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Friday, December 20, 2024

GRICE ITALO A/Z S ST

 

Grice e Stabile: la ragione conversazionale e la critica della ragione borghese – la scuola di Sapri -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sapri). Filosofo campanese. Filosofo italiano. Sapri, Salerno, Campania. Laureatosi a Napoli con una tesi sulla filosofia del valore, divenne ricercatore a Salerno. Pubblica saggi in "Prassi e teoria", "Aut Aut", "Studi di filosofia politica e diritto", "il Centauro", "Ombre rosse", riviste tra le più prestigiose nel panorama della pubblicistica filosofica italiana. Collabora alla direzione della collana di testi e studi "Relox" di Bibliopolis di Napoli. Salerno gli dedica un convegno di studi: "La saggezza moderna. Temi e problemi”. Il fondo rappresenta sua biblioteca. Alcuni volumi sono in possesso di Salerno. I volumi del fondo sottolineano l'interesse verso la critica marxista -- moltissimi i volumi degl’Editori Riuniti. Degni di attenzione alcuni esemplari caratteristici come ad esempio quelli della collana "I gabbiani" del Saggiatore o ancora la collana quasi completa degli "Opuscoli” della Feltrinelli, i volumi della collana "Biblioteca di nuova cultura" della Mazzotta, e quelli della "Scienza nuova" della Dedalo -- collane radicalmente trasformate nei successivi anni o sostituite da altre. Talora nate solamente per offrire testi economici che rispondessero ai bisogni di una maggiore diffusione culturale. Sono presenti anche dei volumetti allegati a periodici di partito -- PCI e PSI -- e le pubblicazioni dell'istituto di filosofia a Salerno. Altri saggi: “Valore morale e società” (Salerno); “Soggetti e bisogni” (Firenze, Nuova Italia); “Saggezza e prudenza: studi per la ricostruzione di un'antropologia” (Napoli, Liguori); “Piccolo trattato sulla saggezza” (Napoli, Bibliopolis); “Umanesimo e rivoluzione” (“Prassi e teoria: rivista di filosofia della cultura”), “La saggezza moderna” (Napoli, Edizioni scientifiche italiane). Storia della filosofia, Salerno. Charron Storia della filosofia,  Salerno. Giampiero Stabile. Stabile. Keywords: Grice’s ‘Needs, need, bisogno, bisogni, bisoin, complex etymology, durf, tharf, ragione borghese -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stabile” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Stasea: la ragione conversazionale a Roma, o della virtù – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. The first lizio to take up residence at Rome. He defends the position that virtue (andreia) is not sufficient for happiness – a position on which some Lizians were prepared to compromise, in order to achieve a conciliation with the ethics of the Portico. Keywords: Lizio.

 

Grice e Statilio: la ragione conversazionale a Roma -- ogni uomo  è  stolto o pazzo -- Roma antica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Amico di CATONE. L’orto. Satura e farsa filologica. Penna. Secondo un'ipotesi allettante, con S., amico di CATONE e morto a Filippi con BRUTO. In questo contesto forse non è del tutto inutile notare che una filosofia è presente. S. being sollicited by BRUTO to make one of that noble band, who struck the god-like stroke for the liberty of Rome, refuses to accompany them, saying, that: all men are fools, or mad, and do not deserve that a wise man should trouble his head about them. Keywords: ‘All men are fools, or mad’ -- Giardino, horti epicuri – hortus epicuri. Garden. Friend of Catone Minore and Marco Bruto and a staunch opponent of Giulio Cesare.

 

Grice e Stefani: la ragione conversazionale del “senso composto” – semantica filosofica – la scuola di Pergola – filosofia marchese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pergola). Filosofo marchese. Filosofo italiano. Pergola, Pesaro e Urbino, Marche. Grice: “I may well say that my idea of a propositional complex owes much to Stefani’s obsession with ‘sensus’ simplex or ‘divisus, and ‘sensus compositum’ –“ “The opposite of ‘com-posito’ is de-posito, though!” --  Grice: “I like his diagrammes; The Boedlian has loads of his mss!” Grice: “He has a figure for the ‘figura quadrata,’ –“. Grice: “He has a figure for ‘suppositio.’” – Il membro più noto di una famiglia di insegnanti marchigiani. Avviato alla carriera ecclesiastica nella città natale, ma presto si trasfere a Venezia. Il suo saggio più importante è il “De sensu composito et diviso”. Insegna a  Rialto. Altri saggi: “Dubia in consequentias Strodi,” “In regulas insolubilium,” “De scire e dubitare,” “Compendium logicae,” “Logica,” “Tractatus de sensu simplice, sensu composito, et sensu diviso”, Dizionario biografico degl’italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Fonte: Dizionario di filosofia, riferimenti. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Stefani. Keywords: senso semplice, senso composito, senso deposito, senso diviso, dialetttica, grammatica filosofica, semantica filosofica, loquenza. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stefani.”

 

Grice e Stefanini: la ragione conversazionale dell’inter-personalismo contro l’idealismo filosofico – filosofia fascista – veintennio fascista – la scuola di Treviso -- filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Treviso). Filosofo veneto. Filosofo italiano. Treviso, Veneto. Grice: “Italians are obsessed with personalismo; I am with interpersonalismo!” “L’essere è personale.” “Tutto ciò che non è personale nell’essere ri-entra nella produttività della persona, come mezzo di manifestazione della persona e di *comunicazione* o conversazione *tra* due persone,” “La mia prospettiva filosofica. Attivo nelle associazioni e nei movimenti cattolici del trevigiano, iscrivendosi a gioventù cattolica dove assume presto l'incarico di presidente diocesano. Qui svolge la vocazione di educatore, seguendo, in particolare, gli insegnamenti contenuti nell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII -- opera pure nel sindacato cattolico dei lavoratori. Dopo il diploma presso il liceo classico Canova, dove ha fra gl’altri ROTTA come insegnante di filosofia, si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia a Padova. Nell'ateneo patavino, la corrente del positivismo è tra le più seguite. In controtendenza, decide di scrivere la propria tesi sull’inter-personalismo, avendo ALIOTTA come relatore, con cui si laurea in filosofia . Nel periodo di studi padovano, inizia a frequentare anche il circolo di ZANELLA e inizia a insegnare. Mentre completa gli studi universitari, inizia già a respirarsi aria di guerra in Italia, ma come molti giovani, pur favorevole ad una posizione di neutralità nei confronti della guerra, viene comunque chiamato all’armi. Terminato il conflitto, uscendone con il grado di capitano e una croce al merito di guerra, studia l’estetica di GRAVINA. Eletto consigliere del comune di Treviso ma, la violenza dello squadrismo fascista investe anche il trevigiano. Si oppone con fermezza a tale ideologia, dimettendosi e dedicandosi completamente all'insegnamento, che ora è la sua occupazione principale e che conduce sempre secondo una pedagogia ispirata ai principi cristiani, costantemente attento e sensibile sia ai bisogni che agl’interessi degli studenti. Si dedica con scrupolo alla stesura di apprezzati testi didattici di storia e filosofia. Conseguita la libera docenza, ottiene, per incarico, l'insegnamento a Padova. Oltre ad iscriversi al partito nazionale fascista, affianca l'insegnamento nelle scuole pubbliche a quello universitario fino a quando, vinto l'ordinariato, ha una cattedra di storia della filosofia a Messina che tiene fino a quando si trasferisce a Padova. Al contempo, tiene per incarico l'insegnamento di estetica a Padova e quello di pedagogia a Venezia, nonché sarà preside della facoltà di lettere e filosofia dell'ateneo patavino.  Nel dopoguerra, riabilitato alla propria cattedra e all'insegnamento universitario, si dedica prevalentemente allo studio e la ricerca, ma partecipando anche alla ri-organizzazione della filosofia italiana, in particolare promuovendo incontri, convegni e riunioni all'Istituto Aloisianum dei padri gesuiti di Gallarate, che divenne poi il centro di studi filosofici di Gallarate, per primo diretto da GIANON. Socio corrispondente dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, nonché socio effettivo dell’accademia patavina di scienze, lettere ed arti, ricevette il premio della r. accademia d'Italia per le discipline filosofiche, e il premio Marzotto per la filosofia, nonché è membro dei consigli direttivi della società filosofica italiana e del centro di studi filosofici di Gallarate. Fonda a Padova la “Rivista di estetica”, della quale dirigere solo il primo fascicolo e a cui gli subentrerà PAREYSON. Gli saranno intitolate delle scuole medie statali di Treviso e Padova, nonché l'ex istituto magistrale di Mestre. Uno dei maggiori rappresentati dello spiritualismo, ri-esamina storicamente e criticamente diverse correnti della filosofia, fra cui lo storicismo, la filosofia dell'azione, l’idealismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo, lungo il corso della storia della filosofia, da FIDANZA ed AQUINO a GIOBERTI, ROSMINI ed altri, sulla scia della sua prima formazione incentrata su uno stretto connubio fra prospettiva storica e dimensione teoretica.  Interessato pure all'estetica, su cui scrive molti saggi, il contributo più importante è frutto della sua costante riflessione su personalismo e spiritualismo, grazie alla quale il rapporto soggetto-oggetto viene interpretato in termini di alterità, di altro da sé, prospettiva questa che permette di concepire il singolo individuo come membro di una comunità. Questo rapporto soggetto-oggetto, da un tale punto di vista, è concepito come il momento fondante di ogni comunità di esseri umani in relazione fra loro. Le più importanti problematiche connesse a questi principi di base, sono affrontate nella “Metafisica della persona” – cf. Strawson, “The concept of a person” -- e “Inter-personalismo”. Strettamente connesse a queste tematiche filosofiche, poi, sono quelle didattico-pedagogiche aperte e portate avanti pressoché durante l'intero suo periodo di attività, dai primi anni formativi, in continuo ripensamento e progressiva ri-visitazione.  Per quanto concerne poi la sua vasta produzione, ricordiamo solo che dà alle stampe le seguenti, notevoli saggi: “L'esistenzialismo” “Spiritualismo”, “Il dramma filosofico”; “Metafisica della persona”; “Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico”; “Inter-personalismo”; “Estetica”; “Trattato di estetica. Viene pubblicata la raccolta di scritti intitolata “Inter-Personalismo”. Dizionario Biografico degli Italiani. L. Corrieri, “Un pensiero attuale” (Prometheus, Milano). Citando sue testuali parole. L’opera di Blondel è più arte che filosofia. I passaggi più ardui superati con immagini ardite, anziché con logiche dimostrazioni; affermate le più inconciliabili anti-tesi affinché queste rendano vivo e tragico il contrasto; i mezzi dialettici atti più a trascinare che a convincere: tutto ciò ci conferma pienamente nella nostra interpretazione. L'opera del Blondel è, più che una dottrina filosofica, un romanzo psicologico che descrive l’esitazioni e l’incertezze, le vane pretese e le supreme aspirazioni dell'umana volontà, che alfine si appaga e riposa nel divino. Per ciò che al di là del filosofo si riesca ad afferrare l'uomo, al di là del sistema si riesca ad afferrare il programma generoso del credente, la filosofia dell'azione può essere efficacemente educativa, può esercitare nella coscienza contemporanea l'influsso salutare che essa si era proposta. “L'azione” (Padova). Il quale, a sua volta, prende le mosse dalle concezioni personalistiche mounieriane e giobertiane; cfr. Piaia, cit. Altri saggi: “Il problema della conoscenza in Cartesio e GIOBERTI” (Torino, Sei); “Il problema religioso in Platone e FIDANZA: sommario storico e critica di testi” (Torino, Sei); “Idealismo cristiano” (Padova, Zannoni); Platone (Padova, Milani); “Il problema estetico nell’Accademia” (Torino, Sei); “Imaginismo come problema filosofico” (Padova, Milani); “Problemi attuali d'arte” (Padova, Milani); “La Chiesa Cattolica, (Milano-Messina, Principato); “GIOBERTI” (Vita e pensiero, Milano, Bocca); “Metafisica dell'arte” (Padova, Liviana); “La mia prospettiva filosofica” (Treviso, Canova); Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico. Esposizione e critica costruttiva” (Padova, Milani); Aubier, Estetica (Roma, Studium); Trattato di Estetica”; “L'arte nella sua autonomia e nel suo processo” (Brescia, Morcelliana); Personalismo educativo (Roma, Bocca). Dialettica dell'immagine. Studi sull'imaginismo di S., a cura dell'Associazione filosofica trevigiana (Genova); Caimi, Educazione e persona” (Scuola, Brescia); Cappello, Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, Europrint, Treviso, Per una antropologia in S.: metafisica, personalismo, umanesimo, Cappello, ER. Pagotto, Padova, Lasala, Una ragione vivente. L'immagine e l'ulteriore, in  Frammenti di filosofia contemporanea, I.v.a.n. Project, Limina Mentis, Villasanta, Boni, Le ragioni dell’esistenza. Esistenzialismo e ragione (Mimesis, Milano); Rigobello, Scritti in onore (Liviana, Padova). Rivista Rosminiana, treccani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Luigi Stefanini. Stefanini. Keywords: inter-personalismo, io e l’altro, l’altro da me, altro da se, alterita, other-love, self-love. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stefanini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Stefanoni: implicatura e ragione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Mantova, Lombardia. Grice: “I love Stefanoni. I regard him as the frist Italian philosophical lexicographer! Marsoli quotes Ranzoli in passing. And Ranzoli disparages Stefanoni. But I prefer Stefanoni to Ranzoli. Ranzoli tends to lean towards the pompous, whereas only in Stefanoni you would find things like: ‘this word should be extracted from all dictionaries!”   STEFANONI, Luigi  – Nacque a Milano il 19 febbraio 1841 da Alessandro e da Maria Colombo.  Fu rapito fin da giovanissimo dalla fede mazziniana e ancora adolescente partì volontario al seguito di Giuseppe Garibaldi nella campagna del 1859. Subito dopo l’unificazione cominciò a collaborare con il periodico repubblicano L’Unità italiana, ma ben presto i rapporti con Giuseppe Mazzini si complicarono a causa dell’attrazione di Stefanoni per le correnti razionaliste e antireligiose che in quegli anni cominciavano a lambire le file giovanili dell’area democratica. Al pensiero del filosofo razionalista Ausonio Franchi faceva infatti riferimento la prima opera importante di Stefanoni, intitolata La scienza della ragione e pubblicata con un certo clamore a Milano nel 1862: l’autore, allora ventenne, vi faceva aperta professione di ateismo, delineando i contorni di una pur vaga e semplicistica filosofia materialistica.  Se però Stefanoni riconosceva in Franchi il proprio ‘maestro in filosofia’, in politica il punto di riferimento rimaneva Mazzini, come risultava evidente dal saggio Giuseppe Mazzini. Note storiche (Milano 1863). Un segno di continuità nel solco mazziniano fu anche Le due repubbliche e il due dicembre (Milano 1864), nonché l’attenzione verso la questione polacca, testimoniata dall’opuscolo su Francesco Nullo, pubblicato a pochi mesi di distanza dall’uccisione del patriota democratico per mano dei russi (Francesco Nullo martire in Polonia. Notizie storiche, Milano 1867).  Il dissidio con Mazzini si aggravò nel 1865, quando Stefanoni si impegnò in prima persona nella fondazione a Milano di una Società di liberi pensatori: l’iniziativa, tenacemente avversata dal maestro, provocò la rottura fra i due. Nel gennaio del 1866 vide la luce in quest’ambito la rivista settimanale Il libero pensiero. Giornale dei razionalisti, di cui Stefanoni fu l’animoso direttore fino all’ultimo numero, nel 1876.  La rivista era dedicata alla demolizione dei dogmi e dei culti cattolici, nonché più in generale alla critica delle superstizioni e dell’intolleranza religiosa, cui si contrapponevano l’esaltazione del pensiero scientifico, la tradizione razionalista, la nuova dottrina materialista. Il frequente ricorso alla «derisione» e alla «contumelia» insieme alla «forma caustica, passionata, rabbiosa» (F. Uda, Magnetismo, in Il libero pensiero, 1° agosto 1867) della polemica, che talvolta colpirono anche gli amici e procurarono alla rivista diversi sequestri per offese alla religione dello Stato, le assicurarono d’altro canto una certa capacità di penetrazione tra il ceto popolare urbano. Alla rieducazione in senso anticlericale e antireligioso delle masse mirava anche l’Almanacco popolare del libero pensiero (1869-1879/1980), che ai temi della rivista aggiungeva un calendario laico, composto dai nomi di personaggi cari alla tradizione razionalista, democratica e patriottica.  Nel frattempo, la vena poligrafa di Stefanoni si dimostrava inesauribile. Sono di quegli anni la Storia critica della superstizione (I-II, Milano 1869) e il Dizionario filosofico (I-II, Milano 1873-1875), nonché alcuni romanzi di ispirazione anticlericale (I rossi ed i neri di Roma, I-V, Milano 1863), L’Inferno (I-IV, Milano 1865), Il Purgatorio (I-IV, Milano 1866), Il Paradiso (I-III, Milano 1867), per un totale di sedici volumi. -ALT  Ben più importante fu l’attività di traduzione: nel giro di una manciata di anni Stefanoni tradusse una quantità impressionante di pagine, a cominciare da quelle del tedesco Ludwig Büchner, un divulgatore scientifico di ampio successo che sosteneva una concezione integralmente materialistica e atea della realtà. Forza e materia (Kraft und Stoff, 1855) – la cui prima edizione comparve a Milano nel 1867 (e che tutt’oggi rimane l’unica traduzione italiana disponibile) – ebbe un forte impatto sul piano culturale e su quello politico. Per i giovani ribelli stanchi del misticismo mazziniano nonché di un’educazione bigotta e repressiva, Büchner – di cui Stefanoni tradusse anche Scienza e natura (Milano 1868) e L’uomo considerato secondo i risultati della scienza. Donde veniamo? (I-III, Milano 1871-1882) – fu una rivelazione, una liberazione e una chiamata a raccolta, che concorse peraltro allo slittamento della ribellione politica sul terreno dell’internazionalismo anarchico-socialista. Nello stesso breve giro di anni Stefanoni tradusse anche la Fisiologia delle passioni (Milano 1869) dell’antropologo materialista Charles Letourneau, le Trenta lezioni sull’essenza della religione (Milano 1872) di Ludwig Feuerbach, diverse opere dello scrittore razionalista francese André Saturnin Morin e, nella prospettiva del recupero del filone materialista dell’illuminismo francese, L’uomo macchina (Milano 1867) di Julien Offray de La Mettrie.  Nel 1871 Stefanoni si trovava Firenze, dove per sua iniziativa si era trasferita la sede del giornale e si era costituita una Società del libero pensiero, con cui si fuse la Società della onoranza funebre, vicina agli ambienti massonici e volta a promuovere il funerale laico e la cremazione. Ciononostante, verso la massoneria Stefanoni ebbe un atteggiamento critico, contestandone il carattere segreto e il legame di obbedienza imposto ai suoi membri. Nella primavera di quello stesso anno entrò in contatto con Carlo Cafiero, allora emissario di Karl Marx in Italia, e indurì i toni della polemica con Mazzini per la sua condanna della Comune. A partire dalla fine di agosto Il libero pensiero prese a seguire da vicino la vita dell’Internazionale, pubblicandone regolarmente gli atti. Stefanoni fu in prima fila nella costituzione della sezione internazionalista di Firenze e, nell’aprile del 1872, in quella del Fascio Operaio cittadino, sorto con l’obiettivo di coordinare le diverse società operaie già esistenti e di indirizzarle in senso internazionalista, sfidando l’egemonia mazziniana.  La convergenza tra i liberi pensatori – ai quali, in una lettera a Celso Ceretti, Michail Bakunin riconosceva il merito di essere stati «i primi a levare lo stendardo della rivolta contro l’autorità teologica di Mazzini» (Il libero pensiero, 29 febbraio 1872) – e gli internazionalisti nascondeva però una divergenza di fondo, destinata ad affiorare presto. La polemica più lunga e astiosa, con risvolti personali anche pesanti, fu quella che tra il 1871 e il 1872 Stefanoni ingaggiò verso il duo Marx - Engels (da parte sua, in Les prétendues scissions dans l’Internationale Marx definì il circolo dei liberi pensatori «un convento di monaci e di suore atee», Genève 1872, p. 35); ma anche rispetto ai bakuninisti Stefanoni manifestò un atteggiamento critico, respingendone la prospettiva insurrezionalista.  Negli stessi mesi egli portava avanti, in sintonia con Garibaldi, il tentativo di unificare la frastagliata area democratica, razionalista, socialista: nel gennaio del 1872 entrò a far parte di un comitato provvisorio che, in vista della convocazione di un congresso unitario, rivolse un appello a «tutti gli onesti democratici uniti in fratellevoli consorzi aventi per scopi precipui il miglioramento delle classi diseredate ed il trionfo della ragione sulla rivelazione» (Il libero pensiero, 1° febbraio 1872). All’appello era unita una Proposta di Garibaldi per «l’aggregazione di una sola – quale centro direttivo – di tutte le società esistenti, che tendono al miglioramento morale e materiale della famiglia italiana» (ibid., 15 febbraio 1872). Seguiva alla Proposta uno schema di statuto di quella supposta società, chiamata «Ragione»: lo statuto portava in calce la firma di Garibaldi, ma in realtà era opera di Luigi Castellazzo e Stefanoni. Pochi giorni dopo avevano aderito già cinquantasette associazioni democratiche, repubblicane, socialiste e razionaliste, ma a causa dell’opposizione dei mazziniani e dei gruppi internazionalisti napoletani e lombardi, l’iniziativa si risolse in un nulla di fatto.  Progressivamente defilato dall’attività politica, negli anni Ottanta Stefanoni si dedicò alla divulgazione storica, confermando in pieno il carattere fluviale della sua produzione.  Fu la stagione delle Storie d’Italia illustrate e «narrate al popolo» nel segno dell’antimoderatismo e dell’anticlericalismo; nel complesso quindici volumi cumulativi distribuiti su tre opere (tutte pubblicate dall’editore Perino di Roma tra il 1882 e il 1888), in cui la narrazione, improntata a una chiave laica e democratica, cominciava dai re di Roma e arrivava fino alla contemporaneità.  Intanto, negli anni Settanta Stefanoni era stato assunto come impiegato presso il ministero delle Finanze, dove divenne intendente; ma nel giugno del 1895 fu forzatamente collocato a riposo, nel corso di un lungo contenzioso con la pubblica amministrazione generato da un trasferimento e portato avanti per anni a suon di memorie, petizioni e ricorsi.  L’intera vicenda fu minuziosamente ricostruita nel pamphlet intitolato Tristi effetti del governo parlamentare (Roma 1902), dove il suo caso personale assurse a prova del carattere patogeno dei governi parlamentari e in cui, in linea con la vague antiparlamentarista di quegli anni, si invitava il re a prendere in mano il controllo dell’esecutivo.  La tendenza a portare avanti controversie senza fine, intrecciando alle ragioni pubbliche del contrasto aspetti personali e atteggiamenti provocatori si era acuita con il passare degli anni, ed emerse con forza nell’accanitissima battaglia ingaggiata nei primi anni del nuovo secolo contro Guglielmo Marconi e il telegrafo. Nel 1903 Stefanoni indirizzò al Senato una petizione contro il finanziamento di una stazione radiotelegrafica; parallelamente inviò un diluvio di lettere a tutti coloro che a vario titolo erano coinvolti nell’iter di approvazione parlamentare, compreso il presidente della commissione incaricata di relazionare sulla questione, e pubblicò memorie e pamphlet in cui, richiamandosi alla propria annosa polemica contro il magnetismo, il «sistema Marconi» veniva definito una «pubblica e vergognosa mistificazione» che non avrebbe dimostrato altro, se non «la leggerezza della nazione italiana, così facile ad essere fatta zimbello dai furbi» (Contro la radiotelegrafia Marconi. Memoria, Roma 1903, pp. 1 s.). Fu questa la sua ultima battaglia, compendiata in un altro testo: Marconigrafia e marconimania (Roma 1903).  Morì a Roma e fu inumato al cimitero del Verano il 6 marzo 1918.  Fonti e Bibl: Milano, Archivio storico comunale, Stato civile, Ruolo generale di popolazione 1835, vol. 55; Roma, Cimiteri Capitolini, Cimitero monumentale del Verano, Anagrafe mortuaria. Sull’attività di Stefanoni come direttore del Libero pensiero si trovano diverse notizie nel gruppo di lettere conservate a Milano presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondo Mauro Macchi, b. 6, f. 34. Un gruppo di lettere degli anni Sessanta e Settanta indirizzate a corrispondenti diversi è conservato nell’Archivio del Museo centrale del Risorgimento di Roma, b. 336. Per un breve profilo biografico: A. De Gubernatis, Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, Firenze 1879, p. 961 (ma la voce fu composta molti anni prima della morte di Stefanoni); più estesa la voce di E. Civolani, S. L., in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, a cura di F. Andreucci - T. Detti, IV, Roma 1975, pp. 703-705. Molto ricchi di informazioni sono: R. Zangheri, Storia del socialismo italiano, I, Dalla Rivoluzione francese a Andrea Costa, Torino 1993, ad ind.; G. Verucci, L’Italia laica prima e dopo l’Unità, 1848-1876, Roma-Bari 1996, ad indicem. Sull’attività politica degli anni Settanta: E. Conti, Le origini del socialismo a Firenze, Roma 1950, ad indicem. Sulla polemica con Marx ed Engels: K. Marx - F. Engels, Scritti italiani, a cura di G. Bosio, Roma 1972, pp. 43-61, 217 s., 269 s. Per i rapporti con Cafiero: P.C. Masini, Cafiero, Milano 1974, pp. 43 s. DIZIONARIO  FILOSOFICO  DI  STEFANONI LUIGI  CONTENENTE  L' ESPOSIZIONE DEI PRINCIPALI SISTEMI FILOSOFICI E TEOLOGICI, LA  BIOGRAFIA DEI FILOSOFI ANTICHI E MODERNI, LA CRITICA DEI DOMMI  EDELLE ERESIE, LA DEFINIZIONE DEI VOCABOLI SCIENTIFICI ATTINENTI  ALLA FILOSOFIA ECC. ECC.  Volume I.  MILANO  NATALE BATTEZZATI, EDITORE  Via S. Giovanni alla Conca, 7.  1875.- 77 12.7.18 ^1.  DIZIONARIO FILOSOFICO  DIZIONARIO  FILOSOFICO  DI  STEFANONI LUIGI  CONTENENTE  L' ESPOSIZIONE DEI PRINCIPALI SISTEMI FILOSOFICI E TEOLOGIGI, LA BIOGRAFIA  DEI FILOSOFI ANTICHI E MODERNI, LA CRITICA DEI DOMMI E DELLE ERESIE, LA  DEFINIZIONE DEI VOCABOLI SCIENTIFICI ATTINENTI ALLA FILOSOFIA ECC. ECC.  MILANO  NATALE BATTEZZATI, EDITORE  Via S. Giovanni alla Conca, 7.  1873. Parma Tipografia della Società fra  gli Operai-tipografi. Uomo che adopra voci alle quali  non dachiaro senso e determinato,  inganna se stesso e gli altri.  LOCKE.  Coloro che si occupano di scienze filosofiche sanno  quanto importi l' avere ad ogni momento sottomano le de finizioni dei vocaboli, l' esposizione storica, e le contro versie dottrinali della filosofia, senz' uopo di doversi sob barcare in lunghe e penose ricerche di libri che spesso  non si possédono e più spesso ancora s'ignorano; onde  mi parrebbe fatica vana lo spendere parole per dimostrare  agli studiosi , ed eziandio ai curiosi, di quanta utilità possa  essere un Dizionario Filosofico.  Ma giova che si sappia quale indirizzo e quale ordine  presiedettero alla compilazione di questo, ch'è il primo che  si pubblichi in Italia, e che perciò appunto vanta maggiori  titoli alla tolleranza del lettore. Gli articoli onde si com pone questo Dizionario possono dividersi in quattro classi  attinenti: 1. Alle definizioni. 2. Alla biografia ed alla storia,  ove succintamente si espongono le vicissitudini delle credenze  religiose e dei sistemi filosofici, e rapidissimamente si accen 6  nano i punti più salienti della vita dei filosofi e degli ere siarchi. 3. Alle scienze positive, dove si espongono i risul tamenti degli studi naturali, sui quali oramai, per co mun consenso, tutta quanta la filosofia moderna si fonda.  4. Alla critica ed alla controversia, che delle teorie e dei  sistemi architettati dalle scuole puramente speculative, ad dita le parti manchevoli e le contraddizioni colla scienza.  Questi quattro caratteri or s'incontrano in separati articoli,  or si riuniscono in un solo, secondo che parve più oppor tuno per maggior chiarezza l'unirli o il separarli Ma ad  ogni modo la connessione delle idee è conservata con op portune citazioni di rimando dall' uno all' altro articolo,  acciocchè la necessaria separazione dei vocaboli, in nulla  pregiudichi l' unità d' indirizzo di tutta l'opera, la quale  s' informa a quello stesso metodo di critica razionale, ch'io  già ebbi il conforto di vedere encomiato nella mia Storia  critica della superstizione. Quindi il meglio che io possa  dire in favor dell' opera mia, si è di ripetere le parole già  rivolte ai lettori della prima edizione di quel lavoro: « Que st' è il primo libro di simil genere che venga in luce in  Italia, onde, avuto riguardo alla pochezza dei mezzi e  alle difficoltà che sempre s'incontrano nei nuovi tenta tivi della scienza, i lettori mi sapranno grado , quan anche l'opera mia non fosse riuscita cosi difusa e cosi  completa, come, pel bene della verità, sarebbe a deside rarsi che fosse stata » .  Ma oltre la novità del lavoro, ben altri titoli mi danno  diritto a sperare nella indulgenza del lettore. Fin dal secolo  scorso, Voltaire mi ha preceduto col suo Dizionario Filo sofico, ma chi lo ha letto sa in quante parti sia manchevole ed  anche erroneo, equantopoco risponda oggi ai bisogni della  nostra filosofia. Oltre di che una buona metàdi quel Diziona rio si occupa di inezie o d'argomenti affatto stranieri alla  filosofia, come sarebbero, ad esempio, gli articoli Alfabeto,  Agricoltura, Alessandro, Aneddoti, Drammatica, Grano, Go verno, Imposta e tanti altri, basta dire ch' esso trascura un 7  grandissimo numero di vocaboli necessariissimi a conoscersi  e adefinirsi, e dei filosofi ed eretici appena pochissimi accen na, per capire che l'autore fu prolisso in quelle cose nelle  quali doveva esser parco, e fu invece soverchiamente parco  dov' era necessità il diffondersi.  Questi ed altri difetti, che or non giova ripetere, io  ho cercato di evitare; onde non paia immodestia la mia,  se qui mi piace affermare la intera autonomia di questo  lavoro, il quale, d'altronde, ha potuto attingere la sua forza  nei moderni progressi delle scienze e nel vigoroso indiriz zo della nuova filosofia.  Ad ogni modo,se io non sono riuscito ad appagare in teramente il desiderio degli studiosi, non credo che la tol teranza del lettore potrebbe, senza ingiustizia, venirmi meno.  Eper vero, se a Voltaire, ricco, pieno di fama e di sa pere, protetto dalla corte e appoggiato dal concorso volon tario dei più illustri pubblicisti (* ) non è riescito di far  opera perfetta, e nondimeno il mondo degli Enciclopedisti  in mezzo al quale getto quel suo lavoro, giudicollo assai  benignamente, mi pare che, fatte le dovute proporzioni, una  eguale indulgenza non possa rifiutarsi a chi nella sola sua  attività e nelle sue sincere convinzioni attinge l'impulso  ad operare, e non ha poi su Voltaire altro vantaggio, che  quello di essere venuto un secolo dopo.  (*) Federico di Prussia in una sua lettera fa risalire la data dei primi arti coli del Dizionario Filosofico di Voltaire all' anno 1751, ma Colini, che poteva es ser meglio informato, così ne fa la genesi: « Il progetto del Dizionario Filosofico  dev' essere riferito all' anno 1752. Il disegno di quest' opera fu ideato a Postdam,  ove in ogni sera, mentre Voltaire sen' giaceva a letto, io gli leggeva, secondo l'uso,  qualche frammento di Ariosto o di Boccaccio. Il 28 Settembre egli si coricò assai  preoccupato, e m' apprese che alla cena del re (Federico di Prussia) molto si era  parlato dell' idea di un Dizionario Filosofico, la quale a poco a poco concretata,  si era convertita in un progetto serio. Ei mi diceva che gli uomini di lettere del  re, e il re stesso dovevano lavorarvi intorno di concerto, e che si distribuirebbero  gli articoli, tali che Adamo, Abramo ecc. Credetti in sulle prime che questo pro getto non foss' altro che un ingegnoso scherzo inventato per rallegrare la cena;  ma Voltaire, vivace e ardente, s' accinse al lavoro ' indomani ».  ABELARDO  A  9  Abecedarj. Dopochè Lutero ebbe | nella quale si distinse,meno, a dir vero,  assodato il principio, che la ragione in- per la novitàde'suoi precetti, che per la  dividuale è sola giudice dellainterpreta- | foga giovanile e per la insinuante elo zione delle Sante Scritture, Stork, di scepolo di lui, a rinforzare la massima  del maestro, insegnò che lo studio non  giovava a nulla nella interpretazione, ne  eraanziunimpedimento,edistoglieval'uo modallaparoladi Dio.Laondediceva, che  migliorpartito quello era di non imparare  aleggere, perocchè coloro ch'erano dotti  correvano pericolo di dannarsi. Parrà  strano che da un principio diretto a sol levare la dignità individuale, venisse de  quenza. A Parigi fu preso d'amore per  la nipotedel canonico Fulberto per nome  Eloisa, la sedusse e la mend in moglie  con vincolo segreto; ma gli amori suoi  resi popolari da una lettera ch'egli stesso  scrisse, non furono nè onorevoli per lui  nè ebbero buonfine.Poco di poi Eloisa  prendeva il velo, e Abelardo, fattosi mo naco, incominciò a scrivere su cose teolo giche. Or si è appunto nella sua In troduzione alla Teologia e nella Teolo gia cristiana ch'egli, cercandodi provare  la verità della religione e dei misteri  per via di similitudini che li rendessero  chiari epalesiall' intelletto, ebbe, da certi  filosofi moderni, il nome di razionalista.  Il quale se sia meritato io non saprei  dire, ma parmi, ad ogni modo, che il  dotta una conseguenza cotanto abbietta  econtraria allanostra intelligenza, e nol  si crederebbe davvero, se la setta degli  abecedari, che fu un ramo degli Ana battisti, non fosse stata abbastanza dif fusa nella Germania, e non avesse anno verato nel suo seno Carlostadio, uno dei  capi della Riforma. Ma tant'è; qualun- | vanto di appartenere a cotesto raziona que sia il nome ch'ella abbia e dovunque  s'indirizzi, la superstizione riescirà sem pre a conseguenze funeste per l' umana  dignità.  Abelardo. (Pietro )Le solite esa gerazioni degli spiriti deboli, hanno at tribuito a questo teologo una poderosa  missione contro alla Chiesa; nè manca rono filosofi, come Cousin, Rémusat e  altri molti, i quali lo onorassero col ti tolo di vero campione del libero pensiero  nel medio evo. Cotesto èerror massiccio,  e ci vuol poco a dimostrarlo. Abelardo  nacque nel 1079 in Palais nella Bretta gnada nobile e ragguardevole famiglia.  Studið dialettica a Parigi ed a Laon e  fu egli stesso maestro di questa scienza  lismo teologico non gli rimanga incon trastato, avvegnachè, senza tanto dilun garci, Roscelino, maestro suo e capo  della scuola nominalistica (vedi NOMINA LISMO), non solo aveva prima di lui sot toposto al ragionamento il mistero della  Trinità, ma ancora l'aveva scosso dalle sue basi. Vero è che Abelardo fu accusato  e condannato nel Concilio di Soissons,  ma nulla ci autorizza a credere che tal  condanna sia stata pronunciata contro ai  suoi principii razionali; chè anzi nelle  quattordici proposizioni condannate, non  vi troviamo altro che errori teolo gici intorno alla natura di Dio, della  Trinità e del peccato originale, i quali,  dal più almeno, furono prima di lui pro 10  ADAMITI  fessati da Pelagio, Nestorio, e Sabellio ed  altri celebri eresiarchi (Vedi questi nomi).  Benè vero che unsecondo concilio adu nato a Sens sipronunciò controleopinioni  d' Abelardo, il quale, per altro, protestò  di non aver mai professati gli errori  che gli si imputavano, ed egli stesso  gettò sul fuoco il libro nel quale pre tendevasi che li avesse esposti. Ma è lecito  credere che quella persecuzione , meno  procedesse dall'odio per l'eresia, che per  occulti rancori e rivalità personali fra  Abelardo, l'abate di Thierry in prima,  e S. Bernardo poi, il quale non aveva  mancato di additarlo allacorte di Roma  siccome « un Dragone infernale e il pre cursore dell' Anticristo ». E la corte di  Romanondurò fatica a credere alle poco  cristiane accuse del turbolento santo, in quantochè costui non aveva mancato di  insinuare che Abelardo aveva stretta una  occulta lega con Arnaldo da Brescia per  rovesciare il primato di Gesù Cristo (V.  Bernardo Epist. 330, 331, 336, 337). Ma  giova credere, cosa d' altronde confessata  dagli stessi cattolici, che siffatte accuse  non avevano ombra di fondamento, fuor chè in una inimistà personale, perciocchè  ritiratosi Abelardo nel monastero di Clu gni, fu rappacificato con S. Bernardo e  vi morì, come dice l'abate Pluquet, con  edificazione di tutti i religiosi nel 1142,  in età di 63 anni.  Accademica. Dicesi scuolaAcca demica la filosofia che fu insegnata nella  Grecia durante il periodo di quattro se coli circa, che corrono da Platone fino  ad Antioco. Tre sono le Accademie ge neralmente ammesse. Quelladi Platone  è la prima; la media di Archelao, e la  nuova di Carneade. Una quarta Accade mia èriconosciuta da altri; e altri ancora  ne ammettono una quinta di Antioco  (Sesto Empirico. Instituzioni Pirroniane  lib. I c. 33). S'intende da se, che lapri ma scuola accademica rappresentata da  I'latone eda Socrate fu lanaturale alleata  dellospiritualismo; ed è perciò chegli spiri tualisti eccletici, perla boccadel Prof. Sais set, riconoscono che la prima soltanto è  giunta all'apogeo dellagrandezza, mentre  colle altre s' incamminò verso la deca denza. Il fatto si è che con Arcesilao lo  scetticismo s'introdusse nell'Accademia e  Carneadelo rinforzò provando che fra  una percezione vera e una falsa non  vi limite tracciabile, essendo lo spazio  intermedio occupato da altre percezioni  la cui differenza è infinitamente piccola:  onde tra la scuola Accademica di Car neade e il Pirronismo, non vi è che una  differenza di quantità o, per meglio di re, d' estensione.  Adamiti. Il Beausobre ha tacciato  di inesattenza S. Epifane, il quale rife risce (Hæres. 51) che gli eretici di una  antica setta solevano assistere alle ra dunanze del culto affatto nudi, d'onde  avevano preso il nome di Adamiti, per ciocchè fu appunto in tal costume che  Adamo sen' venne al cospetto della di vinità.  Quantunque la cosa sembri strana,  non è tuttavia inverosimile, e se riflet tiamo che tra i Greci ed iRomani l'uso  di scoprirsi la testa e di spogliarsi in  parte in segno di rispetto era generale,  non ci parrà impossibile che l'abbiano  adottato anche i cristiani. Anzi, contra riamente all' uso ebraico ancor vigente  nelle sinagoghe, dice S. Paolo che i  Greci convertiti oravano e profetizza vano a testa scoperta, e Plutarco rife risce che Augusto, scongiurando il Se nato che non volesse imporgli la ditta tura, si abbassò fino alla nudità. Fatta  la dovuta parte ai costumi dei tempi,  non vi è dunque nulla d'invērosimile  che alcuni cristiani per un sentimento  di esagerazione facilmente spiegabile in  uomini entusiasti, abbiano preteso che  meglio conveniva onorar Dio nel co stume stesso ch'egli aveva dato al pri mo uomo. Quelche intendere nonsipuò,  si è che cotali settari entrando, maschi  e femmine, nel tempio ignudi si con servassero casti a loro modo.  Anche in tempi più recenti lanudità  comeprincipiodi cultononmancodi setta tori. Gli Adamiti ricomparvero nel secolo AGNOETI  XIII guidati da Tanchelino,il quale con  tre mila armati piantò la sua sede in  Anversa; e nel secolo XIV, sottoil nome  di Turlupini e di poveri fratelli, nel  Delfinato e nella Savoia an-lavano affatto  11  nudi ed inpieno giorno commettevano le  azioni più brutal i. Furono distrutti da | chè non sono rivelati mediante la pro  que attribuiti a Mosè; profetici, e son  quelli di Giosuè e seguenti; ed agiografi  che sono i Salmi, Proverbi, Giobbe,  Daniele, Esdra, Paralipomeni, Cantico,  Ruth ecc. Agli agiografi attribuiscono  un valore inferiore agli altri, inquanto CarloV, che molti ne fece abbruciare. Un  secolo dopo nella Germania, un fanatico  per nome Picard facendosi credere no velloAdamo inviatodaDioper ristabilire  laviolata legge di natura, insegnò la  nudità del corpo e la comunanza delle  donne essere regola naturale; e ai suoi  seguaci ingiunse di passeggiare affatto  nudi però che, diceva, chiunque copre la  sua nudità, senza ribellione dei sensi  non può più vedere una persona di  sesso diverso dal suo.  Non sono molti anni che alcuni fa natici tentarono di ristabilire la setta  degli Adamiti in America. Radunavansi  costoro in un granaio di Brooklyn a  Nuova Jork, ch'essi dicevano il Para diso Terrestre, e colà, uomini e donne,  nel costume Adamitico facevano le loro  divozioni. Ma nonostante la libertà reli giosa concessa negli Stati Uniti, la po lizia non ha creduto di poter, tolle rare questa novella rivelazione; laonde  gli Adamiti furono dispersi e minac ciati di un processo.  Adiaforisti o indifferenti. Nome  dato a coloro che nel secolo XVI segui rono Melantone, al quale il carattere  pacifico impediva di aderire all' estrema  violenza e al fanatismo con cui Lutero  perseguitava gli avversari.  Afortiori. Tanto meglio, amag gior ragione. Impiegasi nelle materie di  pura controversia, quando si conclude  dal meglio provato al men provato,  dal più al meno, come per esempio:    Agiografi. Dal greco: scrittori sa cri. Gli ebrei distinguono i libri della  Bibbia in legislativi, é sono i primi cin fezia. Comunemente poidiconsi agiografi  tutti gli autori che scrissero la vita dei  santi.  Agnoeti. Il capitolo XIII, verso 32  dell' Evangelo di S. Matteo, dice che  quanto al giorno e all' ora del giudizio  universale nessuno la sa, non pur gli  Angeli che sonnel cielo,nè il Figliuolo;  ma solo il Padre. Fondandosi sopra que sto passo, verso la metà del quarto se colo i discepoli d'un tal Teofronio so stennero, e, per verità, non senza fon damento, che Iddio non aveva una scien za universale, ma ch' egli pure andava  manmano estendendo le sue cognizioni.  Il perchè, dicevano essi disputando, se il  Figliuolo è consustanziale al Padre ed è  Dio egli stesso, come potrebbe ignorare  il giorno del giudizio, se questo giorno  è noto al Padre Dunque, o Gesù Cristo  non è Dio, e inquesta opinione vennero  gli arriani ( Vedi ARRIO ) oppure vi  hanno cose che la sua divinità ignora;  d'onde costoro ebberoilnomedi Agnoeti,  sinonimo d'ignoranti, siccome mettevano  l'ignoranza in Dio. Alcuni padri tenta rono di rispondere a questa difficoltà, ma  non ebbero che ragioni fiacche o scem pie. Chi, come S. Atanasio (Sermone  contro ' Arrianesimo) addusse che Gesù  aveva ignorato il giorno del giudizio  in quanto era uomo, e chi aggiunse (Ori gene in Mati) che con quelle parole il  Figliuol di Dio questo solo aveva voluto  dire, che non aveva in quella cosa una  scienza sperimentale; il che, per altro,  poteva dirsi eziandio del Padre. Ma pare  che nenimeno i credenti fossero molto  convinti di queste ragioni, poichè non  mancarono altri che tentarono d' intro durre un nuovo genere di spiegazione,  sopprimendo addrittura il versetto in  questione. Tanto almeno ci riferisce Fa 12  ALBIGESI  bricio, il quale ha potuto accertare che | disegno di mettersi al coperto dal fer in parecchi manoscritti antichi dell' E vangelo di S. Matteo questo passo era  scomparso. E fu buona ventura che tal  soppressione non riuscisse a più com pleti risultati, avvegnachè ben giovache  la Chiesa porti seco il pesante fardello  de'suoi errori.  Albigest. Nomedato ad una setta  di eretici che occupavano la Linguadoca  nel dodicesimo secolo. Quali fossero le  dottrine degli Albigesi non è facile lo  stabilire, perocchè ilBasnage, forse per  soverchia tendenza a mostrare la conti nuità della tradizione delle dottrine pro testanti,, li confuse co'valdesi, mentre il  Bossuet e altri cattolici vogliono assimi  larli ai manichei. Certo è che fra le mol tissime sette che pullulavano in quei se coli, gli Albigesi potevano avere attin to un po' a tutte lecredenze. Quindi se  al manicheismo avevano tolta la creden za che Lucifero era concorso nella crea zione del mondo, nonpuòdirsi per questo  cheessi ammettessero che cotesto spirito  decaduto fosse indipendente e coeterno a  Dio. Non è certo che'negassero la divi vinità di Gesù Cristo, e alladottrina della  Riforma s'accostavano in questo, ch'essi  negavano l'efficacia dei Sacramenti. Gli  Albigesi sono celebri nella storia per la  feroce repressione cui andarono soggetti.  Contro di essi Innocenzo III bandi una  crociata per la quale concesse i medesi mi benefizi spírituali che avevano lucrato  i crocesegnati diretti alla liberazione, del  santo sepolcro. Guidavano la crociata  l'abate dei cisterciensi, legato del papa,  ch'ebbe il titolo di Capitan Generale;  1 arcivescovo di Bordeaux e il vescovo  fi-Limoges. L'esercito de'crocesegnati  espugnò dapprima Beziers, e vi commise  vore dei vincitori, seguendo il primo  moto del loro impeto, comechè non erano  da alcuno comandati, si gettarono su  quegli infelici e li trucidarono tutti senza  che un solo potesse salvarsi ». Ma se i  crociati non erano diretti da autorevoli  persone, ordini autorevoli avevano rice vuti dal Legato del papa, il quale, in terpellato come distinguere si potessero  i cattolici dagli eretici, uscì in queste  memorabili parole: Uccidete tutti, Iddio  riconoscerà i suoi. Debellata Beziers po sero l'assedio a Carcassona, che s'arrese  a patti, quindi si volsero contro Lavaur,  ove ben ottanta gentiluomini furono ap piccati, e mossero infine contro Tolosa  scopo ultimo della crociata e focolare  dell' eresia. Inaudite barbarie scrive il  cattolico Hurter, (Storia di Innocenz. III)  segnarono il cammino dell'oste cattolica:  inermi operai, donnee fanciullitrucidati ;  distrutti i vigneti, atterrati gli alberi,  segate le messi, i casolari e i villaggi  dati alle fiamme fino presso della città,  dove finalmente icrociatiposero il cam po ». Dueanniresistette ilconte di To losa a quell' orda de'vandali cristiani, ma  infine, debellata la città, ben 15,000 nuove  vittime furono immolate al sitibondo  mostro del fanatismo.  Si chiuse la crociata con la convoca zione del Concilio di Tolosa nel quale i  vescovi, di concerto coi signori, statui rono severe pene contro gli eretici,   Eraclito, scriveva Aristotile,  crede che l'animadel mondo sial'eva porazione degli umori esterni che sono  in lui,eche l'animadegli animali pro cedetantodall'evaporazione degli umo ri esterni che interni dello stesso ge nere>Macrobio però corregge il sen timento di Eraclito, dicendo ch' egli  credeva che l' anima appartenesse al l'essenza stellare (animam scintillam  stellaris essentiæ ). « Esiste, dic' egli,  moto, d'ogni vita. Quando un corpo  deve essere animato sulla terra, una  molecola rotondadi questo fluido gra vita per la vialatteaverso la sfera lu nare, e colà arrivata ella si combina  conun'ariapiù grossolanae diventa atta  ad associarsi colla materia.Allora essa  entra nel corpo che siforma, lo riem pie per intero, lo anima, cresce, soffre,  ingrandisce, e con esso lui vien meno.  Allorchè in seguito ei perisce ed i suoi  elementi grossolani si disciolgono, que stamolecola incorruttibile se ne separa  eal grande oceano dell'etere si ricon giungerebbe senza ritardo, se la sua  combinazione coll' aria lunare non la  ritenesse ( Macrobio. Sogno di Sci pione) ». Ennio invece non si accorda  con Macrobio, e vuol che l'anima sia  tratta dal Sole (Varrone Della lingua  Sabina lib. IV). Zenone la riconduceva  agli elementi del fuoco, e gli stoici ag giungevano che il seme umano non é  altro che un estratto delle parti dell'a nima. » Epicuro, dice Plutarco. crede  che l'anima sia unamiscela di quattro  cose, di un certo che di fuoco, d'aria,  di vento e di una quarta sostanza che  non ha nome. Un'aria sottile la crede vano Anassagora, Anassimene Diogene ;  Anassimandro, piú ragionevole degli al tri, credeva che l'anima altro non fosse  che il sangue; ma Marc' Antonino la  faceva derivare dal sangue e dal vento;  eDicearco diceva addrittura che anima  nonv'era.  Da questi esempi noi dunque ve diamo che quasi tutta l'antichità pa gana ignorava affatto la spiritualità del l'anima ; ma i nostri moderni credenti  saranno molto sorpresi di sapere che  eziandio l'antichità cristiana non la co nosceva meglio. Non ho bisogno di dire  che le Bibbia stessa non ci dauna idea  dell' anima che sia men materiale di  un fluido luminoso, igneo, sottilissimo, quella che avevano i filosofi pagani. In 30  ANIMA  fatti le due volte che l'autore della  Genesi discorre dell' anima, ce la mo stra, nell'una siccome un fiato, nell'al tra siccome identica al sangue. » E il  «Signor Iddio formò l' uomo dalla pol «vere della terra e gli alitò nelle nari   Èuna difficoltà grandissima, dice De  la Lubere » il dare ai Siamesi l'idea di  un puro spirito, e lo attestano i missio nari che vissero lungamente in quei  paesi. Per vero, tutti i paganidell'Oriente  credono che dopo la morte dell' uomo  qualche cosa sussista separatamente e in non è molto antica. E per verità, una  astrazione di questa natura non troppo  facilmente si forma, perocchè ciò che  contrasta colla esperienza e colla realtà,  ripugna non meno ai sensi che alla ra gione. Noi possiamo dunque dire senza  tema di errore, che la spiritualità del l'anima è concetto quasi esclusivamente  cristiano, perciocchè non ci voleva meno  che una gran tendenza al patire, e una  delirante smania di fiacccre la carne e  distruggere i vincoli del corpo, per far  sorgere nel nostro cervello il pensiero di  un Ente, che è la negazione di tutte le ANIMA DEL MONDO  entità; il che sarà dimostrato nell' arti colo SPIRITO.  Quale poi sia la sede dell' anima, fu  oggetto di strane e curiose ricerche fra  imetafisici e iteologicidell'antichità, nè  occorre dire che essi, come al solito, nè  si accordarono nè si intesero intorno a  questo punto. Parendo a Platone che  un' anima sola fosse poca cosa, tre ne  suppose: l'una ragionevole, e la mise nel  cervello; l'altra irascibile, e la collocò nel  petto; l'ultimaconcupiscibile e laconficcò  31  prevalente. Bacone crede invece che due  principii siano in noi: un' anima sensi tiva comune a tutto ciò che respira, ed  un' anima ragionevole particolare per  nel basso ventre. Tanto valeva il creare  addrittura un'anima per ogni special fun zione del corpo umano. Maquelli che si  contentaronodiun'animasola, laposeronel  petto o nel cervello; e fra quelli che la  posero nel cervello Descartes la conficcò  nella glandula pineale, per la ragione  che nel cervello è sola e vi è sospesa  in guisa da prestarsi atutti imovimenti.  Ragioni altrettanto convincenti consiglia rono altri a porre l'animanei ventricoli  del cervello, o nel centro ovale, o nel  corpo calloso, e altri in altri siti non  meno curiosi.  Che gli australiani ignoranti e rozzi  come sono, credessero, come abbiamo  veduto, che l'uomo può avere due ani me, è cosa che non farà maraviglia a  nessuno. Quel che sorprende è, che una  tal supposizione abbiapotutoentrarenella  testa d'uomini d'ingegno e che ebbero  fama d'increduli, come Bacone e Buffon.  Ambi supposero che fossero in noi due  principii, e il Buffon credè di provarlo  citando certe contrarietà, che talora na scono in noi per la noia, l' indolenza e  il disgusto, in cui pare che il nostro io  sia diviso in due persone; laprima delle  quali, che rappresenta la facoltà ragio nevole, biasima la seconda,ma non è ab bastanza forte per opporsi efficacemente  evincerla. Ed è strano davvero, dico io,  che un naturalista non siasi avveduto  chequesta sorta di contrarietà, piuttosto  che riferirsi a due principii,non rappre senta altro che quello stato nel quale  l'io non sa,nè può determinarsi fra due  opposti stimoliesterni, nessun de' quali è  l'uomo. Ma il cancelliere d' Inghilterra  non si avvedeva, che separando la sensa zione dal pensiero scindeva indue l'unità  dell'io senziente, e riteneva che il pen siero fosse indipendente dalla sensazione;  il che è assurdo, poichè in tal caso non  solo bisognerebbe riconoseere l' esistenza  di pensieri o di idee innate, ma si do vrebbe ancora ammettere che oltre alla  sensazione, nel feto appena concepito esi ste eziandio il pensiero. Perocchè, o l'a nima pensante esite nel feto senza pen siero, il che è assurdo; oppure il prin cipio pensante pensa nel feto realmente  prima ancora che si siano formati gli  organi della sensazione. Il che non è  meno assurdo, non potendosi concepire  alcuna idea che possa essere dimostrata  anteriore alla sensazione. (Vedi IDEE IN NATE, PENSIERO, IMMORTALITÀ, ANIMA ZIONE. Per l'animadelle bestie v. BESTIE).  