Grice e Scarpelli: la ragione conversazionale
della filosofia fascista – Gentile e il fascismo giuridico – Soleri -- il tropico, il clistico, il neustico, ed il
frastico – filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vicenza). Filosofo Italiano. Vicenza, Veneto. Studioso
di analisi del linguaggio. Uno dei massimi esponenti della filosofia analitica,
insegnando in varie università italiane anche teoria generale del diritto,
dottrine dello stato romano, filosofia morale e filosofia della politica ed
occupandosi di problemi di etica e politica. La sua filosofia può essere
raccolto attorno a due grandi temi: la semiotica del linguaggio prescrittivo e
il metodo. Contribuisce in misura fondamentale alla cosiddetta svolta
prescrittivistica in campo semiotico ed è fautore di una giustificazione
etico-politica del positivismo giuridico. Oltre ad approfondire lo studio del
metodo del ragionamento morale, si impegna attivamente in relazione a questioni
di etica e bio-etica quali per esempio l'aborto e l'eutanasia. Compiute inoltre
studi sulla democrazia e i concetti di libertà politica e di partecipazione
politica. Da una famiglia pugliese trasferitasi poi in Lucchesia, figlio
di un magistrate, frequenta il liceo. Studia a Torino. La sua formazione è
all'insegna dell’idealismo dominante in Italia e fondata, tra gli altri, su CROCE
e GENTILE. Durante gli anni universitari, desta il suo interesse ALLARA, della
scuola civilistica torinese, e la filosofia del diritto. Segue le lezioni del
corso di filosofia del diritto di BOBBIO. Si laurea sotto SOLARI con “Il
concetto di persona”. Già in questo lavoro lo ricorda BOBBIO nel ritratto
dell'allievo rivela un orientamento critico verso le versioni organicistiche
della filosofia al tempo in auge. Risale a questo anno la pubblicazione
nella Rivista del diritto commerciale di un saggio intitolato “Scienza
giuridica e analisi del linguaggio”. In questo saggio precorre il celebre saggio
di BOBBIO che porta lo stesso titolo e che è considerato il manifesto della
scuola analitica italiana. Prende le distanze dalle correnti filosofiche
idealistiche, organicistiche ed attualistiche accreditate sul continente per
accostarsi al positivismo logico e, più in generale, alla filosofia analitica e
agli studi di semiotica. È tra i primi a proporne una applicazione in campo
giuridico e ad evidenziare la rilevanza della analisi del linguaggio per la
teoria e la dogmatica giuridica. Assistente di BOBBIO; in seguito, collabora
con BOBBIO in seminari, “La giustizia nel materialismo storico” e L’interpretazione
giuridica. La giustizia e il marxismo sono temi a cui dedica il saggio
intitolato “Esistenzialismo e marxismo” (Taylor, Torino) il quale reca come
sottotitolo “sulla giustizia”. Sostene che la filosofia e mondana, legata esclusivamente
a ciò che gli uomini sono e fanno al mondo. La scelta e l’impegno sono la basi
della esistenza di ciascun uomo. Insegna a Milano un seminario, “La dottrina
dello stato italiano”, al fianco di TREVES. Si dedica al “Contributo alla
semantica del linguaggio normativo, Accademia delle Scienze, Torino. Insegna a Perugia,
Pavia, Torino. Sviluppa “La teoria generale del diritto”, dettagliata fino alla
scansione dei paragrafi. Tra i saggi, “La mia meta-etica e la mia esperienza
etica” dove ricercar la razionalità interna dell'etica e quella della sua
fondazione. Ricopre numerose cariche in istituzioni dedite alla ricerca e
partecipa a numerosi convegni, incontri di studio e simposi di rilievo
nazionale ed internazionale. Membro del Centro di studi metodologici di Torino
e socio corrispondente dell'Accademia delle scienze di Torino e socio
dell'Istituto lombardo Accademia delle scienze e delle lettere. Direttore
dell'Istituto per la Scienza per la amministrazione pubblica. Ha fatto parte
dei consigli direttivi della Rivista di filosofia del diritto e di Sociologia
del diritto. Entra a far parte del comitato di redazione della Rivista di
filosofia di cui cura numeri monografici dedicati al concetto di libertà, alla
logica deontica e alla bioetica. È stato condirettore della collana diritto e
cultura moderna e direttore della collana Luoghi critici per le edizioni di
Comunità. Presidente della Società italiana di filosofia giuridica e politica è
stato vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica ed è stato nominato
presidente onorario della Società italiana di filosofia analitica. Contribuisce
alla nascita, dovuta all'iniziativa soprattutto di GEYMONAT, del Centro Studi
metodologici di Torino. In qualità di affiliato, riceve il compito di fare una
relazione sulla Enciclopedia delle scienze unificate; lavoro a cui fanno
seguito negli anni Cinquanta alcuni contributi sulla analisi del linguaggio
così come concepita dal movimento del positivismo logico. In questi anni S. si
avvicina sempre di più alla filosofia anglosassone e in particolare agli studi
oxoniensi sul linguaggio della morale e della politica, partecipando anche ad
incontri di studio ad Oxford. Seguendo inizialmente le ricerche di Morris,
è fra i protagonisti della cosiddetta svolta linguistica della filosofia
italiana. Studia Hare. A Hare – L’IMPLICATURA CONVERSAZIONALE DI GRICE -- dedica
alcuni lavori; sono da ricordare anzitutto le note, che in realtà sono ampi
saggi di analisi del linguaggio normativo e contributi di meta-etica, ai due
saggi di Hare. Intraprende un vivace dibattito sul concetto di libertà politica
che porta alla stesura di vari lavori; tra essi, si può ricordare anzitutto il
saggio dal titolo Libertà come fatto e come valore ed il volume La libertà politica. Si
devono a Scarpelli i primi studi in Italia sulla analisi del linguaggio
giuridico in cui v'è una sistematica applicazione degli strumenti della
semiotica ai suoi tre livelli: la sintattica (lo studio dei rapporti tra i
segni), la semantica (lo studio dei rapporti tra i segni e i significati), la
pragmatica (lo studio dei rapporti tra i segni e i loro utenti). Tutta la
speculazione e la produzione scientifica di S. è basata sulla tesi della grande
distinzione tra linguaggio descrittivo e linguaggio prescrittivo; ma negli anni
si evolve progressivamente il livello a cui è individuato il tratto
differenziale tra l'uno e l'altro, individuato dapprima sul piano pragmatico e
poi sul piano semantico. L'esposizione compiuta del pensiero scarpelliano sulla
significanza del linguaggio prescrittivo si ha nell'opera del Semantica, morale
e diritto, trasfusa nella voce Semantica giuridica. L'idea che il linguaggio
prescrittivo (le norme, i comandi, gli ordini, le preghiere, ecc.) abbiano
significato trae origine dalla distinzione tra il principio di significanza e
il principio di verificazione. Alcuni spunti in tal senso sono rintracciabili
già nel Contributo alla semantica del linguaggio normativo il cui nucleo
concettuale ancora vicino al positivismo logico sta nell'intuizione che gli
enunciati normativi, quantunque non possano essere verificati o falsificati,
debbano nondimeno riferirsi alla realtà. Questa idea è alla base anche del
libro Cos'è il positivismo giuridico in cui propone una giustificazione
etico-politica del positivismo giuridico, criticando sia la versione bobbiana
del positivismo giuridico come approach sia la versione proposta da Hart. Altri
saggi: Guastini, Variazioni su temi , Con un'appendice bibliografica, in
«Materiali per una storia della cultura giuridica italiana». “Filosofia
analitica”, Donatelli e Floridi (Lithos, Roma), con anche l'indicazione delle
note sul “Monitore dei Tribunali” e dei saggi comparsi su alcuni giornali,
quotidiani e periodici: “L'Opinione”, “Panorama”, “Il Sole 24 Ore”, “Il Mondo
economico”); Jori, i«Rivista idi filosofia del diritto», Bobbio, La mia Italia,
Polito, Passigli, Firenze, Semantica del
linguaggio normativo, in Filosofia del diritto (Lucia), Cortina, Milana. Altri
saggi: “Filosofia analitica e giurisprudenza” (Istituto Cisalpino, Milano); “Il
problema della definizione e il concetto di diritto” (Istituto Cisalpino,
Milano); “Filosofia analitica, norme e valori” (Comunità, Milano); “Validità,
legittimità, effettività del diritto, e positivismo giuridico” (Cluep, Perugia);
“Cos'è il positivismo giuridico” (Comunità, Milano); “Diritto e analisi del
linguaggio” (Comunità, Milano); “Letture filosofiche e politiche. Introduzione
agli studi politici” (Cisalpino-Goliardica, Milano); “Linguaggio e legge
naturale. Il tempo e la pena” (Giuffrè, Milano); “L'etica senza verità” (Mulino,
Bologna); “La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi
dedicati a BOBBIO” (Comunità, Milano); “Il
linguaggio del diritto” (Led, Milano); “Bioetica Laica” (Mori, Milano); “Scienza
del diritto e analisi del linguaggio” (“Rivista del diritto commerciale”); “Giurisprudenza
italiana”; “L'Unità della scienza”; Rivista di filosofia, Il giudice e la
legge, Occidente; “Il potere giurisdizionale nello stato e in particolare nella
costituzione italiana”; “Liberalismo e democrazia nella Costituzione italiana”;
“Occidente. Rivista di studi politici”; “Elementi di analisi della proposizione
giuridica”. Jus, Congresso di studi metodologici promosso dal Centro di Studi
metodologici, Ramella, Torino); “Diritto naturale vigente” Occidente. Rivista di
studi politici, “Alcuni problemi della teoria analitica del valore” Rivista di
filosofia); “Linguaggio valutativo e prescrittivo” (Jus); “La Filosofia di
Gentile” (Ramella, Torino); Responsabilità del magistrato, Occidente. Rivista di
studi politici); “Behaviourism, positivismo logico e fascismo” (Rivista di
cultura e di politica); “Il grande cambiamento”, Rivista di cultura e di
politica, Etica e linguaggio, Rivista di filosofia, “Società e natura” (Rivista
idi filosofia del diritto); “Il concetto di SEGNO” (Rivista di filosofia); “L’analisi
del linguaggio, Rivista di filosofia, La natura della metodologia giuridica,
Rivista di filosofia del diritto (incluso anche in Filosofia e scienza del diritto.
