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Friday, December 20, 2024

GRICE E SVETONIO

 

Grice e Svetonio: la ragione conversazionale del  commentario alla repubblica, più vasto dalla repubblica – la scuola d’Ostia – filosofia lazia -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ostia). Filosofo lazio. Filosofo italiano. Ostia, Lazio. Best known for his account of the lives of the first XII emperors, his output amounts to much more than that. He writes a lengthy commentary on Cicerone’s “Republic,” which Cicerone liked ‘even if it is longer than my ‘Republic’!”   Disambiguazione – "Svetonio" rimanda qui. Se stai cercando il militare, vedi Gaio Svetonio Paolino.  Incisione ottocentesca di Svetonio. Gaio Svetonio Tranquillo (pron. latina classica o restituita: [ˈɡaːɪ.ʊs sweːˈtoːnɪ.ʊs traŋˈkɪllʊs]), noto semplicemente come Svetonio[1] o, più raramente, come Suetoni o[1][2] (in latino Gaius Suetonius Tranquillus; 69 circa[1][3] – post 122) è stato uno storico e biografo romano dell'età imperiale.  Biografia Svetonio nacque attorno al 70 d.C. in un luogo imprecisato del Latium vetus, forse a Ostia, dove ebbe la carica religiosa locale di pontefice di Vulcano (solitamente conferita a vita). Altre ipotesi fissano il suo luogo di nascita a Roma oppure a Ippona in Africa (dove è menzionato in un'iscrizione), o ancora a Pesaro nelle attuali Marche (tesi di Syme).  Non si conosce, tuttavia, con precisione l'anno di nascita: alcuni, facendo riferimento ad una lettera inviata da Plinio il Giovane a Svetonio nel 101,[4] anno in cui avrebbe potuto ricevere un tribunato militare se avesse intrapreso la carriera militare, collocano la data al 77. Altri anticipano la data al 69, altri ancora, esaminando altre lettere indirizzate all'autore del De vita Caesarum, la collocano al 71 o al 75.  Ugualmente incerta è l'origine sociale di Svetonio: non si può stabilire con precisione se la sua famiglia appartenesse al ceto equestre o fosse plebea, anche se l'autore stesso riferisce che il padre, Svetonio Leto, era tribuno angusticlavio della XIII legione, che servì Otone nella prima battaglia di Bedriaco contro Vitellio.[5]  Nonostante le origini non patrizie, Svetonio studiò non solo grammatica e letteratura, ma anche retorica e giurisprudenza, divenendo avvocato e corrispondente di Plinio il Giovane, che lo considerava un suo protetto e che diede un impulso alla carriera di Svetonio. Prima di morire, nel 113 d.C., infatti, lo affidò alla protezione di Setticio Claro, che, divenuto prefetto del pretorio dell'imperatore Adriano, ottenne per lui la carica di segretario dell'imperatore (procurator a studiis e ab epistulis, ovvero sovrintendente degli archivi e curatore della corrispondenza imperiale), ed in tale qualità aveva accesso ai documenti più importanti degli archivi imperiali.  Svetonio ricoprì, dunque, cariche importanti sotto l'imperatore Adriano e forse già sotto Traiano, entrando a far parte del personale a più stretto contatto con l'imperatore: tuttavia, il suo allontanamento da parte dell'imperatore Adriano nel 122 (assieme al prefetto del pretorio Setticio Claro, con la motivazione ufficiale di aver trattato con eccessiva vicinanza l'imperatrice Sabina),[6] per motivi non chiari (nel contesto di una epurazione dei quadri dirigenti voluta forse dall'imperatrice stessa per conferire gli incarichi ai suoi protetti) segnò la fine della sua carriera.  Anche la data di morte non è del tutto sicura, ed è posta da alcuni attorno al 126, da altri una quindicina di anni dopo, intorno al 140 o addirittura al 161, anno della morte dell'imperatore Antonino Pio.  Opere  Miniatura che raffigura Svetonio intento nella lettura, tratta dal Liber Chronicarum (foglio CXI), trattato di Hartmann Schedel (1493). De viris illustribus  Lo stesso argomento in dettaglio: De viris illustribus (Svetonio). Il De viris illustribus ("I personaggi famosi"),[7] che trova un suo chiaro precedente in Cornelio Nepote, analizza le figure di personalità illustri nel campo culturale, suddividendole in cinque categorie: poeti (De poetis), grammatici e retori (De grammaticis et rhetoribus), oratori (De oratoribus), storici (De historicis) e filosofi (De philosophis).[8]  Dell'opera si conserva pressoché intatta soltanto la sezione riservata ai grammatici e ai retori (21 grammatici e 5 retori), anche se mancante della parte finale:[8] dopo una diffusa introduzione sull'arrivo della scienza grammaticale a Roma, Svetonio offre dei brevi ritratti (alcuni brevissimi) di coloro che hanno contribuito allo sviluppo dello studio della grammatica a Roma, ponendo l'attenzione, oltre che sulle novità che ciascun grammatico ha apportato, spesso anche su particolari aneddotici.  Delle altre sezioni del De viris illustribus rimangono soltanto alcune vite, sulla cui reale attribuzione a Svetonio, peraltro, non c'è accordo fra gli studiosi. Si ricordano la Vita Terentii (che costituisce la premessa al commento di Elio Donato alle commedie terenziane), la vita di Orazio e quella di Lucano; deriva dal De poetis anche la vita di Virgilio, premessa al commento delle opere del poeta sempre da Elio Donato.[8]  De vita Caesarum  Lo stesso argomento in dettaglio: Vite dei Cesari. Le Vite dei dodici Cesari in otto libri,[9] sono ben più ampie e sono a noi giunte pressoché complete (manca solo una breve parte iniziale). Comprendono, in ordine cronologico, i ritratti dei "dodici Cesari": Giulio Cesare e i primi undici imperatori romani, Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone, Galba, Otone, Vitellio, Vespasiano, Tito, Domiziano.  A parte una genealogia introduttiva e un breve riassunto della vita e della morte del personaggio, queste biografie non seguono un modello cronologico, bensì uno schema non rigido, modificabile a seconda delle esigenze dell'autore. Questo schema era composto da moduli biografici di tipo alessandrino: si partiva dalla nascita e dalle origini familiari, per poi passare all'educazione, alla giovinezza, alla carriera politica prima dell'assunzione al potere; qui iniziava la seconda parte (organizzata per species, ovvero per categorie) della narrazione: i principali atti di governo, un ritratto fisico e morale, la descrizione della morte e del funerale, infine il testamento. Tutto ciò a discapito dell'organicità del racconto, con un interesse spesso dispersivo verso il particolare o l'aneddoto.[8]  La differenza con il contemporaneo Plutarco è che, mentre quest'ultimo partecipava più emotivamente al racconto, Svetonio dimostra una attenzione più documentaria che appassionata. Svetonio appare più distaccato, astenendosi da un giudizio personale.[10] Emerge anche una caratterizzazione negativa degli imperatori del I secolo, forse incoraggiato dallo stesso Adriano, al fine di contrapporre il suo buon governo a quello dei suoi predecessori, caratterizzato spesso da eccessi (vedi su tutti Caligola, Nerone e Domiziano).[10] Svetonio sembra concentrarsi soprattutto attorno alla figura del princeps, quasi incurante del mondo imperiale che lo circonda.  La forma, che appare in alcuni casi sciatta, risulta semplice, lineare, con una struttura schematica, anche frammentaria, che non fornisce un discorso articolato da un punto di vista stilistico.[10] In alcuni casi, Svetonio riesce invece ad "ottenere notevoli effetti drammatici ed a mostrare una caratterizzazione psicologica coerente".[10]  Come membro della corte imperiale (del consilium principis) e procurator a studiis e a bibliothecis (sovrintendete degli archivi e delle biblioteche imperiali), Svetonio aveva a disposizione documenti di prima mano (decreti, senatus consulta, verbali del Senato), tutti utili fonti per il suo lavoro, e materiale utile agli storici moderni per la ricostruzione del periodo. Tuttavia egli si servì anche di fonti non ufficiali, quali scritti propagandistici e diffamatori e anche testimonianze orali, al fine di alimentare quel gusto per l'aneddoto e il curioso cui egli dedica ampio spazio e che alcuni gli ascrivono come difetto ed altri come pregio.  Opere minori Sotto il nome di Svetonio sono pervenuti anche alcuni titoli e frammenti di argomento storico-antiquario, grammaticale e scientifico. Di carattere erudito, ad esempio, sono Peri ton par' Hellesi paidion ("Sui giochi in Grecia") e Peri blasphemion ("Sugli insulti"), scritti in greco e che sopravvivono in estratti in tardi glossari greci.  Di altre opere ci informano in parte il lessico Suda e grammatici latini tardi:[11] si va, così, dalle Vite dei sovrani alle più piccanti Vite di famose cortigiane, per continuare con opere che erano, forse, sezioni di un trattato spesso citato come Roma e che doveva comprendere, in una sorta di miscellanea, vari aspetti della vita romana. Lo attesterebbero titoli come Su usi e costumi dei Romani, Sull'anno romano, Sulle feste romane, Sui vestiti, Sul De re publica di Cicerone, Sulle magistrature.  Di carattere ancor più vario e meno compatto doveva essere il Pratum, che forse comprendeva titoli come Sui metodi di misurazione del tempo, Problemi grammaticali, Sui difetti fisici, Sulla Natura, Sui segni diacritici usati nei libri. L'insieme dei frammenti, in parte latini e in parte greci, è tuttavia troppo esiguo per consentire un'analisi di tali opere e verificarne la paternità.  Una valutazione di Svetonio Svetonio svolse le funzioni di segretario[12] (ab epistulis[1][3]), di responsabile delle biblioteche pubbliche di Roma[12] (a bibliothecis)[1][3] e di direttore dell'archivio imperiale[12] (a studiis)[1][3] durante l'impero di Adriano.[12] Grazie a questi compiti ebbe accesso a informazioni riservate, grazie a cui ci sono giunte notizie di prima mano sui Cesari, altrimenti irrimediabilmente perdute. Tuttavia suo grande difetto è quello di prestare credito, riguardo alle vite di alcuni imperatori, alla presenza di fonti storiche del tempo di per sé corrotte e parziali. Eppure, nonostante i limiti stilistici e strutturali delle sue biografie, ottenne un'enorme fama[1] durante tutta l'età antica e il Medioevo.[3]  Svetonio fu, comunque, essenzialmente un erudito, vista la grande mole di opere composte negli ambiti più svariati (in parte scritte in greco), amante della vita ritirata, onde potersi dedicare agli studi che più amò. Fu figura di antiquario, studioso enciclopedico, con grande interesse per le antichità e la cultura romana, accostabile a Marco Terenzio Varrone per le caratteristiche della produzione.[8]  Note  Svetònio Tranquillo, Gaio, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 12 maggio 2018. ^ Manca - Vio, Introduzione alla storiografia romana, p. 211.  Svetonio Tranquillo, Gaio, in Dizionario di storia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. URL consultato il 12 maggio 2018. ^ X 95. ^ De Vita Caesarum, VII, 10. ^ Elio Sparziano, Adriano, 11, 3. ^ Svetonio, De viris illustribus (testo latino).  Luciano Perelli, Storia della letteratura latina, Milano, Paravia, 1996, p. 324. ^ Svetonio, De vita Caesarum libri VIII (testo latino).  Luciano Perelli, Storia della letteratura latina, cit., p. 325. ^ (EN) Foreword, in Suetonius: The Twelve Caesars, traduzione di Graves Robert, 1ª ed., Hamondsworth, Penguin Books, 2007 [1957], ISBN 978-0140455168.  Svetonio, in Sapere.it. URL consultato il 12 maggio 2018. Bibliografia A. Wallace-Hadrill, Suetonius: The Scholar and his Caesars, Londra 1983. Gaio Svetonio Tranquillo, Vita dei Cesari, traduzione di Edoardo Noseda, Milano, Garzanti Editore, 1977, ISBN 978-88-11-36187-9. P. Galand-Hallyn, Bibliographie suétonienne (Les Vies des XII Césars) 1950-1988. Vers une réhabilitation, in ANRW II 33.5 (1991), pp. 3576-3622. F. Leo, Die griechisch-römische Biographie nach ihrer literarischen Form, Lipsia 1901. G. Funaioli, C. Suetonius Tranquillus, in RE 4 A (1931), coll. 593-641. A. Macé, Essai sur Suétone, Parigi 1900. W. Steidle, Sueton und die antike Biographie, Monaco 1951. F. Della Corte, Svetonio eques Romanus, Firenze 1967² E. Cizek, Structures et idéologie dans Les vies des douze Césars de Suétone, Bucarest-Parigi 1977. B. Baldwin, Suetonius, Amsterdam 1983. U. Lambrecht, Herrscherbild und Principatsidee in Suetons Kaiserbiographien. Untersuchungen zur Caesar- und Augustus-Vita, Bonn 1984. K. R. Bradley, The Imperial Ideal in Suetonius' Caesares, in ANRW II 33.5 (1991), pp. 3701-3732. J. Gascou, Suétone historien (BEFAR 255), Roma 1984. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Gaio Svetonio Tranquillo Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina in lingua latina dedicata a Gaio Svetonio Tranquillo Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Gaio Svetonio Tranquillo Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Gaio Svetonio Tranquillo Collegamenti esterni Svetònio Tranquillo, Gaio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Arnaldo Momigliano, SVETONIO, Gaio Tranquillo, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1937. Modifica su Wikidata Svetonio Tranquillo, Gaio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata (EN) Suetonius, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata (LA) Opere di Gaio Svetonio Tranquillo, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Modifica su Wikidata Opere di Gaio Svetonio Tranquillo, su MLOL, Horizons Unlimited. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Gaio Svetonio Tranquillo, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Gaio Svetonio Tranquillo, su Progetto Gutenberg. Modifica su Wikidata (EN) Audiolibri di Gaio Svetonio Tranquillo, su LibriVox. Modifica su Wikidata (EN) Gaio Svetonio Tranquillo, su IMDb, IMDb.com. Modifica su Wikidata De vita Caesarum — testo latino, traduzione inglese su LacusCurtius C. Svetoni Tranquilli preater Caesarum libros reliquiae edidit, August Reifferscheid (a cura di), Lipsiae, sumptibus et formis B. G. Teubneri, 1860. V · D · M Storici romani Controllo di autorità                              VIAF (EN) 89599270 · ISNI (EN) 0000 0001 2102 9695 · SBN CFIV096923 · BAV 495/59238 · CERL cnp01259584 · Europeana agent/base/60347 · ULAN (EN) 500050468 · LCCN (EN) n50053072 · GND (DE) 118619918 · BNE (ES) XX1148703 (data) · BNF (FR) cb119257294 (data) · J9U (EN, HE) 987007268630505171 · NSK (HR) 000013179 · NDL (EN, JA) 00458032 · CONOR.SI (SL) 17012579   Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Lingua latina   Portale Storia Categorie: Storici romaniBiografi romaniStorici del I secoloStorici del II secoloRomani del I secoloRomani del II secoloSuetonii[altre]S7 8'   SS   /SS3     S7g'   (SS3     t        ^ " •     NUOVI BIBLIOTECA POPOLARE     Classe II  STORIA     LE VITE     •• . • «     DEI v.*V''   ir" 1 •     DODICI CESMI   DI   GAIO SVETONIO TRANQUILLO     • >■     ■^     LE VITE   DEI   DODICI CESARI     Di     GAIO SVETONIO TRANQUILLO   TRADOTTE IN VOLGAR TIORENTINO          C«««I,ICKB «BKOaOLnilTAIIO     TORINO   CWIKI POUrBA E COMP; SDITORl " ^^   -1833 _ -_ . .     . "'■■■' ! i" *■*     /.     TORmO I89d. ^TIPOGRAFIA £ STEREOTIPIA DEL PROGRESSO   diretta d» babera e AMBROSIO'  Via della Mjdotuia degli AotP^, rimpetto alla Chiesa.     ;:^ GLI EDITORI     Si leggono avidamente perchè vestiti di fiUroK leggiadre  alcoDi romanzi moderni dei Dumas e dei SuE^n, i i^^'i  ci dipingono i costumi strani e gli avreAimeBÙ specialis-  simi di Roma imperiale. Ma per fiei libri, e per^tri di  simile fatta, l'immaginazione degli Autori era ampiamente  soccorsa dagli scritti degli Autori di quei tempi.   In fatti, per non parlare qui di altri, le Vite dei  Dodici Cesari a Svetonio ne sono tale dipintura da  disgradarne qualunque libro moderno che dei medesimi  discorra.   Scrittore terso e lindo, fu da mano maestra vólto in  italiano. La traduzione di Paolo del Rosso è classica  e citata fra i testi dì lingua dal Gamba.   Crediamo per conseguenza ben fatto il rendere questo  libro popolare.   Torino, 20 luglio 4853.   Cugini POMBA e C.   (*) Actéy Isaach Lacquedem del primo, e Les Mystères du  Peaple del secondo.     KtMO IMPERATORE 41   posto che egli fu in terra, senza metter tempo in mezzo, fece  venire prestamente l'armata da MUesio, e si. messe a persegui-  targli mentre che se ne, andavano, ed avendogli ridotti ia suo  potere, dette loro subito quella punizione, della qu«le cianciando  spesse volte gli aveva ininacciati. Dando il guasto Mitridate ai  paesi allo intorno, e perciò ritrovandosi i confederati ed amici  del popolo rontóno in pericolo e travaglio, egli per non parer di  starsi a vedere in così fatta necessità, lasciò stare TandaraRodi,  dove egli s'era addirizzato, e prese la volta dell'Asia : e quivi  soldato gente discacciò il prefetto e capitano di Mitridate di quella  provincia, e ritenne in fede le città, le quali stavano tuttavia per  ribellarsi.   Il Tribunato de* soldati , e altre cose da lui intraprese.   Essendo fatto tribuno de' militi (il che subito che tornò a  Roma ottenne, mediante il favore del popolo) con ogni sforzo, e  molto gagliardamente aiutò e favorì quegli, che cercavano di far  rendere l'autorità a* tribuni, la quale da Siila era stata diminuita.  A Lucio Cinna fratello della moglie ed a quegli che insieme con  lui nelle discordie civili avevano seguitato la parte di Lepido,  e dopo la morte di esso Lepido s'erano rifuggiti . in Spagna «  Sertorio, fece abilità di poter tornare in Roma, mediante una  petizione messa in senato da Plocio, e parlò ancora egli sopra  tale cosa.   La Questura, e ì suoi fatti.-   Essendo questore secondo l'usanza antica fece una orazione in  laude di Giulia sua zia, sorella del padre, edi ComeUa sua donna;  le quali erano morte; e raccontando le lodidella zia, parlò della  origine di quella e del padre in questo modo. Là stirpe materna  dì Giulia mia zia ha origine dai re, e la paterna à congiunta €on  gli dii immortali. Conciossiacosaché da Anco Marzio derivino i  re Martii, del cui nome fu mia madre, da Venere i Giulii, della  cui gente è la nostra famiglia. Trovasi adunque nel ceppo antico  della casa nostra la santità dei re, la quale appresso degli uo-  mini è di grandissima autorità, e la religione degli iddii, nella  podestà, de* quali sono essi re. Tolse appresso per moglie, in  luogo di Cornelia, Pompea, tìgli uola di Qu-into Pompeo, e. nipote  di Siila, con la quale dipoi fece divorzio^ e la licenziò, come  quello che ebbe opinione che la fusse Btata adulterata da Publio     12 GIULIO CESARE   Clodio, il quale si diceva tanto manifestamente esser penetrato  ad essa vestito come dònna, mentre si celebravano le pubbliche  e sacre cerimonie, che il senato ordinò, che si facesse inquisi-  zione contro a chi avesse contaminato \e cose sacre.   Lamento di Cesare alla statua di Alessandro Magno, .  fr il suo sogno del giacimento colla madfe.   Essendo questore gli toccò per tratta la Spagna ulteriore, dove  facendo le visite, e tenendo ragione, secondo la commissione del  popolo romano, pervenne a Calis ; ed avendo nel tempio di Er-  cole considerato la immagine di Alessandro Magno, sospirò, e  pianse ; e quasi vergognandosi di se medesimo, che niuna cosa  memorabile da lui fusse ancora stata fatta in quella età,  nella quale Alessandro Magno di già il mondo aveva soggio-  gato, con gr3nde instanza domandò licenza, per cacciare, come  più presto poteva , occasione di maggior cose. Stando ancora  in Roma tutto confuso per un sogno fatto da lui la notte pas-  sata ( conciossiachè gli fusso paruto di usare con la madre)  gli fu dato dalli indovini grandissima speranza , interpretando  che ciò significava Taver lui a soggiogare il mondo ; conciofusse  cosa che la madre, quale egli sognando s'aveva veduta in cotal  guisa sottoposta, non significava altro, clie^a terra, la quale è  tenuta madre di tutte le cose.   Le cose da lui fatte nella città.   Partendosi adunque innanzi attempo, andò a ritrovare i popoH  di JLazio mandati ad abitare in diversi luoghi, i quali trattavano  insieme di addimandare di essere fatti cittadini romani ; e gli  avrebbe commossi a tentare qualche novità, se i consoli non  avessino solo per questa cagione intrattenulo alquanto le genti  fatte per mandare in Cilicia. Né mancò per questo di tentare poc«  dipoi dentro nella città cose di maggior momento.        Venuto in sospezione di aver congiurato con. Crasso, Siila, e Antooio.   Conciossiachè pochi. giorni avanti ch'egli pigliasse T uffizio delhi  edilità cadesse in sospetto di aver fatto una congiura insieme codi  Marco Crasso uonfio consolare, e e similmente, con Publio Sili*  e Antonio ; i quali poi che gli erano àtati designati consoli , fa*  reno condannati per uomini ambiziosi : la quale congiura er% né     PRIMO IMPERATORE 13   principio dell'anno assaltare il senato, e tagliato a pezzi chiunque  fosse lor piaciuto, che Crasso occupasse la dittatura, ed egli da  lui fusse fatto capitano de' cavalli, «d ordinata che era la Re-  pubblica a modo loro, che a Siila e ad Antonio fusse restituito  il consolato. Famio menzione di questa congiura Tanusio Gemino  nella istoria. Marco iBibulo negli editti. Gaio Curione, cioè il  padre, nelle orazioni : di questa congiura par che voglia inferire  anco Cicerone in una certa sua epistola ad Attico, scrivendo.  Cesare nel consolato aver confermato il regno, il quale essendo  edife egli aveva pensato di con firmare. Tanusio a'ggìugne, che  Crasso, o perchè egli si fussé pentito, ovvero per paura non si  era rappresentato al giorno stabilito sopra tale incisione, e che  Cesare per questo non aveva ancora egli dato il segi)0, ch'egli  erano 4'àccordò, ch'e' dovess^ dare. Scrive Curione, che si erano  convenuti, ch'egli si lasciasse cascar la toga dalle spalle; ed il  medesimo Curione e Marco Attorie Nasone dicono, lui ^vere an-  cora congiurata) con Gneo Pisene giovanetto, al quale per il so-  spetto di questa congiura civile fu dato spontaneamente per lo  strasordinario la provincia della Spagnaagoverno, eche si erano  convenuti, che in un tempo medesimo egli di fuora, ed esso in  Roma, dessino dentro a far qualche novità e garbuglio^ mediante  i Lambrani e Traspadani; ma che il disegno dell'uno e dell'altro  non fu colorito per essere steto iworto Pisene.   L'Edilità , e le cose da luì fatlei   Essendo creato edile, oltre alla sala del consiglio, e la piazza  pubblica, e le loggie, adorno ancora il Campidoglio con certi por-  tici posticci : perciò che avendo fatto provedimento grandissimo,  ed abbondantissimo d'ogni sorte d'ornamenti, e paramenti, volle  che i detti portici gli servissero per far la mostra di quelle cose,  che in colale apparato gli avanzavano. Fece far cacciOj feisle, e  giuochi in compagnia del suo collega, ed ancora da per sé sepa-  ratamente, e ne nacque che egli solo ne riportò la grazia, ed il  buon grado di quello ancora, che s'era fatto alle spese dell'uno  e dell'altro: perchè il suo compagno Marco Bibulo usava di dire  liberamente, che a sé era intervenuto il medesimo, che a Pol-  luce; perciocché sì come il tempio che era in piazza essendo  stato edificato in onor dell'uno e dell'altro fratello, era sol chia-  mato il tempio di Castore, così la magnificenza, e liberalità sna,  e di Cesare, era solo attribuita a Cesare. Aggiunse alle predette  feste Cesare àncora il giuoco de' gladiatori, il numero de' quali     44 GIULIO CELARE   fu alquanto minore, che egli non aveva disegnato, perciocché con  lo aver da ogni banda procacciato di molta gente di mai affare,  venne a spaventare i cittadini della fazione contraria. Onde ei  fu provveduto per legge, che u ninno fosse lecito di condurre  in Roma gladiatori, se non per insino ad una certa qùaniità\   Le cose da Itti opcirate nella città. . ,   Come e' s'ebbe in^cotal guisa guadagnato il favor del popolo,  tentò mediante una parte de' tribuni, che per via della plebe gii  fusse concesso la amministrazione dell'Egitto, pigliando occasione  di ottener il predetto governo per lo str^sordinario, con dire, che  gli Alessandrini avevano scacciato il iorore^ il quale dal senato  era stato accettato nel numero degli amici, e confederati, e tanto  più che nel popolo universalmente per lai caso si mormorava ;  ma non 16 ottenne, avendo avuto contro la fazione degli ottimati :  onde "all'incontro per diminuire l'autorità di quegli, in tutti quei  modi che poteva, restituì ne' luoghi loro i trofei di Gaio Mario,  che egli s'aveva acquistati per la vittoria avuta contro a Jugurla,  contro a' Cimbri, e, contro ai Teutoni, che per l'addietro erano  stati gittatì a terra da Siila, e nel far la inquisizione degli spa-  daccini, e malfattori, messe ancora in quel numero coloro, ai  quali, per avere rappresentato le testé de' cittadini romani, che  da loro erano stati uccisi, secondo la proscrizione e bando man-  dato d^ Siila, era stato pagato dallo erario i danari per la taglia,  non ostante che e' ne fossero stati eccettuati, per una legge fatta  da esso Cornelio Siila.   Altre di lui. operazioni.'   Indusse ancora una certa persona, che accusasse Gaio Habirio  di aver fatto contro allo Stato, del quale il senato s'era servita  più che di alcuno altro pochi anni a diottro, per raffrenare Lucio  Saturnino molto sedizioso cittadino, nel tempo che egli era tri-  buno. Ed essendo tratto a sorte giudice contro al predetto Ra-^  birio, lo condannò tanto rigidamente, che appellandosi quello al  popolo, non trovò cosa che più gli giovasse, e movesse di lui la  gente a corppassione, che l'asprezza e la rigidezza, che Cesare  aveva usato jn verso di quello nel condannarlo.     PRIMO' IMPERATORE , |5   Il Ponteficato Massimo.   Perduta ogni speranza di aver a ottenere il governo della so-  pradetta provincia, addijnàndò di esser creato pontefice niassimo,  non senza gran corruzione tìi cittadini, e sua grandissima spesa.  E considerando alla grandezza del debito che egli aveva fatto, si  dice, che la mattiria'nello andare al consiglio ei disse a sua ma^  dre, che lo baciò, o che e' non tornerebbe a casa, o e' tornerebbe  pontefice: e superò due potentissimi competitori, i quali per età,  e per riputazione di gran lunga lo avanzavano, di maniera che  nelle tribù di quegli ebbe più favore, che l'uno e l'altro di lóro  non ebbero in tutte l'altre. '   La di lui Pretura, ed altre azioni.   Creato che e- fu pretore, essetidosi scoperta la congiura di Ca-  tilina, e ordinando il senato unitamente, che tutti i compagni di  tale scelleratezza fussero morti, e^so solo giudicò che si doves-  sero distribuire per le qittà confederate, e quivi tenerli in pri-  gione, e chei loro beni si dovessero confiscare. Messe oltre a  ciò tanta paura in coloro, che persuadevano che si procedesse  severamente, e aspramente coiitro a' predetti congiurati, dimo-  strando a ogni passò della sua orazione, quanta il carico, e l'odio  della plebe, che essi concitavano contro, fusse per esser grande,  che Decio Sillano, il quale era disegnato consolo, non si vergognò  di addolcire con migliore interpretazione il suo parere: concio-  fusse cosa che il mutarlo sarebbe stato cosa al tutto brutta, e  vituperosa, mostrando le sue parole essere st ate interpretate più  rigidamente, che non era sua intenzione^ E sarebbe andato in-  nanzi- il suo parere, tanti già ne aveva tirati nella sua opinione,  tra i quali era il fratello di Marco Cicerone allora consolo, se la  orazione di Marco Catone non avesse confermato gli ànimi dei  senatori, che già si piegavano. Né per questo ancora restò di  non impedire la cosa, in sino a che una squadra di cavalieri ro-  mani, la quale stava per guardia intorno al senato, perseverando  lui senza rispetto alcuno, minacciò di ammazzarlo : i quali già  avendo tratte fuori le spade, gli erano corsi addossa di maniera j  ctie quelli cho gli erano più vicini a sedere, lo abbandonarono,  ed a pena che alcuni con abbracciarlo, e pararsègli davanti con  la toga, lo potesser difendere; Allora spaventato da vero, non  solo si ritrasse, ma ancora in tutto, quell'anno non comparì mai  in senato.     46 GIUUO CESARE   Aìt/i di lui portamenti nell'uffìzio della Pretura.   Il primo giorno ch-e' prese l'uffizio della pretura chiamò Quieto  Catulo a stare a giudìzio del popolo sopra la cura di tifare il Cam-  pidoglio, avendo pubblicata una petizione, per la quale egli  trasferiva quella cura ad un altro; pia conoscendosi inferiore  alla fazione degli ottimati, i quali e' vedeva, che lasciato stare di  intrattenere, ed accompagnare i consoli, erano subito corsi molte  ostinatamente à fargli resistenza, abbandonò l'impresa.   Deposto e rimesso alla Pretura.   Ma pubblicando^ Cecilie Me.tello alcune leggi molto aspre e  scandalose, contro alla volontà degli altri tribuni suoi compagni,  i quali se ^li contraponevano, si messe con rautoritè sua a di-  fenderlo ed aiutarlo, senza rispetto alcuno, tanto che il senato  tolse l'uffizio a l'uno e l'altro. E nondimeno ebbe ardire di per-  severare nel magistrato, e rendere ragione; ma subito ch'e' s'ac-.  corse come s'erano apparecchiati a mandamelo per forza, e con  l'armi, licenziò i littori, e lasciato andare in terra la veste, oc-  cultamente si fuggi in. casa, disegnando di starsi quietamente per  fino che la condizione de' tempi lo ricercava. Raffrenò ancorala  moltitudine, la quale due giorni dipoi spontaneamente gli era  corsa a casa, e promettendogli tumultuosamente di fare ogni  cosa, perchè e' racquistasse l'ipnor suo, e gli fusse renduto il  magistrato. Ed avendo Cesare^ usato questo atto contro alla opi-  nione de' senatori, rx)me ch'eglino si fossero ragunati in fretta  per il medesimo garbuglio, lo mandarono a ringraziare per i  principali della cittàj e richiamatolo in senato e lodatolo con pa-  role molto onorevoli, gli renderono il magistrato, annullando la  deliberazione, che s'era fatta poco innanzi contra di lui.   Nominato tra i compagni di Catilina, e sua giustificazione.   Cascò di nuovo in un altro pericolo, essendo stato nominato  tra i compagni di Catilina davanti al tribunale di Novio Nìgro  que^ore da Lucio Vezio^ uno di quelli, che aveva scoperto ì  congiurali, e nel senato da Quinto Curìone ; al quale per essere  stato il ISHmq a scoprire i disegni de' congiurati, erano stali or-  dinati alcum' premii dal pubblicò. Curione diceva di averlo io-  teso da Catilina ; Vezio oltre a ciò prometteva di mostrare una  scrìtta di sua mano, eh* i aveva data a Catilina ; e parendo a     PRIMO IMPERATORE 17   Cesare questa esser cosa da non se la passare di leggieri, né da  sopportarla per modo alcuno, chiamando Cicerone in testimònio,  mostrò come egli per sé medesimo gli avea. riferito alcune coée  della rx)ngiura, e fece che a Gurione non furono dati i «opradetti  premii. E Vezio, poi che gli fu tolta la roba, e i figliuoli, e man-  datogli la casa a' saccomanno, fu da lui molto mal trattato. £  mentre che Cesare parlava in ringhiera, fu dal popolo rabbaruf-  fatlo, e messo in prigione,^ ed in sua compagpnk fu ancora in-  carcerato Nonio questore^ per avere acconsepwfe, che un citta-  dino, che si ritrovava in magistrato di maggiore autorità, che il  suo non era, fu^se avanti di luì infamato, ed accusato.   Gli tocca in sorte la Pretura dell» Spagna Ulteriore.   Sendo4iscito dell'uffizia della pretura, fu tratto per sorte al  governo della Spagna Ulterióre ', e si Uberò dai creditori, ,i quali  non lo lasciavano partire, con dar loro mallevadori : e senza os-  servare né l'usanza, né l'ordine antico, andò via avanti che le  Provincie fusero ordinate e provvedute secondo il consueto di  quello che bisognava. Né si sa certo, s'egli lo fece o per paura  di non avere a dar conto di sé, conoscendo ch'e' sarebbe stato  chiamato in giudìzio, sondo allora cittadino privato, e senza.ma-  gistrato; ovvero per anticipare dì andare a soccorrere i confe-  derati, i quali con grande instanza, e con molte preghiere lo  sollecitavano. Pacificata ch'egli ebbe quella provìncia, con la  medesima prestezza, non aspettando altramente lo scambio, se  ne ritornò per ottenere il trionfo, è per essere ancora, cieato  consolo. Ma essendo di già pubblicata la creazione de' nuovi  consoli; né sì potendo far menzione di luì, seegliprivalamejite  non entrava in Roma, veduto che nello andare attorno a pregare  questo e quello dicessero assoluto dalle leggi, che ciò gli proibi-  \ano, molti gli contraddicevano ; fu costretto di lasciare andare  il trionfo per non si trovar fuori del consolato.   Il di lui Consolato con Bibulo.   • Dì due che competevano nel consolato, cioè lancio Lueeio, e  Msrco Bibulo, si guadagnò Luccio, e convenne seco, ehe per ciò  chti egli era di manco favore, ed aveva più danari, e^ dijliiribuìsse  del suo ì danari al popolo in nome dì amendue. Lai' ()ua| cosa es-  sendo conosciuta, gli ottimati, i quali avevano cominciato a du-  bitare^ che e' non si mettesse a tentare qualche novità in quel     18 GIULIO CESARE   magistrato, che era il supremo, e più importante, massimamente  avendo un compagno, che dipendesse da lui, fecero che Bibulo  promesse altrettanti dgnàri al popolo, e la maggior parte dilpro  contribuirono aHa spesa. E ciò fecero non senza consenti merito  di Catone, il quale affermava, che tale corruzione di danari fa-  ceva a i>roposito per la Repubblica. Fu adunque creato consolo  insieme con Bibulo, e per la medesima cagione operarono gli  ottimali, che e^|aiBe dato a' predetti consoli certe cure leggieri,  e quasi di niunSntnportanza; come tagliar selve, e racconciare  i passi e le strade., Ónde Ges&re per tale ingiuria commosso e  stimolato, con tutti que^ «iodi che egli seppe migliori, cercò di  guadagnarsi Gneo Pompeo allora sdegnato col senato: percioc-  ché avendo vinto il re Mitridate, -i genatòri andavamo a rilento a  ratificare e confermare lo cose, che da lui in quella guerra erano  state amministrate. Riconcjlìò ancora col detto Pompeo Marco  Crasso, col quale aveva antica nemicizia, per cagione del conso-  lato, il quale con grandissima discordia avevano insieme ammi-  nistrato; e così entrò in lor compagnia, acciocché tutto quello,  che dipòi si aveva a trattare nplia Repubblica fusse secondo il  voler di tutti tre.,   - Suoi andamenti nel Consolalo.   Avendo preso il magistrato, fu imprimo, che "diede ordine che  le cose fatto giornalmente tanto dal popolo, quanto dal senato,  fussero scritte, e notate, e ne fusse fatto memoria in certi libri  pubblici. Rinnovò ancóra il costume anfeico, che in quel niese,  che non gli toccavano i fasci, un ministro gli andasse innanzi,  ed i littori dietro. Ed avendo pubblicato la legge agraria, e con-  traddicendogli il suo compagno, lo cacciò armata mano fuori di  piazza : ed essendosi quello il giorno seguente di ciò rammaricato  in senato, né trovandosi alcuno, che in così subito accidetite, ©  perturbazione ardisse di parlarvi sopra, o deliberarvi cosa alcuna.  come spesse volte in cose di manco importanza s'era fatto ; b  condusse a tanta disperazione, che per insino a che durò il ma-  gistrato, standosi nascoso in casa , non fece altro che contrap-  porsegliper via di protesti. Esso solo adunque in quel teiupO  governò la Repubblica come a lui parve, tale che alcune persane  facete, quando si soscrivevano per testimoni! a qualche sertta  contratto, dicevano per burl£^; tal cosa esser fatta non al tempo  di Cesare, e di Bibulo, ma. di Giulio, è di Cesare, ponendo il  nome e il cognome di Cesare ih cambio del nottìe de'duoi eon-     PRIMO IMPERATORE • ^9   soli : e volgarmente si recitavano (questi versi yi questa sentenza.  Questi di passa ti, non s'è fatto cosa alcuna al tempo di Bibulo,  ma al tempo di Cesare, perchè al tempo di Bibuk) consolo nùtìa  s'è fatto, che io mi ricordi. Divise per \o strasordinario a venti^.  mila cittadini di quelli, ctie avevano tre figliuoli o piìi, il campò  Stellate, consagrato dagli antichi, ed il contado di Capu^, il quale  s'affittava per sovvenire alla Repubblica. Domandando gli arren-  datori (1) delle entrate pubbjiche, che e' fusafiJ||fcto loro qualche  grazia, gli sgravò della terza parte di quello cto^' dovevano pa-  gare, dicendo loro palesemente, chp nel pigliare a fitto le nuove  entrate, si guardassero di non le incantare a prezzi troppo alti.  Similmente ogni, altra cosa, che ciascun sapea chiedere, e do-  mandare, la donò, e concesse largamente, non avendo alcuno  che gli contraddicesse; e se pure alcuno aveva ardire di contrap-  porseli, gli faceva tale spavento, che,si ritirava indietro: cen-  tra pponendpglisi Marco Catone, comandò per un littore che ei  fusse ti*atto fuori di sonalo, e.messo in carcere. A Lucio Lucullo,  che troppo alla liberà gli faceva resistenza, -messe siffatta paura,  minacciando di calunniarlo, che spontaneamente l'andò a trovare  e gittossigli ai piedi. Dolendosi Cicerone in un certo giudizio della  condizione de' tempi, ordinò cìie Pubho Clodio nimicò di quello,  il dì medesimo, a ore vent'una, dov'agii era dell'ordine patrizio,  entrasse nell'ordine plebeo, di ohe un pezzo avanti il detto Clodio  si era affaticato in vano per ottenerlo. Finalmente si crede che  egli avesse ordinato a una certa persona, che si rappresentasse  dinanzi al popolo, e dicesse epnae egli era stato sollecitato di am-  mazzare Pompeo: nominando tutti quegli della fazione contraria,  secondo che insieme erano convenut/i,o perciò che nel nominare  questo e quello in vano, veniva a dar sospetto che la non fusse  cosa fatta a mano, non gli parendo che il suo disegno così be-  stiale e furioso fusse per riuscirgli, si crede che egli lo avve-  lenasse. -   Prende per moglie Galfurnia, e marita sua figlia Giulia a Pompeo.   Quasi nel medesimo tem|K) tolse per,inoglie Calfurnia, figliuola  di Lucio Pisone, che gli doveva succedere nel consolato, e detto  Giulia ^ua figliuola a Gneo Pompeo, avendoli fatto licenziare  SeryiHo Cepione suo primo marito,, del. quale egli si era servito  più che di alcuno altro poco innanzi contro al suo collega Bibulo.   (1) Arrendato ri lo stesso che Oabellieri.     ^0 . GIULIO C£SARE   E dopo* di questo nuovo parentado, sempre che si avea à parlar  sopra qualche deliberazione, cominciò a domandare Pompeo del  ^uo parere innanzi a tutti gli altri, sendo solito a domandarne  prima. Grasso ; ed essendo àncora usanza, che il consolo nel do-  mandare dei pareri seguitasse quell'ordine tutto l'anno, ch'egli^  nel principio del suo consolato il primo di. di gennaio aveva in-  cominciato. • ' "   e . ■ ' ' ■ .   Dopo il Consoiato gli vìea concesso il governo della Francia.   Favorito adunque ed aiutato dal suocero, e dal genero, tra  tutte l'altro provincie elesse per «è il governo della Gallia, pa--  rendoglj per le prede, e guadagni, e pei" la opportunità del luogo,  che quella fussc occasione, onde egli avesse agevolmente a con-  seguitarne il trionfo: e primieramente prese la Lombardia, e la  Schiavonia per una legge fatta da Yatinio; appresso per decreto  del senato ottenne àncora la Francia; perciocché^ i senatori du-  bitavano, che negandogliene loro,jl popolo non fusse ad ogni  modo per concedergliene, insuperbito adunque per sì fatta alle-  grezza,^ non sì potè contenere dopo alquanti giorni, che essendo  piena la curia di senatori, egli non si lasciasse uscir di bocca,  che a dispetto de' suoi avversari aveva ottenuto tutto quello che  egli .aveva desiderato^ e che da quivi innanzi la volea con tutti  senza^aver rispetto a nessun diJoro: ó dicendogh un certo per  incaricarlo, che ciò non poteva riuscire ad una donna, scherzando  intorno a quel vocabolo, rispose, che ancora. Semiramis avea  regnato in Assiria, e che le Àtnazoni per l'addietro aveano te-  nuto una ^ran, parte dell'Asia.   > Accuse delle cose da lui fatte nel Consolato.   Uscito chy fu del consolato, trattando Gaio Memmio, e Lucio  Domizio pretori col senato, ch'egli rendesse conto dell'ammini-  strazione di quell'anno ch'egli era ètato consolo, chiese d'avere  ad essere giudicato dal senato; e non volendo il senato accettare  la causa, e avendo consumato tre di in vani litigamenti, se ne  andò in Francia alla sua amministrazione, e subito il suo que-  «4tore (1 ) fu colto in frode, e trovato ch'egli aveva errato, ed era     (1) Il sentimento di Svetonio è, cb'' '^ Questore fu strascinato  n giudìzio per alcuni delitti, de'qr**^ ^vasi fosse condannato,     PRIMO IMPRRATOBE 21   cascato in pregiudizio. E poco appresso egli ancora fu citalo da  Lucio Antistio tribuno della plebe ; e finalmente, avendo appel-  lato al collegio de' tribuni , ottenne di non essere condarruatò  (per esser fuora per faccende della Repubblica). Ciò fu cagione,  che per sicurezza del lenvpo a-venire, egli non attese ad altro,  che ad obbligarsi sempre i magistrati anno per anno, e di quegli,  ch'erano competitoii nel -chiederei magistrati, ninno ne aiutava,  permetteva che gli ottenesse, ^e prima con patto non se lo ob-  bligava , e gli projnètteva di essergli difensore , e protettore ,  mei^tre che egli stava assente : né Sh vergognò di ricercare alcuni  di lóro del giuramento, e ancora farsene fare una fède per iscritta  di lor mano.   Delle minaccie di Domizio , e delle còse da lui fatte nelle Gaflie. ,   Ma minacciandolo Lucio Dòmizio palesemente, il quale era nel  numero di quegli che domandavano il consolato^ con dire, òhe  se egli lo otteneva, era per fare quello, che essendo pretore non  aveva potuto mandare ad effetto, e che per ogni modo gli voleva  levar di mano l'esercito ; fece che Crasso, .e Pompeo lo andorno  a trovare a Lucca, città della sua provincia, e gli richiese, che  addomandassero d'esser fatti consoli le seconda volta, solo per  isbattere- Domizio: ed ottenne non solamente questo, ma ancora  d'esser raffermo Tìell'imperio per cinque anni. Per il che preso  ardire, aggiunse alle legioni, le quali egli aveva ricevute, dalla  Repubblica, alcune altre a sue Spése ed alcune altre ve ne ag-  giunse a spese del pubblico; tra le quali ve ne era una di Fran-  cesi (che in quella lingua si addomandaya Alàuda), la quale egli  ammaestrò, e ordinò secondo la disciplina, ed ordine roniàno : e  tutti i soldati deUe predette legioni furono dipoi fatti cittadini ro-  mani. Né lasciò appresso occasione alcuna di guerra, che egli  non la pigliasse,*ancora cheieHa fusse ingiusta e pericolósa: ol-  traggiando, senza cagione alcuna così i confederati, come le genti  nemiche e barbare; di maniera che il senato deliberò, che si  dovesse mandare -alcuni commissarii in Gallia, i quali diligen-  temente ricercassino, in che termine^ le cose si trovavano in quel  luogo; e tra essi senatori ve né furono alcuni che giudicorno,  che e' fosse da darlo in preda ai nimici: ma succedendo le cose  prosperamente, ottènne che in Roma sì ringraziassero gli Iddii,  e si facessero le solite supplicazioni più volte, e più giorni per  volta, che altri per Taddietro non aveva ottenuto giammai.     22 GIULIO CESARE   Altri di lui fatti nelle Gallie. -   In nove anni che egli stette capitano generale della Repubblica  in Galìia, fece queste cose. Tutta la Gallia che è contenuta dai  monti Pirenei, dall'Alpi, e dal monte Geb^niia, e dal fiume Reno,  e dar Rodano, la quale si distende in giro circa di settecento  miglia, dalle città confederate, e che si erano ben portate in fuora,  ridusse in forma di provincia, obbligandole a pagare ogni anno  il tributo. Fu il primo dei Romani che' assaltasse i Tedeschi, che  abitano di là dal Reno; avendo fabbricato un ponte, diede loro  grandissime rottp. Assaltò ancora gli Inglési, per TiE^dietrp non  conosciuti : ed avendoli superati, e vinti, ^si fece dare. e danari,  e statichi. Fra così fatte prosperità^ solo tre volte, e non più, ebbìB  la fortuna contraria; la prima, quando per la gran tempesta  "perde in Inghilterra quasi tutta l'armata ; là seconda, quando in  Francia intorno a Gergonia fu rotta una delle sue legioni; la  terza, nei confini dei Tedeschi, quando gli furono ammazzati a  tradimento Titurio ed Arunculeiò suoi commiscri.   Morte della madre, della figlia e della nipote, e altre di lai opere.   Nel medesimo spazio di tempo gli morì prima la madre, di poi  la figliuola, tiè molto di poi la nipote. Ed essendo h Repubblica  altercata perla uccisione di Publio Clodio, avendo giudicato il se-  nato che e'-fusse beiìe creare un solo consolo, e che nominata-  mente fusse eletto Gneo Pompeo,' trattò con i tribuni della plebe,  che lo volevano dare in. ogni modo per compagno a Pompeo, che  procurassero più presto col popolo, che ogni volta che s'appres-  sasse la fine del suo imperio, quantunque e' fusse assente, gli  fusse concesso il poter domandare il. consolato la seconda volta,  avendo caro di non si avere a partire per la predetta, cagione,  né lasciare lo esercito più presto che non bisognava , e senza  avere terminata quella guerra. Il che subito che Bgli ebbe otte-  nuto, cominciando a rivolgersigli per la fantasia cose più alte, e  ripieno di molta speranza, attese per ogni verso a donar larga-  mente, e far servigio a qualunque persona, così pubblica, come  privata, senza esserne richiesto, dove il bisogno vedesse. Co-  minciò a fabbricare una piazza de' danari cavati delle prede gua-  dagnate nella guerra, il pavimento della quale costò più di due  milioni e cinquecento migliaia di scudi. PubbHcò al popolo,, come  e' voleva far celebrare il giuoco de'gladiatori, ed un convito ancora  in memoria della figliuola; il che innanzi a lui ni uno aveva fatto     PRIMO IMPEBÀTORfi 93   giammai. Le quali cose, acciocché le f ussero in grandissima  espettazione, quanto a quello che apparteneva al convito, benché  egli' ne avesse dato la cura ai becqai , faceva ancor farne pro-  vediméhto dai suoi domestici, e famigliari. E quanto al -giuoco  dei gladiatori, se in alcun luogo si ritrovavano gladiatori^ eper^  sone famose in maneggiare armi,^i quali avessero avuto a com-  battere insieme, e diffinire qualche lite , gli mandava a pigliare  per forza, efacevagli conservare: faceva ancora ammaesti^ar gli  scolari non per le scuole da'' maestri di scherma, ma per le case  da*cavalieri romani, ed ancora dai senatori pratici nell'armi, pre-  gando stret.tamente i giovani (il che appare per su« lettere) che  imparassero bene, ed i maestri, che diligentemente gli ammae-  strassero. Alle sue legioni raddoppiò il sòldo in perpetuo. Ogni  volta che in Roma fu abbondanza. di grano , lo distribuì senza,  regola, e misura: e donò alcuna volta schiavi, e possessioni a  persone private, e suoi amici particolari.   RiiHiova la parentela con Pompeo , dandogli sua nipote Ottavia   - /in moglie,   Per mantenersi il parentado e l'amicizia di Pompeo, gli dette  per moglie Ottavia, sua nipote nata dalla sor.eira,la qual era ma-  ritata a Gaio Marcello/ con patto clie egli a lui desse 4a figliuola,  la quale aveva proméssa a Fausto Siila . Avendosi obbligato ognuno,  ed ancora una gran parte del Senato solamente con la sua buona  maniera, o con piccola somma di danari, a tutti gli altri d'ogni  sorte, e di qualunque ordine eglino si fossero, che o invitati, o  spontaneamente andavano a lui, faceva grandissimi donativi, per  insino ai servi, ed ai libèrti di ciascuno dei suoi famigliari, se-  condo che ciascuno di loro era più grato al suo padrone. Era ,  oltre a ciò , unico e prontissimo soccorso, o-refugio di tutti i  condannati, indebitati, o giovani spenditòri, da quegli in fupra,  ch'erano gravemente oppressi dalle smisurate spese , dalle ac-  cuse, e dal fa estrema necessità, e dalle sfrenate voglie; ma non  li potendo aiutare, né sovvenire,. diceva loro alla scoperta libe-  ramente, che essi aveano bisogno d'una guerra civile.   Procura ramicizia dei re, e delle provincie; e del decreto del Senato   contro di hii.   Né con miiior sollecitudine e diligenza si andava facendo amici,  e tirando i re e le provincie di (Qualunque parte del mondò nella     24 ÒIULIO CESARE   sua amicizia, ad alcuni offerendo in dono le migliàra di prigione  ad alcimi, senza yobntà o saputa del senato e del popolo, man-  dando in soccorso^ gente nascosamente, qualunque volta e dove  e' volevano; adornando ime I inai'* «^ffli ^     PRIMO IMPERATORE 25   guadagnò con buona somma di danari. Ma veggendo che ogni  cosa si trattava ostinatamente, e come' i consoli disegnati erano  della parte avversa , pregò per lèttere il senato, che o'non gli  fusse tolto il benefìzio e la abilità fattagli dal popolo, o veramente  che e*fu8sero costretti ancora gli altri imperatori e ^capitani a  lasciare gli eserciti ; coi^fìdatosì^ come si stima, d'aver a poter  più- agevolmente, subito che gli fusse tornato bene, rimettere in-  sieme i suoi soldati vecchi, che Pompeo far nuovo esercito. Con-  venne (\) con gli a^versarij, che licenziate otto legioni e4asciata  la Gallia Cornata, gli fussero concesse due legioni, e la Lombardia,  al manco una sola legione con la Schiavonia , insino a tanto,  che e' fosse fatto consolo.   Si narrano le cause della gtìerra civile di Cesare.   Ma non se ne volendo travagliare il senato, e dicendo gli av-  versarii suoi che non intendeano per modo alcuno di far con-  tratto della Repubblica , passò nella GaHia Citeriore , e fatte  le visite, si fermò a Ravenna, pensando di vendicare con l'armi  i tribuni della plebe, quando il senato avesse in cosa alcuna  proceduto troppo aspramente contra di loro ; essendosi i pre-  delti tribuni scoperti in suo favore. E sotto questo colore  prese Cesare l'armi contro alla patria : ma stimasi che altre fus-  sero le cagioni che lo movessero. Gneo Pompeo andava dicendo  in questo modo^ che non potendo egli inandare a perfeziono  quellenmprese e quegli edìfhii, che da lui erano stati incomin-  ciati, «è corrispondere con le facultà private alla espettazione,  nella quale era il popolo per là sua venuta, -aveva voluto ingar-  bugliare , e mandar sottosopra ogni cosa . Altri dicono lui aver  temuto di non esser costretto a render conto di quelle cose, che  egli. aveva fatte nel primo consolato contro alle leggi, e contro  agli auspicii, e contro alla volontà ed ai protesti dei compagno;  conciossiacosaché IVfarco Catone ad ogni poco gli facesse inten-  dere, che lo voleva accusare, e che l'aveva giurato, subito che  egli avesse licenziato l'esercito: dicendosi ancora nel volgo, che  tornando privatamente in Roma, gli era per intervenire, come a  Milone , e che e' sarebbe esaminato dinanzi ai giudici ancor lui  con le squadre degli armati intorno ; il che fa più verisimile Asinio  Pollione, il quale scrive, che Cesare nella battaglia Farsalica ris-   (1) Le paròle di Svetonio hanno questo sentimento. Voleva  ancora pattuire con gli avversarli. >   3 SvEioMO. Vtte dèi Cesari.     26 GIULIO CESARE   guardando gli avversarii suoi uccisi e sbattuti in terra , usò di  dire queste parole : Così hanno voluto'. Questo a Cesare, che ha  fatto sì gran cose per la Repubblica? Che Cesare si fusse con-  dotto ad esser condannalo? Se io non avessi domandato- soccorso  al mio esercito. Altri sono die stimano, che essendo egli assue-  fatto a comandare ed a signoreggiare, e considerate le forze sue  e quelle de' nemici, si servisse della occasione, che se gli appre-  sentava di potere usurparsi il principato, del qual fino da gio-  vanetto era stato vago e desideroso. Ciò pare ancora che voglia  inferire^Cicerone^ scrivendo nel terzo hbro degli {//'^ztt, Cesare  sempre avere avuto in bocca que' versi greci di Euripide, la cui  sentenza è questa : « Se si ha a violare la giustizia, ciò si debbe  far per cagione di signoreggiare. Nell'altre cose si debbe ayer ri-  spetto alla pietà inverso la patria. » •   Il di lui cammino da Ravenna al fiume Rubicone.   Essendo adunque avvisato, come l'autorità, che avevano i tri-  buni di potersi contrapporre- alle deliberazioni del senato, era  stata levata loro^ e come e' s'erano fuggiti : mandò subito innanzi  secretamente alcune delle sue compagnie , per non movere di  ciò sospezione alcuna. E si ritrovò ancora esso sconosciuto in  Roma a veder celebrare le feste , che si facevano in pubblico,  ed andò considerando in che forma e maniera egli voleva accomo-  dare il luogo, dove si aveva a celebrare il giuoco do' gladiatori :  e secondo il costume, sconosciuto ancora comparì al convito  pubblico, dove era gran numero di. gente. Appresso, dopo.il tra-  montar del sole , tolti dal più. presso mulino , ch'era quivi, due  muli, che tiravano una carretta, prese a camminare, con pochi  in compagnia , per un sentiero molto occulto, ed avendo smar-  rito la strada, per essersi spenti i lumi, aggirandosi un pezzo in  qua e in là, finalmente in su '1 far del giorno, trovata una guida^  per tragetli strettissimi se n'andò via a piede ; e raggiunte le sue  genti vicino al fiume Rubicone, il quale era ai confini di quella  provincia, stette alquanto sopra di sé, e considerando che gran  cosa egli si metteva a fare, voltosi indietro, disse a quegli, che  gli erano d'intorno : « Ancora siamo noi a tempo a tornare ad-  diètro: ma passato che noi avremo questo ponticello, ci converrà  spedire ogni cosa con l'acmi. »     PRIMO IMPERATORE t7          Apjpafizion prodigiosa , mentre stava sulle rive del fiume ,   dubitando di passarlo.   Stando così sospeso , gli apparve un naosiro così fatto.. Un  certo di grandezza e forma smisurata, clie in un subito gli com-  pari davanti, poncndoglisi a sedere vicino e a cantare con una  (!annaj dove essendo concorsi, oltre ai pastori, molti angora dei  soldati , che erano di guàrdia , e tra loro alcuni trombetti per  udirlo , egli , tolta la tromba di mano ad uno di loro , saltò nel  fiume, e con grandissimo fiatò cominciando a sonare a battaglia,  s'addirizzò all'altra . ripa. . Allora Cesare disse: « Ora andiamo  dove ci chiamano gli ostenti degli Iddìi, e la iniquità diBgli av-  versarli, tratto è il dado.»   Tragitta il fiume, e suo parlamento a* soldati.   Così avendo fatto passar l'esercito, e chiamare i tribuni della  plebe, che'scacciati di Roma erano sopraggiunti, fece parlamenta;  nel quale piangendo, e stracciatasi la veste dinanzi di petto, pregò-  i suoi soldati, che gli f ussero fedeli, e non lo abbandonassero in  così fatto caso. Fu ancora giudicato, che egli avesse promesso a  tutti di fargli cavalierini che fu falso, perciocché nel parlare, e  nel confortare , avendo spesse volte alzato il dito della mano si^  nistra, affermava , che per soddisfare a tutti coloro ,. mediante i  quali egli-avesse difeso l'onor. suo, era per cavarsi in lor servigio  molto voloutiori per sino airanello di dito: e quegli, che erano  più lontani, ed. ai quali era più facile il vederlo, che l'udirlo, si  dettero a credere quello, che nel vedere s'erano immaginato.  E così si sparse una voce, come Cesare aveva promesso loro,  che e' goderebbono il privilegio degli anelli , cioè di quelli che  eran dell'ordino de' cavalieri , con dar loro di valsente dieci  mila scudi.   Sua gita a Roma, e altr^ sue operazioni.     ^     L'ordino, e la somma delle cose fatte da lui è quella, che ap^  presso racconteremo. Egli primieramente s'insignorì della Marca,  dell'Umbria e della Toscana ; od avendo ridotto in suo potere  Lucio Comizio, il quale inx^iel tumulto e gapbuglio, gli era stato  nominalo per successore, e stava alla guardia di Corfinio, lo  liberò : ed api)resso pel mare Adriatico se ne andò alla volta di  Brindisi, dove erano rifuggiti i consoli insitme con Pompeo, per     28 GIULIO CESARE .   passare , come prima potevano, quel mare; ed ingegoatosi in  qualunque modo di proibire a costorp il passo ^ e non sendògli  riuscito , se ne tornò alla volta di Roma : e fatto ragunare i se-  natori e patrizii, parlò, e consultò con loro sopra i casi. della Re-  pubblica. Dipoi passato in Ispagna, s'appiccò con quegli di Pom-  peo, che ivi erano potentissimi sotto tre capitani e governatoli  Marco Petreio, Lucio Afranio e Marco Varroiie : avendo, prima  tra' suoi usato di dire^ che andava a trovare unoesercito senza  capitano, e clie appresso tornerebbe a trovare un capitano senza  esercito. E quantunque egli fusse ritardato nello assedio di Mar-  siglia, la quale nel passare gli aveva chiuso le porte, ed ancora  per la carestia grande delle vettovagliìB , nondimeno in poco  tempo superò ogni difficoltà, e soggiogò ogni cosa. -   Vince Pompeo, Tolomeo e alcuni altri.   Quinci ritornato in Roma , e passato in Macedònia , avendo  assediato Pompeo a Durazzo con grandissimi steccati , ed altri  edifizii, e ripari maravigliosi , e tenutolo c^sì assediato circa  quattro mesi, all'ultimo nella battaglia Farsalica lo ruppe e vinse;  e perseguitatolo dipoi per sino in Alessandria, dove e' si era fug-  gito, come egli trovò, ch'egli era stato là ammazzato, ed accor-  tosi che Tolomeo ancora a lui andava preparando insidie , fece  guerra con lui , grandissin^a certamente, e molto difficile: per-  ciocché egli non si ritrovò né in luogo , né in tempo buono per  guerreggiare , ma nel cuore della invernata , e ;deBtro alle mura  del nimico , il quale era molto desto e sollecito , e d*ogni cosa  abbondevole , come che egli fusse del tutto sprovveduto , e gli  mancassero tutte le cose necessarie per la guerra. Ma restato  alla fine vincitore di quel paese , e reame d'Egitto , lo lasciò a  Cleopatra ed al fratello minore di lei , come quello che hon si  assicurò di ridurlo a provincia sotto lo Impero romano; accioc-  ché abbattendosi alcuna volta ad avere un governatore troppo  violente, non gli fusse dato occasione e materia di fare qualche  novità, di ribellarsi. Da Alessandria passò in Soria e quindi in  Ponto, stimolato dagli avvisi e dallo nuove, che gli intendeva di  Farnace figliuolo del gran Mitridate, il quale allora, essendo ve-  nuta la occasione , si era mosso a far guerra a' Romani , e per  aver avuto più volte la fortuna prospera, era divenuto molto in-  solente ; ma Cesare il quinto giorno poi ch'e' fu arrivato , od in  quattro ore, dq)0 che e' si rappresentò sul- campo, con una sola  battaglia lo sbaragliò e mandò in rotta. Onde molto spesso usava     PRIMO IMPERATORE 29   di chiamare Pompeo feiicej al qnale fusse accaduto d'aversi acqui-  stato sì gran nome, per avere vilito in battaglia così vii gente.  Dopo la predetta vittoria superò e vinse Scipione, e ìuba, che in  Africa avevano rimesse insieme alcune reliquie delle parti av-  verse; ed in Ispagna vìnse i figliuòli di. Pompeo.   • ■ • . . ^   Scohfitt« ricevute da' suoi legati.   Non ricevè danno alcuno, ne ebbe mai la fortuna, contraria in-  tutte le predette guerre civili, se non dove egli si goyernò/per  le mani 'de' suoi cómmissarii : tra i quali Gaio Gurione andò in,  rovina, e capitò male in Africa; Gaio Antonio fu fatto prigione  dai nemici nella SchiavoDÌa ; Piiblio Dokbella pur neHa mede-  sima provincia perde l'armata* Gr\eo Domizio e Calvino perde-  rono lo esercito in Ponto. Ma egli sempre combattè con molta  prosperiti!, né mài se gli mostrò turbata là fortuna, se non due  voile; la prima a Durazzo, dove essendo ributtato con 16 esèrcito,  e non seguitando Pompeo la vittoria, ebbe a dire, ch'egli non  sapeva vincere; la sfecoiìdà in Ispagna nell'ultima battaglia, dove  sendosi disperato d'ogni cosa pensò insino di ammazzarsi.   Trionfi di Cesare.   Terminato ch'egli ebbe tutte le predette guerre , trionfò cin-  que volte ; quattjco in un mese medesimo, poi che egli ebbe vinto  Scipione, mg wt-tBiettere alcuni giorni in mezzo tra l' uh trionfo  e l'altro; l^ qij^ vòlta trionfò , poi che egli ebbe superato i  figliuoli di Pòmp^.. Il primo è più glorioso trionfo fu quello della  Gallia; seguitò appresso lo Alessandro; di poi quello di Ponto;  dopo questo venne lo Africano; rultimo trionfo fu quello della  Spagna: e ciascun de' predetti trionfi fa^elebrato con istromentit \  ed apparati diversi l' un dall'altro. Il giorno del trioiifa gallico  passando per il velabro, essendosi rotto il timone del carro, fu  quasi per cascare a terra. Venne, in Campidoglio con quaranta  lumiere, avendo dalla destra e dalla sinistra sopra gli elefanti  coloro, che portavano le torce. Nel trionfa di Ponto, tra le cose  che si portavano appiccate in su un'asta nella pompa ed ordi-  nanza trionfale, fece portare avanti a. sé dentro ad una tavoletta  notate tre parole venni, ¥ld1 e vinsi. Il che significava,  che quella guerra non era stata come l'altre , ma ch'ella s'era  terminata agevolmente e con prestezza »     .'IO GIULIO CRSARG   Ctinw ririM^rili'iHsc i soldati veterani, e della sua liberante col popolo.   AIIm l pretoria ed Aulo (!alpeno senatore, il quale era già stato  avvocato. La moresca degli uomini arinati, chiamata Pirrica fe-  l'ono i principali giovanetti d'Asia e di Bitìnìa. Nelle feste e rap-  pn*senta7.ioni sopraddette Decimo Laberìo , cavaliere romano ,  n«cilò una sua rappresentazione e [\) farsa , e gli fu donato cìn-  (pieciMitu sesterzii ; ed allora ebbe l'anello d'oro , e fu fatto cava-  lieri», e pasAÒ l'on'hostra (luogo dove stavano a vedere i senatori),  (mI andò a sedere tra i cavalieri. Celebrandosi i giuochi circensi  uccreblu^ da ogni banda lo spazio del cerchio, ed attorno attorno lo  circondò di canaletti e zampilli d'acqua. Le carrette, che erano  tirate da ipiattm cavalli , e quelle che erano tirate dà due, le      (1) Farsa^ significa una commedia mozza e imperfetta.     PRIMO IMPERATORE 34   guidarono giovani nobilissimi, i quali maneggiarono ancora i ca-  valli da saltare dell'uno in su l'allro. Il giuoco chiamato Troia,  lo fecero due squadre di fanciulli di maggioro e di minore età.  Cinque dì intieri non si fece altro ciré caccio, ed ultimamente si  fece un tomiamento, ovvero battaglia .UIE   d'ugni altr^ legge mes^e più liiiigenza in quella dello spender  troppo, e disordinato, avendo posto intorno alla beccheria, ed  altri luoghi, dove si vendeano le cose da mangiare, le guardie,  le quali togliessero i camangiari. che fossero stati comperati  contro all'ordine della \ezze. e ì;Iì portassero a lui : mandando  alcuna volta di nascosto i littori, e soldati, i quali, quando le  guardie avessero fatto frauvle in cosa alcuna, entrassero per le  case, e levassero via le vivande fìn poste in tavola.     Sua fretta nell'abbellir la città, e neU'aggraDdire Timpero.   E circa all'ornare ed ordinare la città, e similmente quanto  al fortificare, ed ampliare il domìnio, di giorno in giorno an-  dava ordinando più cose, e maggiori luna che l'altra; pen-  sando primieramente di edificare il tempio a Marte, maggiore  che non era mai stato fatto in Inoso alcuno, avendo fatto riem-  piere e rappianare il lago, nel quale aveva fatto fare la battaglia  navale ; e cosi ordinava di edificare un teatro di grandezza smi-  surata, sotto il Monte Tarpeio, e di ridurre la ragion civile in  una certa regola e moderanza; e la grande e smisurata copia  delle leggi, ridurla in pochissimi libri, scegliendo quelle che  erano migliori, e più necessarie. Ancora pensava di fai; fare li-  brerie pubbliche greche, e latine, quanto egli potesse maggiori,  e più copiose ; avendo dato la cura a Marco Varrone di procac-  ciare i libri, ed i volumi, e di mettergli per ordine. Volea sec-  care le paludi Pontine ; dar l'uscita al lago Fucino ; lastricare, e  far fare una via dal mare Adriatico, per insìno al Tevere, attra- -  versando il dorso dell'Apennino. Voleva far tagliare Tlstmo (cioè .  lo stretto della Morea). Ridurre dentro aMorconfmi i popoli della t  Dacia, che s'erano spanti pel Ponto, e per la Tracia; di poi  muover guerra a' Parti per l'Armenia minore : e disegnava di non  venir con loro né a giornata, né a fatto d'arme senza averli prima  sperimentati con qualche scaramuccia. Nel trattare, e pensare  a queste cose gli sopragginnse la morte, della quale avanti che  io parli, non sarù fuor di proposito di narrar sommariamente  quelle cose, che appartengono alla sua forma, e statara, all'a-  bito, od ai costumi, ed ancora ai suoi studi quanto ade cose ci-  vili, e quanto a quello della guerra.     PRIMO hlftiBATORE 35   Sua statura, e coltura det còrpo. . -^   Dicofioche ei fu di grande statura, di color bianco; aveva le  membra che ritraevan(J af lungo, ejt'ondo^ la bocca uh poco gros-  setta, gli occhi negri, vivi, é sfavillanti; della persona fii sano,  e prosperoso, se non che nel!' ultimo della sua età soleva alcuna  volta in un subito venirglr una fiacchezza d'animo^ e di corpo,  per la quale tutto s'abbandonava ; ed alcuna volta tra: il sonno  si spaventava. Fu preso ancor due volte nel far faccende dal  mal maestro. Circa Ja cura, ed ornamento del corpo fu alquanto  esquisito, e fastidioso, tal che non solamente con graii diligenza  si tosava, ma ancora si faceva radere, e pelare pef tutto: itche  gli fu da alcuni rimproverato; Sopportava molto. :ìnM Volentieri  la bruttezza, chaera in Ini dell'esser calvo, pareipigh che gìi  uomini faceti e di mala lingua avesfsero uno appicco di bef-  farlo, e schernirlo; ond'egli U9«^ di tirarsi giù i capegli  della sommità del capo per. ricoprire cotale calvezza:, e perciò  ancora tra tutti gli onoH concessigli dal senato e dal popolo,  niuno ve ne fu che egli più volentieri«accettàsse, ed usasse, che  il portare in perpetuo la corona deiralloro in testa. Dicono an-  cora, che e' fu molto notabile nel vestirsi, ed ornarsi la persona;  perciocché egli usava la veste senatoria, chiamata il Lato Ctevo,  frappata da mano, né mai usò di cingersi se non sopra la pre-  detta Vesta, e cingersi largo: onde dicono esser derivato quel  detto usato da Siila con ^li alnici della fazione degli ottimati;  ricordando loro spesso, che e' si avessero cura dal fanciullo mal  cinto.   Luogo della sua abitazione, e strutturarcene sue ville.   Abitò da principio nella Suburra, in una casa piccola: ma  dopo il pontificato massimo nella Via sacra, in una casa pub-  blica. Molti hanno scritto, ch'egli era fortemente studioso, ed  accurato intorno alla dilicatura e splendidezza del vivere, e dello  abitare; e ch'egli fece gitt^re a terra, è disfare intéramente un  casamento di una sua villa "nel contado Némorense, il quale aveva  • principiato dai fondamenti con grandissima spesa, perciò eh' e' non  gli eracO^ì riuscito secondo l'animo suo. E quantunque egli fusse  ancor povero ed indebitato, portava attorno nelle espedizioni i  solari e pavimenti intarsiati, e che si scommettevano.     36 GItTI.10 CESARE   •Suo diletto nelle gioie, perle, e statue antiche. ^   Dicono ch'egli andò insino in Inghilterra, perchè diletiandosi  delle gioie, aveva inleso esservene gran quantità ; e nel paraga-  nare della loro grandezza, alcuna volta tastava il peso dirquelle,  e bilanciavale così colle mani ; e che e' fu sempre molto animose  nel comperare gemmo, figure ed opere di basso rilievo, e statue  di marmo, e di bronzo, e pitture antiche: oche egli similmente  comperava gli schiavi, quando egli erano garjiati, e non ancora  adoperati ne' servigi, a-prezzi smisurati, talché egli stesso se ne  vergognava, uè voleva che tali spese si scrivessero, b se ne te-  nesse conto alcuno.   ' ■ '*«»  nome per significare in tutto il contrario.     4i GIULIO CESARE - •   1 - '   I _ - *   Sua risoluzione neH'attàccar le battagfie  presenlandosegU le occasioni.- .   Veniva alle mani co" nemici, non -ta^to secondo Te detefmitia-  zioni, che egli faceva, quanto secondo lé-qc^^sióni phe se gli ofr  ferivano. Il più delle volfe camminando, e qualche vplta nei  tt^nipi crudelissimi, usava simil tratti, di ventre alle mani fuori  (lolla opinione di ciascuno, e quando manco si pensava che e* si  dovesse muovere. Solamente neiruttimp della sua età andava  alquanto più rattenutoal combattere, grudicando che quanto era  majjgioro il numero delle volte, che egli era, restato iittonoso,  tanto era mono da tentare ed esperimentare lar fortuna, e che la  vittoria non gli poteva tanto dare, quanto la mala fortuna gli  poteva tórre. Non messe mai in rotta i nemici, che non gli spo-  {i;! lasse degli alloggiamenti, e così voltato che^li avevano le spalle»  non diede mai lor facoltà di poter riaversi e rifar teKta. Nelle  battaglio dubbio faceva levar via i cavalli, ed il suo avanti agli.  aItri,jacciocchò la necessità gli stringesse a combattere per forza,  sondo levata via ogni comodità di fuggire.   Di un suo cavallo, che aveva li piedi quasi d*un -uomo.'   f   \\ cavallo cho egli cavalcava era molto notabile, per avere i  piedi quasi dHiomo, con l'unghie fesse a modo di dita; il quale  essendogli nato in casa, e pronosticando gl'indovini, che ciò al  suo padrone prometteva lo impero del mondo, lo allevò con gran  diligenza; e fu il primo a cavalcarlo, non sopportando il cavallo,  ohe altri vi montasse sopra : la cui immagine egli di poi consa-  grò, e pose dinanzi al tempio di Venere genitrice.   Suo valere nel rimettere le squadre piegate.   Spesse volte visto il suo esercito involta, gli fece rifar testa  col pararsi dinanzi a color che fuggivano, e ritenendogli ad iino  ad uno, ed alcuna volta storcendo loro il collo, gli volgeva vèrso  il nemico; e gli ritrovò tanto inviliti, che uno che portava Tin*-  sogna deirAquila, non volendo andare innanzi, minacciò di am-  mazzarlo, e d'un altro che e' volle ritenere, gli rimase in mano  l'insegna cho o' portava.     PBiHO imperatori: 45   ■ . ■ ,- Sua animosità con Cassio. " ,   - Grandi indizii furono i sopraddetti della costanza, e fermezza,  deirauimo 3U0, ma non minori anzi maggiori furono quelli, che  si videro dopo il fatto d'arme di Farsaglià: conciossiacogaobò  avendo mandato innanzi le genti ih Asia, dopo la vittoria^ épas-  sando come vincitore^per lo stretto di Costantinopoli sopra d'una  navicella, riscontratosi con Lucio Cassio , uomo della parte' av-  versa^ con dieci galee, non lo sfuggì, ma appres^tosegli lo con-  fortò a rimettersi in lui, etiarsegli in potere, e domandandogli  Cassio perdono, fu da liii ricevuto per amicò.     j     Sua mirabile fuga ntiotando. / ■ .   , . , '• ■   Nel combattere un ponte in Alessandria, costretto da subito  assalto de' nemici, saltò dentro ad una scafa, e saltandovi sopra  molta altra gente si gettò in mare; e nuotando circa a dugentó .  passi si condusse salvo ^lla nave che gli èra più ricina, tion la.  sinistra fuori dell'acqua, è sempre alzata, acciocché i suoi Com-  mentarii, che in quella teneva, non si bagnassero; avendo ancora  preso la veste con i denti, acciocché i nemicf noii si onorassero  delle sue spòglie. . ,   Come facesse prova dei soldati e della disciplina militare.-^   l^on gli piacevano i soldati, perchè e' fussero nobili o ricchi,  ma quegli che erano poderosi e gagliardi ; e con tutti parimente  era severo e piacevole, perchè non sejmpre, ed in ogni luogo gli-  teneva a freno, ma. quando l'esercito inimico era vicino non la  perdonava loro in conto alcuno ; né mai diceva loro quando ei  voleva camminare o combattere, ma gU voleva appatrecchiati e  spediti a qualunque occasione e momento, per potergli subito  condurre dove a lui piaceva. E molte vòlte ancora senza cagione  alcuna usava i sopraddetti' termini ,'^ massimamente ne' giorni  delle feste, o quando pioveva, ricordando loro ad ogni passò, ch^  l'osservassero e gH tenesseromente ; ed in un subito, e di giórno  e di notte spariva loro dinanzi, ed -affrettava il cammino per af-  faticare coloro, che erano più tardi a seguitarlo^     46 GIULIO CESARE   Della cosa stessa.   Quando e' conosceva, ch*egli erano spaventati, per avere in-  teso che il' numero dèi nemici era grande, dava lof o animoj^non  con negarlo o diminuirlo, ma con accrescerlo ed amplìficarìo,  onde essendo la espettazione della venuta* di Juba spaventevole,  chiamati i soldati a parlamento, disse : Sappiate che infra pochi  giorni sarà qui il re con trenta legioni di cavalieri, e cento mila  armati alla leggiera, e perciò alcuni che sono^ tra voi facciano  ormai line di cercare più oltre, e di andarsi immaginando più  una cosa, che un'altra, e credano a me, che lo so del certo; al-  trimenti io gli metterò dentro ad una nave vecchia, dandogli in  preda ai venti ed alla fortuna.      Suoi trattamenti co' soldati e come li lasciasse andar  -pomposamente vestiti.'   Non* poneva così mente ad ogni tJelitto de' suoi soldati, riè  aveva regola in punirgli; ma come che egli fosse acerbissimo  inquisitore e punitore de' fuggitivi e scandalosi, -quanto agli altri  difetti Q mancamenti, mostriava di non se ne accorgere. É alcuna  volta dopo qualche gran battaglia e vittoria dava loro la briglia  in sul collo, e gli lasciava pigliare ogni piacere, e cavarsi ogni  lor voglia ; usando di dire, che i suoi soldati, ancora ch'e' fossero  ben profumati, sapevaiio combatter valorosamente : e quando ei  parlava loro in pùbblico non gli chiamava militi, ma con nomi  più piacevoli e graziosi, gli chiamava compagni e commilitoni,  e gli teneva tanto, bene a ordine,, che e' guarniva loro le armi  d'oro e d'argento si per bellezza ed ornamento, sì ancora perchè   p la paura di non le perdere e' fussino più ostinati nel. com-  I ere; e tanto gli amava tutti, che poiché egli ebb e inteso coinè  iiiurio era stato morto, si lasciò crescere* la barba ed i capelli,  uè prima se la levò eh' e' n'ebbe fattp le véndette. In questa  maniera gli fece divenire valorosi, e se gli rendè ubbidienti e  fedeli.   Fedeltà e svisceratezza de' soldati di lui.   Gride quando egli entrò nella guerrìa civile, i centurioni di  ciascuna legione -gli offersero un uomo a cavallo per uno a loro  spese. I soldati tutti si offersero di servirlo 4n dono senza sòldo,  6 senza vettovaglie, pigliando quelli che erano più ricchi la cura     I^RIMÒ mPERATORE .47   (Ji mantener quegli che erano più poveri, né in così lungo tempo  che durò la guerra, non se ne ribeltò giammai alcuno. E una  e subito, partitasi dalle esequie, corse alle case di  Bruto e di (^.assio col fuoco; ed essendo con vergogna ributtata,  riscontrandosi in Elio Cinna, ed avendolo preso in cambio lo  ammazzò, portando la sua testa' fìtta in su un'asta per tutta la  città, credendo ch'egli fosse Cornelio; il quale, per aver lui il  giorno avanti j)arlato di Cesare disonorevolmente, era stato da  quella minacciato, e cercato per fargli villania. Dipoi pose in  piazza una colonna di porfido, tutta d'un [)ezzo, alta circa venti  piedi, e scrissevi dentro : AL PADRE DELLA PATRIA. E per-  severò lungo tempo di sacrifìcare appiè di quella, e quivi si bo-  tavano, e giurando ancora sotto il nomo di Cesare, si termina-  rono alcune liti e controversie.   Sospetto che lasciò di sé ai suoi.   Ebbero opinione alcuni amici di Cesare, che il vivere gli fusse  venuto in fastidio, e che non molto si fosse curato di vivere o  di morire, per essere mal sano; e per questo non aver tenuto  conto di quelle cose, che dai cieli, e dagli indovini gli erano [  state pronosticate, e dagli amici avvisate. Sono alcuni che pen- y  sano che sendosi confìdato in quel partito fatto ultimamente dal  senato, e nel giuramento preso dal popolo, rimovesse da sé an-  cora gli Spagnuoli , ch'e' teneva a guardia della persona sua.  Altri sono di contraria opinione, cio^, che egli avesse giudicato,  che considerando nel grado ch'e' si tmvava, rispetto a' nemici,  che da ogni banda gli tendevano insidie, fusse meglio morire una     I     Pkmò llfPfiKiTORE ^9   volta che mirto. Altri dicono, che egli era sòlito di dire; che^non  meno alla Repubblica che a se stesso importava il suo bene es-  sere e la sua saluto; perciocché oramai, qOanto a sé, si aveva  acquistato assai di gloria e di. riputazione; ma la Repubblica  d'ogni Suo travaglio era per patirne, e per ritornare nelle guerre  civili con maggiore pericolo e danno dello universale.   Che gli avvenne quella morte, ch'egli aveva desiderata.   