Anima del mondo. Poichè si  era dotato l'uomo d un'anima per spie gare l'attività del corpo, ragion voleva  che al mondo, o, per meglio dire, all'u niverso, si assegnasse un' altra anima  per spiegarne i movimenti. Nella filoso fia greca Platone, il padre di tutti i  misticismi possibili e impossibili, ebbe la  gloria d'inventare questa singolare ani ma, la quale, a parer suo, concorrere  doveva a rendere perfetto il mondo e a  spandere in ogni parte il movimento e  la vita. Ei non pensò nemmeno che se  il mondo era animato, e l'uomo si com pone della materia di che è composto il  mondo, ' assegnare un' anima aquesto  secondo essere, diventava una duplicità  inutile. Ma ciò non doveva sgomentare  Platone, il quale aveva giàdotato l'uomo  di tre anime. (vedi ANIMA) L'anima del  mondo passò naturalmente nella scuola  d'Alessandria, erede delle teorie di Pla tone; ma presso gli stoici viene innal zata fino all'idea di Dio, con questa sin golarità però, che questa anima-Dio è 32  ANIMAZIONE  una forza attiva della materia e le im prime il movimento e le dà le forme  sotto le quali ella ci appare. Del resto,  il concetto dell'anima del mondo o del I' anima universale, è domme pressochè  generale di tutta la filosofia antica, ma  manifestamente si concreta in Zenone,  il quale si raffigura il mondo come un  grande animale sferico composto di ma teria e d' intelligenza, e l' intelligenza  concepisce sotto un certo che d' igneo,  che definire non si pud. Imperocchè il  fuoco ha una parte principalíssima in  tutti i sistemi filosofici dell'antichità, e  siccome era quanto di più sottile si co noscesse, così sovente i filosofi ricorre vano alla sua imagine per rappresen tare le loro inesprimibili astrazioni, come  oggi ricorrono alla parola Spirito per  rappresentare tutto ciò che definire non  si pud. L'animadel mondodiventa ancor  più materiale con Aristotile, il quale la  confonde con l'etere che, a parer suo,  muove l'universo.A'giorni nostri l'anima  del mondo è scomparsa ed è stata so tendimento, l'altra alla sensibilità, ed era  questa che si chiamava carro sottile del l'anima secondo i pitagorici, e che i rab bini, al dir di Macrobio, chiamavano  vascello (Macr. Sogno di Scipione). Se guitando la dottrina dei germi preesi stenti, Ippocrate da buon medico, rese il  mistero dell'animazione un po' piùmate riale, supponendo che i germi delle ani me, fluttuanti nell' aria, per gli organi  della respirazione si introducano nel cor po umano, si svolgano primamente nel  sangue e poi nell'utero. Come si vede,  questo ingegnoso sistemanon aveva che  un difetto solo, quello di rendere super flua l'azione del maschio, poichè se i  germi dell' animagià esistononella fem mina, non si capiscelaragione onde non  si sviluppino da soli. Meno male chePla tone era stato lontanissimo da queste  materialissime figuredell' anima; egli l'a vea anzi elevata alla sublime altezza  dei suoi sogni incomprensibili. » L'esi stenza di ogni generazione, diceva egli,  consiste nell'unità dell' armonia triango stituita dalla forza, che alcuni concepi- golare (e perchè nondel quadrilatero ?);  scono come principio indipendente e se parato dalla materia, sistema che è ca gione di tanti errori e di tante aberra zioni ( vedi FORZA).Ma in conclusione i  filosofi moderni che così pensano, non  fanno che cambiare nome alle cose, e  riprodurre, sotto forme nuove, sistemi an tichi.  Animazione.Dopo avere esposte  le varie opinioni dei filosofi intorno al l'anima umana, ( vedi ANIMA) conviene  oraesaminare lenonmeno singolari idee  che essi hanno concepite per spiegare il  modo con cui essa si forma e penetra  del nostro corpo. Pitagora è il primo  che accenni alla preesistenza dei germi  per tutti gli animali. Quanto all'uomo,  egli diceva che si compone di una so stanza la qual discende dal,dervello del  padre e che si sviluppa per mezzo di un  vapor igneo. Cotal sostanza forma, se condo lui, il corpodel figlio, e il vapore  costituisce l' anima sua. La quale però  è doppia, perchè l'una parte serve all'in il simulacro del padre che genera, e  quello della madre nel quale si genera  possono bencostituire due lati del trian golo; ma per renderlo perfetto bisogna  aggiungervi il terzo lato della figurama tematica, vale a dire il simulacro del fi glio che è generato. » Ecco una spiega zionela quale,senonsaràintesa,non sarà  però meno ammirata, poichènella meta fisica di solito si ammira appunto ciò  che non s' intende.  Anche la casistica cristiana non ha  voluto lasciare inesplorato questo ferti lissimo campo delleumane congetture, e  S. Agostino nelle sue Meditationes de votissimæ si domanda: Quid sum ego ?  E risponde: Homo de humore liquido;  fui enim in momento conceptionis in  humano semine conceptus. Deinde spu ma illa coagulata modicum crescendo  caro facta est. S. Agostino non poteva  risolversi a credere che l'anima, occulta ta nel semepaterno, s'infondesse nelger me della madre al momento della fecon ANIMAZIONE dazione. Se così fosse quante anime an drebbero perdute acagionedell'onanismo  edella spontanea polluzione ! Ecco per chè egli crede che l'anima umana, alla  33  mo fatto. Siamo già assai lontani dalle  assurdità teologiche, ma lontani ancora  dalla verità. Harwey ci fa avanzare diun  guisa stessa di quella del Salvatore, ri sieda nel ventre dellamadre. L'aziondel  padre è nulla in quanto allo spirito!  L'aníma s'infonde direttamente nel seno  materno ! Senza avvedersene Agostino  cadeva nella contraddizione d' Ippocrate  enon giungeva a spiegare perchè mai  le anime non sbucciassero fuori da se  sole, dal momentoche s'infondevano nel l'utero materno senza alcuna azione del  maschio. Ma aveva egli ben altri pro blemi da spiegare ! Trattavasi di sapere  inqual momento l'anima umana sarebbe  restata contaminata dal peccato origina le; ciąè, se prima o dopo la infusione  nel seno della madre. E risponde, che  l'anima infusa èviziatadalla carne(Quæst  Vet. Qest. XXIII) Per lo teologia Iddio  hadunque questo nobilissimo ufficio, di  creare continuamente delle anime e di at tendere il momento della fecondazione  per infonderle subitamente nel ventre  della femmina. Quante innumerevoli oc cupazioni per un Dio solo! Nè la opi nione di S. Agostino sulla continua cre azione rimane senza fondamento. Egli  l'appoggia sopra ilvangelo, dove è detto  che il padre opera sino ad ora (Giov. V  17) e dove S. Paolo dice: Seminatur  corpus animale, surget corpus spirita le. Infine S. Agostino doveva avere an che la testimonianza di un papa, Ales sandro VII, il quale nella sua infallibi lità , colla costituzione dell'anno 1661, di chiarava che l'anima di Maria Vergine  nel primo istante della creazione e infu sione nel corpo, per special grazia epri vilegio di Dio, fu preservata dalla mac chiaoriginale.  Ma abbandoniamo lacasistica e pas siamo alla filosofia moderna. Ecco De scartes che genera l'anima col concorso  de' due semi e per l'intermediario del  movimento. Le molecole dei due spermi  fermentano insieme, ed ecco uscirne un  cuore, un naso, braccia e gambe; un uo passo: è ancor poco, maè sempre meglio  che nulla. Carlo I d'Inghilterra gli aveva  abbandonate le bestie selvaggie dei suoi  parchi, e il medico sì bene ne usò che  dopomoltissime dissezioni anatomiche si  accorse, che un punto animato s' agitava  nel liquor cristallino della matrice. II  punto-anima eradunquetrovato, manon  era giàil punto matematico senza dimen sioni, non una astrazione metafisica; era  unpuntomateriale. Piùtardi Leuwenhoek  esaminando col microscopio lo sperma  umano vi scoprì gli animalucoli sperma tici: fu una rivelazione. Una goccia di  sperma diventava un oceano di anime.  C'era tanto dasgomentarnela metafisica  e la filosofia teologale. Come ! Un ani malucolo spermatico, una sorta di rettile  microscopico che naviga nel liquor semi nale sarà quello che s'insinua nell' uovo  della matrice, lo feconda e si trasforma  in uomo? Come! sarem noi dunque i di scendenti di un animale, poichè non vi  ha dubbio che questo animale spermatico  rappresenta il principio dell'animazione?  L'anima sarà dunque unprincipio mate riale; un puntomobile che naviganegli  organi genitali del maschio? Bisognava  ad ogni costo distruggere cotesta teoria,  enon mancarono filosofi che vi si ac cingessero con un santo entusiasmo. Un  naturalista che non osava negare questi  animalucoli spermatici, cereò distruggerli  in altro modo, e scrisse ch'erano come  una sortadiparassiti, che vivevano nello  sperma, come gli ascaridi vivono sotto la  pelle e gli entozoari negl'intestini, insom mauna sorta di malattiache si era ge nerata un mezzo secolo indietro. Gli fu  mostrato che i vermi seminali non si  trovano nè nei bimbi, nè negli eunuchi,  nè nei vecchi, nè negli adulti durante il  periodo di certemalattie. Malafede val  più della logica e dell' esperienza, e il  malizioso contradditore nonmancò di dire  che ciò dipendevaperchè inquegli esseri  erano morti. (Bourguet Lettre philos.  3 34  ANIMAZIONE  sur la formation des sels et des cristaux). coli; cosa impossibile a concepirsi. Con Parevache dopolascopertadi Leuwen- tuttociò i partigiani di Vallisnieri non si  hoek ilmistero dell'animazione dovesse es- diedero per vinti, ed anzi procuraronodi  sere spiegato col concorso del doppio ribattere lobbiezione movendone un'altra  elemento: lo spermatozoide del maschio, dello stesso genere ai partitanti degli  el'ovulo dellafemmina. Ma per solito spermatozoidi. Una balena che pesa sei le cose più semplici son quelle che centotrenta mila libbre , dissero essi,  Diacciono meno. Un famoso medico ita- nel ventre della madre saràdunque stata  liano, il dottor Vallisnieri, discerolo di settecento quarantotto milioni ottocento  Malrighi, sulla fine del secolo XVII s'av- mila miliardi di volte più piccola della  visò di imaginare che l'ovario della prima sua mole attuale. Il numero è prodigioso  femmina contenesse delle uova, le quali davvero, ma ancor lontano da quello di  aloro volta contenessero degli altri es- trentamila cifre. (Altri calcoli non meno  seri organizzati coloro ovari piú piccoli,  curiosi si possono vedere nelle opere di  ecosì di seguito all'inanito. Con questo Rouybe T. II) Harsoëker si credette  metodoil dottor Vallisni ri faceva risalire vinto, ma ebbe torto. Il perno della que direttamente a Dio la creazione primitiva  stione non sta nella maggiore o minore  di tutti i germi, che nel corso dei secoli piccolezza del germe; bensì nel fatto che  si sarebbero poi trasformati in uomo ; gli spermatozoidi si vedono e i germi  perocche Iddio, creando il primo germe, preesistenti non si vedono guari. Ad  aveva posti dentro, l'uno nell'altro rav- ogni modo la controversia non era finita.  volti, i tutti germi futuri. Tal fu il cele- Dopo Harsoëker viene Needham, gran  bre sistema dei germi preesistenti e del fautore dell'epigenesi, celebre per le sue  Loro imbottamento in un solo. Come si esperienzemicroscopiche, le qualivalgono  vede, i medici del medio evo erano pure meglio dei numeri del suo predecessore.  i gran metafisici! Ma Harsodber era Egli prende il liquor seminale dell'uomo  rimasto fedele agli animalucoli sperma- e degli animali, lo chiude ermeticamente  tici enonmancò di mostrare quanto fosse in unvetro, lo lascia lungamente esposto  ridicola la teoria metafisica dell'imbotta-| al calore onde farperire ogni essere or mento dei germi preesistenti. Collapenna  alla mano dimostrò il rapporto di gran dezza che doveva esistere fra il grano di  una pianta sviluppata nel primo anno  della creazione, e quello che, dopo una  seria continuata di riproduzioni, si svi lupperebbe nell' ultimo anno del sessan tesimo secolo. Questo rapporto era rap presentato dalla cifra spaventosa di una  unità seguita da trenta mila zeri! Har ganizzato che possa esservi entrato; ma  in capo aqualche tempo, quand'egliesa mina il liquido al microscopio, lo trova  ancor formicolante di animalucoli, quasi  eguali a quelli di cui ilmicroscopio gli  attestava la presenza nella farina di  grano umettata. Da questa omogeneità  di fenomeni Needham fu tratto a con chiudere che la generazione doveva es soëker aveva accettato come base dei  suoi computi i sessata secoli della tra dizione biblica ; e non pertanto quale  orrendo paradosso non risultava egli da  questo semplice calcolo! Un grano di  frumento nel paradiso terrestre, perchè  potesse contenere tutti igermi di ripro duzione di sessanta secoli, o doveva es sere considerata come una cotal forza  vegetativa, la quale, per altro, spiegare  non seppe. Non si negarono le sue espe  rienze, ma si disse che i germi infinita mentepiccolipotevanopenetrare dal di fuo ri anchein unvasoermeticamente chiuso.  Acomporrelaquestionevenne infine  Buffon. Posto tral'incudinee il martello,  ecostretto ad attribuire l'animazione o  sere più grosso del numero di trenta mila cifre or detto, o i germi dovreb bero essere stati di altrettanto più pic- minciò col dichiarare che l'uovo nei vi  all'uovo od ai zoospermi, o spermatozoi di, come più tardi si chiamarono, inco ANIMAZIONE  vipari altro non è che un essere di ra gione, e quanto agli spermatozoidi, se  esistevano, ( prudente riserva ! ) non  potevano costituire il feto. Quindi, sup pouendo che vi siano in ogni essere  35  zione intestinale. (Pouchet. Théorie po sitive de l'ovulation spontanée p. 321).  Adunque, se il fatto dell' assenza o del  l'esistenza di un organismo é contro una quantità di molecole simili sempre  attive, le quali se si liberano dalle parti  inorganiche producono un nuovo es sere, spiegò con esse il grande affare  della generazione. Buffon non si avve deva forse che le sue molecole organi chenonerano, alpostutto, che laripro duzione degli spermatozoidi ? Forse sì;  ma i grandi genii non accettano le  scoperte altrui: le creano a nuovo ! Co munque sia, nè le molecole organiche  di Buffon, né gli animalucoli viventi di  Leuwenhoek piacquero amolti fisiologi  moderni, i quali inclinano a conside rarli siccome elementi organici con correnti alla fecondazione dell' ovulo.  Questaopinione sifondaprincipalmente  sul fatto , che tutti gli animali non  solo si muovono, ma mangiano, dige riscono e si riproducono, cosa che non  si è ancor osservata negli spermatozoidi.  Per altro, non si può negare che le  osservazioni microscopiche siano ancora  troppo incomplete per stabilire assolu tamente la nostra opinione. E la in compiutezza di queste osservazioni fon datamente la possiamo desumere dalla  grande contrarietà di risultati a cui  hanno condotti i micrografi ; talchè  mentre i partigiani dell' opinione che  considera gli spermatozoidi quali ele menti organici, come Prevost, Dumas,  Wagner, Lallemand,Kölliker si fondano  specialmente sul fatto, che essi non  hanno organismo; i difensori della op posta opinione sostengono il contrario.  Ecosì Valentin ha riconosciuto delle  traccie di organizzazione negli sperma tozoidi dell'orso: delle vesciculestomaca liocirconvoluzioni d' intestino; Schwann  pretende chealcentro della testa degli  spermatozoidi dell'uomo esiste unaven tosa analoga a quella dei cerciari, e  Pouchet assicura di avervi osservata una  ventosa stomacale e una circonvolu versa, si capisce facilmente come debba  essere controversa anche l'opinione  della loro animalità, tanto più poi  quando tutti si accordano intorno alla  singolarità dei loro movimenti. Ecco  infatti come ce li descrive A. Longet  ( Traité de Phisiologie p. 739. Paris  1860). » Il raovimento degli spermato zoidi non ha nulla di comune con  quello che si osserva sotto il micro scopio nelle particelle trasportate da  correnti più o meno rapide, o col mo vimento molecolare sul quale R. Brown  ha chiamato per il primo l' attenzione  dei micrografi. Infatti, gli spermato zoidi si vedono dirigersi in avanti,  come se tendessero verso un punto  determinato, ritornare in senso con trario, ciascuno seguire una direzione  differente, urtarsi, separarsi, passare fra  i globuli mucosi che li circondano,  abbassarsi nel fluido ove nuotano 0  elevarsi alla superficie, in una parola,  agitarsi come se fossero sotto l'influ enza di un impulso volontario «. Ar roge che gli spermatozoidi sottoposti  alle esplosioni elettriche, più non si  muovono e il liquido spermatico di venta inetto alla fecondazione.  Ad ogni modo, comunque sia ri solto il quesito dell' animalità o non  degli spermatozoidi, il principio filoso fico nou muta, avvegnacché sia ben  accertato che, molecola o animale, lo  spermatozoide è il principio necessario  della fecondazione. I fisiologi di tutte  le opinioniin questo si accordano, che  il liquido spermatico sprovvisto di sper matozoidi, come frequentamente accade  in quello dei vecchi, dei fanciulli, del  mulo edegli animali selvaggi fuori del l'epoca del rut, non produce feconda zione, mentre poi le esperienze di Spal lanzani hanno dimostrato che una goc cia di liquido tolta da un volume di 18  once d'acqua, nella quale siano stati di 36  ΑΝΤΙΝΟΜΙΑ  luiti soltanto tre grani di seme con  spermatozoidi, può ancora essere dotata  di potenzafecondante. Tutte le opinioni  della teologia e della metafisica non  potranno dunque negare la potenza  fecondatricedegli spermatozoidi, i quali  si ostinarono e si ostinano tuttodi ad  affermare la loro presenza e il diritto di  cittadinanza nel regno umano, e sono  anche l'ultima parola che, nello stato  attuale delle nostre cognizioni, la scien za possa dire intorno al mistero dell' a nimazione umana. L'origine dello spi rito è dunque rappresentatada unamo lecola materiale!  Animismo. Sistema filosofico del  dottor Stahl, il quale, alle cause mecca niche e fisiche colle quali si spiegano i  fenomini vitali e patologici, sostituisce  sempre e in ogni caso l'azione diretta  dell' anima sull' organismo umano. (Vedi  STAHL. )  Anticristo. D' onde derivi la fa vola dell' anticristo non è facile lo sta bilire. S. Giovanni nell' Apocalisse dice  che il diavolo sarà legatoper mille anni  e poi appresso dovrà essere sciolto per  poco tempo, ed uscirà per sedurre le  genti che sono ai quattro angoli della  terra (Apoc. XX 2, 3, 6, 7). Probabil mente Lattanzio copiando questa leg gendaha trasformato Satana nell'Anti cristo, così detto perché deve precedere  di poco la venuta di Cristo per giudi care i vivi ed i morti. Altri teologi più  recenti e non meno famosi lavorarono  intorno a questa leggenda e tessero la  vita di cotesto personaggio favoloso, che  sarà il precursore della fine del mondo.  S. Alfonso de Liguori,nelle sue Disser tazioni Teologiche assicura, sulla fede  di chi, s'ignora, che l'anticristo na sceràin Babilonia dal connubio di una  vergine col diavolo; e dal demonio sarà  educato ne' segreti della magią e nel l'arte di sedurre le genti. Fatto adulto  con falsi miracoli e simulando la santità  della vita, si farà credere il Messia, gua dagnerà i popoli al suo partito, e for merà eserciti, moverà guerra ai principi  e ai vassalli, e infine, gettata la ma schera, si abbandonerà alla più bassa  lascivia e  alle più empie turpitudini.  Sugli altari porrà la propria effige, e  dopo di essere stato riverito dal mondo  come il più santo e il piùpotente, vorrà  sostituirsi a Dio. Rotta allora unaguerra  feroce contro la Chiesa e i suoi mini stri, contro Dio e la Vergine, egli per seguiterà col ferro ecol fuoco tutti colo ro che non vorranno apostatare. Questa  persecuzione durerà mille duecento no vanta giorni, nè più nè meno, dopo i  quali pioveranno dal cielo i torrenti di  fuoco che distruggeranno tutti gli esseri,  e l'arcangelo Michele scenderà dal cielo  per uccidere l' anticristo e gettarlo nel l'abisso.  Selaleggenda teologica, secondo ogni  evidenza, è copiata dall' Apocalisse, con vien dire eziandio che il fondamento del  racconto apocalittico riposa sopra un  mito orientale, vale a dire sopralagran  lotta finale, che, secondo il dualismo  persiano, dovrà avvenire alla consuma zione dei secoli fra Ormuzd ed Arimane,  il Dio della luce e quello delle tenebre.  ( Ved i DUALISMO) La Riforma ha però  ben saputo trarre al suo partito anche  questa favola con un apposito articolo  di fede, nel quale si dichiara che l'anti cristo è il papa; e non mancarono fra i  riformatori uomini che si dedicassero a  studi singolari per dimostrarlo. (Vedi  APOCALISSE.)  Antinomia.Kantchiamaantinomia  ogni contraddizione che derivi dalle leggi  stesse della natura,eche sia indipendente  da quelle del ragionamento. Si corre  quindi incontro all' antinomia tutte le  volte che si abbandona il metodo speri mentale per seguire le astrazioni dell' as soluto, perciocchè laddove le cognizioni  sperimentali ci vengono meno, riesce  facile il sostenere il prò e il contro in  una stessa cosa. Ad esempio, noi pos siamo affermare enegare al tempo stesso  che oltre gli spazi visibili esista altra  materia; affermare e negare che la ma teria sia infinitamente indivisibile e che ANTROPOLOGIA  quindi in un corpo limitato risiede l'in finito; ecc. Queste sono le antinomie  della ragione pura; ma Kant rico nosce eziandio le antinomie della ra 37  Non solo considerò il piacere come in differente, ma come un mal reale; le  gionepratica, nellequalifacilissimamente  s' incorre nella ricerca degli assoluti  principii morali od estetici, avvegnachè  non appena siasi affermato il supremo  bene, o il supremo bello, si trova che  altro era il bene e ilbello affermati dalla  storia passata, ond' è lecitosupporreche  altri saranno quelli affermati dall'avve venire. Non vi è del pari principio mo rale cosi assoluto che la ragione non  distrugga e lastoria nonsmentisca(Vedi  BENE, ESTETICA, MORALE.)  D'onde si vede che l'antinomia con duce neccessariamente allo scetticismo.  Antioco Filosofo accademico nato  in Ascalona un secolo prima di Gesù.  Succedette a Filone, e può dirsi che con  lui è morta la scuola accademica. Di ti mide opinioni, senza indirizzo proprio, egli  tentò di fondare una sorta di eccletismo  fra tutte le scuole dei suoi tempi ; tutte  le volle unire e tutte levolleconsiderare  come nondivergenti che per la forma.  Pretese in tal guisa di conciliare Platone  con Aristotile, Pirrone con Socrate ed  incontrò la sorte di tutti i conciliatori  ad ogni costo, perocchè, se fu amico di  tutti, non riusci per altro a conciliare  alcuno.  Antistene fondatore della setta  dei Cinici, (vedi CINICA); visse ad Atene  sul principio del quinto secolo avanti  G. C. Fu discepolo entusiastadi Socrate  esi dice ch'egli facesse ogni giorno qua ranta stadi per sentirlo. Insegnò il tei smo puro, quasi spirituale dei cristiani,  dicendo che Dio non ha forma, nè può  essere rappresentato da imagine alcuna.  Ènaturale che questa astrazione filoso fica dovesse tendere ad essere se sofferenze invece trasformò in bene, di  guisachè l'uomo queste doveva cercare e  non quello. Quindi l'essenza della virtù  doveva consistere nell'assenza d'ogni bi sogno, e in una sorta di annichilamento  dello spirito. Donde la massima d'Anti stene, che men bisogni noi abbiamo, più  noi rassomigliamo a Dio, che non neha  alcuno. Ventiquattro secoli dopo, la mo rale cattolica per la boccadi Alessandro  Manzoni, doveva proclamare lo stesso  principio: > Piùnoi soffriamo, più siamo  simili al figliuol di Dio(Manzoni. Osserva zioni sulla morale cattolica). Uomini che  non dovevano conoscere il mondo se non  che per ripudiarlo, qual bisogno avevano  del sapere ? Onde, se crediamo aDiogene  Laerzio, Antistene disprezzava la scienza,  nè voleva che s'apprendesse a leggere e  a scrivere; errore che nel medio evo fu  ripetuto dagli Abecedarj ecareggiato da  tutti i mistici.  Antitatti. Eretici che comparvero  verso lametàdel secondo secolo, i quali  professavano il principiodinonfar nulla  di ciò che ordinava la Scrittura. D'onde  ebbero il nome di Antitatti, dauna voce  greca contr'ordinare.  Antitrinitari.Nomecomunedato  avarie sette, che in diverse epoche ne garono il domma della trinità. Gli anti trinitari vogliono essere divisi in due  spezie: i triteisti, i quali suppongono  che le tre persone divine siano tre di verse sostanze; e gli unitari, i quali non  ammettono che unDiosoloele tre perso nedivineconsiderano come semplici attri buti dilui. Queste diverse opinioni furono  sostenute da Arrio, Macedonio, Sabellio,  Prassea, Socino ecc. (Vedi questi nomi).  Antropofagia. Vedi MORALE.  Antropologia.Etimologicamente  vale discorso sull'uomo, e in questo lato  guita da un esagerato misticismo dei  costumi. Quindi ampliando i principii di  Socratesuo maestro, insegnò ladottrina  della macerazione, press' a poco nel mo do stesso col quale la insegnarono  dopo di lui i mistici del cristianesimo. | gressi delle scienze naturali che si ven senso infatti s'intese nel passato, quando o gni scienza, fosse pur metafisica, che ri guardavalostudio dell'uomo,pretendevadi  aver diritto a questo nome. Ma i pro 38  ANTROPOMORFISMO  nero affermando in questi ultimi anni, le  acquistarono un carattere oggidì assai  ben determinato, e tutte le speculazioni  metafisiche sulla natura spirituale del l'uomo relegarono nella psicologia. Or mai, l'antropologia è la scienza naturale  dell'uomo considerato, sia nella sua indi viduale struttura, sia nella varietà delle  razze comparate col diverso sviluppo  fisico e intellettuale, e in rapporto an che cogli altri tipi. Quantunque ristretto  in questi limiti, facilmente s' intende  quanto sia ancor vasto il campodell'an tropologia , avvegnachè entrano nelle  sue ricerche l'anatomia, la fisiologia, non  meno della storia naturale, dellageogra fia e della statistica; e giova dire che in  rapporto alla moltiplicitàdi questi studii,  ' antropologia ha offerto in questi anni  dei risultati assai soddisfacenti, ed ha  potuto dare un vigoroso e nuovo in dirizzo eziandio alle scienze filosofiche.  L' antropologia dividesi in due parti:  l'Antropologia analitica, o etnologia : e  ' Antropologia sintetica, o generale.  La prima applicasi propriamente allo  studio delle razze umane e ne desume le  varietà, le differenze e ipunti di contatto,  sì per i rapporti fisici che morali. La se conda, da queste varietà desume i rap porti generali del tipo umano colle  varietà dei tipi animali. Molti e cu riosi sono iquesiti proposti e risolti in  tutto o in parte dalla antropologia, e  per mostrare qual sia l'importanza che  questa scienza può avere per gli studii  filosofici, basterà additarne alcuni. L'uo mo deriva egli da una o dapiù coppie?  Costituisce nella natura un regno a parte  o pur deriva dalle scimmie? È egli nato  incivilito o dalla più infima barbarie si  è elevato a civiltà? È ammissibile la  tradizione biblica che fissa all'uomo una  antichità di sei o sette mila anni? Sui  quali quesiti vedansi gli articoli: ANTRO POMORFI, DARWINISMO, EMBRIOLOGIA, PA LEONTOLOGIA, RAZZE, UOMO.  Antropomorfi. (Animali a for ma umana). Linneo adoperò pel primo  questo vocabolo onde indicare gli ani mali dell'ordine più elevato dei mam miferi, i quali poi chiamò Primati. Og gidi il vocabolo ha un senso più ri stretto e applicasi generalmente alle  quattro grandi specie di scimmie, che  più si avvicinano al tipo umano, vale  adire: Chimpanzė, Gorilla, Orang-Outan  e Gibbon. Ecco i punti più essenziali  di avvicinamentoche gli antropomorfi  presentano col tipo umano, secondo il  dott. J. Montinié di Ginevra. La statura  la conformazione generale del corpo  e quella dello scheletro, le cui propor zioni relative nei diversi pezzi, il loro  numero e la disposizione sono simili  alle parti corrispondenti del corpo u mano la proporzione delle membra,  l'organizzazione delle loro estremita,  la distinzione possibile in piedi e mani  la loro stazione che è quasi verticale-ilmododi camminare, nel quale, an che quando corrono, come quasi sem pre accade, coll'appoggiodelle membra  anteriori , il corpo non cessa di pog giare principalmente sulle membrapo steriori, in una posizione alquanto ob bliqua, ma non mai orizzontale  la  conformazione della testa e della cavità  del cranio, contenente un cervello ben svi luppato e affatto simile, quanto alla strut tura, al cervello umano-gli occhi di retti in avanti, avvicinati alla linea me diana le narici separate da una sot til divisione  delle orecchie  infine'i denti, che pel  numero, la forma e la disposizione ri cordano perfettamentele parti corrispon denti dell'organismo umano.  Antropomorfismo. Dadue pa role greche che significano forma uma na. In filosofia dicesi antropomorfismo  quella tendenza propriadegl'ignoranti, e  de' bambini specialmente, a dare a Dio  corpo e figura umani, e ad attribuirgli i  pensieri e le passioni degli uomini. Del  resto, tutti i sistemi di filosofia o di re ligione, dal più al meno, tendono all'an tropomorfismo, imperocchè ' uomo non  può pensare che le cosenote, ele ignote  rafigurare sotto I aspetto di quelle che  > la forma e la posizione APOCALISSE  conosce. Errano pertanto coloro i quali  credonodiaver evitato l'antropomorfismo  foggiandosi un Dio puro spirito e per 39  fedeli credevano che S. Michele celebrasse  fettissimo, poichè ' idea di puro spirito  non è che accessoria, e ciò che in tal  caso serve a darci l'idea diDio sono gli  attributi suoi. Or non v'è religione, o  filosofia, come dir si voglia, che non at tribuisca a Dio passioni o tendenze u mane, tali come lacollera o la vendetta  ch'egli prova ed esercita quando alcuno  l'oende. Ma l'idea di punitore che gli  si attribuisce, è un puro antropomorfi smo, sendochènon la siconcepisce altri menti che trasportando in Dio una pas sione tutta umana, logica innoi, assurda  in Dio; però che fra il finito e l'infinito,  a giustamente parlare, non vi è offesa  possibile, come inutile diventa la pena,  considerata come rimedio necessario, lad dove nulla rimediare si può. Questo, a  dir vero, è l'antropomorfismo filosofico,  che fu tanto ben dimostrato dal tedesco  Feuerbach. Ma ancor più comune è l'an tropomorfismo volgare. Tutta la Bibbia,  incominciandoda quel Dio che impasta  l'uomo collesue mani e gli alita in bocca,  fino alla incarnazione del suo figliuolo  che sifa uomo e muore sulla croce,non  è che una serie di antropomorfismi vol gari, dai quali non vanno immuni le  teologie di tutte le religioni del mondo.  Antropomorfiti o atrofiani furono  detti certi eretici del quarto secolo, i quali  fondandosi, e giustamente, sulpasso della  Genesi:facciamo l'uomo anostra imma ginee somiglianza, credettero che Iddio  avesse un corpo eguale al nostro. S. Ci rillo e S. Epifane li confutarono, il che  non impedi che l'eresia non risorgesse  nel decimo secolo, il quale, per dirla  colle parole di un abate, era un secolo  d'ignoranzagrossolana.>>>Si voleva avere  l'immagined'ogni cosa e ogni cosasi rap presentava sotto forme corporee; nè si  concepivano gli angeli che come uomini  alati , vestiti di bianco, quali veggiamo  dipinti sulle muraglie delle chiese; e si  credeva pure, che tutto si facesse in  cielo all'incirca come in terra. Anzi, molti  la Messa dinanzi a Dio in ogni lunedi;  motivo per cui andavano alla sua chiesa  più volontieri in quel giornochein ogni  altro.  Noi non abbiamo bisogno di andare  tanto lontano per trovare gli antropo morfiti del secol nostro, poichè gli ado ratori delle immagini non fanno oggi che  ripetere gli antichi errori.  Apocalisse. L'ultimo dei libri del  Nuovo Testamento, e per avventura, il  men chiaro e il più favoloso di tutti i  libri santi. Tutte le sette cristiane si ac  cordano oggidì nel considerarlo siccome  fatturadi S.Giovanni Evangelista, errore  questo al quale nessun uomo sensato,  credo , presterà fede. L' antica Chie sa quasi unanimamente lo relegava  tra gli apocrifi e lo trattava d'impostura  inventata dall'eretico Cerinto per dar  credito al regno millenario « Alcuni, seri vevaverso il260 S.Dionigivescovod'Ales sandria, hanno esaminato da capo a fon do quest' Apocalisse e provarono che non  vi è in esso senso comune, che attribuirlo  nonsipuò aGiovanni o ad altro apostolo,  e che è una finzione di Cerinto per dar  peso alregno millenario>>>(Eusebio Hist.  Eccl. III 28). Un secolo dopo il Concilio  di Laodicea lo escludeva dal canone dei  libri sacri, e più tardi ancora S. Gero lamo scriveva a Dardano, attestando che  tutte le Chiese greche rigettavano l'au tenticitàdi questo libro. (Epist 84). Certo  dinnanzi a testimonianze tanto autorevoli  nellaChiesa, laRiforma avrebbe respinto  l'Apocalisse, come ha fatto di tanti altri  libri della Bibbia, se questo scritto colle  sue strane figure e lesueimmagini sconfi nate non le avesse servito egregiamente  per trarne argomento di combattere il  cattolicismo. Infatti, nel 1602 il sinodo  protestante di Gap faceva un Decreto per  dichiarare che il papa era ' anticristo  predetto dall'Apocalisse. Trattavasi di di mostrare questa dottrina chedoveva en trare a farparte dei nuovi dommi della  riforma, e vi si accinsero alcuni de'mini stri protestanti, fra i quali giova accen 40  APOCRIFI  nare Jurieu. Nei capi XI, XII e XIII del ' Apocalisse accennasi con figure a un  periodo dimille duecento sessanta giorni,  i quali, secondo la interpretazione pro testante, devono intendersi pei mille du gento sessanta anni destinati alla perse cuzione che farà l'anticristo, raffigurato  nella Chiesa Cattolica. Bisognava dimo strare quand'era questa persecuzione in cominciata e quando sarebbe finita, e il  Jurieu lastabilisce nell'anno 500, poichè,  dic' egli, quando Romahacessato di es sere la Capitale delle provincie dell'im pero era già ascesa a grado assai alto,  perchè si possa osservare in questo  tempo il primo nascimento dell' impe ro dell' anticristo. ( Precognizione le gittima) Laonde conchiudeva, che la fi nedella persecuzione, e quindi del regno  dell'Anticristo, doveva cadere nell' anno  1710 o al più al 1714 o 1715, essendo  difficile lo stabilire l'anno » poichè Iddio  nelle sue profezie non guarda tanto pel  sottile. » I cattolici h anno ben ragione di  ridere del male esito di questa profezia,  mahanno torto di lagnarsi che i prote stanti la interpretino a loro modo, poi chè questo non è altro che un saggio  del modo con cui essi stessi interpretano  già aveva attraversato la maggior parte  degli avvenimenti spaventevoli che dove vano avverarsi, nè molti giorni manca vano alla formazione visibile del primo  regno rimuneratore appartenente all'altra  vita. Qual di queste varie opinioni sia la  vera, sarebbe stoltezza il decidere, co m'è stoltezza che uomini d'ingegno ab biano consumato ilorogiorni perspiega re un libro, lachiavedel quale è sepellita  nellanotte del tempo, eche ad ognimodo  ha ormai perduto ogni importanza per la  storia.  Apocrifi. Diconsi apocrifi quegli  scritti dell'antico o del nuovo Testamento,  i quali non si reputano autentici, e si  suppone che siano stati fatti da autori  diversi da quelli cui sono palesemente  attribuiti. La chiesa riconosce siccome  autentici quei libri della Bibbia, i quali  sono inscritti nel canone dei rivelati, ma  convien osservare che il canone si venne  formando a poco apoco, ondechè se vi  sono libri canonici, i quali oggi si repu tano siccome apocrifi, ve ne sono pur  degli altri i quali un tempo erano repu tati apocrifi, ed ora si trovano inscritti  nel canone. I libri apocrifi dell' Antico  Testamento sono 14 (vedi CANONE DEI  LIBRI SANTI) e non pertanto la Chiesa  cattolica li annovera oggidi fra i cano le altre profezie dell'Antico e del Nuovo  Testamento. Giova dire che i cattolici  hannodatoaltre interpretazioni ortodosse | nici, quantunque sia indubitatoche tutta  all' Apocalisse e i lavori di Newton  sopra questo libro sono troppo noti per la Chiesa antica li abbiasempre respinti.  Sopra questo punto letestimonianze sto riche non potrebbero essere, nè più nu merose, nè più concordi. Ilcanone degli  ebrei non fa menzione alcuna degli apo crífi e il concilio di Laodicea tenuto nel  chè valga la pena di citarli. Ma dopo  l'interpretazione teologica convien pure  accennare quella astronomica ingegnosa mente stabilita dal Dupuis con molto  corredo di studi, per dimostrare che  l'Apocalisse non è altro che una esposi- menzionarli. Identico è il catalogo dato  zione simbolica degli astri. (Origine de da Origene e Tertulliano nel terzo se tous les cultes). Questa interpretazione, colo (Eusebio. Storia Eccles. lib. 5 cap.  per quanto dotta ella sia, non soddisfa 25). Nel quinto secolo è lo stesso S.  però pienamente, e fu vivamentecombat- Gerolamo, il traduttore della Vulgata,  572 lo riproduce fedelmente, senza pure  tutadaSalvador (Jesus Christ etsadoctri- che dopo aver fatta la versione anche  ne T II lib. III)-il qualcrede che l'au- degli apocrifi, nel suo Prologo Galeato  tore dell'Apocalisse, abbandonato all'esal- ha cura di metterci in avvertenza sulla  tazione della sua animainunadellepic- loro non canonicità. Soltanto nel 1439  cole isole dell'arcipelago greco, volesse papa Eugenio mette i libri apocrifi fra i  persuadereaicontemporanei,chelaChiesa | canonici, ma non pare che il suo giudi APOCRIFI  zio avesseunagrande autorità, o almeno  che fosse imperativo, poichè soltanto  mezzo secolo dopo il Cardinale Ximenes  vescovo di Toledo e grande Inquisitore,  stampando la Bibbia Poliglotta, nella  Prefazione avverte i lettori che Tobia,  Giuditta, la Sapienza, l' Ecclesiastico i  Maccabei, le aggiunted' Ester e Daniele  non sono canonici. In altre edizioni an tiche della Bibbia gli apocrifi sono di stinti con un asterisco, oppure portano  in margine l'indicazione: è apocrifo, est  apocryphus, e in altre edizioni gli apo crifi sono posti in fine al libro colla in dicazione: Apocryphi et extra canonem.  Egli è dunque fuor d' ogni dubbio che  questa opinione sullanonautenticità dei  libri biblici non compresi nel canone  ebraico, si conservò lungamente nella  Chiesa, finchè nel 1546 il concilio di  Trento, trovando che gli apocrifi servi vano molto bene ad autenticare certi  donmi del cattolicismo, con un suo de 41  ria Eccl. VII. 19). trovavansi inscritti le  Apocalissi di S. Pietro e di S.Paolo, che  ora sono interamente perdute. Sul prin cipio del secolo scorso Fabricio, nel suo  Codex apocryphus novi Testam. racco glieva i titoli e le citazioni di tutti gli e vangeli conosciuti dagli antichi, e il loro  numero ammonta a ben cinquanta. Al cuni di essi ci pervennero per intero,  altri per frammenti, e il maggior nu mero soltantoper lamenzione che ne fu  fatta dai santi padri, i quali, singolare  adirsi, li citarono sempre siccome au tentici, mentre al contrario i quattro e vangeli che ora si pretendono autentici  non si trovano mai citati dagli antichi  padri. » Noi comprendiamo, dice a que sto proposito il teologo Bergier, che i  padri hanno citato più d'una volta i li bri apocrifi, ma allora si consideravano  come veri. ». Preziosa confessione in  bocca all'autore del Dizionario di Teo creto li dichiarò canonici.  Quanto agli apocrifi del Nuovo Te stamento, il loro numero è più grande  di quel che si pensa; ma non è poi da  credersi che essi siano tutti senza signi ficazione per la storia. Anzi, giova dire  che la importanza di molti fra di essi,  se non supera, di certo eguaglia quella  dei libri canonici, perciocchè quasi tutti  fuuntempo incui erano rispettati e ri guardati dai fedeli siccome inspirati.  Per esempio, il libro d' Enoch, escluso  dal canone biblico, era riguardato come  inspirato da Tertulliano; e Origene, S.  Clemente Alessandrino , S. Ireneo, S.  Anatolio lo citano con rispetto. IlPa store di Erma fu un altro libro gnosti co-ebionita che la Chiesa cattolica ri guardo sul principio come inspirato, poi  relegò fra gli apocrifi. Una lettera che  si supponeva scritta dal re di Edessa a  Gesù e un'altra con la quale Gesù ri spondeva al re di Edessa, erano ancora  sul principio delquarto secolo citate co me autentiche da Eusebio; e intorno a  quel tempo nel canone di molte chiese  cristiane, come riferisce Sozomeno (Sto logia! Dunque riman provato che tutta  la Chiesa primitiva considerava come  autentici i libri che la Chiesa moderna  considera come apocrifi; lo che può au torizzare gl'increduli a dire, che le fonti  del cristianesimo sono molto dubbie e  assai poco degnedi fede.  Oltre questi libri, che facevano auto rità nella Chiesa primitiva, ve ne sono  altri la cui fonte è un po'meno pura e  che si rivelano addrittura siccome inven zioni di credenti, o maliziosi, o pii per  confortare con qualche prova le cost  dette verità della religione. Tra questi  si trovano la pretesa corrispondenza tra  S. Paolo e Seneca, la relazione di Mar cello sugli atti di Pietro e Paolo e sulle arti magiche di Simon Mago; le due  lettere di Pilato all' imperator Tiberio,  nel quale il governatore romano fa la  singolare confessione, che Gesù era ve ramente un Dio, e finalmente i Libri  Sibillini e le Decretali.  Se rigettando l' autenticità dei libri  che ora si dicono apocrifi, la chiesa a vesse rigettate anche le favole che sono  in essi contenute, la s ua contraddizione  sarebbe stata al certo men palese. Per 42  A POSTERIORI, A PRIORI  esempio, sul preteso martirio di S. Pietro  e S. Paolo in Roma, non si trova una  sol parola negli Evangeli e negli atti  degli Apostoli, ma la relazione di Mar cello ne fa menzione e la Chiesanon fu  dubbiosa di adottare quel racconto, pur  dichiarando apocrifo il documento che  lo conteneva. La discesa di Gesù aglin ferni, che è uno degli articoli,del pre teso simbolo degli apostoli (vedi SIMBOLO)  etolta interamente dalVangelo apocrifo  di Nicodemo. Dalla Storia apocrifa degli  Apostoli di Abdia, sono tolti i racconti  sui viaggi e ilmartiriodei vari apostoli,  che si trovano nei leggendari ed ezian dio nel Breviariv Romano. Così pure da  altri apocrfi, come osserva il Beausobre  (Hist. du Manicheisme T 1) sono tolte  le favole canonizzate sulla storia di S.  Anna e di S. Gioacchino, sulla santa  Veronica e il suo sudario, sull' andatadi  S. Pietro a Roma e i suoicontrasti con  SimonMago, e tante altre cose nonmeno  miracolose. (Vedi DECRETALI E SIBILLINI.)  Apodittico. Aristotile nell' anti chità, e Kant ne tempi moderni sono  i soli che abbiano introdotto nel linguag gio filosofico questo vocabolo, che signi fica dimostrazione. È apodittica ogni pro posizione che sta al di sopra di ogni  discussione, di ogni contrarietà, essendo  essa stessa il principio e la base di una  dimostrazione.  Apollinare. Vescovo di Laodicea  che visse sulla fine del quarto secolo.  Dopo essere stato uno dei più focosi av versari di Ario, sostenendo, non solo la  divinità di Gesù Cristo, ma eziandio la  consustanzialità del Verbo, cadde in un'  altra eresiae insegnò che Gesù Cristo,  assumendo il corpo umano, non aveva  però assunta un' anima ragionevole, ma  puramente sensitiva. Egli stimava che  un' anima umana gli fosse affatto inutile,  però che, chi operava in lui e dirigeva  le sue azioni, era la divinità stessa. Fon dandosi sul passo di s. Paolo che Gesù  era uomo e fatto simile agli uomini  (Ebrei IV, 15), il Concilio d'Alessandria  dichiarò eretica questa opinione e il papa  Damaso depose il vescovo che la pro fessava.  Apollonio(Tianeo).Nacquedauna  ricca famiglia di Tiane, e fu contempo raneo di Cristo, al quale per lungo  tempo il paganesimo l'oppose. Fattosi  discepolo di Pitagora l'abbandonò ben  presto, malcontento ch'einon uniformas se la pratica della vita colla sua dot trina, la quale Apollonio s' ingegnò di  applicare e sviluppare da se solo. Da  quel momento fino alla morte egli si a stenne d'ogni nutrimento animale e dal  vino; conservò una perfetta castità, e si  impose mille dure privazioni, fra cui  merita di essere menzionato il silenzio  continuato che osservò per cinque anni.  Gli venne poi vaghezza di percorrere  ' Oriente per risalire alle sorgenti delle  tradizioni religiose: fu a Babilonia, nel l' India, nell' Egitto e nell' Italia e in età  molto avvanzata scomparve dal mondo,  senza che mai si arrivasse a scoprire  qual paese avesse veduto la fine de' suoi  giorni. Pochi proseliti farebbe Apollonio  nei tempi nostri, e seriamente sidubite rebbe s'egli abbia la testa a segno; ma  nel primo secolo dell'era cristiana, tanto  fu il fanatismo che eccitè nel paganesi mo, che alcuni trascorsero perfino ad a dorarlo siccome un Dio.  A posteriori, a priori. Di cesi a posteriori quella dimostrazione che  dalla osservazione degli effetti procede a  scoprire la causa,o dalla proprietà di  una cosa cerca di scoprirne l'essenza;  in senso inverso, è a priori quelladimo strazione che dalla natura della causa  tende a ricercare gli effetti che ne de vono nascere. L'uno e l'altro di questi  due metodi di argomentare sarebbero e gualmente buoni, ove fossero soltanto  applicati alle scienze fisiche; ma nelle  metafisiche il metodo a priori ra con dotto più spesso a conseguenze fallaci.  Esiste un Dio buono e perfetto, che ha  creato il mondo, dunque tutto ciò che vì  ènel mondo deve essere buono e perfetto.  Questa è una argomentazione a priori, la  cui fallacia consiste appunto nellapremes ARCESILAO  sa, perocchè riconosce come assiomati camente provata l'esistenza di un Dio  buonoeperfetto, senz'altra dimostrazione.  Equando il ragionamento a priori fon dasi su ragioni immaginarie, le quali, an zichè dimostrare,hanno bisogno di essere  dimostrate, deve necessariamente con 43  da invidiare alle credenze di quei tempi,  poichè oggi, come allora, si deificano  gli uomini, l'effigie loro si mette sugli  altari e le si offrono sacrifizi, che per  essere incruenti, non cessano perciò di  rappresentarci il simulacro di unavittima  durre a false conclusioni. La dimostra zione a posteriori evita invece sifiatto  scoglio, perocchè essa non suppone le  cause, ma anzi le ricerca colla scorta  degli effetti. Or sono appunto gli efetti  che a noi si rendono palesi e che i no stri sensi possono accertare , onde il  ragionamento a posteriori ha sempre  sull'altro questo vantaggio , ch'esso in  ogni caso procede dal noto all' ignoto e  non mai in contrario senso. Tutte le cose  nel mondo si trasformano, ma nessuna  si distrugge, nessuna nasce che non si  componga di elementi preesistenti; dun que, senella natura nulla nasce nè sidi strugge, conchiudo che lamateria è eterna.  Eccounragionamentoaposteriori chepro cededalnoto all'ignoto. (Vedi INDUZIONE).  Apoteosi. Vocegrecachevaledei ficazione. L' apoteosi compievasi dai pa gani quando, con cerimonie solenni, po nevansi fra gli Dei gli illustri o i po tenti della terra che erano morti. Im ponenti erano le apoteosi degli impera tori romani. Dopo un lutto generale  portavasi l' imagine del defunto proces sionalmente per le vie, e igrandidignitari  dello stato, i cavalieri e i senatori e lo  stesso successore al trono facevanle cor teo. Al campo di Marte il corpo delde funto re era arso su di un rogo, dal  quale sprigionavasi un' aquila che innal zava il suo volo fino al cielo. Quindi  si fondava un tempio al novello Dio, si  stabilivano i suoi fiaminii ; e dei sa crifici in onor suo erano ordinati. A  noi lontani da quei tempi e da quei co stumi sembra strano che un popolo, il  qual fu maestro di civiltà al mondo,  abbiapotuto credere a queste più che  volgari superstizioni. Pure non abbiamo  che avolgere intorno lo sguardo per  convincerei, che la civiltànostra nulla ha  immolata. L'apoteosi dei giorni nostri  ha sol cambiato il nome, e si chiama  canonizzazione dei santi.  Appercezione. Vocabolo per la  prima volta usato da Kant e adoperato  da tutti coloro cui piace intralciare senza  scopo il linguaggio filosofico. Per apper cezione intendesi quella rappresentazione  per la quale l' nomo tien presente a se  stesso l'atto del pensiero. Questa rap presentazione io penso, al postutto, non  èdunque che la coscienza dell' io, la  quale di tutte le parti del mio corpo,  costituisce un' unità, che Kant, tanto per  non usare il comun linguaggio, chiama  unità trascendentale dell' appercezione.  Arcesilao. Nacque in Pitana nel 1 anno300primadiG. C. fudiscepolodi  Pirrone e si mise alla testa della seconda  scuola Accademica. (vedi ACCADEMIA)  nella quale introdusse un metodo d'in segnamento affatto nuovo. Noninsegnava,  ria disputava, poichè ad ognuno chie deva qual fosse la sua opinione per poi  combatterla, Riproduceva in tal guisa il  Pirronismo, il quale appunto consistera  nel negare ogni certezza e quindi l'evi denza di ogni filosofia. Contro Arcesilao  sosteneva Zenone, che il saggio può ta lora rimettersi alla certezza della sua  intelligenza; ma obbiettavaArcesilao con  l'esempio dei sogni, del delirio e dei  molti errori umani condivisidai sapienti!  Or. diceva egli, se vi sono delle rappre sentazioni illusorie e delle veridiche, con  qual criterio noi distingueremo le une  dalle altre? Con una rappresentazione ve ridica? Maquesta è unapetiziondi prin cipio, poichè trattasi appunto di cono scere qual sia la rappresentazione veri ridica. D'onde conchiudeva, che tra il  vero e il falso non vi è per l' uomo dif ferenza assoluta, e che savio è colui che  si astiene. 44  ARISTIPPO  Archetipo. Filologicamente vale  modello, forma prima. In filosofiadi cesi archetipo ciò che è il principio e  il fondamento delle cose o delle idee.  Pei teologi l' archetipo è Dio, conside rato come supremo modello degli esseri.  Ma nella filosofia sperimentale questo  vocabolo non ha alcunsenso, essendochè  l' esperienza ci rivela una continua mu tabilità di forme senza archetipi. Le idee  innate potevano dirsi archetipe, ma la  sana filosofia ha dimostrato che non esi stono idee innate.  Argens (Giovanni Battista mar chesed').Ammesso dapprima all'amba sciata francesedi Costantinopoli, si diede  alla vita militare. Fu ferito all' assedio di  Kelh, e dopo quello diFilisburgo fece  una caduta da cavallo che gli tolse di  risalirvi più mai. Diseredato dal padre  suo che l'aveva destinato alla magi stratura, egli s'abbandonò allafilosofia,  e per scrivere liberamente passò in  Olanda, ovepubblicò le sue Lettere giu daiche, chinesi e cabalistiche. Federico  diPrussia, allora principe reale, lo chia mò alla sua corte, e quando sali al  trono lo nominò direttore generale  delle belle lettere dell' Accademia, lo  colmò di riguardi, ed ebbe per lui  quella deferenza che meritava la sua  bontà di cuore e la sua condotta sce vra d' intrighi e di raggiri. In questo  frattempo d' Argens scrisse la Filoso fia del buon senso e mandò a compi mento la traduzione di due trattati  greci attribuiti, l'uno ad Ocellodi Lu cania, sulla natura dell' universo; l'al tro a Timeo di Locri sull'anima del  mondo, col titolo: Difesa del Paganesi mo. Egli mandò alle stampe ancheuna  versione del discorso di Giuliano con tro i cristiani.  Era già finita la guerra dei sette  anni e d' Argens, dopo d'essere an dato a visitare la sua famiglia inPro venza, tornavasene nellaPrussia, quan do si accorse che nei luoghi del suo  passaggio leggevasicon grande stupore  unapastorale del vescovo d'Aix con tro di lui. Lo scritto abbastanza vio lento e minaccioso gli destò dapprima  le più grandi inquietudini, ma presto  si avvide non essere quello che una  gherminella del Re di Prussia, il quale,  per burlarsi di lui, l'aveva redatto e  fatto diffondere nei paesi del suo pas saggio. Federico per inavvertenza aveva  impiegato il titolo di Vescovo anziché  quello di Arcivescovo. D' Argens mort  agli 11 gennaio 1771 nella sua terra  della Provenza, donatagli da un suo  fratello, troppo generoso per non di sapprovare la volontà del padre che  l' aveva diseredato. Le opere da lui  scritte sono numerose assai, l'istru zione vi è variata e la filosofia mate rialista, propugnata con calore e con  accorto ragionamento, emerge special mente nellasua Filosofia dellaRagione,  nelle Lettere critiche e filosofiche e nel  Filosofo solit rio.  Il marchese d' Argens nacque ad  Aix nel 1704, e costituisce unadelle più  belle e nobili individualità della filo sofia del secolo XVIII. La bontà del  suo cuore e la sua vita irreprensibile  parlano ben più alto di tutte le stolte  accuse che vengono lanciate contro il  così detto materialismo.  