Atti del II Congresso nazionale di filosofia del diritto (Giuffrè, Milano), La
«Filosofia del diritto» di Sforza, Rivista di diritto civile, I compiti della
filosofia del diritto, in La ricerca filosofica nella coscienza delle nuove
generazioni, Carlo Arata e altri, Mulino, Bologna, I fondamenti e il metodo
della analisi del linguaggio, in Il pensiero contemporaneo. Filosofia, epistemologia,
logica, Rossi-Landi, Comunità, Milano, Retribuzione (Enciclopedia Filosofica, Sansoni,
Firenze); La definizione nel diritto,
Jus); “Imperativi e asserzioni (Grice: “Or is it indicatives and imperatives?”)
Rivista di filosofia, La libertà, la democrazia e il magistrato, Monitore dei
Tribunali, Relazione, in Dibattito
bolognese sui valori, Edizioni di Filosofia, Torino, Libertà, ragione e giustizia, Rivista di
filosofia, Marxismo, sociologia neopositivistica e lotta delle classi, Quaderni
di Sociologia, Il permesso, il dovere e la completezza degli ordinamenti
normativi (a proposito di un libro di Amedeo G. Conte), Rivista trimestrale di
diritto e procedura civile, La dimensione normativa della libertà, Rivista di
filosofia, 1Positivismo logico e società contemporanea, Rivista di filosofia, Libertà
come fatto e come valore, Rivista di filosofia, Illuminismo e legislazione, La
Magistratura, La proposizione giuridica come precetto re-iterato, Rivista di
filosofia del diritto, Quaderni della Rivista “Il politico”; Il positivismo
giuridico (Pavia), Milano, Giuffrè, L'educazione del giurista, Rivista di diritto
processuale, Semantica giuridica, voce del Novissimo digesto italiano, POMBA,
Torino (Semantica, morale e diritto, Giappichelli, Torino); Problemi e idee
circa l'insegnamento del diritto; Gruppo di lavoro per il diritto, Pugliese, in
Le scienze dell'uomo e la riforma universitaria, Laterza, Bari, I magistrati e le tre democrazie, Rivista di diritto
processuale, Le argomentazioni dei giudici: prospettive di analisi, Il Foro
italiano, suppl. ai Quaderni. La formazione extralegislativa del diritto
nell'esperienza italiana. Atti delle giornate di studio di Ancona, “Moore in
Italia,” (cf. Luigi Speranza, “Grice in Italia”), Rivista di filosofia, La grande divisione e la filosofia della politica,
introduzione a Oppenheim, Etica e filosofia politica (Mulino, Bologna); Il
metodo giuridico, Rivista di diritto processuale (riedito come voce della Enciclopedia Feltrinelli-Fisher.
Diritto, Crifò, Feltrinelli, Milano); Dovere morale, obbligo giuridico, impegno
politico, Rivista di filosofia, Studi sassaresi, Giuffrè, Milano); Impegno
politico e conoscenza sociologica, Quaderni di Sociologia, Il diritto nella
società industriale: una strategia di accostamento, Rivista di diritto
processuale; Il diritto della società industriale. Obbligazione politica e
libertà di coscienza. Convegno, Società italiana di Filosofia giuridica e politica
(Pergia), Giuffrè, Milano, Dizionario di filosofia, Mondadori, Milano, La
facoltà di scienze politiche di Milano e il potere negativo, Politica del
diritto, Autonomia e diritto di resistenza, Studi sassaresi, Giuffrè, Milano, Insegnamento
del diritto, filosofia del diritto e società in trasformazione, Rivista di
diritto pubblico, L'educazione giuridica, Libreria Universitaria, Perugia, Per una sociologia del diritto come scienza,
Sociologia del diritto, La sociologia del diritto: un dibattito, Giuffrè,
Milano, e in Diritto e trasformazione sociale, Laterza, Bari, La conoscenza
sociologica, Sociologia del diritto, Etica, linguaggio e ragione, Convegno
Nazionale di Filosofia (Pavia), Società filosofica italiana, Roma, Democrazie e
competenze, Amministrare (Giuffrè, Milano); Introduzione. La Filosofia. La
filosofia dell'etica. La filosofia del diritto di indirizzo analitico in Italia
e Introduzione all'analisi delle argomentazioni dei giudici, in Diritto e
analisi del linguaggio, Milano, Comunità); Il sistema giuridico, Sociologia del
diritto, Etica, linguaggio e ragione, Rivista di filosofia, Convegno del PSI di
Milano, in I socialisti e la cultura. Materiali e contributi per una politica
culturale alternativa (Marsilio, Venezia); Le condizioni meta-giuridiche della
partecipazione, Convegno di Studi di Scienza dell'amministrazione, Giuffrè,
Milano L’entità strane dette norme” ed i
guastini di Guastini, Sociologia del diritto, Romano, teorico conservatore,
teorico progressista, in Le dottrine giuridiche di oggi e l'insegnamento di
Romano, Biscaretti di Ruffìa, Giuffrè, Milano, La partecipazione popolare nella Costituzione
repubblicana: prevenzione sociale e controllo della criminalità. Convegno di Senigallia,
Giustizia e Costituzione, IDizionario di sociologia, in Milano, Sala del
Grechetto, pubblicata in POMBA Panorama di Lettere e Scienze, Hobbes e
l'obbligazione politica come obbligazione in coscienza” (Giuffrè, Milano); Idea
dell'università e diritto allo studio, Il diritto allo studio nel quadro dei
rapporti fra Università e Regione, Quaderni della Regione Lombardia, Teoria
formale o teoria strutturale del diritto. Per la dissoluzione della metafora
formalistica” (Giuffrè, Milano); La partecipazione politica, Sociologia del
diritto, La meta-etica e la sua rilevanza etica, Rivista di filosofia, Intervento in Giudici separati? Magistratura,
società e istituzioni, Convegno Emilio Alessandrini (Senigallia), Giustizia e
Costituzione, La critica analitica a Kelsen, Rivista di filosofia (La cultura
filosofico-giuridica del novecento, Roehrssen, Istituto delle Enciclopedia
italiana, Roma); La responsabilità politica, Società Italiana di Filosofia
giuridica e politica. Pavia (Giuffrè, Milano); Responsabilità politica o virtù
repubblicana, in Garanzie processuali o responsabilità del giudice, Angeli,
Milano, Riflessioni sulla responsabilità politica. Responsabilità, libertà,
visione dell'uomo, Rivista internazionale di filosofia del diritto, Interventi
(pubblicati senza essere rivisti dall'autore) nella giornata di studi su Le
ragioni della libertà: degenerazione dello stato burocratico e risposte
neoliberali per l'Italia, Einaudinotiziecircolare ai soci della Fondazione Einaudi,
Il tempo e la pena, in Piacere e felicità: fortuna e declino. Atti del Convegno
di studiosi di Filosofia morale (Chiavari-S. Margherita Ligure), Crippa,
Liviana, Padova, Filosofia e diritto, in La cultura filosofica italiana nelle
sue relazioni con altri campi del sapere. Atti del convegno di Anacapri, Guida
Editori, Napoli, Leoni e l'analisi del
linguaggio, Il politico. Rivista italiana di Scienze politiche, La democrazia e il segreto, in Il segreto
nella realtà giuridica italiana. Atti del convegno nazionale, Roma, Milani,
Padova, La teoria generale del diritto: prospettive per un trattato, in La
teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Bobbio,
S. Comunità, Milano, L'interpretazione
premesse alla teoria dell'interpretazione giuridica, in Società norme e valori”
(Giuffrè, Milano); “Auctoritas non veritas facit legem, in Linguaggio persuasione
verità: atti del Congresso nazionale di filosofia tenutosi in Verona, Milani,
Padova (anche in Rivista di filosofia, Intervento in Il Welfare State possibile.