È manifesto quasi a ciascuno, ch'e' morì in quella maniera  ch'ei desiderava ; perciocché avendo letto in Xenofonte, che Grro  nell'ultimo della sua malattia aveva ordinato, che e' si facie^sero  alcune cose circa il suo mortorio, biasimando il morire così a  stento, desiderava piuttosto di morir presto ed all'improvviso. E  il dì dinanzi che e' fusse ucciso, cenando in casa di Marco Le-  pido, e disputandosi a tavola, che sorte di morte fusse manco  dispiacevole, aveva preferito a tutte l'altre la repentina, p non  aspettata. -   Sua età ; d'una stella comeia; e il luogo e giorno   della sua morte.   Morì Cesare di cinquantasei aniìi, e fu messo nel. numero de-  gl'Iddii, non solamente per bocca di coloro, che sopra ciò erano  deputati, ma ancora secondo che il volgo si persuase : con ciò sia  cosa che in que' giorni che Augusto .suo erede faceva celebrare  le feste in suo onore, per sette dì continui apparse una cometa,  cha nasceva intorno alle ventitré ore, e si credette, ch'ella fusse  l'anima di Cesare, che fusse stata ricevuta inxìelo. E per questa  cagione in testa della sua immagine si {>ose una stella. Deler^  minarono che la curia, nella quale egli fu ucciso, fusse rima-  rata, e che il quintodecimo dì di marzo fusse chiamato patri-  cidio, e che il penato in quel giorno non si dovesse mai ragunare.   Molle degli ucciditori di Cesare.   r   Nessuno di quelli che lo ammazzarono, visse quasi più che  tre anni, e ninno mori di morte ordinaria , tutti furono condan-  nati, e capitarono male, chi in un modo, e chi in un altro; al-  cuni perirono in mare, alcuni in guerra, alcuni altri con quel  medesimo pugnale, col quale ei avevano ucciso Cesare, s'am-  mazzarono.     TRADCZIOXE DELLA GIINTA FATTA   ALLA VITA   DI   GIULIO CESARE   SA G. I» VIVES     Giovanni Ludovifo Tives al sno Ruffaldo.   Adua segni possiamo principalmente raccogliere, che Svetonio  sia imperfetto e tronco^ cosi come è mancante Curzio, alcune  orazioni di Cicerone, e le opere di Tacito, Il primo, per non  esser egli solito di mai pretermetter l'origine della gente ^ e fa-  miglia di quel Cesare, la di cui vita abbia impreso a scrivere;  ne della fondacion della Julia ei ce ne fa alcun motto, e pure  al pari d'ogni altra ess'era chiara, e ^ìominatissima : l'altro;  perchè ne' testi vecchi leggesi questo certamente monco principio,  Essendo in età di anni sedici, tralasciato ii nome di Cesare, da  che può vedersi, che di quello si era prima messo a parlare. Io  adunque ciò, cheh^nno gli autori antichi scritto accuratamente  leggendo, e alla vita di Cesare annestandolo, ho riempiuto questo  vuoto; quandoché vana sarebbe la speranza che possa rinve-  nirsi mai ciò che Svetonio egli medesimo ha scritto: che se av-  verrà che ritrovisi, a me non rincrescerà già di aver fatto getto  di una non grande fatica. Procurai per tanto di rassomigliarmi  alla di lui dettatura e modo di scrivere, e alla sua esattezza  eziandio ne'racconti. Se ad alcuno non averò soddisfatto, di  poco danno, gli sarà l'aversi imbrattata poca carta, e di poca  noia il poco tempo, che avrà concesso alla lettura de* nostri  scartabegli; ove all'incontro, se ad alcuno avrà piaciuto, me ne  terrò bastevolmente rimunerato. Qualunque ella siaquestamia  opericciuola, io la dono a te, Geronimo Ruffaldo ^ U migliore  de' miei scolari, e a me il più caro. Sta sano.   Da Loven deiranno I52i.     OniiNTA ALLA VITA DI GIULIO CESARE 64 '   Della Gente Giulia .'   Affermasi di certo, che la gente Julia provenga da Jiilo figlio  d*Eflea, quegli Che abbandonato LaviniOj edificò Albalonga, nella  quale anche regnò. Dopo la costui morte essendo ritornato Tim*  perio de' popoli latini ad Àscanio figliuolo medesimamente d'E-  nea, e di Lavinia, la cura delle cose sacre, e dèlie cerimonie della  gente latina, e troiana risiedè appresso la discendenza, e li-  gnaggio di Julo, dà cui sono originati i Jiilii. Questi con parec-  chie altre nobilissime famiglie del Lazio furono indi traspiantati  a Roma, e fattivi patrizi! da Tulio Ostilio re de' Romàni, da poi  aver egli messo Alba a fuoco e fiamma. Passarono molti anni, e  molti, anzi che i Julii potessero spuntare di esser eletti di alcun  maestrale; perciocché ascritti quasi gli ultinii al (1) patriziato  delle genti maggiori, sólamente dell'anno dalla fondazione di  Roma 301 trovasi deputato al scriver delle leggi un Gneo Julio  decemviro, e questa fu la prima loro entratura. ai magistrati.  Quindi innanzi occuparono tutti gli onori, rimanendo tuttavia  nel patriziato, e nell'ordine senatorio. Possedevano mezzane ric-  chezze, né fin a quest'ora avevano operato cosa, che potesse  accrescer loro la riputazione, e metterli -al di sópra degli altri  cittadini.   La famiglia de* Cesari.   Nella gente Julia vi è la famiglia de* Cesari; qual di così so-  prannominarla fosse la causa, non ci è manifesto; come pure  non si sa, chi fosse il primo a portare questo cognome. CoUcio-  fosseché avanti Cesare dittatore^ avanti il padre, e l'avo, i Julii  furono chiamati Cesari; come qnello, che nella guerra, seconda  cartaginese fu mandato a Crispino consolo per la nomina del  dittatore. La romana favella chiama Cesari quelli^ che sono tratti  dal ventre tagliato della madre, e quelli che nascono capelluti^  o che abbfano gli occhi glauchi. Aggiungono certuni d'un elefante  uccìso nell'Africa, quali dagli abitatori essendo detti Cesari, d'indi  primamente esser sorvenuto cotal soprannome all'avo del ditta-  tore. Ma quelli che ciò scrivono sono uomini d'un menomissimo  credito, cioè Sparziano, e Servio. E credonla una fola, quei che   (1) Quelli ohe furono creati Patrizii dai Re romani, si chiama-  vano Patrizii delle genti maggiori, e quelH creati da Lucio Bruto,  delle genti minori.     621 GIUNTA FATTA ALLA VITA DI GIULIO CJ^ABE   sanno, che lion il dì luì solo ramo fra i Julii portò questo cognóme,  ma gli altri ancora ; e anni anni innanzi del dittatore furonvi  dei Cesari d'una stessa gente con esso, e alcuno di quelli ancora  console, come Sesto Julio Cesare con Lucio Marzio Filippo sul  principio della guerra sociale, e nel seguente anno Lucio Cesare  con Rutilio Lupo, né avanti di questi due vi fu alcuno do'Cesa ri,  che fusse memorabile, o che siedosse nel primo magistrato di  Roma. Di là ben a molti anni dalla stessa famiglia venne, un  altro Lucio Cesare figlio di Sesto, che fu console, e questo era  fratello cugino di Lucio Julio Cesare padre del dittatore, quale  non passò più in là della pretura, ed essendo a Pisa, una mat-  tina mentre calzavasi improvvisamente, cadde morto non si sa di  qual male. it*   V   Nascimento ed educazione di Cesare.   Nacque Cesare a Roma, essendo consoli Caio Mario, e Lucio  Valerio Fiacco a dì 13 del mese anticamente chiamato quintile,  il quale per una legge posta da Antonio dopo la morte di Cesare  fu denominato Julio, che appresso. noi con vortesi Luglio. Fu alle-  vato da Aurelia sua madre figliuola di Caio Cotta, e da Giulia  sua zia moglie dì Mario. Quindi comunque fosse patrizio se l'in-  sinuò l'inclinazione alla plebe, e l'odio verso di Siila. Intro-  dusselo nello lettere grt^he^ e latine, e dielli i primi inviamenti  del dire un Certo Marco Antonio Gnifone francese, uomo d'in-  gegno sollevato, d'una memoria non comune, condiscendente,  e di mansuetissimi costumi. Costui insegnò la grammatica greca,  e latina e la retorica primieramente nelle case di Lucio Cesare  padre, e poi ih casa sua propria, essendosi avanzato in fortune  per la molta liberalità de' suoi discepoli, non essendo egli per  altro solito di pattuire con alcuno della ricompensa. Fu Cesare  d'unUncredibile docilità , e pareva nato e fatto al perorare. Il  di lui discorso fu colto, e. pulito dalla domestica conversazione  della> madre Aurelia, la qual con proprietà^ eleganza, e purità  parlava, romanamente così come le Muzio, le Lelio, le Cornelie,  e 9Ure primarie matrone, dalle cui famiglie sonò usciti gli ora^  tori più splendidi.     LA VITA ED I FATTI     DI     CESARE AUGUSTO   SECONDO IHPERATOR ROMANO     r •     OTTAVIO CESARE AUGUSTO     Che la famiglia degli Ottavii fusse già la principale in Belle-  tri, ce ne sono molti riscontri : perciocché il borgo principale di  quella terra un tempo addietro si chiamava Ottavio, dove era  un altare c^nsagrato ad uno degli Ottavii ; il quale essendo fatto  capitano in una guerra contro a' convicini, avuto in un subito  .avviso d'una scorreria fatta da essi, mentre che egli per avven-  tura sacrificava a Marte, tolte le viscere dèlio animale così mezze  crude del fuoco, e con prestezza tagliatele pel mezzo, e presone  una parte, andò a trovare i nemici, è fatto il fatto d'arma ritornò  in Belletri vincitore. Era oltre a ciò nella predetta città un de-  creto pubblico, per il quale si determinava, che per lo avvenire  ogni anno in cotal guisa si sacrificasse a Marte, e che la mag-  gior parte delle interiora fusse portata a quelli della casa degli  Ottavii. "   Origine del casato di Ottavio. ,   Questa famiglia fu da Tarquinio Prisco re accettata in Roma  nel numero de' cento senatori fatti da lui, i quali furono dipoi  chiamati i minori; e poco dipoi da Servio Tullio fu eletta nel  immero de' patrizii : e in processo di tempo ^diventò plebea, e  di nuovo, non senza gran contradizione, per opera di Decio Giu-  lio, si ridusse un'altra volta tra i patrizii. Il primo di loro, che  avesse magistrato in Roma, Vòttenne per favore del popolo, Gaio  Ruffo; il quale era stato questore e fu padre di Gneò, e di Gaio,     6i CESARE AUGUSTO   da' quali la famii^lia dei^li Otlavii ebbe origine, e si divise in due  rami, la cui condizione anco fu diversa, perciò che Oneo, ed i  suoi discendenti ottennero tutti i primi magistrati. Ma Gaio, e  quegli che di lui discesero, a caso, ovveiro industriosamente s'in-  tratlennoro sempre nell'ordine dei cavalieri insino al tempo del  padre di Augusto. 11 bisavolo di Augusto nella seconda guerra  cartaginese, fece il mestiere del soldo in Cicilia, dove egli fu  tribuno de'militi, sendo Emilio Pappo capitan generale. L'avolo 1  contentandosi delle digniU), ed otiìzii della patria sua di Belletri, !  essendo ricco di patrimonio, visse lungo tempo con grandissima  tranquillità, e quieto d'animo. Ma di queste cose ne è stato fatto  menzione da altri. Augusto medesimo scrive d'esser nato solo di  famiglia equestre antica e ricca, e che il suo padre fu il primo  tra loro, che fosse fatto senatore : Marco Antonio gli rimprovera,  che il bisavolo suo nacque di schiavo, e fece l'arte del funaiuolo  nel casale di Turino, e che l'avolo fu banchiere. Nò altro mi  ricordo aver letto degli antichi d'Augusto, quanto è al padre.   Del padre d'Ottavio.   Il padre d'Ottavio fu sempre facuitoso, e di grandissimo credito  insino da piccolo : tal che io mi maraviglio alconi averp scritto,  lui essere stato banchiere, e nel numero di quegli che servivamo  a coloro, che addomandavano il consolato in campo Marzio, e  che distribuivano i danari per comperare i favori del popolo nella  creazione de'magistrati ; perciò ch'essendo nutrito ingrandissime  ricchezze, venne agevolmente ad ottenere qualunque magistrato,  ed in quelli si portò sempre valorosamente, e da uomo da bene.  Fu dopo l'uffizio della pretura tratto governatore della Macedonia,  e nell'andare in detto luogo per commissione datagli dal senato,  per lo sliaordinario, spense interamente i fuggitivi, che erano  restati delle genti di Spartaco, capo della ribellione degli schiavi,  e spense ancora una squadra di Gatilina, i quali avevano occu-  pato il contado di Turino, e governò quella provincia con molta  giustizia, e severità: perciocché avendo in una gran battaglia  rotto i Bessi, e quelli di Tracia, si portò tanto bene con gli amici,  e confederati del popolo romano, che Marco Tullio Cicerone scri-  vendo a Quinto suo fratello, il quale in quel tempo era procon-  solo dell'Asia, ed i suoi portamenti erano^ anzi che no, biasi*  mevoli, lo esorta ed ammonisce, che pigli esempio da Ottavio  suo vicino in farsi ben volere, e mantenersi amici queV popoli.     SEdbNDO IMPERATÓRE 65   La morte del padre d'Ottavio , e de' figliuoli ch'egli ebbe.   Partendosi di Macedonia, prima che egli si potesse dichiarare  abile a potere addomandare il consolato, morì di morte repentina,  e lasciò due figliuole femmine ed uno maschio, cioè Ottavia  maggiore natagli di Ancharia , ed Ottavia minóre, ed Angusto,  che gli nacquero di Accia figliuola di Marco Accio Balbo, e di  Giulia sirocchia di Gaio Cesare. Balbo per istirpe paterna fu di  Arizia; nella cui casata erano stati molti senatori, siccome ap-  pariva per le immagini, che di quelli si vedevano: e dal lato di  madre èra parente stréttissimo di Pompeo. Costui fu pretore, e  dopo tal magistrato fu fatto de' XX uomini a dividere il contado  di Capua alla plebe romana, secondo una legge fatta da Giulio  Cesare. Ma il sopraddetto Marco Antonio, per avvilire ancora la  malorna origine di Augusto, usa di dire, che il suo bisavolo fu  africano, e gli rinfaccia ora, che fu profumiere, ed ora che' fu  mugnaio in Arizia ; e Cassio parmigiano in una certa epistola  tassa Augusto, non solo come nipote di un mugnaio, ma ancora  d'un bancliiere, scriv-endo in questo modo: il banchiere di Ne-  -Fulano, con le mani tinte dal sudiciume del rame, ti manda,  questa epistola formata, scritta con la farina materna dell'aspro  e ruvido molino d' Arizia.  ¥". " •   Il tempo ed il luogo del nascimento d'Ottavio   Nacque Augusto, sendo consoli Marco Tullio Cicerone, ed  Antonio, a' 23 di settembre poco innanzi il levar del sole, nella  regione Palatina, in un luogo chiamato ad Capita Bubula [cioè  ai ca|)i de' buoi) dove ora è una cappella, che vi fu posta in  suo onore poco avanti ch'ei morisse : perciocché come è scritto  nel libro, dove giornalmente si notavano le azioni del senato.  Gaio Letterio giovanetto di stirpe patrizia, nel pregare e racco-  mandarsi d'essere liberato ed assoluto dalla pena , nella quale  era incorso per l'adulterio commesso, oltre allo avere ricordato  a' padri conscrittì, che gli avessero rispetto come a giovanetto e  nobile; allegò ancora di possedere, e tenere in guardia, come  una cosa sacra quella parte del terreno, che ad Augusto toccò,  subito ch'e' fu nato ; e pregando che facessero un presente di  lui ad Augusto, coitie ad uno Iddìo, del quale egli era partico-  larmente divoto, determinarono per pubblico decreto, che quella  parte della casa per tal cagione fusse consagrata.     66 CESARE AUGUSI^   r ■   li luogo dove fu allevato.   È ancora in piedi il luogo dove es^li fu allevato, ii>quale è  una stanzetta piccola presso a Belletri in una villa del suo avolo,  fatta a somiglianza di lin magazzino di villa : ed i vicini di quella  villa tengono por fermo, che quello sia il luogo dove egli nacque.  Lo entrare in questo luogo non ò permesso se non in certe oc-  correnze necessarie, e bisogna andarvi con gran riverenza e  religione ; perciò che egli è stata opinione antichissima de' paesani,  che coloro che vi entravano a caso ed inconsideratamente , f us-  sero soprapprosì da un certo orrore e spavento maravigUoso : in  confermazione della quale,accadde, che uno, che nuovamente  era divenuto padrone di quel luogo, o che e' lo facesse a caso, o  pure jìor voler fare la esperienza^ vi entrò una notte a dormire,  e in termine di poche ore che ò' vi fu soprastato , sospinto e ri-  buttato fuora con grandissima e subita forza, fu trovato mezzo  morto, con la coperta del letto attorno fuora dinanzi alla porta.   I suoi nomi o cognomi con le cause d e' medesimi.   Mentre che ancora si allattava, fu cognominato Turino iu  memoria deirorigine de' suoi antichi ; ovvero perchè e' nacque  poco di poi, che suo padre Ottavio nel contado di Turino aveva  dato quella rotta alle genti , ohe erano avanzate di Spartaco e  di Catilina. Che egli fusse cognominato Turino, io ne posso dare  un riscontro assai manifesto, sendomi venuto alle mani una pìc-  ciola immagine del suo ritratto, quando èra fanciullo, vecchia  e di rame, con certe lettere rose dalla ruggine per antichità e  quasi consumate, intitolata del predetto cognome; la quale,  avendola io donata al principe, se la.tiene incamera tra le cose  più care. Marco Antonio ancora spesse volte scrivendogli per  dispregio lo chiama Turino; ed egli non ris|)onde altro, sé non  maravigliarsi che ei si dia ad intendere di vituperarlo, chiaman-  dolo pel nome suo. Prese appresso il cognome di Gaio Cesare,  ) di poi quello di Augusto. 11 primo per testamento di esso Ce-  "^are fratello della madre di sua madre; l'altro per consiglio e  •etermioazione- di Numacio Plance ; e non ostante che alcuni  ;,iudiGassoro, che più tosto e' fusse da chiamarlo Romolo^ come  A anco. egli fusse stato edificatore di Roma,' andò innanzi non-  limeiio il cognome di Augusto, non tanto per esser nuovo, quanto  jdr avere D"ì- del magT'fi'^' '*"»*'*i'^«eii>'»'*ci>^h^ «»n/»/\-i * l'^c^i^i   oliqrioaì ,'V ir ili tv . ij.     SECONDO^ mPfiBATpRE 67   cuna cosa, siano detti augusti, cibilo augumento, ovvero da' gesti  e dal. gusto degli uccelli; siccome ancóra ci signiGca Ennio ih  quel verso, dove egli dice:   Poi clic rinclita Roma ccwi Augusto augurio fu cditicatar.   Breve descrizione di tutta la vita, e fatti dello stesso.   Restò senza padre di quattro anni; e no' dodici anni fece unB  orazione in laudo di Giulia sua avola, che era morta quattro  anni innanzi. Avendo preso la toga virile, gli fu donato da' Cesare '  nel trionfo della guerra africana alcuni ornanoenti militari quan-  tunque per la poca età non fusse ancora esercitato nella guerra:  dipoi andato Cesare iu Ispagnà contro a' figliuoli di Gneo Pomjieo;  Augusto gli andò dietro ; e con tutto che per una grave infermità  avuta, non avesse ancora racquistato interamente le forze, cam-  minando con pochissimi compagni per strade non secure erotte  da' nemici, e travagliato ancora dalla fortuna in mare, a luj salvò  nondimeno sicondusse: onde Cesare, considerato la industria  e prestezza del giovinetto in quel viaggio, ed il presagio della  sua virtù, sommamente lo commendò e gli pose grandissima af-  fezione. E deliberand^i Cesare, poi che egli si fu insignorito dell^  Spagna, di andare contro a quegli di Dacia, e dipoi contro ai  Parti, lo inviò ad Apollonia» dove egli diede opera agli studi.  E subito che egli intese, Cesare essere stato morto frlui esser  fatto suo erede, stette lungamente sopra di sé, pensando se ei  doveva ricercare lo esercito, il qualf. egli aveva vicino in Mace-  donia, che lo favorisse e pigliasse la sua. protezione ; finalmente  si risolvè di por da parte tal disegnò come pericoloso e fuor di  tempo. Ma ritornato a Roma prese la eredità contro alla voglia  della madre^ sconfortandonelo ancora assai Marzio Filippo suo  pairigno, uomo Gongolare. Da quel tempo innanzi, tirate tutte le  genti, ch'erano a soldo della Repubblica, a sua divozione, tenne ,  nel principio là Repubblica insieme con Marco Antonio e Marco  Lepido ; appresso in compagnia di Marco Antonio circa a dodici  anni ; ultimamente la resse e governò solo anni quarantaquattro.   Cinque guerre civili da lui intraprese.   Avendo descritto la sua vita cosi sommariamente, seguiterò  le parti di quella ad una ad una, non servando l'ordine de' tempi, '  ma narrando cosa per cosa ; acciò che più dìstiatamente si possa  dimostrare e intendere, quale ella fusse. Bgti adunque fece cinque     68 CESARE AlTGrSTO   guerre civili, la prima fu quella di Modena; la seconda quella  de' Campi Filippici ; la terza quella di Perugia; appresso quella  di Sicilia; e dipoi l'Aziaca: delle quali la prima, e Tultima fu-  rono contro a M. Antonio, la seconda contro a Bruto e Cassio,  la terza contro a Lucio Antonio fratello di Marco Antonio,- la  quarta contro a Sesto Pompeo figliuolo di Gneo Pompeo. Mosse  e fondò le sopraddette guerre sopra il dire, che a lui s'apparteneva,  sopra ad ogni altra cosa , vendicare la morte di Cesare e difen-  dere lo cose fatte da lui.   La guerra di Modena e altri di lui fatti.   Subito che ei tornò di Apollonia in Roma, deliberò con l'armi  di assaltare Bruto e Cassio alla sprovveduta; ma perciò che loro  si erano levati dinanzi alla furia, prese partito di mover loro  guerra con le leggi, e così deliberò d'accusarli come manifesti  ucciditori di Cesare. Non avendo ardire coloro, a chi si apparte-  neva di celebrare le feste della vittoria di Cesare, egli medesimo  prese tale assunto, e per potere mandare ad effetto e facilità  meglio ogni suo disegno, domandò d'esser fatto tribuno della  plebe, in luogo di quello che in quel tempo era morto, ancora  che egli fusse patrizio, ma nondimeno non ora stato ancora se-  natore: ma contrapponendosi a' suoi disegni Marco Antonio con-  solo, del cui aiuto e favore, più che di quello che di tutti gli altri,  s'era promesso, e mostrando di tener poco conto di lui, sì nelle  cose pubbliche, come nelle. private, né gli conferendo o coniu-  nicando cosa alcuna, se non per premio e con promesse gran-  dissime, determinò di gettarsi dalla parte degli Ottimati, alla  quale egli s'accorgeva che Marco Antonio era in odio : massime  che il detto Marco Antonio faceva ogni slbrzo di oppriitiere Decio  Bruto, avendolo assediato in Modena, città della provincia, che  da Cesare gli era stata data in governo e confermatagli dal se-  nato. Pertanto persuadendolo alcuni, cercò per le mani di certi  suoi fidati di farlo ammazzare ; ma sondo scoperto il tradimento,  dubitando che Marco Antonio non fkcesse a lui il medesimo,' fece  amici a sé ed alla Repubblica i soldati vecchi con la liberalità  grandissima, che egli usò inverso di loro : ed essendogli ordinato  dal senato, che in luogo di pretore, insieme con Ircio e Pansa  consoli, porgesse aiuto a Decio Bruto, recò a fine quella guerra  in tre mesi con due battaglie. Nella prima, scrive Antonio, che  e' si fuggi, e in capo A due giorni fu ritrovato spogliato e senza  ■cavallo ; nella seconda è manifesto, che non sdlo fece l'uffizio del     SÈdO^iyo ÌMPERA.fORE é9   capitano, ma ancora del soldato privalo: e nel mezzo della zufifa,  sondo ferito gravemente quello che portava l'insegna djell'aqiiila  del suo colonnello, la prese,; & ponendosela in su le spalle, la  portò gran pezzo.   Dello stesso e della morte dei Consoli.   Come che nel predetto fatto d'arme^ Ircio nel combattere e  Pansa poco di poi sendo feriti morissero , andò fuori una voce,  che amendue erano morti per opera di Augusto ; acciò che di-  scacciato Marco Antonio e la repubblica privata de' consoli, egli  solo s'insignorisse degli eserciti vincitori. Fu ancora di maniera  sospetta la morte di Pansa, che Glicone medico fu incarcerato,  dubitandosi' che e' non gli avesse avvelenata la ferita. Aggiugne  alle predette cose Aquilio Nigro , che Ircio l'altro consolo nel  mezzo della baruffa fu da esso Augusto ammazzato.   Abbandono della fazione de' Nobili.   Ma come egli inteserche Antonio , dopo l'essersi fuggito , era  stato ricevuto da Marco Lepido, e che gli altri capitani ed eser-  citi si venivano con loro, senza metter tempo in mezzo, abban-  donò la parto degli Ottimati. E ricoprendo e onestando questo  suo mutamento di proposito, con dolersi d'alcuni di loro, che si  erano lasciati uscir di bocca, ch'egli era un fanciullo, ed alcuni  altri avevano detto ch'egli era da ornarlo ed (1) allevarlo (pa-  role ohe si poteano pigliare in mal significato , come è a dire ,  che e' bisognava aggirarlo e levarselo dinanzi ) per non avere  ad avere obbligo, né rimeritare lui , né i soldati veterani ; e a  tale che più eviJentemente apparisse lui essersi spiccato dalla  parte degli Ottimati, pose a' Norcini grandissime gravezze, da  non poterle in modo alcupo pagare, e gli sbandì della terra;  perciò che in un sepolcro pubblicamente fatto ai suoi cittadini,  che erano stati morti nelle battaglie di Modena, avevano scritto,  quegli esser morti per la libertà.   (1) La parola latina è questa tollendum; che tanto significa  avanzar in onori, quanto tordi mezzo ed uccidere.     70 GESARR AUGUStÒ   Guerra Filippica e come dividesse Thnperio con Antonio.   I   Sendosì coAvenuto ed accordato insieme cori Antonio e con  Lepido, benché efusse mal disposto dell'anima e dei 'corpo,  terminò la guerra con Bruto e con Cassio con due battaglie :  nella prima delle quali avendo perduto gli alloggiamenti, a pena  col fuggirsi ebbe tempo di ritirarsi a salvamento dalla banda  dello esercito , dov'era )^. Antonio ; dipoi ottenuta la vittoria,  non seppe por freno all'insolenza dell'animo suo: uria avendo |  mandato la testa di Bruto a Roma , perchè la fusse appiccata  sptto la statua di Cesare, fece morire crudelmente' dclli prigioni, I  che egli aveva fatti, i più onorati e riputati^ usando versoci loro  parole ingiuriose e. villane; di maniera che ad una cha i6 pre-  gava, che, poi eh' e' fnsse morto, lo facesse seppeìtùrtf^JT'Si dice  avergli risposto: « Ormai noi lasceremo cotesta briga agjiì uc-  celli ; » od un padre insieme col figliuolo pregandolo cbB^Wesse  perdonar loro la vita, comandò eh' e' traessero per sorte, ovvero  combattessero insieme chi di loro dovea essere liberato ;,edAven-  dogli fatti combattere, stette a veder morire l'uno e l'altro, come  che il padre nel primo affronto restasse morto , fattosi ammaz-  zare in pruova, ed il figliuolo, veduto il padre morto, ammaz-  zasse se medesimo. Per laqual cosa tutti gli altri, tra' quali era  Marco Favonio discepolo ed imitatore di Catone , condotti alla  presenza sua e di Marco Antonio , incatenati, salutando onore-  volmente Marco Antonio come imperatore, a lui dissono in faccia  molte parole vituperose ed infami. Essendosi dopo la vittòria  compartiti tra loro gli uffizii, avendo preso Antonio la cura del-  l'Oriente, ed egli a ridurre i soldati vecchi in Italia e a distri-  buir loro i contadi di quelle città , che godevano il benefìzio di  Roma, non n'ebbe grado nò dai soldati, né dai padroni di quelle  possessioni : j)ercjò che questi si dolevano d'esserne stati discac-  ciati, quest'altri di non essere rimunerali delle fatiche loro, se-  condo che giustamente pareva lor meritare.   Guerra di Perugia,   Nel qnal tempo egli costrinse Lucio. Antonio a rifuggirsi in  Perugia (perciò che Antonio, confidatosi nello essere consolo e  nella autorità e grandezza del fratello, andava macchina^ndo cose  nuove) e quivi assediatolo finalmente, lo costrinse ad arrendersi ;  ma non senza suoi grandissimi pericoli innanzi la guerra ed an-  cora nello assedio. Avendo comandato (stando a veder celebrare     SECONDO iMPERAfoilE 7i   le feste che si facevano) a uno di quei ihinistri, che mandasse  via un soldatello^ che s' era posto a sedere dove stavano i cava-  lieri, ed essendo cavato fuori una voce vana è falsa da quegli,  che gli volevano male, che egli aveva fatto tormentare ed ucci-  dere quei tale, sarebbe capitato male per la moltitudine dei sol-  dati , che quivi concorsero sdegnati e adirati , se collii, per cui  si tumultuava, non fusse comparso in un subito salvo e senza  aver ricevuta alcuna ingiuria. Sacrig^ìdo ancora intorno alle  mura di Perugia , fu quasi per essei^morto da una squadra di  soldati, che ih un tratto, usciti dalla terra, lo^sopraggiunsero.   Goa^ali péne incrudelisse contro ai prigioni nella guerra di Perugia.   ÀV4»n4o«preso Perugia , punì la maggior parte di coloro, che  gli venttl^ro nelle mani ; ed a quegli che addoni andavano perdono,  s'mgegnjavano di scusarsi , a tutti serrava la bocca dicendo,  che gli ^ra necessario che e' morissero. Scrivono alcuni, che di  coloro, cfie se gii erano dati a discrezione, sceltine trecento, tra  dell'ordine senatorio e de' cavalieri, ai quindici di marzo gli uc-  cise e sacrificò dinanzi all'altare da lui edificato in onore di  Cesare. Sono stati alcuni che hanno scritto che in prova lasciò  pigliar l'armi a costoro , acciocché gli occulti avversarii , e che  più per paura che per volontà non si scoprivano^ con aver dato  loro facoltà di avere- per capitano Lucio Antonio, si palesas-  sero ; e con tale occasione avendogli sbattuti e  state assai tempo senza  rimondare, erano ripiene dal fango e dalla rtiota. E perchè la  memoria della vittoria ricevuta in quelle bande ;fusse nel futuro  pili celebrata , edificò vicino ad Azio una città e gli pose nome  NicopoH, ed ordinò, che ogni cinque anni vi si facessero alcuni  giuochi in onor d'Apollo ; ed avendo rinnovato ed accresciuto  l'antico tempio di esso Iddìo,- consecrò a Marte ed à Nettuno il  luogo, dove erano stati gli alloggiamenti del suo esercito; ador-  nandolo delle spoglie delle navi, con le quali contro a M.Anto-  nio aveva combattuto. ^   Congiure e cospiraziorli fatte contro di lui.   Oppresse dopo queste cose in diversi tempi alcuni tuwiuHi e  principii d'innovazioni, e più congiure stategli rivelate, prima  che elle p^tpssero acquistar forza : la prima fu quella di Lepido  giovane; appresso quella di Varrone Murena e di Fannie Ce-  pione; dipoi quella di Marco Renato; dopo questa quella di  Plauto Ruffo, e di Lucio Paolo, suo secondo, genero ; appresso  quella di Lucio Andasio, stato accusato per falsificatore di testa-  menti, vecchio e di mala complessione; e qtìella di Temasino  Epicardo, il quale o per padre, o per madre era di nazione per-  sica ; ultimamente quella di Telefo, che serviva tid una gentil-  donna, per ridurle*a memoria i nomi de^Mttadini (come in quei  tempo per salutare l'un l'altro e chiamarsi per nome, si costu-  mava). Ed ancora che e'fo^se in tanta grandezza, pur si trovò  anco tra uom' »' ^'''' e di hi mano, chi ebbe animo di vo-     SECÓNDO IMPERATORE 75   Giulia, sua figliuola ed Agrippa suo nipote dell'isola, dove da esso  erano stati confinati o menarnegli con esso loro. Telefo, persua-  dendosi di aver per destino dei cieli a succedere nello imperio,  aveva disegnato di ammazzar lui e sforzar il senato. Oltre a  ciò fu preso ancora vicino alla camera,' dove addormiva, c^n un  coltello da cacciatore a canto, un saccomanno di quegli che por-  tano l'acqua, tenuto dello esercito, che e' teneva in Ischìavonia ;  il quale avendo di notte ingannato le guardie della porta del pa-  lazzo, era entrato dentro, che ninno se n'era accorto. È cosa in-  certa, se costui era scemo di cervello, o se pure e' fingeva di  essere matto: perciocché essendo esaminato con tormenti, non  si potè mai ritrar da lui cosa alcuna.   e   Guerre esterne da lui fatte.   Delle guerre esterne ch'e'fece, solo a due si ritrovò in per-  sona, come capitan generale; a quella della Schiavonia, essendo  ancor giovanetto, ed a quelja de'Cantabri, poi che egli ebbe  vinto M. Antonio. In Ischiavonia ricevette due percosse in due  zuffe, in una fu percosso d'una pietra tiel ginocchio destro, nel-  l'altra s'infranse una coscia ed améndue le braccia , per la ro-  vina d'un ponte. Nell'altre guerre si governò per le mani dei  suoi commissarii. Ritrovossi nondimeno in alcuni fatti d'arme  che si ferono in Pannonia ed in Germania , e dove egli non si  ritrovò presente, non fu molto lontano; perciocché e' si ain-  dusse , quando insino a Ravenna , quaiìdo insino a Milano e  quando insino ad Aquileià,   Provincie da lui debellate, e con quali altre stringesse confederazione.   Soggiogò parte in persona e parte per mano dei suoi capitani,  e sotto suo nome, la Cantabria, l'Aquitania, ia^t'annonia eia  Dalmazia con Mia la Schiavonia. Soggiogò ancora i Rezii e i  Vindelici ed i Salassi ; gente che abitano nelle Alpi. Raffrenò  le scorrerie di quegli di Dazia, con avere uccisi tre loro capi-  tani con gran numero di gente. Costrinse i Germani a ritraici  indietro ed abitare di là dal fiume Albi; ed i Svevi ed i Sicarioi-  bri, che se gli dierono, fece venire ad abitare in Gailia ed as-  segnò loro il paese vicino al Reno.- Oltre a ciò ridusse a sua ob-  bedienza alcune altre nazioni inquiete e che non sapevano vivere  in pace. Né mai mosse guerra ad alcuno senza giusta e neces-  saria cagione; e tanto fu alieno dalla cupidità d'accrescere lo     76 CESARE AUGUSTO   imperio, o d'acquistar gloria per virtù d'armi, che per fuggire  tale occasione, costrinse alcuni capi delle genfì bartxare a giù-,  rare nel tempio di Marte Vendicatore, di mantenere- la fede e  la pace, che eglino addomandavano. Da alcuni altri ricercò le  femmine per sicurtà, il che a'Romani era còsa nuova; ed egli  lo fece per avere inteso ch'e' non tenevano conto dei maschi, e  con tutto questo fé' sempre abilità ad ognuno> che ogni volta  che a loro piacesse potessero ripigliarsi i loro statichi : e contro  a que' popoli, che o troppo spesso, o troppo ingiustamente si  ribellavano, non usò mai più grave punizione, che vendere i pri-  gioni, che di loro si pigliavano, con patto che e' non potessero  stare a servigii d'alcuno nei luoghi vicini a' paesi loro, e che  infra trenta anni non potessero essere fatti liberi. Divulgatasi  adunque la fama della sua modestia e virtù, gl'Indi e gli Sciti,  poco addietro solo per nome conosciuti, -si mossero spontanea-  mente a mandar loro ambascìadori a Roma, a dimandare fami-  cizia sua e del popolo romano. I Parti ancora, mentre che egli  andava ripigliando l'Armenia, senza molta repugnanza, si ridos-  sono alla ubbidienza di quello, e renderono le insegno militari,  che a Marco Crasso ed a Marco Antonio tolte aveano; oltre a  ciò gli offersono statichi. Insomma gli accadde spesse volte, che  essendo disparere e differenza tra i principi del regnare „ non  vollero altro arbitro, che lui: e quello era approvato per re, che  da lui era eletto.      Le porte del tempio di Giano chiuse al suo tempo, e de' suoi trionfi   ed orazioni.   Il tempio di Giano Quirino, stato chiuso da che Roma fu edi-  ficata solo due volte innanzi a' tempi suoi, fu da lui serrato -tre  volte, in molto manco spazio di tempo; avendo posto in pace  tutto il mondo, per mare e per terra. Due volte entrò in Róma  vittorioso e senza trionfare; l'una poi che egli ebbe vinto Bhito  e Cassio ne' campi fìlippici; L'altra avendo vinto Sesto Pompeo  in Cicilia. Trionfò tre volte in tre dì, l'un clietro all'altro ; Tuna  per la vittoria ricevuta in Dalmazia, l'altra per quella ricevuta  lungo n Promontorio Aziaco, la terza per la vittoria avuta in  Alessandria.     SECONDO IMPEBATORB 77   Delle due sconfitte da lui ricévute.   I suoi soldati solo due volte, ed amendue in Germania, furono  rotti vituperosamente, una volta sotto il governo di Lollio, l'al-  tra sotto di Varo : nella rotta di Lollio, fu maggior la vergogna  che 1 danno ; quella di Varo fu di danno grandissimo, perciocché  vi furono uccise tre legioni di Romani insieme con esso Varo, e  con i commissarii e tutte le genti de' tnendabili,  alcuni ne condannò e punì; alcuni solamente fu contento di sver-  gognarli e vituperargli in pubblico, ma in varii modi : e la più  leggiera riprensione, che egli usasse centra di loro, er« il dar  loro in mano in presenza di ciascuna un libretto, dove avanti che  ei si partissero di quivi erano costretti, cesi piano dà sé a sé, a  leggere i loro difetti, che da lui in detti Hbri erano stati notati.  Notò e vituperò alcuni, che avendo presi certi danari a cambio  con poco interesse, gli avevan prestati ad altri con maggiore  u^ura.   Alcune di lui costituzioni intorno al. governo della Repubblica.   Nella creazióne de^ tribuni, se tra i senatori non era chi com-  parisse in pubblico a domandare tal magistrato, gli creava del-  Tordine de' cavalieri; di maniera che fornito il detto magistrato  rimaneva in loro arbitrio il potere essere di quale ordine e''vole-  vano, de' cavalieri, o de' senatori.- E avendosi una gran parte  de' cavalieri consumato i loro beni nelle guerre e discordie ci-  vili, né avendo ardh'e, quando si celebravano le feste pubbliche,  d> sedere nel luogo de' cavaheri , per paura della pena che n*an  dava loro, per non aver più i dieci mila scudi di valsente, come  si conveniva a tale ordine; fece intendere pubblicamente, cjie se  i padri, avoli avevano avuto cotale valsente, se beh si trova-  vano aver consumato fé lor facoltà, non eran tenuti né obbligati  a detta pena, e che -e' potevano seder nel teatro, dove gli altri  lor pari. Fece la rassegna del popolo romano, borgo per boi^o.  Ed acciò che la* plebe romana, per conto della distribuzione del  grano, non avesse tanto spesso a scioperarsi e levarsi da lavo-  rare, ordinò che quel grano, che si distribuiva al popolo ogni     smanio nvoumc ^     anno mese per mese, si à4^oiiiifdrUS9f in tre nolbe f asse*. éaBé»  loro ogni quattro mesi la tana farle. Ma mnÈaAawÈeist b {Mk  più tosto dell'usanza di prona, eàsrji ancora se iiecoiitcfitA. Kenót  al (1) consiglio la sua prìma autorità, dke e^ arerà innanzi al  tempo di Cesare, frenando l'ambizione con varie pene. E qoando  sì ragunava il popolo per creare i magistrati. di3tril>uÌTa nelle  tribù Fabiana e Scaziense, nell'una delle quali era nato, e nel-  Taltra adottato, venticinque scudi per ciascuno: perche non  voleva, che quelli delle sue tribù fussero corrotti con danari da  coloro, domandavano il consolato. Oltre a ciò parendc^i che ei  fusse da stimare assai, che il popolo romano si coiiservasse puro  e sincero, e non si mescolasse e imbastardisse col sangue d'uo-  mini forestieri, vili e schia%i; che giornalmente concorrevano  nella città, osò molto di rado di far nuovi cittadini : e ordinò,  che ninno potesse far liberi schiavi^ più che insino a un certo  numero. Scrivendogli Tiberio, e pregandolo che volesse far citta-  dino romano un suo clientelo, gli rispose, che non era per com-  piacergli in modo alcuno, se egU non veniva ih persona a fargli  capace, per qual giusta cagione si movesse cosi a ricercarlo di  cotal cosa. Pregandolo Livia del simile per un Francese, ch'era  tributario della città, non gli volle concedere tal grazia, ma bene  lo fece esente dal tributo; affermando, che più tosto voleva che  il fisco patisse qualche cosa, che avvilire la dignità e maestà del  popolo romano. Avendo oltre a ciò provvisto diligentemente, e  con molte esenzioni e cautele alla liberazione de' servi, mediante  la quale diventavano subito cittadini romani, con aver posto e  specificato indetta provvisione insino a quanto numero ne poteva  liberare ciascun padrone, e di che qualità e condizione dovevano  esser quelli, che'eran fatti liberi e acquistavano il sopraddetto  benefìzio; non gli bastando questo aggiunse ancora, che niun  servo, che fosse stato incatenato per fuggitivo, o per qualche  delitto tormentato, potesse diventare cittadino romano in qua-  lunijuemodo e' divenisse libero. Oltre a ciò usò ogni diligenza di  fare, che le portature e vestimenti si riducessero al modo antico.  E parlando una volta al popolo; visto una gran parte di quelli,  che erano presenti , in abito forestiero ed alla soldatesca, tur-  bato grandemente recitò con alta voce quel verso di Virgilio, la  cui sentenza è questa : Ecco i Romani signori del mondo, (*cro  la gente togata. E commosse agli edili, che avessin cura, che da  quivi innanzi ninno comparisse, né si fermasse in piazza, nò   (1) Consiglio intende i Comizii-     92 CEs«AftE ArcrsTO   dove si celebraTano le feste pubbliche, se, diposte le frappe e  portatura forestiera, nou rìtoma\ano al solito abito e ci\ile, con  rimettersi la to^.   Della sua liberalità.   Fu libéralissimo verso di ciascuno di qualunque grado, o con-  dizione si fusse . sempre che se gli offerse Toccasione : e infra  laltre, avendo fatto condurre in Roma il tesoro e le ricchezze  cavate d'Alessandria, per la vittoria acquistata contro a Marco  Antonio e Cleopatra, messe tanta abbondanza di danari in Roo^a,  che lusura e gli interessi scemarono e le possessioni vennono  in assai maggior condizione. Ed ogni volta che 'I fisco si ritro-  vava danari assai de' beni venduti de' ribelli e condannati, usava  di accomodare chi d'una somma e chi d'un' altra senza alcuno  interesse > pur che que' tali che gli pigliavano, gli avessero dato  sicurtà del doppio, di restituirgli £i un certo tempo. E dove prima  bastava, a chi voleva esser senatore, avere di valsente ventimila  scudi, volle che e' ne avessino ad avere sino alla somma di trenta  mila. Ed a quelli, le facoltà de' quali non ascendevano a quella  stima, supplì del suo: Usava molto spesso di far donativi,.e dare  mance al popolo, variando quasi sempre nella somma : alcuna  volta toccava per ciascuno dieci scudi, altra volta sette è mezzo,  ed alcuna volta cinque e dodici, o più ancora.. Diedela ancx)ra ai  fanciulli piccoli, benché e' non aggiugnessero a undici anni : nella  quale età eran consueti di avérla. Spesso volte ancora nel tempo  della carestia distribuì il grano al popolo, dandolo per vilissimo  prezzo, ed alcuna volta in dono ; e addoppiò ancora i danari ,  che egli era solilo di dare a ciascuno per comperare il grano.   * Sua severità nel reprimer le folli ricerche del popolo.   Ma acciocché si conoscesse, che egli "era principe, ch& andava  più presto dietro alla salute universale della città che alla pro-  pria gloria, ripreso con una severissima orazione il popolo, il  quale si rammaricava della carestia del vino; dicendo che il suo  genero Agrippa aveva fatto di sorto , che e' si potevan cavar la  sete a lor modo, avendo fatto per via di condotti che la città  era abbondante di acque. E ricercandolo ancora il popolo, che  gli attenesse la mancia, che da lui gli era stala promessa, rispòse ,^  che non era uomo per mancare della sua parola ; ma importu-  nandolo poi, che gli donasse quello, che e' non aveva loro prò-     SECONDO IMPERATORE , 93   messo, riprendendo la presanzione^, e poco rispeto, fece lóro  intendere, che quantunque egli avesse disegnato di icompiacer  loro, s'era mutato di proposito per la lor presunzione. Dipoi nel  distribuirla ritrovando, che tra gli altri s'eran mescolati molti  schiavi fatti liberi, e messisi nel numero de' cittadini romani,  senza punto alterai-si, disse, che non era. per darla a chi egli  non l'aveva promessa : e agli altri fece minor parte che non aspet-  tavano, acciò che la quantità disegnata bastasse per ognuno. Ed  essendo pna. volta in Roma i>na grandissima carestia provenuta  dalla sterilità de' terreni non lavorati,. alla quale malagevolmente  si poteva rimediare, cacciò di Roma le famìglie degli schiavi e  tutti i forestieri, eccetto i medici e precettori, e così ima parte  degli schiavi: onde le grasce finalmente vennero a rinvilire.  Scrive esso Augusto, che gli venne in un subito una voglia gran-  dissima, visto tale inconveniente, di levar via per lo avvenicala  distribuzione del grano al popolo; perciò che standosi a ijada di  quella, non si lavoravano, nò coltivavano i terreni; ma che poi  s'era mutato di proposito, tenendo per certo, che nel tempo  avvenire qualcuno, per guadagnarsi il favore del popolo,, era  per rimettere in campo tal consuetudine; e da indi innanzi s'in-  gegnò con ogni industria di fare, che quegli, che attendevano a  coltivare i terréni, e quelli che si travagliavano in coudur grani  e altre vettovaglie, fusséro tanti che supplissero al bisogno del  popolo.   Spettacoli e giuochi di varie sorti da lui fatti rappresentare.   /   K ' . . - -   Superò ogtìi altro in far bellisshne feste e varie e spesso. Egli  medesimo scrive, aver fatto celebrare quattro vqlte le feste  pubbliche" in suo nome, e ventitre volte in nome di coloro che  erano assenti y ovvero non potevano sopportare ia «pesa. Fece  ancora celebrare le predette feste alcuna volta^alla plebe, borgo  per borgo, con far varii e diversi «ippara ti; ed aveva istrioni e re-  citatori di varii linguaggi. E non solamente he fece fare in piazza,  ma ancora nell'anfiteatro e nel Circo Massimo, ed in Ganopo  Marzio, in quella parte dove si ragunava il popolo a creare i^  magistrati ; $d alcune volta fece solo fare altune caccio ed il  giuoco della lotta, del saltare e del correre, avendo fatto fare in  detto Campo Marzio panche e -luoghi da sedere di legname.  Similmente fece fare una battaglia navale, avendo fatto cavar la  terra dove è al presente il bosco de* Cesari; ed in quelli dì, che  la detta battaglia fu fatta, fece fare le guardie per tutta la città,;     94 ceSARE AUGUSTO   acciò che concorso quasi tutto il popolo a tal festa e restando la  città quasi vota di gente, ella non fosse venuta a rìmaner preda  de' ladroni e degli assassini. Fece alcuna volta comparire nel  cerchio Massimo uomini , che correvano in sulle carrette tirate  dai cavalli , e correndo ammazzavano le fìere : il che fece fare  alcuna volta ancora a' gióvani nobili e de' primi della città. Fece  ancor fare il giuoco chiamato Troia spessissimo vx)lte; facendo  [)er tal giuoco fare ujia scelta de' fanciulli piccoli e di qqelli un  poco maggiori, nobili , bene allevati e drbuoni costumi, giudi-  cando che quivi si poteva far congettura della loro virtù. Sendo  in cotal giuoco Nònio Asprenate venutosi meno, per esser sdruc-  ciolato e cascato da cavallo, gli, donò una collana d'oix), e gli  concesse , ch'esso e i suoi discéndenti dà indi innanzi fossero  cognominati Torquati. Pose (ine dipoi al celebrare dette feste,  sendosi Asinio Pollione oratore grandemente rammaricato nel  senato e non senza carico d'Augusto, che Asermino suo nipote  nel correre, come gli altri, cascando s'era ancora esso rotta una  gamba. Nelle rappresentazioni e feste e nel giuoco de' gladia-  tori si servì alcuna volta ancora de' cavalieri romani, ma usò di  far questo, prima che e* fosse proibito per partito 'del senato ;  dopo la qual deliberazione non ne fece mai entrar nessuno in  campo, salvo che-un Lucio giovanetto nato di buone gentil e lo  fece solo per mostrarlo al popolo ; perciocché egli d'altezza non  aggiugneva a due piedi e solamente pesava diciassette libbre ,  ed aveva una voce grandissima. Celebrandosi una volta il giuoco  de' gladiatori, fece venire gli statichi de' Parti, che allora la prima  volta gli erano stati mandati, a vedere; e vpUe che passassero  per mezzo dello anfiteatro e si ponessero a seder di sopra lui ,  e nel secondo ordine de' gradi e luoghi da sedere. Usava ancora  ne' giorni, che erano fuori di dette feste, che se per ventura gli  era portata di fuori alcuna cosa nuova e degna di esser veduta,  la mostrava per lo straordinario in qualunque luogo notabile  della città. E infra l'altre mostrò una volta a tutto il popolo un  rinoceronte, una tigre, in Campo Marzio, dovè si recitavan le  commedie e rappresentazioni ; un serpente .di cinquanta cubiti  nel Comizio. Ed una volta facendo celebrare li giuochi circensi,  e trovandosi mal^, si fece portare in lettiga, per accompagnar  le carrette^ dove portavano le cose sacre in dette fe^te. Un'altra  volta gli accadde, che nel far celebrare le feste, per dedicare e  censagrare il teatro dì Marcello, s^^^^asì scommessa la «ede  trionfale, dove€igl^ '^'^'^ ^'^Hatoa '^'^(^~ * ^^^ *.r rocu»ir^ ^©1 fare     SECONDO IMPERATORE ' 95   ed essendo il popolo, impaurito e spaventato, per paura di una  parte del teatro, che stava per rovinare, né potendo A irgusto  per medo alcuno riassicurarli^ né ifermargli, si levò del suo luogo  e si pose a sedere, dove il pericolo era maggiore. ^ (jerchè pei  luoghi, dove si facevano le feste e giuochi, era una grande con-  fusione tra colpro, che stavano ^ vedere e non si aveva rispetto,  o riverenza a grado, o dignità di alcuno, raffrenò tal licenza del  popolo ; ordinando non solamente '\ luoghi da sedére secondo il  grado delle persone, ma che e' fusse portato riverenza e rispetto  a quelli che lo meritavano : e la cagione chejp mosse ^ far que-  sto, fu il poco onore, che era stato fatto a un senatore; U quale  ritrovandosi a Pozzuolo, e andando a vedere cèrte feste solenni,  che ivi si facevano, tra tanti, che vi erano a sedere, non trovò  alcuno, che gli facesse iuogo.   Assegnazione de' luoghi, dove avessero a sedere i Seaatori NI  e gli altri. di altro ordine.   Essendosi adunque ordinato per deliberazione dèi senatorche  ogni volta che in luogo alcuno si celebrassero feste e spettacoli  pubblici, i primi luoghi da sedere sì lasciassero vàcui per li se-  natori, non volle Augusto che gli ambasciadori mandati a Roma  dalle terre libere e confederate sedessero nel luogo de' senatori,  per aver inteso ch'egli usavano qualche volta di mandarne al-  cuni nati di sangue servile. Ordinò il luogo a' Soldati, separato  d^l popolo; ai plebei che avevano moglie assegnò i luoghi' pro-  pri!, a' gif)vanetti nobili diede ri luogo loro separato dagli altri  e vicino a quello de'.pedagoghi. E ordinò che niun fanciullo pic-  colo sedesse nel nìézzo dello spa:(io, tra la moltitudine del po-  polo. Non volle che le femmine stessine a vedere^ se non dalla  parte più alta, che^veniya ad esser più remota, né pur il giuoco  degU accoltellatori (1), il quale per l'addietro era usanza di stare  a vederlo alla mescolata. Solo alle, vergini vestali diede, un luogo  nel teatro separato da tutti gli altri , dirimpetto alla residenza  del pretore. Proibì interamente, che al giuoco e spettacolo di  coloro che ignudi facevano alle braccia, saltavano e correvano,  vi si trovasse alcuna donna ; di maniera che sendogli ne' giuochi  e feste che si facevano per i pontificali , quando entravano nel  pontificato, addomandato un paio di giuocatori di pugna, fece i;i-  dugiar la festa al giorno seguente; e ordinò che la mattina a   (I) Accoltellatori lo stesso che gladiatori, .     I     96 CESARE AUGUSTO   buou'ora si facesse colai giuoco della pugna ; e per bando fece  intendere, che ninna donna venisse nel teatro a veder la fesU  avanti le diciassette ore , acciò che non si tfovassero pnnenti a  tale spettacolo.   In qual maniera e da qual luogo stesse egli  a mirare gli spettacoli.   Quando si celebravano i giuochi circensi, stava a vederli il  più delle volte in casa de' suoi amici e liberti, alcuna volta nei  tempii degli Iddii, e così standosi a sedere,, come persona pri-  vata, con la moglie e con i figliuoli, consumava una gran parte  del giorno, e qualche volta parecchi giorni alla fila, in vedere  tali spettacoli. E perchè a lui s'apparteneva rappresentarsi in  pubblico, come principale e giudicatore di tali giuochi è spetta-  coli, mandava alcuni altri in suo scambio, scusandosi prima col  popolo e pregandolo , che si contentasse di quelli che farebbero  ruffizio per lui, ed a lui lasciassero goder la sua quiete. Mentre  che si celebravano dette feste, stava a vederle con somtna atten-  zione e non voleva che gli fusse dato impaccio alcano : credo  per fuggir quel carico, che si ricordava essere stato dato a Ce-  sare suo padre, il quale universalmente da ognuno era biasimato,  che mentre che tali giuochi si facevano, non attendeva ad altro  che a scrivere e leggere lettere e memoriali : o sì veramente lo  faceva, per il gran piacere e diletto che e' ne pigliava ; siccome  spesse volte lìberamente e senza simulazione usò di dire. B che  e' si dilettasse' grandemente e pigliasse gran piacere di cotali  feste, lo dimostra l'aver lui molte volte ne' giuochi de' gladiatori  e feste fatte da altri, e non in suo nome, aggiunto, oltre a* pre-  mii ordinarli che si davano a' vincitori, alcuni doni e presenti  del suo. E a niuiio spettacolo di quelli, che si celebravano in  Grecia, si trovò, che e' non facesse qualche dono a quelli che  giuocavano, secondo' i meriti di ciascuno. Stette a vedere con  grandissima attenzione il giuoco delle pugna, e massime quando  giuncavano i paesani ; e non solamente quelli, che eran pratid  wJ esercitati, e che ordinariamente eran d'et)utatf per gìiiocare,  ed alcuna volta messi alle mani con quelli di Grecia, ma anoon  le schiere de' terrazzani, che ne* borghi e per le strade tra loro  e senza alcun arte o ordine combattevano. E finalmente tolse a  favorire e prose la protezione di tutti coloro, di qualunque sorte  fuasero, che con l'opera loro interveniN-ano ne* pubblici spetta-  coli. Ai giuocatori di braccia mantenne ed acrebbe ì pnviloga:     SECONDO IMPERATORE 97   volle che il premio (1) de* gladiatori che si portavano bene, fusse  l'esser disobblighi in tutto da tal esercizio, altrimenti non sene  potesse forzar nessuno a comparire in campo. Levò ai pretori e  agli edili e magistrati, Tautorità, la quale prima per un'antica  legge avevano, di potere sforzare e comandare agfist rioni, elio  si rappresentassero alle feste in qualunque luogo e tem|)o paresse  . loro. E circa a' giucca tori di braccia, dì pugna, d'armi, di saltare  e correre, avendo fatto loro le sopraddette abilità, volle che poi,  quando e' comparivano in campo, facessino il debito loro: né gli  risparmiò in conto alcuno. Con gì istrioni e recitatori di com-  medie si portò rigidamente; e intra Taltrc, avendo ritrovato, che  un ceito Stefanione, maestro di commedie, secondo il costume  romano aveva fatto vestire una gentildonna e tagliatogli i ca-  pelli a guisa di fanciullo, e menatosela dietro a uso di servidore,  fattooelò esaminare dal pretore preposto a tali s}M;ttacoli, nel  portrco del suo palazzo, in presenza d'ognuno lo fece dipoi sco-  pare, e andare attorno ))er la città e per li tre teatri principali,  -con grandissima sua vergogna e viluiierio, e conlinollo. Oltre di  questo avendo un altro simil maestro, chiamalo Pilade, conti o  alla legge, mostro a dito e fatto vedere a tutti i circostanti uno,  il quale, mentre che e' recitava una commedia, gli aveva fischiato  dietro , fece che detto Pilade non pot(fsse star né in Roma , ne  in Italia.   Riordinaziuno delle cose dltalia.   Avendo Augusto in cotal guisa ordinato la città e riformate le  cose di dentro, condusse in Italia ventotto colonie per riempirla  di gente ed adomarla in molti luoghi con muraglie ed cdìfìzii  bellissimi, assegnando alle città di quello rendite ed entrate pub-  bliche; e diede loro tanta autorità e dignità, che gli abitatori di  quelle in molte cose potevan dire d'esser pari ai cittadini romani.  Ed intra le altre trovò modo, che anco cileno potessero interve-  nire alla creazione de' magistrati, che si facevano in Roma ; or-  dinando che i principali di quelle colonie^ chiamati decurioni,  ciascuno nella sua terra, S(]uittinassero quelli, che a loro pare-  vano, e notati e suggellati i partiti, gli mandassero in Roma, in  tenripo che e'comparìssino il giorno, che detti magistrati in Roma   (1) Il sentimento è questo. Che non potessero esser costretti i  Gladiatori a pugnare quando non fosse proposta a* Vincitori per  premio la li^rta.     98 CESARE AUGUSTO " ,   &i creavano. Ed acciocché in ogni luogo fusse eòpìa d'uomini  valorosi, ordinò per tutto, una milizia a cavallo, discemc^do in  tal ordine tutti quelli che l'addimandav^no, e che   Ordinazioni intorno ai Regni conquistati. .   I regni de' quali egli s'insignorì per forza e per ragion di  guerra, da alcuni infuora^ o esso gli rendè ai medesimi, ài quali  aveva tplti* oegli ne rivestì nuovi re. Fece ancoràjnolti paren-  tadi (i) tra i re suoi confederati^ e s'intfattenne sempre molto   (1) La vera versione delle parole di Svetonio è quésta. Procurò  ancora, che i Re suoi confederati s'apparentassero scambievol-  mente, intento sempre a favorire i loro parentadi, e inframmet-  tersi ancora a rappacificarli insieme, e tenne parimente, ecc.     SECONDO IMPERATORE 99   umanamente con parenti ed amjci di qualunque sorte, e tenne  parimente cura di ciascuno, comedi membra e parti del l'imperio  romano. Usò ancora di dare tutori a' pupillP, per fino che ei  pervenissino in età di discrezione; e sirpilmente a quegli, che  erano impazziti, fino a che e' ritornassero in cervello ; ed allevò  ed, ammaestrò insieme co'. suoi figliuoli, molti di quegli d'altri..   Riforma delle legioni e della soldatesca ed altri ordinamenti.   Distribuì i soldati prpprii e gli ausiliarii : ordinò che un'armata  stesse aMiseno ed un'altra a Ravenna', per (I) guardia dell'uno  e dell'altro mare; e de' predetti soldati ne scelse untrerto numero  parte de' quali servivano per guardia della persona sua, e parte  per guardia della città. E licenziò, la guardia de' Calaguritani,  ch'egli aveva tenuto insino ch'egli ebbe vinto Marco Antonio; e  similmente la guardia de' Germani, tenuti insino dacHe.Varo fu  rotto e sconfitto in quo' paesi, per guardia della persona sua..  E nondimeno non voile mai, che in Roma stessero più che tre  compagnie di que' soldati é senza alloggiamenti; le altre com-  pagnie era. solito di verno e di state mandarle alle stanze per le  terre vicine. Ed in qualunque parte dell'imperio romano si ritro-  vavano^ soldati, a tutti fece ima provvisione perpetua, secondo  il grado di ciascuno, e dichiarò toro ancora,. insino a quanto tempo  dovevano essere obbligati alla milizia: eia provvisione, la quale  dopo ch'egli erano disobblighi e licenziati, voleva lordare durante  la vita loro, acciocché nell'esser disobblighi troppo per tempo,  ed ancora robusti e gagliardi di corpo, o sì veramente, cacciati  dalla necessità, non fussero sollevati a pigliar l'arme contro allo  imperio romano, ed acciocché la spesa nel mantenergli e pagargli  in perpetuo e senza difficoltà si potesse Sostenere , ordinò uno  erario particolare per i lor pagamenti col porre nuove gravezze  e dazii sopra alle mercanzie. Ed- acciocché con più prestezza ed  in un momento si potesse dare e ricevere gli avvisi, come le  jcòse passavano nelle provincie, nel principio mise alle poste certi  spediti e bene in gambe per tutte le strade maestre, che por-  tassero le lettere innanzi ed in dietro, consegnandole - l'uno al-  l'altro. Ed avendo dipoi trovato migliòre spediente, ordinò in  luogo de' predetti giovani le carrette, in su le qualiv quello che  portava gli avvisi, montando po|ta per posta, in persona si con-  ti) SvetOflio dice : Distribuì per le provincie i soldati proprii.     100 CESARE AUGUSTO ' •   ducesse ; acciocché oltre alle lettere, piotessef accadendo, anco  di bocca riferire quel ch'era di bisogna.   Del suo suggello e come costumasse di scriver le date alle lèttere.   I   Nel suggellare le bollo, i memoriali e le lettere, net principio  usava la impronta di sfinge; appresso cominciò ad usare quella  (li Alessandro Magno ; ultimamente la sua intagliata di mano  di Dioscoride, con la quale dipoi i principi, che gli succedevano,  di mano in mano continuarono di suggellare le loro: poneva  non solamente il dì, ma l'ora ed^l punto, nel quale erano^ date  le sue lettere.   Della sua clemenza.   Molti e grandi esempli ci sono della sua clemenza, e come  egli era umano e civile. E per non andare raccontando quanti  e quali sieno stati quelli della fazione contraria, a' quali non solo  perdonò e salvò la vita, ma permette anco dipoi, che e' tenes-  sero i principali luoghi nelle città, dirò solaniente di due uomini  plebei, i quali, rispetto a quello ch'eglino a vrebbera meritato,  furono da lui leggermente puniti ; Tuno ^u Giunio Novatò, il  quale avendo mandato fuora, sotto nomadi Agrippa 'giovaite suo  nipote, una epistola contro di lui, "piena di parole ingiuriose e  villane, fu solo da lui condannato in una piccola somma di da-  nari ; l'altro fu Cassio Padovano, il quale ritrovandosi in un con-  vito, dove era- gran numero di persone, usò di dire molto au-  dacemente, come e' non gli mancava,, né la voglia, né Tanimo  d'ammazzare Augusto; di che egli non ricevè altra puYiizione  che un leggiero esilio. Essendo davanti al suo tribunale, per  conto- d'una sua lite, Emilio Eliano cordovese, ed essendogli  intra l'altre cose apposto dairaccusatore,"per renderlo più odioso,  ch'egli aveva sempre avuto niale animo verso di Augusto ed  andavano sparlando. Augusto rivoltosi allo accusatore, e mo-  strando d'essere alterato grandemente, disse; io avrei carOj che  tu me ne certificassi, che io farei conoscere a Eliano, che io ho  la lingua anch'io e saprei dire di lui più , ch'egli non ha detto  di me; poi non volle ricercar più oltre, né allora, né mai.. Do-  lendosi ancor Tiberio di cotal cosa per lettere troppo caldamente  con Angusto , gli rispose in questo modO': Non voler, Tiberio  mio, in questa cosa lasciarti così trasportare dalla giovinezza e  dalla volontà ; e non ti paia strano che òi jsia chi abbia ardire     SECONDO IHPfiRATORlS 401   di dir mà^le di. noi, che non è poco che la fortuna abbia levato 9  questi tali di potercene fare.   Gli onori che gU furono conferiti e che dir lui sono stati sprezzati.   Quantunque egli sapesse , che ordinariamente si costumava  nelle provincie di edificar tempii in onore de' proconsoli , che  ne erano stati governatori, non volle mai accettarne alcuno in  nessuna provincia ^ se non in nome suo e della città; ma in  Roma non volle mai per conto alcuno ricevere tale onore; e  certe statue d'argento, che gh erano state poste in pubblico,  tutte le disfece e fondutele, fece certe tavole e deschi d'oro ,  e le pose nel tempio di Apollo Palatino. Facendogli il popolo  grandissima instanza," che e' fosse contento di accettare la ditta-  tura, inginocchiatosi e lasciatosi andar giù la toga, e mostrando  ìì petto ignudo 'con grandissima sommissione, gli pregò che pia-  cesse loro non lo incaricare.   Della cosa stessa e di alcuni suoi modi civili.   Ebbe sempre in odio e^grandemente l'esser chiamato signore,  riputandoselo a vergogna e vituperio, e tra l'altre, stando mia  voita a veder recitare certe favole in pubblico, accadde che da  uno de' recilatori fu de,tto, ad un certo proposito, in un^verso di  detta fa:vola: signore giusto e buono: onde tutto il popolo^  quasiché eTusse detto per amor di Augusto, mostrandone grande  allegrezza, si voltò verso lui, di che egli colle mani e col volto  fece segno, chp e' non gli -piacessero colali sciocche adulazioni,:  e nel giorno seguente mandò un bando, dove gravissimamente  riprese il popolo di simili leggerezze; e da allora innanzi non  volle mai da niùno eàser chiamato signore, né dai nipoti suoi da  vero, daf beffe : e proibì ancora, che tra loro per conto alcuno  non ^i chiamassero signori. Non entrò miai, né si partì d'alcuna  città e. tèrra-, se non da sera, di nòtte; acciò che niung della  terra venisse ad incontràrio, oa fargli compagnia per onorarlo.  Quando era consolò andava sempre appiè per la città; e fuori  del consolato si faceva portar coperto sopra un seggiola. Era  molto facile e universale nel dare udienza, facendo metter den-  tro inaino agli uomini vili e di bassa mano, che^ venivano a sa-  lutarlo alla confusa; e con tanta benignità e piacevolezza stava  ad ascoltare tutte quelle persone, che per loro, bisogno gli an-  davano a parlare ; che po^rgendogli una volta uno un memoriale,     1j02 cesare AUfflTSTo   e tremandogli la mano, come a percona timida e di poco animo,  Augusto gli disse burlando: e' pare che tu abbia a porger da- .  nari all'elefante. Il giorno che si aveva a ragunare il senato, per  non tener modi straordinarii dagli altri senatori , non salutava  mai, né faceva motto ad alcuno di loro se non in senato : e quando  si erano posti tutti a sedere, salutandogli tutti a uno a uno, no-  minatamente, senza che niuno gli avesse a ricordare i nomi loro:  e similmente nel partirsi, avanti che e' si levassero da sedere, a  ciascuno di loro diceva : state sano. Rade volte si lasciò vincere  di umanità e cortesia. Non mancò mai di ritrovarsi alle celebra-  zioni del nascimento o delle nozze dì ciascuno^ per onorargli,  se non poi che e^li era già vecchio ed in alcuni dì , per essere  statò un giorno, che si celebravano certe nózze sbattuto dalia,  calca delle genti, che vi erano concòrse. Gallo Terriniò sena-  tore, il quale non gli era molto amico, sendo in un subito acce-  cato, e avendo perciò deliberato non voler mangiar per morirsi,  lo andò a visitare; e di maniera lo confortò e consolò, che le-  vandolo da tal proposito, lo mantenne in vita.   La sua tolleranza co* presontuosi e temerarii.   Parlando una volta in senjato gli fu detto da uno: io non t*ho  inteso; e da un altro: ioti risponderei, se mi fosse concesso di  parlare. Ed alcuna volta ()artendosi esso dal senato tutto adirato,  per la confusione che v'era e per il grande strèpito , che face-  vano i senatori nel disputare e contraddirsi l'uno all'altro , vi  furono alcuni che sputarono queste parole : che e' bisogna va tro-  var modo, che a* senatori fusse lecito di parlare delle occorrenze  della repubblica. Àntistió Labeone, essendoli tòcco nel senato  a" chiamare uno de' tre, che erano sopra allo eleggere e squitti-  nare i senatori, chiamò Marco Lepido , nimico di esso Augusto  e che allora: èra sbandito ; e dicendogli Auguste, che ben gli era  mancato chi eleggere, rispose, che ognuno avev^ la sua opi-  nione: e così il parlare liberamente e usare parole sinistre, non  fu mai da Augusto ripreso a malignità.   Libelli fatti conjtro di lui.   Quantunque e' fossero molte volte appiccata nel luogo, dove  si ragunava il senato, alcuni scritti in suo dispregio e disonore,  non perciò ne fé' mai caso*; ma s'ingegnò per ogiii verso- di mo-  strare, che tali cose contro di lui eran mal fatte, senza- rìcercare     SECONDO IMPERATORE - 403   altrimenti chf he f ussero stati gì* inventori. Ordinò bena, che per  lo avvenire fusse gastigata e punita qualunque persona, che  avesse avuto ardire di mandar fuori sótto nome d'altri, o scritti,  o Versi in vituperio e disonor di alcuno. ,   Sua moderazione e umanità nell'operare.   Sendo provocato e incitato da alcuni maligni e prosontuosi ,  con certe loro facezie e motti mordaci , che gli davan carico,  chiuse loro \s^ bocca per via di bandtt. E volendo pròvedervi il  senato con tórre a tali uomini la facoltà di poter fare testamento,  Tion lasciò seguir tal deliberazione.. Nel giorno della creazione  de* magistrati andava attorno sempre insieme con quelli, che,  secondo l'instituto di Cesare, a lui toccavano a proporre e met-,  tere innanzi, a domandare i magistrati, a supplicando con quelle  cerimonie e Sommissioni , che si costumavano, esso rendeva  ancora nelle sue tribù j partiti cóme privato cittadino. Non aveva  punto per male d'essere ne' giudizii esaminato per testimonio,  né da' giudici riprovalo. Fece una piazza : ma per non avere a  guastare e. rovinar le case che gli erano propinque, molto ini-  nor di quello che si conveniva. Non raccomanciò mai i suoi fi-  gliuoli al popolo, che egli non aggiugnesse sempre, in caso che  lo meditino. Ed entrando nel teatro i detti figliuoli ahcora fa^n-  ciuUetti, tutto U .popolo si rizzòj per'Tar loro sonore con gran  festa e plauso: il che ebbe molte per male, e gravissimamente  se ne dolse, come di cosa non e senza insegne regie, a guisa di clientoli l'accompagnavano.   S SvETONio. ViU dm Cesari.     406 CESARB AUGUSTO   Quel ch'egli fosse raternamente e nelle cose domestiehe.   Avendo di sopra trattato della vita di Augusto, circa le cose  pertinenti al governo universale della Repubblica e di tutto lo  imperio romano, in tempo di pace e di guerra; andremo ora de-  scrivendo la sua vita particolare -e domestica, e in che maniera  e con che fortuna visse in casa tra i suoi dalla gioventù insino  air ultima vecchiezza. Nel primo suo consolato restò senza ma-  dre: essendo di cinquantaquattro anni, morì Ottavia sua siroc-  chia; all'una ed. all'altra delle quali, avendole in vita grande-  mente onorate e riverite^ fece ancora loro in morte grandissimi  onori.   Delle sue spose e mogli.   Sendo giovanetto, gli fu sposata la Agli noia di PubiioServilio  Tsaurico; ma dipoi riconciliato con Marco Antonio, dopo la prima  discordia nata tra loro, a richiesta e preghiera dei soldati , dal-  l'una e dall'altra parte, che desideravano, per istabilirla^ si con-  giugnesse la loro amicizia insieme per parentado, tolse per mo-  glie Claudia, figliastra di detto Marco Antonio, nata dì Fulvia e  Publio Clodio , appena da marito. Ed essendo nato tra lui e la  detta Fulvia sua suocera certo sdegno ed odio intrinseco, la li-  x^nziò senza aver consumato il matrimonio. Dopo questa, prese  per moglie Scribonia, che aveva avuto iniianzi due mariti, amen-  dui stati consoli ; e dell'uno aveva avuti figUuoli. Licenziò ancora  questa fra poco tempo , non potendo più (^siccome egli scrive)  sopportare la perversità dei suoi costumi ; e subito si fece con-  cedere a Tiberio Nerone la sua moglie Livia Pusilla , che era  pregna, la quale sommamente gU piacque e perseverò di amarla  sempre, insino all'ultimo della sua vita. -   Della figlia e dei matrimonii di quella.   Di Scribonia ebbe una figliuola chiamata Giulia f di Livia non  ebbe figli uoli, il che sopra ad ogni cosa desiderava; avendola pregna,  si scouciò'in un figliuolo maschio. Giulia pdmieramenté maritò a  Marcello figliuolo di Ottavia sua sirocchia assai giovinetto; appresso  morto il detto Marcello, la maritò a Marco Agrippa, il quale avea  per moglie Marcella figliuola di Ottavia sua sirocchia. .Ma-Angusto  fece tanto con Ottavia, che Àgr'ippa licenziò Marcellsi e divenne  genero di Augusto. Essendo morto, ancora questo, poiché ebbe     SECONDO IllPBRÀTORE 407   - " •   lungo tèmpo esaminato le condizioni e qualità di molti, insino  dell'ordine equestre, finalmente la diedó a Tiberio suo figliastro,  costrettolo a licenziar la moglie che "era pregna è di cui aveva  figliuoli. Scrive Marco Antonio, che Aligusto.la prima volta (i)  sposò Giulia al suo figliuolo Antonio , dipoi a Gotisone re dei  Geti ; e nel medesimo tempo avere ancora addomandato a rin-  contro per moglie la figliuola de;l detto re.   De*^ suoi nipoti per via.di Giulia. '   Ebbe di Agrìppa e di Giulia tre nipoti. Gaio, Lucio^ Agrìppa,  e due nipoti, Giulia ed Agrippina. Maritò Giulia a Lucio Paulo,  figliuolo di Paulo censore : • Agrippina a Germanico nipote di  Livia Drusilla sua moglie. Adottò Gaio e Lucio , comperati per  assem et lihram dal padre Agrippa (modo antióo di comperare)  molto giovanetti , gli cominciò ad introdurre nelle azioni della  Repubblica , e disegnati consoli acciocché s'addestrassero e di-  ventassero esperti nelle cose importanti e ne' inaneggi delia Re-  pubblica, gli mandò ne' governi delle provincie, fecegli capitani  negli eserciti. Allevò la sua figliuola e le nipoti di tal maniétra,  che ancora le avvezzò à filare la lana ; né le lasciava parlare o  far cosa alcuna se non in palese, ordinando che di per dìiasse  notato e scritto In su uno libro ciò ch'eJle facevano e dicevano  a uso di giornale. Sópra ad ogni altra cosa proibMoro il parlai^  o conversare- con forestieri; di maniera che sendo andato Tu-  cinio, giovane nobile e molto leggiadro , a Baia a vi&itar Giidia  sua figliuola, A-ugusto gli scrisse, che egli s'era portato pocoala sorte , che egli solamente fusse  costretto col suo sdegno nuocere agli amici più che non deside-  rava. Il rimanente de'supi amici e per autorità e per facùltà,  insino che e' visse, furono de' principali di ciascuno ordine della  città, non ostante che alcuna volta l'offendessero; imperocché  qualche volta (per non parlar di più) avrebbe avuto caro, che  Marco Agrippa fusse statò un poco più paziente e Mecenate più  segreto : conciossiacosaché quegli per leggier cosa insospettita  della rigidezza di Augusto verso di sé, e perct\^ Marcello gli era  anteposto, lasciato ogni cosa in abbandoiia se ne andasse a M^  tilene; questi rivelasse a Terenzia sua moglie in segreto, comv  s'era scoperta la congiura di Murena. Volle anco^a esso scan  bievolmente dagli amici esser amato e che ne facessero, segnc  tanto in vita, quanto in morte; perché qv^^'^tunqu'^ '*s:l ^  curasse poco de' lasciti, che gli erano fatti r^ npn»to     440 CESARE AUGUSTO   quello, che non ne volle mai aòcettare alcuno da coloro^ che ei  non conosceva ; nondimeno molto solennemente e curiosamente  andava ricercando, se gli amici suoi alla lor morte avessero fatto  ne'lor testamenti alcnna menzione, o segno di ri(5ordarsi di lui;  e trovando o intendendo, che se ne f ussero passati di leggieri  e freddamenteMn nominarlo nella prefazione del testamento, e  non con quelle onorevoli e cerimoniose parole ,, che si conve-  niva, tanto per l'amicizia ch'era tra loro, quanto per ogiii altro  rispetto, se ne dolca sconciatamente , e pel contrario grande-  mente si rallegrava, se con grate ed amorevoli parole di lui  avevano fatto menzione. L'eredità o lasciti, che gli pervenivano  per i testamenti degli amici, che avevan figliuoli, usava o di su-  bito restituirli a' lor figliuoli, o sveglino erano pupilli, jl giorno  che e'pigliavano la toga virile, o quando e' celebravano le lor  nozze, gli restituiva loro ; con aggiungervi qualche cosa di suo,  così a' maschi, come alle femmine, quando si maritavano. ' .   Suo rigore e clemenza verso i. liberti, '   Fu Augusto non manco severo, che clemente e grazioso verso  i suoi servi e liberti. Tenne appresso di sé niolti liberti, dei  quali onorò grandemente. Licinio, Encelado e inolti altri. Ac-  corgendosi, che un suo servo chiamato Gosinio teneva nwle  animo versQ di lui, non gli fece altro, che tenerlo co' pie nei  ceppi. Ed qn giorno andando a sollazzo insieme con Diomede  suo dispensiere, scoprendosi loro all'improvviso un porco salva-  tico, il quale correndo ne andava difilato alla volta loro, il detto  Diomede per la paura aiferratosi ad Augusto, se lo parò davanti,  perchè gli fu da Augusto più presto a timidità che a malignità  imputato. E quantiinque la cosa passasse con non poco suo pe-  ricolp, conoscendo ch'ella non fu fatta da colui maliziosamente,  la convertì in burla. Fece morire Proculo suo liberto, , uno dei  suoi favoriti, avendo ritrovato ch'egli andava adulterando certe  gentildonne. Ad Attualo suo cancelfiere, per aver mostro e /rive-  lato una sua lettera ad uno per cinquanta scudi, fece spezzar le  gambe. E perchè subito che Gaio suo figliuolo governatóre della  Licia ammalò, e poi che fu morto, i ministri ed il pedagogo di  quello cominciarono superbamente ed avaramente a trattar  que' popoH, attaccato loro un gran peso al collo, gli fece gittare  in fiume.     SKGONDO IMPERATORE 4 1 1   Vituperìi della sua prìina gioventù.   Nella sua prima ^giovinezza fu infamato in varii modi^ por i  suoi disonesti' portamenti. Sesto Pompeo lo tassa come uomo  efferofifìato e libidinoso. Marco Antonio dice, che Cesare lo adottò  per aver praticato seco disonestamente. Similmente Lucio fra-  tello di Marco Antonio dimostra nel suo scrivere. Cesare aver  còlto il fior della sua pudicizia. E che ancora per settemila cin-  quecento scudi si sottomesse impudicamente ad Aulo Ircio; e  come Bgli usava di abbronzarsi le gambe e le coscie con il gu-  scio deHa noce affocato, perchè i peli venissero fuori più deli-  cati e morbidi. Un giorno ancora^ che infra Taltre favole e com-  medie si recitava la favola di Cibele madre degli Iddii, nella       Ciò che operasse dopo il cibo.   Dopo desinare cosi vestito e calzato (4) impedùli, e con pie  raccolti dormiva un poco, tenendosi una mano cosi dinanzi agli  occhi. Dopo céna se n'andava- in una sua lettiga, dove egli, era  solito di vegliare, e quivi si stava un gran pezzo di notte per ìn-  sino ch'egh avesse dato compimento a tutto, o alla maggior parte  di quello che gli era restato a fare il giorno. Dipoi andatosene  a letto dormiva il più sette ore. Ma in detto spazio di tempo, tre  quattro volte si risvegliava, e se non poteva, come accadde  alcuna volta, rappiecare il sonno, mandato a chiamare chi gli  leggesse qualche cosa, o chi gli contasse qualche favola^ in questa  maniera si addormentava, non si svegliando il più delle volte,  se non passata Talba. Né mai di notte vegliava, che noft si fa-  cesse sedere a canto qualcuno. Bavagli assai fastidio ed offen-  devalo il levarsi la mattina a buon'ora, e quando o per Compiacere  a qualcuno, a cui non poteva mancare, o per qualche altra fa-  conda debita, era forzato a levarci a buon'ora per non guastare  l'usanza solita del suo dormire^ se n'andava' la séra dinanzi ji   * ■ •   (1) Impeduli significa con quella parte della calza j che calza  il pie. • -     118 CESARE AUQITSTO   dormire con qualche suo amico e famigliare, che stessa vicino  al luogo, dove egli aveva a ritrovarsi: nondimeno spésse volte  non avendo dormito abbastanza, mentre che. jegti era portato,  fatto porre in terra le lettiga, -alquanto si riposava.   .1   Statura del corpo e de' suoi membri.   Fu di aspetto bellissimo e molto grazioso, e cosi s'andò sempre  mantenendo secondo Tetà insino in vecchiezza ; ancora che egli  fusse circa il vestirsi e rassettarsi molto trascurato. Nello accon-  ciarsi il capo e pettinarsi la barba era molto a caso e poco dili-  gente, e faceva venire in un. subito due o tre barbierir. e quando  si tondava solamente la barba^ e quando se' la radeva, ed in quel  mezzo sempre leggevamo scriveva qualche cosa. Era sempre nel  volto, parlasse, o tacesse, tanto lieto ed allegro,- che un certo  de' principali della Gallia, U quale aveva disegnato nel passar  dell'Alpi accostarsegli, sotto ombra di volergli parlare e gittarlo  giù da que' monti, usò dire tra i suoi, che non per altra cagione  s'era di ciò astenuto, chef per averlo visto di aspetto tanto gra-  zioso. Aveva gli occhi chiari e risplendenti, ^d aveva caro ch'ei  fusse ci^eduto essere in quegli un certo che di vigore div4no, e  rallegravasi quando alcuno nel guardarlo fiso, come offeso dai  raggi del Sole, abbassava gli occhi j ma in vecchiezza perde al- quanto più di vista dal sinistro occhio che dal destro. Aveva i  denti radi, piccoli e pieni di roccia: i capelli alquanto piegati  e di color castagnino, le ciglia congiunte; gli orecchi di ragio-  ne voi grandezza ; il naso dalla parte di sopra e da basso affilato.  Era di colore ulivigno, di statura piccola ; nondimeno Giulio  Marrato suo liberto, facendo menzione di lui, scrive che egli era  alto cinque piedi e tre quarti, ma aveva le membra tanto ben  propepzionate e corrispondenti l'un coU'altro, che se alcuna non  se gli appressava, maggior di lui non gli pareva.   Tacche che aveva su per il corpo e di alcuni suoi membri.   non troppo gagliardi. ^ •   Scrivono, ch'egli aveva certe macchie naturali per la persona  sino al numero di sette, sparse e distinte per il petto e pel ventre,  simili alle stelle dell'Orsa celeste; ed aveva ancora alcuni calti  come volatiche, causati dai troppo grattarsi, per certo pizzicore,  che egli aveva per le carni, e per l'assidua e continovà usanza  di farsi stropicciar la persona. Non era molto sano, né si valeva     SECONDÒ IMPERATORE 4 49   molto della coscia, del fianco e della gamba sinistra: di maniera  che spesse volte da quella banda zoppicava^ ma s'andava facendo  certi rimedi con la rena calda e con le canne verdi a dò ap-  propriate. Sentivasi alcune volte jl secondo dito della' man destra  tanto (Jebole ed intormentito , che pel- freddo aggranchiiftidosi  e rannicchiandosi, appena pote\'a scriver^ con un ditale di cor-  niolo. Rammaricàvasi ancora diella vescica il cui dolore-si alleg-  leggerrva analmente col mandar fùora per;via di orina alcuna  pietruzza.   ' Delie sue malattie. V   ^bbe, mentre visse, alcune gravi e pericolose infermità, e .  iuassiipamente dipoi ch'egli ebbe domato i Cantabri. Avendo '  maculato il fegato per la scesa continova, che gli cad^va dal^La  testa , e disperato quasi della sua salute], fu. costretto usare ri-  medi contrari: perciocché avendo bisogno di cose- calde a ciò  appropriate , né gli giovando niente , fu medicata con rimedi /  freddi da Antonio Musa suo medico. Aveva oltre a ciò alcune  infermità, che ogni anno nel medesimo tempo gli ritor havano,"  perciocché approssimandosi il giorno delsup natale, gli veniva  una certa debolezza e fiacchezza di corpo: e nel principio biella  primavera gli gonfiavano le interiora ; e nella trista stagione dello  autunno soffiando Austro era offeso dal catarro ed intasamento  del naso; onde avendo il corpo tutto rovinato, non poteva molto  agevolmente sopportare né il freddo, né il caldo!   Governo del suo corpo.   Mettevasi in dosso di verno §otto la toga di panno grosso  quattro tonache ed un giubbon di lana sopra là~camiscia; co-  privasi ancora con certi panni gli stinchi e le cosce dalla parte  di dentro. Dormiva la state con l'uscio della camera aperto, e  spesse volte^otto un colonnato al mormorio di certi zampilli di  acqua, con uno d'attorno, che sempre gli faceva vento. Non po-  teva pure la invernata sopportare il sole : e quando passeggiava  in casa allo scoperto, portava sempre il cappello. Ne' viaggi aai-  dava in lettiga , e quasi sempre di notte a bell'agio ; e facendo  piccole gTornate,. talché in due giorni andava da Roma a Pale-  strina, o a'Tigoh; e quando, avendo a far viaggi poteva andar  per mare, lo faceva più volentieri; che andar per terra. Ma usava  in difendersi da cotale inférniità' grandissima diligenza^ é prin-     4 20 CESARE AUGUSTO   cipalmente si lavava di rado o piuttosto s'ugnèva spesso, o su-  dava alla fiamma del fuoco ; apprèsso si faceva bagnare cbll'acqua  tepida, riscaldata al sole; ma quando per mollificare i nervi gli  bisognava usare Tacqua marina, o Tacque albule e calde, mette-  vasi a sedere dentro a un vaso di legname a ciò accomodato, che  in lingua spagnuola chiamava Durete, tuffava solo le mani ed i  piedi, quando nell'una e quando nell'altra acqua.   Suoi esercizii.   Fornito le guerre civili, dismesse interamente resercitarsi,  secondo il costume romano, nel campo Marzio a cavallo e con  l'armi, e si diede per suo esercizio al giuoco della palla piccola  e grossa: dipoi il suo esercizio era passeggiare a cavallo, e tal  Volta quando era alla fine dello spazio , dove egli passeggiava^  spingendolo lo faceva andar di trotto ed- a saltelloni^ rinvolto  cosi alla leggiera in un gabanetto, ovvero mantelletto da caval-  care, chiamato l'uno sesterzio, l'altro lodicola. Alcuna volta per  ricrearsi e pigliare un poco di esalamento, or pescava alTamo,  ora giuocava ai dadi, or si trastullava cori fanciuHi.piccoli, giuo-  cando con loro alle capannello, o con simili gìocolinì, i ()uaH an-  dava ricercando che f ussero graziati, vivi e lingnacciufi, e spe-  zialmente gli piacevano i Mori e Soriani ; avendo in odio i nani  e i bistorti, e tutti gli altri simili, come mostri di natura e-cose  di male augurio.   Sua eloquenza ed arte nel dire.   Attese con somma diligenza grandissimo desiderio, insino  da puerizia, a dar opera all'arte oratoria ed agli studi liberali.  Scrivono, che nella guèrra di ÌVIodonà in così Tatti travagli s'eser-  citava ogni giorno nel leggere e nello scrivere e declamare;  onde da quivi avanti non si trovò mai a. parlare in senato, né al  popolo, nò a'soldati, se non con l'orazione composta e molto ben  pensata avanti : benché quando gli bisognava parlare alTimprov-  viso, non gli mancava materia, e molto ben la sapeva accomodare.  E per non s'avere a fidare della memoria, ovvero per non con-  sumare il tempo nello imparare a mente, prese un ordine di re-  citare ordinariamente ogni cosa, che gli occorreva. E quando  aveva a ragionare con particolari persone e con tivia sua di  'i|ualche cosa importante, distendeva e scriveva prima il tagio-  namento tutto per. ordine : acciocché nel parlare airimprowiso     SECONDO IMPERATORE ' W   non gli venisse parlato più o manco di quello, che era necessario.  Pronunziava con un suono _dolce é sonoro. Teneva cohtihova-  mente appresso di sé un maestro, che gli insegnava pronun'Aiare  od accomodare la voce secondo la materia: ma qualche volta  ch*era affibcalo, parlamenta.va al popolo per bocca del banditore.   I lì^ri ed altre operette, da lui pubblicate.   Compose mohe cose in prosa sopra varie materie, delle quali  alcuna ne recitò nel cospetto de' suoi amici e famfiliari, non al-  trimenti che se e' fusse stato in un luogo pubblico, come sono  i rescritti di Catone e Bruto; la quale opera, sondo già vecchio,  ed avendola in gran parte'letta, stracco finalmente la diede a  Tiberio, che la finisse di leggere. Compose certe esorta2ioni a  gli studii della filosofia, ed alcune cose della sua vita, avendone  fatti tredici libri, e distesosi insino alla guerra de' Cantabri.  Quanto alle cose di poesia se la passò così leggermente. Ecci un  suo libro scritto in versi esametri di sua mano, il cui argomento-  e titolo è Cicilia, dove tratta della guerra fatta inXicilia contro  a Sesto Pompeo. Eocene un altro di e()igrammi piccolo, come il  predetto ; i quali epigrammi usava di comporre, quando eirli si  stufava e bagnava. Vero è, ch'egli aveva cominciato una tragedia  con grande spirito e veemenza , ma non gli riuscendo lo stile,  vi dette sopra colla spugna e la scancellò ; e domandato dagli  amici quello che faceva il suo Aiace, rispose, che il suo Aiace si  era dittato e morto sopra alla spugna.;   Del suo stile e maniera dì fiacre. . .   ' .: ■ ■■■'1 ■   Andò sempre seguitando uno stile e mqdq di parlare elegante  e dolce, schifando i concetti e le sentej^ze inetto, e male acco-  modate, e, come egli usava di dire^ i fetori e puzze delle parole  e, de' vocaboli antichi e disusali; ed attese più che ad altro a  dichiarare e bene esprin\ere i concetti e pensieri del suo animo.  Il che acciocché più agevolmente ^li riuscisse , e per non coi-  fondere, o tener sospeso in alcun passo delle opere suo eh  leggeva, chi l'udiva, aggiugneva a' verbi le proposizioni e bene  spesso replicava le copule e le congiunzioni, le quali levate vi?  arrecano un certo che di oscurità, sebbene accrescono assai grazie  e leggiadria al parfate. Avea a noia cosi i troppo esquisiti ed a  fetta ti, come quelli ch'andavano dietro a' vocaboli antichi, ecB^  oiù nr^n erano ih uso : aues*» pe^ 'v^ior j)j»«innf)n er  poter di nuovo sacrificare, usqì in un subito fuor di Perugia una  biuida di nimici, i quali rubarono e portarono via tutte le cose  apparecchiate pel sacrifizio ; onde si accordarono gli aruspici ,  elle la mala fortuna, che in cotal sacrifizio s'èra dimostra, tutta  tornerebbe sopra di coloro., che se ne avevano portate via. le  interiora: nò altrimenti avvenne loro. Il giorno avanti ch*ei ve-  nisse alle mani c^n Sesto Pompeo in Cicilia, andando a spasso  lungo la marina, saltò un pesce fuor dell'acqua e se gli fermò  a' piedi. E vicino ad Azio promontorio di Albania, andando per  appiccare il fatto di arme con Marco Antonio, riscontrò un uomo  con un asino, il cui nome era Eutico (che vuol dire fortunato) e  l'asino si chiamava Nicon (che vuol dire vittoria). Onde dipoi  sendo vincitore, fece porro nel tempio edificato da lui nel luogo,  dove aveva posti gli alloggiamenti, un uomo ed un asino di  rame.   Pronostici della di lui morte.   La sua morte, della quale appresso diremo, e come dopo quella  doveva esser connumerato tra gli Iddii, si previde per molti segni  evidentissimi. Facendo la cerimonia, che ogni cinque anni era so-  lita di farsi net Campo Marzio, di rassegnare, purgare e benedire  il popolo, dove si ritrovava un gran numero di gente, un'aquila  gli andò più volte svolazzando d'intorno; e pigUando poi un volo  nel tempio ivi vicino, si pose sopra la prima lettera del nomo di  Agrippa, cioè sopra la lettera A; il che considerato. Augusto non  volle permettere, nò obbligarsi a quelli voti, che in tal cerimonia  per gli anni cinque avvenire si usava di far per salute del po-  polo romano, quantunque avesse apparecchiate e ordinate le  tavole, dove detti voti promessi si notavano alla presenza di  molti a maggior chiarezza e testimonianza ; ma gli fece fare e  promettere a Tiberio suo compagno nello uffizio censorio, a cui  ciò s'apparteneva ; dicendo che non voleva promettere agli Iddii  quello, che pensava non poter presenzialmente attenere al tempo     SECONDO IMPERATORE 134   debito. Nel medesimo tempo in circa, una saetta portò via la  prima lettera del nome di Cesare scritto appiè della sua stàtua;  onde gli fu predetto dagli indovini ciò significare , che ei non  doveva viver più che cento dì, denotandosi tal numero per la  lettera del^ (7, portata via dalla saetta ; e che egli sarebbe collO'  rato nel numero degli Iddii, perchè Esar, cioè il rimanente del  nome di Cesar in lingua toscana significava Iddio. Avendo dun-  que a mandar Tiberio nella Schiavonia, e volendolo accompagnare  insino a Benevento, ritenendolo molti che ne avevano bisogno,  per espedii^ chi una causa e chi un'altra; disse ad alta voce, che  da quivi innanzi per qual si volesse cagione non era per di-  morar più in Roma : il che fu dipoi conn'umerato tra gli augurii  della sua- morte. E messosi a cammino pervenne ad Astiira. .   Le cause del suo male, e curae se la passasse  nel tempo della sua malattia.   * E quindi partitosi di notte, fuor del suo costume, essendosi  levato un venticello, il che fu cagione o principio della sua  malattia, per essersigU mosso il ventre, andò costeggiando tutte  le regioni marittime di Terra di Lavoro. E dato una ricerca alle  isole circonvicine, si stette quattro giorni a diporto nell'isola di  Gapri, ed ivi posto da canto ogni pensiero, solo attese a godersi  quel tempo piacevolmente e famlgliarmente con ciascuno. E pas-  sando il golfo di Pozzuolo, era per ventura appunto allora arri-  vata in porto un nave alessandrina ; i marinari e i passaggieri  della quale veggendo Augusto, ornatisi di veste bianche , e con  cèrte corone in testa, spargendo incenso, gli dierono grandissime  lodi ; pregando gli Iddii che gli concedessero lunga vita e felicità,  dicendo che per lui si godevano la loro libertà e le loro ricchezze.  Per la qual cosa Augusto oltre modo rallegratosi, distribuì a quelli  che erano in sua compagnia quattro cento scudi; e volle, che  ciascuno giurasse e di sua propria mano si obbligasse a non  ispendere in altro quelli danari, che in comperare di quelle mer-  canzie, che erano in sulla detta nave. Ancora ne' giorni seguenti,  intra varii doni che dava loro, ogni giorno distribuì alcune vesti  alla romana, ed alcune alla greca ; con patto che i Romani usas-  sero l'abito' greco, e i Greci l'abito ed il parlare romano. Mentre  che egli stetto a Capri,' si pigliava del continovo piacere di stare  a veder esercitare certi giovanetti al giuoco delle braccia ; i quali  osservavano ancora il costume antico de* Romani nello eserci-  tarsi; e fece loro un convito, al quale si volle trovar presente.     132 CESARE AUGUSTO   dando loro licenza e quasi costrignqndoli , che alla tavola sì pi-  gliasser piacere, o si togliessero l'uno a l'altro i pomi é le altre  cose da mangiare, e sitnilmentó molte altre cose, eh* e'gittava  loro : in cotale modo ed in simili altre maniere ricreanda e pas-  sandosi tempo allegramente. Chiamava la isola vicina a Capri  Apragopoli, dalla j>igrizia e vita oziosa di coloro, che per viyerei  oziosamente da lui si dipartivano ed andavano a stare in detta  isola. -Uno molto amato da lui , detto Masgaba-, era solito chia-  mare in greco Ctisi (che vuol dire edificatore), volendo significare,  ch'ei fusse edificator di detta isoha ; avendo yisto dal luogo, dove  e' mangiava, al sepolcro del detto Masgaba, che un anno innanzi  era morto, concorrere una gran quantità di persone, e con molti  lumi, disse un verso in greco, fatto da lui all'improvviso, in  i|ucsla sentenza : Io veggio dal conditore arder la tomba ; e ri-  voltosi a Trasillo compagno di Tiberio, che gli sedeva a tavola  a dirimpetto, il quale non sapeva a che proposito T avesse detto,  gli domandò di qual poeta ei pensava che e' fusse : non sapendo  Trasiilo, che rispondere, ne soggiunse un altro: Vedi Masgaba  co' lumi onorato? e domandandogli ancora di^ questo, né gli ri-  spondendo altro, so non. ch'egli erano mollo biioni versi, di qua-  lunque e' fossero, levò un gran riso, e tutto si diede al burlare  ed a cianciare. Partendosi di poi da Capri passò a Napoli ; e  benché per la mala disposizione, ch'egU aveva dentro, o poco,  assai il flusso l'andasse tuttavia molestando, stette nondimeno  a vedere il giuoco Ginnico delle braccia, che ogni cinque anni  si faceva in onor suo. Accompagnò Tiberio insino al luogo de-  stinato ; ma nel tornare sondo peggiorato 'assai della malattia,  finalmente si mori a Nola: e fatto tornare indietro Tiberio, a-  vanti che e' morisse , lo tenne lungamente in segreto a parlar  seco, né dipoi applicò più l'animo ad alcuna faccenda d'im-  portanza.   La sua morte, e sua presenza di spirito.   Poco avanti ch'ei morisse, domandava ad ogni poco se fupra  ancora per lui si faceva garbuglio. Fattosi dare uno specchfo si  fece acconciare i capelli e rassettare le mascelle, che gli casca-  vano; e domandò gli amici, ch'erano entrati dentro a vederlo, se  pareva loro, che nella favola di questo mondo avesse fatto bene  gli atti suoi ; soggiunse dipoi queste parole in greco : Fate ancora  voi. allegramente gii atti vostri.' Dipoi licenziato ognilno, mentre  ch'egli domandava coloro , che venivano da Roma , come stava     SECONDO IMPERATORE 133   Lucilla figliuola di Druso, in un subito cascò in braccio di Livia,  e dicendole queste ultime parole : LIVIA VIVI E STA SA^A., E  RICOBDATI DELLA NOSTBA DOLCE COMPAGNIA, passò di  questa vita; la cui morte fu agevole, secondo che sempre aveva  desiderata^ perchè ogni vòlta ch'egli intendeva, alcuno essere  morto presto e senza torménto o stento alcuno, pregava gli Iddìi,  che concedessero tantg alni, quantp a tutti i suoi sinuli. Eutanasia,  che così era sohto chiamarla (che yuol dire buona morte). Innanzi  die egli mandasse fuori lo spirito, solo in una cosa fece ségno  d'essere uscito fuor di sé : questo è', che séndosi in un subito  spaventato, si rammaricò, parendoli che cinquanta giovani lo-  portassero'via ;. e questo ancora voglion dire, che fusse più tosto  unio indovinamentò, che allenamento di mente; conciossiachè  morto che fu, altrettanti soldati pretoriani, sua guardia del  palazzo, cioè de' primi della guàrdia, lo portarono fuora, in  pubblico.   n giorno della di lui morte, l'età, i funerali.   Morì nel Iettò medesimo, dove era morto Ottavio suo padre ,  sendo consoli Sesto. Pompeo e Sesto Apuleio* a' diciannove dì ^  d'agósto a ^re ventuna: ed aveva sessantasei anni, manco tren-  taginque dì. Il corpo suo fu portato dai senatori delle città parti-  cipanti de'benefizii de'Romani, e di quelli, i cui abitatori v'erano  stali mandati da Roma, da (i)Nola insino a Boville di notte, per  la stagione calda ch'era allora, ed il giorno si riposavano e tig-  navano il corpo morto nelle loggie regie, ovvero nel maggiore  è più onorato tempio di qualunque terra egli entravano. Da  Boville sino dentro alla città lo portarono i cavalieri romani, e  posaronlonell'antiportodella sua casa. 1 senatori nell'arnamentp  e pompg delle sue esequie , e nel celebrare la sua memoria ,  talmente fecero a gara, che, tra molte altre cose , vi furono al-  cuni che giudicarono, che e' si dovesse fare entrare il corpo in  Roma per la porta trionfale , portando innanzi la statua della  vittoria^ ch'era nel senato, e che figliuoU de' più nobili, così  maschi come fenfiminè, cantassero quel canto flebile, che si  chiama nenia. Alcuni volevano, che nel giorno dell'esequie i se-  natori, deposti gli anelli d'oro, che e' portavano, sì-mettessero  quelli di ferro (il che non si era mai usato , se non in segno di   (1) Intendesi, che Nola era di quelle Città, i di cui abitatori vi  erano 3tati mandati da Roma.     1 34 CESARE AUGisro   grandissima mestizia ed afflizione). Alcuni furono di parere,  che le sue ossa fussero raccolte dai più degni sacerdoti ^ che  erano in Roma; e fuvvi alcuno, che persuadeva, che il cognome  del mese di agosto si trasferisse nel mese di settembre, perchè  in questo Augusto era nato, od in quello morto. Altri volevano,  che tutto quello spazio di tempo, che era corso dal primo di del  suo nascimento insino al dì della sua morte, fusse chiamato il  secolo Augusto : e così fusse scritto ne' libri, dove si notavano  le feste e cerimonie sacre, chiamati, fasti. Ma poi che si furono  risoluti, in che modo volevano onorarlo, fu laudato in due luo-  ghi con orazion funebre : la prima dinanzi al tempio di Giulio  Cesare da Tiberio, la seconda nella ringhiera vecchia di Druse  figliuolo di Tiberio, e dai senatori fu portato in Campo Marzio e  quivi fu arso : dove fu uno, che era stato pretore, il quale af-  fermò insino con giuramento, che, poi che e' fu arso, avea vista  la effigie di quello andarsene in cielo. Baccolsono le,sue ceneri  i principali dell'ordine de'cavalieri, scinti, in camiscia e scalzi,  e le riposono nel mausoleo , il quale sepolcro era stato fette  edificare da lui tra la via Flaminia e la riva del Tevere, la sesta  volta che ci fu consolo : ed insino allora volle che fussero del  pubblico le strade e selve, ch'erano intorno a detto sepolcro.   Il suo testamento ed" ultima volontà.   Fece testamento un anno e quattro- mesi avanti ch'ei si rtio-  risse, alli tre d'aprile, essendo consoli Lucio Plance e Gaio Silio;  e scrissclo in due volumi , parte di sua mano e parte dì mano  di Polibio ed llarione suoi liberti ; e lo diede in serbanza alle sei  velini vestali , insieme con tre altri volumi segnati col segno  medesimo che il testamento, i quali cavati fuora , furono tutti  aperti e recitati in senato. Lasciò suoi principali eredi' Tiberio  per due terzi, e Livia per la terza parte : a'guali ordinò che si  chiamassero pel suo nome. I secondi eredi furono Druse figliuolo  di Tiberio per il quarto, e per quello che restava, Germanico e  tre suoi figliuoli maschi. Xel terzo luogo sostituì molti suoiamici  e parenti. Lasciò al popolo romano un milione d'oro; ed alle  tribù ottantasette mila e cinquecento scudi ; ed ai soldati preto-  riani venticinque scudi per uno ; ed allo compagnie de' soldati  ch'erano a guardia della città, dodici scudi e mezzo per ciascuno:  ed ordinò che subito fussero pagati a ciascun di contanti , che  insino a quel dì gli aveva tenuti riposti e serbati per tali'effeUi.  Fece molti altri lasciti a varie persone^ e ad alcuni lasciò iDfìno     SECONDO IMPERATORE .435   alla somma di cinquecento scudi di entrata i' anno : dicendo che  l'avessero per iscusato, che le facoltà non si distendevano più  oltre e che a' suoi eredi non veniva a toccarne più che tre mi-  lioni e settecento cinquanfa mila: non ostante che ne' venti anni  prossimi gli f ussero venuti in mano, per testamento de' suoi amici,,  la somtna di cento milioni d'oro ; perciocché quasi ogni cosa ,  con due eredità paterne insieme con le altre «redità lasciategli,  aveva consumato nelle occorrenze della Repubblica. Ordinò che  Giulia sua figliuola e Giulia sua nipote, venendo a morte, non  f ussero messe nel suo sepolcro. Delli v'oUihii lasciati insieme col  testamento, in uno scrisse tutto quello ch'ei voleva che si fa-  cesse nelle sue esequie; nell'altro era una breve annotazione di  tutte le cose fatte da lui ; le quali ordinò che fussero intagliate  in tavole di rame e poste dinanzi al mausoleo; nel lerzo era no-  tato brevemente in che termine si trovavano allora le cose dello  imperio romano e quanti soldati vi erano, e dove e sotto quali  insegne, e quanti danari si ritrovavano nello erario pubblico, e  quanti nel fisco privato, e tutti i residui che restavano a riscuo-  tersi delle entrate pubbliche. Lasciovvi ancor notato i nomi- dèi  suoi servi e de' suoi fiberti , acciocché ei potessino dopo la sua  morte riveder loro il conto di tutto quello che del pubblico ave-  vano maneggiato. . '     LA VITA ED I FATTI     DI     TIBERIO CESARE NERONE     TERZO IHPERATOR ROMAHO     TIBERIO CESARE   La famiglia de' Claudii, patrizia (perciocché e' ne fu anco On'al-  tra plebea, non minore né di potenza, nè,di riputazione) ebbe  origine in Regillo, terra de'Shbini. Quindi sendo Roma nuova-  mente edificata, venne ad abharvi con gran numero-di suoi amici  e partigiani, per mezzo ed opera di TitoTazio, compagno di Rp-  mulo nello imperio; ovvero (il che era più manifesto) sei anni  incirca dopo la cacciata dei re sotto Appio Claudio, capo di quella  famiglia, e fu dai padri accettata nel numero de!patrizii, e le fu  assegnato dal pubblico po' suoi clienti quella parte del contado  eh' è di là dal Teverone, e per la sua sepoltura le fu dato appiè  del Campidoglio. Furono in pro(:esso di tempo nella detta fami-  glia venlotto consoli, cinque dittatori, sette censori. Ottenne sei  volte il trionfo e due volte l'onore della vittoria senza il triónfo.  Ed avendo di molti e varii prenomi e cognomi , s'accordarono  tutti insieme a rifiutare il prenome di Lucio; perciocché due di'  loro, che erano cognominati Lucii, l'uno fu condannato per ladro,  l'altro per omicida. Tra gli altri cognomi prèse ancor quello di  Nerone, che in lingua sabina significa forte o valoroso.   Della gente de' Claudii, con alcune memorre di quella casa.   Appariscono molte belle ed egregie opere fatte da molti della  famiglia de' Claudii in servigio della Repubbhca, per le quali  hanno meritato assai ; e molte ancora in danno di quella e poco  onorevoli. Ma per raccontar quelle che sono più notabili, Appio     TIBERIO CESARE NERONE — TERZO IMPERATORE 4 37   Cieco dissuase il popolo romano a 'eohfederapsi con PiirO) come  cosa poco salutifera alla Repubblica. Claudio Caudice, essendo  stato il primo de' Romani a entrare m mare con armata e pas-  sare lo stretto di Messina , discacciò di Cicilia i Cartaginesi.  Claudio Nerone, venendo Asdrufoale di Spagna con gran gente,  prima che e' si congiugnesse col suo fratello Annibale, lo ruppe.  Dall'altra banda Claudio Appio Regillano, uno de' dieci uomini  preposti alle leggi delle dodici tavole, acceso dello amore di Vir-  ginia figliuola di Lucio Virginio cittadino romano , ancora pal-  mella, ingegnatosi con produrre falsi testimonii, di farla divenire  serva, e condurla in poter d'u« amico suo, per isfogare per tal  via la sua libidine, fu cagione che la plebe la seconda volta si  divise da' nobili. Claudio Druse avendo fatto fare una statua in  suo onore, e collocatola con la diadema (insegna regale) intesta,  lungo la piazza d'Appio, tentò col favore ed aiuto de' suoi parti-  giani e clientoli, di occupare T Italia. Claudio Fulcro essendo  con l'armata in Cicilia, e per antivedere il successo della guerra^  dando beccare a' polli, né volendo- essi beccare, facendosi beffe  della religione, gli buttò in mare dicendo che bevessero, poiché  non volevano mangiare ; ed appiccata la zuffa, rimase con tutta  l'armata perdente. Ed avendo per ordine' del senato a nominare  il dittatore, per riparare a tale inconveniente , mostrando pure  di farsi beffe e tener poco conto del pencolo che soprastava alla  città, nominò dittatore Iliciasuo ministro. Simigliantemente delle  femmine dì cotal famiglia ci sono esempii in prò ed in contro :  perciocché di due Claudie che furono in detta casa, l'una fu quella  vergine vestale , la quale se n'andò al guado del Tevere dove  era rimase in secco la nave che portava la immagine di Cibele  madre degli Iddii, con tutti i suoi sagramenti, e la trasse di quel  luogo, avendola pregata che s'ella aveva conservata insino a  quel di la sua pudicizia, ne venisse con lei. L*altra fu la figliuola  di Appio Cieco, la quale, come cosa insolita alle donne, meritò  d'esser condannata per aver usato parole prosontuose contro alla  maestà dei popolo romano : perciocché, tornando da veder la  festa, e per la gran calca delle genti non potendo passare oltre  colla carretta che la portava, disse ad alta voce ; che desiderava  che il suo fratello Fulcro resuscitasse e perdesse un'altra ar-  mata come quella di prima, acciocché la calca e confusione della  gente di Roma fusse minore. Oltre a ciò é cosa notissima che  tutti i Claudii, eccetto solamente Fublio Clodio, il quale per po-  ter ottenere il tribunato, e mediante quello cacciare Cicerone di  Roma, si fece adottare da un uomo plebeo e di mancx) età di lui,   IO SvKTONio. Vite dei Cesari.     4 38 TIBEfilO CESARE NERONE   furono sempre degli ottimati ed unici fautori della dignità ed  autorità de*patrizii, e tanto crudeli nimici d«lla plebe, che es-  sendone uno condannato a morte, non si potè mai indurre a di-  chinarsL e raccomandarsi al popolo in abito mesto a macilento  (secondo il costume) per essere assoluto ; e tra loro ve ne furono  alcuni, i quali nel disputare e litigare ebbero ardire di battere  i tribuni della plebe. Fuvvi ancx)ra un'altra vergine vestale , la  quale, trionfando il fratello contro alla volontà del popolo, montò  sopra il carro trionfale di quello o lo accompagnò insino in Cam-  pidoglio; acciocché i tribuni non avessero ardire contro .alle  sacre constituzioni impedirlo o contrapporsegli. .   Da quale stirpe traesse Tiberio la spa origine.   Di questa stirpe è disceso Tiberio Cesare per padre e per ma-  dre ; per padre ebbe origine da Tiberio Nerone , per madtre da  Appio Fulcro , i quali amendui furono fìghuoli di Appio Cieco.  Fu ancora introdotto nella famiglia de'Livii, essendo stato adot-  tato in quella il ^suo avolo materno. Questa famigha , sebbene  era plebea, tuttavia ella fu di gran riputazione ed. autorità nella  Repubblica romana. Ebbe otto consoli, due censori, trionfò tre  volte, ed ebbe un dittatore ed un maestro de' cavalieri. Fu an-  cora illustre per gli uomini valorosi che in quella si ritrovarono,  e massimamente per la virtù di Livio Salinatore , e dall'uno e  dell'altro Druse. Livio Salinatore essendo censore, condannò tutti  quelli delle tribù come uomini leggieri, perciocché avendolo tutti  insieme, dopo il primo consolato, condannato e punito in da-  nari, di nuovo lo crearono consolo e dipoi censore. Dr^iso am-  mazzò a corpo a corpo il capitano de' nimici chiamato Dfuso ; o  dipoi fu cosi cognominato con tutti i suoi discendenti. Dicesi an-  cora, che essendo vice-pretore in Francia, ricuperò dai Senoni  l'oro che eglino avevano già ricevuto nell'assedio del Campido-  glio; e che non fu loro ritolto da Camillo, siccome è scrìtto. 11  figliuolo del suo bisnipote , per essersi portato valorosamente  contro a' Gracchi, fu chiamato padrone e difensore del senato; e  lasciò un figliuolo, il quale pel medesimo conto della legge agra-  ria, travagliandosi assai, hi morto a tradimento dalla fazione con-  traria.   Del padre di Tiberio.   Il padre di Tiberio, essondo questore di (iaio Cesare proposto  all'armata nella guerra alessandrina , fu in gran parte cagione     TERZO IMPEB4T0KB ,439   di quella vittoria : perchè sostituito pontefice in luogo dì Publio  Scipione , fu mandato in Francia a coodurvi Romani abitatori,  de' quali ne collocò, infra Tàltre terre, una parte in Narbona e>d.  un'altra in Àrli. Nondimeno, ammazzato che fu Cesare, seudo  ognuno di parere^ e deliberando , per ovviare a' tumulti, che di  tal fatto non si parlasse più , esso , oltre all'essere di opinione  •contraria , aggiunse ancora che egli era bene che f ussero pre-  miati quegli che avevano morto il tiranno. Appresso^ uscito che  •egli fu dell'uffizio della pretura, essendo nata discordia nella fine  dell'anno tra Ottavio,. Marco Antonio e Lepido, ritenutesi le m-  segne del predetto magistrato oltre al tempo consueto e debito,  se n'andò con Lucio Antonio consolo , fratello di Marc' Antonio,  a Perugia. Essendosi tutti gli altri arrenduti ad Ottaviano, egli  solamente non si volle arrendere, né mutare di opinione ; e prima  &\ fuggì a Palestrìna, dipoi a Napoli. E tentando di commovere e  «sollevare i servi, con prometter loro la libertà, né gli riuscendo  il disegno, rifuggì in Cicilia a Sesto Pompeo ; né essendogli stata  data audienza così prestamente, anzi proibitogli lo usare le in-  segne del pretore , passò in Acaia a Marco Antonio , col quale  sendo in breve fatta la pace universale ira tutti, ritornò in Roma ;  € domandandogli Augusto la sua moglie Livia Drusilla, che era  gravida, o della quale gli era' prima nato Tiberio, gliela concesse^ '  -e poco dipoi si mori, lasciando due figliuoli ,^ Tiberio Nerone e  Druso Nerone.   Il luogo e tempo della nascita di Tiberio.   Hanno stimato alcuni Tiberio esser nato a Fondi , mossi da '  tina leggier congettura, che la sua avola materna fu di Fondi ;  e che poco dipoi per deliberazione del senato iu posto in Fondi  in pubblico una statua in onore della Felicità. Ma i più e più-  veri autori scrivono che nacque in Roma nella regione del pa-  lazzo, a' sedici di novembre, sendo consoli Marco Emilio Lepido  la seconda volta e Munazio Planco, dopo la battaglia fatta a Du-  razzo contro a Bruto e Cassio : e così é scritto ne' libri delle  azioni del senato e delle cose sacre. Sono alcuni nondimeno che  scrivono, lui esser nato Tanno innanzi che fussero consoli Irzio'  e Pansé ; ed alcuni altri l'anno seguente, sondo consoli Servilio  Isaurico ed Antonio.     1 40 TIBERIO CESARE NERONE   Infanzia e puerizia di Tiberio. •   Essendo ancora in fasce, e poi che egli fa alquanto più gran-  dicello, ebbe di molti travagli ed anche fu molto accarezzato ed  onorato : conciossiachè il padre e la madre, dovunque e* fuggirono,  sempre lo menarono con loro, e trovandosi vicino a Napoli fu  due volte per manifestarsi col pianto, mentre che e' cercavano  ascosamente di un naviglio per fuggir dinanzi a' lor nimici, che  in un subito s'erano scoperti lor sopra; primieramente quando  e' lo tolseno con molta furia e prestezza di collo alla nutrice  che lo -allattava ; appresso di grembo alla madre; come quelli  che per avanzar tempo cercavano dì alleggerir di peso le donne,  onde elle fussero più spedite a montare hi nave. Avendo ap-  presso cerco la Cicilia e TAcaia fu dai Lacedemoni , che erano  sotto la tutela de' Glaudiì^ ricevuto in pubblico e da persone  pubbliche nello andarsene accompagnato ; e partendosi di notte  fu per capitar male, perciò che nella sei va^.dov' egli erano en-  trati, si levò subito una fiamma di fuoco intomo intórno, e gli  circondò in modo, che a Livia sua madre si abbruciò una parte  della veste e de'càpegH. Sono ancora in essere le cose, che gli  furono donate da Pompea sirecchia di Sesto Pompeo in Cicilia: '  cioè una veste militare, ed un grembiulino ed un pendente a  guisa di cuore, e si dimostrano a Baia. Poi che egli fu tornato  in Roma, essendo adottato da Marco Gallio senatore pen testa-  mento, prese la eredità, ma non volle pigliar il nome di quello:  perciò che questo tale era stato delle parti contrarie ad Augusto.  Aveva nove anni, quando in lode del padre, che era morto, fece  una orazione in pubblico. Appresso avendo già mutatala voce,  accompagnò il carro trionfale di Augusto nella vittoria che egli  ebbe contro a Marco Antonio e Cleopatra, lungo il promontorio  di Azio, essendo il primo a cavallo vicino al carro dalla man sì* -  nistra : conciossiachè Marcello figliuolo di Ottavia ca valcasse il  primo dalla man destra. Fu ancora capo ne' giuochi e feste che  si facevano in memoria della sopraddetta vittòria: e sìniilmente  no' giuochi circensi fu capo di una squadra di giovanetti nobili  della sua età. f   Deiradolescienza e delle di lui mogli.   f   Preso che egli ebbe la toga virile , dalla sua giovanezza per  insìno che e' fu fatto principe, fece le infrascritte cose : primie-  ramente fé' celebrare il giuoco de' gladiatori in memoria del pa-     TERZO MPERATORB 441   dre e ancora in menaoria di Druso suo avolo: non già nel mede-  simo luogo, né in un tempo medesimo; perciò che in onore del  padre lo fé' celebrare in piazza, ed in onore delFavolo nello an-  fiteatro: dove ancora fece entrare in campo a combattere alcuni  gladiatori vecchi, e che già erano licenziati, e fatti esenti^ cor.  accrescere loro di premio due mila cinquecento scudi. Fece an-  presso di me : ricordandomi di quei     15 '2 TIBBBIO CESARE NBaONE   versi d'Omero : Avendo costui in comps^nia ritorneremo Tuno  e 1 altro dal fuoco ardente; perciocché gli òdi .grandissimo an-  tivedere. Quando io o per lettere o a bocca ho nuoVe di te , &  che io intendo che tu sei per le assidue fatiche e travagli cqA  estenuato^ non abbia io mai bene, se io non mi sento tutto alte-  rare, e ti prego grandemente che tu ti abbi riguardo; acciocché  lo intendere io e tua madre che tu sia indisposto e non ti senta  bene, non sia cagione di farci terminare la vita nostra , e che il  popolo romano non venga in pericolo di perdere lo Stato, perchè  il mio star sano o di mala voglia poco importa , purché stia  sano tu. Io prego gli Iddii che a noi ti conservino e ci concch  dano grazia che tu stii sano ora e sempre; se già il popolo  romano non è venuto loro in odio.   Uccisione del giovane Agrìppa ed altre di lui operazioni. -   Egli non prima palesò la morte dì Augusto, ch'ei fece ammaz-  zare il giovane Agrìppa da un tribuno de' militi il quale lo aveva  in guardia. Costui lette alcune lettere che ciò gli comandavano,  messe tutto in esecuzione. Non si sa bene se Augustarlasciò le  predette lettere con quella commissione al suo moriréy per tor  vìa ogni occasione di scandolo e di garbuglio; o se p^n;^.Ìe fu-  rono dettate da Livia con saputa di Tiberio; ovvero cbe^Tiberio  non ne sapesse cosa alcuna. Tiberio una volta scrivendogli il  tribuno che aveva fatto quello che gli era stato comandato, ri-  spose, che non gli aveva comandato cosa alcuna : e che di tutto  ciò che gli aveva fatto ne avrebbe a render conto al senato : o  vedesi manifestamente che rispose allora in questo modp per  fuggire il biaisimo ed evitare quel carico , pprciò che egfi dipoi  lasciò passar la còsa senza farne parola alcuna.   Suoi gemiti sulla lettura fatta in Senato del testamento d'Augusto.   Avendo appresso, per Fautorità ch'egli aveva come tribuno,  fatto ragunare il senato, cominciò a parlare sopra a' casi della  Repubblica; e quasi che egli non potesse resistere al dolore,  messe un gran sospiro mostrando di aver desiderio, che non so-  lamente la voce, ma ancora lo spirito gli mancasse e porse a  Druse suo figliuolo l'orazione ch'egU aveva scritta, acciò che  egli finisse di leggerla. Appresso fatto venire il testamento d'Au-  gusto non messe dentro alcuno di quelli che s'erano soscritti,  se non chi era dell'ordine senatorio ; agH altri fece ricx)noscere la     TERZO IMPBRATOBE 453   mano fuori della corte ; facendolo recitare e leggere a un suo  lìberfo. Cominciava il testamento in questo modo : Poi che Tavr  versa fortuna mi ha tolti ì miei figliuoli Gaio e Lucio, voglio che .  sia mio erede per i due terzi Tiberio Cesare : e da queste parole  si confermarono neiropinione loro quelle persone che afferma-  vano che Augusto lo avesse eletto per suo successore, più per  non aver potuto fare altro, ohe perchè egli lo avesse giudicato  a' proposito, non avendo potuto astenersi di usare parole così  fatte. ' ,   Quanto si facesse pregare prima di acconsentire di ricever Tlmperio.   Àncora che senza rispetto alcuno egli avesse preso il governo  (li Roma e cominciato a trattare quelle cose che occorrevano,  con aversi fatto una guardia attorno di soldati , il che dimostrava,  che violentemente e per forza voleva signoreggiare ; nondimeno  stette un gran pezzo alla dura, ricusando molto audacemente, e  mostrando di non volere accettare un tal carico : ora confortando  i suoi amici, ora riprendendogli con dire dhe ei non sapevano "  quanto. gran bestia fusse lo imperio: ora dando certe risposte  irrisolule e che si potevano interpretare in più modi; stando  astùtaiAénte in su l'onorevole, e tenendo sospesi i senatori i  quali se gli erano gittati a' piedi e caldamente lo pregavano che  volesse accettarlo. Di maniera che alcuni di loro cominciarono  it non potere aver più pazienza; é tra gli altri ve ne ^u uno che  in quella confusione e tumulto disse ad alta voce^ talché fu sen-  tito da ognuno : Se ei lo vuol pigliare, piglilo ; e se non lo vuole,  lasci^ stare. Un altro fu che gli disse, che gli altri eran soìiti  attenere tardi quello che e' promettevano, ma che egli promet-r  leva tardi quello che di già aveva ottenuto. Finalmente, quasi  necessitato e sforzato, con dolersi che il carico, ché^li era posto '  sopra alle spalle, era una misera e gravosa servitù, accettò l'im-  perio ; tuttavia con dare speranza di aversene qualche volta a  liberare e di porre quel peso ; lo cui parole furono I9 infrascritte :  Pure che io arrivi a quel tempo, quando e' vi parrà cosa giusta  (li dare qualche riposo alla mia vecchiezza.   L«» ragioni por le quali si era mostrato difficile ad assumere Tlmperio ,   ed altri di lui fatti.   La cagione perchè egli «lava così alla dura, era il timore dei  jx^ricoli che da ogni banda gli soprastavano ; tale che diceva   1 1 SvETOKiio. Kite dei Cesari.     454 TIBERIO CESARE NERONE   spesse volte che ei teneva il lupo per gli orecchi. E percip che  un servo di Agrippa^ chianmto Clemente, aveva ragunato buon  numero di gente e da non se ne far beffe, per vendicar la morte  del suo padrone, e Lucio Scribonio Libone uomo nobile nascò-  mente andava roachinando cose nuove centra a Tibeho, s'erano  abbottinati i soldati che erano nella Schiavonia, e quelli che  erano in Germania; e Tuno e Taltro di questi eserciti addoman-  davano cose strasordinarie e non solite di concedersi. E primie-  ramente volevano che i soldati pretoriani e che erano a guardia  deirimperadore, fussero pagati a ragguaglio de' soldati romani  che si ritrovavano in Germania. Altri di' loro erano che dicevano  che lo imperadore che si era eletto non piaceva .loro, e che non  s'erano trovati a crearlo; e facevano gran forza a Grermanico ni-  pote d'esso Tiberio e da lui adottato, il quale era loro capitano,  e lo stimolavano che egli occupasse la Repubblica : non ostante  ch'ei s' ingegnasse in tutti i modi di raffrenarli e far loro resi-  stenza. Tiberio adunque temendo grandenfientedi questi tumulti,  pregò i senatori che dividessero lo imperio e gli dessero a go-  verno quella parte della Repubblica che a loro pareva cotweniente ;  perciò che un solo senza compagnia non era sufficiente a gover-  narla e che aveva più tosto bisogno di parecchi che.di lin solo,  i quali gli aiutassero a reggere tal peso. Finse ancora di essere  ammalato, acciò che Germanico quietasse l'animo con pensare  di avergli presto a succedere o almeno di avere a esserli com-  pagno nel principato. Avendo in cotal guisa fermo gli animi dei  soldati, astutamente e con inganni a Clemente fé' por le mani  addosso. Con Libone non fece altro, se non che ivi a due anni  in presenza del senato lo riprese, mostrandogh ch'ei non^yeva  ben fatto a macchinare contro al principe ; né volle precedere  seco più avanti e per non inasprire la cosa, acciò che non n'a-  vesse a solver qualche maggiore scandolo : bastandogli in quel  mezzo di starsi a buona guardia. Onde sacrifìcando esso Libone  tra i pontefici, ordinò che in vece del coltello chiamato secespita,  col quale essi pontefici sacrificavano, gliene fusse dato uno di  piombo per assicurarsi di lui ; e quando ei veniva a parlargli in  segreto, faceva sempre venire alla presenza Druse suo figliuolo : i  né altrimenti gli dotte mai udienza. E quando alcuna volta pas-  seggiava con lui, usava sempre tii tenerlo per la man destra,  insin a tanto che e' fusse fornito il ragionamento : mostrando  così di appoggiarsi sopra di quello.     ^ TEBZO IMPERATOfiB. 4 SS   ■ . -> ^   - - Ottimo suo introito al principato.   Assicurato che ei si fu dal sopraddetto. sospetto e timore, da  principio si portò molta civilmente nel conversiare, trattando le  cose non altrimenti che se fusse stato una persona privata. E  tra' molti e grandi onori che gÙ furono oiffertì, non ne accettò  alcuno, se non alquanti e di poca importanza; tal che appena  concesse che il suo natale, il quale era nel dì che i giuochi  circensi si celebravano, per dare spasso al popolo, fussei onorato  in cosa alcuna . fuori deirordinario. Solo acconsentì che sì ag-  giugnesse in onore suo una carretta di quelle che son tirate da  due cavalli ; né mai volle che in suo onore fussero edificati tempii,  né ordinatoli sacerdoti, né. poste statue ovvero immagini: e se  pure lo permesse alcuna voita^ lo fece con patto che la sua statua  non fusse posta tra quelle degli Iddii , ma per ornamento dei  tempii. Non volle ancora che si giurasse in suo nome, nò che il  mese di settembre fusse chiamato Tiberio e quello di ottobre  Livio. Ricusò il titolo d*imperadore e il cognome del padre della  patria e la corona civica heirantiporlo delle case Palatine: né  mai si fece chiamare Augusto (con tutto che ciò gli fusse eredi-  tario) nelle lettere che da lui erano scritte, da quelle in fuori  che egli scriveva ai re e potentati. Fu solamente tre volte con-  solo; e la prima volta stette pochi giorni nel detto magistrato,  la seconda tre mesi, e la terza, non essendoin Roma, la tenne  dal primo di gennaio insino a quindici di maggio.   Sprezzò e vietò le adulazioni;   Fu intanto nimico delle cerimonie e adulazioni, che er non  volle mai d'intorno alla sua lettiga alcuno de' senatori, o per  accompagnarlo o per altri affari. Oltre a ciò gittandosegli una  volta a' piedi, per fare il debito suo, un cittadino che era stato  consolo, si tirò indietro con sì fatta prestezza e-furia,.che el venne  •a cadere rovescio. E quando alcuno parlando secofamigliarménte,  o veratnente parlando in pubblico, diceva di lui cosa che avesse  dello adulatore, senza riguardo alcuno gli rompeva le parole in  fiocca e lo riprendeva e mutava il vocabolo che quella tal per-  sona aveva usato ; talché essendo ima volta stato chiamato si-  gnore, fece intendere a quel tale che altra volta non volesse in-  giuriarlo, chiamandolo per nome così odioso ; e dicendo un altro  te tue sacre occupazioni, gli fece mutare quel sacre e volle che  e' dicesse laboriose. Un altro dicendo, che per sua autorità era     ■;     4S6 TIBERIO CESARE NERONE   venuto in senato, volle che e' mutasse quel per sua autorità e  che dicesse per sua persuasione.   Sua tolleranza) nel comportare le ingiurìe e maliUcenze. '   Sopportava ancora molto pazientemente quelli che dicevano  mal di lui e quelli ancora che lo diffamavano e componevamo  versi vituperosi in dispregio di lui o de'supi amici e parenti;  usando di dire che in una città libera gli anioii e lingue dovevano  ancora, esser libere. E pregandolo il senato con grande istanza  che si andasse ricercando chi fussero quelle male Knguee che  e' fussero gastigati e fattone dimostrazione, i^spose:. Noi abbiamo  da fare davanzo, e troppa briga sarebbe la nostra a volere atten-  dere ancora a cotesto. Se voi aprite una tal finestra, non ci sarà  mai altro che fare ; perciò che sotto questo colore ciascuno cer-  cherà di sfogarsi e vendicarsi co' suoi nimici, accusandogli per  male lingue. Dicesi ancora oggidì che egli usò di dire nel senato  le infrascritte parole, le quali furono molto umane e benigne,  cioè : Se alcuno ci vorrà dire in contrario, io m'ingegnerò in tutto  quello che io avrò detto e fatto di dar buon conto di me ; e se  ei seguiterà di volere esser nimico a me, io sarò nimico a lui.   Suo rispetto e stima del Senato.   Ma più notabile è, qhe nel chiamare e riverir ciascuno in par-  ticolare e similmente in universale, egli aveva in un certo modo  trapassato il segno della umanità; talché essendo in senato il  suo parer contrario a quello di Quinto Aterio, gli disse : Io ti  prego che tu mi perdoni, se parlando come senatore un poco  alla libera, io sarò di contraria opinione. E parlando in univer-  sale, disse non solamente al presente, ma molte volte ancora  per Taddietro: Affermo, padri conscritti, che al buon principe, a  cui voi date così piena e libera autorità, s'appartiene non sola-  mente di servire al senato ed a tutto il popolo insieme, ma an-  cora di riconoscere per suo maggiore e superiore óiascun citta-  dino in particolare. Né mi pento d'aver questa opinione, né  d'aver parlato in questo modo; perèiocchè io vi ho trovati seiS-  pro giusti e favorevoli inverso di me, come miei signori e padroni  che io vi tengo. .     TKRzo iMsmk'sqn» 457   Restituito i*antÌGO potere alSénato.   Oltre a ciò iiitrodusse in Roma una certa apparenza di libertà,  conservando al senato ed a tutti. i magistrati T^utorità che prima  aveano ; riferendosi in qualunque cosa piccola o grande die ella  si fusse, così pubblica come privata, a' padri conscritti, come  delie entrate e gabelle; degli arrendatori ed appaltatori ; dello  edificare o rifar di nuovo alcuno edifìzio : oltre a ciò dello eleg-  gere e licenziar soldati, del far nuove genti de' romani, ovver  de' soldati ausiliarii: e finalmente si riferiva ancora al senato. di  coloro acquali si dovevano prorogare i governi degli eserciti e  l'amministrazione delle provincie; ed a cui si doveano com-  mettere le guerre, se alcuna ne sopravveniva per lo strasordi-  nario; e come. ed in che modo piacesse loro di rispondere alle  lettere che i re scrivevano. Oltre a ciò costrinse un capitano di  cavalli, il quale era stalo accusato per uomo rapace e violento,  a esaminarsi dinanzi al conspétto de' senatori. Sempre entrò solo  in senato, salvo che una volta che egli si fece portare in lettiga,  per essere infermo : e non volle che nessuno lo accompagnasse,  se non quelli che lo portavano.   Sua pazienza eoa quelli che combattevano le sue opinioni.   Non fece mai pure una minima parola di cosa che fosse deli-  berata contro al suo parere; onde una volta essendo di parere  che e' non fusse bene che coloro, a* quali era dato thagistrato  alcuno , si trovassino assenti , acciocché ei potessino esercitar  l'uffizio e contentarsi del carico che era dato loro , ritrovandosi  presenti ; nondimeno contro al suo parere, uno cVera stato di-  segnato pretore , ottenne dì potere essere presente ed assente ,  come a lui pareva. Un'altra volta parendo a lui che certi da-  nari che erano stati lasciati a quegli di Trebbia per edificare un  teatro, si dovessero convertire in rifare e lastricare ima strada,  non potette ottenerlo , e bisognò che ifiisse eseguita la volojatà  del testatore. Oltre a ciò mandandosi a partito in senato una  certa deliberazione, dove quelli ch'erano d'una opinione s'ave-  vano a ritirare da una banda e quelli ch'erano d'opinione con^  traria s'avevano a ritirare dall'altra; Tiberio accostandosi a  queUi ch'erano manco di numero , non ebbe alcuno cbe lo se-  guitasse : e cosi ogni altra cosa si governava in Roma per Tor-  dinario e per via de' magistrati. E tanta era l'autorità de' con-  soli , che gli ambascìadorì delF Africa ebbero ardire d'andar a     458 TIBERIO CESARE NERONE   trovarli e dolersi che Tiberio, al quale da' suoi superiori eran  stati mandati, non voleva spedirli e gli mandava per la lunga.  Né ciò è cosa da maravigliarsene , essendo manifesto , ch'egli  ancora, quando i consoli comparivano , si rizzava in pie , e ne)  passare per la via dava loro luogo.   Alcuni suoi modi civili e cittadineschi.   Riprendeva oltre a     La lussuria e libidine. ^   Dimorandosi a Capri fece accomodare un luogo ed una stanza  con certe seggiole attorno attorno a guisa di un bordello, dove  egli potesse sfogare segretaoiento la sua libidine : e vi fece con-  durre, di qualunque luogo ei potette averne un gran numero di  femmine e di fanciulli e di garzonotti assai ben grandi : oltre -a  ciò fé' venire alcuni maestri, che insegnavano i modi di usare  l'un con l'altro disonestamente, ì quali da lui erano chiamati  spintrie. Faceva adunque che i predetti giovani s'abbracciavano  insieme a tre a. tre, l'un dietro all'altro, ed in sua presenza usa-  vano carnalmente insieme ; e ciò faceva^ìer riavere il gusto « le  forze della perduta libidine. Ed avendo fatto apparecchiare camere  e letti da dormire in diversi luoghi, in ciascuna camera aveva  fatto appicare certe tavolette, dove eran dipinti molti stravaganti  modi di venire all'atto della libidine, facendo loro studiare certi  libri lascivi e disonesti che erano stati composti da uno chia-  mato Elefantide: acciocché ciascuno di loro sapesse, in che  modo egli si aveva a maneggiare ed atteggiare, secondo da che  banda e' sidri trovava. Aveva oltre a ciò in certi boschetti e luo-  ghi ameni e dilettevoli, fatto fare alcune stanzette vicine l'una  all'altra molto lascive e libidinose ; dove i maschi e le femmineper  antri, spìlonche, grotte e tane, s'andavano a guisa di satirettf e  (ii ninfe arrovesciando l'un l'altro : e già tutti quelli che di Capri  tornavano in Roma, volgarmente e senza rispetto alcuno lo chia- ^  inavano Caprineo.   infami sue oscenità.   Le cose che appresso si diranno e che di lui sono stale scritte  sono ancora molto più vituperose e da vergognarsi, non che al-  tro a crederle, non che dirle o starle ad udire. Procacciava i  fanciullini ancor tenerelli, i quali da lui erano chiamati i suoi     466 TIBERIO CESARE IfSRONE   piscicoli ; mentre che e' si bagnava, voleva ehe essi gli sguiz-  zassero tra le gambe e gli scherzassei-ó intorno cosi dolcemente  mordendolo e leccandolo. Oltre a ciò, si accostava i bambini un  pochette grandicelli, ma non perciò ancora spoppati^ alla testa  del membro come a un capezzolo di poppa ; e nel vero la na-  tura e l'età, nella quale egli allora si ritrovava, lo inclinava più  a questa che ad alcuna altra sorte di libidine. Perchè essendogli  stato mandato una tavola, dov'era dipinta Atalanta, la qual pi-  gliava in bocca il membro di Meleagro ed avendogli quel tale  mandato a dire che se quella istoria non gli piaceva, gli man-  derebbe in quel cambio venticinquemila scudi, egli non sola-  mente per cosa bella l'accettò, ma ancora la fece appiccaiÌB nella  camera dove egli dormiva. Dicesi ancora che una volta sacrifi-  cando ^'accese tanto sfrenatamente di quel fanciullo che gli te- i  neva innanzi il turribile deirincenso che appena compiuto inte- |  ramente il sacrifizio, egli lo tirò da banda e quivi nel medesimo ;  luogo sfogò la sua libidinosa voglia ; e allóra in quel punto an- ^  cera usò con un fratello del predetto ch'era sonator di piffero; .  ed ivi a pochi giorni fece spezzarle gambe ad amendui, percioc-  ché e' si rimproveravano l'uno all'altro tale scelleratezza.   Disonestà vituperosa colle donne nobili.   Non risparmiava ancora le'nobili e gentil donne, Volendo che  ancora esse con bocca sfogassino la sua focosa e spòrca libidine;  e che ciò sia vero, ne fa fède una certa Mallonia, la quale egli j  fece venire a sé per tale effetto e perciocché ella non volle più ,  soffrire un sì fatto vituperio^ ordinò ch'ella fosse accusata per  adultera. £ dipoi essendo condannata e sentenziata, non si ver- ■  gognò a dimandarla, s'ella ancora si pentiva; talché levatasi di- j  nanzi a' giudici se n'andò prestamente in casa e col ferro te^ !  minò la vita sua : palesemente rimproverando a Tiberio il \  vituperio ch'ella con bocca aveva sopportato, chiamandolo vec- |  chio setoluto e puzzolente. Onde in certe feste ch'ivi a pochi |  giorni si celebrarono, prese il popolo grandissimo piacere e di- j  mostrò d'aver molto caro e d'ascoltare con grandissima atten-  zione certi versi che pareano fatti in suo dispregio e disonore, i  quah appresso s'andarono divulgando: la- cui sentenza è che il  becco vecchio si leccava ed ingoiava la natura delle capre.     TKAZQ IMI^SfiAlOÉC - 467   Sua avarizia e Sordidezza-   Fu molto avaro e meschino nello st>endere. A' suoi cofCigiani  che andavano seco in compagnia ó in viaggio o in qualche  spedizione, faceva solamente le spese senza dar loro salario  alcuno. Solo una volta usò liberalità con i danari di Augusto suo  patrigno: e questa fu, che avendo fatto in mare tre armate,  donò alla prima, per essere più onorevol dell'altre, quindici  mila scudi, alla seconda dieci]j|||a j alla terza cinquemila : di-  cendo che gli uomini di questa ultima la quale era di manco  dignità, erano Greci, né jsi dovevano propriamente cennumeraure  tra gli amici. ' ; ' ■ '   Ch'egli non fece alcun ediftzio pubblico, né rappresentò mai spettacoli,  e sua scarsezza mei dar altrui provvisioni.   Poi che égli fu prihcipe, non fece in pubblico edifizio alcuno  che fusse bello o magni6co: perciocché avendo Cominciato a  fare edificare il tempio di Augusto e fare rinnovare e f istaurare  il teatro di Pompeo^ dopo molti anni lasciò Tuna e l'altra di  queste opere imperfette. Non fece anco celebrar feste di sorte  alcuna: rare volte si ritrovò ^ quelle che da altri erano cele-  brate; e tutto ciò faceva, perché non l'avessero a richiedere, o  a domandargli qualche, grazia, per essere stato costretto a li-  berar Azio componitore di commedie ch'era prima scjliavo*.  Avendo ancora sovvenuto a' bisogni di certi senatori che furono  pochi, per non avere più a soccorrere alcuno di loro, disse che  non era per sovvenire più alcuno di danari, Sje^ non provavano  o facevano fede in senato d'essere in necessità; e che le cagioni,  per le quali eglino addomandavano d'essere sovvenuti, fussero  giuste e legittime. Onde \^ maggior parte di loro, per esser  persone nobili e costumate , vergognandosi , non si rappresen-  tarono altrimenti in senato ; tra' quali fu Ortafò nipote di Quinto  Ortensio oratore, il quale a persuasione di Augusto aveva preso  moglie e ne aveva quattro fìgliuoli a nutricare.   Sua tenacità e miseria ed altre sue azioni.   Due volte solamente apparve^ in lui , quanto all'universale ,  qualche liberalità : l'una fu , ch'egli servi in pubblico per tre  anni senza interesse alcuno, di due milioni e cinquecentomila  scudi ; e l'altra fu che essendo arsi, nel Monte Celio alcuni casa*      168 TlBBRie GS8A1B ITBBONB   menti posti in Isola , fece stimare quello che valevano , e gli  pagò a coloro di chi erano. Quanto alla prìma liberalità fu for-  zato ad usarla , perciocché essendo grande strettezza di danari  (j romoreggiando il popolo, ed addomandando che si trovasse  qualche rimedio alla necessità nella quale allora si ritrovava,  ordinò per un decreto del senato, che gli usurai spendesaero i  due terzi de' danari che sì trovavano ne' terreni del pubblico ,  e che quelli che erano debitori del comune fussero costretti a  sborsare allora i due terzi dellf^to. L'altra liberalità l'usò per  quietare gli animi , essendo allora i temporali molto tristi ; ma  egli si compiacque tanto di un tale benefizio, e gli parve^che ei  Tasse sì grande, che mutando il nonie di Monte Celio, volle die  e' fusse chiamato Augusto. A' soldati, poi che fu aperto e pub-  blicato il testamento di Augusto , nel ^uale egli aveva Ifisciato  loro i danari, che di sopra abbiam ^etto, non diede cosa a  solo dette cento scudi per ciascuno a' soldati pretotwni^''  e* non avevano voluto acconsentire à Sciano nella C(K^p6  ('.ontro di lui. Fece ancora certi donativi alle legioni di Boria :  perciocché sole tra le loro insegne non ritenevano ne^una im-  magine di Seiano. Usò ancora molto di rado di fare esenti -della  milìzia ì soldati vecchi, come quelli, che dipoi che gli erano  vecchi, stava aspettando che e' morissero e dopo la morte di  usurparsi quello che sì avevano acquistato. Quanto alle Pro-  vincie non diede mai lóro sovvenimento , nò soccorso alcuno,  eccetto r Asia ; dove i tremùoti avevano fatto danno a^sai e ro-  vinato alcuna città.   Rapine ed estorsioni dello stesso.   Non passò molto tempo che egli si diede ancora alle rapine  e ruberie manifeste. Ciascuno afferma per cosa certa, che ei  condusse Gneo Lentolo augure, il quale era mblto ricco .e le  cui entrate erano grandissime, con minacciarlo a uccidersi da  se medesimo, solo perchè e' morisse senza fìgliiloli e rimanere  suo erede. Condannò ancora a morte Lepida donna nobilissima,  por compiacere a Quirino uomo consolare ricchissimo, e senza  figliuoli, il quale l'accusava con dire ch'essa l'aveva voluto av-  velenare, che erano già passati venti anni, ch'egli l'aveva presa  per moglie e dipoi l'aveva licenziata. Confiscò oltre a mò i beni  de' principali di Spagna, della Gallia e dì Seria e di Grecia, per  cose minime e di pochissima importanza; e tanto iugiarìosa-  mente, che tra gli altri vi furono alcuni acquali non fu apposto     TEBZD IMPERATORE ^ i69   altro, se non che eglino avevano parte della lor roba in danari.  Tolse ancora a molte città ed a molte persóne private i loro  antichi privilegii eia giurisdizione ch'eg4i avevano sopra 'alle  gabelle ed entrate pnbblicho. Oltre, a ciò fece ammazzare a  tradimento Vonone re de' Parti e torgli ciò ch'egli aveva; il  quale era stata discacciato del suo regno , e con grandissima  ricchezza s'era ritirato in AntÌQc|4ajt come quello che avea fede  ne' Romani e s'era promesso ][Jjj^- l'avessero a difendere ed  aiutare.   DeH'odìó, che portava ai suoi congiunti e pe^renti.   L'odio che e' portava a* suoi. parenti, cominciò primieramente  a dilnos|trarlo contro a Druse suo fratello : perciocché egli ma-  nifesta una lettera, che il detto Druse gli scriveva, conforts^ndolo  che sì.an^i^^ con seco a costringere Augusto a restituire la  libertà ^ popolo romano. Appresso scoperse il suo mal animo  contro a tutti gli altri. Non si piegò mai, pure a usare un mi^  nimo atto di umanità inverso Giulia sua ni)oglie, come era suo >  debito, la quale era stata confinata da Augusto; talché non so-  lamente le fece intendere ch&ella non. uscisse di quella terra ^  ove ella era confinata, ma ancora le proibì lo uscir di casa :. né  volle acconsentire ch'ella parlasse o praticasse con pei'sona  alcuna. Oltre a ci.ò-ordinò che e' non le fussero pagati i danari  che da Aligusto pel suo vitto gli erano stati assegnali ; mostrando  di non voler fare cosa alcuna contro al dovere e contro a quello  che le leggi comandavano , . e che non avendo Augusto . fatpD  menzione alcuna della sopraddetta prpvisiene, non era ragione-  vole ch'ella le fusse pacata. Parendogli che Livia sua madre si  volesse anch'ellà travagliare del governo della Repubblica, se  l'aveva recato a noia e fuggiva di trovarsi a ragionar con 1«^^  talché di rado le parlava, nò voleva che i ragionamenti fussero  niolto lunghi è segreti, acciocché le brigate non si dessero ad  intendere ch'egli si governasse secondo il papere e consiglio  di quella: ancora che molte volte se ne servisse e n'avesse di  bisogno. Ebbe similmente niolto per male cheli senato,. oltre  agli altri titoli, lo chiamasse figliuolo di Augusto e di Livia; onde  non volle acconsentire ch'ella fussé chiamata madre della pa-  tria , né che in suo onore fusse fatta alcun'altra dimostrazione  dal pubblico; anzi la riprose molte volte, con dirle, che a lei  non istava bene di travagliarsi ne' casi importanti della Repub-  blica ed in quelle faccende che a donna non si convenivano:  li SvETONio. Vite dei Cesari.     170 TIBERIO CESARE FmRONE   ed allora massimamente la riprese, quando èi vide che in quella  arsione che seguì vicino al tempio della Bea Ve^ta , ella s'era  mossa in persona a confortare il popolo ed i soldatf che pronta-  mente soccorressino la città in quel bisogno, siccome a tempo  dei marito era solita di fare.   Suo odio colla madre.   " ?••   Cominciarono appresso a tenersi favella l'uno -airaltro; e di-  cono che la cagione fu quella che appresso si dirà. Aveva più  volte pregatolo Livia chefusse contento^i fare abile uno ìlquale  era stato fatto cittadino romano, a potere essere nel numero dei  giudici che di sopra abbiamo detto ; e fihalmente le fa risposto  da Tiberio che voleva che nella tavola dove si notavanó4 nomi      do' giudici fusse scritto ancor questo , cioè che la madre lo  aveva forzato a fare quell'abilità a quel tale e che altrimenti |  non era per farne nulla. Onde ella ne prese sdegno e gli mostrò 1  corte lettere da lei conservate di Augusto, nelle quali, venendo  , a un certo passo, si dimostrava quanto Tiberio fusse intollera-  bile e di perversi costumi. Dicono adunque che Tiberio ebbe  tanto per male ch'olla avesse conservato tanto^tempò le predette  lotterò con si fatta rabbia rinfacciatogli le parole di Augusto,  che alcuni pensano che tra le cagioni che lo mossonò a . pairtirs  di Roma ed andarsene ad abitare a Cdpri, qtiésta fosse la prin-  cipale; he mentre che egli si dimorò nella predetta . isola . vide  mai la madre, se non una volti in tempo di tre ani^i che ella  visse; e quella volta ancora non istette :n)olto seco, a ragiona-  mento, né l'andò mai a visitare nella sua infermità. E poi ch'ella  fu morta, tenne più giorni lo gènti sospese eoo dare speranza di  voler ritrovarsi alle sue esequie , tanto che finalmente essendo  già il corpo corrotto e guasto, la seppellirono senza lui; 'Non  volle ancora ch'ella fusse consagrata e deificata, mostrando che  ciò gli fusso stato imposto da lei. Non. tenne conto alcuno dH  testamento ch'ella aveva fatto. Perseguitò In breve tem^k) tutti  i suoi amici e familiari, per insino a quelli ai quali^nel suo mo-  rire aveva lasciato- la cura di far celebrare le sue esequie ; nno  de' quali, ch'era dell'ordine de' cavalieri, fu da lui condannato e  confinato nell' isola di Anticira. ',. "     'V-..     TERZO UtPERÀTOAfi 471   Sua crudeltà ed odio Verso i figiryoUv ..   Quanto a' figliuoli , nò 01*1180 cirera legittimo' e naturale, né  Germanico ch'era adottivo fu da lui amato con paterno affetto.  Dispiacevangli i difètti di Druéo, parendogli che e' fosse ttna per-  sona molto rimessa e fredda e troppo facile di natura , onde egli  non mostrò plinto dr contristarsi della §ua' morte ; e quanto se- ^  guo di dolore e' fece, fu che celelyrate l'esequie, non cbsì subito'  tornò alle sue faccende ordinarie e consuete. Non volle che le .  botteghe stessine serrate molto, nò che si facesse altra xlimostra-  zione : oltre a ciò sehdo venuti gli ambasci atori.d' Ilio alcjuanto  tardi a condolersi cori es^osecq e confortarlo a pazienza, come  se il dolore fusse in tutto passato via, rispose loro ridendo, che  ancora egli si doleva della loro mala sòrte, poi ch'egli avevano  perduto un cittadijio tanto egregio -come fu Ettore. -Quanto a  Germanico, fu sempre nimico dall'opere va lo rose di. quel lo ^ mo-  strando che le non fussero tanto quanto si slimava ;.e die molle  cose ch'egli avea fatte erano state senza, proposito ; eie sue glo-  riose vittorie biasimava come dannose «l poptjlo romano. Ma ^  sopra a ogni altra cosa. gli dispiacque tJhe per fa gran carestia  che in subito era venuta in Alessandria egli vi fusse andato senza  sua saputa, e si querelò dì lui grandemente in senato. Credesi  ancpra che Gneo Pisone legato della Siria lo" facesse morire per  ordine di Tiberio. Costui esse;ido.iyi a poco tempo accusato per ,  tale omicidio, pensano alcuni ch^egli avrebbe manifestatole com-  missioni avute da Tiberio, ma che non lo fece , perciocché elle  eran segrete e non si potevano provare per tesiimonii. Egli adun-.  que n'acquistò gran biasimo e m fu incaricato assai ; e molle  volte si senti a gridare di notte : « Rendici. Germanico. » Con-  fermò appresso questa mala opinione che si aveva di lui, avendo  trattato mollò crudelmente la moglie ed i figliuoli di GermaliiccK   Sua crudeltà ed odio verso. la nuora.   Èssendosi Agrippina sua nuora per la morte del suo' marita .  Germanico rammaricata un poco troppo hbepam&nte ; la grese  per jnano con dirgli questo verso in gr^co: « A tè pare, figliuola .  mia , die li sia fatta ingiuria perche tu non sjbì l'impei^atrice ; »  né ella da quel terhpo innanzi ebbe mai grazia dì potergli parr'  lare, perciocché una sera a tavola non volle guMare certi ,poiì[ìi  che da lui gli furon dati, e d'allora in poi non la convitò mai più,  mostrando ch'ella avesse fatto quello per darù a credere alle     472 TIBERIO CESARE NERONE   persone ch'egìi Tcivesscì voluta avvelenare; ma vero era ch'egli  ji;li porse i delti pomi per vedere s'ella si fidava di lui e dipoi av-  velenarla ; e ch'ella si guardò di notagli assaggiare, comef quella !  che indubitatamente credeva che fussero avvelenati. Ultima-  mente dandole carico ch'ella voleva rifuggire alla statua d'Au-  gusto, come facevano i servi, j^er muovere di so a compassione  il popolo e concitarlo contro a Tiberio, ora dicendo ch'ella vo- .  leva rifuggire all'esercito, la confinò nell' isola Panclatana ; e non  restando lei di biasimarlo e dirne malo, la fece battere da un cen-  turione, il quale con un^ battitura le cavò un occhio ; ed avendo  deliberato per morire di non mangiare , lo fjpce aprir la bocca  per forza e comandò che i bocconi le fussero impinzati giù per  la gola. £ poiché ei non vi fu ordine a farla mangiare e ch'ella  fu morta, l'andò diffamando e vituperando in tutti que'modi che :  ei potette, dicendo esser bene che il giorno nei quale era nata ^  fusse cqnnumerato tra i giorni di male augurio e ne' quali non e ■  ben- far cosa alcuna. Parvegli ancora di essere stato molto pie-  toso inverso di lei e meritare d'esser lodato assai ; perciocché ei  non gli aveva attaccato un capestro alla gola e strangolatola e .  gittatola giù dalle scale Gemonie (onde si gettavano gli .uomini  scellerati ) e per sì fatta cortesia e clemenza usata verso di lei  acconsentì che il senato per un decreto unitamente lo rihgra-  ziasse , e che a Gioye Capitolino , per memoria di cosi buona  opera, fusse dedicata e consagrata una cosa d'oro (4).     Sua crudelt.^ ed odio contrn i nipoti.     «   Rimasergli di Germanico tre nipoti, Nerone, Druso e Gaio; e  di Druso solamente Tiberio; onde non avendo fìgliqoli , racco-  mandò Nerone e Druso , ch'erano i maggiori di Germanico, ai ,  padri conscritti ; ed il giorno che l'uno e l'altro si rappresentò (  la prima volta in piazza, ed avendo presa la toga virilo,- voi le che i  fusse celebrato ed onorato, e dette la mancia al popolo. Ma ve- j  duto l'anno seguente che per salute loro s'erano fatti .pubblica- '  mente i voli, parlò in senato , con dire che una tal cerimonia  inverso di que' due fanciulli era superflua e che e' non si doveva  usarla, se non inverso di coloro che fussero già oltre di età e che  avessero fatto qualche cosa per la Repubblica e data buon sà^o  di loro; e così venne a discoprire qiial fusse l'aniino suo verso  i due giovanetti ed a dargli in preda alle male lingue, cercando   (1) Svetonio dice, fosse consagrato un dono d'oro.     ' TERZO IMPE.RATORE 473   astutametìte ch'egli avessero a dir male di lui;, per aver cag;ione  di fargli capitar male. All'ultimo scrìsse al senato, accusaiklogli  e mostrando come loro avevano fatto molte cose -vituperose e  ti iste; tanto che e' furono sentenziati per nimici del- popolo ro-  mano, e così gli fece morir di fame, Nerone neir isola di Ponzo-  e Druso appiè del monte Palatino. Pensano alcuni che Nerone  fosse costretto a morire volontariamente ; e dicono ohe il carne-  fice andò a trovarlo, mostrando di esser mandato dai senato, e  gli mostrò il capestro per affogarlo e Tuncino per istrascinarlò ;  e che Druso fu tenuto' sènza mangiare, in modo ctìp ó'dettiaài  morso in un pezzo di coltrice: e poi ch'e' furono morti, fece get-  tare le lor ossa in diversi luoghi , talché con gran fatica furono  ritrovate e raccozzate insieme.   Sua crudeltà con gli amici. ; ^. .   Quanto a' suoi antichi amici è familiari , di venti ch'egli ne  aveva eletti tra' principaH e più nobili della città , co' quali si  consigliava ne' casi della Repubblica, da tre in fuora,'gli fece  tutti ammazjÉare ehi per una cosa e ehi per un'altra ; e tr? questi  fu Elio.Seiano, il quale fu ucciso còh un gran nuniero di suoi  seguaci. Aveva Tiberio fatto grande costui non per bene che ei  gli •volesse, ma solo per avere uno per la. cui fraudo egli facesse  capitar male i figliuoli di Germanico, acciocché Tiberio suo nr-  pote e figliuolo naturale di Druso venisse dopo ki a succedere  nell'imperio. . "   Sua crudeltà e durezza con i grammatici e maestri.   Fu parimente rigido e crudele contro a certi Greci che teneva  appresso di 3é, de' quali prendeva grandissima Consolazione e  sollazzo ; tra' quali un certo i^nojie, ragionando con seco e par-  landp così esquisitamente, fu da lui domandalo iqual delle cinque  lingue greche era quella nella quale egli' allora cosi fastidiosa-^  mente parlava ; é rispondendo il Greco ch'^U' ei*a la Jingua do-  rica, lo confinò nèir isola di Ginara, stimando che costui gli avesse  voluto rimproverare il tempo anjico, quand'egli partitosi di Roma  se ne andò a Rodi ad abitare , perciocché i Rodtotti parlano in  lingua dorica. Oltre a ciò avendo per usanza'di proporre sempre  a tavola ìqualche disputa e quistione , ed avendo inteso come  Seleuco granin^tico cercava d'informarsi da' 'suoi ministri e^r-  vidori quali fossero gli autori ch'egli era sehto di studiare, per     474 TIBEaiO CESAtlE NERONE   venire preparato alle dìspate, primieramenéte gli comandò che  non gli capitasse a casa ; od appresso, non gli- bastando questo,  lo fece morire.   Sua crudeltà dimostrata ancora nella sua gioventù.   Dimostrò d'esser crudole, malignò e tardo di natura insinoda  fanciulletto ; o Teodoro Cadareo che fu suo precettore neirarte  della rettorica parvo che fusso il primo che come. persona sa-  gace e di giudiìsio se ne accorgesse ed in poche parole avesse  saputo bone esprimere la sua natura, chiamandolo a ogni poco,  nel riprenderlo^ con parole greche, loto macerato, nel sangue. Ma  molto più si scoprì di così perversa natura poiché egli fu prin-  cipe ; ingegnandosi nel principio per acquistarsi, come uomo mo-  derato e benigno, il favore e la benevolenza del popolo^ di na-  sconderla e di simulìarla. Un certo buffone, nel passare uno che  era portato a sotterrare, glj disso forte che ognuno lo .sentì, che  facesse intendere ad Augusto che i lasciti ch'egli aveva fatti al  popolo ancora non erano stati consegnati. Onde Tiberio, fattolo  venire a sé, gli diede quella parte che se gli appettava ; e di poi  faCtolo giustiziare, gli disse che rapportasse il vero ad Augusto.  E non miolto di poi negandogli un certo Pompeo cnvàlier ro-  mano non so che pertinacemente, minacciando di farlo ipetteroin  prigione, gli disse che di Pompeo lo farebbe diventar pompeiano;  mordendolo in cotal guisa e quanto al nome ,_ e quanto alla fa-  zione anticamente nimica della casa de' Cesari e ohe era capitata  male.   I delitti di lesa maestà atrocemente. vendicati.   In questo medesimo tempo domandandogli il pretore se ei  voleva che si raunassero i giudici sopra a quelli che avesifero  offesa la maestà dell'imperatope, rispose, che e' bisognava met-  tere in esecuzione quello che comandavano le leggi ; e le fece  osservare atrocissimamente. Levò un certo il Capò da una statai  di Augusto per porvene un altro;, venne la cosa in senato, e  perchè si stava in dubbio se gli era vero d no , fu con tormenti '  esaminato e condannato il reo': a "poco a poco questa soHé di  calunnie venne a quello, che ancora queste cose jdivontarono  capitali, l'aver battuto un servidore vicino alla immagine di An-  gusto; l'aversi dinanzi a quella scambiata la veste; Tavere pM^  tato la sua effigie scolpita in anello o in moneta neV lardello     *• ; * TEMO IMPERATpRB 475   pisciatoio pubblico ; Favér tenuto contraria opinione da queUo  che Augusto avesse detto o fatlo. Capitò finalmente male ancora  uno il quale nella sua città acconsentì che^glì fosse dato lin  magistrato in quel dì medesimo ch'egli erano "già stati dati ad   Augusto. \ .: ' \ '   Aìcune cose dà lui barbai-amente fatte sotto apparenza di gravità.   Fece oltre a ciò molle altre cose sotto spèzie di Severità e di  gravità, mostrando di voler ridurre la città a vivere, civilmente,  e tor via le male usanze; dove egli, sefcondo che la natura gli  porgeva, si portò tanto crudelmente, che furono alcuni, i qiiali  Ì3Ìasimandolo del presente ed avvisandolo del fi^turo e del male  ch'era per intervenirgli, composono questi versi, la cui sentenza  è questa: .   Aspro e crudele, vuoi tu che io brevemente diea.ogni cosa?  Poss'io capitar male, s'egli è possibile che tua madre t'ami.  Tu non se] Cavaliere, perchè ? perchè tu non hai i centomila.   . £ se. tu andrai ben ricercando il tutto, ìlodi ti fu dato per contino.  