SAGGI FILOSOFIA FRANCESCO DE SARLO SAGGI DI FILOSOFIA) VOLUME II LA MORFOLOGIA DELLA CONOSCENZA IL PROBLEMA ESTETICO — IL PROBLEMA FILOSOFICO SECONDO IL BRADLEY we TORINO CARLO CLAUSEN 1397 Chl 4225:2,3) HARVARD COLLEGE LIBRARY OC JACKSON FUND (1,49 2 / —— ro Li te nn a A SI, io ae i Pa e - __...—————&——&__cse-@hctemurrr nd TARA sr AIA CI I TTI AT E I O A I I ZI I — O i = 1o———__—r_r_——_————— it (i 7 E | vB8 AA ANI TE RE IE lr LA NOZIONE DI « LEGGE > IV. La Classificazione delle Leggi o la Morfologia della conoscenza 0. Si è concordi nell’ammettere distinzione tra la cono- ‘ scenza in generale e la scienza, in quanto la prima im- plica semplice qualificazione della Realtà, mentre la seconda include qualcosaltro ancora, include cioè la connessione necessaria degli attributi caratterizzanti il Reale. Se la conoscenza in generale verte sul particolare e sul concreto, la scienza si muove nell’ universale, nel necessario, nel. (1) Per ragioni che qui non è necessario esporre, fui costretto ad anticipare di molti mesi la pubblicazione del 1° volume di questi Saggi, nel quale è contenuta la « Nozione di Legge » — La tratta- zione di questo importante e difficile argomento rimase come strozzata; difatti l’ultima parte, da pag. 123 a 139, dove si parla di una classi- ficazione delle Leggi, non è bene coordinata col rimanente e, più che una discussione ampia sul detto argomento, è l'eco di una serie di note prese per la più parte dalle Lezioni di Filosofia fatte dal Masci all’ Università di Napoli negli anni accademici 1890-91-92. Riprendo ora l'argomento interrotto, coll’ intento di dargli quello svolgimento che a me pare che meriti. 41 , LA NOZIONE DI « LEGGE » permanente, avendo per obbietto non il dato puro e sem- plice, ma i concetti elaborati sul dato. Parrebbe adunque che la conoscenza esprimesse un rapporto o un contatto più immediato colla realtà, essendo come l’ apprensione diretta di questa, mentrechè la scienza fosse come una forma di appercezione mediata, compiuta, cioè, attraverso i concetti della nostra mente; parrebbe di conseguenza che tra conoscenza e scienza vi fosse una differenza so- stanziale in modo da essere pressochè impossibile rintrac- ciare, diremmo, la morfologia, o la figliazione dei vari ordini di caratterizzazione della realtà. Ora per veder chiaro in tale questione a noi pare opportuno determinar bene anzitutto in che propriamente consista la conoscenza. Questa in tutte le sue forme, a cominciare dalla semplice percezione a venire al concetto più astratto, lungi dal presentarsi come un contatto, diremmo, mistico, di due sostanze - il reale e la mente - poste l'una di fronte all'altra, figura come un processo di appercezione, mediante il quale ogni elemento nuovo viene come assimilato dagli elementi affini già esistenti nella psiche, di guisa che la legge della relatività è la legge psichica fondamentale. Ciò posto, noi vediamo che tra conoscenza pura e semplice e conoscenza scientifica non vi è differenza sostanziale, es- sendo due stadii di un processo fondamentale identico: conoscere equivale appercepire, assimilare, riferire l’ ele- mento nuovo ai già preesistenti ; se questi ultimi, distaccati dal processo psicologico e sottoposti ad un' elaborazione speciale, vengono considerati come simboli, come segni per riconoscere ogni elemento affine che sopraggiunge, sì avrà la scienza, in quanto i detti simboli sono appunto i con- LA NOZIONE DI « LEGGE » 3 cetti, gli universali che rendono possibile l’ appercezione del singolo e del particolare: se per contrario la forma appercettiva è incorporata nel processo psicologico si avrà la semplice conoscenza. | Onde consegue che qualsiasi forma di conoscenza implica la cooperazione di un elemento universale (forma appercet- tiva), di un elemento intelligibile, di qualcosa che trascende il fatto concreto particolare attualmente in rapporto im- mediato col soggetto e insieme che non vi è e non vi può essere una esclusiva conoscenza di fatti singoli e isolati : questi son sempre appresi attraverso qualcosaltro che in certo modo li rischiara e li illumina, che, in altre parole, li rende intelligibili. E che cosa è questo universale attra- verso cui noi appercepiamo qualsiasi fatto singolo? Se la sua funzione è quella di rischiarare, di rendere intelligi- bile il dato, idealizzandolo e in certa guisa universaliz- zandolo, esso si confonde con ciò che propriamente si chiama legge. Questa infatti, come fu ampiamente discusso altrove, è ciò che rende intelligibili i fatti singoli e con- creti, o, ciò che torna lo stesso, rappresenta ciò che vi ha d'’intelligibile negli ultimi, è la loro stessa intelligibi- lità. Eccoci condotti adunque al risultato finale che il dominio della « legge » si estende fin dove si estende quello della conoscenza e che pertanto una classificazione razionale ed esauriente delle varie forme di legge in tanto è possibile in quanto le varie specie di conoscenza sono intimamente connesse tra loro da formare un tutto or- ganico. Nè sembrerà inutile estendere in tal modo la nozione di « legge », se si pensa che in tal guisa soltanto s' intende 4 | LA NOZIONE DI « LEGGE » la natura vera del processo conoscitivo ed è resa possibile una vera e propria morfologia della conoscenza. E poichè lo spirito umano non ha soltanto la funzione conoscitiva, ma ha anche quella emotiva e volitiva, non è priva d'interesse la ricerca dei rapporti esistenti tra queste ultime e la funzione conoscitiva, per vedere fin dove estende il suo dominio il fatto conoscitivo e per ciò stesso la legge. Ora vi sono dei prodotti dello spirito umano, quali l'Arte, la Morale, la Religione, i quali sono da parecchi conside- rati come estranei assolutamente alla conoscenza: l'Arte, la Morale, la Religione, si dice, sono un prodotto del sen- timento e della volontà e non già dell’intelligenza umana; rella vita estetica, morale e religiosa proviamo delle emozioni ed operiamo, ma non conosciamo. È vera l’af- fermazione di caloro che pressochè escludono il momerto conoscitivo dai succitati prodotti dell'anima umana? Noi crediamo che pur non essendo riducibili a meri sillogismi i fatti estetici, morali e religiosi, non cessano però di contenere come lero momento essenziale quello conoscitivo. Ed invero l'Arte e la Religione, esprimendo e simboleg- giando, ciascuna alla sua maniera, il Reale, che cos’altro fanno se non qualificare lo stesso Reale? E la vita morale che sì esplica, mirando all'attuazione di un certo Ideale di perfezione, che cos'altro fa se non caratterizzare come progressiva e perfettibile la realtà stessa? L'Arte, la Morale, la Religione non sono certo un prodotto esclusivo del ra- gionamento reflesso, come credevano ì razionalisti, ma non sono nemmeno un prodotto esclusivo del sentimento e della volontà, come vogliono gli avversari della conoscenza, giacchè per poter significare e simboleggiare il Reale n i i it - —.$. + nm ©" - —_ >= .,.>-®_ _ LA NOZIONE DI « LEGGE » 5 bisogna aver una certa idea del Reale stesso, altrimenti l'espressione manca di ogni punto di riferimento e quindi di ogni significato. Ammesso anche che l’idea artistica, l’idea morale e l’idea religiosa sia come il portato di date ten- denze ed esigenze dell'anima umana, ciò non esclude che qualsiasi determinazione estetica, religiosa, ecc. sia come una maniera di conoscere e di sperimentare il Reale, giacchè le dette tendenze ed esigenze (sentimenti e voli- zioni) involgono sempre un elemento intellettivo o apper- cettivo. L'Arte, la Religione, ecc. sono poi come vari punti di vista, come varie posizioni di prospettiva per poter ap-. percepire la realtà, per modo che attraverso le differenti forme che esse assumono noi possiamo comprendere i singoli fatti riferentisi alle rispettive sfere estetica, reli- giosa, morale. D'ordinario si crede che un fatto estetico o religioso sia qualcosa d’ individuale, di concreto, di singo- lare, qualcosa di chiuso in sè stesso; ora ciò mal si con- cilia colla funzione universalizzatrice, tipificatrice e idea- lizzatrice attribuita alla funzione estetica, religiosa e morale. Lo spirito umano quando crea il bello e foggia il simbolo religioso o pone l'ideale morale, attua i mezzi attraverso cui può intendere la molteplicità dei fatti con- creti e particolari riferentisi alla sfera dell’arte, della religione e della morale. Nei casi suddetti adunque la mente umana da una parte conosce, ha un certo concetto (co- munque formatosi) del reale, e dall'altra porge i mezzi attraverso cuì possono essere appercepiti una quantità di fatti singoli e concreti che si presentano nella vita ordi- naria. Allo stesso modo che, perchè sia scoverta una legge scientifica occorre il Genio scientifico, perchè sia scoverto 6 LA NOZIONE DI « LEGGE » un punto di vista: nuovo da cui appercepire la realtà in ordine alla morale, alla religione e all'arte - punto di vista che fissa l'orientamento in ciascuna di queste orbite - sì richiede l'influenza del Genio. In entrambi i casi il processo è sempre quello di appercepire e di fare apper- cepire in un dato modo la realtà, di ordinare la moltepli- cità caotica dei fatti singoli, il che equivale a dire che lo scopo è sempre quello di caratterizzare e qualificare la realtà. In fondo ad ogni opera estetica, morale e religiosa si trova poi un giudizio in cui vengono enunciate le diverse manifestazioni o differenze di un’ identità fondamentale, un giudizio in cui vengono esposte le maniere di articolarsi tra loro delle parti componenti un tutto e in cui infine vengono enunciate le determinazioni possibili o ideali e non attualmente reali. Si dice che mentre l'ipotesi scientifica è formata per spiegare i fatti reali che da essa conseguono, le costru- zioni ideali dell'Arte, della Religione e della Morale sono prodotti arbitrari dello spirito, i quali hanno la loro ra- gione in sè stessi; ora ciò è vero entro certi limiti per il fatto che scopo dell’Arte, della Morale e della Religione non è quello di spiegare il dato, bensì quello di presentare sotto nuova luce il Reale, di mostrare cioè le varie dire- zioni entro cui lo stesso è concepibile. Sarebbe erroneo però supporre che le costruzioni ideali summentovate siano destituite di qualsiasi fondamento reale: esse poggiano invece sulla natura propria dell’ anima umana; e se non sono costruite in vista degli effetti che da esse conseguono, stanno però sempre ad indicare le maniere in cui i dati « della realtà possono essere armonizzati tra loro. Anche LA NOZIONE DI « LEGGE » 7 l'Arte più spontanea e immediata ha l’ufficio di sistematiz- zare, di portare un certo ordine nel caos della realtà empirica. L'Arte produce un godimento più o meno intenso per il fatto stesso che è espressione armonica di ciò che la vita contiene. La realtà passata attraverso l’anima dell’artista assume una certa « forma », per cui vengono ad esser tolte le asperità dei dati reali e vengono ad essere come smussati gli angoli presentati dal decorso delle cose. Non temiamo di metter fuori un paradosso dicendo che le contradizioni più stridenti dell'universo espresse dall’artista si trasformano in qualcosa d'armonico e di sistematico. Sta in ciò il vero incanto dell'Arte, la quale per esprimere le dette contradizioni, deve per forza renderle in qualche modo intelligibili, trasfigurandole e facendone intravedere l’unità armonica, Si dice inoltre che la scienza prova e dimostra, mentre l'Arte, la Morale e la Religione semplicemente costruiscono : ciò è vero ed ha la sua ragione nel fatto che la scienza vive e si muove nel mondo delle astrazioni e delle formule, mentrechè le altre produzioni dello spirito umano si muo- vono nel mondo dei tipi concreti, delle individualità. Ciò che è astratto e formale è immutabile e necessario, men- trechè ciò che è concreto, ciò che vive, sfugge sempre per una parte alla misura ed all'analisi quantitativa. A tal proposito giova ricordare che ogni forma di prova e di dimostrazione in fondo è riducibile ad un rapporto di identificazione. Provare, dimostrare equivale a valutare quantitativamente, equivale a ridurre e ad identificare tra loro gli elementi formali (le forme) di due cose o eventi. Può essere identificato solo ciò che presenta una medesima ld 8 LA NOZIONE DI « LEGGE » qualità variabile quantitativamente, non già ciò che pre- senta qualità differenti e irriducibili. Riassumendo, noi diciamo che in fondo ad ogni fatto estetico, morale e religioso, non altrimenti che in fondo ad ogni fatto scientifico, si riscontra un’idea, un concetto, - il quale per essere accompagnato nel primo caso da senti- mento (interesse) non permane quale concetto, ma col calore del sentimento si tramuta in fantasma, in rappre- sentazione concreta, e ciò perchè il sentimento tende al concreto, al rappresentabile e rifugge dall’astratto. Onde è chiaro che la diversità tra l’appercezione del reale fornita dalla conoscenza scientifica e quella che ha luogo nel processo estetico, religioso, etico sta in questo, che la scienza sia che muova dai fatti singoli, o da concetti (ipotesi) o da principii generali, mira a spingere o a far rientrare il particolare nel generale, mentre l'Arte, la Morale e la Religione tendono sempre ad obbiettivare in forma di tipi o di sistemi concreti, i concetti o i prin- cipii generali: tipi e sistemi che operano come ideali, a cui si deve rapportare la realtà empirica ordinaria. Va notato qui che la vita morale, estetica e religiosa da una parte e la scienza dall'altra, pur seguendo una via diversa nel loro modo di procedere, concordano in questo che in fondo tutte idealizzano l’esperienza o il dato e per tal via simboleggiano il Reale; l'idealizza la Scienza riducendo i fatti a concetti e l’idealizza l'Arte, la Religione e la Mo- rale col presentare i concetti non incorporati in una data rappresentazione singola, ma in una rappresentazione gene- rale, in una rappresentazione tipo atta a raccogliere ed a sintetizzare in sè molteplici dati particolari. Giacchè a tal —-_ ee + LA NOZIONE DI « LEGGE » 9 proposito non bisogna dimenticare che l’Arte, la Religione o la Morale, se da una parte non volgono su concetti, dall'altra non volgono su dati di fatto (come fa la storia — e in generale le cosidette scienze descrittive come la geo- grafia, la cosmografia, la geologia), ma su tipi, su ideali, su fatti dunque concreti universalizzati, considerati sub specie ceternitatis. Per noi insomma la scienza elabora con- cetti (universali astratti), le scienze narrative o descrit- tive riproducono fatti concreti determinati col maggior numero di particolari possibili in modo da richieder però sempre un ulteriore complemento, l’Arte, la Religione e la Morale. hanno a che fare con tipi (universali concreti), con individualità. Possiamo conchiudere col dire adunque che non vi ha funzione dello spirito umano che non implichi il momento della conoscenza e che quindi tutte le produzioni dello spirito- umano ci forniscono qualche maniera di apperce- pire la realtà nelle sue svariate e molteplici determina- zioni singolari. Alle varie forme di appercezione corrispon- dono le varie specie di leggi. Dal fatto che il processo della conoscenza è fondamen- talmente uno e che esso si estende per tutto il dominio dell’attività dello spirito non consegue che esso non pre- senti delle notevoli differenze in modo da giustificare l'esistenza di varie categorie di leggi. E invero, vi sono delle forme appercettive, le quali agiscono come leggi nel senso che rendono possibile la comprensione e l'intelligi- bilità dei dati singoli concreti, ma non possono essere distaccate dal processo psicologico in seno a cui operano e quindi non possono assumere la forma di giudizi, come le 40 LA NOZIONE DI « LEGGE » leggi vere e proprie, per modo che esse mentre agiscono inconsciamente ed organicamente nella mente degli indivi- dui, non si rendono appariscenti che ad uno stadio tardivo della riflessione. Di tal fatta sono le forme appercettive inerenti agli stadii iniziali della vita psichica ed ai prodotti elevati dello spirito quali l'Arte, la Morale e la Religione. Volendo però presentare una prima (1) classificazione com- pleta delle forme appercettive o leggi, le divideremo in quattro grandi categorie, in forme o leggi di riferimento o assimilative, in forme o leggi rudimentali, in forme o leggi relazionali e in forme o leggi sistematiche. A 1. Leggi assimilative concrete 0 l’ attività psichica come legge. Queste non possono essere formulate per via di giudizi, perchè sono anteriori alla formazione delle idee quali segni del reale, anteriori al linguaggio significativo, anteriori al distacco cosciente e voluto del significato dal fatto. Parrebbe a prima vista che questa classe di leggi non avesse ragione di esistere una volta che esse non possono essere enunciate, ed una volta che l'essenza della legge è stata riposta appunto nel was, nel significato, nell’ ele- mento intelligibile distaccato dalla realtà; ma, se ben si (1) Diciamo prima classificazione, perchè, come vedremo in seguito, sì può fare una seconda classificazione delle forme appercettive, te- nendo conto delle varie maniere in cui la conoscenza è acquistata. + s- n ®* re» i fi n e ca LA NOZIONE DI « LEGGE » 41 riflette, nel caso delle leggi assimilative il processo d’idea- lizzazione esiste sempre, il was, pur non avendo ancora trovato un'espressione decisa, e pur non essendo stato staccato dalla matrice psichica, è attivo, è sempre in funzione, tanto è ciò vero che la conoscenza di nuovi fatti è resa possibile appunto da tale modo di operare dell’at- tività psichica. Se per legge si deve intendere ciò che rende possibile l’appercezione di un nuovo elemento, per- chè non dovrebbe meritare il nome di legge ciò che rende | possibile qualsiasi forma rudimentale di conoscenza ? Sif- fatte leggi concrete operano in tanti modi diversi in quanti si può esplicare l’attività tipificatrice e assimilatrice della psiche. Lo studio di queste forme è di esclusiva spettanza della Psicologia, la quale dà ragione del nesso o delle relazioni esistenti tra i vari elementi psichici e della ri- cognizione, fondandosi sulla funzione identificatrice della mente. Per esprimere nel modo più chiaro il nostro con- cetto in ordine alle dette leggi, diciamo che esse non sono propriamente leggi, ma funzionano come le leggi. 2. Leggi rudimentali. Se il dominio della conoscenza coincide con quello della legge, se cioè ogni forma di conoscenza implica una certa universalizzazione del dato, è evidente che anche i giudizi enuncianti fatti singoli vadano considerati come leggi rudi- dimentali o iniziali universalizzazioni dei fatti percettivi. Ed invero, per convincersi come qualsiasi giudizio racchiuda come a dire, in modo rudimentale una verità universale, 12 — LA NOZIONE DI « LEGGE » giova tener presente in che propriamente consista il giu- dizio. Molto si è discusso a tal proposito e non intendiamo far qui la storia critica delle varie teorie emesse : a noi basta richiamare l’attenzione su questo, che il giudicare non può ridursi all'affermazione o al riconoscimento di una relazione tra due idee, come non può ridursi senz’ altro all'affermazione di un dato nesso tra due cose. In entrambi ì casi viene ad essere sformata la natura vera del giudi- zio, in quanto, se ben si riflette, in tali casi le nozioni di verità e di falsità inerenti alla funzione giudicatrice non ricevono alcuna spiegazione. Il giudizio nasce dal riferi- mento di un contenuto ideale alla realtà, contenuto ideale che può essere o non essere appropriato ad un dato fatto (verità o falsità di giudizio), per il che il giudizio da una parte si eleva al di sopra dell’esperienza attuale e dall’altra non è tutto nella sfera delle idee, avendo un punto di con- tatto colla realtà. Il giudizio consiste nell’idealizzazione del dato. Rendere intelligibile il reale, ecco l'ufficio del giudizio. Ora la legge che altro ufficio ha se non quello di rendere intelligibile l’esperienza, estendendola e rendendola conti- nua nelle sue varie fasi o stadi? Se non che si potrebbero fare due osservazioni: 1° non è chiaro come il giudizio che è costituito di termini ideali, possa riferirsi al reale, al fatto obbiettivo che è sempre qualcosa posto al di fuori della mente che giudica: 2° se si riesce perfettamente a capire l’identificazione dello « leggi » coi giudizii univer- sali e ipotetici — i quali poi sono ì più lontani dalla realtà concreta, in quanto si riducono a connessioni di at- tributi o di qualità, d'idee e quindi di astratti —, non si riesce nient’affatto a capire come i cosidetti giudizii cate- — — è -- qa - — © o n — n ci LA NOZIONE DI « LEGGE » 13 gorici (giudizii singolari, impersonali, dimostrativi, ecc.) possano essere considerati come leggi rudimentali, come fatti, diremo così universalizzati, considerati sud specie aeternitatis. | Esaminiamo le due suesposte obbiezioni. 1° Come mai ogni giudizio, sia percettivo o universale, può essere schematizzato nel modo'seguente. « Il reale è tale che........ » 0, « Il mondo reale è così qualificato che........ +», come mai il giudizio si può ridurre ad un riferimento al reale, al reale indeterminato in un caso e designato per mezzo di idee nell’altro? Certamente, se noi consideriamo lo spirito umano come un’ entità a sè posta al di fuori della realtà che gli sta di rincontro, se noi imaginiamo la psiche e l'universo come due mondi staccati, estranei l’ uno all’ altro, non arriviamo a concepire come possa stabilirsi il contatto dell’io col reale: ed oltrechè appare incomprensibile la conoscenza quale peculiare rela- zione tra due mondi separati, perchè si introduce il con- cetto di spazialità e di estensione e di uno fuori dell'altro, dove non vi è ragione d'introdurlo , si è costretti poi a considerare i fatti spirituali, i processi psicologici come una reduplicazione del reale. Da tal punto dì vista il mondo ideale della psiche, pur essendo in corrispondenza col mondo reale, è come qualcosa d’autonomo, di chiuso e completo in sè, per modo che l'atto giudicativo p. es., lungi dal rappresentare la qualificazione del reale, il pro- dotto del contatto del reale col subbietto, è un processo del tutto ideale, avente soltanto il suo corrispettivo nel reale. Ora tale veduta è del tutto erronea: lo spirito non è posto al di fuori del reale, ma è, vive ed opera in esso: 14 LA NOZIONE DI « LEGGE » 4 allo stesso modo che il fiore non è fuori dell'albero, e questo non è fuori dal terreno e dall'ambiente esterno, da cui anzi riceve nutrimento e tutto ciò che gli è neces- sario per la vita, così la psiche non è fuori, anzi è inti- mamente collegata col reale, dal quale essa trae la vita vera. Occorre aggiungere però che la mente, avendo per sua natura l'ufficio di dare un significato, di obbiettivare il reale, il quale vive nel soggetto, da una parte è con- tenuta nel reale e dall'altra lo contiene, in quanto cia- scuno costruisce il suo mondo coi materiali forniti dal- l'esperienza, diremo così, psicologica, subbiettiva. Da tutto ciò consegue che il contatto del reale col soggetto non è qualche cosa di accidentale, e di temporaneo, ma rap- presenta la condizione essenziale della vita di quest’ ul- timo. L'individuo sente continuamente tale contatto e per quanto mostri di allontanarsene col qualificarlo, col deter- minarlo e specificarlo in varie guise mediante segni, ipotesi, ecc., che sono sempre in ultima analisi astrazioni, .con tali processi non ha altro obbiettivo che di trovare un’c- spressione intelligibile e schematica della realtà che vive, agisce ed opera in lui. Se noi seguiamo il processo gra- duale con cui si passa dal soggetto (reale), quale è espresso in modo indeterminato nei giudizi rudimentali (giudizi im- personali), al soggetto espressu mediante indicazioni, ma sempre privo di qualificazioni e di specificazioni (giudizi dimostrativi), per venire al soggetto designato da un'idea (giudizi universali ipotetici), noi troviamo che lo scopo ul- timo a cui sì mira è di illuminare la realtà a cui noi ci sentiamo legati mediante la nostra stessa vita. Con ciò non si vuol dire che la realtà consiste esclusivamente nel I lin iii LA NOZIONE DI « LEGGE » 15 contatto che noi abbiano con essa nella percezio..e senso- riale: la realtà si estende in modo continuo oltre tale. punto; ma vogliamo affermare che il reale così sentito è come il punto di ritrovo per formare la base di operazione ideale che ha per risultato la concezione generale o la costruzione dell’universo. Noi possiamo conchiudere che la realtà, essendo primitivamente la realtà quale è pusse- duta da ciascun di noi, in ogni giudizio è rappresentata da una data percezione o idea atta a designare il fondo reale, che così viene ad essere in qualche modo determi- nato. Se ciò non avvenisse, il reale rimarrebbe qualcosa d'inesprimibile e d’innominabile. | . Quando ciascuno di noi formula un qualsiasi giudizio, certamente non ha coscienza di fare delle distinzioni nel reale per riconoscere la loro identità fondamentale: quando io dico « la neve è bianca », certamente non penso che il processo logico vero è questo : « quella cosa, quel reale che è neve è bianco », oppure «-la realtà è qualificata anche dall’idea complessiva neve-bianca »; ma ciò avviene, per- chè noi fondiamo il reale con quella parte di esso, che noi in un dato momento riesciamo a distaccare dal fondo totale in virtù dell’ interesse che la detta parte suscita in noì. Se il nostro potere appercettivo non fosse limitato, e se il processo mentale non si riducesse in fondo ad una simul- tanea sintesi ed analisi, noi non formuleremmo i giudizii nel modo in cui facciamo. Noi, in sostanza, da un com- plesso percettivo per ragioni di varia natura, separiamo una parte e questa qualifichiamo col riferirle un dato con- tenuto ideale: ma la parte anzidetta non è un semplice aggettivo, un'idea qualsiasi, un universale ‘astratto, ma è t 16 LA NOZIONE DI « LEGGE » n DI come il sostitutivo abbreviato della realtà, è come la realtà contratta in punto, perchè ciò agevola la nostra operazione. In qualsiasi giudizio adunque ciò che forma il nerbo dell'operazione logica è l’idea, onde sorge la necessità di determinare in che consiste l’idea o contenuto ideale, che mediante la funzione giudicatrice vien riferito alla realtà. La vita psichica fin dall'inizio è controdistinta dalla ten- denza a tipificare. Dal momento che il contenuto della psiche dapprima indistinto e indeterminato, comincia ad essere differenziato, analizzato e riconosciuto suscettibile di determinazioni di vario genere, degli elementi vengono, per così dire, staccati dall'insieme: e son questi elementi astratti ed universali che rendono possibile l’ apprendi- mento di nuovi fatti particolari e concreti, in rapporto all'eguaglianza od all’ identità che taluni elementi di questi ultimi presentano coi primi. Come si vede, fin dal- l’inizio l'attività psichica si esplica universalizzando, fis- sando, cioè, l'elemento essenziale, e comune ad una serie di rappresentazioni concrete diverse, ripetentisi un certo numero di volte, per servirsi di esso come mezzo di intel- ligibilità di altri fatti particolari. Non è a credere però che tale elemento universale e identico sia da considerare come qualcosa di sostanziale, come un fatto avente sede in un sito della psiche: una tale concezione mitica deve essere assolutamente bandita: siffatto elemento universale si riduce ad una funzione della mente, ad una forma di attività più facilmente esercitata, ad una specie di abi- tudine, ad una facoltà, ad una potenza viemaggiormente disposta ad ‘entrare in azione in seguito a dati stimoli ed I TTI LA NOZIONE DI « LEGGE >» 17 a particolarizzarsi variamente secondo le condizioni. Ma finchè l universale contenuto nella mente non si fissa e sì determina in un segno (nome), e fin che questo colla imagine psichica (rappresentazione particolare) concomi- tante, non è risguardato qual simbolo avente un significato relativo a qualcosa di permanente, per sè esistente al di fuori della mente, non è a parlare di idea nè di funzione giudicatrice. Per modo che noi possiamo affermare che, affinchè si abbia l’idea e il giudizio (i quali sono insepa- rabili fra loro, giacchè l’idea in tanto è idea in quanto, mediante il giudizio, viene considerata come segno, come | qualità, come attributo riferibile al reale, in quanto, cioè, mediante la funzione giudicatrice l'elemento ideale viene consciamente riconosciuto separabile dal fatto), è neces- sario che l' universale, che dapprima operava inconscia- mente nella mente, essendo per così dire incorporato nel fatto o processo psichico concreto, venga ad essere rifles- sivamente distaccato da questo e considerato per sè, venga ad essere riconosciuto mezzo appropriato a rendere intelli- gibili i fatti concreti. Tale universale è particolarizzato e concretizzato in un'imagine psichica (nome e rappre- sentazione particolare), la quale è riguardata come sosti- tuibile da qualsiasi altra omogenea e quindi fornita di valore vicariante. Riassumendo, noi possiamo dire che l'idea si riduce a quell’elemento universale, astratto ed addiettivo (qualità o relazione) che, particolarizzato in un segno (nome o imagine psichica sostituibile per mezzo di una qualsiasi altra), vien considerato come simbolo avente un significato obbiet- tivo. È evidente che le idee come idee non possono esi- 2 18. LA NOZIONE DI « LEGGE » | stere al di fuori della mente del soggetto: se esse sono degli astratti universali (aggettivi), non è possibile che esse abbiano un'esistenza indipendente. Lo spirito umano, non potendo penetrare nel cuore della Realtà, non potendo ‘vivere la vita del Tutto, sì contenta di analizzare e di determinare il contenuto di essa mediante qualità e rela- zioni, le quali se si riferiscono, se accennano, se simbo- leggiano il Reale, non vanno identificate con questo. Sicché le idee da una parte non sono semplici fatti psi- chici e dall'altra non sono realtà, ma sono segni del Reale. Il fatto psichico concreto diviene idea logica non appena esso è fissato e riferito, il che può avvenire soltanto me- diante la denominazione, denominazione che indica obbiet- tivazione, e che è da considerare piuttosto un segno dell'atto intellettuale (giudizio) che l’atto stesso. Vien data così la forma esplicita del giudizio a ciò che prima era soltanto un fatto psichico concreto, una rappresenta- zione forse persistente, perchè identica in sè stessa attra- verso i mutamenti e le differenze, ma sfornita di qua- lunque riferimento cosciente a qualche cosa di obbiettivo. Da tal punto di vista idea e giudizio sono coevi e proce- dono di pari passo, giacchè il secondo lungi dall’essere una combinazione meccanica di parti esistenti l'una fuori dell'altra (impressioni, idee, concetti), è l’espressione, forse la sola vera espressione, come dice il Bosanquet, dell'unità della coscienza ed è il generatore di ogni idea o concetto. Il giudizio può contenere idee complesse, ma in quanto giudizio, presenta il contenuto di una sola idea, la quale esiste solo nell’atto del giudicare. É l’astrazione che separa i due elementi intimamente compenetrati tra loro. > ——- LA NOZIONE DI « LEGGE » 19 E qui cade in acconcio notare che quando noi abbiamo dei dubbi circa l’esistenza di un giudizio vero e proprio (negli animali p. es.), il miglior modo d'assicurarsi è di ricercare se in ciò che sì suppone attività giudicatrice vi sia qualche cosa che possa essere in modo intelligibile negata (di cui sia possibile la negazione e la falsità); invero ciò che rende possibile .il giudizio è il distacco dell'ideale dal reale, del vas dal dass, si è la formazione dell'idea quale esiste nella nostra mente, idea che è vera soltanto se effet- tivamente compete alla realtà. Fino a tanto che noi non abbiamo ragioni per credere che nell’ intelligenza degli animali esistano delle imagini aventi un dato significato obbiettivo, dei fatti psichici atti ad essere riferiti a qualche cosa che trascende l'attualità psichica, noi non possiamo parlare di attività giudicatrice: niente, infatti, in tali casi. può essere intelligibilmente negato, non l’esistenza dello idee adoperate nel giudizio, non l'affermazione del loro significato. | 2° Passiamo ora alla seconda obbiezione. Come è possi- bile considerare i giudizi categorici quali leggi rudimen- tali? L’obbiezione a prima vista presenta delle difficoltà insormontabili: da una parte abbiamo i giudizi universali ipotetici, i quali effettivamente enunciano dei principii, delle verità d’ordine generale e possono essere conside- rate delle vere e proprie leggi, — e sono quanto di più lontano si possa immaginare dalla realtà determinata e concreta —, dall'altra abbiamo i giudizi categorici, i quali sono realmente qualificazioni del reale, ma esprimono verità contingenti, particolari. Per convincersi se e fino a che punto i giudizi che asseriscono semplici fatti (giu- 20 LA NOZIONE DI « LEGGE » dizi categorici) siano da considerare come leggi rudimentali, è bene anzitutto enumerarli rapidamente, affinchè possano essere resi evidenti i caratteri che li contraddistinguono. Qui, prima di andare innanzi cominciamo col notare che non esistono giudizi enuncianti la semplice esistenza del dato, ma sempre giudizi enuncianti qualche maniera di presen- tarsi di esso, enuncianti quindi qualche qualificazione, qualche attributo o relazione: anche i cosidetti giudizi storici non esprimono puramente l’esistenza dei fatti, ma, se non altro la relazione dei fatti in ordine al tempo ed allo spazio, per modo che questi figurano come forme ap- percettive atte ad ordinare ed a caratterizzare in qualche modo l'insieme dei fatti accaduti. Questi ultimi vengono riprodotti in maniera particolare in rapporto allo spazio ed al tempo, i quali così vengono a dare una rudimentale universalizzazione ai dati concreti. Occorre notare chie il sapere di una cosa di fatto è vero nel momento in cui si formula il giudizio: in un altro momento potrebbe cessare di esser vero, ma in tal caso il sapere che se ze aveva prima non sarebbe divenuto falso, pevchè esso si riferiva allo stato di cose che aveva luogo nel primo di quei momenti e rispetto a tale stato di cose il sapere che se ne aveva e che se ne ha è sem- pre vero, esprime un nesso, rudimentalmente quanto si vuole, ma sempre necessario ed universale tra il soggetto e l’attributo in quel dato punto del tempo e dello spazio. Dicevamo adunque che non esistono g.udizi puramente esistenziali e ciò si comprende agevolmente se sì pensa che l’idea della realtà o dell'esistenza, come l’idea del dato, del questo, non è un'idea come le altre, non è riduci- LA NOZIONE DI « LEGGE » 21 bile ad un ordinario contenuto simbolico, il quale, distac- cato da una determinazione attuale del reale, possa essere adoperato senza tener conto più di questa, ed essere rife- rito, diremo così, a qualcosaltro. Le idee d'’ordinario sono per così dire estratte da un dato fatto o da una serie di fatti e poi possono essere riferite ad un nuovo fatto (simile, analogo o identico) che sopraggiunga: ora ciò per l’idea del dato non può avvenire, appunto perchè in tal caso l'idea è inconcepibile per sè presa: l’idea del dato non può riferirsi che a ciò che è dato: ma, si domanda, a quale dato? al dato con cui il soggetto si trova attualmente in contatto? ma questo è un processo ozioso, inutile e insi- gnificante, perchè non vi è alcun bisogno di asserire che la realtà è reale quando io mì trovo a contatto della realtà: si può sentir bisogno di qualificare in qualche molo la realtà presente nella percezione, ma non di affermare che è reale. E, se ben si riflette, tutto le volte che si ricorre all’ enunciazione grammaticale di un giudizio esi- stenziale è sempre per asserire in modo più o meno celato e inconscio qualche attributo o qualche relazione del dato. È inutile aggiungere che l’idea del dato non può essere riferita a ciò che non è dato, perchè in tal caso si cadrebbe in contradizione. Da ciò emerge chiaro che l’idea di esistenza non è mai un vero predicato. I In altre parole, l’esistenza non è una nota, una qualità, una determinazione che si possa aggiungere idealmente ad una cosa. La realtà, il dato, l’esistenza è sostantivo e non aggettivo, vale a dire, non è elemento astratto ed univer- sale atto ad inerire,. a caratterizzara qualcosaltro. La nostra niente può - formare anche l’idea della realtà, ma 22 LA NOZIONE DI « LEGGE » questa è infeconda, non può estendere nè ampliare il no- stro sapere: essa non ha consistenza come elemento iso- lato e per sè preso, essendo inseparabile dal fatto da cui la nostra mente l’ha per un istante disgiunta. Vi sono delle note, delle determinazioni, degli universali astratti, delle idee che noi possiamo o non possiamo attribuire ad una cosa, e ve ne sono anche di quelle che non possono essere negate senza sformare la cosa, ma non ve ne sono di quelle che qualificano la cosa come cosa, come reale. L'essere cosa (l’esser reule) non è una nota come un’altra: tolta essa non rimane più nulla, non già che rimanga qual- cosaltro che non sia quella cosa. Essa può essere per un istante considerata come nota, ma come nota d’un ordiae speciale, come nota sostanza che trae seco per forza il dato. Reale non può essere che l'aggettivo della realtà: l'essere una cosa non può essere predicato che di una cosa; mentrechè una qualsiasi altra idea può essere predicato di questa o di quella cosa. Nell’enumerazione dei giudizii somme ai semplicì fatti seguiremo lo schema del Bosanquet. 1° Giudizi qualitativi propriamente detti, enuncianti una qualità sensoriale : es. « Com'è caldo » (sott’intendi l’acqua, la stanza, ecc.). 2° Giudizi interiettivi esprimenti un'emozione, o meglio, l’idea di un’emozione, nei quali, dal fatto psichico emotivo è distaccata l’idea come segno di esso: es. « Cattivo! » « Che dolore! » (1). (1) Ai giudizi propriamente interiettivi fa d’uopo aggiungere i giu- dizi o meglio, le proposizioni imperative, precative, ammirative, inter» rogatiue, ottative, ecc., con le quali espritiamo un comando, una pres LA NOZIONE DI « LEGGE » | 23 3° Giudizi impersonali. Es. « Piove ». 4° Giudizi percettivi, enuncianti un fatto presente che viene esteso per mezzo di idee, rappresentazioni, imaginì, ricordi riferentisi a ciò che Ron è attuale. Es. quando noi riconosciamo un individuo e lo chiamiamo per nome, not « vediamo chi egli è », abbiamo la percezione di lui, 5° Giudizi dimostrativi, i quali hanno per soggetto « que- sto » « ora » « qui ». Es. « questo è freddo » « ora piove » « quì è buio >», ‘Tutti questi giudizi presentano a prima vista la carat- teristica comune di riferirsi direttamente al Reale, qua- lificandolo variamente. Il loro soggetto esprime, in modo indeterminato, senza alcuna specificazione, cioè, per mezzo di idee, il contatto del Reale col soggetto; dal che si sarebbe tratti a conchiudere che siffatti giudizi sono agli antipodi di ciò che ordinariamente si chiama « legge ». Questa, infatti, è universale e astratta in quanto esprime la sintesi di attributi, di due aggettivi e viene formulata per mezzo di un giudizio ipotetico : il giudizio categorico della specie summentovata è invece individuale, concreto in quanto caratterizza , qualifica direttamente il dato e viene ad esser riferito a ciò che esiste per sè. Il giudizio- legge, come ordinariamente è inteso, non esprime che la ghiera, un sentimento di meraviglia e così via. Questi giudizi non vanno confusi con le espressioni emotive corrispondenti, giacchè essi sono resi possibili dal distacco dell'idea dal fatto psichico concreto. Il fatto psichico è individuale, soggettivo e affatto incomunicabile (è sentito), mentrechè l’idea formata mediante il giudizio, mediante il riferimento di una qualità od attributo comune ad un fatto psichico concreto sentito, è comubicabile, universale, obbiettiva (è intesa). 24 LA NOZIONE DI «€ LEGGE » conseguenza di una data supposizione senza dir nulla circa. la realtà dei suoi termini; che esista o no nella realtà un triangolo, che esista o no nel fatto in un dato mo- mento e agisca o no nell'organismo un dato veleno, la legge matematica riferentesi al triangolo e la legge bio- logica relativa all’ azione di un veleno sull'organismo è sempre vera. Lo stesso non si può dire del giudizio ca- tegorico, il quale enuncia, qualificandolo, un fatto quale è attualmente, non nella sua possibilità, tanto è ciò vero che in esso il soggetto non può essere negato in modo intelligibile, vogliamo dire che il soggetto non essendo spe- cificato e determinato in alcuna maniera, non può subire alcuna alterazione senza cessare di esistere del tutto, e non soltanto come tale e tale altro. A prima vista adun- que si direbbe che tra i giudizi categorici summentovati e quelli ipotetici o leggi vi sia assolutamente un abisso: il che poi menerebbe alla conseguenza che mentre i giudizi, diremo così, rudimentali, esprimerebbero effettivamente delle qualificazioni del Reale, i giudizi ipotetici universali enuncierebbero soltanto delle relazioni tra idee. Ora è ciò vero? Prima di tutto richiamiamo alla mente qual’è l’es- senza e l’ufficio della funzione giudicatrice. L'essenza e l’uf- ficio del giudizio è, per così dire, di simboleggiare il fatto, di trasformare il solido fatto (mi si passi la similitudine) nella volatile idea, di sostituire a ciò che non può essere oggetto di scambio un qualcosa che ha valore in quanto segno, e che è facilmente comunicabile : ora ognun vede che , affinchè ciò avvenga, è necessario che il fatto sia universalizzato : e che cos’ altro è mai la legge se non l’ universalizzazione e il processo ideale (astrazione) pra- LA NOZIONE DI « LEGGE » 25 ticato sul fatto? Ciò non basta: noi abbiamo detto che il giudizio si riduce al riferimento di un contenuto ideale alla realtà, il che vuol dire che il giudizio non è la sem- plice espressione di una modificazione soggettiva soprav- venuta in seguito al contatto della realtà col soggetto, come sarebbe il grido erompente dalla bocca di chi sì trova in un stato emozionale, ma è un processo per cuì la modificazione del soggetto a contatto del Reale viene appercepita per mezzo di qualcosa di universale che me- diante l’atto giudicativo stesso assume una certa configu- razione per mezzo della parola, passando dallo stato di potenza o di funzione virtuale in atto funzionale. Ora l'importante è questo, che quando l'atto giudicativo più rudimentale si compie, non è a credere che il fatto ri- manga, dopo che ad esso è stata riferita l’idea, sempre fatto inalterato: un tale modo meccanico di concepire il giudizio non è ammissibile, perchè non esiste il fatto da una parte e l’idea dall'altra : l’idea esiste in quanto si rife- risce al fatto e questo messo in rapporto con l’idea, non è più un semplice fatto qualsiasi, ma è come a dire idea- lizzato, è alterato in rapporto al contenuto dell’ idea. Alcuni dei molteplici, innumerevoli elementi costituenti il dato vengono lasciati da parte ed altri vengono ad emergere, perchè armonici coll’idea. Insomma quando un qualsiasi giudizio si formula, il contenuto reale reagisce sul dato, trasformandolo in qualcosa di universale e di astratto, per modo che in ultima analisi si ha sempre una sintesi ideale di addiettivi. E del resto, se ben si riflette, si vede subito che, tolto al giudizio il carattere di universalità, esso non ha più 26 LA NOZIONE DI « LEGGE >» ragiono di esistere, in quanto diviene un atto del tutto soggettivo, individuale e quindi qualcosa d'inesprimibile, d'incomunicabile e d’inintelligibile. Quando formulo un giudizio sensoriale qualitativo o interiettivo, quando io dico, ad esempio, « ho dolore al dito », io in sostanza af-_ fermo un qualcosa d’universale, nè può esser diversamente, giacchè in caso contrario primamente non sarei inteso da nessuno e poi tale giudizio difficilmente potrebbe essere ripetuto, mentrechè è innegabile che esso viene enunciato innumerevoli volte nelle condizioni più diverse. Il mio dolore al dito non è quello di un altro: se ne differenzia per rapporti di tempo, di spazio e per una molteplicità di circostanze, per modo che io dall’ insieme della realtà quale mi è presente in un dato punto, astraggo un elemento per metterlo in rapporto con un'idea (segno). Tale elemento astratto è indeterminato; non è specificato o qualificato in alcun modo e quindi non è un’idea, ma d'altra parte non si può dire che sia senz'altro il fatto, il reale nella sua grande complessità di elementi; è piuttosto la configurazione della realtà quale è in me in un dato momento. Da ciò consegue che i cosidetti giudizi rudimentali in quanto sono manier e di rendere intelligibili i fatti concreti mediante idealiz- zazione ed astrazione, sono delle vere e proprie leggi. Con ciò non si vuol dire che il giudizio è fuori la realtà, giacchè esso anzi è impiantato in questa, ma, poichè al suo compi- mento è necessaria la determinazione e la configurazione del reale, esso, pur avendo le sue radici in questo, cresce, si ramifica, si svolge nell’ atmosfera dell’ ideale. In breve, noi crediamo che i giudizi categorici rudimen- tali siano delle leggi iniziali, perchè i loro soggetti pur LA NOZIONE DI « LEGGE » 27. indicando, per così dire, i punti in cui la realtà è presente all’individuo, non esprimono questi nella loro complessità e compiutezza, tanto è ciò vero che io adopero siftatti sog- getti, anzi formulo gli stessi giudizi in condizioni diver- sissime: e non basta ; li adopero e li enuncio io come li adoperano e li enunciano gli altri uomini in circostanze disparatissime: il mio « questo », il mio « qui », il mio « ora », non è quello di un altro, pur venendo denotati in modo identico. Ma da ciò si deve forse trarre la con- seguenza che i giudizi categorici rudimentali e gli ipo- tetici universali siano perfettamente identici tra loro e che pertanto qualsiasi forma di giudizio sia una vera e propria legge scientifica? No certo: noì dicemmo che i giudizi concreti categorici sono da considerare come leggi rucimentali, val quanto dire come germi di leggi e non come leggi addirittura: ed infatti quando noi in tali giudizi poniamo in relazione un'idea con un soggetto inde- terminato, siamo nell’impossibilità di indicare la natura, le condizioni e i limiti della sintesi del predicato col sog- getto. E il compito della scienza è appunto quello di ana- lizzare, di determinare e quindi di idealizzare il soggetto indeterminato, di andare in traccia e porre in evidenza quegli elementi di esso che formano un tutto indissolubile col contenuto ideale espresso nel predicato. Con tale pro- cesso è evidente che ci veniamo allontanando dal fatto con- creto complesso, giacchè l’analisi, come la dissezione del- l’organismo, mentre ci allontana dalla vita vera e propria, ci fa conoscere gli elementi dalla cui cooperazione la vita stessa risulta. Noi coi giudizi categorici di cui ci occupiamo, esprimiamo, si, una sintesi ideale fino ad un certo punto 28 LA NOZIONE DI « LEGGE » tra due universali, ma detta sintesi non è necessaria, non è permanente, non è generale, nè assoluta appunto perchè, essendo indeterminato il soggetto, questo può presentarsi sotto le forme e le condizioni più svariate, per modo che un medesimo contenuto ideale, una volta si trova connesso con un dato soggetto, ed un'alira volta con un soggetto molto differente. Un dato contenuto ideale una volta sì trova connesso con un « questo », con un « qui », con un « ora >», ed un’altra volta con un « questo », con un «qui » e con un « ora », il cui contenuto è differente da quello del primo. Conchiusione: i giudizi qualitativi‘ in generale non sono leggi vere e proprie, non sono cioè giudizi uni- versali astratti ed ipotetici, ma leggi rudimentali, giudizi implicitamente universali ipotetici, in quanto non volgono sulla realtà nel suo insieme, ma su alcuni elementi di essa che non hanno un'esistenza propria per sè considerati. 