Saggi e interventi di Barone, prefazione di Enrico Mattei, Le Monnier, 1
Scienze dell'uomo e potere sull'uomo: oltre la libertà e la dignità, in Baudrillard
e altri, Sapere e potere, I, Viviana Conti, Multhipla edizioni, Milano, Un
filosofo a disagio, Bollettino della Società Filosofica italiana. Nuova Serie, Voci:
Diritto, Interpretazione, Istituzione, Norma, Validità, in Gli strumenti del
sapere contemporaneo, Le discipline e I
concetti (POMBA, Torino); Le porte della stalla, Quadrimestre. Rivista di diritto
privato, Gli orizzonti della giustificazione, Rivista di filosofia; Etica e
diritto (Laterza, Roma); Scienza, sapere, sapienza, Rivista internazionale di
filosofia del diritto, Di alcune difficoltà culturali e di una tentazione
perversa inerenti ai “diritti degli animali”, in “I diritti degli animali”.
Atti del convegno nazionale Genova, Castignone e Battaglia, Centro di Bioetica,
Genova, La filosofia nella Facoltà di Giurisprudenza, Rivista di filosofia, La
bioetica. Alla ricerca dei principi, in Biblioteca della libertà, Un modello di
ragione giuridica: il diritto reale razionale, Faralli e Pattaro (Giuffrè,
Milano); Dalla legge al codice, dal codice ai principi” (Accademia delle
Scienze di Torino. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche (Rivista di
filosofia). La Camera di consiglio come scuola, Quadrimestre. Rivista di
diritto privato, Cosmo e universo, in Corpo e cosmo nell'esperienza morale.
Atti del Convegno tra studiosi di Filosofia morale (Pietrasanta), Romeo Crippa,
Padeia, Brescia, Eutanasia. Intervista, Hospital,
Il concetto di libertà politica in Entreves,
Rivista di filosofia del diritto, Amministrazione della giustizia, rapporti
umani e funzioni del diritto, in Amministrazione della giustizia e rapporti
umani. Convegno di Sassari, Maggioli, Rimini, BECCARIA e l'Italia civile,
L'Indice penale, Classi logiche e discriminazione fra i sessi, Lavoro e
diritto, Hobbes e lo stato totalitario, Bollettino della Società Filosofica
italiana. Nuova Serie (intervento nella Tavola Rotonda su Attualità e presenza
di Hobbes, in Hobbes oggi, A. Napoli, FrancoAngeli, Milano, Introduzione ai
lavori in Interpretazione e decisione. Diritto ed economia. Atti del XVI
Congresso nazionale della Società italiana di Filosofia giuridica e politica
(Padova), F. Gentile, Giuffrè, Milano, Intervento
in Diritto di sciopero, autonomia collettiva ed intervento del legislatore
(Viareggio), Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, Il
diritto pubblico italiano di S. Romano, Materiali per una storia della cultura
giuridica, Il positivismo giuridico
rivisitato, Rivista di filosofia, La
bioetica: alla ricerca dei principi” (Giuffrè, Milano); Bioetica: prospettive e
principi fondamentali, in La bioetica. Questioni morali e politiche per il
futuro dell'uomo, Convegno, Roma, Bibliotechne, Milano, I compiti dell'etica
laica nella cultura italiana di oggi, Notizie di Politeia, Relazione su Stevenson, ‘Ethics and Language', in Il neo-illuminismo
italiano. Cronache di filosofia, Pasini e Rolando, Il Saggiatore, Milano, Diritti positivi, diritti naturali: un'analisi
semiotica, in Diritti umani e civiltà giuridica. Convegno a Perugia, Caprioli e
Treggiari, Stabilimento Tipografico Pliniana Perugia, Etica della libertà,
Bioetica. Rivista interdisciplinare, Filosofia del diritto, in La Filosofia, Le filosofie speciali, diretta da Pietro Rossi,
Torino, POMBA, Il linguaggio giuridico: un ideale illuministico, in Nomografia.
Linguaggio e redazione delle leggi. Contributi al seminario promosso dalla
Banca d'Italia e dalla prima cattedra di filosofia del diritto dell'Milano, Di
Lucia (Giuffrè, Milano); La mia meta-etica e la mia esperienza etica, in
Scritti per S., Gianformaggio e Jori, Giuffrè, Milano, Il linguaggio e la
politica dei giuristi, Notizie di Politeia, Sui compiti della filosofia del
diritto, Notizie di Politeia, Formanti, dSentenza del Tribunale di Milano, soc.
Acc. Compra Vendita immobili S.A.C.V.I. c. Della Beffa, su Locazione di cose, Locazione
di immobili urbani, Proroga ecc., in Giurisprudenza, Nota a sentenza Degli effetti dell'abolizione
del commissariato alloggi e di una possibile applicazione dell'azione surrogatoria,
Il Foro Padano, Note bibliografiche a Renato Scognamiglio, Contributo alla
teoria del negozio giuridico, Jovene, Napoli, Carattere della prestazione e
carattere dell'interesse, Rivista del diritto commerciale, Tacita riconduzione
e novazione, Rivista del diritto commerciale, Il cosiddetto conflitto tra
diritti personali di godimento e l'art. del codice civile, Rivista trimestrale
di diritto e procedura civile, I discorsi politici, Roma,in Quaderni di
Sociologia, Recensione a Bellezza, L'esistenzialismo positivo di GENTILE,
Firenze, Rivista di filosofia, Piovesan, Analisi filosofica e fenomenologia
linguistica, Padova, e Lumia, Empirismo logico e positivismo giuridico, Milano,
in Rivista di filosofia. Pasquinelli, Nuovi principi di epistemologia,
Milano, in Rivista di filosofia, Introduzione alla semantica, Bari, in Rivista
di filosofia, Recensione a Antiseri, Dopo Wittgenstein: dove va la filosofia
analitica, Roma, in Rivista di filosofia, Nuovi libri: Orecchia, La filosofia
del diritto nelle università italiane: Saggio di bibliografia, Milano, in Rivista di filosofia, Logica simbolica e
diritto, Milano, in Rivista di filosofia. Rivista di filosofia, Recensione a
FannSymposium on L. J. Austin, London, Rivista di filosofia, Recensione a
Gulotta, Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, Milano. Vengono
riuniti in questo volume i primi due lavori analitici di Uber-to Scarpelli,
Filosofia analitica e giurisprudenza e Il problema della definizione e il
concetto di diritto, pubblicati originariamente nel 1953 e 1955'. Questi
libri erano di difficile reperibilità già pochi anni dopo la loro uscita. Ma
Scarpelli non era autore che amasse ripubblicare i suoi lavori, nonostante che
fossero stati per lo più ospitati in sedi «un po' appartate»?, talora poco
accessibili persino alla platea ristretta degli specialisti, come i due qui
riediti. Se si escludono i saggi raccolti nel volume L'etica senza verità', i
libri da lui ripubblicati in vita sono solo due: Esistenzialismo e marxismo* e
Contributo alla semantica del linguaggio normativo. Il primo è un'opera
di confine tra la giovanile formazione esistenzialista e l'incombente influenza
della filosofia analitica. Questo suo primo e unico lavoro
"preanalitico" fu dato alle stampe nel 1949, quando Scar-pelli era
ancora immerso nell'orizzonte esistenzialista ma già respirava da qualche anno
l'atmosfera analitica e anzi era attivo partecipante agli incontri del Centro
di studi metodologici di Torino, nato nel 1947 per iniziativa di Ludovico
Geymonat e impegnato proprio nell'approfondimento e nella diffusione in Italia
delle nuove correnti filosofiche'. Ciò è del resto attestato da una sua nota
pubblicata nel 1948, in cui presentò in Italia per la prima volta il metodo
analitico, anticipando fin dal titolo ilcelebre saggio di Bobbio, Scienza del
diritto e analisi del linguaggio?. Esistenzialismo e marxismo ebbe ben
tre edizioni, l'ultima nel 19688. Questa sorte abbastanza inusuale per
un'opera filosofica di nicchia va presumibilmente ricondotta a due fattori. Il
primo ha a che fare col pre-dominio, nella società italiana di quegli anni,
della cultura marxista, ciò che favoriva l'interesse per un libro che al
marxismo era appunto dedicato fin dal titolo. Il secondo ha a che fare con le
idee filosofiche del nostro autore, il quale, come si sa, non rinnegò mai le
sue ascendenze esistenzialiste, ma semmai le trasfigurò, come egli stesso ebbe
a dire riprendendo un'affermazione di Abbagnano, riuscendo ad armonizzarle col
nuovo quadro analitico'. Nelle opere qui riproposte, il lettore troverà alcuni
accenni alla filosofia dell'esistenza; essi avranno spazio anche nella
produzione successiva di Scarpelli, soprattutto negli scritti dedicati
all'etica e alla metaetica. L'altro lavoro da lui ripubblicato in vita è
Contributo alla semantica del linguaggio normativo". Le ragioni per cui
l'autore promosse questa nuova edizione, si può congetturare, sono almeno due.