Tu hai. Cesare, scambiato i secoli d'oro ;   Perchè mentre che tu sarai al mondo, saranno sempre di ferro. '  Ha costui in fastidio il vino, peirchè^ comincia ad aver sete del sangue ;   _J1 quale or bee tanto avidamente, quanto prima il vino j)retto.  Risgnarda Roma il tuo Siila felice per sé, non per te. "   E Mario ancora puoi, volendo, in lui considerare, ma quando tpi-uò di esilio:  Oltre a ciò le mani di Marcantonio suscitanti le guerre civili,.  Non pure una sol volta di sangue imbrodolate.  E di' : Roma è spianata, molto sangue spargerà.  Qualunque di esule sarà fatto impcradore. .   I quaH prima voleva, che e' fussero ripresi, come composti da  uomini che in Roma non potevano sopportare il dominio e come  dettati più dalla collera e dalla rabbia che ragione alcuna che  egli avessero centra di lui, ed aveva in bocca a ogni poco: Ab-,  bianmi in odio e facciano a mio modo. Appresso fece fede che  ell'erapo cose al tutto vere quelle che in cotal guisa dicevano.   Come per leggieri peccati condannasse a pene severissime.   Fra pochi giorni, poi che e'^fu arrivato a Capri, avendogli portato  un pescatore, mentre ch'egli trattava alcune cose in segreto, un  gr^n barbio, ed essjBndoglì sopraggiunto addosso posi allalm-  provvista, comanda che gli fusse stropicciata la f^icòia coft e^só,     476 TIBEUO CBSAIB XB105B   come quello'che venne tutto a rìmescolarsi, vistosela comparir  sopra dalla banda df dietro decisola che per certi luoghi aspri  e beiiza via era venuto su carponi airovarlo: e parendo a quel  poveio uomo di averne avuto buon mercato, e l'allegrandosi,  menln; (.!!fiRATOIie 183   Scienze ed arti possedute" da lui.   Fu molto studioso e letterato in tutte 1^ scienze ed arti libe-  rali; quantoallo stile latino imitava Messala Corvino, alxjuale,  essendo già vecchio, egli insino da giovanetto aveva sempre por-  tato grandissima riverenza : jna per essere nello scrivere troppo(l)  fìsicoso ed aifeltàto, lo rendeva alquanto oscuro, talché riusciva  meglio parlando .all'improvviso che stando a pensare quelle 'Che  egli avesse a dire. Compose ancora un'opera in versi lirici, la  quale è intitolata: Lamentò della morte di Giulio Cesare. Com-  pose aiìcora alcuni poemi in greco imitando Eufurione, Ariano  e Partenio ; e perciocché i predetti poeti gli piacevano oltre  modo , aveva nella sua libreria le loro, immagini e tutti i libri '  che da loro erano stati composti ; e gli teneva tra i libri degli  scrittori antichi e più riputati. Onde una gran parte de* Jetterati ''  ch'erano in quel tempo, composono a gara molle opere io loae  di questi tre. Dilettossi sopra a ogni altra cosa di storie- favolose ;  in tanto che insino alle sciocchezze e cose ridicole sommafinente  gli soddisfacevano: e perciò i grammatici, de' quali si difettava  sopra a x)gni altra sorte di -letterati , erano dk liii di molte voke  addirtìandati per vedepe come e' se la sapevano qual fussé stata  la madre d'Ecuba: che nome avesse avuto Achille e quando a  ^isa di donzella stette nascoso tra quelle vergini, quello ohe le  sirene ^rano soKledi cantare. Il primo di ch'egli entrò in- senato  dopo la inorte d'Augusto, per mostrarsi pietoso e religioso sa-  crificò àgli Iddii col vino e con lo inceilso ma. senza trombetta ;  imitando m questo Mings re di Candià , il quale nella* morte del  figliuolo in quella guisa aveva sacrificato.   Cognizione della lingua greca, sebbene ei mai l'usava. . ^   Ed ancora che il parlare in greco gli fusse pronto e facile,  nondimeno si riguardava in alcuni luoghi di non parlare altri-  menti che latino, e massimamente nel senato ; di maniera ohe  avendo a nominare monopolio, che è vocabolo greco, chiese per-  dono, sendo necessitato a usare quel vocabolo forestiero. Simil-  mente in una certa deliberazione del senato, recitandosi emblema,,  che pure è vocabolo greco, disse che a lui" jftireva bene di levar  via quel vocabolo e vedere di trovarne un latino che significasse  il medesimo: e non si ritrpvando, jesprimerlo con piìj parolei   (1) Fisicosó lo stesso, che scrupolóso. '     484 TIBERIO CESARE NERONE   Comandò ancora a un soldato, cìi'era slato interrogato in greco  pfT Ipstimonio, che rispondosso in latino.   Sua inylalli.i e »lie (s^^endosi duo volte, dui'ante il tempo del suo ritiro ,  avvicinalo a Hoina por enlran'i, tutte due le vrtlte ritornò addietro.   Mentre ch'egli si dimorò noirisola di Capri, solo due volte  mostrò di voler tornarsene in Roma; la prima si condusse per  mare sopra una galea rnsino all'orto che è-vicino al luogo dove  si fanno le battaglie navali, e lungo la via del Tevere da ogni  banda foca stare i suoi soldati che facessero tornare addietro  quegli che venivano per incontrarlo. Un'altra volta sì condusse  per la strada Appia, vicino a sette miglia a Róma ; ma seDza  entrar dentro, avendo solamente (lato una occhiala alle mura  della città, dette medesimamente la volta addietro tornandosene  a Capri. La prima volta che essendo venuto per la via di mare,  so ne tornò indietro, egli medesimo non seppe la cagione: la se-  conda ch(^ fu questa per la strada Appia, se ne t(Jrnò indietro  per un caso maraviglioso che gl'intcrvenne : e questo fu che  avendosi domesticato un dragone, e cibandolo di sua mano, andò  per dargli mangiare e trovò che le formiche se Tavevano man-  giato. Fu pertanto avvertito che si guardasse dalla furia del  popolo. Tornandosene Jidunque a Napoli e trovandosi ad Astnra,  cominciò a sentirsi un poco di mala voglia, appresso parendogli  essere assai bene alleggerito, camminò alla volta di Cercelli. E  per non dare sospezione alcuna della sua infermità, *i'on solo  si ritrovò presento a' giuochi che i suoi soldati celebravano, ma ■  ancora, sendo cacciato fuora un pòrco salvatico, gli trasse alcune  saette cosi da alto : e per essersi scontorto alquanto il fianco e  nello ansare ripieno di ventp, venne a riaggravarci nella malat- ;  tia : nondimeno alcuni giorni se n'andò comportando assai bene. :  E come ch'egli si fosse fatto portare insino a Miseno, non per- ■  ciò lasciò indietro alcuna cosa del suo vivere ordinariq, ban- !  chettando al solito e pigliandosi i medesimi piaceri a diletti) i  parte per non saper astenersi e parte per mostrare di non aver  male. Onde Caricle medico partendosi dal convito per andarsele  a casa e volendo chiedergli licenza, gli prese la mano per baciar- '   gliene : ma Tiberio ^credendo che il medico gli volesse toccare il !   )ol30, lo pregò piacevolmente che non si partisse e che si pò- i  nesse un-poco a sed'^'-e e soprattenne il co^"'*'^ r»iii del solito e f  '^li bastarono le fo'"' ' « ' ^ siccome eg vumato quivi     TERZO IMPERATORE • 465   i convitati se D'andavano e gli domandavano licenza, gK diceva,  ad uno ad uno chi e* fussero.   Luogo e tempo ftlla di lui morte.   In questo mezzo avendo tiiovàto nel libro, dove si notavamo  giornalmente le azioni: del senato che certi erano stati liberatr,  anzi non pure uditi, de' quali egli aveva scritto al senato, perchè  e' fussero esaminati e condennati, con aver detto brevemenfe  non altro, se non che uno gliene aveva accusati,. mugghiando e  dolendosi e parendogli d'esser disfurezzato, aveva deliberato ìix  ogni modo di tornarsene a Capri per non tentare di far cosa at-  cuna se non al sicuro ; ma ritenuto dal temporale e dalla ma-  lattia che tuttavia andava aggravando, non passò molti giorni  ch'egli si mori in villa a un luogo di Lucullo, avendo settantotto  anni e ventitre anni essendo stato nell'imperio, a' sedici di marzo,  essendo consoli Gneo Acerronio Proculo e Gàio Ponzio Nigra.  Sono alcuni che pensano essergli stato dato il veléno da Gaio a  tempo e che a poco a pòco lo consumasse. Altri che nello allen-  tare della febbre presagli fortuitamente, desiderando di rnsingiare,  non gliene fu dato. Altri dicono che e' fu affogato, sendogli stato  rinvolto il capo (\) nel primaccio; perchè essendo ritornato al-  quanto in sé, aveva ridomandato l'anello che gli era stato cavato  di dito. Seneca scrive che avendo conosciuto di mancare, si eavò  l'anello di dito, facendo segno di volere darlo a qualcuno e dipoi  di nuovo se lo rimesse e che tenendo stretto il pugno della mano  sinistra, stette un pezzo senza muoversi ; appresso chiamati in uh  subito quegli che lo servivano, né gli essendo risposto da alcuno,,  che e' s'era levato e cascato non molto lontano dal letto per es-.  sergli mancato le forze.  I segni che pronosticarono la di lui morte.   ^ •   L'ultimo di che fu da jui celebrato del suo nasciméunto, essen-  dogli stato portato da Siracusa un Apollo, cognominato Tejmenite,  ìi quale era molto grande e ben fatto, e volendolo pqrre nella  libreria del Tempio, ch'egli nuovamente aveva edificjito e con-  sagrato, glie le parve vedere in sogno affermante che da lui non  poteva essere dedicato. E pochi giorni avanti che ei morisse, la  torre del Faro a Capri fu rovinata da'tremuoti. Oltre a ciò nel   (1) Primaccio, lo stesso che piumaccio.   1 3 SvETONio. Vite dei Cesari.     486 TIBERIO CESARE NERONE   monte Misono la cenere, le faville ed i carboni ch*6rakìo stati  posti nella stanza dove egli mangiava per riscaldarla, essendo  stati spenti una gran parte del dì, in un subito nel farsi sera si  ridccesono ed arsono una gran parte della notte; né mai vi fu  ordine a poterli spegnere.   Festa del popolo romano per la di lui morte.   Tanta fu l'allegrezza ch'ebbe il popolo romano della sua morte,  che al primo avviso cominciarono le genti a discorrere per le  strade ; e chi gridava che e* fusse gittate in Tevere ; e chi pre-  gava gli Iddii infernali che non gli dessero luogo alcuno nello  inferno, se non tra gli empi e scellerati. Altri minacciavano il  corpo così morto di attaccargli un uncino alla gola e gittarlo giù  dalle scale Gremonie ; come quelh ch'erano accesi contro di lui,  ricordandosi della suaantica crudeltà. E perchò nuovamente era  intervenuto per sua cagione un caso molto atroce, e questo è,  che avendo il senato fatto un partito che i sentenziati a morte  ave ssero tempo dieci di a essere giustiziati, accadde per ventura  che il decimo giorno di certi ch'erano stati condannati, venne  appunto ad esser quello, nel quale venne l'avviso della morte  di Tiberio ; costoro adunque raccomandandosi a tutte quelle per-  sone che e' vedevano e pregando per la fede che in loro avevano  gli volessero aiutare, perciocché non si ritrovando Gaio in Roma,  non potevano andare a raccomandafsi a luì; quelli pertanto che  erano alla guardia della prigione, acciocché e' non sieguisse cosa  alcuna contro a quello ch'era ordinato; gli strangolarono e gli  gittarono giù dalle predette scale, chiamate Gemonie. Ciò fu  cagione di accrescere carioo al morto Tiberio appresso del popolo;  come quello a cui pareva che un tale tiranno, ancora poi ch'egli  era morto, perseverasse nella sua crudeltà. Né prima si mossero  quelli che conducevano il corpo dal monte Miseno, che la mag-  gior parte di quelli ch'erano presenti levarono le grida con dire  che fusse portato ad Aversa ed abbronzato nello Anfiteatro : non-  dimeno i ìsuoi soldati lo condussero a Roma e fu- arso e seppel-  lito pubblicamente.   Suo testamento ed ultima disposizione.   Aveva fatto testamento due anni innanzi e scrittoio di man  propria e fattane fare una copia a un suo liberto ; e così l'ori-  ginale come la copia aveva fatto soscriver e suggellare da     TEBZO IMPERAT(MIE 487   persone vili e di molto bassa condizione. Lasciò eredi Gaio fi-  gliuolo di Germanico e Tiberio figli uol di Diruso suoi nipoti, cia-  scuno per metà ; e voile cbOéie' redassero Tun Taltro. Fece ancora  di molti lasciti a diverse persone, come alle vergini vestali, ai  suoi soldati tutti insieme ed alla'*plebe romana : lasciando a cia-  scuno un tanto e spezialmente ai maestri de' vichi, cioè capi  de' borghi e delle strade maestre.      LA VITA EJ) l FATTI   DI   GAIO CALIGOLA   QUARTO IIPERATOR ROIARO     Di Germanico padre di Caligola.   Germanico padre di Cesare, figliuolo di Druso e di Antonia  giuniore, adottato da suo zio Tiberio^ fu questore cinque anni  innanzi) che per legge gli fusse lecito; e dopo tal magistrato  immediate fu fatto consolo. È mandato a governo per capitano  generale dello esercito che sì ritrovava in Germania,. dove intesa  la morte d'Augusto, raffrenò quelle genti che pertinacemente  ricusavano Tiberio e volevano lui per loro imperadore; nella  qual cosa egli si dimostrò non solamealiB costante e forte, ma  ancora pietoso ed amorevole. Ed avendo ivi a poco tempo supe-  rato e vinto i nimìci, trionfò in Roma. Appresso fatto la seconda  volta consolo, prima ch'egli entrasse in magistrato; fu mandato  a comporre lo Stato dell'Oriente ; dove avendo vinto il re d* Ar-  menia, ridotto la Cappadocia in forma di provincia (cioè fattola  distretto de' Romani), morì di trentaquattro anni in Antiochia,  avendo avuto una lunga infermità, non senza sospezione di ve-  leno : perciocché oltre a' lividi che per tutto il corpo si gli vede-  vano e la schiuma che per bocca mandava fuord, nello essere  abbruciato il corpo, fu ritrovato tra le ossa e cenere di quello il  cuore intidgro e senza macula alcuna ; la natura del quale si  stima esseii^j che avendolo tocco il veleno, non possa dal fuòco  esse offeso nò consumato.   Morte di Gennanico.   Fu opinione che Tiberio per opera di Gnoo Pisone lo facesse  avvelenare. Questo Pisone, essendo governatore della Soria^ di-     GAIO CALIGOLA -^QVABTOIMpJBBATOIlE 48^   ceva apertamente che a lei bìsognayà, offendere o il padre o il  figliuolo. E come se la necessità lo strignesse a- farlo, usò inverso  di Germanico, quando egli era infermo, di molte stranezze, in-  giuriandolo di fatti e di parole molto villanamente ; onde ritor-  nato a Roma, fu poco meno che sbranato dal popolò edilse-  nato lo condannò a morte.   Virtù sì del corpo che deiranimo di GermaDico.   È assai manifesto che e' non fu mai uomo alcuno, nel quale  tanto eccellentemente fussero accolte tutte le virtù deH^an^mo  del corpo, quanto in -Germanico. Egli quanto al corpo fu ben  fatto e gagliardo e benissimo di aspetto , rarissimo d'ingegno,  eloquente così in greco come in latino, amorevole e benigno  inverso di ciascuno e nel farsi ben volere e guadagnarsi gli uo-  mini maraviglioso. Quanto alla proporzióne delle membra aveva  un poco le cosce sottili ; ma usando di cavalcare , poi ch'egli  aveva mangiato, del continovo le aveva assai bene ripiene. Nei  fatti di arme si trovò molte volte alle mani- col nimico a oolo^a  solo e ne riportò onore. Avvocò ed orò, non solamente essendo  ancora cittadino privato , ma ancora dipoi avendo trionfato ; e  tra' suoi scritti si trovano alcune commedie composte da lui in  greco. In Roma e fuori nello esercito fu sempre umano e cor-  tese e di animo civile ; andava a trovare le tèrre libere e confe-  derate senza littori e come privato cittadino; ovunque egli in-  tendeva ch'erano sepolcri d'uomini valorosi, gli.andaydi a vedere  e celebrava onorevolmente le loro esequie. Egli fu il primo che  di man propria si messe a ragunare l'ossa di quelle genti, che  sotto il governo di Varo erano state uccise, per ridurle tutte  in un luogo e fattone un monte, edificarvi sopra, un sepolcro.  Fu tanto dolce e placabile inverso di coloro, che^ne dicevano  male e che lo biasimavano, everso ancora di quelli GheBaiese  mente erano suoi nimici, qualunque egH si fiiésero e per miafun-  que cagione, che avendo il sopraddetto Pisene ahnuUftta le sue  deliberazioni ed angariando i suoi amici e partigianiyrwoàprinja  si sdegnò condro di lui ch'egli ebbe scoperto di essere ancora in  persona propria con incanti e veleni da lui perseguitato. Né con  tutto ciò fece altra dimostrazione centra di lui, salvo che, se-  condo il costume degli antichi, ricusò P amicizia di quello; e  commesse a suoi domestici e familiari che facessero le sue ven-  dette, se per opera di Pisene gli avveniva più un male che  un altro. ' .     190 GAIOCAUGOLA   L'amore e propensione di tutti verso di lui.   Egli di cosi fatte virtù fu largamente rioompeusato e ne sentì  neilanimo grandissima consolazione; perciò che tutti i suoi lo  stimarono tanto e tanto lo amarono, che Augusto (per lasciare  andare gli altri suoi parenti) stette lungamente in proposito di  lasciarlo suo erede e successore, e finalmente comandò a Tiberio  che lo adottasse per suo figliuolo. Fu oltre a ciò tanto amato e  riverito dalVuniversale, che molti scrivono che ogni volta che  egli andava o veniva in alcun luogo, era tanto grande il numero  delle genti, che venivano ad incontrarlo o che Taccompagnavano,  che per calca e' portò alcuna volta pericolo della vita : e che  tornando di Germania, poi ch'egli ebbe quietato gli animi dei  suoi soldati (che volevano, come di sopra è detto, elegger lui  per loro imperadore), gli uscirono incontro tutte le compagnie  de' soldati pretoriani^ non ostante che e' fosse stato comandato  loro che due solamente gli andassino incontro: e che tutto il  popolo romano, uomini e donne, giovani e vecchi, nobili ed  ignobili se gli sparsono d'intorno e gli andarono incontro fuor  della città venti miglia.   Presagii che annunziarono la morte di Germanico  e come fu pianto ancora dai barbari.   Vidersi nondimeno molti maggiori e più certi segni della be-  nevolenza de' popoli inverso di lui in morte e dopo morte che  in vita. Quel giorno ch'egli morì, i tempii furono rubati e gli  altari degli Iddìi mandati sottosopra, ed alcuni vi furono; che  gittarono i loro Iddii domestici e familiari nel mezzo della strada;  e similmente i bambini, che pure allora erano nati^ furono da  loro posti fuor di casa ed abbandonati. Oltre a' ciò dicono che i  barbari nimici capitali e che tuttavia guerreggiavano con esso  noi, come se il danno di una tal morte fosse comune ancora a  loro, acconsentirono di far triegua, dolendosene acerbamente.  Alcuni re si levarono la barba e tosarono i capelli alle mc^li,  [)er dimostrare in cotal guisa grandissimo dolore. Dicono ancora  che il re de' Parti si astenne dello andare a caccia e di ritro-  varsi in convito co' nobili e grandi del suo regno , il che ap-  presso di loro è segno di pubblica mestizia.     QUAIIT0 IMPEBATÒRfi 4^4'   . Mestizia e pianto fatto In Roma per là di lui morte.   I ' - -   In Bomà avendo avuto le nuove della sua malattia, stava la  città mesta ed attonita aspettando i secondi avvisi ed in un su-  bito in sul fare della sera sì sparse, una voce^ senza sapere onde  ellasiTusse uscita, ch'egli era migliorato ; onde d'ogni banda  corsero le genti con molta fretta in Campidoglio coi lumi e colle  vittime per sacrificarle, e parendo loro esser tenuti a bada, fu-  rono per isgangberare le porte del temjpio : tanto erano deside-  rosi di soddisfare i voti che per la salute ili Germanico fatti  avevano. Fu svegliato Kial sonno-Tiberio per le grida di coloro  che facevano festa e si rallegravano, e per tutte le strade anda-  vano cantando : Salva è Roma, salva è la patria^ ch'egli è salvo  Germanico. Ma  Drusilla e Livilla^ nate l'una dietro all'altra,, ed. altr^tiiai)iti'  maschi, Nerone, Druse e Gaio Cesare: de^ quali Nerone e Druse  furono accusati da Tiberio in senato e giudicati ribeUi e ne-  mici del popolo romano.   Luogo e tempo della natività di Gaio' Cesare.   Gaio Cesare nacque a' trentuno d'^agosto, eseendo consoli suo  padre e Gaio Fonteio Capitone ; non si sa dove «egli nascesse,  per la diversità degli scrittori. Gnep Lentulo Getulico scrive     492 . GAIO GAUGOLA   che e' nacque in Tigoti ; Plinio secondo scrìve che e' nacque a  Trevirì nel borgo Ambiatine sopra ai confluenti; e in fede di  questo dice che nel predetto luogo è ancora uno altare dove è  scrìtto : per il parto di Àgrìppina. l versi che furono divulgati,  poi eh' e' fu fatto principe, dimostrano ch'e' nacque nello esercito,  quando i soldati erano alle stanze^ la cui sentenza è questa:   L'esser nato nell'esercito, ed allevato tra ranni paterne,  Era presagio,, costui esser disegnato imperadore.   Io rìtruovo nel libro, dove son notate le azioni del senato^ lui  esser nato in Anzio. Plinio scrive che Getulico per adularlo ha  scrìtto il falso; perchè essendo il giovane borìoso e volendo ren-  derlo glorìoso, volle mostrare che e' partecipasse ancora in qual-  che parte di quella città ch'era consagrata ad ercole e tanto  più venne a dar colore a questa sua menzogna, quanto che uno  anno innanzi era nato in Tigoli un figliuolo a Grermanico, chia-  mato ancora egli Gaio Cesare, della cui piacevolezza e come ei  morisse in fasce, di sopra abbiamo detto. Contro a quello che  scrive Plinio, e' è il numero degli anni, per ciò che coloro, i  quali hanno scritto le cose d'Augusto, convengono che Grerma-  nìco, finito il consolato, fusse mandato in Gallia^ essendhr l'onplin gri? fiicoA ì*^v^{jo (Ji dito.: e per-     QUARTO IMPBRATOBE 495   che e' faceva: segno di non se lo voler lasciar tórre, lo fece af-  fogare con avvolgergli il prìmàccio intorno alla bocca, ed ancora  con le sue mani gli strinse la gola. E perchè un servidore, ve-  duta si fatta crudeltà , avea cominciato a levare il rumore, lo  fece porre in croce spacciàtamente. E tutto questo che s'è detto,  par verisimile , perciocché alcuni scrivono , che se :bene e' non  confessò mai d'averlo fatto morire , tuttavianon lasciò di dire  che aveva avuto ih animo di farlo; massimamente ch'egli usò^.  molte volte di gloriarsi d'essere stato pietoso^ amorevolein vetso-  di Tiberio ; con dire, che essendo una volta entrato in camera dì  quello, mentre che e' dormiva, con un pugnale per vendicar la  morte della. madre e dei fratelli, s'era dipoi pentito, mosso »  compassione di lui, e che partendosi aveva gittate via il pu-  gnale : dicendo ancora, che Tiberio, benché e' se ne fusse accorto, .  nondimeno non aveva avuto ardire d'andar altriménti ricercando-  la cosa.   Imperio di Gaio Cesare Caligola.   Successe adunque nell'imperio con grandissima soddisfazione  del popolo romano,, anzi, per dir così, di tutto il mondo ; perciò-  che da ognuno era desiderato grandemente per principe e mas^  simamente dai sudditi e da soldati, i quali, per la maggior parte, ^-  Piccolino l'avevano conosciuto. Fu ancora -sommamente grato  all'universale della plebe, per la buona memoria del suo padr&  Germanico, come quelli che avevano compassione di quella  casa; parendo loro ch'ella fusse quasi spenta. E però subito  che ó' si mosse da Miseno, accompagnando il t^orpo di Tiberio ,  quantunque e' fu^se vestito a brun o , nondimeno tra le fiaccole  ardenti e nel rappresentarsi all'altare e nel sacrificare e in tutte  quelle cerimonie fu sempre accompagnato da grandissima mol-  titudine di gente ch'erano verniti a incontrarlo ; i quali ripieni  d'allegrezza , oltre a'nomi felici e fausti per i quali lo chiaiVia-  vano, dicevano ancora, come egli era la loro stella ed il loro  bambolino che s'erano allevato.   Le cose da lui fatte neiringresso al principato.   Così entrato in Roma per consentimento del senato e del p^  polo, che per forza si mescolava tra' senatori^ fu annullata l^  irolontà di Tiberio, il quale nel suo testamento aveva fatto ere^-     496 GAIO CAUGOLA   gli dierono piena autorità e balìa di governare ogni cosa a suo  arbìtrio, e si fece grandissima festa ed allegrezza : talché in tre  mesi e non anco interi, si scrive essere stato ucciso e dacrì6cato  più di cento quaranta mila bestie. Ed ivi a pochi giorni andando  a vedere risole che sono intorno a Napoli, furono fatti pubblici  voti perchè e' tornasse salvo ; e ninno era che lasciasse indietro  a far nulla dov'egli potesse dimostrare di averlo grandemente a  cuore e di tenere conto della sua salute e del suo bene essere;  tal che essendo cascato in un poco d'infermità, subitamente gli  furono d'intorno a casa, standovi tutta la notte, e vi furono an-  cora alcuni che votarono di combattere a corpo a corpo s'egli  riaveva la sanità : ed alcuni altri appiccarono pubblicamente le  scritte, come e' sì votavano d'ammazzarsi. Allo smisurato amore  che gli portavano i cittadini romani s'aggiunse ancora quello dei  forestieri, che fu cosa notabile e meravigliosa quanta grazia egli  ebbe appresso di loro. E tra gli altri Artabano re de' Parti, che  sempre aveva dimostro di aver in odio Tiberio e di stimarlo  poco, sp^jntanoamentc venne a chieder grazia di essergli amico  e venne a parlamento con lo ambasciatore de' Romani, e passato  l' Eufrate adorò^ l'aquila e le insegne romane e te immagini dei  Cesari.   Suoi costumi civili ed umani nel principio del suo governo. .   Era ancora tanto umano e popolare , che egli accendeva gli  unimi di ciascuno ad amarlo e riverirlo ; onde avendo fatto una  orazione in laudo di Tiberio con influite lagrime e magnifica-  mente sotterratolo , subitamente se n'andò alla volta dell'isola  Pandataria e dì Ponzo, per trasferire le ceneri della «madre e del  fratello in Roma : né si curò per dimostrarsi maggiormente pie-  toso, che il tempo fusse turbato. Ed arrivato che e'Iù, le andò  a trovare con molta riverenza e di propria mano le acconciò e  pose nelle urne ; e con le medesime cerimonie posta una inse-  gna in poppa dr un brigantino , se ne venne a Ostia. Dipoi pel  levcn*. entrò in Roma , facendo tirare il brigantino contro al-  l'acqua a' primi dell'ordine de' cavalieri di mezzo giorno, in pnj-  sonza quasi di tutto il popolo. E così avendole messe in due ar-  chetto, le pose dentro al mausoleo : e ordinò che ogni anno si  celebrassero in pubblico le loro esequie. Oltre a ciò volle, che  in onore della madre si celebrassero ancora i giuochi circensi:  e che quando e' s'andava processione, vi fusse ancora un carro  r,hiamato Carpento in onor dì quella. E per memoria del padre      QUARTO IMPERATORE i97   volle che il mese dì settembre fusse chiamato germanico. Ap-  presso feoe fare un decreto al senato nel quale furono attribuiti  ad Antonia sua avola tutti quelli onori e titoli ch'erano stati  concessi in divèrsi tempi a Livia Augusta. Elesse ancora Clau>  dio suo zio (in quel tempo cavalier romano) per compagno nel  consolato. Adottò il suo fratello Tiberio il di ch^ e' prese la toga  virile e lo chianiò prìncipe della gioventù. E perchè le sue so-  relle fossero di maggior riputazione e più onorate, volle ch'elle  fussero consagrate solennemente in tutti i modi soliti ; talché i  cittadini romani usavano di parlare e di scrivere in questo modo :  Io non tengo più caro me stesso ed i miei figliuoli , che io mi  faccia Gaio Cesare e le sue sorelle. Cosi avendo i consoli a rìfo-  rire cosa alcuna in senato , nel principio del parlar sempre di-  cevano : con felicità e buon prò di Gaio Cesare e delle sorelle.  Dimostrossi ancora umano e compassionevole inverso di quelli  ch'erano condennati o confinati : rendendo loro i confini e libe-  randogli. Oltre a ciò, tutte le accuse, atti ed esamine ch'erano  state fatte al tempo di Tiberio contro alla madre , contro a' fra-  telli e contro alle sorelle, acciò che tutti quelli che v'erano in-  tervenuti, come accusatori, o come testimoni, o come giudici  non avessero per lo avvenire a dubitare di cosa alcuna, furono  da lui fatte portare in piazza; e primieramente avendo ad alta  voce chiamato gli Iddii in testimonio che non aveva né letto né  tocco cosa alcuna, le fece abbruciare. Ed essendogli porto una  scritta che gli dava notizia di una congiura che gli era fatta con-  tro , non la volle pigliare nò vedere chi fossero i congiurati ;  con dire, che non aveva commesso cosa alcuna onde persona  gli avAsse a voler male : usando ancor dire, che per le spie e  che per quelli che rapportavano non aveva orecchi.   Alcuni di lui modi civili e della sua moderazione .   Cacciò di Roma i maestri di quella disonestà , che da Tiberio  erano chiamati spintrie : e vi fu che fare assai a temperarlo  che e' non gli gittasse in mare. Fé' cercare delle opere che  avevano composto Tito Labieno e Cordo Cremuzio e Cassio Se-  vero, che dal senato erano state fatte levar via ^ e dette licenza che  ognuno che voleva le potesse leggere e. tenere in casa, con dire,  che per lui si faceva assai, che dei fatti di ciascuno ne restasse  memoria a quelli che avevano a venire. Dette conto in pubblico  dell'amministrazione dell'imperio ; il che era solito di fare Au-     498 GAIO CALIGOLA   piena e lìbera autq|rità ; né voile che a lui si potesse appellare  alcuno. Fu molto rigido e severo in rassegnare cavalieri e rive-  der loro il conto ; ed a tutti quelli che avevano fatto qualche  ribalderia, ovvero poltroneria, toglieva pubblicamente il cavallo,  « di quelli che manco avevano errato, nel rassegnare faceva  trapassare il nome senza leggerlo. Per tor briga a' giudici, ag-  giunse la quinta alle quattro prime decurie de' giudici. Tentò  ancora che il popolo al costume antico potesse raunarsi e ren-  dere i partiti. Soddisfece e pagò fedelmente e senza pregiudicare  a persona, tutti i lasciti che Tiberio aveva lasciati per testa-  mento, benché ei fussero stati annullati : e quelli ancora del te-  •stamento di Livia che da Tiberio era stato nascoso. (4 ) Licen-  ziò il mezzo per cento a coloro che compravano alcuna cosa  all'incanto: i quali danari erano soliti di pagarsi agli arrenda-  tori deirentrate pubbliche. Rifece a molti i danni ricévuti' per  le arsioni. Ed a que' re, i quali furono da lui rimessi in istato,  rifece loro tutte l'entrate di gabelle e d'altro , del tempo che era  corso di mezzo ; come ad Antioco Comageno due milioni e cin-  quecento mila scudi , che tanti delle sue entrate s'erano riposti  nel fìsco. E per mostrare che tutte le buone usanze gli piace-  vano e di voler dare agli altri buon esempio, donò a una donna  libertina due mila scudi; perciocché essendo tormentata con  gravissime torture, non però aveva manifestate cosa alcuna delle  scelleratezze del suo padrone. Per le quali buone opere tra gli  onori gli fu per deliberazione del senato concessa uno scudo  d'oro, il quale ogni anno in un di determinato i collegi de' sa-  cerdoti avessero a portare in Campidoglio, accompagnati dal se-  nato e da' fanciulli nobili cosi maschi come femmine: i quali  cantavano certi versi della sua lode e virtù , messi in musica.  Fece ancora il senato un decreto che il di nel quale egli aveva  preso l'imperio fusse chiamato Palilia : come se in quel giorno  Roma fusse stata riedificata di nuovo.   Dei suoi Consolati e della liberalità usata col popob.   Fu quattro volte consolo. Nel primo consolato stette due  mesi, nel secondo trenta giorni, nel terzo tredici e nel quarto  undici. Questi due ultimi seguirono l'uno'dietro airaltro*: nel  terzo ch'egli prese , trovandosi in Lione, non ebbe compagno  alcuno : né ciò fece per superbia o negligenza, come alcuni si   (1) Licenziò qui sta per rimise.     QUARTO IMPERATORE 499   Stimano, anzi perchè il suo compaio era appunto morto in quei  di ch'egli aveva a pigliar l'uffizio e Caligola non si trovando in  Roma, non aveva potuto avere avviso della morte di quello in  tempo. Diede due volte la mancia al popolo, sette scudi e mezzo  per uomo. Fece ancora due bellissimi conviti a' senatori ed a' ca-  valieri: e convitò ancora le lor mogli ed i figliuoli insieme.- Nel  secondo convito donò per ciascuno uomo una veste molto ono-  revole da andare fuori con essa : ed alle donne ed a' fanciulli  donò per ciascuno certi grembiuli di porpora. E per accrescere  , ancora in perpetuo la letizia pubblica , aggiunse un dì a' Satur-  nali e lo chiamò Giuvenale.   Spettacoli da lui fatti rappresentare:   Fece fare il giuoco de' gladiatori una volta neiranfìteatro di  Tauro Statilio e -l'altra in Campo Marzio : e vi fece ancora fare  il giuoco delle pugna, avendo mandato per gente in Africa e nel  regno di Napoli e fatto scorre i migliori e i più atti a-quell-eser-  cizio. Stava come giudice sopra una residenza a vedere i detti  giuochi, ma non (\) tuttavia: usandoci dare alcuna volta tale  uffizio a certi magistrati ed: ^ qualche suo amico. Usò ancora  molto spesso di fare recitare commedie e rappresentazioni di  varie sorti : e molte ne fé' recitar di notte e tenere i lumi accesi  per tutta la città. Gettò ancora dalle finestre molte cose al po-  polo, come veli di lino, odori ed altre cose simili. Dette oltre a  ciò a tutto il popolo un panier per uno di cose da mangiare :  e perchè un cavaliere che gli stava dirimpetto a tavola mangiava  molto allegramente e di buona voglia, gti mandò' a presentare la  sua parte : simigliantemente a un senatore per la medesima ca-  gione scrisse una polizza con dirgli che lo aveva fatto pretore  per lo strasordinario. I giuochi ch'e' fé' celebrare nel Circo Mas-.  Simo, furono di varie sorti e durarono dalla mattina insino alla  sera : perciò ch'egli vi fece far caccio di pantere di quelle che  vengono di Barbeì*ia. Fecevi ancor far il giuoco chiamato Troia.  Ed in alcuni de' predetti giuochi, ch'erano i principali, tinse di  minio il pavimento del Circo Massimo e lo fece i^verniciare di  vernice gialla; e volle che quelli che correvano sopra alle car-  rette, fossero tutti dell'ordine de' senatori. Mossesi ancora in un  subito a fare celebrare alcuni de' predetti giuochi a richiesta di  certe persone ch'erano sopra a' palchetti- vicini a lui : mentre   (1) Tuttavia qui significa continuamente.     200 GAIO GAUGOLA   eh egli andava veggendo se lo apparato era secondo la legge so*  pra a ciò fatta.   Nuova maniera di spettacolo da lui inventato.   Fece ancora celebrare certe feste non mai più udite né re-  dute ; perciò ch'egli gettò un ponte sopra il mare di tre mila se-  cento passi circa, che teneva da Pozzuolo insino a Baia , dove  egli aveva messo alla fila di qua e di là di molte navi e ferma-  tole in su le àncore e fattovi sopra una bàstia di terra ; ed ac-  conciollo in modo ch'e' veniva appunto a dirittura della via Ap-  pia ed egli passò in persona sopra il predetto ponte andando e  tornando : il primo giorno sopra a un bellissimo cavallo con la  sua testiera ed altri abbigliamenti , avendo in testa una corona  di quercia, una targa di cuoio e la spada ed una clamide indosso ;  l'altro giorno appresso vi passò sopra a una carretta tirata da  (lue superbi corsieri in abito di uno di quelli che guidano le  carrette che sono tirate da quattro cavalli , rappresentando un  fanciullo chiamato Dario , ch'era uno degli statichi de' Parti ,  avendo intomo a sé una squadra di soldati pretoriani e dentro  certe carrette un gran numero di suoi amici. So che molti hanno  stimiate tal ponte essere stato edifìcato da Caligola ad imitazione  (li Serse ; il quale ne gittò ancora egli uno alquanto più stretto  sopra l'Ellesponto che fu tenuto cosa maravigliosa. Altri dicono  che lo fece per ispaventare i Germani e gl'Inglesi con qualche  opera maravigliosa; a' quali popoli egli aveva disegnato di muo-  ver guerra. Ma io essendo ancor fanciullo sentii dire al mio  avolo che i cortigiani più intrinsechi di Caligola gli dissono che  la cagione fu, che Trasiilo matematico aveva affermato a Tibe-  rio , il quale desiderava di sapere chi gli avesse, a succedere ,  come che egli con l'animo fusse più inclinato al suo vero nipote,  **he Gaio a quell'ora sarebbe imperadore , ch'egli correrebbe a  avallo pel golfo di Baia.   Spettacoli da lui fatti ne' suoi viaggi in paesi stranieri.   Fé' celebrare ancora alcune feste in paesi forestieri , come in  Cicilia nella città di Siracusa i giuochi aziaci ; ed in Francia nella  Mik di Lione alcuni giuochi chiamati Miscelli (per essere una  "nescolanza di varie cose) ed ancor messe in campo uomini elo-  luentissimi in greco ed in latino , i quali feciono a chi faceva  Aiì bella orazione : e dicono che i vinti premiarono i vincitori     QUARTO nCPBRATOHE 201   e furono ancora costretti a comporre la lode di quelli. Ma a  quelli le.cui orazioni erano assai dispiaciute, fu connandato che  con la spugna o con la lingua le scancellassero se e' non vo*  levano toccare delle sferzate o essere gettali nel fiume.   EdifiziT pubblici da lui stabiliti e terminati.   Finì di edificare il teatro di Pompeo ed il tempio di Augusto  che da Tiberio erano stati lasciati imperfetti; e cominciò gli  acquedotti che vengono di versa Tigoli e l'anfiteatro che è vi-  cino al Campo Marzio- Ma gli acquidotti furono finiti di edificare  da Claudio suo successore, ed il tempio di Augusto rimase im-  perfetto. Rifece le mura di Siracusa rovinate per l'anlichilà, e  vi fece ancora riedificare il tempio degli Iddii. Aveva in oltre  disegnato di ristaurare la loggia regale di Polieràte neHa città  di Samo e di fornire nella città di Mileto il tempio di Apollo  chiamato Didimeo e di edificare una città nel giogo dell'Alpi. Ma  sopra ognialtra cosa aveva nell'animo di tagliare lo stretto della  Morea; e di già aveva mandato Gaio suo centurione che vedesse  quello che faceva di mestiero per la detta impresa.   Sua hurbanza ed alterigia.   Le cose narrate insino a qui sono state di principe ; quelle che  si hanno a narrare saranno come d'un mostro. F^cevasi adunque  chiamare in più modi; come Pio figliuolo e padre degli eserciti  e Cesare Ottimo Massimo. E sentendo a caso alcuni re ch'erano  venuti a Roma per far il loro debito e rèndergli onore, i quali  cenando in casa sua disputavano insieme della nobi'Uà de' loro  antichi, disse ad alta voce in grecò : Un solo signore , un solo  re deve esser riverito dagli uomini ; e poco mancò che egli non  prese la diadema, riduceudo il governo della Repubblica a guisa  di regno. Ma perciò che gli fu detto che la sua grandezza avan-  zava quella de' j»e e de' princìpi, cominciò da quivi innanzi at-  tribuirsi quelli onori che si convengono alla maestà divina ; e  dato commessione che tutte le statue degli Iddii ch'erano pre-  clare per arte e per religione insieme con. queUa di Giova Olim-  pio gli fussero portate, e che levato loro il, capo vi fusse posto  il suo. Accrebbe il palazzo, e venne con la muraglia insino alla  piazza ; talché il tempio di Castore è Polluce venne a essere l'an-  tiporto del detto palazzo. Usava adunque spesse volte di porsi  nel mezzo delle statue di que' due fratèlli Castore e Polluce,   14 SvKTONio. Vite dei Cesari.     30^ GAIO CALIGOLA   acciocché 'le genti che passavano l'adorassero ; e furono alcuni  che lo salutavano chiamandolo Giove Laziale. Ordinò ancóra un  tempio particolare m onore della sua divinità; e cosi volle i suoi  particolari sacerdoti e certi modi di sacrificare le vittime molto  esquisite. Stava nel tempio la sua statua d'oro, la quale corri-  spondeva con tutte le membt*a alla sua persona ; e la vestiva  ogni giorno dei medesimi panni ch'egli vestiva se niede^mo.  Ciascuno de' più ricchi ambiziosissimamente e con grandissime  offerte comperava l'uffizio defl detto sacerdozio; il qiiàlé rioni da Fondi. È roSa  manifesta che volendo la sua avola Antonia parlare secretamente  con Aufìdio Lingòne che in Roma era stato di magistrato , egli  disse che non voleva ch'ella gli parlasse , se non aila presenza  di Macrono capitano de' soldati pretoriani ; Hche fu cagióne della  sua morte , parendogli esser maltrattata da lui , benché alconi  dicono ch'egli la avvelenò; né poi ch'ella fu morta gli fece al-  cuno onore e stette a vedere ardere il suo corpo dalle finestre  delia sala dove egli mangiava. Kece amfViazzare il suo fratello  Tiberio in un subito da un tribuno de' militi all' improvviso , e  quando egli manco se lo pensava. Costrinse allora Sillano suo  suocero a morire e scannarsi con un rasoio, dicendo che la ca-  gione perchè ei l'aveva indotto ad uccidersi ora perchè o'non aveva  voluto andare in sua compagnia per mare, avendolo visto al- -  quanto turbato; e ch'egli ciò aveva fatto con disegno d'insigno-  rirsi di Roma , so per disgrazia avveniva ch'egli per fortuna di  mare fusse annegato. La cagiorìedi aver fatto ammazzar Tiberio-  diceva essere stata , perciocché egli usava di fiutar certe cose  contro al veleno, mostrando di aver sospetto di lui: ma Sillano  non era andato seco perchè il mare- gli dava noia e per ischi-  fare quek disagio; e Tiberio usava di tener ih bocca certe cose  appropriate alla tossa, la quale gli da\a -grandissimo fastidio. E  se egli non incrudelì contro a Claudio suo zio, e lo conser\'T) in  vita come suo successore nell'imperio, ciò fu da lui fatto più per  burla e dispregio che per altro.   Sua lussuria con tutte le sorelle.   Ebbe che fare carnalmente con tutte le sue sorelle, ed allora  che la tavola sua èra piena di persone^ se ne poneva quando Una  e quando un'altra a sedere a canto da man sinistra ^ avendo  sempre la moglie da man destra. E credesi che e' togliesse la  virginità a Drusilla essendo ancor fanciulletla. E dicono che Ab-  Ionia sua avola , in casa della quale si allevavano insieme , lo  trovò una volta a giacer con lei.. Tolscla ancora a Lucio Cassio  Longino, ugmo consolare, al quale era maritata, e pstlesemente  se la tenne come sua legittima sposa. Ed essendo infermo , la  fece ancora erede de'suoi beni e dell' imperio: e poi che ella fa  morta, comandò per tutta la citt^chesi serrassero le botteghe  e si facesse segno di pubblica mestizia e dolore : nel qual tempo     204 GAIO CAUGOLA .   fu peccato capitale' llavere riso , l'essersi lavato, l'aver cenato  col padre o colla madre o colla moglie o con i figliuoli. E non  potendo resistere al dolore^ né trovar luogo in modo alcuno, ^ì  parti di notte in un subito di Roma , e facendo la via di Napoli  prestamente se n'andò ii Siracusa: e senza dimorarvi punto, su-  bitamente se ne ritornò a Roma con la barba e con i capelli  lunglii ; né mai dipoi in presenza del popolo o de' soldati parlò  sopra cosa di grande importanza, ch'egli non giurasse pel nome  di Drusilla. Le altre sorelle non furono da lui amate con si sfre-  nato ardore e ne tenne manco conto assai : perciocphè egli molte  volte le dette In preda a'suoi cinedi. Onde nell'accusa di Emilio  Lepido che aveva congiurato contro di lui, egli le condannò con  manco rispetto come adultere e còn^apevpli della predetta con-  giura ; e non solamente mostrò le scritte di mano di ciascuno  de' congiurati, che per via d'inganni ed adulterii gli erano per-  venute nelle mani , ma mostrò ancora tre spade apparecchiate  per ucciderlo, e le consagrò a Marte Vendicatore con appiecarvi  le scritte.   De* suoi matrimonii e delle mogli. • .   Non si può agevolmente discernere se egli fu più vituperoso  in quella moglie che e' prese , o in quelle che ei ^ic^ziò, o in  quelle che e' tenne per sue senza licenziare. Essendo Livia Ore-  stiHa maritata a Gaio Pisone , e Gaio Pisene essendo venuto in  compagnia degli altri per onorarlo e /are il debito suo, comandò  che la gli fusse menata a casa , e fra pochi giorni repudiatola,  in capo di due anni la confinò; perciò ch'ella in quel tenapo  aveva ripreso la pratica del primo marito. Altri sprivonoche es-  sendo stato invitato alle nozze, comandò a Pisone che gli sedeva  al dirimpetto , che non si aggravasse sopra alla sua moglie , e  subito la fece levar da tavola : usando di dire il giorno appresso  che aveva di nuovo introdotto in Roma il costume antico di Ro-  molo e d'Augusto in guadagnarsi la moglie. Lollia Paolina era  maritata a Gaio Memmio, uomo consolare e capitano dell'eser-  cito ; e sentendo far menzione dell'avola sua, come di quella ebe  era stata già bellissima , subito la fé' tornare in Roma insieme  col marito, e toltola per sua moglie ed ivi a poco^ licenziatala,  gli comandò che in perpetuo non usasse più con persona. Amò  molto ardentemente Cesonia , e perseverò assai nello amor di  quella, la quale non era di viso molto bella, né per età molto  giovane, e deiraltro marito aveva partorito tre fn^liuoie, ma èra     QUARTO IME»£RATORE ^05   donna molto lussuriosa e lasciva oltre misura. Egli usò molte  volte di vestirla alla soldatesca con la clanìide in dosso, lo scudo  in braccio e la celata in testa ; e cavalcandole così alla seconda, .  ne fece la mostra a' suoi soldati: ma agli amici la mostrò  egli ignuda, e subito ch'ella ebbe partorito la prese per moglie;  ed il di medesimo confessò d'essere suo marito e padre di quella  bambina che di lei era nata, alla quale egli pose nome Drusilla :  e la menò attor-no per lutti i tempii delle Dee e posola in grembo  a Minerva , raccomandandogliele ch'ella l'allevasse ed ammae-  strasse. Ne per alcuno più fermo indizio credeva ch'ella fusse del  -suo seme, che per la sua fìerezza ; perciocché ella ora tanto stiz-  zosa e fiera, che con le dita distese percoteva la bocca e gli occhi  de' fanciulli che scherzavano con lei.   Sua crudeltà verso i suoi congiunti ed altri.   Sarà cosa leggieri e fredda aggiognere a quel che di sopra è  detto , in che modo egli trattò i suoi parenti ed amici , e tra i  primi Tolomeo re, figliuolo di Juba suo cugino; perciocché egli  ancora era nipote di Marco Antonio , cioè figliuolo di Elena sua  figlia. E cosi c^me egli, trattò Macrone ed Ennio che lo favori-  rono in farlo imperadore , i quali tutti gli erano parenti ; e per  grado de' benefiziì che alni gli avevano fatti ricevettono in pa-  gamento la morte. Fu parimente crudele contro al senato , nò  gli ebbe piò rispetto che a' sopraddetti. Non si vergognò che al-  cuni cittadini che s'erano ritrovati ne' primi magistrati in toga  gli avessino a -correr dietro e d' irttorno alla carretta parecchie  miglia; e che cenando gli stessero ritti davanti, ora a' piedi suoi,  ora intomo alla credenza col grembiule bianco innanzi. Oltre a  ciò ne fece ammazzare alcuni di loro ascosamente, e di poi gli  fQ'citare^ dando voce' ivi a pochi giorni che e' s'erano morti da  per loro. Privò del consolato alcuni cittadini perchè s'orano di-  menticati di far bandire il giórno del suo nascimento; e la Re-  pubblica per tre 'giorni stette senza il primo e più importante  magistrato. Fece battere il suo questore nominato nella con-  giura, con fargli cavare i panni di dosso e porre sotto a' piedi d*'  ■quelli che lo battevano : perchè senza sdrucciolape meglio lo po-  tessero battere. Usò la medesima superbia e crudeltà contro ai  cavalieri e contro a' popolani; perciò ch'essendo inquietato pe>  gran romore che facevano coloro che pigliavano i luoghi a mezzi  notte nel circo per non avere a spendere^ tutti a suon di bastr  nate gli lece cacciar via ; e venti oava^^eri o più f^^^nà i"  sando^i per esser malato, mandò la lettiga: un altro, poi Che egli  fu stato a vedere , lo fece andar secò a mangiare , e cori ogni  piacevolezza e intrattenimento Tandò accarezzando perchè egli  stesse allegro e si flettesse a burlare e cianciare. Quello ch'era  sopra alle cacce e ^opra 'alle feste, fattolo ^tare per alquanti di  incatenato con farlo battere, non prima fece ammazzar^ che e' si  senti offeso dall'odore del cervello putrefatto. Fece abbruciare  nel mezzo doU'anfiteatro. un conoponitore di farse, per un verso-  lino ch'era un poco ambiguo. Fé' gettare un cavalier romano alle  fiere; e perche ei gridò ch'era inijocente, lo fece ritirare in-  dietro e tagliargli la lingua; ed appresso lo rimandò a farlo di-  vorare. . -   Sua crudeltà verso i relegati e òon un senatore.   Domandato uno ch'egli aveva fatto tornare d'esilio , dov'era  invecchiato, quello^ ch'egli faceva in detto luogo, e rispondendo  colui per adularlo: -Io pregai sempre Iddio che (come accadde)  Tiberio morisse e tu fossi fatto inaperatore ; immaginandosi che  quelli ch'erano stati conBnati da lui, contro di lui pregassero il  medesimo, mandò intorno a quell'isole dove égli eraiìt) a farli tutti  ammazzare e tagliare a pezzi. Ed essendogli venuto capriccio di  fare ammazzare un senatore, messe eerti alle poste, i quali^  mentre ch'egli entrava in senato, chiamandolo nimico pubblico,  subito io assalirono, e sforacchiatolo coi^ gli stiletti. di ferro lo  dettone in preda al pòpolo che ne facesse brani ; nò prima .fu  sazio ch'ei vide tutto il suo corpo tagliato a membro a pembro  e strascinato per le strade ; e dipoi si vide dinan.zi agli occhi  tutti i pezzi di quel corpo, raccolti insieme con le interiora in  un monte. ,   Alcuni di lui detti pieni di ferocità e violenza.   Le parole crudèli ch'egli usava facevano parer più crudeM i suoi  crudelissimi fatti ; dicendo di se stesso .che d^lle buone parti che  egli in so avQSse, l'era (per usare il suq proprio .vocabolò)'la AàriO'  tepsia (cioè l'èssere sfacciato e sen^a vergogna alcuna). Bijpren-     208 GAIO CALIGOLA   dendolo Antonia sua avola, gli rispose (come quello che sUmaTa  poco l'esserne ubbidiente e riverirla): Ricordati che a me è lecito  di fare ciò ch'io voglio contro a qualunque .persona. Quando ei  fece ammazzare, il fratello, dubitando che per paura d'essere av-  velenato e' non si fusso provveduto di qualche rimediò contro al  veleno, disse: Rimedio contro a Cesare? Minacciava le aorelle  che dà lui erano state confinate, con dire che, non bastando di  averle confinate nell'isole, aveva ancor modo di farle ammazzare  con le spade. Un cittadino il quale era stato pretore, essendo tor-  nato dell'isola di Anticira, dove egli ei^ andato per essere mal  sano, e addimandando, per guarire affatto, nuovamente licenza,  comandò Caligola che e' fusso ammazzato : dicendo che_bisognava  trar sangue a chi in tanto tempo non aveva giovato lo elleboro.  Ogni dieci dì era splito di rivedere le carceri e scrivere quelli  che fussero ammazzati, usando di dire che recava i conti al  netto. Avendo in un medesimo tempo sentenziato alla morte  alcuni Greci ed alcuni della Gallia, si gloriava di aver soggio-  gata la Gallogrecia, la quale è una provincia nell'Asia.      Peggiori e più atroci di lui fatti.   Voleva che a coloro che e' faceva ammazzare fussero solamente  date certe punture minute e spesse : avendp- sempre in bocca  quel suo precetto divulgato : Feriscilo in modo che ei s'accorga  di morire. Avendo pei* errore fatto ammazzare uno in cambio di  un altro, disse che ancora egli aveva meritato il medesimo. A  ogni poco usava di dire quel detto tragico: Stiano pure in timore  e voglianmi male a lor modo. Incrudelì ancora contro a tutti i  senatori, come partigiani di Sciano, e come queHi che, per avere  accusato sua madre ed i suoi fratelli, erano stati cagione che  Tiberio gli avesse fatti morire ; producendo gli scritti i quali egli  "aveva fatto vista di avere arsi: e scusando Tiberio di averli fatti  ammazzare, con dire che, essendo tanti gli accusatori e di sì  grande riputazione, egli era stato necessitato di prestar loro fede.  Continovamente diceva villania e con parole ingiuriava i' cava-  lieri romani ; dicendo che eglino, erano uomii)! da servirsene a  commedio e feste, perciò che non sapevano fare altro. Adiratosi  contro ai-popolo perchè mostrava di favorire nel fare le carrette  a correre la parte coritraria a quella che esso desiderava che  vincesse, gridò ad alta voce : Iddio volesse ^che il popolo romano  avesse un sol collo. Essendogli addimandato che un certo ladrone  chiamato Tetrinio fusse punito, disse che quelli che lo Addiman-     QUARTO IMPERATORE 209   davano tutti erano Tetrinii. Combattendo cinque Féziarii (cioè gla-  diatori che combattevaiio con una réte da pigliar pesci , con la  quale avevano a scoprire il nimico', e con una pettineMa per uno  in mano che aveva un pesce per insegna in testa), e senza fere  difesa alcuna essendosi lasciati vincere avendo ceduto agli av-  versari!, comandò Caligola a' predetti avversarii che gli ammaz-  zassino : . onde uno de* reziarii presa la pettinella in mano am-  mazzò tutti i predetti avversarii. Pianse allora Caligola questa  uccisione come cosa atrocissima e crudele ; e pubblicamente per  via del banditore maledisse tutte quelle persone alle quali era  bastato l'animo di stare a vedere.   Suoi lamenti per la felicità dei suoi tempi.   Era ancor solito di rammaricarsi palesemente della condizione  de' tempi ne* quali egli viveva, perchè e' non seguiva qualche  rovina universale e grande da fare che e' fussino ricordati appresso  di quelli che avevano a venire: dicendo che a' tempi di Augusto  era seguitata la occisione Variana ; aiiempi di Tiberio la rovina  dello anfiteatro nella-città Sei Fidenati, doVe erano morti quei  ventimila ; le quali rovine amendue erano state notabili ; e che  de' tempi suoi andando le cose tanto prosperamente non era per  esserne fatta menzione alcuna. E ad ogni poco diceva che desi-  derava che qualche uno di quelH eserciti che erano fuora fusse  rotto e mandato à fil di spada ; ,o veramente sì che e* seguisse  qualche fame o qualche pestilenza o arsione, o ch^ la terra si  aprisse in qualche luogo.   ■ ' "■ ■  Sua crudeltà nelle cene, nei giuochi, ne' spettacoli e ne' sagrifizìi.   Giuocando, diportandosi e ne' conviti ancora in fatati ed in parole  sempre usava la medesima crudeltà. Spesse volte dinanzi al suo  cospetto mentre e' mangiava era esaminato qualcuno per via di  torture. Ed un soldato il quale aveva buona maniera in quell'arte  tagliava quivi loro la testa in sua presenza. Quando egli ebbe  edificato il ponte di Pezzuole, che di sópra abbiam detto, ed es-  sendovi sopra, fece venire a sé un gran numero di gente di quelli  che stavano a vedere in sul lite del mare, e subito che e' furono  arrivati gli fece, gittare in mare ; e appiccandosi alcunidi loro ai  timoni ed alle navi gir faceva ricacciar sotto co' pali con le stanghe  e con rèmi. Facendo in Roma un convito al popolo in pubblico,  vi fu un servo cb^ levò da uno dì quei lettucci dove si Rta a se*     240 GAIO OAUGOL^   dere a tavola una bandella di argento; onde égli fé' \^nire spac-  ciatamcntejl carnefice e gli fece tagliar le mani e appiccargliele  al collo, acciò eh' elle gli pendessero ^ù del petlo: e fattogli  [)ortare una tavoletta nella quale era sciitto il furto che egli  aveva fatto, lo fo' menare attorno alle t3:vole di tutti coloro che  erano convitatii Scherzava con un gladiatore, ed avevano una  bacchetta in man per uno con la quale schermivano ; distesesi  in terra il gladiatore in pruova mostrando d'essere da lui supe-  rato^ di che eg)ì prese il pugnale e raramazzò, o secondo il costume  de' vincitori scorso il campo eoa la palma- in mano. Una volta  sacrificando, vestita solennemente secondo il costume, e fatto  accostare la vittima allo aitarci,. al^ò il "mazzo e dette con esso in  su la testa al ministro ch'era quivi per iscànnare quello animale.  Trovandosi a un bellissimo convitò, cominciò in un subito senza  proposito alcuno a sgangasciare delie risa : e domandato dai  consoli che appresso Risedevano piacevolmente perchè egli cosi  ridesse, rispose : perchè credete, se notì perchè io posso con un  sol cenno farvi 'scannare amendue òr ora?   Àpelle fatto da lui staffilare, e altri suoi detti.   Trovandosi accanto alla statua di Giove in varii ragionamenti  e molto piacevoli, si rizzò in piedi e domandò un certo Apelle  istrione e rapprèsentatore di tragedie, accostandosi così alla pre-  detta statua, chi gli pareva maggiore, o lui o Giove, e penando  quello a rispondere lo fece scoreggiare ; e raccomandandosi e do-  lendosi Apelle, lodava la sua voce, dicendo ch'ella nel sospirare- e  rammaricarsi era: àncora molto soave e chiara. Ogni volta che e'  baciava il collo della moglie o della amica sua usava di dire: io  posso pur fare spiccare a mia posta quésto mio colUcino così  buonjD. Oltre a ciò usava di di/e a ogni poco che Voleva un dì a  ogni modo tormentare la sua Cesonia^ e colle cordelle esaminarla  e farle confessare qual fusse la cagione, ch'egli cosi fortemente  l'amaVa. !^   Sua malignità e. superbia verso tutti.   Era non manco invidioso e matignq che superbo e crudèle; nò  fu quasi sorte alcutìa di uomini di qualunque età ch'egli non  perseguitasse. Le statue degli uomini illustri,^ che per la stret-  tezza del luogo erano stateievate da Augusto di su la piazza del  Campidoglio e poste nei. campo Marzio, furono da lui rovinale e     QUARTO IMPERATORE 2'M   gua^; in modo, che chi -le avesse volute rifare non avrebbe  non che altro potuto-ritrovarne i titoli . E da quivi innanzi comandò  che nìuho ardisse di porre statue o immagini di persona in luogo  alcuno senza sua espressa licenza. Ebbe ancora in animo di faro  ardere tutte le opere di Omero dicendo : perchè non è lecito a  me il medesimo che a Platone il qnale gli dette bando della sua  ^ Repubblica? E poco mancò ancora che d«3lle librerie ch'erano in  Roma egli non facesse levar via tutte l'opere di Virgilio e quelle  di tito Livio insieine con le loro immagini ; biasimando Virgilio  come persona senza lettere e di nessuno ingegno, e di Tito Livio  dicendo ch'egli era un ciarlatore ed uno scrittore a caso. Mo-  strava ancora di ypler levar via tutti i li|3ri delte leggi ; dicendo  che un di aveva a fare in iiiodo cht^ i dottori non potrebbpno al-  legare altri Che lui. , '.   Sua invidia verso lutti.   Tolse a tutti i più nobili le insegne do' loro antichi, come a  Torquato il Torqae (cioè quella collana che e' portavano al collo),  a Cincinnato il Cincinno (cioè il capello ricciuto), a Gneo Pompeo  tolse ancora il cognome di Magno. Fece ammazzar Tolomeo (il  quale io dissi di sopra), che fatto venire in Roma, da lui era stato  molto onorevolmente ricevuto, non per altra cagione , «e non  perchè facendosi il giuoco, de' gladiatori, vide che nell'entrar il  detto Tolomeo nel teatro, per la veste di porpora la. quale egli,  aveva indosso molto ricca e bella, aveva fatto che tutti quelli  che erano presenti si erano vòlti a guardarlo. Tutti i belli e che  avevano bella zazzera, ogni vòlta che evenivano davanti a lui,   . gli faceva tosare nella collottola e gli 'rerideva brutti. Era un  certo Esio Procolo figliuolo di un centurióne, il quale per essere  molto compariscente e bello e_ di grande statura era chiamato  Colosso, egli lo fece. levar da vedere il giuoco de' gladiatori e lo  fece mettere in campo è provarsi con uno di* quelli gjadiatgri  che sono chiamati Traci ; ed appresso con un altro di quelli che  combattevano con lo scudo; e perciò ch'egli era rimasto vinci-  tore amendue le volte, comandò subito che &' fusse legato e  rivolto . in certi stracci di pannp e alenato a mostra per tutta  Roma che le donne lo vedessero; e di poi lo fece scannare. E  finalmente ninno fu di sì abbietta condizione nò di sì basso stato   ' a' comodi del quale egli non fusse nimico e cercasse di guastarli  per tutte le vie che poteva. Il sacerdote che abitava nel boschetto  cònsagrato a Diana , e perciò era chiamato il re Nemorense, aveva     212 GAIO CALIGOLA   molti anni godutosi quel nome e quel sacérdoziì) : onde Caligola  mosso ad invidia gli messe addosso un fuggitivo molto valente e  gagliardo, acciocché e' venisse contjuello alfe mani e lo spogliasse  insieme della vita e del sacei«dozio. Avendo il popolo romano fatto  grandissima festa ed allegrezza por cagiono di un certo chiamato  Porlo, e mostro di esser molto ben vólto inverso di hii perciò  ch'egli aveva liberato un suo schiavo il quale combattendo era  restato vittorioso, si levò con tanta furia da vedere le feste che  allora celebravano ; che postosi in piedi sopra a un lembo della  toga cascò giù a terra de' gradi a scavezzacollo ; e tutto ripieno  di sdegno andava gridando e dicendo che Un popolò, romano il  (juale è signor del mondo, per sì leggier cosa renda più onore a  un gladiatore e ne faccia più stima che de* principi i quali sono  socrosanli, e massimamente di me ed in mia presenza.   I   Della sua lussuria e libidina.   Fu |)ari mente disonesto con altri come altri fu disonesto con  lui ; e dfcesi che Aon per altro volle bene a Marco Lepido e a  Marco Nestore- Pantomimo e ad alcuni altri datigli per istatìchi,  se non perchè disonestamente avevano usato Tun con l'altro.  Valerio Catullo giovanetto nobile e consolare disse palesemente  che aveva dormito con lui e che lo aveva tante volte stuprato ,  ch'egli era indebolito per modo che e' non si potè va, reggere in  su fianchi. Oltre ar portamenti disonesti ch'e' tenne con le sorelle,  è notissimo quello ch'e' fece con Piralìidfe vile meretrice. Non  si astenne ancora dalle donne nobili ed illustri ; anzi usava molto  spesso di convitarle insieme co' mariti> a cena , e dipoi a suo  bell'agio le andava considerando ponendo mente come se egli  n'avesse avuto a far mercanzia, alzando il viso a quelle (iheper  vergogna lo abbassavano. Appresso ogni volta che gliene veniva  voglia, partitosi di sala, chiamava quella che gli andava'più a  gusto ed ivi a poco, rosso ancora in viso e mostrando palese-  mente in cera ciò ch'egli aveva faito, tornato in sala palesamento  le lodava vituperava secondo 1^ buone lo triste parti ch'elle  avevano; così quanto all'esser buona roba, come al sapervisi arre-  care, contandole ad una ad una. Licenzionne alcuna per non gli  essere riuscite, in nome de' mariti che allora non si ritrovavano  in Roma ; e volle che se ne facesse ricordo in su' libri dovè si  notavano le azioni del senato.     QUARTO niPERATOBE 213   Suo lusso nelle cene, bagni, fabbriche ed altre opere.   Nelle delicatezze e superfluità del vivere fu grandissimo spen-  ditele e superò in questo ogni altro prodigo. Egli ritrovò un  nuovo modo di stufarsi e bagnarsi. Trovò ancora maniera di vi-  vande ed ordini di cene molto stravaganti e fuori di natura. La-  vavasi adunque ed ugnevasi con unguenti freddi e caldi. Beevasi  le pietre preziose di grandissimo valore , struggendole con lo'  aceto, e faceva porre in tavola il pane e le altre vivande indorate :  dicendo che a lui bisognava o essere Cesare o un da poco e {\)  massaio nello spendere. Oltre a ciò geltò al popolo certe monete  che valevano assai, e durò parecchi giorni stando a gettarle. so-  pra alla loggia edificata da Giulio Cesare. Fece fare alcune libur-  niche (cioè navi così chiamate) di cedro; le cui* poppe erano  piene di gemme e le vele erano di colori-cangianti, -nelle quali  erano stufe , loggie e sale assai ben grandi ; eranvi ancora viti  ed altri ^.Iberi fratlifert dentro : nelle quali tra mugiche e canti  e balli, standosi a banchettare tutto il giorno, se ne andava co-  steggiando la riviera di Napoli. Edificò pel contado casamenti e  palazzi bellissimi, non avendo né regola nò misura alcuna nello  spendere. E quanto le cose erano più impossibili a fare,. tanto più  si accendeva di farle. Edificò adunque nel profondo del mare  allora ch'egli era turbato. Tagliò hjilze di durissima pietra. Alzò  le pianure al pari de' monti, e spianò i monti con prestezza in-  credibile: perciocché indugiando coi9rb a chi e' commetteva  simili cose a metterle in esecuzione, (àceva tor loro la vita: e per  non^ndare raccontando queste cose ad una ad 'una, in mancò  di un anno consumò ^un tesoro infinito e tutti que' danari che  aveva ragunati Tiberio, clie erano sossantasei milioni e cinque-  cento mila scudi.   Rapine ed estorsioni dello stesso.   Venuto adunque in necessità di danari , si volse con l'animo  alle rapine, tenendo modi molto sofistici in valersi contro a' pò  >oli così nel vendere allo incanto , come por gabelle e gravezza'  j mandare a terra privilegii. Primieramente diceva che color-  .lon erano cittadini romani giuridicamente, i quali avevano im  vetrato quel privilegio per sé e per i suoi posteri , se già noi  uss*»ro i figliuoli: perciocché questo vocabolo posteri noi -     2U OAlO CAUGOLA   distendeva più óltre di quel gradò. E producendo alcuno privilegii  e decreti impetrati da Cesare e da Augusto , se ne faceva beffe  comedi cose che fussero indietro parecchie usanze. Diceva ancora  che coloro avevano dato male e falsamente la nota dei l'or beni  per censuarli, l'entrate de* quali per q4ialun(iuo cagione fussero  accresciute. Arunullò i testamenti de'con turioni /come di persone  ingrate, fatti dal principato di Tiberio insino a quel tempo, i quali  non avessero lasciato eredo Tiberio o lui. E se alcuno diceva che  aveva inteso che'l tal cittadino aveva disegnato, morendo,, di la-  sciar suo erede Cesare e dipoi non l'avesse fatto, annullava quel  testamento come vano e dì nessun valore : ónde nriolte persone  basse che non 'erano così ben conosciute, avendolo fatto suo  erede in compagnia de' loro amici e familiari, e così molli padri  in compagnia de' loro figliuoli erano da liti -chiamati cianciatori,  perchè e' non si morivano poi che e' l'avevano eletto per suo  erede; e molti di lóro ne avvelenò, con mandar Igro certe vi-  vande preziose e ghiotte a presentare. Nel giudicare e dar sen-  tenza sopra alle predette cause, usava di tassare gli accitàati in  danari, ponendo a ciascuno quella somma che e' pensava di po-  ter riscuotere, né Bipartiva della sua residenza s'egli non l'aveva  riscossa; e perchè l'indugio gli dava grande affanno, ne condannò  una volta quaranta che per diverse cause ^rano accusati con  una sola sentenza. E svegliato la sua Cesonia che dormiva , si  gloriò con seco di quanto egli aveva fatto mentre ch'ella si stava  a dormire di. mezzo giórno. Vendè ancora all'incanto lutti t ri-  masugli de' panni d'arazzi e d'aìtrc cose simili ch'erano avanzati  delle feste che si erano celebrate ; ed egli in persona le vendeva  ed incantava, facendole alzare tanto di pregio, che alcuni, costretti  di comperare certe cose ad un prezzo smisuralo, e bisognando lor  vendere i loro beni per pagarle, si segarono le vene. É cosa ma-  nifesta che dormendo Aponio Saturnino tra le panche e inchi-  nando così la testa, Caligola aver detto al trombetta che non la-  sciasse passar di contentar quell'uomo da bene che tante vplte  gli aveva accennato con la testa; e tanto disse che gli fé' coni-  perare senza sua saputa tredici gladiatori la valuta di ducénto  venticinque mila scudi.   Suoi infami guadagni.   Avendo ancora venduto in Francia le masserizie e gli orna-  menti delle sue sorelle che da lui erano state condannate , ed  oltre a ciò alcuni schiavi, e cerli ancora .che di già erano, fatti li-     .J     QUARTO mì^ERÀTOBfi 215   beri a prezzi smisurati, parerid^xgli chele CQse vi si tèndessero  bene e che e' fusse da guadagnarvi assai, vi fe*condurre tutte le  inasserizie e robe che avevano servito per la corte di Tiberio ;  e perciò che per farle portare e' fo* tórre tutte le carrette vettu-  rine e le giumente da' mugnai, mancò in Roma molte volte il  il pane ; ed una gran parte di quelli che litigavano per non aver  carrette, e bisognando loro, venire a piede, non potevano essere  ^ a tempo a comparire e dar mallevadori/ onde e' perdevano laiito.  Nel vendere adunque le sopraddette robe non mancò di usare  ogni inganno, astuzia e ribalderia;òra riprendendo i compera tori  ad uno ad uno come persone avare e che non si vei'gognavano  d'esser più ricchi di luì ; ^ra facendo sembiante di pentirsi di  aver messo innanzi a uomini privati coso si nobili e di sì gran  valore. Intese che un paesano aveva dato a uno de' suoi ministri,  che invitavano le g^nti 3\ suo convito, cinque mila scudi per  esser ancor lui de' convitati; né egli punto ebbe por male che  gli uomini stimassero tanta quel favore di ritrovarsi alle sue  cene. H giorno appresso essendo questo tale a sedere ed a veder  vendere all'incanto, gli mandò uno che da parte sua gh fe'com-  perare un non so che di poco prezzo cinque mila scudi ; e gli  disse che Cesare in persona lo diiamerebbe a cena con esso seco.   Nuove gabelle e sordidi civanzi.   Aveva da principio dato la cura di riscuotere queste gabelle  da lui nuovamente poste* e gravezze non mai più U(Hte agii  arrendatori delle entrate pubbliche; dipoi multiplicando le fac-  cende, dette loro in compagnia i centurioni ed i tribuni pretoriani,  avendo poste le gravezze sopra a qualunque sorte d'uomini : né  era cosa alcuna di si |)oco pregio della quale e' non facesse pa-  gare la gabella ; e delle grasce e cose da mangiare che in Roma  si vendevano faceva ancora pagare un tanto. Voleva che tutti  quelli che litigavano gfì avessero a pagare la quarantesima parte  della somma che si litigava; e quelli che erano accusati d'essersi  accordati e d'aver com|)osto la lite erano da lui condannati. Vo-  leva l'ottava parte del guadagno che facevano i bastagi giorno  per giorno : e dalle meretrici quanto ciascuna guadagnava in' una  volta. E fece fare una giunta al capitolo della detta legge ove  questo si conteneva , che s'intendessero obbligate a pagare non  solamente quelle che erano meretrici, ma quelle ancora chefus-  sero state o meretrici onruflìane: e cosi le gentildonne fossero'  obbligale alla medesima pena essendo trovate in adulterio.       nel fare la rassegna de' soldati, privò dell'uffizio una gran parte  di quelli centi/rioni ch'erano già oltre di età ^ ed alcuni ve n'e-  rano che furono daini privati dall'uffizio, i quali fra pochi giorni, se-  condo gli ordini della milizia, venivano ad esser liberi ed esenti dalla  milizia ; dicendo che gli privava dell'uffizio, perciocché egli erano  oramai vecchi e deboli. Dipoi avendogli ripresi come troppo  avari, scemò loro la provvisione ed insino alla somma di quindici  mila scudi. 'Sé avendo fatto altro in tale impresa^ se non preso.,  prigione Minocino Bellino figliuolo del rode' Batàvi, il quale era  stato scacciato dàLpadre e s'era fuggito con pochissimi compagni,  non tìltrimenti che se. egli si fusse insignorito di tu tta^ l'isola,  mandò a Roma lettere molto magnifiche : comandando a coloro   J5 SvETOKiO. Vite dBt CpsarL     248 ^ GAIO CALIGOLA   che le portavano che se ne andassero a dirittura in. piazza e si  rappresentassero nel tempio di Marte, dov« si raguiiava il senato,  e non presentassero le lettere a' consoli, se prima non erano rau-  nati tutti i sonatori.   Selva da lui fatta rìcidere, premii dispensati a* soldati,  ■ e altre cose da esso operate.   Dipoi mancandogli occasione di guerreggiare, fé' partir^ certi  germani ch'egli aveva in prigione e gli fece nascondere di là dal  Reno. Appresso ordinò che, mangiato che egli aveva, venissero  alcuni con gran fretta a fargli intendere che i nemici si accosta-  vano ; il che essendo fatto, come da lui era stato ordinato, si  levò su in compagnia de' suoi amici e eoa parte de' cavalieri  pretoriani, e' tirò via alla volta d'una ^elva ch'era vicina allo  esercitò ; e fatto tagliare gli alberi di quella ed acconciare a guisa  di trofei, tornò in campo di notte e co' lumi: e -quelli che non  l'avevano s^ùitato, riprese come timidi e poltroni. Ed a' suoi  compagni partecipi della vittoria donò certe corone da lui nuo-  vamente trovate, dove era il sole e la luna e l'altre stelie, bene  accomodate e distinte, e le chiamò esploratorio. Appresso fatto  levare dalle scuole certi statichi ch'egli aveva seco in campo,  comandò loro che ascosamente si fuggissero; né priiha si furono  parti ti> ch'egli abbandonato il convito con la cavalleria si mise  a seguitarli, ed. avendogli presi come fuggitivi, li messe alla ca-  tena: e parendogli la invenzione bella oltre modo, non capiva in  se medesimo, talché tornato a cena ed essendo avvisato come  e' venivano gente in suo soccorso, confortò i suoi soldati che  co$ì armati come egli erano, si ponessero a tavola ; allegando  lorò^quel verso di Virgilio che è tanto divulgato, cioè che stes-  sero forti e si riserbassero alle cose prospere. In quesjto mezzo  ordinò che in Roma fusse mandato un bando, nel quale- e' rì-  T)rendeva il popolo ed il senato, che combattendo Cesare ed es*  sendo esposto a cosi fatti pericoli, si stessero pe' teatri e pe'giar-  Jini in conviti e feste.   Suoi preparamenti contro TOceano, ed altre sue imprese.   I ' . • •   Finalmente come se e' volesse fare qualche gran fatto d*arme,  fé' metter l'esercito in ordinanza ; e si addirizzò con esso alla  volta deirOceano. Appresso fatto mettere in ordine le baliste e  l'altre artiglierie da combattere, stando ognuno a vedere; .nò     QUARTO IMPERATORE ' 2t9'   potendosi immaginare quello ch'egli avesse in animo di fare,, in ^  un subito comandò lóro che andassero raccogliendo nicchi e se  ne riempiessèro le celate ed i grembi, chiamandogli spoglie -del-  l'Oceano debite al Campidoglio ed ai palazzo. Ed in segno della  vittoria edificò una torre altissima in sul lito del mare, dove  stessero di notte i lumi accesi per insegnar la strada a' naviganti.  £ fatto intendere che si desse cento giulii per ciascHft soldato,  parendogli aver trapassato ogni termine di liberalità, disse: or  oltre andatevene allegri, andatevene, ricchi.   Sua cura del. trionfo ed altre sue opere.   Quindi rivoltosi a procurare il trionfo, scelse e pose da pacte,  perchè e* fosse magnifico, oltre a- barbari ch'egli aveva prigioni  G fuggitivi, certi Francesi di smisurata grandezza, ch'erano (come  egli diceva per una parola greca) degni che di loro si trionfasse^;  tra' quali ve ne furono alcuni de' principali e più nobili, e gli co-  strinse a biondirsii capelli e lasciarseli crescere ; ed oltre a ciò  volle che egli imparassero la lingua germanica e che e' si ponesr  sere certi nomi barbari. Comandò ancoraché una gran parte  delle galee, con le quali era entrato nell'Oceano, f ussero con--  dotte a Rpma per terra; e scrisse a' procuratori suoi che gli ap-  parecchiassero un trionifo con pochissima^spe^a, ma- si fattp che  non mai per l'addietro ne fosse stato un altro, poiché si potevano  servire e valere de* beni de' cittadini'.Romani come a- loro pareva.   . Scellerato pensiero di trucidar e mettere a (il di spada le leeoni.   Prima che e' si partisse di quel paese, aveva- fatto un disegno  molto scellerato, cioè di Ì9gliare a pezzi que' soldati i quali dopo  la morte di Augusto si erano abbottinati ; perciocché lui, il quale  era ancora molto piccolo, ed ilsuo padre Germanico lor capitalo  avevano assediato : e fu gran fatica a faHo mutare di proposito  e levargli della fantasia un cosi strano capriccio. Non restò per  questo che e' non volesse ammazzarne di dgni dieci uno; e cosi-  fa ttigU chiamare senza armi a parlamento e tolto ancor loro le  spade, gli attorniò con la cavalleria armata. Ma accorgendosi che  e' sospettavano e che la maggior parte alla spicciolata andavano  ripigliando l'armi, per non si lasciar far villania si fuggi loro  Unanzi e prestamente se n'andò alla volta di Roma^ con animo  ii sfogare tutto il suo veleno contro al senato : minacciandola  lalesomonte /^h'o»**» «^»' ^olAre rinvenire '» cagione di si fatt' •     $%0 GÀIO GAUGOLA-   multi e romori che seguivano con tanto suo disonore. E dòme  che poco innanzi egli avesse fatto loro intendere che a pena della  Tita non trattassero per conto alcuno di apparecchiargli il trionfo,  tuttavia, oltre alle altre querele, egli si dolse clie e'^non glielo  avevano apparecchiato secondo che e' meritava. •   Suo ritorno alla città , pessimo di lui proponimento, e veleni  ritrovatigli in casa dòpo la morte.   Andandolo adunque a incontrare pel cammino gli ambasciatori  del senato e pregandolo che e' sollecitasse la sua venuta, disse  con grandissima voce : Io verrò, io verrò e costui con esso «leco ;  percuotendo parecchie volte ccfn la mano sopra il pomo della  spada. E fece intendere pubblicamente .che tornava solamente  per trovarsi in compagnia de* cavalieri e del pòpolo^ da* quali  egli era desiderato; perchè né come cittadino, uè come principe,  non intendeva di avere a far più cosa alcuna col senato. Non  volle ancora che alcuno de' senatori venisse ad incontrarlo: e  pretermesso il trionfo, solo vittorioso entrò il giorno del suo na-  tale in Roma, ed indi a quattro mesi fu ammazzato: conoe che  egli avesse avuto ardire di commettere grandissime scelleratezze  e di andarne tuttavia macchinando delle maggiori. Perciocché  egli s'era proposto di andarsene ad Anzio e quindi in Alessan-  dria, con aver fatto prima ammazzare così dei senatori come dei  cavalieri i principali* ed L più nobili. E perché nessuno dubiti  ciò esser vero, furono trovati tra le sue cose segrete due libretti,  uno de^quali era intitolato spada, l'altro pugnate : ed amendue  contenevano i nomi di coloro ch'erano destinati alla morte. Fu  ritrovata ancóra un'i^rca -grande piena di- varii veleni; i quali  essendo dipoi da Claudio gettati ^n mare, si dice che tutto lo  infettarono^ jion senza grande mortalità di pesci., i quali dall'onde  erano gettati morti alla riva. .   