3. Leggi relazionali. La legge, come il giudizio, serve a qualificare ed a ren- dere intelligibile il reale: ora le leggi ed i giudizi di cui . ci siamo occupati finora hanno per compito di riferire, di attribuire una qualità al Reale: le leggi e i giudizi di cui c’ intratterremo al presente hanno l’ufficio di pre- dicare del Reale una relazione. Una volta che il giudizio è tale un’ operazione logica che ha necessariamente per risultato l’azione reciproca del soggetto sul predicato e di questo su quello, è evidente che se i giudizi-leggi categorici sono intimamente connessi con i giudizi o leggi LA NOZIONE DI « LEGGE >» 29 ipotetiche in quanto entrambe rendono intelligibile il dato, dall’altra si presentano con note distinte in quanto i pri- mi attribuiscono al reale una qualità e gli altri una re- lazione di qualunque genere quest’ultima sia, sia, cioè, una relazione di quantità, di ragione o di causa. È in questa seconda categoria che vanno comprese tutte le leggi scientifiche propriamente dette, quelle connessioni neces- sarie ed universali che sono come la struttura di tutte le scienze speciali. | Prima di discorrere partitamente delle varie sottospe- cie delle leggi relazionali (leggi causali, leggi razionali e leggi puramente quantitative), analizziamole in ciò che hanno di comune, ponendole in rapporto con le leggi che potrem- mo dire ora qualitative, In queste ultime si attribuisce una semplice qualità al reale, per il che questo viene ad essere come limitato in un punto, viene ad assumere la configurazione del campo attuale della coscienza, del campo su cui è fissata l’attenzione in un dato momento: finchè noi non abbiamo che qualità da attribuire al reale non sentiamo il bisogno di fare distinzioni entro il contenuto della coscienza, e di stabilire in modo cosciente dei rap- porti tra i termini distinti. Esso nella complessità ed indeterminatezza in cui appare al soggetto, è senz’ altro qualificato; e poichè nessuna distinzione, o determinazione sì è praticata, l'affermazione non può varcare ì limiti di tempo e di spazio in cui è fatta ed ha carattere pretta- mente categorico. Essa si rapporta in modo più diretto all'esistenza, perchè non compie alcun atto di astrazione su ciò che immediatamente si presenta al soggetto; il fatto, essendo semplicemente qualificato, non è per così 30 LA NOZIONE DI « LEGGE » dire allontanato dalla sua matrice reale, come avviene nel caso che molteplici operazioni logiche hanno contri- buito ad idealizzare il dato, distaccandolo più o meno completamente dai rapporti di tempo, di spazio e dalle condizioni svariate che contribuiscono alla concretizzazione. Nelle leggi relazionali, al reale non è più riferita una qua- lità, qualcosa di semplice, un termine isolato, ma una relazione, val quanto dire un nesso di due termini, il che suppone che il dato sia stato obbietto di determinazioni e di distinzioni e quindi obbietto di un processo di astra- zione ; per il che si è entrati nel dominio dell’universale, nel dominio di ciò che non si riferisce ad un punto de- terminato dello spazio e del tempo, ma ha valore sempre e dappertutto. E poichè l'attenzione è segnatamente fis- sata su ciò che ha il maggior interesse attualmente, vale a dire sulla relazione, sul nesso esistente tra i due termini in cui è stato distinto il contenuto ideale del dato, è chiaro che la detta relazione deve essere significata in modo da informare tutto l'atto giudicativo. Il centro di gravità della funzione giudicatrice si sposta, in quanto è una data forma di caratterizzazione, è la connessione che viene ad essere obbietto del giudizio : il dato, avendo perduto la sua concretezza, entra come nell’ ombra della coscienza, mentrechè il nesso, la relazione viene ad occu- pare il primo posto nella visione mentale. Il dato è come presupposto e la forza del giudizio si esplica nell’ affer- mazione del nesso, Se la legge dell’ economia non avesse vigore nelle funzioni spirituali e nelle espressioni del lin- guaggio, avremmo nel giudizio l’esplicazione chiara di tutto il processo nelle varie sue parti; si preferisce invece di ST LA NOZIONE DI « LEGGE » 31 tacere, di sottintendere ciò che non è assolutamente in- dispensabile di esprimere (il dato) e di significare in ma- niera completa il nesso in cui sta propriamente il nerbo del giudizio. Ma donde e come sorge tale relazione che vien riferita al reale? Perchè il contenuto ideale viéne analizzato e distinto in termini, tra cui è riscontrata una determinata relazione ? Il motivo per cui il contenuto ideale viene al essere analizzato nei suoi elementi o in termini tra cui poi intercede un rapporto fisso, è la percezione di un mu- tamento concomitante e coordinato nelle varie parti com- ponenti il tutto qualitativo o il contenuto ideale. Finchè questo non presenta alcuna variabilità nei suoi fattori e finchè questi ultimi non variano in modo coordinato, in modo che la determinazione dell’ uno tragga seco quella dell’ altro, non ha luogo alcun processo di analisi, di di- stinzione di termini, nessuna relazione è riconosciuta e fissata, e quindi nessuna relazione può essere riferita al reale. In seguito a ciò sì comprende perfettamente come le leggi relazionali siano dei veri e propri giudizi ipotetici uni- versali, coi quali si viene ad affermare la connessione del conseguente con l’ antecedente fondata sopra una qualità riconosciuta inerente al reale. E qui sorgono parecchie questioni degne di essere attentamente esaminate. Prima di tutto si nota: Siffatti giudizi ipotetici avendo per ter- mini degli universali, sono lontani dalla realtà, sono come sospesi în aria e non asseriscono alcun fatio concreto: da tal punto di vista si sarebbe quasi tratti a dare il posto d’ onore ai giudizi categorici anche rudimentali, i quali € 32 LA NOZIONE DI « LEGGE » esprimono il nostro immediato contatto con la realtà. Che i giudizi ipotetici non enuncino fatti è innegabile, ma da ciò forse consegue che siano più lontani dalla realtà di quei giudizi che vertono semplicemente su fatti? La realtà non è costituita da semplici fatti per quanto questi siano complessi e complicati, come non è costituita da termini isolati, per così dire, da elementi atomi o da qualità sem- plici, ma da qualità e da relazioni variamente intrecciate tra loro. Ogni qualità è riducibile a relazioni, come ogni relazione è fondata su qualità: dal che consegue che quando noì enunciamo delle relazioni lungi dal trovarci lontani, ci troviamo più vicini alla realtà in quantochè ciò che perdiamo in complessità, in concretezza, lo guadagniamo in estensione, in precisione. Con la determinazione delle relazioni necessarie ed universali vengono rimossi i par- ticolari privi d'importanza e di significato. Noi siamo a contatto della realtà tanto se predichiamo di essa qualità, quanto se ne predichiamo relazioni, col vantaggio in que- st'ultimo caso che le relazioni purgate di tutti gli elementi inutili, hanno un valore assolutò, perchè esprimono la struttura del reale quale può essere trascritta e delineata dalla mente umuna. Poi si osserva: i giudizi ipotetici esprimono delle semplici possibilità, non mai dei fatti reali. Con essi in sostanza si dice: supposto che una tale con:lizione si verifichi, l’ ef- fetto ne conseguirà necessariamente, e di qui il carattere della relatività inerente a siffatti giudizi, ma nulla si dice intorno alla realtà della supposizione. Sono pertanto delle enunciazioni che non escono dal relativo e dall'arbitrario. Qui occorre fare due osservazioni. 1° La realtà della sup- e ) LA NOZIONE DI « LEGGE » 33 posizione è presa, nor data nel giudizio ipotetico per questo che il processo di analisi ha sformato il dato, togliendone tutti gli elementi insignificanti. Con tale operazione la connessione affermata non viene ad esser più vera in un dato punto dello spazio e del tempo o in un dato com- plesso di condizioni, ma viene ad esser vera dovunque e dappertutto, per modo che la supposizione lungi dall’essera un prodotto arbitrario della mente, un qualcosa che viene ammesso senza nulla sapere se esso corrisponda alla realtà, figura quale elemento (si badi, diciamo elemento e non già fatto) eminentemente reale. Essa non si trova nella realtà come ‘elemento isolato e quindi non si trova in un dato punto dello spazio e del tempo, ma si trova commista con svariati altri elementi, si trova nei contesti più disparati a seconda delle circostanze. La supposizione non è una mera possibilità, ma è, per così dire, una pos- sibilità reale, un elemento che è stato e che può divenire attuale ogni volta che noi ci mettiamo nelle condizioni di prospettiva necessarie alla percezione del detto elemento particolarizzato. Ognun vede del resto che il giudizio ipo- tetico se non avesse una base reale, se non esprimesse sub specie aeternitatit un nesso constatato e constatabile nell’ e- sperienza ogni volta che si vuole, verrebbe ad essere destituito di ogni valore. Una supposizione puramente ar- bitraria non val nulla: rappresenta un prodotto accidentale dello spirito individuale e null'altro. Il giudizio ipotetico lungi dall’ esprimere la possibilità come contrapposta alla realtà sta a significare la capacità, la facoltà che noi abbiamo di constatare il nesso, la rela- zione esistente tra due termini semprechè lo vogliamo in 3 34 LA NOZIONE DI « LEGGE » condizioni determinate. Esso pertanto piuttostochè esprimere un qualchè di meno, esprime un qualchè di più del ‘reale attuale, un qualchè che è reale non ora e qui, ma ovunque e sempre. Allo stesso modo che l'idea che simboleggia il fatto, qualificandolo, non è un prodotto arbitrario e subbiettivo della mente, ma ha valore reale in quanto si riferisce al dato di cui esprime l’essenza e il significato, così il giudi- zio ipotetico è da riguardare come segno di un modo di essere del dato. L'idea e il nesso ipotetico non hanno valore per sè, ma in quanto si riferiscono al reale del quale sono simboli nella nostra mente. Il giudizio universale ipotetico pur non esprimendo alcun fatto particolare nella sua com- plessità concreta, è però sempre sostituibile da una molte- plicità di fatti. Possiamo, è vero, fare delle supposizioni illegittime, come possiamo enunciare dei nessi necessari, ma non reali in quanto il supposto da cui muovono non è reale, ma i casi in cui ciò si verifica sono relativamente rari e son ben determinati. | L'antecedente dei giudizi ipotetici poi in tesi generali si rapporta più o meno direttamente ad un fatto: così una legge fisiologica o biologica che non enuncia nessun fatto reale esistente, ma semplicemente possibile, esprime però sempre un nesso constatato e constatabile nell’ esperienza. E mentre 11 giudizio ipotetico pone in vista le condizioni genetiche del fatto, il giudizio categorico enuncia semplice- mente il fatto. L'enunciazione delle condizioni genetiche suppone già il fatto, anzi una seme di fatti dalla cui com- parazione ed analisi esse sono state estratte. Riassumendo, diciamo che il nesso enunciato in una legge relazionale non soltanto esprime un nesso che è stato constatato nel- LA NOZIONE DI « LEGGE » 35 l’esperienza (leggi causali), ma esprime la coscienza della possibilità di constatarlo ogni qualvolta si vuole; dal che emerge che essa penetra nel cuore della realtà molto dippiù che la semplice enunciazione di un fatto isolato, 2® La connessione e relazione affermata per mezzo dei giu- dizi ipotetici non è, nè può essere una connessione arbitraria ed accidentale; il che vuol dire che essa deve avere una ragione, un fondamento: ora la coscienza di questa ragione e fondamento è necessariamente implicita nell’enunciazione di una legge razionale? È questo un problema della più alta importanza, ed è stato risoluto variamente dai filosofi: per non citare che i più recenti, mentre il Bradley ammette che la qualità del reale che rende possibile una legge di relazione può rimanere ignota, il Bosanquet è di parere che ogni giudizio ipotetico ha radici in un sistema, in un fatto, in qualcosa di categorico. Ora, tenendo conto della ma- niera in cui le leggi scientifiche sono state scoverte attra- verso lo svolgimento del sapere umano ed insieme del modo come tuttora vengono rintracciate le condizioni ge- netiche dei fatti naturali, noi siamo autorizzati ad affermare | che effettivamente non solo un nesso, una relazione del genere di quelli enunciati nel giudizio ipotetico devono avere una base, devono cioè essere due elementi appartenenti ad un unico sistema, devono essere correlativi nel senso che emergano da un unità fondamentale (e altrimenti perchè sarebbero in rapporto di dipendenza reciproca? perchè l'uno varierebbe nella misura che varia l’altro, e perchè infine l'uno agirebbe sull’altro ?), ma tale base deve essere conosciuta o almeno in qualche modo intraveduta. Se ciò non avviene,le così dette leggi naturali lungi dall’ enun- 36 LA NOZIONE DI « LEGGE » ciare dei rapporti necessari ed universali, enunciano delle connessioni di fatto che hanno un valore empirico, prov- visorio. Finchè non si arrivi a conoscere il perchè di una legge, finchè cioè una data relazione non sia considerata come prodotta da una qualità inerente al reale, per modo che la stessa entri in un dato sistema, essa non avrà niun valore assoluto. Ogni scienziato quando si pone a speri- mentare e va in traccia di una legge muove sempre da un dato sistema, da un dato ordine d’idee che avrà un colore diverso a seconda dell’ obbietto di una data scienza - vi è un mondo chimico, come ve ne è uno fisiologico ecc. —; e quando una nuova connessione constatata non si collega in modo chiaro col detto sistema, si possono presentare due casi: o il sistema fondato su basi solide e razionali, resiste e in tal caso la legge non è considerata come un principio universale e necessario, ma come l’ enunciazione di un fatto empirico che richiede ulteriore esame, ovvero il sistema cede e d allora è sostituito da un altro sistema consono alla nuova connessione osservata. Insomma noì cre- diamo che il punto di partenza sia sempre qualcosa di categorico, un sistema, un fatto, un dato ordine d'idee e che le connessioni che si vengono man mano mettendo in chiaro non siano che ulteriori determinazioni del detto si- stema; e nel caso che ciò non avvenga è giocoforza costruire un nuovo sistema entro cui possano entrare le nuove connes- sioni. Dal sistema non possono e non devono essere dedotte a priori (dialetticamente) le leggi, giacchè esso è come un principio regolativo, nel senso che non vi può essere una vera e propria legge, la quale non faccia parte di un sistema. L'ufficio del giudizio ipotetico e della legge rela- LA NOZIONE DI « LEGGE » 37 i! zionale è appunto quello di mettere in evidenza alcune parti o differenze o determinazioni del sistema, lasciando da parte la considerazione dell'insieme, il che non toglie che l'insieme vi sia e operi attivamente attraverso le differenze; anzi si può aggiungere che se il sistema non esistesse non verrebbe nemmeno in mente di andare in traccia delle leggi. i ‘Ciò che sopratutto occorre ricordare è che non vi sono sistemi fissi ed immutabili, bensì progressivi nella misura in cui progredisce l’insieme delle nostre conoscenze, e che se da una parte la scoverta e il significato delle leggi di- ‘pende da vedute sistematiche, dall’ altra parte le leggi reagiscono sui sistemi, contribuendo alla formazione di questi e dando anche ad essi un'impronta ed un colore speciale. Concludendo, diremo che nell’opinione ordinaria le leggi vengono considerate come maniere di operare di date cause, maniere di operare che dipendono dalla natura delle stesse cause: ora, che altro è la natura di una causa, se non la sua posizione in un sistema? Pertanto nui possiamo affer- mare che ogni necessità e relatività è fondata in ultima analisi su qualche cosa di categorico, su qualche dato, sopra un fatto irriducibile. Aggiungiamo in ultimo che le leggi riguardanti un dato fatto esprimono sempre il ritmo della variabilità di una data cosa, il ciclo entro cui il fatto, la cosa, il dato si muove, esprimono, cioè, le parti o le articolazioni di un sistema. Le leggi appaiono in tal guisa comele funzioni di varie © forme d’individualità del reale: le leggi di gravità, le leggi di una data sostanza chimica vanno riguardate come 38 LA NOZIONE DI « LEGGE » le funzioni, le maniere di operare di quella data forma d'individualizzazione del reale che è il mondo della gravità, ecc. E le dette leggi esauriscono, per così dire, la natura, la essenza di una data cosa (1). ° Noi dicemmo che le leggi relazionali hanno l’ ufficio di qualificare il reale per mezzo di una relazione: ora si può domandare : Di che natura è questa relazione ? Per risol- vere una tale questione è bene passare prima rapidamente a rassegna le varie forme di relazione che possono carat- terizzare la realtà, per vedere quali sono le note diffe- renziali di ciascuna di esse. La prima forma di relazione che viene attribuita al reale è quella che risulta dalla - comparazione quantitativa, è quella intercedente tra le differenze, o gradi di una stessa qualità : noi formulando giudizi come questi: « ora è meno chiaro d'allora », « qui è più freddo di lì », « questo è più rosso di quello », ov- vero « questo è più rosso ora che non fu antecedente- mente », « questo è più caldo in questa parte che in quella », « questo è più chiaro qui che lì » (nei quali ultimi giudizi, come nota il Bosanquet, i dimostrativi di altra specie assumono l'aspetto di condizioni) , veniamo a qualificare il reale per mezzo del rapporto quantitativo (più o meno) esistente tra due termini, i quali pertanto si devono implicare a vicenda: dal momento che una data qualità è distinta nelle sue variazioni, nelle sue differenze (1) S'intende agevolmente che un dato sistema può essere alla sua volta analizzato e scomposto in relazioni in modo da rientrare come parte in un sistema più vasto e comprensivo e così via. Ciò che in un caso figura come sostantivo può divenire aggettivo di un sostan- tivo d’ordine più elevato. LA NOZIONE DI « LEGGE » 39 o gradi, ciascuno di questi in tanto ha un significato in quanto è connesso con un altro, Come si vede, il giudizio comparativo qualifica il reale per mezzo della relazione esistente tra la parte e il tutto, il quale ultimo differisce dalla parte per mezzo di altre parti omogenee. Notiamo qui che secondo che l'attenzione è richiamata precipuamente sulla qualità variabile quantitativamente messa in rapporto coi vari punti dello spazio e del tempo variabili in modo continuo, ovvero è richiamata sulle variazioni quantitative delle qualità sensoriali (es. sensazioni muscolari) che de- terminano le costruzioni dello spazio è del tempo, il giudi- zio comparativo coopererà alla formazione della « cosa » e di una specie qualsiasi d’individualità, ovvero alla costi- tuzione delle forme intuitive (spazio e tempo). | La comparazione quantitativa precisata, resa esatta si trasforma in misura, la quale consiste nel considerare un oggetto come un tutto contenente un certo numero di unità : unità che viene fissata, riscontrandola identica nei vari aggregati in cui entra come parte. In tal modo dalle relazioni quantitative concrete si passa a quelle astratte e perciò stesso aventi significato generale e quando la misura degli oggetti è praticata, riferendosi ad unità di misura estrinseche ed è espressa per mezzo di giudizi ge- nerali, diviene una vera e propria proporzione in quanto essa è applicabile a casì in cui i terminì corrispondenti sono grandezze differenti. La proporzione, infatti, si riduce all'’eguaglianza di due rapporti. La semplice proporzione diviene poi una vera e propria legge proporzionale non appena viene introdotta nel sog- getto una specificazione, un attributo (condizione), la cui 40 LA NOZIONE DI « LEGGE » esistenza sì mostra intimamente connessa con quella del predicato: es. « questo pezzo di un metallo e questo pezzo di un altro metallo, che hanno lo stesso volume, stanno in rap- porto al peso come 5 : 9 ». Con la misura noi siamo entrati nel dominio della quan tità astratta; vediamo ora da tal punto di vista per via di quali relazioni il Reale è qualificato. In primo luogo vanno annoverate le relazioni numeriche. Il tutto riguardato dal punto di vista puramente quantitativo, è caratteriz- zato da ciò, che può essere costruito mediante la ripeti- zione ideale di unità o parti fisse. Tale ripetizione ideale costituisce l'enumerazione. Nella misura si muove dal tutto caratterizzato per mezzo delle sue differenze, mentre che nell’enumerazione si parte da un’ unità distinta, per arri- vare a costruire una somma totale, o un aggregato. Nel- l’enumerazione il tutto, che è predicato, si presenta come una forma, diremo così, molto attenuata di quell’ indivi- dualità sistematica che nella misura fu da soggetto. Il tutto dell’ enumerazione poi è un vero aggregato; e la parte è ridotta al posto che, come unità, può occupare nella somma. È per questo che in un sistema numerico, la somma delle unità rimane la stessa, qualunque sia l’or- dine in cui queste sono contate; due parti possono mutar di posto senza che consegua alcuna modificazione da parte del tutto. Va notato però che in ogni giudizio enumerativo sono impliciti i due elementi dell'unità e della comune natura o identità che fa da sostrato delle differenze rappresen- tate dalle parti enumerate. L'unità deve fornire la regola e insieme il limite dell'enumerazione, la quale si ridur- LA NOZIONE DI « LEGGE » 41 rebbe ad un processo sfornito di significato, se fosse senza limite e sarebbe impossibile addirittura, se fosse senza regola. L'identità fondamentale d'altra parte è indispen- sabile in quanto, mancando essa, non si avrebbe uno degli elementi essenziali del giudizio; l'unità numerica, infatti, è nient'altro che la differenza o part: presa come distinta dall’identità fondamentale solo mediante un atto del giu- dizio. Ciò che noi contiamo nell’ enumerazione sono gli atti del giudizio, come atti di distinzione e di riferimento in una qualità continua, identica. Se il processo di enume- razione suppone necessariamente l’esistenza di una natura propria ben definita e jualitativamonte determinata nell’ob- bietto del detto processo, è innegabile d'altra parte che l'atto del contare tende ad assumere indipendenza, quasi che potesse avere un significato proprio a parte dalla qualità continua e identica delle unità componenti il tutto. É in forza di tale processo di astrazione che avviene ogni pro- gresso nel calcolo. Lo svolgimento di questo, infatti, si com- pie col costruire totalità numeriche, mediante la sostituzione di relazioni di unità ideali a unità positivamente concrete; relazioni che formano un totale numericamente identico, ma generalizzato e ideale. L’unità quantitativa per sò, o piuttosto l’astrazione unilaterale dell’unità quantitativa, il solo posto numerico che non è collegato per mezzo di una qualità identica e continua (unità organica. o siste- matica delle parti) cogli altri posti della serie, non può avere in sè alcun principio od esigenza di totalità, cioè a dire, non può avere alcuna ragione per finire in un punto più che in un altro. Vogliamo dire che l’'enumerazione delle unità come tali può esser continuata a piacere ed 42 LA NOZIONE DI « LEGGE » un tale processo ci conduce al concetto dell'infinito nume- rico. L'infinito numerico, trascurando il fattore della natura delle unità, omette l'elemento che può arrestare il computo ad un punto piuttosto che ad un altro. Chi può dunque trattenersi dal considerare l'infinito numerico come un prodotto soggettivo, a cui nulla di realmente obbiettivo corrisponde? Le relazioni numeriche e quantitative in genere sono controdistinte dalle seguenti note: 1° esse sono universali, necessarie o relative in quanto l'un termine in tanto ha valore in quanto è connesso con l’altro, per modo che rientrano nella formula del giudizio ipotetico. « Se A è B allora è C »; 2° talì relazioni non sono unilaterali, ma reci- proche, il « Se A è B allora è C » può divenire « Sc 4 è C allora è B »; 3° la ragione di tali connessioni non si trova nell'esperienza, nel dato, comunque l’esperienza possa presentare delle applicazioni di tali connessioni: il valore di queste ultime però non .dipende dalla maggiore o minoreapplicabilità nell'esperienza. Ora tutte queste noto che cos'altro stanno a significare se non che la rela- zione attribuita in tal guisa alla realtà è un nesso o una relazione puramente razionale? Se il fondamento del nesso non fosse nella ragione, potrebbe il detto rapporto essere necessario, reciproco e valido indipendentemente dall’espe- rienza? Se non che dire che la relazione è puramente razionale, che il fondamento del nesso si trova nella ragione non è risolvere in modo completo il problema: rimane sempre da spiegare in che consista un nesso razionale e in che modo la razione possa essere fondamento di un nesso, Quando noi vediamo che tra due termini esiste un LA NOZIONE DI « LEGGE >» 48 legame necessario, per modo che uno implica o trae seco l’altro, che cosa dobbiamo pensare? Qual'è il concetto che noi in tal caso ci dobbiamo formare della dipendenza o del nesso ecc.? Per rispondere a tali quesiti occorre tener presente che il nesso necessario, reciproco e indipendente dall'esperienza tra due elementi, non può esser dato che alternativamente da due condizioni principali: o dal fatto che i due termini sono perfettamente sostituibili in quanto | sono equipollenti, in quanto cioè sono espressioni diverse di una stessa cosa: in tal caso i due termini s' implicano a vicenda perchè sono termini di un’eguaglianza e di una identità: ovvero dal fatto che i due termini della connes- sione sono parti di un tutto organico o di un sistema: in tal caso gli elementi tra cui ha luogo il nesso non sono identici, ma si completano a vicenda quali fattori di una identità sistematica. Ora si domanda: il giudizio ipotetico tipico è espressione della prima specie di nesso, ovvero della seconda? Finchè non si esce dalla pura identità, da quella che si potrebbe chiamare identità formale, non è a parlare propriamente di giudizio ipotetico come non è a parlare propriamente di nesso, il quale involge sempre transizione da un contenuto ad un altro, rapporto di due. parti integrantisi a vicenda e non semplice tautologia: anche quando noi affermiamo 50 X 3 = 25 X 6, la ra- gione di tale connessione non va ricercata nella identità dei termini, ma nella costituzione propria del sistema numerico: è il sistema di numerazione che rende possibile la identificazione di 50 X 3 con 25 X 6: In fondo adun- que ogni nesso razionale implica l'esistenza di un’ identità sistematica, di una totalità, le cui parti sono organicamente 44 LA NOZIONE DI « LEGGE » congiunte, perchè ciascuna di esse figura come differen- ziazione, come determinazione o come manifestazione del- l’unità fondamentale. Qui però sorge il problema: Come è mai possibile la esistenza di una totalità le cui parti s’implicano a vi- cenda? Come è mai possibile l’esistenza di un sistema organico i cui elementi poi s’ implicano a vicenda? È evidente che ciò è possibile solo nel caso che il sistema figuri come un’individualità, come un fatto categorico fornito di un certo grado di assolutezza, avente quindi la sua ragione in sè stesso. Ora siffatte condizioni si riscon- trano: 1° in quei prodotti dell'attività umana, i quali rispondono ad un fine cosciente. È in vista di questo che i vari elementi sono armonicamente coordinati tra loro. L'idea fine agisce come unità regolatrice ed organizzatrice dei vari elementi componenti il tutto; in tal caso le varie parti sono intimamente connesse tra loro, perchè si com- pletano a vicenda e perchè sono funzioni determinantisi reciprocamente; 2° quindi anche in quelle costruzioni numeriche e geometriche che presentano uno spiccato carattere d’individualità in ragione della proporzionalità che si riscontra nelle loro relazioni interiori e in ragione della scelta arbitraria delle condizioni primitive e fondamen- tali determinanti poi l'andamento generale delle costruzioni stesse (1); e 3° in quei casi in cui dopo che è stata scomposta una totalità aggregato — considerata quindi dal semplice punto di vista quantitativo — nei suoi componenti, (1) Vedi a tal p-oposito quello che noi, sulle tracce del Masci, scrivemmo intorno alle varie operazioni numeriche: Za mozione di « Legge », vol. I di questi Saggi, pag. 173-174. LA NOZIONE DI « LEGGE » 45 ciascuno di questi si mostra dipendente dagli altri. Da tuttociò consegue che il nesso razionale qual'è espresso dal giudizio ipotetico tipico che non trae seco alcun rapporto di tempo, ha la sua base nel fatto che i due elementi tra cui intercede la relazione di dipendenza reciproca neces- saria sono parti di un unico tutto, che questo sia consi- derato dal semplice punto di vista quantitativo, ovvero dal punto di vista sistematico o organico implicante un processo di differenziazione qualitativa. Ora chi uon vede che la totalità, il sistema, l’individualità vera, implicante una relazione necessaria tra le parti, non può essere che un effetto dell’attività costruttrice umana, giacchè è sola- mente ciò che è fatto, costruito dal soggetto umano che può da una parte essere completo in sè stesso e dall'altra avere una struttura prettamente razionale e quindi avere quel grado di assolutezza e di apriorità che guarentisce la necessità del nesso intercedente tra gli elementi con- tenuti nel sistema? Ma possiamo d’altronde affermare che tutti i caratteri suaccennati di un nesso razionale e neces- sario sì riscontrino nei prodotti umani? Come si vede, il punto essenziale da dilucidare sta qui: se il nesso razionale im- plica sistema, totalità e se questa non può aversi che da ciò che proviene dal soggetto umano, è necessario preci- sare se tutti — e nel caso negativo quali — i prodotti umani racchiudano una relazione necessaria tra i loro elementi o fattori. A ciò si risponde che una totalità, un sistema implica una relazione necessaria tra gli elementi solo in quei casi in cui questi elementi figurano come determinazioni essenziali del sistema o della totalità. I vari fattori o componenti di un tutto non hanno un valore eguale, 46 LA NOZIONE DI « LEGGE » in quanto alcuni di essi sono essenziali, indispensabili — quasi si direbbe che in essi sotto varie forme è la natura stessa del sistema —, mentrechè altri sono fino ad un certo punto indifferenti al sistema stesso: è evidente che tra i primi vi è una relazione necessaria entro il sistema dato, non già tra gli altri. Non basta. Non tutti i prodotti o le costruzioni sistematiche del soggetto umano hanno un valore ed un significato eguale: ve ne sono di quelle che si riferiscono ad una funzione primitiva, universale e co- stitutiva dell'anima umana in genere, e ve ne sono di quelle che si riferiscono a funzioni variabili ed arbitrarie della coscienza: ora è chiaro che i legami necessari si riscon- trano in quei sistemi prodotti dall’esercizio delle funzioni inerenti propriamente alla natura umana. In questi ul- timi casi il sistema a cuisi devono riferire i nessi neces- sari è sempre posto dallo spirito, mentrechè negli altri casi il sistema può e non può esser posto, può esser posto in un modoe può esser posto in un altro. La base dei giu- dizi ipotetici in quest’ultimo caso non viene ad esser fissa, ma mutevole in rapporto ad una quantità di circostanze. Concludendo, noi possiamo dire che ogni nesso razionale o necessario è fondato sopra l’esistenza di una totalità o di un sistema, per modo che i termini del nesso figurano come le parti o le differenze della totalità e del sistema. Due cose in tanto si possono implicare a vicenda in quanto sono parti di un tutto. Ora un tutto, una totalità non è mai data, giacchè tutto ciò che è dato è sempre relativo: il fatto stesso di esser dato fa sì che agli occhi del sog- getto non possa apparire che come qualcosa che si riferisce a qualcos'altro, e ciò che è dato in tanto assume a volte LA NOZIONE DI «€ LEGGE » 47 l'aspetto di qualcosa d'individuale e di totale, in quanto noi proiettiamo, o riflettiamo in esso la nostra stessa at- tività, lo informiamo della nostra stessa vita. Solo ciò che è fatto, ciò che è costruito da nuvi è un tutto completo, è un vero sistema, ha la sua ragione in sè stesso. Sicchè il nesso razionale non si può trovare che tra gli elementi di un tutto, di un sistema costruito dal soggetto: il giu- dizio ipotetico tipico in tal guisa non soltanto ha una base categcrica, ma questa sua base è nell'attività del soggetto umano. Se non che va notato che non tutti i sistemi e le totalità prodotte dall'attività umana servono di fondamento a nessi universalmente necessari e quindi a giudizi ipo- tetici reciproci, ma soltanto quei sistemi derivati dallo esercizio delle sue funzioni costitutive. Tali sono i sistemi della quantità o della grandezza, dei numeri, dello spazio (1) che forniscono la base dei nessi razionali e dei giudizi ipotetici (leggi) di tutte le cosidette scienze esatte o for- mali. La realtà non è soltanto qualificata per mezzo di nessi razionali, ma è anche qualificata per mezzo dei rapporti cau- sali. Quali sono i termini tra cui inteircedono siffatti rapporti? Sono qualità od attributi che vengono astratti dalle compli- cate relaziouii del reale, perchè sono invariabilmente ed uni- versalmente congiunti tra loro in qualsiasi contesto o sistema essi si trovino. Prima di ricercare la natura del nesso causale e le note che lo controlistinguono dovremmo passare rapi- damente in rassegna le varie forme in cui esso si presenta nei principali, rami del sapere: ma l’enumerare le leggi, sia (1) Le relazioni del tempo e del movimento sono espresse sempre per mezzo di grandezze, di relazioni spaziali e numeriche, 48 LA NOZIONE DI « LEGGE » anche fondamentali di tutte le scienze sperimentali — leggi fisiche, chimiche, biologiche, psicologiche, storiche, sociolo- giche e filologiche — non ci sembra di alcun vantaggio, in quanto tutte presentano un’eguale struttura logica. Tutte si riducono a rapporti di attributi e quindi a legami astratti, a generalizzazioni ricavate da sistemi di fatti concreti: gli attributi connessi mediante l’indagine fisica sono incommen- surabilmente differenti dagli attributi connessi mediante l’in- dagine chimica, e gli attributi connessi mediante l’indagine di siffatti due processi scientifici sono, lo ripetiamo, incom- mensurabilmente differenti dagli attributi connessi mediante le indagini biologiche in genere. Se gli attributi non fossero in ciascuna serie di scienze qualcosa a sè, qualcosa d’irridu- cibile, noi non saremmo propriamente autorizzati a parlare di scienze differenti, ma di una sola scienza, la quale, per comodo didattico o per l’esigenza della divisione del lavoro, potrebbe essere divisa, ma in sostanza le varie scienze non sarebbero che capitoli diversi di una sola scienza. Ora ciò non è, e chi ha qualche dimestichezza con le scienze speciali lo sa; del resto è per questo che i metodi delle varie scienze sperimentali, pur avendo dei caratteri comuni, va- riano profondamente tra loro. Gli attributi o qualità adunque connesse nei vari ordini di scienze sono irriducibili le une alle altre, ma esse per sè prese sono indeterminate e il sapere scientifico va in cerca di qualcosa di fisso, di stabile, di coe- rente e di necessario. Gli attributi son fatti, son dati, ecco tutto: onde è che essi sono materia di elaborazione scientifica, non sono scienza. Perchè ciò avvenga è necessario che gli attributi o le qualità ricevano delle determinazioni quanti- titive (numeriche), I nessi o le relazioni intercedenti tra LA NOZIONE DI « LEGGE » 49 le qualità possono essere fissati e posti in evidenza soltanto per mezzo delle determinazioni spaziali e temporali, le quali alla lor voita hanno bisogno di essere specificate per mezzo del numero. Nessi e qualità devono adunque esser prese in funzione, devono essere schematizzate per mezzo della quantità, e per mezzo dello spazio e del tempo quantitativamente presi. Come il colore è necessario a delimitare l'estensione, così il numero, lo spazio e il tempo sono necessari a delimitare le qualità e le relazioni. È per questo che l'esattezza e la precisione scientifica di- pendono dal grado in cui è applicabile la matematica. Questa trasforma le scienze empiriche da induttive in de- duttive, e quindi in razionali appunto perchè fa considerare le qualità sotto l'aspetto della quantità. © Da tutto ciò consegue che tutte le leggi delle scienze sperimentali si riducono a relazioni di qualità espresse nelle loro variazioni quantitative e spaziali e temporali — le quali due ultime vengono espresse alla lor volta per mezzo della quantità. Vediamo ora in modo più particolareggiato quali sono i caratteri che controdistinguono i nessi sperimentali... Anzitutto si nota che essi sono necessari ed universali e poì che lungi dall'essere forniti dalla ragione indipenden- temente dall'esperienza, sono tratti da quest'ultima, nei cui limiti sono validi. Ora che i nessì costituenti, diciamo così, la struttura delle scienze sperimentali debbano essere necessari ed universali, ognuno lo comprende, pensando all'obbietto proprio del sapere scientifico che è appunto quello di trasformare le semplici congiunzioni di fatto, per sè sfornite di qualsiasi valore, in connessioni di dritto, 4 50 LA NOZIONE DI « LEGGE » in coerenze fisse, stabili, aventi cioè un fondamento che le giustifichi: non è egualmente chiaro fino a che punto i nessi in questione siano un portato dell'esperienza : è ol- tremodo importante, infatti, mettere in chiaro entro quali limiti vada ristretta l'azione della ragione di fronte all’espe- rienza, se si riflette che la coerenza ela necessità non possono venire che dalla ragione. Qual'è la differenza essenziale tra i nessi puramente razionali e quelli sperimentali ? La differenza sta in questo, che i primi sono fondati sull’ esi- stenza di sistemi costruiti dall'arbitrio dell'uomo, e quando diciamo dall’arbitrio dell’uomo non vogliamo dire dall’ar- bitrio assoluto, vale a dire sfornito di qualsiasi riferimento a qualche proprietà o qualità inerente al reale, ma vo- gliamo dire che l’attività costruttiva dell’uomo è estre- mamente preponderante, come avviene nei sistemi numerici, nelle determinazioni spaziali ecc.; gli altri invece sono fondati su sistemi che hanno il loro principale punto di appoggio su qualche fatto o dato. Se si passano a rassegna ì vari ordini di leggi e di sistemi corrispondenti, si vede che essi vanno a metter capo in ciascuna serie in qualche dato, o fatto ultimo inesplicato e inesplicabile, il quale non è posto dall’arbitrio dell'uomo, ma è propriamente subito. Se anche questo sparisce, viene ad esser rotto ogni legame colla realtà e ci troviamo nel regno della pura forma, dell'astratto e del razionale. I nessi razionali pre- sentano in tal guisa un grado di assolutezza, di compiu- tezza che invano si cerca nei nessi sperimentali, in cui domina sempre il riferimento a qualcos'altro. Il fondamento dei nessi sperimentali adunque si trova, sì, nell'esistenza di sistemi che contengono i termini in connessione, ma i LA NOZIONE DI » Abbiamo detto che ogni opera d’arte figura come l’ espressione di due sorta di leggi sistematiche, di una riferentesi alle determinazioni del mondo estetico in genere (è quella di cui si è parlato), dell'altra riferentesi ad un dato fatto estetico, ad un dato prodotto artistico com- piuto in un momento determinato. Ogni opera d’arte, infatti, incarna un'idea, sì presenta come un'individualità, come un sistema fornito di date parti o differenze: ora prima che essa sia eseguita, nella mente dell'artista esiste il concetto dell’ opera caratterizzata da date qualità su- scettibili di determinazioni disgiunte o escludentisi a vicenda. Il processo della elaborazione artistica insomma si compie sempre particolarizzando, determinando, specifi- cando un contenuto ideale di cui si hanno nettamente i limiti e il contorno; se ciò non avvenisse l’opera d' arte non avrebbe unità, nè armonia organica, nè individualità, perchè non avrebbe la sua ragione in sè stessa. Ciò che abbiamo detto della vita estetica si applica prefettamente alla vita morale. Ogni azione morale sup- pone la cooperazione di due leggi o giudizi sistematici, col primo dei quali il contenuto della vita psichica viene considerato dal punto di vista della moralità, viene cioè ordinato in guisa da costituire un tutto organico, un siste- ma armonico a cui si dà l’ appellativo di morale: sistema che ha questo di proprio, che per esso tutti gli clementi e fatti psichici acquistano valore e significato dal modo in cui contribuiscono al raggiungimento dell’ ideale mo- rale, che è quello della comunione spirituale di tutti gli uomini. Il Genio morale, il Santo appercepisce il reale come sistema morale in genere di cui coglie tutte LA NOZIONE DI « LEGGE >» 69 le differenze o determinazioni e le loro relazioni dì reci- proca esclusione. D'altra parte ogni singola azione morale rappresenta l’espressione di un concetto etico, di un'idea morale deter- minata: difatti un'azione morale si presenta sempre come qualcosa di armonico, di organicamente uno, di individua- lizzato, avente la sua ragione in sò stessa : il che suppone nell'animo dell'agente l’esistenza di un concetto sistema- tico analizzato nelle sue determinazioni essenziali in ordine ad una data condotta. Ogni fatto morale presenta coerenza ed unità d'indirizzo, il che vuol dire che esso emerge dall’ analisi di una concezione sistematica determinata, proprio in quella maniera in cui le proprietà, i rapporti e le specie dei triangoli derivano dalla natura di quella par- ticolare limitazione dello spazio che dicesi triangolo, limi- tazione dello spazio che è resa possibile dalla natura dello spazio in genere. Vogliamo dire insomma che come il mondo estetico così il mondo morale hanno come loro pre- cipuo fattore una costruzione sistematica della realtà, caratterizzata e delimitata in guisa da presentare deter- minazioni esclusive e disgiunte. Varia il principio infor- matore, l'universaie concreto, la funzione, la forma apper- cettiva, ma permane il processo di sistemazione e di determinazione. È per questo che tanto il mondo estetico quanto quello morale presentano uno spiccato carattere categorico; le esigenze estetiche ed etiche piuttostochè essere ricavate dalla realtà, dai fatti, anticipano, rego- lano quella e questi. Anche la vita della conoscenza in generale si esplica per mezzo di leggi sistematiche. Ogni processo conoscitivo 70 LA NOZIONE DI « LEGGE » è fondato sull’esigenza di fissare, di qualificare e di deter- minare il reale per mezzo di simboli o segni variamente connessi tra loro (idee, giudizi, inferenze), in maniera da risultarne una forma di coerenza totale o di sistema. Sicchè appare chiaro che la conoscenza adempie a due uffici, a quello di rendere chiaro per mezzo di simboli la realtà (di costituire delle formole o degli schemi in relazione reci- proca tra loro), e di connettere tali simboli in modo da formare un sistema. Ora ciò in tanto è possibile in quanto la mente agisce come potenza universalizzatrice, come po- tenza tipificatrice : essa infatti, opera idealizzando il fatto e l’esperienza (staccando cioè gli attributi e le relazioni dall’esistenza), andando in traccia del principio informatore di un dato ordine di reali per mettere poi in evidenza le determinazioni essenziali di questo. Ed ogni progresso nella conoscenza è contrassegnato dalla maggiore prevalenza della tendenza alla sistematizzazione : quanto più la mente riesce, cioè, a individualizzare il reale tanto meglio adempie al suo còmpito. Come si vede, la forma generale di ogni conoscenza è la forma sistematica e le varie categorie non sono che momenti, manifestazioni diverse di tale funzione o categoria fondamentale; la sostanza, infatti, implica l’in- dividualità, la causalità implica la finalità o l’ ordine, il numero implica la totalità e l’unità: la finalità e la totalita non sono che espressioni diverse del sistema. D'altra parte è agevole intendere che in qualsiasi forma speciale di conoscenza è in azione l’idea sistematica con le sue varie determinazioni; se pensare è porre in rela- zione, e se la relazione non è possibile che tra termini, ì quali abbiano qualcosa di comune, tra parti di un medesimo LA NOZIONE DI « LEGGE » 71 tutto, tra differenze di un'identità sistematica fondamentale, è evidente che qualsiasi conoscenza implica determina- zione di un sistema, val quanto dire riduzione dell'ignoto al noto, riferimento del non spiegato a ciò che è spiegato. Le leggi o giudizi sistematici formando come l'ossatura della vita estetica, morale e conoscitiva, operano quasi diremmo celatamente nelle produzioni artistiche e scienti- fiche, e nelle azioni morali; le scienze invece che hanno per obbietto appunto di tradurre in termini puramente intellettivi, di trasformare in concetti, ordinandoli in modo ‘ sistematico, di rendere insomma intelligibili i fatti estetici, morali e conoscitivi, mirano a presentare isolate, separate da tutti gli elementi con cui si trovano miste, le dette leggi o giudizi sistematici. L’Estetica, l’Etica e la Logica coincidono in questo che tutte e tre tendono a costruire il mondo estetico, etico e conoscitivo per mezzo di giudizi disgiuntivi completi. Invero qual'è l'obbietto dell’ Estetica ? È quello di sta- bilire, in base allo svolgimento storico dell’arte e della coscienza estetica e in base all'osservazione psicologica della funzione estetica sia produttiva che recettiva o con- templativa (genio e gusto), il retto concetto ‘dell’ ideale estetico. Fissando il concetto si viene per ciò stesso a determinarne le manifestazioni in maniera completa ed ade- quata. Le leggio norme estetiche sono le direzioni o le maniere secondo cui l’attività o funzione estetica dell’ a- nima umana, in genere, cerca di raggiungere l'ideale este- tico. Ond'è che le norme o leggi estetiche avent i una base categorica nelle proprietà dello spirito umano (atte quindi ad anticipare ed a regolare l’ esperienza), non 72 LA NOZIONE DI « LEGGE » vanno confuse con quelle forme di leggi finali empiriche (aventi cioè il loro fondamento nei dati forniti dall’espe- rienza) che rispondono a problemi pratici del tenore seguente: « Come ottenere un dato effetto estetico in una data cir- costanza ? » « Come condursi moralmente in una data situazione della vita? » Qual è l’obbietto dell’Etica? È quello di stabilire in base alla osservazione psicologica della funzione etica, in base allo svolgimento della cultura e della civiltà, allo svolgi- mento storico della coscienza morale e della vita morale il retto concetto della moralità. Ed una volta fissato e delimitato tale concetto, è chiaro che vengono determinate le manifestazioni e le estrinsecazioni essenziali del prin- cipio informatore della vita etica; basta a tal uopo rap- portarsi alle qualità fondamentali che contradistinguono il suddetto concetto o principio. In ultimo qual’è l’obbietto della Logica? È quello di stabilire in base all'osservazione psicologica della funzione conoscitiva, in base allo svolgimento storico della scienza e della dottrina della conoscenza il retto concetto della conoscenza stessa. Trovato il principio informatore di questa e caratterizzato per mezzo di date qualità, è facile preci- sarne le determinazioni, le manifestazioni ed i limiti di variazione. Le norme etiche, logiche ed estetiche stanno ad indicare le diverse maniere in cui è possibile rispondere alle esigenze etiche, logiche ed estetiche dello spirito umano; norme che hanno la loro ragione ed origine nel- l'ideale rispettivo, il quale alla sua volta non è tratto dall'esperienza, non figura come un dato, ma è posto da ciò che vi ha di più intimo nell'essere nostro. Sta LA NOZIONE DI « LEGGE >» 73 in ciò appunto il carattere distintivo delle leggi norma- tive suaccennate. Da tuttociò consegue che l’ Estetica, la Logica e l’Eti- ca (1) sono fondate su giudizi sistematici o disgiuntivi tratti dalla vita estetica, logica ed etica dell'anima umana. Esse mirando a mettere in evidenza la struttura logica o intelligibile del mondo estetico, conoscitivo ed etico, ci pongono dinanzi agli occhi le diverse maniere in cui il principio informatore, l’universale concreto e individuale si presenta in ciascuna delle tre sfere più elevate dello spirito umano. Nessuno confonderà poi le norme con i giu- dizi disgiuntivi o sistematici, giacchè quelle non indicano le parti del sistema articolate tra loro, ma bensì le vie per cui l’attività umana attua il sistema ideale espresso nelle sue articolazioni per mezzo della legge sistematica. Le norme si riferiscono all’attuazione, al modo di procedere nella rea- lizzazione dell'ideale e quindi sono leggi della volontà umana; le leggi sistematiche invece esplicano nelle loro determinazioni i sistemi ideali, per il che non escono dal mondo ideale. Stando ad alcuni (Bradley, Bosanquet), l’ultima e più perfetta fase della conoscenza è rappresentata dal giudizio disgiuntivo in generale, in quanto per mezzo di questo il principio informatore di un dato ordine di realtà viene ad essere proseguito nelle sue determinazioni essenziali o nelle sue manifestazioni, le quali poi si escludono a vicenda. Nè potrebbe essere diversamente; una volta che il princi» (1) Quello che abbiamo detto dell’ Etica, dell’ Estetica e della Lo- gica sì potrebbe dire della Matematica. 