Argomentazione. Complesso  delle prove e dei raziocinii addotti per  giungere alla dimostrazione di una ve rità. Le antiche scuole greche e italiche,  forse per amor del numero, distingue vano sette modi di argomentare, ed era no: 1. L'induzione. 2. Il paragone. 3.  L'entimema. 4. Il sillogismo. 5. L'epiche rema. 6. Il sorite. 7. Il sofisma. (Vedi  tutti questi vocaboli).  Aristippo. Fu di Cirene, colonia  greca dell' Africa, e visse sulla fine del  quarto secolo prima di G. C. Delle molte  opere scritte da questo filosofo, non ce  ne rimane pur una, e delle sue dottrine  questa sola sappiamo, che riguarda il  fine morale dell'uomo. Insegnava che il  piacere è cosa buona in se, cattiva il  dolore, onde conchiudeva, che il fine  dell'uomo quello è di cercare il piacere ARIANISMO  eildolore fuggire. Contrariamente al  misticismo di Anassimene, Aristippo in segnava dunque che il somno bene del 45  Nondimeno, il concilio condanno la  dottrina di Ario, il quale non cessò per  questo di sostenere la su opinione edi  l'uomo è il fine della vie che la fe licita non consiste gis nel riposo, ma  nell'attività e nel movimento.  Arianismo . Eresia di Ario, in  quale consisteva nelnegare la consustan zialità del Verbo, ossia della seconda  persona della Trinità da lui considerata  comecreatura umana. Sul principio del  quarto secolo, Alessandro, vescovo di A lessandria, volendo confutare l' errore di  Sabellio contro la trinità (vedi SABELLIO)  incaricò Ario, prete che stava sotto la  sua giurisdizione, di spiegare i Misteri  della religione colla sua potente dialet tica. Ario accettò il mandato,e siccome  quegli che credeva di far cosa grata al  vescovo combattendo ad oltranza l'ere siadi Sabellio, cadde in un opposto ecces so. Considerando comelaconsustanzialità  importi unità di sostanza, e l'unità della  sostanza divina renda impossibile la di stinzione delle persone, poichè ciò che è  semplice non comporta molteplicità, in cominciò ad insegnare che il Padre e il  Figliuolo sono personedifferenti, noncon sustanziali, e che il Figliuolo era stato  creato nel tempo. Alessandro tentò di  riprendere Ario , ma vanamente , chè  questi s' incaponi a viemeglio sostenere  lasua opinione; laonde il vescovo adunò  un Concilio in Alessandria, d' innanzi al  quale Ario espose le sue ragioni. Egli  argomentava così: Il Verbo non può es sere eterno come il Padre, poichè in tal  caso nonpotrebbe esseregenerato. D'al tronde se il Padre non avesse tratto il  il Fgliuolo dal nulla, non l'avesse, cioè,  creato, non avrebbe potuto trarlo altri mentichedallasuapropriasostanza,ilche  èassurdo. La stessa Scrittura non ci dà  un idea diversa del Verbo, laddove dice  che Iddio l'ha creato al principio delle  sue vie (Prov. VIII). Dio dice che l'ha  generato, il che si deve intendere nel  senso di unavera creazione,attesochè la  Scrittura l' applica, così al Verbo come  agli uomini.  esporla pubblicamente. E siccome tra un  assurdo e l'altro, la dottrin di Ario  era certamente la meno assurda, così  non gli mancarono proseliti tra il po polo, tra chierici e perfin tra vescovi.  Anzi, Eusebio vescovo di Nicomedia, adu nato un secondo concilio,vi fece appro vare le dottrine di Ario emandò lettere  ai vescovi d' Oriente onde indurli ad ac cettare il prete nella loro comunione.  Ben si capisce che con tali prodromi  la querela era tutt' altro che presso ad  assopirsi. Essa fu anzi portata davanti  all' imperatore Costantino, il protettore  del Cristianesimo. Ed è singolare il ve dere la poca importanza ch' egli diede  alla querela, nella quale trattavasi nien temeno che della divinità del Cristo. Vo lendo insieme conciliare tutti i partiti,  scrisse ai vescovi dissidenti, che la calma  e la felicità dell' impero richiedevano che  essi venissero ad un amichevole compo nimento; e ch' era la cosa più pazzadel  modo il dividersi per questioni tanto fu tili e puerili, com'erano quelle per le  quali da tanto tempo disputavano.  Leparole conciliative dell' imperatore  non valsero però a quietare gli animi e  le dispute, gli scandali e perfino le scene  di sangue, non mancavano di fornire ai  pagani argomentinonpochi di derisione.  Costantino risolse infine di convocare in  Nicea il 19 giugno dell' anno 325 il pri mo concilio ecumenico, il quale, dopo  molte dispute, approvò il seguente sim bolo, che condannava l'arianismo: >>Questa  decisione ebbe la sanzione dell'impera tore, il quale esilio tutti coloro che non  la vollero sottoscrivere. Non per questo  le dispunte finirono, chè anzi, poco di  poi l'imperatore stesso, circuito da un  prete ariano, rimise Ario nelle buone 46  ARISTOTILE  grazie dell'impero. Intanto la lotta era  combattuta da muovi compioni. Eustazio,  vescovo di Antiochia, accusava Eusebio  di Cesarea di contraddire il simbolo Ni ceno; un nuovo concilio fu adunato in  Antiochia nel 329, il quale, colla solita  infallibilità dei concilii, diè torto al ve scovo di Antiochia, lo depose,nominò in  sua vece il di lui avversario, e poco cu randosi della scomunica lanciata dal Con cilio di Nicea, procurò che Ario potesse  ritornare in Alessandria. Vi si oppose.  nondimeno s. Atanasio, vescovo di quella  città; ma nel 354 un nuovo concilio a dunato in Tiro depose anche questo ve scovo, e l'imperatore, che già tanto fe rocemente aveva perseguitati gli ariani,  lo manda in esiglio e rimette in grande  onore Ario, il quale poco di poi morì.  Non è a credersi che la morte di  Ario ponesse fine alle contese. InAles sandria e nella stessa sede dell' impero  avvennero frequenti scene di sangue fra  il popolo fanatico, eccitato dai preti del l'uno o dell'altro partito. Intanto, succe duto a Costantino il figlio suo Costante,  questi parteggio per gli avversari di  Ario, e nel 347 fece adunare un conci lio in Sardi, ove i vescovi confermavano  il simbolo di Nicea e scomunicavano gli  ariani; in quel mentre che un nuovo  concilio adunato dagli orientali in Filip popoli, confermava i principii di Ario e  scomunicava li avversari.  Tanta contrarietà e tanto accanimen to dei partiti, fece nascere nel novello  imperatore il desiderio di convocare un  nuovoconcilio. Eil concilio fu infatti ban dito; ma mentre i vescovi orientali par titanti dell' arianismo si adunavano in  Seleucia, in Rimini aprivano il concilio  gli avversari; nè giova direche, come al  solito, lo spirito santo inspirò alle due  assemblee due contrarie decisioni. Dispe rando ormai di venire a buoni risultati,  l' imperatore fece sottoporre al Concilio  di Rimini il simbolo approvato in Se leucia, nel qualela parolaconsustanziale  era stata soppressa, e ordinò al gover natore che nessun vescovo lasciasse u scire senza che l'avesse sottoscritta. Quat  tro mesi resistettero all' ingiunzione i  padri ivi adunati, ma infine venuti ad  un compromesso fra il ventre e la co scienza, prestarono pieghevole orecchio  alle parole di Valente, il quale andava  loro insinuando che, salvola parola con sustanziale, il nuovo simbolo non aveva  significazione diversa da quello di Nicea.  Firmarono e furono ridati alla libertà.  Per la qual cosa l' arianesimo risorgeva  trionfante e minacciava di estendersi a  tutta la Chiesa. Ma venuto a morte  anche Costante, Giuliano successore di lui,  rimise i cattolici in favore, e gli impe ratori che gli succedettero, chi più chi  meno, seguirono lo stesso partito. Anzi  Teodosio vietò agli ariani di adunarsi,  cacciò gli uni dalla città, gli altri notò  d' infamia e spogliò del privilegio della  cittadinanza.  Ma non bastarono le persecuzioni a  spegnere interamente l'arianismo, inquan tochè i popoli d'Europanovellamente a cquistati al cristianesimo, più facilmente  passavano alla dottrina diArio, siccome  meno assurda e men seempia di quella  professata dal simbolo di Nicea. Anche  nei tempi moderni l' arianismo ebbe se guaci nella Germania e nella Polonia, e  dicesi che fosse importato nell'Inghilterra  da Okino e Bucero, che l'insegnarono in  segreto, perocchè in grazia della intol leranza protestante, coloro che tentarono  di negare pubblicamente la divinità di  Gesù furono abbruciati. Cionondimeno,  Socino, Chubb, Clarke e parecchi altri il lustrarono questa dottrina coi loro scritti,  e l'arianismo era ancor sì forte nel se colo scorso, che fu veduta una signora  Myer, fondare nell'Inghilterra una catte da apposita per combatterne ledottrine.  Aristotile. Niun filosofo quanto  Aristotile ebbe più gran fama e mag giore opportunità di distinguersi. Nac que in Stagira nell'anno 304 primadi  G. C., fudiscepolo di Platone e dopo la  morte del maestro si ritrasse in Acarna nia ove regnava Ermia già da gran  tempo suo amico. Poco di poi, invaghi ARISTOTILE  tosi della sorella di questo principe, la  mend in moglie. Fu quindi precettore di  Alessandro il Grande e dopo essere ri masto otto anni presso di lui, ritirossi  adAtene. Quivi i magistrati gli conces sero il Liceo, sotto i portici del quale  egli insegnava passeggiando co' suoi di scepoli; d'onde la suasetta fu detta de'pe ripatetici. Sebbene discepolodi Platone,  Aristotile s' allontanò ben presto dalle  dottrine del maestro, ed anzi si atteggiò  ad aperto antagonismo sulla questione  delle idee innate, insegnando che l'anima  umana è come una tavola rasa, sulla  47  Il Dio di Aristotile non hadunque alcu na consistenza metafisica, è una paro la, o meglio ancora, la sintesi di tutte  le forze di natura. Egli è perciò che  Aristotile, non solo non ammette alcuna  relazione possibile fraquestoDio elaspecie  umana, manegaanche all'essere supremo  ogni virtù. Come,infatti, applicare l'idea  di virtù a delle leggi naturali costrette  dallanecessità? Qualunque sia la virtù che  voi imaginate,dice Aristotile, essa è inap plicabile allanaturadi Dio. Gli darete il  quale l'esperienza scrive tutto ciò che i  sensi percepiscono;'d' onde'il ben noto  aforismo: nulla è nell'intelletto che non  sia entrato per laporta dei sensi. Per ciocchè il pensiero suppone necessaria riamente la sensazione e l' imaginazio ne; come la memoria suppone la persi stenza delle impressioni sensibili. Laon de, se l'anima non sentisse, nonpotrebbe  nè pensare nè intendere. Quest'è come  ogaun vede, puro sensualismo, il princi pio fondamentale della filosofia moderna.  Ma il genio analitico di Aristotile  non poteva rimanersi entro questi con fini; ond'è che spingendo pitu innanzi  l'audace suo sguardo, vuol giungere colla  esperienza fino al trono di Dio. A que sto punto, sotto le apparenze del teista,  par che Aristotile ondeggi fra il pantei smo e l'ateismo. Perciocchè, se in qual che luogo dice, che Dio è la sostanzadi  tutte le sostanze e non fa che un sol  tutto col mondo , col cielo , con la  natura; altrove assicura che in tutti gli  esseri si distingue, colla intelligenza, la  materia e la forma(allo spirito non ac cenna). Or la forma scompare col di sgregarsi della materia, d'onde conchiude  che l'anima al corpo non sopravvive. Un  sol corpo con la sua traslazione circolare  è causa e regolatore supremo di tutti  gli altri movimenti. Questo corpo, che  Aristotile chiama divino, è l'etere, o il  Cielo, che spingesi agli estremi limiti  dell' universo, oltre il quale non vi è nè  vi può essere alcuna sustanziale realità.  coraggio ? Ma egli nonè esposto ad al cunpericolo. L'amicizia? Egli basta a se  stesso. La temperanza? Dio non ha desi deri. Labeneficenza? Ma o questi benefizi  sarebbero il risultato di leggi generali, o  sarebbero eccezioni a queste leggi. Nel  primo caso le leggi generali avrebbero  per fine l'universalità e non l'uomo in  particolare, nel secondo si toglierebbe a  Dio il suo carattere immutabile.  Dopo questa succinta esposizione dei  principi di Aristotile sopra Dio e l'ani ma umana, più non cirecherà sorpresa  la foga con cui i nostri metafisici ten tano di rimorchiare la filosofia all'idea lismo trescedentale di Platone. « Aristo tile, scrive il Ravaisson, (Essai sur la  Metaphis. d'Aristote.) fondando il ge nerale sopra l'individuale, gli toglie l' alto  suo valore: l'essere rimane isolato nella  sua particolarità: in natura altro non  resta che divisione senza misura od ar monia, Dio senza provvidenza, la vita  umana senza scopo ideale: la bellezza e  la poesia vanno in dileguo ».. ed è  questo che sopratutto rincresce ai signori  metafisici !  Fa veramente meraviglia che un fi losofo così poco religioso come Aristotile,  abbia goduto, eziandio nella Chiesa Cat tolica e perlunghissimo spaziodi tempo,  una grande autorità. Tutta la scolastica  fondavasi sull' autorità di Aristotile, e  tant'era la venerazione che avevasi di  lui, che nol chiamavano altrimenteche il   quasi che fuori di Aristo tile altro filosofo non esistesse . Questo  entusiasmo per lo Stagirita in uomini 48  ARISTOTILE  che professavano principii tanto con trari ai suoi, era ignoranza o voion tario acciecamento? Mala contraddizio ne forse si spiega con due circostanze  che non devono trascurarsi nella que stione . Aristotile aveva nominalmente  stabilita l'unità di Dio, e contro la  moltitudine degli Dei del paganesimo,  aveva spogliata ladivinitàdaogni antro pomorfismo. Quest'era già un gran ser vizio che egli aveva fatto al cristianesi mo, maforse non sarebbebastato a far  chiudere gli occhi sulla sua incredulità  se il suo libro della Metafisicanon fosse  venuto ad ingarbugliare molte idee, che  altrimenti sarebbero state assai più chia re. Nel XII libro della Metafisica il  lampo del genio di Aristotile si spegne  affatto ed una densa nebbia par che  si stenda su tuttala suadottrina. Il con cetto del divino qui nuota inun mardi  parole senza senso: le formole si succe dono alle formole e il pensiero s'oscura  sempre più. Questo libro ha potuto far  credere a molte cose che Aristotile non  credeva; tutti i teologi e i professori  di metafisica vi hanno dedicato i loro  studi, e nei commenti che hanno fatto a  queste formole, vi hanno distillata tutta  la loro scienza. Gli è tanto dolce lo  spiegare quel che non s'intende !  La Metafisica è stata dunque labase  da cui l'ortodossia ha prese le mosse  per spiegare tutti gli altri scritti del fi losofo di Stagira.Dio,dice la fet fisica,  è eterno, perchè il movimento è eterno  (Ant. XIX. 6, 8). Non ha parti, perchè  è infinito (XIV. 9). La sua esistenza è  una pura speculazione. Qui caque il  Dio mondo di Aristotile comincia a ri  vestire la forma cristiana. Ma afirettia moci a dire, che il libro della Moter  quello si è appunto che la itica biblio grafica da lungo tempo tiene in sospetto  come apocrifo e indegno del pensiero e  del nome di Aristotile.  L'incredulità di questo filosofo si ri leva a' altronde dalle accuse cri andò  incontro quand' era vivo, e dalle perse cuzioni cui furono soggetti i suoi libri  dopolamorte.Se moltiscolastici tenevano  in alto onore Aristotile, nonmancarono,  per altro, degli ortodossi più avveduti  che previdero i pericoli di questo entu siasmo tutto pagano. Nel 1207 un con cilio provinciale di Parigi proibisce di  leggere, si nelle scuole che in privato, i  libri di Aristotile intorno alla filosofia  naturale, e sei anni dopo il legato della  Santa Sede, nel dare gli statuti dell'uni versità di Parigi, rinnovò quella proi bizione estendendola anche alla Metafi sica (Dubolay T. III) Questo fu un er rore, ma non durò molto, poichè nel  1831' il papa corresse la decisione del  legato e tolse, com' era ben giusto, il  divieto esteso alla Metafisica. Gregorio  IX sospende i libri di fisica, libris illis  naturalibus, finchè non siano purgati da  ogni sospetto d'errori ; ein unmomento  molti dotti vi si occupano intorno così  bene, che in breve gli errori scompaiono  e i libri sono ammessi dall' ortodossia.  Ma, o fosse che gli errori rinascessero ad  ogni tratto nei libri d' Aristotile, tanto  n' eran zeppi, o fosse che i revisori a vessero mancato di perizia dommatica,  fatto è che più tardi vediamo S. Tomaso  d'Aquino applicarsi, d'ordine d' Urbano  IV, a rivedere le traduzioni fatte sul te sto greco, e acommentarle egli stesso con  tanta scienza e dottrina, che in breve del  pensiero di Aristotile più non vi rimase  un punto. Ma gli errori erano spariti, e  la Chiesa dopo d'allora più non vi trovò  aridire. Anzi fu appunto da quel mo mento che lo Stagirita sali in tanta fama,  che il Nicolò Vcredette necessario man dare a farsi una nuova traduzione latina  di tutti i libri d'Aristotile, e nel 1432 il  suo legato richiamando l'università di  Parigi all'osservanza delle prescrizioni  già date dai suoi predecessori, dichiarò  >  Siccome, per altro,le condanne, fos sero esse cattoliche oprotestanti, non  hanno mai potuto vincere l'eresia, così  era condannato per la mancanza dei | s'intende che i Rimostranti non ces 4 50  ARTE  sarono di insegnare e di propagare le  loro idee, si moltiplicarono nelle pro vince Unite, e per evitare le persecu zioni dell' Olanda si ritrassero nel l'Holstein e nella Danimarca e vi fon darono la città di Fridericstad, dove si  conservano anche attualmente.  Arnaldo da Brescia. Eretico  del XII secolo. Fu amico di Abelardo  e recossi in Francia per assistere alle  sue lezioni. Tornato in Italia, si fe'mo naco e gli presevaghezza di insegnare,  che i preti e i vescovi che possedes sero beni stabili non potevano salvarsi.  Non ci voleva dimeglioper acquistare  il partito popolare, allora, come ades so, non troppo devoto ai pontefici; on de Innocenzo II mandollo in esilio.  Non si tosto questo papa fu spento,  Arnaldo tornò in Italia, ove predicò  contro il suo successore, eccitando i  romani a ristabilire quell' antica re pubblica che li aveva fatti grandi da vanti alla posterità. Arrise il pensiero  al popolo, il quale saccheggio il pa lazzo dei signori e costrinse il papa a  fuggire; ma poco durò la suaindipen denza. Dopo che Adriano IV ebbe po sto su Romal'interdetto, la città tornò  alla Chiesa, e Arnaldo fu costretto  ad uscire da Roma e a ricoverarsi nella  Toscana. Ma arrestato poco di poi  dalle genti del Cardinal Gerardo, venne  ricondotto a Roma, ove fu condannato  alla forca, il suo corpo ad essere abbru ciato e le sue ceneri disperse al vento.  Lasentenzafu eseguita nell'anno 1155.  Arte (teoria dell' ). Fra le teorie  più oscure e men determinate che si  conoscano, quella dell' arte occupa  certamente il primo posto. Pure  sun' altra disciplinafu soggetta a tante  ricerche e a tanti studi quanto questa;  nes ma la sua oscurità e indeterminatezza  non deriva tanto dall arte in se stes sa, quanto dalle strane idee che la  metafisica e la religione concepirono  intorno alla teoria del bello, le con traddizioni della quale noi esporremo  nell' articolo BELLO.  Proudhon definisce l'arte « una rap presentazione idealista della natura e  di noi stessi, tendente al perfeziona mento fisico e morale della nostra  specie. » Questa definizione è in gran  parte esatta, e lo sarebbe in tutto, se  nel concetto di rappresentazione idea lista non si rinchiudesse necessaria mente, o un controsenso o un assenti mento estetico alle più strane aberra zioni dell' arte rappresentativa (chè di  questa soltanto vogliamo parlare). La  contraddizione è evidente nel concetto  dirappresentare idealmente, perciocchè,  o la rappresentazione trova un riscon tro nella realtà, e allora è realee non  ideale; oppure alla realtà si oppone  e allora, aparlar propriamente, può  dirsi ch' ella rappresenti qualche co sa? No certamente, poichè quello solo  si rappresenta che esiste e la rap presentazione di ciò che esiste è rea le. Per verità, suol dirsi che l'arte  crea, ma anche questa la è una di  quelle figure sconfinate, con che la  rettorica suol esagerare quei principii  che son troppo vaghi, per essere ben  determinati. L'arte non crea, l'arte  copia; l'arte è una pura imitazione.  Certo, questa pretesa potenza creatrice  dell'arte, la religione non ha mancato  attribuire al cristianesimo, e filosofi  molti e uomini d'ingegno non stettero  in dubbio di affermarlo. Ma di solito  la metafisica accieca e genera confu sione anche nelle intelligenze più po sitive, e l'arte ha la sua metafisica  non men che lafilosofia! La metafisica  hacreato il classicismo estetico,il quale  allontanando l'uomo dellapura realtà  dellanatura, che è il vero elemento del l'arte, lo gettò fra leindeterminatezze  del convenzionalismo. Quindi le idee  estetiche si sono capovolte: l'uomo si  sforzò di trovar bello, non tanto ciò  che gli piaceva, quanto ciò che rispon deva a certe determinate regole, le  quali, se giovano poco all'arte, han no però il merito di avere unagrande  antichità. E ciò che è antico impone ARTE  sempre ai vulgari e ai non vulgari; e  un po' per l'abito fatto a considerare  come piacevoli certe forme che piace voli nonsono, un po' per quella cotal  dosedisaccenteriaper laquale ogniuo mo ambiscedi mostrarsidotto e perito  51  >  (Matt. XV 17).  >>  Edaggiungono,che lo spiritodimorti ficazione è essenziale al vangelo ove  i digiuni di S. Giovanni Battista e  di Gesù sono ricordati con encomio  (Matt. IV. 2). Sidisapprovano soltanto  quelli che digiunano per ostentazione  (VI: 16. 17). Gesù dice che vi son de moni che non possono essere discac ciati senoncoll'orazione e col digiuno  (XVII. 20 ); non obbligò adigiunare i  propri discepoli, ma predisse che di ginnerebbero quand' egli più non fosse  con loro (IX, 15): gli apostoli si pre pararono col digiuno alle importanti  azioni del lor ministero (Atti XIII, 2  Cor. VI. 5) ed egli stesso digiunava  (XI, 27) E concludono: se dunque il  detto evangelico « non ciò che entra  nella boccacontamina l'uomo dovesse  letteralmente interpretarsi, Gesù si sa rebbe contraddetto insegnando il digiu no, e gli apostoli l'avrebbero smentito  praticandolo,perciocchè l'astinenzadalle  carni non è che una forma di digiuno  men rigorosa dell'astinenza assoluta.  Econvienpur confessare che sopra  questo argomento i cattolici non ra gionano peggio dei protestanti, avve gnachè gliuni egli altri abbiano torto  e ragione ad untempo, per laragion  chiarissima , che nel vangelo d'ogni  dottrina si trovano i contrari. Il fatto  vero è questo, che già prima dei cri stiani gli Orficie i Pitagorici si aste nevano dalle carni e dal vino, e che Ori gene ci dice che nel terzo secolo tale  uso trovavasi già in vigore tra molti  fervorosi cristiani.  Non è d'uopo dimostrare come que ste astinenze siano nocive al corpo e  contrarie quindi ad unasana morale:  soltanto una medicina cieca e superti ziosa ha potuto venire in soccorsO  della religione, per mostrare il lato  igienico delle astinenze, quasi che l'a stenersi da cibi in determinati tempi  e quando forse il corpo ne hamag gior bisogno, possaprodurre gli stessi  effetti delle astinenze ordinate durante  uno stato patologico del nostro corpo!  Astrazione. L' astrazione è una  delle più care e più usate prerogative  della metafisica; ciò val quanto dire che  ella è affatto contraria al metodo spe rimentale. L'astrazione non è tanto ri provevole pel suo processo, quanto per  le erronee e fatali conseguenze acui con 'duce chi ne abusa. Se io considero un  corpo nella sua realtà e secondo il me todo sperimentale, non posso escludere,  come elementi di una esatta cognizione,  i suoi caratteri essenziali, tali che la  forma, il peso, l' impenetrabilità, il co A 56  ATAVISMO  lore, l'odore, il sapore, e tutte insomma| ficilmente compie il suo ufficio, quanto  le proprietà che cadono sotto i miei  sensi. Ma se ioelimino dalpensiero tutti  gli elementi della cognizione, e nel corpo  considero mentalmente un solo aspetto,  per esempio il colore, avrò fatta una  astrazione di tutte le altre qualità sen sibili, e il colore, sebben confusamente,  mi apparirà al pensiero come possibile  a separarsi dall' idea del corpo che lo  assume. Da qui la tendenzanei metafisici  aconcretizzare gli attributi della mate ria e a farne tante entità separate ein dipendenti dall' idea di corpo. Il pericolo  è infatti evidente. Se io considero un  corpo in movimento, e quindi facendo  astrazione dal corpo, tento di riprodurre  col pensiero l'idea di movimento sepa rata da quella di corpo, mi troverò co stretto ad attribuire a cotesto movimento  una certa quale entità, che possa farlo  cadere nel novero delle esistenze con crete. D'onde la creazione del concetto  di forza, cagion del movimento,ed'onde  ancora l' error metafisico di concepir la  forza separata dalla materia, mentr' ella  non n'è che l'attributo ( Vedi FORZA e  MATERIA ). Or si è appunto in graziadi  una cosi bella prerogativa dell' umano  intelletto, che la metafisicaha arricchite  le nostre cognizioni con un numero in finito di così dette verità astratte, le  quali hanno tutte tanta realtà quantane  ha l' idea di movimento separatadall'or gano o dal corpo che lo rappresenta.  II principio della metafisica , che  ogni astrazione dello spirito , presup pone qualche dato concreto,non potreb be essere oppugnato dalla filosofia spe rimentale. Anzi, cotesta filosofia tantè  sicura di questa verità, che fondandosi  saldamente sul concetto che ogni idea ne  viene dai sensi,hanegate le idee innate.  (Vedi IDEE INNATE). Ma dall' essere ogni  nostro astratto concepimento come unå  cotal sorta di riflessione delle cose este  riori, non ne deriva che tutte queste a strazioni siano vere. L'intelletto astra endo s' allontana dalla realtà obbiettiva:  piu lontani songli avvenimenti o le cose  ch' essa si sforza di evocare; d'onde la  facilità con cui confonde l'uno coll' al tro fatto, e appropria ad una cosa lé  proprietà dell' altra. Se pensando alle  ali di un uccello, la mente accoppia in  quel momento una figura d'uomo, io  posso ben creare l' immagine d'un che rubino, ma non nederivaper questo che  essa trovi una concreta rappresentazione  nella realtà, nè che in natura esistano  tutti imostri creati dalla immaginazio ne; ma piuttosto si troveranno nella re altà tutti gli elementi separati, che l'a strazione ha insieme congiunti per for mare un nuovo essere. D' onde si vede,  che la sintesi dell' astrazione non può  essere ricondotta alla realtà, senza il  soccorso dell'analisi sperimentale.  Atavismo. Ilbotanico Duchêne ha  per primo introdotto nel linguaggio  scientifico questo vocabolo , che fu poi  adottato da Darwin ed è ora divenuto  pressochè universale. Indicasi con questo  nome quella tendenza che si manifesta  negli esseri viventi, a riprodurre certi  caratteri anatomici o fisiologici od ezian dio patologici, che furono già propri dei  loro antenati, e non sono più comparsi  nei genitori. Ad esempio, la etisia più  facilmente trasmettesi dall'avo ai nipoti,  che dai genitori ai figli, e spesso lascia  immune una o due generazioni, per ri comparire nella famiglia. Ma nelle ere dità fisiologiche l'atavismo è assai più  frequente. Darwin ha citato ungrannu mero di casi, nei quali vien dimostrata  conmolta chiarezzaquesta tendenza, che  hanno gli organismi a riprodurre le  forme antiche, e il sapiente naturalista  inglese si è giovato assai di questi fatti  per assegnare a certe specie di organi smi i loro antichi progenitori. Spesso  nel cavallo notasi l'apparizione dei diti  laterali , che fan credere che questo so lipede derivi dall' ipparione, animale fos sile molto simile al cavallo, ma che a veva tre diti. Altri nostri animali dome or è noto che la memoria tanto piùdif- | stici, a quando a quando riproducono i ATEISMO  caratteri dei loro antenati e, per esem pio, in una razza speciale di buoi di  Suffolk i quali, in grazia di un certo  incrociamento, un secolo e mezzo fa si  sono ottenuti senza corna, di tempo in  temporiappaiono individui cornuti, i quali  rivelano la tendenza a riprodurre questo  carattere originale dei loro antichi an 57  contro l' ateismo. E convien confessare  chese il fatto fosse vero,sarebbe, senon  altro, una prova o della grandissima e videnza della esistenza di Dio, o della  intima rivelazione che Dio avrebbe in stillato in ogni uomo della sua propria  esistenza. Ma il fatto non è vero, e la  pretesa universalità della credenzain Dio  tenati. Darwin crede eziandio che le va scompare tosto che la critica sincera e samina le prove numerosissime raccolte  rie forme embrionarie attraverso alle  qualipassa il feto umano,nonsiano altro | dalla antropologiae dallastoria. L'atei che la riproduzione delle forme tipiche  degli animali che l'hanno preceduto nella  serie degli esseri da cui deriva ( Vedi  EMBRIOLOGIA) e Vogt considera imicro cefali come una sorta di atavismo scim miesco. che interrompe la legge di evo luzione. I casi di donne con quattro e  sei mammelle non sono rari, e Darwin  li spiega anch'essi come effetti dell' a tavismo. Il quale al postutto vuol essere  considerato siccome una legge contraria  aquella di selezione (vedi DARWINISMO)  imperocchè se questa, in grazia della  varietà del clima, del nutrimento e del l' incrociamento, tende costantemente a  trasformare i tipi, l'atavismo ha la co stante tendenza a mantenerli identici, e  or qua or là, manifesta la sua potenza  latente riproducendo, nel seno stesso dei  nuovi organismi, le forme tipiche dei loro  progenitori. Questa potenza si rende an cor piùevidentenelregno vegetale, dove  i tipi derivati che si ottengono senza l'in crociamento (innesto), e per la sola va rietàdella coltura, inevitabilmente ritor nano alle forme primitive tosto che si  cessa di coltivarle; la qual tendenza è  comune anche agli animali domestici, i  quali, se sono abbandonati allo stato sel vaggio, facilmente riprendono i loro ca ratteri originali.  Ateismo.ParolacompostadaTeos,  Dio, e dallaparticella negativa a; d'onde  a-teos, assenza di Dio. La teologia e la  filosofia teologale finora non hanno po tuto far di meglio che negare ostina tamente l'esistenza di veri atei, e fino  ai nostri giorni fu questo ilmigliore ar gomento che i credenti seppero addurre  smo è lo stato normale di una buona  metà di tutti i popoli dell' Asia. Non  havvi nella lingua cinese unaparola che  esprima l'idea di Dio; della quale as senza il signor Renandot trova unapro va sicura nella iscrizione Cinese e Siriaca  scoperta nel 1625. Gli Assiri, dic' egli,  che la lasciarono come un monumento  della loro missione, essendo vissuti 146  anni fra i Cinesi non nepotevano igno  rare la lingua. E se eglino avessero  trovato nella lingua del paese qualche  parola che dinotasse l'Essere supremo,  certo l'avrebbero adoperata invece della  parola siriaca a Cobo. Quindi è ch' essi  hanno fatto quello che gli spagnuoli  dopo di loro hanno dovuto ripetere nel ' America, adoperando la parola Dios per  instruire gli Americani, i quali non ave vano nè idea nè parolache esprimesse il  concetto di Dio .  Per giungere alla medesima dimo strazione, il signor de la Loubère si  serve del seguente passo di Confucio, il  massimo filosofo dei Cinesi.« Per quanto  un uomo sia virtuoso, vi sarà sempre  un grado di virtù ch' egli raggiungere  non può. Il Cielo stesso e la Terra  sì grandi e perfetti,nonpossono satisfare  tutti a causa dell' incostanza del tempo  e degli elementi, diguisachè l'uomo tro va contro di essi dei motivi di disgusto  e d'indignazione. Laonde, se ben s' in tende la grandezza dell' estrema virtù,  si dovrà confes are che l'universo intero  non può contenerne nè sostenerne il  peso > D'onde si vede che Confucio,  negando la possibilità dell' esitenza di  una virtù assoluta , implicitamente ne 58  ATEISMO  gava l'esistenza di Dio. ( v. CONFUCIO).  Perfino i missionari mandati nella  Cina non hanno potuto negare questo  fatto. S. Francesco Saverio riferisce che i  Bonzi del Giappone non volevano cre dere che vi vosse un Dio, perciocchè,  dicevano essi, se ve ne fosse uno, i Ci nesi non l'avrebbero ignorato ( Epist.  Lib. IV).  Anche i gesuiti, tanto interressati a  sostenere l'eccellenza dei Cinesi, le buone  grazie dei quali si erano accaparrati, e  n' usavano poco cristianamente contro  le missioni di tutti gli altri ordini, fu rono costretti a confessare l' ateismo dei  Cinesi. « I Cinesi, scriveva il padre An tonio Gorefa, sono pieni di spirito, e  nondimeno finora sono vissuti nelle te nebre e nella più profonda ignoranza  dell' esistenza di Dio  La setta dei  letterati, che condanna il culto degli idoli,  non è, a parlare propriamente, che un  Ateismo approvato dalle leggi dell' im pero ».  Si los Chinas no son Atheos, que  Nacion ay o houve quelo sea! esclama  il padre Antoine di Santa Maria.  Contro queste ed altre numerosissime  testimonianze, non mancano coloro i  quali vogliono che le voci cinesi Tien e  Xangti esprimano il concetto della di vinità; e i gesuiti, infatti, nelle loro tra duzioni delle opere di Confucio resero  queste parole per Dio. Ma il senso di  que' vocaboli tant era lontano presso i  Cinesi di rendere fedelmente il concetto  della divinità, che il vescovo di Conon  con sua ordinanza del 26 marzo 1693  stimò bene di vietarne l'uso per espri mere il vero Dio. Avendo i gesuiti ricusato  di sottomettersi a questo divieto, ne nac que uno scandalo; l' affare fu portato  aRoma, ove Innocenzo XII nominò una  Congregazione di Cardinali e di Teologi  per deciderlo. La decisione non fu resa  che sotto Clemente XI, il 20 novembre  dell' anno 1704, e confermava il divieto  del vescovo di Conon. Prima di pronun ciare questa decisione i membri della  Congregazione non avevano mancato di  prendere informazioni sui luoghi. Tra  queste informazioni vi è quella che il  vescovo di Bérite mandò al cardinale  Casanate, che qui rendo testualmente:  >  Le prove adotte in questo articolo mi  dispensano di confutare siffatte idee.  Quanto alle ragioni ontologiche dell' a teismo si troveranno nell' articolo Dio.  Per i filosofi che dopo aver avuto la  coscienza di Dio, lo negarono poi colle  leggi del ragionamento, veggansi inque sto Dizionario gli articoli: CRIZIA, PRO TAGORA, BIONE, STRATONE, DIAGORA, LEU CIPPO, DEMOCRITO, LUCREZIO, Fò, AVERROE,  POMPONAZIO, RUGGERI, VANINI, BRUNO,  HOBBES, SPINOSA, TOLAND, MESLIER, LA  METTRIE, BOULANGER, HOLBACH.  Atomo. La parte più piccola  della materia, che non può più oltre  3 60  ATOMISMO  essere divisa chiamasi molecola. Tut tavia la malecola è ancora divisibile  col pensiero , e l'ultimo limite al  quale colla divisione giunge il pen siero, dicesi atomo. L'atomo è dunque  una astrazione, perocchè ragion vuole  che lo si suppongasenza dimensioni,  chènel contrario caso,il pensiero po trebbe ancora dividerlo all'infinito. Vedi  ATOMISMO) La chimicamoderna ha adot tati gli atomi come formola convenzio nale, adatta ad esprimerele più sottili  combinazioni e il modo di aggrega zione delle varie sostanze fra di loro.  Si é infatti osservato che leproporzioni  fra le varie sostanze che costituiscono  i corpi, rimangono inalterate anche nelle  più piccole e intime parti del corpo  stesso, di guisachè, posto peresempio  come provato dalla chimica, che lo  zucchero constadi 12parti di carbonio;  23di idrogeno; 11 di ossigeno,se pren diamo la più piccola molecola di zuc chero, che ci è data concepiree la di vidiamo in tre parti, troviamo senz'al tro che ognuna di essenonconsta già  interamente di una delle tre sostanze  componentilo zucchero, ma bensì di 12  parti di carbonio,23 di idrogeno, 11 di  ossigeno, e che ogni ulteriore divisione  all'infinito constasempre di una combi nazione simile. Orl'atomo nella chimica  rappresenta appunto l'ultimo limite nel  quale si suppone che le particelle di  carbonio, d' idrogeno e d'ossigeno si  separeranno senza combinazione. Onde  si dirà, che dodici atomi dicarbonio,23  atomi di idrogeno e 11 di ossigeno costi tuiscono unamolecola di zucchero. Tut tavia questa locuzione è errata, avvegna chè gli atomi costituiscono spécialmente  un principio di ragione, che impropria mente si trasforma in corpo materiale;  motivo per cui molti chimici d' oggidi  abbandonano gli atomi allafilosofiaspe culativa, e chiamano molecole tutte le  parti più o meno piccole dei corpi,  sieno esse semplici o composte, com binate o no. (Vedi MOLECOLA)  Atomismo. Sotto questo nome  generale s' intendono tutti i sistemi filo sofici, i quali hanno per fondamento l'i potesi degli atomi, ossia i corpuscoli  impercettibili della materia. Se noi pen siamo alla divisibilità infinita della ma teria, l'antitesi dell' infinito contenuto nel  finito,non può ameno di presentarsi alla  nostra mente (Vedi INFINITO ). Ма pos siamo noi evitare questa assurdità logica?  Fino a qual qunto dovremo noi pensare  che un corpuscolo non possa ulterior mente dividersi? Tali furono le questioni  generali che hanno originata la teoria  atomica. Secondo gli atomisti, ciò che  chiamasi atomo è essenzialmente semplice,  e ciò che è semplice non può ulterior mente dividersi. L'atomo è dunque úna  particella di materia elementare, imper cettibile e imponderabile; e perciò ap punto che sfugge alla tangente dei sensi,  essa rivelasi subito come una mera astra zione. Epperò l'atomo è la materiaquin tessenziata, press' a poco com'è lo spi rito; e l'aggregato degli atomi costitui sce i corpi. Ciò basta per farci intendere  che l'atomismo antico, nonostante la sua  tendenza al materialismo, differisce dalle  nostre teorie molecolari in questo, che  le nostre molecole non sono semplici , e  non dissomigliano essenzialmente dai  corpi che compongono, non rappresentano  unconcetto metafisico, ma semplicemente  un concetto d'estensione, quella più pic colissima parte di materia che ci è dato  di immaginare. Sebbene la teoria ato mica fiorisse nella Grecia ai tempi di  Anassagora e di Democrito, ne troviamo  però qualche anterior saggio nell' India  nella setta filosofica detta dei Vaisechika  della quale fu fondatore Kanada. Diceva  questo filosofo, che se un corpo fosse  veramente composto di un numero infi nitodi parti, sarebbe vero il paradosso  che fra un grano di senape e unamon tagna non vi è alcuna differenza di  grandezza, poichè l' infinito è sempre e guale all' infinito. Per evitare questa  contraddizione supponeva egli che lama teria fosse un aggregato di particelle  elementari, eterne e indivisibili; e tali ATOMISMO  appunto sono gli atomi. Questi sono ne cessariamente intangibili , poichè tutto  ciò che cade sotto i nostri sensi è un  composto e ciò che è compostopuò sem pre dividersi: ma nondimentichiamo che  l'atomo è indivisibile. Gli atomi non  constano tutti della stessa sostanza. Ka nada supponeva che ve ne fossero di  quattro specie: terrestri, acquei, aerei e  luminosi: sono sempre iquattro elementi  della fisica antica. La varietà di questi  61  Poco diversa dalla teoria del filosofo  indiano è la teoria atomica dei filosofi  greci. Gli atomi d' Empedocle, come  quelli del filosofo indiano, sono di quat tro categorie, e il principio superiore  dell' amore o dell' odio li fa congiun gere o li disgiunge. Nel sistema di A nassagora gli atomi son detti omeo meria, e si distinguono in un infinito  numero di categorie, quante sono le  sostanze e perfino i colori che vedia atomi costituisce i corpi, ma la loro  combinazione non è meramente arbitra ria e casuale, bensì è regolata da una  legge. La prima combinazione è sempre  binaria, cioè composta di due atomi; la  seconda formasi coll'aggregazionedi tre  di questi atomi doppi; quattro atomi se condari formano una combinazione ter naria e così via. Ora questo modo di  combinazione, per quanto sembri strano,  non è poi molto lontano dalla realtà,  quale ci fu rivelata delle moderne ipo tesi della chimica. Abbandonato il nu mero progressivo degli atomi, che è  una mera astrazione, noi vediamo che  ogni cristallo è infatti un aggregato di  altri cristalli d' egual natura e forma.  Se, ad esempio, noi prendiamo una delle  più piccole cristallizzazioni del sale co mune, vedremo che ha la forma di un  cubo. Or quel cubo può decomporsi in  altri piccoli cubi, e ciascun di questi in  una quantità di altri cubi più piccoli, e  cosi di seguito fino all' atomo che si  suppone elementare. La scienza è dun que venuta a convalidare, fino ad un  certo punto, la teoria atomica. Se non  che, mentre la teoria molecolare più  modesta della prima, a questo punto si  è fermata, limitandosi a concepire la  molecola come la più semplice espres sionedellamateriaimmaginabile; lateoria  atomica invece, ha voluto quintessenziare  l'atomo e renderlo immutabile nell' uni verso. Dopo tutto questo, Kanada, per  una sorta di astrazione, che non si sa  comeben si concilii colla semplicità e lementare dei suoi atomi, ha ammessa  un' anima distinta dal corpo.  mo. Ma è soltanto con Leucippo e De mocrito che il sistema atomistico della  Grecia assume una forma più risoluta e  allontana, siccome ipotesi inutile, il prin cipio spirituale. Poichè gli atomi sono  semplici e riempiono tutto, come potrebbe  definirsi lo spirito, e qual posto dargli?  Se l'atomo è semplice, e semplice è lo  spirito, l'uno o l'altro è superfluo, oppure  l'uno si confonde coll'altro (Vedi LEU CIPPO E DEMOCRITO). Mentre Anassagora  aveva creato tante sorta di atomi quante  sono le sostanze, Democrito, afferrando  il gran principio dell'unità della materia,  tutti li supponeva della stessa natura e  sol diceva che i corpi differivano pel di verso modo della loro aggregazione. Si  Leucippo che Democrito, ammettendo la  eternità degli atomi e del movimento  loro, escludevano esplicitamente la possi bilità della creazione. Ogni cosa è for mata degli atomi e gli atominonhanno  principio nè hanno fine. Questa dottrina  fu ad un dipresso adottata da Epicuro  e cantata da Lucrezio coi suoi aurei  versi. Qui l'atomismo antico si avvicina  al materialismo moderno: non solo rico nosce l'eternità degli elementi materiali,  ma energicamente afferma la realtà della  materia. Verità triviale, se si vuole, ma  che non èperciò, cosa incredibile ma pur  vera, meno contrastata anche ai nostri  giorni (Vedi BERKELEY, COLLIER е Ма TERIALISMO).  Nei tempi moderni l'atomismo rinac que con Gassendi, ma fu sistema scem pio, perciocchè, fedele al domma della  creazione ex nihilo, tolse agli atomi l'e ternità, li fece decadere dal grado di 62  AUTENTICITA  principio a quello di fenomeno, e in tal  senso la sua ipotesi diventava inutile.  L'atomismo è invece passato nelle scienze  naturali sotto il nome di teoria moleco lare, la quale, come già dissi, è benlon tana di considerare gli atomi con quel  carattere di principio elementare che  Cadivisioilità degli antichi ad essi at tribuiva.  Attrazione. Newton hacosì chia mata la tendenza che hanno i corpi di  attrar i fra di loro in ragione diretta  delle ma-se e inversa del quadratodelle  distanze. Quando questa tendenza eser citasi fra i corpi celesti, chiamasi attra sione universale, o gravitazione; è in vece attrazione molecolare o coesione  quella che si compie fra le molecole a  distanze infinitamente piccole.  Filosoficamente parlando, l'attrazione  esprime un fatto, non già una causa,  onde sarebbe crroneo il supporre, che  essa fosse un certo che di separatodalla  materia in cui si manifesta. L'attrazione è una forza, e come tutte le forze è un  attributo nominale, non sostanziale, della  materia (Vedi FORZA).  Attributo. Dicesi attributo ogni  qualità o proprietà dei corpi, che ser vono a meglio determinarli o a far ne conoscere l' essenza. Vi sono at tributi reali ed attributi inetafisici; e ben  si capisce che questi ultimi hanno tanta  realtà quanto gli enti a cui si attribui scono. Così l'unità, ' attività, ' immor talità dell' anima sono attributi tanto  veri quanto può esser vera la esistenza  di quello spirito, che si chiama anima;  come l' onnipotenza, la bontà e infinità  di Dio sono subordinati all' esistenza di  di quello spirito che si chiama Dio. Ma  siccome sull' argomento degli spiriti l'e sperienza se ne rimane muta, e siccome  d'altronde la metafisica nullac' insegna  che sia assolutamente dimostrato intorno  a questo argomento , così è chiaro che  gli attributi della metafisica mancano  di ogni dimostrazione.  Non così accade degli attributi reali,  propri della materia, i quali in qualche  modo cadono sempre sotto i nostri sensi.  Anzi tant'èlarealtà e l'evidenza di questi,  che spesso la metafisica li confonde e li  innalza al grado di sostanze separate, di  entità metafisiche. Accade così del mo vimento, del pensiero ecc. ( vedi questi  nomi) i quali, quantunque logicamente  non si dimostrino altro che attributi soe cialissimi della materia, la metafisica li  concreta in altre sostanze cae stanno  fuori della materia, e quindi nel nulla.  Anche l'idea generica di forza, che la  metafisica ha creato e la filosofi speri mentale adottato per spiegare intelligi bilmente la causa dei fenomeni, non si  risolve, in ultima analisi, che in un aturi buto della materia (vedi FORZA). Quindi  è, che i soli attributi sui quali non cade  onon dovrebbe cader disputa, son quelli  stabiliti dalla fisica sperimentale per i  corpi, come sarebbero ' impenetrabilità,  l'estensione, la porosità, la divisibilità,  il colore, il sapore, il peso e tutte in somma le maniere con cui lamateria si  presenta ai nostri sensi.  Audeo • Audio. Nacque nella  Mesopotamia verso la metà del quarto  secolo. D' indole atrabiliare e di un esa gerato ascetismo, soleva egli rimprove rare acerbamente la mollezza dei preti  e dei vescovi de'suoi tempi, ond' era spes so svillaneggiato e talora anche maltrat tato. Denunziato all' imperatore ed esi gliato infine nella Scizia, v' istruì molti  proseliti, insegnò la pratica della vergi nità e fondò monasteri colle regole del  viver solitario. Dall'ortodossia si distaccò  in alcuni punti di dottrina, come nella  celebrazione della Pasqua, ch' egli faceva  nel giorno stesso della Pasqua dei Giu dei; poichè diceva che il Conciliodi Ni cea l'aveva trasportata nel giorno na talizio dell' imperatore, per adulazione  verso Costantino. Dopo la morte diAu deo la sua setta fu governata da vari  vescovi fino alla fine del quarto secolo,  col quale si spense.  Autenticità Vedi CANONE E APO CRIFI. Per l'autenticitàdegliEVANGELI e  del PENTATEUCO vedansi questi nomi. AVERROE  63  Autorità. In filosofiadicesi auto- mente rimettersi all'autorità, in quelle  d'opinione, ha il dovere, per quanto  e meglio può, di far egli stesso le sue  rità quella testimonianza che l' uomo  dotto nelle specialità fa sulle cose  della scienza o dell'arte che gli appar tengono. E per quanto rifuggasi in  buona filosofia dal prestar fede all'au torità, non può, per altro, questa eli minarsi affatto, poichè niun uomo può  essere dotto intutte le scienze, nè tutto  può sapere. Laonde, per quanto si in culchi e s' insegni che l'uom deve da  se stesso accertare le cose a cui crede,  non può, per altro, escludersi che in  illazioni.  Averroe. Pseudonimo di Ibn-Ro scd. Filosofo arabo nato in Cordova  verso la metà del XII secolo. Egli fu  il  primo che volgesse dal Greco in  arabo i libri di Aristotile , e i suoi  commenti sopra questo filosofo a cui pro fessava grandissima stima, glimeritarono  il sopranome di Commentatore. Aristo tile sintetizzando tutte le forze di natura  e riducendole ad unità, n'aveva compo sto un tal simulacro di Dio, che nulla di  molti casi ei nondebba necessariamente  ricorrere all'autorità, vuoi nellescienze  storiche, vuoi nelle fisiche o nelle ma tematiche, e rimettersi al parere di co loro che ne trattarono con fondamento.  Escludere, infatti, l'autorità dalla storia  sarebbe quanto il negare la storia, però  che noi stessi non possiamo accertarci  delle cose passate; ma del pari non  possiamo conoscere per nostra espe rienza tutto ciò che riguarda le altre  scienze, ond'è che inquelle parti nelle | di assoluto, d' inalterabile, d'eterno, on quali ci riconosciamo manchevoli, dob divino aveva. E fu con una cotal sintesi  cheAverroe, sorvolando a tutti i fenomeni  della coscienza individuale, considerava  il pensiero umano come la risultante di  tutte le forze dell'universo, o come parte  o azione di una ragione universalo, che,  indipendente dalla materia non poteva  dirsi, ma nemmen che le fosse soggetta.  La ragione fu per Averroe un cotalche  biamo rimetterci all'autorità di uomini  competenti. Abbisi soltanto l'avvertenza  di non confondere il parere di uomini  autorevoli con la vera dimostrazione,  però che, come ben dice il Romagnosi,  questi dotti possono essere interpreti  della ragione, non la ragione medesima.  Nè estendasi poi l'autorità loro invocata  sopra una determinata cosa, a tutti i  rami dello scibile, come spesso si suol  fare , onde nascono i tanti abusi e  le tante autorità effimere,che menano  all'errore. Perocchè un uomo può es sere autorevole in una scienza e non  avere autorità alcuna nelle altre, onde  tutti i grandi, si smarrirono quando  uscir vollero dai lorostudi. L'autorità  specialmente s'invochi sulle questioni  di fatto, poichè in quelle il giudizio di  tutti gli uomini si accorda; madove vi  è passione, o entusiasmo, o opinione  determinata da un partito, l'autorità a  nulla giova, perciocchè se nelle que stioni di fatto l'uomo deve necessaria de inalterabile e eterna doveva essere  l'umanità che partecipava ai privilegi di  cotesta ragione. Qui scambiando l'essen za con la forma, Averroe troppo presto  dimenticava, che nessuna forma è inalte rabile e imperitura nell' universo e che  l' umanità deve necessariamente seguire  questa eterna legge di evoluzione.  Averroe non è propriamente allascuo la esperimentale che vuol essere ascritto,  ma negare non si può ch' eglinon tenda  alquanto al panteismo. Perciocchè quella  sua ragione universale, sintesi dell' uni verso che s'incarna e s'individualizza  nella coscienza individuale, non ripugna  aquesta scuola.  Come Aristotile, dal suo Dio panteista  aveva dedotta la conseguenza che non vi  può essere relazione alcuna possibile tra  Dioelaspecieumana, così Averroe esclude  i preti e la teologia dal concorrere alla  suprema felicità. La personalità finisce  col corpo, e dopo la morte va per dendosi nel mare della intelligenza uni versale, alla quale, non solo è affine, ma 64  BACONE  risale almeno a quattro secoli dopo.  Avicenna, pseudonimodi Jbn-Si anzi identica. Perciò, tutte l'anime in | ribus, ma a torto, poichè quello scritto  nulla differiscono fra di loro, e l'orga nismo solo quello è, che fadiversi gl' in dividui, che dà una personalitàpropria a  Socrate diversa da quella di Platone. Or  gli organi periscono, e l' anima, la ra gione rimane inalterata e si confonde  nella ragione universale. Questa ragione  è eterna; come eterna è la materia; on de il creare e il risorgere son cose del  pari assurde.  Per quel che si vede, non può dirsi  che Averroe spingesse agli estremi le sue  negazioni. Pure, senza volerlo, fu egli  reputato, e restò per lungo tempo, come  na. Celebre medico arabo nato nell'anno  880. Scrisse moltissime opere filosofiche,  dove illustrò i principii dei peripatetici  il capostipite dell' incredulità. A lui si  attribuirono le più ardite opinioni e i  più scettici pensieri; da lui si intitolò la  tendenza al discredere. L'averroismo non  fu dottrinapanteistica o filosofica, ma pei  successori di Averroe fu ladottrina del con le massime della filosofia araba.  Ammetteva ' eternità del mondo, seb benegli assegnasse unacausa efficiente,  Ja quale però non cadeva nel tempo;  l'anima voleva congiunta al corpo e la  sua perfezione consisteva per lui in  uno stretto legamecol mondo intellet tuale. Cadeva quindi nell' error dei mi stici, supponendo che l'uomo tanto più  si fa perfetto, quanto meglio si allon tana dal mondo e si rivolge alla spe culazione. Non pare però cheAvicenna  abbia messo in pratica le sue idee,  poichè spesso si abbandonò all'orgia e  mori infine d'una malattia d'intestini,  l'incredulità. Ad Averroefu attribuita la coi conforti della religione mussul redazione del libro De Tribus imposto- mana.  