Natura del corpo e sue indisposizioni.   Fu di statura alto, di color pallido, di corpo brutto e sgarbato,  aveva il collo e le gambe sottili oltre modo, gU occhi e le tempie  in dentro, la fronte arcigna e larga, i capelli radi^ era calvo sul  cocuzzolo, e peloso in tutte le altre parti. del corpo. E perciò  quando e' passava , era cosa pericolosa e mortifera il guardarlo  alto , per alcuna c^*« nominar la^ ca«^-^ ^v^^va naturalmente     QtJABTO IHPBRAtOBE' '. 'ÌHÀ   .dcconcìandoselo allo specchio per farlo avere deb terribile e del  crudele. Non falsano né di mente liè di corpo; da fanciullo si  gli dette il mal maestro. Fu in giovanezza soppoii;atore de^disagi;  tuttavia gli venivano alcuna volta certe fiacchezze in un subito  che appena che e' potesse andare 9 star in piedi d riaversi  aiutarsi in modo alcuno. Erasi accorto per se medesimo dello  essere mal sano della mente, e pensò molte volte di andarsene  in qualche luogo a purgarsi. Credesi che da Cesohia gli fusse dato  bere qualche cosa per farlo innamorare, la quale lo aveva^ fatto  diventar scemo di cervello. Spaventavaai la" notte e massima-  mente iti sogno. Non si riposava più che tre ore della notte, né  anche in quelle «i riposava interamente, parendogli spesse vòlte  vedere figure molto' strane e maravigliose ; e tra le altre gli pa-  reva vedere la presenza del mare parlar con esso seco*: ef còsi  una gran parte della noète, per istar tanto desto, gli veniva in  tedio lo stare a giacere, ed ora si rizzava a seder in sul letto, ed  ora si andava a spasso per certe loggie lunghissime, chiamando  a ogni poco il. dì che sì affrettasse di venire.   Sua debolezza di mente, disprezzo degli Dei,'  ed altre sue t>perazioni.   Potrebbesi ragionevolmente attribuire a questa sua infermità  di ménte alcune estremila di vizi molto contrarie, cioè una spmniB  audacia ed una gratidissima paura' che in lui si ritrovavano. Quan-  tunque egli dispregiasse né tenesse conto alcuno iiegli Iddii, non-  dimeno per ogni poco che e' balenasse tonasse, si chiudeva gli  occhi e si ravvolgeva il capo cò'paimii, e quando tonava balcr  nava punto forte, si levava da giacere e nasòondévasi sotto il  letto. Quando egli andò in Cecilia, ed essendosi fatto beffe delle  maraviglie che in molti luoghi vedute aveva, nondimeno si fuggi  una notte di Messina ripieno df spavento pel fumo e remore cbe  si sentiva su la cima del monte Etna. Oltre a ciò, come che. egli  facesse moHo del bravo contro a i barbari, nondimeno ritrovan-  dosi sopra un carro di là dal fiume Reno, in certi luòghi stretti  e tra le sue genti, le quali erano ancora molto ristrette insieme  -ì dicendo uno che se i nemici fussero comparsi da banda alcuna,  )ra da dubitare che e' non seguisse qualche gran disòrdine nelfo  3sercito, egli incontinente montò a cavallo, e datola a dietro, s  nise a correre verso il ponte ; e trovando che i carriaggi er  ^ccomanni lo avevano occupato di modo che e'.non si po.te^     222 GAIO GAUGOLA   e' si allargassero e gli dessero la yia, passò loro sopra a i capi,  facendosi porgere le mani di mano in mano. E quindi a pochi  giorni , inteso come i Germani s'erano ribellati , sì messe non  solamente in ordine per fuggire, ma andò ancora pensando in  che parte del mondo egli si potesse ritirare al sicuro ; ed altra  speranza non gli era restata che la Barberia, ogni volta che, già  come ferono i Cimbri al tempo di Mario o come feron i Senoni  al tempo di Camillo, i nimici, come egli dubitava, avessero oc-  cupati i gioghi deirÀtpi^ adi Roma si fossero insignoriti. Perciò  credo io che quelli che fo ammazzarono avessero disegnato di  faro credere a' soldati, quando eglino avessero cominciato a tu-  multuare per vendicarlo, ch'egli per se medesimo si fosse morto^  come quello die s'era sbigottito avendo inteso la battaglia essere  andatamele. . - -   Delle vesti e degli abiti ch'ei portava.   Noi vestire e nel calzare ed ogni altro portamento non andò  mai come romano nò come cittadino; nò mai portò àbito da  uomo dà bene e valoroso , anzi non pure da uomo : percipchè  molte volto con le cappe, ovvero mantelli da acqua, dipinti e  ripioni di gomme compariva in pubblico, avendo contro al co-  stume la tonaca con le maniche lunghe e con certe collane larghe  al collo che gli pigliavano tutte le spaile. Alcuna volta sr vestiva  tutto di seta con la bornia sopra a guisa di donna. Alcuna yolta  se ne andava in pianelle ed altra volta coni que' calzari che nelle  tragedie s'usano. Ora portava le calze che usano i soldati quando  e* vanno a fare le sentinelle, ora le portava da donna. Andava  la maggior parte del tempo con la barba indorata, e portava in  mano o là saetta a guisa di Giove^ o il tridente a ^isa di Net-  tuno la bacchetta avvolta co'serpenti a guisa di Mercurio^ Fu  veduto ancora alcuna volta acconcio e vestito a. guisaìli Venere.  Andò ancora spesso vestito alla trionfale , ancora innanzi alla  impresa che e' fece contro a' Germani ; e qualche volta portò  indosso la corazza di Alessandro Magno, avendola fatto cavare  del luogo dov'egli era sotterrato.   Della sua eloquenza ed arte di dire.   Quanto alle scienze ed arti liberali, studiò solamente ine^sere  eloquente, copioso e pronto nel parlare. Ed avendo a parlare  contro di alcuno quando egli era adirato^ non gU mancavano né     QUARTO mPERATÒRE 2^23   le paròle né i concetti. Ne'gesti e nella voce era tale che perjo  ardor del dire lion potevd fermarsi ; e quelli ch'erano lontani  assai udiyanobenissimo scolpite le sue parole. Quando egli aveva ,  in animo di parlare t^ontro di alcuno', usava di dire : 40 caccierò  nano alla spada delje mie fatiche e vigilie. Dispiacevagli tanto  lo stil delicato e molto esqoisito, che e' diceva, di Seneca, del  cai stile si faceva in quel tempo assai conto, che il suo scrWere  pareva una muraglia di pietre commesse insieme senza rena e  senza calcina. Era ancora solito di comporre orazióni contro agli  oratori che, difendendo altri, erano restati superiori. Fingevano  ancora in difensione,. ovvero in^accusiazìone. di quelli che per-  quakhe cosa grave e d'importanza f ussero stati accusati into-  nato; e secondo che la fo^ (ì) Io ' trasportava nel difendere  nell'accusare, veniva con la sua autorità a sollevare i delinquenti  ovvero ad aggravarli. Mandava ancora il banditore a chiamare  pubblicamente i cavalieri che andassero ad udirlo.   Sua Brt« di cantare, saltare e guidare le carrette. •   Fu nondimeno molto studioso ih apprendere certe altre arti  e scienze molta diverse tra di loro; come il giiiocare ^'arme a  guisa de' giuocatori chiaoiati traci , ed il guidar le carrette e  appresso cantare e ballare. Schermiva con le spade di filo ; ed  avendo a correre con la^carretta, feceva accomodare la piazza,  ora in un modo, ora in un altro. Pigliavasi tanto piacere e s'ac-  cendeva in guisa del canto e del ballo, che quando si celebravano  le feste, egli, in presenza di ognuno, non poteva contenersi di  non cantacchiare insieme con gli istrioni, contrafacendo pale-  semente i lor gesti, ora mostrando dì lodargli, ora di corregèrgli.  n di che e* fu ammazzato, aveva fatto intendere che voleva che  in Roma si vegliasse tutta la notte seguente; solo (secondo che  par verisimile) per potere più licenziosamente a quella ora com-  parire in su' palchetti come gli altri istrioni e recitatóri. Usav^  ancora di ballare alcuna volta la notte. Una volta a mezza notte  mandò in fretta a chiamare tre cittadini consolari che venissero  a palazzo ; e come che e' temessero assai, e che andasse loro pel  capo di molte e strane fantasie, tuttavia si rappresentarono je  furono fatti sedere sopra un palchetto : ed eccoli in un stibito con  gran remore di piferi e di predelle (2) venir fuora Caligala con   (1) Foga, lo stesso, che impeto.   (2) Arnese di legname, sul qual sedendo si tengono i piedi.     224 GAIO GAUGOLA   una tonaca- insino a* piedi e sopra con un mantello da donna, il  quale, ballato ch'egli ebbe sopra una certa canzone messa in  musica, senza altro dire spari loro dinanzi. Ora essend' egli molto  facile a imparare tutte le sopraddotte cose, nondimeno egli non  potette mai imparare a notare.   Quanto fosse irasportatiò nel favoreggiar alcuni ,  e perverso nelPodiar alcuni altri.   Le persone che gli andavano a gusto erano da lui favorite  pazzamente e senza ritegno alcuno. Marco Nestore,^ il quale era  uno di quelli che sono destri di persona e sanno contrafare  ognuno, rappresenta toro di farse, mentre che e'.si celebravano  le feste, era da lui baciato in presenza del popolo ; e se aictino,  ballando Nestore, avesse pur fatto un minimo remore, diceva  subito: mandatelo via; e lo batteva dì sua mano. A uno cava-  lier romano, che faceva tumulto, fece intendere per un centu-  rione che allora allora senza altro intervallo si méttesse la via  tra le gambe e se n'andasse ad Ostia, e quindi imbarcatosi, pas-  sasse in Mauritania a portare certe sue lettere a Tolomeo re :  contenevano le- predette lettere questo : Al preseate apportatore  non gli fare né bene né male. Favorì intanto alcuni dèi gladia-  tori chiamati Traci, che gli fece capitani dei Grermani ch^erano  a guardia della sua persona. £ tanto ebbe in odio certi altri gla-  diatori chiamati Mirmilloni che e' fé' lor guastare tutte quante  le armi : ed a Colombo, che era uno di loro , restato vincitore,  ma leggermente ferito, pose il veleno nella piaga : e dipoi chiamò  il detto, veleno colombino : come tra le annotazioni degli altri  suoi veleni si ritrova scritto. Favorì tanto, svisceratamente quella  banda de' guidatori delle carrette che dal colore de' vestimenti  era chiamata Prasina (cioè, la banda verde), che egli del conti-  novo si ritrovava a cenare ed a dormire nella stalla in \ot com-  pagnia ; ed a uno de' predetti, chiamato Cìtioo, ritrovandosi a  bere con lui dopo cena, nel presentarsi l'un l'altro, (secondo il  solito) alcune cose dì poco pregio, esso gli donò cinquantamila  scudi. Similmente a un altro di loro chiamato Incitato^ perciò  che non gli fusse rotto il sonno la notte dinanzi al giorno nel  quale egli aveva a correre ne' giuochi circensi, faceva coman-  dare pe' suoi soldati^ alla vicinanza che la notte facessero silen-  zio. Donò a costui, oltre a una stalla di marmo con le mangia-  toie di avorio pel suo cavallo, ed oltre a una coperta di porpora  ed una catena di pietre preziose, a una casa con tutte le sue     QUAATe IMPERATORK . 2S5   appartenenze^ per in§ino a' servidoiu^ acciocché i convitati 4n  nome suo fusseix) da lui più splendidamente ricevuti : e si dice  ancora che e' lo fece consolo.   Congiura ordinata contro di lui..   Mentre ch'egli così pazzamente si governava, si ritrovarono  molti a' quali bastò l'animò di congiurare contro di lui ; ma  delle predétte congiure alcune si scopersero ; ed alcuni alu-i,  per non avere occasione, si stettono a vedere ; solamente due  conferirono Tuno a l'altro i lor disegni e gli mandarono ad ef-  fetto, non senza saputa ed intendimento di alcuni liberti e ser-  vidori di esso Caligola, i quali allora potevano assai in Roma:  accon^ntironvi ancora i prefètti dei soldati pretoriani , i quali,  quantunque che falsamente fussero stati accusati, come c«nsa>  pevoli di un'altra congiura,' nondimeno s'accorgevano che'Cali-  gola gli teneva a sospetto ed aveva loro male ànimo addosso;  perciocché scoperta la predetta congiura, Caligola dubito gli tirò  da parte e gli fece loro un gran carico, affermando, con. aver  tratto fuori la spada^ che parendo loro che e' fusse degno della  morte, si ammazzerebbe per se medesimo. Né da quivi innanzi  restò di dolersi ora. con questo ed ora coit quello di loro, ed ac-  cusargli l'uno all'altro e di. mettergli in discordia. Parve adun-  que a costoro di assaltarlo di mezzo giorno, quando égli usciva  da vedere le feste che allora in palazzo si celebravano. E Cassio  Chérea, ch'era tribuno di una compagnia de' soldati pretoriani,  chiese di grazia d'essere il- primo a manometterlo; perciocché  Caligola, essendo egli' già vecchio, usava molto di dispregiarlo e  disonorarlo, chidinandolo poltrone ed effeminato ; e quando da  lai gli era addimandato che gli desse il nome per mettere le sen- .  tinello, gli dava pei- nome Venere o Priapo ; e quando ^gli an-  dava per ringraziarlo di qualche cosa e baciargli le mani^ gli  porgeva la mano, e volendola esso baciare, gli faceva una fica  altre simili^ sporchine.   Segni che si mostrarono a,vanti la di lui morte.   Molte-cose maravigliose apparirono, le quali significavano la  sua morte vioJenta. In Olimpia volendo scommettere la statua di  Giove e portarla a Roma, ella cominciò in un subito sì fortemente  a ridere, òhe gl'ingegneri, abbandonato le macchine e lasciatole  andare indovina, si diedero a fuggire chi qua, chi là: ed in quel     226 GAIO GALUK>LA   punto sopravvenne un certo ch'era ancora egli chiamato Cassio^  affermando che in sogno gli era pairuto di sacrìficfire un.toro a  Giove. li Campidoglio di Capua a' quindici di marzo fu percosso  dalla saetta ; e così in Roma fu percosso dalla saetta la cella che  era nel cortile del palazzo. E trovaronsi alcuni interpreti che  affermavano che per la saetta di Capua il principe portava pe-  ricolo d'esser ucciso dai soldati della sua guardia; e .che per  quella di Roma manifestamente si comprendeva ch'egli aveVa a  seguire una notabile uccisione, come altra volta era intervenuto  nel medesimo dì. Fugli ancor detto da Siila matematico, al quale  e' fece fare la sua natività, che senza dubbio alcuno egli aveva  a esser ucciso di corto. La dea Fortuna ch'era in Anzio gli disse  ancora che sì avesse cura da Cassio ; onde egli aveva ordinato  area in  sogno d'essere in cielo, vicino alla sedia di Giove, e che Giòve  col dito grosso del piò destro gli avesse dato un calcio e preci-  pitatolo dì cielo in terra. Furono ancora notati, per segni della  sua futura morte e per cose notabili che pochi anni innanzi nel  medesimo dì orano accaduto ; tra le quali fu che un pappagallo,  nell'essere da lui sacrificato, lo bagnò di sangue. £ Marco Ne-  store in quel dì rappresentò una tragedia la quale già era stata  rai)presentata da Neoptolemo il dì della festa nella quale fu am-  mazzato Filippo rodi Macedonia; e recitandosi una favola com-  posta da Lauroolo, uno di quelli ch'era la più importante voce  della commedia, nel levarsi dinanzi a una rovina, mandò fuori  sangue per bocca, onde gli altri recitatori volendo fare il me-  desimo e gareggiando insieme a chi più ne sputava, si riempie  tutta la scena di sangue. Erasi ancora per la notte apparecchiato  di fare una rappresentazione dove gli tjgizii e gli Etiopi avevano  a rappresentare gli abitatori dell'inferno.   Della di lui morte ed ammazzamento.   A ventitré di gennaio circa a ore dicianove, stando appunto  su l'andarsene a mangiare, né si risolvendo ancora, per sentirsi  lo stomaco gravato dal cibo del giorno dinanzi, finalmente per-  suaso dagli amici, uscì fuori per andare verso palazzo, ed avendo  a passare per una certa grotta, s'erano apparecchiati certi gio-  vanetti nobili dell'Asia per fare certi giuochi sopra la scena  dove le commedie si rappresentavano , onde égli si fermò per     QUARTO 4MPERÀ'fORB . ' 227   vedergli e dar loro animo ^ e se non che il capo e maestro di  que' fanciulletti disse ch'era agghiadato, voleva tornare indietro  e che tutta quella festa da capo sì rifacessie. Dicési là cosa in  due modi. Alcuni scrivono che mentre ch*egli stava a parlare  con que' fancfuUi, Cherea venendogli di dietro gli dette un gran  mandirixto attraverso al collo, avendogli prima detto: volgiti a  me : appresso che Cornelio Sabino, l'-altro de' (Congiurati, gli passò  il petto con una punta da banda a banda. Altri dicono che Sa-  bino, avendo per opera de' centurioni, i quali erano consapevoli  della congiura, sollevato gli^ animi de' soldati, gli dimandò,- se-  condo il costume, che gli desso il nome che il dì le guardie  avevano a usare ; e dandogli Gaio per contrassegno il nome .di  Giove, Cherea allora gridò: piglialo che gli è ben dato, e rivol-  tandosi Gaio indietro, egli in quel, medesimo tempo con un colpo  gli mandò giù una mascella e che allora gli altri, essendo Cali-  gola a giacere in terra e colle membra rannicchiate, e gridando  che era vivo^ con trenta ferite lo finirono di ammazzare. £ che  il segno che fra loro si erano dati era questa parola ,^repe^e, che  vuol dire, ridagli. Furonvi alcuni che gli cacciarono i ferri da  basso per le parti vergognose, ed al primo romorecòrsono quelli  Qhe portavano la lettiga, e con que' bordoni èoprà i quali e' si  appoggiavano portando la lettiga cercarono di soccorrerlo; e  quindi a poco comparsone i Germani ch'erano a guardia della  persona sua, od ammazzarono alami dei percussori insieme con  alquanti senatori che non vi avevano colpa.   Mortorio di Gaio, e morte della moglie e. figlia.   Aveva, quando e' fu morto, trentanove anni ; era stato neirini-  perio tre anni, dieci mesi ed otto dì. Il corpo suo fu portato  ascosamente negli orti chiamati Lamiani, e posto così a caso  sopra un monte di legne^ e mezzo arso fu ricoperto con un poco  di terra. Appresso essendo ritornate le sorelle di esilio, lo cava-  rono fuora e l'arsone affatto e dipoi lo seppellirono. È cosa ma-  jìifes(a che i guardiani dell'orto, mentre che 'l corpo suo vi stette  sotterrato in quel modo, erano inquietati dall'ombre di quello ;  ed ancora nella casa dovè egli morì non passava mai notte al-  cuna che e' non vi si sentisse qualche remore, tanto che final-  mente l'abbruciarono. Fu morta insieme con lui Cesonia sua  moglie d'unaxoltellata che gli dette un centurione ; e la figliuola  fu battuta ed infranta nel muro.     22B GAIO CAUGOLA — QUARTO IMPERATÓRB   Ciò che fece il Senato dopo la di lui morte.   Puossi considerare in che termine si rifrovavano allóra le cose  della Repubblica ; cònciossiachè essendosi divalgatò come Cali-  gola era stato ucciso, tutto il Spopolo stette sopra di sé; nò vi fii  alcuno che in quel subito si movesse, non dando fede a cosa che  sì dicesse, ma dubitando ch'ella non fusse una voce mandata  fuora da Caligola per conoscere qual fiisse la disposizione degli  animi inverso di sé: né i congiurati ardirono di creare alcuno  imperadore. Il senato fu intanto unito e d'accordo per ria^sur  mere la sua libertà che i consoli al primo lo raunarono : né si  raunò nella curia solita, perciocché ella sì chiamava Giulia, ma  in Campidoglio : ed alcuni di loro, in cambio di dirQ il loro pa-  rere sopra il creare il nuovo imperadore, giudicarono ch'e'si  dovesse in tutto spegnere la memoria de' Cesari e rovinare i  tempii da loro ed in lor nome edificati. Osservarono ancora per  cosa notabiljB che tutti i Cesari cognominati Gali erano morti vio-  lentemente, cominciandosi a contare insino al tempo di Cinna.     LA VITA ED I FATTI     DI     CLAUDIO CESARE     QUIllf IHPERATOR ROMANO     Del padre di Claudio e de' di lui fatti.   Dr usQ cognominato Decimo e poco appresso Nerone, padre di  Claudio Cesare, naque di Livia, tre mesi dipoi che Augusto pre-  gnante la tolse altrui. Credetesi per alcuni che e' fusse figliuolo  di Augusto, stimandosi ch'egli avesse avuto a fare con lei prima  che ella fusse sua moglie. Una volta subito che e' l'ebbe presa,  furono mandate f uora queste parole in greco r Agli uomini .for-  tunati nascono ancorai figliuoli di tre mesi. Questo Druse, prima  fatto questore, dipoi pretore, ed appresso capitano contro a' Reti e  contro a Germani, fu il primo de' Romani che navigasse l'Oceano  settentrionale. Egli ancora fece Tarerà' suoi soldati di là dal fiume  Reno certe fosse profondissime, e dove duravano molta fatica, le  quali oggi son chianiate Drusine. Ed avendo rotto i nemici e fat-.  Igne grandissima uccisione e perseguitatogli addentro nelle più  ascoste e deserte parti .della Germania , non mai fece fine per  insino a tanto che e' non gli apparse una donna che pareva bar-  bara alla vista, di apparenza più grande che ordinaria, la quale  gli parlò in lingua latina e gli disse, che, poi ch'egli era vinci-  tore, e' non volesse procedere più avanti. Per queste cose adun-  que fatte da lui in guerra, entrò in Roma,J;riònfante e vittorioso,  ma non sopra il carro trionfale. Questi, dopo l'essere stato pre-  tore, fu creato consolo; e tornato alla medesima impresa, «  mori d'una infermità ch'egfi ebbe di state,, riposandosi alle stu..^i  co' suoi soldati ; le quali abitazioni per la sua morte furono d\r^  chiamaf'^ scellerate. U '"""po sun fu co"^o"o a Roma daip» ■'     230 ^ CLAUDIO CESARE   pali di quello città cho godevano i privilegi de' cittadini romani  e di coloro che di Roma erano stati mandati ad abitare in qiiei  paesi. A costoro si fecero incontro gli ordini dogli scrivani , e  presono il corpo e portarono a seppellire in campo Marzio. Ma i  suoi soldati, là dov'egli erano, gli edìcarono un bellissimo sepol-  cro, avendo ordinato cho ogni anno i soldati avessero a corpere  intorno a guisa di venire a un fatto d'arme, e che in Gàliia per  tutti i tempii facessero supplicazioni e sacrìficii solenni in onore  (li quello. Oltre a ciò il senato, tra molte altre cose, ordinò che  nel mezzo della via Appia sì edificasse di marmò un arco trion-  fale in suo onore, nel quale fussero scolpiti i suoi trofei e lo sue  vittorie; e volle che i suoi discendenti fussero cognominati Crer-  manici. Credesi che , oltre all'essere stato d'animò civile , egli  avesse ancora del borioso; perchè, oltre all'onore della vittoria  ricevuta, e' cercò di riportarne le ricche spogliò. E molte volte'  ne' maggiori pericoli a briglia sciolta si messe baldanzosamente  con tutta la squadra a perseguitare i capitani de' Germani; usando  ancora di diro che voleva un dì a ogni modo rendere a Roma la  sua libertà. Onde io stimo alcuni avere avuto ardire di scrivere  ch'egli era sospetto ad Augusto ; e che avendogli fatto intendere  che tornasse a Roma e lasciasse l'esercito , perciò che egli non  aveva ubbidito, l'aveva fatto avvelenare: il che da me è stalo  riferito [)iù per non lasciare indietro cosa alcuna di quelle che sono  state scritte di lui, che perchè io giudichi che e' sia vero oppure  abbia del verisimile ; perciocché e' si conobbe che Augusto l'amò  grandemente non solo in vita, ma ancora in morte, e lo institiii  suo eredo in compagnia de' figliuoli , siccome egli disse pubbli-  camente in senato. E nella orazione ch'e' fece in suo onore poi  ch'egli era morto , venne a lodarlo in tanto che pregò gli Iddii  che a lui concedessero grazia che i suoi Cesari fussero a quello  simiglianti ; e che il fine ch'egli aveva a fare fusse onorato come  quello di Druse. E non contento di avergli fatto un epitafìo e  fattolo intagliare nella sua sepoltura , scrisse ancor la vita di  quello. Ebbe Druse più figliuoli di Antonia minore, ma tre sola-  mente ne lasciò vivi, Germanico, Livilla e Claudio.   Nascimento di Claudio e sua infanzia.   Nacque Claudio al tempo che Giulio Antonio e Fabio Africano  orano consoli nella città di Lione il primo di d'agosto; nel me-  desimo giorno che nel predetto luogo fu primieramente consa-  grato l'altare di Augusto e fu chiamato Tiberio Cfaudio Druso.     QUINTO IMP£R4t6rE %34   Appresso fu adottato dal fratello maggiore: nella famiglia Giulia.  Lasciollo il padre in Roma ancora in fasce. Da fanciullo e da gio-  vane ebbe dì molt^e infermità e molto difficili a curarle; tanto  che indebolito di animo e di corpo non solamente da giovane ,*•  ma poi che egli era già in età conveniente , lo giudicarono ina-  bile ad alcuno governo o magistrato pubblico o privato.' Ebbe  ancora il tutore ed il pedagogo poi che era molto ben'griàtide.^ ^  da sapere governarsi e reggersi per se medesimo'. Duolsi egli ..  stesso di questo suo pedagogo ili una certa operetta da lui com-  posta, come di persona barbara o rozza in verso di lui, e datogli  in pruova per precettore solo perchè e' nste festp li M'»»'te: '^onvoornr-p'» simendue che e' sìa benf     232 CLAUDIO CESARE   risolversi una volta sopra a fatti suoi e vedere quello che e* sia  da fame ; perciocché essendo sano e, per dir così, in tutta per-  fezione, a me non pare per conto alcuno che noi dobbiamo man-  eare di aiutarlo e dargli riputazione, tirandolo su per quefl gradi  che noi abbiamo tirato il suo fratello. Ma parendoci che e' vada  tuttavia perdendo ed ingrossando più Tun di che Tal tre, e che  e* sia non solamente infermo del corpo ma ancor deiranimo, io  non voglio che noi diamo occasione alle persone di ridersi di lui  e di noi, che siamo soliti in simil cose d'uccellare altri. Perchè  se noi una volta non ci risolvessimo e non venissimo a qualche  conclusione sopra i casi suoi, staremmo sempre con questa an-  sietà d'animo. Farci però che e' sia uomo dei governi? non mi  dispiace già , come tu di' , ch'egli in queste feste di Marte pro-  vegga al convito dei sacerdoti e che a lui sia commessa celesta  cura, pur ch'e' faccia a senno del figliuolo di Silvano e da lui si  lasci governare, acciocché e' non gli venga fatto qualche scioc-  chezza onde e' n'abbia ad essere uccellato. Ch'egli abbia a stare  a vedere i giuochi circensi tra gli altari degli Iddii a noi non  piace; perché \errebbe appunto a sedere in testa della piazza  dove ognuno lo vedrebbe. Né a me ancor piace che e* vada nel  monte Albano, né ch'egli stia in Roma in queste ferie latine ;  perché, se ci pare che e' sia sufficiente di far celebrare le feste  latine in compagnia del fratello nel monte Albano, noi possiamo  sicuramente dargli ancora il governo della città. Io t'ho scritto,  Livia mia, il parer nostro; il quale è di risolverci una volta sopra  i casi di costui per non andar sempre ondeggiando tra il timore  la speranza. Tu potrai , volendo , mostrare ad Antonia questa  parte di questa nostra epistola. Scrive ancora in certe altre sue  lettere : Mentre che tu starai lontana , ogni giorno farò che Ti-  berio verrà a cena meco ; acciocché essendo a quel modo giova-  netto, e' non ceni solo col suo Sulpizio e col suo Antenodoro.  Quanto mi sarebbe caro ch'egli fusse un poco più diligente, nò  avesse tanto dell'intronato , e che nel muoversi , nel vestire e  nell'andare e' ponesse mente a qualche persona garbata e s*in-  gegnasse d'imitarla. Poverello a lui, come ha egU poca grazia.nel  conversare con lo persone virtuose. Bene é vero che quando egU  sta in corvello si riconosce in lui assai prontezza e virtù d'animo.  Ed in un'altra lettera scrive: E potrebbe essere che'l tuo nipote  Tiberio , quanto al declamare non riuscisse male e che in questo  e' non mi dispiacesse. Possa io morire, Livia mia, se io non me  ne fo le maraviglie: come può egli essere, che uno che è tanto  sciocco nel parlar familiare possa in pubblico dire acconcia-     QUIVTO IMPERATORE ^33   mente cosa che buona sia? la non so che mi ti dirne. Yedesì  appresso manifestamente qual fusse la risoluzione di Augu3to  sopra i fatti suoi ; perciocché da lui non ebbe niai né magistrato,  nò governo alcuno, $alvo che sacerdote degli auguri : e lo m^se  nel suo testamento tra i terzi eredi e quasi tra gli strani, e per Ia dìcp^r*» cb'*»*?'   16 SvETONio. Vite dei Cesari.     Ì:U CXAUDIO CCSARti   ili'UiIo mal sano, e clie era per ristorarlo in qualche altra cosa  l' lii mostranti la sua liberalità; il quale nondinoeno venendo a  morto (h1 avendolo lasciato ne' terzi eredi solamente per la terza  (Kirto e fattogli un lascito di scudi circa cinquanta mila, non fece  altro se non raccomandarlo ai soldati ed al senato e al popolo  dì Roma, nominatamente tra gli altri suoi parenti e familiari.   Del suo consolato, ed altre cose da lui fatte.   Finulmonte al tempo di Caligola suo nipote, il quale nel princi-  pio del suo imperio s'ingegnò con ogni segno d'umanità o beni-  volenza d'acquistarsi buon nome e buona riputazione, cominciò  i\ ritrovarsi nei magistrati e nei governi della Repubblica e fu  creato consolo \)ev due mesi in compagnia di esso Caligola. Ed  il primo dì che e' comparì in piazza accompagnato come consolo  con i littori^ un aquila venne volando e se gli pose da man de-  stra. Fu ancora ivi a quattro anni creato consolo tratte per sorte.  Tmvossi ancora, quando le feste si celebravano, alcuna volta a  sedei-e come giudice di (piclli in luogo di Caligola; di che il po-  polo mostrò di rallegrarsi assai , chiamandolo unitamente ed a  viva voce zio dell'imperadoro o fratello di Germanico.   Srhemi fattigli come per burla.   Con tutto questo non si potè difendere dal noQ essere scher-  nito e beffalo ; perciocché quando e' tornava la -sera a cena un  poco pili tardi dell'ora ordinaria, con fatica gli- era permesso che  si ponesse a tavola con gli altri e* gli facevano dar prima una  volta intorno alla sala. Ed ogni volta che e' dopmiva còme egli  era quasi sempre solilo dojK) cena, così a tavola gli traevano i  i nocciuoli delle ulive e de' datteri ed alcuna volta con la sferza  ovvero con lo (4) scudiscio gli ronzavano intorno agli orecchi a  similitudino (j|ifiai^li vento. Usavano ancora, mentre che ei rus-  sava, di mettergli i calzari alle mani: acciocché svegliandosi in  un subito venisse a stropicciarsi gli occhi con essi.   Pericoli da lui fuggiti.   Porto ancora qualche pericolo e primieramente quando egli  era consolo fu per esser privo del magistrato , perchè non cosi   (1) Scudiscio, lo stesso che h     I     Qtt?(TO tMPERATO&E 235   presto aveva fatto fare le statue di Druso e di Nerone fratelli di  Cesare e porle dove elle avevano a stare. Fu ancora accusato  molte volte e da persone forestiere ed ancora' dai suoi domestici  ed amici ; e del conti novo travagliato ora fu un modo ed ora in  un altro. Quando e' fu scoperta la congiura di Lepido .e Getu-  lico, mandato in Germania con gli ambasciadorì a rallegrarsene,  portò pericolo di non vi lasciar la vita ; perciocché Caligola si  sdegnò grandemente con dire che e' lo avevano stimato per un  fanciullo, avendogli mandato per sopracapo il zìo che lo gover-  nasse : e scrivono alcuni che lo fece gittare in fìume cosi veatito  come egli era venuto. E da quel tempo innanzi sempre che ei  si aveva a parlare in senato, era Tultimo a dire il suo parere;  perciocché sempre per dispregiò dopo tutti gli altri ne era ad-  domandato. Fu ancora accusato d'essersi trovato a sottoscrivere  un testamento falso ; e fu da chi lo aveva a giudicare accettata  la predetta accusa. Ultimamente , costretto a pagare ventimila  scudi, per essere stato messo nel numero de' sacerdoti di Augu-  sto, venne a tanta povertà che essendo obbligato allo erario,  né avendo il modo a soddisfare, i prefetti dello erario, secondo  che disponeva la legge sopra a ciò fatta , lo ferono stare appic-  cato per un piede. in pubblico,. come so egli ;jji avesse avuto a  vendere.   Principio deirimperio di Claudio.   Trattato in cotal guisa la maggior parte del tempo che egli  visse, fu fatto di cinquanta anni imperatore hiolto a caso e ma-  ravigUosamente quanto dir si può ; perciocché essendo in com-  pagnia degli altri ributtato nò voluto metter dentro dagli ucci-  ditori di Caligola , i quali stando in su la porta licenziavano  ognuno, mostrando che esso Gaio parlasse in segreto con qual-  che persona, s'era ritirato in una certa stanza dgve'Bi mangiava  chiamata Ermeo. £ poi che e' fu seguito il cago>it|gpB$ così il pie  fuor della soglia dell'uscio e dipoi si nascose ùìottìù [Vj all' usciale  e stando in cotal guisa passò a sorte un soldatello che andava  discorrendo per la casa e gli venne veduto i piedi di Claudio ; e  nel voler domandare chi egli fosse lo riconobbe , e presolo pei  tirarlo fuora, Claudio tutto pauroso se gli inginocchiò a' piedi,  ma il soldato gli fece riverenza e lo salutò chiamandolo impera  dorè. Quindi lo condusse dove erftio gli altri soldati ; ' o"*»!     236 CLAUDIO CESARE   attendevano a gridare e correre in qua ed in là. Posonlo adun-  ((ue dentro a una lettiga ; e ^ìerciò che i suoi servidori orano  fuggiti, lor medosìmi lo portarono scambiandosi Tiin Taltro di  mano in mano. E tutto maninconioso e ripieno di paura lo con-  d «isserò all'esercito ; le genti elio lo riscontravano erodendo che  e' fusse condotto senza sua colpa alla morte ne avevano compas  sione. Fu adunque ricevuto dentro a* bastioni tra quelli cho fa-  cevano la guardia; più presto rifìdandosi in quei soldati, ch'egli  avesse molta speranza che le cose fussero por succedergli bene.  Perciocché i consoli col senato e colle genti ch'erano a guardia  della città avevano occupato la piazza ed il Campidoglio per ri-  cuperare la libertà ; i (]uali mandarono ancóra un tribuno della  plebe a chiamar Claudio che venisse ancora egli a cpnsuUare e  dire il suo parere; ma egli rispose che non poteva andare e che  i soldati a forza lo ritenevano. Il giorno seguente essendosi raf-  freddala la caldezza de' senatori , nò venendo a conclusione di  cosa alcuna, per non ossero d'accordo e volerla chi in un modo  e chi un altro, si levò su il popolo e cominciò a gridare che vo-  leva un governatore, nominando particolarmente Claudio. Ondo  egli acconsenU che i soldati gli rendessero ubbidienza e gli giu-  rassero fedeltà ; promettendo a ciascun di loro in premio tre-  cento sottantacinque scudi. E così fu il primo imperadore che  facendosi impegnare la fede s'obbligò a' soldati con danari.   Suoi portamenti nel suo ingresso al principato.   Poi che egli si fu assicurato e che egli ebbe stabilito il go-  verno, cercò primieramente come- cosa di maggior importanza,  di far che gli uomini, quanto era possibile, venissero a dimenti-  carsi di que' due giorni ne' quali ^ra stato per mutarsi lo Stato.  Ordinò adunque che e' fusse a ciascuno perdonato e si dimenti-  casse in perpetaO tutto quello che si era detto e fatto in quel  giorno, e coél attenne a ciascuno. Solamente fece ammazzare al-  cuni (li que' tribuni e centurioni che s'erano trovati nella con-  giura fatta contro a Caligola ; il che egli fece, è per dare esem-  pio agli altri e per avere inteso come essi avevano cerco di  ammazzare ancora lui. Quindi voltossi con animo alle opere  sante e pietose. E quando egli aveva a confermare alcuna cosa  con giuramento, usava più il nome di Augusto , che di alcuno  degli altri imperadori, equeUo più degli altri osservava. Ordinò  che Livia sua avola fusse, come gli altri ch'erano fatti divi, rive-  rita e adorata ; e che nella processione e pompa , che si faceva     QUINTO IMPERATORE 937   il di che si celebravano i giuochi circensi, vi fusse ancora an  carpo tirato dagli elefanti in onor di lei, simigliante a quel di  Augusto. Al padre ed alla madre ordinò, jhir 6i facessero l'ese-  quie pubbliche; e di più in onore dd^pàdJN^^'iCusserp ogni anno  nel giorno che egli era nato celebrati i gittbcki circensi , ed in  onore della madre ordinò una carretta che avesse a dare la volta  intorno alla piazza del Circo Massimo e la fece ancora cogno-  minare Augusta: il che dall'avola era stato ricusato. In onore  del fratello, il cui nome, sempre ch'egli n'ebbe occasione, fu da  lui celebrato e fattone memoria , ordinò ancora che a Napoli  fusse recitato una commedia in greco , nel dì che i Napoletani  celebravano l6 lor feste ; e coronò il componitore della predetta  commedia, secondo, che dagli uomini ordinati sopra^ ciò fu giu-  dicato che egli meritasse. Celebrò ancora il nome di Marco An-  tonio e mostrò di esser grato alla memoria di quello ; percioc-  ché avendo fatto intendere pubblicamente al popolo come ei  volea che il giorno, nel qual era nato il suo padre Druse, fusse  celebrato, disse che lo domandava ancora con più istanza per  esser nato in quel dì Marco Antonio suo avolo. Fornì di far edi-  ficare un arco trionfale di marmo , vicino al teatro di Pompeo,  in onor di Tiberio; il quale già s'era inó;]y^ciato a edificare  per deliberazione del senato, né dipoi si cra^inandato a perfe-  zione. E benché da lui fussero annullata mte le, cose che da  Caligola erano state fatte e deliberate, nondimeno ancora che il  giorno della morte di quello fusse stato principio del suo impe-  rio, egli non volle ch'e' fusse connumerato tra i festivi.   Onori da lui sprezzati, ed altri suoi modi civili.   Quanto al dare riputazione a se medesimo ed al farsi onorare  e riverire, andò molto destramente e si dimos^Ò molto umano  e d'animo civile. Egli primieramente non Yjf W™ 8Sit chiamato  imperadore ; degli onori e -magistrati ne ricqfJSBBflK j^on volle  che in pubblico si facesse festa o dimostp^MHSKuna nelle  nozze della figliuola, né ancora quando gli jgtdSfBHM Non   fece grazia mai ad alcuno bandito di tornare 16 Sjìina , se non  con licenza e volontà del senato. Non volle entrare in Senato  accompagnato dal prefetto de' soldati pretoriani e dai tribuni dei  militi, senza prima impetrarne lioeBilEa dei senatori ; e similmente  non tenne per ben fatta alcuna ^^QB^. che da' suoi procuratori  fusse stata giudicata o mandàt^'lV^ esecuzione per suo ordine,  se i senatori prima non la approvavano. Pregò i consóli che gli     238 . CLAUDIO CESARE   dessero autorità di poter fare la fiera del vendere e comperare  nelle sue private possessioni. Molte volte si rappregeniò dentro  a' magistrati, non comeJmperadoi*e ma come persona privata ;  per consigliare e non per comandare. E quando alcuno di loro  celebrava alcuna festa , egli jnsieme con l'altra moltitudine si  levava in piedi e con la voce e con le mani mostrava di ralle-  grarsene. Fece scusa co' tribuni della plebe , i quali erano ve-  nuti à trovarlo dinanzi alla sua residenza, dicendo sapergli male  d'avere a dar loro udienza stando ritti per esser in luogo stretto.  Per queste coso adunque in breve spazio di tempo venne a farsi  tanto ben volere dall'universale, ch'essendo venuto lo avviso  come egli era stato morto a tradimento nell'essere cavalcato ad  Ostia, il popolo non restò mai con grandissima afflizione d'animo  di bestemmiare crudelmente i soldati ed il senato e sparlare  contro di loro, chiamando i soldati traditori ed il senato parri-  cida, insino a tanto che e' cominciò a comparire quando uno e  quando un altro, ed appresso una gran quantità di gente con-  dotta dinanzi al popolo dai consoli, i quali dettone nuove come  egli era salvo e vicino a Roma che tornava.   Insidio tesegli, e con^'iure contro di lui fatte.   Con tutto questo si trovarono alcuni che cercarono di am-  mazzarlo; ma furono persone particolari e gente che cercavano  di mutar lo Stato per le discordie ch'eran nate tra' cittadini. Fu  adunque trovato a mezza notte un plebeo vicino alla camera  dove egli dormiva con un pugnale in mano. Furono ancora tro-  vati in pubblico due cavalieri che avevano dentro a una mazza  da cacciatori un coltello e l'aspettavano per ammazzarlo ; uno  de' quali lo voleva assaltare uscito ch*egli era del teatro, l'altro  mentre che dinanzi all'altare di Marte sacrificava. Congiurarono  contro di lui per mutare il governo. Gallo Asinio e Statilio Cor-  vino ed i nipoti dì Pollioue e di Messala, amendue oratori, avendo  un gran seguite di loro liberti e schiavi. Furio Cammillo Scri-  boniano fu queHo che tentò di muovere la guerra civile, il quale  era legato nella Dalmazia , ma fra cinque dì fu oppresso ; per-  ciocché i soldati non gli tennono il fermo e si pentirono per ti-  more degli Iddii : perciocché essendo loro detto la via ch'egli  avevano a tenere per rappresentarsi al nuovo imperadore, mira-  colosamente accadde ch'e' non poterono né accomodare l'aquila,  né smuovono l'insegne ch'erano fiatate in terra.     QUINTO mPBIIÀTORE i39   Suoi consolati e delle cose da lui fatte in «ssi.   Fu cinque volte consolo: i primi due consolati furono l'uno  dopo Taltro ; quelli che appresso seguirono, vi fu quattro anni  dall'uno all'altro; l'ultimo fu di sei mesi e gli altri di due sola-  mente : nel terzo fu sostituito in luogo di un de' consoli ch'«ra  morto : il che non era per addietro mai intervenuto ad alcuno  imperadore. Fu molto dilìgente e durò grandissima fatica nello  amministrare giustizia e tener ragione quando egli era con-  solo e fuori ancora del consolato , non risparmiando li dì festivi  e solenni, e che per antica usanza erano religiosi, né quelli che  particolarmente per^conto d'alcuno de' suoi parenti si guarda-  vano. Né sempre andò dietro appunto a quello che dicevano le  leggi, ma andava moderando la dolcezza e l'asprezza di quelle  secondo che gli dettava il suo giudizio naturale e che a lui pa-  reva che fusse giusto e. ragionevole : perciò ch'e' fece abilità di  potere riassuniere la causa a quelli che dinanzi a'giudici privati,,  per addomandar più che e' non dovevano , avevano perdute le  lor ragioni ', e quelli che fussero stati ritrovati in frodo in cose  di maggiore, importanza, gli condannò a esser divorati dalle be*  stie, trapassando in questo gU ordini delle leggi.   Sua instabilità e variabilità nel render ragione.   Nel dare sentenza e nel risolversi sopra alle liti, clic gli capi-  tavano innanzi, faceva di grandi svarioni : perchè ora mostrava  d'essere molto considerato giudice e di sottile intendimento; ora  si dimostrava, pel contrario, senza considerazione alcuna avven-  tato e furioso ; altra volta appariva una persona debole e sciocca.  Egli primieramente nel far grazia ad alcuni giudici di non es-  ser obbligati a. rappresentarsi in compagnia degli altri a giudi-  care per giusti. impedimenti, ed cssendovene uno disobbligato,  per avere tre SgUfiióD^ il quale nondimeno, ohittjvfo, aveva ri-  sposto come dó:^*^^ non fusse stato disobbligo, ^«9 che e' fusse  disobbligo a ogni modo e lo priyò di quello uffiz^ieme persona  ambiziosa e troppo desiderosa di ritrovarsi a Òkr sentenze. Un  altro de' predetti giudici fu chiamato da uno che litigava seco  dinanzi alla medesima residenza in giudizio , onde egli rispon-  dendo disse ch'ella era una causa che se n'andava per l'ordinà-  rio^ nò bisognava ch'ella fusse messa loro innanzi in quel* luogo ;  ma Claudio comandò che subito in sua presenza egli decidesse  la dotta lite e vi desse sc^ra sentenza: acciocché dal giudicare     940 CLAUDIO CESARE   le coso proprie egli desso saggio di sé e mostrasse quanto nel  giudicare lo altrui e' fusse por dovere e^ere giusto e ragione-  vole. Litigavano dinanzi a lui la madre ed il figliuolo, negando  ella quello essere il suo figliuolo, e per le ragioni e conietture  che dairuiia e l'altra parte si allegavano era cosa molto difficile  a conoscer chi dicesse il vero di loro due. Ma Claudio comandò  alla donna, che poi che quel tale non era suo figliuolo, ella se  lo prendesse per marito , il che dà lei fu ricusato; e in cotal  guisa si venne a comprendere come egli era veramente suo fi-  gliuolo. Dava le sentenze in favor di quelli che erano presenti^  senza considerare , se coloro che per qualche impedimento o  necessità non si erano rappresentati in giudizio , avevano o più  meno errato ; *o se lo impedimento ch'essi allegavano per es-  ser giusto, meritava d'essere ammesso. Avendo dinanzi un falsi-  ficatore, e nel st^ntire a caso uno che gridò e disse : e' merita  che gli sia tagliato le mani , subitamente e con grande istanza  comandò che e si facesse venire il carnefice col ceppo e con  la mannaia. Un'altra volta avendo dinanzi un forestiero che s'era  voluto spacciare per cittadino romano^ e contendendo insieme  l'accusatore e quello che lo difendeva in che guisa egli avesse  ad essere \estito o da forestiero o da romano, mentre che la  sua causa sì agitava , Claudio gli fece mutare i vestimenti più  volte secondo che egli era accusato o difeso ; quasi ch'egli vo-  lesse dimostrare d'essere un giudice spogliato d'ogni passione e  che non piegava più d'una parte che da un'altra, se non tanto  quanto le ragioni comportavano. Avendosi oltre a ciò a scrivere  il suo parere sopra una certa faccenda, si crede che il suo voto  fusse che la intendeva come coloro che avevano detto il vero ;  per le quali coso venne in tanto dispregio^ che ognuno palese-  mente se ne faceva beffe. Egli aveva fatto citare un testimonio,  e scusandolo il suo procuratore con diro che e' non poteva com-  parire in tempo, gli domandò la cagione; il procuratore poiché  e' fu stato un pezzo a rispondere, disse ch'egli era morto ^ al-  lora Claudio soggiunse : la scusa è lecita. Un altro ringrazian-  dolo come per burla, che egli acconsentisse cke uno il . quale  era stato accusato fusse difeso e avesse chi dicesse le sue ra-  gioni , soggiunse ancora, ch'ella nondimeno era cosa solita. Ri-  cordomi ancora aver sentito dire da' nostri vecchi che i causi-  dici e gli avvocati, per esser lui persona tanto paziente, gli  avevano in modo preso rigoglio addosso, che quando e' volevano  scendere giù della residenza, non solamente lo chiamavano di-  cendo che e' tornasse indietro, ma lo pigliavano per un lembo     QUINTO IMPEaATOHE %ih   della toga o per un piede e lo fermavano. E acciò che e' non  paia ad alcuno le predette cose essere da maravigliarsene^ un  Greco, persona vile e di poco affare, nello questioneggiare seco  con parole, si lasciò uscir di bocca in greco: ed ancora tu sei  vecchio e matto. Fu accusato un cavalier romano d'usare con  le femmine a mal modo, il che era falso ; ma perciocché i suoi  avversarii potevano assai, era in diibbio il fatto suo. Egli adun-  que vedendosi esaminare contro i testimonii e le pubbliche me-  retrici^ si volse a Claudio con dirgli ch'egli era un crudele ed  uno stolto; e venne in tanta rabbia che e' prese le scritture e ||ii  stiletto del ferro e gli trasse ogni cosa nella faccia e gli fece un  poco di male in una guancia.   Uffizio della censura da lui amministrato e altre cose da esso fatte.   Amministrò il magistrato della censura, il quale uiì gran tempo  addietro, aopo che Paulo e Fianco furono censori, non s'era eser-  citato; ma nel predetto magistrato fece ancora di molti svarioni.  Ebbe dinanzi un giovane cavalier romano il qUale era stato ac-  cusato per le sue disonestà ; e perchè e' sapeva che il suo padre  era uomo dabbene e sempre era stato di buoni costumi , lo li-  cenziò senza alcuna punizione, dicendo che egli aveva in casa il  suo censore. Un altro gli fu accusato per molto vituperoso e che  avesse commesso di molti adulterii, il quale egli non condannò  altrimenti, ma solo gli ricordò che essendo ancor giovane e di  tenera età , avesse cura di non si affaticar troppo e di non so-  praffare la natura , o almeno di essere più cauto e segreto nel  farlo , soggiugnendo : « Parti egli che e' sia ragionevole che ab-  bia a sapere ancora io qual sia la tua amica? » Avendo oltre a  ciò a preghiere di certi suoi amici acconsentito che e' si scan-  cellassero alcune parole ch'erano in disonore d'uno che gli era  stato accusato, disse : « Io son contento, ma io voglio nondimeno  che e' sì riveggià la scanceUatura. » Era un Greco (Je' principali  del suo paese, pejrsona molto splendida, il quale ^nel numero  de' giudici ; ed ^ì, perchè e' non sapeva parlare in latino, non  solamente lo privò di quel magistrato , ma ancora lo ridusse t  vivere come forestiero. Volle sempre che quelli che avevano ?  render conto della vita loro^ lo facessero da per loro senza a\  vocati, con dir loro che facessero il meglio che potevano. Con>  dannò molte persone, ed alcune ve ne furono che non se lo poL  savano , perchè non mai per l'addietro era stato cop'^a»^^»*^  al^iii^n x)er simili ^^/siioni, rWme tw^r Assers' Dartk ^'^^^i-     242 CLAUDIO GBSARB   sua licenza : e tra gli altri condannò uno |)or avere accompagnato  un re nel suo paese, dicendo che anticaoiente Rabirìo Postumo,  per aver seguitato Tolomeo in Alessandria , desiderando di va-  lersi d'un suo credito, era stato accusato dinanzi a' giudici d'aver  fatto contro allo Stato. Era nondimeno molto maggiore il numero  di coloro ch'egli avrebbe voluto condannare , ma per la negli-  genza di coloro che gli esaminarono, gli trovò quasi tutti senza  colpa, il che seguì con suo grandissimo disonoire; perciocché  quelli che furono accusati di non aver moglie , di non aver fi-  gliuoli d'essersi lasciati sopraffare dalla povertà, provarono di  aver moglie, d'aver figliuoli e d'esser ficchi : e così ancora al-  cuni i quali erano stati accusati d'aversi date delle ferite per loro  modesimi, spogliandosi ignudi, dimostrarono il corpo e la per-  sona loro senza offesa alcuna. Fu ancora in questo suo uffizio  della censura notabile ch'egli comandò che una carretta d'ar-  gento sontuosamente fabbricata, la quale si vendeva^^ntf borgo  (WSigillari, fusso ricomperata e sminuzzata e disfatta là^iia pre-  senza. Mandò ancora in un giorno venti bandi, tra' quali ve ne  fu uno che ricordava al popolo che per essere buona ricolta di  vino, avessero cura che le botti fussero ristuccale bene ; nelFal-  tro ricordava che al morso della vipera non era il miglior rimedio  che il sugo di quell'albero eh' è chiamato tasso.   Sua spedizione neir Inghilterra e del trionfo.   Fece a' suoi di solamente una impresa , o quella di poca im-  portanza : perciò che avendo ordinato il senato che per suo onore  gli fussero concessigli ornamenti trionfali, e giudicando un simil  titolo scemare più tosto che accrescere il grado il quale egli te-  neva, e desiderando di trionfare interamente e come si doveva,  elesse, per mandare ad effetto questo suo desiderio, tra tutte le  altre l'impresa d'Inghilterra: la quale impresa, dal divo' Giulio  in poi, da ninno era stata tentata. Eransi in quel tempo levati  su i popoli di queir isola; perchè i fuggitivi, secondo .Ig conven-  zioni, non erano stati renduti loro. Partendosi adunqiìè Claudio  d'Ostia e andandosene alla volta di quésta isola per mare, fu due  volte per affondare intorno alla riviera di Genova vicino all'isola  di Jori, per un vento provenzale che s'era levato molto gagliardo  Onde andatosene da Marsiglia infmo a Gessoriaco per terra  quindi se ne rientrò in mare e passò nella detta isola. Ed aveii'  dola senza alcuna battaglia e senza sangue tra pochissimi giorni  ridotta in suo potere , tornò a Roma il sesto mese dipoi ch?egl     QUINTO IMPERATaRE 243   s'era partito e trionfò con grandissimo apparato. E permesse che  non solo venissero a vedere in Roma quelli ch'erano al governo  delle Provincie, ma alcuni sbanditi. E tra le spoglie ostili ap-  piccò una corona navale, vicino alla corona civica, la quale come  imperatore aveva ricevuta nella sommità del palazzo; volendo  che per quelle si comprendesse come egli era passato insino  nell'oceano, e lo aveva quasi domato. Andò dietro al suo carro  trionfale in carretta Messalina sua moglie; accompagnaronlo ah-  cora quelli che nella medesima guerra avevano conseguitato gli  ornamenti trionfali, ma tutti a piede e con la pretesta, da Crasso  Frugo in fuora ; il quale andò sopra a un cavallo bene abbigliato  e con una veste trionfale ornata a palme, perciocché altra volta  aveva ricevuto tale onore.     Cura che ebbe della città e delle vittuarie.   Usò grah diligenza in far che la città, quanto agli edifìzii ed  altre appartenenze si mantenesse e che ella stesse abbondante.  Onde ardendo gli edifizii chitimati Emiliani, ed essendo il fuoco  appiccato in mala maniera, stette due notti alla fila in un luogo  a quelli vicino , chiamato Dilib^torio ; e perchè i soldati e fami-  liari suoi non potevano supplire, ordinò che i magistrati chia-  massero il popolo, mandando le grida per tutta la città: ed egli  facendosi loro incontro mostrava loro le borse piene di danari,  confortandogli ài dar soccorso in quella necessità, promettendo  di pagar ciascuno secondo che egli si portava. Quanto alla ab-  bondanza , per essere stato parecchi anni un gran secco , era  grandissima carestia di tutte le grasce ; di maniera che trovan-  dosi egli in piazza, il popolo se gli messe' d'attorno, e con dirgli  grandissima villania lo ricopersono quasi co' pezzi del pane; ed  egli bisognò, per uscir loro delle mani, fuggirsi per l'uscio di die-  tro e ritirarsi nel palazzo. Onde da quel tempo innanzi, per tutti  que' modi che fu possibile, cercò sempre di provvedere la città  nel tempQ della invernata di vettovaglie ; convenfitosi co' merca-  tanti di dar. loro uo tanto per cento di guadagno, e che i gran»  venissero a suo risctuo, dando grandissimi privilegi a tutti quell'  che per condurre robe in Roma fabbricavano navi.   Privilegiì da lui concessi.  Ordinò che ciascuno secondo il grado suo potesse pigni' ■   -yììQ d*)]l1a aI^ '^h'c' "*"^l^va a non fimpA obbliiQ'atr *n (jt-te*^ .,     2ii (4JÌVDÌO CESARE   log^o Pappia Poppea , che vietava ch*e non potesse ter moglie  clii passava i sessanta anni. Oixlinò cbe i Latini godessero tutti  i privile;;!! come cittadini romani , che le donne tutte godes-  sero quel privilci^io che si dava a (piclleche avevan fatto quattro  figliuoli, i ({uali ordini ancora oggi si osservano.   Kdifìzii pubblici da lui costruiti.   Fece di molli grandi ediGzii, ma non già molto necessarii ; e  tra i principali fu l'acquidotto che era st-ato cominciato da Cali-  gola. Fece seccare il lago Fucino. Edificò il porto d'Ostia, an-  cora che egli sapesse che Augusto a' prieglii de' Marsi non mai  aveva voluto seccare il predetto lago : e che il divo Giulio s'era  messo più volte por edificare il porto d'Ostia, e dipoi essendogli  paruta la impresa ditTicile, l'aveva abbandonata. Fece fare due  fonti abbondantissimi d'ac((ua fresca , che derivano dall' acqua  (Claudia, l'uno do^iuali è chiamato Ceruleo, l'altro Curzio ed Ai-  budino. (Condusse oltre a ciò in Roma un ramo d'acqua di quella  del Teverone ; e murando i condotti di pietra, la divise per Roma  in molti bellissimi laghi. Entrò nella impresa del lago Fucino,  non tanto por acipiistarsi quel nome e quella gloria; quanto per-  chè gli fu dato intenzione di avere a spender poco : e vi furono  alcuni che gli promìsono di riseccarlo a spese loro, oche e'fus-  sero concessi loro i terreni che rimanevano secchi. Fece , per  isgorgare l'acqua del predetto lago, un canale di tre mila passi,  attraversando una parte del monte ed una parte tagliandone; la  quale impresa con gran fatica si condusse in capo a undici anni:  e vi tenne contino vamente a lavorare trenta mila uomini, senza  mettere in mezzo punto di tempo. Quanto al porto d'Ostia, tirò  un'ala di muro dalla destra e uno dalla sinistra ; ed allo entrare,  dove il mare era ancor profondo, tirò un molo attraverso. £ per  giltare i fondamenti più gagliardi e stabili , aflbndò nel detto  luogo la nave che aveva portato faguglia grande d' Egitto ; ed  accozzati insieme molti pilastri, vi edificò sopra una torre altis-  sima come quella del Faro Alessandrino, per tenervi il lume ac-  ceso la notte , acciocché i naviganti conoscessino il cammino.  Diede oltre a ciò più volte la mancia al popolo.   Alcuni spettacoli da lui rappresentati.   Fece ancora molto belle feste magnifiche, e non solo quelle  che si costumavano ne' luoghi soliti , ma ancora alcune altre.     Qvi>rTo nii»BMflroi(fi ^45   parte ritrovate da lui e parte tratte dagli antichi. E perchè il  teatro di Pompeo era arso, egli lo fece rifare, e nel dedicarlo e  consagrarlo fece celebrare le feste che ai costumavano ; avendo  fatto porre la sua residenza nel luogo dove sedeano i senatori, e  supplicato in quel tempio ch'era dalla parte di sopra del teatro,  passò per mezzo di quello, stando ciascuno a sedere, né si fa-  cendo strepito alcuno. Celebrò ancora i giuochi secolari , come  se Augusto gli avesse celebrati innanzi al tempo ; ancora che  egli medesimo scriva nelle sue storie che essendo stati tralasciati  i predetti giuochi, Augusto gli aveva riordinati, avendo con gran-  dissima diUgenza fatto il conto degli anni : onde il popolo si rise  del banditore, il quale secondo il costume invitava ciascuno a  vedere celebrargli con dire che ninno gli aveva mai veduti, né  era per vedere in temjK) di sua vita ; avvenga che molti ch'erano  presenti si fussero ritrovati a vedergli celebrare al tempo di Au-  gusto, ed ancora v'erano di quelli che s'erano trovati a rappre-  sentargli , che allora gli rappresentarono un'altra volta. Fece  oltre a ciò celebrar i giuochi circensi più volte nel Vaticano; ed  ogni volta che le carrette avevano corso cinque volte , interpo-  neva una caccia ; e dove i cavalli stavano alle mosse, fece coprir  di marmo e le mete fece indorare , come che prima le mosse  fussero di legno e le mete di tufo* Ordinò ancora che i senatori  avessero un luogo appartato nello stare a vedere celebrare i detti  giuochi, dove prima solevano stare alla mescolata. Ed oltre al  correre delle carrette fé' celebrare ancora il giuoco chiamato  Troia. Messe ancora in campo le pantere d'Africa, e le fece am-  mazzare da una squadra di cavalieri pretoriani, de' quali erano  capi i tribuni e capitan generale il prefetto loro stesso. Fece an-  cora comparire in campo i cavalieri di Tessaglia, i quali si ag-  girano per la piazza menando attorno tori ferocissimi ; e dipoi  quando e' conosc-ono che sono stracchi , vi saltano sopra e per  le corna gli tirano a terra. Fece ancor celebrare il giuoco dei  gladiatori più volte in diversi modi. Fece ancor celebrare le fe-  ste solite di farsi ogni anno negli alloggiamenti pretoriani ; la  prima volta senza la caccia, e senza alcun altro apparato ap-  presso ; la seconda volta le fé' celebrare nel Campo Marzio con  la caccia e con tutte quelle appartenenze che si rìtercavano.  CelebròancQra le medesime feste un'altra volta in Campo Marzio,  per lo strasordinario, e durarono pochi giorni e chiamolle Spor-  tule , perciò ch'egli aveva fatto convitar il popolo così all'im-  provvisa per dargli cena e fargli alcuni donativi. Fu la predetta  festa assai fredda e comunale ; onde il popolo nel premiare i vin-     246 CLAUDIO CBSARB   citori , ponendo egli la sinistra innanzi , gli aiutava a contare i  danari ; e pregandogli ad ogni poco che stessero allegri, gli chia-  mava i suoi signori, mescolandovi certe sue facezie fredde e sfor-  zate, quale fu questa : che domandando il popolo che meitesBe  in campo Colombo ch'era un gladiatore, egli rispose ch'era per  farlo volentieri quando e' fusse preso. -Solo una cosa fece ch'ebbe  del buono e fti utile esempio all'universale ; e questa fu che,  pregandolo quattro fratelli che fusse contento di far esente ior  padre e disobbligarlo dal giuoco de' gladiatori, egli subitamente  si fece portare la verga ch'era solita darsi a quelli che si face-  vano esenti , e gliene dette , e sopra una tavoletta fece notare  come e' l'aveva disobbligo , per dimostrare al popolo quanto ei  dovevano ingegnarsi di generare e far figliuoli , veduto quanto  e' fossero utili e come egli erano bastanti di favorire inaino a ub  gladiatore. Fece oltre a ciò combattere un castello in Campo  Marzio, dove e' rappresentò il fatto d'arme d'Inghilterra e come  i re di quella provincia se gli dettone ; ed egli medesimo nei pre-  detto spettacolo sedette come giudice, vestito alla soldatesca ed  a guisa di capitano. E nel seccare e dar la via al lago Furino,  fece prima fare una battaglia navale. Ma gridando quelli che  avevano a combattere : « tu sia il ben trovato , imperatore, sia  sano da parte di coloro che hanno a morire : » ed avendo egli ri-  sposto : « state sani voi; » eglino parendo loro che tal parola gli  avesse licenziati e liberati di mettersi a quel pericolo di morire,  non volevano combattere ; di che egli stette gran pezzo sopra di  sé pensando se e' faceva appiccar fuoco alle navi e tagliargli tntti  a pezzi. Finalmente levatosi da sedere e disceso a basso, co-  minciò a correre intorno al lago, tuttavia balenando e stando per  cadere ; tanto ch'esso gli costrinse a combattere parte conte mi-  nacce e parte con preghi. AflFrontaronsi insieme nel predetto  itacelo Tarmata siciliana e quella di Rodi, dodici galere per  la ; e nel mezzo del lago surse per via di c^rti ingegni un  ne d'argento, il quale sonava la trombetta.   Instituzione, riforina e riordìnazione di alcune costumanze.   Quanto a' sacrifizii ed alle cerimonie degli Iddìi corresse alcune  jose ; ed ancora quanto alle cose civili ed a quelle della milizia.  Riordinò oltre a ciò alcune cose quanto a' senatorré^pavalìérì,  così dentro nella città come di fuori ; rinnovando gli ordini an-  tichi e che si erano tralasciati ed ordinandone de* nuovi. Aven-  dosi a eleggere i sacerdoti, egli prima che ne nominasse alcuno     OUIPrrO IMPERATORE SI47   sempre giurava di nominare quello che a lui fusse paruto il mi-  gliore di tutti. Osservò ancora con diligenza che ogni volta che  in Roma fusse venufò alcun tremuoto, il pretore ragunasse il  popolo a parlamento e comandasse le ferie, cioè che in que' dì  . non si stesse a bottega ; e cosi quand'egli appariva cosa alcuna  prodigiosa o di male augurio, ordinò che per la città si facessino  processioni solenni e che gli Iddii con preghi si placassino : nelle  quali processioni egli come pontefice massimo precedeva a tutti  ed in piazza faceva un'orazione al popolo sopra a tal cosa, ricor-  dandogli quello che e' doveva fare. Ordinò ancora che le cause  le quali si trovavano in diversi tempi dell'anno, cioè una in alcuni  mesi del verno ed una parte in quelli dell'estate, si tenessero  insieme congiunte senza intervallo di tempo ; e tolse via un gran  numero di servi e d'altra simile generazione che servivano in .  quell'affare. -   Statuti e regole da lui messe.   Il decidere e seutenziare sopra a' fidecommissi, come che per  lo addietro fusse solito di crearsi il magistrato ogni anno sopra  a questo solamente in Roma, egli ordinò che il magistrato fusse  a vita; e che ancora quelli ch'erano a governo delle provincie  avessero la medesima autorità. Mandò ancora un bando nel quale  egli annullò quel capitolo che Tiberio Cesare aveva aggiunto  alla legge Pappia Poppea;f i  che e' non potessero stare in Roma né discostarsi da quella pifr'?"'*" "  di tre miglia; il che per lo addietro non s'era mai costumato,.*;'  Avendosi a trattare cosa alcuna d'importanza faceva porre laT--.  residenza del tribuno tra quelle de' consoli, ed egli vi sedevi» * / ^^  sopra in mezzo di loro. Volle oltre ciò che quelli che solevano  dimandare licenza al senato di andar fuor di Roma per loro affar  si facessino a lui e da lui riconoscessino tal grazia.     248 CLAUDIO CRSÀRE   Sua facilita o compiacenza e liberalità.   Concesse a' procuratori chiamati Ducenarìi, che da Augusto  erano stati ap:i2;iiinti allo tre decurie degli altri procuratori, ch'ei  potessero usare gli ornamenti consolari. Privò dell'ordine def^  cavalieri quelli che ricusavano d'esser fatti senatori. E benché  nel principio avesse affermato che non era per eleggere alcuno  senatore se non nipote in terzo grado d'un cittadino -romano,  nondimeno dette la veste senatoria a un figliuolo d*un libertino,  cioè d'uno, il padre del quale era stato fìglitiQ||||^ di servo; ma  gliene la dette con cx)ndizione ch'egli avesse jj^iìma ad esaere  adottato da-un cavalier romano. K dubitando tuttavia- di non  essere ripreso e biasimato, disse, che ancora Àppio Cieco, il quale  aveva accresciuto la sua stirpe essendo censore, aveva eletto  per senatori i figliuoli de'libortini, e che da lui aveva imparato:  come quello' che non sapeva che a' tempi di Appio e di poi per  alcun tempo, libertini erano chiamati non quelli ch'erano fatti  liberi, ma ancora i cittadini che da loro erano discesi. Al collegio  de'questori, in cambio di far lastricare'le strade, dette la cura di  far celebrare il giuoco de'gladiatori e tolse loro il governo della  provincia Gallia e Ostiense ; e rendo loro la cura e guardia dello  erario di Saturno, che in quel mezzo tempo avevano avuto i pretori  quelli ch'erano stati pretori. Concessegli ornamenti trionfali t  Sillano marito di sua figlia, il quale ancora era sbarbato ; ed  a quelli ch'erano di più età gli concesse con tanta agevolezza  ed a si gran numero, ch'e' si ritrovava una epistola scrittagli in  comune da' suoi soldati, per la quale gli addomandavano che ai  legati consolari insieme con lo esercito fussero concessi gli or-  namenti trionfali, per non dar loro causa d'avere, a tunfiultuare  e cercare occasione di guerra. Volle che Aulo Plance entrale  in Roma ovante, cioè vittorioso: e si gli fece incontro nello an-  ■^are in Campidoglio e nel tornare gli andò sempre accanto. A   abinio Secondo, il quale aveva superati i Cauci, popoli di Ger-  nania, permesse d'essere cognominato Caucio.   Alcuni modi civili e ordini da lui pubblicati.   Ordinò la mihzia de' cavalieri in questo modo : che il primo  grado che dava a uno de' predetti uomini a cavallo era il pro-  porlo a una coorte, cioè compagnia de' cavalh ; appresso gli dava  il governo d'un'ala e dopo questo lo faceva tribuno d'una legione.  Ordinò ancora una milizia nuova di soldati solamente in nome,     QUINTO mPERATOBE M9   9   a' quali dava un certo soldo e chiamava la detta milizia il sopra  numero : né importava che quelli che ne erano fussero presentì^  ma potevano essere assenti servendosi solo del nome. Proibì ai  soldati di entrare in casa de' senatori per salutargli- e vi fece far  sopra ancora al senato un decreto. Vendè come schiavi ì libertini  che s'erano usurpato il nome e l'autorità di cavalìer romano ; e  quelli ancora de' quali i padroni si querelavano, come d'ingrati  é che non riconoscevano ibenefìcii ricevuti, gli ridusse di nuovo  in servitù facendo intendere agli avvocati loro che non era per  tener ragione né dar sentenza in favor di quelli. Furono esposti  alcuni de' predetti schiavi nell'isola di Esculapk) ch'è nel Tevere,  perciocché a' padroni era venuto a fastidio il fargli medicare :  onde egli comandò che tutti quelli che fussero stati in tal modo  esposti, s'intendessero d'esser fatti liberi e eh' e' non fussero più  obbligati di tornare in servitù de' padroni, riavendo la sanità. E  trovandosi alcuno che più tosto gli volesse ammazzare che espor-  gli , ordinò ch'e' fusse accusato per omicida. Mandò un bando  che i viandanti non potessino andare attorno per le città d'Italia,  se non a piede ò in seggiola o in lettiga. Ordinò che n Pozzuolo  ed a Ostia stessero alcune compagnie di soldati per tnr via la  occasione degli incendii ed arsioni. Non volle che i forestieri po-  tessino usare i nomi de' cittadini romani, cibò di quelli ch'erano  di casato e nobili. Fece percuotere con la scure nel campo E-  squilino -quelli che si attribuivano il nome di cittadini romani.  Rendè l'amministrazione della provincia della Acaia e della Ma-  cedonia al senato ; la quale Tiberio si aveva tolta per sé. Tolse,  la libertà al Licii per le discordie mortifere che tra loro erano  nate. Volle che i Rodiotti gli domandassero perdono de' loro  vecchi delitti. Liberò gl'Iliensi in perpetuo dal pagare i tributi,  perciocché i Romanf erano discesi da loro; recitando una epistola  antica del senato e popolo romano scritta in greco a Seleuco re,  dove si promette al predetto re l'amicizfà e confederazione del  senato e del popolo romano, ogni volta che egli avesse liberato  gl'Iliensi lor consanguinei e parenti da' tributi e gravezze che a  lui pagavano. Cacciò i Giudei di Roma, i quali mossi e persuasi  da Cristo ogni giorno mettevano Roma sottosopra. Concesse agli  ambasciatori de' Germani che sedessino nella orchestra, luogo  dove sedevano i senatori, mosso dalla semplicità e fiducia di  quelli ; perciò che essendo stati posti a sedere dove sedeva il  popolo, e veggendo che i- Parti e gli Armeni sedevano in senato,  spontaneamente trapassarono ancor loro a sedere in quel luogo,  con dire palesemente che non si tenevano in conto alcuno nò   17 SvETONio. Vite dei Cesari.     250 CUUDIO CESABfi   per valore né per nobiltà da meno de' Parti e degli Armeni.  Spense la religione dei Druidi appresso de* Galli, la quale era  di somma crudeltà e bestialità ; ed al tempo di Augusto solo dii  ciltadìni era stata interdetta. E per contrario s'ingegnò di tras-  ferire a Roma i sacrifizi di Eleusina della regione Attica. Fece  oltre a ciò rifare in Sicilia il tempio di Venere Erìcina, il quale  per antichità era ruinato^ a spese del popolo romano. Fece le  confederazioni co' re in ])iazza pubblicamente col far uccidere la  porca ed aggiugnere quella prefazione che anticamente costuma-  vano i sacerdoti Feciali. Ma queste cose e tutte l'altre ed in gran  parte ancora tutto il suo principato amministrò, non tanto per  suo arbitrio quanto della moglie e de' suoi liberti, governandosi  il più delle volte secondo che a loro piaceva e veniva comodo.   Le spose e mogli di esso.   Sendo ancora molto giovanetto, ebbe due mogli, Emilia Le-  pida , bisnipote d'Augusto e Livia Medulina, cognominata Cam-  mina, della casa antica di Gammillo dittatore. Ripudiò la prima  ancora vergine, per avere i parenti suoi offeso Augusto; la se-  conda essendo malata si mori il giorno che le nozze si avevano  a celebrare. Appresso tolse per moglie.Plauzia Erculanilla, il cui  padre aveva trionfato ; dipoi Elia Petìna, il padre deHa quale  (ira stato consolo, e con amendue fece divorzio : ma con Petìna  per offese pìcciole ; con Erculanilla, perchè ella era molto vitu-  perosa e disonesta , e perchè ancora si sospettava ch'ella non  avesse tenuto mano a qualche omicidio. Dopo le predette tolse  per moglie Valeria Messalina fìgliuola di Barbato Messala suo  cugino, e trovato, oltre alle altre cose vituperose e disoneste  che da lei erano state commesse, ch'ella s'era maritata ancora a  Gaio Silio, gli consegnò la dote in presenza degli aruspici e la  fece ammazzare. E parlando a' suoi soldati .pretoriani^ affermò  che poi ch'egli aveva sì mala sorte con le mk)gli, non ne voleva  più tórre alcuna : e che se e' faceva altrimenti, dava loro libera  commessione che e' lo ammazzassino. Nondimeno non potè con-  tenersi ch'egli non trattasse tuttavia qualche parentado e ma-  trimonio, emassime di Petina da lui repudiata e di Lollia Pau-  lina ch'era stata moglie di Caligola. Ma allettato dalle piacevolezze  di Agrippina figliuola del suo fratello Germanico, nel baciarla,  accarezzarla e trastullarsi con essa, se ne innamorò; e convenne  con certi suoi famig^'^n che la prima volta che il senato si ra-   fifiinnva r»ronr»nf»c  gua, aveva ordinariamente il parletico nel capo, ma più quando  egli era in cptal guisa aidirato in ogni suo minimo movimento.   Sua complessione.   Come che per lo addietro fusse sempre stato mal sano, cosi,  poi ch'e' fu fatto principe fu sanissimo, eccetto che alcuna volta  aveva certe doglie di stomaco ; di maniera ch'egli usò di dire  una volta ch'elle lo orep'^no f^^t^ T»treva pensato insino ad am-  mazzarsi.     ^4 CLAUDIO CESAKE   Conviti ed altri suoi fatti.   Usò molto spesso di far conviti i quali erano sempre abbonde-  voli e sontuosi , ed eleggervi luoghi spaziosissimi ; onde il più  delle volte si ritrovarono seicento, a tavola. Quando e' deitte la  via al lago Fucino^ fece un convito dov'egli fu per affogare : per-  ciocché nello sboccare impetuosamente Tacqua, traboccò e ri-  coperse quasi tutto il luogo dove egli erano. Sempre che ei  faceva tali conviti, voleva che i figliuoli stessero a tavola .in  compagnia d'altri fanciulletti e fanciulle nobili : ì quali, secondo  il costume antico, sedevano cosi a canto agli appoggiatoi dei  lettucci e quivi cenavano. A uno de' convitati che'^ il di dinanzi  si credeva ch'egli a vesso -rubata una coppa d'oro, fé' porre in-  nanzi il di seguente un calice di terra. Dicesi ancora ch'egli  aveva pensato di mandare un bando e dar licenza che a tavola  si potesse sfiatare da basso ; per avere inteso che un povero  uomo e vergognoso, sendosene rattenuto, se n'era morto.   Del suo mangiare e bere, del sonno, sua lussuria, e libro  da lui composto del giuoco dei dadi.   Ad ogni ora ed in qualunque luogo sempre fu avidissimo di  bere e di mangiare. Tenendo una volta ragione nella piazza di  Augusto, gli venne al naso l'odore d'un convito che nel tempio  di Marte ch'era qui vicino, si faceva a' sacerdoti del predetto  Iddio, chiamati Salii ; onde levatosi da sedere, subitamente andò  a trovare i detti sacerdoti e si pose con loro a tavola, e man-  giò e bebbe tanto che- sopraffatto dal cibo e dal vino, gli venne  una sonnolenza si fatta che e' si pose a giacere a rovescig a bocca  aperta, e gli fu cacciato una pernia in bocca per isgravargli lo sto-  maco. Era di pochissimo sonno, perciò che le più volte vegliava  insino ^ mezzanotte; pure alcuna volta tra '1 di, nel tenere  ragione, sonnifera va, e appena che gli avvocati, alzando la voce  in pruova, lo potessino destare. Quanto alle donne fu molto  lussurioso, né punto gli andavano a gusto i maschi. Fu molto  dedito al giuoco de' dadi, e ne compose un'operetta e la mandò  fuori. Giuocava insino quando in carretta andava attorno per  Roma, acconciando il tavoliere in modo che il giuoco non vemsse  a confondersi.     QUUfTO IMPSEATOBB 255   Sua crudeltà.   Che per natura e' fusse crudele e sitibondo del sangue , si  conobbe nelle cose minime come nelle grandi. Faceva esaminare  e tormentare e punire gli omicidi in sua presenza; e desiderando  di vedere punire uno in Tigoli, secondo il costume antico, già  erano legati i colpevoli ad un palo, siccome in quei tempi si  usava ; ma non ci essendo il carnefice , lo mandò a chiamare  insino a Roma, e tutto il dì stette ad aspettarlo per fino alla sera.  Ogni volta che egli o altre persone facevano celebrare il giuoco  de' gladiatori, volle che quelli, che a caso, e non per virtù del  nimico sdrucciolassino, fossero scannati, e massimamente i re-  zia rii : facendogli volgere col viso verso lui per vedergli, mentre  che e' mandavano fuori lo spirito. Sendone una volta cascati in  terra un paio per lo ferite date e ricevute. Tuno all'altro, ne  prese tanto piacere che e' comandò che subitamente gli fusse  fatto un paio di coltelli piccoli del ferro di quelle spade. Tanto  era il piacere che si pigliava di vedere gli uomini esser divorati  dalle fiere, che facendosi il detto giuoco a mezzo giorno, si rap-  presentava a vedere come prima si faceva d); e venuto Fora del  mangiare^ licenziava il popolo, ma egli non si partiva. Ed oltre  a quelli che a tal morte erano sentenziati per ogni piccola ca-  gione, sempre ve ne metteva qualcuno degli altri, come fabbri,  legnaiuoli ed altri simili ministri ; i quali nello acconciare qual-  cuno di quegli ingegni che da per loro si giravano o che a poco  a poco surgevano in alto o altre cose simili, non si fussero così  bene apposti. Messevi ancora un dì coloro che gli nominavano i  cittadini romani, còsi togato come egli era.   Sua timidezza e viltà d*animo.   