indagine psicologica introducendo la ricerca cosmologica, e rannodano
così il problema
dell'anima intel- ligente
con r
altro della natura
intelligibile. Nessuno ha I
pensato a rilevar
nettamente questo aspetto,
e segnalare questa tendenza
tanto evidente in
parecchi filosofi di quell'età. E
pur ci sarebbe
tanta mèsse damietere, i quando
non fossimo signoreggiati
dalle prevenzioni sistematiche del Neoplatonismo, o dell' Hegelianismo. Ma l’eterogeneità, il
contrasto, l’opposizione cresce sempre
più. Da una
parte ella si
esagera, per esempio,
con ZIMARA (si veda), CESALPINI (si veda), VANINI (si veda) e simili;
i quali rappresentando, diremmo
quasi, una mischianza
di naturalismo e d' iperpsicologismo, palesano
la. fiacchezza del vecchio
aristotelismo: dall' altra
poi si esagera
con que' filosofi che
presumon d'interpretare convenevolmente Aristotele e
Platone, mentre arabeggiano
la lor parie; e
tali per esempio,
sono LAGALLA (si veda), LICETO
(si veda) ed l’altri di
simil fatta. È
il Platonismo toscano, è
il naturalismo di POMPONAZZI (si
veda), è
l'arabismo padovano che si
prolungano pur sempre
svigoriti e indeterminati. Bruno e
Campanella rappresentano anch'
essi debolmente r Aristotelismo
e '1 platonismo, ma
per una ragione assai
diversa. L'esigenza psicologica,
propria del Rinascimento, nei
due arditissimi frati
assume ben altro valore, e si
allarga a sistema;
e così vediamo
i due estremi modificarsi
di guisa, che
Bruno e Campanella ci paion quasi
filosofi moderni, e modernissimo Galilei
rappresentante dell'indirizzo medio nella scienza fisica, in quanto ci
esprime assai vivacemente l'esigenza induttiva nelle discipline sperimentali.
BRUNO (si veda), CAMPANELLA (si veda), e BONAIUTI (si veda) Galileo
Galilei, infatti, non ripetono
Aristotele del Lizio e Platone dell’ACCADEMIA, e
neanche intendono ad accordarli. Essi piuttosto
tendono a correggerli, e credono
correggerli, come altrove
mostreremo, in tre diverse
maniere. Perciò non a
torto il filosofo nolano è riguardato
oggi siccome antecedente
isterico di Spinoza; il
filosofo di Stilo
è ritenuto come
antecedente di Cartesio; e
Galilei viene invocato
da' Positivisti come uno ùe'padri
del Positivismo, secondo
che ci han
fatto grazia dirci Comte
ed Littré. Or tutto
questo sarà vero; sarà
vera cotesta novità ne'
tre filosofi: ma
sarà vera nel
senso che a
tutti e tre manchi qualcosa.
Essi ci rappresentano, vorre’dire,
tre esigenze solitarie, esclusive
e quasi inorganiche. In CAMPANELLA, per esempio,
vi è il
concetto della COSCIENZA e
della storia; ma
non vi è
quello dello spirito
come storia. In BRUNO vi
è il gran
concetto della natura; ma è un
concetto sifl'attamente
annebbiato e indeterminato che riesce affatto irrelativo, e nulla
non ha né dietro, né
avanti a sé. Talché
con l'avere affermato
che la prima causa
dove essere insieme
efficiente, formale e
finale, e' si chiarisce
seguace, non già
d'Aristotele del LIZIO, come vuole
Michelet, ma dell'indirizzo naturale
dell'Aristotelismo del LIZIO. Il
metodo di BONAIUTI Galileo Galilei, finalmente,
é quello che dove’essere;
un processo induttivo
e critico, ma
solamente applicato allo studio
delle leggi fisiche.