B  Bacone(Francesco) Barone di Ve rulamio, Cancelliere d'Inghilterra, fu fi losofo profondissimo, e di quanti merite voli di tal nome siano stati, il meno o nesto e il men sincero. Avido di denari  e d'onori ei non sempre curò di leal mente esporre le sue convinzioni, sicchè  le opere di lui riboccano di passi scritti  in favore di una religione ch'egli ogno ra combatteva coi dettatidella sua filo sofia. Fu egli che scrisse quel detto, di venuto famoso per esser stato poi ri scritto da tutti gli apologisti, che poca  scienza conduce all'ateismo è molta scien zariconduce alla religione, ondeil catto lico Ladvocat lo chiama dotto teologo,  modesto storico, profondo giurista e gra zioso poeta, e l'autoredelle memorie per  la storia ecclesiastica dice, ch'egli era un  protestante molto propenso al cattolice simo. Giova aggiungere però, che l' am missione nel pantheon cristiano di cote sto uomo, fa un gran torto al cristiane simo. Se l' apparenza e la lettera degli  scritti di Bacone stanno per la religione,  lo spirito delle sue opere è tutto diretto  anegare il sovranaturale. Nel Trattato  sulla natura delle cose e in quello Dei  principi e delle origini, Bacone combatte  fieramente l'antica scuola del trascen dentalismo Platonico ed Aristotelico, e  rendendo ragione a Democrito e ad E picuro, egli fa sua la loro teoria atomica  eproclama che la materia è eterna ed  indestruttibile, che il mondo basta a se  stesso e che fuori del mondo non vi so no corpi. « Lamateria, diceva Bacone,  ha dessa un' origine? Ciascun uomo che BACONE  ragiona, per la testimonianza dei sensi  deve naturalmente pensare che la mate ria è eterna (Principj edorigine). Essa  è indistruttibile, impenetrabile. Siamo  65  coli, ed essa li produce asuo tempo per  una legge inevitabile (Dignità ed accre scimento lib. II. Cap. XIII). Or come si  concilia ella mai questa ardita teoria  disposti ad ammettere l'idea di Erone  che ce la rappresenta come costituitada  atomi separati da unvuoto misto. Tutto  cambianella forma, in sostanzaniente si  distrugge ed il volume della materia re sta sempre lo stesso. Non si neghi l'u tilità delle ricerche relative al primo  stato degli elementi od atomi; sonoque ste forse più importanti d' ogni altra.  Esse regolano l'atto e la potenza, esse  moderano l'immaginazione e le opere  (Pensieri sulla natura delle cose).  Altrove Bacone parla con molto di sdegno delle cause finali, e vuole ope rare fra le scienze naturali e le teologi chequel divorzio che oggimai si è com piuto, non senza grandissimi contrasti.    Baggemio di Lipsia. Visse verso  la metà del XVII secolo. Si disputava  allora tra i teologi e i filosofi se Dio  avesse creato il mondo per meglio far  risplendere i suoi attributi, o se pure  l'avesse creato per farsi rendere omaggio  dagli Enti liberi. Baggemio avanzò una  certa ipotesi nonmeno assurda delle al mase parecchi anni. Ma essendo poi ve nuto amorte il superiore,Bacone seppe  ingraziarsi il successore di lui, indiriz- tre, e pensò che Iddio si fosse determi  zandogli, come segno di omaggio, uno  scritto sui mezzi adatti a fermare ipro gressi della vecchiaia. Poco di poi Ba cone fu ridato alla libertà, manon molto  sopravisse alla sua liberazione, poichè era  vecchio, e gli effetti del tempo, che vo leva arrestare sugli altri, non aveva sa puto impedire sopra se stesso.  Lafantasia degli scrittori moderni si  è compiaciuta di trasformare questo mo naco inun uomo di scienza incompa rabile, sol perchè egli fu perseguitato;  ma le persecuzioni degli stolti non ba stanomicaper innalzareun ingegno men  che mediocre finoall' altezza dei tempi  presenti. E che mediocrissimo sapere  possedesse cotesto frate, ce lo attestano  i madornali errori e gli stupidi suoi  pregiudizi nelle scienze naturali, nelle  quali pur sempre si vuol dottissimo. Egli  insegna che con spermaceti, aloe e carne  di dragone puossi prolungare la vita, e  conla pietra filosofale immortalarla; che  la constellazione dell' agnello ha una di retta influenza sulla testadell'uomo,quella  del toro sul collo e quella dei gemelli  sulle braccia. (Opus majus). Altrove dice  che la luce si fa per moltiplicazione  univora ed equivoca, che quest' ultima  genera il calore, e il calore la putrefa zione. Gli fa troppo onore chi crede  ch'egli sia stato l'inventore della polvere,  per un certo passo che si legge nel suo  Opus Majus, ove si accenna al fuoco  greco ead un certo fuoco, che facevano  i bimbi di quei tempi, i quali mettendo  del salnitro in una piccola palla grande  un pollice egettandola sul fuoco, produ cevano un rumore sì violento che sor nato ad agire per amore verso le crea ture. Così restò bene assodato che, in  qualunque modo siconsidera,questo Dio  creatore non può sfuggire all' antropo morfismo. I teologi e i filosofi gli attri buivano un vizio: l'ambizione d'imperare  sopra dei sudditi, e di risplendere ai loro  occhi; eBaggemio gl' imputò una virtu;  virtù e vizi però che sono sempre copiati  dalla passioni umane e che in nessuna  maniera convengono all' Ente assoluto.  Bajo, o Bay (Michele) Nacque a  Malines nell'Haynaut nell'anno 1513, fu  ricevuto dottore nel 1550e nell'anno se guente occupò lacattedra di Sacra Scrit tura nella università diLovanio. In quei  tempi ferveva vivissima tra i cattolici e  i protestanti la controversia sulla grazia  e la predestinazione, e gli uni e gli al tri pretendevano di appoggiarsi sulla au torità di S. Agostino, il quale, coi passi  scritturali, aveva dimostrato contro i pe lagiani, che l'uomo non può far nulla  senza Dio, che tutte le nostre forze ven gono da lui, giacchè siamo corrotti e  nasciamo figli d'ira. Imperocchè, diceva  questo luminare della Chiesa, dopo il  peccato, l'uomo da se stesso è impotente  a salvarsi senza il soccorso della grazia  divina, ed anzi senza questa grazia egli  non avrebbe potuto perseverare nella  giustizia originale. Condotto dallo spirito  dei tempi astudiare questa questione,  Michele Bajo credette di rettamente in terpretare S. Agostino contro ilduro fa talismo divino di Calvino e di Lutero,  affermando, che la divina giustizia non  avrebbe potuto creare gli uomini senza  le grazie e le perfezioni dello statod' in BAYLE  67  nocenza. Pertanto, mentre S. Agostino tenete voi, ai calvani sti, ai luterani, ai  ammetteva che eziandio una certa qual zuingliani ?- Io, ripeteva Bayle, sono  grazia sufficiente era necessaria per sal- protestante,equindiprotesto contro tutti.  varsi, Bajo ammise, che l'uomo creato Odiato da molti , egli nondimeno co libero e giusto si è perduto per sua colpa, strinse i suoi nemici ad inchinarsi d' in e che persolavolontàdilui persevera nella nanzi alla perspicacia del suoingegno e  colpa dopo la caduta. Bajo dunque, con- a riguardarlo come il luminare del suo  tro Lutero e Calvino ammetteva il libero | secolo. Scrisse molte opere,frale quali il  arbitrio, madifferiva dai cattolici in ciò,  che mentre questi lo fanno consistere  nel potere di determinarsi liberamente  Dizionario Storico-Critico, nelquale rias sume tutte le eresie e tutte le opinioni  della filosofia. Le scuole dommatiche non  senza alcuna necessità esterna ed inter na, Bajo sosteneva che nel pensiero di  S. Agostino il libero arbitrio consistesse  in questo, che ' uomo non è esposto a  nessuna necessità esterna, senza che in ternamente egli abbiailpotere di deter minarsi per una cosa diversa da quella  ch'egli fa.  Cotal divergenza di opinioni eccitò  serie dispute, specialmente da parte dei  religiosi dei Paesi Bassi dell' ordine di S.  Francesco, i quali spedirono a Parigi  dieciotto proposizioni del loro avversario,  che la facoltà di Teologiacondannò. La  sanno perdonargli il metodo della sua  critica, perciocchè spesso assumendo la  difesa di un domma, ei lo circonda di  tante difficoltà, gli solleva contro le tante  obbiezionidegli antichi eresiarchi, espone  le tante fiate i difetti della ortodossia,  che il lettore,dopo un difficilissimo cam mino attraverso alle cento controversie,  giunge alla conclusione e alla vittoria  dopo aver perduto la fede. Non è dun que senza fondamento che alcuno scrisse  dilui : essere più fatali alla religione le  sue difese, che gli stessi suoi colpi.  Certo, questo sistema di critica nè  disputa non si acquetò per questo; l'af- | sarebbe opportuno nè decoroso per la  fare fu portatod' innanzi al soglio ponti ficio, ove le proposizioni di Bajo furono  del pari condannate. Manon andò guari  chele stesse dispute, risorte nella Spagna  conMolinaeGiansenio,minacciarono per  lungo tempo la pace e la tranquillità  della Francia (Vedi GIANSENISMO).  Bayle(Pietro)nacque a Carlat nella  contea di Foix e fece isuoi primi studi  di filosofia a Tolosa. Di nascita pro testante, egli per le insinuazioni di un  prete , giovane ancora, si converti al  cattolicismo, che abiurò dopo 17 mesi.  Nel 1675 ottenne lacattedradi filosofia  a Sèdan, ma le calunnie del ministro  Jurieu lo costrinsero poco di poia rifu giarsi in Olanda, dove fu nominato ad  altra cattedra in Rotterdam. Uomo di  costumi austeri e di studi profondi, pro testante di nome, non apparteneva di  fatto anessunareligione positiva. A co loro che lo interrogavano sulla sua cre denza, rispondeva: io sono protestante. Ma aqual comunità protestante appar flo  moderna, ma noi dobbiamo pur  concedere la lor parte al tempo ed  Li costumi, perciò che quelle verità  elementari che oggi non escono dai  limiti della più modesta opposizione, po tevano altre volte esser sommamente ar dite e pericolose per chi avesse osato di vulgarle. D'altronde, non sempre il Bayle  fu timido e riguardoso, e in parecchi  luoghi del suo dizionario entrò in cam pagna quasi apertamente contro la divi nità. Egli è specialmente nell'esame cri tico del Manicheismo che scuote forte mente il principio dommatico d'ogni re ligione a tutto profitto dello scetticismo, e  dimostra quanto poco le opere di Dio  corrispondano all'idea che dobbiam farci  della sua infinita sapienza, della bontà,  della santità e dellapotenza infinita. Egli  esamina se il mondo possa considerarsi  come prodotto da un sol principio, e  conchiude per la negativa. Ilmondo non  è perfetto: zone glaciali, zona torrida,  deserti spaventosi e mari immensi la 68  BATTESIMO  rendono poco abitabile ; montagne e rupi  la sfigurano; fulmini, tempeste, terremoti  evulcani la sconvolgono; gli animali si  combattono e a vicenda si distruggono,  e l'uomo stesso, pieno di mali e di biso gni, non può considerare la sua storia  che come una sequela di sventure e di  rovine. Or, dice il Bayle toccando iquat tro punti che formano il contrasto della  sua critica, la Somma Bontà può pro durreuna creatura rea? La SommaBontà  può produrre una creatura infelice? La  Somma Bontà congiunta aduna potenza  infinita non dovrebbe forse colmare l'o pera sua di tutti i benie da essa allonta nare tutto ciò che può offenderla o mo lestarla? Invano si risponderà che le di sgrazie dell' uomo son conseguenza del l'abuso della sua libertà: la sapienza in finita di Dio doveva prevedere tale abuso:  e lasua bontà doveva toglierlo. Queste  idee che il Bayle ripete nelle sue Ri sposte ad un Provinciale, non passarono  inosservate alla filosofia religiosa , la  quale rispose per la boccadei suoi mas simi organi. Le Clere, l'arcivescovo King,  il Jacquelot, e il Placete scrissero parec chi volumi per confutarla, e se vi riu scirono ce l'insegna la storia dello spi rito umano, la quale ci dimostra,che le  obbiezioni del Bayle sono la eterna anti tesi che la ragione di tutti i secoli op pone ai pretesi attributi della divinità.  Baralloti. Così si chiamarono al cuni eretici di Bologna, altrimenti detti  obbedienti. Di loro non si sa altro, se non  che praticavano il comunismo così dei  beni, come delle donne e dei figliuoli.  Basilide. Visse adAlessandria cir ca 150 anni dopo Gesù. Non potendo  concepire come il bene e il male deri vasserodauna stessa sorgente, immaginò  che Iddio avesse creata la Intelligenza,  questa il Verbo, il Verbo la Prudenza,  la Sapienza, la Virtu, i Principi e gli  Angeli. Gli angeli si dividevano in 365  ordini, ciascun dei quali aveva fatto un  cielo, e ' ultimo di essi la Terra. Gesù  era venuto per liberare gli uomini dalla  schiavitù in cui gemevano, aveva fatto i  miracoli che i cristiani narrano , ma  non si era guari incarnato, poichè, al  dir di Basilide, dell' uomo non aveva  assunto che le apparenze; nè egli era  morto sulla croce, poichè Simon Cireneo  vi era morto in vece sua. Questo amal gamadei principi di Platone e di Pitagora  con quelli dei Cristiani e dei Giudei,  nulla c' interessa, fuorchè in questo, che  le credenze di Basilide provano come già  nel secondo secolo si negasse la realtà  storica di Gesù. Basilide lasciò una setta  che da lui prese il nome e si confuse  coi cabalisti.  Battesimo. Il principio della pu rificazione per mezzo dell' acqua è il più  universale che si conosca, siccome quello  che dalla natura stessa e dalla igiene è  consigliato. Perciò varie religiose lavande  troviamo instituite dagli antichi, quali  per gli uomini, qualiper i templi e quali  per gli animali; e la triplice abluzione  dei mussulmani èpureunavanzo di que sti riti. Ma il lavacro considerato come  segno di iniziazione noi lo troviamo pri mamente instituito nell' India, culla di  Brama, dove i neonati, nei tre giorni  che succedono la nascita, devono essere  purificati nell'ondadel Gange, e i lontani  nell' acqua lustrale santificata dal Bra mino. Presso gli ebrei troviamo non  scarse instituzioni di sacre lavande; ma  l'acqua non è più segno d'iniziazione: il  battesimo è di sangue e appellasi circon cisione: il padre del bambino deve ta gliargli o fargli tagliare il prepuzio ne gli otto giorni successivi alla nascita.  Più tardi, il battesimo d'acqua come se gno d'iniziazione ricompare fra gli stessi  ebrei colla settadegliEsseni, posti lungo  le rive del mar Morto, di cui vogliono  alcuni che Giovanni il Battista fosse, se  non partecipe, almeno imitatore. Gli E vangelisti hanno cercato di inquadrarlo  nei loro racconti comeunprecursoredel  Messia, ma nonè senza insulto alla ve rosimiglianza che questa predisposizione  può essere ammessa. Il Battista è per se  solo capo setta ed amministra il Batte simo senza preoccupazioni future. Gesù BATTESIMO  69  stesso riceve questo segno d' iniziazione | altro liquido, siavino o saliva. Alle quali  ed è nel Giordano, come già i bramini  nel Gange, che Giovanni dà il santo la esclusioni non si può negare per certo  un carattere assolutamente magico ,  e  vacro. Il bisogno difar primeggiare Gesù  sopra ogni altro personaggio della leg genda evangelica, ha indotto gli evange listi a far comparire dei segni speciali | putata efficace al Sacramento, perchè  una grandissima ignoranza degli ele menti chimici di cui si compongono  i corpi. Avvegnachè se l'acqua è re nel momento del suo battesimo, ma nel  fatto noi vediamo che non è primadella  morte di Giovanni che il preteso Messia  incomincia il suo proselitismo. Il batte simo era dunque stato perGesù il mezzo  di aggregarsi ad un partito già costituito,  del quale ebbe la direzione dopo che  fu decapitato il maestro , ma si poca  importanza egli dà a questo segno,  che non lo vediamo mai amministra re il battesimo ai suoi proseliti. Ne  gli apostoli, nè i discepoli suoi sono  mai stati battezzati, nè mai battezza rono, e S. Paolo , che  a  buona ra gione può dirsi il fondatore del cri stianesimo, continuando il rito ebraico,  circoncise ma non battezzò il suo di scepolo Timoteo. Onde i cattolici scu sano questa ommissione dicendo conS.  Bernardo (Epist. 77), che non potevasi  imputare a colpa il non ricevere il  battesimo prima di una sufficiente pro mulgazione delVangelo.  Nemmeno dopo Gesú e dopo itempi  nol sarebbero l' azoto e l'idrogeno on de l'acqua è composta, e perchè non  il vino, la saliva od altro qualsiasi li quidonel quale l' acqua entracome prin cipale componente ?  Ma se il Sacramento del battesimo  era contestato in quanto alla sostanza,  non lo fu meno in quanto alla forma.  Nonconoscevasi nei primi secoli alcuna  formola canonica: i più battezzavanonel  nome di Gesù Cristo; il diacono Lisino  battezzava dicendo: Cristo te illumini;  e S. Lorenzovi aggiungeva: nel corpo e  nell'anima. Alla validità del battesimo  non reputavasi dunque necessaria l'invo cazione della Trinità . La necessità di  questa formola comparve officialmente  nella Chiesa soltanto ai tempi del Con cilio di Nicea, il quale promulgò un ca none ove prescrisse, che i Paulinisti ve nendo ammessinella Chiesa,si dovessero  ribattezzare perchè battezzati senza l'in vocazione della Trinità (Canone 7.) Fu  gran questione nella Chiesa per sapere  se fosse valido il battesimo amministrato  della Chiesa apostolica troviamo che i  cristiani fossero concordi sulla necessità  di amministrare il battesimo d'acqua.  Perciocchè molte sette negavano ogni  Sacramento sensibile, i Manichei dice vano l'acqua prodotta da un principio  cattivo, e i Seleuciani, per quanto dice  Tertulliano, ripudiando il Battesimo di | III prescrisse essereinvalido il battesimo  acqua vi sostituirono quello del fuoco,  appoggiandosi a un passo diS. Giovanni  evangelista. Anche i Giacobiti, fedeli a  questopasso, furono soliti imprimere sulla  colla formola prescritta, ma senzalepa role che esprimessero l'atto, cioè senza  dire: io ti battezzo nel nome ecc. Tra  gli scolastici Pietro il Cantore e Pietro  Lombardo il sostennero valido, altri lo  negarono; maunaDecretaledi Alessandro  fronte o sulle braccia del neonato un  segno di croce con ferro rovente. La  Chiesa ha però dichiarati nulli questi  amministrato senzale parole esperimenti  l'azione. Respinte cost apoco a poco tutte  altre formole, questa sola restò ufficial mente ammessa: Ego te baptizo in no mine Patris et Filii et Spiritus Sancti.  Intanto la semplicità primitiva del bat tesimo andava scomparendo, e i ritima modi di battezzare, e nelconcilio di Fi- gicichevisisoprapponevano dalla Chiesa,  renze e in quel di Trentodecretò l'acqua lo elevavano man mano al grado di  naturale essere la vera ed essenziale ma- Sacramento indispensabile alla salute.  teria di questo Sacramento, escluso ogni | L'acquanaturale nonparve materia suf 70  BATTESIMO  ficente al ritod' iniziazione ; s'incominciò  acopiare l'uso pagano dell'acqua lustra le, e la si volle benedetta; poi nonbastò  la benedizione : si ordinò di soffiare sulle  acque, di unirvi il santo Crisma, d'im mergervi dentro l'acceso cero pasquale ;  e a quest'acqua così benedetta attribui rono i padri la virtùmiracolosa di mon dare le animedal peccato. Ma la neces sità di mondare i neonati dalla macchia  originale non ancora era vivamente sen tita, e lo prova l' antichissimo uso di  ministrare il battesimo soltanto neigiorni  solenni e per ministero esclusivo del Ve scovo, il quale, se era assente, dovevail  battesimo differirsi. (Chardon, Histoire  du Bapt. I). La quale costumanza mal si  concilierebbecon lasollecitudinedellaChie sa per salvare le animepericolanti, nè am mettere sipuò che un vescovo solo bastas seabattezzare in ognigiornotuttii neonati  posti sotto la suagiurisdizione. Provano  questa costante costumanza degli antichi  tempi, gli antichi battisteri sempre po sti in vicinanza dellaCattedrale,e toglie  ogni dubbiouna lettera di S. Gregorio  all' Esarca di Ravenna, colla quale il  Pontefice esortava il ministro imperiale  anon detenere il vescovo d' Ostia, onde  colà non vi morissero i fanciulli senza  battesimo (v. Gregorio Epist. 32).  Nella Chiesa primitiva non battez zavansi i fanciulli, ma sì gli adulti; e a  quelli rifiutavasi il battesimo i quali i struiti non fossero nei misteri della reli gione; onde in tempi più vicinigli ana battisti tennero siccome invalido il bat tesimo dei fanciulli,e fattiaduųli ribat tezzarono (vedi ANABATTISTI). Nei primi  secoli i eandidati al cristianesimo dice vansi catecumeni, nè venivano ammessi  al segno della iniziazione cristiana senza  molte prove e un lungo noviziato. Ilpa ganesimo aveva avuto i suoi misteri, e  alla nascente Chiesa sarebbe parso  disdicevole il non avere i propri; onde  ai catecumeni non rivelavansi le cose  arcane senza prima farli passare per  una lunga serie di iniziazioni. Queste,  per verità, non costumavansi nè durante  il primo, nè nel secondo secolo, nei  quali la Chiesa, ancor fedele alla tra dizione apostolica, battezzava facilissi mamentechiunquechiedevadi essere fatto  cristiano. Ma la semplicità è naturale  nemicadella religione, la quale sempre  abbisogna d' arcano, onde i padri del  Concilio Illiberitano stabilirono, che nes suno dovesse ammettersi al battesimo se  non dopo lo spazio di due anni di spe rimentata condotta. Durante questo pe riodo il noviziato dei catecumeni era  diviso in tre gradi : di Uditori, di Ge nuflessi e di Competenti. I primi dove vano uscir dalla Chiesa subito dopo la  spiegazione catechista e prima delle  preghiere comuni; alle quali assistevano  i secondi, ma sempre genuflessi. I soli  Competenti erano ammessi all'istruzione  dei divini Misteri. Alcuino nella quinta  Epistola a Carlomagno, ci trascrisseun  saggio delle istruzioni che si davano ai  Competenti prima di ammetterli al bat tesimo, e lo toglieva dal trattato De  chatechisandis rudibus di S. Agostino,  onde siam sicuri che questa pratica già  era in uso nel quinto secolo. « I ca tecumeni , dice Alcuino , si devono i struire sulla immortalità dell' anima e  della vita futura, della retribuzione dei  buoni e dei rei, dell'eternità del regnodei  cieli e dell'Inferno..... si debbono illumi nare sulla fede nella Trinità; sulla na scita, passione e morte del Salvatore, e  si darà loro una idea della risurrezione  dei corpi e della seconda venuta di  Cristo ». Quindi icatecumeni erano am messi alla cerimonia dell' Ephata, che  significa aprire, perciocchè dicevasi che  aprivansi le loro orecchie alla disciplina  dei misteri , non però a quella dei riti,  questa essendo riservata ai soli battezzati.  Poi, sottoposti perunperiodo di tempopiù  omeno lungo alle austerità e alle opere  di mortificazione, davasi mano a libe rarli dalla potenza di Satana ond'e rano invasi, perciocchè la Chiesa, fedele  al carattere demonologico del Cristiane simo, vedeva lo spiritodel male in ogni  uomo che non partecipasse alla comu BATTESIMΜΟ  nione dei fedeli. Provvedevasi a questa  importante bisogna con gli esorcismi, i  quali, come diceva S. Cirillo , avevano  una singolare virtù per mettere in fuga  il comune nemico : liberati dal quale il  Calvario di quei poveri novizi non era  per anco finito. Poco prima di ricevere  il battesimo facevasi loro assaporare un  po' di sale esorcizzato acciocchè , come  spiegò con mistiche ragioni Rabano, fos sero premuniti dal fetore dell'iniquità e  dalla putredine del vizio. Nè credasiche  71  il velo sol quando entravano nell' acqua,  ma poichèdovevano fare tre immersioni,  necessità voleva che almeno due volte  sortissero dall'acqua, presente il ministro  del Sacramento.  Introdottosi l'uso di battezzare i fan ciulli, la triplice immersione apoco a  pococadde indisuso,ma ipadrinidel bat tesimo si instituirono, siccome quelli che  aquesto punto il catecumenato fosse fi nito. Tre scrutini facevansi nei primi  dovevano rinunziare a Satana in nome  del fanciullo, e per lui giurare la fede.  Anticamente tre uomini e tre donne te nevano al sacro fonte il battezzando ;  il concilio di Trento stabill bastare un  secoli e sette nella Chiesaposteriore, in sol padrino o una madrina sola, o tut ciascun dei quali davasi ai novizi tut tociò che impararedovessero a memoria,  eintanto facevasi inquisizione sulla loro  t'al più l'uno e l'altra, onde fra molti  non si contraesse affinità spirituale ,  condotta e se fallato avevano durante ii  tirocinio, non rade volte avveniva che  fossero rimandati ai gradi inferiori.  Finalmente, ecco gli eletti ammessi  ancora a fare la rinunzia a Satana e  conformola evidentemented'origine pa gana, siccome quella che faceva rinun ziare a colui che ènell'Occidente,e face  vastringerepattodiservitù col Sole della  giustizia, ripetere imisteri di Mitra in o nore del sole. Ma spiega S. Cirillo que sto costume, dicendo che il patto strin gevasi colla parte orientale perchè colà  eravi il paradiso terrestre, il che, per  altro, laBibbianondice; eadognimodo  gli orientali avrebbero dovuto stringere  il patto con l'occidente.  Ho già detto che nei primi secoli il  battesimo si amministrava per immersio ne. Uomini e donne affatto nudi immer gevansi nell' acqua fino al collo, con  quanto rispetto pel pudore ionon saprei  dire. Ma passata la prima innocenza e  venuto lo scandalo, si pensò a togliere  ogni pericolo; gli uomini furono battez zati separatamente dalle donne, ma la  immersione per gli uni eper le altre di venne triplice. Furono allorainstituite le  Diaconesse affinchè spogliassero le don ne, le ungessero coll' olio e uscite dal l'acqua le asciugassero erivestissero. Di cesi, èbenvero,che le donne toglievansi  la quale, come si sa, è impedimento  al matrimonio. ( Concilio di Trento,  Sess. 24.)  Molte e singolari questioni la casi stica teologale suscitò intorno al batte simo; madiquellaprimissimadel peccato  originale saràdiscorso a suo luogo (vedi  PECCATO ORIGINALE). Una delle questioni  che più acrementesi agitò fra icattolici,  quella fu della validità del battesimo  conferito dagli eretici. La chiesa antica  lo riteneva nullo efuronodi questa opi nione Agrippino vescovo di Cartagine,  Tertulliano, S. Cipriano emoltissimi al tri vescovi dell'Africa, che così decisero  in tre successivi concili, però che, di cevano essi , i separati dalla Chiesa  sono considerati siccome pagani e inca paci di esercitare il ministerio. Nono stante che lo Spirito Santo, come sideve  credere, avesse inspirate queste decisioni  conciliari, papa S. Stefano non si peritò  di condannare la decisione dei vescovi  dell' Africa, sostenendo bensì lamancanza  degli effetti salutari in quel battesimo,  non la sua nullità. Non per questo pie garono ivescovi alla infallibile decisione  pontificia, perocchè convocato un terzo  Concilio di ottantasette vescovi, confer marono le precedenti deliberazioni. Sde gnato da questa opposizione, contro S.  Cipriano che n' era ilprincipale autore,  il papa scagliò la scomunica, ilche non 72  BATTESIMO  impedì ai suoi successori, sempre infalli- | il fanciullo, dice un papa infallibile, ê  bili, di canonizzarlo.  Fu antichissima consuetudine della  Chiesa orientale di battezzare i cadaveri  di coloro che erano morti senza battesi mo, e questa pratica tant'era invalsa in  oriente, che S. Gregorio Nazianzeno ri prese acremente certi vecchi, che differi vano il loro battesimo fino alla decrepi tezza, persuasi che questo sacramento,  non fosse essenziale alla salute. I seguaci  di Marcione solevano invece conferire il  battesimo a una personaviva,chelo ri ceveva in sostituzione del morto; ma  l'una e l'altra di queste pratiche furono  condannate dallaChiesa, dopo che s' in cominciò acredere, che il Battesimo can cellava il peccato originale. Anzi, dopo  quel tempo tal fu l'importanza che que  sto sacramento acquistò agli occhi della  Chiesa, ch'ella non stette in dubbio di  proclamare, che ove unebreo fosse stato  battezzato cadeva senz'altro sotto la sua  temporale autorità, Egli è in grazia di  questa dottrina che si sanci quel bru talissimo costume del ratto dei figli, il  quale, pur troppo riposa sopra il con senso unanime di tutti iteologi « I figli  degli eretici e degli scismatici, dice An toine (Teologia Morale Vol. II. pag.  169), si possono battezzare lecitamente  contro il volere de'parenti. Perchè i ge nitori per ragion del Battesimosonosud diti della Chiesa e perciò si possono co stringere ad osservare le sue leggi. Tolto  il pericolo della religione e dello scan dalo, si deve separare daiparentiilbat tezzato, perchèsia istruito nella Cristiana  religione. > Del pari lasacra Congrega zione del Sant' Uffizio ha deciso che il  Battesimo dato al fanciullo infedele con tro la volontà dei parenti, sebbene ille cito, è valido, imprime carattere cristia no, e il fanciullo battezzato dev' essere  educato da persone cristiane. (Decreto  30 marzo 1638, confermato il 3 marzo  1803). Ma se non è lecito battezzare i  figli degli infedeli senza il consenso dei  genitori, possono però essere battezzati  gli infedeli adulti che lo richiedono. E  ordinariameute adulto e in sua libertà  epotere, quandohacompitosette anni!!!  (Lettera diBenedetto XI, all'Arcivescovo  di Tarsi).  Negasi da molti Teologi, ela Civiltà  Cattolica redatta dai gesuiti a Roma, nei  tempi in cui colà la stola comandava,  sosteneva contro l'autore diquesto Dizio nario, che la Chiesa nonha mai appro vato il taglio cesareo siccome mezzo le  cito per estrarre il feto dal seno della  madre e battezzarlo. Ma le testimo nianze sopra questo puntonon ci lascia nodubbio di sorta,e se imolti e recenti  casi dioperazione cesarea fattadai preti  nel Belgio, sopra donne lacui mortenon  era ancora certa, non provassero da se  soli il mio asserto, le citazioni che se guono mi dispensano da altre prove. S.  Liguori afferma: >  Beghine. Così chiamansi nei Paesi  Bassi quelle fanciulle o vedove, lequali,  per eccesso di religione, raccolgonsi in sieme, e senza professare i voti pur vi vono con una regola comune, quasi fos sero monache.Beghinaggidiconsi le case  ove si raccolgono, e si narra che alcune  siano così grandi e spaziose darivaleg giare in ampiezza con le più grosse bor gate. Vuolsi che a loro sia derivato il  nome da Begga, figlia di Pipino il vec chio; e fra noi beghina è sinonimo di  pinzocchera.  Bello. (Idea del). Quali sono i ca ratteri dell' idea del bello? Vi è vera mente un bello assoluto? Il bello è den tro o fuori di noi, è subbiettivo od ob BELLO  biettivo? Ecco tre quesiti intorno ai quali  i filosofi speculativi hanno scritto molti  volumi e non riuscirono ad altro che a  confondere le idee, che erano assai chiare  prima delle loro nebulose disputazioni.  Intorno alla prima domanda sentiamo  cosa ne dice Platone: « Quando l'uomo  nei sacri misteri vedendo un viso ornato  75  che and smarrito: ma ci rimane di lui  un trattato sulla musica, ov' egli pone  come fondamento dell' arte del bello que sto principio: Omnis porro pulchritudinis  forma unitas est. Noi vedremo che S.  Agostino aveva più buon senso di tutti  insieme i filosofi della scuola pagana, e  cheper una veramente strana coincidenza  la scuola sensualistica ha ella pure sta conforma divina, oppure qualche specie  incorporea, provadapprima unsecreto fre- bilito, che un de' caratteri del bello è la  mito ed una certa qual tema rispettosa;  divinità.  ....  egli considera questa figura come una  quando l'influenza della  bellezza entra nell' anima sua per la via  degli occhi, egli si riscalda: le ali del l'anima sua si bagnano, perdono la lor  durezza, si liquefanno e i germi nascosti  inqueste ali si sforzano di sortire per  ogni specie dell' anima ». Intenda e am miri chi vuole, quanto a noi troviamo,  che nulla è men bello di questa plato nica teoria del bello. Però se gli autori  della scuola spiritualista devono essere  riconoscenti a Platone per aver confinato  l'idea del bello nella oscuraregione dei  caratteri eterni, assoluti e divini, il buon  senso non devedimenticareche anch'egli  era infin costretto a convenire, che il  bello artistico si fonda sul principio d'i mitazione (vedi ARTE), per la quale con cessione fatta alla realtà, gli idealisti mo derni gli serbano un imperituro rancore.  Questo principio della imitazione nel l'arte fu pure ammesso da Aristotile, il  quale però vuol le cose naturali miglio rare , onde dice che la pittura deve  rappresentare non ciò che è,ma ciò che  essere dovrebbe. Era troppo giusto che  la filosofia Alessandrina fosse più chePla tonica: una filosofia che andò raccoglien do di tutte le scuole le parti meno  chiare (vedi ALESSANDRIA) sarebbe stata  incoerente, se per la bocca di Plotino  non avesse dichiarato che il bello mate riale, non è altro che l' espressione o il  riflesso del bello spirituale, e che la vera  bellezza non è che il trionfo dello spirito  sulla materia. Dopo la scuoladi Ales sandria ' antichità tace fino a S. Ago stino, il quale compose un libro sul bello  varietà nell' unità. Quand' io chiedo a  un architetto, dice questo padre della  Chiesa, perchè dopo avere innalzato un  arco ad un lato dell' edificio, egli ne in nalzi un altro all'altro lato, mi risponde  che convien che cost faccia per amor  della simmetria. Ma perchè la simme tria vi par ella necessaria? Perch' ella  piace. Benissimo, ma ciò è egli bello  perchè piace, o piace perchè è bello? E  qui S. Agostino conclude, che una cosa  piace perchè è bella; ma noi vedremo  chesottoquesto rapporto egli s' inganna,  avvegnachè il bello essendo affatto sub biettivo non è tale, se non a condi zione che ci piaccia, d' onde la varietà  deigusti e le perpetue contraddizioni del l'estetica. Egli però è assai coerente  quando, rispondendo all'ultima questione,  aggiunge che quei due archi sonbelli per chè la loro duplicità si completa nell'u nità dell'edificio. Fa d'uopo aggiungere  ch'egli da questa varietà nell' uno, vuol  dedurre la conseguenza,che al di sopra  del nostro spirito esiste una unità ori ginale, perfetta, eterna, che è regola es senziale del bello ? Non sarebbe stato un  santo se non l'avesse detto.  Nella Germania Baumgarten è il pri mo che pretenda di separare la scienza  del bello dalle altre scienze filosofiche, per  costituire la sua estetica. Kant invece  nella sua critica della facoltàdi giudica re segue una via diversa, e con grandis sima penetrazione risolve la tesi, se la  idea del bello sia subbiettiva od obbiet tiva. Molto ragionevolmente egli vuole  che il bello non abbia alcun carattere  assoluto, ma sia puramente relativo alle  facoltà dello spirito umano: la sensibilità, 76  BELLO  l'immaginazione e il gusto, sono i tre  elementi che concorrono a formarlo e a  concepirlo. Ma la scuola germanica non  resta fedele alla tradizione di Kant. Ben  presto vien Schelling, il quale vuol che  l'arte sia l'accordo fra l'ideale ed il rea le, l'unità del finito coll'infinito: ed He gel finisce per scombuiare del tutto una  nozione tanto chiara, ponendo l'arte al  di sopra d'ogni scienza filosofica, come  la sola rappresentante del vero diretto  allo spirito per l'intermediario dei sensi.  Pare che i filosofi del secolo XVIII  avrebbero dovuto ritornare al concetto  estetico la suachiarezza, ma così non è:  essi scrissero poco o imperfettamente in torno aquesto soggetto. Per verità,qual che lampo di buona critica appare nel l'articolo di Marmontel, inserito nell'En ciclopedia, ma del resto son lampi rari,  troppo presto soffocatinelle sottilitàdella  metafisica. Un curioso fondamento all'i dea del bello era dato dall'autore del l'Essai sur lemerite etla vertu, (p. 48)  il quale vuol che l'utile sia il solo e  l'unico fondamento del bello; onde bel l'uomo quello è nel quale la proporzio nalità delle membra conspira nel miglior  modo possibile al compimento delle sue  funzioni animali. L'uomo, la donna, il ca vallo occupano un postonella natura ed  hanno speciali funzioni a compiere : or  l'organizzazione è più o men perfetta o  bella secondo che più o men bene si  presta al compimentodiqueste funzioni.  Del pari le cose più comuni,le sedie,le  tavole, le porte tanto più ci sembrano  belle, quanto meglio convengono all'uso  cui sono destinate. Se noi spesso can giamo di moda, ciò dipende perchè la  conformazione più perfetta relativamente  all'uso cui è destinata, è difficilissima a  incontrarsi, e vi è in ciò una sorta di  maximum che sfugge a tutte le finezze  della geometria naturale o artificiale. Da  questa definizione Diderot non è appagato  e contro di essa vivamente protesta. (Di derot, Recherches philosophiques sur  l'origine et la nature du beau, nelle  opere complete T. 2.). « Non vi è alcuno,  dic'egli, che non si sia accorto, che la  nostra attenzione principalmente si ferma,  sulla similitudinedelle parti ancheinquelle  cose nelle quali questa similitudine non  contribuisce all'utilità. Purchè le gambe  di una seggiola siano eguali e solide,  che importa se esse nonhanno la stessa  forma ? L'una dunque potrà essere di ritta e l'altra ricurva ? » Qui Diderot  ha pienamente ragione di porre la sim metria come fondamento del bello; però  non'si dimentichi, che se una cosa può  esser bella anche senza parerci utile;  quellainvece che è bella e utile al tempo  stesso è anche migliore: onde si vede  che l'idea dell'utile concorre pure a for mare uno degli elementi del bello.  La scuola spiritualista moderna per  la bocca di M. Franck riconosce nel  bello tre forme principali, vale a dire il  bello assoluto, il bello reale e il bello  ideale. L'assoluto bello risiede in Dio, il  secondo nella natura, che è immagine e  riflesso della beltà divina, e il terzo nel l'arte. Dei primi due appena occorre ao cennare la contraddizione: fra finito e in finito, tra spirito e corpo, tra Dio che  non ha forma e ilmondo che è formato,  non vi è relazione possibile, e chi dice  che la bellezza del mondo, è il riflesso  della bellezza di Dio dice una asinità, e  una frase vuota di senso. Più giusta mente potrebbe anzidirsi, che la bellezza  del mondo è l'opposto della bellezza di vina, poichè il finito è negazione, nonri flesso, dell' infinito ; la materia è nega zione, non riflesso, dello spirito; ciò che  muta e si trasforma è negazione della  immutabilitàdivina; la varietà (una delle  condizioni fisiologiche del bello) è nega zione dell'unità. Dunque la definizione  spiritualistica non proverebbe altro se non  che la bellezza del mondo è il contrario  della bellezza di Dio, e che se il mondo  èbello, non lo può esser Dio, o vice versa. Quanto a quello che gli specula tivi chiamano bello ideale, ne abbiamo  già esaminata la insussistenza nell'arti colo ARTE.  Ma finalmente, vediamo ciò che la BELLO  all'origine dell'idea del bello, i caratteri  77  ragione veramente ci insegna intorno | il piacere non il dolore dunque ogni  rappresentazione che ci disgusti sarà  brutta, e il contrario invecediremo d'ogni  rappresentazione piacevole. Ma quali sono  del quale devono innanzi tutto essere  distinti dall' idea del buono, perciocchè  una cosapuò essere bella e non buona e  viceversa, ciò che è buono non sempre  è bello. Carattere essenziale del bello è  la rappresentazione reale od ideale di  una cosa, di un pensiero, di un avveni mento; quindi a giustamente parlare, la  vista, che è il solo senso il quale si ap plica alla rappresentazione delle cose,  costituisce il senso speciale della scienza )  del bello. Invece, tutti gli altri sensi de terminano il buono, onde diremo un bel  quadro, una bella statua, e non già un  buon quadro o una buona statua, in quantochè il quadro e la statua sono  rappresentazioni percettecol senso della  vista ; per la stessa ragione diremo  buono e non già bello un odore od un  sapore, poichè il gusto e l'odorato sono  sensi che producono innoi una semplice  modificazione , non già una vera e  propria rappresentazione. Quanto all'u 'i caratteri di una rappresentazione pia cevole? Ogni esercizio degli organi cor porei, dice il signor Pouilly (Theorie  des sentimens agreables), che non li in debolisca, è un piacere. E diciamo che  non li indebolisca o nonli offenda, poi chè in diverso caso il piacere si trasfor dito, parrebbe a tutta prima che debba  annoverarsi fra i sensi del buono, in quantochè il suono per se solo nulla ci | zione o sensazione tenuissima, è il men  merebbe in noia e in dolore. Non vi è  melodia musicale, per quanto sublime si  sia, che udita per una giornata intera,  non finisca per eccitare il tedio e pa rerci orrenda. Del parii colori sono tanto  più belli quanto maggiormente sono il luminati, cioè quanta maggior luce ri filettono sul nervo ottico, lo eccitano e  lo inducono all'azione. Egli è perciò che  i corpi, più vivaci ci sembrano più belli  degli oscuri, i lisci più belli dei ruvidi,  e fra i vari colori dello spettro solare,  dal violetto ascendendo fino al rosso, la  progressione del bello aumenta sempre.  Il nero che è assenza d'ogni luce, e  quindi rappresenta l' assenza di sensa rappresenta, ma se riflettiamo che per  mezzo dell' udito noi percepiamo la pa rola, e che la parola eccita immagini e  rappresenta idealmente le cose già per  cette con gli altri sensi, comprenderemo  facilmente perchè un discorso dovrassi  dire bello e non buono. Del pari direm  una bella musica, una bell'aria, poichè  sebbene la musica compongasi di puri  suoni, pur ella eccita in noi pensieri ed  affetti che ci rappresentano certi stati  dell'animo nostro.  Determinata così la vera distinzione  delbelloe delbuono,vediamo qualisiano  i veri caratteri del primo. Abbiam detto  che il bello è una rappresentazione, ma  nontutte le rappresentazioni sono belle;  del pari nonbella si dirà l'assenza d'o gni rappresentazione. Inostri sensi hanno  bisogno di agire ed è dall' azione loro  che a noi deriva lacoscienzadell'essere,  il piacere od il dolore; mabello diremo  bellodi tutti, e infatti a nessuno piaccion  le tenebre. Per l'opposto principio, il  bianco, che è il più luminoso, dovrebbe  parerci il più bello d' ogni altro colore,  ma perchè troppo eccita lavista e ancor  l'offende, non tutticonvengono in questo  parere, tanto più ch'esso è color comu nissimo; e per lo stesso principio che  anche la melodia a lungo andare vien a  tedio, così il color bianco, che vediamo in  ogni giorno e quasi ad ogni ora, ci disgu sta. Aben apprezzarlo convien soggior nare nella oscurità, e dopo che i fuochi  di bengala gialli, verdi e rossi, avranno  per lunga pezza tediata la nostra vista,  ci accorgeremo facilmente qual dolce  sorpresa e qual piacevole sensazione  può recarci l' apparizione diunfuoco e lettrico che irraggi d'ogni intorno la  sua bianca luce. Certo,dopo alcun tempo  la riapparizione del rosso ci parrebbe  forse più bella di quella del bianco, e 78  BELLO  viceversa, ma questa apparente contra rietà di sensazione facilmente si spiega  riflettendo, che i nostri sensi a poco a  poco si abituano alle sensazioni conti nue, vi si uniformano e perciò, dopo un  certo tempo,son meno adatti a perce pirle, o per meglio dire, tanto sono de terminati a quel dato movimento, che  poco ne restano colpiti. Quindi un bello  continuato nonpuò essere continuamente  uniforme; conviene che le sensazioni va riino, e in quanto maggior numero si  succedono e in maggior copia ci colpi scono senza offendere inostri sensi, tanto  più ci sembreranno piacevoli. Egli è per  questo che la successione di molti colori  èpiù bella della continuazionedi un co lor solo, e quanti più colori noi vedia mo contemporaneamente, tanto più il  loro complesso ci sembra bello. Onde  qui si conferma il principio di S. Ago stino, che l'essenza del bello consta della  varietà nell'unità; vale a dire molti co lori, o molte sensazioni,inunsol spazio  o in un sol tempo.  Quel chediciamo dei colori si confer mapienamente nei suoni. Una sol nota  musicale può esser bella, ma due o più  note musicali son più belle ancora, poi chè in questo caso le sensazioni si suc cedono e in un egual tempoci colpisco no inmaggior numero. Certo, può dirsi  che una sola successione di suoni non  basta a produrre l' armonia, la quale è  per i suoni, quel che è la simmetriapei  colori. I colori simmetrici o i suoni ar monici si gustan meglio,poichè si con giungono e s'intrecciano con una certa  quale regolarità, la quale viemmeglio  concorre a formare nell' uno il vario.  Perciò diciamo, che i corpi simmetrici  son più belli degli amorfi, ossia senza  forma, ed è appunto su questa regola  che si fonda il bello architettonico, il  qualetanto più avvantaggia quanto mag giormente la varietà delle forme, che  producono varietà di sensazioni, può  accoppiarsi con launitàdel concetto ge nerale; onde sovente parlando di archi tettura si dice e si scrive l'armonia delle  lines e dei colori, come si dice l'armo nia dei suoni.  Aquesta dimostrazione alcuni potreb bero opporre, cheove il bellomusicale po tesse consistere in una armonia di suoni  succedentisi in maggior numero nel più  corto spazio di tempo, ne deriverebbe  questo assurdo, che un'aria dovrebbe es sere più bella quanto più rapidamente  fosse suonata. Questa però non è che  una contraddizione apparente, che la fi siologia hagiàspiegata, ecerto i signori  spiritualisti non la farebbero se non fos sero soliti a cercare le loro definizioni  nelle nebulosità trascendentali, anzichè  nelle scienze positive. Sanno anche i  bimbi che le sensazioni, per quanto rapide  esse siano, persistono nondimeno per  qualche istante nel nostro cervello (vedi  SENSAZIONE) onde,adesempio,se facciamo  girare con gran velocità una ruota a  raggi, ci parrà tutta solida, poichè prima  che la percezione di un raggio sia can cellatanel nostro cervello, l'altro raggio  la rinnova senza lasciare intervallo. Anzi,  se sopra una ruota solida disegniamo i  colori dello spettro solare, e la mettiam  quindi in movimento con grandissima  velocità, tutti i colori si confonderanno  in un solo, perciocchè prima che l' im pronta sia cancellata, l'altra le succede  e si sovrappone; e la risultante di que sta miscela saràuncolore bianco, poichè  tale è appunto il coloredella luce prima  che sia decomposta dallo spettro. Il fe nomeno è perfettamente identico per i  suoni: quand'essisi succedono troppo ra pidamente, si sovrappongono, per così  dire, l'uno all' altro senza lasciar tempo  all'orecchio di percepirli separatamente;  anzi, nel suono il fenomeno si complica  maggiormente che nei colori,poichè, seb ben nel nervo acustico isuoni persistano  per un tempo infinitamente minore di  quelloche i colorinelnervo ottico, pure  possono, anche se percettiseparatamente,  produrre disarmonia a cagione del di verso numero di vibrazioniche i diversi  suoni producono in una eguale unità di  tempo. Onde avviene che, o la moltepli BELLO  cità delle sensazioni si confonde in una  sensazione unica e l'armonia della va rietàscompare, oppure questavarietànon  è, per così dire, simmetrica, vale a dire  che le vibrazioni non stanno fra loro in  giusti rapporti di tempo e contrastano  perciòcolbello musicale.Diciam lo stesso  del bello architettonico. La sovrabbon danza dei fregi guastal'insieme, poichè  quand'essi sono soverchiamente appaiati  79  tempi troppo brevi e abbondanza di  fregi in spazi troppo piccoli.  Per lo stesso principio quando ci  riesce di accoppiare l'attività di un  senso con la gradevole eccitazione di  un altro, possiamo accrescere l'inten sità del bello. Ecco perchè l'arte rap presentativa congiunta allamusica ne  accresce l'incanto. Nel teatro noi ve etroppo vicini, producono sibbene nel l'occhio una quantitàgrandissima di sen sazioni, ma per essere appuntotroppe e  troppo molteplici fan lo stesso effetto  come se sisovrapponessero l'una all' al tra. Onde lasoverchia abbondanza è ge neratrice di uniformità, in quel modo  stesso che su unacartaun gran numero  di disegni, anche simmetrici, ma infini tamente piccoli, produce una sensazione  quasi uniforme nella quale la varietà,  quantunque vera, o non è avvertita,o lo  èmolto imperfettamente. Di questi dise gni potrà farci avvertire la varietà il  microscopio, ilqualeingrandendo le parti  le allontana, e produce lo stesso effetto  del rallentamento dei suoni in una me lodia suonata troppo rapidamente. Così  pure potremo avvertire ilbello dei fregi  in un edificio soverchiamente adorno,  considerandoli separatamente ad uno ad  uno; ma in questo o in quel caso, il  bello dei fregi o dei disegni non egua glierà quella sensazione puramente mol teplice che avremmo avuto, da un com plesso armonico. D'onde si vede, che  tutta l'estetica non si riduce infine che  ad una questione di proporzioni di  tempo o di spazio, secondo che si tratti  di musica o d' arte rappresentativa.  Trattasi cioè d'imprimere ai sensi, in  undeterminato tempo o in un deter minato spazio, il maggior numero di  sensazioni possibili, pur sempre evi tando che la loro frequenzatolga agli  organi di percepirle tutte separata mente. A raggiungere questo intento  si capisce subito quanto giovi la pro porzione, e come convenga non pro durre inutili complicazionidi suoni in  diamo e udiamo, onde la sensazione è  doppia. Che se poi a ciò che si rap presenta si aggiunge l'ideadi una bella  azione o di un grande avvenimento,  tale che possa svegliare nel nostro a nimo una dolcecommozione,se label lezza fisica voluttuosamente ecciterà i  nostri sensi, e i profumi l'odorato, l'in canto di quella situazione sarà accre sciuto a mille doppi, semprechè anche  in questavarietàdi sensazioni sia salva  la necessaria armonia delleproporzio ni, onde non avvenga che un senso  non  siasoverchiamenteeccitato a sca pito degli altri.  Ma oltre alle percezioni attuali, il  cervello ha la facoltà di riprodurre,  sebben più sbiadite, le percezioni pas sate. Quest'è ufficio della memoria, ed  è questanostra attitudine che cimette  in grado di percepire il bello eziandio  nelle opere d'ingegno. Senzabisogno di  entrare nelleregioni astrattedellamé tafisica, basta un po'dinaturale discer nimentoper capire,che anche inquesto  caso non abbiambisognodicercare un  senso speciale, o quel non so che, il  qual non si spiega, per giudicare i la vori dell'intelletto. Ilprincipio che ab biam già posto in precedenza è giusta mente applicabile anchein questo caso.  Quindi diremo che un libro di poesia  o di storia, di scienze filosofiche o na turali è tanto più bello, quante mag giori immagini, idee e cognizioni ci  presenta, e quanto maggiormente, con  l'ordine e la chiarezza, al nostro in telletto le rende percettibili.  Certo, si notano de' grandi sviamenti  nei giudizi dei lavori intellettuali, e non  di rado si affetta un grande entusiasmo 80  BELLO  per libri che sono assai poco chiari e  ancor meno comprensibili. Ma riflettia mo che il bello effimero che certuni tro vano inquesti libri, iquali d'altronde non  intendono, non dipende da un vero e  intimo senso di piacere, sl piuttosto dal  pensiero della vera o supposta difficoltà  che l'autore ha dovuto superare per  raggiungere il suo scopo.Non altrimenti  si procede nel giudizio di unacerta poe sia o di una certa musica classica, dove  meno si ammira l'armonia quanto la  difficoltà della esecuzione.  Tutto ciò che abbiam detto vienpie namente a conferma del principio di  Kant, che il bello è subbiettivo e non  obbiettivo, dentro di noi e non fuori di  noi. Se facciamo astrazione dai nostri  sensi,non vi è ragion di credere cheuna  cosa sia bella o brutta: per lanaturaîn  generale le cose non soffrono le acci dentalità della esteticae per essa ètanto  bella enecessaria la putrefazione, che è  Mase il bello è puramente subbiet tivo, su qual fondamento i filosofi della  scuola idealista proclamano il suo carat tere assoluto? Per verità, se essi fossero  sinceri dovrebbero confessare che quest'è  un assoluto molto relativo, poichè oltre  essere quasi impossibile il trovare due  cervelli che pensino egualmente intorno  all'idea del bello, si nota, che per rap porto ai medesimi sensi, una cosa può  esser bella o non bella al tempo stes so. Per esempio, coloro che sono af fetti da daltonismo (vedi questo voca bolo) vedono rossi tutti gli oggetti di co lor verde, e per essi l' uno o l''altro di  questi colori è egualmente bello, sebbe ne sia provato che l'uno ecciti men  dell' altro il nervo ottico. La luce bianca  sarebbe un sollievo per chi essendo col pito dall' itterizia tutte le cosevede sotto  una tinta gialla; ma invece chi è affetto  dal mal d'occhi l' ha in orrore.  Comepoi si accordino gli uomini an principiodi vivificazione,quanto lo sonoi che nello stato di sanità intorno a que capolavori dell'arte odell'ingegno. Ilbello sto assoluto bello, è cosa che fu già le  non esiste fuorchè in relazione ai nostri cento voltedimostrata dall' antropologia  sensi: i capolavori della pittura e della moderna. Cheledonne abbianoi piedi pic musica,nonmen che quellidellascienza, coli sì che appena possano camminare  nonsono belli se non inquantovi siano barcollando, è cosa che può parer bella  occhi per vederli, orecchi per udirli o acerti Cinesi inventori delle scarpe di  cervelli per pensarli. Oltre queste condi- ferro per impedire l' aumento delpiede.  