La prima è che egli desiderava dare visibilità a un'opera che in realtà non ne
aveva mai avuta, ma che - Scarpelli era studioso privo di iattanza ma anche di
falsa modestia - reputava importante per la cultura giuridica italiana. A pieno
titolo, giacché in questo lavoro troviamo esposta una originale e compiuta
semiotica del linguaggio normativo; come tale esso è oggi giustamente
annoverato tra i classici del prescrittivismo semiotico, insieme a The
Lan-guage of Morals di R.M. Hare e a Directives and Norms di Alf Ross. La
seconda ragione è che questo libro - caso raro per un'opera giusfilosofi-ca -
aveva suscitato l'attenzione di un certo numero di giuristi italiani, in
prevalenza civilisti, che si erano interessati in specie alla teoria delle
definizioni e all'analisi dei concetti giuridici ivi esposta. Scarpelli
riteneva che esso potesse rappresentare un buon veicolo atto a promuovere
quella collaborazione tra giuristi e filosofi da lui sempre auspicata e
perseguita, ancorché, duole ammettere, con scarsi risultati. Solo dopo la
morte, avvenuta nel 1993, venne riedita l'opera sua più importante e più nota,
Cos'è il positivismo giuridico, originariamente pub-blicata, nel 1965, nella
collana "Diritto e cultura moderna" delle edizioni Comunità,
diretta da Renato Treves e dallo stesso Scarpelli". La riedizione per la
verità non contribuì granché a promuovere la lettura o rilettura di questo
libro «scomodo e inquietante», come ebbe a definirlo Mario Sempre dopo la
sua morte venne pubblicato, per la cura di Maurizio Mori, il volume
Bioetica laica, che raccoglie una serie di interventi brevi e d'occasione
insieme con il fondamentale saggio sulla bioetical. Si è ritenuto
opportuno ripubblicare ora anche questi due primi lavori analitici di
Scarpelli, per molteplici ragioni. Innanzi tutto, perché in essi l'autore
pone le basi delle tesi che svilupperà in seguito, in specie sul terreno della
semiotica giuridica (in Contributo alla semantica del linguaggio normativo e in
Semantica, morale, dirit-to'4) e su quello del metodo giuridico (in Cos'è il
positivismo giuridico): ossia negli ambiti in cui egli ha dato i
contributi più originali e profondi alla cultura filosofico-giuridica.
Rileggere le due opere è dunque importante per chi sia interessato a seguire il
percorso intellettuale e teorico di questo autore e a discernere le idee che
hanno rappresentato fin dall'inizio una costante nella sua riflessione
filosofica da quelle che invece sono state da lui rettificate o accantonate in
seguito. Rileggere queste opere è poi importante per chi sia interessato
ad approfondire le origini della filosofia analitica del diritto in Italia. In
questi due libri troviamo infatti documentata una fase cruciale di snodo della
cultura giusfilosofica del nostro paese: la fase dell'entusiastica scoperta e
assimilazione originale del metodo analitico e del correlativo distacco critico
prima, e superamento definitivo poi, degli orientamenti filosofici dominanti
nel pensiero giuridico della prima metà del Novecento: primo fra tutti
l'idealismo. Sappiamo che il momento topico di questa svolta si colloca
esattamente nella metà del secolo scorso; coincide infatti con la
pubblicazione, nel 1950, del già citato saggio di Norberto Bobbio, Scienza del
diritto e analisi del linguaggio, che è a buon diritto considerato il manifesto
di quella che verrà in seguito chiamata Scuola di Bobbio, la scuola italiana di
filosofia analitica del diritto. Il confronto di Scarpelli con la filosofia
analitica prende l'avvio, nel libro del 1953, proprio dal saggio diBobbio e
dalla discussione da esso suscitata. Egli, per primo, presenta in modo
sistematico alla cultura giuridica italiana il metodo analitico, che
predandia fornime una leta cria si a idato apie oreiale, oltre che in
innumerevoli saggi. In questi suoi primi due lavori analitici egli pone le
fondamenta di una semiotica del linguaggio normativo che negli anni a venire
diverrà un punto di riferimento imprescindibile per la filosofia
analitico-giuridica italiana. Imposta poi la revisione critica del metodo
giuridico che lo porterà, in Cos'è il positivismo giuridico, a rovesciare la
visione bobbiana del giuspositivismo inteso come accostamento scientifico allo
studio del diritto. Le ragioni che hanno suggerito questa riedizione non
sono però solo di ordine biografico e storiografico, ma sono ragioni teoriche a
tutti gli effetti. I temi affrontati da Scarpelli - principalmente il metodo
giuridico e il concetto di diritto - per quanto oggi poco frequentati come
tali, sono ineludibili. Nessun problema giuridico può essere trattato
proficuamente senza una previa e consapevole presa di posizione su questi temi,
così come nessuno può essere adeguatamente risolto, o almeno impostato,
trascurando i principi e le costrizioni del metodo analitico. Questo
insegnamento è uno dei lasciti principali di Scarpelli, insieme con la
convinzione che le scelte di fondo su che cosa sia il diritto e come si possa o
debba conoscerlo sono inevitabili e condizionano in modo pregnante il modo in
cui affrontiamo anche i problemi giuridici più minuti. E bene perciò che tali
scelte siano compiute in modo consapevole, che siano rese esplicite e
puntualmente giustificate. Non è necessario, in questa sede, riassumere
il contenuto dei due lavo-ri. Del resto a ciò provvede in modo egregio
l'articolatissimo sommario-riassunto che l'autore antepone alle due opere. Mi
limiterò invece a poche notazioni, essenzialmente finalizzate a mettere alcuni
aspetti del suo pensiero di quegli anni in rapporto con gli sviluppi
successivi. Concluderò con qualche osservazione sullo stile filosofico di
Scarpelli. Dico subito che a mio parere c'è una stretta continuità tra
queste due opere e la ulteriore produzione scarpelliana. Certo, quando ci si
occupa dei lavori "giovanili" di un autore incombe sempre il
rischio di interpre- tarli alla luce di quelli successivi,
"maturi", per trovarvi una conferma delle tesi elaborate in seguito.
Nondimeno, si ha la netta impressione di ritrovare nei due libri, per quanto
talora elaborati in maniera un po' acer-ba, tutti gli elementi caratteristici
della filosofia dello Scarpelli "maturo": empirismo, nominalismo,
costruttivismo, normativismo. A mio parere la continuità riguarda anche le due
idee più originali di Scarpelli, ossia ilprescrittivismo semiotico e la
concezione politica del positivismo giuri-dico, che vengono invece di solito
datate in corrispondenza ai già citati Contributo alla semantica del
linguaggio normativo e Cos'è il positivismo giuridico. In realtà, il
superamento della teoria verificazionista del significato e il rigetto del
giuspositivismo scientifico sono già presenti in queste due opere
giovanili. 2. Tra idealismo e filosofia analitica Negli appunti
scritti per una relazione in seminario a Padova, da lui intitolati La mia
meta-etica e la mia esperienza etica', Scarpelli illustra in questi termini il
suo incontro con le correnti della filosofia analitica: «Non è facile,
oggi, comunicare il senso di scoperta e di liberazione che ci dava l'accesso a
quelle filosofie, il gusto di pulizia e di onestà che ci procurava la loro
castità concettuale, il piacere di un buon lavoro artigianale che ci fornivano
le loro analisi pazienti, dopo tanta gonfia retorica e vuote generalizzazioni e
discorsi autocelebrativi in maniera masturbatoria propri del fascismo e
dell'attualismo». Ma il nostro autore non era uomo da lasciarsi
travolgere da facili entu-siasmi, nemmeno per un metodo filosofico di cui pure
avvertiva le enormi potenzialità innovative, sia sul piano filosofico generale
sia nell'ambito degli studi giuridici, terreno elettivo della sua indagine.
Egli non era il tipo di studioso che si lasciasse accecare da una fede
filosofica; si dedicava invece al lavoro meno eclatante del paziente scrutinio
e della cernita degli argomenti, vagliati uno per uno, ciascuno nel proprio
merito. Onde non stupisce che nei due libri qui riproposti, e specialmente nel
primo, il suo atteggiamento verso la filosofia analitica sia caratterizzato da
vivo interesse ma anche da prudente distacco critico. In ambedue i libri
la filosofia analitica è messa a costante confronto con l'idealismo, la
filosofia che specie nella versione attualista ebbe tanta parte nella sua
formazione giovanile'. Lo spazio notevolissimo de-dicato all'idealismo, specie
nel lavoro del 1955, da un autore che ormai si era da esso irreversibilmente
congedato, può essere letto in chiave psicologica come espressione dell'urgenza
di fare i conti con le proprie radici filosofiche. Ma può essere letto anche in
chiave filosofica, come espressione della esigenza, costante anche nelle sue
riflessioni succes-sive, di mettere la filosofia analitica a confronto con
accostamenti filosofici e correnti di pensiero pur da essa molto distanti (v.
in proposito ancora infra, $ 4)"7. Il nostro autore constata il
declino dell'idealismo, ma lo fa senza troppi rimpianti, osservando che le sue
acquisizioni positive si sono disperse ed è andato prevalendo un atteggiamento
irrazionalista e, in filosofia del diritto, un distacco dai problemi del
giurista. Tuttavia l'idealismo, a suo dire, non è interamente da buttar via:
almeno nel pensiero dei suoi iniziatori se non degli epigoni, e specialmente in
quello di Croce, vi sono aspetti positivi che meritano di essere salvaguardati,
perché rappresentano altrettanti tratti comuni alla filosofia analitica.