D'altro canto il filosofo pisano ha grandissimo
valore quando si
pensi com'egli, riducendo le leggi
di natura fisica
o meccanica a
fenomeni piÌL 0 manco
generali, giugnesse a
scacciare dal regno degl’agenti naturali
ogni fantasia astrologica
del falso Aristotehsmo LIZIO
(“Only he wrote his own horoscopes!” – Grice):
ma chi dice
eh' e' pervenne a darei Métaph, us ipsis dictantibus. Però non
più individui predestinati; non più famiglie,
né razze privilegiate. Non più popoli
eletti: ma privilegio
dell' intelligenza, ma trionfo della
libertà in ogni senso
e sotto qualunque
forma, nella famiglia, nello stato,
nella chiesa, nella scuola, nella società. Dunque, formola
suprema della vita e della storia,
della natura e
della speculazione, de'
fatti e delle scienze
e di Dio
stesso: la conversione del vero
cól fatto, e del fatto col vero. Il
terzo periodo della nostra
filosofia ci rappresenta l’età umana:
rappresenta l'età delle
idee, l'età della Bagione
spiegata. Quale sarà dunque la
conclusione? La conclusione è
chiarissima. Questo terzo periodo importa l' esigenza,
la necessità d'
un Rinnovamento: racchiude l'esigenza e la necessità d'una
filosofia razio- nalmente
positiva. La sintesi
confusa del primo
periodo si ripete anche
nel terzo; ed
ecco le contraddizioni evidenti, manifeste, grossolane,
talvolta puerili di Vico. La medesima sintesi
veggiamo ripetersi ne' nostri
ultimi filosofi
neoplatonici; ed ecco
le contraddizioni di Rosmini,
ecco i controsensi del
Gioberti, ecco le
incongruenze del
neoplatonismo di Mamiani. Ma
cotesta sintesi tien dietro
ad un'analisi, tien
dietro all'analisi del
Rinascimento. Dunque,
tuttoché erronea, ella già
segna un progresso. Perciò
le contraddizioni dei nostri filosofi si risolvono
di per sé medesime;
si risolvono e
correggono per necessità storica:
le risolve e
corregge la storia
ella stessa; rebt4S ipsis
dictantibus. In altre
parole, il terzo periodo
è un ricorso,
dice l’Autore della Scienza Nuova; è
un ricorso d'uà
corso, cioè un ricorso del primo periodo. Ma cotesto
ricorrere non è
già un sem- plice ripetersi, bensì
é un ripetersi
che si rinnova
necessariamente, ciò è dir
razionalmente : ecco la
ragione del suo verace
progredire. Quale é
dunque il problema
che la storia del
nostro pensiero filosofico
tende a risolvere? È
sempre l'antico, l' antichissimo problema,
or divenuto novissimo: la
correzione e l' accordo
della doppia e
vecchia esigenza naturale
e iperpsicologica, empirica
ed a priori, positiva
e ideale. Quale
n' è poi il
risultamento? È il
trionfo dell'indirizzo medio;
è Finvera- mento successivo,
progressivo e razionalmente
necessario di tale indirizzo;
ed è quella
perennis philosophia di Leibnitz
la quale non è fatta,
ma si fa,
e sempre più si
farà. Abbiam detto che
in questa terza
età la ragione sommette l'autorità,
trionfa dell' Autorità, e
la riduce ne' suoi
giusti confini. Or
nell'ordine de' fatti
che cosa veggiamo? Ci è dato
osservare (noi fortunati la
medesima legge. Il grande spirito
nazionale trionfa di
Roma; riduce a ragione
l'Autorità; la fa
ragionevole. E questo gran
fatto accade anch'
egli per necessità
e provvidenza storica: rebus
ipsis didantìbus. Accade senz'av vedercene; accade senza
grandi rumori; accade
senza grandi stre- piti guerreschi; accade
senza i temuti
fiumi di sangue. Evidentemente il
pensiero filosofico italiano
è provvidenziale I Egli è
già penetrato nella gloriosa ma
altrettanto ardua,
altrettanto spinosa e
travagliosissima età umana!