74 LA NOZIONE DI « LEGGE » pio informatore, attuandosi, assume una data forma, viene ad essere esclusa ogni altra forma in cui esso può anche pre- sentarsi; e poichè tali forme sono definite ed enumerate in- virtù della conoscenza che sì ha di tutto l'ambito del concetto, è chiaro che dal trovarsi attuata una data forma si deduce la non attuazione delle altre, e dalla non attuazione delle altre si deduce l’attuazione di quella sola che rimane. Col giudizio disgiuntivo si vengono ad enumerare tutte le pos- sibilità, ond’esso è l’espressione di una certa onniscienza da parte dell’uomo, onniscienza fondata però sempre sulla cognizione di una data qualità o attributo, il quale per natura sua ngn può ammettere che un numero determinato di variazioni, oltrepassate le quali, esso stesso viene ad essere annientato. Possono variare le occasioni immediatamente determinanti la formazione dei giudizi disgiuntivi, ma le loro caratteristi- che non variano. Un giudizio schiettamente disgiuntivo ri- flette sempre un contenuto o sistema completo in sè stesso, onde proviene che esso, come ogni giudizio generico, è quasi categorico. Il giudizio assume la realtà del soggetto ed enun- cia nel predicato le varie forme sotto cui quello in condizioni diverse si può presentare; forme che esaurendo la natura del tutto posto come reale, si presentano articolate tra loro me- diante giudizi ipotetici o negativi. Ciò che sopratutto è neces- sario e indispensabile si è che il contenuto-soggetto, l’indi- vidualità o l’ universale, entri come tutto in ciascuna delle , forme enumerate, per modo che ogni differenza figurando come determinazione essenziale dell’ universale viene ad escludere tutte le altre differenze; è soltanto sotto questa condizione che ogni congiunzione si trasforma in disgiunzione, LA NOZIONE DI « LEGGE » 75 La disgiunzione, sempre secondo tali filosofi, è la sola forma giudicativa che può stare da sè, giacchè ogni connes- sione è entro un sistema e si può dire completo solo quel giudizio che enuncia insieme un sistema e le relazioni o determinazioni contenutevi. Certamente non ogni disgiun- zione è completa, indipendente ed assoluta nello stretto senso della parola, ma ciascuna presenta sempre un certo grado di assolutezza rispetto al numero dei giudizi ipote- tici che in essa trovano il loro fondamento. Così la di- sgiunzione che enuncia la natura e le specie dei triangoli contiene la base di tutti i giudizi ipotetici esprimenti le proprietà di tale figura. Ciascuno di detti giudizi, se com- pletato e fatto esplicito, metterebbe capo nella detta di- sgiuzione, la quale alla sua volta è compresa nel giudizio fondamentale che espone la natura e i caratteri dello spazio. | | Ora, possiamo noi ammettere che la forma disgiuntiva sia la forma giudicativa più completa e quella meritevole veramente del nome di sistematica per eccellenza? Noi cre- diamo che vada fatta una profonda distinzione tra il giu- dizio effettivamente sistematico, il quale qualifica il Reale per mezzo di una identità sistematica organicamente arti- colata nelle sue varie parti e il giudizio disgiuntivo vero e proprio, il quale lungi dal presentare un sistema attuato, presenta le forme o le manifestazioni possibili di un prin- cipio. Il giudizio sistematico ci mette sotto gli occhi un tutto organicamente costituito e reale, mentrechè il giu- dizio disgiuntivo ci mette sotto gli occhi le maniere in cui il tutto si può attuare. Ora da ciò consegue che dal punto di vista ideale, dal punto di vista dell’elaborazione 76 LA NOZIONE DI « LEGGE » mentale il giudizio disgiuntivo appare più perfetto, perchè da una parte ci dice che un dato sistema, se attuato, deve essere determinato in una data guisa e dall’altra ci fa sapere tutte le maniere in cui può essere attuato e determinato; dal punto di vista invece della conoscenza come qualificazione di ciò che è reale è il giudizio sistematico vero e proprio quello che appare più perfetto e completo; l’ultimo invero ci mette davanti l'attuazione di un tutto organico contenente in sè delle differenze non escludentisi, ma implicantisi a vi- cenda. È desso che costituisce la base di una parte impor- tante di giudizi ipotetici, i quali enunciano la connessione delle differenze contenute entro un sistema e il rapporto necessario degli attributi o parti di un tutto. Lo schema del giudizio sistematico è : S è cosîffatto che a implica b; quello invece del giudizio disgiuntivo è: S è cosiffatto che si può attuare 0 determinare in a o in b o in c. È vidente che il giudizio sistematico e quello disgiuntivo non vanno iden- tificati tra loro; sono due processi conoscitivi collaterali, i quali adempiono ad uffici differenti ; il giudizio disgiuntivo allarga e completa idealmente la conoscenza, in quanto esaurisce le possibilità della realizzazione; quello sistema- tico invece pone in evidenza la struttura organica e i rapporti interni di un sistema reale. Con'ciò non si vuol. negare che vi possano essere e vi siano anche molteplici interferenze tra i detti due processi e che il giudizio si- stematico possa essere fondato o esser riferito a una disgiun- zione resa possibile dalle variazioni di una qualità essenziale, ma quello che non va dimenticato si è che la disgiunzione non rappresenta qualcosa di reale, come la struttura sistematica, che essa è un processo perfettamente ideale LA NOZIONE DI « LEGGE » 77 e che il tutto o il sistema che fa da soggetto nei giudizi disgiuntivi è un prodotto dell’astrazione. Esso non esistendo per sè, non avendo la sua ragione in sè stesso, non essendo qualcosa di sussistente e di completo, non esce dal dominio del necessario e del relativo; esso si riferisce necessaria- mente ad una delle determinazioni enunciate nel predicato. Il contrario si verifica nei giudizi prettamente sistematici nei quali il soggetto è qualcosa di categorico, di completo e d’indipendente. | La verità di ciò che si è detto intorno al giudizio dis- giuntivo viene provata anche da questo, che esso è attivo in tutti quei processi dello spirito relativi all'attuazione di ideali concepiti dalla mente umana ; prima questa, per ragioni su cui qui non importa insistere, forma un con- cetto e poi dello stesso vengono rintracciate le determi- nazioni principali, basandosi sopra una sua nota essenziale; il giudizio disgiuntivo in tal guisa è attivo soltanto ogni volta che si ha a che fare con costruzioni ideali, con co- struzioni di possibilità fatte da noi (di cui conosciamo le qualità essenziali e le loro variazioni), mentrechè quello sistematico mette in luce la struttura organica di un si- stema reale per via della vicendevole dipendenza delle parti di esso. Tuttociò che è organicamente costituito, tuttociò che, attuato, o risponde effettivamente — perchè opera dell’intelligenza e dell’attività umana — o sembra corrispondere (funziona come corrispondente) ad un fine, può formare oggetto di un giudizio sistematico vero e proprio, o finale o generico che si voglia dire. Il giudizio disgiuntivo lungi dal rendere più perfetta la nostra cono- scenza della realtà — della quale noi conosciamo soltanto 78 LA NOZIONE DI « LEGGE >» dei frammenti — non fa che rendere esplicito ciò che era implicito — perchè nostra fattura —, non fa che metterci sott'occhio sotto altra forma ciò che già sapevamo. Avendo noi costruito il concetto soggetto non possiamo non tro- varvi dentro quello che noi stessi vi abbiamo posto. É soverchio aggiungere che il giudizio disgiuntivo non può avere alcuna applicazione seria nella conoscenza del reale, del dato, giacchè noi dei vari ordini di questo non conosciamo il principio informatore (la natura propria) in modo da poterne indicare tutte le manifestazioni possibili. B Noi finora abbiamo classificato le leggi, tenendo conto della forma e della natura dei giudizi con cui esse vengono enunciate; è evidente che possono ancora essere classificate, tenendo conto della loro varia origine, della maniera cioè con cui vengono rintracciate. Esse invero assumono ca- ratteri diversi secondo che variano i processi logici messi in opera per scovrirle. Da tal punto di vista le leggi pos- sono essere classificate in leggi costrattive, leggi analogiche, leggi induttive è leggi deduttive. | 1. Leggi costruttive. Cominciamo dal ricercare per quale via vengono messe in luce le leggi matematiche, vediamo cioè qual'è il processo logico che le rende possibili e che quindi le contradistin- LA NOZIONE DI «€ LEGGE » 79 gue. L'inferenza (1) di cui si fa uso in matematica, è una vera e propria inferenza sussuntiva? | Ogni calcolo aritmetico, e quindi ogni specie di calcolo, può essere ridotto ad enumerazione o ad enumerazione di enumerazioni. Tutto il processo poggia sulla concezione del tutto quale somma delle sue parti, dell’ universale come risultante da determinazioni e differenze eguali ed omo- genee quantunque distinte e separabili tra loro. È evidente che in tali casi l’universale non si presenta come un sistema concreto, per modo che le inferenze da esso emergenti non sì sa se siano da considerare come correlative dei giudizi, (1) Qui è bene intenderci sul concetto che ci dobbiamo formare dell’inferenza dipendentemente dal modo come venne interpretata la natura del giudizio, L'inferenza, come il giudizio, mira a qualificare la realtà, con questo di proprio che la detta qualificazione non è immediata, ma mediata nel senso che il contenuto ideale viene ri- ferito alla realtà in modo indiretto, coll’intermezzo di un altro con- tenuto immediatamente qualificativo. Ora com'è mai possibile un tale processo ? Come è mai possibile il passaggio da un contenuto ideale ad un altro? È possibile, perchè entrambi questi sono differenzia» zioni di un fondo identico, momenti diversi di un unico universale. E qui va notato che quando sì parla di universale non bisogna cor- rere con la mente all'universale astratto, alla nota od alla proprietà comune e ripetentesi in un certo numero di casi, la quale non significa nulla, ma all’universale concreto, al carattere significativo che, im- plicando il modo con cui è connesso con altri caratteri o momenti sì presenta come fattore generatore della realtà concreta Un esempio dell’universale concepito in modo siffatto ci vien fornito da talune proprietà delle figure geometriche; dato, per es. un arco di cerchio, noi abbiamo il raggio, onde possiamo descrivere tutta la circonferenza; e perchè ciò? Perchè l’arco dato non è semplicemente ripetuto, ma è continuato secondo la natura propria (universale concreto) della 80 LA NOZIONE DI « LEGGE >» ovvero come delle inferenze esplicite. Così l'equazione, poichè risulta da una comparazione di relazioni numeriche astrattamente considerate, pare che corrisponda al giudizio universale e più specialmente a quello ipotetico : il che è già sufficiente a porre in evidenza il carattere sintetico o - inferenz ale di essa. Se non che l'equazione non presuppone, non implica nulla, ma distende, per così dire, in modo completo gli elementi su cui verte l’attività giudicatrice. Mentre l’ordinario giudizio ipotetico omette o presuppone l'esistenza di tutte quelle condizioni che o sono ovvie addi- rittura, o implicite o completamente inattive, l'equazione, il cui contenuto è omogeneo appare ipotetica sulla base di detta figura piana, natura propria che regola le parti e che, quan- tun que implicata gia nell'arco dato, è nondimeno distinta da questo. La cosa riuscirà forse più chiara ancora se invece di un cerchio noi consideriamo un’ellissi, in cui il frammento della curva dato non può essere soltanto ripetuto senza mutamento nel rimanente della costruzione: vuol dire che nella curva data vi è qualcosa che può dettare la modalità della continuazione e completamento di essa. Sic- chè noi possiamo definire il giudizio mediato, o inferenza, come il riferimento alla realtà (entro la sfera di un dato universale) di de- terminazioni per l’intermezzo di altre determinazioni direttamente ri- ferite alla Realtà, ed esprimenti la natura propria dell’universale; ovvero, come il riferimento di alcune parti alla realtà per mezzo. di altre parti esprimenti la natura propria di una totalità determinata. Perchè si abbia l’inferenza è necessario adunque che l’universale si presenti come un sistema le cui parti siano in necessaria connes- sione tra loro e che la semplice unità delle differenze, quale si ma- nifesta nel giudizio, sia sostituita da una maggiore o minore com- plessità di determinazioni e da una congiunzione più o meno artico- lata di attributi e di relazioni (nelle quali vanno comprese le rela- zioni di spazio e di tempo). Cfr. BosanQuET, Logic, B. II, Cap. I. LA NOZIONE DI « LEGGE » . 81 un processo intellettuale, o di una sintesi di differenze esplicite. Noi nel giudizio ipotetico affermiamo la con- nessione necessaria esistente tra due termini senza met- tere in chiaro la maniera in cui tale connessione si sta- bilisca e si generi, senza cioè rondero esplicito nel processo logico il fondamento o la ragione della connessione: nella equazione invece o nella combinazione delle equazioni i rapporti tra i varii termini, le loro proprietà e la loro derivazione vengono tutte messe sott'occhio per modo che appare evidente il fondamento del loro legame. È per questo che l'equazione presenta una connessione di ordine inferenziale in modo molto più chiaro che non l’ordinario giudizio ipotetico. | La combinazione delle equazioni messa in rapporto con una singola. equazione si presenta poi come la combina- zione dei giudizi messa in rapporto con un singolo giudizio: in entrambi i casì è pressochè impossibile tirare una linea netta tra l’atto singolo e la combinazione degli atti. Il ragionamento matematico, stando al Bosanquet, può assumere varie forme, delle quali le principali sono: quella seriale (per cui è possibile l’apprensione delle connessioni spaziali e temporali), quella sostitutiva, quella costitutiva (equazioni costitutive) e quella proporzionale. Tutte le dette forme hanno questo di comune che non implicano un pro- cesso di vera e propria sussunzione, vale a dire che la conclusione, emergendo da una relazione quantitativa esi- stente tra le premesse, ovvero dalle modalità della fun- zione costruttrice espressa nelle stesse, non può essere considerata come un caso particolare compreso nella pre- messa maggiore, o come un elemento di un’ individualità 6 82 LA NOZIONE DI « LEGGE » concreta, ovvero come una determinazione della natura generica espressa nella detta premessa maggiore. Così nella cosidetta inferenza per sostituzione Premessa maggiore M —=a + br tcr8.... Premessa minore S =sMon Conelusione S =8 (at be +cer8....) noi abbiamo due connessioni equazionali riferite ad un identico tutto e quindi atte a dar origine ad un'ulteriore connessione. Ma M non è, nel caso sucitato, generico, nè S è specifico, nè infine Ja connessione di S con s (a +bx ecc.) è nota in grazia della connessione o della subordinazione dello stesso S all’ individualità concreta M. M, non v’ha dubbio, figura come il centro delle relazioni, come una forma dell’universale quantitativo che, per così dire, per- vade tutta ‘l'equazione, ma da ciò non consegue punto che .S sia un caso di M piuttosto che M di $S. Insomma la sostituzione è una conseguenza derivante dall’ identità del tutto con sè stesso nelle sue varie forme (essendo ob- bietto del calcolo appunto il ritrovamento di detta iden- tità), e non un principio di relazione inferenziale. Da tal punto di vista l’inferenza sostitutiva che merita propria- mente il nome di inferenza per identificazione equazionale, costituisce il fondamento del computo aritmetico e alge- brico. D'altra parte le inferenze esprimenti le connessioni spa- ziali e temporali: A è a dritta di B, Bè a drittadi C.-. A è a dritta di C: o A è anteriore a B nel tempo, B è anteriore a C.*. Aè anteriorea C, sono agli antipodi della vera sussunzione in quanto esse piuttostochè attribuire LA NOZIONE DI « LEGGE » _ 83 ad un fatto, al reale un contenuto ideale per mezzo della connessione di quest’ultimo con un altro contenuto ideale direttamente attribuito al reale, esprimono la maniera in cui si stabiliscono le relazioni spaziali e temporali, espri- mono il modo di procedere della funzione costrpttrice. È se si vuol per forza fare in tal caso un’inferenza, si deve commettere l’errore di prendere il principio attivo, l’ele- mento generatore, o ciò che rende possibili tali inferenze, vale a dire la funzione mentale che ci dà l’ ordinamento costruttivo spaziale e temporale e considerarlo come parte del contenuto da cui è tratta la conclusione, nel qual caso sarebbe da porre come premessa maggiore delle argomentazioni costruttive un principio suî generis, un principio generale di costruzione che può essere espresso nel modo seguente: Ciò che è a dritta di una cosa qual- siasi B è a dritta di ciò, di cui alla sua volta la stessa cosa B è a dritta, e porre poi come premessa minore tutto il contenuto nell’inferenza suddetta; giacchè lo costruzioni e le connessioni astratte si riducono a rela- zioni sistematicamente necessarie, nelle quali si prescinde pressochè totalmente dalle qualità caratteristiche dei punti di riferimento assunti come perfettamente noti e indifferenti (se A è a dritta, ecc. vuol dire che A è un punto o un corpo nello spazio, altrimenti l’inferenza non avrebbe senso). Le stesse costruzioni tramutate in infe- renze non possono presentare premesse fornite di preroga- tive speciali. | Come si vede, in tali casi non vi ha processo d’inferenza, perchè quella che dovrebbe essere premessa minore è la pura ripetizione, senza alcuna variazione, di quella che è 84 LA NOZIONE DI « LEGGE » posta come premessa maggiore; a ciò si aggiunga che la stessa premessa minore racchiude tutto, per modo che manca la conclusione. In siffatta inferenza le modificazioni reciproche delle relazioni sono costruite -nell’atto che si argomenta e non vengono presupposte nella natura del sog- getto reale, a cui si riferisce l’inferenza. In altri termini l’argomentare non ha per scopo già di rendere esplicito, di distendere ciò che è già involuto nel soggetto esistente per sè, ma nell'atto stesso che l’argomentare ha luogo, si costruisce o si forma il soggetto dell’inferenza. I processi costruttivi spaziali e temporali adunque non sono dei pro- cessi d'argomentazione sussuntiva, ma esprimono in forma ideale il riferimento reciproco dei vari punti dello spazio e del tempo, riferimento che è basato sulla identità e conti- nuità dello spazio e del tempo. I processi delle equazioni costitutive, delle equazioni, cioè, enuncianti i rapporti numerici esistenti tra le parti compo- nenti determinate totalità presentano due aspetti. Da una parte figurano come sémplici calcoli o combinazioni di rap- porti simili alle equazioni mediate, o sistemi di equazioni nu- meriche, le quali non hanno alcun significato all'infuori di un dato sistema numerico: infatti quando si stabilisce una proporzione tra due quantità variabili, dando a queste un valore determinato (coefficiente) per vedere quali mo- dificazioni ne risultino, è evidente che non vi è premessa maggiore, ma bensì descrizione generalizzata di un identico tutto in due casi, i quali devono essere attuati rispetti- vamente con determinati fattori e l’inferenza consiste nel presentare la costruzione di un tale tutto appunto rispet- tivamente sulla base di tali fattori; dall’altra parte il LA NOZIONE DI « LEGGE » 85 calcolo, le combinazioni delle equazioni in taluni casi sono ° fatte in base a certi presupposti, e con regole determinate, onde esse figurano come mezzi per raggiungere uno scopo definito, il quale poi sì può ridurre alla determinazione delle proprietà di una data figura nello spazio: così p. es. la forma spaziale del tipo curvilineo (la curva poi può essere aperto o chiusa, simmetrica o asimmetrica ecc.) è come il contenuto quasi generico, secondo il linguaggio del Bosanquet, ovvero l’idea-in base a cui la costruzione di una particolare figura curva avente proporzioni numeriche, assume proprietà ca- ratteristiche. L'unità organica o sistematica presentata dalle figure geometriche, per la quale esistono rapporti definiti tra i vari elementi che le compongono, è data appunto dal fatto che le dette figure non risultano da un semplice aggregato di parti, ma dalla coordinazione numericamente proporzionale di queste. E nell’atto stesso della costru- zione di date forme spaziali si possono venir scovrendo le loro proprietà, ond’esse non figurano come qualcosa di dato, come un fatto, ma come qualcosa che si vien facendo. In ogni case il passaggio da una combinazione equazionale numerica alla costruzione (proporzionalmente corrispondente nelle sue parti) di una data figura fornita di date proprietà può esser fatto solo in base ad un prin- cipio racchiuso nella natura caratteristica della detta figura — quale emerge dalle qualità fondamentali dello spazio —. È chiaro che col fare entrare in campo l'elemento del tempo e quindi col rappresentare il movimento come una lunghezza e col riguardare le nozioni astratte di forza e 86 LA NOZIONE DI » di massa come elementi determinanti in modo correlativo il movimento, noi abbiamo tutti gli organi del puro mec- canismo e della scienza costruttiva astratta. Fu detto dal Lotze che l’inferenza proporzionale costi- tuisce l’ultimo limite della conoscenza e che presenta un carattere perfettamente sussuntivo: ora ciò non è esatto fin tanto che essa non esce dal campo del calcolo puro e semplice (2:4::3:%.0.x—=6), poggiando in tale caso sopra un rap- porto inerente ad un dato sistema numerico. Nè vale a provar. niente al di fuori di questo. Quando per contrario si applica alla determinazione di un contenuto concreto, di una indi- vidualità definita, allora essa non ha valore e significato per sè, ma l’acquista dal fine a cui serve o dall’obbietto a cui si riferisce, o infine dai presupposti su cui si eleva. La proporzione non definisce, ma mette in maggior evidenza, determina, fissandoli quantitativamente, misurandoli, i ca- ratteri dell’individualità, le qualità del sistema o della totalità concreta dopo che ne è nota per altra via la loro natura, ovvero accenna ad esse perchè la conoscenza ne sia completata con mezzi più appropriati. Noi possiamo dire che la proporzione acquista tutto il suo valore dall’eteroge- neità dei suoi termini, in quanto questa implica sempre l’esistenza di un sistema speciale di relazioni e di connessioni. La detta eterogeneità dei terminidella proporzione può essere di varie sorta, secondochè i due obbietti comparati sono o no misurabili con un’identica unità, ovvero uno dei due è misurabile e l’altro no, ovvero infine nessuno dei due è misurabile; nel quale ultimo caso non è più a parlare di proporzione, ma di analogia o di sussunzione, mentrechè nei casi antecedenti si hanno varie forme e combinazioni. LA NOZIONE DI « LEGGE » 87 . di giudizi ipotetici, i quali rappresentano i veri punti di passaggio dalle forme astratte d’infevenza a quelle con- crete (4). Le leggi costruttive hanno adunque questo di proprio che sono leggi funzionali in quanto esse non vengono estratte da ciò che esiste, da ciò che è dato, ma indicano le maniere in cui la mente opera in date circostanze. L'universale concreto in base a cui avvengono i nessi tra gli attributi espressi nelle leggi è attivo nella mente e viene attuato mentre si enunciano le dette leggi: non è qualcosa che esiste per sè di rincontro alla mente. Pertanto in esse vanno comprese tutte le leggi riguardanti il pensiero, la emotività e la volontà umana in azione. Le leggi logiche fondamentali, le leggi etiche, estetiche ecc. non esprimono il modo di comportarsi di cose esistenti al di fuori del soggetto, non sono ricavate da fatti, ma esprimono le maniere in cui i fatti vengono disposti, ordinati, appercepiti dal punto di vista logico, estetico ed etico. Siffatte leggi non possono essere ricavate da principii generali in cui siano come contenute, perchè questi principii non potrebbero essere che le funzioni dello spirito umano, le quali, messe in azione, determinano appunto le leggi logiche, estetiche ed etiche. Le dette funzioni dell'anima umana espresse o tradotte in termini intellettivi, separate dal fatto e idealizzate (guardate nella loro intelligibilità o possibilità, nel loro was) costi- tuiscono appunto le leggi logiche, estetiche ed etiche. Onde consegue che questa prima classe di leggi — leggi funzionali o costruttive — da una parte non sono induttive, in quanto (1) Cfr. BosanQuET, op. cit. 88 LA NOZIONE DI « LEGGE » non vengono ricavate da fatti e dall’esperienza, e dall'altra non sono deduttive i in quanto non vengono ricavate da prin- cipii generali o da individualità, sistemi o totalità date. Ciò sarà più evidente in seguito quando avremo parlato delle varie forme di sussunzione. Qui notiamo che va fatta distin- zione tra le leggi emergenti da un dato fatto estetico o da un dato sistema scientifico o da un complesso di fatti psico- logici occupanti un determinato punto deilo spazio e del tempo — le quali possono essere deduttive o induttive se- condo che sono state ottenute prendendo le mosse dall’uni- versale, ovvero dalle determinazioni particolari di questo — e le leggi che indicano per così dire la via tenuta dalla | psiche nelle sue principali funzioni. Queste leggi sono stabi- lite ed enunciate nell’ atto stesso che vengono formati i principii da cui dovrebbero essere ricavate, principii che sono come l’espressione intellettuale delle PHAGIPLI fun- zioni dello spirito umano. 2. Leggi analogiche. Le leggi analogiche che si potrebbero anche chiamare leggi morfologiche o leggi classificative, sono quelle per mezzo di cui unoggetto o un caso particolare è reso intelligibile, facendolo rientrare in una data classe e quindi descriven- dolo, caratterizzandolo. Descrivere e classificare sono atti che. s’'implicano e si completano a vicenda: io in tanto classifico in quanto descrivo e viceversa in tanto descrivo in quanto classifico, in quanto faccio rientrare il partico» LA NOZIONE DI « LEGGE » 89 lare nell’ universale, in quanto guardo il nuovo, l’ ignoto attraverso il noto. È vero che d’ordinario si fa distinzione tra i giudizi propriamente descrittivi (i quali, si dice, hanno per predicato un aggettivo esprimente una proprietà, un attributo del soggetto) e quelli esplicativi (i quali, si dice, hanno per predicato un sostantivo più generale, nella cui estensione è comprese il soggetto), ma in sostanza tale distinzione è soltanto grammaticale, giacchè nel secondo caso il predicato-sostantivo è adoperato in un certo senso aggettivamente come nel primo il predicato aggettivo è adoperato in un certo senso sostantivamente : in entrambi i casi, infatti, il predicato ha l'ufficio di far appercepire, di rendere intelligibile il soggetto, in entrambi i casi cioè il predicato è un contenuto ideale atto a qualificare il reale quale si presenta nel soggetto grammaticale. Del resto fu già notato da altri che tale processo classificativo del pensiero può presentare parecchi aspetti, pur conser- vandosi uno nel fondo: così esso può avere una doppia direzione, cioè o va dalla nuova (attuale e singolare) alla vecchia rappresentazione (generica, o schematica o classe) — e in tal caso la seconda è riconosciuta e affer- mata come un carattere della prima (giudizio analitico); — oppure va dalla vecchia alla nuova, e questa apparirà come una particolarità novella della prima (giudizio sin- tetico). Che il giudizio classificativo (assuma la forma pro- priamente classificativa o quella descrittiva o quella sto- rica), sia sempre uno nel fondo viene provato anche da questo che le scienze così dette classificative sono de- scrittive e storiche insieme: così la così detta Storia naturale comprende la Zoologia, la Botanica, la Minera- 90 LA NOZIONE DI « LEGGE » logia, le quali sono eminentemente classificative e descrit- tive: non vogliamo con ciò affermare che tali scienze non siano anche esplicative, su che ebbe già a richiamare l’attenzione il Wundt, ma esse sono esplicative, perchè sono insieme genetiche e morfologiche, perchè, cioè, classificano e descrivono gli obbietti naturali, ricercandone la evolu- zione. Le leggi analogiche adunque sono della più grande importanza in quanto rendono possibile l’apprensione ordi- nata delle cose, in quanto rendono intelligibili gli obbietti, facendoli rientrare in date classi e in quanto, ciò facendo, mettono in evidenza l'affinità, lo svolgimento e la genesi dei vari ordini di realtà. Vanno considerate come una categoria a parte di leggi in quanto uno è il processo di loro formazione — processo logico detto dell’analogia e della verosimiglianza, il quale consiste nel conchiudere dacchè parecchi oggetti e fatti si somigliano in alcuni punti, che si somigliano probabilmente anche in altri punti, L’analogia ha questo di proprio’ che la sua conclu- sione non è fondata sul numero dei casi in cui i suoi ter- mini (il soggetto e il predicato) si presentano connessi, ma è fondata sull'esame, sull’analisi e quindi sulla va- lutazione dei caratteri riscontrati connessi in un gran numero di casi; analisi e valutazione che è fatta col ri- cercare ciò che i detti oggetti e fatti presentano di co- mune, col ricercare le proprietà e gli attributi, i quali, qualificando entrambi, valgono a mettere in evidenza la loro vera natura. Ora se tutti i giudizi potessero essere considerati come reciproci l'analogia diverrebbe ipso facto un’ inferenza da LA NOZIONE DI « LEGGE » 91 condizione a condizionato, come è inferenza da condizio- nato a condizione: « due antecelenti che hanno ùn mede- simo conseguente devono essere intimamente connessi tra loro ecc. » è la formola esprimente l'analogia qual'è real- mente, mentrechè la formola « due antecedenti che hanno un merlesimo conseguente devono essere conseguenti di un medesimo antecedente, per il che devono coincidere », rappresenta l'ideale a cui tende l’argomentazione, ma che essa per sè è impotente a raggiungere. Se il fatto di ri- scontrarsi i medesimi caratteri in A e B non basta a provare che A sia specie e B genere o viceversa, indica però sempre che tra loro vi deve essere una correlazione e una corrispondenza ; sicchè se non potremo attribuire a B il carattere M potremo attribuirgliene un analogo M'; si ha così la proporzione: A:B=B:M Il carattere M' figura come il prodotto di ciò per cui A coincide con B (appartenendo ad un medesimo genere) e di ciò per cui ne differisce. Ha ragione pertanto il Dro- bisch di considerare l’analogia come il mezzo con cui ven- gono messe in evidenza le corrispondenze, le umologie e le analogie esistenti tra specie congeneri, coordinate quindi tra loro e subordinate ad un genere superiore comune, come îl mezzo con cui viene posto in luce il differenziarsi di un'identità fondamentale sistematica, l’unità morfolo- gica di un dato sistema e l'ordinamento esistente nei vari ordini di reali, i cui ritmi di attività mentre si corrispon- dono tra loro, sono d’altra parte contenuti in un ritmo 92 LA NOZIONE DI « LEGGE » superiore generale. Così un naturalista che ha scoperto in una specie animale o vegetale un dato carattere, p. es. un certo organo, non attribuisce ad un'altra specie con- genere alla prima l’identico carattere, ma piuttosto uno analogo 0, come si dice, omologo, cioè tale che raccolga in sè la natura del genere e risponda insieme alla parti- colare natura della specie. Il valore del ragionamento per analogia dipende da due condizioni: 1° che tra i caratteri simili e il carattere che si tratta di attribuire ad una delle due cose comparate esista un rapporto naturale e non una semplice coincidenza fortuita : 2° che le due cose comparate non differiscano per caratteri tali che ogni analogia riguardante il carat- tere che si tratta di attribuire ad una di esse sia allonta- nata dal bel principio. Come si vede, la validità dell’ana- logia poggia tutta sull’importanza attribuita ai vari caratteri e sul rapporto esistente tra le note comuni e quelle dif- ferenti, sempre in ordine ad importanza: pertanto il nodo della questione sta tutto qui, sul fondamento e sui limiti di applicabilità del nostro giudizio apprezzativo circa l’im- portanza dei caratteri di dati oggetti. Vi fu chi affermò che il rapporto tra i caratteri simili e quelli differenti (base della validità dell’analogia) fosse rapporto puramente numerico : in tal caso l'analogia sarebbe stata più o meno valida secondochè fosse preponderante la somma dei ca- ratteri comuni, ovvero quella dei caratteri differenti, te- nuto conto della conoscenza totale che noi abbiamo delle proprietà degli oggetti in questione. Ma ognuno vede che la validità dell’ analogia non può dipendere dal numero, bensì dalla qualità dei punti di somiglianza, i quali deri- LA NOZIONE DI « LEGGE » 93 vano il loro significato dalla loro relazione col sistema totale di cui fanno parte. Ed il sistema non può essere ridotto ad un aggregato di parti indifferenti, giacchè que- ste, per l'opposto, hanno un valore differentissimo dipen- dentemente dai reciproci rapporti in cui si trovano. Chi è pratico dei processi analogici, i quali rendono possibile la classificazione morfologica degli obbietti naturali, sa benissimo che essi poggiano non sulla enumerazione, ma sulla valutazione dei caratteri: già non si avrebbe un’u- nità di misura per enumerare i caratteri, e poi che cosa vorrebbe dire un punto di identità o di somiglianza ? come si farebbe a circoscrivere i limiti dell'identità e della somi- glianza ? | L'analogia non è fondata proprio sulla identità, ma sulla corrispondenza dei caratteri, e sulla importanza ad essi attribuita, corrispondenza ed importanza che possono es- sere scoverte, basandosi sopra un insieme di considerazioni di ordine diverso, le quali però mirano sempre a ricercare la connessione in cui si trovano i caratteri in questione con tutto il sistema degli organi che rendono possibile la vita dell'individuo, mirano cioè a ricercare l’ ufficio a cui gli stessi caratteri adempiono e a tracciarne la genesi e lo svolgimento. Chi dice analogia dice comparazione dei caratteri in owdine alla loro importanza ; e chi dice com- parazione in tal senso dice ricerca del significato che i detti caratteri hanno per la vita dell'individuo. Dall'altra parte chi dice determinazione della corrispondenza csi- stente tra i caratteri di due specie, dice esame del molo di funzionare e di operare, esame dell’ ufficio degli stessi caratteri e insieme indagine della loro genesi e sviluppo. 94 LA NOZIONE DI » spaziale — possono essere ridotti a sillogismi, il cui termine medio (il fine da raggiungere) determina il rapporto degli estremi. In ordine alle costruzioni meccaniche è stato notato che esse non acquistano la loro consistenza dall'ufficio a cui servono, giacchè questo è qualcosa di aggiunto, col che si vuol dire in sostanza che una costruzione meccanica è qualcosa d' indipendente dalla sua funzione, tanto è ciò vero che essa può e non può compiere la detta funzione, la può compiere più o meno bene, e può anche essere incapace di compierla affatto: tuttavia la macchina è sempre un prodotto necessario delle forze o leggi mecca- niche che la rendono possibile ed esiste come tale in ogni caso. Da ciò conseguirebbe poi che i rapporti dei vari elementi componenti la macchina sarebbero qualcosa di necessario e di fatale — ed andrebbero formulati per mezzo di leggi costruttive, piuttostochè sussuntive. Ora noi os- serviamo che l'ufficio, la funzione della costruzione mec- canica è tale elemento essenziale alla sua struttura che non può in alcun modo esser considerato come un epife- nomeno : l’individualità, vale a dire la ragione d'essere della macchina non è riposta tutta nello scopo che essa deve raggiungere? Le forze o leggi meccaniche per sò prese sono un’astrazione, sono un prodotto dell'analisi scien- tifica; nella realtà sono sempre combinate dall’intelligenza “umana in vista di un fine, il quale non solo contribuisce ad accrescere la consistenza del fatto meccanico puro e semplice, ma gli dà realmente valore e significato. Del resto ognuno comprende che tra una macchina, la quale risponde ad uno scopo — che questo poi sia o no raggiunto + LA NOZIONE DI « LEGGE » 111 in modo completo, poco importa — ed una composizione qualsiasi di forze meccaniche corre un divario essenziale in quanto quella forma un tutto, un sistema che ha la sua ragione determinante nella funzione, mentrechè la semplice composizione di forze nei suoi rapporti necessari si rivela completamente inorganica. Possiamo d'altra parte affermare che tutte le leggi te- leologiche vadano confuse insieme, possiamo cioè dire che il procedimento per cui vengono enumerati i rapporti esi- stenti tra i termini di un sistema sia sempre uguale? Noi crediamo che a tal proposito vada fatta distinzione tra gli scopi e le maniere di raggiungerli dettati dall’ esperienza e dall’osservazione che col Masci si potrebbe chiamare passiva, e gli scopi e le maniere di raggiungerli dettati dal- la osservazione attiva. Le prime si potrebbero chiamere leggi finali empiriche o a posteriori, perchè fondate su rapporti empirici; le altre si potrebbero chiamare leggi finali a priori, perchè fondate su determinazioni primitive della nostra attività spirituale. Quelle non implicano nessun grado di assolutezza nel senso che ì relativi sistemi sono fatti for- niti solo dall'esperienza e quindi aventi un valore contin- gente: le altre invece sono assolute, perchè si riferiscono a sistemi inerenti alla natura umana. Le leggi finali empi- riche sì riferiscono a sistemi che vengono costruiti da noi con materiali forniti dell’ esperienza e in virtù di scopi suggeriti del pari dalla pratica della vita: le leggi finali a priori si riferiscono per contrario a sistemi ideali formati da noi per rispondere ad esigenze interiori e profonde del nostro essere, indipendentemente dalla convalidazione del- l'esperienza esterna. Tali leggi finali, anzi, lungi dall’ essere 412 LA NOZIONE DI « LEGGE » ricavate dall’ esperienza, servono a regolarla. I rapporti morali, logici, estetici e matematici sono inerenti a sistemi aventi il loro fondamento e la loro radice nella costi- tuzione, nella natura propria dello spirito umano e non nell’ esperienza esterna, ond’è che il fine logico, morale, estetico e matematico non può esser raggiunto che nella maniera suggerita dalla stessa natura dello spirito, al di fuori della quale maniera non è più a parlare di funzione conoscitiva, morale ecc. Le suddette leggi teleologiche mostrano pertanto la loro base categorica a preferenza di tutte le altre. E a tale proposito giova notare che le co- struzioni meccaniche in tanto appaiono in modo evidente sistematiche in quanto sono come a dire incorporazioni di leggi matematiche. Le leggi finali empiriche possono essere ridotte alla formula seguente : Dato un sistema cosiffatto, vi deve essere questo rapporto determinato tra i suoi elementi: ora in tal caso il sistema presentato è un dato dell’ esperienza, che potrebbe anche non esseré o essere differente, perchè non risponde a nessuna necessità intrin- seca ; per contrario la formula delle leggi finali a priori è : L'anima umana è cosiffatta che non può non produrre il tale sistema (logico, etico, estetico e così via) con questi rapporti ecc.: è evidente che in questo caso non si ha a che fare con qualcosa che può e non può essere dato, e che può essere dato indifferentemente in un modo piuttosto che in un altro, ma si ha a che fare con ciò che è inerente all’anima umana in generale, tolta la quale non rimane più nulla. Conclusione: le leggi finali empiriche sono contingenti, perchè fondate su dati empirici, mentrechè le leggi finali a priori sono assolute, perchè fondate su funzioni del soggetto. LA NOZIONE DI « LEGGE » 113 Noi dicemmo che le leggi deduttive o sussuntive sono quelle derivate dall'analisi di un sistema. Ora è evidente che il cosìdetto sillogismo disgiuntivo non può non figurare come uno dei processi atti a darci le suddette leggi, secondo la formula: Aè o Bo C, Anon è B, .-. Aè C, ovvero A è B.'