Oltre a un«anima metafisica», in esso è infatti presente «un'anima mondana» (p.
133): «Il terreno su cui si muovono la filosofia analitica e la filosofia
italiana idealistica e post-idealistica è in gran parte comune; è il terreno
della filosofia moderna, della filosofia intesa come chiarificazione
dell'esperienza dell'uomo nel mondo, come processo mediante il quale l'uomo
acquista coscienza del proprio operare. Sono entrambe filosofie dalla parte
dell'uomo» (p. 45, corsivo dell'autore). Inoltre l'idealismo, al pari
della filosofia analitica, si caratterizza per un approccio nettamente
convenzionalista e strumentale al linguaggio e ai concetti. Esso considera «così
il linguaggio descrittivo, impiegato dalle scienze della natura, come il
linguaggio prescrittivo, su un piano prag-matico, comprendendo la loro
funzione: consentire all'uomo di raggrup-pare, distinguere, classificare,
mettere in rapporto i dati individuali dellasua esperienza mediante concetti
astratti, grazie ad essi istituendo un ordine nelle proprie esperienze e nei
propri comportamenti» (p. 146). Per Croce e Gentile gli pseudoconcetti e,
rispettivamente, i concetti astratti sono «forme, la cui dimensione può essere
variata». Anche in tema di definizione del concetto di diritto le convinzioni
dei due filosofi sono an-tiessenzialiste e convenzionaliste. In sintesi,
«l'idealismo italiano sblocca un complesso di posizioni filosofiche irrigidite
su elementi che si può includere o non includere nelle definizioni, distoglie
dalla ricerca di definizioni reali, rende possibile il controllo del linguaggio
che viene dalla consapevolezza della natura della definizione» (p. 199).
Infine, Scarpelli fornisce una lettura benevola dell'idealismo (ma in questo
caso solo di quello crociano) anche sotto il profilo del suo atteggiamento nei
confronti delle scienze empiriche, e in particolare della sociologia,
sottolineando che, benché di fatto abbia contribuito senza dubbio a screditare
tale disciplina e ritardarne lo sviluppo nel nostro pa-ese, sul piano dei
principi filosofici sia ingeneroso attribuire ad esso un atteggiamento
distruttivo. Al contrario, la sistemazione crociana dei rapporti tra filosofia
e scienza favorisce a suo avviso un affrancamento delle scienze sociali
empiriche, e in particolare della sociologia, da assunzioni metafisiche e
ipotesi ontologiche: «Rimane [...] al Croce il merito, importante nella cultura
italiana, di considerare le scienze e la verità scientifica non entro una
qualche metafisica del conoscere, ma nella loro funzione pragmatica nella vita
degli uomini» (p. 223). Insomma, Scarpelli ravvisa nell'idealismo aspetti
da preservare, ma è chiaro che per lui è necessario ricollocarli all'interno di
un quadro metodologico che sia accettabile e fecondo: il quadro, appunto, della
filosofia analitica. Egli osserva infatti che il contributo maggiore
della filosofia analitica si colloca sul piano del metodo: gli strumenti
apprestati da questa filosofia «nata nel cuore della scienza» (p. 43)
consentono precisione, ordine e rigore, dunque sono funzionali a un approccio
razionale ai problemi filosofici, e in questo senso possono dirsi «una
manifestazione di spirito illuministico» (p. 44). Nei due libri il lettore noterà
un ricorrente, quasi ossessivo richiamo ai valori del rigore e della chiarezza,
che troverà evocati quasi ad ogni pagina. L'adesione di Scarpelli alla
filosofia analiticasi spiega e si giustifica primariamente alla luce di quei
valori; il metodo analitico è da lui visto fin da subito come l'unico che possa
garantire approccio fecondo ai problemi filosofici, perché consente di
identificarli con nitidezza, di distinguerli da altri con cui vengono di solito
mescolati e di affrontarli in maniera rigorosa. È evidente che per Scarpelli
chiarezzae rigore sono valori non solo metodologici ma anche eticils: sono
infatti strumentali alla scelta e alla responsabilità umana in tutti gli
ambiti, teoretici oltre che pratici. La filosofia analitica ha per
lui una «funzione illuministica» perché consente di «chiarire i
presupposti ed i modi di svolgimento delle attività dell'uomo, rendendolo in
tal maniera consapevole delle scelte e decisioni che ogni attività scientifica
o pratica suppone ed implica; rendendolo pertanto consapevole della
responsabilità che egli porta al riguardo» (p. 126). Non sfuggirà al lettore
l'eco esistenzialista di queste parole, in cui l'autore riassume le sue
propensioni costruttiviste, che non lo abbandoneranno mail°. Nondimeno, Scarpelli
avverte che «la filosofia analitica non è un indirizzo che possa essere sposato
senza rilevanti riserve» perché è afflitto da «astrattezze e chiusure gravi»
(p. 45), e segnala subito le sue insod-disfazioni, che si appuntano sul metodo
analitico così come sviluppato dal positivismo logico della scuola di Vienna?.
Sono tre i limiti da lui rilevati: a) la mancanza di una soddisfacente risposta
al problema della natura della stessa analisi; b) la mancanza di una dottrina
filosofica del valore e c) una teoria del significato troppo angusta.
Esaminiamoli in breve uno per uno. a) Il primo punto è solo abbozzato.
Scarpelli cita le celebri parole che concludono il Tractatus di Wittgenstein,
ove la filosofia viene liquidata come discorso privo di senso. Cita altresì la
via d'uscita indicata da Russell nella sua introduzione al Tractatus, che
rimanda alla teoria dei livelli del linguaggio e alla collocazione del discorso
filosofico a livello metalinguistico; manifesta infine una misurata simpatia
per il solipsismo metodologico di Schlick. Ma il problema verrà da lui
affrontato sistematicamente solo alcuni anni dopo, in un saggio del 1958, in
chiave nettamente costruttivista; qui il discorso filosofico verrà trattato
come un metadiscorso i cui concetti e principi sono frutto di scelte
convenzionali espresse tramite ridefinizioni e definizioni stipulative21b)
Riguardo al «problema del valore», Scarpelli si avvede subito che la filosofia
analitica, se può contribuire a impostare il problema del si-gnificato dei
termini di valore e a distinguere nei discorsi valutativi tra questioni di
linguaggio e questioni empiriche, non è in grado di dare criteri di scelta e di
orientamento dell'azione: «Queste indagini [...] non esauriscono una dottrina
filosofica del valore, non dànno un criterio di scelta, non rispondono alla
domanda: ma in questa situazione, io, che devo fare? Per avere una tale
risposta bisogna andare fuori della mera analisi linguistica» (p. 83). La
filosofia analitica ci aiuta a costruire e con-trollare i discorsi etici, ma
quali valori etici sposare e perseguire dipende da un atto di scelta
individuale che in quanto tale ha natura extralingui-stica ed extralogica, ed è
apprezzabile solo nel contesto della «situazione esistenziale» in cui ciascuno
di noi viene a trovarsi. Dopo aver identifica-to quel limite, egli però
aggiunge: «Ma per determinare il carattere della risposta; per chiarire la
struttura ed il funzionamento del linguaggio in ordine ai comportamenti morali
e giuridici; per evitare le suggestioni e i disorientamenti derivanti da usi
linguistici non significanti e non logici; per illuminare insomma le
possibilità della situazione esistenziale in cui la scelta deve avvenire, e la
portata della scelta, l'analisi del linguaggio è strumento utilissimo, ormai necessario»
(p. 83). Anche la prospettazione di questo momento di scelta è però questione
che rientra a pieno titolo nella riflessione filosofica. Il limite del
positivismo logico sta dunque so-prattutto nella sua pretesa di estromettere il
problema del valore dalla ri-flessione filosofica, anzi, sta nella sua generale
«guerra contro la filosofia» e nella convinzione di «avere distrutto ogni
filosofia» (pp. 76-7): laddove, invece, conclude asciuttamente Scarpelli, esso
fa filosofia senza saperlo. Come si sa, nel prosieguo delle sue
riflessioni sui temi della metaetica, della Grande Divisione e della Legge di
Hume, il nostro autore giungerà a sostenere il carattere arbitrario della
scelta dei principi fondativi di qua-lunque etica, nonché della scelta del criterio
di scelta, ossia della stessa metaetica. Arbitrario solo dal punto di vista
logico, s'intende, non neces-sariamente da quello esistenziale. E su questo
aspetto delle sue riflessioni che l'influenza esistenzialista risulta più
evidente e persistente??. c) Il terzo limite della filosofia analitica è
dato dalla concezione angu-sta del significato coltivata dal neopositivismo
della scuola di Vienna, al quale egli fa costante riferimento specialmente
nella prima delle due ope-re qui riproposte. Tale concezione del significato,
nota come verificazioni-smo, è infatti ritagliata sul linguaggio della scienza
ed è tale da escludere dall'orizzonte della significanza qualsiasi altro tipo
di linguaggio: specialmente il linguaggio normativo dell'etica, della politica
e del diritto - una rinuncia com'è ovvio impensabile per uno studioso come
Scarpelli. Egli collega il disinteresse del positivismo logico verso i
linguaggi diversi da quello della scienza all'inclinazione a privilegiare le
dimensioni sintattica e semantica del linguaggio. La via di fuga da
questa «dogmatica limitazione neopositivistica della significanza al linguaggio
delle scienze empiriche e delle scienze formali» (p. 161), già nella
prima e più decisamente nella seconda opera, viene ricercata negli contributi