La legge
de' tre periodi, che
noi abbiamo a
fugge- volissimi tocchi
tratteggiato ne' suoi
caratteri essen- ziali e differenziali, non
è, al solito,
una legge dia-lettica, non è
legge a priori,
non è legge
sistematicaj non è legge organica
nel significato che vorrebbero darle gli
HegeUani. È una
legge, ripetiamolo, essen- zialmente storica e
psicologica: e la
necessità a cui ella
è informata, anziché
dialettica, è anch'essa
di natura storica e
psicologica. Non è dunque una tricotomia ideale, dialettica,
logica e trascendentale applicata alla genesi
del nostro pensiero
filosofico; ma è
una divisione risultante dal
fatto stesso della
storia, e qì è
confermata dalla genesi
deUe funzioni psicologiche. Interpretando così
la storia della
filosofia italiana, il nostro rinnovamento speculativo
non pur si
presenterà come un' esigenza
della ragion teoretica, ma
come un profondo bisogno
altresì della Ragione
storica, I fini perciò
a' quali potrà
e dovrà pervenire
lo storico della nostra
filosofia saranno questi: 1"Egli così
avrà dato forma
razionale al movimento filosofico del
pensiero italiano, a contare
dalle sue proprie origini
fino ai dì
nostri: Avrà legittimato la
Scolastica e la riflessione teologica facendole
servire entrambe allo
svolgimento isterico del nostro
pensiero filosofico. Avrà schivato
le pretensioni esclusive,
le interpretazioni erronee, infedeli
e parziali degli storiografi hegeliani che
altro non veggono,
sì nella nostra
come nella universale storia
della filosofia, fuorché
il trionfo d'un Aristotelismo
o d'un Platonismo
interpretati, rimaneggiatie rimpastati
a tutto lor
comodo e favore: Potrà
giustificare la rinnovata
Filosofia Positiva Italiana correggendo
l'Arabismo vecchio e
nuovo, correggendoil vecchio
e’1 nuovo Positivismo,
legittimando la vera esigenza
platonica e la
vera esigenza aristotelica,e dimostrando
col fatto il
progresso nel corso
del nostro pensiero filosofico
mercè il trionfo
dell'indirizzo medio. Finalmente
potrà porger modo
alla storia politica, alla storia
civile e alla
storia letteraria del
nostro paese d' attingere significato
razionale e razionalmente positivo, elevandole
a dignità filosofica
legittima. Fuori di questi
principii è impresa
vana pretendere d' impri- mervalore scientifico
alla storia del
popolo italiano. AUTORI GHB DI PROPOSITO
O PER INCIDENTE TRATTANO DELLE DOTTRINE
DI VICO Giornale de’ Letterati
oT Italia, Osserrazioni al
primo libro De
Antiqtuissima Italomm Sapìentia,
Venezia, Clbbioo, JBihl anL
e mod. Concinna,
Originia futidamenta et
capiUi prima JurÌ9
Naturalie. Padova, Damiano
Romano, Difeta storica
delle Leggi Oreche
venute a Roma
contro l’opinione moderna del
signor Vico, Napoli,
Quattordici Lettere evi
terno principio della
Scienza Nuota ec.
Napoli, Ganassoni, Memoria in
difesa dd principio
dd Vico tu l’origine delle XJI
Tatcle. Opasc. del
Galogerà. RoOADEl, Saggio del
Diritto pubblico o
politico del Regno
di Napoli, DdV antico
Stato de* popoli
d* Italia Cistiberina.
Vedi anche Colan- OELO,
Biblioteca analitica ec. 1
Diamo qui tale
indice tanto in
servigio e compimento
della storia e
della critica fatta nel
primo libro sn gli
scrittori che han
parlato del Vico,
quanto per ehi amasse
di ripetere i
medesimi studi, e
far le medesimo
ricerche da noi fatte.
Di alcuni di
questi autori, come aTrertìmmo, non ahhiam creduto prezzo
deir opera far cenno; d'altri poi non
abbiam potuto, segnatamente
d’alcuni venuti alla luce
quando la prima
parte del nostro
layoro era già
in eorso di stampa,
come per esempio
del Qalatio, del
D§ luca, del
Sarchi (traduz. del saggio
ì Mstafisieo), del Laurent
e di qualcun
altro. Tutti gli
abbiam letti o
consultati 0 studiati secondo
ohe richiedeva non
solo il proposito
di questa nostra
opera, ma piti ancora
quello della seconda
che pubblicheremo intorno
ai Prineipii della Sociologia.
Non abbiam potuto. leggere gli
articoli di Wotf e
dell' Or««t, la Prefatiom del
Wsbsr alla trad.
della Sdenta Nuovuy
ì Fogli $parsi
del QOichet e gli
scritti di MUller
e del Cauer
; ma ne
abbiam dato giudizio
traendone notizia da fonti
sicure. Disporremo qnest' indice,
quant' ò possibile,
secondo Vordine cronologico, affinchè
sia fatto più
chiaro il pensiero
a cui è
informato il presente lavoro.