. Anonè C. Recentemente però il Bradley e il Bosan- quet hanno osservato che mentre la disgiunzione è l'espres- sione più completa e perfetta del grado di chiarezza e di determinatezza a cui può giungere la conoscenza umana, in quanto essa esaurisce il contenuto di un sistema, di una totalità, mostrandone le varie parti e il modo in cui queste si articolano tra loro (e a tal proposito va notato appunto che ogni congiunzione si può ridurre a disgiunzione, giac- chè una volta che vengono assegnate con esattezza e pre- cisione la condizioni sotto cui ciascuna determinazione è attribuibile al soggetto reale, rimane esclusa ogni altra de- terminazione che non possa essere compresa nella prima per la contradizione che nol consente), dall'altra parte la disgiunzione stessa è tutta racchiusa nella premessa mag- giore del sillogismo disgiuntivo quale viene ammesso dalla logica tradizionale: quando, infatti, la detta premessa di- sgiuntiva è bene determinata nelle sue varie parti, e nelle relazioni intercedenti tra gli elementi, essa contiene tutto quello che verrebbe detto nella premessa minore e nella conclusione, le quali così sono ripetizioni superflue e quindi inutili. Il sillogismo disgiuntivo della logica formale è valido soltanto nelle disgiunzioni per ignorantiam o in quelle relative ad un punto del tempo, nei quali casi la premessa minore vale a risolvere un dubbio relativo ad un membro di un’alternativa o ad affermare l’esistenza 8 114 LA NOZIONE DI « LEGGE » di questo in un dato momento: ma dette disgiunzioni lungi dal significare l'organizzazione vera di un sistema, hanno la loro origine in una condizione accidentale riguardante l’attività conoscitiva di chi parla e ragiona in un dato . periodo di tempo. In sostanza il concetto del Bosanquet è questo : la cono- scenza umana, specie la conoscenza scieatifica, non verte sui fatti, ma sui concetti dei fatti: ora che cosa vuol dire ciò? Che l'ideale della conoscenza è quello di apprendere le possibilità di fatti, val quanto dire le condizioni in cui gli eventi reali possono aver luogo, tanto è ciò vero che la legge, la quale enuncia il modo di agireti una data sostanza non afferma in alcun modo l’azione attuale della detta sostanza sopra un organismo ; e che cos'altro fa la disgiun- zione se non porre, sott'occhio tutte le possibilità, tutte le determinazioni (con le loro condizioni) che può presen- tare un universale concreto? In vista di ciò appunto la disgiunzione rappresenta la forma più perfetta e completa della conoscenza. Ci sia lecito fare alcune osservazioni : Anzitutto non ve- diamo perchè si debba destituire di ogni valore il sillo- gismo disgiuntivo, secondo l’intende la logica tradizionale, il quale adempie ad uffici importanti nella conoscenza umana. La cognizione perfetta, la cognizione strettamente disgiuntiva rappresenta un ideale a cui l'intelletto tende ad avvicinarsi senza poterlo mai raggiungere, specie nelle conoscenze riflettenti la realtà esterna, il dato dell’espe- rienza; e la vita della conoscenza reale ed effettiva è riposta appunto in tale processo di approssimazione inde- finita, giacchè ammesso pure che possa l’uomo giungere a LA NOZIONE DI « LEGGE » 115 racchiudere tutto in una disgiunzione completa, con ciò verrebbe a scomparire l’attività conoscitiva. Ma su ciò torneremo or ora: diciamo piuttosto che il sillogismo di- sgiuntivo quale viene ammesso dalla logica tradizionale esprime un momento interessante del processo conoscitivo, | giacchè oltre la conoscenza per concetti vi è quella di fatti (conoscenza storica), in cui la determinazione del tempo ha un'importanza speciale. Ma il sillogismo disgiun- tivo oltrechè esser valido a definire la realizzazione di un contenuto ideale nel tempo, vale anche a determinare quale di parecchie anticipazioni fantastiche, di parecchie possi- bilità ipoteticamente enunciate trovi il suo riscontro nella realtà. Che il dominio del possibile sia più vasto del reale nessuno vorrà negare: onde la necessità di limitare quello per mezzo di quest’ultimo. Nè vale il dire che la disgiun- zione per ignorantiam rappresenta un fatto accidentale, ‘ transitorio, perchè d'origine subbiettiva, giacchè, non esi- stendo l’onniscienza, la suddetta disgiunzione per ignoran- tiam figura come un processo inerente essenzialmente ed organicamente alla funzione conoscitiva. Poi, il sillogismo disgiuntivo quale viene ammesso dai citati filosofi inglesi è ammissibile? Per rispondere a tale quesito occorre vedere quali siano ì presupposti su cui esso sì fonda; esso nientemeno presuppone che sia cono- sciuto il principio informatore con tutte le sue possibili determinazioni di un dato ordine di reali, presuppone la conoscenza completa di tutte le differenziazioni possibili di una qualità, il cui contenuto deve essere completa- mente esaurito. Ognuno vede che un tal genere di onni- scienza — che è la conditio sine qua non della disgiun- SI 116 LA NOZIONE DI « LEGGE » zione — se è conseguibile nelle conoscenze formali, nei processi razionali (logica, calcolo ecc.) e in tutti quei fatti che hanno la loro radice nella natura propria del nostro spirito, in quei fatti che sono prodotti da noi, ap- pare un sogno nelle conoscenze riferentisi alla realtà empirica. Inoltre le differenziazioni del dato appaiono come fatti, i quali non possono essere derivati razionalmente l'uno dall’altro in forza di uno stesso principio, non pos- sono cioè essere riguardati come variazioni necessarie di una stessa qualità: noi, infatti, possiamo ben dire che di triangoli non ve ne possono essere che di tre specie, equi- lateri, isosceli, e scaleni, ma non possiamo dire che di colori non ve ne possono essere necessariamente che sette, o cinque o tre. Il fatto è che la disgiunzione in tanto è applicabile alla conoscenza della realtà, in quanto è ap- plicabile la matematica. E come questa è valida a for- mulare i fatti nel modo più esatto, senza dar la ragione di ciò che avviene, così la disgiunzione enuncia, illustra i fatti, ma non li spiega: e quand anche nel sillogismo disgiuntivo vengano espresse tutte le condizioni determi- nanti i vari termini dell’alternativa, le stesse condizioni non emergono mai dalla disgiunzione, non emergono cioè mai dalla necessità inerente al sistema di determinarsi assolutamente in una di quelle maniere esclusive tra loro. Perchè ciò avvenisse, bisognerebbe che noi fossimo al caso di dedurre in maniera razionalmente necessaria da una data qualità empirica le sue varie determinazioni, bisognerebbe non soltanto che l'universo fosse qualcosa di eminentemente razionale, ma che noi fossimo come a dire nel centro dell’uni- verso da essere a parte del suo ritmo e processo evolutivo. LA NOZIONE DI « LEGGE » 117 Pertanto la disgiunzione più completa non può servire che a formnlare e ad illustrare in modo preciso ciò che noi per altra via già conosciamo. E che il processo disgiun- tivo per sè sia insufficiente a darci una definizione reale o radicale, vien provato da questo che quando esso è pra- ticato mena a definizioni imaginarie (non riferentisi a ob- bietti reali). Le divisioni stesse in tal caso o hanno il loro fondamento in preconcetti che già esistono nella mente di chi fa la divisione, ovvero appaiono puramente arbitrarie. Riassumendo, in ordine al sillogismo disgiuutivo pos-. siamo dire che esso quale viene inteso dal Bradley e dal Bosanquet, vale a dire come contenuto tutto nella pre- messa maggiore del sillogismo disgiuntivo della logica tradizionale, trova un'applicazione giustificata solo in quei casì in cui è il nostro spirito che dà origine a prodotti razionali compiuti, a costruzioni ideali, delle quali poniamo noi i principii informatori e noi stessi razionalmente (indi- pendentemente dall'esperienza) deduciamo le variazioni di cui i detti principii sono suscettibili. Bisogna tener fisso in mente che il giudizio-sillogismo disgiuntivo può essere ado- perato solo quando è completamente nota la natura propria di un essere, di una qualità, per modo che si sa entro quali limiti la qualità, l'ente deve necessariamente variare, var- cati i quali limiti, non si ha più quell’ ente, quella qua- lità. E non basta; occorre che ciascuna determinazione sia tale che, spe ha luogo, non lasci posto alle altre. Come si vede, siffatte condizioni si possono verificare solo in ciò che è opera nostra, in ciò che facciamo noi e di cui conosciamo, per così dire, l'intimo meccanismo. Il mondo della conoscenza in genere, ed un dato sistema di cono- 118 LA NOZIONE DI « LEGGE » scenze circoscritto nello spazio e nel tempo, il mondo etico e una data condotta morale, il mondo estetico ed ‘una data opera d’arte, il mondo religioso ed una data religione, l'ordine politico sociale in genere e un dato ordinamento politico-sociale, ecco i campi in cui può avere un uso fecondo il sillogismo-giudizio disgiuntivo: e perchè? Perchè in base alla conoscenza che abbiamo delle diverse funzioni della coscienza umana possiamo determinare le diverse maniere in cui ciascuna di esse si può, anzi sì deve estrinsecare e possiamo anche precisare i modi in cui ciascuna estrinsecazione può alla sua volta variare. Ma possiamo far ciò anche in modo completo? Il sillo- gismo-giudizio disgiuntivo può avere un uso illimitato nel campo dello spirito? A tale domanda dobbiamo subito ri- spondere negativamente, giacchè noi crediamo che la cau- salità psichica non implicando equivalenza dei termini causa ed effetto, sia regolata dalla legge generale detta dell’au- mento progressivamente indefinito dall'energia spirituale: onde consegue che è assolutamente impossibile racchiudere nella formula disgiuntiva tutte le possibili manifestazioni dell'attività spirituale e tutte le possibili ulteriori deter- minazioni di ciascuna di dette manifestazioni. Perchè la coscienza umana potesse costruire intellet- tualmente il mondo per mezzo di una disgiunzione, biso- gnerebbe che essa fosse, come diceva Lotze, nel cuore della realtà, bisognerebbe che il dato non fosse dato, vale a dire che non fosse, o che fosse riducibile a pura forma, ma questo è un sogno: già per poter applicare la formula disgiuntiva occorre bene che vi sia qualcosa, che vi sia il reale a cui applicarla: e questo reale, questo qualcosa» LA NOZIONE DI « LEGGE » 119 questo dato non potendo essere ottenuto mediante la disgiunzione da un sistema d’ ordine superiore, sfugge alla disgiunzione, per modo che quest’ultima viene a figurare in ultima analisi come qualcosa di formale che per sè altro non può fare che illustrare, enunciare ciò che già esiste: ma perchè ciò che esiste possa essere in tal guisa illustrato occorre che sia contenuto nella sua totalità (anche virtualmente) nella mente di chi pensa: ora la realtà, per la mente umana almeno, non è riposta in qualcosa di idealmente finito, di compiuto, ma in un processo in cui si notino solo dei punti di arresto o di concentramento, dei nodi di svolgimento che sono via via sempre sorpassati. Che la struttura logica dell’ universo non metta capo in ultima analisi in un giudizio-sillogismo disgiuntivo vien provato anche da questo, che non ogni concetto generale consta degli stessi elementi dei concetti specifici più vicini ai reali concreti e particolari (di attributi schematicamente rappresentati entro i limiti di loro variabilità); per con- trario le astrazioni più generali si mostrano a volte sfornite completamente di note che esistono nelle specie subordi- nate, nel qual caso le dette astrazioni generali figurano piuttosto come un gruppo di leggi o di condizioni riferentisi ai fatti concreti, che come note inerenti ai sistemi od individualità d'ordine più esteso ed elevato. Ciò che sopratutto non va dimenticato è che va fatta distinzione tra la possibilità o l’idealità estratta dall’espe- rienza e la possibilità che si potrebbe chiamare capacità funzionale : la prima presuppone sempre l’esperienza e non è mai completa in modo da poter essere racchiusa in una 120 LA NOZIONE DI « LEGGE » formula disgiuntiva, mentre l’altra che esprime il nostro potere, la nostra facoltà, è indipendente dall'esperienza, è completa potenzialmente nelle sue parti e può all'occorrenza essere espressa per mezzo di una disgiunzione. La prima possibilità è rappresentativa o passiva, l’altra è facoltativa o attiva: la prima mentre è fondata sull'esperienza non è realmente attuale; è puramente ideale, proviene dal di- stacco del was dal dass ed esiste nella intelligenza e per opera della stessa; l’altra che ha le sue radici nella nostra vita interiore e che implica l’ unione del was col dass, è sentita come capacità, come forza interna che può tramu- tarsi in atto dipendentemente dal nostro volere. CONCLUSIONE. Che concetto dobbiamo avere della conoscenza in genere considerata nel suo insieme? ecco il problema fondamentale a cuì sì cercò di preparare una soluzione per” mezzo dello studio evolutivo nelle varie forme di conoscenza. Il pri- mitivo problema ne ha fatto subito sorgere degli altri e prima di tutto questo: È possibile una morfologia della conoscenza, è possibile cioè determinare l'affinità e lo svi- luppo organico delle varie forme di conoscenza per modo che queste figurino come parti essenziali di un unico tutto, come vari rami svolgentisi da un unico tronco? L'espressione « vita del pensiero » ha soltanto un valore metaforico, o ne ha uno reale? E poi l’altro: In che si differenzia la morfologia della conoscenza o la unifica- LA NOZIONE DI « LEGGE » 121 zione organica delle sue varie forme dalla genesi psicolo- gica di queste ultime? Ora a quest’ultima domanda si può rispondere subito coll’osservare che la genesi psico- logica ha il suo fondamento nel corso dei fatti interni quale è determinato da contingenze subbiettive ed accidentali e quindi variabili da soggetto a soggetto, mentrechè la morfologia della conoscenza ha la sua base nelle tappe che attraversa e nel ciclo che descrive il pensiero in ge- nere a contatto dei vari ordini di realtà, o, diremo meglio, ha la sua radice nelle diverse maniere in cui la realtà viene determinata non da questo o quel soggetto, ma da tutti i soggetti ben pensanti, onde è resa possibile la co- municazione reciproca tra gli uomini e la loro solidarietà intellettuale. La genesi psicologica rappresenta il mezzo, l’istrumento, la via che tiene l’anima per arrivare allo scopo finale, che è appunto la qualificazione del reale nelle sue varie modalità, quali vengono appuntodescritte dalla logica evolutiva o morfologia della conoscenza. Circa la questione se sia possibile la morfologia della conoscenza osserviamo che se, tenendo presenti i vari ordini di conoscenza, noi riusciamo a descrivere il pas- saggio evolutivo dall'uno all’altro, senza che alcuna dis- continuità appaia, e se nello stesso tempo noi riusciamo a rintracciare un unico principio evolutivo fondamentale che figuri come il filo conduttore, o come il leitmotiv atto a guidarci attraverso le molteplici variazioni, considerate in tal caso quali emergenze di un fondo identico e per- manente, allora non vi ha dubbio che noi siamo auto- rizzati ad ammettere una vera e pr opria scienza lo- gica evolutiva. Ora l'escursione, comunque rapidamente 422 LA NOZIONE DI « LEGGE » fatta di sopra, attraverso i varii dominii della conoscenza ci ha messo da una parte nella condizione di osservare che le forme logiche sono intimamente connesse tra loro, in guisa che a volte riesce sommamente difficile delimi- tare in modo netto e preciso ciascuna di esse, e dall'altra ci autorizza a riconoscere ed a formulare il principio fon- damentale che regola lo sviluppo della conoscenza. Questo invero può essere enunciato come la tendenza ad obbiet- tivare, ad esprimere in forme definite e insieme significative (atte, cioè, ad agire in modo identico ed a suscitare quindi una medesima reazione in tutti i soggetti), ciò che dap- prima è percepito in modo vago ed indistinto, come il bi- sogno e l’esigenza adunque di qualificare, di caratterizzare, di definire ciò che a bella prima si rivela come qualcosa d’ indeterminato. La conoscenza adunque non è un epifenomeno, non è qualcosa di sopraggiunto o di secondario, ma un elemento essenziale ed integrale della realtà. Già non si arriva quasi nemmeno a immaginare che cosa mai diverrebbe la realtà sfornita della conoscenza e quindi del potere obbiet- tivante e determinante proprio del pensiero: il contenuto della vita non venendo in alcun modo fissato in forma stabile sarebbe come non esistente, perchè svanirebbe continuamente coll’attimo fuggente. Pertanto la conoscenza quale mezzo di fissazione del reale implica sempre univer- salizzazione e insieme determinazione, implica sempre il ritrovamento dell’essenza, ovvero della legge in genere, giacchè questa fu appunto da noi altrove (1) definita come (1) V. il saggio La nozione di « legge » nel 1° volume di questi Saggi. LA NOZIONE DI « LEGGE » 123 l'espressione di ciò che vi ha d' intelligibile nell’universo. Dal che sì deduce che il giudizio vero e proprio equivale alla « legge » presa in senso generale e che l’evoluzione della conoscenza deve coincidere con l’evoluzione della « legge ». Ed invero qualsiasi giudizio, in quanto giudi- zio, è necessario ed universale: ogni giudizio ha l'ufficio di comprendere il particolare nell’universale e di inter- pretare quello con questo. Una volta formulato un giudizio, esso è quello che è, e permane identico attraverso tutti i mutamenti del contenuto obbiettivo, del tempo ecc. È per mezzo della funzione giudicatrice che le cose vengono considerate sub specie ceternitatis. Il giudizio, è bene tenerlo a mente, non rappresenta una copia e forse nemmeno una semplice trascrizione ‘della realtà in termini ideali, ma un modo di fissare la realtà o il modo di avere una particolare visione di essa. Come si vede, la legge in genere non pre- senta caratteristiche fondamentalmente differenti da quelle del giudizio; e le note differenziali d’ ordinario ammesse (come l’immutabilità delle connessioni espresse dalla legge e quindi la prevedibilità del corso degli eventi) non val- gono a caratterizzare la legge in genere, ma una specie di leggi, quelle che sono state dette leggi naturali, ridu- cibili per la più parte a giudizi ipotetici. Ora è evidente che non vi è alcuna ragione di limitare la denominazione di legge alla sola legge naturale; nè d'altronde è possibile considerare, come si vide a suo luogo, la legge espressa dal giudizio ipotetico come qualcosa di completo in sè stesso e di per sè stante, giacchè essa trae sempre seco necessaria- mente la significazione o almeno l’accenno al sistema ri- spetto a cui i termini del giudizio ipotetico figurano come 424 LA NOZIONE DI « LEGGE » parti di un unico tutto e quindi in necessaria dipendenza ira loro. Non è lecito adunque staccare una forma della conoscenza dalle rimanenti, considerarla per sè, prescin- dendo dalle intime connessioni che presenta colle altre e dare ad essa anche un valore ed un significato caratteri- sticu o sui generis. In ogni caso se una differenza si vuol mantenere tra legge e giudizio occorre dire che la prima è il giudizio divenuto complicato nel senso che l'ordine o la sfera di realtà, avendo perduto la primitiva semplicità e indeterminatezza, può esser qualificata soltanto con mol- teplici riserve, per modo che il tutto primitivo è scomposto e analizzato nelle sue parti di cui vengono messi in evidenza i necessari rapporti. Non abbiamo bisogno di spendere’ molte parole per di- mostrare ora che l’evoluzione dei giudizi coincide con quella della legge. Le varie classi di leggi da noi studiate possono essere aggruppate in tre categorie, leggi quanti- tative, leggi causali, leggi normative o funzionali; ora a tali tre categorie corrispondono appunto le forme di giu- dizii e d’inferenze dette rispettivamente enumerativa, ipotetica, concreta sistematica o disgiuntiva. Tutte le leggi in quanto sono la trascrizione in termini intellettuali del corso degli eventi o della natura e proprietà delle cose e delle nostre tendenze, presentano una forma comune che è quella di un giudizio universale ipotetico; per quanto diverso si presenti l’aspetto esteriore e la connessione ver- bale nelle varie leggi, queste dal più al meno son tutte riducibili a giudizi ipotetici. universali; tanto è ciò vero che non è mancato chi ha respinto qualsiasi differenza tra le così dette leggi esplicative o dichiarative e quelle LA NOZIONE DI « LEGGE » 125 normative o precettive. Ora se tuttociò è realmente giusti- ficato dal fatto che la funzione intellettuale procede in modo uniforme nel suo esercizio e che non esiste un abisso tra le cosidetta necessità reale e quella finale (applicata al mondo umano, beninteso), in quanto quest’ultima non si presenta che come il risultato della fusione di due forme di neces- sità, di quella logica intercelente tra il pensiero del fine c quello dei mezzi (chi vuole il fine deve volere anche i mezzi, il volere un dato scopo rende necessario il volere i mezzi appropriati) e di quella causale intercedente tra i mezzi (causa) e il fin: (effetto), tuttociò non può essere sufficiente a rendere valida l'opinione di chi vorrebbe identificare tra loro le varie specie di leggi. Queste, infatti, pure emergendo da un tronco comune, figurano come le principali direzioni in cui la mente umana si può muovere per costruire il mondo dal punto di vista dell’intelligibilità. E le tre formo fondamentali di leggi sono determinate dai tre principii che ci servono essenzialmente di guida e di regola nell’ordina- mento e nell’obbiettivazione dei nostri stati psichici, il principio d'identità, quello di condizionalità nelle due sue forme di ragione e di causalità e quello di finalità o di organizzazione o di sistematizzazione. Finchè noi qualifi- chiamo la realtà esclusivamente dal punto di vista della quantità e quindi finchè abbiamo di mira di stabilire dei rapporti di eguaglianza, di equazione o anche di propor- . zione, non avremo che delle leggi quantitative, o numeri- che, o di calcolo, o proporzionali; quando invece tendiamo a rintracciare i rapporti di condizionalità, di connessione reciproca tra gli elementi della realtà senza occuparci gran fatto della comparazione quantitativa o coll’occu- 126 LA NOZIONE DI « LEGGE » parcene solo nei termini in cui essa ci può essere d'aiuto a fissare la natura propria delle cose ed a porre in evi- denza il loro ritmo di attività, avremo le leggi causali, o esplicative o dichiarative che si vogliano dire; quando infine abbiano di mira di esaurire in modo completo la determinazione di un dato ordine di realtà, quando noi vo- gliamo porre in chiaro il sistema entro cui sono contenuti i rapporti sia di ordine quantitativo che causale, quando insomma noi oltrechè di descrivere, di spiegare intendiamo di specificare il valore ed il significato dei fatti, noi avremo le cosidette leggi normative o categoriche, o, forse meglio, categorico-disgiuntive. Il fatto che alcune di queste si riferiscono alla volontà individuale (onde il nome di normative) è secondario rispetto a quello che esse pre- sentano un grado abbastanza pronunziato di assolutezza, di compiutezza e d’indipendenza in rapporto alla loro natura sistematica. Di tal fatta sono le leggi logiche, talune di quelle matematiche, quelle estetiche e quelle morali, le quali poi tutte sono controdistinte da forme di neces- sità affini tra loro. L’ordine morale p. es. come si presenta in un uomo morale che occupa debitamente il suo posto nella società, la necessità razionale che connette insieme le premesse e la conclusione di un raziocinio per cui l’ultima esiste per le prime come queste per essa, la coe- renza e razionalità del prodotto estetico, il quale quan- tunque non analizzato dal punto di vista discorsivo (giacchè in quanto esteticamente attivo si rapporta direttamente ad una forma di sentimento spiritualizzato e non è costruito per via di combinazione di relazioni astratte, come non è apprezzato per mezzo di una costruzione intellettuale), im- LA NOZIONE DI « LEGGE » 127 plica sempre da entrambi i lati, dal lato dell’obbietto arti- stico e dal lato di chi contempla un processo fondamentale razionale e finalmente la costruzione sistematica di un tutto geometrico per cui l’universale colla sua pervadente natura determina le parti, hanno tutte la loro base nel particolare rapporto esistente tra gli elementi e la totalità, rapporto che trae seco le note dell’unità armonizzatrice, dell’indivi- dualità e quindi della correlazione reciproca delle parti fornite di funzioni ed uffici determinati per il raggiungi- mento di un risultato unico. La conoscenza poi, come qualunque fatto che presenti i caratteri dell'organismo o le note della vita e del sistema, può formare oggetto di studio da due punti di vista: 1° da un punto di vista puramente analitico nel caso che, essendo mediante l’ astrazione separatamente considerati i singoli fattori della totalità, gli stessi vengano distinti come ele- menti concorrenti all'unità del complesso, o al raggiungi- mento del risultato finale; 2° da un punto di vista genetico, fisiologico o, meglio, morfologico nel caso che vengano distip- tamente considerati gli elementi soltanto per ravvisarvi la necessità obbiettiva della concorrenza loro al risultato e insieme per studiare le modalità della loro cooperazione al conseguimento dello scopo ultimo. Ora se lo studio della conoscenza da noi fatto altrove (1), fu compiuto dal primo punto di vista, la ricerca in ordine alla morfologia della conoscenza ne è stato come il complemento eseguito dal secondo punto di vista, col rintracciare lo sviluppo organico della legge nel suo insieme e nelle sue varie determinazioni. (1) V. vol. 1° di questi Saggi: La nozione di « legge ». 128 LA NOZIONE DI « LEGGE » Noi siamo tratti ad enunciare la conclusione finale che l'essenza della conoscenza piuttostochè nell’applicazione di una data forma ad un corrispondente contenuto va riposta nell’obbiettivazione ed universilazzione dei fatti psichici; obbiettivazione che implica la fissazione in date forme e questa alla sua volta la connessione e la coerenza col si- stema o colla totalità delle qualificazioni e caratterizzazioni della realtà. Tale sistema o totalità costituisce il mondo com’ è da noi conosciuto, vale a dire, il mondo qual'è nella sua reàltà intelligibile per noi (41). (1) E per formarsi poi un chiaro concetto dell'origine, della na- tura e del significato del distacco della mente dal mondo per cui questi vengono d’ordinario consideratà come due mondi separati, posti l’ uno di contro all’ altro (onde poi la considerazione meccanica del processo della conoscenza) è bene richiamare l’attenzione sul fatto che bisogna arrivare alla filosofia stoica e epicurea per trovare le prime parole che accennino a tale distacco. La più tipica di tali pa- role è xoitrptov: furono gli stoici che per prima furono intenti a fis- sare il criterio della verità (1), segno che cominciava a mettere radice la veduta formalistica nella conoscenza. A misura che si andò innanzi crebbe la terminologia concettualistica quale espressione della scis- sione della mente dal mondo, e per mezzo degli scrittori latini essa passò nella nostra scienza mentale. Si tratta di termini indicanti per lo più l'atto di prendere, di afferrare l'oggetto e di penetrare in esso (mpodnt:s, ratdiniis, Evvota, Evvonua, pavtarua, dravora. DioG. LAER.). E mentre in antededenza si era adoperata la parola «forma » 0 « ge- nere » (:dia, std0:, Yivos) quale designazione dei fatti intesi nel loro ordine sistematico e nella loro essenza (nella loro legge), in tale giro di tempo cominciò la fioritura dei vocaboli esprimenti sempre più il (1) La detta parola s'incontra anche in Platone (Repubd.), ma non per de- notare la pietra di paragone della verità, bensì per indicare la facoltà o le facoltà con cui la verità è appresa. LA NOZIONE DI « LEGGE » 129 contrasto tra pensiero e cosa: es. « impressione mentale », « la com- parazione della mente alla tabula rasa », ecc.; tutte espressioni atte a presentare la conoscenza come una relazione meccanica. I termini latinizzati (« impulso proveniente dal di fuori », « assentire », « com- prensibile », « comprensione » « nozioni impresse nella mente » « di- chiarazione » o « giudizio dichiarativo » — declaratio, gr. tvacyeta), che sono divenuti comuni nella scienza odierna, si trovano riuniti la prima volta in quel passo di Cicerone (Acad. Post. I. 2), in cui spiega la teoria stoica della percezione sensoriale. | Ora, se noi ci rappresentiamo le condizioni storiche in cui la scuola stoica e quella epicurea fiorirono, non possiamo far a meno di notare che la contrapposizione della mente al mondo coincide colla contrap- posizione dell’ individuo alla società. Quando la solidarietà civica fu rotta, quando le nuove condizioni politiche e sociali distrussero l’an- tica centralizzazione ateniese e quando in conseguenza sparve ogni corrispondenza tra la ragione interiore e quella esteriore, come tra l’organizzazione sociale e il volere sociale, l'individuo fu tratto a ripiegarsi su sè stesso e a farsi da una parte centro dell’ universo e a cercare dall’altra, in una sfera molto più vasta, nell'umanità, l’ap- pagamento de’ suoi bisogni morali e sociali. Da ciò che cosa conse- guì ? Che l'individuo cominciò a sentir vacillare la sua antica fede nella ragione e quindi nel bene, e, mentre dapprima il problema mo- rale aveva avuto questa forma: Quale è il fine da raggiungere in un mondo che risponde alle esigenze del volere ragionevole? nel tempo in cui si si parla assunse l’altra forma: In che maniera può l’ indi- viduo vivere in modo conveniente o felice in un mondo indifferente o anche ostile al volere individuale ? E del pari mentre il problema della conoscenza dapprima volse sulle forme di conoscenza (più perfetta o meno perfetta, più completa o meno completa, ecc.), dipoi mirò a rintracciare il valore e il significato della conoscenza individuale presa nella sua totalità di fronte alla realtà. Fu adunque il distacco dell'individuo dalla collettività che rese possibile il distacco della mente individuale dal mondo e l'accentua- zione sempre maggiore dell’antitesi trail mondo quale viene rappre- sentato nell'anima individuale e il mondo in sè; dal che poi provenne 9 130 LA NOZIONE DI « LEGGE » la rice*ca degli elementi o dei fattori subbiettivi e di quelli obbiettivi, della forma e della materia di ogni conoscenza: ricerca che mentre rappresenta una necessità per la trattazione analitica, richiede il complemento di una trattazione morfologica in quanto matoria e forma, fattori subbiettivi ed obbiettivi sono du? lati di uno stesso processo. È la nostra facoltà d'astrarre che li separa allo scopo di studiar ed ordinare meglio i «dati; ma essi non esistono gli uni fuori degli altri. Il vederli isolati è effotto di prospettiva. Allo stesso modo che l' in- dagine esplicativa isolata va completata colla ricerca sistematica, così la considerazione dell'elemento formale trae seco quella dell’ele- mento materiale della conoscenza (Cfr. BosanQquET, History of .Esthetie, London, Swan Sonnenschein, 189?, pag. 83, 84, 8). IL PROBLEMA ESTETICO % La Filosofia che ha per obbietto precipuo di trascrivere in termini intellettuali l'insieme dei fatti della realtà e della coscienza umana, non può trascurare l'indagine dei fatti estetici, i quali costituiscono appunto dei tratti essen- ziali dell'anima umana. Il Bello accanto al Bene ed al Vero coi sentimenti e le idee che ad essi corrispondono, figurano come i fari che illuminano la vita umana mentre si trova immersa nella realtà sensibile. Ed allo stesso modo che la Logica e l’ Etica non vanno considerate come scienze pratiche, come guide al ben conoscere ed al ben fare, ma bensì come le scienze dei concetti a cui mette capo l’ana- lisi dei fatti di conoscenza e di quelli dell’attività umana, così l’Estetica non ha per compito di fornire i precetti da seguire perchè il sentimento estetico e la produzione arti- stica divengano migliori, ma risponde al bisogno di conoscere la natura dei fatti estetici. Essa come le altre due non è scienza pratica, ma essenzialmente teoretica e speculativa: è una branca della Filosofia atta a far intendere il processo estetico e ad illuminare dal punto di vista intellettuale il mondo dell’ Arte. I 132 IL PROBLEMA ESTETICO Da ciò consegue che il filosofo, pur non essendo artista, può benissimo essere atto ad assegnare un posto ai fatti estetici nel sistema delle sue concezioni e conoscenze, semprechè, s' intende, non sia assolutamente sfornito di qualsiasi forma di gusto estetico, nel qual caso egli non avrà poi nemmeno’ alcun interesse intellettuale per la comprensione del bello. Non avviene lo stesso per chi si occupa di Logica e di Etica? E*forse necessario che il primo sia uno scienziato specialista, uno sperimentatore, un conoscitore profondo di ogni ramo del sapere, e il se- condo un santo, un martire del dovere ecc. ? Le scienze teo- retiche non fanno che illuminare mediante la riflessione i fatti dello spirito umano; e basta la sola presenza di questi perchè l’ interesse speculativo sia svegliato, ancorchè s' ignori il processo genetico ed evolutivo dei fatti stessi, o meglio, ancorchè i fatti stessi non siano completamente vissuti: altro è vivere, altro è trascrivere in termini intellettuali, in formule, in schemi il vivere stesso, che può essere anche contemplato negli altri. Ad ogni scienza teoretica corrisponde poi una scienza d’ordine pratico che si potrebbe chiamare scienza pedago- gica o metodologica in quanto ha per obbietto di rintrac- ciare la via per cui possa essere ottenuto un perfeziona- mento in tutte le produzioni ed attributi dell'anima umana. E siffatte scienze pedagogiche hanno la loro base da una parte nelle conoscenze in ordine allo spirito umano (psi- cologia) e dall'altra nella conoscenza di tutte quelle con- dizioni che favoriscono la genesi e lo svolgimento dei fatti, poniamo, etici, estetici e logici: conoscenza che allora soltanto può essere completa quando i fatti in discorso non IL PROBLEMA ESTETICO 133 sono stati solamente contemplati e considerati ab extra, ma sono stati per così dire almeno parzialmente vissuti, e quando si sia rettamente stabilito il concetto dell’ ideale estetico, etico, logico ecc., e si abbia cognizione perfetta delle condizioni di fatto esistenti in un «dato giro di tempo. È chiaro d'altra parte che l’ Estetica non va confusa colla Critica, giacchè questa per avere valore e significato deve essere anzitutto una ricreazione, una riproduzione ri- flessa e cosciente del fatto estetico dapprima compiutosi inconsciamente e quasi diremmo, istintivamente, e poscia deve assegnare al prodotto artistico il posto che gli compete nella coscienza estetica di un dato periodo di cultura. Talchè la Critica lungi dall'avere per obbietto l'applica- zione delle regole o leggi estetiche ai casi concreti, ha per compito di ricercare sino a che punto e in che grado un-dato prodotto estetico è espressione della coscienza estetica di un dato periodo storico : l’Estetica per contra- rio determina il posto che la coscienza estetica in genere occupa nella coscienza umana e il fatto estetico nel sistema totale delle nostre concezioni e conoscenze. Le due inda- gini sono assolutamente indipendenti, in quanto la Critica poggia sopra una triplice base, cultura artistica, cultura psicologica e cultura storica, mentrechè l’Estetica poggia sopra una duplice base: da una parte sopra una data concezione filnsofica, una data intuizione dell'universo e dall'altra sopra l'elaborazione dei dati forniti dalla critica intesa nel modo anzidetto, dati che vengono messi in rap- porto con la veduta generale intorno al mondo, vengono messi, cioè, in connessione con un determinato sistema filosofico, 134 IL PROBLEMA ESTETICO * * * L’ Estetica adunque è una branca della Filosofia allo stesso titolo dell’Etica e della Logica: ma vi ha dippiù: essa merita di occupare un posto centrale tra le varie discipline filosofiche: e se finora la più parte dei filosofi non hanno veduto ciò, è stato perchè essi non hanno esaminato a fondo la natura specifica del problema estetico. Questo, infatti, ha la sua origine nel bisogno di spiegare come ciò che alla ragione, all'analisi compiuta mediante i processi logici si rivela fornito di dati caratteri (unità nella va- rietà, armonia, simmetria, individualità, rapporti numerici costanti, proporzione ecc.) all’emotività umana, all’appren- sione immediata e diretta si rivela come rappresentazione concreta sensibile, accompagnata da un sentimento piace- vole disinteressato, da ciò che si dice emozione estetica. Il problema estetico emerge da questo, che da una parte non vi ha bellezza al di fuori della percezione e dell’ima- ginazione, per modo che anche quando si distingue il bello della natura da quello dell’arte si viene ad implicare sempre l'esistenza di chi contempla, percepisce e valuta il bello stesso, la « natura » e « l’arte » in tal caso essendo en- trambe nella percezione ed imaginazione umana e differendo tra loro solamente per grado — le cose non sono fornite della proprietà della bellezza indipendentemente dalla percezione umana, come son fornite della proprietà della gravità, della solidità,e in generale delle forze, per cui agiscono reciprocamente tra loro —; e dall’altra parte LI l'essenziale nel fatto estetico non è il processo percettivo IL PROBLEMA ESTETICO 135 per sè considerato, ma ciò che la percezione o l’ imagina- zione serve a richiamare alla mente e per cui essa sta, di cui essa è simbolo. Il bello insomma in tanto è perce- pito come tale in quanto significa, esprime qualcosa, in quanto è la manifestazione di tuttociò che la vita contiene: on:l’è che esso può essere definito come ciò che ha un significato caratteristico per la percezione o imaginazione umana, dopochè il contenuto ideale da significare ha as- sunto quella forma che può solamente essere espressiva attraverso la percezione o imaginazione. È evidente adun- que che il problema estetico consiste nel ricercare come sia possibile che ciò che si presenta direttamente alla per- cezione ed all’ imaginazione sotto condizioni determinate, sia da considerare come espressione o manifestazione di ciò che si rivela in altro modo per altra via. 3 Ma non basta: il problema estetico verte non solo sulla possibilità che un dato contenuto percettivo sorpassi per così dire l’attività percettiva el accenni a qualcos’ altro che non si manifesta per mezzo della percezione, ma volge ancora sulla possibilità e sulle condizioni che un dato contenuto espresso per mezzo della percezione dia luogo ad un sentimento speciale di godimento, dipendente, secondo alcuni, dal valore espressivo e significativo del contenuto della percezione. | | Finalmente il problema estetico può volgere sulle con- dizioni e sulla natura della produzione artistica per sè considerata allo scopo di mettere poi in evidenza i rap- porti che essa ha colle varie formazioni di ordine natu- rale, siano o no queste capaci di suscitare l’emozione estetica, 136 IL PROBLEMA ESTETICO Ora il problema estetico sotto qualsiasi forma si presenti, si connette intimamente coi problemi fondamentali della Filosofia generale: invero, se esso sorge come ricerca in- torno alla possibilità che ciò che all'analisi intellettiva si rivela con dati caratteri appaia alla percezione come bello, il problema estetico assume l’aspetto di un problema gno- seologico. Se invece sorge come indagine intorno ai carat- teri propri dell’emozione estetica che è elemento essenziale del fatto estetico, il problema estetico figura come pro- blema essenzialmente psicologico. E se infine esso sorge come ricerca intorno al processo genetico, intorno ai ca- ratteri e alle proprietà e intorno al valore e significato dell’obbietto estetico per sè considerato, astrazione fatta dal soggetto che lo contempla, il problema estetico si pre- senta come problema essenzialmente metatisico ed onto- logico. È evidente adunque che il problema estetico può essere considerato come il problema centrale della filosofia e che la soluzione di esso può riflettersi sui vari campi della filosofia stessa (1). | (1) E qui occorre notare che i rapporti esistenti tra problema este- tico e problemi filosofici sono di un genere particolare, in quanto la storia dell’Estetica mostra che l’interpretazione del fatto estetico non è sempre in dipendenza semplice e diretta di una data concezione filosofica, ma viceversa la soluzione del problema estetico ottenuta | con la cooperazione di svariati fattori (fenomeni storici, scoverte archeologiche, filologiche, progressi nella critica ecc.), se non deter- | mina addirittura, contribuisce alla formazione di un dato sistema filosofico, o almeno vale a dare a questo un colore ed un tono spe- ciale. Un tal caso si verificò in Schiller, in Schelling e quindi in Hegel. SI IL PROBLEMA ESTETICO 137 La storia dell'estetica poi ci mostra chiaramente che il problema estetico nelle varie età assunse differenti forme a seconda che fu considerato come problema essenzialmente e prevalentemente, se non esclusivamente, metafisico, come avvenne presso i Greci, i quali videro nell'Arte un’imita- zione della natura e nel bello riconobbero il solo carattere formale dell'unità nella varietà, ovvero fu considerato un problema essenzialmente gnoseologico, come avvenne nella filosofia kantiana e postkantiana, nella quale si nota molto accentuata la tendenza a presentare il mondo estetico come espressione della Realtà coordinata alle altre manifesta- zioni dell'ordine razionale, «di quello morale, ecc. ; ovvero infine fu considerato un problema essenzialmente psicolo- gico, come è avvenuto presso gli estetici odierni da Herbart a Stumpf, da Zimmermann a Fechner, da Grant Allen a Sully, le cui ricerche ebbero per iscopo di risalire dagli effetti psicologici dei fatti estetici, e quindi dalla natura propria e dalle condizioni fisiologiche e psichiche del piacere estetico alle proprietà di tutto intero il processo estetico. E il difetto delle varie teorie estetiche che si sono succedute attraverso i secoli è appunto quello di non aver tenuto esatto conto della complessità del problema gene- rale. Ciascuna delle forme sotto cui esso si può presentare non esaurisce tutto il suo contenuto. La considerazione di una sua forma non esclude la considerazione delle altre: e solo allora si può dire di avere approfondita la natura del problema estetico quando ciascuno dei suoi aspetti viene riguardato in relazione cogli altri, vale a dire quando il problema estetico viene ad essere trattato come un caso particolare del problema fondamentale di tutta la filosofia. 138 IL PROBLEMA ESTETICO Consideriamo. ora in molo particolareggiato le varie forme sotto cui sì può presentare il problema estetico per vedere sino a che punto sia vera la nostra asserzione che quelle corrispondono esattamente ai principali problemi della Filosofia generale, problema gnoseologico, problema psico- gico e problema metafisico. E cominciamo dal vedere come il problema gnoseologico sia implicato in uno degli aspetti del problema estetico. Per la scienza estetica greca l'essenza del bello è ri- posta nell’armonia e nella regolarità: nè ciò deve recare meraviglia se si pensa che la scienza, la riflessione comincia sempre con ciò che in modo più facile ed ovvio si presenta all'osservazione. Quantunque l’ arte greca (decorazione scultura, poesia), contenesse ben altri elementi che non la semplice unità nella varietà, in modo da poter trovare in essa applicazione e convalidazione anche la più complicata teoria moderna estetica, tuttavia l’attenzione dei filosofi greci si fermò sulle qualità espressive più generali ed astratte. Quando però nel mondo moderno ebbe origine il senso della bellezza romantica, quando cioè in tutta la na- tura si videro riflessi i sentimenti più vivi e profondi del- l'animo umano e insieme si sentì il bisogno dell'espressione libera delle più forti passioni, non fu più possibile consì- derare il bello come una semplice espressione regolare ed armonica o come una semplice espressione dell'unità nella varietà. A ciò si aggiunga che tanto il sublime quanto il brutto ed il deforme cominciarono ad essere analizzati e Y, IL PROBLEMA ESTETICO 139 messi in rapporti cogli altri elementi della coscienza este- tica. Per il che il bello fu definito cume ciò che è indivi- dualmente caratteristico, come ciò che costituisce qualcosa d’indipendente fornito di dati caratteri, attributi o qualità significative, capaci di essere apprese per mezzo della percezione Ora è evidente che l'indagine estetica giunta a questo punto doveva dare origine al problema: Come è possi- bile che ciò che ha un significato e valore ideale può essere appreso per mezzo della percezione e del sentimento ? Come la sensibilità può apprendere cio che è razionale e ideale? E chi non vede che un tale problema risponde esattissima- mente a quello gnosenlogico: Come ciò che è intelligibile o razionale può essere appreso per mezzo del senso, può rive- larsi alla coscienza come fatto di sensibilità? Come si possono conciliare tra loro il mondo sentito e sensibile e quello ideale? Come ciò che è razionale può agire sul senso e come è possibile la conoscenza, la quale risulta appunto dalla cooperazione -dei due elementi della intelligibilità e della sensibilità ? | La soluzione del problema presentata dall’ Estetica fu questa, che l'ideale in tanto si può estrinsecare per mezzo del sensibile in quanto ideale e reale non sono due mondi staccati, ma elementi di uno stesso processo. Elemento intelligibile ed elemento sensibile sono intimamente com- penetrati tra loro, per modo che l’uno non esiste senza dell'altro : è solamente mediante l’astrazione che vengono considerati separatamente. L'obbietto estetico essendo nien- t'altro che l'attuazione, la concretizzazione, la particola- rizzazione di un'idea, non può non svegliare un’altra idea 140 IL PROBLEMA ESTETICO nel soggetto che lo percepisce. Se l’ideale esistesse da una parte e il reale dall'altra, s» la ragione e il senso fossero due facoltà staccate, non si arriverebbe a capire da una parte come l’idea potesse arrivare a divenire qualcosa di sensibile e dall'altra come la percezione potesse divenire significativa : ma il fatto è che il Reale è uno, sostantivo e insieme uggettivo, vita e insieme idealità, fatto e insieme idea, onde non è a meravigliarsi se l’ileale possa essere significato per mezzo del sensibile. L'unione intima del reale coll'ideale fu facilmente constatata nel processo estetico, giacchè quivi si coglie il tramutarsi dell’idea in fatto e quindi si coglie l'elemento intelligibile od universale con- tenuto nel fatto stesso. Nel caso del processo estetico si assiste per così dire alla genesi del fatto da una parte in chi produce e all'idealizzazione del dato concreto in chi percepisce. Il punto di partenza della creazione artistica è un'idea, vale a dire un universale che esiste soltanto nella mente dell'artista : poi quest’'universale si va concretizzando col diventare centro di numerosissime relazioni e col fissarsi e determinarsi completamente, prendendo posto in un dato contesto. L'elemento universale (idea artistica) divenuto qualcosa di concreto e di particolarizzato, si estrinseca in modo da generare nel soggetto che contempla un fatto di ordine speciale detto percezione estetica e non può non essere operativo nella mente dello stesso soggetto che per- cepisce l’obbietto estetico. Ed è appunto per l’attività di tale universale che la percezione e il sentimento divengno espressivi e significativi. Se la percezione e il sentimento non contenessero il lievito dell’universale non potrebbero IL PROBLEMA ESTETICO 141 mai avere alcun valore e significato. Comeil germe rende possibile l’individualità della pianta, così l’universale (ciò che determina la natura propria di una cosa, ciò che determina la formazione di una totalità) rende possibile la costituzione del prodotto estetico come qualcosa di com- piuto, come un sistema le cui parti sono reciprocaniente coerenti e si svolgono in ordine necessario in guisa da for- mare una totalità. Se non che qui si potrebbero fare due domande: 1* In che propriamente si differenziano le percezioni estetiche da quelle non estetiche? 