forniti dalla filosofia analitica britannica, ma soprattutto dal pragmatismo
americano. Da questi indirizzi il segno linguistico viene infatti studiato «in
relazione al comportamento di chi lo adopera e di chi reagisce ad esso,
cercando di tenere conto di tutti gli elementi biologici, psicologici, sociali,
storici, della situazione in cui il segno interviene» (p. 79). Guardando
all'uso effettivo dei segni linguistici nella comunicazione, nessuno potrebbe
seriamente negare che anche il linguaggio prescrittivo esplichi una funzione:
la funzione di guidare i comportamenti, che è poi la medesima del linguaggio
descrittivo, salvo che nel caso di quest'ultimo si esplica solo indirettamente,
per il tramite delle conoscenze che con esso si trasmettono. Ma questa funzione
di guida non può essere ridotta a mera dimensione emotiva e a un gioco di
meccanismi di stimolo e risposta: viceversa essa presuppone, per potersi
esplicare, strutture di regole logiche e semantiche - strutture che è possibile
analizzare come tali e, se del caso, rettificare per renderle meglio adatte
agli scopi che lo studioso si propone?3 Dunque la via di fuga dal
dogmatismo verificazionista viene ravvisata da Scarpelli nello studio della
dimensione pragmatica del linguaggio. È proprio sul piano pragmatico che a suo
avviso si può cogliere la differenza tra il linguaggio descrittivo e il
linguaggio prescrittivo ed è possibile «vedere come sono usati, come esplicano
la propria funzione» (p. 147). Scarpelli trova un sostegno a questa prospettiva
nei lavori di Carnap e Morris per l'Encyclopedia of Unified Science, che
rappresenteranno un suo costante punto di riferimento anche negli anni a
venire24.lato que a fase del sue celesto Sea peli ste ha và leto e asine
linguaggio diverso dal linguaggio scientifico possa essere superata senza porre
in questione l'identificazione tra significato e metodo di verificazio. ne, ma
semplicemente estendendo allo studio dei segni l'indagine prag-matica, da lui
intesa come studio di «tutti i fenomeni psicologici, biologici e sociologici
che intervengono nel funzionamento dei segni» (p. 166). Più avanti, e
segnatamente in Contributo alla semantica del linguaggio normativo, egli
abbandonerà dichiaratamente il verificazionismo come teoria del significato e
proporrà la distinzione tra un principio di significanza e un principio di
verificazione?. In Semantica, morale, dirit-to, inoltre, egli muterà
notevolmente la sua concezione della pragmatica, che distinguerà dalle
discipline sociologiche e psicologiche concernenti il linguaggio e concepirà
come studio di strutture e regole linguistiche, introducendo altresì la
distinzione tra pragmatica prescrittiva e pragmatica descrittiva. Collocherà
poi la distinzione tra linguaggio prescrittivo e linguaggio descrittivo sul
piano semantico e non più pragmatico26. In Semantica, morale, diritto la
semiotica scarpelliana troverà la sua sistemazione definitiva. Ma è pur
vero che nel libro del 1953, e in modo più netto in quello del 1955, sono già
presenti tutti gli elementi che porteranno al superamento dichiarato del
verificazionismo. Il nostro autore indubbiamente si professa verificazionista e
giunge ad attribuire questa posizione anche a Hare. Nel suo discorso si
notano peraltro delle incongruenze: così da un lato egli afferma che gli
enunciati «in tanto sono significanti in quanto sono verificabili o
falsificabili» (p. 66), dall'altro lato sottolinea però l'esistenza di aspetti
comuni alla logica e alla semantica di descrizioni e prescrizioni.
Tuttavia, nella sostanza i suoi argomenti esprimono una concezione del
significato che è referenziale ma non verificazionista. Del resto, ciò risulta
chiaro fin dalla definizione di "significato" da lui proposta: «Noi
diremo significanti le espressioni linguistiche di cui si sappia a quali
attuali o possibili dati di esperienza si riferiscano, in modo immediato o
mediato» (p. 144). Nel corso degli anni neppure il suo modo di
intendere l'analisi del linguaggio ha subito mutamenti
significativi. Nel libro del 1955 egli osserva che «il metodo analitico
non è, nellasua essenza, nulla di straordinario né di nuovo. L'esigenza di un
uso proprio e corretto del linguaggio, secondo i significati e la logica di
esso, è sempre stata sentita da tutti i seri hlosoh, come dagli scienziati» (p.
171). Nondimeno, è evidente che per lui la filosofia analitica non si
riduce a attività di chiarificazione del linguaggio e al perseguimento del
rigore e della chiarezza nella trattazione dei problemi filosofici. Non è
dunque l'attenzione per il linguaggio ad essere l'elemento qualificante del
meto-do, ma il fatto che questa attenzione passi attraverso l'applicazione di
una serie di principi e distinzioni filosofiche. I principi che caratterizzano
fin dall'inizio il modo scarpelliano di fare filosofia analitica sono oggi ben
noti, essendo quelli che proprio grazie a Scarpelli sono giudicati
imprescindibili dalla cultura analitico-giuridica italiana, vale a dire la
distinzione tra linguaggio descrittivo e linguaggio prescrittivo, tra enunciati
analitici e sintetici, tra livelli del linguaggio e tra il contesto di scoperta
e il contesto di controllo? Fatta eccezione per la distinzione
descrittivo-prescrittivo, a cui dedica molte pagine specie nel libro del 1955,
Scarpelli non si ferma a teorizzare su questi principi, ma li mette
direttamente in opera nella esposizione delle proprie idee e nella critica di
quelle altrui. Solo per citare alcuni esempi alla rinfusa, si vedano: la
critica a Moritz Schlick, accusato di confondere la logica con la psicologia della
scienza; l'addebito a Del Vecchio di incorrere in una circolarità definitoria
tra il concetto di azione e quello di diritto; l'accusa a Adolfo Ravà, di
presupporre proprio quella distinzione prescrittivo-descrittivo che pretende di
superare; il rimprovero a Kelsen di mescolare in tema di coercizione questioni
definitorie con questioni empiriche; «la confusione di piani tra definizioni,
problemi logici e fattuali, prese di posizioni morali e pratiche» (p. 190) in
cui si irretisce Icilio Vanni. Ciascuna di queste critiche, sia detto per
inciso, è un magistrale esercizio di analisi filosofica, condotto con ritmo
serrato, godibilissimo e sempre altamente istruttivo anche quando verte su temi
e autori ormai non più presenti nel dibattito odierno.Come si ricordava all'inizio,
la riflessione di Scarpelli sul diritto è stata inizialmente molto influenzata
dal saggio di Bobbio Scienza del diritto e analisi del linguaggio. Intorno ad
esso ruota il libro del 1953, che ha come tema centrale proprio quello della
scientificità della giurisprudenza. La scienza giuridica di cui ambedue gli
autori parlano è naturalmente quella normativistica di stampo kelseniano. È
nota la tesi di Bobbio: la giurisprudenza può essere considerata scienza nel
senso del neopositivismo, nella misura in cui svolge il lavoro preliminare a
ogni scienza, sia empirica che formale, lavoro che consiste nella costruzione
di un linguaggio rigoroso. Vale la pena di riportare le sue parole: «La
giurisprudenza [...] consta della parte critica propria di ogni sistema
scientifico, vale a dire della costruzione di un linguaggio rigoroso [...] Ma
proprio perché la sua operazione fondamentale consiste nella costruzione di un
linguaggio rigoroso, cioè scientifico, essa è scienza al pari di ogni altra
scienza empirica o formale. Le sue operazioni, insomma, coincidono
perfettamente con le operazioni, o per lo meno con una parte vitale ed
ineliminabile delle operazioni di ogni altra scienza, e senza la quale nessuna
ricerca può pretendere di valere come scienza»28. Scarpelli, in questa
fase, dichiara di aderire all'impostazione bobbia-na, ma i suoi argomenti non
sono interamente sovrapponibili a quelli di Bobbio. Intanto, egli
mette in guardia dai pericoli legati all'uso del «titolo ono-rifico» di scienza
per qualificare il lavoro dei giuristi, perché potrebbe in realtà mascherare
operazioni inconfessabili e tutt'altro che legittime in un quadro genuinamente
scientifico. Egli poi sottolinea a più riprese che la giurisprudenza per Bobbio
non è una scienza formale e neppure una scienza empirica, e non gli sfugge
l'importanza del riferimento che Bobbio fa al suo essere "fondata
sull'esperienza": un aspetto a cui Bobbio - fa notare Scarpelli -
darà sempre maggior rilievo negli scritti successi-vi. Il giurista infatti si
occupa non di un linguaggio quale che sia, ma di quello prodotto effettivamente
da un legislatore. D'altro canto, lavora su proposizioni normative e produce
proposizioni normative, ossia discorsi in cui dice non che cosa accade ma che
cosa deve accadere; non descrive qualunque discorso di fatto prodotto dagli
operatori giuridici, ma solo i discorsi che costoro devono produrre secondo le
regole del sistema. Questa è la sua conclusione: «Se per scienza
intendiamo un com-plesso di operazioni di indagine dirette ad aumentare la
conoscenza che l'uomo ha del mondo, tali cioè da rendere capaci di un maggior
numero di previsioni, e più esatte, l'espressione "scienza" giuridica
è impropria ed abusiva; benché rispetto al linguaggio-oggetto l'atteggiamento
dei giuristi si possa definire, almeno tendenzialmente, conoscitivo, ciò che
essi conoscono è un prodotto della cultura umana, un linguaggio, che poi non
serve a fare previsioni, ma qualificazioni» (pp. 126-7, corsivo mio).