Niuno si ritrovò già mai che fbsse più timido e sospettoso di  lui. Ne' primi giorni del suo principato con tutto che egli, come  di sopra abbiamo detto, facesse grandemente del civile, nondi-  meno non ebbe mai ardire d'andare a convito alcuno, se non  con lo avere d'attorno a guardia della sua persona alcuni soldati  con le partigianette da lanciare ; e questi tali lo servivano alla  mensa ed in tutto quello che faceva mestiere. Né mai andò a  visitare niuno infermo ch'egli prima non facesse molto bene cer-  care la camera e por le mani sopra alla coperta del letto e sotto  la coltrice e scuotere molto bene ogni cosa per vedere se v'era  arme. E inentre ch'egli stette nell'imperio, senza rìsparmivre     256 CLAUDIO CBSABE   alcuno, faceva cercare molto bene tulli quelli che lo venivano a  salutare se e' portavano arme : avendo per tal uffizio scelto i più  rigidi soldati e senza manco rispetto. E cominciò ivi a molti anni  quasi a non la perdonare ancora alle donne, né a'fanciuUetti, nò  alle pulzelle; facendole molto bene brancicare e cercare per  tutto, se per ventura si fusse loro ritrovato arme addosso. £ con  fatica concesse a' suoi scrivani ed a quelli che gli tenevano com-  pagnia di portare a cdnto i pennaiuoli. Ebbe ardire Cammillo  Scriboniano, in sollevamento di -popolo, di mandargli una epi-  stola piena d'ingiurie e di minaccio e comandargli che lasciasse  l'imperio e si desse al vivere privatamente ed iù ozio ; e fu tanta  la «uà timidezza ch'egli- stette in dubbio, fatto chiamare a con-  sigli i primi dottori di legge , se egli in quel caso era tenuto ad  ubbidirgli.   Sua paura delle congiure.   Essendogli fatto credere che alcuni cercavano di ammazzarlo  a tradimento^. se ne spaventò in modo che e' tentò privarsi del-  l'imperio. E ritrovandosi, come di sopra ho riferito, mentre che  egli sacrificava uno con l'arme sotto, fé' prestamente raiiuare il  senato per i trombetti, e lagrimaudo e lamentandosi, si dolse della  sua disgrazia e dello stato nel quale egli si ritrovava ; e che per  lui non fusse sicuro luogo alcuno. E la durò gran tèmpo ch'egli  non si rappresentò in pubblico. La cagione ancora ch'egli raffrenò  l'ardentissimo amore che e' portava a Messalina fu non tanto Tes-  ser da quella beffato ed ingiuriato quanto la paura di non in-  correre per lei in qualche pericolo ; perciocché gli era stato dato  a credere ch'ella andava cercando di fare imperadore Silio suo  adultero : e fu tanto allora il suo timore che vituperosamente si  rifuggì allo esercito; niun'altra cosa per tutta la via ricercando,  se non se l'imperio per lui si conservava.   Pene severe colle quali furono' castigate persone innocenti  per lievissime sospezioni.   Per ogni pìccolo sospetto, per qualunque persona, ancora che  leggerissima^ per ogni poco di scrupolo che gli fusse messo, si  metteva in guardia ed al sicuro e cercava di vendicarsi. Uno di  coloro che litigavano nel salutarlo lo tirò così da banda egli disse  ohe in sogno gli èra paruto di averlo visto ammazzare da una  ' ta persona ; e quindi a poco come se egli avesse rìoonosciuto     QUINTO IMPERATORE 257   quella tal persona che a lui era paruto che Tammazzasse , gli  mostrò il suo avversario che gli porgeva \in memoriale; onde  subito gli fece por le mani addosso, e fu menato via per essere  giustiziato , parendo a Claudio d'averlo còlto in sul fatto. Nel  medesimo modo dicono essere stato oppresso Appio Sillano; per-»  ciocché avendo deliberato Messalina e Narciso di farlo capitar'  male, si eonvennono insieme del modo nel quale si avevano a  governare, e così Narciso una mattina innanzi giorno tutto at-  tonito e smarrito, entrò furiosamente in camera del suo padrone  Claudio, dicendo che ih sogno chiaramente aveva conosciuto che  Appio era per fargli villania. Allora Messalina ancora ella accon-  ciatasi in atto di maraviglia, disse che anco a lei parecchie notti  alla fila era paruto in sogno il simigliante. E quindi a un poco,  come da loro era stato ordinato, entrò uno in camera e dette  avviso come Appio tutto infuriato veniva a Ila volta della camera,  come che 'l giorno davanti gli fusse stato comandato. che nel  detto luogo si rappresentasse : perchè egli stimando vero il so-  gno, comandò che Appio subitamente fusse citato e fatto mprire :  né s'infinse il giorno appresso il prefato Claudio di raccontare in  senato ogni cosa per ordine e ringraziare il suo liberto Narciso,  il quale per la sua salute ancora dormendo vegliava.   Quanto fosse stizzoso e stolto.   Come quello, il quale si conosceva collerico e stizzoso, ne fece  scusa al popolo per via d'un bando e distinse l'un difetto dal-  l'altro con fare intendere che la sua stizza era cosa che passava  vi^ prestò e ch'ella a veruno non era per nuocere, e la collera  che non era per tenerla a torto e senza cagione. Egli riprese  gravemente quelli che abitavano ad Ostia, perciocché entrando  nel Tevere non avevano mandato le scafe ad incontrarlo e molto  gh biasimò e dette loro carico d'averlo in quella guisa mandato  alla (1) stregua degli altri, né mai volle loro perdonare s'eglino  incontanente non gli ebbero soddisfatto e ricorretto il loro er-  rore. Oltre a ciò egli stesso, e con le proprie mani scacciò da sé  e mandò via alcuni, i quali non così in tempo lo andarono a tro-  vare in pubblico. Confinò ancora uno scrìvano, il quale era stato  questore ed uno senatore, il quale era stato pretore, senza volere  intendere scusa o ragione alcuna che da quelli fusse allegata com'^  eh' e' fussero senza colpa. Lo scrivano fu da lui in tal modo col     258 - CLAUDIO CESARE   dannato, perchè quando egli era ancora privato cittadino gli aveva  fatto contro molto apertamente e senza alcun rispetto. Il sèna-  natore , perchè essendo edile , aveva condannato certi suoi fit-  taiuoli che contro il bando avevano venduto cose cotte ; e perchè  il suo fattore della villa vi si era voluto intromettere, lo aveva  battuto. Per la medesima cagione ancora tolse agli edili Fauto-  ri là che avevano di porre freno alle taverne quanto aLcucinare.  Fece oltre a ciò menzione della sua stoltizia, mostrando in certe  orazionette che aveva fatto in prova del goffo e dello stinto sotto  riro[)erio di Caligola; avendo conosciuto di non avere altra via da  scampare delle sue mani, e di pervenire al grado.al quale egli  »?ra pervenuto: né prima ad alcuno Dece credere questa sua  astuzia che intra pochi giorni egli uscì fuori un libretto, il cui  titolo in greco era Insolenza , o si veramente Resurrezione degli  stolti, e lo argomento e sostanza di quello che è' conteneva era  che ninno fìngeva la stoltizia.   Della sua smemoraggine ed altre sue azioni.   Tra gli altri suoi difetti, de' quali gli uomini si maravigliavano,  fu la dimenticanza è lo essere inconsiderato. Egli avendo fatto  ammazzare Messalina, quindi a poco postosi a tavola domandò  della signora ; e perchè ella non veniva a cena. Molti di quelli,  ai quali egli aveva fatto tagliare la testa, furono il giorno seguente  mandati da lui a chiamare in gran fretta, perchè e* venissino o  a consigliarlo o a giuocare con seco ai dadi; e parendogli che  troppo stessero a comparire, gli mandò per un servidore a ri-  [)rendere come persone sonnolenti. Oltre a ciò avendo deliberato  (li pigliare Agrippina per moglie, il che por (1) attenérgli ella  (luello ch'ella gli atteneva, era cosa fuori di ragione e contro al  dovere ; nondimeno ad ogni poco si lasciava uscire di bocca  nella orazione ch'egli faceva per persuaderlo ch'ella era sua fi-  gliuola, ch'egli se l'aveva allevata e creata e che nel suo grembo  ora cresciuta. Quando e' volle ancora adottare Nerone nella fa-  miglia de'Claudii, non gli parendo errore abbastanza lo adottare  il fìgliastro e non tenere conto del figliuolo, ilquale già era di  ragionevole età, usò di dire che niun per il tempo addietro era  mai stato adottato nella famiglia de'Claudii.   (1) Per attenergli ella quello, che gli atteneva, significa per  essergli ella parente in quel grado, nel quale gli era parente.        r OUIIfTO IMPBft^TORE 3lB9   " I *   Suoi discorsi ed ora^iòQi.   Egli nel parlare e nell'altre cose ancora si mostrò spesse volte'  tanto niBgligente e trascurato, che er si stimava che e'non sapesse  sì veramente ch'egli non considerasse, né avesse cura alla per-  sona ch'egli rappresent|iva, nò appresso di cui o in che tempo o '  in che luogo egli si parlava. Trattandosi de' beccai e de' vinattieri,  egli a piena voce nel senato gridò senza proposito : Ditomi per  vostra fede chi è qnello che possa vivere senza un pezzuole di  carne? e quivi si distese assai sopra alle taverjie, dalle quali  egli era già solito di pigliare il vino, mostrando quanto in quei  tempi le fussero abbondevole Kel favorire uno che addimandava  di essere fatto questore, tra l'altre cagioni perchè egli lo favoriva,  addusse che il padre di quello una volta, quando egU era infermo, ,  lo soccorse di un poco di acqua fresca molto a tempo. Ed avendo  fatto comparire davanti al senato una donna, perchè ella facesse  testimonianza sppra un certo affare, disse per acquistargli cre-  dito ; costei fu liberta e {{) mazzocchiaia di mia madre, ma me .  ha ella sempre tenuto in luogo di padrone ; e ciò vi ho io voluto  dire, perciocché in casa mia vi ha di quelli che non mi hanno  in luogo di padrone. Oltre a ciò essendo venuti quelli di Ostia  a pregarlo di non so che per la loro comunanza, egli standp in  residenza e grandemente acceso in collera, gridò ^d alta voce,  che non aveva cagione alcuna, onde egli avesse a fare loro ser-  vizio e rendersegli obbligati ; e che mollo bene egli ancora era  libero dove si fusse un altro: e còtali parole gli erano molto  familiari e le usava ad ogni ora e ad ogni punto, cioè : Non ti  pare egli che io sia nato degli Dii? non ti paio io eloquentissimo?  e molte altre simili sciocchezze gli uscivano di bocca disdicevoli '  ad una persona privata, non che ad un principe, massimaménte .  non essendo egli se non dotto ed eloquente, anzi dedito grande-  mente agli studi delle buone lèttere ed arti liberaH.   Libri e operette da lui composte.   Cominciò da giovanetto, confortato da Tito Livio e Sulpizio  Flavo, il quale ancora lo aiutò a scriver la istoria; e la prim?  volta ch'egli ne volle fare esperienza per vedere come ella.riu  selva, la recitò in pubblico essendo ripiena l'audienza di p«c^.   (1) Mazzc^-cb'^ìA chiamane' quelle, cHe ornano' ^^^ tft.«^r ™.*.  donD«     'a'oi!. e dar ^r;jn fvica a t»*;;^erla i usino al frae; spesse volle  f->r r*^ m»^'ìeiLTi«'' ra^reiiiìtOTsi. f*?r::iocch^ nel comineiare a re-  'i^are ^t f'i »in jra*=*> oh^. p. ejiU ricordandosi del  f'tUo ad o_'ni :ic-«"M. non LHjten lo a^teners^«n*». si metteva a ridere  a pi»:*^a h»*:ooa. Stts^ accora ài mMte i^-^se poiché egli fa fatto  princifM?: e teR»^v:i uno. al q^ial»? ezli le faceva le^iere e recitare.  Ojm'mnh a 'ii.**en«iere la sia istoria dalla iiccision di Cesare  f:itfa»ore: ma n^l discorso dello scrivere si fece ancora più ad-  i\*Mrf>. comin«"ian iosì 1 rlal'.a pace civile, come quello a cui  non parexa iji potere Uh>eramente scrivere la verità de' tempi a  hii più vicini, massimaraente che la madre e l'avola più volte ne  lo sgridarono. D'.'Ila prima materia ne lasciò due libri, della se-  ronda qiiarantuno. (Compose ancora otto volumi della sua vita  con assai leirLMadro stile, ma. anzi che no. sconciamente trattato.  Si-risse oltre a -ciò la difensione di Cicerone contro ai libri di  Asinio Gallo: dove edi ebbe assai del buono e dell'erudito. E^li  rincora rifrmò tre nuove lettere e le aggiunse al numero delle  altro, come non poco necessarie ; della ragione e qualità delle  quali avendone nel tempo che egli era ancora privato, mandato  Inora un trattalo, venne appresso, poi che e' fu fatto principe,  molto agevolmente ad ottenere che insieme con le altre mesco-  latamente si usassero: e nelle scritture e titoli delle opere an-  tiche, molto spesso si ritrovano le predette lettere.   Quanto attendesse allo studio delle lettere greche   Imi non mono studioso delle lettere greche e sempre ch'egli  no aveva occasione, faceva apertissima professione dj essere  {grande amatore della lingua greca, predicando la eccellenza' di  'il6 qui intende dopo che Augusto ebbe quieta ogni  cosa.     QUINTO IMPBa/lTORfi " 26t   dogli un tribuno, al quale toccava la guardia secondo il costuma)  che gli desse il nome, gli dette per nome e contrassegno un verso  greco, la sentenza del quale, è: Vendicati Sempre mai monchi ti  offende primiei'o. Scrisse ancora alcune istorie in grecò, cioè  venti, libri dell'istorie Cirenaiche ed otto dell' istorie Cartaginesi:  e per questa cagione fu aggiunto allo antico luogo di Alessandria,  consagrato alle muse e chiamato.Museo, un luogo chiamato Clan-  diano, dove. ogni anno, in certi di determinati, nell'uno si recita-^  vano l'istorie Cirenaiche, nell'altro le Cartaginesi r non altriménti  che in una audienza pubblica ed a ciascun toccava la sua volta  a recitarle. -   Pentimento d'essersr ammogliato ad Agrippina,  e d'aver adottalo Nerone. v   Vicino al termine della sua vita mostrò per alcuni segni ma-  nifestamente di pentirsi di avere preso Agrippina per moglie e  avere adottato Nerone, conciossiacosacliè licordandogli i suoi li-  berti , e lodandogli che il giorno davanti avesse oondannaUji una  certa donna per adulterio, gli disse, ancora a sé esser fatale che  tutte le sue mogli fussero disoneste , ma non già ch'elle restas-  sero di non essere punij,e. E poco appresso riscontrando Britan-  nico, strettamente lo abbracciò e confortò a crescere , acciocché  da lui pigliasse il conto della amministrazione dello Imperio, e  nel partirsi da lui disse queste parole in greco: Fate bene. Dipoi  avendo deliberato ch'egli prendesse la toga virile come che an-  cora fosse in tenera età e senza barba, ma nondimeno di fattezze  e statura conveniente a quell'abito , usò di dire che lo faceva ,  acciocché il popolo romano allora cominciasse ad avere un vero  Cesare.   Del di lui testamento e morte.   V   Non mollo dipoi fece ancora testamento e vi fé' porre il segno  loro a tutti li magistrati ; ma fu impedito da Agrippina prima  ch'egli potesse procedere più avanti : la quale, oltre a ciò, gli  era stata accusata per molte altre cose. Ciascuno si accorda lui  essere stato avvelenato; ma sono discrepanti dove e chi*fusse  quello che lo avvelenò. Alcuni scrivono nella ròcca mangiando  co' sacerdoti ; altri dicono , che Alollo Spadone suo credenziere  lo avvelenò ; altri dicono che Agrippina gli pose innanzi uno uo-  volo avvelenato ; essendo molto goloso di quella sorte di funghi.     ^69 CLAUDtO CESARE   Sono ancora discrepanti gli scrittori nelle cose che appresso se-  guirono: perciocché molti affermano che subito preso il veleno  ammutolì; e che i dolori tutta notte il tormentarono ; e che in  sul fare del dì passò di questa vita. Altri scrivono che nel prin-  cipio si addormentò: dipoi che rigonfiandogli il cibo in su lo  stomaco, per bocca lo cacciò fuori e che di nuovo fu avvelenato.  Ne si risolvono se ciò fu nella poltiglia , che per ristorarlo gli  dettone, o sì pure gli avvelenarono il cristero , il quale gli fec-  cionó per evacuarlo ancora da basso; conciossiacosaché dallo  essere ripieno si sentisse molto affaticato e travagliato.   Sua molle tenuta nascosta, tempo della morte e funerali.   Celarono la sua morte per fino a taiito che quanto al succes-  sore fusse ordinato ogni cosa, onde e' fecionò alcuni. voti per la sa-  lute come se fusse ancora vivo, e c"he la infermità durasse. Man-  darono àncora per certi rappresentatori di còmniédie, fingendo  di volere ch'essi lo intrattenessino e gli déssino spasso e che ciò  fusse da lui desiderato. Mori àlli tredici di ottobre , essendo  consoli Asinio Marcello ed Acilio Àviola, avendo sessantaquattro  anni ed essendo stato quattordici anni nello Imperio. Fu ifìesso  nel numero degli Iddii e sotterrato con pompa solenne. Ed aven-  dolo Nerone privato di quello onore di essere ascritto tra gli Id-  dii, gli fu appresso renduto da Vespasiano.   ProiTostici della di lui mòrte.   Tra i principali segDin^he apparsone innanzi alla sua morte,  fu una cometa ed una saetta che percosse il monumento di Druso  suo padre ; come che nel medesimo anno molti ancora ch'erano  di magistrato fussino morti. Pare ancora per manifesti argomenti  che a lui non fusse ascosto il termine della sua vita né dissimu-  lato ; perciocché nel disegnare i consoli ninno ne disegnò oltre il  mese nel quale egli morì. E quando ultimamente si ritrovò in  senato , confortò molto i suoi figliuòli allo essere uniti e d'ac-  cordo ; e molto supplichevolmente pregò i padri conscritti che ,  avendo rispetto alla tenera età dell' uno e dedl'altro, gli avessero  per raccomandati. *E l'ultima volta ancora ch'egli sopra alla re-  sidenza rèndè ragione, disse una e due volte, ch'era già per\'e-  nuto al fine della mortalità: r'^'^'> f'he gli ascoltane' ^'^«trassoro   di aver &' ''*'^ •'u*^ malr •\arrklt ■ r.'cf'' «ir ■••n/     LA VITA ED I FATTI     DI     NERONE CESARE     HfEST^ IHPERATOB ftOUMd     GLAUI>IO NERONE gESARÈ :   Due furono le famiglie che derivarono dalla casata dei Domizii,  runa de'Calvini l'altra degli Enobarbi. Il primo, onde ebbonó  origine gli Enobarbi e dal quale e* presdno ilnome del easatg,  fu Lucio Domizio^ al quale dicono, ohe tornandosi egli di villa,  apparvono due giovani di biella e magnìfica presenza, e d*un fatto .  d'arme, del quale ancóra non si sapeva la verità del successo ,  gli annunziarono 4a vittoria, comandandogli che lo facesse iriten-  dere al senato; e per fargli fede qual fusse la maestà fòro, gli  stroppicciarono il mento e la barba, che era nera, gli cambiarono  rn rossa simigliante al colore del rame. Ed andò la detta cosa per  successione, perciocché una gran parte di tal casata ebbeno la  barba di quel colore ; e come che in detta famiglia fusserò stati  sette consoli, due censori e due che trionfarono, messa appresso'  nel numero dei patrizii , tutti mantennero per cognome della casa  loro il predetto nome di Enobarbo , né .mai altro prenome si^  usurparono salvo che -di Gneo e Lucio , e questi (il che fu cosa  notabile )^i andarono scambiando Tun l'altro; prima di tre in  tre l'un dietro all'altro si chiamarono Lucii ; ed i tre che ap-  presso seguitarono, intendiamo essere stati chiamati Gnei. E così  scambfevolmente aiidarono dipoi seguitando di mano in mano  ora chiamandosi Lucifera Gnei. Giudico che e' sarà a propositi  dare notizia di alcuni nella predetta famiglia, acciocché più agr  volmente si conosca ^ Nerone dalla virtù dei suoi avere degen^  rato in modo, ch'egli ancor ne rappresentò i-vizii come H«i o"**^»  ric^vu»» oe'- eredità.     26i CLAUDIO NERONE CESARE   Gneo Domizio, utavo di Nerone.   Per farmi adunque un poco più da principio, il suo bisarcavolo  flneo Dontizio sdegnato, quando era tribuno, contro a* pontefici  por aver in luogo del padre eletto un altro e non lui, tolse loro  l'autorità di potere sustituire e la dette al popolo. Questi avendo,  quando e' fu consolo, superato gli Allobrogi e gli An'erni , ac-  compagnato dai suoi soldati a guisa di trionfante , cavalcò per  quel paese sopra uno elefante. Di costui, disse Lucio Grasso ora-  tore, che e' non era tla maravigliarsi che colui, il quale aveva la  bocca di ferro ed il cuore di piombo, avesse ancora la barba di  rame. Il suo figliuolo, essendo pretore, chiamò Cesare in giudi-  zio, dinanzi al senato a dare conto della amministrazione del suo  consolato; nel quale egli si era governato contro agli auspizìi e  contro le leggi. Dipoi fatto consolo tentò di levargli il governo  dello esercito ch'era in Gallia, e col favore della fazione pom-  peiana gli nominò il successore. Egli nel principio della guerra  civile fu preso a Gorfinio ; ondo licenziato e lasciato liberamente  andare da Cesare, se ne andò a Marsiglia. Ed avendo col suo  arrivo confermato gli animi de' Marsigliani già per lo assedio tra-  vagliati assai, a un tratto si abbandonò. Finalmente o' fu morto  nella guerra farsalica, uomo per natura non molto stabile e cru-  dele, assai ; e trovandosi disperato ne' predetti garbugli, cercòdi  ammazzarsi. Dipoi se ne spaventò in modo che, pentitosi del  veleno da lui proso, lo ributtò fuora ; e fece libero il medico, per-  ciocché industriosamente lo aveva temperato e fatto manco no-  cevole. Costui , domandando Pompeo quello che aveva -a fare  degli uomini che si stavano di mezzo, nò si accostavano dalPuna  dall'altra parte, fu solo di parere che si dovessero tenere per  neniici.   Gneo Doraizio, proavo di Nerone.   Lasciò un figliuolo da essere senza dubbio preposto a tutti  quelli della sua casata , il quale essendo nel numero di quelli  ch'erano consapevoli della morte di Cesare , quantunque senza  colpa condannato per la legge Pedia, se ne andò a trovare Cassio  e Bruto, i quali erano suoi parenti stretti ; e poi che e' furono  morti mantenne l'armata, alla quale egli era stato preposto, e la  accrebbe non senza danno e rovina, in '^'lalunque luogo egli si  ritrovò, della fazione contraria n:-..!*. . -^presso nelle mani di     SESTO m^^ATOBB 2165   grandissimo favore e beuefizio. Onde egli solo tra tutti gli altri  che per legge parimente erano stati osito, lo fece comparire in pubblicò, -avendo, intoniD ù  tempii della piazza messo in ordine i suoi soldati e poatou iw-  dere sopra una sedia curule (cioè b-ianfale] vicino a' rostri e-ve-  stito ancora in abito di trionfante, con le insegne e veMHli raili:  tari intorno ; e fattolo satire da ((uella banda, onde il palcketto,  dove egli era sopra, andava piegando a terra  tandosegli II re'alle ginocchia, e sollevatolo  con la mano destra, In baciò. Appresso preg  trasse di capo la tiara (ornamenta sacerdotale  dema [insegna ed ornamenlo regio), e feCe dipi^ sii  fece riverenza e lo salutò come imperatore, ed in Gampiila^  fu posta in grembo di Giove Capitolino una corona di allpro io     Le porte di Giano Gemino diiuse al soo tempo.   Egli nel medesimo tempo chiuse il tempio di Giano Gemìoo  (cioè che aveva due raccie], perciocché allora non ero guerra in  alcuho lui^o ; anzi tutt« erano terminale, né alcuna reliquia se  era rimasta. Amministrò qnaUro consolati, il primo di due, il  secondo e l'ultimo di sei, il terzo dì quattro mesi ; il aecoìdo ed  il ter^o furono l'uno dopo l'altro, negli altri interpose un ano.   ' Sua costume nel render giustizia.   (Jiianto al tenere ragione, usò sempre di non rì^ieadeno  quelli, che si richiamavano, il di medesimo ch'alino ai richia-  mavano, ma nel giorno s^uente ed in iscrìtto : e ne) HftUn-     0BSTO mmiATéiis S73   zìare ed esaminare le cause, non le spediva Tuna dopo Faltra,  ma tutte insieme, con dare audienza ora a questo ed ora a quello,  e toccava a ciascuno la volta sua. E sempre che egli si ritrovava  in senato per deliberare e consultare sopra le faccende dello  imperio, egli non mai parlava , né palesemente ìa compagnia  degli altri diceva il suo parere, ma tacitamente e da per so leg-  geva i pareri degli altri, che da quelli erano stati scritti, e pi-  gliava quello che a lui piacevate dipoi, come se fusse stato il  parere dei più, lo pubblicava. Seguitò un tempo che e' non volle  che i figliuoli de' libertini fusero intromessi nel senato; ed a  quelli che dagl'imperadori innanzi a lui vi erano stati intromessi  non permesse mai di ottenere alcuno magistrato. I competitori  del consolato che passavano il numero di due, per non mandar-  gli scontenti dello avere a indugiare a un'altra volta, gli prepo-  neva al governo delle legioni. Usò il più delle vojle di concedere  il consolato solamente per sei mesi. EgH, essendo morto uno  de' consoli, intorno alle calende di gennaio (quando i nuovi si  avevano a creare) non volle in luogo di quello sostituire alcuno ;  biasimando assai che anticamente Caninio Rebulo era stato con-  solo solamente un giorno. A coloro ch'erano pervenuti alla di-  gnità questoria (cioè che erano stati questori o che avevano  avuto in casa questori) concesse ancora gli ornamenti trionfali;  e fece i4 simjgliante ancora inverso di alcuni di quelli ch'erano  debordine dei cavalieri. E le orazioni ch'erano scritte e man-  date al senato che appartenevano alla milizia ovvero a qualche  altra cosa," non le faceva recitare, come era usanza, al questore,  ma le faceva leggere e recitare al consolo.   Martorìi ritrovali per i Cristiani, ed altre sue ordinazioni.   Fu sua nuova invenzione che intorno a' casamenti posti in  isola (cioè spiccati da ogni banda dagli edifìzii) e cosi intorno  alle case, fussero edificati portici, dai terrati de' quali si veniva  a riparare alle arsioni e gli fece edificare a sue spese. Aveva an-  cora disegnato di tirare le mura della città insino ad Ostia; e  quindi per un canale ovvero fossa condurre il maro infìno alle  mura vecchie di essa città. Sotto al suo imperio furono molt^  cose vietate e raffrenate severamente ; e molte ancora di nuove  ne furono ordinate. E primieramente si moderarono le s^iese su  perfine; e le cene che in piTbblicosi facevano furono rido^*'» '^  "antica parsimonia. Ordinossi che alle taverne qiiT»»-^ m .   ■•ipa Hr' 'ojyiim* ^ -x» '^'^grgr 'p fnnra ninna noaq /»/\H''     S7i GLAOf^IO lYBRONB CESARE   avvenga che prima vi si vendesse ogni cosa da mangiare. Furono  da lui tormentati è morti i cristiani ch& nuovamente si erano  scoperti. Vietò il giuoco delle carrette tirate da quattro cavalli,  i guidatori delle quali per costume antico si avevano pre^Q tanta  licenza, che nell'andare attorno per la città, scherzando e buffo-  neggiando, rubavano ed ingannavano ognuno. Furono adunque  sbanditi da lui questi tali insieme con i facitori e rappresentat-ori  di commedie e di altre favole simiglianti d'ogni sorte.   Contro i -falgìfìcatorì de' testamenti.   Contro ai falsificatori di scritture e testamenti, si trovò allora  nuovamente, che i testamenti si suggellassero e segnassero, con  fare loro tre bachi e tre volte passargli con lo spago. Ordinossi  ancora che le due prime parti del testamento dov'erano scritti i  primi e secondi eredi f ussero mostre solamente a coloro che le  avevano a suggellare e soscrivere col nome del testatore. Oltre  a ciò che i notai ovvero scrittori d'essi testamenti non potessero  scrivere sé medesimi eredi per alcuna porzione. Ordinossi oltre  a ciò salarii e premii convenienti agli avvocati di coloro che li-  tigavano, da pagarsi da essi litiga tori; ma che a' senatori non si  avesse a dare cosa alcuna, perciocché loro dal piibblico erano  pagati. Ordinossi ancora che le cause^ le quaH erano giudicate  dai prelori dello erario, sì riducessero a giudicarsi e decidersi  alla corte davanti a' giudici, chiamati recupera tori ; e che i sen-  tenziati e condannati per qualunque cagione non si potessero  appellare, se non al senato.   Imperio non ampliato sotto Nerone.   E perciocché né speranza di' acquisto, né voglia di accrescere  e distendere i confini dello imperio in lui si ritrovava, ebbe in  animo di licenziare ancora l'esercito che allora si ritrovava nel-  l'isola d'Inghilterra ; né si ritenne di mandare ad effetto questo  suo disegno se rwn pei* vergogna e per non parere di contraffare  agli ordini del padre e di macchiare e diminuire la gloria di  auello. Ridusse in forma di provincia (cioè fece distretto dei Ro-  «nani) per concessione di Polemone, il regno di Ponto ; e simi-  glianteme^tp np'^ii'x ^^\\p \\ry\ n^Q^A/ nnf\-\Q (jvr'*^ fQ (Jì quol   >aese.     •£STO IMf SHATORT S7K   Le 'sue spedizÌQni e viaggi in Alessandria e neirAcaia. * \   Fece solamente due imprese , cioè quella di Alessandria e  quella di Acaia; ma da quella, di Alessandria si tòlse giù il  giorno medesiriìo, ch'egli si era messo in ordine per andare via,  perturbato dalla religione e da paura di non avere a capitar  male; perciocché nel visitare i tempii, egli in quel di Vesta si  pose a sedere, e volendosi appresso levare in piedi, rimase pri-  mieramente appiccato per un lembo deHa veste, ed appresso so  gli parò dinanzi agli occhi si fatta caligine ed-, oscurità, ch'egli  non vedeva cosa alcuna. Quanto all'Acaia^ facendo cavare l'Istmo  (cioè tagliare la gola e stretto df)l predetto paese, chiamato oggi  la Morea) egli fece un'orazione ai soldati pretoriani, confortan-  dogli a principiare detta opera ; dipoi dato il segno della trom-  betta, fu il primo che prese la zappa in mano e cominciò a ca-  vare; e posto la terra dentro un corbello, fu ancora il primo a  porselo sopra le spalle e portarla via. Mettevasi oltre a ciò in  ordine per fare l'impresa contro alle porte Caspie, avendo  fatto una legione , ovvero colonnello dj soldati nuovi , cioè di .  giovani alti sei piedi, i quali non si erano altra volta trovati in  guerra ; e chiamava il predetto colonnello là falange di Alesr-  Sandro Magno. Ora io ho ridotto le sopraddette cose insieme,  una parte delle quali non sono degne di riprensione, e parte ve  ne ha che meritano di essere sommamente lodate, per separarle  dai vituperi! e scelleratezze , delle quali è bisogno che io dica  per lo innanzi.   Sua passione per il canto e per la musica.   Avendo Nerone adunque, oltre alle altre scienze da lui impa-  rate appreso ancora a cantare di musica, come prima ebbe con-  seguito lo imperio , volle appresso di sé Terpno Citaredo , che  allora eccedeva ogni altro di quella arto, e lo faceva ogni giorno  cantare dopo cena, standogli a sedere a canto gran pezzo della  notte, tale che egli ancora cominciò a poco a poco esercitandosi  a comporre. Né lasciava a fare alcuna cosa che i maestri di  quell'arte di fare usassero i)cr conservare la voce e renderla  chiara e sonora. Egli si teneva sopra il petto, stando così a gia-  cere rovescio una sottile piastra di piombo. Usava oltre a ciò  di purgarsi , vomitando e facendosi far eie' cristei. Astenevasi  dai pomi e dai cibi nocevoli, talmente che godendosi- tìentro al-  l'animo di vedersi andare profittando a poco a poco, come eh*     J76 CUtTDiO NSAONS CBLÀMÈ   egli ordinarìamento avesse piccola voce e fuase roco, gli comm-  ciò a venir voglia dì comparire sopra i palchetti e per le scene  dinanzi al popolo : usando ad ogni poco di dire tra i suoi dome-  stici e famigliari quel proverbio greco : Che niuno ò^ che ponga  monte alla musica segreta. Rappresentossi adunque primiera-  mente a Napoli sopra la scena, né con tutto che il teatro per un  tremuoto che venne in un subito tutto quanto si scuotesse, restò  mai di cantare fìno a tanto che egli non ebbe compiuto la canzone  incominciata ; e durò parecchi giorni a rappresentarsi nel mede-  simo luogo a cantare riposandosi e tramettendone alquni per ri-  pigliare lena e ristorare la voce: e parendogli che la musica  fusse aucora troppo segreta, dai bagni- comparì nel teatro *in  mezzo dove sedevano i senatori. Ed avendo intorno un grandis-  simo numero di gente , postosi a mangiare , disse parlando in  greco : Che bevendo un pochette vedrebbe, non senza sue lodi,  di alzare alquanto la voce. E quivi invaghito della musica di  certi- Alessandrini , i quali novamente per loro mercanzie erano  arrivati a Napoli , fece venire di Alessandria gran quantità di  essi musici. E con la medesima prestezza scelsce . tra T ordine  de' cavalieri alcuni giovanetti e della plebe cinque migliaia o  più di giovani robustissimi, i quali, egli divise in livree ac-  ciocché eglino imparassino quella maniera del festeggiare Ales-  sandrino. Chiamavano gli Alessandrini i detti loro modi del  cantare e del festeggiare, Bombi , Embrici e Testi (secondo la  diversità del suono). Volle oltre a ciò^ che al servigio di lui,  mentre ch'egli cantava, stessero fanciulletti bellissinii con belle  chiome e odorate, e molto riccamente ornati e vestiti con Io  anello nella mano sinistra ; a' maestri e capi de' quali, egli dava  per ciascuno il valsente di dieci mila scudi (facendoli in cotale  guisa dell'ordine de' cavalieri).   Canta tragedie.   ■Egli adunque acceso in grande maniera .della mùsica e del  •anto, e stimando assai di ritrovarsi a cantare ancora in Roma,  ece innanzi al tempo celebrare il gareggiamento che di sopra  'i è detto, cui lui faceva chiamare le feste Neronee;'nel quale  ^ridando tutta la moltitudine e con grande istanza addomandando  li udire la sua celeste voce , rispose, che nel suo giardino era  fer farne copia a tutti quelli che di udirlo desideravano. Ma  crescendo le preghiere del vulgo e quelle de' soldati insieoie,  che allora facevano la guardia, molto allegramente promise chs     SESTO IMPERATOaE il77   di buona voglia seuza indugio alcuno si rappresenterebbe in  pubblico; e comandò che il. nome suo subitamente fosse scritto  insieme con quello degli altri tnusici e citaredi che volevano  ritrovarsi a cantare. £ cosi messo la polizza del suo nome in-  sieme con l'altre dentro ad un vasetto secondo che gli toccò per  sorte entrò nel suo luogo. I prefetti de' soldati pretoriani la ce-  tra gli sostenevano. Seguivano appresso i tribuni de'soldati, dopo  i quali lo accompagnavano i suoi amici più intrinsici e fami-  liari. Comparso adunque e fermatosi in piedi, fece prima uùa  bella ricerca con le dita ; appresso fece intendere per Clivio  Ruffo, cittadino consolare,. come egli canterebbe Niobe ; e cosi  durò-a cantaro insino alla decima ora del dì : e per aver ooca-  ca^ne di cantare più volte, non volle accettare la corona per  allora; né volle che il gareggiamento si terminasse, ma indugiò  all'anno seguente. £ parendogli che il tèmpo tardasse a veniro  troppo,, non potè contenersi ch'egli in quel mezzo molte volte  non si rappresentasse in pubblico. Non si vergognò . ancora di  mettersi in opera alle feste de' privati in compagnia degli altri  ministri e festaiuoli ; avendogli uno de' pretori offerto per sua  mercede e premio il valsente di scudi venticinque mila. Cantò  oltre a ciò in maschera alcune tragedie, nelle quali baroni e'dii  si rappresentavano. Fece ancora fare certe maschere che lui  rassimigliavano , o sì veramente alcune delle sue donne, se-  condo ch'egli amava più ciascuna di esse ; e Ira le altre cose,  ch'egli rappresentò cantando, fu Canace, quando ella partoriva;  Oreste, quando egli ammazzò la madre ; Edipo accecato ; ed Er-  cole matto e ftirioso. Dicesi che nella predetta rappresentazione  Vn giovanetto soldato , il quale era posto a guardia della porta,  veggendolo legare ed incatenare, come in tale rappresentamento  si conveniva, corse là per aiutarlo.   Suo diletto ael guidar i cavalli e sonar di cetera.   Dalla sua prima età sopra ad ogni altra cosa si dilettò gran-  demente di maneggiare cavalli ; e sempre aveva in bocca (benché  egli molte volte ne fosse ripreso) i giuochi circensi : e lamen-  tandosi una volta che uno guidatore di carretta della fazione  prasina (cioè della livrea verde) era stato strascinato , e dicen-  dogli villania il podagogOs fìnse di parlare e lamentarsi (1) (Ji  Ettore. E come clic nel principio del suo" imperio egli avesse in   (1) Perchè ancor Ettore fu strascinato da Achille.     2TB CLAUDIO NERONE CESARE   i^stume di passarsi tempo ogni giorao con certe sue quadrighe  d'avorio, sopra la credenziera, non mancava mai ancora di tor-  nare in Roma dovunque egli si fosse , che si av^va a celebrare  la festa de' Circensi, quantunque piccola ; e da principio lo faceva  ascosamente . ma dipoi cominciò palesemente a comparire, di  maniera che a niuno era dubbio che in quel giorno Nerone si'  aveva a rappresentare in Roma. E senza rispetto alcuno usava  dire , che voleva accrescere i premiì e le palme acciocché il  giuoco durasse insino alla sera e si avesse a correre più volte ;  talmente che i capi delle fazioni e livree avevano cominciato a  non volere condurre compagni^ se non era promesso loro , che  il giuoco durerebbe tutto il giorno. Volle appresso essere ancora  lui uno de* guidatori di esse carrette, e più volte ih quella guisa  si fece vedere in pubblico. E per non dire ch'egli nel suo giar-  dino si esercitò tra gli schiavi ed uomini plebei e vili, è da sa-  pere ch'egli si rappresentò ancora nel Circo Massimo dinanzi al  cospetto di tutto il popolo, e dove i magistrati erano soliti di  dare il segno, quando e' si aveva a correre se lo faceva dare a  qualcuno dei suoi liberti. Nò bastandogh d'aversi fatto cono-  scere in Roma in cotale esercizio, egli (come di sopra abbiamo  detto) se n'andò in Acaia, cioè nella iMorea, la cagione principale.  fu por avere inteso, che le città di quel paese dove cotaU feste  e giuochi e gareggiamenti di musica erano soliti di celebrarsi,  avevano ordinato di mandare a lui tutte le (1) corone d'essi  musici e citaredi, le quali da lui erano tanto gratamente rice-  vute, che quelli ambasciadori che l'avessero portate, non pure  erano de' primi messi dentro per avere udienza, ma ancora erano  posti alla sua tavola a mangiare seco familiarmente ed alla do-  mestica. E dandogli un d'essi ambasciadori la quadra, &pregan-  iolo così a tavola che volesse cantare un poco, disse che sola-  '^ente i Greci s'intendevano dello stare a' udire il canto; e che  /^'o soli erano degni degli sludi , de' quali egli si dilettava. E  prestamente si messe in cammino per la volta dell' Acaia. Nò  )rima fu arrivato alla città detta Casiope, ch'egli dinanzi all'altare  ii Giove cominciò a cantare.   J) Col mandargli le corone ìp^-^ndr '"o di giudicano il più  '^ccellentt ^ '*'**^ "'>Uf Y^nair»     SESTO IHPBBATOEE . f79   > Sue gare coi commedianti e spa ansietà e timore ^   di essere superato.   Arrivato clie e' fu volle vedere tutte le juaniere e modi che fn  quel paese usavano circa ì gareggiamenti del cantare e della  musica, perciocché e' fece celebrargli tutti l'uno dopo l'altro in ;  un medesimo tempo , come che in diversissimi tenipi dell'anno  fossero soliti dì celebrarsi; ed alcuni ve ne furono ch'egli fece  più di una- volta celebrare. Fece ancora in Olimpia celebrare il  predetto gareggiamento de' musici fuori del tempo consueto ; e  perchè ninna cosa lo disturbasse, essendo avvisato dal suo li-  berto Elio, che le cose della città avevano bisogno della sua  presenza, gli rispose in questo tenore : Benché tu desideri e mi  consigli eh* io debba prestamente tornare, tqUavia a te si con-  viene, innanzi ad ogni altra cosa persuadermi e consigliarmi che  io tomi degno di Nerone. Mentre che e' cantava , a niuno era  lecito, né per cosa necessaria ancora,, partirsi del teatro; onde  e' si dice^ che alcune donne stando a vedere partorirono ; e che  molti ancora per il tedio dello udire, e per non avere a lodarlo,,  veduto che le porte delle terre erano chiuse, usarono, ò di par-  tirsi nascosamente scalando le mura, o di fìngere d'essere morti,  e dì farsi portare a sotterrare fuori delle porle. Ma quanta fusse  l'ansietà, sollecitudine, timore è sospetto ch'egli aveva in cotali  gareggiaménti,^ quanta fessela invidia che portava a quelli che  con lui contrastavano, quanto fosse il timore e sospetto di co-  loro che erano deputati a giudicare, appena é possibile a crederlo.  Egli andava d'attorno a' suoi emuli ed avversari Come se proprio  fosse stato uno di loro, e gli accarezzava, ingegnandosi piace-  volmente di farsegli amici e tirarsegli dal suo -fato ; dall'altra  banda non mancava ii\ segreto di lassargli e di:rne male , e ri-  scontrandogli disputare loro contro qualche motto o parola  ingiuriosa. Oltre a ciò s'ingegnava di corrompere con danari  quelli che e' vedeva, che in tale arte gli altri avanzavano'. E  prima che cominciasse a cantare , usava con molta riverenza e  sommessione di parlare e di raccomandarsi a' giudici con dire  che dal canto suo non aveva mancato di usare ogni diligenza, e  fare tutto quello ch'era da faro , ma che il successo e l'eVénto  delle cose era posto nello arbitrio della fortuna ; ch'eglino, come  persone saggio e discrete, non dovevano imputare a suo difetto  quelle cose, che fortuitamente fossero per dovere accadere. E  confortandolo essi che animosamente desse dentro e non dubi-  tasse di cosa alcuna, lo vedevi partire tutto racconsolato ; non     ^0 CLAUDIO NERONE CESARE   perciò senza qualche sospezione e sollecitudine d'animo : per-  ciocché molti i quali erano per natura persone taciturne , ver-  gognose e costumate , come invidiosi e maligni gli erano a  sospetto.   Quanto fosse ossenante delle leggi ed ordini dei giuochi.   Nel celebrarsi il predetto gareggiamento tra i musici e cantori  osservava con tanta ubbidienza i capitoli e leggi sopra ciò fatte,  ch'egli non avrebbe giammai avuto ardire né pure di spurgarsi  (per non far remore) ed il sudore del viso se lo asciugava col  braccio. Accadde una volta, che in un certo atto tràgico, il ba-  stone gli usci di mano, di che egli con prestezza ripresolo stava  tutto tremante e pauroso, dubitando per tale errore di non esserne  rimandato ; nò mai vi fu ordine a rincorarlo , fino a tanto che  un certo adulatore gli disse , che per le grida , festeggiamenti  e saltare del popolo , le brigate non vi avevano posto mente e  non se ne erano accorte. Usava di fare intendere ai popolo per  se medesimo, come egli era vincitore e per questa cagionò ei  gareggiò ancora co' trombetti. £ perjchò di ninno altro restasse  vestigio memoria alcuna , comandò che tutte le statue ed im-  magini poste in onor d'altri che di luf, per la vittoria ricevuta  in tali contese, che in quel tempo in piedi si ritrovavano, fos-  sero gittate a terra^ e con Tuncino strascinate nelle fogne e pi-  sciatoi pubblici. Guidò ancora molte volte le carrette, e nei  giuochi olimpici ne guidò una tirata da dieci cavalli, quantunque  in una certa opera da lui composta egli di già avesse rìpfeso e  biasimato il re Mitridate d'avere fatto il medesimo ; ma gittato  e scosso a terra del carro, e di nuovo ripostovisi, non potendo  per modo alcuno attenervisi , finalmente prima d'essere perve-  nuto alla fine del corso abl)andonò l'impresa; nò per questo  mancò che e' non fosse coronato. Onde e' fece, partendosi, tutto  quel paese libero, od i giudici, oltre a gran quantità di danari,  che dette loro, fece ancora cittadini romani ; ed egli in persona  in mezzo al luogo il dì che si celebravano ì giuochi ismici, a di  bocca propria pubblicò e fece intendere tutte le predette cose,  de' privilegii , grazie e donativi , ch'egli aveva fatti a' popoli di  quel paese.     ' SBSTO IMPEKATOIIB 984   Suo ritorno dalla Grecia e trionfi dello stesso.   Tornato di Grecia, passò per la città di Napoli, pcrciui'char-  lare da. un altro, E sempre che egli o scherzando o da vero aveva  a parlare o fare cosa alcuna , gli era d'intorno il maehtro dello  acconciare la voce che gì' insegnava e ricordava che avesse rura  di non si affaticare troppo e. si ponesse alla bwca il fa/zolello.  Egli oltre a ciò spontaneamente si offerse a molti jH;r amico: «>  dall'altra banda tenne favella a molti, secondo che più o wnith   lodato lo avevano.   19 SvEio^tìO. VUe dei Cesari.     289 CLAUDIO NERONE CESARE   Delle rapine ed altre sue ribalderìe.   Fu ancora dei primi anni prosontuoso, lussurioso, disonesto,  avaro e crudt'lo , ma ascosamente, come se ciò fusse difetto di  giovanezza ; nondimeno ninno era che ance allora non conoscesse  che tali difetti erano in lui per natura, né dovevano alla età at-  tribuirsi. La vita che e' teneva era, subito che il sole andava  sotto, di mettersi un cappello in testa con la zazzera riposta, ed  in cotale guisa se ne entrava per le cucine e taverne di Roma,  e si andava a spasso per le strade non facendo altro che baie e  bischenche (1) o mali scherzi alle genti che passavano , e nou  senza gravo offesa e danno di questo e di quello: perciocché egli  usava di battere quelli che tornavano da cena di casa qualche  amico parente; e se quo' tali si difendevano o facevano resi-  stenza, faceva dare loro delle ferite e gittàrgli per le fogne. SconGc-  cava e rubava le botteghe, ed aveva ordinato in casa sua un magaz-  zino dove e' vendeva le robe guadagnalo allo incanto ed a chi più ne  dava. E fu molte volte, trovandosi in dette mischie, per capitar  male e perdere gli occhi e la vita ancora ; perchè un senatore, in-  tra l'altre, la moglie del quale era stata da lui malmenata e branci-  cata, cercò e fu per ammazzarlo, e lo lasciò per le battiture come  morto. Onde egli da quel tempo innanzi non andò mai fuora senza  i tribuni, i quali di lontano e dissimulatamente gli andavano die-  tro. Oltre a ciò si fece un giorno portare sopra una seggiola nel  teatro, ed essendo nata discordia tra i rappresentatoli e facitorì  di commedie, e venuti alle mani, egli stando sul palchetto dalla  ' parte di sopra non solamente come spettatore, ma come uno di  quelli che in (al mischia portasse la insegna j combattendosi con  le pietre e co' pezzi delle panche e predelle quanto e' poteva si  aiutava a gittare giù e trarre sassi fra la moltitudine: obde ei  ruppe ancora la testa a un pretore.   Sue gozzoviglie e banchetti.   Ma come che tali vizii a poco a poco in luì si andassero au-  mentando e crescendo in gran maniera, cominciò a lasciare an-  dare i sopraddetti scherzi e lo ascondersi ed il fargli segreta-  mente; e palesemente senza dissimulazione alcuna, messe mano  a coso di maggiore importanza. Egli a mezzo giorno si poneva  a tavola e non se no levava se non a mezza notte ; rìconfortan'   - (1) Bischenche, lo stesso che insolenze.     SESTO HIPBRATOIUI 883   dosi spesso con. éerti bagni d'acqua cakia, e di 3tate bagnandosi  nella gelata e nella neve. Usavsi ancora di cenare in pubblico  dove si facevano le battaglie navali o si veramente in Campo Marzio  nel Circo Massimo, facendo chiudere e serrare intorno intorno;  ed a tavola lo servivano quante meretrici , pollasCriere e donne  di male affare e vili in Roma si ritrovavano. E quando egli pel  Tevere andava insino ad Ostia, © se per ventura navigava insino  a Baia per il lito del mare e por la ripa del Tevere, gli eran ap*  parecchiate le osterie e le taverne fornite maravigliosamente di  tutto ciò che faceva di mestieri ; dove stavano le matrone e gen-  tildonne ad ogni passo a guisa di rivenditrici le quali quinci e  quindi lo confortavano ed invitavano a smontare in terra ed an-  dare a posarsi ne' loro alloggiamenti. Età ancora solito di dire  ora a questo ed ora a quello de' suoi famigliari che.gli oixlinassìno  da cena: e vi fu uno di loro che nelle còse acconcie con mele  solamente spese il valor di centomila scudi; e ad un altro  costarono alquanto più gli. unguenti, profumi e composti di rose.   Sua nefanda libìdine, e del giacimento colla madre!   Oltre a' vituperi verso i giovanetti da bene e gli adulterìi versò  le maritate, sforzò ancora di acconsentire alle sue disoneste vo-  glie Rubea vergine vestale ; e poco mancò eh' e' non togliesse per  sua legittima sposa Attea sua liberta ; avendo segretamente or-  dinato con certi suoi aoiici, uomini consolari, utti i modi che e* poteva  senza rispetto alcuno d'inquietarla e tribolarla, avendo ordinato  con certi suoi segretanr"'^»'^ die con patti e litigii la molestas-  sino. E quando eP"^ '"""t ««'«■i» -aggio per terra o per mare ,  comanda'"^ "x '•o^o ' .. .. n -^r-vinaorp:?^ , o\\Q iQotteg-     SESTO mPÈRÀTOIlE 289.   giando e romoreggiando non- gli dossino agio di dormire ne di  riposarsi. Ma perciocché ella con. minacele e per essere donna  violenta e feroce, venne a spaventarlo, egli al tutto deliberò scoperto..Usò, oltre alla |>i*cdettaj molte altre crudellà più atroci,. ^  scritte da persone conosciute e degne di fede. Egli corse a ve-  derla così morta, e le andò toccando e brancicando tutte le mem-  bra , biasimandone una parte e parte ne lodò sommamente;  e preso (Iella sete beve mwi tre che egli ciò faceva: tuttavia an-  cora che il senato e il popolo romano con lui si rallegrassiuo  e p^r ben fatto approvassino il seguito, égli non potè mai rassi-     290 eLAUDIO NBRONB CBSARB   curarsi da quel tempo innanzi , rimorso grandemente dalla co  scienzia per sì fatta scelleratezza. E confessò più volt-e che la  madre gli era apparita in compagnia delle furie infernali, le quali  con fiaccole ardenti lo avevano battuto-e torm.entato e travagliato  grandemente. E fece, per via di certi magi, fare alcuni incanti,  tentando di chiamare ed invocare l'aiiima e lo spirito di quella  per impetrare da lei quiete e riposo. E quando egli andò in Gre-  cia, rappresentandosi ai sacrifizii della madre Eleusina, e sen-  tendo la voce del trombetto che , prima che e' cè^ypìi^aBsero ,  comandava agli empii e scellerati che non entrasseii^u^^tentro e  che si appartassero , egli non ebbe ardire di appresBàrsi né di  ritrovarvisi presente. Tson gli bastò avere morta la madre , che  egli ammazzò ancora la zia, sorella del padre, ch'era andato a vi-  sitarla, perciò che ella si giaceva non potendo andare del corpo.  Costei adunque, essendo già oltre di età e toccando là barba di  Nerone che appunto cominciava a spuntare fuora , disse così a  caso per accarezzarlo: Rasa che sarà questa barba, come ella  mi sia presentata, io sono contenta ailora di non vivere più. Ne-  rone allora rivolgendosi a quelli che dattorno gli erano, preso a  scherno le parole di lei , disse, che in quel punto si voleva ra-  dere, e comandò a' medici che operassero in modo ch'ella se ne  andasse largamente del corpo; e così occupò i suoi beni , non  sendo ella ancora morta, trafugando il testamento per non per-  derne parte alcuna.   Ammazzamento delle mogli e de' suoi più prossimi.   Ebbe, oltre ad Ottavia, per moglie ancora Poppea Sabina, il  cui padre era stato questore , e prima che a Nerone , era stata  maritata ad un cavalier romano ; appresso Statilia Messalina ni-  pote in quarto grado di Tàuro, il quale due volte era slato con-  solo ed aveva trionfato. E per aver costei , fece tagliare a pezzi  Àttico Vestine suo marito che allora era consolo. Ottavia gli  venne presto a fastidio, e ripreso dagli amici del tenerla appar-  ^^ta da sé, disse, che a lèi doveva bastare dello essere ornata  :> vestita come sua moglie. Tentò dipoi più volte in vano di farla  strangolare ; e finalmente in tutto la licenziò come sterile. Ma  )ia8Ìmando il p'^oolo tal divorzio, né cessando ella di dime male,  ^gli la con^^'"' >er ultimo rimedio la fece ammazzare; con  iverla fatv ijare come ad""era tanto sfacciatamente e con   si fatta falsuu ^'^ afFerma""''' ti ' *'^a»''"onii da lui fatti esa-     SEStO IMPE^ATORR 394   SUO pedagogo, il quale fraudolentemenle confessò (Ji avere avuto ■  a fare con lei disonestamente. Ivi a dodici giorni ch^égli ebbe  (come di sopra abbiamo detto) licenziato Ottavia, tolse per moglie  Pqppea, la quale fu da lui unicamente amata; e con tutto ciò,  pure anco lei ammaztó con un pàlcio, però che gravida ed in-  ferma gli avevs^ detto villania un dì , che soprastato ai giuochi  dei guidatori di carrette. era tardi tornato a casa. Di costei- gli .  nacque Claudia Augusta ; la quale , essendo ancora in fasce, si  morì. laS^i' suoi più intrinseci e parenti di qdaluhque sorte,  furono d%Sòiioffesi con qualche scelleratezza. Antonia^ la figliuola  di Claudwy^cusando , dopo la morte di Póppea , di volerlo per  marito, fu da lui fatta uccidere sotto pretesto ch'ella macchinasse  eontro allo imperio. Ibsimigliante avvenne a tutti gli altri , che :  per parentado o per affare gli erano intrinseci e familiari, tra.  i quali fu il giovane Aulo Plancio. E prima che egli lo facesse  ammazzare, per forza usò con lui disonestamente^ e fattolo ucci- -  dere disse; vada ora mia madre e si baci il mio successore; per- ,  ciocché egli aveva tratto fuora una voce come il giovane era stato'  amato da sua madre e ch'ella loaveva confortato e sollecitato di ^  occupare lo itnperio. Ordinò ancora a' servi di Rufo Crispino suo  figliastro e nato^di Poppea, il quale ancóra era sbarbato che, per-  ciocché egli faceva del capitano e dello impéradpre, un dì naen- .  tré che e' pescava, lo gittassero inumare e lo affogassero. Confinò  Tusco figliuolo dèlia sua nutrice , perciocché , essendo procura-  tore dello Egitto, s'era lavato in certi bagni appareccbiati-per la  venuta sua. Costrinse a mprire Seneca suo precettore; con  tutto che esso Seneca più volte (di ciò temendo) gli. avesse ad-  doìnandato licenza , e voluto lasciargli tutto ciò che posse-  deva ; e che Nerone a lui avesse , in tutti i modi che si poteva  migliori, con solenne giuramento affermato che a torto era  avuto da lui a sospetto; e che più presto era per morire che  fargli nocumento alcuno. Promesse a Burro prefetto di mandar-  gli un rimedio per la canna della gola dove egli aveva male ; ed  in quel cambio gli mandò il veleno. Avvelenò, oltre a ciò, parte  cQn cibi e parte con bevande, alcuni suoi liberti di già vecchi e  molto ricchi ; i quali a tempo di Claudio per farlo adottare e  dipoi per fargli acquistare l'imperio, l'avevano aiutalo c-favorito  assai.     ^92 CLAUDIO NERONE CESARE   Sua crudeltà coi strani e stragi fatte dei più nobili uomini romàni.   Fu non meno crudèle contro a' forestieri. Era Gomiaciala ad  apparire parecchie notti alla (ila una cometa^ la quale univer-  salmente sì ci-ede che sii^nifichi la morte di quahhe gran prin-  cipe; e^li adunque sollecito ed ansio di tal rx)sa intese da.Babilo  «astrologo, che i le erano soliti di soddisfare a quel tristo an-  nunzio e volgere altrove la malignità di quella influenza, con fare  uccìdere qualche i>ersona illustre. Onde egli si deliberò di faie  ammazzare tutti i principali e più nobili, massimaaiQl^te Aven-  done giusta occasicme; per ciò che si erano scoperte due con-  giure, runa delle quali. chiamata Pisoniana, che era là principale,  si fece e fu scoperta in Roma, l'altra in Benevento^ chiamata  Vinciniana. Furono i congiurati nello esaminarsi legati con ca-  tene in tre doppi, trai quali alcuni spontaneamente e senza tor  menti confessarono ; altri vi furono che audacemente dissero che  egli stesso si era stato cagi,ono di uiìa tal cpngiura fatta contro  di lui oche la colpa era tutta sua, perciò che eglino, atteso, le  feue scelleratezze e quanto e' fusse vitu|)ecato e disonorato, non  avevano veduto migliore rimedio per aiutarlo e cavarlo di quel  vituperio che. cei-care d'ammazzarlo. I flgliuoli di costoro con-  dannati e confiiìati tutti, o \ìcr veleno o per fame furono fatti  morire. Tra' quali è manifesto che alcuni furono avvelenati a  tavola insieme co' loro maestri e pedagoghi; altri uccisi c^Uoro  servitori; altri vi furono, a' quali fu vietato e proibito lo andare  accattando e mendicando il vivere. , .   Macello da lui fatto di molti è altre sue ferità.   Da quel tempo innanzi, senza fare differenza alcuna più da  uno che da un altro, posto da canto tutti i rispetti, per qualun-  que cagione cominciò a faro ammazzare tutti quelli che a lui  piaceva di levarsi dinanzi ; e por lasciarne una gran parte indie-  tro, senza farne menzione, fece ammazzare Salvidieno Orfido  solo per essere stato accusato ch'egli sotto la sua casa aveva  fatto tre botteghe, le quaU appigionava a' forestieri che venivano  . per riposarvisi. E Cassio Longino Cieco e dottore di leggi, perciò  che nel descrivere il ramo de' suoi antecessori, vi aveva posto  la immagine di Gaio Cassio, uno de' percussori (li Cesare; e Peto  Trasia, perchè egli a guisa di pedagogo si mostrava nel viso se-  vero. Ai sentenziati alla morte non dava spazio più che un'ora,  e per non metter punto di tempo in mezzo, sollecitava i medici,     I   \     SESTO IMPERATORE ^ 293   vedendo che e' tardavano, con dire cha spacGiatamonte gli cu-  rassino ; perciorxhè egli por ammazzarli faceva tagliare loro Iq  vene; e chiamava quel modo di uccidere gli juornini unaci^ra.  Credesì ancora ch'egli avesse in animo di dare a mangiare e  divorare gli uomini vivi a un certo Egizio chiamato Polifago ; il  quale era solito di cibarsi di carne cruda e di tutto ciò che gli  qra posto innanzi. Levatosi in superbia, parendogli che le cose  gli succedessino prosperamente, usò di dire che niunoprincipe  innanzi a lui aveva conosciuto le sue forze e, quanto e* poteva  faro. E più volte dimostrò in aioitimodi apertamente, come egli  avfeva in animo di non lasciare vivo alcuno de' senatori ch'e*  rano rimàsti ; e di volere in tutto spegnere quoll'ordine e torlo ■■■  via della Repubblica, e di dare la cura e govenio degli eserciti ai  cavalieri romani e a' liberti. Egli una volta uisava palesemente  nello andare o tornare fqori di Roma di non risponderle ài saluti -  di alcuno di loro, né àlcoiio baciarne secóndo il costume, fi-  quando e' messe mano a fare- tagliare l'Istmo, dove era gran nu-  mero di gente,, disse con chiara voce che desiderava clie-quella ,  impresa riuscisse prospera mQpte a se ed al popolo romano, e -  non fece menzione alcuna del senato.   . Arsione fatta da lui fare di Romsi. ^   Nondimeno egli noti- la perdonò nèal popolo rònwno, né an-  cora alle mura della patria. Trovandosi aduniqué a ragionamento  con certi suoi familiari, e dicendo uno di loro queste paròle in .  greco: morto io, vada tutta la terra a fuoco e a fiamma ; sog-  giunse Nerone : anzi vivendo io ; e cosi appunto: mandò ad effetto :  [ìerciocchè mostrando che la difformità e la sproporzione degli  edifizii, e che i biscanti e la strettezza ^delle strade in Roma gli  avessino offeso l'animo, fece mettere ftioiJO per tutta la città; "e  tanto espressamente fu da sua pai te messo in esecuzione, che  parecchi uomini consolari, ch'erano suoi cubicularii, avendo tro-  vati ne' poderi, che in Roma avevano, alcuni dei ministri di Ne-  rone con la stoppa « con fiaccole, in mano pei* dare fuoco, non  si ardirono a dir loro nulla, nò a manomettergli. Erano intorno  alla sua casa aurea certi magazzini e granai, de' quali egli oltre  modo aveva desiderato farne piazza; furono pertanto prinna ir  deboliti e magagnati con certe macchine da guerra, percioccht  il muro era di pietra, e dipoi vi attaccarono il fuocx). Durò quel'  rryy^aW'r^ Koi gior"' ^ ro^'ìnaro guastare Rom^. Fu la ploH •     294 CLAUDIO NUIOIIE GBSAAE   ceneri dei corpi morti porre i suoi allc^giamenti. Arsono allora,  (iltre a numero infìnito di casamenti posti in isola, le case di  quelli antichi capitani, arricchite e adorne di trofei e di spoglie  ostili. Arsono li' sairrate case degli Iddii, dai re per voto edilì-  cate e consaiirale, e quelle ancora che nelle guerre contro ai  Carlaizinesi e contro a' dalli edificate e consagratosi erano. Arse  tinalmeiitc tutto ciò che degli antichi in Roma era restato bello  (* memorabile. Egli sopra la torre di Mecenate tutto allegro e  lieto si stava a riguardare sì fatto incendio, pigliandosi piacere  Iconio egli diceva) di si bella e lucente fiamma^ e vestito a guisa  d'istrione e rappresentatore di fa^x)le, . secondo il suo costume,  cantò la presa e l'incendio dllio; e per valersi in quella im-  presa di più roba e danari ch'egli poteva, non permesse ad al-  cuno di entrare tra le rovine delle sue case por ricercare i da-  nari, ma promesse a sue spese di fare levare via i calcinacci ed  i corpi morti. E non solamente aspettò di riscuotere, ma con  grande importunità addomandò, che le collazioni (cioè danari da  pagarsegli per rata da ciascuno de* cittadini) gli fussero pagate.  E cosi votò e riarse di danari non solamente le provincie intere,  ma ancor le facoltà degli uomini privati.   Polla morìa clie fu ai tempi suoi e delle contumelie  colle quali veniva lacerato.   A' vitu)>erii ed alle scelleratezze di costui si aggiunsero an-  cora alcuni accidenti di fortuna, e questa fu una pestilenza, la  (piale durò tutto lo autunno; nel quale spazio di tempo si tenne  conto che e' morirono più di trenta mila ))ersone. La rotta an-  cora ricevuta in Inghilterra, dove furono mandate a sacco con  grande occisione di Romani e di loro amici, due terre delle prin-  cipali. Il dispregio e la vergogna ricevuta in Oriente, dove i sol-  dati romani nella provincia di Armenia furono fatti passare sotto  il giogo; e dove la Soria con grande fatica si mantenne a divo-  zione dello imperio. Con tutti i suoi difetti fu cosa notabile in  lui e da fai^scne maraviglia ch'egli sopra ad ogni altra cosa sop-  portò pazientemen»'^ 'e villanie ed il male che di lui si diceva.  E fu più dolce ^ '«''abile inverso di quelli, da* quali o con  -Trotti o con vers "^^^ ^^eso che inverso di alcuna altra   ivirte d'uomini. » . . • ^»»'^ "» *'♦'> - 'i— iJq:ate contro   ■i lui in latir^o e^ - - -,.- nf-^gerìtte     SESTO IMFERAtORE 295   lì Nerone Oreste ed Àlcmeone uccidftori delle madri ,  Nerone la nupvr sposa ha ucciso, la qjiadre jfiro'pria.   e cosi questi versi in latino;   Chi dirà che Nerone non sia della stirpe del grande Enea?   Questi ha tolto via la madre, e quegli portò via" il padre. ■ ' „ ,   -> ■ . - •   e questi altri due ;   Mentre che il nostro Nerone tempra la cetra, e '1 Parto l'arco (1),. .  II nostro sarà Peana, ed il Parto Heoatebdete,   e questi altri apprèsso ;   Roma diventerà uba casa ; Quiriti andatevene a Veju :  Se già questa casa, non oconpa ancora -fa città di Vejo-.   de'. quali egli non andò ricercando giammai i componitori. Ed  avendone una spia accusati alcuni dinanzi a' senatori, non volle  Nerone che molto aspramente fussero puniti. Isidoro Cinico, pas^,  sando egli per la via, pubblicamente e con voce alta lo biasimò  e riprese, dicendo ch'egli cantava bene i mali di (2) Naùpio e  disponeva male i suoi "beni. E Dato, istrione di farse, di quelle  che anticamente si facìevano ad A versa, chiamate Atellane, disse  in ^ua ipresehza : V*d sanò, padre mio, va sana, madre mia;  avendo rappresentato il padre, come se e' fu sse a tavola a'man-  * giare e bere, la madre, come se ella nuotasse : volendo signifi-  care, in che modo Gaio Claudio suo padre e la madre Agrippina  avevano terminata la vita loro. Soggiunse appressò nell'ultima  -parte di questa sua canzone, volgendosi ed accennando inverso  il senato: L'orco ora verso voi addrizza il piede. Non fece altro •  Nerone né al cinico, né all'istrione , se non ohe e' dette loro ^  bando di Roma e di tutta Italia. GrOvernavasi adunque inquesta  maniera, perciocché egli non stimava di essere infamato aqaèHa  guisa, ovvero per non incitare. ed aguzzare gl'ingegni cof mo-  strare di. averlo per male.     (1) Significa che Nerone sarà a guisa di Apollo Ceteratore, e il  Parto d; AppUo lanciator di saette : essendo questa la interpre-  tazione della parola greca Hecatebelete.   (2) Nauplio padre di Palamede, che intervenne nella guerra di  Tròia. /     ^% TLAIDIO NEBONE CESARE   Ribellione di'lla Francia contro di Ini.   Avoii'lo il nionflo su|>i>ortalo un sì fatto principe poco nneno di          298 CLAUDIO NERONE CESARE   Ribellion dellu Spugna e di Galija.   Poi eh egli ebbe inteso che Galba ancora e l'ùna! e l'altra Spa-  gna si erano ribellate, abbandonatosi d'animo è mal disposto,  lungamente si stette a giacere quasi mezzo morto senza par-  lare, e come o'fu ritornato in sé, stracciatosi la veste e battutosi  il capo, disse palesemente ch'era spacciato ; e confortandolo e  racconsolandolo la sua balia, con ricordargli che il simile era  ancora accaduto agli altri principi, rispose che la disgrazia stia-  quella di tutti gli altri avanzava, ed era cosa non mai più udita  nò veduta, esser vivo e perdere si grande imperio. Con tutto  questo non usci punto del suo ordinario, dandosi a' suoi piaceri  libidinosi e vivendosi al solito nella sua infingardaggine e pol-  troneria; anzi avendo avuto appf||bo nuova che le coso erano  andate un poco prosperamente, fece una bellissima cena, e  molto ab])ondevole e copiosa ; ed oltre che egli vi recitò alcuni  versi faceti da lui composti c-ontro a' capi della ribellione ed ap-  presso lascivamente gli sonò, e con molta delicatezza (i quali  versi si dettone fuora in pubblico) egli ancora a guisa d'istrione  fece gli atti suoi, e fattosi ascosamente condurre a vedere nel  teatro, mandò segretamente a dire a uno strione, il quale al po-  polo piaceva assai ch'egli si usurpava le sue -fatiche e le sue oc-  cupazioni.   Di un fiero suo proponimento, limove i consoli,  e si fa creare lui consolo.   Credesi che a' primi avvisi de' tumulti e delle ribellioni, egli  avesse in animo di fare molte cose bestiali e crudeli, ma non  punto aliene nò contrarie alla sua natura ; e quest'era di man-  dare nuovi eserciti e successori a' governatori delle provincie,  con commissione che e' f ussero ammazzati, non altrimenti che  se tutti insieme si f ussero congiurati e la intendessiho in un  medesimo modo. Voleva ancora faretagUare a pezzi quanti sban-  biti fuori si ritrovavano e tutti i Francesi ch'erano in Roma : gli  "^banditi, acciocché non si accostassint) coi popoh che si ribella-   'ano; i Francesi, come consapevoli e fautori della loro nazione.   '^oleva dare in preda a' soldati l'una e l'altra OaHia; convitare   senatori ed in quei ^^'^do tutti avvelenargli; cacciare fuoco in   ■mento e dicevano che non erano per ubbidir a cosa alcuna:  o,d unitamente addimandavano ch'egli più tosto si facesse ren-  lere quello che insino a quel tempo si era pagato alle spie ec  igli accusatori.   Scritture infami contro di lui pubblicate.  Accadde ancora che essendo la carestia grande venne un a'   (SO ■^cTìQ ima r\i . .V|»i -r^T-Q -li AlocegpHrìn ili ramt^ÙJi^ V0>     300 CLAUDIO NJEfiONE CESARE   tovaglie portava polvere che aveva a servire a' lottatori della  corte di Nerone ; onde e' s'accrebbe la mala grazia ed il mal  nome ch'egli aveva nello universale, e contro a lui si concitò lo  sdegno e l'odio d^ ciascuno, talmente che ognuno lo svillaneg-  giava e ne diceva male. Al capo d'una delle sue statue fu ap>.  piccato un carro con certe lettere (1) greche, che dicevano -che  oramai era venuta la festa de' lottatori, che attendesse a trai-  nare. £d al collo d' un'altra statua fu legato (2) una granata con  un titolo che dicea : e che posso io farne ? tu una volta hai me-  ritato il capestro. Per le colonne fu scritto , che oramai i galli,  cantando, Tavevano desto. E molti la notte facendo vista d'essere  alle mani co' loro schiavi e servi e con eissi avere parole , do-  mandavano ad ogni poco: Dov'è il vindice? cioè, dov'era Tuffi-  zfale sopra i servi , ma intendevano, di Giulio Vindice , che si  era (come di sopra si è detto) ribellato.   Spav;enlasi per cèrte orribili visióni.   Spaventavano oltre a ciò molti se^ni e predigli e sogni mani-  festi che prima ed allora nuovamente erano appariti.' Egli non  essendo mai solito prima di sognare, poi ch'egli ebbe fatto ucci-  dere la madre, gli pareva in sogno, essere al timone di una nave  e comandarla e governarla , e che la sua moglie Ottavia gli so-  praggiugneva addosso, e per forza gli toglieva di m^iio il timone  e lo strascinava in tenebre oscuri^ime. Ora gli pareva essere  coperto d'una grande quantità di (3) formiche alate ed ora es-  sere attorniato dalle statue, ch'erano dedicate nel teatro di Pom-  peo, e vietatogli il passo e lo andare più oltre ; e che (4) la chi-  nea , della quale egli grandemente si dilettava , dalle parti di  dietro era diventata bertuccia; e che solamente, avendo il capo  di cavallo, molto accesamente annitriva. Fu sentito una voce  del mausoleo, le porte del quale da loro si erano aperte, che io  chiamava per nome. Nelle calende di gennaio gli Iddii Lari (cioè   (1) L'interpretazione delle parole greche aggiunte sotto il carro  era^ che ormai s'avvicinava il tempo delle feste, che attendesse  a trainare.   (2) Granata è un mazzo di scope ; e significava, ch'ei meritasse  d'essere scopato.   (3) Il sogno delle formiche awisavalo, che si guardasse dagli  insulti della moltitudine.   (4) Il cambiarsi del cavallo in scimia significava, che Nerone  muter«Mi)6 condizione.     SESTO IMPERATORE 301 .   del focolare) essendo stati ornati mentre jche il sacriGzio s'appa-  recchiava, cascarono in terra; e nel prendere gli auspizii Sporo  gli presentò un anello, nella gemma del qtìalé era scolpita Pro-  sorpìna quando fu rapita da Plutone. Volendo sacrificare in pub-  blico e porgere secondo H costume nelle calende di gennaio le  solite preghiere agli Iddii e fare i voti accostumati essendosi di  già ragunato una gran quantità cosi de' patrizii, come de' cava-  lieri , con fatica grande si trovarono le chiavi del Campidoglio.  Recitandosi nello epilogo d'una orazione, ch'«gli aveva fatta in  senato contro a Vindice, che prestamente gli scellerati sareb-  bono puniti e farebbero la fine che meritavano, fu gridato uni-  versalmente da tutti : Farai tu Augusto. Era ancora stato osàor- -  vato, che la favola ultima ch'egli pubblicamente aveva cantata,  era Edipode sbandito e che appunto era venuto a cadere e po-  sarsi in quel verso che dice in greco : Padre , madre fe moglie  mi comandano ch'io muoia.   Vien abbandonato da tutti.   Avuto avviso in questo mezzo , come ancora gli altri eserciti  s'erano ribellati ; stracciò le lettere che a tavola gli erano state  presentate, mandò la mensa sotto sopra, gittò in terra due bic-  chieri, i quali e' teneva molto cari, da lui chiamati Omerici, per  esservi dentro intagliato alcuni versi di Omero. £ fattosi dare il  veleno alla locusta, e messolo dentro a un vasetto di legno se ne '  andò nel giardino di Servilio ; là dove egli innanzi aveva man-  dato de' suoi liberti i più fedeli che apparecchiassino l'armata  ad Ostia. Tentò i tribuni e centurioni de' soldati pretoriani, che .  nel fuggire gli facessirio compagnia, ma una parte di loro scon-  torcendosi, l'altra palesemente dicendo che non voleva, e. tra  gli altri gridando uno: è egli però il morire così misera cosa?  si andò ravvolgendo varie cosa per la fantasia :, pensando , se  supplichevolmente era bene che andasse a trovare i Parti o%ì  veramente Galba, o se pure vestito a negro si doveva rappre-  sentare in pubblico e ne' rostri (cioè in ringhiera) quanto e' p^  teva più umilmente e con più dolore e contrizione del passav»  addimandarc perdono, e non gli venendo fatto di piegare ^^  animi loro , pregare che almeno gli fusse conceduto il goveniv  iell'Egitto. Fu di poi trovata nel suo scrittoio una orazione sopn  a tal materia, ma e'*>si crede eh' e' non mandasse a effetto ta  )roposito per p? ir« ''i non essere lacerato dal popolo prima ^  jgisopo; rop'^otf .ìaT'jrp ^nHu^nlla adunque *»l;!;giorn'* ''■^     302 CLAUDIO NERONE CESARE   •^niente ; e la notte destossi a mezza notte', e trovato che i' sol-  ila ti che stavano a guardia della sua persona si erano partiti ,  saltò fuori del letto e mandò fuora ì suoi amici che si andassino  spargendo per intendere quello che si diceva. E perchè niunoife  tornava a riferirgli cosa alcuna, con pochi gli andò a trovare a casa  iid uno ad uno; ma trovandone serrate le porte di ciascuno e  t'ije ninno gli rispondeva so ne tornò in camera. Onde già quelli  (-.ho n'erano a guardia s'erano fuggiti in qua e in là, e pòrtatene  via le coperte del letto e quel vasetto dove era dentro il, veleno.  Onde egli spacciatamente si messe a cercare di Spettilio Mir-  millone o di alcun altro che lo ammazzasse , e non trovando  cilcuno, disse: Adunque io non ho né amico nò nemico? e corse  a furia verso il Tevere e fu quasi per gittarvisi dentro.'      Abbandonasi e fugge dalla .città.   Ma di nuovo raffrenato questo suo impeto e furore domandò  (li avere qualche luogo segreto per tornare in sé e riavere Ta-  ìiimo. Ed offerendogli Faonte liberto un podere ch'egli aveva  vicino a Roma circa quattro miglia , tra la via Salaria e la via  Nomentana, cosi come era scalzo ed in camicia, gittatosi addosso  una cappa di un coloraccio non usato , e copertosi il capo ed  avvoltosi al viso il fazzoletto , montò a cavallo sólo con quattro  compagni, tra i quali era Sporo; e subitamente spaventato da  un tremuoto ed un baleno che gli diede in faccia, udì dal campo  che gli era vicino , il grido de' soldati che sparlavano contro di  lui , e gli annunziavano male , e di Galba parlavano onorevol-  mente, predicendone bene. E così , udì un certo di coloro, che  e' riscontrò nel fuggire, il quale diceva : Costoro perseguitano  Nerone : ed un altro che dimandava se nella città era seguito  niente di nuovo di Nerone. E spaventato il cavallo per l'odore  d'un corpo morto ch'era gittate ivi attravèrso nella strada se gli  venne a discoprire il volto , onde fu conosciuto e salutato da  un «certo Missizio pretoriano. Come ei fa pervenuto alla svolta  del canto, lasciato andare i cavalli tra certe siepi e vetricioni (4)  per un viottolo di un canneto male agevolmente, facendosi disten-  dere la veste sotto ai piedi , pervenne scampando al muro di  quella villa che gli era rincontro. Ivi confortandolo il medesinio  Faonte, che intanto si andasse ritirando dentro ad uno speco ,  dove la rena era stata cavata, disse che non era per entrare vivo   (1) Vetricioni, lo stesso che arbusti.     ♦."     SESTO IMPERATORE 303   sotto terra. E fermatosi così un poco insino che procacciato gli  fusse lo entrare segretamente nella caga della predetta villa, ed .  avendo sete , prese dell'acqua con le mani da una pozzanghera  che gli era tra i piedi, e disse: e questa t l'acqua cotta di Ne-   ' rene? Appresso appiccandosi la cappa a pruni e stracciandosi ,  osso gli andava rimondaiido. E così camminando carponi per   - una caverna stretta e sfossata, se np andò in una cella che ivi  era vicina; e posesi a dormire sopra ad un letto dove. era una   . coltrice molto piccola e gli fu gittato sopra un mantello vecchio.  E di nuovo assaltandolo la sete e la fame , ributtò un poco di  panaccio lordo che gli fu portato innanzi e beve alquanto d'ac-  qua tiepida.   Sua morte e come l'incontrasse.   Allora attorniato e stretto da ogni banda , per torsi via spac-  ciatamente agli oltraggi che gli soprastavano, comandò, che alla  sua presenza fosse cavata una fossa alla misura e grandezza del  suo corpo, che e' f ussero composti insieme alcuni pezzi di marmo,  ritrovandosene in alcun luogo ; e ch'e' si ragunasse delle legne^  e conducessesi dell'acqua per curare e governare il suo corpo  morto. E piangendo a ciascuna delle predette cose , diceva ad  ad ogni poco : Che arte io mi son condotto a fare in morte?  Mentre che si andava a questo modo intrattenendo , venne un  servidore di Faonte con lettere , al quale egli le tolse e lesse "  come il Senato l'aveva giudicato per nimico, e come e' lo anda-  vano cercando per punirlo, secondo il costume degli antichi:  Domandò allora Nerone, che sorte di punizione fosse quella che  davano gli antichi ; ed avendo inteso, come l'uomo ignudo s'im-  piccava per il collo ad una forca, e con, le verghe si batteva  tanto che e' morisse , spaventato prese due pugnali che seco  aveva portati e tentata la punta di ciascuno, di nuovo gli ripose  con dire, che l'ora sua fatale non era ancora venuta. Ed ora  confortava il suo Sporo , che cominciasse a piangere e lamen-  tarsi; ora andava pregando chi era d'attorno, che qualcuno dì  loro gli facesse la via innanzi , ed ammazzandosi gli agevolasse  la strada ; ora si biasimava e riprendeva come timido e poltrone,  usando cotali parole : Vituperosa e brutta cosa è che io viva in  questo modo. E soggiungeva in greco : a Nerone questo non si  appartiene , non si appartiene questo a Nerone. In tali casi fa  di mestieri essere svegliato e sobrio , orsù svegliati oramai. E'  già i cavalieri si appressavano, ai quali era stato comandato che     304 CLAUDIO .NERONE CESARE   noi inciiassino vivo ; del che come egli si accorse , tremando  |)arlò in greco in questo modo : Lo strepito de' veloci cavalli mi  |)ercuote gli orecchi da o^ni banda ; ed accostossi il ferro alla  gola, e fu aiutato ferirsi da Epafrodito scrivano de memoriali.  Hntrò dentro un centurione , ch'egli era ancora mezzo vivo , e  postogli la cappa alla ferita fìnse di essergli venuto in soccorso,  al quale o' non rispose altro, se non : tardi, questa è la fede? ed  in tal voce mancò avendo gli occhi stralunati e burberi , tal che  o' metteva spavento e paura a chi gli vedeva. Pregò méntre che  penò a ferirsi, sopra ad ogni altra cosa i suoi compagni, che la  sua testa non fosso lasciata venire alle mani di alcuno , ma che  in (lualunciuo modo ella fusso tutta arsa ; il che gli fu promesso  da Stn orino liberto di Galba , che di poco era stalo cavato   Hle, che la plebe co' cappelli in testa (a guisa di schiavi fatti li-     ,1) Il dirizzatoio è uno strumento simile ad un fuso, ma acuto,  del quale le donne si servono per partire i capelli in due parti  eguali.     