G. Laui,
Novelle Letterarie, Firenze. Vedi
pure nelle note
al Meursio. FlKETTi, De PrineipiU
Jurx$ Naturce et Oentiam
adver$tu Bòbbeatum,
Pu/endorjium, Woljium et
alio. Venetiis, Bettinellus, Sommario delle
opposizioni del Sistema
Ferino di Vieo
alla Sacra Scrittura. La
faUità dello Stato
ferino: Appendice al Diritto
di Natura e delle
OentU E. DuNi, Op.,
edi?. completa per
cura del Gennarellì.
Roma Scienza del Coetume.
Saggio sulla Giurisprudenza Universale. Origine e progressi
del Cittadino di
Roma. A. BuoNAFEDR, Istoria
critica del moderno
diritto di Natura
e delle Genti:
la ediz. E fatta
a Perugia in sa
lo scorcio). Stbllini, Opera omnia. Padova (specialmente nell'Opera, Do Ortu
et Progressu morum). M.
Delfico, Ricerche sul
vero carattere della
Giurisprudenza Romana • de*
suoi euUori. Napoli Pagano, Op.
Capolago. I Saggi PoliHei
furon pubblicati in Na-
poli neir ultimo decennio
del secolo passato.) Cuoco, Platone
in Italia. Milano,
FiLAKGiBBl, Scienza della
Legislazione. Firenze, Monti,
Prolusione agli ttudii
ddV Università di Pavia. Milano Foscolo, Discorso dell’origine e dell’ ufficio della
letteratura. Vedi nelle Lezioni
d'Eloquenza, ediz. di
Napoli, WoLP, nel
Museum der Alterthumwissenschafi. Berlino, Orblli, Vico
e Niehuhr. Museo
Svizzero, Anonimo, Dell’antichissima Sapienza
degli Italiani, versione
dal latino. Milano, Silvestri,
Iannblli, Sulla natura
e necessità della
Scienza delle cose
e delle Storie umane.
Napoli, Anonimo, nell’Indicatore di
Gottinga COLANOELO, Saggio di
alcune considerazioni suUa
Scienza Nuova del
Vico. Napoli, G. RoifAGKOSi,
Osservazioni sulla Scienza
Nuova. Weber, traduzione
della Scienza Nuova.
Lipsia, G. Db
Cbsarb, Sommario delle
dottrine di Vico, compilato
sull’ediz. della Scienza Nuova
fatta dallo stesso
Vico e pubblicata nell’ediz. dello
stesso saggio in
Napoli. Gallotti, Principii «T una Scienza Nuova
di Vico, prima
edizione pubblicata dall'autore riprodotta
e annotata. Napoli, CHE TBATTANO
DEL VICO Michelet, Prineìpca
de la PkiloBophic
de VHUtoìre, traduits
de la Scienza Nuova, Paris; ripubblicata con le
altre opere a
Bmzelles Ricci, nell’Antoloffia del
Vleussenx, Firenze, stadio
critico su la
tradazione fatta dal
Michelet). lìivitta Enciclopedica
f Fascicolo (art. sa la tradazione
di Michelet). LBBXiinEB,
Initoduction generale à
VBittoire du Vroit.
Paris Bietoire de la
Philotophie du Droit.
Bruxelles nel Tom. II). Ballanchb, Opere.
Paris, JouFFBOY, Mélangea Philo$opMqu€$. Bruxelles CousiK, Oaurs
ec, 2« serio, Paris Introductxon b. VHieioire de la
Phil.f Lea, II, T.
Maviani, Rinnovamento della
Filonofia antica italiana,
Paris, L. T.