zioni puramente relative, l'esteticascom- Ma i Malesi i quali avrebbero moltodi pare, e nel senso assoluto la musica o sprezzo per questa usanza, schiacciano  la pittura non sono altro che vibrazioni congran cura le cartilagini del naso ai  più o meno rapide, più o meno armo- loro figli, poichè come mai un uomo  niche dell' aria o pur dell' etere; il che può esser bello se non ha schiacciato il  sarà dimostrato all' articolo SENSAZIONE. naso? Fra i negri più nera è la pelle,  Questa stessaconsiderazione è quella che più belli si è, onde si narra che una  ci conduce a considerare il bello come giovane australiana sedotta da un bian subbiettivo e non obbiettivo, vale a dire co, ebbe un figlio la cui tinta chiara  piuttosto come una proprietà delle no- offendeva gravemente ilsuo materno sen stre percezioni, anzichè uno statovero e timento della beltà fisica; motivo per cui  reale delle cose. Infatti, se il bello fosse ellalo fregava soventi volte con grasso  una qualità estrinseca fuori di noi, i ca- e nero fumo per dargli una tinta più  ratteri della bellezza dovrebbero essere carica. Quella giovane sarebbe stata un  eguali per tuttigliuomini, imperocchèciò prezioso professore dell' assoluto estetico  cheèbello intrinsecamente, è anche bello pei nostri idealisti. Dice bene Voltaire:  nelsenso assoluto, nèdeve cessare di esser chiedete a un rospo checosa siailbello,  talesolperchè vienconsiderato al polo o il supremo bello, il toKalon? Vi rispon all'equatore, inquestooin un altro mondo.deràche è lasuarospaggine,conduegros BENE  si occhi rotondi, uscenti dalla sua pic cola testa, un collo largo e piatto, un  ventre giallo, un dorso bruno. (Vedi an chegli articoli BENE E BUONO).  81  giovamento altrui. Ilpiacereod il do lore rimangono tali, qual pur si sia la  Bene. Disputasi dai filosofi per sa pere se il bene sia identico al Bello e  al Buono e se possa darsi un bene  brutto omen che aggradevole; ma per  la nostra filosofia la questione appena  posta è subito risolta, imperocchè non  ci vuol molto acume per capire, che se  il Bello e il Buono, come è a suo  luogodimostrato, (vedi BELLO E BUONO)  non sono altro che una eccitazione  piacevole dei sensi, questo piacere sia  per se stesso intrinsecamente unBene,  come è male ogni sensazione disag gradevole o dolorosa. È dunque ovvio  il dire che il bene altro non è che  l'effetto, o la conseguenza del bello o  del buono, od altrimenti, se meglio  piace, che il bello e il buono sono le  forme generatrici del bene.  Epervero, non vi è uomo almondo  natura della causa da cui derivano o  del fine a cui tendono; onde non ces sano di essere un bene, od un mal fi sico, ma possono invece cessare di es sere un bene o un mal morale. La ra gione è questa,che nel male o nel bene  fisico si considera un sol termine, il  subbietto che li prova, mentre nel bene  o nel mal morale si considera anche  l'obbietto per le conseguenze che pro ducono.Infatti,ilben morale non consi derasi soltanto nell'individuo, ma nella  società, ed è la somma dei beni indi viduali che produce il bene sociale.  Ora, un bene che giova all'uno e nuoce  all'altro, quando lo si considera collet tivamente, cessa di esser tale, poiché  nel concetto morale entra l'idea di  rapporto: non sono più solo a consi derarmi, ma devo considerare anche gli  altri, onde ciascuno avendo la parte  che gli spetta di diritto nei godimenti  della vita, possa prodursi quel massimo  di bene collettivo che chiamasi utilità  che sia disposto a chiamar bene uno  stato doloroso, astrazion fatta dagli  ascetici, ai quali convien lasciare la li- sociale. Ma il regolare questi rapporti  bertà, com'è lor costume, di capovol gere tutti gli argomenti della logica,  è ufficio della morale. (Vedi MORALE).  Qui convien esaminarese esista ve e di chiamar bene il soffrire, e male  il godere. Di cotesti ragionamenti da  menteccati non può far caso una sana  filosofia. Però, anche da coloro che di sapprovano l'ascetismo suolsi commet tere lo stesso errore, quand'essi'ci op pongono che un godimento, procurato  conmezzi immorali, è un male,e unbene  invece il soffrire per amor della giu stizia. Così ragionando costoro non si  avvedono di aver cambiati i termini  delladiscussione, giacchè il bene fisico  eil benmorale non sono mica la stessa  cosa,comecomunemente sicrede perli dentitàdelnome.Einfatti,un godimento  non cessa di essere intrinsecamente un  bene fisico quand anche sia procurato  con mezzi disonesti: e seio soffro per  la felicità degli altri, uiuno dirà che  l'atto del soffrire cessi di essere in ramenteunbene assoluto, quel Sovrano  bene che i filosofi speculativi di tutti  i tempi ricercarono colla stessa osti nazione e colla medesima fortuna degli  alchimisti in traccia della pietra filo sofale. Ma avendo noi distrutto il bello  e il buono assoluto, ben s'intende che  anche il bene deve seguire la stessa  sorte. Invero, se il bello e il buono  produttori del bene, variano secondo il  clima, gl' individui e le abitudini, non  si sa perchè quest'ultimo, che è acces sorio, non dovrebbe seguire la sorte dei  due concetti principali. Certo, noi ve diamo che non tutti gli uomini si ac cordano intorno al concetto del bene:  secondo che l'uno o l'altro organo  siano in questo o quell' individuo più  o meno sviluppati,ilcarattere del bene  cambiaesi manifesta in questo oin quel  trinsecamente un male solperchè è di | modo. Pelgastronomo non vi è felicità  6 82  BENTHAM  maggiore di una buona tavola; ma il  lussurioso sol uell'amor sessuale vedrà  il suo bene; invecenullapuò eguagliare  lafelicitàdell'uomo di scienza, che fauna  scoperta. Ed è appunto da questa di versa maniera di concepire il bene  che derivano le varie tendenze degli  uomini, e i vari modi con iquali i di versi popoli hanno immaginato il Para diso. Ma non solo l'idea del bene cam bia secondo gl'individui, ma eziandio  nello stesso individuo cambia secondo  il tempo ed i bisogni, onde ilprincipio  della varietà, che è uno dei caratteri  essenziali del bello e del buono, lo è  pure del bene; novellaprova della loro  pel molto che gli restava ancora.  Or se questo sovrano bene nol si  trova nè fra i diversi uomini, nè nello  stesso paese, nè nello stesso uomo, ci  sarà pur forza convenire ch'esso non  esiste in altro luogo che nel mondo  archetipo di Platone, dov' egli pone le  idee assolute del Bello delBuono, e del  Bene,come se fossero cose esistenti per  se stesse e non un semplice rapporto  degli organi umani colmondo esterno.  Lateologiamoderna,e perfinolafamosa  Enciclopediadel secolo scorso(art. Bien,  par Yvon) ripongono in Dioil Sovrano  Bene; ma qual sorta di bene è egli mai  quello che non si vede, nè si tocca, nè  identità. Anche nel concetto morale il | cade in alcuna guisa sottoinostri sensi?  principio della varietà è necessario, e L'assenza d'ogni piacevole o dolorosa  in quella stessa guisa che gli organi sensazione sarebbe forse mai il vero  dei sensi si abituano e finiscono per Bene? Se così fosse, lamorte sarebbe  diventare quasi indifferenti ad una sen- allora da preferirsi alla vita, il nulla  sazione anche piacevolissima, così il all'essere, e i più grandi filosofidelmon-lo  pensiero si abitua e diventa indifferente sarebbero i Buddisti, inventori del nir ad un bene provato o posseduto troppo vana, ó della finale annichilazione di  lungamente.Plutarconell' opuscolodel- ogni pensiero. (Vedi RUDDHISMO).  la Tranquillità dell'animo, ci narra che  Aristippo, costretto a perdere unadelle  migliori sue terre, s'incontrò con un  de'suoiamici, il quale con molte espres sioni di condoglianza volle esprimergli |  |  Bentham (Geremia). Nacque a  Londra nell' anno 1748, fello  stesso paese, nè nello stesso uomo, ci  sarà pur forza convenire ch'esso non  esiste in altro luogo che nel mondo  archetipo di Platone, dov' egli pone le  idee assolute del Bello delBuono, e del  Bene,come se fossero cose esistenti per  se stesse e non un semplice rapporto  degli organi umani colmondo esterno.  Lateologiamoderna,e perfinolafamosa  Enciclopediadel secolo scorso(art. Bien,  par Yvon) ripongono in Dioil Sovrano  Bene; ma qual sorta di bene è egli mai  quello che non si vede, nè si tocca, nè  identità. Anche nel concetto morale il | cade in alcuna guisa sottoinostri sensi?  principio della varietà è necessario, e L'assenza d'ogni piacevole o dolorosa  in quella stessa guisa che gli organi sensazione sarebbe forse mai il vero  dei sensi si abituano e finiscono per Bene? Se così fosse, lamorte sarebbe  diventare quasi indifferenti ad una sen- allora da preferirsi alla vita, il nulla  sazione anche piacevolissima, così il all'essere, e i più grandi filosofidelmon-lo  pensiero si abitua e diventa indifferente sarebbero i Buddisti, inventori del nir ad un bene provato o posseduto troppo vana, ó della finale annichilazione di  lungamente.Plutarconell' opuscolodel- ogni pensiero. (Vedi RUDDHISMO).  la Tranquillità dell'animo, ci narra che  Aristippo, costretto a perdere unadelle  migliori sue terre, s'incontrò con un  de'suoiamici, il quale con molte espres sioni di condoglianza volle esprimergli |  |  Bentham (Geremia). Nacque a  Londra nell' anno 1748, fu giureconsulto  e filosofo distintissimo, e la convenzione  la pena che ne sentiva. «E perchè do vrò io affannarrmi di questo, rispose  Aristippo, e perchè devi tu dolertene a  mio riguardo? Tra tutti i tuoi beni  non è egli vero che tu non hai che un  piccol podere, e io ne ho tre tuttavia,  e maggiori ? Ciò è vero, rispose l'anti co. Ben dunque avrei maggior ragione,  rispose il filosofo, di compiangere la  tua fortuna, che tunonl'abbi di afflig gerti della mia >. É proprio questo il  caso di dire che seAristippo aveva ra gione, anche l'amico suo non aveva  torto; poichè se era vero che il filo sofo, relativamente al suo amico , pos sedeva maggior somma di beni; era  altresì vero che la continua tranquil lità di quel possesso si era fatta a bito in lui, onde soffriva più del po co che perdeva, di quel che godesse  francese lo tenne in tanto onore, che  durante uno de' suoi viaggi nella Fran cia volle rimeritarlo col titolo di citta dino francese. Mori nel 1838 ordinando  nel suo testamento, a disprezzo dei pre giudizi, che il suo corpo fosse abbando nato agli anfiteatri d' anatomia. Bentham  fu colui che diede lapiù forte spintaalla  riforma dell' amministrazione della giu stizia ; ma sopratutto vuolsi considerare  in lui il filosofo fondatore dell' utilita rismo, di quel principio, che la mo rale desume dall' utile o dal danno, il  quale se ad alcuni può parere assurdo,  non cessa perciò di essere men vero.  Nel sistema di Bentham la sola dif ferenza possibile fra l'una e l'altra a zione consiste nel maggiore o minor u tile ch'ella reca alla società, o nelle con seguenze nocive che ne derivano. Dic'egli  (Introduction aux principes de la mo rale et de la législation) che tutte le BERENGARIO  83  azioni dovrebbero esserci affatto indif- | sul preteso diritto che ha la società di  ferenti ove non potessero darci del pia cere o del dolore. Ricercare l'uno e  l'altro evitare, incoraggiando o vietando  le azioni che li producono, ecco qual è  lo scopo vero della morale. Questo prin cipio parve a Bentham tanto evidente,  ch' egli lo pose siccome assioma, la cui  verità non ha nemmen bisogno di es sere dimostrata, e quest' assioma costi tuisce il criterio cardinale del diritto di  punire. La legittimità, la giustizia, la  bontà, si confondono quindi in quest' i dea dell' utile, il quale è la veramisura  del valor morale di tutte le azioni. Or  vendicar l' oltraggio, egli non considera  la pena altrimenti che sotto il rapporto  del maggiore o minor utile che può re care, vale a dire della minore o mag giore attitudine ch'essa ha di prevenire  i delitti. Sopra questo argomento gli  studi di Bentham fatti allo scopo di e saminare il maggiore ominore danno di  una data azione, e l'utilità di una data  pena nei vari casi della vita, non sono  men profondi che curiosi.Nella sua Teo ria delle pene e delle ricompense, vien  nella conclusione, che unadata penanon  sempre può convenire alla medesima a ' utile degli individui è la maggiorzione, imperocchè dovendosi cercare di  somma di felicità a cui ognuno possa  arrivare; e ' utile della società è la som ma dell' utile di tutti gl' individui che  la compongono: la morale dunque non  non può nè deve avere altro scopo che  quello di produrre il maggior bene pos sibile, così per gli individui come per la  società.  Bentham esamina quindi, se questo  criterio possa applicarsi ai sistemi che  considerano la morale sotto un aspetto  opposto a quello dell' utilitarismo, e tro va che questi sistemi son due: uno asce tico, e l'altro che si fonda sopra sem plici idee di simpatia o di antipatia. II  primo considera bensì negli atti umani  le conseguenze piacevoli o dolorose che  renderla proporzionale allo scopo che si  vuol raggiungere, bisogna ch' essa vari,  non solo secondo l'età o il sesso, ma  anche secondo il clima, l'educazione, la  professione, la razza, la natura del go verno e della opinione religiosa.  L' eccletismo francese, il qual fonda  la morale sopra un principio ch'esso  stesso non sadefinire, ha cercato di com battere Bentham, ( Vedi Jouffroy, Droit  naturel t. II. leçon 14) ma non è riu scito a distruggere pur uno dei principii  cardinali dell' utilitarismo inglese , il.  quale, nei nostri tempi, ha trovato un  novello e potente alleato in Stuart Mill.  Berengario. Nacque a Tours  sulla fine del secolo X. Fu maestro  delle pubbliche scuole in Tours, poi  Arcidiacono, ed uno degli avversari del  dommadella Transubstanziazione. Con ne derivano, ma odiatore com'è d' ogni  felicità presente, chiama buoni quelli che  producono pena o dolore, e cattivi de nomina quelli che generano il piacere. tro Pascasio che nel IX secolo aveva  Il secondo sistema invece considera gli  atti umani senza alcun riguardo al  bene o al male che possono produrre,  eli classifica puramente secondo certe  tendenze di simpatia e di antipatia, di  cui mal saprebbe spiegare la cagione, e  che riposano sui pregiudizi sociali e sul l'abitudine.  Posti questi principii, è naturale che  Bentham non potesse discostarsi dalle  opinioni di Beccaria intorno all'origine  del diritto di punire. E infatti, escluse  tutte le assurde idee del secolo scorso  scritto un trattato per stabilire il dom ma della presenza reale (vedi PASCASIO)  egli scrisse un altro trattato per dimo strare (cosa non difficile), che dopo la  consacrazione il pane e il vinoconser vavanolequalità e leproprietà che ave vano prima della consacrazione, d'onde  conchiudeva che queste sostanze non po tevano essersi transubstanziate in quel lo stesso corpo di Gesù Cristo cheera  stato attaccato allacroce. Non negava  per altro che la divinità non discendesse  veramente sotto le apparenze del pane 84  BERKELEY  edel vino, e con queste sostanze non  si congiungesse, ma ammetteva perd  che anche dopo la consacrazione non  cessavano di esser pane e vino.  Un secoloinnanzi, Berengario avreb be potuto esporre senza molestie la sua  dottrina; maneldecimo secolo ildomma  della transubstanziazione, che conferi sce ai preti la facoltà di trasformare un  po'di lievito in Dio, era credenza giàqua si del tutto assodata. Quindi una lettera  di Berengario mandata aRomanel1050,  fu letta da Leone IX in unconcilioche  pronunciò la scomunica contro la dot trina e la persona di un eretico cotanto  biasimevole.Per altro, Berengario con tinuò ad insegnare le sue opinioni ,  onde nei vari concili che si succedet tero in quegli anni a Vercelli, a Tours  e a Parigi ed ai quali fudenunziato,  egli ritrattava costantemente le sue o nioni, per riprenderle poco di poi e  pubblicamente insegnarle. Fu nuova mente condannato dal Concilio diRoma  nel 1079, ma essendosi egli nuovamente  ritrattato, Clemente VII lo tratto con  molta indulgenza e scrisse anzi in suo  favore all'arcivescovo di Tours. Però  questa stessa indulgenzaper un eretico  che negava uno dei dommi più capitali  della Chiesa, sarebbe inesplicabile ove  non si ammettesse, come benl'ha pro vato il Basnage, che in quei tempi la  Transubstanziazione non era opinione  universale della Chiesa, talchè non po tessecontrastarsi.Berengario ebbe anzi  molti discepoli, i quali allora non sof frirono pena alcuna temporale, mentre  si sa quel che soffrissero nei tempi po steriori Enrico di Bruyes, Arnaldo da  Bresciae gli Albigesi che erano caduti  nella stessa eresia.  Berkeley(Giorgio).Nacque aKil krin nell'Irlanda, nel 1684, fece i suoi  studi all' università di Dublino, viag gió la Francia e l' Italia e , infine ,  tatto ritorno in Patria, vi ebbe il po sto di decano con ricco beneficio a  Dervy. Ma poco resto in quel posto,  avvegnachè ascoltando soltanto i con sigli del suo spirito irrequieto e la  smania di religioso proselitismo, parti  per l'America, nel divisamento di fon darvi un collegio per l'istruzione dei  selvaggi. Ma falli il progetto, e Ber keley, tornato in patria nel 1734, fu  promosso vescovo di Cloyne , carica  ch'egli tenne fino all' anno 1753 in  cui mori. Prima e dopo il periodo  del suo episcopato, egli scrisse parecchi  libri, che vennero man mano gettando  le fondamenta di una nuova filosofia :  Eccone ititoli nell'ordine in cui furono  pubblicati: Trattato della visione 1709;  Trattato sui principii delleumane cono scenze 1710 ; Tre Dialoghi 1713; Ilpic colo filosofo 1732.  Puossi mai concepire il più esage rato scetticismo accoppiato insieme al l'idealismo più spinto ? Il fondamento  dell'incredulità puossi egli mai accop piare insieme col più esagerato dom matismo ? Tantacontraddizione non la  si crederebbe davvero, se Berkeley non  avesse voluto provarci, che nello spirito  umanoanche icontrari possono trovare  insieme il loro posto. Berkeley negava  ogni realtà al mondo esterno: tutto è in  noi e fuori di noinon esiste altro che  l'apparenza. La materia sensibile, ciò  che vediamo, tocchiamo e in qualsiasi  modo sentiamo coi nostri sensi, non  ha alcuna esistenza fuori delle nostre  percezioni; quindi il mondo è tutto  subbiettivo, ed'obbiettivo nonvi ènulla.  Tutto ciò che diciamo sensazione non  had'uopo, peressere prodotto che alcuna  cosa esista fuori di noi, bastando una  semplice operazione dello spirito per  produrlo ; onde tutto quanto noi siamo  abituati a considerare siccome fuori di  noi e veramente esistente, altro non è  che illusione.  Per quanto strano ci possa parere,  il sistema di Berkeley non aveva d'al tronde il merito della novità, poichè  infine, non faceva altro che riprodurre  le dubitazioni dell' antica scuola in diana (vedi BUDDHISMO). Però nella sua  dimostrazionevi era alcun che di nuovo BERKELEY  che merita di essere ricordato. Egli  diceva che i corpi nonpossono essere  la causa nè istrumentale, nè occasio nale delle nostre sensazioni, e lo di 85  rito nostro poteva avere le prova del mostrava cosl. L'essere supremo è puro  spirito ed è onnipotente, e non sarebbe  degno di lui il servirsi d' istrumenti  nella produzione delle nostre sensa zioni, poichè il servirsi d' istrumenti  nasce da impotenza. Or se noi per  muovere un dito non ci serviamo d' i strumenti, potendolo fare con un sem plice atto della nostra volontà, perchè  l'esistenza di altri spiriti. Ed ecco  come egli si toglieva d'impaccio. Le  idee, diceva, non dipendono dalla no stra volontà, e se si producono in noi  devono necesariamente esistere anche  fuor di noi; ma fuori di noi nella realtà  materiale non possono esistere, poichè  la materia non è che apparenza, dun que bisogna che vi sia qualche altro  spirito nel quale abbiano l' esistenza.  Berkeley a questo punto cadevain una  purapetizione di principio, poichè colla  tutto non potràfare Iddio col semplice | negazione della materiavoleva provare  suovolere? Dunque icorpi non possono  essere lacausa istrumentale dellenostre  sensazioni. Ma nemmenopotrebbero es serne la causa occasionale, poichè la  sapienza e la potenza di Dio bastano  del pari per spiegare tutto l'ordine e  la regolarità che si osserva nella suc cessione delle nostre idee. Non è forse  la necessità dell'esistenza di uno spi rito, senza pensare che era appunto  dalla dimostrazione della esistenza dello  spirito che avrebbe potuto dedurre la  negazione della materia. Ma infine, am messo pur come provato ciò che pro var sì doveva, restava asapersi in cosa  differiva il suo modo di considerare la  un umiliare lanaturadell'Essere per- | realtà materiale come una apparenza,  fetto il supporre che una sostanza priva  della facoltà di pensare possa influire  sull'azione di lui, dirigerla e insegnar gli ciò che fare o non far dovrebbe?  Dunque la materia non esiste, ma lo  spirito soltanto è.  Ed ecco in qual maniera per lo  sdrucciolo dello spiritualismo, Berkeley  era bellamentecondotto a capovolgere  tutte lenostre sensazioni, a negare l'e sistenza alla materia, che è la sola che  veramente esista, la quale vediamo,  sentiamo, è in mille guise a noi si  rende percettibile, per accordarla e sclusivamente allo spirito, il quale ve dere o toccare non si può, e non si sa  come edove esister possa.  Il dabben uomo si lusingava di a vere in questa guisa rovesciato l'atei smo, e non si accorgeva ch'era invece  contro il deismo che la sua logica,  falsa nelprincipio, ma stringente nelle  conseguenze, andava a portare i suoi  colpi.  Annullata larealtà obbiettivae ma teriale di tutte le nostre percezioni,  s'egli era pur costretto a dare alla re altà sensibile, cioć alle idee, un obbiet tivo spirituale. Ma il nostro Irlandese  ancorliberavasi dalla importuna diman da, soggiungendo chese ilmondo sen sibile o ideale, è veramente esistente,  non esiste però se non in quanto é  rappresentato dallavolontàdello spirito  infinito, presente dappertutto, il quale  modifica a ciascun momento le im pressioni sensibili e ci da la varietà e  l'ordine di esse; onde deve dirsi che le  cose che noi percepiamoson conosciute  dall'intendimento di uno spirito Infinito  e prodotte in noi dalla sua sola volontà.  Ilmondorealenon è dunque altro che il  pensiero di Dio ; ciò che noi vediamo o  sentiamo non è che sensazione prodotta  da Dio, e tosto che noi cessiamo di  vedere una cosa, quella cosa cessa pur  di esistere, o per meglio dire, come  non è mai esistita fuori di Dio, così  continua ad esistere potenzialmente in  Diocome un semplice atto volitivo. Non  altrimenti diceva la filosofia indiana,  quando insegnavacheBrahma produce  od annienta tutto ciò che esiste, secon restava a sapersi in qual modo lo spi 86  entra.  BESTIE  do che si svolge o in se stesso ri- | IX. 5) Ecco che io fermeró il mio  patto con voi ..... e con tutti gli ani mali viventi che sono con voi, tanto vo latili come giumenti (Gen. IX. 10).  D'ala parte, le azioni delle bestie  Certo, nel secolo nostro tanto posi tivo, la teoria di Berkeley può parere  un vaneggiamento di mente malsana,  e tale é infatti, ma non convien però  considerarla come se fosse senza nesso  logico e senzacoordinazione di idee.Ben  altrimenti, Berkeley, come tutti coloro  che negarono la realtàdelmondo ester no, vi fu condotto colle leggi stesse del  ragionamento, e da una cotal sorta di  seetticismo che si è molto maraviglia ti di vedersi svolgere in quell' aperto  dommatismo idealistico, ch'egli credeva  fosse il miglior antidoto contro ildub bio. Noi esamineremo nell'articolo SEN non pot mo tuttemeccanicamente spie garsi. Ese dimostrano volontà, intelli genza, sapere e provano anche delle pas sioni, cose tutte che mal si conciliano  con una semplice azion meccanica. Bi sognava dunque dotarle di un' anima o  negar l'anima all'uomo. Ma di qual  sostanza sarà mai fatta l' anima delle  bestie? Se di materia, ella è corpo; se  di spirito dovrà essere immortale. Ma le  più granbestie, dice Voltaire, son coloro  che avvanzarono ch' ella non era nè  corpo nè spirito. Fra queste opposte o SAZIONE il ragionamento di Berkeley e  ne mostreremole inconseguenze. (Vedi | pinioni disputarono lungamente gli an anche l'articolo SCETTICISMO, COLLIER E  CERTEZZA).  tichi, e il Bayle nel suo Dizionario sto rico ben le riassume. « Non si vede  Bestie. Se siapossibile stabilire una  assoluta distinzione fra l'uomo e le be che gli antichi quando hanno abbando nato il loro stile poetico abbiano sta bilito una vera differenza fra l'anima  umana e la materia, onde non si deve  stie è cosa che esamineremo all' articolo  DARWINISMO. Qui voglio soltanto mostra re tutto quello che ne pensarono in be ne o in male gli scrittori dell' antichità.  Dice laBibbia, e i credenti ripetono, che  Dio ha dato all' uomo il dominio delle | secondo idiversi gradi di sottigliezza ».  bestie. Ma come si vede in S. Agostino  (Lib. I. De Gen. c. 18), già fin dai pri mi secoli del cristianesimo i Manichei  trovavano che quest' impero dell' uomo  è molto effimero. Il pesce cane, dicevano  i dualisti, ingoia il marinaro, il quale ne  paventa perfin la vista, e il coccodrillo  mangiasi bell' e vivo lo stupido Egiziano  pensare che l'anima delle bestie e  quella dell' uomo differiscano fra loro  in essenza, ma soltanto dal più al meno  Tal fu infatti l'opinione di Anassagora  il qual fra l'anima dell'uomo e quella  delle bestie non metteva altradifferenza  fuor che la prima può spiegare a se  stessa i suoi ragionamenti e la seconda  non lo pud. Pitagora e Platone am bi riconoscevano la ragionevolezza del che lo adora. Ma se gli animali forti ci  resistono, i deboli ci sfuggono, e non vi  è altro che la leggendadi qualche santo  dove si legga che i pesci venivano com piacentemente a farsi friggere nella pa della e le quaglie ad infilzarsi sullo spie do. D'altronde, anche la Scrittura santa  eleva gli animali alla dignità dell' uomo,  avvegnaché mostra che lo stesso Iddio le  tien degne della sua vendetta e della  sua alleanza. Jeohvah, infatti, dice aifigli  di Noè: « Io farò vendettadel sangue vo stro sopra qualsiasi delle bestie. ( Gen.  l'anima delle bestie, laqualdistingue vano dall' umana sol per l'attributo  della parol . Non si può dubitare che  tal fosse ad un dipresso anche l' opi nione di Plutarco, dal momento che  egli ammetteva la trasmigrazione delle  anime umane anche neicorpidegli ani mali; anzi egli ha scritto anche un trat tato apposito per mostrare che le bestie  pensano e ragionano. Non meno espli cito è Porfirio, il quale alle bestie at tribuisce,non solo la ragione, maanche  l'attitudine a far intendere i loro ra gionamenti i quali, se non son tanto BESTIE  sottili e complessi comequeidell'uomo,  non differiscono perciò essenzialmente.  La facilità con cui gli antichi am 87  cosa non sarebbe maggiormente contro  l'evidenza che il dir l'altra ».  mettevano la ragionevolezza dell'anima  delle bestie, concorda d'alt 14 colla  opinione della sua materiantà. vero,  all'articolo ANIMA, noi abbiamo provato  che tutte le scuole filosofiche della  Grecia ignoravano affatto quell' astra zione alla quale i modernidanno ilnome  di spirito; ed esclusa lasostanza spiri tuale, si capisce subito come convenga  oalle bestie negare un'anima, o dotarle  di una non essenzialmente diversa da  quella dell'uomo. Ridotta in questi ter mini, la controversia diventa una pura  question di parole. E invero, se chia miamo l' aníma funzione, intenderemo  facilmente che tral'uomoele bestie que sta funzione non può differire essenzial mente, imperocchènell'uno e nelle altre  essa si fonda sulla materia. Or una  Anche nel secolo XVI Gomesio Pe reira, medico spagnuolo, fece meravi gliare i dotti annunciando che le be stie son pure macchine e spingen do il paradosso fino a negare l'ani ma sensitiva che a loro si attribuiva.  Sul qual proposito il Bayle osserva  chea' suoi tempi pretendevasi che De scartes avesse tolto a Pereira la sua  singolar dottrina sull' anima delle be stie. Infatti, Descartes negò che vera mente nelle bestie esistesse un'anima,  nonchè ragionevole, nemmen sensitiva,  e fondava questa sua negazione, non  già sulla ripugnanza della ragione a  credere ad unospirito, maunicamente  perchè ripugnava al suo pensiero il  credere che fra l'uomo e le bestie  non esistesse alcuna differenza essen ziale. Quindi i cartesiani giungevano  alla credenza, che le bestie sono dei  funzione che procede da causa iden tica non si può, senza contraddizione, puri automi , fondandosi sul princi concepire essenzialmentedifferente; ma  può invece concepirsi come quantita tivamente differente in ragione della  maggiore o minor perfezione dell' or ganismo incui simanifesta.  Certo, nonmancarono nemmeno fra  iGreci filosofi che abbiano ammessa  la meccanicità delle funzioni delle be stie. Pare anzi che tal fosse l'opinione  degli stoici; ma ben vi rispondeva  Plutarco con queste parole: « Quanto  a coloro che goffamente e con tanta  impertinenza affermano che gli animali  nè si rallegrano nè si corrucciano, nè  temono di dire che larondine non am massa provvigioni, e l'ape non ha me moria, ma sembrasoltanto che la ron dine usi previdenza e il leone si cor rucci, e il rettile fremi per la paura,  io non so cosa risponderebbero a co loro i quali avanzassero l'opinione, che  convien purdire ch'essi nè credono, nè  odono e ch'essi non hanno voce ma sol tanto che essi vedono oche hanno voce,  in una parola ch'essi non vivono ma  sembrach'essi vivano; poichè dire l'una  pio, che lamateria non solo non puó  pensare, ma nemmensentire e provare  sensazioni di sorta. Conchiudevano dun que che selebestie avessero un'anima  spirituale, questa doveva essere immor tale quanto quella dell'uomo, e che  un' anima materiale non poteva pen sare, nè sentire, nè produrre la vita. É  vero che gli avversari dei cartesiani  potevano facilmente imbarazzare i so stenitori di questa così poco ragione vole dottrina, mostrando i molti atti  degli animali, i quali provano e sen sazioni, e volontà e pensiero e perfino  qualità morali, come la fedeltà e l'a more, virtù che sono essenzialmente  proprie dell'anima; ma tornava facile  ai cartesiani il rispondere in questa  guisa: « Voi riconoscete che gli ani mali son cose, le quali rassomigliano  a ciò che fal'anima ragionevole e che  nullameno la loro anima non è punto  ragionevole. Perché dunque non volete  che si sostenga ch'essi sono delle cose  che rassomigliano a ciò che fa l'anima  sensitiva, senza che la loro anima sia 88  BIBBIA  sensitiva? » Il perchè poi alle bestie | raccomandazione ai contadini di pagar  volesse attribuirsi un'anima sensitiva e  non immateriale, ci è detto da Sennert,  medico dell'accademia di Wittemberg,  il quale appunto nel secolo XVI fu ac cusato d' empietà per aver insegnato  che l'anima delle bestie non è mate riale. Or il dare alle bestie un' anima  immateriale val lo stesso che farle im mortali e quindi eguali all'uomo.  le decime, eccellente rimedio contro  gl'insetti devastatori. (Vedi la mia Sto ria Critica della superstizione al Vol.  II Cap.XI.  Bibbia. Voce greca che signi fica libro. Così chiamasi la raccolta  degli scritti sacri degli ebrei e dei  cristiani contenente i libri dell' An tico e del Nuovo Testamento. Il lo Il Cartesianismo aveva evitato que- ro numero e i loro titoli sono regi sto scoglio supponendo che uno spirito strati nel canone dei libri santi, il  esterno fosse la causa delle interne a- quale, tuttochè si pretenda immutabile,  zioni degli animali, le quali sono vere venne però man mano modificandosi  macchine agenti sotto l'impulso di una per l'aggregazione dei nuovi libri che  forza straniera. Questa opinione non la Chiesa, in progresso di tempo, e pei  contrastava d'altronde con quella do- suoi interessi trovò opportuno di di minantenellachiesacattolicadel medio chiarare rivelati. ( Vedi CANONE ). É  evo, perciocché vediamo che in diversi dottrina di tutte le Chiese cristiane  tempi e invari paesi gl'inquisitori pro- ed ebraiche, che i libri della Scrittura  cessarono e condannarono gli animali sono stati dettati sotto la immediata  siccome i supposti agenti del demonio. inspirazione dello Spirito Santo, mo Nel 1451 una quantità di sanguisughe tivo per cui hassi ragione di credere,  avendo infestate le acque del territorio | che un solo errore il quale si trovi  di Berna, detto fatto il vescovo di Lo sanna le fa citare davanti ad un com missario incaricato di giudicarle. Un  usciere è inviato sui luoghi occupatida  quegli animaletti e con pubblico bando  aloro ingiunge di comparire davanti  nella Sacra Scrittura costituisca una  prova formidabile contro la sua pre tesa rivelazione; imperocchè non possa  ammettersi che Dio possa ingannare  od essere ingannato. Or convien con fessare che nella Bibbia li errori son  molti e di varia natura, e chi tutti li  volesse raccogliere, avrebbe di che com porre un intero volume. Diró soltanto  al rmagistrato, per essere udite e al l'uopo condannate ad abbandonare en tro breve termine e sotto le pene di  diritto i campi occupati. S'intende che | dei principali e più manifesti.  gli animali non si presentavano mai da vanti al giudice, ma di solito si nomi nava per loro d'ufficio un avvocato di fensore, e per non dir d'altri, il fa moso giureconsulto Chassanée stabili  appunto la sua fama nella difesa dei  topi d' Autun. Del resto, i processi  contro gli animali non furono tanto  rari e dal 1120 al 1741 se necontano  92, dei quali quattro contro i bruchi,  quattro contro le lumache , quattro  1  contro i sorci, e altri contro le san guisughe, le cantaridi, le mosche, le  talpe, i grilli ecc. e tutti, o quasi tutti,  finirono con la scomunica, con l'esor cismo, con le processioni, e con la  I. Risulta dal contesto del IV e V  capitolo della Genesi, che Adamo ed  Eva sono idue primi sposi dell' uni verso, che dalla loro unione nasce A bele e Caino,il quale avendo ucciso il  fratello, si allontana dal padre e d alla  madre, vale adire da tutto il genere  umano. Egli non ha quindi alcuna  donna a cui congiungersi, nè alcun uo mo da cui temere. Eppure si legge che  Caino, tremante d'essere ucciso (da uo mini chenonesistevano) fuggì nel paese  di Nod ove fondò una città ( i cui abi tanti non erano ancor nati ).  II. Al capo XII verso 40 dell' Esodo,  si legge che la durata del soggiorno BIBBIA  degli Israeliti nell'Egitto fu di 430 anni.  Ma S. Paolo, il quale non è meno in spirato di Mosè, afferma che la legge  fu data sul Sinai 1030 anni dopo l'al leanza fatta da Dio con Abramo ( Gal.  III 17 ) il quale era allora in età di  75 anni ( Gen. XII 4). Abbiamo dun que la seguente cronologia:  Dall' alleanza alla nascita d' Isacco  (XXI. 5) corrono .  anni 25  Dalla nascita d' Isacco a  quella di Giacobbe (XXV. 26)  89  anni 40  26  8  40  .  mente stabilite dalla stessa Bibbia e  citate da Spinoza.  Mosè governa ilpopolo nel  deserto per.  Giosuè che visse 110 anni,  non ebbe il comando, secondo  Giuseppe ed altri storici, che  KusanRisgataiin tiene ilpo polo sotto il suo imperio  Otoniel figlio di Kenaz fu  giudice durante  Eglon re di Moab fu giudice  «  corrono  Dopo 130 anni Giacobbe si  stabilisce in Egitto (XLV II. 9). > 130 dici durante  Dall'alleanza alla immigra 60 durante •  Aod e Samgar furono giu .- Jabin tiene il popolo sotto  zione in Egitto corrono dunque > 215 il suo giogo  i quali se si tolgono dai 430 anni fissati  da S. Paolo, nonnerimangono che 215  per il soggiorno nell' Egitto.  Il popolo dopo un riposodi  Ricade in servitù sotto la  III. Risulta dai versi 6 e 7 (Deute ronomio X. ) che solo dopo cheAron ne fu morto e seppellito, gl' Israeliti  passarono a Gadgad e poi a Jetbat.  Ora, al capo XXXIII dei Numeri, verso  32 a 38, era stato detto iuvece che le  stazioni di Gadgad e Jetbat avevano  preceduto la morte diAronne, laquale  non ebbe luogo che alla stazione del  monte Hor. Il capo XX verso 22 a29  dei Numeri aveva già fatto morire A ronne sul monte Hor; si avverta poi  che trovasi la stessa indicazione nel  verso 50 del capo XXXII del Deutero nomio, il quale resta così in contrad dizione, non solo col libro dei Numeri,  ma anche con se stesso.  IV. Il quarto capitolo del primo li bro dei Re narra che Salomone fondò  il tempio nell'anno 480 della sortita  dall' Egitto. Ma consultando, non dirò  ' istoria la quale tace di questi fatti  dominazione di Madian per .  Esso riprende la libertà al  tempo di Gedeone  Poi èsottomesso daAbimelch  Tola figlio di Pua fu giu diceper.  Jair per.  Il popolo ricade sotto la do minazione de' Filistei,e degli  Ammoniti durante  .  Jefte fu giudice durante.  Abesan il Betelemita  Aialon il Zebulonita  Abdon il Faratonita  Ilpopolo cade ancora sotto  il dominio de' Filistei .  Sansone fu giudice durante  Eli durante  Il popolo sottomesso nuo vamente da' Filistei, non fu li berato da Samuele chedopo un  intervallo di..  Davide regna.  Salomone avanti di fondare  leggendari, ma la Bibbia stessa, il li bro infallibile e divinamente inspirato, il tempio regua .  si trova che tra la fondazione del tem pio e l'uscita degli ebrei dall' Egitto,  corre un lasso di tempo assai più lun go, e precisamente di 580 anni, come  appare dal seguente prospetto, in cui  si computano soltanto le date chiara «  «  18  80  » 20 40  7  > 40  >>>  «  «  «  3  :  23  22  18  6.  7  10  8  40  20  > 40  «  «  20  40  4  Totale > 580  «Aquesti anni bisogna però ag giungere quellidel periodo immediata mente successivo alla morte di Giosuè,  durante il quale la nazione ebrea si 90  BIBBIA  mantenne indipendente fino al giorno  in cui Kusan Risgataiin la ridusse in  servitù. Periodo di prosperità che do vrebbe essere stato assai lungo, non  potendosi supporre che subito dopo  la morte di Giosuè tutti coloro che  erano stati testimon: delle sue gesta  prodigiose fossero periti in un mo mento, e i discendenti loro, abolite le  leggi e gli ordinamenti civili del gran  condottiero, fossero tosto caduti in ser vitù. Ciascuno di questi avvenimenti e sigendo quasi un secolo di tempo, non  puossi mettere in dubbio che lascrit tura nei versetti 7.9 e 10 del secondo  capitolo dei Giudici non abbracci un  gran numero d'anni, la storiadei quali  passata sotto silenzio. A questi bi sogna poi aggiungere quelli nei quali  Samuele fu giudice degli Ebrei e non  citati dalla Scrittura; quelli del regno  di Saule a disegno ommessi, perchè la  sua storia non lasciaindovinare la du rata del di lui regno; quelli dell' anar chia nella qualeperdurarono gli Ebrei,  pure taciuti dalla Bibbia; poiché è im possibile di valutare giustamente ladu rata degli avvenimenti che sono rac contati nel libro dei Giudici, comin ciando dal capitoloXVII sino alla fine.  V. Il quarto libro dei Re ( XXIV  8,9) dice che il censimento fatto da  Davide mostrò che gli uomini atti alle  armi erano in totale 1,300,000. Ma nel  primo libro delle Croniche ( XXI 5,6)  si trova che questo censimento non  venne esteso alle tribù Beniamino e di  Levi, e nondimeno diede per risultato  1,570,000 uomini atti alle armi. Lo Spi rito Santo, dice Miron, è autore del l'uno e dell'altro di questi due rac conti; ma qual de' due dobbiamo cre dere ?  VI. Nel capo XI (verso32 e 36 del  IV libro dei Re) Jeova dichiara che non  lascerà a Roboamo che una sola tribù  enel capo XI (verso 20 ) dicesi in fatti che questo re fu seguito dalla  sola tribù di Giuda; ma nei versi se guenti ( 21 e 21) è rappresentato co me regnante sulle due tribù, quella di  Giuda e quella di Beniamino.  VII. Ocozia non avendo lasciato fi gliuoli, fu sostituito da suo fratello Jo ram, rapporto al quale sono da osser varsi queste notevoli contraddizioni. Se condo ilverso 17 del capo I (IV Re),  egli sali sul trono d' Israele il secondo  anno del regno di Joram, re di Giuda.  Secondo il verso primo del capo III, in vece egli comincia a regnare nel diciot tesimo anno del regno di Giosafat, re di  Giuda. Ma non basta! Secondo il verso  16 del capo VIII, Joram, figliuolo di  Giosafat, cominciò a regnare sopra Giu dail quinto annodel regno diJoram re  d'Israele; d'onde si trae che ravvicinan do il verso 17 del capo primo al verso  16 del capo VIII, Joram d' Israele sali  sul trono nel secondo anno del regno di  Joram di Giuda, il quale era salito sul  trono nel quinto anno del regno di Jo ram re d'Israele. Gli annali compilati da  scrittori, che non pretendono d' essere  qualche cosapiùdi semplici mortali, non  offrono certamente esempii di una peg giore cronologia.  VIII. Nessun errore, dice Fréret (Oeu vres. T. IV. p. 372), può riuscire piú  grande di quello che s'incontra nel nu mero degli israeliti, che dalla cattività di  Babilonia ritornano aGerusalemme sotto  la condotta di Zorobabele. Se noi som miamo insieme tutte le cifre che ci sono  date dal Cap. II del 1º. libro di Esdra,  troviamo che gl' israeliti ritornati dalla  cattività ascendono alla cifra di 29818.  E nondimeno il sacro scrittore facendo  la somma a suo modo, ai versetti 64 e  65, dice che tutta questa radunanza in sieme sommava a 42360, non compresi i  servi e le serve in numero di 7337! Bi sogna dunque credere che lo Spirito  Santo nel fare l'addizione delle cifre si  sia fermato ad un bel circa verso la  metà della somma.  IX. Nelprimo librodei Maccabei (vers.  5-17), si narra diffusamente la orrenda  morte di Antioco Epifane persecutore  dei preti, ma questo spogliatore sacri BIBLIA  lego, prima di fare la suaterribile fine,  era già mortoduevolte; la prima(Capo  91  connubio fra i >>  Egli nasconde la luce nelle sue mani, e  quindi glicomandadi ricomparire (Giob  XXXVI. 32. Questo testo è infedelmente  l'origine attribuendoli ad un carnale 92  BIBBIA  tradotto nelle nostre versioni). E i mari  che sono essi mai ? La limitazione del  mondo tra la terrae l'abisso. » Egli ha  posto un certo termine intorno all'acque,  il qual durerà fino alla fine della luce e  delle tenebre » (Giob. XXXVI. 10). E  chi potrebbe insegnar geometriacol sin golar metodo dei libri rivelati, nei quali  si legge che il bacinoposto all'ingresso  del tempio di Salomone era rotondo ed  avea dieci cubiti di diametro e trenta di  circonferenza? Calcolo sublime ed incon testabilmente rivelato, avvegnachè tutta  la scienza nostra non sia ancor arrivata  aprovare che il diametro stia precisa mente trevoltenellacirconferenza.Prova  evidente è questa chequellaproporzione  geometrica si basa sopra principii supe riori alla povera ragioneumana, laquale  insegna che il diametro sta alla circon ferenza come 113 a 355, proporzione  che è sempre maggiore del triplo.  Manonostante tutti questi errori, che  sono pochi fra i moltissimi che si po trebbero citare, rincresce ildire, che non  mancanouomini, i quali, fedeli alla tra dizione antica, vorrebbero che tutte le  nostre conoscenze alla Bibbia si attin gessero e ogni metodo d'insegnamento  sullaBibbia si fondasse.«Come,donde,  >  La Enciclica del 1824 data da Leo ne XII, rinnova il divieto, e una bolla  di Gregorio XVI, dopo avere richiamate  tutte le disposizioni date dai suoi pre decessori, aggiunge: « Noi confermiamo  erinnoviamo collanostra autorità apo stolica gli ordini suddetti, già da lungo  tempo promulgati circa lapubblicazione,  lapropagazione, lalettura edil possesso  dei libri della Scrittura Sacra tradotti  in lingua volgare. >>>  Chiesa cattolica, se non in quanto essa  sia pubblicata insiem colle note e gli  schiarimenti, che ne raddoppiano il vo lume e la spesa, e la rendono poco ac cessibile alla borsa di tutti. Quando essa  fu pubblicata senza queste note dalla  Società Bibblica di Londra, e venduta a  tenue prezzo, incorse in tutte le censure  che sono comminate contro le altre ver sioni in lingua volgare. Ma la Bibbia tipo, laBibbia veramente ufficiale e rico nosciuta dalla Chiesa è la Volgata, così  detta, perchè fu da S. Girolamo volga rizzata nel latino idioma (o, come altri  credono, soltanto corretta)sui testi greci  ed ebraici originali. Or, è pur cosa sin golare a dirsi, che questo testo ufficiale  della rivelazione, è esso stesso così pieno  di errori, che già ai tempi di S. Gero lamo se ne facevano nella Chiesa grandi  lamenti. S. Agostino nella sua decima let tera, dice che essa non è conforme alla  versione greca dei settanta, che gli e brei n' erano assai malcontenti e che  egli perciò non volle adottarla, nè per metterne la lettura nella sua chiesa.  Cionondimeno il Concilio di Trento nella  sua quarta sessione, dichiarò la Volgata  la sola autentica versione della Bibbia;  ma la Chiesa ebbe inseguito a ramma ricarsi di quel suo decreto, inquantochè  le critiche di uomini competentissimi, an che devoti, mostrarono troppo aperta mente i molti errori di quella versione.  Sisto V credette di rimediare all' incon veniente, facendoricorreggere laVolgata  e ripubblicandola coi tipi del Vaticano,  onde quella ricorrezione ebbe il suo no me. Ma pare che neppure quel lavoro  soddisfacesse tutte le esigenze, poichè  anzi Clemente VIII, suo successore, sol tanto tre anni dopo fu obbligato di farne  ritirare tutti gli esemplari, e far ese guire una nuova correzione ed unanuo va edizione della Bibbia, che è la Vol gata attuale. Anche questa però, nono stante l' infallibilità papale, non riusci  opera perfetta, giacchè non pochi teo Osservisi poi chelaversionedel Mar- logi, fra cui il cardinal Gaetano, dimo 96  BIBBIA  strarono che essa è ancor piena di er rori, e perfino Monsignor Martini, ar civescovo di Firenze, alla sua versione  del Nuovo Testamento premette una  nota, ove attesta che nel solo Nuovo Te stamento della Volgata si trovano 975  passi che differiscono dall' originale.  Anzi ancora, il cardinal Bellarmino  rispondendo a Luca di Bruge, il quale lo  avvertiva appunto che nella Bibbia la tina trovavansi tanti errori, diceva: >>  Einfatti, Clemente VIII nella prefa zione della Volgata da lui dichiarata  sola autentica, ha l'ingenuità di avver tirci che « sebbene siasi adoperato con   il Martini aggiunge SUPERSTI zioso, acciò si creda che il solo super stizioso culto degli angeli la Bibbia con danna, non già il vero culto.  Del resto, parecchi altri passi più o  Tutte le volte che il Diodati traduce  la voce greca presbiteri per ANZIANI  (AttiXV, 6, 22, 23; XVI, 4; I Timot. IV  14; X 19; Giac. V. 14), il Martini la  rende colla voce Sacerdoti, onde fondare  eziandio sui tempi apostolici la institu zione di un vero e proprio sacerdozio.  Per lo stesso motivo ogniqualvolta il  Diodati nei versetti 2 e 12Cap. III della  epistola di S. Paolo a Timoteo traduce,  SIA il vescovo, O SIENO i diaconi mariti  di una sola moglie; il Martini traduce  ABBIA PRESO il vescovo, od ABBIANO PRESO  i diaconi una sola moglie. Il motivo  della variazione è evidente: il verbo sia,  sieno , è imperativo e impone come  precetto ' obbligazione del matrimonio  per gli ecclesiastici, mentre la locuzione  abbia o abbiano preso, è condizionale,  non impone nulla nel presente o nel fu turo, e lascia il posto al precetto po stumo del celibato. Giustizia vuole però  che si confessi,che questo precetto è con forme allo spirito e alla dottrina di San  Paolo, e che la versione del Martini, al meno essenziali differiscono nelle varie  traduzioni della Bibbia; e si conosce quale  strana importanza danno i credenti a  queste per noi quasi insignificanti diver genze, quando si pensa che talora so pra un solo versetto e fin sopraunapa rola si fonda l'origine d'un sacramento,  di un domma o di un rito della Chiesa.  (Vedi anche gli articoli APOCRIFI, CANONE,  EVANGELI, PENTATEUCO, ecc)  Biologia. Etimologicamente: di scorso sulla vita. Labiologia, parola pri mamente usata da Comte, è la scienza  delle leggi che regolano la vita negli  organismi, e i rapporti fra di loro e il  mondo esterno. Base dellabiologia sono  quindi l'anatomia e la fisiologia, non  menochelescienzenaturali; inquantochè  ogni organismo trovasi necessariamente  legato col mondo esterno, nè avviene va riazione nell'uno senza che vi corrisponda  una modificazione dell' altro. (Vedi Po SITIVISMO).  Bochm(Giacobbe)soprannominato  il Filosofo teutonico.Nacque nel 1575 in  un vilaggio della Lusazia presso Gorlitz  daparenti poverissimi.Educato allascuola  del villaggio, prese amore vivissimo alla  meditazione edi tanto s'esalto, che infine  credette d'essere chiamato a rivelare al meno inquesto caso,rispondemeglio alla  dottrina del fondatore del cristianesimo. | nati nellaBibbia. Bohem scrisse parecchi  l'umanità i divini misteri, appena accen Efesi, V, 32-33. Perciò l' uomo la scierà suo padre e sua madre, e si con giungerà con la sua moglie: ed i due  diverranno una stessa carne. Questo MI STERIO è grande.  Il Martini traduce misterio con SA CRAMENTO. Questa differenza fra i due  traduttori facilmente s' intende, rifletten do che il matrimonio è sacramento pei  cattolici soltanto e non pei protestanti.  libri di rivelazione che nel secolo nostro  non meritano nemmeno l'onore di essere  esaminati, ma che a'tempi suoi, nei quali  filosofi si dicevano icercatori della pietra  filosofale e i cultori dell'alchimia, ebbero  moltissimo successo. Il novello rivelatore  pervenne a costituire una setta di nuovi  mistici, iqualiil maestro illustrarono con  lodiesagerate e senzafine. Singolare coin cidenza! Simile al Cristo sul quale riposa  7 98  BOLLA  la grazia del Padre, anche Boehm vuol | membro della Camera dei Lord. Nel  che la grazia divina riposi sopra di lui:  il misticismo dell'uno nonval meglio di  quello dell' altro, e l'uno e l'altro inse gnarono l'imprevidenza, il disprezzo del  mondo e tutte le conseguenze che ne  derivano.  1714 all'avvenimento altrono della casa  d'Hanover si ritirò inFrancia, ove mend  in moglie la vedova del marchese di  Bogomili. Eretici diBulgaria,di scepoli di un tal Basilio,vecchio asceta, en tusiasta e fanatico. Dicesi che l'impera tore Alessio Comneno, nemico acerrimo  dell'eresia, facesse chiamare a se Basilio  sotto pretesto di volersi aggregare alla  sua setta, onde indurlo apalesargli isuoi  errori, e che quando glieli ebbe rivelati  l'accusò davanti al Senato. Basilio si of ferse a sostenere le sue opinioni, mo strandosi pronto a incontrare il marti rio, e fu esaudito. Acceso ungran rogo  inmezzo all'Ippodromo, fu dall'altro lato  piantata una gran croce, e a Basilio si  ingiunsedi sceglierefra l'uno e l'altra.  Mirabile esempio di costanza e dicorag Villette. Bolingbroke ebbe amichevoli re lazioni coi principali filosofi del suo tem po e credesi sia stato il primo che  abbia determinato alla carriera filoso fica Voltaire, ch' egli conobbe durante  il suo esiglio in Francianella sua terra  della Source, presso Orleans. Mori nel l'anno 1751 lasciando isuoi scritti a Da vide Mallet, che li mandò allestampe in  cinque volumi, contenenti, fra gli altri,  le Lettere sullo studio della Storia e  quelle al Papa sulla religione e la filo sofia. Bolingroke apparteneva alla scuola  dei deistidel secolo passato, epperciò era  accanitissimo contro tuttele religioni ri velate, contro la Bibbia, ch'egli dice un  romanzo da Don Quichotte e contro tutti  i teologi che chiama « Folli. »  Èdubbio che nellasuapolemica con gio, Basilio si precipitò sul rogo, dimo- tro l'ateismo egli portasse tanta convin strando al mondo che i martiri nullazione quanto in quella contro la rivela provano in favore dei principii pei quali zione. E invero, da una parte s'egli ri hanno data la vita.  Basilio morì, ma non la sua setta,  che fu assai diffusa nellaGrecia, ed alla  quale appartenevano molte principalissi me famiglie di Costantinopoli. Qual fosse  l'eresia dei Bogomili non è facile il de terminare, poichè le loro credenze sono  un impasto di tutti gli errori di quei  tempi. Par nondimeno che inclinassero  al dualismo di Manete (vedi Manichei smo) e allademonologia di Platone. Dei  libri della Bibbia sette soli accettavano,  e molti interpretavano allegoricamente.  Dio credevano corporeo, la Trinità spie gavano coi semplici attributi divini ; la  terra e l'uomo dicevano creati da Sata naele; il battesimo facevano senz'acqua;  ' Eucarestia negavano, e i vescovi e il  clero disprezzavano.  Bolingbroke. (Enrico San Gio vanni, viscontediBolingbroke)nacque nel  1672. Eletto membro della Camera dei  Comuni di Londra nel 1702, divenne poi  ministro segretario di Stato, e finalmente  conosce un Dio, nega però al Creatore  l'intenzione di fare gli uomini felici;  ammette una provvidenza generale, ma  la nega per gl'individui in particolare ;  confessa l'antichità della dottrina dell'im mortalitàdell'anima,ma nega aquesta la  qualitàdi sostanzaimmateriale e distinta  dal corpo. Tutte queste affermazioni di  uno scrittore che i suoi stessi nemici  chiamavano, seducentenellaconversazio ne, di spirito fecondo, e molto istruito,  erano tali da poter fare molta impres sione, d'onde la condanna data alle sue  opere dal gran giuri di Westminster.  L'Esameimportantedi milordBolingbro ke che si trova inserito nelle opere di  Voltaire, è di quest'ultimo autore.  Bolla pontificia. Rescritto del pon tefice il qual differisce dal Breve in que sto, che l'uno è spedito dalla cancelleria  apostolica sotto il sigillo di piombo, l'al tro dalla segreteria dei brevi sotto l'a nello pescatorio; l'uno è scritto in per gamena rozza con caratteri antichi, l'al BONNET  tro in pergamena fina con caratteri la tini; la bolla porta la data dell' anno  dell'incarnazione, e il breve quello della  Natività di Gesù.  