SESTO IMPERATÒRIE ; 307   beri) andava discorrendo per. tutta la cUtà. Trovaronsi nondi-  meno alcuni, ì quali durarono gran tempo di ornare ogni anno  di primavera e di state il suo sepolcro di fiori ; ed Ora ponevano  in ringhiera alcune immagini con la pretesta indosso (che lui  rappresentavano) ed alle volte vi appiccavano comandaménti e  bandi da parte sua, come se fusse ancora vivo e fusse in brève  per ritornare a Roma, malgrado de' suoi nimici e con loro gran-  dissimo danno. Oltre a ciò avendo Vologeso re de' Parti man-  dato ambasciatori al senato, per rinnovare la lega; lo pregò an-  cora grandemente che la memoria di Nerone fusse onorata e  celebrata. Finalmente venti anni appresso, essendo io giovanetto, .  si trovò uno, il quale non si-sapeva chi egli si. fusse, che an*  dava dicendo che era Nerone ; e fu il suo nome di tanto favore  appresso de' Parti che grandemente fu aiutato, e quasi rimesso  in istato.     LA VITA ED I FATTI     SERGIO GALBA     SETTim IHFERATdB BOHàM     Del lignaggio de/ Cesari finito in Nefone, e dei presagii   che ciò dinotarono.   La stirpe de' Cesari mancò in Nerone ; il che si conobbe in-  nanzi dover seguire^ oltre a più segni, per due molti chiari ed  evidenti, t, da sapere adunque che Livia, come prima furono  col(;brate le nozze tra lei ed Augusto, andando a rivedere una  sua possessione ch'ella aveva nel contado V.eientano, accadde  che un'aquila volandole sopra le lasciò cadere in grembo una  gallina bianca, la quale teneva in becco un ramicello di alloro,  proprio in quel modo che quando dall'aquila era stata rapita.  Piacque a Livia di nutrire ed allevare quella gallina e di pian-  tare quella ciocca di alloro. Le galline, che di questa nacquero,  crebbero in sì gran quantità che ancora oggi il luogo,- dove è  la predetta possessione, si chiama alle galline. Gli allori ancora  di maniera vi moltiplicarono che i Cesari trionfando quindi pren-  devano i lauri, per farsene le ghirlande, avendo per costume  di piantarne subito un altro nel medesimo luogo. E fu osservato  'Che, sempre che uno dei predetti era vicino alla morte, lo al-  loro da lui piantato si appassiva. Ora neiraiino ultimo dello  im|)erio di Nerone, quando e' mori, tutti i lauri, ch'erano nel  predetto luogo, si seccarono insino allo radici ; e tutte le galline  ancera si morirono che ninna ve ne restò; e la casa de' Cesari  fu immedìaie percossa dalla saetta ; ed i capi delle statue loro  cascarono in terra, ed a quella di Augusto cascò ancora lo scettro  di mano.     SERGIO GALBA — SETTIMO IMPERATORE ^Ù9   Stirpe di Gaìba antichissima.   A Nerone successe Galba, il quale in niuua cosa alla casa dei  Cesari apparteneva ; ma egli senza dubbio fu di sangue nobilis-  simo e di gran famiglia e molto antica ; conciossiacosaché nei  titoli delle statue sue sempre si faceva scrivere bisnipote ài  Quinto Catulo Capitolino. £ poi che égli fu fat1;o imperadore, pose  nel cortile del suo palazzo l'albero dei suoi antecessori, dove  egli mostra di avere origine da Giove quanto al padre e quanto  alla madre da Pasifae moglie di Minos.,   Della sua famiglia, cognome, e perchè fosse detto Galba.   L'andare ora rinvenendo le immagini ^ titoli e glorie di tutta  la famiglia e parentado degli e^ntichi di Galba sarebbe cosa  troppo lunga. Ma io ne verrò raccontando alcuni brevemente  solo della istessa famiglia ; perciocché onde il primo della fa-  miglia dei Sulpizìi si trasse il soprannome di Galba non ce. n'è ^  certezza alcuna. Sono alcuni che pensano che avendo lungamente  c;ombattuto in vano una terra in Ispagna, filialmente egli si risolvè  a mettervi fuoco; e perciò unse con (4) galbano le fiaccole. Altri  scrivono che egli usava per rimedio di una lunga infermità che  egli aveva avuta certe fasce e rinvolti con la lana sudicia che  si chiama Galbeo. Dicono alcuni altri, che perciò che egli era  pieno inviso e mólto grasso, era così chiamato: conciossiacosaché  i Galli così chiamino quelli che sono grassi e di volto rigogliosi;  o sì veramente per il contrario, perché egli fu sparuto di viso,  come sono gli animali che nascono nelle (2) civaie, che sono chia-  mati galbe. Il primo che illustrò e fece risplendere la predetta  famìglia fu Sergio Galba, uomo consolare a' suoi tempi eloquen-  tissimo, del quale si scrive che dopo essere stato pretore ottenne  il governo della Spagna ; dove avendo fatto tagliare a pezzi per  via di trattato trenta mila Lusitani (cioè Portogallesi)/fu cagione  della guerra che appresso fu mossa ai Romani, della (piale fu  capo Viriate. Il nipote di costui avendo dimandato di esBerfattO" - ''  consolo, era state. ributtato da Giulio Cesare ; si sdegnò contro  a quello di cui egli in Gallia era stato rommessarioe gli congìarò ,  contro in compagnia di Bruto e di Cassio ; per il che fu condan-  nato secondo la provvisione e legge fatta da Quinto Pedio. Da   (1) Galbano, liquor di una pianta.   (2) Civaia, lo stesso che legumi.     dio SERGIO GALBA   costui appresso discenderono Tavolo ed il padre di Galfa  ratore. L'avolo, per essere })ersona studiosa e letterata,  per altra dignità fu chiaro ed eccellente. Egli non avendo^  ottenuto altro magistrato che quello della pretura, scrisi  elegantemente e con assai diligenza la storia che contene  la notizia di molte cose. Il padre fu consolo e quantii  fusse piccolo di statura e gobbo o di non molta eloquen  dimeno fece il procuratore ; dove egli usò molta airte ed in  Ebbe costui per moglie Mummia Acaia, moglie prima d  bisnipote di Lucio Mummie, il quale distrusse e spiaii  ai fondamenti la città di Corinto. Ebbe ancora per mogi  Occllina molto ricca e bella. Stimasi nondimeno ch'eli;  \ esse spontaneamente a domandar lui, per essere quel  nobile ; e gliene facesse ancora forza, perchè egli imp^  da quella si condusse con lei al segreto e trattosi la >  fo' mostra (1) dello scrigno, acciocché ella non potesse dir  lo aver saputo e d'essere stata ingannata. Ebbe costui  gliuolì di Mummia Acaia sopraddetta, Gaio e Sergio ; (  Gaio ch'era il maggiore mandò male tutte le sue faci  parti di Roma ; e perciocché Tiberio nella età legittima  il proconsolato, si mori di morte volontaria.   Nascila di Galba e delle rose che gli presagirono il princi]   Sergio Galba imperadore nacque nell'anno che in Ron  consoli Marco Valerio Messala e Gneo Lentulo a' ven  dicembre, in quella villa ch'ò sotto il collo vicino a T  da mano sinistra andando inverso Fondi. Fu adottato d  matrigna e da lei fu chiamato Livio Ocellare. E per fln  e' fu fatto imperatore si chiamò Livio in cambio di S(  cosa manifesta che Augusto essendo da lui salutato qua  fanciullo in compagnia di alcuni altri della sua età, lo p  le gote e gli disse in greco: fatti innanzi ancor tu, figli  ed accostati al nostro imperio. Ma Tiberio, al quale era si  dotto Galba dover essere imperadore, ma in sua vecchiezz  , Viva a suo piacere poscia che questo a noi nulla riliev  B ciò facondo il suo avolo alcuni sacrifìzi per purgare €  il male influsso di una saetta che era caduta, venne u  gli rapì di mano le interiora dell'animale che da lui ei  ficaio e le pose sopra una quercia carica di ghiande. Fi   (Ì! Scrigno, lo stesso che gobba.     SETTIMO IMPERATORE 311   det!lo che ciò aigniBcava che uno della sua famìglia, ma ivi a  gran tempo, aveva ad essere imperatore^ perchè egli ridendosene  rispose; Sì, quando una mula avrà partorito; tal che ninna cosa  più assicurò l'animo di Galba a tentaro'cose nuove che una mula  la quale partorì. E come che gU altri se ne contristassino corno  di cose di male augurio, egli solamente lieto lo ricevette per  buono ; ricordandosi del sacrifizio e delle parole del suo avolo.  Preso che egli ebbe la toga virile sognò che la fortuna gli stava  dinanzi all'uscio, dicendo che. era §tracca e che se egli presto  non gli apriva e non la riceveva, era per essere preda di chiunque  la riscontrasse. B tostò come egli si fu levato, aperto l'uscio del  cortile, trovò vicino alla sòglia la immagine di tiuell'Iddea ch'era  di rame e più alta di un cQbito, e se la pose in grembo e portolla  a Tuscoli dove la state era solito di dimorarsi ; e consacratogli  una parte della sua casa, dipoi sempre la onorò e riverì, ed ogni  mese a lei supplicando si raccomandava. Celebrava ogni anno la  sua festa vegghiando tutta la notte : e non ostante che e' fusse  ancora di tenera età, nondimeno mantenne molto severamente  quella usanza antica, che già in Roma si era tralasciata e solo  si osservava in casa sua, cioè che di tutta la sua famiglia, così  gli schiavi come i fatti liberi, due volte il giorno se gli rappre-  sentassero davanti e la mattina gli dicessero : Dio vi salvi ; e la  sera : fatevi con Dio.   Studioso delle arti liberali, e particolarmente della ragion civile ;   delle mogli e dei figli.   Quanto alle arti e discipline liberali studiò in legge e prese  ancora moglie in que' tempi. Ma essendogli dipoi morta Lepida  due figliuoli che di lei aveva, non volle appresso tórre altra  donna ; né si potè mai persuaderlo nò indurlo con alcuna 'con-  dizione a pigliarne. Né ancora essa Agrippina che, essendo JQOcto  Domizio era rimasta vedova, potè fare sì ch'egli si dìspoo^f^e a  prenderla per moglie, di che ella, vivente ancor Lepida sua moglie,,  l'aveva importunato. Di maniera che trovandosi una volta trif  un numero di altre gentildonne, e fregandosegli intorno gli e^be  insino ad essere detto villania; e la madre di Lepida le diide  nelle mani. Egli sopra ogni altra osservò ed ebbe in riverenza  Livia Augusta, e mentre che ella visse si valse assai del suo fa-r  vere, e poi che ella fu morJ^ ne divenne ricco; perciocché ella  lo fece nel testamento suo legatario principale ; e gli lasciò un  milione e dugento ciriquai\ta mila scudi. Ma perciocché la pre-     .'312 SEBGIO GALBA   delta somma era solamente notata per abbaco e non distesa in  scritto, Tiberio che era io erede racconciò lo abbaco e ridusse  i|uel lascito a dodici mila cinquecento scudi. Onde egli non po-  lendo avere quanto gli era Stato lasciato non volle ancora accettare  la sopraddetta somma.   Onorì da lui conseguiti, e sua disciplina nelle cose militarì.   Ottenne alcuni magistrati innanzi al tempo , e quando e' fu  pletore, nel fare celebrare i giuochi e le feste della Dèa Flora,  trattenne il popolo con una nuòva invenzione, né mai più vista;  e ciò furono elefanti che camminavano sopra il canapo. Appresso  ivi a imo anno fu mandato al governo della Àquitania (cioè Gua-  scogna), poi fu fatto consolo, e stette sei mesi nel detto magistrato,  il quale aveva ottenuto per lo ordinario. Volle appunto il caso  olì" egli venisse a succedere a Lucio Domizio, padre di Nerone,  e che a lui succedesse Silvio Ottone, padre di Ottone imporadore,  con presagio ed indovinamente di quello che avvenne, cioè, che  egli fu imperadore nel mezzo tra amendue i figliuoli dell'uno e  deiraltro. Sustituito (1) da Gaio Cesare, quando egli in Licia si  rappresentò nello esercito; il dì appresso celebrandosi una solenne  festa^ volendo i soldati rallegrarsi con lui e fargli festa con le mani.  egli si oppose a questa loro voglia con dar loro per nome e con-  trassegno che ténessino le mani dentro alle cappe, onde per tutto  Io esercito si sparse questo detto : Imparate soldati a fare Tarte  del soldo, Galba ò questo (2), non G^tuhco; Usò ancora la me-  desima severità quando i soldati gli domandavano licenza, non  la concedendo a nessuno. Faceva divenire robusti i soldati vecchi  e i nuovi col tenerli assiduamente in opera. Egli con prestezza  raffrenò i barbari, ch'erano trascorsi insino in Gallia, e diede di  sé e del suo esercito tal saggio a Gaio presenzialmente, che tra i  soldati e gente senza numero ' che da ogni banda e di tutte le  Provincie s'erano fatte venire e ragunare in quel luogo, non vi  fjirono alcuni che ricevessino maggiori premii né più ampia te-  stimonianza della virtù loro. Avendosi egli acquistato nome e  fattosi conoscere sopra tutti gli altri per avere guidato la scorreria     (1) Le parole di Svetonio sono : sostituito da Gaio Caligola a  presieder a* spettacoli. *   (2) Significa, che Galba è persona'seve-'^ non, come Getulico,  'ondiscendente ; qual '^■^♦uIk'* *- ^^^^^ p"^ ip^ppoo/^-:» nella     SETTIMO IMPERATORE . 34 3   che facevano in campo i soldati ger esercizio, portando lo scudo  e camminando innanzi a tutti, corse ancora venti miglia accanto  alla carretta dello, imperadore.   Della sua giustizia ed equità.     Come e' fu venuto l'avviso che Caligola era stato ucciso, molti  lo confortavano e stimolavano che non volesse perdere quella  occasione: ma egli prepose la quiete ad ogni altra cosa. Per tali  cose adunque gli fu posto da Claudio grandissima affezione , e  fu ricevuto da quQllo nel numero de' suoi amici e familiari. E  venne in tanto grado e riputazione, che avendolo assalito una su-  bita infermità e non molto grave, il dì -che si avevano a movere  le genti alla impresa d'Inghilterra, s'indugiò tale espedraione. Fu  eletto come proconsolo, e per lo strasordiriario al governo del-  l'Africa per due anni, solo per riordinare quella provincia, la  quale dalle discordie civili o dai tumulti de' barbari era'inquietata,  dove egli si governò con molta severità e giustizia così nelle cose  grandi come nelle piccole: onde ^d un soldato, il quale, per es^  sere allora la* carestia grande, aveva venduto un mezzo staio di .  grano dieci scudi, dette per punizione ^he ninno , venendo in  necessità, gli porgesse soccorso nò cosa alcuna da mangiai^ ,-  onde egli si morì di fame. Mentre che teneva raglonp gli capite-  rono innanzi due che litigavano una giumenta, né avendo alcdrfB^  delle parti testimonii né argomenti sufficienti, onde nìale agevol-  mente si poteva conietturare di chi ella con verità e ragioifievol-  mente fusse, dichiarò e sentenziò in questo modo, che la bestia  còl capo coperto e rinvolto fosse menata ad un lago dove era  solita di essere abbeverata, e in quel medesimo luogo gli fusse  scoperto, e,così che ella avesse ad essere di colui a casa del quale;  dopo aver bevuto , ella per se medesima se n'andava. ,   Onori conferitigli e segni che gli pronosticarono il principato.   Per le cose, ed allora in Africa e prima fatte in Germania, gli  furono concedute le insegne e gli ornamenti trionfali ; e fu creato  in un medesimo tempo uno de' XV sacerdoti, chiamati Sodali, e  similmente uno di quelli chiamati Tizii, ed uno dei consagrati ad  Augusto, chiamati Augustali. E da quivi innanzi fino a mezzo il  principato di Nerone tenne la maggior parte del tempo vita so-  litaria, standosi a suo piacere «diporto. E sempre ch'e* faceva  viaggio alcuno, se^jene si faceva portare in carretta , si faceva   21 SvETONio. Vite dei Cesari.     34 4 SERfilO GALBA   condurre dietro in un altro carro venticinque mila scudi in tanto  oro. per insino che dimorandosi in Fondi, gli fu dato a governo  la Spagna Taragonese. Nella quale provincia arrivato e sacrifi-  cando nel tempio pubblico . accadde che uno de' ministri , cioè  quel fanciullo che teneva la cassetta dello incenso, in un subito  diventò canuto tutti i capelli del capo; e non mancò chi inter-  pretasse ciò significare mutazione di Stati, e che un vecchio suc-  cederebbe a un giovane, cioè che esso doveva succedere a Nerone.  Né molto tempo appresso cascò in un lago , che è ih Cantabria  (cioè nella Biscaglia; una saetta, e vi furono ritrovate dodici scuri,  il che fu segno manifesto come e' dove\'a -succedere neirimperio.   Sua variabilità nel governo (iella pro\1nqia.   Governò otto anni quella provincia molto variamente, percioc-  ché egli da principio fu molto rigido e severo in punire e raf-  frenare i delitti, e passò anzi che no i termini della modestia;  conciossiacosaché a un banchiere, il quale cambiava monete che  non erano a lega, gli tagliasse le mani e facesse conficcarle nel  banco. Crocifisse ancora un tutore, perchè egli aveva avvelenato  un pupillo al quale esso era sostituito erede. E ricorrendo esso  alle leggi, e mostrando come egli era cittadjno romano, Galba  per fargli onore, ed acciocché la morte gli avesse a* parere più  leggiera, gli fece imbiancare la croce e porla più alta delle altre.  Cominciò appresso a poco a poco a lasciarsi andare nello strac-  curato e nella infingardaggine, per non dare occasione a Nerone  di offenderlo ; e perciocché , secondo ch'egli era solito di dire,  ninno era costretto a rendere conto dello starsi. Nel fare le visite  ritrovandosi in Cartagine nuova, ed avendo inteso la Francia es-  sere in garbuglio, e domandandogli l'ambasciadore deirAquitania  {cioè Guascogna) soccorso, gli sopravvennero appunto le lettere  di Vindice, por le quali esso lo confortava a pigliare l' impresa,  per salute e liberazione dell'universo contro a Nerone: ai che  egli si risolvè tosto, mosso dal timore e dalla speranza. Avendo  scoperto le commissioni che segretamente aveva mandate a' suoi  procuratori per farlo ammazzare, sperava ne' buoni augurii ed  in quello che gli era stato pronosticato e profetato da una vergine  di vita molto santa e religiosa ; e tanto più che un sacerdote di  Giove nella città di Cluvia gli aveva mostrato i medesimi versi  'iella sopraddetta vergin** i quali, esso diceva, che avvertito da  jriovo in sogno ci' ^vft^> rovatinei Penetrale (cioè in un luogo   *"ìtte*' * ** Sflf»''^ "^n»'"» unni 'nnoi^-r " ■» — in^ 'i.t^iì ^30StÌ     SETTIMO IM^BIU^TORE 315'   da una vergine profetessa, come la sopraddetta. La sentenza dei ■  quali versi era questa : Che un dì il principe e Signore def mondo  aveva a nascere in ìspagnà.   Entratura al principato ed altri suoi fatti.   Postosi adunque a sedere nella sua residenzlf, mostrando d i  volere attendere alla liberazione degli schiavi e fattosi porre in-  nanzi gran quantità d'immagini di coloro ch'erano ^tati condan-  nati ed uccisi da Nerone, e fattosi ancóra comparire innanzi un  fanciullo nobile, il quale apposta aveva fatto venire dall' isola di  Maiorica dove era stato confinato da esso Nerone., cominciò a  parlare piangendo e dolendoci dello stato e della condizione dei  tempi ne' quali allora si ritrovavano. E salutato dallo esercito  come imperadore, disse che era commissario del senato e del po-  polo romano. Appresso fatto serrare le botteghe e i traffichi e  levare ognuno dalle faccende, dette l arme alla plebe e fece uh ,  nuovo esercito di SpagnuoU e lo aggiunse all'esercito vecchio , '  il quale esercito era una legione e tre compagnie displdati e due  squadre di cavalli. Scelse ancora quelli ch'erano più valorósi e  saggi e di più età , i quali avessero ad essere in luogo dì sena-  tori ed ai quali s avessino a riferire," ogni volta che fusse stato  di bisogno , le cose di maggior importanza. Pece ancora uria  scelta di giovani tra l'ordine di cavalieri , e volle che e' non la-  sciassino di portare come prima l'anello d'oro , ma gli odiamo.  Evocati, tenendogli in cambio de' soldati a fare la guardia in-  torno alla sua camera. Mandò oltre a ciò per tutte le provincie -  a fare intendere a ciascuno in universale ed ancora in partico-  lare, com'egli s'era fatto capo per aiutare la causa comune e che  volessino unirsi con esso lui, e ciascuno, in quel modo eh' e' po-  teva, porger soccorso. Quasi in quel medesimo tempo, tra le mu-  nizioni d'una terra la quale egli avendo a fare guerra s'aveva  eletta per seggio e luogo principale, fu trovato un anello antico,  nella gemma del quale era scolpita la vittoria con un trofeo ; ed  ivi a poco surse una nave alessandrina per fortuna di mare in  quel luogo carica d'arme, sehza governatore e senza nocchiero  e senza passaggiere alcuno. Per i quali segni ciascuno giudicò  ^he assolutamente la guerra che si pigliava fusse giusta e pia.  avendo gli Iddii in favore. Ma in un subito tutte le cose anda  lono sottosopra, ed una delle ale dello esercito fece sforzo di ah  bandonarlo appressandosi egli allo esercito, parendo loro di avet •  mal f3»to a Inficiare N«ron"•' - - * — -TT-» artenevano, potessino du-  rare più che due anni ; e che e' non volesse da quivi innanzi  concedergli se non a quegli che gli ricusavano e che di mala  voglia e forzatamente gli accettavano. Ordinò che cinquanta ca-  valieri avessero la cura di farsi rendere indietro tutto ciò che  Nerone aveva donato a diverse persone con lasciarne lor sola-  mente la decima parte; e che avendo questi tali venduto o pa-  ramenti di scena, o altre cose simili- di quelle che gli erano state  donate, i comperatori fussero tenuti a restituirle ogni volta che  i venditori, avendosi consumato i danari , non avessero avuto il  modo a pagare. E dall'aUpa banda pentiesse a' suoi compagni e  liberti di vendere e donare per favore tutto quello che a loro  piaceva, come i tributi, l'esenzioni, punire i non colpevoli e non  punire quelli che avevano errato. Oltre a ciò addimandando il  popiolo romano che Àloto e Tigillino, due dei più tristi e sciagu     SETTIMO IMPERATORE ^ 31 Sf   rati satelliti di Nerone , fussero puniti, non solamente gli lasciò  andare salvi, ma concedette ad Àloto una bellissima procurazione,'  e per conto di Tigillino mandò un bando , nel quale egli riprese  il popolo come rigido e crudele.   Ribellion degli eserciti deHa Germania contro di lui. , •   Per queste cose adunque venuto in odio a tutti universal-  mente dal minimo al grande; sopra ad ogni altra cosa si concitò  contro gli animi de' soldati ; perciocché .avendogli fatti giurar in  suo nome, non essendo egli presente ed avendo promesso di fare  a loro un donativo maggiore deX solito , non lo aveva loro atte-  nuato, anzi si era lasciato uspir di bocca ch'era uso ad eleggere  i soldati e non comperargli: per le quali parole inaspri gli animi  di tutti gli eserciti che fuori si ritrovavano e quelli de' soldati  preterii. Mosse ancora a paura e sdegno rimovendogli a poco  a poco, ed avendone già licenziato la maggior part^ di quelli che  glLerano a sospetto ed erano amici di Nìnfìdio. Ma sopra tutti gli  altri, l'esercito ch'era nella Germania superiore, non poteva stare*  alle mosse gridando di esser defraudato de' premii che si conve-  nivano alle fatiche loro per essersi portati valorosamente cóntro  ai Galli e contro a Vindice* Avendo adunque cominciato a rom-  pere l'ubbidienza nelle calènde di gennaio, dissono , che non si  volevano con sagramento obbligare se non in nóme del senato ;  e subitamente mandarono ambasciadori a' soldati pretorìami che  esponessino , come a loro non piaceva lo imperadore che era  stato eletto in Ispagna, e vedessino eh' e' se he eleggesse un al-  tro il quale fusse approvato da tutti gli eserciti.   'Adottazione di Pisone.   il che subito che aGalba fu fatto intendere , pensandosi che  il senato non tanto lo avesse in odio per essere lui vecchio, quanto  per non avere figliuoli^ a un tempo tra quelli che lo salutavano  chiamò a sé Pisene Frugi, giovane nobile e valoroso; del quale  egli per lo addietro sempre aveva fatto grande stima e connu-  morato tra i suoi eredi e fattolo ancora partecipe del suo nome.  Chiamandolo adunque figliuolo , lo condusse alla presenza dei  soldati, e fece loro una orazione e lo adottò per suo figliuolo ;  nella quale orazione egli non fece menzione alcuna del donativo :  onde e' dette più facile occasione di mandare ad effetto i suoi  disegni a Marco Silvio Ottone sei giorni dopo tale adozione.     HO SEBGIO GALEA   Presagii ehe deuunziaroDO la di lui iufelice morte.   Molti segni prodigiosi e grandi aveva sempre veduto , 1 quali  continuamente insino da principio gli pronosticarono quanto gli  avvenne : e primieramente quando e* veniva inverso Roma, es-  sendogli in ciascuna terra dalla destra e dalla sinistra uccisele  vittime, un toro spav(;ntato dal colpo della scure ruppe i legami  ed assaltò il suo carro, e co' pie dinanzi alzatosi, lo sparse tutto  di sangue. E quando egli scese del carro, uno di quelli che ave-  vano lo spiedo, nel volere spingere indietro la moltitudine e fare  iargo^ fu per ferire lui con quell'arme in aste. Neirentrare an-  cora in Roma , vicino al palazzo si senti un trcmuoto con un  certo suono simile ad un mugghiare: ma i segni che appresso  racconteremo furono alquanto più manifesti. Aveva Galba tra le  cose sue più preziose elettosi una collana da tenere al collo tutta  ripiena di gemme e di pietre preziose , la quale voleva Dresen-  tare alla sua Fortuna che in Tuscoli aveva ; ma subiflroaente  mutato di proposito, come se un tal dono si convenisse a per-  sona più degna e di maggiore qualità , ne fece un presente  alla Venere ch'era in Campidoglio. E la notte vegnente gli parve  in sogno che la Fortuna gli apparisse rammaricandosi di essere  stata defraudata del dono ch'egli per lei aveva disegnato , e lo  minacciasse di torgh ancora ella quelle cose ch'essa gli aveva  date. Onde spaventato , subitamente nel farsi giorno corse con  fretta a Tuscoli , avendo mandato innanzi a dare ordine ch'e' si  apparecchiasse il sacrifizio per purgare e tórre via la malignità  che nel predotto sogno si conteneva; egli non vi ritrovò alcuna  cosa salvo che alquante faville quasi spente quivi in sull'altare,  accanto alle quali era un vecchio vestito a negro, che in un ca-  tino di vetro teneva un poco d'incenso e dentro ad un calice pur  di vetro un poco di vino. Fu ancora osservalo che nello calende  di gennaio, mentre ch'egli sacrificava , gli era cascata la corona  di testa ; e nel prendere gli auspizii gli erano volati via i polli ;  e nel giorno ch'egli adottò Pisene, volendo parlare a' soldati , la  seggiola che in campo si usava secondo il costume, non gli era  stata posta nel tribunale, avendoselo dimenticato i ministri ; e nel  senato la seggiola trionfale e curule gli era stata acconcia al  contrario.     SETTIMO IMPERATORE S2i   Della sua mprte e ammazzamento.   Prima che fusse ucciso gli fu detto fa matthia\, mentre ch'ei  sacrificava^ dallo aruspice, che s'avesse cura da un pericolo che  gli soprastàva e che i suol percussori non molto erano lontani ;  e quindi a poco intese come Ottone aveva occupati gli alloggia-  menti, e confortandolo la maggior parte di coloro che gli erano  lattorno che verso quelli che si addirizzasse , perciocché e' po^  9va ancora colla sua autorità e presenza rimediare e giovare  ssai ; egli nondimeno si dispose di non fare altro se non fermarsi  Dve egli era , e quivi fortificandosi co' soldati delle legioni , i  lali in gran numero e da diverse bande venivano a trovarlo,  are a vedere quello che seguiva. Messesi nondimeno indosso  la camicia di maglia, dicendo tuttavia, che poco era per gio-  \rgli centra a tante punte. Appresso essendosi cavati fuora certi  vnì rumori dai congiurati, che in prova gli avevano seminati tra  li moltitudine per farlo comparire in pubblico, ed affermandosi  die la cosa era fermata, che i tumultqanti erano stati oppressi,  e che gli altri venivano per rallegrarsi con esso seco ed essere  presti ed apparecchiati a tutti i suoi comandi; per far^i loro.in-  contro usci fuora con tanta confidenza, che un certo' sodato^ il  quale si vantava d'aver ucciso Ottone, rispose: Chi te l'ha fatto  fare? ed andò oltre insino in piazza. Quivi i cavalieri che ave-  vano commessione di ucciderlo, avendo fatto una scorreria coi  cavalli e fatto discostare i borghigiani e i contadini, che ivi erano  in gran numero, e fermatisi a rincontro di lui di lontano e stati  alquanto sopra di loro , di nuovo appresso si messonp a corsa ,  e da' suoi abbfandonato lo tagliarono a pezzi.   Cosa facesse al tempo delia sua morte, e del funerale.   Sono alcuni che scrivono che al primo tumulto e' gridò : Che \o-  lete voi fané, compagni e soldati miei? io sono vostro e voi siate  miei. E dicono ancora che e' promesse loro un donativo. La mag-  gior parte degli scrittori affermano che e' porse loro la gola per  se medesimo , e gli confortò che attendessero a mandare ad effetto  quanto avevano disegnato, e lo ferissero poi che cosi a loro pa-  reva. Pare oltremodo mardviglioso, che niuno di coloro ch'erano '  presenti, facesse segno alcuno di muoversi in sorxx>rso dell'im-  peratore ; e tutti quelli che furono mandati à chiamare, dispre-  giarono il messo , eccetto che i Germani. Costoro , per essere  stati frescamente beneficati da Galba , perciocché sendo infermi     iti SBMIO VALBA   f i1otcr [ligtiare po' rnpei^li, essendo calvo, se lo naet  l-rpmliu ; di po> cacciatigli il dito grosso in bocca lo poi  Ottone, il quala lo dette in preda a' saccomanni e farai]  campo, ed (%li lo ficcarono in un'asta. E non senza sche  jjorlaroiio intorno agli aìlu;;giainenli, gridando ad ogni poi  tialba ingordo , (pditi della tua ctù , mossi a dirgli le pr  |tarole, percioccliè pochi giorni innanzi si era divulgatoci  dandogli uno il suo bfl viso come fresco aitcora o colorita  in gnwo gli aveva rìsposlu : lo mi sento sticora gagliardo  K|H!r0' Fu comperato il suo cajw da un liberto di Patrobio  uiano CAttto ducali, il quale lo gittò in quel luogo do^  Himandamento di Ualba ora stalo giustinaio il suo pai  Finalmente Ai^io, suo disponsaiore, Beppelll questa e tutb  niHncnU! del tronco no' suoi orti particolari della via Aur   Della slaluia del corpo e de' suoi membri.   Fu di statura ragionevole, calvo di t«ata, con gli owlii ai  col naso aquilino, con le mani e co' piedi, per cagione della  distortissimi ; tale che e' non poteva sopportare la scarpe!  rivoltare o tenere in mano libri per alcun modo. Eragli,  da luì strettissimamente abbracciato e ba-  ciato^ né solamente gli bastò questo ch'egli ancora lo pregò che  spacciatam^nte si facesse una pelatura e si ritirasse con lùi^ in  un luogo appartato e segreto.   Tempo che darò il di lui imperio, e della sua età.   Fu morto di settantatre anni : ed essendo stato sette mesi  imperadore, il senato, come prima gli fu lecito, ordinò che gU  fusse fatto una statua e posta sopra a una colonna rostrata Jn  quella parte della piazza dove e' fu tagliato a pezzi : ma Ve-  spasiano annullò tal deliberazione, avendo opinione che Galba,-  ìnsin di Spagna, avesse ascosamente mandato in Giudea uomini  per ammazzarlo.        LA VITA ED I FATTI     0'     OTTONE SILVIO     OTTàfO IlPBRàTOR ROMANO     Degli antenati d'Ottone.   Gli antichi di Ottone nacquero in Ferentino , famiglia antica  ed onorata, e delle principali di Toscana. Il suo /avolo Marco  Silvio Ottone fu per padre figliuolo di un cavaliere romano, e  la madre sua fu di bassa condizione; né era ben certo se ella  era nata di persona libera , cioè che non fusse schiava. Costui  col favore di Livia Augusta, in casa di cui si era allevato e cre-  sciuto, fu fatto senatore e non ascese se non al gradoni pretore.  Il padre suo, chiamato Lucio Ottone, fu nobile ancora per istirpe  materna e per molte grandi ed onorate parentele ; e fu tanto  amato da Tiberio e tanto simile a lui di volto e di fattezze^ che  molti credevano che e' fusse suo figliuolo. Egli in Roma-ammi-,  nistrò con grandissima severità i magistrati di quella , e simi-  glianteraente il proconsolato dell'Africa ed alcuni governi di  eserciti che gli furono dati per lo strasordinariò. Ebbe ancora  ardire di far tagliare la testa ad alcuni soldati dello esercito che  i nella Schiavonia, i quali nel tumulto che aveva eccitato Ca-  lo , pentendosi di essersi abbottinati , avevano ammazzato i  governatori, e propostigli come capi e autori di essa ribel-  ) contro a Claudio. E ciò fece fare in presenza sua dinanzi  cospetto di tutto lo esercito ; non ostante che égli sapesse che  dio per tal fatto aveva alzati que' tali a maggior grado o di-  ta. Per la quale opera, siccome egli si accrebbe dì gloria,  'artecipe di tutti i disegni e secreti di Nerone; eil di,  nel quale Nerone aveva ordinato di ammazzare la madre , fece  una bellissima cena all'uno ed all'altro per tor via ogni sospe-  zione che ne fusse potuta nascere. Tenne oltre a ciò in casa  come sua moglie Poppea Sabina, amica di Nerone la cpiaie esso  Nerone aveva levata al marito ed a lui datala in custodia ; né  solamente ebbe a far con quella disonestamente , ma se ne in-  namorò di maniera che e* non poteva sopportare che Nerone  j^li fiisric rivale. K si credo che egli non solamente ne riman-  dasse coloro elio gli orano stati mandati a casa per rimenamela,  ma che o' serrasse ancora una volta T uscio in sul viso a Nerone;  il quale ritto dinanzi alla porta pregando e minacciando indarno  si stava aspettando che gli fusse aperto, e addimandava che esso  gli rendesse coI(m che da lui gli era stata data in serbo. Per que-  sta (;agiono aduncfuo si disfece quel matrimonio, e fu mandato  Ottone in Lusìtania , sotto spezie di legazione ; il che a Nerone  parve abbastanza, per non divolgare col punirlo più aspramente  tutta rpiclla cantafavola, la quale nondimeno fu manifesta per il  distico infrascritto : Volete voi sapere perchè Ottone, sotto nome  d'essere mandato governatore, è sbaiiditadi Roma? perchè egli  aveva cominciato a essere adultero della sua moglie. Governò  quella provincia, essendo stato questore per dieci anni, con gran-  dissima modestia e con singolare astinenza.   Le sue speranze di aver a regnare.   Finalmente come egli vide il bello e l'occasione di vendicarsi,  fu de' primi a risentirsi, accostandosi a Galba. E nel medesimo  istante entrò ancora esso in speranza non piccola d'avere a ot-  tenere il principato , si per la condizione de' tempii sì ancora  molto più per quello che gli affermava Seleuco Matematico : il  quale avendogli già promesso e predetto che e' sopravviverebbe  a Nerone , allora spontaneamente e fuori di opinione era ve-  nuto a trovarlo, con predirgli ch'egli ancora in breve tempo era  per essere fatto imperadore : onde e' non lasciava indietro a fare  cosa alcuna, usando ogni uffizio e sottomettendosi a ognuno con  dichiararsi ed andar loro dattorno : e sempre ch'egli andava a cena  coir imperadore , dava pi^r ciascuno una corta quantità di scudi  a coloro che facevano la guardia. Nò per questo mancava di non  bì guadagnare gli altri soldati , chi por una via e chi per un'al-     OTTAVO OfPERATORE ^ . 327   tra. Oltre a ciò essendo un'altra volta chiamato per arbitro da.  un certo che litigava co' suoi vicini de' confini , egli comperò  tutto quel campo de' confini del quale si disputava e ne fece  liberamente un presente a quel tale , che l'aveva chiamato per  arbitro : talmente che ni uno appena si ritrovava che non lo giu-  dicasse e non l'andasse predicando degno di succedere nel>  l'imperio.   Gli fallisce la speranza di esser adottato da Gàlha.   Aveva avuto speranza d'essere adottato da Galba ; il che era  stato aspettando di giorno in giorno. Ma poi ch'e' vide come Pi-  sene gli era stato anteposto, mancato di quella speranza, si voltò  alla forza, mosso non solamente dall'ambizione e passione dell'a-  nimò , ma ancora dalla grandezza del debito ch'egli aveva. E  senza ascondersi , palesemente diceva che non poteva reggere  né mantenersi per modo alcuno se e' ilon era fatto principe. E  che stimava tanto ^ cadére in battagha superato da' nimici ,  quanto il cadere in piazza oppresso dai creditori. Servissi per  dar principio a quella impresa di venticinque mila scudi ch'egli  aveva cavati da un servidore di Galba per avergli fatto ottenere  la dispensa. E primieramente fu dato il carico di uccìdere Galba  a ginque spiculatori ; appresso a dieci altri , avendone i cinque  eletti due per ciascuno ;.a' quali fu dato per ciascuno alla mano  dugento cinquanta scudi , e cinquecento ne furono loro .pro-  messi. Questi appresso sollevarono gli animi degli altri, i quali  non furono però molto gran numero, perciocché e* stimavano as-  solutamente che in sul fatto molti avessero a concorrere in soc-  corso di esso Ottone.   Suo ascendimento al principato.   Aveva disegnato, subito dopo la adozione, di occupare gli al-  loggiamenti e di assaltare Galba nel palazzo mentre che egli  cenava : ma non mandò ad effetto questo suo proponimento ,  avendo avuto riguardo a quella compagnia di soldati che allora  faceva la guardia , per non le aggiugnere carico sopra carico :  conciofussecosachò i medesimi fussero stati in guardia, quando  e' fu ucciso Caligola e quando ancora Nerone era stato abbando-  nato. Fu oltre a ciò cagione di farlo indugiare qualche giprnp  più Seleuco sopradetto; con dirgli, che secondò il corso dei  pianeti il tempo non era ancora accomodato a mettere mano a     328 OTTONE SILVIO   quella impresa. Convenutosi adunque dèlia giornata con. quelli  che erano consapevoli d^' suoi disegni, disse loro, che lo aspet-  tassi no in piazza dal tempio di Saturno al miglio d'oro. E la  mattina salutò Galba, e come ancora era solito, lo abbracciò e  baciò. Fu ancora presenta quando egli sacrifìcava, ed udì tutto  ciò che dallo aruspice gli fu predetto della sua morte. Appresso  fiicendogli un suo liberto, che gli architettori erano compariti,  che così era rimasto d'accordo per segno si dicesse , si partì da  Galba mostrando d'andare a vedere una casa per comperarla :  e dalla banda di dietro del palazzo usci via, e rappresentossi al  luogo da lui e da' suoi determinato. Altri dicono , che finse di  aver la febbre e che e* fece intendere a quelU ch'erano più vi-  cini , che essendo malato , appresso degli altri lo scusassero , i  quali di lui cercavano. E cosi ascosamente in quel punto si fé*  portare agli alloggiamenti de' soldati , sopra una seggiola da  ilonna. E non potendo quelli che lo portavano reggere più al  })eso, scese in terra e cominciò a correre v;Si^ppresso si fermò  a rimettersi una scarpetta che gli era uscitìrrhsino a che e' fu  ripreso di nuovo (1). E dalla compagnia che era con lui, ssonza  mettere tempo in mezzo^ fu salutato imperadore. E tra le grida  che facevano lo genti rallegrandosi, e tra le spade sfoderate per-  venne alla testa dell'esercito : e tutti quelli che riscontrava si  accostavano a lui non altrimenti che fussero stati partecipi e  consapevoli di quella impresa. Quivi dato la commessione a co-  loro che e' voleva che ammazzassino Galba e Pisene, gli mandò  via, e per conciHarsi gU animi de' soldati col far loro grandi of-  ferte e promesse, disse nel parlamento, che e' fece loro permolte  riprese , che quel solo era per riserbarsi per sé che da loro gli  fusse per essere concesso.   Comi da lui fatte nel principio del suo imperio.   Appresso essendo già consumato una gran parte del giorno,  entrato in senato, fece una breve orazione ; e quasi come rapito  tlal popolo e costretto pei* forza a pigliare il governo, e come  s'egli lo dovesse amministare, di comune consenso di ciascuno e  al loro arbitrio. Ed oltre agli altri accarezzamenti di coloro che  seco si rallegravano e lo adulavano, fu ancora dalla infima plebe  chiamato Nerone; nò fece segno alcuno di non volere essere chia-   (1) Ripreso di nuovo deve intendersi, che i suoi partigiani se  io posero in collo per condurlo allo esercito.     OTTAVO IMPERATOAE 329   «iato in quel modo; anzi, secondò che alcuni hanno scritto .tra  le prime bolle che egli spedi, ed episto le che egli scrisse ad al-  cuni governatori delle provincié, soscrivendosi aggiunse al nome  -proprio'il cognome di Nerone. Certo è una vòlta che e' permésse,  che le immagini'e statue di quello fussero riposte ne' luoghi loro,  e rendè ai, procuratori e liberti suoi i medesimi uftìzii. E i primi  jdanàrì che egli per sua soscrizione, còme imperadore, ordinò che'  ^ fussero pagati, furono un milione e dugento cinquanta mila scudi,  per fornire |a casa aurea cominciata da esso Nerone. Dicesi che  la notte medesima, che seguitò dopo l'uccisione di Galba, spa-  ventato in flc^no, messe grandissime strida e sospiri e fii ritrovato  da quelli àie là corsero, giacere in terra a pie del letto ; e^ che  e' tentò con molti sacrifizii e purgamenti di placare l'anima di  Galba e- rendersela propizia e favorevole, dalla quale gli era parso-  d'essere stato gittato a terra e discacciato dell'imperio ; e che jl  giorno appresso neV^rendere gli augurii, essendo venuta una  gran tempesta, eg^Mfeìvemente sdrucciolò ; e che a ogni poco '  usò di dirsi cosi fra i denti in greco : Che ho io a fare con sì  grandi (ly tafani?   Ribellion deiresercito della Germania centra di lui.   Quasi liermedesimo tempo i soldati ch'erano in ;Germania,  giurarono feddtà a Vitèllio ; il che come egli ebbe inteso, ordinò,  che il senato- mandasse ambasciadori, i quali avvisassero lo im-  peradore già essere eletto e gli persuadessero alla quiete e con-  cordia universale. E nondimeno dall'altra banda per messi e per  lettere, si offerse a Vi telilo per compagno nello imperio e per  suo genero. Ma di già essendo la guerra scoperta, appropin-  quandosi-i' capi e le genti che Vitellio* aveva mandate innanzi,  XJonobbe per isperienza l'animo e fede de'soldati pretoriani verso  di s.è, quasi con la rovina dell'ordine senatorio. Erano rimasti  d'accordo di armare le galee e metterle in ordine; e traendosi  l^arme degli alloggianaenti di notte, vi furono alcnni che inso-  spettirono, e dubitando di qualche tradimento contro all'impe-  radore, levarono il remore e subitamente senza capo o guida  alcuna corsero in palazzo, con grande istanza addiniandando, i  senatori per ammazzargli. E ributtando i triBuni che cercavano  di far loro resistènza, ed alcuni ammazzatine, così sanguinosi   (1) Pare che Ottone prendesse mal augurio dall'éssór dai tafani  stati sturbati i sacrifizii.   32. SvETOiuo. ViU dei Cesari,     330 OTTONE SILVIO   come egli erano, ricercanido pure dello imperadore dove e* f usse,  si si)insono oltre per fino dentro alla sala, né mai si quietarono  insino a tanto che e' non l'ebbero veduto. Questa impresa contro  a Vitellio, fu da lui cominciala molto pigramente e con grande  confusione ó senza cura alcuna di religione o di altto : concios-  siacliè essendo in quel tcmjK) tratti fuori gli scudi chiamati Anelli,  e portandogli attorno i sacerdoti di Marte, nò avendogli ancora  riposti, egli messo mano alla impresa : il che anticamente era  tenuta cosa infelice e di malo augurio. Era oltre a ciò il giorno  che i sacerdoti della madre degli Iddii cominciavano a piangere  e lamentarsi : senza che, oltre lo predette cose, nel sacrificare  ancora si videro gli auspizii . totalmente contrarli : p ^     332 OTTONE SILVIO   ancora fra' suoi atnici e domestici tutti i danari e facoltà ch*egli  allora si trovava in essere.   Sua morte e funerale.   r   Essendosi in cotal guisa preparafo ed avendo Tanimó intento  alla morte, tiacque per l'indugio, che egli ancor faceva, tumulto  e garbuglio tra i soldati; perciocché quelli, che cominciavano a  partirsi ed andarsene, erano ripresi, e sostenuti come fuggitivi ;  di chQ come égli si accorse, disse ; aggiugniamo ancBe alla vita  questa notte ; e con altrettante parole vietò il far violenza ad al-  cuno, ed insino al tardi tenendo Tuscio della camera aperto,  fece copia ed abilità di sé a chiunque lo volle anxiare a trovare.  Dopo queste cose bebbe un poco di acqua fresca, per ispegnere  la sete ch'egli aveva ; e così prese due pugnali e cercato dili-  gentemente là punta dell'uno e dell'altro, e postosi l'uno sotto il  capezzale con gli usci aperti della camera, s'andò a riposare e  fece un grandissimo sonno: e finalmente svegliatosi sul far del  giorno, si ferì sotto la poppa manca. Ed a quelli che corsero al  primo gemito, ora colando ora scoprendg la piaga, passò di  questa vita : e fu sotterrato incontanente, come egli aveva co-  mandato, vitine a Veliterno, di età di trent'otto anni, essendo  stato nello imperio novantacinque dì.   Statura e governo del suo corpo.   All'animo grande d'Ottone non si confece punto la statura,  né la foggia del vestire: perciocché e' dicono, lui' essere stato  di statura pìccola e male in piedi, e calvo e delicato e pulito,  quasi a guisa di donna, col corpo spelato, con una zazzeretta  riposta, per avere i capelli radi^ la quale egli aveva adattata e  commessa in modo che ninno se ne acporgeva. Era oltre a ciò  consueto di radersi ogni giorno la faccia e stropicciarsela col  pane bagnato ; e ciò aveva cominciato a fare, insino quando co-  minciò a metter la barba, per non la metter mai. Dicono an-  cora, lui palesemente spesse volte aver celebrato i sacrifizi della  dea Iside in veste lina e religiosa. Onde io mi penso, esser nato,  che la morte sua, non punto dicevole alla vita, fu tenuta cosa  assai maravigUosa. Molti de' soldati, ch'erano presenti, con gran-  dissimo pianto baciando le mani ed i. piedi di lui che cosi gia-  ceva, lo celebravano come uomo fortissimo, ed unico e raro im-  peradòre. E subito noi medésimo luogo, non molto lontano dove     , ^ OTTAVO IMPBRATOBB 333   • • • ' , ' • ■   il corpo s'era abbruciaftò, ammezzarono se medesimo ;.molti an-  cora jdi quegli ch'erano assenti, ricevuto lo avviso, pel dolore  vennero all'armi l'uno con l'altro insino allò ammazzarsi; Final-  mente una gran parte degli uomini che in vita gVavissimamente  lo avevano maledetto e biasimato , morto grandissimamente lo  lodarono; tanto che nel volgo si sparse ancora una voce che '  Galba da lui era stato ucciso, non tanto per cagione di signo-  reggiare, quanto dì restituire la libertà alla romana Repubblica.     LA MTA ED I FATTI     DI     AULO VITELLIO     lli^Rt llPEEATti leiAKf     Dell^orìgìne della casata de' Vitelli.   La origine de' Vitellii alcuni hanno descritta in un modo, al-  cuni altri in' un altro; enei vero son molti discordanti intra loro:  perciocché questi dicono, quella essere stata antica e nobile,  (fuegli oscura^ nuova, anzi di persone vili e n)eccaniche ; il che  io mi persuaderei che nascesse dagli adulatori e malevoli dello  imporadoro Vitellio, se gli scrittori alquanto innanzi a Vitellio  non fiissero slati, parlando di esso, contrarii l'uno a Taltro. Tro-  vasi un'operetta del divo Augusto, indirizzata a Quinto Vitellio  questóre, nella quale si contiene, i Vitelli esser discesi dà Fauno  re d(;j^i Aborigini e da Vitellia che in quei luoghi come cosa  divina era adorata; e che loro anticamente signoreggiarono tutto  il j)aeso latino ; e che i discendenti che di questi restarono, di  Sabini diventarono Romani e furono accettati nel numero de*pa-  trizii ; e che per testimonianza della antichità di tal famiglia, gran  tempo era durata e durava ancora la via detta Vitellia; la qualo  dal ìnontc laniculo (cioè Montorio) si distendeva insino al mare.  Jyl oltre a questo, ancora essere in piedi una colonia del mede-  simo nome, porcioccbò i Vitellii già si orano offertiidi pigliare  la protezione di quella e difenderla con le lor genti proprio dagli  Kcpiictdi; e che appresso in protesse di tempo, quando e' si  mandò il ^occorso in Puglia contro a'Sanniti, alcuni de' Vitellii  si fermarono a Nocera, e di quivi a gran tempo tornarono di  nuovo'in Roma e furono accettati nel numero de' senatori.     Atrio VITELLIO -r fTONO IMPERATORE 335   • "■ " ' ' ■ ' . ■ ■   Del padre ejnadre di Vitellio, e della sua fanciullezza.   Dall'altra banda sono alcuni, che hanna scritto, phe, il primo  che diede principio a cotal famiglia , fa libertino ; e Cassio Se-  vero é certi altri ancora scrivono, quel tale essere stato ciabat-  tino, il cui figliuolo mediante quell'arte di cucire e rattacconare,  venuto in grande abbondanza di danari, ebbe per mogrie una  plebea figliuola di un certo Antioco, il quale era fornaio ovvero  prestava i fórni a prezzo; della quale ebbe un figliuolo che di-  venne cavalier romano. Ora noi abbiamo raccontatale opinioni  contrarie degli scrittori, acciocché ognuno si apprenda a quella  che più gli piace. Questo una volta è certo che Vitellio dèlia car  sala di Nocera, o che sia disceso di quella antica stirpo de' Vi-  tellii oppure che i suoi antichi fussero persone ignobili e vili, fu  cavalier romano e procuratore delle cose di Augusto. Costui la-  sciò quattro figliuoli tutti chiamati Vitelli!, variando solamente  ne' soprannomi ; perciocché tino fu chiamato Aulo, TaltroQuintò,.  il terzo Publio ed il quarto Lucio. Aulo morì consolo, il quale  magistrato gli fu dato in compagnia di Domizio padre dì Nerone,  e venne in crédito e riputazione per la sua eloquenza ; e gli  dette mal nome lo essere magnifico e splendido negli apparec-  chi delle cene. Qainto, il secondo, non fu né deirordine de' ca-  calieri, né di quello de' patrizii : perciocché Tiberio volle che ei  fussero ammoniti e cavati del numero de' senatori tutti quegli  che non erano sufficienti, né atti a quel governo, tra' quali egli  vclme a essere uno. Publio, il terzo, il quale andò in compa-  gnia di Germanico in Asia, accusò e fece condannare Gneo Pi-  sene, nemico ed ucciditore di esso Germanico. Appresso essendo  pretore, fu pigliato come consapevole e compagno di Sciano^ e  dato in custodia al fratello, dove egli si tagliò le vene con unp  scarpello da librai ; e non tanto perchè egli si pentisse d'essersi  voluto uccidere, quanto a preghiera de' suoi con permissione  dello imperadore si lasciò governare e medicare, e finalmente  morì nella medesima prigione di naturale infermità. Lucio, il  quarto, fu consolo; dipoi gli fu data in governo la Siria dopo  tale magistrato, dove egli con tanta astuzia eprudénza si governò  che non solamente condusse Artabano re de' Parti a venir seco  a parlamento, ma lo inclusse ancora a dichinarsi e fare riverènza  alle insegne delle legioni romani^. Appresso in compagnia di  Claudio imperatore fu due volte consolo ordinariamente e" cen-  sore una volta. 'E ritrovandosi esso Claudio in Inghilterra, restò  in suo luogo ^1 governo dello imperio romano. Fu uomo dab-     336 AULO vrmxio   bene, e molto industrioso e valente, ma s^acquistò gran biasimo,  per essere stato innamorato (i*una libertina^ con la cui scili va  mescolata col mele egli era solilo non rade volte o di nascojBO, '  ma ogni giorno e palesemente di stropicciarsi e riconfortarsi i  polsi e canne della gola. Il medesimo nello andare a verso -e  nello adulare fu di marayiglioso ingegno, e fu il primo che diede  ordine che Cesare fusse adorato come Iddio ; conciossiacosaché  tornato dal governo della Siria, mostrò di non avere ardire d'an-  dare dinanzi allo imperatore, se non col capo velato, e girandnmo volesse ancora cognominarlo Augusto, disse  Uìnt rlie ìndiii'ìa.^sino a un altro tempo : quello di Cesare ricuso  e;rii in iK,'r[>etuo.   S'iiitnide nd prinripato.   (>>mo e^rli el)he lo avviso della uccisione di Galba, acconcie e  arcoKiodate le cose della Germania , fé* due parti del suo eser-  c'ìU) e ne mandò una parte innanzi ad Ottone, l'altra riserbò ap-  presso di sé. A' soldati che furono mandati innanzi apparve un  Ifiiono e lieto augurio ; conciossiacosaché dalla parte destra di  (pielli si vide sopra in un subito volare un'aquila (I) , la quale  datd una giravolta intorno allo insegne , a poco a poco fece la  via ìnuair/i airesi^rcilo ])oi che furono entrati in camnùno. Ma  pel contrario nel muover luì l'esercito , tutte le statue che in  abito di cavaliere erano state poste in suo onoro, le quali erano  un gran niimoro, si troncarono le gambo e tutte a un tempo ro-  vinarono; e la corona dell'alloro la quale egli con molta religione  8 era avvolta intorno alla testa, gli cascò in una corsia d'acqua  K poco poi essendo a Vienna e rendendo ragiono nel tribunale,  un pollastro ('i) gli volò sopra alla spalla, e quindi se gli fermò  in capo; ai ([uali segni venne a corrispondere egualmente il  fine ; perciò elio egli non i)otè perso medesimo mantenere quello  imperio che da' suoi commessarii gli ora stato acquistato e con-  fermato.   Sue intraprese dopo la morte d'Ottone, e suo ritomo a Roma.   Hitrovandosi ancora in Francia, ebbe avviso della vittoria ri-  c(ivuta a Bebriaco e della line che Ottone aveva fatta ; e subita-  mente mandò un bando pel quale privò de' privilegii della mi-  lizia tulli i soldati pretoriani, come quelli che avevano dato un  pessimo esempio agli altri, e comandò, loro che dessino Tarme  a' tribuni, domandò ancora che centoventi, de' quali si erano ri-  trovati i memoriali presentati ad Ottone, che atldimàndavano il  premio por essersi adoperati nella occisione di Galba , fussero     (1) Il prodigio dell'aquila significava , che i legati di Vitellio  sarebbero stati vittoriosi.   (2) Il prodigio del pollastro, o sia gallo, significava, che sa-  rebbe ucciso da un Gallicano : come di fatto avTenne*     NONO IMPERATORE / - 341   ». • ^   cercati e puniti , la quale opera. certamenta fu molto egregia e  ipagnifica ; talmente che egli avrebbe dato speranza d'avere avuto  a fare una ottima riuscita, e di essere un vajorosb ed eccellente  principe, se nelle altre cose non si-fusse governato più secondo  la sua natura e costumi .Sella vita di prima , òhe secondo la  maestà dell'imperio : conciossiacosaché subito che egli si messe in  cammino, cominciò a farsi portare pel mfez^o duella -città a guisa  di trionfante e passare i fiumi dentro a'navilii delicatissimi or-  nati e. circondati con yarie fogge di corone e con bellissimi ap-  parecchi di vivande abbonbànlissimi , senza^ disciplina o regola '  alcuna. Quanto alla sua famiglia e quanto ai soldati, delle Loro  rapine e presunzione egli si rideva e la rivolgeva in fèsta e in  giuoco ; onde non contenti di vivere a discrezione in qualunque '  luogo essi arrivavano, si avevano ancora presa autorità di fare  liberi gli schiavi che a loro piaceva: ed a' padroni. che facevano  loro resistenza davano spesse volte in pagamento ferite e batti-  ture, e talora la morte. E come eglino entrarono nella pianura,  ove si era fatta la giornata, corno che alcuni di loro abbominas-  sino la corruzione è mal odore de' cpri^i morti, ebbe Vitellio ar-  dire con voce detestabile e biasimevole di persuadergli in modo  che essi medesimi affermarono che l'avversario uccisa rèndeva  ottimo odore, e molto migliore il cittadino. Tuttavia per alleg-  gerire e addolcire la gravezza di quell'odore , bevve q^uivi alla  presenza di ciascuno di molto vino pretto, e coYi parli vanità ed  insolenza ne fece bere a tutti. E risguardando la pietra dóve  erano scolpite alcune lettere in memoria d'Ottone, disse che quella  era degna di esser posta nel mausoleo. E mandò il pugnale, col  quale egli s'era ucciso , in Colonia^ gli abitatori della qiial città  vi furono condotti da Agrippa , perchè lo dedicas^mo a Marte ; ^  e ne' gioghi dell'Apenninó fece ancora stare ciascuno tutta la  notte desto e vigilante.   Cose da lui fatte nel principio del suo governo.   Entrò finalmente in Roma col far sonare a battaglia , vestito  da soldato e con la spada a canto nel niezzo delle insegne e ves-  silli dell'esercito; essendo ancora i soldati ch'erano in sua com-  pagnia con saloni indosso alla soldatesca. Cominciò appresso più  di giorno in giorno a dispregiare ogni legge umana e divina^ E  nel di che i ^lomani riceverono la rotta ad A^ia, prese il pontifi-.  cato massimo. Squittinò per dieci anni tutti i magistrati , e sé  fece consolo a vita. £ per manifestare a ciascuno chi egli voleva     342 AULO VITELLIO   imitare noi govornaro la Repubblica, nel mezzo del campo Marzio  con ji;ran numero di sacenloti pubblici celebrò Tesequie di Ne-  rone. E trovandosi in un solenne convito, comandò a un cita-  redo r\\{) assai ^lì piaceva che palesemente cantasse qualche cosa  in lode di Domizio , e cominciando cpicllo a cantare le canzoni  neroniane, fu il primo, fra quelli ch'erano presenti, che per Tal-  legrezza cominciò a battersi le roani a palme, ed a' gridare e far  festa.   Di altre sue aziuni nel primo tempo del suo principato.   Colali furono i suoi portamenti nel principio del suo imperio, e  così andò seguitando, governandosi secondo il consiglio e arbi-  trio di ciascuno istrione e guidatore di carrette, quantunque vi-  lissimo ; e massimamente d'un suo liberto asiatico , col qoale,  essendo ancora molto giovanetto, aveva usato scambievolmente  e disonestamente. Costui , essendogli venuto a fastidio Vitellio,  si fuggì da lui, ma egli lo riprese a Pozzuolo, dove e' si stava a  vendere una certa bevanda d'aceto inacquato , e di nuovo lo  cacciò ne' ferri ; appresso gli ripose amore e cominciò di nuovo  a tenerlo'tra le sue delicatezze. Dipoi un'altra vdlta non potendo  sopportare la presunzione e. ferocità di quello , lo vendè a un  maestro di scherma che abitava vicino alla piazza ; e un di che  egli si rappresentò nel gioco de' gladiatori, subito lo riprese, ed  ottenuto il governo della Germania, lo fece libero il dì medesimo  che egli fu fatto imperadore. Cenando gli donò l'anello d'oro,  cioè lo fece dell'ordine de' cavalieri, non ostante che la mattina,  pregando per lui ciascuno di quelli che gli erano d'attorno, se-  verissimamente avesse detosUito e biasimato 11 segnare con tal  macchia l'ordine de' cavalieri.   Dcll»^ sue gozzoviglie e banchetti.   Ma perciocché sopra a ogni altra cosa era molto dedito a ca-  varsi le sue voglie e soddisfare alla sua gola, siccome ancora alla  crudeltà, usava di mangiare tre volte il giorno e quattro ancora  alcuna volta ; e compartiva questi suoi mangiari in (4) asciolvere,  in desinare, in cenare e pusignare; oreggeva a tutti i predetti pasti,  essendosi avvezzo a vomitare. Comandava orsi a questo ora a quello  la sua volta di convitarlo; nò ad ale uno costarono manco ciascuno   (1) Asciolvere, lo stosso che far colazione.     NONO IHPEKATORE , 343   apparecchio dì diecimila scudi. Fu sopra tutte le altre ffimosissima  una cena fattagli dal suo'fratello il dì che e' fece Tentrata in Roma;  nella quale si scrivo che in tavola furono poèti due migliaia di  pesci elettissimi e sette di uccelli. Rendè ancora ejgli questa cena  più abbondevole e splendida, dedicando in quella eoonsagrando''  un piattello, il quale per là smisurata grandézza da lui era chia-  mato lo scudo di Minerva, ed in greco l'egida, (1) ài padrone  della città dove erano dentro mescolati fegati di scari, cervella  di fagiani e di pagoni, lingue di papp9galli, latte di [mufenó,  avendòleTaXte pescare dal mare Carpazio jnsino al mare dr Spagna.  E come uomo non solo di profonda gola ma ancora di disordinata  e lordissima, non si potè temperare nel -sacrifizio o in alcun  viaggio, che tra gli altari in quello medesimo luogo dove e' sa^  crificava non si mangiasse allora allora le viscere; e (2) le panate  subito cho ell'eraho levate dal fuoco, e così per il cammino, en-  trando per le cucine dell'osterie che erano su la strada, si man-  giava le cose cotte che vi erano che ancora fumavano, ed alcuna  volta gli avanzaticci e l'ossa, e reliquie del giorno dinanzi.   . Della sua crudeltà. ' .   »   Essendo, come di sopra abbiamo detto, oltre all'esser goloso,  crudele e vendicativo per ogni minima cosà, usava di punire e  d'uccidere senza avere rispetto ad alcuno. Fece ammazzare alcuni  nobili suoi condiscepoli p coetanei, ingannandogli chi in ìin'moda  e chi in un altro ; ed accarezzandogli in tutti quei modi che egli  sapeva, insino a farsegli compagni nello imperio, de' quali ne  aramazzò uno col porgergli il veleno di sua mano a bere in  cambio di acqua fresca, la quale egli aggravato dalla febbre  aveva addimandata. E di quelli usurai o di coloro a' quali egli  promettendo per altri si era obbligato, o dogli arrendatori delle  gabelle ed entrate pubbliche , che in Roma lo avevano vohito  ritenere [)er essere pagati, o fuori di Roma, perchè e' pagasse  i dazii e le gabelle consuete, pochi ve ne furono che dalle :sue  mani scampassero; tra' quali avendone dato uno, mentre che da  lui era salutato, nello mani della giustizia e subitamente Tattolo  richiamare indietro, lodando ognuno la sua cleniienza, comandò  che e' fusse ammazzato quivi alla presenza sua, dicendo, che  voleva pascer l'occhio : ed avendone sentenziato un altro, vi ag-   (1) Padrone della città, cioè a GiQve.   (2) Panate, lo stesso che focaccie. , .     34 i AULO VITELLIO   giunse ancora due figliuoli di quello, per essersi ingegnati con  preghiere di scampare il padre loro. Oltre a ciò avendo condan-  nato un cavalier romano, e gridando quello mentre ch'egli an-  dava alla morte : Io t'ho .fatto mio erede ; lo costpinse a rappre-  sentare le tavole del testamento, e leggendo che costui gir aveva  dato per compagno della eredità un suo liberto, comandò .subi-  tamente che lui il liberto fussoro scannati. Fece, ancora ara-  mazzare alcuni plebei perchè palesemente avevano avuto ardire  di biasimare i guidatori delle carrette, ch'erano della Kvrea e  fazione azzurra ; sospettando ch'eglino ciò avessino fatto in suo  dispregio, avendo speranza di cose nuove. Fu sopra a ogni -altra  sorte di uomini capitale nimico de' servidori allevati in casa e  de' matematici ; e come vUno glie n'era accasato, subito, s6nza  udirlo altramente, gli faceva tagliare la testa: essendo incrudelito  centra i matematici, perciocché subito che egli ebbe mandato  un bando, nel quale e' comandava che per tutto il 1 ® dì di ottobre  i matematici avessino sgombro di Roma e di tutta Italia, fu ap-  piccala una (\) scritta che diceva, che i Caldei affermavano che  le cose andrebbono bone so Yitellio Germanico in quel tempo,  cioè per lutto il di primo di ottobre, non si ritrovasse in alcun  luogo. Credeltesi ancora lui avere ammazzato la madre e proibito  che essendo inferma non lo fusse dato da mangiare ; perchè una  donna chiamata Calta, alle cui parole prestava fede come alle  parole d'un oracolo, gli aveva predetto che egli allora regnerebbe  lungo tempo, e che il suo imperio sarebbe stabile quando ei  sopravvivesse alla madre. Altri dicono, ch'ella infastidita delle  cose presenti e temendo delle future, con grandissihaa difficoltà  impetrò dal figliuolo d'avvelenarsi.   Apparecchio dell' esercitò contro Vespasiano.'   Nel mese ottavo del suo imperio si ribellarono da ta in Roma;  nella quale si scrivo che in tavola furono poèti due migliaia di  pesci elettissimi e sette di uccelli. Rendè ancora ejgli questa cena  più abbondevole e splendida, dedicando in quella eoonsagrando''  un piattello, il quale per là smisurata grandézza da lui era chia-  mato lo scudo di Minerva, ed in greco l'egida, (1) ài padrone  della città dove erano dentro mescolati fegati di scari, cervella  di fagiani e di pagoni, lingue di papp9galli, latte di [mufenó,  avendòleTaXte pescare dal mare Carpazio jnsino al mare dr Spagna.  E come uomo non solo di profonda gola ma ancora di disordinata  e lordissima, non si potè temperare nel -sacrifizio o in alcun  viaggio, che tra gli altari in quello medesimo luogo dove e' sa^  crificava non si mangiasse allora allora le viscere; e (2) le panate  subito cho ell'eraho levate dal fuoco, e così per il cammino, en-  trando per le cucine dell'osterie che erano su la strada, si man-  giava le cose cotte che vi erano che ancora fumavano, ed alcuna  volta gli avanzaticci e l'ossa, e reliquie del giorno dinanzi.   . Della sua crudeltà. ' .   »   Essendo, come di sopra abbiamo detto, oltre all'esser goloso,  crudele e vendicativo per ogni minima cosà, usava di punire e  d'uccidere senza avere rispetto ad alcuno. Fece ammazzare alcuni  nobili suoi condiscepoli p coetanei, ingannandogli chi in ìin'moda  e chi in un altro ; ed accarezzandogli in tutti quei modi che egli  sapeva, insino a farsegli compagni nello imperio, de' quali ne  aramazzò uno col porgergli il veleno di sua mano a bere in  cambio di acqua fresca, la quale egli aggravato dalla febbre  aveva addimandata. E di quelli usurai o di coloro a' quali egli  promettendo per altri si era obbligato, o dogli arrendatori delle  gabelle ed entrate pubbliche , che in Roma lo avevano vohito  ritenere [)er essere pagati, o fuori di Roma, perchè e' pagasse  i dazii e le gabelle consuete, pochi ve ne furono che dalle :sue  mani scampassero; tra' quali avendone dato uno, mentre che da  lui era salutato, nello mani della giustizia e subitamente Tattolo  richiamare indietro, lodando ognuno la sua cleniienza, comandò  che e' fusse ammazzato quivi alla presenza sua, dicendo, che  voleva pascer l'occhio : ed avendone sentenziato un altro, vi ag-   (1) Padrone della città, cioè a GiQve.   (2) Panate, lo stesso che focaccie. , .     34 i AULO VITELLIO   giunse ancora due figliuoli di quello, per essersi ingegnati con  preghiere di scampare il padre loro. Oltre a ciò avendo condan-  nato un cavalier romano, e gridando quello mentre ch'egli an-  dava alla morte : Io t'ho .fatto mio erede ; lo costpinse a rappre-  sentare le tavole del testamento, e leggendo che costui gir aveva  dato per compagno della eredità un suo liberto, comandò .subi-  tamente che lui il liberto fussoro scannati. Fece, ancora ara-  mazzare alcuni plebei perchè palesemente avevano avuto ardire  di biasimare i guidatori delle carrette, ch'erano della Kvrea e  fazione azzurra ; sospettando ch'eglino ciò avessino fatto in suo  dispregio, avendo speranza di cose nuove. Fu sopra a ogni -altra  sorte di uomini capitale nimico de' servidori allevati in casa e  de' matematici ; e come vUno glie n'era accasato, subito, s6nza  udirlo altramente, gli faceva tagliare la testa: essendo incrudelito  centra i matematici, perciocché subito che egli ebbe mandato  un bando, nel quale e' comandava che per tutto il 1 ® dì di ottobre  i matematici avessino sgombro di Roma e di tutta Italia, fu ap-  piccala una (\) scritta che diceva, che i Caldei affermavano che  le cose andrebbono bone so Yitellio Germanico in quel tempo,  cioè per lutto il di primo di ottobre, non si ritrovasse in alcun  luogo. Credeltesi ancora lui avere ammazzato la madre e proibito  che essendo inferma non lo fusse dato da mangiare ; perchè una  donna chiamata Calta, alle cui parole prestava fede come alle  parole d'un oracolo, gli aveva predetto che egli allora regnerebbe  lungo tempo, e che il suo imperio sarebbe stabile quando ei  sopravvivesse alla madre. Altri dicono, ch'ella infastidita delle  cose presenti e temendo delle future, con grandissihaa difficoltà  impetrò dal figliuolo d'avvelenarsi.   Apparecchio dell' esercitò contro Vespasiano.'   Nel mese ottavo del suo imperio si ribellarono da lui l'esercito  della Mesia e quel della Schiavonia, e similmente quelli ch'erano  di là dal mare, cioè il Giudaico e quello di Seria; uiii.a parte dei  quali s'obbligarono a Vespasiano giurando di rendere a lui ob-  bedienza : il quale Vespasiano era allora assente. Vitellio adunque  per mantenersi gli altri in fede, senza misura o regola alcilna   (1) Il sentimento della scritta era questo ; che le cose andreb-  bono bene, perchè Vitellio per il primo di ottobre ,' qual era il  giorno destinato alla cacciata de' matematici, non si ritroverebbe  in alcun luogo.     NONO IMPERATÓRE . 345   donò pubblicamente e privatamente con grandissima larghezza  lutto quello ch'egli potette ; e fece dentro di Soma h descrizione ,  ^ di ciascuno per fare uno esercito, promettendo a quegli che ve?  nivano volontaf ii ad obbligarsi e a farsi scrivere non solamente  dopo la vittoria di licenziargli e disobbiigàrgli, noia ancora di d^r  loro tutte quelle provvisioni e far loro tutte quelle abilità che si  facevano a' soldati veterani e che avevano militato il teoìpo or-,  dinario. Strignendolo appressò il nimico per terra e per mare,  da una banda se gli oppose 11 fratello con una squadra di gla-  diatori e con que' soldati nuavamente descritti ; dairaltra banda  i capitani e le genti che coipbatterono a Bebriaco. Ma superato  e vinto nell'uno e nell'altro luogo o sì veramente tradito, s^ con-  venne con Flavio Sabino fratello di Vespasiano, & promesse, se  egli lo salvava, di pagargli due milioni e cinquecento mila scudi.  E subito sópra alle scale del palazzo in -presenza di tutti i -suoi  soldati disse, che cedeva e riniinziava l'imperio il quale' contro  a sua voglia aveva ricevuto. E gridando tutti quegli ch'erano  dattorno, che non volevano acconsentirlo, indugiò tale delibera-  zione e vi interpose una notte. La mattina a buon'ora si rappre- '  sento in ringhiera mal vestito, e con rholte lagrime testificò il  medesimo, e per via di memoriale replicò le medesime parole.  E di nuovo pregandolo il popolo e i soldati che non volesse per  modo alcuno mancare a se niedesimo ; e promettendogli a gara  questi e quegli l'opera sua, riprese animo -e costrinse Sabino e  gli altri Flaviani, che di già si erano assicurati, né temevano di  cosa alcuna, con subita violenza a rappresentarsi in Campidoglio.  E messo fuoco nel tempio di Giove Ottimo Massimo, gli ammazzò,  standosi in casa di Tiberio a rimirare quella battaglia è quello  incendio mentre ch'egli mangiava. E non molto appresso, pen-  tondosi di quello che fatto aveva e dandone la colpa ad altri>  ragunato il parlamento, giurò e costrinse gli altri a giurare, che  niuna cosa sarebbe loro più a cuore che la pace e quiete '.pubr  blica ; e trattosi in quel punto un pugnale dal fianco e porgen-  dolo prima al consolo, dipoi, ricusandolo, agli altri magistrati ed ^  appresso a ciascuno de' senatori, né lo ricevendo alcuno, si parli  come se volesse andare a porlo nel te.mpio della Concordia. E  gridando alcuni ch'esso era la Concordia, affermò clic nonrsolq  riteneva il pugnale per sé, ma che ancora accott«va il non>(3  della (^.onrordia. ' ^     n SvÉTONfO. Vite dei Cesari.     346 ACLO VITELLIO   Cerca di aggiustai'si con Vespasiano.   Persuase a' senatori a mandare ambasciatori e lo vergini ve-  stali in compagnia di quelli per addimandare la pace, o ahneno  tempo a prender consiglio e risolversi. E così il giorno seguente  aspettando la risposta , gli fu dato avviso da una spia come il  nemico si avvicinava.. Subito adunque,- postosi sopra a una seg-  giola di quelle che si portano , avendo in compagnia solamente  il cuocx) ed il fornaio, si diede ascosamente a fuggire nel Monte  Aventino a casa- del padre, per quindi fuggirsene in campagna.  Dipoi levatasi una voc^, né sapendosi onde ella si fu3se uscita,  che la paco s'ora impetrata, acconsenti d'esser ricondotto in pa-  lazzo ; dove avendo trovato abbandonata ogni cosa^ si cinse una  cintola piena dì ducati e si fuggì in una certa stanzetta piccola  del portinaio, e quivi si aflbriìficò, legando il cane fuora dell'uscio  ed attraversandovi la coltrice e il letto.   *   Ignominiosa di lui morte. . .   Erano di già entrati dentro rantiguàrdia-, né si facendo loro  alcuno incontro, andavano minutamente (come éi fa) ricercando  ogni cosa : costoro adunque trovatolo, gli addimandarono obi egli  fusse, perciò che essi non lo conoscevano, e se egli sapeva dove  era Vitellio : egli adunque fingendo una menzogna gli uccellò.  Appresso, riconosciuto; non restò di raccomandarsi, é mostrando  di voler dire alcune cose a Vespasiano che importavano alla sa-  lute dì quello, pregava di esser dato in guardia a quàlciTno, o sì  veramente messo in prigione. Ma finalmente gli legarono le mani  dì dietro e gli attaccarono una cavezza alla gola, e così colla veste  stracciata, mezzo ignudo, fu strascinato in piazza tra mille ol-  traggi e scherni di parole e dì fatti per tutta la via Sacra ; aven-  dogli mandati lì capelli addietro, come si suol fare a' colpevoli,  e postogli ancora la punta di un pugnale sotto il mento, acciocché  e' fusse forzato a tenere il capo alzato per esser veduto, né po-  tesse abbassarlo. Alcuni gli gittavano nella faccia lo sterco e la  mota, altri a piena voce lo chiamavano incendiario e patinano  'cioè appicca fuoco e lecca piattelli), ed una parte del volgo gli  improverava e rinfacciava ancora i difetti del corpo ; perciocché  3gli era d'una grandezza sproporzionata, aveva la. faccia il più  Ielle volte rossa pel troppo bere, era corpacciuto e grasso, debole  su l'uno de' fianchi, per esser stato una volta urtato da una car-     NONO IMPERATORE     UT     retta nel Tare ilmannerìno (\) à GaìoXaligola-, mentre, che egli  aurìgava (cioè guidava una carretta). Finalmente lancettato e  punzecchiato minutamente e con ferite molto piccole appiè delle  scale Gemonie, e finito di ammazzai^lo^ quindi con uno uncino  lo strascinarono e gittarono in Tevere.   Dichiarazione di un portento .   ■ ' -. » ■   Morì msieme col fratello e col figliuolo avendo >anni cinquan*-  tasette : né quegli indovini s'ingannarono,- i quali gli predissero - ^  in Vienna, per quello augurio ólie noi dicemmo essergli intervenuto  in quel luogo, ch'egli aveva a. venire in potere di qualche uomo  gallicano : conciossiacosaché il primo che gli pose le mani addosso \^  e che l'oppresse fusse uno chiamato Antonio Primo^ capitano della. .  parte avversa, il quale era nato in Tolosa e in sua puerizia era  chiamato Becco per soprannome, il qual vocabolo in quella lingua -  significa becco di gallina.   (1) MannerinQ, qui significa lo stésso che lacchè.     ^t*i     L\ VITA ED I FATTi '   «Il   VESPASIANO   BECIM UPEIATOR RilAllO     Della gente Flavia e degli antenati di Vespasiano . >   Avendo lo imperio romano , per la ribellione ed uccisione dei  tie principi sopraddetti, non avuto in un certo modo luogo fermo,  ma andatosi aggirando, fu ultimamente accolto dalla gente Flavia  e da quella istabilito. La quale famiglia fu certamente ignobile,  né da alcuno de' suoi antecessori fu illustrata : tuttavia la ro-  mana Repubblica non può se non lodarsene ^ quantunque tra i  Flavii fusse Domiziano, il quale (come è manifesto) pagò le de-  bite pene delle sue sfrenate voglie e della sua crudeltà. Tito  Flavio Petronio, terrazzano di Rieti, fu nelle g.uérre e discordie  de' cittadini romani dalla banda di Pompeo e suo centurione , e  dalla battaglia Farsalica fuggendosi se. ne tornò al paese ; lìè è  ben certo se egli si partì volontariamente e senza addimàudar  licenza, o se pure si partì con licenza e permissione di Pompeo.  Egli adunque impetrato perdono da Cesare e fatlo esente .dalla  milizia, fece appresso il venditore all'incanto, ovvero riscotitore  de' banchieri ed argentieri pubblichi : il figliuolo di costui fu co-  gnominato Sabino, il quale non fece mai il mestiero del soldo,  ancora che alcuni abbiano scritto lìii averlo fatto ed essére stato  centurione ; alcuni altri, che essendo egli pur capitano, fu sciolto  e liberato dal sacramento e obbligo della milizia, per esser ca-  gionevole e mal sano. Fu in Asia riscotitore della quarantesima,  dove si vedevano le statue posto in suo onore y dalle città di  quella provincia con lettere in greco in questa sentenza : Al suf-  ficente riscotitore deirèntrate pubbliche. 0"»ndi se ne andò in      VESPASIANO -T db;cimo imperatore 31^   Elvezia, dovo egli prestò a usura, é passò dì questa vita. Lasciò'  Yespasia Polla sua moglie con due figliuoli, il maggior de' quali -  chiamato Sabino venne a tanto grado in Roma, che egli fu fatta  pretore; il minore, cioè Vespasiano, pervenne al principato.  Nacque Yespasia- Polla in Norcia e fu di nobil famiglia , il cui  padre Vespasiano Pollione fu prefetto e provveditore dello eser- .  cito, e tre volte tribuno de* militi. Ebbe costui un fratello che  ascese alla dignità pretoria e fu ancora senatore. Dimostrasi og-  gidì ancora il luogo chiamato Vespa§ia, che è vicino a Norcia a  sei miglia, suso alto nel monte, per la via che va a Spoleto, dove •  sono molte ricordanze de' Vespasii, e cose da. loro per memoria  edificate; il che è. grande indizio dello splendore e della antichità  di quella famiglia . Non voglio lasciare indietro, come alcuni hanno  vanamente scritto, che il padre del sopraddétto Petronio fiì lom-  bardo, di quelli che abitano di là dal Po e capo ed appaltatore  di coloro che lavorano a prezzo i terreni e gli ortaggi, i quali ogni  anno sono soliti di passare dell'Umbria nella Marca, e così \m es-*  sersi fermo a Rieti, e quivi aver preso moglie. Io di tal cosa,  benché molto curiosamente ne abbia ricerco, non ho però tro-  vato giammai vestigio alcuno. ' . ^   Nascita e nodritura di Vespasiano.   