Ciononostante, prosegue Scarpelli, qualificare come scienza un discorso
rigoroso è più fedele all'uso comune: «Determinando [...] il significato di
scienza in modo da ricomprendervi ogni attività dell'uomo che si svolga per
mezzo del linguaggio, e sia disciplinata con regole e criteri rigorosi, la giurisprudenza,
secondo il modello normativistico, ha carattere scientifico» (p. 126-7).
E evidente però che il suo richiamo all'uso comune è debole almeno tanto quanto
la convinzione di Bobbio che il rigore sia condizione sufficiente di
scientificità?. E infatti Scarpelli lo abbandonerà Come sappiamo, in Cos'è il
positivismo giuridico egli negherà il carattere scientifico della
giurisprudenza giuspositivistica proprio in ragione del divario tra essa e il
modello neoempirista delle scienze formali ed empiriche. Abbandonato il
"titolo onorifico" di scienza, a giustificare il lavoro del giurista
non resterà che il rigore, o meglio i fini a cui esso è strumentale. Il
linguaggio giuridico, dice Scarpelli, è un universo chiuso e finito,
identificato in base alla norma fondamentale, che può essere intesa come un
assioma scelto, convenzionalmente ma non arbitrariamente, dal giuri-sta. Egli
in questa fase non si avvede ancora che neppure una concezione costruttivistica
della scienza (e quella di Scarpelli, come si è detto, lo è fin da subito) può
tollerare siffatta chiusura precostituita dell'oggetto d'inda-gine. Del resto
questo è proprio l'argomento con cui dimostrerà, nel 1965, che la
giurisprudenza normativistica non è e non potrà mai essere una scienza: il
campo d'indagine della giurisprudenza infatti non è, «come il campo di indagine
d'una scienza empirica aperto al collegamento degli eventi studiati con ogni
evento che apparisca sotto qualsiasi profilo rilevante in ordine alla
spiegazione e alle previsioni. L'insieme delle norme poste dalla volontà degli
esseri umani, in cui è identificato il diritto èassunto fra le esperienze
attuali e possibili come un quid unicum, un dato assolutamente
privilegiato» Se il giurista identifica il proprio oggetto in base a un criterio
con-venzionale, non si potrà più parlare di vera scienza giuridica. La
giurisprudenza normativistica è perciò solo «una possibile scienza costruita su
presupposti e su regole la cui scelta è, dal punto di vista della scienza
stessa, libera, e consigliata da ragioni pratiche» (p. 125). Non consegue da
ciò che la scelta della norma fondamentale abbia un carattere arbitrario:
«Vi sono gravi ragioni morali, politiche, pratiche, per scegliere un sistema di
norme piuttosto che un altro, per scegliere una norma fondamentale
individuatrice del sistema, piuttosto che un'altra norma fondamentale in-
dividuatrice di un altro sistema» (p. 96). Non stupisce perciò che un
capitolo del libro del 1953 sia intitolato «Argomenti pratici in favore
di una giurisprudenza come scienza» (corsi-vo mio). Qui egli osserva che «per
giustificare o raccomandare il complesso di regole e di criteri di procedimento
della scienza giuridica, occorre andare fuori dalla scienza giuridica. Gli
argomenti che possono venire addotti hanno carattere pragmatico e politico, e
sono in relazione con le nostre preferenze ed inclinazioni e con i nostri
ideali morali e politici» (p. 123, corsivo dell'autore). La giurisprudenza
dunque non si autolegittima; la sua giustificazione dipende semmai dagli obiettivi
a cui il suo lavoro è strumentale e dalle modalità con cui esso viene condotto.
Il giurista pre-para, accompagna e consiglia la legislazione e la
giurisprudenza pratica dando qualificazioni di conformità e disformità e
dichiarando dovuta o meno la sanzione. E se il sistema è efficace, ossia se
operatori giuridici e cittadini si comportano così come devono comportarsi
secondo le sue re-gole, allora il rigore delle operazioni del giurista
contribuirà a realizzare gli ideali della certezza del diritto e
dell'uguaglianza. La giurisprudenza normativistica è dunque per lui una
tecnica, «la più efficiente tecnica» (p. 227) per realizzare tali
valori"!. Alla fin dei conti, la difesa della scientificità della
giurisprudenza fatta da Scarpelli nel 1953 è ben più tiepida di quella operata
da Bobbio, anche se le conclusioni dei due autori finiscono per convergere 2:
per entram-bi, alla fin dei conti, la giustificazione della giurisprudenza
normativista dipende dal rigore delle operazioni che essa compie sul linguaggio
giu-ridico. Scarpelli in questa fase non ha tratto ancora tutte le
implicazioni della sua idea, che il lavoro del giurista possa essere
giustificato solo piano etico-politico e non su quello scientifico, ma ha già
espresso con nettezza questa tesi. Alla interpretazione politica del
positivismo giuridico risulterà decisiva, ritengo, la lettura de Il concetto di
diritto di Hart; è proprio riflettendo su questo libro che egli maturerà la
convinzione che neppure il principio di effettività possa valere come
fondazione scientifica di una giurisprudenza normativistica. Come si è
appena ricordato, Scarpelli già nel 1953 giudica errato ritenere che «non siano
possibili più sistemi di linguaggi giuridici diversamente costituiti, e in
relazione più scienze giuridiche, più giurisprudenze, diversamente costituite,
ma che nel diritto vi sia qualche costante fonda-mentale, che in relazione a
tale costante vi sia la "vera" scienza del diritto, la
"vera" giurisprudenza, della quale la teoria della conoscenza giuridica
ha il compito di determinare l'oggetto ed i metodi» (pp. 87-8). Uno
decisivo sostegno a questa tesi viene dalla teoria della definizione elaborata
nel libro del 1955. Questa si basa su due elementi: da un lato sulla critica
alla equivoca categoria della definizione reale, dall'altro lato sulla
distinzione tra definizioni lessicali e definizioni stipulative e sul ruolo
privilegiato attribuito a queste ultime. In questa fase Scarpelli non
concettualizza ancora le definizioni esplicative come categoria autonoma,
limitandosi a raccomandare misura nell'uso delle stipulazioni linguistiche e a
esprimere un prudente conservatorismo linguistico?. Ammette poi la legittimità
di molteplici tecniche definitorie, soffermandosi in particolare sulle
definizioni condizionali, giudicate più adatte a definire i termini che
designano disposizioni. Sono tutti elementi che verranno ripresi nel libro del
1959 sulla semantica del linguaggio normativo, specie in sede di analisi di
quella categoria di concetti giuridici che Scarpelli chiama
qualificatori. In questo lavoro, tali elementi gli servono però
specialmente per smantellare i tradizionali accostamenti preanalitici al tema
della definizione del concetto di diritto. «Non esistono la definizione e il
concetto di diritto», esordisce il libro, ma esistono varie possibili
definizio-ni; e la scelta tra esse dipende «dai fini a cui il concetto è per
servire»(p. 131). Lungi dal porsi come problema di ricerca di una definizione
rea-le, quello della definizione del concetto di diritto si pone dunque «o come
problema lessicografico, ossia di accertamento del significato di
"diritto" nel linguaggio di una data persona o di un dato gruppo
sociale, o come problema di scelta di una definizione stipulativa [...]» (p.
182). Quest'ultima è la direzione privilegiata da Scarpelli. Libertà
definitoria non vuol dire, beninteso, licenza di chiamare diritto ciò che più
ci aggradi, perché da un lato vale la cautela di non discostarsi dagli usi
comuni ove non necessario, dall'altro lato si tratta di scegliere la
definizione più adeguata ai fini che ci si propone, siano essi conoscitivi o
pratici, e di giustificarla alla luce degli stessi. Scarpelli in questo libro
mette l'accento sui fini conoscitivi, dichiarandosi interessato a formulare una
definizione «capace di essere utile alle scienze giuridiche e sociologiche»4.