(LniQi Tonti), Saggio
aopra la Scienza
Xuova di Vico,
Lugano, PREDABI, Op. del
Vico con traduzioni
e commonti. Milano,
Bravette, Febbabi, Op.
del Vico ordinate
ed illustrate coW
analisi détta MenU del
Vico ec. Milano, Società
Tipografica, Édit. compllte
dee oeuvre* de
Vico, en six
voi. Paris, Vico et r
Italie. Paris, Eeeai
sur le principe
et le$ limites
de la Philoeophie
de VBittoirt Paris, Joubert Vico
et VItcdie (nella
Recue dee Deux
^fond€9, Cattaneo, Vico
e V Italia
(nel Politeniico). St. MrLL, Sifithne
de Logique, RosviNT, Il
Rinnovamento della Filosofia
in Italia propoeto
dal Conte Terenzio Mamiani
della Rovere, Milano Vedi
pure nella Filo- •ofìa
del Diritto, e
nella Filosofia politica.) G98CHEL, Zerstreute
Bldtter, nella Rivista
Giuridico-filosofica. Schlous-
Singen, A. Cosmc, Lettera al
Mill (vedi Littrì,
Comte et la
Philosoplie Positive, Paris, loLA,
Studio sul Vico
e sulla filosofia
della Storia, letto
nell’Accade-miafilosofica di Sassari,
Torino Maviani, LrUere
intomo alla Filosofia
del Diritto. Napoli,
Mancini, Intorno alla
Filosofia del Diritto,
Lett. al conte
Terenzio Mamiani. Napoli, Re.kouvieb, Manuel de PhU, moderne. Paris Gioberti, IiUrocU
allo studio della
Filosofia. Losanna, ToMMAsio,
Stridii critici, Venezia,
Studii filosofici, Venezia, voi. II.
BonCHEZ, Jntrod, à
la Science de VHist,
Paris, Anonimo, La Science
nouvélle par Vico,
trad. par Tautear de
Tessa! sur la formation
da Dogme Catholiqae.
Paris,
Della Valle, Saggi
exdìa Scienza della
storia, ossia Santo
della Seiema Nuova di
Vico. Napoli, Eocoo, Elogio
storico di Vico. Napoli Farina, Storia
(T Italia, narrata
al popolo italiano.
Firenze, Poligrafia
italiana, Prefazione. S.
Centofakti, Una Fortixola
logica della filosofici
della storia, Pisa, TomiASào, Notizie
sulla vita e
suUe opere di
Vico. Vedi nell*
edizione della Scienza Nuova
fatta a Milano
dal Silvestri F. CARyiGNANl,
jStona deUe origini
e de* progressi
della Filosofia del
Diritto, Lucca Mancini,
Intorno alla Nazionalità
come fondamento del
Diritto delle Genti. Torino Ondes
Begqio, Introduzione ai
principii deUe umane
società, Geno- va, Vannucci, Storia
antica d’Italia, Firenze,
Marini, Vico al cospetto, Napoli MUller,
Vico Oleine ^c^/ten Neuhrandehurg. BouLLiKR,
Hlst. de la
Phil, CartUienne, Paris Poli, Manuale
della Storia della
Filosofia del Tenncmann,
Milano. A. De Carlo,
Istituzione filosofica secondo
% principii di
Vico, divisa in quattro
volumi. Napoli, Giani,
DeW unico principio
e deW unico
fine dell* universo
Diritto. Oper.a di Vico
tradotta e commentata
coir aggiunte di
appendici relative alla materia
dell’opera stessa. Milano,
Della eguàU autorità
e naturale amicizia
di tutte le
scienze. Milano Caubr, nel
Museo tedesco Amari, Critica
d* una Scienza
dille Legislazioni comparate,
Genova, Tipografia de’Sordo-Muti, V. FORNARi, Dell’armonia
Universale, 1*ediz. Napoli;
Firenze, Faonani, Ddla neeessità
e ddT uso
della Divinanione tettifieata
dalla Scienza Nuova di
Vico. Alessandria, Ristampata
a Torino. CHE TRATTANO
DI VICO GIOBERTI, Protoloffia,
Ediz. del Massari
(Saggio ITI), B. ll&zzARELLA, La
Critica dtUa Scienza.