2* Quali sono le particolarità dell'espressione estetica ? — In ordine alla prima domanda diremo che le percezioni estetiche (uditive e visive) si differenziano dalle altre per questo che presentano qua- lità nettamente determinate, che non sono attaccate al fatto subbiettivo del sentire attuale. Di tutte le sensazioni sono esse che possono essere conservate nella memoria e che insieme presentano delle determinazioni qualitative molte- plici e nettamente distinte. D'altra parte gli elementi delle percezioni visive ed uditive possono essere ordinati e aggrup- ‘ pati variamente dall’ uomo, in modo che il potere intellet- tivo che questi può esercitare su di essi è senza confronto superiore a quello che può esercitare sugli elementi olfattivi e gustativi. Nella più parte dei casi i godimenti del gusto, dell’odorato e del tatto non escono fuori di sè stessi e quando sì accompagnano con idee e sentimenti, ciò accade per mezzo del ricordo di impressioni antecedenti di altra natura. Per contrario le sensazioni della vista e dell'udito si colle- gano direttamente e sponzaneamente con sentimenti e idee. Il carattere particolare degli organi dell'udito e della vista 142 IL PROBLEMA ESTETICO ha fatto di essi per mezzo della parola e della scrittura gli ausiliari indispensabili dello svolgimenlo umano e i de- positari dei suoi successivi acquisti. Oltre a ciò vi è un certo «numero di sentimenti e d'idee che appartengono esclusi- vamente ai così detti sensi estetici e che perciò si potreb- bero chiamare idee e sentimenti estetici. Le nozioni di ordine, di armonia, di proporzione, di varietà, di unità, sono occasionate da sensazioni visive ed uditive : e se più tardi queste nozioni più o meno incoscienti si trasformano in idee capaci di regolare la produzione artistica, ciò è dovuto al. lavoro d'analisi che trova e distingue mediante l’astrazione ì detti elementi dalla impressione primitiva complessa (1). Se tutte le percezioni poi hanno un significato in quanto implicano qualcos'altro oltre il fatto psichico attuale della loro esistenza — fatti esterni e contenuto della coscienza con cui esse vengono sempre messe in rapporto —, quelle estetiche si riferiscono a ciò che ha maggior interesse - per l’anima umana e traducono rapporti esternì di natura speciale. Si aggiunga che mentre noi abbiamo fino ad un certo segno coscienza della natura simbolica, significativa delle percezioni d'ordine estetico, non sappiamo nulla naturalmente del simbolismo delle ordinarie percezioni. È solamente dalla riflessione naturale e scientifica che impa- riamo a considerarle come segni, accenni a qualcos'altro. Va notato infine che le percezioni estetiche, oltre ad es- sere simboliche consciamente e liberamente, sono espres- sioni, per così dire, a seconda potenza, implicando già esse il simbolismo incosciente delle percezioni sensoriali’ (1) Cfr. VeRON, Esthetique, Paris, 1886. IL PROBLEMA ESTETICO 143 x pure e semplici ed allo stesso sovrapponendo il sinbolismo estetico. In ordine alla seconda domanda diremo che la percezione di natura estetica ha di proprio che essa non è un sem- plice fatto o evento psichico esistente in un dato momento, ma contiene qualche qualità od attributo atto a univer- salizzarla, facendola assurgere al grado di segno o di sim- bolo del Reale, ed è per tale qualità od attributo (che viene distaccato dall’esistenza psichica attuale e che viene portata in un altro contesto) che la percezione estetica diviene suggestiva, espressiva ed atta a svegliare molteplici associazioni. | Conchiusione : l’opera d’arte si presenta come una spe- ciale fusione del reale e dell’ ideale: ora tale fusione in tanto può avere luogo in quanto reale ed ideale sono ele- menti costitutivi di qualsiasi fatto. Ed il fatto estetico poi consiste in ciò che un dato elemento intelligibile di- viene qualificazione di un'esistenza psichica (percezione sensoriale) che non corrisponde esattamente ad essa, donde il carattere di trascendenza inerente alla percezione este- tica. Se contenuto ideale ed esistenza attuale fossero una stessa cosa, 0 se ciascun was non fosse mai disgiungibile dal proprio dass, il fatto estetico non avrebbe luogo. Ciò che è razionale e ideale può divenire oggetto di percezione e di sentimento estetico solamente perchè la mente umana è cosiffatta che può operare la separazione di un dato. contenuto intelligibile dalla sua propria esistenza e poscia operare la congiunzione del medesimo contenuto con una altra esistenza. L’ ideale, il razionale, l' intelligibile non può agire come tale direttamente sulla sensibilità umana: 144 IL PROBLEMA ESTETICO perchè ciò avvenga è necessario che l’ intelligibile, l'ideale divenga contenuto di qualcosa di sensibile. Prima d’andare innanzi però è bene discutere i seguenti quesiti. Come è possibile la disgiunzione del contenuto ideale dal dato reale? E che cosa è propriamente il primo distaccato dal secondo? Come è possibile d'altra parte l’incorporazione di un elemento ideale in una data esistenza particolare? Ed infine come è possibile il sentimento e la valutazione estetica ? Cominciamo dal primo. La disgiunzione del was dal dass in tanto è possibile in quanto vi è l'intelligenza, la quale ha appunto l'ufficio di qualificare, di caratterizzare la realtà simboleggiandola, traducendola, per così dire, in termini ideali. È evidente che una tale traduzione in tanto sì può fare in quanto la mente umana attraverso le dif- ferenze delle manifestazioni estrinseche, attraverso le dif- ferenze dei fatti coglie l'identità del contenuto. Per intendere bene il processo si richiami alla mente ciò che avviene quando noi traduciamo da una lingua in un’altra: noi allora tendiamo a stabilire l’ identità di significato tra espressioni differentissime. E come non è possibile tradurre da una lingua in un’altra se queste non sono entrambe note, così non sarebbe possibile qualificare la realtà in termini pschici, se mondo e psiche non avessero radici in un’ unità fondamentale. La mente umana riesce a simbo- leggiare il reale, perchè essa è capace di presentare sotto forma subbiettiva ciò che vi ha di indiscernibilmente iden- tico tra la realtà ed il soggetto. Sicché noi possiamo con- chiudere che la disgiunzione del contenuto ideale dal fatto avviene perchè vi è la mente, la quale, per così dire, IL PROBLEMA ESTETICO 145 coglie nel reale ciò che è identico a sé stessa e, sotto- postolo ad una specie di elaborazione psicologica, lo pre- senta sotto forma di fatto psichico 6 quindi di fatto sub- biettivo riferentesi però sempro a qualcosa di obbiettivo. Ma che cosa è tale « contenuto ideale » o «significato » per sè preso? Rispondere a questa domanda non è facile, giacchè l’idea separata dal fatto è un’astrazione, è un. aggettivo, come direbbe il Bradley, non un sostantivo, è un universale astratto e non un individuale concreto : ond’ è che essa, non potendo stare da sé, è costretta sempre ad appoggiarsi a qualcos' altro e questo qualcos’ altro per lo più è un'imagine o rappresentazione psichica particolare. Noi possiamo dire però che il carattere precipuo per cui il contenuto ideale, il significato, l'elemento puramente intelligibile si distingue da tutto il rimanente della vita dell'anima, è che esso ha la proprietà di essere ricordabile. Tuttociò che è ricordabile è intelligibile e per converso ciò che è intelligibile è ricordabile. È stato detto che gli attributi o le relazioni in cui la realtà concreta è analiz- zabile sono appunto elementi intelligibili: ora gli attributi e le relazioni non sono che la ricordabilità stessa guar- data da un altro punto di vista, guardata cioè dal punto di vista logico, 0 gnoseologico, o obbiettivo (riferentesi alla” Realtà), mentrechè la ricordabilità si può considerare come l’ insieme degli attributi e delle relazioni guardate dal punto di vista psicologico o subbiettivo. Che cosa è ricor- dabile? Gli attributi e le relazioni : e che cosa sono gli attributi e le relazioni? Ciò che è ricordabile; non vi è attributo o relazione che non sia ricordabile: come non vi è elemento ricordabile che non sia un attributo, ‘una 10 146 IL PROBLEMA ESTETICO proprietà o una relazione. Ma onde siamo tratti a scomporre la realtà in attributi e relazioni ? Dal bisogno di fissare, di determinare la realtà. Noi viviamo ed operiamo nel reale, ma chi dice vita, attività, dice flusso continuo di fatti, dice continuo passare per il presente, senza che nessun punto stabile si possa precisare e senza che nessuna costruzione. ideale (riferentesi al passato o al futuro) si possa formare. La vita, l’azione per sè prese sono qualcosa d’ incomuni- cabile e quindi d'inesprimibile, sono un fatto, ecco tutto. Appenachè la vita della realtà raggiunge un grado note- vole di forza e di complessità, il sentimento stesso della vita e dell’esistenza si fa più complesso ed eterogeneo, per modo che sorge il bisogno di specificare, di determinare, di fissare, di dare una forma alla realtà quale è sentita e rappresentata: bisogno che può essere soddisfatto sola- mente astraendo dalla realtà ciò che in essa vi ha l'ideale, e d’intelligibile, scomponendo quindi Ja realtà stessa in attributi e relazioni. Onde consegue che gli attributi e le relazioni non esistono come tali nella realtà (nella quale esistono delle individualità e delle funzioni), ma sono co- struite da noi per simboleggiare, universalizzandola (con- siderandola dal punto di vista della coscienza universale o della coscienza in generale), la realtà quale viene perce- pita e rappresentata. Noi di sopra per dare un concetto della disgiunzione del ras dal dass siamo ricorsi al para- gone della traduzione da una lingua in un’altra : ora è giunto il momento di osservare che quella non è e non può essere più che una semplice metafora, in quanto tra i due fatti corre un profondo divario. La traduzione da una lingua in un'altra implica la cognizione refiessa, cosciente del- IL PROBLEMA ESTETICO 447 l'identità di significato esistente tra le espressioni appar- tenenti alle due lingue — e in tal caso la cosa non può stare diversamente, tenuto conto che è già avvenuto il distacco del :cas dal duss per opera dell'attività intellettuale di molto progredita —, mentrechè la disgiunzione dell’ele- mento intelligibile dal fatto attuale e la consecutiva idea- lizzazione o significazione della realtà implicano bensì l'identità di natura e di elementi tra il mondo e lo spirito, ‘ma non la chiara appercezione della stessa identità, e insieme implicano l’esistenza dell'identità attraverso le differenze, non l’identità delle differenze. Così gli attributi e le relazioni non esistono come tali nella realtà, ma sono una differenza di quella stessa identità che nella realtà - avrà una differenza corrispondente. Il contenuto ideale oltre ad avere la caratteristica della ricordabilità, ha quella di essere comunicabile, obbiettivo (ri- ferentesi alla Realtà) ed esprimibile per mezzo del linguaggio (4). Ora che vuol dir ciò? Vuol'dire che ciò che è intelligi- (1) Giova notare che quando si dice che solamente l’intelligibile è esprimibile per mezzo del linguaggio si vuole intendere csprimibile per mezzo di segni, i quali sono riconosciuti tali, riferentisi, cioè, ad una realtà obbiettiva. Anche i fatti di volonta e di sentimento sono esprimibili per mezzo del linguaggio, ma in tanto sono tali in quanto vengono intellettualizzati; non sono propriamente i sentimenti, e gli atti volitivi, sono le idee, le rappresentazioni di essi che ven- gono significato per mezzo del linguaggio. Le espressioni emotive (in- teriezioni, espressioni mimiche e fisiognomiche), i gesti e in gene- rale i moti esterni sono qualcosa d' istintivo, che se vengono intesi e interpretati è perchè sono anch'essi intellettualizzati. Chi contem- pla i segni espressivi li interpreta in virtù dell'esperienza propria e dei legami associativi. | 148 | IL PROBLEMA ESTETICO bile non è patrimonio di questo o di quel soggetto, ma è patrimonio di tutti gli esseri pensanti, vuol dire che la mente è universale, non individuale. L’uomo, pensando, si universalizza, si accomuna con tutti gli altri uomini. E la solidarietà intellettuale umana è possibile, perchè in ordine al pensieru tutti gli uomini sono identici, sono, cioè, una cosa sola, sono come a dire, un solo essere. Ogni di- stinzione, ogni differenza è cancellata : è l'identità degl’ indi- scernibili. La comunione delle anime, anzi l’unità, l’identità delle anime lungi dall'essere qualcosa di incomprensibile appare chiara : ciò che è oscuro piuttosto è l’anima indi- viduale in ordine al pensiero. Tuttociò che è ideale e intelligibile adunque è identico in tutti gli uomini: o, a dirla altrimenti, tutti gli uomini sono una cosa sola in un certo punto, mentre si differenziano più o meno profonda- mente in tutto il rimanente. Il razionale, l’intelligibile, la forma permane identica sia che assuma differenti deter- minazioni (o che presenti manifestazioni o estrinsecazioni diverse), sia che appaia alle mente di singoli individui. È insomma l’unità del Reale, che rende possibile l'identità di ciò che è intelligibile e quindi la sua comunicabilità. Se tutta la realtà non formasse un tutto, un sistema, un'iden- tità variamente differenziantesi, da una parte la mente non sarebbe universale e dall’altra l'intelligibilità delle cose sarebbe impossibile. Che cosa è invero l’ intelligibilità se non la forma distaccata dalla materia, la coerenza, il nesso, la relazione per sè presa? Ora la forma, la coerenza, il rapporto implicano unità e identità nel fondo. Noi quasi diremmo che ciascuna mente non si appropria che ciò che riconosce come inerente alla mente in generale. Il dato, IL PROBLEMA ESTETICO 4149 come dato, il fatto le è estraneo ; esso è reale, e basta. Ciò che è intelligibile è uno, identico e quindi comunica- bile, e in quanto comunicabile obbiettivo. Ciò che è subbiet- tivo (sentimento, azione) non è comunicabile (se non a patto di essere intellettualizzato), e per ciò stesso non è intelligibile. i D'altra parte il carattere della comunicabilità inerente a ciò che è intelligibile ha il suo fondamento ultimo nel fatto che la realtà non s’identifica e confonde con la vita subbiettiva. Il reale non è il soggettivo, ma è distinto da esso. Se l'essere o la realtà s’identificasse colla vita sub- biettiva e individuale la cognizione si ridurrebbe al sen- tire, nel qual caso il vero starebbe tutto nella relazione col soggetto che sente: reale, non reale, vero, falso sa- .rebbe quello che a ciascun di noi parrebbe tale; misura, giudice sarebbe ciascun di noi. Nulla fuori di noi sarebbe, o almeno nulla sarebbe senza di noì. Se non che la cogni- zione lungi dall'essere riducibile a sensazione sta agli an tipodi di questa in quanto, riferendosi a ciò che è obbiet- tivo, implica giudizio, apprendimento di ciò che non siamo noi, di ciò che non è la vita nostra, implica affermazione, mediante la qualificazione, di ciò che è. Dal che consegue poi anche che mentre ciò che è subbiettivo, ciò che vive, fluisce sempre, muta sempre, si muove sempre, si altera sempre, è fenomene mero, vario, continuo ; per contrario, ciò che è intelligibile e comunicabile, è immutabile, inal- terabile, fisso e determinato (elemento astratto). L'ideale o l’intelligibile è universale, astratto, addiet- tivo; come può divenire fatto, vale a dire, come può dive- nire qualcosa di concreto e di sostanziale? Particolariz- 150 IL PROBLEMA ESTETICO zandosi, individualizzandosi, vale a dire identificandosi con una dello sue differenze, o determinazioni, o manifestazioni. Allo stesso modo che il tipo si concretizza nel fatto sin- golo e che il significato si esprime per mezzo di un sim- bolo particolare, così l'attributo o la relazione ideale di- vengono fatto, incorporandosi in un’ imagine sensibile. La congiunzione di un was con un dass diverso dal proprio è resa possibile dacchè tanto il contenuto ideale e signifi- cativo quanto l'elemento della presenza attuale tostochè sono separati tra loro cercano di ricongiungersi n di tro- vare ciascuno il suo complemento in qualcosa di corri- spondente. L’imagine psichica attuale, il fatto psichico isolatamente preso è un prodotto dell’astrazione : ciascun elemento psichico acquista valore dai nessi in cui si trova e dall'azione che su di esso esercita l’esperienza psichica antecedente. Non è stato le mille volte ripetuto dai psì- cologi moderni che il fatto psichico riceve tutto il suo valore e la sua efficacia dal contesto in cui si trova, che la vita psichica non è posta nell’elemento singolo, ma nel corso, nel nesso, nella serie dei detti elementi ? Noi not abbiamo bisogno di richiamare l’attenzione sui processi di fusione, di identificazione delle rappresentazioni, i quali rendono possibile qualsiasi forma elementare di cognizione e di ricognizione (1), perchè si tratta di fatti ormai comu- nemente noti. Risulta evidente che la connessione di un was con con un dass diverso dal proprio è un processo che si verifica attraverso tutta la distesa della nostra esperienza conoscitiva : dietro ogni fatto psichico si trova il signi- (1) V. Wunpr, Vorlesunyen ib2r Menschen n. Thierscele. Leipzig, 189°, pag. 305 e segg. | IL PROBLEMA ESTETICO 151 ficato proveniente dal dispiegamento che l’attività psichica ha antecedentemente avuto: nel fatto estetico il processo non è essenzialmente differente, comunque appaia senza confronto più complicato. Il was in tal caso è rappresentato dal concetto artistico che figura come un tutto ideale coe- rente e il duss è dato dalla rappresentazione sensibile o simbolica del detto contenuto ideale. L'espressione rappre- sentativa o per via d'imagini (per opera della fantasia) di un contenuto idcale, ecco la migliore definizione dell’opera d'arte. Una costruzione razionale incorporata in imagini ed una ricostruzione del pari razionale rifatta in seguito alle suggestioni ricevute dalla percezione delle immagini, costruzione ce ricostruzione accompagnate da una forma peculiare di emotività, ecco il meccanismo di produzione e di contemplazione estetica. L'opera d’arte in tanto è espressiva e suggestiva in quanto ha la sua radice nella congiunzione di un ws più o meno esteso, più o meno com- plesso con un duss estraneo, ma corrispondente, e relati- vamente semplice — tenuto conto della capacità percet- tiva dell’an'ma umana —, in quanto ha la sua radice, possiamo anche dire, nell’ estrinsecazione di un sistema ideale per mezzo di dati sensibili. La proprietà che con- trodlistingue siffatta congiunzione od espressione è questa, che oltre al essere volontaria, libera e selettiva, è emi- nentemente suggestiva, il che dipende dalla concentrazione coerente degli elementi ideali avvenuta dictro l'espressione sensibile simbolica. © Possiamo conchiwlere questa parte col dire che l’uomo è capace di congiungere un was con un dess estraneo allo L stesso modo che è capace di parlare, vale a dire di si- 152 IL PROBLEMA ESTETICO gnificare e di simboleggiare la realtà. La lingua è una opera d'arte compiuta dalla coscienza collettiva, mentrechè i capolavori estetici sono espressione dei genii individuali. Non è senza ragione che in origine lingua ed arte si tro- vano confuse tra loro. Passiamo ora a rispondere brevemente all'ultimo que- sito. La valutazione e il sentimento estetico dipendono dalla funzione espressiva dell’arte. Quanto più in un’opera si trova espresso ciò che per noi come uomini, ha il mag- giore interesse, quanto più in essa troviamo l'eco di ciò che ha radici più profonde nell'anima nostra, di ciò che ci attrae come di ciò che cì ripugna, di ciò che ci appas- siona come di ciò che cì turba, quanto più vi troviamo. l'eco di ciò che è veramente umano, tanto più la valuta- zione estetica avrà luogo in senso positivo. L'arte espres- siva che è l’arte veramente moderna, è fondata in gran- dissima parte sulla simpatia, manifestando in forma artistica l'interesse particolare che l’uomo prende per l’uomo. Il fine a cui si tende è l'uomo, quale microcosmo, è lo studio dei suoi sentimenti accidentali e permanenti, delle sue virtù o dei suoi vizi. É questo che distingue il teatro e il romanzo moderno, riannodando questi due generi alla più alta branca dell’arte. L’opera d'arte perchè sia debi- tamente apprezzata ed eserciti efficacia sugli animi nostri, deve esser valida a portare il nostro sguardo lontano, deve apparire come punto di concentramento di molteplici raggi suggestivi, deve essere come il riflesso di ciò che vi ha di più profondo nella realtà e nella coscienza. L'opera d’arte veramente grande deve raggiungere i più grandi effetti coi minimi mezzi possibili, facendoci intravedere n a IL PROBLEMA ESTETICO 158 ciò cho diversamente non vedlremmo. E l’intuito del- l'artista sì rivela appunto nell’attitudine a scegliere ed a porre in evidenza quei tratti significativi che hanno la potenza di generare tutto un sistema d'imagini. Saper mo- strare l’universale concreto, la legge, la natura propria, il ritmo d'attività di un ordine di reali per via di tratti, o li segni, o di imagini che mentre per sè non possono esau- rire il contenuto dell’universale concreto, son tali da sug- gerirne con facilità il complemento, ecco in che consiste il magistero della creazione artistica. Ed ora è tempo di considerare il problema gnoscologico che risponde alla forma del problema estetico esaminata e «discussa fin qui. Il problema gnoscologico fondamentale è ricercare come ciò che è pressochè esclusivamente in- telligibile possa diventare oggetto delle varie forme di sensibilità : o tale problema, posto così, appare effettiva- mente insolubile: ma esso è fondato sopra il falso pre- supposto che l'elemento intelligibile preso per sè possa esistere come un fatto attuale. II processo per cuì s
i è giunti a tale concetto è il seguente : una volta bipartita la vita psichica primitiva, la coscienza complessa e indefi- nita iniziale nelle due serie rappresentative dell’io e del non io, è stato notato che le rappresentazioni, prese come qualcosa d’obbiettivo e d’in.lipendente dal soggetto, non solo non formavano un tutto coerente e completo in sè stesso, ma si rivelavano così piene di contradizioni da richiedere necessariamente un complemento, l’esistenza di qualcosaltro 154 IL PROBLEMA ESTETICO che desse ragione di ciò che al soggetto appariva come sen- sazione o come fatto psichico in genere. Di quì la necessità di andare in traccia dell’ universale, del necessario e del permanente che costituisse il punto di riferimeuto delle nostre rappresentazioni subbiettive proiettate all’ esterno e che insieme fusse il mezzo di stabilire la solidarietà intellettuale e la comunità spirituale degli uomini, Si andò in traccia così dell’essenza o dell’ elemento intelligibile delle nostre rappresentazioni, elemento che fu fatto con- sistere in qualità e rapporti inerenti ad elementi ult.mi sottratti al dominio diretto dell'esperienza sensibile, ele- menti ultimi che alla loro volta dovevano risultare di qualità e relazioni, procedendo così all’ infinito. Qui ac- cadde che per evitarne una sula si ricadde in molteplici altre contradizioni, giacchè di questi elementi ultimi (atomi) bisognava pur dar ragione, determinandone la natura, bi- ‘ sognava, cioè, renderli intelligibili. Ora, ciò facendo, era necessario 0 dire che essi andavano ammessi come un fatto, come un dato ultimo — il che era impossibile, perchè gli atomi sono concepiti dalla scienza come qualcosa di non percepibile, di non sperimentabile (e del resto se essi de- vono dar ragione delle rappresentazioni s :nsibili in genere, non possono essere appresi mediante la percezione) —, nè è a parlare di centri di forza, perchè la forza per sè presa è un bel nulla, è anch'essa un u«ggettiro ; ovvero bisognava ridurre essi stessi a qualità e relazioni: ma le qualità e le relazioni (elementi intelligibili e quindi anch'essi ag- gettivi) hanno bisogno di qualcosa a cui inerire, onde la necessità di porre come postulato l'esistenza di reali ul- timi, sostanze spirituali, le quali poi impiicano le medesime IL PROBLEMA ESTETICO 155 contradizioni degli atomi materiali. Atomi materiali ed atomi spirituali sono prodotti della nostra fantasia, ipo- stasi di concezioni mentali astratte. Gli atomi erano stati creati per spiegare i rapporti intelligibili determinanti i fenomeni subbiettivi, i fenomeni sensoriali : ora essi, non potendo essere considerati come fatti (e ancorchè potes- sero essere considerati come tali, si sarebbe daccapo, per - chè sarebbero anch'essi fatti percettivi, fatti cioè dell’istessa . categoria di quelli, per spiegare i quali erano stati ima- ginati), è giuocoforza analizzarli in elementi d’ordine in- telligibile (qualità e rapporti), in elementi cioè, per fon- damentare i quali essi stessi sono stati proposti. È naturale che giunti a questo punto doveva sorgere il problema riguardante la trasformazione dell’ elemento intelligibile in elemento sensibile, riguardante la possibilità che l’ i- deale diventasse obbietto della sensibilità. Ora è vero che l'elemento intelligibile esiste per sè ? No, perchè esso, preso a parte dal fatto, dall’ esistenza attuale, è un pro- dotto dell’astrazione. L'universale, l’idea non esiste al di fuori della mente. Sicchè noì vediamo qui che il problema gnoseologico è nato per un processo analogo a quello che diede origine al problema estetico, per un processo cioè di disgiunzione dell'elemento intelligibile dall’ elemento fattuale dell’esistenza. La realtà vera, la vita vera del reale è data dalla congiunzione ‘dell’ elemento ideale col reale, dall’incorporazione dell'ideale nel reale: ond’è che attribuire l’esistenza di fatto agli elementi intelligibili è un processo del tutto falso ed arbitrario. L’intelligibile o l'universale è un puro aggettivo che ha bisogno del suo sostantivo. E come sostantivo dovrebbe fungere l'immedia- 156 IL PROBLEMA ESTETICO tezza della percezione sensoriale, l’ immediatezza del fatto psichico quale si svolge nel soggetto umano, ma i due elementi, l’ universale e il fatto psichico individuale non sì corrispondono, non fanno una cosa sola, non sono, diciamo così, l’uno per l’altro. Il fatto psichico non è qualcosa di obbiettivo, d'ilentico e di comunicabile, ma varia da sog- getto a soggetto; esso non può esser tutta la realtà. È stato a causa delle molteplici contradizioni, delle insuffi- cienze e manchevolezze rivelantisi nella vita psichica e subbiettiva che si è ‘dovuto costruire ipoteticamente un mondo obbiettivo intelligibile di contro a quello subbiettivo. E poichè un tal ripiego, come si è veduto, non approda a nulla, sorge la necessità di trovare il complemento esisten- ziale dell'intelligibile in qualcosa che trascende il conte- nuto della coscienza individuale. Tale complemento non può esser trovato che nella vita del Tutto (Io epistomologico e ontologico o Bewusstseyn tiberhaupt di Kant) nella Coscienza universale in cui non vi è separazione di intelligibile e di sensibile (la quale separazione è compiuta dallo spirito individuale finito), d’ideale e di reale, di contenuto e di fatto, ma vi è fusione perfetta «di entrambi. La questione sta tutta qui: la percezione appare dato concreto immediato e quindi reale, ma è dato subbiettivo e quindi pieno di con- tradizioni: l'intelligibile è obbiettivo nel senso che è inteso in un modo identico da tutti gli uomini, ma è ipotetico, astratto, non dato, ma posto «dall’intelligenza umana : ciò posto, siffatti due termini si possono conciliare, si possono unire e formare una cosa sola completa, la realtà viva e vera ? Ciò non è possibile insino a tanto che non sì esce dalla coscienza individuale, perchè il reale subbiettivo che IL PROBLEMA ESTETICO 157 non è completo in sè stesso, che è solo un frammento della totalità, non può avere per contenuto adeguato l’univer- sale, non può avere per essenza il Tutto. Come nel processo estetico avevamo: 1° disgiunzione dell’intelligibile dal fatto, e poi, 2°, ricongiunzione dell’ele- mento intelligibile con un fatto che non gli corrisponde, e di qui la trascendenza, il significato, l'espressività della percezione o imaginazione estetica, cosi nel processo gno- seologico abbiamo la disgiunzione del was dal dass del fatto percettivo e l’ipostasi del was, la considerazione di questo come un fatto, come un dato. E poichè ciò si rivela im- possibile e contradittorio, si tende a congiungere di nuovo l'elemento intelligibile universale (il quale per sè preso non è reale nel senso che non è concreto, non esistente per sè, non immediatamente appreso, bensì effetto di un’elabo- razione psicologica e logica, una semplice concezione dello spirito, un'ipotesi formata in vista delle conseguenze che da essa, dato che esista, necessariamente derivano) col dato percettivo della coscienza individuale, il quale è reale, ma ha una realtà subbiettiva, non obbiettiva, non comune a tutti gli uomini. Se non che la detta coscienza non è ca- pace di contenere di fatto l’ universale, ma solo virtual- mente, cioè come esigenza, come aspirazione, come idea. Onde la necessità di trascendere incessantemente il fatto psichico subbiettivo e l'esigenza di una Realtà obbiettiva individuale e insieme universale, cioè sistematica. Vi ha però una differenza tra processo estetico e pro- cesso gnoseologico ed è, che la disgiunzione e la ricongiun- zione dell'elemento intelligibile col fatto nel primo sono atti arbitrari, sono atti sottoposti al volere individuale, 158 IL PROBLEMA ESTETICO mentrechè nel secondo sono una conseguenza, diremo, neces- saria delle contradizioni e delle insufficienze che si rive- lano nella percezione sensoriale dei vari individui e nei fenomeni della vita subbiettiva. Le ricerche dell’Ottica e dell’Acustica fisiologica, della Psicologia fisiologica furono promosse dall'impossibilità di considerare le percezioni sen- soriali come fatti per sè esistenti all’esterno. x x Uno degli aspetti sotto cui il problema estetico si può presentare è il seguente: Qual'è la natura e le condizioni dell’ emozione estetica? La soluzione di tale quesito ha formato e forma oggetto di tutta l’Estetica esatta coltivata ai giorni nostri in Germania ed in Inghilterra. Da tal punto di vista è evidente che il problema estetico assume un aspetto prevalentemente psicologico: esso, infatti, vale la domanda: Come e perchè talune percezioni sensoriali pro- ducono sentimenti di natura speciale (emozione estetica)? Il che alla sua volta vale domandare: In che rapporto stanno le varie forme dell'attività psichica? Ovvero: Tra le varie manifestazioni della vita psichica vi è una corre- lazione intima in modo da poter esse venire considerate come vari lati di uno stesso processo fondamentale, ovvero sono delle funzioni giustaposte che possono solo in date circostanze agire l’una sull'altra? Vediamo ora quali sono i risultati ultimi a cui l'indagine estetica esatta è pervenuta. E qui, prima d'andare innanzi, ci sembra opportuno notare che il problema estetico psico- logicamente considerato è della più alta importanza in IL PROBLEMA ESTETICO 159 quanto dipende dalla sua soluzione il determinare per che via il «significato » può essere congiunto col «dato attuale », (rappresentazione sensibile) con cui non è connaturato, per che via ciò che è universale ed astratto (l'elemento intel- ligibile) può concretizzarsi în modo da divenire obbietto piacevole. I risultati delle ricerche summenzionate furono di due sorta. Da una parte il sentimento estetico fu intel- lettualizzato nel senso che fu fatto dipendere dall’appren- sione di determinati rapporti astratti: e invero, comunque lo spirito, diciamo così, dell'estetica psicologica e del for- malismo vada riposto nella tendenza ad andare in traccia della causa attuale del piacere estetico, della causa ine- rente alla percezione sensoriale, tuttavia nel fatto essa indaga la « ragione » nella causa: una volta che siamo spinti ad oltrepassare la percezione sensoriale, noi troviamo l'elemento intelligibile, la ragione. Del resto se la perce- zione della bellezza presuppone l’esistenza di dati rapporti, questi da una parte non figurano che come « ragioni », e dall'altra possono essere, se non sostituti, messi in connes- sioni con proprietà meno astratte, più vicine alla realtà che viviamo, e quindi più atte a suscitare il nostro inte- resse e la nostra simpatia. La maniera di operare delle relazioni è invero di natura così generale e così poco caratteristica, che non si vede come l’effetto estetico possa essere ottenuto, se un altro elemento non vi concorre (il significato cioè di tali relazioni astratte). Vogliamo dire ‘ che i suddetti rapporti formali non hanno per sè nulla di caratteristico che possa spiegare il fatto estetico, tanto è ciò vero che si presentano anche dove nessun effetto estetico si riscontra. 160 IL PROBLEMA ESTETICO D'altra parte l'origine del sentimento estetico fu posta in una specie di affinità latente (che non ha niente a che fare colla pura stimolazione sensoriale) esistente tra la semplice forma estetica e l’anima del soggetto percipiente (conformazione dello spirito individuale). Ed il famoso principio fechneriano dell’economia della forza quale fonte di piacere (il quale principio poi fu considerato in rapporto al contenuto delle nostre rappresentazioni come in rapporto al corso delle stesse) non è che l’espressione astratta di ciò che implica la detta armonia latente. L'economica distribuzione della forza considerata dal punto di vista dell’obbietto trae seco il principio dell’ unità organica e l'assenza di qualsiasi elemento superfluo: assenza di super- fluità che equivale ad esigenza di significato e di valore, in quanto solo ciò che è insignificante è veramente superfluo. L'applicazione del principio dell'economia fatta all'attività del soggetto percipiente implica concentramento non fati- coso dell'attenzione, in modo da riuscire agevole e quindi piacevole il fatto psichico stesso dell’apprensione. Avviene così che l’appercezione di un contenuto piacevole, — perchè organicamente costituito —, diviene essa stessa fonte di piacere. Se si considera che la rispondenza quanto più è possibile esatta ed adeguata dell’attività appercettiva al contenuto appercepito non è una accidentalità, ma costi- tuisce un elemento essenziale della emozione estetica, tanto è vero che tutto ciò che richiede uno sforzo mentale è antiestetico, non sì può non trovare naturale la connes- sione esistente tra le modalità della nostra attenzione e le proprietà dell'oggetto estetico. Quando uno sforzo spe- LI ciale è richiesto per l'appercezione di un contenuto este- IL PROBLEMA ESTETICO | 161 tico, vuol dire che l’espressione, la rappresentazione (forma) e l'obbietto significato, l’idea (materia) non sono in armonia, nel qual caso appunto non è più a parlare di bellezza. È stato notato poi che il principio dell'economia non è in contradizione con quello dell’ esuberanza, del lussu- reggiamento ecc., che sono inerenti ad ogni obbietto este- tico e che contribuiscono a imprimergli la nota del disin- teresse presa'in senso largo, giacchè ciò che è superfluo considerato da un certo punto di vista e in rapporto a dati scopi, a scopi di utilità pratica p. es., non lo è più, una volta che è riferito ad un dato sistema armonico o ad una data unità organica che ha valore per sè come esprimente il contenuto della vita nella sua complessità e la Realtà nelle sue molteplici e svariate determinazioni. L'origine e il fondamento dell'emozione estetica se non vanno posti adunque nell'apprensione di rapporti formali ed astratti (ma nel contenuto che gli stessi contribuiscono ad esprimere, nel loro significato), non vanno posti neanche nel principio formale e quindi vago ed indeterminato del- l'economia della forza — sia questa considerata obbiettiva- mente che subbiettivamente —, il quale riceve gran parte del suo valore dal fatto che esso depone per l'esistenza di un'unità organica nell’obbietto estetico: ciò che è con parsimonia costituito e con facilità appercepito ha eviden- temente i caratteri del sistema, della totalità, dell’indivi- dualità organica. Da qualunque punto si voglia considerare la cosa è chiavo pertanto che l'emozione estetica deriva la sua caratteristica propria dal contenuto (significato) espresso ed appercepito dal soggetto. Quando lo spirito appercepisce espresso in modo adeguato ciò che ha radici più profonde 11 162 IL PROBLEMA ESTETICO nell'intimo suo essere, quando lo spirito arriva a trovarsì a contatto con qualche cosa di completo, di individuale e di sistematico e quando arriva a riconoscere sé stesso, le sue aspirazioni, le sue esigenze, i suoi sentimenti, nella natura o nell’arte, quando vede raccolti per opera dei Genti in un punto solo e quindi intensificati tutti i raggi della sua attività, quando insomma vede rispecchiato in un’opera tutto il fondo della sua anima e quando si sente una cosa sola colla Realtà universale, non può non provare una intensa emozione, che è appunto l'emozione estetica. * * *% Dopo aver accennato alla soluzione del problema estetico nella sua forma psicologica, passiamo a trattare del problema psicologico fondamentale quale si presenta nella filosofia generale. L’ indagine intorno alle proprietà ed al rapporto esistente tra le varie funzioni psichiche (funzione rappre» sentativa, funzione emotiva, funzione volitiva) è della più grande importanza e «del più alto significato, in quanto da essa dipende il concetto che ci dobbiamo formare della vita psichica in genere e della costituzione dell’anima. La fun- zione emotiva in che rapporto sta con quella rappresenta- tiva? il sentimento in che rapporto sta con la rappresen- tazione? Che cosa è il piacere o il dolore che accompagna qualsiasi elemento della coscienza ? Ecco il problema ge- nerale, a cui gencricamente si può riferire il problema speciale dell'origine e delle condizioni dell’emozione este- tica, salvo poi a determinare le caratteristiche proprie del piacere estetico, tenuto conto che non tutti i piaceri sono di natura estetica. IL PROBLEMA ESTETICO — 163 Ora noi vediamo che la Psicologia moderna tende a ri- solvere il problema circa la natura del sentimento in con- formità della soluzione data dall’Estetica al problema cor- rispondente. Nessun psicologo crede più all'esistenza delle cosidette facoltà dell'anima: tutti concepiscono i fatti psichici come manifestazioni diverse della vita ad attività psichica prosa nel suo insieme. Ora questa attività spiri- tuale si esplica in due forme principali irriducibili tra loro, in quella di modificarsi in modo indistinto in totalità e in quella di apprendere, di appercepire delle qualità distinte, degli attributi determinati e delle relazioni. Nella sua prima forma essa si rivela essenzialmente una, iden- tica (senza che mostri alcuna «differenziazione in sè stessa) ed intimamente connessa con tutto il reale, che essa per così dire, avverte indistintamente nella sua totalità: nella seconda forma invece essa appare variamente determinata in sè stessa e nelle maniere di apprendere la realtà : nella pritma forma è vita emotiva o sentimentale, nell’altra forma è vita wappresentativa o intellettiva. È un errore per- tanto voler intellettualizzare il sentimento col farlo deri-. vare da un qualsiasi rapporto : noi possiamo, sì, scomporre il sentimento e tradurlo in rapporti, ma in tal caso noi avremo trasformato il sentimento vero e proprio in un fatto. intellettuale. Il sentimento è un modo di essere dell’atti- vità psichica che si origina ogni qualvolta il contenuto della coscienza è cosiffatto che, non potendo essere scom- posto in qualità c relazioni determinate, figura come qual- cosa d'’ indistinto. E qui giova notare che anche quando il sentimento stossos viene differenziato nelle sue principali determinazioni di 164 IL PROBLEMA ESTETICO piacere e dolore — nel caso che queste vengano nettamente distinte ed appercepite — cessa di essere puro sentimento per divenire un fatto d’oriline intellettivo. Un sentimento qualificato, caratterizzato e discriminato da tutto il com- plesso della vita psichica è la chiara appercezione di una qualità psichica, non un sentimento. L'appercezione di un piacere, di un dolore suppone l'atto della mente con cui una qualità viene separata, distinta dal rimanente, sup- pone quindi una funzione intellettiva sia anche d’ ordine rudimentale e l'atto o la funzione discriminatrice si con- fonde col suo prodotto per molo che ciò che prima non era un fatto intellettivo riesce ad essere, per così dire, trascritto in termini intellettivi, e quindi viene ad essere snaturato. Piacere e dolore sono due qualità sensoriali come il bianco e il nero, come il liscio e lo scabro, come il grave e l'acuto, come il caldo e il freddo. Che essi siano determinati dalla « forma » dello stimolo piuttosto che da proprietà inerenti (contenuto) allo sti- molo come tale, che essi siano determinati dal modo come lo stesso agisce, o dal modo in cui la sua trasmissione avviene, o dalle condizioni in cuì l'organismo fisico e psi- chico si trova mentre ha luogo tale azione, poco o nulla importa : dal punto di vista psicologico il piacere e il do- lore sono qualità, e come tali, appartengono alla funzione rappresentativa dell'anima umana. Sosgiungiamo che il piacere e il dolore, come il suono alto e quello basso e come il caldo e il freddo sono sensazioni relative e varia- bili linearmente in quanto presentano. duo sole determi- nazioni opposte. In altre parole : il sentimento per sua natura è indistinto, IL PROBLEMA ESTETICO 165 è stuto psichico totale : non sì tosto in esso vengono delimi- tate differenze, non sì tosto esso viene circoscritto e qua- lificato, non è più a parlare di sentimento vero e proprio : ma di funzione intellettiva e rappresentativa. Il sentimento in tal caso viene come ad essere intellettualizzato, viene ad essere compenetvato dall'attività discriminativa che è inerente all’ intellezione. Quando il sentimento — stato psichico totale — vien» ad essere analizzato e scomposto in qualità diverse e quando queste vengono appercepite, il sentimento non esiste più, ma esistono le qualità sensoriali. La vita psichica non si presenta più come sentimento, ma come apprensione di qualità, l’attributi e di relazioni. Ma si può dire che il piacere e il dolore siano qualità del sentimento, come si dice p. es. che il suono alto e basso sono qualità del suono ? Noi crediamo di no, perchè par- lare di qualità del sentimento è un parlare contradittorio; è come se si dicesse qualità «di ciò che non può avere qua- lità, ovvero determinazioni di ciò che è per sua natura indeterminato. Il piacere e il dolore sono qualità che pos- sono essere pro:lotte in parte dalla totalità della vita psichica, dallo stato in cui la stessa totalità si può trovare, ma non sono qualità della totalità La totalità è reale, ma non ha qualità, caratteri distintivi, differenze, le quali implicando sempre relatività, riferimento, possono essere differenziate entro la totalità. Uno stato di piacere o di dolore totale non significa nulla: un piacere o dulore suppone la distinzione, la differenzia- «zione. Il sentimento o stato psichico totale può contribuire a generare uno stato di piacere o di dolore, ma non può presentarsi come piacere o come dolore: già un piacere o un 166 IL PROBLEMA ESTETICO dolore totale, assolutamente totale, non sarebbe nemmeno avvertito, perchè non potrebbe cs-ere distinto: distinto da che, invero? E il piacere e il dolore sono considerati d’or- dinario come qualità del sentimento appunto perchè esse sono determinate in parte dalla totalità della vita psichica, Sorge la questione: Perchè una tinta di piacere o di dolore accompagna qualsiasi fatto psichico? Perchè ogni singolo fatto psichico è messo in rapporto — si noti, è “messo in rapporto — è appercepito quasi attraverso lo stato complessivo in cui l'organismo fisico e psichico si trova in un dato momento: è da questa appercezione — che è un fatto d'ordine intellettivo — è dal suddetto rapporto del fatto singolo coll’insieme che vengono fuori le due qualità di piacere e di dolore, le quali vengono a sovrapporsi 0, meglio, a fondersi cogli attributi propri dei singoli fatti psichici. Ed è avvertita la qualità di piacere ovvero quella di dolore, secondochè si ha l’appercezione di un rialza- mento o di un abbassamento dell'energia psichica e delle condizioni da cui essa dipende. Come si vede, il sentimento non va ilentificato con le determinazioni qualitative del piacere e del dolore : il primo è uno stato totale dell’anima, le altre sono prodotte dal- . l’appercezione (fatto intellettivo) delle differenze (qualità) osistenti nella detta totalità. E noto che l’apprensione di un dato contenuto psichico richiede il dispiegamento di una certa quantità di energia mentale (attenzione), la quale pui non è illimitata, ond’è che quando ha luogo un consumo di energia psichica superiore a quello di cui sì può disporre sarà avvertita una sensazione sgradevole, mentrechè quando lo stesso consumo è proporzionato alle IL PROBLEMA ESTETICO 167 risorse si avrà una sensazione piacevole. È il rapporto, la proporzione che deve esistere tra attenzione e area della coscienza che ci può dar la chiave per rendercì conto in gran parte delle determinazioni qualitative del piacere e del dolore. si Abbiamo detto che il sentimento è la vita psichica presa nella sua totalità : è evidente che a seconda che la detta totalità è più o meno ricca di contenuto, a seconda che è di ordine superiore o inferiore, che è complessa, ovvero semplice e rudimentale, si avrà o no un sentimento nobile ed elevato. Ma, si può qui domandare, se il sentimento è la stessa vita psichica presa nella sua totalità, come mai potrà essere avvertito? L° avvertire implica distinzione e questa riferi- mento e quindi esistenza di qualità diverse entro la tota- lità. A ciò si risponde che il sentimento non è avvertito come qualità ; il suo ufficio è quello di rendere reale, attua- le, presente, immediato qualsiasi fatto psichico: esso rap- presenta il coefficiente dell’ esistenza psichica. Il problema estetico nella sua forma psicologica e il problema psicologico fondamentale si: corrispondono, in quanto là soluzione data ad entrambi è questa, che il sentimento ha la sua origine nella vita psichica indistinta, nella quale non soltanto vengono ad essere fusi insieme i _ vari elementi costitutivi di.essa, ma viene ad essere tolta ogni contrapposizione del soggetto all’ oggetto. E qui sorge la necessità di andare in traccia del carat- tere differenziale per cui il sentimento estetico sì distin- gue da qualsiasi altro sentimento. Tale carattere si trova agevolmente, se si riflette agli attributi dell’obbietto este- 168 IL PROBLEMA ESTETICO tico, il quale non solo è un sistema di parti (unità nella varietà) oltremodo complesso, ma ha un significato deri- vante dal riflettersi in esso di tutte le aspirazioni ed esi- genze più profonde dell'animo umano, per modo che nella contemplazione estctica il soggetto si trova come in rapporto