Il fine pratico di tenere il diritto separato dalla morale per ragioni morali
verrà da lui esplicitato solo successivamente'. Da un lato dunque
Scarpelli smantella le visioni ingenuamente oggettiviste del diritto, che lo
raffigurano come un dato della realtà indipendente dai nostri atteggiamenti,
dall'altro lato egli censura la altrettanto pericolosa pretesa di chi ne
presenta la definizione come scoperta della essenza universale del diritto, in
realtà occultando al suo interno le proprie opzioni personali. Oggi queste
critiche per gli analitici rappresentano un luogo comune, ma sono diventate
tali proprio grazie al lavoro pionieristico di Scarpelli.La teoria
scarpelliana della definizione, tuttavia, non è semplice prof fessione di
nominalismo; essa è infatti intimamente legata al costruttivismo di Scarpelli,
ne rappresenta anzi un elemento essenziale, e lo colora in senso nettamente
prescrittivo. Usare per il concetto di diritto una definizione stipulativa ci
consente di «distinguere tra la questione della determinazione del modo di uso
della parola e le questioni riguardanti i giudizi, filosofici o scientifici,
che a proposito del diritto si formulano, e i criteri da impiegare nella formulazione
di tali giudizi, favorendo così una discussione pulita e chiara, un pertinente
impiego dei criteri» (p. 186). Non è dunque solo questione di nomen
juris; la stipulazione linguistica è semmai la modalità elettiva per esprimere
e giustificare le inevitabili scel-te teoriche e pratiche su ciò che il diritto
è e su come si deve conoscerlo e valutarlo; scelte che sono per Scarpelli
costitutive dell'universo giuridico. Anche su questo punto fondamentale
il nosto autore non ha mai cam- biato idea. 4. Questioni di
stile Non è superfluo soffermarsi, per concludere, su alcuni tratti dello
stile che caratterizza i due lavori di Scarpelli qui presentati. Abbiamo a che
fare in questo caso con elementi esteriori solo in apparenza, perché in realtà
dicono molto sul modo scarpelliano di intendere e praticare la filosofia.
Innanzi tutto, è già di per sé eloquente il modo in cui i due libri sono
strutturati. In ciascuno di essi infatti si giunge al cuore dell'argomento solo
dopo un lungo discorso preparatorio che tocca temi filosofici generalissimi
quali la natura del discorso filosofico, la conoscenza e la scienza, il
rapporto tra linguaggio e realtà, e via dicendo. Questa modalità di
avvicinamento ai problemi, che va dal più generale al meno generale, è in
effetti un tratto inconfondibile di tutta la produzione del nostro autore, ed è
assai indicativa delle sue idee filosofiche intorno al diritto. Come si è già
sottolineato, per lui ogni problema giuridico presuppone questioni filosofiche
più generali e ad esso pregiudiziali, che vanno affrontate sempre in modo
espresso e nell'ordine logico in cui si presentano: a partire dall'indicazione
delle scelte filosofiche apicali, la cui chiara e previa enunciazione soddisfa
il valore illuministico della pubblicità e controllabilità; le si chiarisce e
giustifica, in primo luogo a se stessi, e le si sottopone allo scrutinio
altrui. Un secondo aspetto dello stile di Scarpelli che è importante
sottolineare riguarda il suo atteggiamento in rapporto alle idee dei propri
interlocutori e antagonisti filosofici. Si è già detto della cautela con cui
egli si avvicina inizialmente alle tesi analitiche e dell'attenzione
privilegiata che continua a riservare all'idealismo. Lo stesso atteggiamento di
apertura Scarpelli ha sempre manifestato verso correnti di pensiero e autori
pur lontanissimi dal suo modo di fare filosofia e spesso non più alla
moda. Questo perché, come egli osserva, «nessun uomo, nessuna scuola ha
il monopolio della verità, a tutti gli insegnamenti occorre accostarsi con
buona volontà e rispetto, perché vi può essere qualcosa o molto da impa-
rare» (p. 133). Non si tratta però di ecumenismo, ma del primato dato
alla sostanzadegli argomenti, al di là della cornice filosofica in cui si
innestano. Anche sotto questo profilo Scarpelli ha sempre applicato in primo
luogo al suo stesso modo di fare filosofia le costrizioni e i principi del
metodo anali-tico. Primo fra tutti il metaprincipio che impone il vaglio
critico di ogni argomento giudicato degno di attenzione. Una volta scoperta
l'impossibilità di fondare non solo l'etica ma anche la scienza, il confronto
tra le proprie tesi e quelle altrui diviene imprescindibile. Infine, il
modo in cui Scarpelli si misura con altri autori e correnti di pensiero è
sempre improntato a un atteggiamento di carità interpretativa. Egli non
ridicolizza mai il suo interlocutore, si guarda bene dal fornire caricature dei
suoi argomenti e, al contrario, cerca di offrirne una ricostruzione fedele
presentandoli nella loro luce migliore, cosa che riesce a fare sempre con
lucidità e sintesi mirabili. Anche tale atteggiamento contribuisce a spiegare
perché Scarpelli non abbia mai liquidato completamente le filosofie che
influenzarono la sua formazione e abbia continuato a trovare in esse, viceversa,
aspetti accettabili e persino integrabili nella filosofia analitica. Ma
sarebbe un grave errore scambiare questo suo atteggiamento per mancanza di
nerbo teorico. E difatti, una volta che la tesi con cui interloquisce è stata
esposta, di solito arriva presto la rasoiata analitica: ad evidenziarne, per
esempio, la circolarità o l'inconsistenza interna oppure a mostrare che è
fondata su presupposti sbagliati o ancora che è al più recuperabile in tutto o
in parte ma a patto di inserirla in una cornice completamente diversa. Si
possono richiamare al riguardo gli esempi già menzionati (sopra, $ 3). Come
ulteriore esempio, si veda la sua critica dell'istituzionalismo, di cui
Scarpelli respinge la pretesa di porsi come concezione alternativa al
normativismo. A suo avviso l'istituzionalismo potrebbe semmai candidarsi al
ruolo di concezione pragmatica del dirit-to, ma a patto di superare le
incertezze metodologiche che lo affliggono. La benevolenza si coniuga
qui, come altrove, con la critica implacabile: garbato ma deciso, il
suggerimento all'istituzionalismo è di darsi finalmente un metodo e in buona
sostanza di trasformarsi in sociologia del La carità interpretativa è
anch'essa per Scarpelli un principio filoso-fico, o se vogliamo un
metaprincipio che orienta l'applicazione dei principi della sua filosofia
analitica. Principio anch'esso volto alla ricerca dell'argomento migliore. Mi
dilungo su questo punto perché il dibattito contemporaneo, specie nel mondo
angloamericano, sembra avere obliterato la carità interpretativa: come attesta
il fatto che fiumi d'inchiostro sono stati versati e fortune filosofiche
edificate su fraintendimenti tropposmaccati per poter essere considerati
semplici infortuni interpretativi. Far leggere Scarpelli alle nuove generazioni
di studiosi ha perciò anche un non trascurabile valore pedagogico.
Avvertenza Nella presente riedizione ci si è limitati a correggere i
(rari) refusi e a uniformare l'accentazione delle parole agli standard
correnti. Inoltre, per ragioni redazionali, la numerazione delle note
all'interno di ciascun capitolo di Il problema della definizione e il concetto
di diritto è stata parzialmente modificata rispetto all'originale. È bene
avvertire il lettore che in Filosofia analitica e giurisprudenza
Scarpelli usa il calco dall'inglese "sentenza" (sentence) per
indicare quello che correntemente, e da lui stesso in Il problema della
definizione e il concetto di diritto, viene denominato
"enunciato". Sempre nella stessa opera, Scarpelli adopera "definizione
reale" come sinonimo di "definizione lessicale" e
"definizione nominale" come sinonimo di "definizione
stipulativa". Come egli stesso avverte in Il problema della definizione e
il concetto di diritto (p. 183), questa terminologia è stata da lui
abbandonata, anche dietro sollecitazione di Hare, perché potenzialmente foriera
di equivoci. Di seguito sono elencati i principali scritti su Scarpelli.
Una bibliografia degli scritti di Scarpelli si trova in Filosofia analitica
1993, a cura di P Donatelli e L. Floridi, Lithos, Roma 1993.Una bibliografia
aggiornata alle pubblicazioni postume si trova nella voce su Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Uberto_Scarpelli, origin nariamente redatta
da S. Zorzetto nel 2007. Uberto Scarpelli. Scarpelli. Keywords: fascismo, la
filosofia di Giovanni Gentile – la difensa di Scarpelli contro Solari,
“Behaviourism, positivism logico e fascismo” nell “Mulino”, Hare, Stevenson,
Grice -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scarpelli” – The Swimming-Pool Library. Scarpelli.
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