Genova, tipi Lavagnino,
Spavrnta, Carattere e
«viluppo della JUoBoJia
itàliajut d IL Periodo
de' critici e degli
eruditi Continua il periodo de' critici
e degli eruditi. Periodo degl*
interpreti filosofi Continua il
periodo degV interpreti
filosofi. Conseguenze. Forma della mente, e
carattere delle opere
del Vico. Valore della
nostra critica.) Vico, Leibnitz e il Cartesianismo Delle due
moderne filosofie, Germanica e Italiana i INTERPRETAZIONE DELLA
DOTTRINA FILOSOFICA. Preambolo Dottrina
della scienza e del criterio
IL Del criterio
e del metodo
nella scienza Òtà
Posizione e critica
del Principio speculativo n
Platonismo e l’Aristotelismo nel
problema psicologico Organismo e processo psicologico. Fondamento razionale del
processo storico. Genesi e teleologia
psicologica. Del conoscere metafisico.
Critica de’ moderni Neoplatonici.
Vin. Continua lo stesso argomento. Critica del
Neoaristotelismo :
Positivismo ed Hegélianismo, Su la
ricerca dell* Assoluto secondo
la Ra- gion filosofica positiva Del
Principio metafisico Sul moderno
concetto della Creazione
e della Provvidenza Xn. Deir
attività creativa ne’diversi
momenti del Processo cosmico XnL
Darwinismo, Scienza Nuova
e Sociologia. Idea
su la Storia della
Filosofia Italiana Indice degli
Autori che di
proposito o per
incidente trattano delle dottrine
di Vico operazione
immediata, per operazione
mediata, e^non potrebbe
non rieecire, per e* non
potrebbe rietcire, quel
eerto Jiloeofoy per
certo, quelfloeofo. tuo*dirc, per
vo^ dire. Crieto
quel centro maeeimo,
por Cristo, qvidl centro
massimo, jUosofia fisiologica, per
Jìlosofia etisologica,
assommano la ragione,
per assommano le ragioni, T&g. Firtz, per
iVr««.v. 13. degVim-, ponderabili suW
esistenza, per degV imponderabili e
deW esistenza. Sft^rji
vrr(xpx,tt to, per
fyi?:?? V7ra^;^«e to'.
Sovsifiit, per juva/xee. tovto, per
toùto. Jiaviafjperxat
Jtavoiat;.7rauTt, per Travri.
affermazione promessa, per
affermazione promossa,
ù^iirpòi, per wc
irpò^. x**^'
auTvJv, per xar'
auTvjy. Avto7s tv, per
Auto yt to. Sovo^iisi
Zwki'v s^'V' ^®^ SvvdfjLii
^w>7v ?yovTOf.. rsOo^tov,
per fAi9óptoy. tfivafjicf,
per Svvafiig, TdJ ^9vzx 7tvgG'5a, per
to' nuvroc yiviaOxAi..
altro potrebb* es* sere, per
altro non potrtbV
essere.. e perciò
era visione, per e
perciò visione.^ Pag.
351, v. 20.
aXXov «^eu/xaTOtiv, per
aXXwv a?to/iaTwv. tololtyi?, per Tuvxng.
gL Tra/DOff ta, p«r
Tra^ou^ca. che le
fa iìUendere, per che
la fa intendere. di
coglierne concetto, per di
coglierne il concetto. es
egreift, per es
ergreift, dans an sich, per
das an sich. Jtvoljixffovt, per ^vva/X8VG(.
e s^ avvilirebbe, ^r e*
s* avvilirebbe. ytuVe?, per f^J7t(. /*v?5>j, per
iit$è. — ^a£va-5ae,
por yaevjo'^'at. rxpoi^vy' |xaTa, per
7ra^a?£t7fAaTa. del Dio
aristotelico, con; per del
Dio aristotelico che
con, , y. 40,
in due e cantra-
rie sentenze apposite,
per in due
apposite e contrarie
sentenze yjppxsi ro,v^r
vnapxst to. — to (^trepov, per
TO 5«UTe/)0v. to'
rra^Xo, per tÒ
oiWo, delV atonicità, per
déV atomicità, , creare vuol non
dire, per creare
non vuol dire. ci
son addate, por ci
son additate. e correggendo,
lui; per e
correggendo lui. chi,
davvero, ragion teologica;
per che, davvero, la
ragion teologica. Pietro Siciliani. Siciliani. Keywords: la psico-genia
di Vico, ateneo felsineo, l’unita organica della filosofia, zoologia
filosofica, psicogenia, “I principii metafisici di Vico”. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Siciliani” – The Swimming-Pool Library. Siciliani.
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