Nacque Vespasiano nel paese de' Sanniti di là da Rieti, in un pic-  colo borgo chiamato Falacrine a' diciasette di novembre altardi,  essendo consoli Quinto Sulpizio Camerino e.Gneo Poppeo Sabino,  cinque anni avanti che Augusto morisse. Fu allevato da Tertulla  sua avola da lato di padre , a certe possessioni ch'essi avevano  nel Cosano : tale che poi ch'egli fu fotto principe , molto spesso  se n'andava a stare alle dette possessioni dove egli era stato nu-  trito ed allevato : non toccando la casa che prima v'era^ ma la-  sciandola stare appunto in quel modo medesimo per soddisfare  agli occhi suoi , e ricordarsi con piacere della antica dimora e  pratica avuta nel detto paese. E tanto svisceratamente amò' la  memoria della sua avola, che ne' giorni solenni e festivi usò e  perseverò sempre bere con un bicchiere di argento che di lei .  s'era risen^ato. Preso ch'egli ebbe la toga virile, durò gran tempo  a non voler acconsentir per alcun modo di mettersi la veste se-  natoria, ancora che il fratello se l'avesse acquistata , né mai ^  lasciò persuadere d'alcuno a prenderla ^e non finalmente dalla  madre, la quale ancora con gran fatica impetrò da lui -tal grazia  più con morderlo quando con un motto e quando con un altro ,     350 . VESPASIANO , .   che c(m pregarnelò o con autorità ch'ella, seco avesse: perchè  ella ad ogni- poco lo chiamava il famiglio del fratello e quello che  gli andava innanzi a fargli darla via. Meritò in Tracia d'esser fatto  tribuna de' miliU e questore ancora. Ottenne per tratta il go-  verno di Greta e quello di Cirene. Appresso candidato (cioè in  vesta bianca) chiese di esser fatto edile ed -ancora di esser fatto  pretore, e fu le prime vòlte dal popolo rifiutato e con fatica al-  l'ultimo ottenne^^ tra' suoi competitori a domandare d'esser  fatti edili li toccò il sèsto luogo; e tra.i competitori delia pretura  il primo. Come egli ebbe ottenuto di esser creato pretore, il se-  nato se lo recò a tioia, onde per acquistarsi la grazia di Caligola  e farselo in qualunque mode e' poteva benigno e favorevole, lo   ' pregò di celebrare ( ancora bhe dò a lui non si appartenesse ) i  giuochi e le feste per la vittoria .oh'essò Calìgolipi in Germania  aveva ottenuta. Fu ancora di parere, che oltre alla pena di moi'te,  alla quale erano sentenziati i congiurati contro al detto -impera-  dorè, si aggiuhgesse ancora che e' fussero buttati alla' campagna   • senza èssere seppelliti; e lo ringraziò in presenza del senato che  egli' si fusse degnato di accettarlo aVla sua cena '»ii'^»*r * '^^ e ìainmin «^Tjà avesse     (l^ 'j\iO fialiiiA^'* ''•\f     ■ «^ ■ ■• *     DECIMO IMPERATO 353   cominciato a rirnbainbire. Ivi a non molto tempo, essendosi adi-  rato Caligola con Vespasiano, perciocché, essendo egli edile, non  aveva avuto avvertenza di far nettare le strade, comandò che ei  fusse ripieno di loto, onde i soldati gliene posono alqiianto ilei  lembo della pretesta. E furono alcuni che -allora interpretarono  che ciò significava che e' verrebbe ancor tempo , che la' Repub-  blica calpestata e abbandonata per qualche garbuglio civile , si '  ridurrebbe sotto la sua protezione, ed egli quasi ricevendola in  grembo la difenderebbe. Oltre a ciò desinando egli una volta,  un (4) cane forestiero portò dentro alla sua casa" in sala una.  mano da uomo e la pose sotto la tavola; e così un bue che arava,  mentre che egli cenava , scosso il giogo in terra , entrò con fu-  rore in sala; e spaventati e discacciatine i ministri, quasi stracco  in un subito gli cascò quivi dove ei sedeva a' piedi e gli sotto-  messe il collo. Oltre a ciò, uno arcipreéso, che era in campo, il  quale anticamente era stato di sua casa, $enzà violenza alcuna  di venti sbarbato dalle radici cascò in terra, e nel -^ giorno .se-  guente per se medesimo si rizzò e divenne più verde che mai e  più rigoglioso. Ritrovandosi néll'Acaia , sognò che -1 principio  della sua felicità comincierebbe allora, che a Nerone fusse cavato .  un dente. E la mattina appresso comparì un medico in corte e  mostrò a Vespasiano, un dente che di fresco aveva cavato a Ne-  rone in Giudea. Consigliandosi con Toracolo' dell'Iddio del mowte  Carmelo e domandandogli del futuro, gli fu risposto in questa. ma-  niera: che gli IddiL gli promettevano dovergli succedere tutto  quello che ei pensava e si rivolgeva heiranimo , quantunque  grande. Oltre a questo, uno de' nobili di questa città ,.suo pri-  gione, chiamato Giuseppe, essendo da lui incarcerato, gli affermò  costantissimamente, che in breve tempo egli lo doveva trarre  di carcere, ma che a quel tempo sarebbe di già fatto imperadore.  Fugli ancora dato avviso di certi segni, che in Roma si erano  intesi essere- accaduti, cioè che Nerone negli ultimi giorni della  sua vita fu ammonito in sogno, che facesse trarre il tabernacolo  di Giove Ottimo Massimo del sacrario e condurlo in casa e nel  cerchio di esso Vespasiano. E non molto dipoi che il popolo s'era  ragunato a squittinare , quando Gaiba la seconda vòlta fu fatto  consolo, che la statua del divo Giulio per se medesima . s-erà  volta verso l'Oriente ;. e che avanti che si appiccasse la zuffa a  Bebriaco, due aquile nel cospetto di ogni uno si erano appiccate   (1) Il portento del cane significava, che l'umana potertza e  l'estere nazioni sarebbero soggette a Vespasiano.     35 i' VESPASIANO   insieme, delle quali essendone restata uha -superata,. era soprav-  venuta la terza d'onde il sole nasce ed. aveva, discacciata la vin-  citrice. . ' '   Sua 'assunzione ali* impèrio^ . x -   \ Con tutto questo'non volle mai Vespasiano tentar cosa alcuna,  ancora che i suoi amici e conoscenti si dimostrassino molto  pronti, e gliene facessino grande instanza; 30 prima e^li non  ne' fu sollecitato e richiesto da alcuni da lui non conosciuti, e  che erano lontani e scopertisi' in suo favore da per loro, e senza  che egli Taspetlasse. E questo fu che essendo mandato daire-  serCito, che era in Mesìa di tre legioni, due mila fanti in soc-  corso di Ottone, mentre che essi erano in cammino, fu loro dato  avvisò, come Ottone era stato superato e che per se medesimo  s'era .ucciso ; nondimeno loro seguitarono di camminare avanti  e si condussono insino ad Àquileia, quasi che e' non prestassino  fede a quello che sì diceva ; e quivi presa occasione, licenziosa-  mente mandarono a saccomanno ogni cosa^ usando ogni sorte di  rapina; temendo appresso ^ ritoiliati che e' f ussero, di non avere  a. render conto dì quanto avevano fatto, e dubitando di non esser  puniti, si consigliarono fra loro e si risolveremo a eleggere un  capitano a ior modo, come quelli, a cui non pareva esser da  meno che l'esercito, il quale era in Ispagna che aveva eletto  Galba ; né ancor dell'esercito pretoriano, il quale aveva eleUo  Ottone; né del, Germanico che aveva, eletto Vitellio. Furono  adunque messi innanzi, e proposti tutti i commessarii e legati  consolari ch'erano fuori di Roma in qualunque paese; e biasi-  mando ciascun di loro per qualche difetto, appónendo a chi una  cosa e a chi un'altra, alquanti della terza legione, la quale, nel  passar che Nerone fece in Siria, era stata mandiata in Mesìa^  sommamente lodarono Viespasiano. Onde tutti insieme si accor-  darono di eleggere lui ; e senza indugio scrissono il nome di  quello in tutte le loro insegne : ed allora vennóno a quietarsi  interamente, e ciascuno a pòco a poco tornò all'uffizio -suo, Ès-  sendosi pertanto divulgato, quanto costoro avevano deliberato^  Tiberio Alessandro prefetto xieirEgitto, il di primo di luglio,  fece che le sue genti giurarono fede a Vespasiano ; il qual giorno  fu dipoi osservato essere stato il medesimo del suo principato.  Appresso lo esercito giudaico a nove di di luglio prese il giurà-  inento in sua presenza. Favorì assai le predette iihprese la copia  ^> una lettera vera falsa ch'elfa si fusse del. mòrto Ottone; il     DECIMÒ IMPERATORE 355   quale per ultimo suo ricordò scongiurava e pregava Vespasiano,  che f usse contento di vendicarlo, pregandolo ancóra clie volesse  aiutare e soccorrere la Repubblica. Aiutò ancora assai la cosa  la voce che si era sparsa, cioè che Vitellio, restando vincitprp,  aveva deliberato di scambiare le stanze degli eserciti e far pas-  sare l'esercito di Germania in Oriente, per più loro sicurtà, ed  acciò che potessino vivere corf più comodo e più delicatamente.  Oltre a ciò tra i governatori delle provincie Licinio Muziano, de-  posto l'occulto odio che insino a quel tempo aveva portato a Ve-  spasiano, volendo competere con lui, gli promesse Teserei to che  era in Siria in suo favore ; -e Vologeso re de' Parti gU promesse  quaranta mila sagittaria   Cose prodigiose avvenute nei principio del suo" govèrno. .   Preso adunque la guerra civile, mandò innanzi li suoi capir  tani con gli eserciti; ed egli, in quel mezzo, passò in Alessandria  per insignorirsi di quel paese ctìfe è la chiave delVÌEgitto. Dove  essendo entrato nel tèmpio di Serapide, e mandato via ognuno  per restar solo e conàigharsi con quello Iddio, come egli avesse  a stabilire il suo imperio, se lo venne a fare mólto favorevole;  e volgendosi attorno, gh parve vedere Basilide liberto porgergli  le verbene', cioè l'erbe sagrate, le corone ed i pani che ivi s'u-  sano per sacrificare. Era manifesto, costui da nessuno essere"  stato messo dentro : e che per essere statò gran tempo rattrap-  pato de' nèrbi, non poteva appena àndar.e, e che egli, oltre a  ciò, quindi molto lontano si ritrovava. Maia quello istanle ven-  nero lettere die davano avviso, come le genti di Vitellio vieino-  a Cremona erano state rotte ed egli entro. alla città ammazzaU).  Mancava solamente a Vespasiano, per essere persona nuova e  principe non aspettato, lo acquistarsi appresso de' popoli auto-  rità e maestà ; il che ancora gli venne a succedere in questo  modo. Era un certo plebeo cieco, e similmente un altro debole  da una gainba; questi du^' insieme lo andarono a trovare in-  nanzi al tribunale dove egli sedeva, e lo pregarono chesid^  gnasse di avere compassione alla loro infermiti^ e di polvere  loro soccorso, affermando il cieco che Serapide in sc^no gli  aveva detto che Vespasiano, sputandogli negli occhi, gli poteva  rendere la vista; e'I zoppo che, degnandosi di dargli un calcio,  verrebbe a sanarlo della gamba. Non poteva credere Vespasiano  che tal cosa per modo alcuno gli avesse a succedere, e perciòt  non aveva ardire di farne esperienza. Finalmente pregato e con-     356 V VESPASIANO   fortato dagli amici, in presenza di tutti fece i'una e Taltra cosa;  e succedette quanto i due avevano dettò. Nel medesimo tèmpo  in Tegea città di Arcadia, a persuasione di certi individui, fu-  rono dissotterrati d'un luogo sagrato certi vasi di lavoro antico,  ne' quali era una testa, simile a quella di Vespasiano.   ' . Risiabilimertto della Repubblica vacillante'.   Tale con si gran fama essendo ritofnato in Roma,, trionfò  de' Giudei. Ed oltre alla prima volta che un tempo addietro era  stato consolo, fu ancor consolò otto altre volte. Frese ancor l'uf-  fizio della censura; ed in tutto '1 tempo che esso regnò, non- at-  tese quasi ad altro che a riordinare e stat)ilire quella afflitta  Repubblica, e che tuttavia stava per andare in rovina, è dopo  questo di renderla ornata. E primreramente quanto a' soldati,  essendo una parte di loro insuperbiti per la vittoria ricevuta, ed  una parte di loro sdegnati ed offesi per essere stati notati vitu-  perosamente, erano trascorsi e *diyenutt licenziosi ed insolenti.  Oltre a questo le provincie apcora e le città libere, e con quelle  insieme alcuni reami erano tra loro in discordia e tumult'uosar  mente si governavano. Egli adunque, per riparare a' sopraddetti  inconvenienti, a' soldati Vitellianicl^'erànogli spdegnati, tolse ogni  privilegio clL'essi- avevano, egli privò della milizia e gran parte  di loro furono puniti. A' suoi, cbe per la vittoria erano insuper-  biti, non volle mai concedere cosa alcuna altro che ordinala ;  anzi di quello, che debìtamento si aspettava Iqro, indugiò un  t0mpo ia soddisfargli. £ per corregger la disciplina militare in  tutti tjue'modi, che e' poteva e con tutte le occasioni che se gli  i 'esentavano innanzi, essendogli venuto davanti un giovà-   tto, per. ringraziarlo d'avere impetrato d'esser fatto prefetto,  j pirofumato e ripieno di buoni odori, gli fé' cenno che si ap-  ] asse e levassé^ via, come se tali odori l'avessino offeso; e lo  riprese an(;ora gravissimamente, dicendo: più tosto avrei voluto  che tu sapessi d'dgli; e si fé' rendere it)dietrO le lettere di fa-  Vere ch'esso gli aveva fatte. I soldati delle galee, i quali ordi-  nariamente da Ostia a Pozzuolo Vanno é vengono per terra a  piedi^ gli addiniandavano che e'fiisse concesso loro. qualche  provvisione, sotto nome delle scarpe che logoravano in andare  innanzi e indietro; ma egli, non gli parendo abbastanza non  aver risposto loro cosa alcuna, ordinò e comandò lóro che da  quivi innanzi andassino scalzi , e così da indi in qua sempre   npre sono andati e vanno ancora oggidì. Quanto alle città e     DECIMO lUPERATORE 357   Provincie, ridujsse in forma di provincia, qiòè fece distretto dei  Romani TAcaia, là Licia, Rodi, Costantinopofe e Samo., e tolse  loro la libertà. \\ simile fec^ ancora alia Tracia, alla Cicilia ed a  Comagene ch^erano reami .stati insiiio a quel, tempo,, e da luL  furono ridotte in forma di provincia. Mandò nuove legioni^ di  soldati in Cappadocia/ oltre a qaelli che ordinariamente vi sla-  vano, per esser quel paese infestato assiduamente dalle scorrerie  de' barbari . ^E per governatore vi mandò un cittadino consolare,  essendo solito di mandarvisene uno dell'ordine de'cavaHeri,  Roma per l' antiche arsioni e rovine era tutta disformata e guasta;  onde per riempierla dì casamenti. ed èdifizii, diede a ciascheduno  licenza, a cui veniva bene di edificare, che occupassero i luoghi  e gli spazii che trovavano vóti,, quando i padróni proprii aveS'  sero indugiato loro a edificarvi. Egli prese à restituire e rifare il  Campidoglio, e fu il primo che messe le mani a purgarlo dai  calcinacci e portargli via; e sopra le sue spalle ne portò via al-  quante corbellate. Fece oltre a ciò rifar di nuovo tre mila tar  vole di rame che tutte erano arsicciate e guaste dal fuòco ; avenda  con diligenza ricerco e ritrovato i modelli e le scritture antiche  di quelle. Fece oltre a ciò come uno infetrùmento ed inventàrio  delle cose pubbliche, insino dal tempo antico, molto bello e bene  accomodato ; nel quale si contenevano tutte le deliberazioni del  senato e tutte quelle delia-plebe, tutte le leghe e confederazioni,  fatte, tutti i privilegii conceduti a qualunque persona, insino  quasi da che Roma fu edificata. ' ~   Edifizii pubblici da lui innalzati. ^ . ,   Fece ancora alcuni èdifizii di nuovo, cioè iHempio della Pace .  vicino alla piazza; quello del divo Claudio cominciato da Agri p*  pina, ma da Nerone disfatto e rovinato quasi insino a' fonda*  menti. Edificò similmente lo anfiteatro nel mezzo di Roma se-  condo il disegno e modello che trovò , che Augusto ne aveva  fatto fare. Ridusse l'ordine do' cavalieri e de' senatori allo antico  splendore e nobiltà, i qo'ali ^rano già quasi ridotti a niente, per  essere slati trascurati, e molti di loro uccisi e ripienitli persone  vili e i|znobili. Egli adunque gli ridusse. al solito numero, e pri*  mieramente fece una rassegna di quegli che allora ne' predetti  ordini si ritrovavancJ; enocavò tutti quegli che non .meritavano  tal dignità, e in lor cambio messe uomini dabbene e nobili di  ogni sorto, Italiani e forestieri. E \)er dare a conoscere che i se-  natori e i cavalieri erano solamente dilferenti quaàto     358 VESPASIANO   dignità, ma che rautòntà e licenza aveva .'in vun cèrto modo a  esser del parf; eissendo oocof^o parole ingiuriose Ira un. sena-  tore ed un cavaliere romano, sentenziò in questo modo, che ei  non era heueche a' senatori fussero dette parole ingiuriose, ma  cl\^ rispondere alle ingiurie di qiiegli jngiuriosam^nte era ben  cosa civile ^ lepita. . . *;   Liti da lui somm^rìamente dedse. . -   Le liti che si avevano a decider erano cresciute in grandissimo   numero ; perchè non si essendo per gran teiripo addietro tenuto   ragione, molte dèlie antiche destavano ancora in pendente , e-   per garbugli e tumulti de* tempi che allora erano corsi, ne sur-   'gevano su delle nuove ogni di. Egli adunque fece un magisti'ato   diuomini , i quali trasse a sorte, che avessino autorità sopra   alle cose che nella guèrra, s'erano rubate di farle restituir a di   chi elle erano. Oltre a -ciò creò un magistrato che per lo stra^or-   -dinario sentenziasse e giudi ma Tito. sì, il. quale allora  gli era accanto. Erano tanto amici e familiari che si crede ancora  Tito, dormendo accanto a Britannico, aver gustato di quella be-  vanda, della quale morì Britannico, ed esserne stato lungainente     V     U VITA ED J FATTI     DI.     TITO VESPASIANO     UNDECIHO INPERATOR ROMANO     Dell'amore di tutti verso Tito.   Tito, il cui cogiiome fu quello del padre, cioè VespasianOj^fù  tanto ingegnosoL, tanto industrioso e favorito dalla fortunati^ !SuP6i  ben volere e rendersi ciàscìino obbligato, che meritamente fu  chiamato l'amore e lexielizie dell'umana generazione, E quello  che sopra a ogni , altra cosa è difficile, fu che egli ciò fece nello  imperio; conciossiacosaché quando egli era privato e poi che -l  padre pervenne al principato, non mancò chi lo avesse in pdio,  e fu ancora pubblicamente vituperato e biasimato. ^   Nascita ed educazione di Tito. ,   Nacque a' trenta di dicembre, il quale anno fu ricordevole per  la morte di Gaio Cahgola dentro a una cksa povera e vile, vicina  al Settizonio' ed in unacamera molto piccola ed oscura, la quale  ancora, oggi è in piede e si può vedere. Fu allevato in corte in  compagnia di Britannico e dette opera' a' medesimi studi e sotto  i medesimi precettori. Nel qual tempo dicono che Narciso.lib^rto  di Claudio , avendo fatto venire uno di questi che , a' |||^i. del  viso predicono il futuro, perchè e* guardasse il viao'éTBritan-  nico, colui afferaiò per cosa cejrta ' che Bri tàonico per modo  alcuno non era per esser imperadore, ma Tito' sì, il. quale allora  gli era accanto. Erano tanto amici e familiari che si crede ancora  Tito, dormendo accanto a Britannicp, aver gustato di quella be-  vanda, della quale mòri Britannico, ed esserne stato hìngamente     UNDECIHO IMPERATORE 369   còlòno6Uo d'una legione in Giudea^ dove e' prese ed espugnò  due città poteintissime, Tarichea e Gamala. Ed in un certo fatto   . d'arme avendo sentito mancarsi il cavallo sotto, saltò sopra un  altro il cui padrone e cavaliere, combattendo seco, era rimasto   * mfortò. ~."   - Espugnazione di Gerusalemme.   Avendo poi ottenuto Galba il governo della Repubblica, fu  maiìdato dal padre a rallegrarsene con esso seco, e per qualun-  que luogo egli passava era guardato ed ammirato; credendosi  - ognuno cbe e' fusse.stato chiamato dall' iinperadore per adottarlo  e farlo suo successore. Ma come egli intese le cose di nuovo es-  sere intorbidate ed ingarbugliate, se ne tornò indietro. Ed essendo  andato a visitare l'oracolo di Venere Pafia , gli domandò del  - viaggio che per raiare aveva a fare, quello che gli doveva inter-  veiiire ; dalla cui risposta fu ancora certificato di avere a otte-  nere rimperio, il che in breve tempo gli succedette, secondo il  SUO: desiderio. Ma lasciato in quel mezzo a ridurre la Giudea  sotto l'ubbidienza de' Romani, nell'ultimo assalto che si dette alla  città di Gierosolima, con dodici saette ch'egli tirò ammazzò dodici  di quelli che la difendevano, e la prese nel medesimo giorno che  la sua figliuola nacque; in si fatta allegrezza e favore de' suoi  soldati, che facendone festa e con lui rallegrandosene, lo saluta-  ' tono e c^iiamarono imperadore. Quindi volendosi partire lo ri-  tennonò -con preghiere^ e' coìi minaccio ancora, dicendo o che  rimanesse insieme con esso loro, o che essi parimente insieme  con lui si partirebbono^ Di che nacque sospezione che dal padre  . non fusse voluto ribellare e dell'Oi^iente insignorirsi. La quale  . dipoi si accrebbe, quando egli andò in Alessandria, perciocché  trovandosi nella città di Melfi e sacrificando un bue ad Api,  portò. il diadema secondo il costume e usanza antica di Quella  religione, né mancavano persone che malignamente interpre-  tassino le sue azioni. Per la qual cosa si affrettò di tornarsene in  Itaha , e montando sopra una nave prese porto a Reggio ; dipoi  sopra alla medesima nave pose in terra a Pozzuolo, -e di quivi  senza iinpedimento o carriaggi per tèrra se ne venne a Roma. E  rappresentatosi dinanzi al padre, che non lo aspettava, come ri-  spondendo alle false calunnie che gli erano date, disse : io.son  venuto, padre mio, io son venuto.     UNDECIMO IMl^ÉRATOHE 3T(   opportunità, e ricevere mance e premii. Appresso palesemente  ' era tenuto e da ognuno chiamato un altro Nerone. Ma questa   - mala fama e sinistra opinione che di lui s'aveva gli tornò in  ^ tiene e convertì in sue lodi grandissime ^ però die in lui ninno   de' predetti vizii si ritrovarono, anzi pel contrario grandissime   virtù. Primièramente i conviti che e' faceva avevano più del   '-piacevole e dello allegro, che f ussero di superchioabbondevoli.   - Gli amici che da lui furono eletti furono tali che i principi che  . seguitarono dopo di lui se ne contentarono, parendo loro d'iaverne   necessità, e che fussino a proposito per la Repubblica. Oltre a  ciò, subito che egli ebbe ottenuto il principato, contro a sua voglia   • licenziò Berenice, e mal contenta la mandò fuori di Róma , che  per sua donna si aveva eletta : è non solamente lasciò d'intratte-  nere e favorir più alcuni di quei suoi giovauetti, più graziosi o  belli come prima soleva, quantunque e' fussero molto bene ac-  costumati in danzare e recitare ; tanto che nelle commedie e feste  che si. facevano essi le comandavano ed ordinavano, ma ancora  là dov'era tutta Róma non si curò mai di rappresentarsi in pub*  blico per istare a vederli. Non tolse mai cosa alcuna a ninno  cittadino, e dalle cose altrui si astenne quanto per lo addietro  ninno avesse fatto giammai, tale che egli, non che altro, lasciò  éS riscuotere le solite collazioni e tributi. E con tutto questo  qusinto a magnificenza e liberalità non fu inferiore ad alcuno dei  suoi antecessori , perciocché avendo dedicato e consagrato lo   ^ anfiteatro, ed in poco tempo vicino a quello edificato le terptie,  fé' con bellissimo apparecchio e gran pompa e magnificenza fare  il giuoco de' gladiatori. Fece ancor fare nel suo antico luogo la  batta^ià navale, e quivi ancora fé' rappresentarsi in campo i  gladiatori, e fece in un sol giorno comparire al cospetto del po-  polo cinquemila fiere di ogni generazione.   ~ Dì una pietosissima natura.   ' ' jFu per natura molto amorevole e benigno, perciocché avendo  Tiberio ordinato che tutti i benefizi donati e concessi da^ prin-  cipi passati non s'intendessino altrimente rati è fermi da quegli  che succedevano nello imperio, se da essi medesimi non erano  ^le persone che ricevute gU avevano confermati ; egli fu il primo  che per un sol baindo confermò tutte quelle cose che' per l'ad-  dietro erano state concesse da' suoi antecessori, senza aspettarti .  d'esserne pregato o ricerco. E in qualunque altra cosa che gli  ^ra addomandata trattenne sempre ognuno e se lo mantenne af-     UNDECIMO IMPERATORE , 373   deirordine de' cavalieri, acciocché ad ogni cosa si desse con più  prestezza perfezione. Quanto alia pestilenza non lasciò indietro  rimedio alcuno né umano he divino per mitigarla e spegnerla,  avendo fatta provveder a tutti i rìmedi.cl^e trovare pongano, e così' .  fatto celebrare tutte le maniere de' sacrifizii, ch'in quel tempo  s'usavano in alcun luogo. Era la città ripièna, (i) per sì fatta av-  versità d'accusatori e di maligni, che per mal fare mettevani>  altri al punto, per aver durato assai il male, n'erano divenuti gli  uomini licenziosi. Egli adunque per rimediare a tali inconvenienti  comandò che que' tali fussero con flagelli e con pezzi di legno  battuti in piazza, ed ultimamente per vituperio gli fece passate  per mezzo l'anfiteatro, ed unu parte ne fé' vendere per ischiavi;  e parte ve ne fé' condurre e confinare ia isole asprissime e di- ' "  serte. Ed acciocché in perpetuo non avesse a seguir più simili  disordini, ordinò che le cause e liti che si trattavano s'avessero  a decidere per una legge sola : né più leggi che una si potesse  addurre sopra una causa. E che dello stato e de' beni di coloro  ch'erano morti, non si potessino fare inquisizioni, né altriittlnU  pretendervi sopra cosa alcuna o molestargli, se non per insino a -.  un certo numero d'anni che da lui furono determinati.   Sua clemenza e mansuetudine. -   Quando fu creato pontefice massimo, disse che accettava quo!  sacerdozio per essere costretto a conservare le sue mani pure ed  innocenti ; il che da lui fu osservato e mantenuto : perciocché  da quel tempo innanzi ninno fece ammazzare giammai, né mai  della morte di alcuno fu consapevole, ancora che e' non gli man-  casse cagione di vendicarsi: ma egli con giuramento affermò che  voleva più presto capitar male ed esser morto, che imbrattarsi  le mani del sangue d'alcuno. Onde essendo accusati due patrizi!  e fatti confessare, come e' cercavano di farsi capi di Roma, so-  lamente gli riprese e disse loro, che si togliessino da quella im*  presa, però che il principato si otteneva per fato e per destino:  e che da quello in fuora, avendo loro voglia o desiderio di più  una cosa che un'altra, liberamente l'addomandassero che era loro "  per concederla. E prestamente mandò uno alla madre d'uno di   (1) Questa narrazione della tristizia de' calunniatori non deve  esser collegata con la cosa della pestilenza, e le parole di Sve- .  tonio semplicemente tradotte sono tali. In oltre frale altre avver-  sità regnandovi ancor quella degli accusatori e maligni avvezzai  alle licenze de' teonpi passati, egli per rimediare, ^'*'»     374 TITO VESPASIANO   ossi ; percìoccliè essendo assai lontana di Roma ella fusge avvisata  ron prestezza, come il suo figliuolo era salvo. E non solo dette  loro cena familiarmente, ma nel dì seguente Se gli fece sedere a  canto al giuoco de' gladiatori ; e dette loro in manca considerare  e por nK'n?e Tarme, con le quali Combattevano essi gladiatori,  che a lui erano state porte. Dicesi ancora che e' fece la natività  tielTuno e doll'altro, e disse ad amendue come e' portavano pe-  ricolo: e che e* sarebbono morti ma da altri che da lui. Domiziano  suo fratello non restava di tendergli insidie, anzi palesemente  lercò di sollevare gli animi de' soldati centra a lui. Dipoi cer-  cando di fuggire non sofferse l'apimo a Tito' né di ucciderlo, né  di confìnarlo, nò ancora d'averlo in meno grado e riputazione;  ma ancora atfermò che dal primo giorno insino a quel tempo io  aveva avuto per compagno e successore nell'imperio, e cosi vo-  lava ch'egli perseverasse. Ed alcuna volta in segreto con preghiere   lagnine gli chiese di grazia, che finalmente gli piacesse una  volta di avere il medesimo animo verso di sé che egli aveva verso  di hii.   Come incontrasse la morte.   McMitro che egli in cotal guisa si governava, gli sopravvenne  la morte con maggior danno dello universale che suo. Essendosi  adunque dato fino alle feste e giuochi sopraddetti, all'ultimo dei  quali egli in presenza del popolo molto dirottamente aveva pianto,  se no andò ne' Sabini alquanto maninconioso, perciocché nel  sacrificare se gli era fuggita la vittima. E perciocché essendo   1 aere sereno e chiaro si era sentito tonare; ed alia prima posata  che e' fece fu assalito dalla febbre. E fattosi levar di quivi in  lettiga, si dice che egli alzò la coperta e guardò verso il cielo, e  molto si dolse e rammaricò che la vita gli fosse tolta, non avendo  lui meritato ; perciocché in tutta la vita sua ninna cosa si ritro-  vava aver fatta della quale si avesse a pentire, salvo che una  80la , e quale ella si fusse, nò esso allora la manifestò, né alcuno  fu mai che potesse immaginarsela. Pensano alcuni che venne  a ricordarsi d'aver tenuto pratica meno che onesta con la moglie  del suofralello. Ma Domizìa con giuramenti grandissimi affermava,  che non aveva avuto affare gianamai cosa alcuna con esso Tei ; o  che quando e' fusse stato non l'avrebbe negato giammai, anzi  se lo avrebbe* *pu»«»*' • onore, e se ne sarebbe vantata e glo-  liata come e' '^"'•- ""nfarnen*** Ara pnii»!- ^i fjir^ ÌQ tutte le     VNDEGinO fMPERATO||E   Luogo e tempo della sua morte.     m     Morì di quarantadue anni, nell^a villa medesipia che il. padre,  essendo stato nello imperio due anni, due mesi e venti, di. U che  subito che fu appalesato, se ne fece in- pubblico querela e pianti  grandissimi, non altrimenti che se a ciascuno fosse morto qual-  cuno de' suoi più cari amici e parenti di casa. Il senato, non  aspettando (Tesser chiamato per bando, corse^ spacciatamente aHa.,  curia, trovandosi le ()orte ancora serrate; e quelle avendo apecte> .  entrarono dentro e ringraziarono, e lodarono il morto più a^sai  che in presenza sua, quando èra vivo , avessino fatto giaminai.^     I i che o' fu morto, niun'altra dimostrazione fece in suo onore,  se non di consugrarlo ; anzi molte volte nelle orazioni -che esso  UìCtì e ne' bandi che e' mandava si ingegno malignamente di bia-  sinìarlo e di acquistargli carico.   Cose da luì fatte nel principio del suo imperio.   Nel principio del suo imperio era solito ogni giohio di starsi  un'ora appartato e solo in un luogo segreto, né ad altro atten-  deva che a pigliare mosche e dipoi inGlzarle con uno stiletto bene  aguzzo che egli aveva: talché domandando uno se niuno era  «Itaitio con Domiziano , gli fu acconciamente risposto da Yibio  C'.i'ispo: « Nò pure una mosca. » Appresso ripudiò e licenziò Do-  nii/ia sua moglie come guasta ed innamorata di Paride istrione,  (iella quale nel secondo suo consolato aveva avuto un figliuolo, e  Tanno appresso l'aveva salutata come Augusta. Ma dipoi in breve  spazio di temiM) non potendo più sopportare di stare da lei lon-  tano , mostrando che il popolo con grande istanza ne lo pre-  gasse, se la riprese e ricondusse a casa. Quanto al governo della  repubblica, andò alcun tempo variando , mescolando i vizii cjon  le virtù; tanto che in processo di tempo converti ancora le virtù  in vizii. E per quanto si può conietturare e comprendere di lui,  egli ne' bisogni e necessità fu rapace, e ne' sospetti e nelle paure  crudele, trapassando i termini della sua natura.   Spettacoli da lui fatti rappresentare e della sua liberalità.   Usò molto spesso di far celebrare giuochi e feste molto son-  tuosamente e con gran magnificenza non solo nell'anfiteatro, ma  ancora nel circo Massimo, dove oltre a' bei corsi delle carrette a  due e ({uattro cavalli , vi fece ancora combattere a piedi ed a  cavallo , e nello anfiteatro fece ancor fare una battaglia navale.  H fé' faro il ^uoco dò' gladiatori di notte a lume di fiaccole e di  torce, né solamente fé' combattere agli uomini, ma ancora allo  donno. Oltre a questo rimesse in usanza le feste che facevano  celebrare anticamente i questori , cioè un giuoco di gladiatori  che si era tralasciato, e volle sempre esservi presente. E poi che   gladiatori de' questori avevano finito di combattere, conduceva     DUODECIMO IMPERATÓRE 379   al popolo un paio de' suoi a scelta ed elezióne di ()uello, i quali  ultiraamenlo comparivano in campo Vestiti riccamente ed. al co-  stume de' suoi cortigiani. É mentre che e' duravano a stare alle  mani, si teneva dinanzi a' piedi' un fanciullino vestito 'di grana,  con un capo piccolo a maraviglia, col quale egli ragionava assai,  favoleggiando, ed alcuna volta in sul sodo. Fu certamente ujia  volta udito che esso gli domandò se a lui pareva di darò a Mezio  Rufo il governo dell'Egitto, avendosi di prossimo a riordinare la.  dettg provincia. Fece ancora.fare b'attagh'e navali, quasi a modo  di una grossa armata e bene ordinata di mare, avendo fatto ca-  vare un lago in cerchio vicino al Tèvere , e piovendo un'acqua  grossissima gli stette a vederexombattere. Fece ancor celebrare  ì giuochi secolari che ogni cento anni erano soliti celebrarsi, fe-  condo il conto degli anni non da quelli che Claudio aveva fatto  celebrare , ma da quelli che già anticamente erano stati cele-  brati da Augusto. Tra le quali feste nel giorno de' giuochi cir-  censi , acciocché in quel' di si desse, come e' si aveva a dare,  cento volte le mosse alle carrette, ordinò che dove elle avevano  a girar sette volte intorno alla meta, solamente cinque volte in-  torno a quella si avvolgessino. Ordinò, in onore di Giove Capi-  tolino, che ogni cinque anni si celebrasse un gareggiamento di  musici , uno di cavalli ed uno di lottatori e corridori' a piedi  ignudi ; dove si dava la corona ed il premio alquanto a maggior  numero che oggi non si fa. Gareggiavasi ancora a chi meglio re-  citava un'orazione in prosa, j:osì in greco come, in latino. Oltre  a questo vi erano introdotti non solamente quelli che sonavano  e cantavano in su la lira, ma ancor quelli che lasonavan a ballo  tondo a danza. Sedè ancor come giudice al corso degli uomini,  ed ancor fece correre alle fanciulle non maritate, avendo in quel  dì lo pianelle alla foggia de' Greci ed una toga di porpora indosso,  ed in testa una corona d'oro con l'effigie di Giove, di Giunone e  di Minerva al costume de' Germani, essendogli a sedere a canto  un sacerdote di Giove, ed avendo ancora intorno i sacerdoti della  gènte de' Flavi!, vestiti come lui, salvo che nelle corone di quelli  era la immagine d'esso Domiziano. Celebrava ogni anno nel  monte Albano la festività di -Minerva , chiamata Quinquatria ,  alla quale festività aveva ordinato un collegio di sacerdoti e traeva  di loro a sorte un certo numero, i quali avevano a esser procu-  ratori di tale uffizio e sacerdozio , ed essi avevano cura di far  caccio magnifiche ed altre feste e giuochi, con rappresentazioni  di commedie e di tragedie. Ed oltre all'avere festeggijato il popolo  co' sopraddetti gareggiamenti degli oratori e de' poeti , gli diede     SM MMBIANO GBIMANIGO   >.nofa tn^ volte ia mancia, con dar per ciascnno e per ciascuna  ;.-.i :: vjlorv ili scudi sette in circa. E nel giuoco de* gladiatori  :Vvv ÀDCvva uno splendidissimo convito. E nel di che si celebrò  .1 rV^^a Seuimonziale la qual si faceva per memoria del settimo  ;v.*.^i:e che en stato aggiunto alla città di Roma) distribuì tra i  >ecj;ori e tra' cavalieri un paniere grande per ciascuno di pane  c\i alsre cvx»e da mangiare, e tra' plebei certe sportellelte pic-  .-"^e : e^ o^ii fu il primo a cominciare a mangiare. È nel giorno  >uiK-het(a òeiromine de' cavalieri e de' senatori cinquanta po-  lirle, le quali es^ avevano a rappresentare ; ed era lor pagato  ivr ciascuna di dette (H)lizze una certa somma e quantità di da-   Cdiùzii pubblici da lui fabbricati.   K)fev*e molti grandi e belli ediGzii ch'erano stati guasti q con-  sumati dal fuoco. tra\]uali fu il Campidoglio ch'era arso ; ma a  tutti (H>se il suo nome, senza fare menzione o ricordanza alcuna  di quei primi che gli avevano edificati. Edificò ancora di nuQvo  nel iampidoglio un tempio in onore di Giove Custode. Fece an-  cora egli farla piazza la quale oggi è chiamata la piazza di Nen^a,  e cosi il tempio della gente Flavia. Ed oltre a questo fece acco-  modare un luogo dove si esercii assino i lottatori, saltatori e cor-  ridori , ed un'altro pe' cantori di musica. Fece accomodare un  luogo per le battaglie navali ; delle pietre del qual luogo è stato  di poi riedificato e racconcio il Circo Massimo ; i fianchi del  quale da ogni banda erano abbruciati.   Spedizioni e guerre da lui intraprese.   Fece alcune imprese, parte a volontà e parto per necessità : a  volontà contra a' Catti, per necessità centra a' Sarmali, dove fu  morta una legione di soldati insieme col capitano e due contra  a'Dacìi, nella prima delle quali restò moito Oppio Sabino uomo  consolare, e nella seconda Cornelio Fusco, prefetto e capitano  de' soldati pretoriani, il quale da lui ora stato fatto capitano ge-  nerale di quella impresa. De' Catti sopraddetti trionfò, ed ancora  de'Dacii, dopo molte e diverse battaglie: quanto a' Sarmati, solo  per la vittoria ricevuta, presentò una corona d'alloro a Giove     j>troDficiiio dipisratorìk 384   Capitolino. Terminò la guerra civile cha gli mosse conlra Lucio  Antonio, il quale era al governo della Germania superiore €on  felicità maravigliosa ; nò egli si ritrovò, in p^sona a tale espe-  diziono ; e la cagione perchè egli spedì la predetta guerra così  felicemente, fu perchè il Reno traboccò ed allagò le pianure in-  torno, appunto nel venire al fatto d'arme, onde le genti che ve-  nivano in soccorso di Lucio Antonio, non poterono passare. Bella  quale vittoria fu prima avvisato da certi presagi e segni che dalli  messi; perciocché nel giorno medesimo che quella giornata si  fece, volò un'aquila sopra alla sua statua in Roma, ed abbrac-  ciatola e sparnazzando l'ale fece grandissimo strepito. E poco  appresso uscì su un remore per tutto che Antonio era stalo uc-  ciso e tanto si affermava per cosa certa, che molti vi furono che  dissono d'aver veduto portarne la sua testa.   Di alcune sue leggi ed ordinamenti.   Rinovò di molte usanze antiche ad utilità pubblica e tolse via  il dare la parte nelle sporte; è rimesse in consuetudine. (1) i ti-  nelli. Aggiunse alle prime quattro livree de' guidatori e corridori  delle carrette, due altre, una vestita d'oro e l'altra di porpora.  Vietò agli istrioni esercitarsi nella scena, facendo loro abilità di  potere esercitarsi in casa. Proibì il castrare i maschi; e fece che  i rivenditori di essi fanciulli castrati non potèssino vendergli, se  non un prezzo da lui determinato. Essendo stato uìi anno gran-  dissima abbondanza di vino e molta carestia di grano, stimando  ciò avvenire, perchè mettendosi troppo diligenza nelle vigne, si  venissero a straccurare le sementi, mandò un bando per tutta  Italia che niun ricoricasse o rinnovellasse vitr; e che le vigne  per tutto il distretto de' Romani fusscra tagliate e solo al più se  ne lasciasse la metà : ma egli lasciò questa impresa imperfetta".  Diede alcuni uffizii de' più importanti a' suoi libertini e soldati.  Non volle che i. bastioni e ripari dove alloggiavano gli eserciti  romani, si facessero più doppii in alcun luogo. Vietò ancora, che  ninno soldato potesse dare in diposito e in serbanza a quello che  portava la insegna più di venticinque scudi, perchè avendo Lucio  Antonio sopraddetto (essendo alle stanze con due eserciti) vo-  luto fare innovazione, mostrò di fondarsi in parte sopra i danari  ch'orano depositati appresso delle insegne. Dette, oltre a tre   (1) I tinelli , cioè voleva che si dessero a' clienti le cene , non  le sportule.     382 DOMIZIANO GEEMANIGO   paghe ordinarie che avevano i soldati, ancora la quarCa di tre  Bcudi per ciascuno.   «   Sua diligenza ed attenzione nel render ragione.   Fu molto industrioso e diligente in tener ragione ; ed il più  dello volte nel fòro sopra alla residenza, annullò le. sentenze che  avevano date i cento giudici, ch'erano state date per ambizione.  Fece intendere ai recuperatori ch'erano sopra al rendere a cia-  scuno il grado e la dignità che ragionevolmente se gli aspettava,  che non sempre dessino fede alle belle od accomodate parole di  quegli che andavano a raccomandarsi loro. I giudici, che per da-  nari fussero stati corrotti, furono da lui ignominiosamente notati,  ciascuno secondo che e' meritava, insieme con quegli che si erano  ritrovati in (1) quo' ricorsi e consigli. Ordinò a un tribuno della  plebe che accusasse uno edile per avere atteso a certi guadagni  vili e non leciti ; e che addimandasse al senato che ordinasse  una mano di giudici per esaminarlo e condannarlo. Pose ancora  tanta cura in correggere e raffrenare quegli ch'erano di magi-  strato in Roma e quegli ancora die erano governatori delle Pro-  vincie, cl^ mai per alcuil tempo furono nò i più costumati né i  più giusti di quegli: la maggior parte de' quali, dopo la morte  sua, abbiamo veduti essere stati accusati e condannati per ogni  aorte di scelleratezza. Tolse ancora a correggere i costumi e  primieramente standosi nel teatro a vedere le feste i popolani e  cavalieri mescolati insieme, senza fare distinzione di grado o  qualità, levò via quella usanza licenziosa. Fece spegnere e tor  via quante cose scritte si ritrovavano, mandate fuora nello uni-  versale che biasimassero dicesslnomale, essendovi notati dentro  i principali uomini e donne di Roma; il che egli fece con danno  e disonore di coloro che ne erano stati gl'inventori. Privò del-  l'ordine de' senatori un cittadino ch'era stato questore, per di-  lettarsi de' balli e di recitare sopra ai palchetti.. Vietò alle donne  di mala fama lo andare in lettiga ; e tolse loro' l'autorità di po-  tere accettare lasciti o eredità di alcuna sorte. Fece levare del  numero de' giudici e cancellare il nome suo di su la tavoletta  dove erano notati, un cavalier romano, perchè avendo accusata  la moglie per adultera e licenziatola, se l'aveva dipoi ripresa.  Condannò alcuni cavalieri e senatori per aver contraffatto alla (ì)   il) Ricordi, lo stesso che giudizii d'appellazione.  (-2) La legge Scatinia castiga i sodomiti.     DUODECIMO IMPERATOKE 383   legge Scatinia. Pani ancor molto severamente le vergini vestali  cli'e' trovò in adulterio; la qualcosa dai padre e dal fratello suo  era stata negletta : e le prime che e' trovò in peccato, le fece sen-  tenziare a morte ; le seconde le pimi secondo che costumavano  di punirle gli antichi; perchè avendo conceduto a due sorelle  degli Occellati ed a Varonilla,-che si elegessino una mòrte a loro  arbitrio e confinato quegli cho le avevano corrotte, trovato ap-  presso Cornelia, che era la priora, in peccato, la assolvè. Ap-  presso essendovi ricaduta un'altra volta, la fece esaminare e  confessare, e dipoi comandò che la fusse sotterrata viva, come  s'usava anticamente, e che quegli che avevano avuto/a fare con  lei, fussero battuti con le verghe ed uccisi nel Comizio (cioè dove  si raunava il popolo), salvo che un cittadino pretorio, per non  essere ben certo se egli aveva errato, avendo confessato per via  di tormenti e non raffermando, né dicendo nello esaminarsi l'una  volfa quello che l'altra, fu nondimeiio da lui confinato. Ed ac-  ciocché non si offendesse o contraffacesse allo religioni di alcuno  Iddio, senza punizione di quegli che erravano, avendo un liberto  fatta la sepoltura a un suo figliuolo delle pietre ch'erano dise-  gnate pel tempio di Giove Capitolino, h) fece rovinare a' soldati,  e gittare in mare le ossa e le reliquie che vi erano dentro.   Sua clemenza e liberalità nel principio del suo governo.   Quando era ancora giovanetto, aveva tanto in odio ogni ma-  niera di uccisione, che ritrovandosi ancora il padre lontano di  Roma, ricordatosi di quel verso di Virgilio che dice.: Ittipia quam  csBsis gens est epulata juvenciSy cioè: Che Tempia gente costu-  masse di mangiare carne di bu», disegnò di mandare un bando,  che ne'sacrifìzii non si potessino uccidere buoi. Mentre che ei  visse privatamente, e gran tempo poi che e' fu principe-, non  dette mai un -miùimo sospetto di sé, né di avaro, né di troppo  cupido e voglioso ; anzi per contrario dette molte volte saggio  di liberale e di essere molto astinente : conciossiacosaché a tutti  i suoi familiari ed ansici facesse tutto il dì grandissimi doni. La  principai cosa, e della quale egli più strettamente gli ammoDiva,  era che e' non facessino cosa alcuna vile o vituperosa. Non volle  accettare l'eredità, che gli erano lasciato da coloro, i quali aves-  sino avuti figliuoli. Annullò ancora un lascito fatto da Ruscio  Cepione nel suo testamento ; il quale era, che il suo erede ogni  anno, quando i senatori si raunavano nella curia, avesse a pagare  a loro per ciascuno una certa, somma di danari. Liberò dalla pena     384 l>OMfZUNO GKMiAinOd   tutti gli accusati, i quali cinque anni fusséro stati con le cause  sospese, e agli accusatori vietò il potergli richiamare in giudizio,  se non in capo di un anno e con questa condizione, che non ot-  tenendo i detti accusatori di fargli condannare, s'intendessino  essere sbanditi. Perdonò e rimesse la pena agli scrivani de' que-  stori, di quanto avevano errato nel tempo addietro ; i quali contro  alla disposizione e comandamento della legge Clodia, s'erano dati  al negoziare, per esser stata cosi un tempo quella consuetudine.  Certi resticciuoli di terreni, i quali nella divisione fatta tra i  soldati veterani erano rimasti, dove un pèzzo e dove un altro,  concedette a coloro che un tempo n'erano stati posseditori, come  se per uso se gli fussero appropriali e fatti loro. Punì asprissi-  mamente i calunniatori ed accusatori, le accuse e calunnie dei  quali si convertivano in utilità del fìsco ; e così venne a porre  freno alla licenza e malignità di questi tali. E dice vasi volgar-  mente per ognuno questo suo detto, cioè : che il principe che  non castiga le spie e gli accusatori, dà loro animo e gl'incita a  far peggio.   Sua crudeltà contro molti.   Ma non molto tempo perseverò nello essere dementa e nello  astenersi ; bene è \'^ro che più per tempo cominciò a efeér cru-  dele che rapace. E primieramente quanto alla crudeltà fece am-  mazzare un discepolo di Paride pantomimo, il quale era ancora  fanciulletto, ed aveva in quel tempo una grande infermità , solo  perchè in quell'arte del contraffare persone e repitare e di fat-  tezze ancora era molto simile al suo maestro. Similmente fece  ammazzare Ermogene Tarsense , perchè , scrivendo la istoria ,  aveva in un certo luogo parlato per figura e doppiamente ; e fece  crocifìggere coloro che avevano copiata la predetta istoria. Un  padre di famiglia stando a vedere il giuoco de' gladiatori , per  aver detto che il gladiatore chiamato Trace, per aver l'arme alla  foggia de' Traci, era pari al suo avversario che si chiamava Mir-'  milione, ma che egli non era già pari al Munerario, cioè a Do-  Tiiziano che faceva celebrare que' giuochi, lo fece trar fuora di  luel luogo e condurre nel teatro e quivi lo dette in preda ai  ani che lo mangiassino, con lettere sopra che dicevano un Par-  iiulario (cioè un gladiatore e persona vile), per aver parlato em-  )iamente. Fece ammazzare niolti senatori, tra' quah ve ne furono  ^'cuni consolari, e Civi'**» '^Areale tra gli altri, mentre era procon-     DUODECIMO IMP£RAT01ÌE 3BS   esuli, quasi che gli andassero macchinando cose nuove. Tutti gK  ' altri fece ammazzare per leggerissime cagioni, come Elio Lamia  per certi suoi modi di parlare piacevoli che nel vero avevano del  sospetto, ma erano suoi motteggi familiari e da lui usati per  ordinario^ né offendevano alcuno ; cioè che avendogli Domiziano  tolto la moglie e lodando là voce di esso Elio, gli aveva risposto .  Elio: Oimè, io taccio (1). E perchè ancora aveva risposto a Tito  che lo confortava pigliarne un'altra , a questo modo in greco :  È tu ancora ne vorresti tórre una? Fece ammazzare Salvie Coc-  eeano per aver celebrato il giorno del nascimento di Ottone im^-  peradoresuo zio; e Mezio Pompt)siano, perchè universalmente  si diceva che egli aveva natività dà essere imperatore, e perchè  egli aveva fatto descrivere in carta pecora il cir^^uito della terrà  ed i parlamenti de' re e de' capitani, secondo che da Tito Livio  . èrano stati distesi ed andavali mostrando; e perchè a un suo servi-  dore^ schiavo aveva posto nome Magone ed all'altro Annibale.  Fece ammazzare SalustioLucullo legato ih Inghilterra, per aver  fatto fare certelancie a nuqva foggia e chiamatole Lucullee: Giu-  nio Rustico, perchè aveva composto e mandato fuora le laudi, di  Peto Trasea e di Elvidio Prisco, chiamandoli uomini santissimi.  E sotto -guósta occasione scacciò di Roma e d'ItaliartutU i filo-  sofi. Elvidio (2) il figliuolo, perchè in un certo canto nell'ultimo  di una fàlxpresentazione sotto la persona di Paride e di Enone  pareva che avesse tassato e biasimato il divorzio che esso Domi-  -ziano aveva fatto con la mog'ie ; e Flavio Sabino , uno de' suoi  fratelli cugini da lato di padre, perchè il trombetto nel giorno  \ che si avevano a fare i consoli, essendo disegnato consolo il  detto Flavio, lo aveva nominato al popolo imperatore e non con-  solo per errore. Ma dopo la vittoria della guerra civile si mostrò  ancora più crudele. Ed una gran parte di quegli della parte av-  versa che , come quegli che avevano errato , si stavano ancora  ascosti e fuggiaschi , fece pigliare e tormentare con nuova ma- .  niera di tormenti, cacciando loro il fuoco nelle parti oscene; e  ad alcuni di loro tagliò lo mani. E solamente (come è manifesto)-  perdonò a due di loro de' più conosciuti , cioè a un tribuno del:  l'ordine de' senatori e a un centurione, i quali per mostrar me-  glio di non avere errato, provarono dinanzi a' giudici come loro  erano persone disoneste e vituperose, e che per tal cagione non   (1) Intendeva Elio con queste parole di dire : E tu ancora me-  ne vorresti torre una, come ha fatto Domiziano?   (2) Vi si deve sottintendere ; uccise Elvidio il figliuolo.     3%6 DOMIZIANO GERMANICa   )>oU'vano esser stali di alcuna slima, nò appresso del capitano,  n(» appresso de sf>l(iati.   Ancora della di lui crudeltà e fierezza.   Krn la sua crudeltà non solamente $;raiKJe , ma ancora astuU  e non aspettala. Un computista e ragioniere, il giorno avanti che  lo facesse croci ri:j;>j:ore, lochiamo in camera e lo costrinse a seder-  u;li accanto in sul letto, tale che e' si partì da lui tutto allegro e  senza sospetto alcuno ; ed oltre a ciò gli mandò ancora a presen-  tare alcune cose della sua cena. Clemente Aretino, uomo conso-  lare, uno de' suoi intrinseci e mannerini da lui condannato e  sentenziato a morte, lo tenne sempre in quel medesimo grado e  mag>>;iore ancora appresso di sé che prima lo aveva tenuto; e  comparito , mentre che e' si andavano a spasso , quello che lo  aveva accusato, gli disse; Vuoi tu che noi udiamo domani ciò  (•h(^ vuol diro questo sciagurato di questo schiavo? E per tentare  izli uomini nella pazienza con più dispregio allora che e' voleva  })iù crudelmente punire alcuno , usava sempre nel dare la sen-  tenza qualche preambolo di clemenza e di compassione ; tale che  il più certo segno che il fme del suo parla re. avesse a esser cru-  dele, era la dolcezza e mansuetudine che nel principio di quello  usava. Avevasi fiitto comparire davanti e dinanzi a' sanatori alcuni  ch'erano stati accusati di aver offeso la mpj»no jl' ''•' •' - - . •• --. -* '^pc»n in Panr>bÌO dl:)lla     DUODECIMO mPE^TORE 39f,   quinta ; onde tutto allegro, come s'egli avesse passato il peri-  colo, sollecitò di andare a curare il corpo. Ma Partenio suo cu-  biculario lo fece tornare indietro, con diro che uno gli portava   * un non so che di grande importanza, e da non mettere tempo in  mezzo; e cosi mandato via ognuno, si ridusse in camera solo e  fu ammazzato.   Delle insidie tesegli e come venisse morto.   Del modo , nel quale ei fu morto e della maniera del tradi-  mento si sono divulgate le cose infrascritte. Stando i congiurati  iù dubbio^ quando e dove e' dovessino assalirlo, se mentre che  ^li si lavava o mentre e*^ cenava, Stefano procuratore di Domi-  cilia , e che allora era stato accusato d'avere intercetto certi  danari, dette jl segno ed offerse l'opera sua cosi. Avendosi fa-  sciato il braccio sinistro jeon certe lane e pezzo, come se fusse  siato infermo per alquanti giorni, acciocché di lui non si avesse  a sospettare, usò questa astuzia, che e' disse che voleva mani-   * festare a Domiziano la congiura che se gli era fatta contro ; e  perciò messo dentro, mentre che e' leggeva la scritta de' congiu-  rati, che esso gli aveva data nelle mani e stava così attonito, gli  passò d'un colpo l'anguinaia. Domiziano sentendoci ferito, cercò  di fare resistenza ; in quel mentre lo assaltarono Golodio Gorni-  culario, e Massimo Liberto di Partenio, o Saturio Decurione dei  ^cubicularii, ed alcuni altri de' suoi gladiatori, e con sette ferite  lo ammazzarono. Il suo paggio, il quale era sopra il fuoco della  camera, secondo la consuetudine, si ritrovò presente alla oc-  casione, e raccontava questo di più ; essergli stato comandato  .da Domiziano subito alla prima ferita che gli porgesse il pu-   .gnalè, ch'egli aveva sotto '1 capezzale e che chiamasse i mini-  stri, e che cercando trovò sotto il capezzale solamente la manica  delpugnale, e di più serrato ogni cosa e chiuso; e che egli in  quel mezzo si era abbracciato con Stefano e lo aveva tratto in  terra, e gran pezzo con lui rivoltolatosi, ingegnandosi ora di ca-  vargli il ferro per forza di mano, ora, quantunque colle dita la-  cerate, di cavargli gli occhi. Fu ucciso a' diciassette di settem-  bre, di quarantacinque anni, e nel quindicesimo anno del suo  imperio. Il suo cadavere fu portato dai becchini dentro a una  bara ordinaria e plebea, e Fillide sua nutrice celebrò le sue ese-  quie a una sua possessione che ella^eveva vicino alla città, lungo  la via Latina. E portò ascosamente le ossa e ceneri di quello nel  tempio della gente Flavia, e le mescolò con le ceneri di Giulia  figliuola di Tito, che pur da lei era stata nutrita ed allevata.     DUODECIMO IMPERATORE 393   • Della sua facondia e di alcnni suol detti notabili. -   • Poi che e' fu fatto principe, non dette molto opera* agli stu-  £1 né alle arti Kberali, ancora che con somma diligenza procu-  rirsse che e' fussero rifatte alcune librerie che erano arse ; facendo  ?enìr libri di ogni parte del mondo, ed avendo mandato in Àles-  làndria alcuni che gli copiassero ed emendassero. Non dette mai  )pera alla istoria né alla poesia né pure a far la stile in prosa  lecpssario per iscrivere; e dai comentariì e fatti di Tiberio Ce-  sare in fuora, niuna altra cosà leggeva. Le epistole^ orazioni e  landi gli faceva dettare a suoi ministri. Tuttavia fu egli nel par-  are elegante e leggiadro; e gli usciva alcuna volta di bocca cose  >eUe e notabili. Disse una volta: Io vorrrei esser bello come a  Hezip par di essere; e di uno che aveva il «apo parte canuto e  [Mirte rosso disse, che era neve sparsa di vino. Diceva la con-  iizióne e lo stato de' principi esser cosa misera sopra ogni altra ;  1^ quali non si crede mai delle congiure che se gli scuoprono  ìk non poi che son morti.   Suo diletto nel giuoco, dei conviti e di altre sue opere.   Avanzandogli tempo se lo passava ghipcando. Usava ancora  ii giuocare nei giorni di lavoro e la mattina di buon'ora hinànzi  3^orno. Bagnavasi e lavavasi di giorno, faceva buon pasto a de-  sinare, e la sera a cena mangiava solo una mela maziana ed un  [)Ochetto di bevanda in una ampolla. Piaceva molto spesso con-  citi e molto abbondanti ; ma era presto e quasi furioso in le-  varsi da tavola ; e sempre gli terminava avanti che il sole anf-  iasse sotto, né di poi mangiava altrimeDti. E nella ora delfo  andare a dormire non faceva altro se non che solo e secreta-  mente si passeggiava.   Della sua libidine e lussuria.   Fu molto libidinoso, e chiamava lo u^sare il coito spesso Cle-  lopale (che vuol dire esercizio e palestra di letto). Dicevasi per  voce e fama pubblica, che egli stesso con le sue mani la pelava  alle sue concubine e si bagnava tra le pubbliche meretrici. Né  lyendo per modo alcuno voluto accettare per moglie la figliuola  ii Tito suo fratello , quantunque ella fusse vergine , per essere  innamorato di Domizia ed aver presa lei per moghe , ivi a non  inolto tempo, essendo maritata ad un altro, spontaneamente la   26 SvETONio. ^iU àtyCwiiri^     r r     . >     TAVOLA DEI CAPITOLI     CONTENUTI NELLE VITE     DEI DODICI CESARI     Gu Editori . . . , • po^- 5   Vita di Gaio Svetonio TranquiUo . . . » "?   GIULIO CESARE I IMPERATORE.   Cesare dittatore . . . . .'-.-. » 9   Della prima volta che militò . . , » 10   Va la seconda volta a militare , ^ dd di lui ritorno a Roina . » voi   L'accusa di Dokbella . . . . • . » «Vi   fl Tribunato de' soldati, e altre. cose da lui intraprese . . » il   La Questura, e i suoi fatti . . '. ; , . » m   Lamento di Cesare alla statua di Alessandro Magno, e il suo- sogno .   del giacimento colla madre . . .... » . » 12   Le cose da lui fatte nella città . . . . .. » - m   Venuto Hj sospezione di aver congiurato con Crasso ,. Siila , e An-  tonio ". . ■ '^ » ivi   L'Edilità, e le  .104   Onore conferitogli dal Senato e dal Popolo Romano ... » ivi..  Onori fatti al suo medico per averlo risanato, e di quelli a lui confe- '   riti spezialmente da alcun cittaditao o città . » , «.105   Altro onore conferitogli • . . . ' . ^ ivi     p^'    106    *    ivi    »    :m    »    107        m    »    109    »    HO    M    111    M    ivi     400 CBSARB AUGUSTO   Quel ch'egli fosse internamente e fieR& còse- domestiche.   Delle sue spose e mogli . . .   Della figlia e dei matrimonii di quella . ^   De' suoi nipoti per via di Giulia , '. '. .   Malavventurato nella sua discendenza.   Difficile nel far le amicizie e costante nd conserv^arie   Suo rigore e clemenza verso i liberti . . ' ,   Vituperii della sua prima gioventù^ . .   Gli adulterìi e libidini dello stesso   Della lautezza d'una cena , nella quale i convitati sederono vestiti ^   foggia di dei . ,. . . . • . • ' .. • ^  Taccia datagli di troppo piacergli le ricche masserizia e di dilettarsi   troppo del giuoco . . »   Sua continenza ed i luoghi dove 'aveva case .- . . »   Della sua frugalità e della modestia neHe suppellettili e nelle   vesti . . . . . . . . . . »   I suoi conviti e cene   Come celebrasse i giorni festivi e solenni   De' suoi cibi e dell'ora di prenderli   Sua continenza e sobrietà nel bere   Ciò che operasse dopo il cibo .   Statura del corpo e de' suoi membri .   Tacche che aveva su per il corpo e di alcuni   gagliardi . . .  Delle sue malattie .  Governo del suo corpo  Suoi esercizii . . .  Sua eloquenza ed arte nel dire .  I Kbri ed altre operette dà lui pubblicate  Del suo stile e maniera di parlare  Alcuni detti da lui'più frequentati  Ortografia, e di una sua maniera pròpria di scrivere  Sua cognizione delle lettere greche , e sua pazienza- nell'ascoltar le .   coftiposizioni altrui  Sua paura de' tuoni . .  Faceva molto caso de' sogni .  Credenza che prestava agli anspizii .  Venerava le. cerimonie fincora peregrine  Sedici portenti, dalli quali potè pr     suoi membri non     troppo     >AO "xf vrftì     mA     ''^^     112   113  114   115   ivi  116   ivi  117   118   ivi   ÌÌ9   ivi   1*1  tpt   1«3   ivi  \U   ivi  1^5  126   ivi  129     TIBBaiO CBSARB HBhOHE 101   Prodigii, per i quali potè conoscere qual s«ret)be resito delle gaerrt   da lui intraprese . . . '. . pag. IW   Pronostici della di lui morte ....... 19Ò   Le cause del suo male, e come se la passasse nel tempo della sua   malattia » 181   La sua morte, e sua presenza di spirito . . » 132   Il giorno della di lui morte, Tetà, i fìmeralì . . . . .» 138  II suo testamento ed ultima volontà » 184'   TIBERIO CESARE NERONE HI IMPERATORE.     »     Tiberio Cesare   Della gente de* Claudii, con alcune memorie di quella casa   Da quale stirpe traesse Tiberio la sua origine   Del padre di Tiberio   11 luogo e tempo della nascita di Tiberio   Infanzia e puerizia di Tiberio .   Dell*adolescenza e delle di lui mogli .   VtOzu civili da hii amministrati.   La di lui milizia e le guerre da lui fatte, e gli onori connegiiiti   Suo ritiro e allontanamento dalla città, e le cause   Il suo soggiorno a Rodi e ciò che ivi facesse   Altri di lui fatti a Rodi ....   Della cosa stessa e del suo ritorno .   Predizioni, che gli annunziarono Tlmperìo .   Adottazione di lui fatta da Augusto   La Dalmazia da lui soggiogata.   Onori decretatigli dal Senato   Sue imprese nella Germania   Sua disciplina nelle cose militari   Trionfò della Dalmazia vinta, ed altre cose da lui ftitte. »   Sue imprese ed ii^ qual concetto fosse Tiberio appresso Angusto,   e del di lui principato »   Uccisione del giovane Agrippa ed altre di lui operaàoni. . »   Suoi gemiti sulla lettura fatta in Senato del testamento d^Augusto »  Quanto si facesse pregare prima di accoasentire di ricever Tlmperìo »  Le cagioni per le quaU si era tnostrtto dUBcile ad assmnere Hm-   perio , ed altri di lui (atti ... »   Ottimo suo introito al prindpato . . '. »   Sprezzò e vietò le adulazioni . .. ' . . . \ »   *2«     136   ivi  138   ivi  139  140   ivi  141  1^  148   kfi  145   ivi  146  447  148   ivi  149   ivi  150   ivi  152   ivi  153   ivi  156     402 TIBERIO GBSARB NBAOIfE   Sua tolleranza nel comportare le ingiurie e maldicenze . . pag. 156   Suo rispetto e stima del Senato .- » tvt   Restituito Tantico potere al Senato . . » 157   Sua pazienza con quelli che combattevano le sue opinioni » ivi   Alcuni suoi modi civili e cittadineschi . » 158   Della cosa stessa e di altre sue opere . . » ivi   Moderate le spese, che si facevano ne* giuochi e ne* donativi, ed   altre sue operazioni . . . » 159   Alcune cose ottimamente da lui ordinate . . » 160   Proibisce le cerimonie ed i riti stranieri . . » 161   Alcune cose ben fatte da lui tanto in Roma, che fuori . » ivi   La sua continua dimora nella città e perchè non abbia visitale le - ^   provinole . . ■ -v- - • j 168   La morte de' di lui figli ed il suo rìt»o nella Campania iH^u^^étUàit/   Terra di Lavoro ' *, -■■ »».M9   Il suo ritiro nell'isola di Capri ed altri di lui portamenti ^ ^.> j - » . ili  Abbandona il pensiero della Repubblica . . ^' '' . - fi 164   I suoi vizii, ebbrezze e gozzoviglie . ^ , vt ■ "*»* Jrt   La lussuria e libidine *^ l, ^   Infami sue oscenità. ^ .. >. • -'   Disonestà vituperosa colle donne nobUi ,♦;'.-   Sua avarìzia e sordidezza. . . .   Ch'egli non fece alcun edifizio pubblico, né rappresentò mai spetta-  coli, e sua scarsezza nel dar altrui provvisioni . » tvt  Sua tenacità e miseria ed altre sue azioni . . . » m  Rapine ed estorsioni dello stesso . . . » 168  Deirodio, che portava ai suoi congiunti e parenti . . » 169   Suo odio colla madre » 170   Sua crudeltà ed odio verso i figliuoli . . •. » 171   Sua. crudeltà ed odio verso la nuora . . . . . % ivi  Sua crudeltà ed odio contra i nipoti . * ... » 172   Sua crudeltà con gli amici » 173   Sua crudeltà e durezza con i grammatici e maestri . » ivi   Sua crudeltà dimostrata ancora nella sua gioventù . » 174   I delitti di lesa maestà atrocemente vendicati , . ^' ini   Alcune cose da lui barbaramente fatte sotto apparenza di graviti » 175  Come per leggieri peccati condannasse a pene severissime . i^ i»i  Come infierisse con ogni genere di crudeltà coolro tutti. » 176   Come aumentassesi la sua crudeltà e furberia .. ... .. v;:..»jl78   fì sospetto col qual visse in mez2o ai d^tti. . • . » 195   Le cose da lui fatte nell'ingresso al principato ^ im   Suoi costumi civili ed umani nel principio del suo governo » 196   Alcuni dì lui modi civili e della sua moderazione. . » 197.   Dei suoi Consolati e della liberalità usata col popolo . ' . » 198   Spettacoli da lui (atti r^ppcsesentare . . -*- J?9   Nuova maniara di spettacolo da lui inventato . ; » 200     iOi GAIO CjUJGOLà   Spetucdi da lui fotti oe' suoi viaggi io paesi stnoieri . pag. 200   Edifizìi pubblici da lui stabiliti e terminati . • tOl   Sua burbanza ed alterigia » in   Sua crudeltà e fierezza coi parenti • 202   Sua lussuria con tutte le sorelle » 203   he suoi matrìmonii e delle mogli . . - . . • 204   Sua crudeltà verso i suoi congiunti ed altri ...» 205   Della sua crudezza • 206   Sua crudeltà verso i relegati e con un senatore ...» 207   Alcuni di lui detti pieni di ferocità e Wolenza . » im   Peggiori e più atroci di lui fatti • 208   Suoi lamenti per la felicità dei suoi tempi .... « 209  Sua crudeltà nelle cene, nei giuochi, ne* spettacoli e ne* si^rifizii t tri   Apellc fatto da lui staffilare, e altri s^oi detti . ... ■ 210   Sua malignità e superbia verso tutti » nn   Sua invidia verso tutti » 211   Della sua lussuria e libidine » 212   Sno lusso nelle cene, bagni, fabbriche ed altre opere . » 213   Rapine ed estorsioni dello stesso * iti   Suoi infami guadagni » tl4   Nuove gabelle e sordidi civanzi » ^HJr   Della cosa medesima -% %i%   Natagli una figlia mendica , e riceve le contribuzioni e mande per   costituirgli la dote   Sua mossa e spedizione nella Germania   Le cose da lui fatte nel campo.   Selva da lui fatta ricidere, premii dispensati a' soldati,   da esso operate   Suoi preparamenti contro TOceano, ed altre sue imprese  Sua cura del trionfo ed altre sue opere  Scellerato pensiero di trucidar e mettere a fil di spada le legioni » 219  Suo ritorno alla città , pessimo di lui proponimento, e veleni ritro-  vatigli in casa dopo la morte » 220   Natura del corpo e $m indisposizioni » tri  •lua debolezza di mente, disprezzo degli Dei, ed altre sue opera-  zioni .-.«•.••••* 221  i)elle vesti e degli abiti cb'ei portava . . » 229  lAiia sua ^^^"HPnTa fiA ^te di dire . * » ivi     e altre cose     un   217   • *   m   218   ivi   219     ^us     'Smonti-     1.^^.     ■U'     LlP" ■«•Iv*     ■*''*'•'• «t. -o^M t     CLAUDIO CESARE   àlcimi altri.   Gòni^ura ordinata contro di lui.  Segni che si mostrarono avanti la di lui morte  DeHa di lui morte ed ammazzamento.  Mortorio di Gaio, e morte della moglie e figlia  Ciò che fece il Senato dopo la di lui morte     CLAUDIO CESARE V IMPERATOftE.     405  pag. SSi   N ivi   » 227  » 228     ' Del padre di Claudio e de* di lui fatti   Nascimento di Claudio e sua infanzia   Quanto si affaticasse intorno alle discipline liberali   Lettere di Augusto a Livia della persona di Claudio   Tl^rìo non volle mai crearlo console, e del suo ritiro   Quanto fosse accetto e caro a tutti .   Del suo consolato, ed altre cose da lui fatte   Schemi fattigli come per burla ....   Pericoli da lui fuggiti ....   Principio deirimperio di Claudio  ;■ ' Suoi portamenti nel suo ingresso al principato .  5!f-»^0lM)ri da lui sprezzati, ed altri suoi modi civili .  15 ' «HMflie tesegli, e congiure contro di lui fatte   dttoi consolati e delle cose da lui fatte in essi .   Sua -instabilità e variabilità nel render ragióne .   Uffizio della censura da lui amministrato e altre cose da esso fktte   Sua spedizione neir Inghilterra e del trionfo   Cura che ebbe della città e delle vittuarie.   Privilegii da lui concessi   Edifizii pubblici da lui costruiti.   Alcuni spettacoli da lui rappresentati  ^ Instituzione, riforma e rìordinazione di alcune costuifranze   Statuti e regole da lui messe ....  . Sua facilità e compiacenza e liberalità   Alcuni modi civili e ordini da lui pubblicati   Le ^pose e mogli di esso ....   De* figliuoli e generi del medesimo . . .   Liberti a lui carissmii . .   Malefizii da lui commessi col mezzo dei liberti e delle mogU   Figura del corpo e sua statura. . .   Sua complessione     » 229  >» 230  » 231  » ivi  » 233  » ivi  » 234  » ivi  » ivi  j» 235  » 236  » 237  » 238  )f 239  » ivi  » 241  » 242  n 243  » ivi  » 244  » ivi  » 246  » 247  » 248  » ivi  » 250  » 25Ì'   w ivi   » 252  » 253   ». ivi     CLAUDIO 19BB0NB CESARE 407   Imperie nen ampliato sotto Nerone pag. 27 i   Le sue spedìzioiii e viaggi iu Alessandria e jiell'Àcata . » 275   Sua passione per il canto e per la musica. . . » ivi   Canta tragedie » 276   Suo diletto nel guidar i cavalli e sonar di cetera « 277  Sue gare coi commedianti e sua . ansietà e timóre di essere supe-  rato » 27*   Quanto fosse osservante delle leggi ed ordini dei giuochi » 280   Suo ritorno dalla Grecia e trionfi dello stesso ... « 281   Delle rapine ed altre sue ribalderìe . . » 282   Sue gozzoviglie e banchetti » im   Sua nefanda libidine, e del giacimento colla madre » 283   Delle sue prostituzioni » %Si   Quanto fosse prodigo e spendereccio r^ ivi   Edifizii pubblici da lui eretti » 285   Sue ruberìe, estorsioni e sacrìlegii » 286   Parrìcidio di Claudio e Brìtannico » 287   Parrìcidio della madre e della zia » 288   Ammazzamento delle mogli e de' suoi più prossimi » 290   Sua crudeltà coi strani e stragi fatte dei più nobili uomini romani » 292   Macello da lui fatto di molti e altre sue ferìtà . . » , ivi   Arsione fatta da lui fare di Roma » 293   Della moria che fu ai tempi suoi e delle contumelie colle quaH   veniva lacerato » 294,   Ribellione della Francia contro di lui . . . . . »' 296   Suo rìtomo nella città e villanie che gli furono dette contra. » 297   Ribellion della Spagna e di Galba » 298.  Di un fiero suo proponimento, rimove i consoli, e si fa creare lui   consolo » .' ti;*   Apparecchio d'una sua spedizione contro la Francia » 299   Scritture infami contro di lui pubblicate . ' . . » itti   Spaventasi per certe orribili visioni ..... a 300   Vien abbandonato da tutti . . • .^ 301   Abbandonasi e fugge dalla città » 302   Sua morte e come rincontrasse » 303   Pmierali fattigli . . » 304   Statura e governo del suo corpo . v Un   Studioso delle arti liberali . . . . »s3ÒQ   Suo diletto della pittura e scultura . . a 'ti^   Voto da lui fatto «e fusse ritornato vittorioso . » 30CÌ     408 SERGIO GALBÀ      Avido di fama e nome . . . . . .   Sprezzatore degli Dei .   Della sua età, e cose successe dopo la sua mòi^    . pag. 306   » ivi     SERGIO GAL*A VTI itaPEUAtOR*.     Del lignaggio de* Cesari finito in Nerone , e dei presagii che ciò   dinotarono . » 308   Stirpe di Gaiba antichissima » 309   DeHa sua famiglia» cognome, e perchè fòs^e détto Gaiba . » ivi   Nascita di Gaiba e delle cose che gli presagirohò il pilàcipato » 310  Studioso delle arti liberali , e particolarmente della irà'glón Wì\e ;   delle mogli e dei figli . . . . . '. » 31Ì   Onori da lui conseguiti, e sua disciplina nelle cose ttilliiiarì » 312   Della sua giustizia ed equità » 313   Onori conferitigli e segni che gli pronosticarono il principato » ivi   Sua variabilità nel governo della provincia . . » 314   Entratura al principato ed altri suoi fatti . » 315   Abbattimento del suo animò per la morte di Vindice » 316   Della sua crudeltà ed avarìzia n ivi   Venuta sua a Roma. » 317   Le cose da lui fatte nei primi tempi del suo ^ovei^o . . » ivi   Perseguita i creati di Nerone » 318   Ribellion degli eserciti della Germania contro di lui . >» 319   Adottazione di Pisone . . . . . * ivi   Presagii che denunziarono la di lui infelice ìù^orte . . » 320   Della sua morte e ammazzamento . . . . » 321   Cosa facesse al tempo della sua morte, e del fùiierale » w   Della statura del corpo e de* suoi membri. ...» 322   Del suo mangiare , bere e della sua lussuria . . . » tvt   Tempo che durò il di lui imperio , e della sua età . » 323     OTTONE SILVIO Vffl IMPERATORE   Degli antenati d*Ottone . . .  Nascita di Ottone e sua adolescenza.   La sua amicizia con Nerone . .   Le sue speranze di aver a regnare . . ^   Oli fallisce la speranza di esser adottato dà Gaiba .  duo ascendùnento al principato     » 324  » 325  » 326  » ivi  • 327  » ivi     A17L0 YITELLIO   Cose da lui fatte nel principio del suo imperio  Ribellion dell'esercito della Germania cantra di lui  Combattimento e zuffa con i capitani di Vitellio  Quanto avesse in odio le guerre civili ._  Sua morte e funerale . * .  Statura e governo del suo corpo.     409   m- 338   » 329   » 390   » 331   , » 332   N ivi     AULO VITELLIO IX IMPERATORE,   i   Deirorigine della casata de* Vitellii ^ » 33i   Del padre e madre di Vitellio, e della sua fanciuHezzs^ . » 335   Della sua adolescenza » 336   Infamie della sua vita » 33*7   Onori da lui conseguiti . » ivi   Delle mogli e de* figliuoli » ivi   Assegnatogli il governo della Germania ; sua povertà e sua piacevo-  lezza con tutti . . . . . . » 338   Sua prodigalità con tutti. . . »' 339   S'intrude nel principato . v . . » 340  Sue intraprese dopo la morte d'Ottone, e suo ritomo a Roma » ivi  Cose da lui fatte nel principio del suo governo ...» 341   Di altre sue azioni nel primo tempo del suo principato » 342   Delle sue gozzovìglie e banchetti », ivi   Della sua crudeltà ' . » 343   Apparecchio dell'esercito contro Vespasiano . . . » 344^   Cerca di aggiustarsi con Vespasiano . . . » 346   Ignominiosa di lui morte » ivi.   Dichiarazione di un portento » 347     VESPASU.NO X IMPERATORE.     Della gente Flavia e degli antenati di Vespasiano   Nascita e nodrìtura di Vespasiano   Della moglie e de* figli   Delle sue spedizioni nella Germania e nella Giudea   Segni che gli pronosticarono l'imperio   Sua assunzione all' imperio   Cose prodigiose avvenute nel prìncipip del suo   Ristabilimento della Repubblica vacillante .   Edifizii pubblici da lui innalzati     . .    » 348    . •    » 349    .    » 350    ài    » ivi        » 352        • 354    governo    » 355    « ■    » 35»    • • i    » 357     410 YESPAS1A?(0   Liti éa Ini sommariamente decise . ' . pag. 358   Suo stanziamento contro gli nsnrai ed altre le^ » tvf   Non dissimula la bassezza de* suoi natali .... » ivi   Sua tolleranza verso i maldicenti » 359   Dimenticanza delle ingiurie rìc«Mite » 360   Sua clemenza co' re accusati n ivi   Sua avarizia e ingordigia » 361   Sua liberalità e magnificenza • iiH   Come avesse in pregio gli uomini dotti e della stima che faceva di   tutti » 362   Giuochi da lui fatti rappresentare e dei conviti . . » ivi   Statura del corpo, de' membri e della sua complessione . » 363   Distribuzione dell'ore al tempo del suo principato . n ivi   Bei giuochi dopo cena e di alcuni festevoli di lui detti » ivi   Versi greci da lui pubblicati » 364   Della sua malattia e morte » 365   Presagio che i fìglìuoU gli sarebbono per succedere . » iri     TITO VESPASIANO XI IMPERATORE,     DelKamore di tutti verso Tito .   Nascita ed educazione di Tito .   Della virtù e dottrina   Delle di lui mogli, onori e vittorie   Espugnazione di Gerusalemme .   Amministrazione dell'imperio .   tlomc cambiasse i suoi costumi di mali in   Di una pietosissima natura   Sua clemenza e mansuetudine .   Come incontrasse la morte   Luogo e tempo della sua morte     buoni     367  ivi   368  ivi   369   370   • •   IVI   371  373  374  375     DOMIZIANO GERMANICO XIT IMPERATORE.     Nascimento e adolescenza di Domiziano .  Le cose da hii fatte innanzi che fosse prmcipe .  Cose da lui fatte nel principio del suo imperio .  Spettacoli da b" fotti rappresentar " ''"Ha. sua liberala   Edifizii pu^**'»'» ^^ *"* 'ahhrJpat*   spedir'""     » 376   377   » 378   » ivi   380   im     ■9^     DOMIZIANO GmUiAFtlCO   Di akiine sue le^^ ed ordioamenii .   Sua diligenza ed attenzione nel render ragione.   Sua clemenza e liberalità nel principio del sdo governo.   Sua crudeltà contro molti.   Àncora della di lui crudeltà e fierezza   Sue rapine ed estorsioni ....   Sua^ superbia ed alterigia . - .   Congiura contro dì lui fatta e come stasse in continuo sospetto   Un suo cugino da lui ucciso, e dei presagii della di lui morte   Altri segni della di lui morte   Delle insidie tesegli e come venisse morto   Statura e bellezza del suo corpo   Sua grande maestria nel saettare e intolleranza delle fatiche  Della sua facondia, e di alcuni suoi detti notabili .  Suo diletto nel giuoco, dei conviti, e di altre sue opere   Della sua libidine, e lussuria   Tristezza de' soldati^ e gioia del senato per la di lui morte .     4H  •» 38i   » 389  » 384  » 386   » ivi  n 387  » 388   n 389  » 390  » 394  n 392   n ivi   » 398  M ivi   n ivi'  n 394      ÌSmu«?5''»»»Mi '     3 9015      0881     ,1 Gaio Svetonio Tranquillo. Keywords: Cicerone, repubblica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Svetonio.” Svetonio.

 

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