con la parte migliore di sè stesso. Si aggiunga che l’unione del soggetto con l'oggetto è molto più intima nel caso del- l'emozione estetica che nel caso di qualsiasi altro sentimento. L'attività del Reale, la Realtà come vita differenzian- tesi, spezzantesi e rivelantesi in modo immediato nelle coscienze individuali, ecco la radice comune delle varie sorta di sentimenti. Come vi sono varie forme od apparenze di totalità, come vi sono varii ordini d’incentramenti indi- viduali così vi sono vari ordini di sentimenti più o meno definiti (ogni definizione proviene dall'elemento rappresen- tativo e relativo concomitante), più o meno complessi, più o meno interessati, perchè più o meno direttamente riferen- tisi all'attività pratica. Il carattere d'individualità che controdistingue il sen- timento proviene dal fatto che la totalità è, per così dire, incentrata nella vita del soggetto, in ciò che differenzia l’io quale determinazione speciale del Reale, avente un posto proprio nello spazio, nel tempo e nella serie causale. Non ci sembra inopportuno, poichè servirà a-dilucidare le idee suesposte, richiamare qui, prima di finire, l’atten- zione sul rapporto esistente tra sentimento e volontà, o meglio, tra sentimento e attività; rapporto che è diverso da quello che ordinariamente è ammesso. Il sentimento non produce l’azione allo stesso modo che non è prodotto da essa e che non ne è il riflesso subbiettivo. Un tale rapporto e A ii cir iii cdi ee n IL PROBLEMA ESTETICO 169 può esistere tra l’attività e le qualità sensoriali del piacere e del dolore, non gia tra l'attività e il sentimento, Que- sto — come stato psichico totale — è tutta la vita psichica senza alcuna determinazione speciale, ond’è che mentre da una parte esso contiene, trasformati e fusi insieme tutti gli elementi psichici, non è in rapporto particolare con nessuno di essi. Tutti però quando divengono reali, quando appaiono distinti sull'orizzonte psichico, emergono come dal fondo della vita psichica, che dal punto di vista soggettivo è appunto il sentimento stesso. Questo pertanto appare come il sostegno, ceme ciò che dà attività, consi- stenza ai vari fatti psichici. Al di fuori del presente, del momento attuale non vi ha sentimento, ma bensì rappre- sentazione : e vi ha una rappresentazione riferentesi al pas- sato, come ve ne ha una riferentesi al futuro : ed è chiaro che è possibile avere una rappresentazione del sentimento, quando questo, distaccato dalla matrice reale, viene ideal- mente costruito e proiettato nel passato per mezzo della memoria e nel futuro per mezzo della immaginazione. Il sentimento però in tal caso viene snaturato, trasformandosi in un fatto d'ordine conoscitivo: un sentimento rappresen- tato è una rappresentazione e non un sentimento, o meglio, ò una nostra costruzione ideale che non si riferisce a nulla di reale e di attuale. La forma, diremo così, metafisica del problema estetico è: Qual'è la natura della proluzione artistica ? L'arte in che rapporto sta con la natura ? Si deve ritenere con gli 170 IL PROBLEMA ESTETICO antichi Greci che l'Arte è una imitazione pura e semplice della natura in modo da dover essere essa collocata al disotto di quest'ultima? Come si vede, un tale quesito non poteva ricevere un'adeguata risposta se non dopo che la coscienza estetica del genere umano cbbe raggiunto un grado notevole di svolgimento, dopo, cioè, che il gusto estetico si fu di molto raffinato c che la valutazione este- tica fu molto progredita. La riflessione filosofica dovette giungere al punto da sentire il profondo divario esistente tra il mondo empirico e quello ideale, tra le esigenze del- ] intendimento e quelle della Ragione presa in senso stretto, vale a dire presa come la facoltà del Categorico, dell'Unità e della Totalità. E infatti il problema estetico nella sua forma metafisica non fu risoluto in maniera ade- quata prima che Emanuele Kant ponesse in evidenza l’an- titesi esistente tra la relatività inevitabile della ragione teoretica e la assolutezza dell'imperativo morale implicante l’esistenza della liberta. Il problema circa la natura della produzione artistica non s'impose fino a tanto che gl’im- mensi progressi della Filologia classica, dell’Archeologia, della Critica non ebbero per effetto di produrre il rinno- vamento di tutta la coscienza estetica e quindi di tutte le vedute anteriormente dominanti inordine alla valutazione estetica. Fu allora che non fu più possibile considerare il prodotto estetico come una semplice imitazione della natura. Vediamo ora come il problema estetico fu risoluto sotto tale forma metafisica per ricercare poscia le caratteristi- che del corrispondente problema attinente alla filosofia generale, il quale può essere così enunciato : Che concetto IL PROBLEMA ESTETICO 171 dobbiamo formarci dell’ incessante produttività della na- tura? ovvero: Che cosa stanno a rappresentare le infinite * forme in cui l’attività della natura si esplica? La produ- zione artistica fu considerata come l’effetto del libero, ordinato ed armonico esercizio delle facoltà umane: ma si può qui domandare: di tutte le facoltà umane? No, bensì di quelle facoltà soltanto che possono dare origine a pro- dotti che hanno una data forma, intenlendo per quest’ ul- tima l'insieme delle proprietà per cui una data cosa è va- lutata, non per il suo uso, non per lo scopo determinato a cuì l’ oggetto avente quella data « forma » risponde, ma per ciò che la forma sta a rappresentare, in quanto in essa si riflette l’intendimento, il sentimento e la capacità in ge- nere di chi l'ha concepita ed eseguita. La « forma » implica adunque l’esistenza dell’ elemento razionale: ed è lecito parlare di « forma » ogni volta che nell'oggetto o nel fatto vien messo in evidenza appunto l'elemento intelligibile. Ogni qualvolta nuvi ci troviamo di fronte ad un obbietto .che mentre figura come un prodotto dell’intelligenza « dell'attività umana, dall'altra parte non pare serva ad uno scopo pratico, o a un uso determinato, — pur non essendo scevro di significato — noi siamo spinti a giudicare come estetico il detto obbietto. Sicchè l'essenza della produzione artistica fu posta in ciò, che l’anima umana è così fatta che sente il bisogno di estrinsecarsi, di esprimersi in fatti, i quali mentre portano l'impronta delle facoltà che loro die- dero origine, non hanno l’ufficio nè di appagare un desi- derio, nè di far raggiungere un fine estrinseco, nè di pro- curare un gudimento egoistico e interessato. La creazione artistica ha in sè stessa il suo scopo, che è quello di com- 172 IL PROBLEMA ESTETICO pletare la realtà sensibile, dando l’esistenza ad un mondo di forme atte ad appagare le aspirazioni e le esigenze più profonde e più elevate dell'anima umana. Il bisogno del completo, del perfetto, dell’ individualità armonica, della totalità sistematica può solo esser soddisfatto per mezzo dell'Arte, la quale rende possibile la sovrapposizione di tutto un mondo supra il mondo della esperienza ordinaria. Il vero artista è quegli che crea per creare, è quegli che spinto dal bisogno di porre in opera il soprappiù delle sue esuberanti energie, produce spontaneamente e quasi istin- tivamente, senza aver dinanzi alla mente uno scopo estrin- seco od interessato da conseguire. Egli crea per dar forma definita a ciò che gli si agita nel fonito dell'anima. L’opera d'arte è bella quando porta nettamente l'impronta della personalità dell'artista e quando esprime l'impressione in lui prodotta dalla vista dell'oggetto o del fatto che egli traduce. La Natura è bella quando noi in essa riconosciamo nol stessi con ciò clie abbiamo di veramente umano, come esseri felici e miseri ad un tempo. Ognun vede che il bello non può essere in alcun modo confuso nè col piacevole, nè col bene ; il piacevole infatti, risponde ad una esigenza subbiettiva ed interessata, im- plicando l’appagamento di un bisogno egoistico, e il bene involge il concetto di attuazione di un fine chiaro e co- sciente, sia questo estrinseco all’obbietto come nel caso dell'utilità o immanente all’ oggetto stesso come nel caso della perfezione. L'espressione libera e spontanea in forme concrete, di un contenuto.ideale e la realizzazione irre- flessa di ciò che vi ha di razionale nella nostra natura, ecco che cosa è invece la produzione artistica ; un’espres- IL PROBLEMA ESTETICO 173 sione necessaria el obbiettiva della vita umana nella sua complessità e dell'unità della natura, ecco che cosa è in- vece l’arte. Onde consegue poi che non vi è ragione di limitare la cerchia delle sue manifestazioni, le quali hanno tutte egual diritto alla nostra consilerazione, a patto che mettano in evidenza in modo completo un lato della vita umana con tutte le proprietà, siano pregi o difetti ad essa inerenti. * E " x Il problema che in filosofia generale corrisponde a quello estetico or ora esaminato è il problema teleologico. Che significato ha l’inesauribile produttività della natura ? Che valore va attribuito alle svariatissime forme naturali? Ora la risposta «lata dai filosofi — almeno da taluni filosofi — coincide con quella data dagli estetici in quanto viene ammessa l’intima razionalità della natura, a cui accennano già le leggi naturali. Tale razionalità può da una parte non esaurire il contenuto della natura, giacchè questa oltre ad essere compenetrata dalla ragione 'è qualcosaltro an- cora, e dall’ altro non è tale da far considerare i fatti e gli obbietti naturali come prodotti da un’Intelligenza co- sciente identica all’umana. In altri termini, la natura è, sì, espressione di qualcosa di razionale, ma non può essere con- siderata come il prodotto di un'attività intelligente che si esplichi come quella dell’ uomo. La natura esclude il domi- nio del caso e insieme una veduta antropomorfica qualsiasi. E poichè del rimanente la produttività della natura pre- senta i caratteri propri della produzione artistica (libertà, 174 IL PROBLEMA ESTETICO spontaneità, molteplicità di forme definite, unità organica delle parti costitutive di ciascuna forma, esuberanza di energia, apparente assenza di utilità, ecc.), è ragionevole pensare che il mondo ideale dell’arte e quello reale della natura siano prodotti da un'attività fondamentalmente iden- tica: la quale però nel secondo caso si esplica in modo chiaramente incosciente e nel primo in modo, diremmo semicosciente o cosciente addirittura. In entrambi i casi la ragione è in azione, ma (ci sia lecito esprimerci così) senza averne Vl aria: in entrambi i casì l’idea di fine non è costi- tutiva dei fenomeni, ma puramente regolativa, giacchè come il fatto estetico non è prodotto, nè sentito in vista del raggiuugimento di un dato fine, in vista di. un vantaggio da ottenere, o di un risultato pratico da conseguire, così il fatto naturale non può essere interpretato o spiegato mediante il concetto di fine. Il fatto estetico e quello na- turale però implicano, ciascuno alla sua mauiera, l’esi- stenza dell'elemento intelligibile e razionale atto a dar ragione della loro « forma » determinata: tanto l’ uno quanto l’altro pongono l’esigenza dell’unità sistematica atta a dar ragione delle relazioni esistenti tra le varie parti od elementi componenti il tutto, unità sistematica che include il concetto di fine intrinseco ed organizzatore, comunque incosciente. É evidente poi che tra natura ed arte, tra bello natu: rale e bello artistico non può esistere antitesi di sorta, ma soltanto differenza di grado, in quanto l’arte non fa che presentare come raccolti in un punto quei raggi che nella natura vanno dispersi qua e la, in quanto cioè l’arte concentra e rende continuo ciò che nella natura si pre- IL PROBLEMA ESTETICO 175 Li senta discontinuo, sconnesso e quindi pressochè sfornito di alto significato. Allo stesso modo che la scienza coordina, correggendo, modificando (sceverando l’ essenziale e il ne- cessario dall’accidentale), i fatti dell’osservazione percettiva ordinaria e li presenta sotto nuova luce, così l’arte ha per intento di mettere in evidenza i tratti caratteristici della natura e della vita, ordinandoli, fissandoli e organizzandoli in modo che salti agli occhi di tutti quel sigrificeto che di- versamente o non sarebbe avvertito addirittura, ovvero in modo incompleto e confuso. L'opera del genio si esplica appunto nell’idealizzare la natura, vale a dire nel rendere appariscente ciò che senza di Lui all'occhio volgare sa- rebbe per sempre rimasto nascosto (1). ’ L’opera d'arte quale espressione di un contenuto ideale, di un universale concreto (natura propria di ciò che si vuol rappresentare) ha la sua ragione in sè stessa: e il «suo valore sta tutto nell’ essere essa parvenza perfetta- mente distinta dalla realtà. Essa invero è apprezzata per sè; è un sistema, un'individualità, qualcosa di organico esprimente la Realtà sotto un punto di vista determinato. Qualsiasi altra cunsilerazione non riferentesi alla contem- plazione di una rappresentazione concreta, compiuta di quella medesima Realtà, che alla Ragione appare come Vero ed al Volere come Bene, le è estranea. Onde con- (1) B. BosanQueT, Zistory of Esthetic. London, 1892, pag 3 e segg. « ....it is plain that « nature » in this relation differs’ from « art » principally in degree, both being in the medium of human perception or imagination, but the one consisting in the transient and ordinary presentation or idea of average ind, the other in the fixed and heig- tened intuitions of the genius which can record and interpret ». 176 IL PROBLEMA ESTETICO segue che l'appercezione estetica si riferisce al modo come è rappresentato, come è espresso, non come è costituito, nè come agisce il Reale per sè. E evidente che una mede- sima cosa è giudicata bella o brutta a seconda che è con- siderata o pure no espressione completa di un dato ordine di realtà: espressione che figurerà come completa o come incompleta secondo che un oggetto è guardato nella sua possibilità e « in generale » dall’uno o dall'altro punto di vista. « Un esemplare di una specie di animali — nota uno scrittore recente —, sarà brutto p. es. se considerato come espressione dell’ animale in generale, perchè in quel dato esemplare (forma) la vita animale (contenuto) non si ri- specchia nella sua pienezza: potrà esser bello se conside- rato come espressione tipica di una data specie di animale,. giacchè in tal caso esso è considerato come espressione o forma di un altro contenuto », dass di un altro was. Insomma un oggetto è bello o brutto secondo la categoria con la quale lo appercopiamo. Nell'arte tutta la realtà naturale ed umana — che è bella o brutta secondo i punti di vista relativi — diventa bella, perchè è appercepita come realtà in generale che si vuol vedere espressa completa- mente. Tutti i personaggi, tutte le azioni, tutti gli oggetti, entrando nel mondo dell’arte perdono (artisticamente par- lando) le qualificazioni che sogliono avere per ragioni. di- verse nella vita reale, e son giudicati sclo in quanto l’arte li ritrae più o meno perfettamente. Taluni dei Cesari sono giudicati mostri guardati nella vita reale, ma non sono mostri come figure d’arte. PERGEA PSR i ie ina Pr fa IL PROBLEMA FILOSOFICO SECONDO IL BRADLEY L'uomo nella vita ordinaria accetta il dato come imme- diatamente gli si presenta senza che faccia alcun tentativo per armonizzare tra loro gli elementi discordanti. Possiamo aggiungere che la discordanza non è neanco avvertita. In tale stadio l’uomo non conosce per conoscere, ma conosce per operare, per soddisfare cioè nel modo più appropriato i suoj/ istinti o le sue tendenze; onde avviene che le cogni- zioni, le quali meglio rispondono alle esigenze pratiche, appaiono complete, perfette. Se non che un tale stato non è duraturo; ben presto con lo svolgersi della cultura e della civiltà la funzione conoscitiva acquista un certo grado d'indipendenza, emancipanilosi dai bisogni pratici ed acquistando valore e significato per sè. È in tale stadio che cominciano ad essere avvertite le contradizioni esi- stenti tra i vari elementi dell’esperienza ordinaria, dapprima considerati come essenzialmente costitutivi della vera ed ultima Realtà. È in tale stadio che si formano le scienze, le quali per dar ragione dei vari fatti sperimentali e per eliminare le contradizioni dagli stessi presentate ricorrono 12 178 IL PROBLEMA FILOSOFICO a concetti d'ordine particolare. In tal guisa questi sono come il sostrato della realtà, mentrechè i fenomeni em-. piricì stanno ad indicare le varie maniere in cui il detto sostrato si può presentare al soggetto, stanno ad indicare le varie forme che esso può assumere. Ma siffatti concetti fondamentali delle scienze particolari sono in realtà qual-. cosa di ultimo e d’irriducibile e (ciò che sopratutto importa) sono privi assolutamente di elementi contradittori, sono cioè perfettamente intelligibili? Questo problema che sorpassa evidentemente i limiti di ciascuna scienza speciale, forma il punto di partenza del filosofare. Ora il Bradley (1) nel suo Saggio di Metafisica intitolato Appearance and Reality muove” appunto dal quesito: La Realtà quale ci viene presentata dalle scienze singole è consistente, ovvero è contradittoria e quindi non realtà vera, ma apparenza? Le scienze per costruire un mondo intelligibile sono ricorse a vari espe-. dienti o mezzi; che valore hanno questi? Sottoposti alla critica, esaminati alla luce del principio di contradizione appaiono consistenti? Ognuno vede che per risolvere tale problema occorre anzitutto passare a rassegna i materiali (1) BrapLEY, Appearance and Reality: A Metaphysical Essay. London, Swan Sonnenschein, 1893. Tale opera del Bradley fu accolta con molto favore nel mondo filo- sofico inglese ed americano. Il Mackenzie non si peritò di affermare nella Rivista Mind (anno 1894) che il Saggio di Metafisica del Bradley era una delle migliori opere filosofiche pubblicate in questa ultima metà del secolo decimonono. Il Bradley del resto è autore di parecchie altre opere pregevolissime, quali i Principles of Logic (London 1883), Ethical Studies e svaria- tissimi articoli per la più parte d’argomento psicologico pubblicati nella Mind negli ultimi anni. SECONDO IL BRADLEY 179 che compongono l’edifizio della scienza per potere di poi ri- cercare fino a che punto ciascuno di essi sia coerente con sè stesso e coi rimanenti. Si fa presto ad enumerare gli organi che renduno possibile alla scienza la costruzione della mechanica rerum; essi sono: divisione delle qualità sensoriali in primarie e secondarie, i concetti dì sostrato o sostantivo, di qualità, di relazione, di spazio, tempo, movimento, cangia- mento, causalità, forza, attività. Tutto il mondo per la scienza è composto di « cose », di « qualità », di « relazioni » e, se si vuole, anche di « forze ». Le qualità possono essere divise poi in primarie (estensione, resistenza) e secondarie (colori, suoni ecc.). Dalle varie combinazioni di qualità e di relazioni di differente ordine risultano lo spazio, il tempo, il movi- mento, il cangiamento, la causazione. Possiamo dire che i concetti propriamente primitivi sì riducono a quelli di so- stanza, di qualità, di relazione e di azione, mentrechè tutti gli altri concetti di cui si fa largo uso nella scienza, non sono che derivazioni e combinazioni diverse di quelli primitivi. Si domanda adunque: La Realtà è effettivamente costi- tuita di sostanze, di qualità, di relazioni? Il Bradley risponde subito di no, perchè tutti questi elementi, implicando con- tradizioni, sono apparenza e non realtà. La « sostanza », la « cosa » non è che l'insieme, l’unità di tutte le qualità che caratterizzano, 0 como altrimenti si dice, ineriscono ad essa: ma che cosa è mai questo rapporto d'inerenza? Da una parte la cosa non s'identifica con nessuna delle qualità per sè prese (così lo zucchero non è identico alla qualità del bianco, o a quella del dolce per sè presa), e dall'altra parte se si dice che la cosa rappresenta l’uni- ficazione, l'aggruppamento delle varie qualità non s'intende 180 IL PROBLEMA FILOSOFICO in che cosa possa consistere questa unificazione od ordina- mento che sia. Chi tiene unite le qualità? Perchè, come, dove queste si uniscono insieme? Qui sì tira in ballo il concetto di relazione e si dice che la sostanza, la cosa, è data da particolari rapporti esistenti tra le varie qualità, ma ciò non serve affatto a chiarire la questione, perchè che cosa mai vuol dire che una cosa è uguale al rapporto di una qualità: con un’altra qualità? Così se si dice « lo zucchero è eguale ad un dato rapporto del bianco col dolce » non si dice nulla di serio e di significante, non si sa che cosa voglia dire una qualità in rapporto con un'altra: la prima qualità non è identica alla seconda, e non è nem- meno identica alla « relazione con la seconda ». Come si vede, al problema concernente la sostanza, la cosa, sì con- nette intimamente quello riguardante la natura della qua- lità e della relazione, problema che esaminato a fondo, dice il Bradley, dà luogo ad un cumulo di contradizioni. Ed invero qualità e relazione anzitutto si presuppongono a vicenda in quanto con ogni qualità si connette intima- mente un processo di distinzione, di differenziazione e quindi un rapporto (ogni qualità in tanto esiste in quanto emerge, distaccandosene, da un dato fondo), processo e rapporto che sono parti essenziali della qualità come tale e non qualcosa di sopraggiunto: chi dice qualità dice mol- teplicità e chi dice molteplicità dice con ciò stesso rap- porto; e in quanto ogni rapportu d'altra parte implica la esistenza di termini e quindi di qualità tra cui esso inter- cede ; poi non c'è verso di poter intendere come qualità e relazione agiscano o si comportino reciprocamente. Noi, ricordiamolo bene, siamo a questo: la relazione è nulla SECONDO IL BRADLEY 181 senza la qualità e viceversa la qualità è nulla senza la relazione: da un canto sembra che la qualità consti di relazioni, e dall'altro che queste non siano che forme di qualità. Si direbbe che in ciascuna qualità siano da distin- guere due elementi, uno che rende possibile una qualsiasi relazione e l’altro che risulta dalla relazione stessa, ele- menti che appartenendo ad una stessa cosa (qualità), bisogna che siano in relazione tra loro per modo che a’ proposito di ciascuno di essi si renda necessario il medesimo pro- cesso di distinzione dell'elemento che rende possibile la relazione da quello che ne risulta. Il che, come è chiaro, I mena ad un processo ad infinitum. Il fatto è che il Bradley non vede come la relazione salti fuori dalla qualità, nè come la qualità possa saltar fuori dalla relazione lasciata così sospesa per aria. Da una parte la relazione pare che non si distingua dalla qualità, e dall’altra la presuppone: e viceversa da una parte la qualità pare che s'identifichi con la relazione, e dall'altra ne derivi. | Come mai si può affermare adunque che la realtà è fatta di sostanze, di qualità e di relazioni, se tali tre elementi implicano contradizioni e sono affatto incomprensibili? Presi separatamente o in unione essi appaiono sempre impenetra- bili all’intelligenza. La relazione non può essere conside- rata un addiettivo, una proprietà della qualità, giacchè viceversa questa appare qualcosa di inerente alla relazione. Oltrechè il rapporto di inerenza è quanto di più oscuro si possa immaginare, la relazione e la qualità non possono essere sostantivi ed addiettivi nello stesso tempo. Se non s'intende come le qualità possano unirsi per dare la « cosa », non s'intende del pari come i rapporti siano proprietà, siano 182 IL PROBLEMA FILOSOFICO come a dire inerenti alle qualità. Si ode dire che la tale cosa ha la proprietà di essere in rapporto con la tale altra cosa, ma una tale espressione implica una quantità di con- trosensi. Che cosa è il rapporto per sè preso? Non sì può identificare con la cosa e d’altra parte per sè è nulla. Il nodo della questione è tutto qui: la relazione non essendo una cosa nè una qualità, non sì arriva a comprendere che cosa mai possa essere, giacchè essa infatti nell’ uso ordi- nario e scientifico è adoperata ora come sostantivo a cui ineriscono le qualità vere o proprie ed ora come addiettivo, come un derivato delle qualità stesse. Se non c'è modo di intendere l’unità delle qualità e degli attributi costituenti la « cosa » non c’è modo neanche d'intendere l’unione delle relazioni con le qualità. Da un canto il rapporto deve essere qualcosa per sè, qualcosa di distinto dalla qualità e dal- l’altra fuori la qualità esso appare nulla. Una volta dichiarati iniutelligibili — perchè contra- dittori — i concetti di sostanza, di qualità, di relazione, non potevano non apparire del pari incomprensibili lo spa- zio, il tempo, il movimento, l’attività, il cangiamento, la causazione, ecc. Tutti questi concetti invero non risultano che di qualità e di relazioni variamente combinate tra loro. In ciascuno di questi casi riappare l'impossibilità di considerare la relazione come qualcosa di esistente per sè in quanto essa presuppone delle qualità e insieme l’impos- sibilità di considerare le qualità come cause produttrici delle relazioni, perché le qualità si risolvono alla loro volta in relazioni. Da un canto le qualità sembrano constare di relazioni e queste di quelle e dall'altro non s'intende come in ogni caso le une possano emergere dalle altre. SECONDO IL BRADLEY 483 Ognuno vede quale sia la conclusione a cui perviene la critica del Bradley : i concetti fondamentali delle scienze particolari non sono che mere apparenze. Ora è giusta una tale affermazione, in base, s'intende, all'analisi da lui fatta delle qualità e relazioni in genere e poi del mutamento dello spazio, del tempo, della causazione, del cangiamento, ecc. ? In sostanza il Bradley ragiona così: 1. Poichè la so- stanza o la « cosa » da una parte non può essere identica a ciascuna o anche a tutte le qualità per sè prese e dal- l'altra non può essere considerata come il sito d’unifica- . zione, come l’ unità di tutti gli attributi, poichè in altre parole è incomprensibile il rapporto d'inerenza o il nesso del sostantivo con l'aggettivo bisogna dire che questi ul- timi concetti non costituiscono la realtà. 2. Poichè è in- concepibile la natura della qualità e della relazione come della loro unione, bisogna affermare che anche siffatti con- cetti non sono che apparenze, errori di prospettiva mentale, i quali vengono ad essere eliminati in un’ esperienza più elevata. Il filosofo inglese, come si vede, prende i concetti di sostanza, di qualità e di relazione come se fossero qual- cosa di esistente per sè, come se fossero degli elementi indipendenti, delle vere e proprie entità: ora ciò è un er- rore. Non è lecito considerare la sostanza, la qualità e la relazione separatamente dal fattore della coscienza in ge- nerale (Bewusstsein iiberhaupt, direbbe Kant) che ne è il vero sostegno e fondamento. La sostanza, la qualità e la rela- zione in tanto appaiono concetti contradittori in quanto sono stati distaccati dalla loro matrice, da ciò per cui sono e a cui devono per conseguenza esser riferiti, la co- scienza , il soggetto in genere. Considerati come obbietti 184 IL PROBLEMA FILOSOFICO non reggono alla critica sicuramente, ma considerati come fatti esistenti per un soggetto in generale e non per questo o quel soggetto particolare divengono comprensibilissimi. Ed invero l’ unificazione delle qualità costituenti la cosa non è un atto compiuto in un sito al di fuori del soggetto, ma ha la sua radice nell'unità della coscienza. Non esistono delle qualità per sè prese che poi in un bel momento si uniscano tra loro per formare la « cosa », ma esistono degli elementi astratti (che dal punto di vista obbiettivo sono funzioni), i quali si concretizzano, completandosi a vicenda, per opera della soggettività in genere. La « cosa », la sostanza insomma è ciò che è per la coscienza in genere. La « cosa » la sostanza adunque è una funzione del sog- getto. Ricordiamo che una funzione è sempre una ancor- chè gli atti di cui essa si compone siano molteplici. La cosa o la sostanza non è la semplice unità delle sue qua- lità, ma è questa unità più il soggetto : nè è a dire che la sostanza sia identica ad una sola qualità (come parrebbe quando si dice, ad esempio, che « lo zucchero è dolce ») o al rapporto esistente tra le varie qualità : queste in tanto ap- paiono costitutive della cosa, in tanto possono essere at- tribuite separatamente o complessivamente alla cosa stessa in quanto sono presenti ad una coscienza. Il rapporto d'ine- renza in tal guisa cessa di essere qualcosa d’impenetrabile e di misterioso, riducendosi ad una funzione della coscienza o della soggettività in genere per cui le varie modifica- zioni vengono ad essere riguardate come elementi di un unico processo. Parimenti la qualità e la relazione, come la sostanza, non sono delle entità, ma vivono, agiscono e si muovono nella e SECONDO IL BRADLET 185 per la coscienza in generale: tolta la quale, non s'intende sicuramente nè la qualità, nè la relazione, nè la loro unione. La qualità non esiste che come determinazione, differenziazione della coscienza o soggettività in genere, e questa stessa mentre è attiva dà luogo a relazioni di vario ordine. Qualità e relazione adunque non sono due fatti distaccati, o meglio, l'uno di essi non è qualcosa di aggiunto all’altro: la relazione presa per sè, come la qua- lità presa per sè non esistono, ma vengono per così dire, generate ad uno stesso tempo dalla coscienza, la quale nel- l'atto che dà luogo alla qualità dà luogo anche alla re- lazione, per modo che qualità e relazione da una parte si appoggiano a vicenda e dall'altra hanno entrambe il loro fondamento ultimo nell'unità e attività della sogget- tività; tanto è vero che ciò che da un punto di vista figura come qualità, può presentarsi da un altro punto di vista come relazione e viceversa Se si fissa l’attenzione sul- l'atto o processo con cui la coscienza genera e costì- tuisce la qualità si ha la relazione: se invece l'attenzione è fissata sulla modificazione generata nella coscienza dal- l'atto si ha la qualità. La relazione pertanto non è un addiettivo della qualità come questa non è un prodotto della relazione, ma sono due lati di uno stesso processo fondamen- tale compiuto dalla soggettività in generale. E si comprende ‘agevolmente come la relazione distaccata dalla -sua matrice — che è la coscienza in generale — presa quindi per sè, presupponga i termini o le qualità e viceversa queste con- siderate per sè traggano seco l’altro lato del processo, implichino cioè la relazione: esprimendo la qualità e la relazione due punti di vista differenti di uno stesso fatto, 186 IL PROBLEMA FILOSOFICO l'uno implica l’altro: ciascuno è vicendevolmente risultato e condizione, secondochè si muove per primo dall'atto della coscienza (relazione) con cui si produce una modificazione di essa (qualità), ovvero da questa modificazione. I concetti di sostanza, di qualità e di relazione adunque in tanto implicano un cumulo di contradizioni in quanto vengono considerati separatamente dal fattore della coscien- za, della soggettività in generale in cui hanno la loro radice e ragione di essere. Una qualità che non si riferisce ad un soggetto è nulla come una relazione che non esprime un’ azione di un soggetto è parimenti nulla. La scienza fa uso dei concetti di sostanza, di qualità, di relazione senza andare in traccia di ciò che siffatti concetti implicano: la filosofia per contrario trova che essi si riferiscono alla coscienza in generale con le sue note di unità, di attività e di modificabilità. La sostanza, la qualità, la relazione sono elementi costitutivi della realtà non nel senso che esistano per sè, ma nel senso che sono una produzione, anzi, meglio diremo, sono elementi costitutivi della coscienza o della sog- gettività in generale che è quanto di più reale possa esistere. E la sostanza, la qualità e la relazione in tanto s’implicano a vicenda in quanto come funzioni integrantisi a vicenda formano la struttura organica della coscienza. La sostanza non è identica ad un complesso di qualità o di rapporti tra qualità come la relazione non è un prodotto della qualità, come la qualità non risulta dalla relazione, e come infine la relazione non è un attributo della qualità e vice- versa, ma sono tre differenti funzioni della coscienza, tre vie che la coscienza tiene nell'adempimento del suo ufficio che è quello di costruire l’esperienza intesa in senso largo. SECONDO IL BRADLEY 187 Per il Bradley giudicare equivale semplicemente ad identificare — stabilire un'identità formale ed astratta — tra i termini del giudizio, facendo astrazione dal fattore della coscienza necessariamente supposto dall'atto giudi- cativo. Ora il giudizio non è la pura identità di due ter- iini, ma è l'identità più l’azione del soggetto che rende possibile e in cui si compie il riferimento espresso nel giudizio. Sicuramente l’un termine del giudizio non è identico sic et simpliciter all'altro, ma è identico a questo più il fattore del soggetto. Si è veduto come la difficoltà d’intenlere la natura propria delle qualità «e delle relazioni derivi dal conside- rarle come dati invece che come funzioni della coscienza o del soggetto in genere, ond’ è che esse non figurano come attributi della realtà, ma bensì come atti della coscienza : qualità e relazioni avendo la loro ragione di essere nella e per la coscienza è chiaro che non sì tosto esse vengono distaccate da tale fonlo appaiono concetti contradittori. Del resto lu realtà presa nel suo insieme non è veramente tale che per una coscienza : tolta questa, la realtà stessa scompare. Una realtà posta al di fuori di qualsiasi forma di coscienza per noì è inconcepibile n almeno è come se LI non esistesse, è nulla. Ora la realtà riferita ad una co- scienza è costituita di vari ordini di qualità e di relazioni, che rappresentano per così dire i materiali .con cui il soggetto fa o costituisce la realtà. Lungi dal poter essere le stesse considerate come apparenze costituiscono la realtà vera. Ciò posto, ognuno vede che le contradizioni riscon- trate dal Bradley nello spazio, nel tempo, nel movimen- 188 IL PROBLEMA FILOSOFICO to (1), nel cangiamento, nell'attività, nella causazione che in fin dei conti rappresentano delle differenti combinazioni di qualità e di relazioni, scompaiono appenachè esse non ven- gono più considerate come dati, ma funzioni della coscienza in generale. Le contradizioni esposte dal Bradley poggiano per la più parte sulla difficoltà o impossibilità di intendere il continuo, il quale sotto differenti forme si presenta nello. spazio, nel tempo, nel movimento, nel cangiamento, nella causazione ecc. Ora il con/înuo effettivamente non è conce- pibile che armettendo una coscienza o soggettività che in certo qual modo sia come la forma permanente della Realtà, rispetto alla quale cioè la realtà venga costituita e uni- ‘ficata. Il continuo dello spazio, del tempo, del movimento, del cangiamento, è come a dire, il riflesso della continuità, della permanenza, e della identità dell'attività della co- scienza, e, si badi, della continuità della coscienza in gene- rale e non di quella individuale. A tal proposito giova ricordare che la conoscenza, la co- struzione della realtà e l’esperienza in genere in tanto sono possibili in quanto la funzione o l’attività della coscienza individuale s' identifica con la funzione della coscienza in genere. Ma si può domandare: Che concetto dobbiamo e possiamo formarci di tale coscienza in generale ? 0 meglio,. che esperienza ne abbiamo noi? Siffatta coscienza in gene- rale è quell'elemento subbiettivo che viene sottinteso in ogni esperienza e quindi in ogni realtà. L'esperienza di- venga obbiettiva finchè si. vuole, si attenui fin che si (1) A proposito del movimento rimandiamo il lettore a ciò che ne dicemmo sulle tracce del Masci nel I° volume di questi Saggi. SECONDO IL BRADLEY 159 vuole il fattore subbiettivo, non si riuscirà mai ad annul- lare, come già si fece notare disopra, il riferimento ad una coscienza qualsiasi: tolto il quale riferimento è an- nullata per ciò stesso l’esperienza e la realtà. Noi in tanto possiamo parlare di fatti obbiettivi in quanto ad una determinata coscienza individuale sostituiamo una forma differente di coscienza senza riuscire mai a far senza di una qualsiasi: così si parla dei fatti di movimento come di fatti essenzialmente obbiettivi: ora i detti fatti di mo- vimento non sono fenomeni riferentisi ad una coscienza? L'uomo come essere pensante è cosiffatto che non può in nessuna maniera, semprechè non voglia annullare sè stesso, fare astrazione da una qualsiasi forma di coscienza. Ed è in ciò posta appunto la realtà dell’ io non già nel vario contenuto della coscienza individuale, il quale è qualcosa di mutevole e di accidentale. Il Bradley per mostrare come anche l'io sia apparenza e non realtà passò in rassegna i vari significati in cui l’ io può essere preso per dedurne che nessuno di tali signifi- cati è scevro di contradizioni; nessuno ci dà la realtà: ma egli non accenna al significato dell’ io quale condizione prima di ogni esperienza e quindi di ogni realtà : ora è appunto in tal senso che l'io è ciò che vi ha di veramente reale. Non è l'io empirico, l’io individuale per sè preso che ci dà il reale, ma è quell’elemento dell’ io individuale per cui questo identificandosi coll’io, e la coscienza in genere si presenta come elemento costitutivo e quindi come condizione di ogni realtà ed esperienza. Aggiungiamo infine che una volta che lo spazio, il tempo, il movimento, il cangiamento ecc. non vengono presentati 190 IL PROBLEMA FILOSOFICO come dati, ma come funzioni della coscienza in generale è chiaro che nelle loro parti costitutive appaiono come qualità o come relazioni a seconda che varia il punto di vista da cui vengono considerate: appaiono relazioni guar- date dal punto di vista dell'atto costruttivo, mentrechè appalono qualità dal punto di vista delle modificazioni nel- l'atto stesso prodottesi sempre nella coscienza in generale. L'analisi del Bradley mena adunque a questo risultato, che i concetti fondamentali delle scienze particolari, invol- gendo contradizioni, non possono essere elementi costitutivi della realtà, ond’è che essi vanno considerati quali mere apparenze. Come si vede, il criterio per distinguere la realtà dall’apparenza è il principio di contradizione. Regola generale: ciò che si contradice non è reale, o, ciò che val lo stesso, la realtà ultima non può essere contradittoria. Tale criterio è assoluto e supremo, perchè tutti gli altri ne dipendono e perchè anche negandolo o dubitandone, se ne ammette tacitamente la validità. Il principio di contradizione però non va considerato come un criterio puramente formale in quanto chi pone l’ inconsistenza tra gl’ indizii della non realtà viene ad af- fermare la consistenza (1) quale segno del reale : se ciò che (1) Stimiamo opportuno riprodu-re, italianizzandole, le parole in- glesi consistency e inconsistency per donotare l’ identità e la contra- dizione, in quanto esse esprimono bene i concetti della presenza 0 della mancanza dell’appoggio reciproco delle varie parti di un tutto, SECONDO IL BRADLEY 194 si rivela inconsistente e contraditturio non è reale, la Realtà dev'essere per forza consistente (pag. 139). Ma, si può qui domandare, se i concetti fondamentali di cui si fa uso nell’esperienza racchiudono contradizioni e se ciò che è contradittorio non è reale, tuttociò che ci circonda e noi stessi siamo come a dire al di fuori di ogni realtà, siamo non enti? No, risponde il Bradley, noì e tutto il resto siamo, e come tali siamo apparenze, vale a dire che abbiamo un certo grado di realtà. Il carattere fondamentale del reale è dato da ciò, che esso possiede ogni specie di appa- renza, ma in forma armonica. Sicchè la Realtà è una nel senso che esclude qualsiasi contradizione e comprende tutte le svariate apparenze fino a tanto che non si contradicono. Per conseguenza il Reale non può essere che individuale e tale da abbracciare tutte le «differenze in un’ armonia secondo che questo è o no reale. La « consistency » significa in modo chiaro il fatto che ciascun elemento esige la presenza degli altri per modo che è reale quel termine che si connette, che è in relazione con tutto il resto. Qui si può porre la questione: Ma i principii d'identità e di contradizione per sè considerati implicano la connessione reci- proca delle varie parti di un tutto? Dal fatto che due termini non sono in contradizione è possibile dedurre che sono in relazione reci- proca e che sì appoggiano a vicenda? L'assenza di contradizione può essere indizio di una connessione, di una relazione, ma perchè questa sia ammessa effettivamente, si richiede qualcos’ altro ; sì richiede una determinazicne positiva, la quale non ci può essere fornita che dalla esperienza. Ritorneremo su questo punto quando parleremo del rapporto esistente tra realtà e possibilità, tra l’esistenza e l’intelligibilità. Quì vogliamo solo notare che non va confusa la funzione dei principii supremi della ragione (identità ecc.) quali criteri per giudicare della realta e della verita col loro ufficio quali postulati, esigenze, norme della conoscenza. 