Due Bolle sono rinomatissime nella  99  abbastanza forte per poterimpunemente  ripubblicarla.  Bonnet (Carlo) di Ginevra. Na que nel 1720. Egli fu ad un tempo na turalista e teosofo, e questi due carat Storia: quella Unigenitus e l'altra in  Cœna Domini. La prima data da Cle menteXI, condannavala dottrina del pa dre Quesnel,vennerespintada una quan tità di vescovi e fu il segnale di una  lunga persecuzione contro il giansenismo  (vedi GIANSENISMO ). S'ignora invece chi  sia l' autore della seconda; essa legge vasi pubblicamente in Roma tutti gli  anni nel giovedi santo, alla presenza del  papa, accompagnato da cardinali e da  teri si trovano così intimamente con giunti nelle sue opere,da recare sorpre sa e maraviglia al tempo stesso, per la  stretta unione di principii che sono fra  loro tanto contrarii. Con uno spirito  profondamente religioso Bonnet, nel suo  Essai analytique des facultés de l'âme  e nel Traité des sensations, si mostra  aperto partigiano della scuola sensua lista.  Tutte le idee, egli dice, ci vengono  vescovi. Paolo III nel 1536 pubblicando dai sensi, e tutte le sensazioni si risol una edizione di questa bolla, dice che vono nell' azione pura e semplice delle  era antichissimo uso della chiesa il rin- fibre nervose. La varietà di queste fibre  novare tutti gli anni questa scomunica,  laquale si estendeva agli eretici, pirati,  corsari ; contro, i giudici laici che giu dicano gli ecclesiastici e li citano da vanti al loro tribunale, sia pur esso u dienza, cancelleria, consiglio o parlamen to; tutti coloro i quali faranno o pub ela loro differente costituzione anato mica spiegano la varietà delle nostre  percezioni, le quali trovano tutta la loro  blicheranno editti diretti a restringere  l'autorità ecclesiastica; infine contro i  pubblici funzionari di qualsiasi re o  principe, che evocano asele cause eccle siastiche o impediscono l'esecuzione delle  lettere apostoliche, quand' anche lo fac ciano sotto il pretesto di impedire qual che violenza.  Il Concilio di Tours nel 1510 aveva  già dichiarato che labolla in Cœna Do mini non poteva sostenersi, e ire di  Francia si sono sempre opposti alla loro  pubblicazione,come contraria ai loro di ritti e alle libertàdella chiesa gallicana.  corrispondenza nella modificazione di  esse fibre. I movimenti di questi organi  della sensazione sono determinati dagli  oggetti esterni, e imprimono all' orga no, anche dopo essere cessati, una certa  tendenza a riprodursi, la quale determi na le abitudini e al tempo stesso ci fa  conoscere se una data sensazione la sen tiamo per la prima volta o se l'ab biamo già provata. Fedele al suo prin cipio, Bonnet credè che anche le idee  più astratte e le men materiali deriva no dai nostri sensi. Perfin l'idea di  Dio egli riferisce alla sensazione, e la  deduce dal nostro ragionamento sul com plesso dei fatti edel preteso ordine che  osserviamo nella natura.  Ma se tutta la filosofia sensualista.  Nel 1580, approfittandosi della vacanza di Bonnet è perfettamente materialista,  del Parlamento, parecchi vescovi vollero | bisogna pur dire che tutta la sua teo farla ricevere nella lor diocesi, ma il  Procuratore Generale vi si oppose e fu rono prese contro di loro delle misure  severe. La pubblicazione della Bolla in  Cæna Domini fuinfinesospesa nel 1773  da Clemente XIV, ond'evitare l' odio e  il malcontento dei principi, nè pare che  dopo d'allora nessun papa siasi stimato  dicea è affatto idealista. Quand' egli ar riva al punto in cui ilmovimento delle  fibre si trasforma in sensazione, là pone  il mistero e l'anima; la sua logica si  smarrisce, e la sua scienza positiva si  trasforma in un mero idealismo. Egli  cade ancora in questo eccesso nelle sue  Considerations sur les corps organisés 100  BOULANGER  ela Contemplation de la nature, ove  la sua feconda fantasia trasforma l'uni verso nel tempio visibile della divinità,  nel quale la saggezza e la potenza in finita si scoprono nelle minime come  nelle massime cose.  Ma se Bonnet è buon idealista, non  lo è però ancora tanto da poter conce pire lo spirito separato dalla materia.  Dopo la morte l'anima certamente ci  sopravvive, ma esisterà ella senza cor po? Bonnet risponde negativamente. Egli  crede che nel nostro corpo esista il  germe di un'altro corpo, il quale si  svilupperà dopo la morte e formerà lo  inviluppo materiale del nuovo essere.  Ma qual sarà questo germe ? Bonnet lo  trova nel corpo calloso dell'encefalo: la  sede del pensiero è, secondo lui, anche  il principio materiale che avvilupperà  nell' avvenire il suo substrato. Egli è in  questa guisa che un uomo il quale ha  scritto tante verità, e dimostra nei suoi  ragionamenti, quando sono fondati sul  fatto, una invincibile argomentazione, si  smarrisce subito ed erra pazzamente nel I'assurdo tosto che entra nel campo  della metafisica.  Boulainvilliers (Carlo) Nacque  a Saint-Laire nella Normandia nel 1658,  emori nel 1722. Il suo nome è noto  tra i filosofi del secolo XVIII per il  suo spirito d' incredulità, velato da un  apparente desiderio di combattere gli  increduli. Fingendo di voler confutare i  principii della filosofia eterodossa, in  realtà egli non ha fatto altro che ripro durre per sunti i principii di essa, av valorarli con apparenti contraddizioni, la  fiacchezza delle quali è più propria a  farci perdere che a confermarci nella  fede. È conquesto spirito ch'egli scrisse  *i seguenti libri: Réfutation des erreurs  de Benoît Spinosa, par M. de Fénelon,  archevêque de Cambrai, par leP. Lami,  benedectin, et par M. le Comte deBou Doutes  lainvilliers. Bruxelles 1731. sur la Religion Londra 1767. Traité  des trois imposteurs, 1775 senza luogo.-L'Espit de Spinosa. Amsterdam 1719.  Boulanger (Nicola). Nacque a Pa rigi nei 1722, studiò nel collegio di  Beauvais, e dopo essere stato nell'eser cito sotto il comando del barone di  Uriers, fu impiegato nella qualità di in gegnere dei ponti e delle strade. Era  geologo di qualche vaglia, ma i pro gressi delle scienze naturali fatti in  questi ultimi tempi, più non si accor dano colle ipotesi sue, chè vuol egli es sere, com'è ben naturale, ascritto alla  scuola la qual suppone che tutte le gran di trasformazioni avvenute sulla super ficie della terra furono l'opera di cata clismi. In filosofia ebbe idee liberalissi me, ed a lui si attribuiscono parecchi  scritti contro la religione. Sono suoi gli  articoli Corvèe, Guèbres, Deluge, Lan gue hebraique inseriti nell'Enciclopedia  e così pure Le ricerche sull'origine del  dispotismo orientale, ove i re ed i preti  sonoegualmente maltrattati. L'autore del  Dictionnaire des ouvrages anonymes,  sulle traccie di Naigeon, assicura che  l'opera intitolata L'antichità svelata  dai suoi usi, è pure di Boulanger, seb bene sia stata rifatta dal barone di  Holbach. È però a deplorarsi che l'au tore siasi lasciato guidare da un indi rizzo esclusivamente sistematico. Dotato  di fervida immaginazione, e impressiona to da alcuni animali fossili antidiluviani  da lui osservati in certi scavi, di cui  gli era stata affidata la direzione, egli  fu dominato dall' idea fissa di rinvenire  in tutti gli usi dell' antichità, e special mente nellepratiche religiose, le rimem branze di un diluvio, e le impressioni  di terrore che tal cataclisma ha lascia to nello spirito umano. Naigeon attri buisce a Boulanger varie dissertazioni  sopra Elia, san Pietro, san Rocco e  santa Genevieffa ed una storia dell' uo mo in società, che andò perduta. Nel  Cristianisme devoile, egli esamina con  saggia critica tutti gli errori della re ligione cristiana ed insiem della ebrea,  dimostra qualmente gli atti del Dio del la Bibbia siano incongruenti e in con traddizione coll' idea stessa che la teolo BRAHAMANISMO  gia pretende di darci della divinità, e  101  discrepanza che ben si comprende  la morale si del Nuovo come dell' An tico Testamento sia contraria ai veri  bisogni della società. Ad ogni modo,  giova notare che le sue opere vennero  pubblicate successivamente dopo la sua  morte e per mezzo degli amici suoi.  Mori il 15 settembre 1759. Era di ca rattere dolce, paziente, insinuante, e fu  osservato che la sua fisonomia rassomi gliava moltissimo a Socrate, come si  vede sopra le pietre antiche.  Brahamanismo. La prima re ligione dell'India e la più antica che si  conosca. I calcoli di Bailly, Colebrooke  e Renand provano che i quattro Vedas  sui quali si fonda la religione di Bra hama sono indubbiamente anteriori a  Mosè e risalgano per lo meno all'anno  1400 prima di G. C. Questi libri costi tuiscono il codice religioso degl'indiani,  come i quattro evangeli formano quello  dei cristiani, e s'intitolano: Rig-Veda, o  quando si consideri la vastità e il nu mero delle fonti a cui i commentatori  attingono.  Brama o Brahama è l'essere eterno  per eccellenza: ogni cosa vive in lui e  nulla vive fuori di lui. Assiso sul loto  (caos primitivo) egli girava lo sguardo  d'ogni intorno e non vedevacon gli oc chi delle sue quattro teste ( i quattro  punti cardinali) che una vasta distesa di  acque coperte di tenebre. Non ci vuol  molto acume a vedere in questo concet to una forma mistica del panteismo. La  materia non è creata, essa coesiste in  Brahama eBrahama esiste inlei. Allora,  dice il Rig-Veda, il quale ci richiama i  primi versi della Genesi, non esistevanè  l'essere nè il non essere, nè il mondo,  nè il cielo, nè alcuna cosa sotto o so pra , nè terra, nè acqua, ma soltanto  qualche cosa di oscuro e di terribile.  Brahama dunque non crea, ma forma il  mondo e il firmamento. Dapprima egli  preghiere in versi; 2.º Jadjour-Veda o  preghiere in prosa; 3.º Sama-Veda pre- | genera le acque in mezzo alle quali  parato per il canto; 4.° Atharva-Veda  destinato alle purificazioni. La natura,  l'aurora, il Sole personificati in Indra,  Diodellaluce, costituiscono il fondamento  teologico di questi libri. Invano cerche resti nella quasi ingenua semplicità di  questo mito primitivo tuttoil corpodella  teologia di Brahama.I domminon nascono  già fatti: lentamente e quasi per strati  si sovrappongono, e quelli dell' India si  trovano poi disseminati in una quantità  grandissima di libri sacri, quali sono il  codice di Manù, i diciotto Purana, il  Marayana, poema di Valmichi , e nel  colossale Mahabarata, il quale, come  l'indica l'etimologia del nome (granpeso),  è il libropiùlungoche siconosca; tanto  che nessuno è ancor riuscito a tradurlo  per intero in una delle lingue europee.  Ecco ora la succinta esposizione del si stemateologico, quale suolsi più comune mene desumere daquesti libri; e diciam  comunemente , avvegnachè non tutti e  non sempre si accordino nelle acciden talità secondarie della teologia indiana,  getta un uovo risplendente, ov'egli stesso  si rinchiude e forma il principio vivi ficante della fecondazione; quindi separa  l'uovo in due parti e ne forma il cielo  e la terra (Creuser Simbolica 1. p. 179  Manù lib. 1 c. 1 IV) Ma ilmondo vi sibile non è, al postutto, che la mani festazione di Brahama, ilquale a vicenda  riproducendosi o in se stesso rientrando  crea od annienta il mondo. Abbiam così  la notte e il giorno di Brahama, ossia  un Kalpa, e ogni Kalpadura 4,320,000,  anni, e il numero dei Kalpa è infi nito. Tuttavia, guardiamci bene dal pren dere questa cifra sul serio : essa non  è altro che uno di quei tanti numeri  simbolici i quali rappresentano un ciclo,  oun fenomeno astronomico (vedi SIM BOLICA), È del rari concetto simbolico  e periodo astronomicoquello delle quat tro età del mondo rappresentate dauna  vacca, che si regge dapprima suquattro  gambe, poi su tre, due e una sol  gamba.  A somiglianza del Dio cristiano, che  ; 102  BRAHAMANISMO  doveva nascere due secoli dopo il mito  Vedantico, il Dio indiano è unoe trino:  Brahamageneratore,Visnu conservatore  e Siva distruggitore delle forme; ma  questi tre (del resto simboli evidenti  delle varie operazioni della natura) non  son che uno: il Parabrahama creatore  degli spiriti subalterni. Mohassura era  capo di questi, ma li spinse a rivolta  e fu scacciato dal cielo. Allora sotto  la forma del serpente, egli tentò l'uo mo, tese insidie al suo orgoglio e lo  spinse a proclamarsi eguale a Dio. An che la seconda persona della Trinità ha  le sue incarnazioni, dette avatar. Se ne  contano dieci, tutte narrate diversamente,  alcune delle quali presentanouna singo-   larissima somiglianza con la vita mi stica del Cristo, e furono forse tolte a  prestito dal Buddhismo in quella famosa  incarnazione di Buddha, alla quale evi dentemente è stata attintala leggendadi  Gesù (vedi BUDDHISMO)  Il Brahamanismo riconosce lametem psicosi, in grazia della quale crede che  tutte le anime dovranno reincarnarsi nel  corpo degli animali più o men vili, se  hanno demeritato, motivo per cui alcu ne caste di indiani si astengono dal ci barsi della carne d'ogni animale, e ci tansi certi asceti, i quali ebbero in tanto  orrore l' uccisione anche degli animali  più immondi, ch'essi preferirono lasciar  crescere e moltiplicare i più schifosi in setti sul loro corpo piuttosto che di struggerli. Per altro , la metempsicosi  non esclude l'esistenza di un inferno e  d'un paradiso.Anzi, nella opinione vol gare di paradisi ve neson tanti quante  dicibili delizie, come tormenti atroci e  senza nome si provano nell'inferno. Ma  la metempsicosi è purgatorio, e quelle  sole anime vi sono soggette, le quali  hannobisognodi espiazione. Quattro ca dagli agricoltori, e commercianti di pro dotti agricoli; e finalmente 4. la casta  di Shudres che sono gli artigiani od o perai. Ognuna poi di queste classi si sud divide in altre speciali divisioni, ma dal l'una all' altra classe a niuno è lecito  passare ; e se due persone di classe  diversa contraggono matrimonio, deca dono d' ogni diritto e i loro discen denti sono compresi nelle suddivisioni  vili dette Varna-Sankara . Un' ulti ma sotto classe più sprezzata di tutte  è quella dei Pariahs o Paria, i quali  convivere non possono con nessun uomo  delle altre classi, devono starsene isolati,  nella solitudine delle foreste, o nei luo ghi remoti delle valli, contrasegnare le  loro fonti, arretrarsi alla presenza d' o gni indiano delle altre classi, e final mente sottoporsi alle più vili funzioni.  In compenso essi non hanno leggi, nè  obblighi religiosi, e d'ogni sostanza pos sono cibarsi, essendochè pel Bramino  uomini veramente essi nonsono.  Molte o brutali o superstiziose ceri monie osservano gli odoratori di Bra hama. Fra le prime vuol esseremenzio nato il barbaro uso delle vedove che si  sacrificano sul rogo dove consuma il  corpo del marito; e la festa di Ja grenaut nella quale il pesante carro del  Dio, trainato dacavalli, schiaccia i fede li, che per stolta devozione si precipi tano sotto le sue ruote. Altre feste sono  invece dedicate al mistero della genera zione, e in quei giorni congran pompa,  frammezzo al popolo prosteso a terra, por tasi intorno il Lingam, simulacro degli  organi genitali (Vedi AMORE). Leabluzio son le caste; ma in tutti si godono in- ni e le lustrazionisonpure parte princi palissimadel culto brahamanico; le imma gini del Dio si lavano nei fiumi sacri  alla divinità, ove pure con simbolico la vacro si amministra il battesimo ai neo nati.  ste stabilisce la religione Brahamica, e  Il sacerdote di Brahama è nell'India  sono 1. Quella dei bramini o sacerdoti; onorato come un Dio; ad esso solo  2. Quella dei Khatriyas o Kettris, com- spetta il diritto di leggere i Vedas, of posta dai guerrieri e pubblici funziona- frire sacrifizi, insegnar la religione ed  ri; 3. La casta dei Vaishyas composta | appropriarsi le limosine deposte nelle BROUSSAIS  pagode: le sue terre sono esenti dalle  imposte e nulla deve agli operai che le  103  ne delle fibre nervose e sono il risultato  lavorano. Il codice di Manu insiste for temente sul rispetto che la casta dei  guerrieri deve al Brahamano, al quale  è imposto il dovere di osservare la vita  contemplativa siccome massima delleper fezioni.«AlBrahamano,dice questo strano  legislatore, che possiede il Rig-Veda com pleto sarà perdonato ogni delitto, quan d' anche avesse uccisi gli abitanti dei tre  mondi, od avesse accettato il nutrimento  da un uomo dell' ultima casta. (L. A.  Martin. La morale chez les Indiens, Per  altro, questa iniqua sudditanza fondata  sulla disparità delle caste, condusse alla  riforma di Buddha, come gli abusi del  giudaismo menarono alla riforma di  Gesù.  Breve. Vedi BOLLA.  Broussais (Francesco Giuseppe  Vittore). Nacque a S. Malo il 17 di cembre 1772, e mori nel 1838. Fu dap prima allievo all' ospitale di S. Malo,  poi medico di fregata, e infine medico  maggiore nell' esercito di terra. Venuto  in Italia con la spedizione francese, fu  per molto tempo addetto all'ospitale di  Udine nel Friuli, ove raccolse i mate riali per comporre il suo Traité des  phlegmasies chroniques. Dopo avere se guito l'esercito nel mezzogiorno della  Francia e nella Spagna, nel 1814 fu in fine nominato secondo professore all' o spitale militare di Parigi, poi nell'ospizio  di perfezionamento, ove tenne un corso  di lezioni mediche, le quali, per la no vità delle osservazioni e per l'ordine  delle idee, non meno che per la violen za del linguaggio, ottennero un gran dissimo successo. Nel 1831 fu nominato  professore di patologia e terapeutica  generale, ed infine ebbe anche l' onore  di esser eletto membro dell' Istituto.  Broussais non era soltanto medico  eminente, ma anche eccellente filosofo.  Nel suo Trattato della irritazione e  della follia, procura di dimostrare che  tutti i nostri atti, siano essi materiali o  di un movimento o di una modificazio ne puramente chimica o meccanica dei  nostri organi. Le emozioni,dic' egli, de rivano sempre da una eccitazione del ' apparecchio nervoso, e il nostro stato  morale non è che la pura e semplice  rappresentazione del nostro fisico. Brous sais aveva abolito dal suo linguaggio le  parole anima, intelligenza, spirito e  tutti i sostantivi astratti, che non hanno  una reale rappresentazione, e ch'egli  riduceva in ogni caso alla semplice per cezione dei sensi e ad una sensazione  puramente materiale del cervello. Laon de egli chiamava sognatori i professori  di filosofia, i puri ontologi e li mostra va come affetti da una sorta d'allucina zione, in forza della quale, creando la  parola spirito o intelligenza, avevano  creduto di separare in realtà la funzio ne del pensiero dall' apparecchio nervo so, e di confidarla aun' etere, a un gaz,  il quale per la sua semplicità, nè può  pensare, nè produrre entro di noi alcuna  azione complessa. « Io non ho che un  rammarico, diceva egli, ed è che i me dici i quali coltivano la fisiologia, recla mano troppo debolmente la loro com petenza nella scienza delle facoltà intel lettuali, e che gli uomini iquali non  hanno fatto uno studio speciale delle  funzioni , vogliono appropriarsi questa  scienza sotto il nome di psicologia. >>>  Sotto il titolo: Développement de  mon opinion et expression de ma foi,  Broussais lasciò scritto dopo la sua  morte unasorta di testamento filosofico,  dove, professandosi deista e riconoscen do, con poca congruenza però, l'esisten za di una intelligenza, non creatrice, ma  semplicemente ordinatrice, persiste sem pre nelle sue opinioni sulla negazione  dell' anima. « Fin daquando,dic' egli, la  chirurgia m'insegnò che il pus accumu lato alla superficie del cervello distrug ge lenostre facoltà, e che l'evacuazio ne di questa sostanza concede ch' esse  riappariscano, io non ho più potuto esi intellettuali, sono dovuti a un eccitazio- | mermi di concepire queste facoltà altri 104  BRUNO  menti che quali semplici atti di un cer vello vivente. >>>  Brown (Tommaso). Filosofo scoz zese, nato nel 1778 a Kirkmabreck pres perquanto di sensato e di vero quel filo sofo aveva scritto, ma nelle cose si ve nerava ch' egli forse non scrisse mai e  che, non senza fondamento, sono tenute  in sospetto di apocrife (VediARISTOTILE).  Se a Ginevra d'altronde era morto Cal so Edimburgo. Bouillet dice ch'esso fu  discepolo infedele della scuola scozzese,  inquantochè contro Braidsostiene, che  non è necessario supporre una facoltà  speciale di percezione per conoscere i  corpi esterni, bastando la semplice sen sazione e il concetto di causa; la quale,  con Hume, egli riconosce essere una  semplice idea di successione o di con nessione. Brown, senza appartenere alla  scuola dello scetticismo, per la sua dot trina vi si dimostra però molto propen so, come par propenso alla negazione stotile, quel ricovero eziandio gli fu  del libero arbitrio, quand' egli definisce  la volontà: un semplice desiderio, con  vino, il protestante Beza che vi regna va signore, aveva ereditata tutta l' in tolleranza di lui; onde si capisce per chè il Bruno trovò la Svizzera poco  ospitale. Quindi passò a Lione, a To losa e venne aParigi insegnando filo sofia. Qui ebbe miglior fortuna,ed una  cattedra gli fu aperta al libero inse gnamento della sua filosofia. Ma non  appena si avventurò acombattere Ari ' opinione che l'effetto sta per seguirlo.  Brownisti. Partigiani di una delle  molte sette della religione inglese. Fu  fondatanell'anno 1580 daRoberto Brown,  il quale predicò contro l'autorità ecclesia stica, si attirò lo sdegno dei vescovi e sof frì molte persecuzioni. Egli stesso diceva  di aver mutato ben trentadue prigioni.  Infine gli stati gli permisero di fondare  una Chiesa a Middelbourg nella Zelanda,  dove proclamò il principio che il go verno della Chiesa deve essere affatto  democratico e i ministri sempre revo cabili; potere ogni fedele fare le predi cazioni nella chiesa o rivolgere doman de al ministro. Le opinioni sue si spar sero nell' Inghilterra prestamente, tanto  che nel 1692 si contavano ben ventimila  Brownisti.  Bruno (Giordano). Nacque aNola  presso Napoli verso la metà del XVI  chiuso, sicchè nel 1583 passò in In ghilterra, e quattro anni dopo visito  la Germania. Fu a Vittemberga che  egli ottenne maggior successo e tolle ranza, ond' egli scriveva al Senato di  quella città, ringraziandolo « perchè a  uno straniero, uomo alieno dalla vo stra fede, permetteste di insegnare in  pubblico e tolleraste con mirabile mo derazione la sua veemenza nell' impu gnare la filosofia di Aristotile che tan to vi è cara. » Ma la riconoscenza  trasportò il filosofo e gli fece trascu rare la verità storica; avvegnacchè in  quella sua lettera di commiato abbia  eglifatto un entusiastico elogio di Lu tero, senza pensare quanto quell'auste ro agostiniano fosse lontano dal nutri re quei sentimenti di libertà filosofica  che il Bruno tanto encomiava. Il vivo  desiderio ch' ei nutriva di rivedere la  sua patria, lo spinse imprudentemente  nel 1598 a Venezia. Ma quivi viveva la  inquisizione: fu arrestato, e dopo sei  anni di detenzione nelle carceri,la Re pubblicaconcesse finalmente l'estradi secolo; fu educato alle scienze matema tiche, filosofiche e teologiche in un Con vento di domenicani, ove assunse gli or dini sacri. Mabenpresto icorrotti costu- zione con infinita insistenza reclamata  midei colleghi ele assurdità deidommi,  lo disgustarono tanto di quella vita, che  se ne fuggì a Ginevra. Sperava egli di  trovarvi maggior tolleranza per la sua  filosofia anti-aristotelica; ma quivi, come  a Roma, Aristotile regnava sovrano, non  dal Sant' Uffizio; fu trasferito a Roma,  ov' egli langul nelle segrete per due  anni, che ci vengono mostrati come  un caritatevole indugio che la pietà  cattolica offriva alla sua ritrattazione.  Qui veramente lafigura di questo filo BUDDHISMO  sofo spicca per la fermezza e com muove per la ferocità de' suoi giudici.  Nulla volle il Bruno ritrattare, nulla  modificare delle cose insegnate. Nè i  primi teologi di Roma, nè il Cardinale  Bellarmino che scesero con lui nel car 105  ne. « Ciò che fu seme, scriveva Gior dano Bruno, diventa erba, poi spica,  poi pane, succo nutritivo, sangue, sper ma, embrione, uomo, cadavere; poi  terra, pietra od altro corpo solido, e  così di seguito. Per questo fatto noi  cere per disputare,poterono rimuover lo dai suoi propositi, onde ai 9 di feb braio dell' anno 1600 gl' inquisitori  leggevangli la sentenza, nella quale,  dopo avere dichiarate empie ed ereti che le sue opinioni, lo si abbandonava  al braccio secolare per essere punito  con quella maggior clemenza che si  potesse, senza spargimento di sangue;  locuzione ipocrita che l' inquisizione  usava per dannare al rogo! Ai suoi  giudici, narra un biografo, egli rispon deva: >>  Non lo credo; ma non monta: procu rate di avere qualche notizia su questo  stato fisiologico, che ben spesso diventa  patologićo, da quei poveri diavoli che  ' hanno provato. Insomma, voi avete  fame in tutto il senso prosaico della  parola, Ed ecco appunto il momento in  eui io vi presento una rosa... unabella  rosa di maggio, appena colta,copertadi  rugiada e piena di fragranza. Mail suo  profumo vi irritainervi; voi la degnate  appena d' uno sguardo quella povera  rosa, che io aveva coltivata e vagheg giataper tanti giorni. Ohimè! voi cor rete alla tavola sulla quale è imbandito  un bel cavolo bianco in insalata, al  burro, alla crema, alla salsa majonnaise,  in tutti i modi. E il suo profumo vi in nebria, vi trasporta, vi commuove, ben  più che la fragranza ditutte le rose di  questo mondo. Infine, voi mangiate quel  povero cavolo tanto indegnamente di sprezzato, e vi saziate. E quel cavolo vi  ritorna il buon umore, il colorito alle  guance, l'allegria, l'espansione, la fe licità.  «Oh potenza di un cavolo!  « Il cavolo vi ha ritornato il desi derio della rosa, vi ha dato il brio, il  bello e l'incarnato delle guancie, il sen timento, lo spirito: in una parola, vi  ha dato l' anima. Anzi ancora, quel  povero cavolo, digerito nel vostro sto maco, nelle sue sostanze nutritive si tra sforma in chilo, poi in sangue, poi in  carne, e chi sa che non venga appunto  aformare unpoco di quella vostra pelle  bianca, morbida, vellutata, che è pure  i  Nella natura nulla viè che sia spre gievole, ma ogni cosa ci diletta più o  meno secondo i nostri bisogni e il no stro stato fisiologico e patologico. Per  esempio, io non vi consiglierei di dare  la vostra rosa ad una puerpera e ilca-,  volo ad un ammalato d' indigestione.  Tutto è buonorelativamente, e può gio-;  vare o nuocere, piacere o disgustare se condo i casi. »  Intorno a questo carattere pura mente relativo del gusto, tutti si ac cordano; ed è strano il vedere quegli  stessi filosofi i quali nel bello lottano  accanitamente per sostenere l'assoluto  estetico, ammettere poi senza difficoltà..  la distruzione dell'assoluto in unaparte  principalissima del buono. Ma non è  forse ' organo del gusto tanto essen-.  ziale all' uomo quanto quello della vi sta e dell' udito? Non percepisce la  sensazione come tutti gli altri nervi  della sensabilità? E se sì, qual logica  è mai quella che induce costoro ad  ammettere una realtà obbiettiva, asso luta per il nervo ottico e per il nervo  acustico, e a negarla invece ai due  nervi ipoglosso e glosso-faringeo che  presiedono alla funzione delgusto? Im perocchè se il buono del gusto è in  rapporto, è relativo a questi nervi,  perchè il bello della vista e dell'udito  non dovrà essere relativo a quegli al tri? Ma non si domandi alla filosofia  speculativa la ragione delle sueprefe renze. Ciò che è domma non può es sere spiegato, e quando si tenta di  spiegarlo non si riesce ad altro che a  dire: il bello si sente. Ma non si sente  forse anche il buono? e ilgusto,varia bilissimo, non è forse da ognuno sen tito a suo modo?  Buridan(Giovanni).S'ignora l'an no della sua nascita e della sua morte. 110  BUFFON  Nel 1327 era rettore dell' Università di  di Parigi e si mostrava, per la fama e  per l'ingegno, uno dei più abili difensori  del nominalismo (vedi questo nome). In  quei tempi di tanto impero per la sco lastica e per la teologia, egli fu, si può  dire, il sol filosofo chenon siastato teo logo ed abbia evitato di trattare argo menti di pura teologia. Attivo commen tatore di Aristotile, egli si applicò alla  ricerca dei termini medii d'ogni specie  di sillogismo.  Di lui nonsipossede altro scritto che  i Commenti sopra Aristotile, stampati a  Parigi nel 1518, ma il suonome è pas sato alla posterità per un sillogismo as sai caustico, ch'egli soleva ripetere nelle  sue lezioni. I teologi negavano l' anima  delle bestie per meglio far emergere la  superiorità di quella che, adir loro, Dio  aveva alitato nel corpo di Adamo, e che  per ladiscendenzasi è trasmessa infino a  noi. Buridan per combatterli supponeva  un Asino ben affamato fra due misure  di avena perfettamente eguali, e che e gualmente agissero sopra i suoi organi.  Data questa supposizione, egli chiedeva  allora: Cosa farà quest'asino?- Se  alcuno gli rispondeva ch' esso sarebbe  restato immobile fra le due tendenze e guali, Buridan conchiudeva:- Dunque  esso morirà di fame inmezzo adue mi sure d'avena. Questa conseguenza pareva  tanto assurda e strana che destava le  risa. Ma qualche altro rispondeva tosto,  che l'Asino non sarebbe poi stato tanto  asino per morir di fame, essendo così  vicino all'alimento.E allora il professore  conchiudeva : Dunque o due pesi eguali  che sicontrabilanciano possono l'uno far  muovere l'altro, oppure quest' asino ha  il libero arbitrio al par dell' uomo.  Questo sillogismo non mancava mai di  imbarazzare e filosofi e teologi, sicchè  divenne celebre nelle scuole sotto l'ap pellativo dell'Asino di Buridan. Buffon (Giorgio Luigi conte di le  Clerc ) Nacque a Montban nelle Bor gogna nel 1707 e fu uno dei più rino mati naturalisti del suo tempo. Poco  amava Voltaire e punto gli enciclope disti; edicesi anche che non si mostrò  più nell'Accademiadicui era membro,  dopochè vi penetrarono iprincipii di  quella libera filosofia, che dominava i  dotti dei suoi tempi. Buffon molto ama va le apparenze, nè voleva parere irre ligioso. Lasua famacome filosofo ema terialista gli fu attribuita specialmente  in grazia della sua Storia naturale, il  primovolume dellaquale comparve nel  1749. In quest'opera si trovano, fram misti amolte esolide verità, non pochi  errori, e ipotesi ardite o strane, che più  nonconcordano con quelle dei moderni  cosmologi. Per esempio, egli vuole che  le acque del mare col flusso e riflusso  abbiano prodotto i monti (Vol.I. p. 181)  eche le correnti marine abbiano solcate  le valli. Matuttoché sia stato atorto ac cusato di esagerazione dai suoi contem poranei, bisogna pur confessare, ch'e gli, sebben confusamente, fu un dei  primi che abbiano indovinato la gran dissima azione che esercitano le acque  sulla esterna configurazione del globo.  Nel suo libro egli ebbe cura di dire che  quanto al Diluvio bisogna limitarsi a  saperne quanto ci apprendono i libri  sunti, e confessare che non ci è permesso  di saperne di più, e sopratutto guardarsi  bene di mischiare una cattiva fisica con  la purità di questi libri. Ma non valse  questa sommessione all' autorità della  Bibbia, per fargli perdonare certi prin cipii che quà e là nel suo libro sem bravano poco conformi all' ortodossia,  come p. e. questi: >  C  Cabala. Dottrina dei cabalisti che | Descrivere per punto e per segno que sta dottrina, non si può, giacchè la  cabala è mistero, o a dir meglio follia  e aberrazione, per la quale soltanto gli  si crede originaria dei Caldei, e passò  poi fra gli ebrei, e quindi fra gli stessi  cristiani dei primi secoli. In ebraico Ca bala significa tradizione, ed è la tra dizione dell' arte di conoscere le opera zioni degli spiriti edi spiegare l'essenza  delle cose col mezzo dei simboli, o con  la combinazione dei numeri o col ro vesciamento delle parole della scrittura.  antichi potevano sbizzarirsi a cercare la  occulta azione di certe parole efficaci  in cui si supponeva esistere una certa  potenza adirigere le sorti dell'umanità.  Da qui tutto lo studio sul vario modo  .  di combinare le lettere dell' alfabeto o i 112  CABANIS  numeri; ed è a credersi che tali pregiu dizi abbiano generato fra gli ebrei la  persuasione, che il nome di Jehova po tesse operare miracoli, d' onde il di vieto di pronunciarlo e l'uso invalso  fra i rabbini di cambiare i puntivocali,  onde il vero suono ai vulgari restasse  ignorato. Dai Caldei la Cabala passò  nella Grecia con Pitagora. Si sa che  questo filosofo, supponendo che i vari  rapporti dei numeri fra di loro fossero  immutabili, assoluti, volle che essi espri messero la legge dell' ordine e dell' ar monia dell' universo, la legge che diri geva ' Intelligenza suprema nelle sue  produzioni. Onde suppose che i numeri  esprimenti questi rapporti esercitassero  anche una certa influenza sulla Intelli *genza suprema, e la potessero determi nare a produrre certi effetti invece di  certi altri. Da quì la cabala numerica  della filosofia Pitagorica. Siffatta aberra zione nonpuò maravigliarci, poichèlapo tenzache si attribuiva acertisegni, acerte  parole, a certi colori o a certe sostanze  formavano il più serio argomento degli  studi degli antichi, e se ne trovano non  pochi esempi tra gli stessi cristiani.  Peres.Mersennoragionava cosi: >  Cataclisma. Il cataclisma è il  fondamento di una certa teoria geolo logica la quale grandemente si accor da con la teologia. Già nel medio evo  si erano scoperte nel seno della terra  delle conchiglie e degli ossami fos sili; ma si spiegava il fatto credendo  che le prime fossero opera fortuita  della natura, e attribuendo i secondi  agli avanzi di una supposta razza di  giganti, oppur agli scheletri degli ele fanti di Annibale. Fu solo nel 1580  che un tal Bernardo Bulissy osò dire  in Parigi, alla presenza di tutti i dot tori, che le conchiglie fossili erano  delle vere conchiglie state altra volta  deposte dal mare inquegli stessi luo ghi dove allora si trovavano; che veri  pesci eran quelli che avevano lasciata  nelle pietre l'impronta della loro figu ra, e arditamente sfidò tutti gli scola stici a combattere le sue prove. Ma  in qual guisa poteva il mare aver de posto quegli avanzi sul continente ?  Ecco il quesito che senz' altro procu rò di spiegare la teologia col suo di luvio di Noè. Poichè eziandio sui monti  trovavansi le conchiglie e l'impronta  dei pesci lasciata nelle pietre, non era  questa la più bella prova dell' univer salità del diluvio noetico? Non narra  forse la Genesi che in quel grande ca taclisma le acque del mare s' innalza rono fin quindici cubiti sopra le più  alte montagne ? Questa spiegazione  parve tanto ingegnosa e così piena di  evidenza, che nel secolo scorso uomi ni d'ingegno, come Reaumur e Jus sieu, e perfino increduli, come Bou langer, si credettero in dovere di  adottarla, modificandola solo in quan to dicevano, doversi il diluvio consi derare come un cataclisma naturale,  che le tradizioni religiose avevano poi,  o bene o male,inquadrato nelle sacre  leggende. Niuno per allora pensò ad  opporsi a questa opinione, la quale,  anche nel secolo nostro, trovò in Cu vier un potente e vigoroso propugna tore. Questo grande geologo, che per  molti riguardi può dirsi che sia il pa dre della paleontologia moderna, dopo  avere ben studiata e stabilita la in trinseca differenza dei vari strati geo CATACLISMA  logici della corteccia terrestre, dopo  di avere divinato colla sua scienza le  125  animali i cui avanzi si trovano sepolti  nei vari strati geologici della terra. Ma  forme dei grandi animali fossili, che  egli chiamò antidiluviani, cercò di  spiegare la successiva formazione di  questi strati con una serie di catacli smi, che in varie remotissime epoche  spensero la vita organica in sulla ter ra e riformarono la sua superficie.  >  Ma il decreto di Cuvier non val se a frenare lo spirito d'indagine on de erano invasi li scopritori. Cuvier  fu sconfitto. Non solo si trovarono  gran numero di ossami umani fossili,  ma gli stessi fossili animali furono  scoperti in gran numero, ed in terreni  geologici sì bene caratterizzati, da po tersi provare colla massima evidenza,  che queste creazioni non erano sparite  lerà chiaro all' intelligenza quando si  sappia tutta l'importanzadi quella tra sformazione, che si è introdotta nella  geologia, e perla quale la vecchia teo ria dei cataclismi, fu definitivamente  surrogata da quella delle cause at tuali.  Quali sono le cause attuali che noi  vediamo concorrere a modificare la su perficie del suolo? Per poca perspicacia  che abbia un osservatore, basta ch'egli  volga intorno uno sguardo ond' avve dersi che queste cause sono parecchie,  e che la loro azione è continua. L'a zione dell'acqua, dei venti, dei vulcani  e della vita organica,basterebbe da sola  a cambiare tutta la faccia della terra.  Negli strati inferiori non si trova alcuna  traccia di esseri organici, non già per chè quand' essi si formarono la vita  fosse spenta sulla terra, ma perché  non esistevano allora gli animali e le  conchiglie calcaree che soli avrebbero  potuto conservarsi. Le conchiglie mi croscopiche giàcominciano a mostrarsi  negli ultimi tempi di questo periodo e  le pietre di costruzione di Parigi non  constano d'altro che di conchiglie im percettibili insieme aggregate. Abbiam  dunque delle roccie costruite per la  per l'effetto di nessun cataclisma, ma  che si erano semplicemente trasformate | sola e lentissima azione della vita ani pel lungo volger dei secoli e per quella  legge che modifica la natura ad ogni  minuto. La somma di questi impercet tibili effetti, ha prodotte quelle pro fonde variazioni, che noi ora conside male!  Citansi ancora dai fautori dei cata clismi imassi erratici, come monumento  di una forza violenta che si rovesciò  riamo con occhio attonito, come il ri sultato di una immediata creazione. E  Alessandro Humboldt ben intravedeva  questa luminosa idea,dicendo che la for  mazione dei continenti attuali si è com piuta a poco a poco attraverso una  lunga serie di sollevamenti e di abbas samenti successivi ( Cosmos ).  No, non vi furono diluvi, nè grandi  e generali cataclismi sulla terra, e tut tavia la superficie di essa si è grande mente trasformata e si trasforma inces sulla terra. Nella valle di Worf lo  strato inferiore di lavagna è coperto  da uno strato di pietra calcarea, e un  centinaio di piedi più sopra si osser vano degli enormi massi di lavagna in  gran numero; altri massi si trovano  nella duna del Niemen, ed altri in al tre parti. Come si trovano essi in tali  paesi e qual forza ve li ha portati; e  sopratutto, in qual maniera essi si tro vano in gran parte posti sopra degli  altipiani, in luogo ove evidentemente  occorreva una forza grandissima per  trascinarveli ? Nessuna forza fuor di  santemente. A molti questa idea potrå  sembrare un paradosso, ma essa par- | quella d'una immensa corrente d' ac CATACLISMA  127  qua avrebbe potuto strappare questi | quest' azione preponderante; l'acqua vi  grandiosi massi dal vertice dei monti  per trainarli al piano o sopra altri  monti. Il Diluvio solo avrebbe potuto  ottenere cotali grandiosi risultati. Qual  finezza di ragionamento, quale indu strioso studio non pongono in opera i  fautori del cataclisma !  penetra e vi riempie le cavità; ov'essa  si congeli, tosto aumenta di volume e  fa spaccare laroccia. Tutti gli scoscen dimenti delle montagne sono cagionati  dal semplice ruscello che le corrode,  le limae le assedia da ogni parte. L'ac qua penetra nella terra, scava de' con dotti sotterranei, causa di gran numero  di disastri. La superficie terrestre so spesa per vastissimo tratto sopra un  lago sotterraneo, un bel giorno si rom Non si creda però che ai pervicaci  propugnatori delle cause attuali man chi la voce per rispondere.  Essi ragionano così: Il fondo delle  valli è ingombro di pietre rigate e sol cate pel continuo movimento dei ghiac ciai, i quali, sciogliendosi al fondo for- |di essi; la contrada si allaga ed av pe, i campi, le case, interi villaggi si  sprofondano nell'abisso scavato sotto  mano de' rivi e delle correnti, che a  lungo andare scavano la pietra. I ghiac ciai per conseguenza, sciogliendosi al  di sotto, corrodono la pietra e si sca vanounletto nel macigno. Ai bordi de valla.  Le onde del mare che s'infrangono  contro gli scogli, ne minano le fonda menta, frastagliano il macigno, formano  i seni ed i golfi ed inoltrano il marenel  positano i lapilli, che apoco apoco in- | continente.  grossano e coprono i fianchi promi nenti, quà e là corrosi dalle correnti.  Questi fianchi tondeggianti presentano  l'aspetto dei massi erratici, i quali poi  si trovano disposti lungo le valli nella  direzione istessa dei ghiacciai, e lascia nopensare che altra volta questi ghiac- bie che trasporta cotidianamente il Nilo  ciai scendessero più al basso e che i  così detti massi erratici ( che però non  In altre parti l'azione dell' acqua  compie un ufficio opposto. Trasportando  le sabbie che tiene disciolte, essa le de  posita sulle sponde del mare od alla  foce dei fiumi, ove col corso dei secoli  forma immensi tratti di terreno. Le sab sarebbero più erratici sotto questo ri guardo) ne costituissero i bordi. Fu  infatti calcolato che pochi anni simili  aquelli più freddi ed umidi dei no stri tempi, basterebbero a distendere i  ghiacciai fino alle linee dei massi er ratici.  La dottrina delle cause attuali, spie gatutti i fenomeni della natura in que sta guisa, e dalla sola azione delle for ze che ancora agiscono, fa con meravi gliosa semplicità scaturire tutte le più  grandi trasformazioni della terra. La  goccia d'acqua che batte sul macigno,  lo scava lentamente e per l'opera del  tempo forma un colossale lavoro. Le  correnti d'acqua sono le cause di mag gior trasformazione alla superficie ter restre. Le più durepietre, il basalto e  la pietra focaia, vanno pure soggette a  ne hanno invasa la foce, ed hanno for mato il Delta. La Lombardia fuun tem po palude, ed in tale stato sarebbe ri dotta inpochianni, ove l'uomo, con pian tagioni ed argini, non pensasse ad inca nalare le acque ed a dare ad esse uno  sfogo al mare.  In altri luoghi è il mare stesso che,  rigettando le sabbie alla spiaggia, resti tuisce al continente quei terreni che al trove gl' invola. L' Olanda ed i Paesi  Bassi sono terre che l'uomo ancora coi  suoi argini contrasta al mare. Le sab bie che la marea sempre respinge alla  spiaggia, ne ingrandiramo forse il ter reno, ma la potenza dei venti, terribili  nemici d'ogni vita organica, lor contra stano ad ogni passo lo sviluppo della  vita.  Chi non ha udito parlare con terrore  del lento e fatale cammino delle dune?  Il granello di sabbia che il mare 128  CATACLISMA  rigetta alla spiaggia è trasportato dal  vento sul continente. Là ingrossa, si fa  superficie, colle, promontorio, monte. Il  vento lo percuote coi suoi assalti, lo  mina alla superficie e ne spinge le sab bie più innanzi, ove si depositano e for mano un nuovo colle, alto talora 200  piedi e lungo parecchie leghe. Queste  montagne viventi figliano emoltiplicano,  s'arrotondano per la pioggia sui fianchi,  1  ۱  1875  si allargano alla base, si avvallano, ma  si inoltrano sempre!  Il contadino, il proprietario ne calco lano con sgomento il rapido corso. Una  solabufera le inoltra spesso di parecchi  metri. Basta un anno per avanzarle di  una lega! Oggi tocca i confini del mio  campo, del mio villaggio, e l'annopros simo del villaggio e del campo non re sterà che un deserto!  La Prussia, la Danimarca, l'Irlanda  etutte le coste del mar Baltico hanno  le lor dune. Nella Francia un tratto di  oltre duecento miglia di terreno, sulle  coste della Guascogna, è invaso dalle  dune. Un tempo inquelpaese sorgevano  città e castella, e quelle coste sulle quali  muta or s'infrange l'onda del mare, si  schiudevano alla navigazione ed al com mercio. A lato del mare oggi si è col locato un mar di sabbia, che il vento  agita e trasporta, frastaglia in valli e  spinge innanzi a contrastare il pane, la  vegetazione e la vita stessa dell'uomo.  Abbandonate a se stesse, in pochi secoli  le sabbie avrebbero coperta la Francia.  La Provvidenza distruggeva l'opera delle  sue mani! Ma un uomo eminente, un  genio, come sempre deriso, volle com batterela natura, non più colla preghie ra, ma colle forze della natura stessa.  Dio vede e provvede, dicevano i nostri  antichi. Ma le dune s'inoltravano sempre.  L'ingegnere Brémontier vide e previde  da se stesso. E le dune si fermarono.  Semi di pini e di ginestri furono sparsi  in quelle lande inospite. Essi gettarono  le radici, produssero le piante e rallen tarono, se non vinsero del tutto, il corso  delle dune. Forse fra qualche secolo i  nostri nipoti invano andranno in cerca  delle dune. Lå ove sorgeva l'elemento  più distruttore della vita vegetale, essí  non troveranno che terreni solidi, coperti  dai boschi. Anche le sabbie col tempo si  cristallizzano e formano sodi terreni.  Sulle coste dell'Irlanda l'ignoranza  produsse invece un effetto opposto. Nelle  dunediquel paese esisteva ungiunco ab bastanza alto per contenere le sabbie. Gli  abitanti ne tagliarono il fusto per loro  uso. Nel 1697 tutta la contea, di venti  leghe quadrate, fu devastata, e al posto  di un fertile paese, ove sorgevano case  e castella, oggi non si vede che un  cimitero di sabbia. Gli scavi fatti e le  inscrizioni trovate provano la passata  prosperitàdi quella contrada.  L'opera trasformatrice del mare si  esercita sopra una grandissima estensione  di terreno. Il Baltico si ritira lentamente  dalle coste della Svezia ed invade invece  il litorale della Prussia. Una parte del  litorale della Pomerania è scoperto, e  laddove li antichi storici ci segnavano il  porto di Vineta, ora s'infrangono le  onde marine. Aigues-mortes fu invece  già porto di mare, ove nel 1248 Luigi  IX s'imbarcò per la crociata; ora dista  cinque chilometri dal lido. Altrettanto  distano gli antichi porti italiani di Ra venna ed Adria, mentre invece le rovine  del tempio di Serapide aNapoli, che era  stato fondato nell'ultimo secolo dell' era  antica a dodici piedi di altezza sul li vello del mare, è ora con tutta la base  immerso nelle acque.  D'altra parte nel seno stesso delle  arque giace un elemento potentissimo  per la costruzione delle terre. Il polipo  del corallo lavora incessantemente a co struire nel fondo del mare dei monti,  che man mano si innalzano e spesso  raggiungono la superficie. Ove sorga  uno scoglio sottomarino, il polipo vi si  attacca e moltiplica , formando degli  immensi banchi di pietra. Nelmezzo del  grande Oceano le isole di corallo si  contano a migliaia. Qualche volta spro fondano, perchè esse si allargano intorno CATACLISMA  allo scoglio verso la superficie del mare,  e mancano di base all' ingiro. Ma le  materie precipitate all' intorno allargano  questa base, sulla quale ilpolipo ripren de il suo infaticabile e secolare lavoro.  Le pareti raggiungono ancora la super ficie dell' acqua, e l'isola si ricostruisce  ancor più solida e più grande.  Allora suquesto nuovo terreno, sorto  comeper incanto inmezzo ai flutti, senza  che l'uomo vi semini o che Dio vi crei,  nascono spontaneamente alla superficie  dei licheni bianchi, i quali ben presto si  trasformano in licheni gialli e di una  129  tratto e che per l'effetto di questi scon volgimenti, le acque del mare innalzan dosi sopra l' ordinario livello, in gran dissima copia si rovesciassero sui conti nenti, ove avrebbero prodotti tutti gli  effetti che al Diluvio si attribuiscono.Ma  èben strano, dice ilgeologo inglese Carlo  Lyell, che coloro i quali sogliono eser citare la loro immaginazione sopra cosi fatta supposizione, non abbiano addrit tura attribuiti questi effetti alla imme diata trasformazione di tutto il letto del l'Oceano in un'alto fondo. Avvegnache  specie più forte.  Il lichene, per chi nol sa, appartiene  alle più infime specie vegetali, alla fami glia delle crittogame, e nascespontanea mente sui muri e sul sasso, che spesso  ricopre d' un verde giallognolo. Dovrem mo quasi pensare, che esso costituisce il  primo tipo della vita vegetale, come il  polipo è il primo delregno animale. Nel  mezzo dell' Oceano questi due regni si  confondono e iniziano la materia allavita  organica, come seivi ilmondo fosse nato  ieri. L' anno susseguente alla loro na scita, questi licheni muojono sul corallo  che li iniziò alla vita, ma essi lasciano  una grande eredità per la vegetazione  futura. La superficie pietrosa del corallo  s'è ricoperta di uno strato di terra, sot tile ancora, ma sufficente a nuovavege tazione, e il navigatore chepasserà nel  I' anno successivo in quei paraggi, vedrà  crescere il musco; l'isola sarà verdeg giante. Chi ci assicura che fra due lustri  nonvi possano crescere gli arbusti, e fra  dieci secoli la foresta vergine ? Qui la  generazionesi è prodotta spontaneamente;  il dito del creatore qui non si scorge; ep pure la vita nasce e si riproduce!  Diciamo pure che tutte queste cause,  se spiegano assai bene la formazione di  nuovi terreni e di nuovi continenti, non  spiegano però la formazione delle catene  deimonti che solcano tuttala superficie  del globo. L'antica geologia spiegava  l'azione dei diluvi ammettendo che que ste catene si fossero sollevate d' un  facilmente s' intenda da chicchessia, chè  il sollevamento dei monti non avrebbe  avuto altro risultato che quello di spo stare una certa quantità d'aria atmosfe rica, mentre il sollevamento del fondo  del mare potrebbe spostare una conside revole quantità d'acqua. D'altronde, biso gnaben convenire, che se la teoria dei  cataclismi nettuniani non è verosimile,  quella dei cataclismi plutonici non è più  vera dell'altra. Lyell ha troppo ben di mostrato quanto siafalsa la supposizione  chenei tempi antichi l'azione ignea nel l'interno del globo si esercitasse con  maggiore intensità. I grandiosi effetti che  noi oggi supponiamo prodotti da una  straordinaria azione del fuoco, possono  tutti spiegarsi con una serie lenta e suc cessiva di eruzioni vulcaniche, di terre moti succedentisi in un lungo periodo di  tempo, come vediamo che tuttodi avvie ne in molte contrade. Lacontinuità delle  eruzioni in unlunghissimo spaziodi tem po può produrre, a cagione della lava  vomitata, dei nuovi monti. Oltredichě  l'osservazione ha rivelato alla geologia  moderna, che non solo possono per la  lenta azione del calore centrale sollevarsi  imonti apoco a poco e quasi impercet tibilmente, ma anche subire, per le sole  forze attuali, delle grandi variazioni nel  loro livello. Per esempio, la Svezia, la  costa occidentale dell'America del Sud e  certi arcipelaghi dell' Oceano Pacifico  provano un movimento lento e insensi bile di innalzamento, mentre che altre  regioni, come la Groenlandia, diverse  9  . 130  CATACLISMA  parti del Mar Pacifico e dell'Oceano In diano che contengono molte isole di co rallo, provano un movimento contrario | superficie, basta supporre all' ovest di  esi abbassano gradualmente. Certo, si Mendoza una zona di movimento più  4,900 metri incirca. Ora, per spiegare la  causadelleprincipali ineguaglianze della  può dire che non vi è alcuna analogia forte e all'est invece una forza sempre  tra il sollevamento di grandi tratti di più decrescente, a misura che si avvicina  terreno, e la formazione delle catene di all' Atlantico. In una parola, basta am monti, ma ogni discordanza anche sopra mettere che la regione delle Ande sia  questo punto può essere ridotta a con- stata innalzata di metri 1. 22, mentre i  formità col solo soccorso delle cause at- Pampas presso Mendoza nell' egual pe tuali. Vi sono, dice Lyell, delle catene riodo di tempo subirono un sollevamento  considerevoli, come le Ande, nelle quali di tre decimetri e le coste dell'Atlantico  l' azione dei vulcani e dei terremoti si soltanto di 25 millimetri. Che se noi  manifesta con una grande energia, se- ammettiamo queste cifre come rappre guendo certe linee determinate. D' al- sentanti il lento innalzamento del suolo  tra parte, osservasi che l'azione di que- nelle varie parti di quellaregione e nello  sti fenomeni si propaga intorno intorno spazio di un secolo, capiremo facil conunaintensitàdecrescente. Ciò posto, si mente come, dopo un periodo di 300,000  capisce cheseunainteraregionedelglobo anni, questa lenta azione, impercettibile  va lentamente innalzandosi nel corso dei ai contemporanei, abbia potuto produrre  secoli, questo innalzamento non sarà e guale in tutti i suoi punti; ma se agli  estremi lembi del terreno soggetto alla  minima azione vulcanica, potrà aversi  l'innalzamento, poniamo, di un piede in  un secolo, sulla linea centrale dove l'a zione vulcanica è maggiore, l' innalza mento potrà essere cinque o dieci volte  tanto. Diguisachè in capo a molti secoli  la sproporzione nella rapidità dell'emer sione deve infine generare quelle grandi  differenze di livello nei terreni, che tanto  c'impongono, e che noisiamo inclinati a  considerare come l'effetto di una subita  emersione. Chi corre l' America dal l'Atlantico al mar Pacifico seguendo una  linea che passa per Mendoza, attraversa  una pianura di 800miglia di estensione,  la cui parte orientale nonèemersa dalle  acque da molto tempo. Verso l'Atlantico  la pendenza dapprima è insensibile, poi  si fa più aspra, finchè arrivando aMen doza il viaggiatore trova di aver rag giunto quasi insensibilmente una altezza  le strane ineguaglianze che ora notiamo.  