192 IL PROBLEMA FILOSOFICO comprensiva d'ordine superiore. È a questo Uno-Tutto, a questo Sistema, a questa Unità che supera le differenze, che vien dato il nome di Assoluto. Prima di determinare la natura e i caratteri positivi e le manifestazioni dell’Assoluto è bene soffermarci un mo- mento per indagare da quali ragioni sia stato indotto il Bradley ad ammetterne l’esistenza : ricerca della più alta importanza codesta in quanto per tale via noi penetreremo nel cuore della filosofia del nostro autore. Tuttociò che in qualche maniera racchiude contradizione non è reale, è apparenza che può divenire reale solo allontanando da sè l'elemento contradittorio, vale a dire cessando di essere determinatu in un dato modo e trasformandosi in qual- cos'altro : onde consegue che la realtà dev'essere carat- terizzata dall'assenza di contradizioni, dalla consistenza con sè stessa, il che può avvenire solo nel caso che essa sia unità individua e sistematica. Tuttociò però non im- plica che la Realtà effettivamente esista, ma soltanto che, se esiste, non può esistere che in tale maniera, sotto questa condizione, che sia una e consistente: condizione che determina la possibilità, non l'attualità. Ciò che è possibile è forse reale? Una possibilità asserita, risponde l’ Autore (pag. 513, 514), ha sempre un significato e finchè non sia contradetta o non appaia contradittoria, qualifica il Reale, presentandosi sempre accompagnata con qualche idea at- tuale: quando voi non avete che un'idea e di essa non potete razionalmente dubitare, siete nell’obbligo di affer- marla, giacchè, è bene tenerlo a mente, qualsiasi cosa serve a qualificare il Reale e finchè una idea non appare incon- sistente seco stessa isolatamente considerata, o presa colle SECONDO IL BRADLEY 198 altre cose, è da riguardare vera e reale. A ciò sì aggiunga che la possibilità è sempre relativa e implica sempre un inizio di attualità, giacchè la possibilità assoluta o incon- dizionale equivale all’inconcepibilità o impossibilità. Essa è data appunto da ciò che contradice alla conoscenza po- sitiva piuttosto che da ciò che appare insufficientemente connesso con la Realtà. Come si vede, occorre determinare bene il rapporto esistente tra pensiero e realtà, e insieme fissar bene il con- cetto che bisogna formarsi della realtà e verità in genere. Ora al Bradley sembra assolutamente inconcepibile un pen- siero, per così dire, sospeso in aria, che non sia connesso con una qualsiasi forma del Reale, con uno de suoi aspetti o con una delle sue sfere. Per quanto ciò possa sembrare un paradosso (pag. 366 e segg.), è inammissibile che la realtà sia circoscritta a ciò che esiste nello spazio e nel tempo: questa non è che una delle tante forme, delle tante manife- stazioni od apparenze della realtà; tanto è vero che ciò che è reale da un dato punto di vista, non lo è da un punto di vista differente. Vi sono tanti mondi, tante realtà quante possono essere le prospettive da cui può essere guardato il tutto, 0° meglio, ciascuno dei suoi frammenti. Così vi è il mondo del- l’arte, come vi è il mondo della religione, della moralità e via di seguito, e tutti questi mondi sono differenti tra loro per modo che ciò che è vero e reale in uno di essi non lo è del pari in un altro ed ogni idea appartenente a questi singoli mondi qualifica in qualche modo il Reale preso nel suo insie- me. Il fatto immaginario qualifica la Realtà alla propria ma- niera. Ciascun elemento occupa un posto nel sistema totale. L'importante è determinare il vero posto che gli compete, 13 194 IL PROBLEMA FILOSOFICO L'oggetto del nostro desiderio certo non esiste attual- mente, ma è sempre però riferito alla realtà ed è anzi tale riferimento che rende l’impedimento al soddisfacimento del desiderio incresciosissimo: ciò che io desidero non esiste per me attualmente, ma io sento vagamente che è in qual- che parte, in una regione, per dir così, lontana, per il che il suo non attuarsi in un dato momento produge una tensione oltremodo spiacevole. Va notato però che se quilsiasi idea può essere riferita alla realtà, d'altra parte perchè ciò avvenga, è necessario che la stessa idea sia più o meno alterata (1), della necessità, del grado delle quali operazioni noi siamo d’ ordinario completamente all’ oscuro. In conseguenza di ciò il Bradley fu tratto a discutere della validità della celebre prova ontologica. Se s’identifica la realtà coll’esistenza spaziale e temporale è evidente che dal fatto che una cosa si presenta, per così dire, solo « nella nostra testa » non consegue che essa esista realmente; ma lo stesso non si può dire quando si ammette che qual- siasi idea qualifica in qualche modo la realtà; in questo (1) Op. cit. pag. 369. — Every idea can be made the true adjective of reality, but on the other hand (as we have seen) every idea must be , altered. More or less they all require a supplementation and rear- rangement. But of this necessity and of the amount of it we may be totally unaware. We commonly use ideas with no clear notion as to how far they are conditional, and are incapable of being predicated down right of reality. To the suppositions implied in our statements we usually are blind: or the precise extent of them is, at all events, not distinctly realised...... To think is always in effect to judge: and all judgements we have found to be more or less true, and in diffe- rent degrees to depart from, and to realise, the standard (Aarmo- niousness selfconsistency, inclusivness and harmony). SECONDO IL BRADLEY 195 caso anche ciò che si presenta soltanto nella « mia testa » deve avere qualche punto di contatto col Reale. Giova ricordare a tal proposito che una pura idea separata da tutto il mondo reale è un’ astrazione, anzi vi ha dippiù: un'idea non riferita in qualche modo alla Realtà è una contradizione. Si tratta di vedere adunque in che maniera l’idea dell’assoluto possa esser riferita alla realtà. Perchè un° idea qualsiasi figuri come qualificazione della Realtà occorre che essa sia armonica, completa, organicamente connessa col sistema totale, per il che deve essere priva di qualsiasi elemento contradittorio. Ora l’idea dell’ asso- luto che è l’idea dell’ unità, della totalità, della coerenza del sistema, da una parte è inerente alla natura propria del pensiero, tanto che si può dire che ne costituisca l’es- senza e dall’ altra è contradittoria solo nel caso che essa si consideri come non avente niente a che fare con la realtà ; invero aver l’idea dell’ unità, del sistema assoluto e non riferirla alla Realtà quando si è detto che il grado di realtà si misura dal grado di armonia, di comprensività ecc. è assolutamente contradittorio. Se chi dice pensiero dice sistematizzazione, e se d'altro canto il pensiero quale elemento integrante la realtà, è tanto più vero e reale quanto più è sistematico, armonico, completo, non si può non affermare che il pensiero o l’idea del sistema totale (Assoluto) è il più reale di tutti. In questo caso l’idea è cosiffatta che essa è spinta, per così dire, a completarsi nella esistenza : in caso contrario si rivela contradittoria. L'idea dell’ assoluto, dell’ unità ecc. non è un prodotto accidentale, arbitrario dello spirito subbiettivo, ma è qual. cosa di essenziale allo spirito come spirito, per il che sem- 196 IL PROBLEMA FILOSOFICO pre che non si voglia annullare il pensiero (e quindi in ultima analisi la realtà stessa), non si può non renderla consistente. In sostanza negare l’esistenza all'idea dello assoluto equivale a dire che il criterio per giudicare del grafo di verità e realtà — che è quello appunto dell'armonia e della coerenza — non è reale; o, in altre parole, negare la realtà dell’ assoluto equivale a dire che il pensiero non è reale, che esso brancola nel vuoto addi- rittura, non riferendosi e non completandosi nella realtà. Pensiero e realtà essendo parti di un tutto, si completano a vicenda per modo che partendo da un lata si è costretti a muoversi per forza verso il lato complementare, Da tal punta di vista la prova ontologica va considerata come l'inverso di quella cosmologica. Una volta che il Reale è per natura qualificato dal pensiero esso deve per qualche via possedere ciò che implica l'essenza propria del pensiero. Il principio della prova ontologica allora si rivela erroneo quando si crede di poter con esso dimostrare che a qualsiasi idea formantesi nello spirito individuale debba corrispon- dere senz’ altro un contenuto reale obbiettivo; nulla di più falso e inesatto; qualsiasi idea caratterizza la realtà a patto che essa venga profondamente mo lificata cou partico- lari processi (addition, qualification, rearrangement, supplementa- tion ecc.). L'idea dell’Assoluto che isolatamente considerata è inconsistente, è tratta a completarsi per mezzo dell’ esi- stenza L'esistenza non è la realtà, conchiude il Bradley, comunque la realtà deve esistere ; l’esistenza è una delle forme di apparenza del reale. Raccogliendo le fila, noi possiamo dire che per il Bradley l'Assoluto in tanto è ammissibile in quanto è riconosciuto SECONDO IL BRADLEY 197 come possibile (giacchè la possibilità implica inizio di attua- lità) e insieme come pensabile. Ciò che è conforme alla natura propria del pensiero (armonia, comprensività) è sempre in qualche modo reale. Sicchè il criterio della realtà è in ultima analisi posto nel pensiero. Nulla è asso- lutamente erroneo o falso, ma si distinguono numerosi gradi di realtà e verità in rapporto alla maggiore o minore armonia e comprensività del contenuto ubbiettivo. Come si vede, la questione ora si riduce alla ricerca del rapporto esistente tra pensiero e realtà. Ogni pensiero, anzi ogni fatto psichico (imaginazione, desiderio ecc.) caratterizza in qualche modo la realtà vera e propria? Stando al Bradley stesso, il pensiero ha la sua radice nella disgiunzione del what o contenuto intel» ligibile (predicato) dal that o esistenza, reale immediatezza sensoriale (soggetto), epperò nasce da un disperdimento del- l’unità reale concreta, per raggiungere la quale il pensiero deve annullare sè stesso; dal che consegue che ogni predicato o contenu‘o intelligibile, ogni idealità, ogni « what » implica sempre una realtà, un « that » da cui è stato distaccato; e l'errore, la falsità sta solo in questo, nel congiungere un what ed un that che non si corrispondono. Nel Tutto, nel- l'Assoluto ogni what trovando il suo that cessa ogni possi- bilità di errare e tutto appare giustificato perfettamente. Non vi è caso duuque che un pensiero per quanto strano si riveli considerato da un dato punto di vista o in rap- porto ad una data regione del Reale, non abbia un punto di contatto colla realtà una volta che, dopo opportune modificazioni e trasformazioni, è introdotto nel regno del- l’ Assoluto. Solo ciò che è contradittorio è falso, tutto il resto è in qualche modo e in qualche grado reale. 198 IL PROBLEMA FILOSOFICO I cardini della concezione bradleyana in ordine alla na- tura della realtà sono: 1° qualsiasi idea qualifica il reale; 2° l’idea dell’assoluto quale sistema armonico, quale indivi - dualità è cosiffatta che deve completarsi nell'esistenza. Ora tali affermazioni sono state rese inoppugnabili dall'autore ? Qualsiasi idea e quindi qualsiasi giudizio noi facciamo, nota l’autore, deve avere un punto di riferimento nella realtà: e ciò perchè un pensiero che non serva a carat- terizzare in qualche modo il reale è una contradizione; il pensiero in tanto è pensiero in quanto si rapporta alla realtà: dal che però non bisogna trarre la conseguenza che ogni singola idea si riferisca ad un corrispondente obbietto; l'idea bisogna che sia prima sottoposta a processi d'ordine speciale atti a trasformarla in modo da essere essa armonica col sistema totale. Si può dire pertanto che ogni idea contenga una parte di verità e di realtà, parte di verità e di realtà che sarà tanto maggiore quanto minore sarà la trasformazione a cui dovrà essere sottoposta | perchè armonizzi coll’insieme. Sorge spontanea pertanto qui la domanda: Quali sono e in che propriamente consistono ì processi atti a dare un contenuto obbiettivo a qualsiasi pensiero? Il Bradley si contenta di enumerarli, denominan- doli; sono processi di rearrangement, di addition, di supplemen- tation ecc.: il che certamente non equivale a risolvere la que- stione concernente l’obbiettività del pensiero. Ammesso che l’obbiettività non si possa ridurre all'esperienza ordinaria e immediata sorge la necessità di determinare entro quali limiti e fino a che punto possa essere ascritta l’obbiettività ad un qualsiasi contenuto psichico o ideale e tale necessità non è davvero tolta via dalla formola del Bradley. Kant SECONDO IL BRADLEY 199 ». In tal guisa si idealizza « l’esperienza » in modo da congiungere in una sola realtà il presente e il passato e da assegnare, per così esprimerci, alla detta esperienza un posto nell'ordine temporale fisso. Una volta che l’anima non è oggetto di esperienza, nè un dato (es- sendo costruita e consistendo nella trascendenza di ciò che è attuale e presente), ed una volta che il suo conte- nuto non è uno col suo essere, è evidente che non può venire considerata come qualcosa di reale, ma come una specie di astrazione e quindi come una forma dì apparenza. In altri termini la posizione del Bradley rispetto all'a- nima è la seguente. Egli muove dal principio che la Realtà vera e quindi l'Assoluto è controdistinto da questo che in esso e solo in esso l'ideale coincide coll’esistente, l’in- telligibile col dato. Il mondo invece si presenta come il risultato della formazione di centri finiti di sentimento, per mezzo dei quali è resa possibile la scissione e la contrap- posizione dell’ elemento intelligibile alla corrispondente esistenza, nel che propriamente consiste ogni apparenza. Idea e fatto non possono formare una cosa sola finchè non scompare ogni finitezza ; chi dice finitezza infatti, dice di- pendenza e chi dice dipendenza dice possibilità che una data coscienza venga turbata da qualcosa d'estraneo, vale a dire possibilità che ad una esistenza si congiunga un contenuto diverso da essa. Finchè si rimane quindi nel dominio del relativo e del finito il processo di idealizza- zione non può che crescere e svolgersi. Esso però si com- pleta con delle costruzioni, le quali lungi dall’essere qual- 212 IL PROBLEMA FILOSOFICO cosa di reale, figurano come le maniere di disporre o di aggruppare i fatti psichici o gli elementi ideali in cui pro- priamente consiste la vita psichica. Non esiste adunque l'anima o lo spirito, ma bensì fatti, anzi, meglio, fenomeni psichici i quali hanno la loro radice nel processo di idea- lizzazione, di distacco dell’idea dal fatto, al che si riduce tutto l'accadere nel tempo. I «detti fatti psichici non sono la realtà, ma la sua apparenza. Agli occhi del Bradley non è a parlare di una vita dell'anima, e ciò che ordinaria- mente si battezza per tale è la legge di distinzione e di ag- gruppamento, sotto il cui dominio stanno gli elementi ideali. La vita del Tutto si svolge attraverso le apparenze, vale a dire attraverso la disgiunzione dell'idea dal fatto operata da quei centri finiti di esperienza psichica, i quali appunto in forza della loro «finitezza » sono spinti a trascendere la loro esistenza attuale, appropriandosi un contenuto estraneo. Ora tale operazione non può durare indefinita- mente, giacchè in tal caso sarebbe sfornita di ogni valore e mancherebbe di un punto di appoggio per la serie intera: pertanto cosa succede? che lo svolgimento della serie dei contenuti intelligibili viene arrestato ad un certo punto e con essi viene costruito un qualcosa che è designato come la causa da cui proviene tutta la serie. È evidente che tale costruzione è puramente ileale, tanto è ciò vero che le proprietà di continuità ed identità ad essa assegnate non soi0 che puramente prodotti del pensiero riflesso, idee quindi e non fatti. Delle due l'una; o l’anima va considerata come un fatto ed allora deve avere un posto nella serie del tempo, deve essere un obbietto tra gli altri obbietti e poichè (sempre secondo il Bradley) il tempo e le cose in esso svol- SECONDI IL BRADLEY 213 gentisì non sono che apparenze, anche l’anima è un feno- meno; ovvero l’anima è posta fuori della serie temporale ed allora si rivela sfornita di qualsiasi contenuto e quindi si riduce al nulla, Per formarsi poi un concetto per quanto è possibile chiaro della detta costruzione ideale forse è bene rappresentare la cosa con un esempio: si pensi un po’ a ciò che avviene nei sogni: il punto di partenza, poniamo, è un sentimento con tono piacevole o dispiacevole prepon- derante (a cui fa riscontro nella questione presente il sentimento fondamentale): è intorno a questo nucleo pri- mìtivo che la fantasia dispone una quantità di rappresen- tazioni che finiscono col costituire una cosa o un evento atto a dar ragione appunto del sentimento primitivo. Il processo con cui viene costruito il corpo non differisce sostanzialmente da quello che ci dà l’anima: la differenza sta tutta qui, che nel primo caso la costruzione ideale è fatta con elementi più astratti, nei quali si prescinde da qualsiasi interiorità e che sono posti l’uno fuori dell'altro. Non bisogna dimenticare che la connessione, la sintesi dei fatti psichici in tanto è possibile in quanto è riconosciuta la loro identità interiore: essi cioè possono essere collegati in modo da formare un insieme, perchè sono identici, mentre la congiunzione di ciò che è corporeo e materiale è resa possibile dall'intervento di un universale estrinseco che sono le leggi naturali, le quali però sì applicano ai casi identici e simili. Anche qui adunque interviene il principio di identità, pur avendo un valore subordinato a quello delle leggi. E di qui l'impossibilità di penetrare l'essenza della natura. Anima e corpo sono entrambi fenomeni, entrambi modì di apparire della Realtà, colla differenza che la prima 214 IL PROBLEMA FILOSOFICO presenta un grado maggiore di verità che non l’altro. En- trambi sono (ci si passi l’espressione) eiezioni del foco centrale del Reale; ma la prima è più significativa, perchè più vicina al Reale stesso. Al Bradley non poteva sfuggire l’obbiezione che si può fare al suo modo di concepire l’anima e il corpo: la prima, infatti, è considerata come il risultato di una costruzione ideale; ma questa non presuppone alla sua volta l’anima? Allo stesso modo il corpo è considerato come un prodotto della natura, ma questa viceversa non può avere consistenza senza la cooperazione del corpo. Ora il nostro filosofo risponde che siffatti circoli viziosi che si presentano ad ogni pie’ sospinto alla mente del pensatore, sono appunto la miglior prova che siamo nel dominio delle apparenze e non della realtà. Dicemmo disopra che la vita del Reale si svolge attra- verso le apparenze, le quali hanno in fondo la loro radice nell'esistenza di molteplici centri finiti di esperienza psi- chica: ora nulla di più legittimo che domandare il come e il perchè dell'apparenza in genere. A tali quesiti il Bradley confessa di non saper rispondere. E allora si pos- sono fare altre domande: 41° se la Realtà è un sistema individuale comprendente tutto in sè, che concetto dob- biamo - formarci del questo (this) e del mio (mine)? 2° Da che cosa siamo autorizzati a trascendere il proprio io, il proprio centro di sentimento e ammettere quindi una realtà universale in cui il mio sia contenuto? | 1° Il questo qui e il mio esprimono il carattere immediato del sentimento che sî sente e non di quello che si può studiare idealizzandolo, separandolo, cioè, dalla sua esistenza attuale, e insieme esprimono il modo di presentarsi della SECONDO IL BRADLEY 215 immediatezza in un centro finito. Ammesso che nella realtà significato ed esistenza coincidono, il questo, possedendo lo stesso carattere, va considerato come un centro di realtà immediata. Senonchè qui va notato che l'immediatezza della Realtà totale non va identificata con quella del questo, giacchè nel primo caso l'immediatezza comprende in sè ed è superiore alla mediazione, in quanto sviluppa ed unifica le distinzioni e le relazioni già formate, mentrechè nel «questo » l'immediatezza nasce dacchè le distinzioni non sì sono ancora prodotte. Nel sentimento fondamentale i vari elementi sono congiunti, e non connessi, onde il suo contenuto si presenta instabile e tendente essenzial- mente alla scomposizione (disruption), tendente quindi per propria natura a trascendere l’esistenza attuale. Ogni singolo centro però mostra una parte impenetrabile, un fondo individuale incomunicabile e indecomponibile per cui passando dal mondo ideale a quello del senso, si prova un non so che di vivo e di fresco. Il che prova ancora una volta che la Realtà non è un puro sistema intellettuale, un organismo di idee, ma bensì una individualità concreta Non è a credere che l’opposizione delle varie individualità, dei vari this e mine sia insuperabile, giacchè niente vieta che vari sentimenti possano fondersi in una cosa sola nell’Assoluto. E se la Realtà ultima non può consistere solo in un aggregato di qualità (predicato), d'altra parte è innegabile che Essa non presenta alcun aspetto che non possa essere in qualche modo distinto dal resto e qualificato o idealizzato. 2° Accanto al carattere di immediatezza si riscontra in ogni singolo centro di sentimento la tendenza a trascendere 216 IL PROBLEMA FILOSOFICO la propria esistenza, e ciò perchè, essendo cesso finitu e trovandosi in relazione con qualcosa di esterno, possiede contenuti che non sono consistenti col dato e che pertanto si riferiscono, accennauo ad altro. È la natura interiore del this che lo spinge a sorpassare sè stesso, estendendosi verso ‘una totalità più elevata e comprensiva. Il suo carat- tere di esclusività poi implica il riferimento a qualcosa di estrinseco ed è una prova del necessario assorbimento nell’Assoluto. E appenachè cominciano a delinearsi delle distinzioni nel sentimento è evidente che la sua assolutezza e immediatezza scompare (1). La caratteristica vera delle vedute del Bradley si riscon- tra indubbiamente nel valove da lui attribuito al Vero, al Bello, al Buono. La Realtà suprema è l'Assoluto, il quale vive, opera e si muove nelle apparenze; queste che costituiscono l'Universo vero e proprio, hanno la loro origine nella separazione dell'idea dal fatto: separazione che si può seguire attraverso le varic sfere e province del Reale. Ed è a seconda che l'unione dell’elemento intelligibile col dato, a seconda che l'assunzione dell'apparenza al dominio della Realtà richiede una trasformazione maggiore o mi- nore, perchè possa dar luogo ad un sistema armonico e (1) Loc. cit. pag. 253. « I deny that the felt reality is shut up and confined within my feeling. For the latter may, by addition, be exten- ded beyond its own proper limits. It may remain positively itself and yet be absorbed in what is larger... The «mine» does not exclude inclusion in a fuller totality. » SECONDO IL BRADLEY 217 comprensivo insieme, che si è autorizzati a parlare di un grado maggiore o minore di realtà contenuta nelle appa- renze. Son questi i canoni fondamentali della concezione bradleyana: è da aspettarsi che alla stregua di essi siano valutati il Vero, il Bello e il Buono. Che cosa è la verità? La verità è pura apparenza, risponde il nostro Autor:: essa implicando la conoscenza, e questa la funzione giudicatrice, e l’ultima alla sua volta necessaria- mente la disgiunzione del what (predicato) dal that (soggetto), è chiaro che non può non essere apparenza: tanto è ciò vero che raggiunta (col riunire l'elemento intelligibile coll’esi- stenza) la vera e propria realtà, raggiunta, per così dire, la vita del Reale, è più lecito parlare di verità, ha più senso tale espressione? L'inconsistenza essenziale della ve- rità può essere stabilita così: fin tanto che vi è differenza tra il dato e il significato o contenuto ideale, la verità non è realizzata in medo chiaro e completo: e tosto- chè la detta differenza scompare, la verità ha per ciò stesso cessato di esistere. Ma qui si può osservare: Si è riletto innanzi a proposito della realtà dell’Assoluto che a tale affermazione si è per intima necessità condotti dalla idea che noi abbiamo dell’Assoluto stesso, dalla conoscenza assoluta che in certo modo condiziona e rende possi. bile ogni altra forma di conoscenza e di verità finita — quest'ultima sempre ipotetica e condiziona‘a rispetto a qualcosa di relativamente ignoto —, ora, come è possì- bile accordare insieme l'affermazione dell’esistenza della conoscenza assoluta con l’altra che la verità e. quindi la conoscenza è apparenza, perchè essenzialmente inconsi- stente e contradittoria? Il Bradley risponde che quando 218 IL PROBLEMA FILOSOFICO si parla di conoscenza assoluta non bisogna correre col pensiero ad una forma di conoscenza in cui si abbia la perfetta e completa compenetrazione del reale, l’ identifi- cazione della verità colla realtà, ma bensì ad una forma di conoscenza vaga, indeterminata, potenziale o virtuale intorno al Tutto, che vale come incitamento alla conoscenza particolareggiata. Nella conoscenza del Reale preso nel suo insieme permane la differenza tra il predicato (verità o conoscenza) e il soggetto (Realtà), per modo che quello figura sempre come condizionato da quel qualcosa di più, che è nel soggetto e non nel predicato, Il tipo e l'essenza in altri termini non possono giammai raggiungere ed esau- rire la realtà, giacchè l'essenza realizzata è troppo per essere semplice verità o conoscenza e l'essenza non rea- lizzata o astratta è troppo poco per essere reale. Sicchò anche l’assoluta verità in fin dei conti da un certo punto di vista può essere considerata come erronea (pag. 544). Va notato però qui che la verità assoluta intesa nel modo anzidetto non è intellettualmente correggibile, giacchè essa può esser corretta e svolta soltanto trascendendo l’intel- letto, nessuna alterazione di questo potendoci dare la realtà ultima. Può essere modificata solo tenendo conto di tutti gli altri aspetti dell'esperienza, con che la natura propria della verità viene a scomparire. La verità finita per contrario è sempre modificabile intellettualmente, potendo sempre es- sere estesa, armonizzata e completata mediante l’attività del pensiero; la verità finita insomma si può presentare come condizionata da un'altra verità d'ordine superiore. Anche il Bello va considerato a senso del Bradley come apparenza, in quanto esso racchiude del pari contradizione SECONDO IL BRADLEY 219 e quindi separazione od opposizione addirittura tra l’idea e l’esistenza, tra il « what » e il « that ». Considerando il bello per sè indipendentemente dalla relazione che esso necessariamente implica con un soggetto che lo contempla” noi troviamo che esso racchiude contradizione per questo, che mentre da una parte esige la piena concordanza e l'unificazione del contenuto col dato, dall’altra parte ciò riesce impossibile, trattandosi di un oggetto finito in cui i due aspetti del criterio della realtà — l’armonia e l’esten- sione o la comprensività — sempre divergono almeno par- zialmente. Invero nel bello o l’espressione è imperfetta e inadequata, ovvero il contenuto espresso è troppo ristretto, troppo meschino; in entrambi i casi vi è differenza di ar- monizzazione o di comprensività, vi è discrepanza interiore e quindi un grado minore di realtà. Il contenuto del bello — che già in quanto determinato da ciò che è al di fuori, non ha la sua ragione di essere in sè — da un canto tende a trascendere la sua estrinsicazione attuale e dall’altro in questa stessa nel maggior numero «dei casi non può non rivelarsi di molto inferiore alla Realtà. | Ma il bello non può essere considerato indipendentemente dal soggetto che lo contempla, onde si può dire che è determinato da una qualità subbiettiva e quindi estrinseca ad esso. Dovendo essere rappresentata e dovendo insieme produr- re un sentimento nel subbietto, la bellezza viene al essere caratterizzata internamente da ciò che è posto al di fuori. Ciò posto, come non parlare di apparenza quando la vita del bello implica una relazione estrinseca ? Vero è che la rela- zione può sparire col parziale o totale assorbimento dell’io senziente e percipiente, ma per codesta via la bellezza come tale viene a svanire. 220 IL PROBLEMA FILOSOFICO Passiamo al Buono — È anche questo un'apparenza? Il Bradley non esita a rispondere di sì; anch'esso, infatti, come la verità, implica disgiunzione e quindi sforzo per uni- ficare l’esistenza con l’idea ; con questa differenza che nella verità noi partiamo dall’esistenza per completarla ideal- mente, rendendola intelligibite, mentrechè nel buono noi cominciamo dall'avere un'idea di ciò che è bene e dipoi ci sforziamo di attuarla o di trovarle attuata nell'esistenza. Pertanto il buono come il vero implicano separazione del « what » dal « that » e un processo nel tempo. Le contradizioni presentate dal buono in genere e dalla moralità in ispecie sono numerose. Tra le altre meritano di essere ricordate le seguenti: 1° l'essenza del buono è riposta nella disgiunzione dell'idea dal fatto, disgiunzione che nel corso del tempo non scompare che per riapparire di nuovo; ed anzi giova notare che scomparendo essa definitivamente, non si avrebbe più il buono nel vero senso della parola. — 2° Da una parte il buono appare atto a qualificare ciò che non è sè stesso, in quanto la bellezza, la verità, il piacere, le sensazioni possono tutte essere considerate come cose buone, ma dall'altra parte il buono non è tale da esaurire la natura della totalità delle cose, ciascuna delle. quali contiene qualcosa di proprio ; onde consegue che il buono non è nel Tutto e che il Tutto come tale non è buono. — 3° Inteso il buono come la realizza- zione della perfezione, e riposta quest’ultima nell’attuazione dell'armonia e insieme della comprensività di un sistema, sì presenta la questione se tra perfezionamento dell’indi- viduo o affermazione dell'io e perfezionamento della Collet- tività o sacrificio dell'individuo — che rappresenta solo una SECONDO IL BRADLEY | 221 parte del Tutto — non vi sia mai contradizione, nel qual caso è necessario determinare se il buono sia riposto nell’affer- mazione dell'individuo o nel suo sacrificio. — 4° Tanto i fini puramente egoistici quanto quelli altruistici suno inconse- guibili ; giacchè l'individuo per sè non può divenire centro di un sistema armonico e l’attuazione dell'ideale sociale non può avvenire in modo completo fin tanto che persiste l'affermazione del proprio io; e nel caso che l'individuo venga assorbito nel Tutto, non è lecito più parlare di Buono. | La moralità stessa considerata come l’identificazione del volere individuale coll’idea formatasi dall’individuo della propria pertezione implica contradizione; il volere indivi- duale infatti è sempre determinato da qualcosa di estrinseco, è spesso relativo a contingenze naturali e dipendenti da fatti che non sono sotto il dominio dell'attività conoscitiva indi- viduale; dal che cousegue che la moralità stessa è spinta a trascendere sè stessa in qualcos'altro che non è più moralità; questo qualcos'altro è la religione, per la quale tutto è espressione di una volontà suprema e per la quale quindi tutte le cose sono buone. Se non che dal punto di vista religioso l’io finito deve perfezionarsi, deve cioè conformare il volere individuale al Bene supremo; in caso contrario il male permane ed è qui riposta la contradizione della religione, ord’essa si rivela anche apparenza e non realtà. Il punto centrale della reli- gione infatti, è la fede non meramente teoretica, ma pratica; per il che essa da una parte implica il credere puro e semplice e dall'altra l’operare come se non si credesse. La sua massima è: Esser certi della vittoria finale del Bene e nondimeno 229 IL PROBLEMA FILOSOFICO operare come se tale certezza non esistesse. Tale discre- panza interiore pervade tutto il campo della religione. Giacchè la religione è anche apparenza si può sperare salvezza nella Filosofia ? Se la religione fosse nient’ altro che una forma di conoscenza, la risposta non potrebbe ese sere che affermativa e per quel tanto che la religione contiene di conoscenza essa passa e in certo modo si'com- pleta, consumandosi, nella filosofia, ma l'essenza delta reli- gione non è riposta nella conoscenza come d’altra parte non è riposta nel puro sentimento, ma piuttosto nel tentativo di esprimere la realtà del Bene per mezzo deile varie forme del nostro essere. Da tal punto di vista I religione è qualcosa di diverso e di più elevato della filosofia. Del resto la filosofia avendo per obbietto le verità ultime, e la verità in qualsiasi forma essendo apparenza, essa non può non essere risguardata anche come apparenza, La sua debolezza è posta in ciò, che essendo un prodotto dell’at- tività intellettuale, non può non presentarsi quale manife- stazione unilaterale e quindi inconsistente dell’Assoluto. La Realtà deve necessariamente soddisfare tutto il nostro essere; le nostre esigenze fondamentali in ordine alla cono- scenza ed alla vita, in ordine al bello ed al buono devono in essa trovare il loro completo appagamento. Il che non può accadere che per via di una esperienza immediata e concreta nella quale tutti gli elementi dell'universo, sen- sazione, tono emozionale, pensiero e volere siano fusi in un sentimento comprensivo. E qui va notato che per gli esseri finiti è certamente impossibile sperimentare l'Assoluto : in altri termini è impossibile costruire la vita dell'’Assoluto nei suoi particolari, avere un'esperienza spe- SECONDO IL BRADLEY 2293 cifica della sua costituzione: ciò non esclude però che si possa avere una certa idea astratta e incompleta della sua natura. E le sorgenti di tale conoscenza sono: 1° Il sen- timento in cui noi sperimentiamo un tutto complessivo che da una parte accenna a differenziamenti, mentrechè dall’al- tra non presenta relazioni e qualità nettamente distinte. É questa esperienza primitiva che per quanto imperfetta, è sempre valida a suggerirci l'idea generale di un'esperienza. totale e complessiva in cui pensiero, volere e sentimento siano fusi insieme da formare una cosa sola. 2. Le differen- ziazioni e le relazioni di qualunque specie siano, una volta sorte nella coscienza, mostrano la loro tendenza accentuata ad essere assorbite nell’Unità, nel Sistema. 3. Le idee del buoro, del bello ecc., menano per vie differenti al medesimo risultato, in quanto più o meno chiaramente implicano l’e- sperienza di un Tutto che trascenda le relazioni e le diffe- renziazìioni. Con questi mezzi noi possiamo formarci l’idea cenerale di una intuizione assoluta în cui, eliminate le distin- zioni fenomenali, il tutto si presenta in molo immediato e cenerale. In conclusione, Ja conoscenza reale e positiva dell’Assoluto è fondata tutta sull'esperienza psichica, una volta che questa venga estesa, armonizzata e completata. — « My way of contact with Reality is through a limited aperture, For I cannot get at it directly except throungh the felt « this », and our immediate interchange and transfluence takes place through one small opening. Eve- rythingh beyond, though not less real, is ap expansion of the common essence which we feel burningly in this one focus. Aus so in the end, to know the Universe, we must fall back upon our personal experience and sensation. » ‘224 I PROBLEMA FILOSOFICO Tali sono le ilee fondamentali emesse dal Bradley circa la Realtà e l'Assoluto, idee che sono ben lontane dal for- mare un vero sistema. Nel sottoporle ad un rapido esame critico nvi non scenderemo ad. analisi minuto e partico- , lareggiate, ma mireremo a determinare il valore e il si- gnificato dei punti salienti della dottrina, volgendo uno sguardo sintetico all'insieme, Cominciamo dal fissare quale è il punto di vista e quale il procedimento del filosofare del Bradley. Il filosofo inglese non ha preso le mosse nè dall'esperienza volgare, nè da quella propriamente scien- tifica, non è partito, cioè, da alcun ordine di fatti, ma sì è, per così dire, chiuso nel suo pensiero ed alla stregua delle leggi di questo ha giudicato delle idee fondamentali, ordinariamente ammesse dagli scienziati e dai filosofi. Egli non fa che passare a rassegna e sottoporre ad esame i punti di arrivo e di fermata dei suoi predecessori e dovunque riscontra contradizione, pronuncia la sentenza : Tuttociò è apparenza, non realtà. Parrebbe che egli prima di tutto dovesse approfondire la nozione di apparenza e quella di realtà, una volta che egli pone come base del suo filo- sofare la distinzione appunto dell'apparenza dalla realtà. Che cosa è l'apparenza? Qual'è la sua origine? Quali i suoi presupposti ? sono questioni che non possono essere trascurate da chi voglia filosofare sul serio. Dire sem- plicemente : tuttociò che non ‘è consistente o non si man- tiene identico con sè stesso, tuttociò che si rivela contra- dittorio è apparenza, è dire pressochè nulla. Che tuttociò SECONDO IL BRADLEY 225 che racchiude contradizione non sia reale, non v'è chi possa metterlo in dubbio: ma da dir ciò ad affermare che il contradittorio implichi apparenza molto vi corre. Egli, è vero, ha affermato che l'apparenza è controdistinta da questo carattere, che la contradizione in essa esistente può essere risoluta in un ordine superiore e più elevato di esperienza, ma ognuno comprende che finchè non sì ag- giunge altro, non vi è ragione di dichiararsi soddisfatti. Si può ad esempio domandare: È lecito parlare di appa- renza quando non si ammette un soggetto a cui la Realtà appare e quando l’unica via per cui la Realtà stessa ap- pare — centro di sentimento, esperienza psichica ecc. — è pur essa apparenza ? Il movimento, il cangiamento, lo spazio, il tempo, l'attività, l'io, la cosa ecc., si dice sono apparenze: ma qual'è la loro origine? Perchè ci appaiono con tali e tali altre pro- prietà ? Ognuno intende che finchè non si sarà dato ra- gione di ciò, nulla di positivo e di determinato è lecito affermare (1). (1) E qui è bene notare che la più parte delle contradizioni riscon- trate dal Bradley hanno la loro origine nel fatto che egli sostantiva i processi e le attività, nel fatto che reputa una cosa fissa rigida, ciò che, essendo continuo, incessante scorre. — Ora ciò che è continuo non può essere misurato completamente che mediante il calcolo infinitesimale, e l' infinitesimo non essendo una quantità finita, non è possibile cogliere l'istante in cui le condizioni del presentarsi della contradizione veramente si verifichino, in cui cioè la dimostrazione per contradictionem sia sul serio applicabile. Così il movimento tra due punti dello spazio infinitamente prossimi avviene sempre nell’in- tervallo tra due momenti infinitamente prossimi, cioè mai il mobile è in due luoghi nello stesso tempo, mai in due tempi nello stesso 15 226 IL PROBLEMA FILOSOFICO Il Bradley presenta la Realtà come un sistema o inoltre pone come criterio per decidere del grado di realtà l’ar- monia, la comprensività, la consistenza reciproca delle parti componenti un tutto. È evidente che chi dice siste- ma, armonia, consistenza ecc. dice organismo e chi dice organismo dice relazione, interdipendenza degli elementi; ora l'Autore avendo affermato che la relazione è qualcosa d'inintelligibile, come mai può porre la stessa relazione quale criterio della realtà e intelligibilità e insieme pre- sentare la realtà stessa come costituita da un insieme di relazioni ? Le relazioni certamente implicano l’esistenza di un siste- ma: ma da ciò non si può dedurre che esse in genere siano qualcosa d’inintelligibilie. Il fatto è che il Bradley considerando a parte ed isolatamente ciascun concetto fondamentale (qualità, relazione ecc.), fa presto a riscon- trarvi degli elementi contradittori. Tale procedimento è erroneo; i vari concetti vanno messi in connessione tra loro in modo da integrarsi a vicenda. Che cosa è la Realtà ? È l’esperienza, risponde il filosofo inglese. Di qui la necessità di domandare: E che cosa é luogo, ma sempre la serie dei punti e dei momenti si svolge con perfetta corrisponlenza nella continuità del movimento (Cfr. Masci, Un Metafisica antievoluzionista. Napoli 1887). Lo stesso ragionamento può esser valido a dimostrare la falsità dell’affermazione che la cau- sazione non esiste per questo che non è ammissibile nè un azione causale continua nè una discontinua, data la divisibilità infinita del tempo. E la difficoltà che l'Autore prova ad ammettere il continuo dipende dacchè non pone come punto di riferimento la coscienza in generale, Di ciò fu discusso disopra. SECONDO IL BRADLEY 227 l'esperienza ? Dall’insieme dell’opera del Bradley pare si possa ricavare che per lui l’esperienza è data dal complesso, dalla totalità della nostra vita psichica, prima che in que- sta sia sopravvenuta alcuna distinzione e differenziazione. Noi sentiamo di esistere, sentiamo di vivere; è in questo sentimento primitivo che è riposta l’esperienza immediata, la quale poi è l’unica via per cui noi possiamo penetrare nel Reale. Prima di ricercare quale concetto dobbiamo formarci di tale sentimento notiamo una contradizione in cui è caduto l’autore; mentre egli afferma recisamente che la Realtà si riduce all’esperienza psichica, alla « sentience », non meno recisamente e ripetutamente afferma che tutti i fatti psichici non sono che apparenze, perchè tutti in- volgono separazione del « what » dal « that, » tutti tendono a trascendere sè stessi. Non dice egli che la Realtà si ri- duce all’unificazione e fusione dei vari fatti psichici, unità e fusione che noi non conosciamo e non possiamo neanche imaginare, data la trasformazione che subiscono i vari elementi mediante l'unificazione? Ora, come si può ad un tempo dire che la Realtà è l’esperienza ? (1) Se l’io empirico — che è poi Ja medesima cosa dell'esperienza psichica pre- sa nel suo insieme — non è reale, come mai si può affer- mare che la Realtà è l’esperienza psichica ? Inoltre come sì può mettere d’accordo l’asserzione che il contenuto della Realtà è la sentient experience (sentimento) con l’altra che la Realtà risulti dalle attinenze, dalle relazioni che una cosa ha con le altre in modo che quanto maggiori son queste tanto maggiore è il grado di realtà attribuibile alla cosa stessa, chè (1) Op. cit. pag. 106-107. 228 IL PROBLEMA FILOSOFICO in sostanza il criterio della realtà posto nell'armonia e nella comprensività (inclusivness, harmony), non dice altro? Il sentimento poi inteso come l’insieme della vita psichica in cuì nessuna distinzione sia comparsa di io © non io, di sog- getto ed oggetto si presenta come qualcosa di così vago ed indeterminato — di subbiettivo e di individuale —, che non si riesce a comprendere come possa valere a fornirci una certa idea di ciò che sia la Realtà ultima, la Realtà, diremmo, ontologica. Esso già implica sempre il rapporto del soggetto con qualcosaltro, rapporto che è condizione essenziale della sua origine, comunque siffatto rapporto non sia avvertito come tale e insieme implica l’ esistenza di rappresentazioni, di imagini poste di rincontro o almeno distinte dal soggetto. Inteso quale cenestesi, vale a dire qualche risultato finale di una quantità di sensazioni orga- niche provenienti dai vari organi, ovvero infine come il grado infimo di psichicità, come sensazione e impulso ini- ziale ed elementare, non può mai essere presentato quale oggetto di esperienza atta ad esprimere la Realtà (1). A volte si direbbe che il Bradley prenda il sentimento come quel qualcosa che rende attuale un determinato contenuto psichico, ma, come tale, essendo qualcosa di eminentemente (1) Notiamo qui come per il nostro Rosmini il sentimento proviene dal rapporto del principio senziente (che può essere considerato dal punto di vista del Bradley una sostanzializzazione del « that »), col termine esteso che alla sua volta può essere considerato una sostan- zializzazione del « what ». Per il Rosmini, si noti bene, il principio senziente e il termine esteso per sè considerati, separati l'uno dal- l'altro, erano astrazioni non altrimenti che il what e Îl that. Vedi. DE SaRLO : Le basi della Piscoloyia secondo Rosmini, Roma 1893. SECONDO IL BRADLEY 229 subbiettivo ed individuale (individuum ineffabile) e avendo un contenuto particolare non può essere considerato quale simbolo di quella unità totale in cui il « what » coincide col « that » e in cui consiste la Realtà ultima ed obbiet- tiva. Da tal punto di vista il sentimento presenta tutte le contradizioni dell’esperienza sensibile. Non vi è via d'uscita: se si vuol considerare la Realtà come null'altro che la sentience, occorre considerare come reale l'io empirico quale si rivela per via del sentimento; occorre però sempre determinare e precisare la natura del sentimento. Notiamo qui che l’indeterminatezza del significato, la variabilità e contradittorietà del valore attri- buito all’ io dipese sempre da ciò che si confuse l'io em- pirico fenomenico con la coscienza in generale (Io nonme- nico, se così piace), e dacchè si credette di poter riporre la natura dell'io nell’ una o nell'altra funzione psichica, considerando le altre come secondarie e derivate; ora nulla di più erroneo e falso. * * x Passiamo ora a discutere della natura della conoscenza a senso del Bradley. La conoscenza per lui non ha altro obbietto che quello di qualificare la Realtà (soggetto), il che si può soltanto conseguire, idealizzando la Realtà stessa, disgiungendo il « what » (predicato) dal « that ». L'ideale verso cui tende la conoscenza è di far coincidere l' idea col fatto: tale ideale però non viene mai attuato in modo completo : e se ciò avvenisse, non vi sarebbe più ragione 230 IL PROBLEMA FILOSOFICO di parlare nè di conoscenza nè di verità: avvenuta l’uni- ficazione del « what » col « that » si avrebbe la vita vera e reale dell’Assoluto. La verità e la conoscenza in conse- guenza di ciò non può essere che apparenza come tutto quello che involge separazione dell’ idea dall’ esistenza. E tutto lo svolgimento della conoscenza e della vita psichica sì compie partendo dall'unità imperfetta e incompleta del sentimento, procedendo per via delle distinzioni e differen- ziazioni del contenuto psichico che implicano una quantità di relazioni e tendendo infine alla scomparsa e trasforma- zione di queste ultime in un sistema organico ed armonico che tutto comprende in sè, tendendo ad una forma di intui- zione e di vita universale di cui noi a mala pena possiamo formarci un'idea generale’ ed astratta. Da tal punto di vista gl’individui sono forme della vita universale che in essi si divide e insieme si concentra ner modo che non solamente possono apprendere a conoscere sè stessi, ma anche l’Universale e il Tutto che in essi vive, opera è si muove. E la funzione conoscitiva e cogitativa consiste nel qualificare, nel caratterizzare, nell’ analizzare il detto uni- versale che si presenta nei centri del sentimento indivi- duale. Ora, anzitutto non si riesce a comprendere in che cosa possa consistere lo stadio finale della conoscenza detto intuitivo, lo stadio in cui la conoscenza vera e propria sì annulla in qualcosa di superiore e di più elevato ; in ogni caso se ciò si verificasse, si avrebbe un regresso e non un progresso: il pensare discorsivo (il giudicare) lungi dal rappresentare un’imperfezione rappresenta la via, l’unica via per cui la Realtà acquista valore, consistenza e signi- SECONDO IL BRADLEY 231 ficato. L'unione del « what » col « that » non è che un prodotto della fantasia individuale. Oltre la conoscenza vera e propria non è possibile quindi ammettere uno stato superiore e più clevato. Si dovrà forse ammettere una doppia vita nel Reale, la vita quale sì esplica nei « centri di sentimento » (vita del pensiero) ed un’altra vita d'or- dine superiore? Ed una tale opinione come si concilia con l’altra che il Reale non è nulla al di fuori delle appa- renze ? Poi, è assolutamente contrario al vero affermare che il progresso e lo svolgimento della conoscenza sia in rap- porto diretto colla trasformazione del processo discorsivo e successivo in processo intuitivo ed - estratemporaneo. L'intuizione stessa infatti allora solo acquista l’ evidenza necessaria quando interviene l’attività del pensiero, per così dire, a scorrere dall'uno all’altro elemento della rap- presentazione totale per compararli, misurandoli. L'essenza del pensiero e della conoscenza è riposta nella proprietà di stabilire rapporti tra le cose: tolti i rapporti non si avrà conoscenza, c nemmeno vita psichica, giacchè la psicu- logia moderna ha messo in sodo che la legge della relatività è legge psichica fondamentale. E l'intuizione è soltanto la causa occasionale dell’ evidenza immediata, mentreché il vero fondamento di questa si trova nella natura collega- trice e comparativa del pensiero. Si direbbe che per il Bradley la conoscenza cominci coll’ analisi, collo scumporre il dato che vive in ciascun centro di esperienza individuale, ma è ammissibile ciò ? L'esistenza di questo dato non deve essere considerata già come un primo stadio di conoscenza ? Se si vuol rimanere sul terreno dei fatti che ci vengono suggeriti dalle accu- 232 1L PROBLEMA FILOSOFICO rate analisi psicologiche e gnoseologiche non vi ha dubbio alcuno che la conoscenza debba essere considerata come una specie di successiva sostituzione di una forma di coscienza ad un’altra forma di coscienza, di un contenuto psichico ad un altro contenuto psichico, di una forma di relazione tra soggetto ed oggetto ad un’altra forma: sosti- tuzione che ha lo scopo di porre in luogo del subbiettivo, dell’individuale e del contradittorio, l’obbiettivo, l’univer- sale, il coerente. La conoscenza in tanto è possibile in quanto il Reale assume una particolare esistenza nel sog- getto individuale e da tal punto di vista è veramente lecito affermare che ogni conoscenza implica la separa- zione di un dato contenuto dalla propria esistenza: la sensazione, l’imagine, la rappresentazione ed anche l’idea o il concetto sono fatti psichici che non vanno iden- tificati col fatto. D'altronle tutta la conoscenza non va forse riguardata come una costruzione fatta coi detti ma- teriali o elementi psichici (sensazione, rappresentazione, concetto) ? La realtà in quanto conosciuta è successiva- mente e sempre più perfettamente sensazione, percezione, imagine, concetto, o per dirla altrimenti, qualità sensibile, cosa, essenza. L'elemento della conoscenza scientifica è il concetto : sapere scientificamente vale sapere per con- cetti: ma il concetto obbiettivo, il concetto reale e con- creto è la verità della sensazione e percezione, e non vi è senza di queste. E ciò che dal nostro punto dì vista importa massimamente di ricordare è che la funzione rela- tivista o di riferimento che compone i singoli elementi della serie non è diversa da quella che li connette poi nelle formazioni e processi logici e finalmente nei sistemi più SECONDO IL BRADLEY 233 vasti che sono le scienze: per modo che la conoscenza risulta omogenea nelle parti e nel tutto (41). Chiamare la conoscenza un'apparenza è per lo meno as- surdo : se tale espressione può avere un senso, questo è che la conoscenza falsifichi in qualche modo la realtà; ma per poter affermare ciò prima di tutto bisognerebbe aver potuto apprendere per altra via la natura vera della realtà e di tale apprensione immediata non parlò mai il Bradley, e poi conoscere l'apparenza come apparenza equivale a conoscere la verità; un'apparenza conosciuta come tale non è più apparenza. E una conoscenza che apprende la realtà . può essere più chiamata ragionevolmente apparenza ? E come mai è concepibile una realtà sfornita di quella rela- zione essenzialissima che è la conoscenza, che è poi il rife- rimento ad una coscienza o ad un soggetto in genere ? Anzi come maisi può affermare una tale realtà? Separare assolutamente il vivere dal sapere di vivere è impossibile. La vita, la realtà implica una forma qualsiasi di interio- rità e questa alla sua volta una forma di unificazione del molteplice che è la caratteristica ultima della cono- scenza (processo di analisi e sintesi insieme). E che altro è questo se non il primo germe dell’ indissolubile legame che tien uniti la realtà, l’attività, l’interiorità e la cono- scenza ? In conclusione diremo che affermare che la conoscenza è semplice apparenza e che come tutte le apparenze, è manchevole, imperfetta, insufficiente, equivale a scindere (1) Cfr. a tale proposito Masci, Lezioni di Filosofia teoretica fatte nella R. Università di Napoli. 