Ora, 3000 secolinonsono gran cosa per  un periodo geologico, e se riflettiamo che  in Europa è stato riconosciuto, che al  capo Nord il suolo si innalza di metri 1.  5in ogni secolo; chepiù lungi, verso il  Sud, il movimento non è che di 3 deci metri ; a Stoccolma di76millimetri sol tanto, e che più oltre cessa interamente,  non avremo difficoltà ad ammettere, che  in unlungoperiododitempo le forze at tuali della terra non possano produrre e  non vadano tuttodi producendo quelle  stesse disuguaglianze di livello, che si  sono già prodotte nei tempi andati. Gli  effetti ultimi delle due teorie sono sempre  identici; sol differiscono nella durata, bre vissima per la teoria dei cataclismi, lun ghissima invece per quella delle cause  attuali. Piuttosto che ammettere un ro vesciamento improvviso delle acque sui  continenti, quest' ultima teoria riconosce  che i continenti furonoper un tempo in calcolabile sommersi sottole acque. Una  carta geologicadell'Europa pubblicata da  di oltre 1200 metri. Là immediatamante  incomincia la regione montagnosa, la | Carlo Lyell, sulle traccie delle notizie  quale, da Mendozafinoallerive del Pa cifico, presenta una superficie di 120  miglia in lunghezza; e l'altezza media  della catona principale è da 4,600, a  geologiche ottenute, mostra che dopo il  periodo terziario due terzi dell' Europa  restarono sommersi nelle acque. L'Adria tico invadeva la Lombardia e il Veneto;  : CATACLISMA  le maremmee lacampagnaromana era nopure sommerse; sommersa era quasi  tutta laGermania e laRussia, e laFran cia e l'Inghilterra erano intersecate da  mari. Leprovediquesta sommersione si  fondano sul fatto, che i luoghi indicati  come sommersi sono attualmente coperti  dadepositi contenenti gli avanzi fossili  di animali, i quali non possono essere  vissuti altrimenti che sotto le acque; ma  131  secoli. Nel primo caso avremmo un ca taclisma, il paese sarebbe privato dei  suoi abitanti, e la superficie del suolo  non presenterebbe altro che un am masso di rovine; nel secondo la vita e  la vegetazione continuerebbero a sus sistere e andrebbero man mano gua dagnando anche i terreni novellamente  l'emersione di queste terre è stata certa mente così lenta, come lento è l'innal zamento attuale di altre terre. Donati,  emersi. Ma l'osservazione non ci lascia  alcun dubbio nella scelta di queste  due ipotesi. Ciò che succede nel Chill  ed altrove, ci spiega con troppa evi denza che la violenza delle convulsioni  del globo non è continua, è lenta e  che, come ben dice Lyell « il solle esplorando il lettodel mareAdriatico,ha  trovato che esiste la piùgrande analo gia,fra gli strati che vi si stanno for mando e quelli che costituiscono la | gionato da molte scosse di intensità  mediocre, piuttosto che da un piccolo  numerodiconvulsioni violenti. » ( Prin vamento delle catene dei monti è ca->  maggior parte dei monti d'Italia. Egli  ha eziandio riconosciuto che certi te cipii di Geologia T. I. c. XII.)  stacei viventi nell' Adriatico erano ag gruppati insieme, precisamente come lo  sono negli strati terrestri i loro fossili  analoghi, e che alcune conchiglie re centi dell' Adriatico cominciavano ade- | la terra ? No; anoi non occorre che del  Abbiamo noidunque bisogno di cata clismi, di diluvi, di creazioni ab nihilo  per spiegarci tutte queste evoluzioni del porsi nei letti di materia calcarea, men tre altre già si trovavano nascoste nei  lettidi sabbia e di argilla, come lo  sono le conchiglie fossili dei colli Sub appennini. Noi dunque sappiamo che  nuovi depositi, nuovi terreni, nuovi  monti si vanno formando nel fondo del  tempo; e il tempo dura infinito. Il tem po trasforma in terreno sodo il gra nello di sabbia; il tempo spianai monti  ecolma le valli, trasforma il minerale  in vegetale e in animale; il tempo, infi ne, trasforma le specie, le uccide e le  crea. Avvegnacchè ciò che la geologia  ha provato nella trasformazione dei ter mare e dei laghi, e che un giorno e mergeranno dalle acque e costituiran- | reni, Darwin ha dimostrato nella tra sformazione delle specie. Nella natura  non si fanno salti: tutto procede lenta mente, successivamente, e quelle specie  estinte che a Cuvier non parvero spie no i nuovi continenti. Manoi possiamo  essere ancor sicuri che questa emer sione si va tuttodi operando per l'ef fetto stesso dell' innalzamento del lit torale adriatico, e che perciò non è  nè più celere, nè più violentadi quella  che press' a pocosi osserva in tutte le  altre regioni del globo. Si sa che in  ogni terremoto la costa del Chill si e leva dicirca tre piedi sopra una esten zione di ben cento miglia, e si è cal colato che duemila colpi di ugual vio lenzaprodurrebberouna catenadimonti  di 100 miglia di lunghezza e di 1800  metri di altezza. Or si tratta di sapere  se questi 2000 colpi succederanno in  un secolo o in un lungo periodo di  gabili senza ' azione violenta dei cata clismi, il Darwinismo (v. questo nome)  oggi le addita come un semplice e ne  cessario effetto dell'elezione naturale e  delle mutate condizioni della vita.  Tal'è la teoria delle cause  attuali,  che la scienza moderna ha tanto felice mente opposta a quella dei cataclismi.  Oltredichè questa teoria ha ilmerito  di una grandissima naturalezza, soddisfa  anche a un bisogno della filosofia speri mentale, siccome quella che procede col  metodo induttivo,dal noto all' ignoto, e 132  CATALESSIA  colle cause attuali e presenti spiega la  successione dei fenomeni dei tempi an dati. Nulla, infatti, sembra più logico che  lo studiare i terreni che sono in via di  formazione, per poi farsi unagiusta idea  dei processi che la natura ha impiegati  nella formazione dei terreni delle altre età.  In questa maniera noi ci spieghiamo  facilmente le irregolarità, le anomalie,  le imperfezioni stesse della terra. Ma se  questa è la creazione di una potenza  perfettissima e provvidenziale, con qua le idea la riguarderemo noi ?  È coerente alle viste di una provvi denza il creare ciò che deve esseredi strutto ? Perchè il mare invade le coste  e altrove le lascia a secco? Perchè le  dune isteriliscono inostri terreni, e per chè le acque abbandonate a se stesse  minerebbero il continente ? A qual fine  Iddio ha create tante specie di animali  che non dovevano nemmeno essere ve dute dall' uomo, e perchè ha fatta egli  succedere una serie di cataclismi per poi  estinguere l' opera delle sue mani? Si  era egli ingannato, s' era pentito di un  errore, oppure era egli impotente a  produrre opera perfetta ? Ecco delle do mande che resteranno mai sempre sen za risposta.  Catalessia. Stato patologico nel  quale il sistema nervoso centrale che  presiede ai movimenti volontari e rifles si, non ha azione sui nervi, e tutto il  corpo perde la mobilità, senza che vi sia  lesione alcuna negli organi. Durante que sto stato il malato perde il sentimento  e ' intelligenza, ma la persistenza della  circolazione e della respirazione e quindi  l'integrità del sistema muscolare lo di  bediscono a una volontà esteriore, poi chè si può comunicare ai, muscoli delle  membra, dei diti della mano, delle pal pebre, delle labbra e delle gote, un grado  di contrazione o di rilassamento, che il  malato non potrebbe ottenere egli stesso  volontariamente nello stato di sanità, a  meno che non vi si fosse preparato con  un lungo esercizio. I cambiamenti di at titudine, non sono egualmente facili per  tutti i malati, e talora le membra pren dono una vera rigidezza nella situazione  in cui son messe. Il carattere essenziale  dello stato catalettico dei muscoli , il  quale si distinguerà sempre dallo stato  convulsivo propriamente detto, è la pos "sibilità di dare alle membra ogni sorta  di attitudini, nelle quali esse restano im mobili, senza che il malato possa modi ficare volontariamente o involontaria mente questi atteggiamenti ». La Cata lessia, dice il dott. Pinel attacca più spe cialmente gli individui di costituzione  sensibile e melanconica, quelli che hanno  l'abitudine del ritiro e della meditazione,  sopraggiunge spesso dopo le affezioni  morali assai vive, le contenzioni di spi rito, gli eccessi di lavoro, e può essere  anche generata della presenza di vermi  negli intestini.  Il Dictionnaire de médicine di  Littrè narra pure, e non so sull' au torità di chi, che in molti casi il ma lato durante la catalessia non perde nè  il sentimento, nè l' intelligenza, molto  chiaramente intende ciò che si dice in torno a lui, sente vivamente le punture  ele ferite che gli sono fatte, e ciò mal grado non gli è possibile di fare alcuno  sforzo permuoversi operparlare. Isolato  in mezzo al mondo che lo circonda, egli  stinguono dalla sincope e dall' asfissia.  Oltre aciò, nellacatalessi le membra han- sente il male che gli si fa, percepisce  no la singolare proprietà di conservare  le posizioni in cui si mettono. « I cam il suono, la luce, il solletico, ma nè egli  può muoversi, nè queste sensazioni, siano  biamenti di attitudine e di posizione, di cono Littrè e Robin, si eseguiscono sen za resistenza, come se la volontà vipre siedesse; anzi, più spesso sarebbe impos sibile ai muscoli di obbedire alla volontà  di colui cui appartengono, come essi ob pur esse dolorose, riescono a deter minare sul suo corpo alcun movimento  volontario o riflesso, ondechè, in man canza d' ogni espressione del sentimento,  dubitasi ognora s' egli senta. Convien  tuttavolta accettare con molte riserve CATALESSIA  133  queste conclusioni, inquantochè quan- | speciale intensità sopra MaddalenaMun tunquegli annali dellamedicinaricordino dol, l'eroina del dramma di Gaufridi,  molti casidi catalessia, essi non si produ- come risulta dal racconto dell' inquisi cono però cosi di sovente perchè la fre- tore Michaëlis:  le  nella contea di Hoorn, presentarono i fece tanto distendere le gambe in tra più strani accidenti nervosi. Tormentate verso, ch' ella col perineo toccava il suolo,  da incessanti allucinazioni e da spasimi ementr' era in tal postura le fece te convulsivi violentissimi, esse cadevano su- nere il tronco del corpo dritto e giun bitaneamente supine, prive dell' uso della gere le mani ». Eguali fenomeni nella  parola, e così restavano stese al suolo neurosi epidemica delle religiosedel mo morte le braccia e le gambe rovesciate ». nastero di S. Elisabetta di Louviers. Per  Una epidemia consimile perdurò durante quanto ne dice Besroger, la maggior  dieci anni fra le religiose del monastero parte di queste religiose restava immo di S. Brigida. Spesso durante i divini bile durante un' ora, nelle più strane e  uffici, nel coro, esse cadevano rovesciate insolite posizioni. « Una di esse si è tro in gran disordine. Nel 1610 le figlie di vata assai spesso tutta ripiegata in cer S. Orsola d' Aix presentarono i più com- chio, la testa contro i piedi fin sulla  plessi sintomi di isterismo, demonopatia bocca, e il ventre in arco... Un' altra  ecatalessia, iquali si manifestaronocon restava col corpoin aria, lebraccia stese 134  CATALESSIA  e ricurve indietro, la testarovesciata fin | dottor Pinel nella suaNosographie phi sulle reni, i piedi e le gambe pure get tati indietro e presso la testa, senza  losophique, ou la métode de ' analyse  che i ginocchi, le coscie, il ventre, lo  stomaco, nè altra parte del corpo toc cassero il suolo, salvo il fianco sinistro.>>>  Eguali fenomeni furono osservati nel  1662 in un convento della città d' Au xonne, e verso il 1673 una epidemia  istero-catalettica, descritta da Kniper,  fu osservata nell' ospizio degli orfani di  Hoorn. Alcuni di questi malati dive nivano tanto irrigiditi, che presi sol per  la testa o i piedi si poteva portarli ove  si voleva, e rimanevano inquesto stato  parecchie ore. Numerosi esempi di esta si catalettica furono offerti dagli anabat tisti nel 1586. Spesso li si vedeva cade re a terra come morti, e pochi anni  dopo i profeti delle Çevennes presen tarono gli stessi fenomeni »(vedi CAMI SARDI). Fra lestrane crisi prodotte sul la tomba del diacono Paris dal 1731 al  1740, vi era pure il così detto stato di  morte, così descritto da Carrè de Mont geron. «Aleuni convulsionari sono ri appliquée a la medicine. « Tissot, dice  quest'autore, traccia l'osservazione di una  donna che i gran dispiaceri gettarono  nello stato catalettico: la si trovò sedu ta, immobile, cogli occhi brillanti e fissi  in alto,le palpebre aperte e senza movi mento,le bracciaalzatee le mani giunte;  il suo viso, dapprimatristo e pallido, era  più colorito, più gaio, più grazioso del  solito; essa aveva la respirazione libera  ed eguale, il polso lento e naturale, le  membra flessibili, leggere; si poteva dar  loro la posizione che si voleva ed ella  così le conservava;lesi abbassò il mento,  e la sua bocca restò aperta; le si alzò  unbraccio, poi l'altro e non ricadeva no; li si rivolgevano indietro e si innal zavano tanto alto che un uomo anche  fra i più forti non li avrebbe potuti te  nere lungamente in quella posizione: ep pur vi rimanevano finchè non n'erano  rimossi. La si coricò per fare sulle sue  gambe le stesse prove e la malata fu  sempre come una molle cera cheprende  masti per lo spazio di due e fin tre  giorni di seguito senza alcun movimen to, cogli occhi aperti, pallido il viso, il all' ultima. Il suo corpo,quantunque in successivamente tutte le figure che le  sono date, e s' attiene con perseveranza  corpo insensibile, immobile e rigido co me quello di un morto. » (V. CONVUL SIONARI).  Chi ammettessetutti questi fattiche il  Dictionnaire Encyclopedique des scien ces Médicales cita siccome veri, darebbe  prova di poco senno. Laddove il fanati smo religioso o l'interesse di casta co stituiscono i moventi delle azioni uma ne, come succede nella maggior parte  dei casi menzionati, non è rado che il  ciarlatanismo e la frode abbiano una  parte grandissima. Per altro, tutti quei  fatti non ci è lecito negare, e senza  grave rischio possiamo anche credere,  che in granparte siano veri; tanto più  che in nessun d' essi vediamo verificarsi  la condizione ammessa da Littrè e Ro bin, che il malato nello stato di cata lessi conservi la coscienza e la sensibi  lità, condizione nemmen supposta dal  clinato, conservava sempre e costante mente uno stesso equilibrio. Questa don na pareva insensibile, la si scuoteva, la  si pizzicava, la și tormentava, le simet teva sotto i piedi uno scaldino di fuoco,  le si gridava all' orecchio che guadagne rebre il suo processo, senza ch' essa dasse  alcun segno di vita. In questo stato durd  da tre a quattro ore, finchè ridestatasi  si mise a parlare sul suo processo con  molta giustezza, e senza pure avvedersi  dei tormenti che le erano stati inflitti  durante l'accesso ». Il dottor Linas cita  pure dei casi nei quali gli ammalati sor presi da catalessi nelmezzo di una frase,  nell' atto di risvegliarsi dopo parecchie  ore seguivano il loro discorso e compie vano la frase incominciata.  È facile vedere che lacatalessia, sic come i sogni e il sonnambulismo, può  interessare la psicologia. Domandasi in 1 CATEGORIE  fatti che cosa avvenga dell' anima spi rituale mentre si è in questo stato. Ri mansi ella forse imprigionata nel ce rebro pronta a continuare il pensiero  interrotto dalla crisi? Se il corpo fun ziona regolarmente, selavita vegetativa  non è guari interrotta, se nessuna le sione si verifica negli organi sensori,  nonèegli più ovvio pensare che una  causa meramente patologica toglie al  135  schiosa capace di legare od'imbarazzare  gli spiriti animali. In tal maniera que sti signori, piuttosto che confessare la  loro ignoranza, preferivano congelare,  coagularé, legare e invischiare gli spiriti  animali. Strana e singolare idea che essi  avevano dello spirito!  Catari, ossia Puri. Nomeche si at tribuivano i Montanisti, iManichei, iNo vaziani e gli Albigesi.  cervello ogni attitudine a ricevere le  sensazioni o a trasmettere l' impulso ai  nervi motori , anzichè ammettere che  l'anima, per una qualsiasi causa fisica,  abbia perduto ' attitudine a pensare ed  asentire? Ma poniamo pure il caso in  cui il catalettico perda la facoltà di  muoversi e conservi quella di sentire ;  sarà per questo maggiormente provata  l'esistenza di uno spirito? È ormai ac certato che i nervi del movimento sono  diversi da quelli della sensazione, (vedi  SENSAZIONE) dimanierachè non è affatto  straordinario, che unacausa fisica possa  interrompere lacomunicazione fra il cen tro nervoso e gli organi del movimento  elasciare intatti invece i conduttori della  sensazione. Ciò s'intende e si spiega fa cilmente senza bisogno di supporre un  substrato immateriale, ilquale, in findei  conti, non spiegherebbe nulla, e rende rebbe anzi il fenomeno ancor più miste Categorie. Voce greca, la quale  originariamente significava accusa, e che  Aristotile pel primo applicò adefinire le  più grandi e generali divisioni, le divi sioni, diremo così, cardinali, delle cose  naturali e dello scibile umano. I Padar tha di Kanada, filosofo indiano, sono le  prime categorie, ossia le prime classifi cazioni filosofiche che si conoscano, e  Colebrooke le fa ascendere a sei: la  sostanza, la qualità, l'azione, il comune,  il proprio e la relazione. Una settima  categoria era la negazione di tutte le  qualità precedenti; il nulla.  Le categorie dei pitagorici menzio nate nel 1º libro della Metafisica d' Ari stotile, sono in numero di dieci, cioè :  L'infinito, e il finito; il dispari e il pari,  l'unità e la pluralità; la diritta e la si nistra; il maschio e la femmina; il ri | poso e il movimento; il diritto e il  curvo; la luce e le tenebre; il bene e il  male; il quadrato e tutte le figure irre golari. Classificazione men esatta di que sta non potrebbe darsi,imperocchè consi derai contraricomeprincipj cardinalidelle  rioso e strano, inquantochè la catalessia  potendo anche essere prodotta artificial mente con mezzi esterni (v. IPNOTISMO)  ne deriverebbe questo assurdo, che l'a nima si accende e si spegne con mezzi  materiali, cosa d'altronde, che si osserva  sempre nell' anestesia fatta con l'etere  e il cloroformio e in tutti gli effetti pro dotti dai narcotici. Ma nonostante que st'evidenza non è adirsi quanto almanac carono i medici spiritualisti per spiegare | luminoso, le tenebre non rappresentano  questa malattia, che Schilling, Senvert,  Plater, e Sylvius attribuivano alla con gelazione o alla coagulazione degli spi riti animali; Hoffmann aun ingorgo di  fluido vitale risultante dalle contrazioni  delle fibre nervose, e Baron a una so vrabbondanza di materia grassa, e vi cose. Or si sa che i contrari solitamente  si escludono, non esprimonopropriamente  idee diverse, ma la cosa stessa concepita,  nell'uno come esistente nell' altro come  non esistente. Così, ad esempio, se la  luce rappresenta la presenza del fluido  una sostanza diversa, ma sol l'assenza  di questo fluido. Crearedunque la nega zione della cosa come una qualità cardi nale della cosa stessa, è un controsenso.  Dieci son pure le categorie di Ari stotile, e non molto dissimili da quelle di  Kanada; cioè: la sostanza, la quantità,la 136  CATTANEO  relazione, la qualità, il luogo, il tempo,  la situazione, la maniera d' essere, l'a zione e la passione. Queste categorie  sonpiù logiche e piùfondate di quelledei  Pitagorici, ma non le direm perciò per fette. Certo, ogni cosa che esista biso gna che cada sotto quelle divisioni, ma  rappresentano poi esse delle divisioni  vere, assolute, intrinsecamente diverse fra  di loro? Per es: il tempo e illuogo, non  rientrano ancora nella categoria della re lazione? Il luogo e il tempo , non sono  lo stesso della situazione? La categoria  del modo d'essere non contiene implici tamente tutte le categorie precedenti? Or  che valore hanno queste divisioni se esse  non sono infine che la ripetizione di una  stessa idea?  Abbiamo infine le categorie di Kant  ben diverse da tutte le precedenti, in quantochè questo filosofo dubitando della  realità obbiettiva, doveva necessariamente  cercare nella pura subbiettività del giu dizio i principii cardinali delle cose. La  sensibilità, secondo Kant, ha due forme  primordiali: il tempo e lo spazio; e l'in tendimento ha diverse specie di giudizi,  vale a dire: generali, particolari, indivi duali, affermativi, negativi, limitativi, ca tegorici, ipotetici. Aquesti giudizi corri spondono le categorie di unità, plurali tà, affermazione, negazione, i quali poi  si suddividono simmetricamente tre per  essendo nella idea assoluta, concreta, es sa non può sortire da questo stato che  per una contraddizione intima, la qual  diviene la causa di unadivisione, di una  diremption. D'onde il bisogno della con ciliazione e del ritorno all'unità; poi di rempzione nuova e nuova conciliazione, e  così indefinitamente, fino all'ultimo ter mine dell'evoluzione. La dialettica specu lativa o immanente, procede con un mo vimento che si compieintre tempi. Dap prima vi è la tesi o la posizione, l' idea  in sè, in potenza, allo stato d'involuzio ne; poi l' antitesi, la negazione, l' idea  per sè, l'idea realizzata, allo stato d'evo luzione; infine la sintesi, la negazione  della negazione con un risultato positi vo, l'idea in sè e per sè ritornata a sè  stessa.>>>  Cattaneo (Carlo) Nacque aMilano  il 15 giugno 1801, fu allievo di Roma gnosi, professore di rettorica e due volte  deputato, senza che i suoi principii gli  permettessero di varcare la soglia delia  Camera. Ritrattosi a Castagnola, borgata  della Svizzera poco discosta da Lugano,  morì nella notte dal 5 al 6 febbraio del  1869, dopo aver respinto dal suo letto l'intervento del prete.- Voi sapete che  io e voi non siamo della stessa opinione.  Tali furono le ultime parole che  diresse a cui credendo di vincerlo in  quel grandissimo momento che ci divide  tre e così di seguito. In tal guisa Kant| dall'ignoto, gli consigliava il linguaggio  è riuscito a formare una di quella lun ghissime e confusissime tavole, che tutti  i filosofi più o meno speculativi ebbero  il ghiribizzo di redigere ciascuno a loro  modo, senza che mai alcuno li abbia in tesi. Anche Hegel cred certe sue divisioni  di tutte le cose sensibili e intellettuali,  le quali hanno molta analogia con le ca tegorie. Se non che, anche queste di visioni, come tutte le idee di questo fi losofo, sono siffattamente intricate in una  confusa e oscurissima fraseologia, che  può ben dirsi fortunato chi riesce a ca varne qualche idea precisa. Ecco come  le spiega il professor I. Wilm, ispettore  dell' Accademia di Strasburgo: « Tutto  della superstizione e della fede, gli con sigliava l'apostasia del suo passato. La  vita di Carlo Cattaneo è la vita mili tante del pensatore. Ingegno profondo e  sagace, egli sfiorò quasi tutti i rami  dello scibile; ma i suoi scritti, dettati  come il bisogno e l'opportunitàdella di scussione richiedevano, vanno dispersi e  dimenticati tosto che la brama di leg gerli è saziata. Di lui abbiamo una Sto ria dell'insurrezione del 1848 e Alcuni  Scritti raccolti in tre volumi, nei quali  troviamo una eccellentissima monografia  sullo Stato presente dell' Irlanda, che fu  molto lodata e che meriterebbe tutta  l'attenzione del governo inglese. In un CATTANEO  articolo inserito nel Politecnico, rivista  scientifica che il Cattaneo fondò a Mila no ediresse per molti anni, egli annun ciò e propugnò quell'abolizione degli e serciti stanziali, che poi doveva essere  proclamata parecchi anni doponel Con gresso della Pace e della Libertà. » Il  nostro ideale, scriveva nel 1861, è che  la generazione in Italia debba crescere  tutta iniziata alle libere armi come ai  liberi pensieri; e che ogniqualvolta scen 137  mo quella incertezza che necessariamente  devono attribuirgli coloro che li consi derano come una semplice illusione. Di scostasi quindi, e profondamente, dalcri ticismo Kantiano, il quale ai fenomeni  dà un carattere puramente subbiettivo :  per lui essi sono un fatto obbiettivo,  reale, l'azione di forze eternamente, ne cessariamente agenti; quindi la quiete e  l'inerzia sono condizioni impossibili nel da sull' orizzonte della patria una nube  di pericolo, debba dal seno di tutti i po poli italiani accorrere a gara un' eletta  di volontarii e scriversi inlegioni mobili>>>  Carlo Cattaneo è enciclopedico, e però  il suo nome doveva passare in retaggio  anche alla filosofia; ma delle sue idee  filosofiche solo quel tanto sappiamo, che  egli insegnò oralmente nel suo Corso di  Filosofia insegnato nel Liceo di Luga no. E basta quel poco per farci inten dere com'egli profondamente dissentisse  da quell' idealismo mazziniano al quale  stortamente molti lo credettero fedele.  Consente con Locke e Condillac che nes  suna idea è innata innoi; per altro tro va che le ricerche intorno all' origine  delle nostre idee elementari e primitive  è sterile di frutti, nè ci conduce a scopi  pratici: fors'egli non pensava che fu in  grazia di questi studii, che l'ontologia| tangibile. Certo, più deplorevole confu l'universo.  Fin qui la filosofia di Carlo Cattaneo  è coerente; ma, un difetto logico si ri vela tosto ch'egli trovasi d'innanzi alla  necessità di affermare l' origine primor diale e il principio delle cose. Dopo di  essersi così bene opposto all'idealismo di  Berkeley e di Collier, i quali negavano  ogni realtà obbiettiva nel mondo, egli,  conmolta inconseguenza e senza pure  avvedersi, cade nel medesimo eccesso,  avvegnachè affermi la realtà dei feno meni siccome forze in atto, e le forze  sole egli consideri siccome veramente  esistenti. Per lui la materia spogliata  dei suoi attributi, ossia delle sue forze,  non è che un nome vano, una illusione ;  ciò che esiste non è la materia, la quale  per se stessa intrinsecamente non ènulla,  ma la forza sola è quella cheesiste, che  genera i fenomeni e costituisce la realtà  ha potuto ricondurre le idee composte  ai primordiali elementi della sensazione,  echesenza questo processo puramente  analitico dei pazienti osservatori della  scuola sensualistica, nessuna forza sareb be bastata a demolire l'edifizio della  ontologia trascendentale, che ha la sua  sede nel Platonismo. Fedele alla filosofia  sperimentale, Cattaneo consente pure nel  metodo induttivo: ogni scienza deve pro cedere dal noto all'ignoto; da ciò che  conosciamo e da ciò che siamo, indurre  cautamente quello che fu e che siamo  stati. Intorno ai limiti dello scetticismo  Cattaneononconcorda: una moderata af fermazione gli par migliore della dubi tazione continua; nè egli può risolversi  ariconoscere nei fenomeni che percepia sione non poteva farsi, e che questa non  sia che una mera question di parole è  cosa di cui può avvedersi ogni più che  superficiale osservatore.Nonvi è filosofo.  che possa assentire allo strano metodo  introdotto dal Cattaneo, di negare cioè  l'esistenza del soggetto e affermar quella  sola dell' attributo, chè la logica, per  grama e confusa ch'ella sia, ripugnerà  mai sempre ad ammettere l' effetto di  una causa negata. Ora, o la forza è ef  fetto della materia o non lo è. Se lo è,  aniuno può capire nella testa come la  forza generata dalla materia sia una re altà, e la materia che lagenera una il lusione. O non lo è, e allora domandasi  se nel concetto di sapore, di estensione,  di resistenza, di colore, di suono ecc. 138  CATTOLICISMO  comprendasi l'idea che noi abbiam del la forza , oppur quella della materia.  Se in queste nozioni si compendia il  concetto della materia, allora l'idea che vevole nella filosofia di Carlo Cattaneo  fin di negare che la materia esiste ed  affermare che la sola forza è.  Tolto questo errore, null'altro è ripro noi abbiamo della forza è una mera fuorchequellaindeterminatezzache èpro astrazione con la quale procuriamo di priadi coloro chenon hanno idee all' in spiegare i vari modi per cui possiamo tutto formate o che ardire non hanno di  percepire la materia; se invece in que- esporle pubblicamente senza molti sottin stenozioni comprendesi il concetto di tesi e molte reticenze. Nobile e grande  forza, astrazione per certo diventa la nelle sue aspirazioni,egli vuole l'accordo  materia. Ma in questo caso, osservisi fra la scienza e la filosofia, fra il pen bene, le idee essenziali che noi abbiamo siero e i fatti; con la filologia tiene  delle cose non mutano: avremo soltanto | che le lingue siansi venute formandosi a  dato il nome di materia alla forza, e  alla forza quello di materia; sarà cioè  una trasposizione di nome, manon di  idee, giuoco illecito inuna seria filosofia.  E per vero, comunque si chiamino le  cose, e qualunque siasi il nome che ad  esse si vuol dare, rimane sempre fermo  che il concetto che noi abbiamo di esse  quello è soltanto che ci possono dare i  nostri sensi. Ma è stato convenuto che  ciò che è esteso, cheha colore, o sapore,  oche oppone resistenza al nostro tatto  debba dirsi materia; e forze invece, si  chiamino le accidentalità che produ cono questi fenomeni . Il traslatare il  poco apoco per l'istinto imitativo mu sicale; con l'astronomia toglie al mondo  il suo carattere dipunto centrale e di  scopo massimo di tutta la creazione;  con lastatisticapar che dubiti del libero  arbitrio, o per lo meno sottoponga i feno meni morali aregole costanti, determi nate, necessarie, perlequali abbiamo ri sultati costantidel pari, e prevedibili con  le cifre date dai fatti passati; finalmente  nuovo campo inesplorato vuole aprire  alla ricerca della certezza, i fondamenti  finora dati alla quale non ritiene con formi al senso comune.  Cattolicismo . Religione della  Chiesa cattolica, apostolica, romana, la  qual sostiene lacattolicità, ossia la uni nome non muta dunque un jota alle  idee; epperò trattasi di cambiare ildi zionario, non la filosofia. Quel che ri- versalità della sua dottrina. Parecchi  mane fermo nel pensiero del Cattaneo  einquello del materialismo, si è che  dei due concetti di forza e di materia,  uno solo è vero, e l'altro è astrazione,  in quel modo istesso che nei contrari  un solo termine è vero, come caldo e  freddo, luce e tenebre, nero e bianco,  poichè tutti vedono che seesiste laluce,  il calore, il bianco ece, le tenebre, il  freddo e il nero non rappresentano che  la negazione, ossia l'assenza di quelle  qualità; mentre se queste esistono, quelle  diventano astrazioni diqueste.Ma avrebbe  tanta ragione chi volesse chiamar tene bre la luce affin di poternegare laluce  ed affermare la positiva esistenza delle  tenebre, quanto n' aveva il Cattaneo di  dar il nome di forzaaquelconcetto che  nel comun linguaggio dicesi materia, af santi padri, dicono i commentatori del  Bergier (Aggiunte al Diz. di Teologia)  trattando della cattolicità distinguono  una triplice universalità: quelladi tempo,  econsiste in ciò che la Chiesa sempre  sussistette e sussisterà sempre fino alla  consumazione dei secoli; quella della dot trina, ed è l'avere la Chiesa mai sempre  insegnato quanto fu da Cristo rivelato;  quella finalmente di luogo, ed è la dif fusione della Chiesa in tutto il mondo.  Or convien dire che appunto di que ste tre specie di cattolicità nessuna ap partiene alla Chiesa che s'intitola cat tolica, e tutti gli arzigogoli dei teologi  romani non possono dimostrare il con trario. Intorno alla prima specie della  cattolicità nessuno che siadi buona fede  può asserire che la Chiesa sempre sus 1 CAUSA ED EFFETTO  139  sistette e che sussisteràsempre. Lasciam | fedeli. Ora, la popolazione totale del  pure al futuro la soluzione dei suoi pro  blemi;maquantoalpassato,chimai potrà  credere che (ammettendo pure i calcoli  dellacronologia ortodossa) una religione  fondatanell' anno 4004 sia sempre esi stita? Certo, è cosa comoda il dire che  lareligione cristiana non è altro che la  continuazione della ebrea; ma una oppo sizione di principii , di dommi , di ten denze, tutto insomma lo spirito delle  due religioni è così avverso fra di loro,  che bisogna aver proprio perduto la  testa, per riconoscere siccome una lo gica continuazione , questo violento e  forzato innesto della nuova religione sul l'antica. Ma sia pur vera questa conti nuità della tradizione cristiana, nederiva  forse perciò che la religione ebraica sia  la più antica che si conosca, e ch'essa  abbia cominciato col principio del mon do? Gl'idioti soltanto potrebbero cre derlo, e agli articoli MONDO, BRAHAMA NISMO, UOMO, PALEONTOLOGIA, PENTA TEUCO, è dimostrato che, non solo vi  sono religioni anteriori alla ebrea, ma  che eziandio ella è molto recente in  confronto della età dell' uomo e del  mondo.  Sarà essa forse più vera la univer salità di dottrina della Chiesa cattolica?  Masemaipuòstoricamenteprovarsiun  principio, quellodelle continue variazioni  del cattolicesimo è il più sicuro ed il  meglio dimostrato. Il Battesimo, laCon fessione, la Confermazione, la Transub stanziazione, l'Ordine, l'Estrema Unzione,  il Culto delle immagini, il Culto dei Santi,  il Purgatorio, il Primato del papa e tanti  altri dommi ( vedi tutti questi nomi ) o  non si conoscevano dalla chiesa primi tiva o non vi si attribuiva un carattere  dommatico e sacramentale.  Quanto alla terza specie di cattolici tà, vale a dire l' universalità di luogo,  basta gettare gli occhi sulla statistica,  per vedere quanto poco fondamento ella  abbia. Basti dire che secondo i calcoli  assai larghi di Balbi, laChiesacattolica  conta in tutto il mondo 139,000,000 di  globo è dallo stesso autore, calcolatain  737,000,000 di uomini; il chevalquanto  dire, che la pretesa universalità della  Chiesa papale si riduce a meno di un  quinto dell'attualepopolazione del globo.  ( Vedi RELIGIONI). Ben è vero che i teo logi cattolici pretendono, che a stabilire  l'universalità della Chiesa non sia neces sario che sia diffusa in ogni parte e  condivisa da tutti gli uomini, bastando  ch'essaabbia i suoi rappresentanti, e, per  così dire, le sue stazioni, inogni regione  del mondo; maquesta è una interpreta zione che assolutamente non si accorda  col vero criterio dell' universalità, e ad  ogni modo in siffatta guisa potrebbe  dirsi egualmente universale anche la  Chiesa protestante, la quale manda i  suoi missionari in ogni terra conosciuta.  Ma ammettasi pure perunmomentoche  iteologi romani abbiano ragione, sa rebbe perciò la cattolicità della Chiesa  romana ben stabilitą? Prima che Colom bo scoprisse l'America, quali rappresen tanti aveva la Chiesa in quella vastissi ma parte del globo? Ed oggi ancora è  sicuro che non vi sieno terre o ignote  oinesplorate dove dellaChiesa cattolica  nonsi èper anco udito parlare ?  Causa ed effetto. Nell'ideadi  causa l'antica filosofia distingueva: 1. La  causa efficiente, ossial'agente produttore.  2. La causamateriale, ossia il soggetto su cui l'agente si esercita. 3. La causa for male, o l'idea. 4. Finalmente, la causa  finale, ossia lo scopo dell'azione. Queste  distinzioni sono puramente nominali, e  non hanno più ragione di essere, peroc chè le attuali cognizioni nelle scienze  naturali non ci permettono più di sepa rare l'idea di forzadaquelladi materia,  la causa efficiente da quella materiale,  e di supporre quindi che fuor dellama teria ci sia un certo substrato che la  faccia muovere. Del pari non possiam  più ammettere lacausaformale e quella  finale, poichè, ammesso nella natura il  principio di necessità, non possiamo più  riconoscere quella tal sorta di arbitra 140  CAUSA ED EFFETTO  mento che vuole un fine. (Vedi CAUSE  FINALI).  Dicesi causa ogni azione che inqual sivoglia maniera concorra a produrre  un' altra azione, la qual poi chiamasi  effetto. E dico azione, imperocchè la fi losofia sperimentale abbia ormai irrecu sabilmente accertato, che nessuna causa  esiste la quale possa produrre o corpi  nuovi o forze nuove, (vedi FORZA e MA TERIA) ma tutte le cause agenti nonrie scono, infine dei conti, ad altro che a  produrre o nuove forme o nuove azioni,  vale adire un nuovo modo di essere  della materia. Questi effetti sono poi a  volta loro causa di altri effetti, e così  all' infinito. Onde a giusta ragione si  deve dire, che ogni cosa che esista è  sempre ed invariabilmente causa ed ef fetto al tempo stesso; vale a dire effetto  di una causa precedente, e causa di un  effetto susseguente. Certo, questa gran dissima verità, la qual suppone la co gnizionedellaeterna trasformazione della  materia, non ha mai potuto essere sup posta nè tampoco concepita da quei  cotali filosofi degli scorsi anni, e da  molti ancora de' nostri contemporanei, i  quali credettero e persistono a credere  com'egli argomenta: « Col mezzo dei  sensi considerando la costante vicissitu dine delle cose, noi non possiamo aste nerci di osservare che molte cose parti colari, siano esse qualità o sostanze, co minciano ad esistere, e che ricevono la  loro esistenza dalla giusta applicazione  od operazione di qualche altro essere.  Or si è appunto per questa osservazione  che noi acquistiamo le idee di causa e  di effetto. Col nome generale di causa  indichiamo ciò che produce qualche idea  semplice o complessa, e con quello di  effetto ciò che è prodotto. In tal guisa  dopo aver veduto che nella sostanza  alla quale diamo il nome di cera, la  fluidità (una delle idee semplici che non  esisteva innanzi ) è costantemente pro dotta dall'applicazione di un certo grado  di calore, noi diamo all'idea semplice di  calore il nome di causa per rapporto  alla fluidità della cera, che n'è l'effetto.  Del pari, provando che la sostanza detta  legno, la quale è una collezione di idee  semplici a cui si dà questo nome, me diante il fuoco è ridotta in un' altra so stanza, che chiamiamo cenere (altra ilea  complessa che consiste inuna collezione  di idee semplici affatto differente dall' i dea complessa che diciamo legno), noi  consideriamo il fuoco, per rapporto al le ceneri, come una causa, e le ceneri  che lamateria è inerte, e che fuor di  lei esiste qualche cosa che la muove e  la spinge e la induce ad agire siccome  fa. Ben è naturale che costoro non sap piano concepire in qual maniera l'idea | ciò che noi consideriamo come contribu come un effetto. In tal maniera tutto  di causa ha potuto entrare in noi, e la  suppongano una di quelle tali nozioni  innate, che il Creatore si è compiaciuto  di infondere nel nostro spirito prima  ancora di metterci al mondo.  Nondimeno tre filosofi che non erano  atei, si sono già adoperati per distrug gere questo assurdissimo pregiudizio, e  vi riuscirono in tre diversi modi che  meritano di essere riferiti. Il primo di  questi filosofi è Locke, il capo della  scuola sensualista, il quale colla sua  stringente logica ha dimostrato, che an che l'idea di causa non è altrimenti  innatainnoi,mache, comeognialtra idea,  èentratainnoiper laportadei sensi. Ecco  ente allaformazione di qualche idea sem plice o qualche collezione d' idee sem plici, sia sostanza o modo, che prima  non esisteva, eccita nel nostro spirito la  relazione di causa, e le diamo tal no me ». (Locke Saggio sull' intendimento  umano Cap. XXVI § 1.)  Hume,non solonon ammette l'inneità  dell'idea di causa, ma pur ne combatte  ogni realtà obbiettiva. Che ne sappiam  noi, dic'egli, dei rapporti che passano  tra causa ed effetto? Possiam noi dire  se veramente la causa eserciti una qual siasi influenza sull'effetto prodotto, o se  pure questa influenza non sia altro che  una chimeradellanostra immaginazione? CAUSE FINALI  Certi fenomeni che si seguono costante mente nello stesso ordine, possono darci  l'idea del principiodi causalità, il quale,  al postutto, si risolve in una semplice  successione di tempo e di fenomeni, di modochè quando noi vediamo prodursi  un dato fenomeno sempre aspettiamo  141  nali, ben lo disse Bacone due secoli fa:  ( De augment. scientiarum lib. III c. 5)  . Secrediamo a Lei bnitzla Provvidenzaè quella che dirige la  luce inlinearettaerende eguale l'angolo  diriflessione aquellod'incidenza; e Prieur  nel Spectacle de lanature pretendenien temeno chelemaree siano date all'oceano  affinchè più facilmente i bastimenti  possano entrare nei porti.Ben dice Vol taire, che con altrettanta evidenza po trebbepretendersichele gambe son fatte  appostaper essere calzate, eil naso per  portare occhiali. E tuttavia non è poí  lo stesso Voltaire che poche righe dopo  trova cheogni cosafufattaper lo scopo  cui deve servire? D'onde questacontrad dizione? Voltaire, crede che per assicu rarsi del vero fine di una causa convenga  che l'effetto sia proprio di tutti i tempi  e di tutti i luoghi. Povero spediente, il  qual non salverà il filosofo di Ferney  dalla contraddizione ! Infatti nessuna  cosa è propria d' ogni tempo e d' ogni  luogo, imperocchè tutte si modificano  esi trasformano.Diremnoiche gli occhi  furon fatti per vedere, o che noi vedia mo perchè abbiamo gli occhi ? Dalla ri sposta che daremo a questa domanda  dipende tutta la teoriadelle cause finali.  Se una causaintelligentehaprodotto un  effetto con un determinato fine; cioè se  Dio ha prodotto l'occhio per vedere,  noi dovremo eziandio credere che questo  effetto sia proporzionale allo scopo; vale  adire che l'occhio deve soddisfare nel  miglior modo possibile aibisogni per cui  fu fatto. Ma in tal caso come spieghe remo noi le ulceri, lefistole lacrimali, la  cataratta, la miopia, il presbitismo e  tante altre malattie che affliggono que st'organo tanto poco perfetto e tanto  poco proporzionale alla causadallaquale  si pretende prodotto? Come! un organo  tanto utile, dovrà esser fatto di sostanze  contenute in tegumentitenerissimi, e per  colmo d' imprudenza esposto all' aperto,  senz'altro riparo che le sottilissime pal pebre? Come ! I nostri più comuni can nocchiali ci mostrano distintamente le  cose alla distanza di parecchi chilometri,  e i migliori telescopi ci disegnano le  accidentalità della superficie lunare, e  Dio ci ha da dotare di un organo  il quale più non sa leggere alla distan za di poche spanne dal naso! Perchè  mai l'occhio non è acromatico? Perchè,  come dice Helmohlz, è desso così poco  perfetto che nessun ottico sarebbe dispo sto ad accettarlo siccome un modello i narrivabile per la loro arte? Se l'occhio  era fatto per vedere, perchè mai questa CAUSE FINALI  causa intelligente non l'ha dotato di tal  potenza ottica,che gli facesse vedere le  cose più lontane e levicine ancora, e ci  ponesse ingradodi ammirarelasapienza  del Creatore, così nellecose infinitamente  grandi come nelle infinitamente piccole?  143  i quali hanno dei veri polmoni, discen dono in via di generazione normale da  un antico prototipo sul conto del quale  null' altro sappiamo se non ch' esso_era  provvisto di una vescicanatatoria. In tal  Poi, l'occhio è veramente d' ogni tempo  e d'ogni luogo, come Voltairepretende?  Maveramente, no; poichè vi sono ani guisa noi possiamo facilmente spiegare  il fatto strano, accertato dal prof. Owen,  che ciascuna particola di nutrimento so lido o liquido che noi inghiottiamo, deve  passare sull'orifizio della trachea, con ri mali che non hanno occhi ed altri che  hanno occhi per non vedere. Gli occhi  delle talpe e di qualche altro rosicante  rimangono sempre allo stato rudimen tale, e qualche voltasonocompletamente  coperti di pelle o dipelo.Unmammifero | libera fluttuazione dei pesci, perchè si è  schio di cadere neipolmoni.  Inquesti casi le cause finali comple tamente si ecclissano. Se Dioha prodotto  lavescica natatoria perchè servisse alla  rosicante dell'America del Sud, il tuco ioco, o cténomys hadelle abitudini an corpiù sotterraneechelatalpa, equando  Darwin notomizzò l'occhio d' un di essi,  gli parve che il suo stato di cecità do vesse attribuirsi ad una infiammazioneco stante delle palpebre. Occhi fatti per non  vedere e membrane fatteper soffrire una  perpetua malattia, non par che dimo strino la teoria teologica delle cause fi nali. La vescica natatoria dei pesci è un  altro esempio che contrastasingolarmente  col concetto delle cause finali. Quest' or gano, cheoriginariamenteparevacostrutto  per aiutare il movimentodell'animalena tante, ha potuto in certi pesci trasfer marsi in un organodiretto aduno scopo  tutt'affatto differente, tali come la respi razione o l'audizione. Darwin ha infatti  accertatochepereffettodell'elezione, lave scicanatatoriainalcuni pesci haacquistato  uncondottopneumaticodestinato alla re spirazione; e in altri si è in tal guisa  modificata , da servire piuttosto come  organo accessorio dell'audizione. Tutti i  fisiologici, continua Darwin, ammettono  che lavescica natatoria è omologa, vale  adi re «idealmente similare > in posi zione ein strutturacoi polmoni dei verte brati superiori. Non è dunque straordi nario che l'elezione naturale abbiameta morfosato successivamente lavescica na tatoria in polmoni o in organi esclusiva mentedestinati alla respirazione. D'onde  si può conchiudere, che tutti i vertebrati  trasformatainun'altro organoche piùnon  risponde al suoscopo? Didue usi acuiser vìunorgano,qualerappresenta lafinalità  intenzionale dalla causa creatrice ? Ol tracciò vi sono degliorganirudimentali i  quali sono completamente inutili , tali  come le mammelle rudimentali di tutti i  maschi dei mammiferi, e l'ala bastarda  di certi uccelli. In un grandissimo nu mero di serpenti, uno dei lobi dei pol moni sono rudimentali, in altri esistono  i rudimenti del bacino e delle membra  posteriori. Vi sono esempi di organi ru dimentali assai curiosi; tali sono i denti  osservati nei feti delle balene, che all'età  adulta non ne hanno più; il qual fatto  Darwin spiega supponendo che le balene  abbiano probabilmente acquistato le abi tudini e i loro caratteri attuali per una  metamorfosi regressiva, che le ha fatte  retrogradare dal posto più elevato di a nimali anfibi, fluviatili o lacustri, a quello  inferiore di specieesclusivamentemarine.  Naturalisti degni di fede hanno pure as sicurato di aver veduto dei denti rudi mentali negli embrioni di certi uccelli.  Nulla ci par piú ovvio, diceDarwin, che  le ali siano state fatte per il volo e non dimeno le ali di molti insetti sono tanto  atrofizzate, ch'esse non possono agire, e  non è raro il caso che siano chiuse sotto  delle elitri fortemente attaccate l'una al l'altra. Ci sono invece dei casi d' inter vertimento degli organirudimentali,come  per esempio, lemammelledicerti maschi  SA 144  CAUSE OCCASIONALI  che si sono in tal guisa sviluppate fino | tri organismi la natura ha prodotto ca adare il latte. Nelgenere Bos la mam mella unica presenta quattro capezzoli e  due rudimentali; ma nelle nostre vacche  domestiche qualche volta anche questi  due ultimi si sviluppano e danno latte.  Giustamentedomandasi perchè ilCreatore  forma degli organi, iquali generalmente  non servono ad alcun uso, oppure ser vono ad un usodiversodaquellopercui  furono creati. >>  (Origine delle specie Cap. XIII) Anche  Büchner, primadi Darwin (Forza e ma teria cap, XI ) ha dimostrata la insus sistenza delle cause finali, dicendo che  noi oggi ammiriamo gli esseri tali come  sono senza pensare quale infinità di al sualmente per giungere agli attualiim perfettissimi risultati, come ben lo pro vano le moltissime specie estinte dei  terreni fossili. « Se il pelo degli animali  dei paesi settentrionali è più folto di  quello degli animali dei paesimeridionali,  e se tutti pol l'hanno relativamente più  folto d'inverno che d'estate, non è forse  più naturale il considerare questo fatto  come il necessario effetto di una influ enza esterna, come la conseguenza della  temperatura, piuttosto che supporre un  artista celeste il qual prepari a questi  animali gli abiti d'estate e d'inverno ? Se  il cervo ha le gambe lunghe e adatte  alla corsa, non devesi credere ch'egli le  abbia avute per correre con celerità, ma  piuttosto che egli correconcelerità per chè ha le gambe lunghe: se egli avesse  avuto delle gambe poco adatte alla cor sa, sarebbe invece divenuto un ani male coraggioso , mentre ora per la  sua tendenza alla fuga sidimostra timi dissimo. La talpa ha le zampe informa  di pala per solcare il terreno; ma se  essa non le avesse cosl conformate, non  avrebbe mai pensato a scavarsi sotto  terra la sua tana. Le cose sono tali come  sono; e se esse fossero state diverse da  quel che sono, noi nonle avremmo per ciò trovatemeno conformi al loro scopо».  Vedi anche gli articoli CAUSA E PER FEZIONE.  Cause occasionali.Certifilosofi  cartesiani non potendo riuscire a spiegare  il rapporto che poteva esistere fra lo  spirito e il corpo, e l' influenza che l'uno  esercita sull' altro , supposero che Dio  stesso durante i pensieri dell' anima  producesse nel nostro corpo i movimenti  corrispondenti a questi pensieri, e vice versa, che nell' occasione dei movimenti  delnostro corpo eccitasse nell'anima i pen sieri o le passioni che vi corrispondono.  Questi movimenti iniziali dell' anima o  del corpo son le cause occasionali del  cartesianismo, ilquale,come ognun vede,  troppo logico per ammettere che alcuna  relazione potesse esistere fra il corpo e CELIBATO ECCLESIASTICO  lo spirito, non lo fuperò abbastanzaper  non capire che se Dio era produttore im mediato delle nostre sensazioni, noi siamo  145  sempre ai piaceri del senso per ser vire con più libero cuore a Dio. » Più  nelle sue mani come delle marionette cui  egli fa danzare a piacer suo.  Celibato ecclesiastico. Sta to di coloro che per motivo di reli gione si astengono di unirsi in matri monio. Dicono i cattolici , presso i  quali soltanto vige l'obbligazione del  celibato, che nessuna legge naturale  o positiva, divina od umana obbliga  gli uomini allo stato conjugale (Ber gier Diz. Teol ); ma questa non è af fermazione che trovi fondamento nè  tra i credenti, nè tra gl'increduli. Per ciocchè i primi giustamente oppongo no il Crescite et multiplicamini , col  quale il loro Dio impose all' uomo  l'obbligo di congiungersi e di figliare  (Genesi I, 28); e i secondi ben a pro posito osservano che dal momento  che la natura ha dato all'uomo gli  organi del sesso, gli ha al tempo stes so imposto il dovere di usarne per la  propagazione della specie e per la sod disfazione di un bisogno, il quale non  èmenonecessario che naturale; per la  qual cosa giustamente i gentili talora  colpivano d'infamia il celibato (Cicero ne De legibus lib. III c. 3). Invece ecco  che nel cattolicismo il Concilio di  Trento dichiara: « Se alcuno avrà det to che lo stato conjugale sia da ante porsi allo stato di verginità o del ce libato, e non essere meglio e più bea to rimanersi vergine o celibe che con giungersi in matrimonio, sia anatema »  (Sess. XXIV can. 10). La qual prefe renza, checchè ne dicano in contrario  i protestanti, non è poi così contraria  allo spirito del cristianesimo per non  trovare appoggio fra i padri e fra gli  stessi insegnamenti di Gesù. Il quale  dice che vi son eunuchi che si son  fatti eunuchi daloro stessi per amore  del regno de' cieli (Matt. ΧΙΧ. 12). »    del matrimonio dei preti. E tanto dis se e fece cotesto papa per raggiun gere il suo intento, che riuscì al fine  di ottenere dal Concilio di Cartagine,  radunato nel 397, un decreto, il qual  rendeva obbligatorio il celibato dei  chierici. Innocenzo I nel 417 rinnovava  la legge del celibato; la rinnovò e la  estese ai Suddiaconi Leone I nel 440;  e dopo d' allora tutti i papi batterono  la stessa strada. Il guaio si è, che quei  decreti non ottenevano universale con ferma, il che dimostra che in quei  tempi l'unità della Chiesa non era  gran fatto assodata; imperocchè non  solo il clero opponeva una resistenza  passiva a quei decreti dei papi, ma  eziandio nella Francia i concilii di  Autun, di Tours, di Macon nel V se colo, e nella Spagna il Concilio di  Toledo, e il prete Vigilanzio vi si op posero formalmente. Nel 1059 Nicco ld II nel Concilio di Laterano fa no vellamente proclamare la legge del ce libato; e cionostante poco di poi tro..  viamo tutta la diocesi di Milano retta  da preti ammogliati, nè il papa riesce  a farvi prevalere il disonesto divieto,  senza che rivi di sangue scorrano nel le vie, senza aver scatenate le passio ni politiche e il fanatismo religioso  rappresentati daArialdo e da Landolfo  Cotta, capi del partito dei celibatari.  