234 IL PROBLEMA FILOSOFICO arbitrariamente la realtà in due parti ed a rendere incerta la conoscenza stessa dell’apparenza. Tutte le apparenze che formano come a dire la struttura dell’ universo, sono spiegate dal Bradley per mezzo del processo di disgiunzione dell'idea dal fatto, del « what » dal « that » corrispondente. Una volta che l'Assoluto si è scisso in una quantità di centri finiti di sentimento, il pro- cesso di disgiunzione si è andato sempre più estendendo e complicando fino a dare le forme di apparenze più svariate e notevoli, quali il Buono, il Vero, e il Bello Prima di vedere se il modo di concepire questi ultimi sia giusto, vediamo se il processo di disgiunzione del contenuto intel- ligibile dall’esistenza possa essere ammesso quale processo diremmo quasi, cosmico, giacchè la scissione stessa dello Assoluto nei detti centri di sentimento deve essere consi- derata come espressione dell’ inconsistenza iniziatasi in seno al Tutto. Il processo di distinzione e di differenziazione implica sempre questo, che il dato non coincide coll’idea. Se ciò non fosse, perchè la vita universale dovrebbe spez- zarsi in forme individuali ? Il Bradley veramente non dà alcuna dilucidazione in ordine a tale questione, che pure è importantissima dal suo punto di vista. Il processo di idea- lizzazione o di disgiunzione del « what » dal « that » in tanto è concepibile in quanto sì compie in un centro finito di sentimento; come mai può dunque esso venir riguardato quale processo universale ed obbiettivo? È vero che l'Autore ammette un Pensiero, una Volontà, un Sentimento obbiet- - tivo, elementi della Realtà ultima da differenziare profon- damente dalle corrispondenti funzioni spirituali subbiettive quali appaiono nel tempo e nella serie dei fatti psichici, x SECONDO IL BRADLET 235 LI ma noi non possiamo formarci alcun concetto positivo di una Ragione vbbiettiva assoluta per sè presa è posta di. rincontro a noi; l’idea dello spirito obbiettivo e del suo svolgimento storico è giusta, ma ha valore scientifico solo rel caso che è intesa nel senso di esistenza e di processo storico, di processo civè che si compia nel tempo e nello spazio per mezzo dello spirito subbiettivo e individuale. Una delle contradizioni del Bradley è questa, che egli mentre considera la conoscenza come pura apparenza e toglie ogni realtà al soggetto, risguarda i fatti più impor- tanti dell’esperienza psichica, quali è senso di spontaneità nelle sue varie forme, come qualcosa di derivato, come un pro- dotto della nostra riflessione. La nozione di attività, secondo il Bradley, implica l’idea dell’ Io che riesce a produrre un cingiamento, previa la rappresentazione del detto mu- tamento ; il che poi non è possibile se non coll’ interpre- tare in modo largo molteplici esperienze passate. Sicchè non si può attribuire al senso d’energia maggior realtà che al senso del nutrimento nel caso in cui si provi sollievo, mediante l'opportuno cibo, dai dolori della fame (1). L’ori- (1) Notiamo qui che la realtà non compete al senso di nutrimento, ma al senso della fame, come la realta primitiva o l'immediatezza non compete a ciò che consegue all’espansività, che è poi in fondo nient'altro che un’espressione dell’attività, ma al senso di espansività. In ogni caso il senso di sollievo prodotto dal nutrimento figura come indice dell’appagamento di un bisogno, di una tendenza, di una forma CI LI di attività che è quindi qualcosa di primitivo e di fondamentale. 236 IL PROBLEMA FILOSOFICO gine, infatti, del senso dell'attività è posta dall’Autore nel senso di espansione, di allargamento, per così dire, dell’ Io, il quale formato com'è di un gruppo di elementi intima- mente connessi tra loro, tende ad estendere i suoi legami ad altri elementi. Non bisogna però credere che l’espan- sione sia identica alla coscienza dell’attività, giacchè è solamente dopo che l’anima ha raggiunto un grado note- vole di sviluppo che si può avere tale coscienza, mentre l'espansione è primitiva. Quando dopo ripetute esperienze | siamo venuti a cognizione che a taluni modi del nostro Io conseguono dei mutamenti, noi allora cominciamo ad acquistare Ja nozione dell'attività o del volere. Insomma noi diciamo di essere attivi ogni qual volta il Non-Io (consistente in sensazioni esterne o interne, in percezioni o idee) subisce dei mutamenti in seguito all'idea ed al desiderio formato dall’Io. Tale espansione della nostra area, come dice il Bradley, comincia dal darci un certo senso interpretato come qualcosa che dall’ Io passi al Non- Io; è ih questo qualcosa che propriamente consiste l’ener- gia, la forza, la volontà, ecc. Il Bradley prosegue ancora l’analisi dicendo che quando il gruppo dell’ Io è come a dire contratto dal Non-Io, men- tre dall’altra parte un’ idea piacevole di espansione è sug- gerita, si prova un senso di oppressione ; e quando ì limiti di resistenza ordinaria son mossi e l'espansione ideale, progredendo sempre, è attuata solo in parte con varie oscillazioni si prova quel senso speciale detto di tensione e di sforzo. È naturale che da tal punto di vista l’attenzione nelle varie sue forme non possa essere più considerata né come una facoltà speciale, nè come funzione particolare SECONDO IL BRADLEY 237 della mente avente sede in un dato organo cerebrale ; l’at- tenzione al pari della memoria e dell'intensità viene ad essere riguardata come una qualità generale appartenente in vario grado a tutti gli elementi psichici: anzi si può dire che l’attenzione e l'intensità vengano pressochè a formare una cosa sola. Date certe condizioni che facilitino il predominio di un fatto psichico nella coscienza (in ciò sta il carattere essenziale dell'attenzione), deve avvenire che taluni elementi sensorali o ideali divengano prominenti ed emergenti rispetto al resto, e per ciò stesso appaia inde- bolita l’ intensità degli altri. Il Bradley poi non attribuisce un valore essenziale al fattore muscolare, prima perchè in molti casi in cui ha luogo l’attenzione quello è escluso, poi perchè anche quando è chiamata in esercizio l’attività muscolare o direttamente sopra un organo percipiente, ov- vero indirettamente col movimento di tutto il corpo, la prima causa dell’azione muscolare va cercata in un’ idea o in un sentimento precedente. È l’idea, e più di tutto l'idea dell’ interesse che si può avere per un dato fatto psi- chico, che ci dà la chiave per intendere il meccanismo dell'attenzione dalla forma più semplice alla più complicata. E la coscienza dell’energia interiore è perfettamente ridu- cibile al predominio nella coscienza dell'idea dell’ Io che attendè ad una data cosa. Che giudizio si può portare su tale veduta del Bradley? Certamente essa ha grande valore in quanto prova a suf- ficienza che l’attività psichica non va intesa come corre- lativo, per così dire, necessario dell’ attività motrice. Il Bain, il Miinsterberg ed altri avevano asserito che senza le sensazioni muscolari o almeno senza le sensazioni d’innerva- 238 IL PROBLEMA FILOSOFICO zione motrice lo spirito è incapace di sentirsi in alcun modo attivo ; per loro quindi la forza, l'energia psichica, base dell'individualità, non poteva avere che una sola origine, il movimento; il fatto interiore dell’attività era considerato come un semplice reflesso di un fenomeno esterno, quale è la mozione. Ora da tal punto di vista l’analisi psicologica del Bradley è stata utile, perchè ha mostrato che tutti i processi intellettuali sono per sè attivi, e, date certe con- dizioni, tutti indistintamente sono in grado di svolgere energia sotto le forme più differenti. Non soltanto nella forma in cui si rivela attivo alla coscienza, ma in molteplici altre forme lo spirito è causa agente. Cade così l’ ipo- tesi di un organo speciale dell’attenzione, o dell'attività psichica in genere: allo stesso modo che non vi è un or- gano particolare della vita, così non vi può essere un organo particolare dell'attività nelle varie sue modalità (sforzo, attenzione, volontà ecc.). L'attività psichica a dati stimoli e in determinate con- dizioni reagisce in vari modi e secondo che la percezione immediata di talo reazione si fonde con uno o coll’altro degli effetti che vengono prodotti nell'organismo (sensa- zione muscolare, p. cs.), assumerà un colore particolare. L'errore degli analizzatori superficiali fu quello di credere che i fatti organici, i quali servono in certo modo a fis- sare, a determinare e a dare un nome alle formé dell’at- tività psichica, costituissero il fatto essenziale ed ultimo. Il Bradley infatti mostrò che l’attenzione può assumere varie forme, da quella in cui si ha coscienza di un di- spiegamento notevole di attività a quella in cui non se. ne ha alcuna coscienza; eppure l’attività psichica esi- SECONDO IL BRADLEY 239 ste sempre, ed è imprescindibile in tutte le funzioni mentali. Se non che due sono, secondo noi, i difetti dell’analisi del Bradley. Da una parte egli parla di idee e di rappre- sentazioni che possono avere il predominio nella coscienza, parla dell'interesse che si può avere per un dato obbietto o per una data operazione, parla della tendenza espansiva, ecc., senza porsi mai il problema se e fino a che punto tutto ciò sia compatibile col non ammettere la realtà del soggetto : egli infatti parla dell’ Io come di un composto, di un aggregato di elementi psichici; ora un tale concetto contradice necessariamente al concetto dell’ espansività come fondamento «del sentimento : giacchè in forza di che ed a quale scopo quel gruppo di elementi psichici formanti l'Io tende ad espandersi ? E l’attività delle idee e delle rappresentazioni per cui esse emergono nella coscienza donde vien loro? E senza l’unità del soggetto come è spie- gabile l'interesse che pure forma il caposaldo della teoria del Bradley? E qual'è il fondamento del legame esistente tra i vari fatti psichici? Non suppone forse agni nesso ed ogni rapporto un'unità ed identità fondamentale? Non basta ancora: egli ammette che si possa avere l’idea di un'idea in quanto l’idea pura e semplice di una cosa riguarda il suo contenuto logico, mentre l’idea d'una idea consiste in uno stato psichico che include un'altra esì- stenza psichica attuale. Ora come mai sarebbe possibile un tal fenemeno senza la realtà ed attività od efficacia . del soggetto capace di riflettere sul!e stesse sue operazioni e capace di rimanere identico a sè stesso attraverso: } cangiamenti ° 240 IL PROBLEMA FILOSOFICO Dall'altra parte il Bradley cade in errore quando tenta di ridurre l’origine del senso di attività ad un fatto mera- mente derivativo prodotto per mezzo dell’ interpretazione di esperienze passate, presentando così il senso di energia come un’appercezione del tutto illusoria. Niente di più falso. La percezione interna per cui noi giungiamo a co- gnizione di ciò che accade dentro di noi può avere un doppio senso, a seconda che noi vogliamo intendere con essa l’esperienza immediata, ovvero la riflessione su ciò che è offerto da quella. Dobbiamo distinguere per così dire il vivere dal sapere di vivere. L'esperienza immediata è la vera sorgente di tutti i dati di fatto, mentre la riflessione rappresenta il mezzo di generalizzare, riconoscendole, le no stre esperienze; e supponendo che nel corso dello sviluppo mentale siano state formate nozioni e parole per i singoli stati interni, la percezione interna intesa nel secondo modo, cioè come riflessione, consisterà nella sussunzione di un deter- minato fatto psichico sotto la nozione ad esso spettante; sussunzione che può esplicarsi in un giudizio vero e proprio, ma per lo più si riduce ad una semplice denominazione. La riflessione in ogni caso non può mutare il dato di fatto dell’esistenza di un fenomeno. Donde consegue che quando noi, mediante la riflessione, diamo un nome od anche giu- dichiamo un fatto immediato della coscienza, il quale offre dei caratteri distintivi da non poter essere confuso con altre sensazioni o sentimenti, noi non possiamo aggiungere nulla di nuovo. Il riflettere insomma non può creare nulla e quindi non può darci un sentimento quale fatto imme- diato della coscienza, ma solo può dare un nome e mettere in forma di proposizione ciò che già esisteva. nel co SECONDO IL BRADLEY 241 . | I Ed in ciò sta la differenza tra l’esperienza immediata d e l’analisi, giacchè la prima ci mette in contatto con la realtà, mentre la seconda verte sulla scomposizione del fatto reale nei suoi vari elementi. Alla genesi del senso di i attività, concorrono, è vero, parecchi elementi, ma questi sE producono un qualcosa che si rivela alla coscienza in modo I semplice, immediato ed irreducibile; e, ciò che più im- i porta, non è la ricognizione dei detti elementi quella che Ì ci fa provare il senso di attività: la riflessione o ricogni» a zione è posteriore all’ insorgenza del fatto immediato della coscienza. Del resto si comprende agevolmente che tutte le interpretazioni, tutti i ragionamenti e tutte le riflessioni fatte sopra i dati psichici non potrebbero mai dare origine a nuovi dati. Pensare sopra le modalità dell’attività pre- suppone già la percezione immediata dell’attività stessa. Del resto il Bradley stesso, pur servendosi di altri nomi, non solo parla della coscienza e dell’io come di un'’atti- vità, ma anche di un'attività che si propone dei fini e sce- glie i mezzi per giungervi, di un'attività che può trovarsi in lotta con altre forze psichiche e resistervi e farle anzi concorrere al proprio intento. Nè poteva essere diversa- mente: la recettività e la reattività nella psiche non sono due fatti distinti, i quali possano venire studiati l'uno in disparte dall’altro, giacchè essi concorrono ad una sola operazione, per modo che l'uno rende valido l'altro, il quale da sè sarebbe nullo. Non si può concepire una forma qualsiasi di Attività, e sia anche l’espansività bradleyana, che non implichi un grado di coscienza: è parimenti la coscienza riesce impensabile separata dall'attività. Va notato infine che la percezione immediata si distin- 16 242 IL PROBLEMA FILOSOFICO gue dalla pura rappresentazione, da quella che potrebbe esser chiamata percezione mediata, derivata, reflessa per questo che la prima è più che semplice rappresentazione, è sopratutto sentimento derivante dalla cooperazione di tutto l'essere fisico e psichico: ora chi può negare che la percezione dell'attività lungi dal presentarsi coi carat- teri di una semplice ilea o rappresentazione, di un con- tenuto distaccato dalla matrice reale, è invece in modo precipuo sentimento ? Dicemmo già disopra che il Vero, il Buono ed il Bello per il Bradley non sono che apparenze, le quali se ac- cennano alla Realtà, non sono la Realtà. A noi sembra che tutto il ragionamento dell'autore poggi su presupposti falsi. Così egli muove dal principio che l'ideale verso cui tende la conoscenza è l’identificazione e l’unitica- zione del pensiero con l'essere, ideale che, se raggiunto, me- na dritto all'annientamento della conoscenza e quindi della verità stessa, giacchè in tal caso si avrà la Vita, il Reale, non più la scienza della Vita e del Reale, in altri termini sì vivrà il Reale e null'altro. In tal guisa la conoscenza è essenzialmente contradittoria : da una parte essa non è possibile che sotto la condizione che vi sia distinzione e differenziazione nella realtà (pensiero ed' essere) e dal- l’altra parte il suo svolgimento e la sua perfezione è ri- posta tutta nel togliere via qualsiasi distinzione e diffe- renziazione, è riposta, cioè, nel suo annientamento. Ora è evidente che l’errore del Bradley è nell’aver creduto che SECONDO IL BRADLEY 243 la conoscenza miri all’ identificazione ed all’ unificazione completa del pensiero con l’ essere, mentre essa ha per intento di trasformare il contenuto subbiettivo e indivi- duale della coscienza in contenuto obbiettivo ed universale; intento che può essere ottenuto non già annullando il fat-. tore della coscienza — come dovrebbe avvenire se, giusta le idee del Bradley, l’ideale ultimo della conoscenza fosse l'identificazione e l'unificazione completa del pensiero con: l'essere —, ma sostituendo, anzi aggiungendo al semplice ed esclusivo punto di vista della coscienza individuale il punto di vista della coscienza in genere. In tal guisa il fattore della coscienza persiste sempre, tanto è ciò vero che a misura che la conoscenza progredisce l’ individuo acquista coscienza della propria cooperazione all'edificio della verità. L'ideale verso cui tende la conoscenza adunque non è l'assorbimento di uno dei termini nell'altro, ma, diremo così, la maggior visione dell'uno per mezzo del pre- dominio dell'altro. Il fatto è che io acquisto più coscienza di me stesso come essere finito, subbiettivo, individuale, quanto più mi pongo a considerare le cose dal punto di vista obbiettivo ed universale. La coscienza individuale quando guarda con l’occhio della coscienza universale non cessa di essere individuale, non si annulla nella coscienza universale. D'altronde la stessa coscienza universale non è fuori la coscienza individuale, ma concresce con questa non altrimenti che la vita generale di un qualsiasi essere organico cresce col crescere delle singole funzioni del me- desimo essere. Il processo della conoscenza, a noi sembra, si compie proprio in senso inverso a quello indicato dal filosofo in- 244 IL PROBLEMA FILOSOFICO: glese: il punto di partenza infatti è il contenuto rappresen- tativo o percettivo primitivo in cui l’imagine psichica è identificata con l'oggetto, anzi è presa per la sola realtà, in cui insomma non vi ha distinzione fra oggetto e rap- presentazione subbiettiva e si procede ponendo sempre più la realtà universale ed obbiettiva di fronte alla vita psi- chica subbiettiva ed individuale: ed a misura che l’edifi- cio della realtà vien completato diviene più viva la coscienza dell'attività individuale. Ed invero chi, se non l’intelli- genza dei singoli soggetti rende possibile la detta costru- zione? È sempre l’individuo che opera anche universaliz- zandosi. E la mente umana lungi dal tendere a confondere insieme i due processi, il subbiettivo l’obbiettivo, l' indi- . viduale e l’universale, tiene a tenerli distinti e distaccati: La conoscenza certamente implica una parziale identità del pensiero e dell'essere (del subbietto e dell’obbietto), ma insieme una parziale distinzione; nò ciò è in alcun modo contradittorio, giacchè l’ identità e la differenza sono con- dizioni della possibilità della conoscenza; non già condizioni contradittorie una della possibilità, l’altra dell'impossibilità. Se si bada che la conoscenza non s'intende per nulla se si prende come una mera rivelazione estrinseca, come una relazione meccanica (ed è questo l’errore principale, a noi pare, della filosofia del Lotze, il quale subordinò la rela- zione della conoscenza al rapporto causale) sì acquista la convinzione che la rivelazione della realtà alla coscienza, per essere soggettiva ed interna, non è meno oggettiva e vera. Dal fatto che la conoscenza implica due termini non deriva nient’affatto adunque che essa sia apparenza: tut- t'altro: piuttosto la Realtà una, identica, immutabile che, SESONDO IL BRADLEY 245 secondo l’autore, dovrebbe assorbire tutte le apparenze, trasformandole, si presenta quale creazione della fantasia senza alcuna consistenza. Lo svolgimento e il progresso della conoscenza nun è nient'affatto in rapporto diretto della riduzione di uno dei fattori della conoscenza all’al- tro, essendo entrambi indispensabili, irriducibili o aventi uffici differenti. Nè si può imaginare o concepire cosa mai risulterebbe dall’ unificazione e identità totale dei due termini della conoscenza: il Bradley crede che ne risul- terebbe la Realtà ultima: potrà essere: ma in tal caso bisogna dire che questa non solo è assolutamente incono- scibile, ma inconcepibile. Con che diritto adunque parla egli dell’Assoluto? La Realtà ultima si presenta come un grado inferiore di realtà, come qualchecosa sfornita per sè di valore e significato che le può venire solo da ciò che viceversa viene considerato come apparenza. Passiamo al Buono: anche questo, stando al Bradley, è apparenza e per ragioni affini a quelle per cui sono tali la verità e la conoscenza. Il Buono da una parte è con- dizionato dal distacco dell’ilea (che in tal caso riceve il nome d' ideale) dal reale, dal fatto, da ciò che esiste, e dal- l’altra ha l'obbiettivo di attuare l'ideale, di tramutare l’idea in fatto, vale a dire di annientare sè stesso. Ma oltre di questa il Buono implica una quantità di altre contradizioni dipendenti dalle sue varie determinazioni: così per quanti sforzi si facciano, il perfezionamento in- dividuale non può sempre coincidere col bene della col- lettività, come d'altra parte il maggior perfezionamento dell'ordinamento sociale trarrà sempre seco degli svan- taggi per l'individuo : la divisione del lavoro, per citarne 16° 246 IL PROBLEMA FILOSOFICO uno, produce lo svolgimento parziale ed unilaterale delle facoltà umane: e via di seguito. Qui faremo due osserva- zioni : 1. Il Bradley è spinto a considerare il Buono come apparenza dal presupposto che la realtà sia solo da riporre nell'attuazione completa dell'ideale, attuazione che figura come l'annullamento del buono : ora ciò è falso, giacchè la realtà consiste iuvece nel processo continuo che tende al- l'attuazione di un ideale, senza che questo sia mai attuato completamente per la ragione che esso non essendo qual- cosa di fisso, di s'abile e di permanente, assume sempre nuove forme, si eleva e si complica sempre dippiù. A_mi- sura che l’uomo s'avvicina ad un dato ideale, questo, tra- sformandosi e perfezionandosi, s' allontana ancora. E la realtà lungi dall'essere posta nell’attuazione completa del- l'ideale che è irraggiungibile, risiede in tutto il processo : in caso contrario bisognerebbe confessare che la realtà è come se non esistesse. La vita è nel movimento, nel pro- cesso e non nell’equilibrio stabile che invece è la morte. La religione e anche l’arte cercano di dare una forma e di personificare l’illeale, ma tuttociò non entra nella con- siderazione del Buono dal punto di vista metafisico. Il Bradley considera il buuno preso per sè, astraendo ‘dal fattore della coscienza in cui e per cui esiste. E cer- tamente il Buono risguardato come una « cosa » invece che come un processo inerente all'anima umana cume tale, non può non apparire contradittorio. Non è il buono che tende . all'annullemento «li sè stesso, ma è lo spirito umano che ha tra le altre funzioni quella (che sostantivata costitui- sce il Buono) di proporsi incessantemente dei fini alla cui attuazione esso si adopera, è lo spirito umano che ha delle SECONDO IL BRADLEY - 247 tendenze ed esigenze al cui soddisfacimento si affatica. E nessuno vorrà sostenere che nell’operare in tal guisa l’anima umana si contradica, ovvero tenda ad annullare sè stessa. È naturale invece che essa aspiri ad annullare, mediante l’appagamento, i suoi bisogni, che sono indizio di imperfe- zione e di manchevolezza. Se i detti bisogni rinascono sem- presotto novelle forme, ciò avviene perchè la realtà vera non è in qualcosa di dato, ma nel farsi. 2. Per quel che concerne l’ apparente contradizione e l'impossibilità apparente di derivare il bene individuale dal bene sociale e questo da quello, noteremo che tra le specie di cause c'è anche la causa reciproca, la quale è ammis- sibile purchè sia ben definita. La detta causa (che si ri- scontra in tuttociò che è organicamente costituito) non consiste in due cause di cui una produce l’altra ad ogni istante, ma di cui ciascuna ad ogni istante produce un ef- fetto della specie della prima e così via. Così un perfezio- namento nel sistema circolatorio può produrne uno in quello della respirazione e viceversa. Tra società e indi- viduo esiste appunto un rapporto causale reciproco in quanto il perfezionamento individuale è condizionato da . quello sociale e viceversa: i due si limitano, sì determi- nano a vicenda senza che a nessuno di essi possa essere attribuito un valore non diciamo assoluto, ma neanche pre- ponderante. E lo sbaglio del Bradley è quello di aver pen- sato che potesse considerare un elemento facendo astrazione dall’ altro, dal che conseguì che egli trovò contradizioni dappertutto. La moralità poi presenta una natura contradittoria pre- cipuamente per questo che essa è condizionata da qualcosa 248 IL PROBLEMA FILOSOFICO che non può csistere : tale è appunto la determinazione interna della volontà. Questa separata da qualunque ele- mento estrinseco è una pura astrazione : di qui la necessità nella moralità di trascendere sè stessa, passando in qual- cos'altro che non è più moralità: questo qualcos'altro è per il Bradley la Religione, ove domina la fede che tutto sia ed accada come deve essere ed accadere. Ci asteniamo dal discutere se questi passaggi da una sfera di apparenze in un'altra siano comprensibili e se abbiano alcun significato, essendo passaggi verbali anzichè reali. Il nostro filosofo vede un complemento della moralità vera e propria nien- temeno che nella rassegnazione fatalistica, la quale implica la separazione del volere dalla natura e l'affermazione che il volere stesso non può esercitare alcuna azione e pro- durre alcun effetto. Ognuno vede che in tal guisa il volere umano viene ad essere completamente snaturato, perchè viene ad esser distaccato dall'ordinamento sistematico delle cose. Ora non abbiamo bisogno di spendere molte parole per provare l'assurdità di una tale opinione e per mostrare le tristissime conseguenze che ne derivano: non solo non è lecito parlare in tal caso di progresso, di sviluppo e di perfezionamento, ma la storia stessa diviene un non senso. Tutta l’esperienza contradice ad una tale veduta. Dal fatto che il liberum arbitrium indifferentie è inammissibile non con- segue l'annullamento dell’attività umana e di quell’energia personale che è un potente fattore di vita e di movimento nel mondo umano. La contradizione che il Bradley trova nell'intima natura della religione si può eliminare con molta facilità ‘se si pensa che l'aver fede nel trionfo del bene non trae seco SECONDO IL BRADLEY 249 come logica conseguenza la paralisi della propria volontà, di ogni iniziativa individuale, l’annientamento di quella spontaneità che è la radice della personalità. Il trionfo finale del bene non è una quantità definita, fissa che, una volta ammessa, non è suscettibile di aumento, ma è invece una variabile che può sempre comportare l’azione di un nuovo fattore. Il trionfo del bene può essere assicurato per mezzo della cooperazione degli altri uomini; ma ciò forse trae seco l’inutilità della mia cooperazione? La co- scienza della mia dignità non mi spingerà a concorrere al risultato finale? Perchè l'individuo dovrebbe forzare la volontà all’inazione e quindi all’annientamento? Anche qui il difetto appare nell’aver distaccato il volere dalla natura e nell’averlo riconosciuto incapace di produrre effetti. Quanto al Bello va notato che l'oggetto estetico consi- derato per sè indubbiamente è un'apparenza in quanto la sua essenza è riposta nella rappresentazione concreta e determinata di un’idea, ma un’apparenza che è avvertita, I, per ciò stesso l’apprensione della realtà ? Considerato però l'oggetto bello sentita e riconosciuta come tale non inclu ed il soggetto senziente come parti di un tutto, come ele- menti di un unico processo, il fatto estetico non è più un’ apparenza, ma qualcosa di reale e di altamente reale. La realtà dell’arte e della bellezza così considerata va ripo- sta appunto nel processo suggestivo o significativo che si voglia dire, per cui una data percezione o rappresentazione è il punto di partenza dello svolgimento di un corso di fatti psichici atti a riempire ed a rapire l'animo di chi contem- pla. La sproporzione tra l’' espressione e il suo contenuto lungi dall’essere un difetto da cui il Bello aspiri a liberarsi, 250 IL PROBLEMA FILOSOFICO forma la sua sostanza. Il Bello ha raggiunto il grado com- pleto e perfetto di realtà quando una data espressione (par- venza), suggerendo un certo contenuto ideale, agisce in modo particolare sull’animo umano: onde consegue che non vi può essere tendenza a fare sparire o a trasformare in maniera più o meno completa quei rapporti e quei ter- mini che costituiscono l’essenza del bello considerato come un tutto 0 come un processo sottoposto a parecchie con- dizioni variabili entro certi limiti di grado, ma non di na- tura o di qualità. Come non esiste un Vero e un Bene obbiettivo, così non è a parlare di un Bello obbiettivo: ed anzi possiamo ag- giungere che tali espressioni non hanno nemmeno senso, L'errore del Bra:lley sta tutto nell’aver creduto di poter considerare per sè, sostantivandoli, il Vero, il Buono e il Bello separatamente dal soggetto: quale meraviglia quindi se dopo aver ridotto le astrazioni ad ipostasi, s'è accorto che queste contengono numerose contradizioni? Sicuro; il Vero, il Buono, il Bello come sono costruiti dal filosofo inglese sono null'altro che apparenze, perchè sono astrazioni. Ed egli in fin dei conti non sa trarsi d’impaccio se non dicendo che le dette apparenze tendono a trascendere sè stesse, trasformandosi, completandosi, perfezionandosi e pas- sando in qualcosaltro che è la Realtà ultima. Se non che questa non soltanto è un prodotto della fantasia, è una chimera, ma è essenzialmente contradittoria : infatti una. Realtà da cui viene esclusa la conoscenza, la tendenza a. porsi sempre dinanzi un ideale da raggiungere e la pro- prietà di sentirsi riempita l’anima da una rappresentazione concreta, atta a suggerire un processo ideale, una Realtà SECONDU IL BRADLEY 251 da cui è escluso ogni moto ed ogni vita, ogni esigenza di qualcosaltro, una Realtà che è pura immobilità e invaria- bilità, lungi dall’apparite allo spirito umano come la più alta e quindi come la Realtà ultima, si presenta come un grado infimo di realtà, se per giudicare di questa occorre fondarsi sul valore e sull’azione che è atta ad esercitare. Quello che ha valore è l’esistenza spirituale e il mondo che essa crea. Un mondo senza coscienza è come se non vi fosse (Lotze). La Realtà caratterizzata da ciò che dal comune degli uomini è riguardato come meno reale : ecco l’ultima espressione della filosofia del Bradley, il cui obbiet- tivo doveva esser quello di rimuovere le contradizioni di cui formicola il mondo delle apparenze. La Filosofia bradleyana in sostanza ha comune col na- turalismo l’errore di considerare la vita dello spirito sub- biettivo quale si presenta nella storia e nell’ esperienza umana, come un fenomeno secondario e passeggero. Così noi vediamo che la filosofia del Bradley, il quale finisce la sua opera con le seguenti parole: Outside of spirit there îs not, and there cannot be, any reality, and, the more that anything îs spiritual, so much the more is veritably real, portata alle sue ultime conseguenze e interpretata in modo completo mena alla negazione del soggetto e quindi dello spirito, dello spi- rito umano almeno che è quello chie noi conosciamo e che possiamo apprezzare. E la Realtà che doveva essere one experience, selfperviding and superior to mere relations, si mostra come trascendente ogni esperienza e quindi come una costruzione arbitraria e puramente fantastica. 252 IL PROBLEMA FILOSOFICO Una Metafisica che come questa del Bradley presenta molteplici elementi fusi insieme pone necessariamente l'e». sigenza della ricerca delle fonti. Notiamo anzitutto che le idee del filosofo inglese non si connettono con quelle della filosofia inglese tradizionale, la quale nelle sue indagini psicologiche e gnoseologiche segue un metodo prevalente- mente empirico. La filosofia del Bradley è una emanazione diretta della speculazione tedesca svoltasi segnatamente nella prima metà di questo secolo. Se noi volessimo fare un'analisi minuta e. particolareggiata delle vedute brad- leyane in rapporto alla loro origine potremmo agevol- mente mostrare come lo studio di ciascun filosofo tedesco abbia lasciato delle tracce nella mente del nostro autore: così il suo concetto di riporre il fondamento e la caratte- ristica delle apparenze nella disgiunzione del what dal that ricorda evidentemente il corrispondente concetto del- l’Hartmann per cui il distacco dell'idea dalla volontà segna l’ origine della fenomenologia dell’ Incosciente e insieme la condizione dello svolgimento della Coscienza ; il modo di considerare la realtà della natura ricorda evidente- mente la concezione del Lotze per cui la conoscenza o la rappresentazione dell'universo non è un'aggiunta accessoria all'esistenza indipendente di esso, onde la luce e il suono lungi dall'essere copie delle ondulazioni e delle vibrazioni da cui derivano o dall’ essere pure parvenze o inganni o qualcosa di secondario e di sopraggiunto sono il fine che la natura si è proposta di conseguire coi movimenti e che non può conseguire da sola, ma mediante l’azione sua so- SECONDO IL BRADLEY © 253 pra esseri sensibili. Da tal punto di vista la magnificenza e la bellezza dei colori e dei suoni, la molteplicità e l’in- tensità delle emozioni suscitate dalla natura nell’ anima di chi la contempla sono il fine della sensibilità nel mondo. Racimolando qua e là potrei moltiplicare gli esempi atti a provare che lo spirito del Bradley si è, per così dire, mo- dellato tutto sui grandi maestri della Metafisica alemanna : ma il mio compito è quello di ricercare piuttosto quali siano le fonti primarie e dirette del sistema, se così voglia- mo chiamarlo, del nostro autore. Ora queste a me pare si riducano alle due correnti della filosofia dell’identità e della filosofia herbartiana : ho detto della filosofia dell’ identità e non dell'hegelismo, come a prima vista si potrebbe esser tratti a credere, giacchè egli pur avendo tratto molto del suo nutrimento vitale dal sistema dell’Assoluto hegeliano, ha cercato di porre insieme, se non di combinare e fondere in un tutto armonico, le vedute di Fichte, di Schelling e | di Hegel, in quanto la Realtà per lui non è solamente pensiero, ma l’ unità del pensiero e dell’ altro (the Olher) l'identità del soggetto e dell'oggetto, del sapere e del volere (Fichte), della coscienza e dell’ inconscio, dello spirito e della natura (Schelling). Noi ci crediamo quindi autcrizzati ad affermare che le idee del Bradley sono state attinte dalla filosofia dell’iden- tità in ordine ai seguenti punti: 1° il passaggio o la tra- scendenza di un'idea in un'altra, di un grado di realtà in un grado più elevato fino a giungere alla Realtà assoluta, la cui vita armonica e comprensiva è considerata come una specie di esperienza intuitiva, di cui a mala pena possiamo formarci un'idea astratta e indeterminata; 2° la credenza nella più perfetta razionalità delle cose e quindi nell’otti- 254 IL PROBLEMA FILOSOFICO mismo più completo per cui tutte le contradizioni che si presentano nel mondo delle apparenze quali 1’ esistenza del male, del brutto, dell'errore, dell’accidente vengono considerati come momenti transitori della Realtà, anzi, di- remo meglio, come illusioni, le quali in un grado più elevato di esperienza scompaiono, perchè vengono radicalmente ar- monizzate col sistema totale ; 3° il concetto che tutto, anche ciò che sembra più falso ed erroneo, possa avere un certo grado di realtà, che insomma tuttociò che è' possibile sia fino ad un certo punto reale; 4° la concezione dello svol- gimento della vita psichica come di una successiva posi- zione di limiti da parte dell'io, di una successiva e inin- . terrotta trasformazione dell'io in non-io ; 5° il disperdimento della vita universale in una quantità di centri di esperienza | psichica limitati spazialmente e temporalmente per cui è resa possibile l’esistenza psichica subbiettiva o cosciente. Ma abbiamo detto che la filosofia del Bradley non è una derivazione pura e semplice della filosofia dell’ iden- tità, ma bensì della fusione di questa colla filosofia her- bartiana. Infatti se si pensa che il motivo del filosofare per l’Herbart è l'eliminazione delle contradizioni presen- tate dal pensare comune e che per lui il compito della filosofia sta nel passare dall’apparire all'essere e nell’in- tendere le ragioni ‘così della differenza come della relazione che passa tra l'uno e l’altro, nel ritrovar l'essere nello apparire e nel vedere perchè apparisca in quel modo; se si pensa che a senso del medesimo filosofo tedesco, la guida, la base e la norma essenziale per poter filosofare con vantaggio è fornita dal principio di contradizione, e che le apparenze contradittorie, le quali più richiamarono l’attenzione dell’ Herbart furono appunto lo spazio e il SECONDO IL BRADLEY 255 tempo, l'inerenza o la cosa e le sue proprietà, la causalità e il cangiamento, l'io e la relazione; se si pensa che per lo stesso filosofo il reale va risoluto in relazioni fisse, riducen- dosi l’accadere apparente ad effetto di prospettiva, — non sì può non convenire che il sistema herbartiano non meno della filosofia dell'identità hanno determinato le concezioni metafisiche del filosofo inglese da noi studiato. Questi prese dall’Herbart il criterio per giudicare della realtà (principio di contradizione) e il concetto dell’immu- tabilità e inalterabilità dell’essere, mentre dall’'idealismo. assoluto prese il concetto dell'unità armonica e compren- siva, il concetto del sistema totale delle cose. Herbart, infatti, mirava a intendere ed a spiegare il singolare, l’in- dividuo e di qui il suo pluralismo delle sostanze, mentre l’'idealismo assoluto aveva per intento sopratutto d' inten- dere l’unità, il sistema, la finalità. Ora si domanda: 41° La fusione compiuta dal Bradley in che modo propriamente avvenne? 2° Perchè avvenne così e non diversamente ? 3° É una fusione razionale ? i 4° Egli, appropriatosi il metodo dell’Herbart, non potè non giungere alla conclusione che l’ essere doveva essere inalterabile ed immutabile, ma d’ altra parte i concetti della « zufallige Ansicht », il metodo delle relazioni, la ‘ perturbazione e la conservazione degli enti, il loro essere insieme, le loro mutevoli relazioni, il loro luogo nello spazio intelligibile rivelandoglisi idee oscure, inintelligibili e spesso contradittorie, lo spinsero verso l’ Universale. Una delle analisi più accurate del Bradley fu infatti quella concer-. nente la qualità e la relazione per mostrare che esse si implicano a vicenda, ciascuna intendendosi soltanta per . mezzo dell’ altra. Respinti così come mere apparenze il 256 IL PROBLEMA FILOSOFICO pluralismo delle sostanze, le qualità semplici, il metodo delle relazioni, ecc., pose la realtà in un sistema individuale, in una specie di unità che tutte le apparenze comprende, ar- monizzandole e coordinandole tra loro. Una volta che le relazioni non sono delle essenze intermedie, nò vedute acci- dentali, riferimenti ausiliari che non importino punto alla natura della cosa, bisogna pensarle come stati delle cose stesse ed ogni cangiamento di relazioni come cangiamento di stati interni, ma perchè ciò sia possibile occorre che le cose siano concepite come modi o parti di un’unica essenza, di una sostanza ‘infinita; giacchè così ogni causalità non è causalità in altro, ma in sè stesso (Lotze). 2° Il pensiero del Bradley determinatosi per così dire in contrapposizione al concetto dell'evoluzione ed alla ten- denza propria della scienza contemporanea a voler tutto ridurre a divenire senza fermare in alcun modo l’atten- zione su ciò che diviene e perchè diviene, e modellatosi d'altra parte sulle obbiezioni volte dalla critica herbartiana al concetto del mutamento e all’ assoluto predominio della categoria della causalità, non potè non considerare l'essere quale immutabile e inalterabile ed escludente quindi qualsiasi forma di divenire. Ma d’altra parte le obbiezioni rivolte da quegli stessi che originariamente appartennero alla scuola herbartiana (dal Lotze, p. es.) ai concetti fon- damentali del maestro, le analisi critiche fatte dai filosofi contemporanei in genere e segnatamente dai criticisti, delle nozioni di sostanza, di rapporto, di qualità, non pote- rono non influire sul nostro filosofo in modo da fargli respin- gere la pluralità delle sostanze e quel carattere disgregativo ed atomistico del realismo herbartiano per cui questo non riesce a dar ragione dell’unità e del sistema. SECONDO IL BRADLEY 257 3° E la difficoltà sta tutta nella 'possibilità di porre insieme, non diciamo di fondere, la concezione dell’immu- tabilità dell’ essere con quella dell’ unità armonica del sistema totale che tutto comprende in sè, del sistema orga- nico che sì fa e non può non farsi, giacchè il sistema, l’ unità armonica non è un dato. Il germe non si può dire che sia la pianta come non si può dire che sia la pianta questa stessa presa in uno stadio determinato. La realtà della pianta è posta nell’uniîtà e continuità del processo che la rende possibile. Ora come si fa a conciliare l’unità e la continuità del processo con l’immutabilità, l’immobi- lità e l’ inalterabilità dell’ essere ? È evidente che questi sono concetti della nostra mente. Perchè le apparenze che come tali contengono già in sè un certo grado di realtà, possano assurgere al grado di realtà ultima, bisogna che trascendendo sè stesse, si trasformino in qualcosaltro: ora tuttociò non implica processo, non implica una forma di divenire? Nè vale il dire che detta trasformazione, detto processo è pura apparenza, è processo per quel centro finito di esperienza psichica che si trova in una data serie, ma non per l'insieme che è permanente, immutabile, inalte- rabile. Se l'Assoluto, come ripetutamente afferma il Bradley, non è fuori le apparenze, ma è le apparenze, se l'Assoluto è l'esperienza psichica interna, come mai può essere detto immutabile, inalterabile? In seguito a ciò è lecito affermare che nell’Assoluto non si compie alcun processo? Anzi pare che occorra dire che se ne compiono molteplici, infiniti for- s'anche. Che l’immutabilità riguardi le parti e non il tutto è un’altra questione; si varii, si muti pure una particella sola, ciò basta perchè vi sia processo e divenire vero, reale e non semplicemente apparente o effetto di prospet- 258 IL PROBLEMA FILOSOFICO tiva. É soltanto a chi contempla dal di fuori, a chi consi- dera, a chi medita sul Tutto, che questo preso nel suo insieme e quindi coi compensi reciproci che possono venire tra le varie parti, può apparire come qualcosa di immu- tabile: ma la realtà che vive, opera e si muove non può dichiararsi estranea al processo. L’immutabilità, la per- manenza sono concetti astratti, formati dalla mente, non fatti reali. L'uno e l'essere immutabile in tanto possono stare insieme in quanto sono considerati quali concetti logici astratti (a mo’ della scuola eleatica), ma nel fatto concreto l’ Unità sistematica comprendendo le differenze, non può non involgere processo, cangiamento e in conse- guenza moto e vita nelle parti. Delle due l'una; osi ferma l’' attenzione sull’ individuale e si avrà l’immutabi- lità, ma non si darà ragione del sistema e dell'unità totale, ovvero si ferma l’attenzione sull’ universale ed allora per poter dar ragione della differenziazione, dalla specificazione bisogna ricorrere al mutamento, al divenire, al processo. Aggiugiamo qui poi anche che posta la divisione della vita universale in particolari centri di sentimento o di esperienza, non è possibile non ammettere un modo qual- siasi in cui i «letti centri siano ordinati e disposti: e non potrebbe consistere in questo appunto il corrispettivo reale ed obbiettivo della forma spaziale? Non s'impone così la esigenza dello spazio intelligibile? S Prima di finire, qualche osservazione ancora intorno all'azione esercitata sul pensiero del Bradley dai recenti . progressi della psicologia esatta, intesa questa come descri- zione ed analisi dei fatti interni. Il lettore che ha seguito con attenzione la nostra esposizione critica si sarà accorto che nei punti in cui si è allontanato dalla speculazione SECONDO IL BRADLEY 259 LI tedesca, presentando delle vedute originali, sì è mostrato appunto psicologo sagace e sopra tutto scevro di pregiu- dizi. Nelle pagine in cuì egli discute la questione se si possa ridurre la Realtà ultima e la sostanza dell’universo all'una od all'altra delle funzioni psichiche quali l’ intel- letto, la volontà ecc., egli dimostra a meraviglia che dai metafisici le dette funzioni psichiche vengono snaturate. Ed è in questa parte che si trova la sua originalità. Ora tutto ciò — che è verissimo — al nostro autore è stato senza dubbio suggerito dalle analisi psicologiche accura- tamente fatte, ma possiamo noi dire che tali concetti concordano coll’ insieme delle dottrine da lui professate? Possiamo noi dire che la Realtà quale viene intesa da lui (Unità del pensiero, del volere, del sentimento estetico ecc., obbiettivamente considerati) concordi coi risultati della psicologia esatta? E la teoria della conoscenza fondata sui dati della stessa Psicologia può andar congiunta con la Metafisica bradleyana? (4) (1) Forse non è inutile richiamare qui l’attenzione sopra una forma di Metafisica contemporanea che nacque anche come questa del Bradley in contrapposizione al movimento scientifico contemporaneo, inten- diamo parlare della Metafisica del Teichmiille», la quale se ha qualche punto di contatto con quella del Bradley, se ne differenzia essenzial- mente per il fatto che essa poggia sulla realtà del soggetto indivi- duale — Io — sostanza. Non dobbiamo intrattenerci sulle ragioni di tale differenza : diremo soltanto che tra queste possono essere al diversa cultura psicologica dei due autori e l’azione che l'ambiente speculativo «del proprio paese ha esercitato su ciascuno dei due me- tafisici. Digitized by Google Lusiemneszaieti INDICE La morfologia della CONOSCENZA. ....... Lune pag. 1 Il ‘problema: GBtetico: Lirio ara lalla 131 177 Il problema filosofico secondo il Bradley...... (RAR
No comments:
Post a Comment