Solo il cupo dispotismo d'Ildebran do (Gregorio VII) potè trionfare di tan te opposizioni, e la legge del celiba to novellamente procamata dal Conci lio di Roma del 1074, andò man mano  estendendosi in tutte le provincie cri stiane.  Il celibato era stato introdotto per  moralizzare il clero, per acquistare un CELIBATO ECCLESIASTICO  maggior titolo alla Santità e alla ve nerazione dei vulgari. Ma comechè  nessuna legge contro natura può riu scire a buoni effetti, anche questa nel la Chiesa sciolse il freno d' ogni mo 147  tino con ledonne dellequali usavano.  Quindi, alzatisi e preso un bagno, si as sidevano a nuovo desco. (Hist. Eccl.  Francorum lib. 5. art. 21). Lo stesso  ralità. Già fin dai primi tempi,monaci  emonache convivevano insieme, sede vano alla stessa mensa, dormivano sot to lo stesso tetto: tutti avevano fatto  voto di castità, ma chi l'osservava?  Instruita dall' esperienza, dice un au tore, l' imperatrice Irene nel fondare  il monastero delle vergini sotto il no me di Maria piena di grazie, volle  che fossero assistite da un padre spi rituale, un economo, due frati per am ministrare il patrimonio e isacramen ti: eunuchi tutti quattro! (Helyot. Hist.  des ordr. vol. I c. 28).  La dipintura che nel VI secolo S.  Gregorio di Tours ci fa diSalonio Ve scovo d'Embrun, e diSagittario vesco vo di Creso, già porta tutti i colori del  medio evo. « Assunto l'episcopato inco minciarono a scatenarsi con insano fu rore in malversazioni, con morti, con  omicidi, con adulteri e con diverse al  tre scelleratezze, di guisa che ad un  certo tempo, mentre Vittorio Vescovo  _diTricastini celebrava il proprio nata lizio, mandata fuori una coorte con  spade e giavellotti, irruppero contro  di lui, gli stracciarono le vestimenta,  ammazzarono iministri eportando via  vasi ed ogni altra cosa appartenente  al pranzo, lasciarono il vescovo con  grande contumelia..... Essi si abban donavano ogni giorno amaggiori scel leratezze; corsero alle armi e con le  proprie mani fecero molte uccisioni.  Iafierirono contro i propri cittadini fa cendoli battere con verghe fino al san gue. Passavano molte notti parlando  ebevendo con i chierici che celebra vano inChiesa nelle ore mattutine, e si  sfidavano a bevere. Mai si faceva men zione di Dio. Surta l'aurora si leva vano dacena e coprendosi con legge ri drappi, sepolti nel sonno e nel vino,  Santo (lib. IX ) scriveva:  Vi prego di mandarmi i vo stri ordini per iscritto intorno a quei  diaconi i quali fin dalla loro puerizia  son sempre vissuti in stupri, in adul teri, ed in ogni altra sconcezza: e pu re con tali testimonianze vennero al  diaconato, ed essendo diaconi ritengo no quattro, cinque ed anche più con cubine (Baronio Annali 741). Lo stes so cardinal Baronio che cita questa  lettera,e che poteva essere molto ben  informato, parlando della Chiesa nelX  secolo esce in queste parole: « Domi navano allora in Roma potentissime e  sozzissime meretrici; ed a loro arbi trio si davano i vescovati e si traslo cavano i vescovi; e, più orrendo a dirsi,  s' introducevano nella sede di Pietro i  loro drudi, pontefici falsi, i quali non  devono essere inscritti nel catalogo  dei papi. » Edgardo re d'Inghilterra  in una lettera diretta ai vescovi del  suo regno e riportata dalPadre Labbe  (Tomo IX p. 698) scrive: « Dirò con  dolore come gli ecclesiastici se la pas sino in gozzoviglie, in ubbriachezze,  in adulteri ed impudicizie; di guisa  che le case dei preti sono divenute  postriboli di meretrici e conciliaboli  di buffoni. » E per verità, pare che  quel degno re non avesse poi gran  torto di lagnarsi dei suoi preti, impe rocchè tanto bene osservavano essi la  legge del celibato, che poco di poi  papa Pasquale II, in una lettera diret ta al vescovo di Cantouberi, autorizza dormivano fino all' ora terza del mat 148  CELIBATO ECCLESIASTICO  va l'ordinazione dei figli dei preti,  stantechè tanti ve n'erano in Inghil terra, ch'era impossibile aver dei preti  senza ricorrere alla loro progenie(Lab be Concil. X. p. 707).  Fu nell' undecimo secolo, cioè in torno al tempo della solenne procla mazione del celibato fatta da Grego rio VII, che ai monaci orientali (i pri mi che si erano sottomessi alla legge  della castità) si dovette vietare di  introdurre nei conventi, non solo le  donne, ma perfin le femmine degli  animali. (De Potter. Hist. T. VI lib. II  cap. III note suppl. n.º 3). Intorno a  quel tempo Alberto d'Arbrissel fonda tore della celebre Badia di Fontevrand,  nella diocesi di Poitiers, viaggiando  colla sua Petronilla fondo altre quat tordici badłe, nelle quali religiosi e rë ligiose avevano comune il letto, non  veramente pel godimento della carne,  ma affine di fortificarsi contro la tenta zione, sfidandola nel suo maggior pe ricolo. Dicesi che anche il beato d' A brissel sen' giaceva colla donna sua, a  somiglianza di S. Adelmo, che già nel  VII secolo, aveva dato l'esempio dei  condormienti. Ma ch'egli alla sua gui sa si serbasse casto, è cosa che dico no li apologisti suoi, ma che pochi  credono. (Vedi Bayle. art. Fronte vrand).  Ma vediamo che cosa scrivesse il  Petrarca della Chiesa di Roma, là do v'era partito l'impulso alla promul gazione della legge obbligatoria sul  celibato. « In questo regno di avari zianon si fa conto di nulla, purchè  si faccia denaro... L'amore per verità  è dichiarato pazzia, la pudicizia è una  vergogna grandissima; la licenza al  contrario è stimata grandezza d' ani mo, in guisa che si reputa più glorio so chi ha sorpassato gli altri in vizi;  echi di grazia non sorriderebbe di sde gno nel vedere que' fanciulli decrepiti  (prelati e cardinali) co' loro capelli  bianchi, coperti di ricchissime cappe  sotto le quali nascondono una impu denza ed una lascivia che supera ogni  imaginazione?... Satana vede tali cose  e ride; e nel suo tripudio siede arbi tro fra que' vecchi e le giovinette....  lascio da parte gli stupri, i ratti, gl'in cesti, gli adulteri, che sono giuochi  per la lascivia pontificale. Non dirò  nulla de' mariti delle doune rapite, i  quali, non solo sono cacciati dalla lo ro casa,ma banditi anche dalla patria:  non dirò che molti di essi sono forzati  di riprendere le loro mogli quando  portano nel loro seno il frutto de'de litti dei prelati: e restituirle allorchè  sono sgravate; e così continuare fino  a che l'impudico prelato non è pie namente sazio o disgustato. E il po polo tutto vede tali cose e tace, inti morito ma /orribilmente sdegnato. »  (Petrarca Lettere sine titulo. Basilea  1496, Lett. 20).  Nel 1401 Nicola diClemanges, oCle mangis arcidiacono di Bajeux e retto re della facoltà teologica di Parigi, in  un opuscolo intitolato: De corruptioEc clesiae statu, così parla: « Passo sotto  silenziole intercessioni simoniache pres so il papa, i patrocini venali e più al tre infamie di cui i cardinali sono au tori o consiglieri.... Taccio altresì i  loro adulteri, i loro stupri, le loro for nicazioni con le quali anche adesso in cestuano la romana Curia; come an che l'oscenissima vita dei loro fami gliari, i cui costumi in nulla differi scono da quelli dei loro padroni ».  Non altrimenti parla dei canonici  "  che qualifica ubbriaconi incontinenti,  i quali non si vergognano di far pom padi una prole meretricio susceptam,  e di tenersi in casa scortu vice con iugum, clie passano il tempo in cian cie ebuffonerie, studiosi soltanto della  gola e del ventre edi carnali dissolu tezze, nelle quali fanno consistere la  loro felicità ut porci Epicuri ». E par lando delle monache, aggiunge, che  vergognasi di dir le infamie che suc cedono nei monasteri, i quali non so no santuari di Dio, ma Veneris eace CELIBATO ECCLESIASTICO  cranda postribula; luoghi di lascivie e  di impudicizie, ondechè, dice ancora,  dar il velo ad unafanciulla è lo stes cinte  ...  149  L'originale della relazione di  cotesta visita è perduto ; ma ' autore  ne ha veduto un estratto, nel quale i  so che esporla pubblicamente.  Anche Santa Brigida, nelle sue ri velazioni, si fa dire da Gesù Cristo che   E il professore con chiude, che la prima supposizione sol tanto è vera, non potendosi negare che  la formazione della cellula non debba  attribuirsi all'attività stessa dei suoi ele menti.  Celso. Filosofo pagano che visse  nel secondo secolo, ed è conosciuto  come unodei più famosioppositori del  cristianesimo, Nessuno dei suoi scritti  ci è pervenuto, e della sua vita edot trina nulla sappiamo di preciso, fuor chè quel tanto che ne dice un dei pa dri della Chiesa, Origene; il quale nel  suo trattato Contro Celso, mentre com batte quest' incredulo, quà e là ne ri porta le parole e ne rivela in parte le  opinioni. Da questo padre sappiamo  che Celso, ben lungi di riconosce la  miracolosa nascita di Gesù, lo dice fi glio di connubio illecito; sorride della  pretesa dei cristiani di diffondere per  tutto il mondo laloro dottrina; e quanto  ai miracoli di Gesù dice che i soli suoi  discepoli li avevano visti e li esagera vano oltremisura. Ilpoco che avevafatto  dovevalo, diceva Celso,alle arti magi che che aveva apprese, e per le quali  Gesù era salito in tanta superbia per  farsi credere un Dio, mentrechè poi  tanti altri impostori avevano fatto mi stato veduto che da una donna e da  pochi discepoli, i quali, o avevano so gnato o non veduto che un fantasma,  quando pure non avevano narrata una  favola. Se Cristo era risuscitato doveva  mostarsi a'suoi nemici,a'suoi giudici, a  tutto il mondo: meglio ancora, avrebbe  dovuto non lasciarsi porre sulla croce,  o posto che vi fosse, discenderne da sé  solo in presenza de' suoi carnefici.  Cena. Il secondo ed ultimo sacra mento delle Chiese riformate, che lo  celebrano in commemorazione della ce na di Gesù. I cattolici la distinguono  dall' Eucaristia, perciò che questa con siste essenzialmente nell' atto e nelle  parole colle quali essi pretendono che  Gesù abbia trasformato il pane e il  vino nel suo corpo e nel suo sangue.  (Vedi EUCARISTIA. )  Cenestesi.Dalgreco: comune fa coltà di sentire. Così chiamasi quel  vago sentimento della nostra esistenza,  che noi abbiamo, o piuttosto che pre tendiamo di avere, indipendentemente  dai sensi, e che certi fisiologi dell' an tica scuola hanno voluto trasformare  in un sesto senso, il senso dell' esi stenza, o cenestesia. La Cenestesi è dun que sinonimo di appercezione e di co scienza, e in quest' ultimo articolo esa mineremo qual fondamento abbia la  pretesa coscienza dell' io indipenden temente dai sensi.  Cerdone. Poco si conosce della  vita di questo eresiarca. Credesi che  fosse di origine siriaca, perchè S. Epi fanio disse che egli dalla Siria passò a  Roma, e ilBarattieri suppone nella sua  cronologia che ciò sia avvenuto nel l'anno 120. Adottando le dottrine de monologiche di quei tempi, egli accettò  e compi il sistema teogonico di Simone  e di Saturnino. Ma mentre questi due  eresiarchi facevano discendere il mon 151  CERTEZZA  do dagli spiriti creati dall' Essere su premo, Cerdone cercò di evitare lo sco glio in cui cadde l'unitarismo, di far  derivare il bene e il male dallo stesso  principio. E foss'egli della Siria o vi  avesse soggiornato, certo è che essen do ai confini della Persia non po teva ignorare il dualismo di Zoroastro;  e fu questo infatti che spiegò nel suo  sistema. Suppose egli dunque che vi  fossero due principii indipendenti l'un  dall' altro, dall'un dei quali ogni bene  derivava; e tutti i maliimputava all'altro.  Opera dell' ente buono erano gli spiriti  capaci diprovar piacere; del malvagio  erano i corpi che ci affliggono in mille  modi; supposizione, per verità, contrad ditoria, perocchè se Cerdone attribuiva  al corpo le sensazioni dolorose, al corpo  pure doveva riferire quelle di piacere.  Però, da questa singolar distinzione  Cerdone fuindotto ad un'altra singola rissima conseguenza, poichè al malva gio spirito attribul tutta la legge degli  ebrei piena di minuziose e difficili e pe nose pratiche, edEssere malvagio chia inò ' Jehovah, che ordinava al popolo  eletto continue guerre e stragi e perla  bocca d' Isaia diceva: Io son quello che  creò il male. Laleggedi dolcezza e di  rassegnazione dei cristiani parve inve ce a Cerdone il segno del buon prin cipio; però non ammetteva che il fi gliuolo di questo buon ente fosse di sceso sulla terra per patire e soffrire  e per essere messo a morte dagli uo mini, poichè queste cose sono contra rie alla bontà di Dio, il quale tanta  crudeltà non avrebbe tollerata. Se dun que Cerdone rigettava a buon diritto  tutto il vecchio testamento, nemmeno  il nuovo accettava per intero; ma il  solo vangelo di S. Luca ammetteva e  ebbe fama anche maggiore del mae stro. (Vedi MARCIONE).  Cerinto. Giudeo d'Antiochia con temporaneo degli apostoli. Riconosceva  un essere supremo creatore degli spi riti con differenti gradi di perfezione, e  dagli spiriti faceva derivare il mondo.  Non ammetteva che il figliuol di Dio  fosse nato da una vergine, ma ricono sceva che Gesù aveva fatto dei mira coli ingraziadello spirito di Dio, il qua le era disceso sopra di lui per illumi narlo.  Certezza. Tre sorta di certezze  distingue la filosofia: 1. La certezza  matematica; 2. La certezza fisica; e 3.  La certezza morale. Una quarta certez za vi aggiungono i metafisici e la pon gono prima d' ogni altra, ed è la cer tezza metafisica, ossia l'intimo convin cimento che noi abbiamo delle cose  sovranaturali,la quale più propriamente  dovrebbe spettare alla pura fede.  Quando un giudizio nel suo contra rio importa contraddizione, dicesi ma tematicamente certo, imperocchè una  cosa che è non può non essere, e ciò  che non è,nonpuò essere; il che torna  adire che una cosa non puo essere e  non essere al tempo stesso. Or questo  carattere é proprio di tutti gli assiomi  e teoremi della matématica, i quali, sot to rapporti più o meno complicati, ven gono tutti a dire, che quando ad una  quantità se ne aggiunge un'altra, quel la s'accresce in proporzione, e dimi nuisce invece se le si toglie una parte. 1 + 1 =2;oppure 2 1= 1. Mala  certezza matematica non è propria sol tanto delle cifre,imperocchè la si espri neppur questo in ogni parte. Dicesi  che Cerdone, abiurati i suoi errori,  tornasse in seno alla Chiesa, per poi  allontanarsene ancora; ma quando e di  qual morte morisse non è certo. Lascið  nua setta piuttosto numerosa, guidata  da un de' suoi discepoli, Marcione, che  ma o in cifre o in lettere o in formo le algebriche o col ragionamento, non  muta per questo il suo carattere logi co e rimane sempre eguale. L' eviden za di questa certezza si fonda sempre  sul principio di identità o di relazione  che noi supponiamo assoluti, mentre  invece non sono che relativi ai nostri  mezzi di percezione.Ecco perchè puossi  a buon diritto negare che, nonostante CERTEZZA  la sua apparente evidenza, esista asso luta certezza matematica. Infatti, nel  concetto di relazione io posso ben dire  che due quantità eguali ad una terza  sono eziandio eguali fra di loro; ma  questo assioma matematico non è vero  se non in quanto io lo concepisco a strattamente , non ' applico, cioè, a  nessuna cosa reale; e tosto che io lo  155  può darmi una assoluta certezza, giac chè se io concepisco un angolo e men talmente ne prolungo i lati nello spa zio, ragion vuole ch'io supponga che  questi lati vanno fra loro allontanan dosi all' infinito, e che nondimeno in  ogni punto dell'infinito l'angolo non  faccio uscire dall'astrazione per entra re nell' ordine della realtà, la certezza  scompare e in nessun caso io posso  verificarla. Imperocchè non si danno  nella natura corpi eguali assolutamen te, ma appena simili nelle più grosso lane apparenze. Un'oncia d'oro può  essere eguale a un'altra oncia d'oro  in quanto io faccia astrazione dalla for ma, dal calore, dal sapore, dal suono,  e dall' aggregazione molecolare, anzi  ancora in quanto io faccia astrazione  del peso stesso, poichè qual bilancia  potrebbe darmi la sicurezza di non a vere errato nemmeno nella millesima  parte di un gramma? E se la bilancia  mi può dare la millesima parte di un  gramma,sono io sicuro che essami possa  accertare di una diecimillesima, di una  centomillesima, o di una millionesima  parte di un gramma? Del pari,possono  i miei occhi accertarmi della iden tità del colore, della forma edell' ag gregazione molecolare ? Una sola mo lecola diversamente aggregata, puó  cambiarne ladensità e il volume, e il  colore e il suono, quantunque tutte  queste proprietà sembrino eguali ai no stri organi atti a percepire soltanto le  più grossolané parvenze. Quando adun que io dico, che un metro è eguale a  un' altro metro, o che una moneta è  eguale a un' altra moneta, non posso  avere la certezza che questa eguaglian za sia assoluta, ma esprimo soltanto  una certezza relativa ai mieisensi e al  mio modo di vedere. Un'altro essere  che avesse sensi più fini e delicati dei  nostri, vedrebbe forse la diseguaglianza  nelle cose che noi diciamo eguali. Ma  nemmeno astrattamente la matematica  aumenta nè diminuisce il numero dei  suoi gradi. Qui dunque abbiamo due  sorta di contraddizioni fra l'astrazione  e l'esperienza; perciocchè sperimen talmente non possiamo concepire come  due linee unite a un punto, allonta nandosi sempre fra di loro, non fini scano per congiungersi al lato op posto: nè tampoco possiamo conce pire come lo spazio contenuto nei due  lati, il quale potendo allargarsi e pro lungarsi all' infinito, deve necessaria mente ritenersi infinito, non compren da però tutto l'infinito. Ilche implica  contraddizione, poichè noi non possia mo concepire la contemporanea esi stenza di due quantità infinite, come  non si può concepire inqual guisa un  corpo finito sia divisibile all' infinito.  Queste antinomie della logica la mate matica non spiega, per la ragion chia rissima ch'essa è una scienza mera mente relativa alle parti, alle quantità  finite, epperò male argomenta chi la  chiama scienza assoluta.  Se non è assoluta la certezza ma tematica, a miglior titolo dovremo dire  relativa ogni certezza fisica, la qual  desumesi da varie cognizioni che mol te e molte volte abbiamo trovato che  riposavano sull'errore. Che una tigre  non partorisca agnelli, che i corpi spe cificamente più pesanti precipitino al  fondo dei liquidi nei quali sono immer si, e che la terra giri intorno al sole,  sono verità di certezza fisica inconte stabile; ma niuno penserà ch'esse sia no di certezza assoluta; imperocchè  troppo spesso ci troveremmo nella ne cessità di correggere questo assoluto,  che diventerebbe molto e anzi sover chiamente relativo. Nella scienza sol  gl ignoranti dommatizzano assoluta 156  CERTEZZA  mente; ma gli uomini civili e colti du bitano sempre con discrezione, ammae strati come sono dalla dolorosa espe rienza del passato.  La certezza morale quella è, infi ne, che altrimenti chiamasi certezza  storica, la quale essenzialmente riposa  sulla testimonianza e sull' autorità di  uomini competenti (V. AUTORITÀ). Già  s'intende che questa certezza non ha  nulla di assoluto, ed anzi più pro priamente dovrebbe dirsi massima pro babilità, avvegnachè sia molto proba bile che gli storici dicano sempre il  vero, ma non sia altrettanto certo.  In buona filosofia vuolsi distingue re la certezza dalla verità; imperoc chè la prima è la coscienza subbiet tiva che ha ogniuomo, che la tale o  tall altra cosa sia vera , mentre la  verità può anche essere puramente  obbiettiva, senza giungere nella no stra mente al grado di certezza, E in  questo senso può dirsi, che vi sono  molte certezze non vere, come vi sono  molte verità non certe. Infatti il con fondere, come molti fanno, la certezza  colla verità, è error massiccio, impe rocchè altro è il credere che una cosa  sia vera, altro è che essa lo sia,effet tivamente. E per quanto grande sia la  nostra convinzione di aver raggiunta  la verità essa non toglie che i secoli  e le nuovescoperte distruggano molte  certezze e scoprano l'errore laddove  prima non vedevasi che verità.  giosi o metafisici è verità di cui noi  siamo o possiamo essere assolutamen te certi. Ben giova distinguere però  fra gli scettici parecchie gradazioni;  imperocchè non tutti affermano riso lutamente che certezza non vi sia, ma  ipiù riconoscono che questa certezza  è puramente relativa ai nostri mezzi  di percezione, e in ogni caso, se non  é tutta, è certamente parte della verità,  o per lo meno rappresenta tutto quel  tanto della verità che a noi è dato di  percepire. Un eguale principio era  quello che guidava gli stoici antichi  all' affermazione del loro dommatismo;  imperocchè fondandosi sulla stessa te stimonianza di Zenone essi dicevano  che ogni percezione chiara e distinta  risultando esattamente conforme alla  cosa percepita, deve tenersi come un  segno della verità, essendovi uno stretto  enecessario legame tra la cosa perce pita e la percezione che si riceve. Non  consideravano però che,per confessio ne dello stesso Zenone, può aversi o  creder di avere una percezione chiara  e distinta di una cosa che in realtà  non esiste, o che esiste diversamente  da quello che si percepisce;poichè, ad  esempio, color che sognano hanno  spesso percezioni chiarissime sulle qua li talora stanno dubbiosi se siano sta te percepite allo stato di sonno oppur  di veglia; chiarissimamente percepisce  il dolore nel membro che gli manca  colui al quale fu amputato un brac Egli è dunque di capitale momen- cio o una gamba, e noi tutti chiaris to nella filosofia, il sapere se esista simamente vediamo piegato il remo  per l'uomo una assoluta certezza, e nell' acqua sebben sia dritto. Vi sono  quale ne sia il fondamento. Ma su dunque delle false evidenze, le quali  questo proposito la filosofia si scinde ci possono trarre in inganno; per la  in due grandi scuole: quelladello scet- qual cosa Protagora, al dir di Cicerone,  ticismo, e quella del dommatismo. limitavasi a dichiarare, che ciascuno  Nega la prima che esista una certezza deve considerar come vero ciò che ver  assoluta per l'uomo e che l'uomo gli sembra. Il qual principio se può es possa credere di averla raggiunta; la sere un discreto accomodamento per la  seconda invece afferma il principio op- tranquillità della nostra mente, essere  posto e confessa che la cognizione non può unsicuro fondamentodella cer che noi abbiamo diDio, della spiritua- tezza. Meglio ragionava Epicuro quan lità dell' anima e d'altri dommi reli- | do egli giudicava nulla esservi di vero CERTEZZA  oltre le immagini sensibili delle cose,  che ci si rappresentano siccome vere, e  peggio dicevano i platonici quando, a  togliere ogni autorità ai sensi, toglieva no alle percezioni ogni criterio di cer tezza, e dicevano non esservi certezza  che nelle cose propriamente intellettuali,  che sono di giurisdizione del sentimento;  imperocchè per questi filosofi nello spi rito trovansi iconcepimenti veri, sempli ci, astratti, costanti esprimenti la vera  natura delle cose sensibili; e per conse 157  qual cosa hanno mai conosciuto di certo  sulla questione capitale della formazione  degli esseri e dell'origine del mondo ?  Non èforse vero che su questo soggetto  vi sono ancora tra i più grandi uomini  tante contraddizioni di sistemi, tanta di scordia di opinioni da non sapere a che  appigliarsi ?.... Ma con qual coraggio e  per qual fondamento potremo attenerci  all'opinione di un solo di questi filosofi  e rigettare e condannare i sentimenti di  tutti gli altri, il cui numero è si gran guenza lo spirito solo è il giudice le gittimodel vero. Né tal trasposizione nel l'ordine di giudicare può recarci mera viglia da parte dei platonici. Non era  forse Platone gran fautore delle idee  innate, idee archetipe di tutte le cose,  che il nostro spirito deve precontenere  prima ancora di nascere al mondo ? (V.  IDEE INNATE). Questa dottrina supponeva  appunto che iconcetti iquali ci formia mo delle cose già esistono in noi allo  stato latente, prima ancora chenoi per cepiamo alcuna cosa col mezzo dei sen si. La quale sciocchissima dottrina pa reva a Platone tanto certa, che egli se  n' era fatto adoratore e credeva di scor gervi alcun che di divino. Ma Aristotile  non veggendovi altro che un sogno, un  delirio umano, si pose a combatterla e  la ridusse al nulla.  AncheCicerone, nel secondo libro delle  Questioni Accademiche, appoggiandosi  all' autorità dello scetticismo della scuola  accademica e specialmente di Carneade,  che per ultimo lariformò, combattè ad  oltranza il dommatismo degli avversari.  >>>  (Locke. Saggio libro III. Cap. 4) Qui  Locke parteggia evidentemente, e assai  poco logicamente pel dommatismo idea listico; distrugge, cioè, le idee innate,  e crea gli archepiti; ma subitodopo ri cade nello scetticismo intorno all' idee  delle sostanze, le quali non siamo certi  che corrispondano esattamentealla realtà.  Ecco le sue proprie parole:   (I nervi e la vita, p. 30). Del pari una  troppo abbondante copia di sanguepro duce eccitazione soverchia e follia, on d'è che il dott. Parry giunse a far ces sare gli eccessi di follia comprimendo la  vena giugolare, e Flaming applicando  invece lo stesso trattamento ai sani pro dusse il sonno, con sogni febbrosi (Ri vista Britann. Aprile 1855). Anche una  corrente elettrica mandata attraverso al  cervello, per solito, produce il sonno,  causa la contrazione dei vasi sanguigni,  eccitati dalla elettricità. I quali fatti  tutti ci spiegano il perchè, le persone di  temperamento sanguigno e quelle che  hanno il collo corto, per solito, siano  più appassionate e focose delle altre,  nelle quali o il sangue non abbondante  oil collo lungo non consentono a que sto liquido vivificatore di eccitare so verchiamente il centro nervoso.  Ai piccioni possono recidersi in tutto  o in parte i lobi cerebrali senza annul lare le funzioni della vita animale. An nullasi invece ' intelligenza, e le bestie  così operate perdono la facoltà di cer care gli alimenti e di cibarsi, onde ri mangonsi immobili, come assonnate e  imbecillite. Le funzioni della respira zione e della circolazione continuano non  menche quella della digestione; gli or gani della vita animale assorbono e se cretano tuttavia; ma l' organo del pen siero essendo distrutto, distrutte son pu re in loro e la volontà e le tendenze, e  quelli che con nome impropriosi dicono  istinti. Ma se l'animale vien nutrito ar tificialmente, il cervello si riproduce ta lora a poco a poco, e col cervello rina scono le sensazioni e l'intelligenza. Questo  esperimento ilBernard ha chiamato rein tegrazione per rigenerazione organica.  Ma il Flourens prima di lui aveva già  osservato che le galline alle quali veniva  asportato il cervello perdonotutti gl'istin ti; e quellafula primaprova della stretta e  inseparabile relazione che esiste tra l'azio nedelcervelloe laproduzionedelpensiero.  Questa stessa relazione rivelasi con  non minore evidenza nell' anatomiacom parata, imperocchè confrontando fra di  loro i cervelli delle varie specie animali,  acquistasi laconvinzione che quelle spe cie soltanto hanno più grande intelli genza, le quali sono dotate dei mag giori cervelli. Non ricerchisi nel pesce le  forme complesse del ragionamento: lad dove appenasi trovano i primi rudimenti  del cerebro è già segno di grande intel ligenza il riunirsi, come fanno i carpio ni, al suono del campanelloper ricevere  il nutrimento. Negli uccelli vi è progres sione d' intelligenza, e nei mammiferi  ancora maggiore. Ma i mammiferi più  bassi mancano di circonvoluzioni cere brali: esse appariscono nei pachidermi,  sono più grandi nei carnivori, più gran di ancora nelle scimmie e nell'uomo.  >  Dopo avere invano sollecitato dal  ministro Guizot l'instituzione di una  cattedra di storia generale delle scien ze fisiche e matematiche, nel 1842 ot tenne il posto di esaminatore e sup plente alla scuola Politecnica, che per dette poi per alcuni violenti attacchi  contro Arago. Contro Stuart Mill che  aveva aderito pienamente al positivi smo, Comte ebbe nel 1843 una pro fonda divergenza a proposito della con 172  CONCETTO  dizione della donna, alla quale egli  contesta ogni eguaglianza con l'uomo,  e dichiara intellettualmente inferiore,  mentre poi più tardi vorrà emanciparla  dall'uomo anche nel processo delia fe condazione.  Il signor Littrė pone all'anno 1845  il secondo periodo della vitadi Comte;  e il suo retrocedere alla teologia e al  metodo subbiettivo vuol far coincidere  con una nuova crisi cerebrale. Mabi sogna convenire, checchè si dica in  contrario, che una assoluta coerenza  non pare che siamai stato il retaggio  di questo filosofo, e che questo secon do periodo non presenta altri caratte ri che latendenza a simboleggiare gli  enti naturali e a costituire una nuova  religione avente perbase l'adorazione  della natura e della umanità. Cadono  dunque in questo secondo periodo della  vita di Comte la sua Politica Positiva,  tori, li incarica di conservare il suo  appartamento tal quale, acciò serva  nientemeno che al Culto dell'umanità;  di dare unapensione alla sua dome stica, a cui dovevano passare in pieno  possesso tutti gli averi suoi, salvo la  mobilia e la biblioteca, e di pagare  infine i suoi debiti, che ascendevano a  circa 10,000 lire, e pei quali non rima neva naturalmente alcun fondo dispo nibile, dal momento che Comte dispo neva altrimenti dei suoi averi. Quan tunque il testamento fosse annullato  dai tribunali, il suo appartamento fu,  com' era desiderio del maestro, conser vato al culto dei suoi discepoli, i quali  anche oggidi, sebbene innumero scar sissimo, si radunano in quel luogo per  celebrarvi il « culto dell'umanità ». La  dottrina filosofica di Comte sarà espo sta all'articolo POSITIVISMO,  Concetto. Secondo la filosofia di  danon confondersi con quellagiàpub- Kant sono idee i soli principii assoluti  blicata nel Catechismo di Saint-Simon; della pura ragione, e intuizioni le per la Sintesi subbiettiva; il Catechismo Po- percezioni dei sensi. Ma vi sono idee che  sitivista, o sommaria esposizione della  religione universale; la fondazione della  Società Positivista compiuta nel 1848;  e la costituzione definitiva dela Reli gione dell' umanità di cui egli si era  costituito gran prete e il cui tempio,  per il momento, fu la tombadiMada ma di Vaux, per la quale egli aveva  concepita una viva passione fin dal  1845. Negli ultimi tempi dellasuavita,  contrariamente ai più elementari pre cetti del positivismo, Comte si votava  volontariamente ad una astinenza as surda: trattavasi sempre con gli stessi  cibi, si inibiva il vino, il caffè, e tutti  itonici,credendo di prolungare i pro prii giorni, ma nonriuscì ad altro che  a dimagrarsi straordinariamente e a  produrre un cancro del tubo digestivo,  che lo trasse alla tomba il 5 settembre  del 1857. Abituato a dirigere i suoi di scepoli senza pur discutere o ad essi  spiegare le sue idee; egli non fumeno  assoluto e meno ingiusto nel suo te stamento, nel quale nomina 13 esecu non sono nè pure sensazioni, nè principii  assoluti; e questi Kant chiamò concetti,  (begreifen),edivise intreserie: 1º Concetti  puri, che nulla attingono all'esperienza;  2º Concetti empirici che interamente ri posano sulla esperienza ; e 3º Concetti  misti, composti dall'esperienza e dall'in telletto. Appena è necessario accennare  quanto sia arbitraria una tale divisione,  inquantochè non esiste una sola idea, sia  pur essa oscura o chiara, la quale non  sia innanzi tratto percepita coll' espe rienza. Le idee di causa, di tempo e di  spazio che Kant pone traiconcetti puri  sono anch'esse acquistate col mezzo dei  sensi. (Vedi IDEE INNATE )  Tra noi, filologicamente, concetto è  meno generaledi idea eval più di perce zione, laquale è la primaimpressione che  l'intelligenza riceve dagli oggetti esterni .  Ma l'impressione non basta a produrre  il concetto, il quale suppone una ulte riore operazione dell'intelletto per com prenderla e rischiararla. Chiunque sia  dotato d'orecchi può avere Fimpressione  1 CONCILIO  del suono; ma a niuno è dato di avere  ungiusto concetto del suono, se non sa  che esso risulta da undeterminato nu mero di vibrazioni dell'aria, che stanno  inuncerto rapporto con la natura e la  intensità dei suoni.  173  che l'aveva generata, rinnoverà la mede sima sottigliezza, distinguendo una cer tezza subbiettiva puramente ontologica,  la qual s'ignora se corrisponda alla re altà delle cose che sonofuori di noi. (V.  CRITICISMO)  Concettualismo. Nomedato ad  una cotal sorta di filosofia-teologica del di MARIA VERGINE.  medio evo, laquale tenevail posto medio  fra le altredue scuole opposte: il nomi nalismo e il realismo. (vedi questi nomi).  Reputasi cheAbelardo siail fondatore di  questa scuolache il Cousin dimostrò dis sentire dal nominalismo soltanto per  una questione di parole. Disputavasi al lora fra realisti e nominalisti per sapere  se gli universali, ossia i concepimenti  empirici, generali, astratti, siano cose  reali oppur semplici nomi inventati dal  nostro intelletto per avere una ordi nata classificazione delle idee; e i primi  sostenevano la realtà obbiettivadi questi  concepimenti, mentre i nominalisti, per  la bocca del loro maestro Roscelino,  stando per l'opposto partito, tutti gliuni versali riducevano asemplici nomi sprov visti d'ogni senso. Un sol discepolo di  Roscelino, Abelardo, ribellossi alla teoria  del maestro, e spinto forse dalla sma nia di distinguersi, e di dare il suo  nome ad unanuova scuola, fra i conten Concezione immacolata.Ve Concilio. Il Bergier così definisce  il concilio: >(Bos suet. Storia delle Variaz. lib. VII. 24).  Nei primi secoli della Chiesa, la confes sione era essenzialmente pubblica, e fa cevasi ad alta voce da tutti i fedeli  nella Chiesa, come oggidì ancora si suol  fare fra gli anglicani. Ma inquei tempi  doveva ciascuno le sue colpe, anche più  segrete e scandalose, rivelare alla Chiesa  da Dio il suo perdono. Questa obbliga zione fu però mitigata in processo di  tempo, acciocchè la confessionepubblica  rende testimonianza dell'abolizione di tale  confessione, e ne vanta la saviezza con  queste parole: >>  (Omelia 30)E nell'Omelia28, spiegando  le paroledall'Apostolo   La fantasia dicostoro nonrisparmia  ipotesi alcuna.  >  Burchard ci insegna anche come le  donne venissero interrogate.  >  scono  Ma ecco altri orrori ad un tempo  vergognosi e ridicoli, perchè si riferi a sortilegi femminili?  >  Aquesto punto lo schifo mi farebbe  cader di mano la penua. Per buona  sorte le mie citazioni non andranno più  oltre su queste materie infami. Ma che  scuola, che teologi son quelli del medio  evo ! Sì, e questa scuola fu in onore  per più di cinque secoli. CONFESSIONE V'ho citato il vescovo di Worms  edovete ben argomentare che deplo rabili effetti l'auricolar confessione pra ticatacon questo metodo dovea produr re sui costumi.  183  se questi pensieri o questi piaceri non  l'indussero aqualche azione disonesta;  se confessa averne commessa qualcu na gli domanderà che azion fosse, e di  che modo e con chi la commise. Devesi  Per rimaner sempre nel vero e non  riferire che testimonianze di incontra stabile autorità nella Chiesa, citerò la  Somma angelica (Summa angelica) del  reverendissimo padre frate Angelo Cla vasio dell'ordine dei frati minori, morto  nel 1495. Il libro di questo religioso,  vero manuale del clero secolare, specie  di teologia in succinto, fu stampato  almeno unaventina di voltenel secolo  XV. L'ediziou principe comparve a Ve nezia in 4.º nel 1476. L'articolo prin cipale di questo famoso libro ha per  titolo : Interrogationes in confessione,  dove vengono in scena icasi gravi che  già abbiamo veduto, e che non mi par  verodiommettere.Ma già si capisce che  il nostro gran teologo non intende che  si risparmino anche sur un solo le in terrogazioni de opere luxuriæ.  Un libro dello stesso genere maad  uso moderno è la Mechialogia,trattato  dei peccati contro il sesto e nono coman damento, e di tutte le questioni matri moniali che vi si riferiscono, del reve rendo padre Debreyne, prete e religioso  dellaGranTappa,dove ilreverendotrap pista incomincia il suo lavoro dicen do: « Terrem dietro alla umanitànella  via fangosa delturpevizio della carne»  Tale era lavocazione del padre De breyne nel chiostro; ed eccone il suo  metodo:  >  >  Domandasi se chi mostra tanta pe rizia nell'arte dell'impurità, possa egli  stesso esser puro, se il sacerdote co stretto a passare il suo tempo sopra  questi casi di oscenità, alcuni dei quali  sono anche impossibili, non finiscano  col perdere fin la coscienza del loro  pudore. E dato che frammezzo a tante  sozzure abbiano potuto passare imma culati, domandasi se giovani sacerdoti  nei quali già i stimoli della natura  protestano contro il voto di castità, po tranno senza pericolo e senza pena,  udire in confessione gli accenti di una  francesi han ragione di così scrivere, poi chè il loro e avendo suono diverso, pro nunciasi press'a poco come la nostra Z  ( Confus). In cinese Khoung-fou-tseu.  Nacque nel villaggio di Chang-pingnella  Cina, 551 anniprima diG. C. L'infanzia di  questo filosofo di fama mondiale, come  quella di tutti i grandi uomini dell'an tichità, si perde fra le innumerevoli fa vole colle quali i suoi biografi la vollero  illustrare . A 20 anni fu eletto primo  ministro del regno di Lou, suo paese  natale, ebbe la sopraintendenza dei grani  e delle bestie, la qual carica abbandonò  dopo non molti anni, ondeviaggiare nei  piccoli regni nei quali laCina era allora  giovindonzella che confessalesue col-| divisa. Vogliono alcuni che questo suo  pe, se potranno senza tremito della voce  e convulsione delle labbra, interrogare  le penitenti sulle circostanze di fatto e  di tempo che accompagnarono la con viaggio avesse lo scopo di condurlo a  Laotseu, altro filosofo suo contemporaneo;  altri invece gli attribuiscono il pensiero  di riunire in un solo stato le varie  sumazione del peccato. Quali orrende  torture per un'anima condannata a non  mai provare le dolcezze dell'amore ! E  quantipericoli per un uomo obbligato  a strappare dalle pudiche labbra di una  leggiadra giovanetta una confessione di  debolezza! Bendiceva S. Tommaso, che  certo avràprovate molte di queste ten tazioni: « Le anime dedite alla pietà,  sulle prime non accorgonsi di questo  processo, poichè il demonio guardasi  bene dal lanciare da principio strali  avvelenati, ma usa dardi che lievemente  pungono il cuore. Presto cessano i trat tenimenti angelici, e comportansi quali  esseri compaginati di carne. Avviene  uno scambio di sguardi fra loro, poi  s' indirizzano lusinghevoli accenti che  s'addentrano fino all'animo, e che pur  sembrano procedere dalla primiera de vozione; infine è reciproco il desiderio  di trovarsi insieme. In questo modo,  conchiude l'Angelodellascuola, la divo zione spirituale si converte in passione  sensuale. Quanti virtuosi preti diserta rono la religione e Dio stesso, vittime  di cotali affezioni originate dalla pietà ! >>  Confazio e non Confucio, corru zione del nome francese Confuce. Ma i  potenze della nazione. La mala riu scita dei suoi sforzi lo persuase ad ab bandonare il mondo; si ritrasse nella  solitudine con pochi fidi discepoli , e  spese il suo tempo a raccogliere e rive dere i King, libri sacri dei Cinesi, che  già fin d'allora si reputavano di una  grande antichità.  È oggetto di antica controversia il  sapere se Confuzio insegnasse l'esistenza  di un Dio; ma intorno a questo punto  sì grandi e numerose sono le testimo nianze che lo negano, che il manifestare  una contraria opinione sarebbe temerità.  Forse in gran parte devesi l' opposto av viso alla divulgazione dei libri Cinesi  fatta dai gesuiti, i quali, com'è noto, sì  bene s'insediarono nella corte di Pekino,  che ogni lor cura fu diretta a far ve dere agli attoniti Europei, quanto poco  dovessero alla lor coscienza ripugnare i  principii religiosi della Cina, traviati sì,  ma pur sempre derivati dall'eterna rive lazione di Mosè. Ma un celebre prelato,  il vescovo diConon, il quale non era ge suita, e che vivendo in quel paese era  in grado meglio d' ogni altro di com prendere lo spirito della religione cinese,  così nel 1699 esprimevasi intorno alle cre CONFUZIO  denze di questo filosofo:  ( Hist. de la Philosophie  Payenne T. I. p. 23)  Per quanto sia d'antica data questa  lunga citazione sulla filosofia di Confu zio, mi pare che imoderni studi abbiano  nulla rivelato, nulla aggiunto all' opi nione del vescovo di Conon. Quel che  riman certo si è, che per Confuzio e per  tutta quanta la filosofia Cinese, la po tenza è strettamente congiuntacon l'u niverso materiale, che sopra la terra vi  è il Cielo o Thien, e il Thien si con fonde conquel Sciang-ti che è sinonimodi  supremo imperatore, di sommo edi pa dre. Ma questapersonificazione del Cielo  nonhacarattere veramente filosofico: e i  filosofi speculativi della Cina tant'erano  Confuzio non solo era ateo, ma ch'egli  ha sì fortemente inspirato l' ateismo ai  suoi settatori, che mill' anni dopo non  se ne trovò pur uno che non fosse ateo  quanto il maestro. Tutti hanno letto | che pensar si dovesse dell' anima dopo  lontani di credere a una potenza perso nale superiore alla natura, ch' essi non  ebbero idea di pene o di ricompense  oltre la vita, e Confuzio stesso, richiesto  questo bel passo di Confuzio, e fratanti  fedeli adoratori della sua dottrina non  ve ne fu un solo il quale si avvedesse  cheinquelpasso e in tutti gli altri che  i gesuiti sogliono citare, non si parla  d'altro che di un cielo materiale, ch'essi  la morte, rispose che l' affermare o il  negare ch' ella fosse conscia di se era  cosa egualmente dubbia e pericolosa.  >>  da cui il giorno dopo accettò la ca rica di consigliere di Stato, durante i  cento gicrni ! Caduto Bonaparte fu ab bastanza fortunato per farsi cancellare  dalle listedi proscrizione. Rientrò quindi  nelle file dell'opposizione parlamentare  é si voto a tutti i partiti che potessero  un'opera intitolata: Della religione con siderata nella sua sorgente, nelle sue  forme e nel suo sviluppo (Parigi 1823)  dove a chiare note si vede quella conti nua indecisione, e quella doppiezza che  propriamente convengono al diplomatico,  non al filosofo. Nega alla religione ogni  carattere rivelato, ma si affretta a sog giungere, che la rivelazione è impressa  nel cuore. « L'uomo, dic'egli, non ha  d'uopo che di ascoltare se stesso e tut ta la natura che gli parla con mille  voci, per essere invincibilmente condotto  alla religione  Il principio della verità  non è nè il ragionamento, nè l'autorità,  ma il sentimento ». Di questi luoghi co muni di cui tanto abusano i poeti-filo sofi dei nostri tempi, son piene le opere  di Constant, il quale negando ogni au torità sacerdotale vuole che essa « non  possa tentare di inceppare, nè pure di  accelerare i miglioramenti portati alla  religione per gli sforzi della intelligen za ». L'uomo disdegna le magnificenze  delle cerimonie, esso non si occupa che  del culto dell'Essere Infinito.... Una per cezione indefinibile sembra rivelarci un  essere infinito, anima, creatore, essenza  del mondo, poco importando le denomi nazioni imperfette che ci servono per  designarlo ». Di leggieri si scorge quanto  fosse superficiale una filosofia che reg gevasi sopra fondamenti così poco defi niti e così ambigui. I chiaroscuri, la  pieghevolezza e la grazia delle frasi co stituiscono tutto il nerbo di cotesta  scuola effeminata, che parla al senti mento, non mai alla ragione. Questafi losofia che evita tutte le angolosità, che  piaggia tutta le scuole, e che le sue a spirazioni liberalilascia intravvedere come  radi lampi di luce attraverso a un infi nito numero di sentimentali reticenze, fu  con grandissimo successo adottata da  tutti gli uomini politici che ebbero va 188  CONTEMPLAZIONE E RIFLESSIONE  ghezza di acquistarsi fama di profondi  pensatori e di filosofi. Noi abbiam ve duto qual successo abbia avuto per Con stant, e sappiamo, qual fama immeritata  abbia dato a Vittor Hugo, Quinet, Maz zini, i quali (fatta la debita proporzione  tra la volubilità politica del primo e  l'onesta vita dei secondi) seguirono le  orme sue. Il fatto si è, che cotesto modo  di filosofare col sentimento, oltre che ap paga unbisogno delle deboli intelligen ze, le quali sono sempre il maggior nu mero, lascia insolute tutte le questioni,  degli uni ottiene il plauso, degli altri  evita l'odio ; il perchè tutti vi trovano  dentro alcuna cosa buona, e pei più esi genti non mancano frasi, che torturate  nella debita maniera, non possano essere  intese nel senso che ad ognuno piace  di leggervi dentro.  Penetrato dalla coscienza che l'uomo  politico deve piacere al maggior nume ro, e a nessuno dispiacere, Constant a busò di questo metodo, l' eccellenza del  quale pare a molti confermata dal suc cesso. « Il sentimento religioso è sempre  favorevole alla libertà » Tal è la sen tenza di Constant, il quale rende poi a  se stesso questa testimonianza, che « nes suno prima di lui non aveva contemplata  la religione sotto l'aspetto del sentimen to ». Per quanto poco intrepida fosse  cotesta filosofia, parve tuttavia al suo  autore ancor molto ardita, avvegnachè  in un libro postumo pubblicato da Mat ter nel 1833 col titolo : Politeismo ro Constant era vissuto in tempi che aper tamente smentivano siffatte conclusioni.  Egli aveva veduto l'incredulità degli en ciclopedisti precorrere la grande rivolu zione che doveva rovesciare l'antico feu dalismo e liberare gliuomini da un giogo  secolare; egli aveva ancor veduto spe gnersi questo fuoco di libertà sotto la  dominazione di Napoleone ristauratore  del cattolicismo, e con Luigi XVIII sta bilirsi l'assolutismo della santa alleanza.  Strana libertà era quella che portava il  risorgimento del fervore religioso!  Questo regresso era d'altronde atte so, avvegnachè già fin dal 1811 egli  scriveva al signorHochet: >>  (Nuovi saggi. Introd) Non si può ne gare che la spiegazione sia ingegnosa  e sottile e non debba mettere in grave  coscienza dell'io, ossia la coscienza che  noi abbiamo delnostro essere, sia con tinua, sempre viva e presente a se  imbarazzo i cultori della filosofia spe culativa. Quanto allascuola sensualista,  essa può facilmente rispondervi dicen do, che il nervo acustico percepisce  solo i suoni determinati da un certo  numero e da unacertaintensità di vi brazioni; oltre quel limite non vi è  percezione, ondechè se il nostro orecchio  sente il rumore di 100,000 onde, non  così può dirsi che senta il rumore di  ciascuna onda. Il movimento vibratorio  percepito è essenzialmente uno, cioè il  risultante dai movimenti parziali, sepa ratamente impotenti a produrre un'a zione sul nervo. Quindi giustamente si  può dire che i movimenti non avvertiti,  nemmen sono sentiti; imperocchè non  basta che le vibrazioni del suono o della  luce o di altro qualsiasi movimento si  comunichino a un nervo per essere  sentiti, occorre anche che il cervello,  organo centrale della percezione, age voli l'azione fisiologica di quel nervo,  e, per così dire, sidisponga a ricevere  la sensazione. Egli è perciò che chi è  stessa. Iu altre parole, domandasi se in  ogni istante della vitanoisappiamo di  esistere. E ben a ragione si fa questa  domanda, avvegnachésia indubitato, che  se la coscienza é, come si pretende, ilri sultato di un esseresemplice,uno,nondi visibile inparti, debba ognora agire, non  mai fermarsi, non ammettere divisibilità  di tempo né disensazione. Or gli spiri tualisti affermano che così avvenga, e lo  provanopure affermando che la coscien za dell'io è essenzialmente una eindivisi bile, onde tutte le sensazioni vanno a  riunirsi in un punto solo, il qualeha la  coscienza dell'essere. Or, dicono essi,  se questo punto centrale fosse mate riale dovrebbe essere esteso, ma ciò  che è esteso è composto di parti e non  può dareuna sensazione unica, non può  darci quel sentimento unitario per il  quale, nell'atto di percepire le cose e sterne,noi sappiamo di percepirle, e ac canto all'oggetto percetto abbiam sem pre il sentimento del soggetto che per cepisce. Per spiegare questo sentimento  che costituisce la coscienza, conviene COSCIENZA  ammettere che dietro agli organi mate riali della sensazione, vi è un substrato  spirituale, non esteso, non composto di  parti, il quale riunisce concentra in  un punto solo, in una sola unità, tutta  la varietà e la molteplicità delle sensa 197  Il Prof. Schiff ha bene e giustamente  risposto all'obbiezione di Lotze, il quale  afferma che noi sentiamo esistere in  noi stessi, una unità consciente delle  zioni, e produce infine quel sentimento  unitario che ci fa dire : io sento, io  penso.  Maperò è unavera astrazione degli  spiritualisti quella per la quale essi  credono che in noi esista veramente  quelsentimento misterioso, indipenden te dalla sensazione,che ci dàlacoscienza  dell'esser nostro. Glidealisti stessi della  scuola di Berkeley, e perfino Hegel  hanno dimostrato che l'io è un essere  puramente fenomenale, prodotto in noi  dalla sensazione e strettamente con la  sensazione congiunto; e che quando  dall'idea dell' io si toglie quella di sen sazione, più non ci resta che una vaga  idea astratta, senza determinazione, idea  che è identica collo zero assoluto. Non  so con qualfondamento ilProf. Schiff  nella sua Cenestesi abbia scritto che  questa negazione dell'io non rimane  senza opposizione,specialmente da parte  del materialismo. Il materialismo si ac corda anzı assai bene con la teoria sen sualistica, e non può quindi in nessuna  maniera consentire a separare la sen.  sazione dalla coscienza: esso sa troppo  bene che noi acquistiamo la coscienza  dell' essere allora soltanto che eserci tiamo i nostri sensi, tantochè sentire e  sapere di sentire sono per noidue fatti  contemporanei che si confondono in un  solo concetto. Laddove non vi è sensa zione non può nemmen esservi coscien za; sebbene possa esservi vita chimica  o vegetativa ; e questo fatto chiarisce  ancora il materialismo che la coscien za dell'io entra in noi per la porta  dei sensi. Il materialismo non poteva  dunque combattere Berkeley per avere  avanzata questa negazione, ma sì piut tosto ha combattuto il suo eccessivo  idealismo col quale negava alla materia  ogni realtà.  molteplici sensazioni che proviamo. Or  questa unità, questo punto dove con vengono e si uniscono tutte le sensa zioni per costituire l'unità dell' io, per  quanto si possa concepire piccolissimo,  èperò sempre esteso, e come tale può  essere rappresentato come costituito  di parti, come formato con faccette ed  angoli, ciascuno dei quali forma una  individualità separata. A menochè dun que questo punto non corrisponda a  quello ipotetico dei matematici, non  abbia, cioè, nessuna dimensione, noi  nonpotremo mairappresentarcelo come  il substrato per mezzo del quale si con centrano in una unità tutte le sensa zioni e si costituisce la coscienza del ' io.  A siffatta obbiezione di Lotze, si può  facilmente rispondere negando assolu tamente ogni substrato della materia,  la quale trova in se stessa il principio  della sua azione. Se l' io costituisce ve ramente una unità indivisibile, come  pretende Lotze, egli avrebbe ben ra gione di negare, che un punto mate riale qualsiasi possa essere il centro di  questa unitàconsciente; ma nella realtà  ifatti ben ci dimostrano che questa in divisibilità dell'io non è altro che una  idea metafisica non conforme al vero.  Chi è assorto in profonda meditazione  avverte appena il dolore che gli si ca giona se questo non è così grave per  poterlo distrarre.  Sol quando egli esce dalla preoccu pazione ricorda il dolore provato, e al lora soltanto riacquista l'idea dell' io,  che lo sentiva. Mentr'io sto esaminando  con interesse un fatto che può con durmi alla verità, non penso guari al  mio io; io sono per così dire fuori di  me, non penso che agli oggetti delle  mie ricerche, ed appena so se io esi sto. Se un vestito stretto alla vita mi  importuna, in quel momento il mio io 198  COSCIENZA  è rappresentato da quella parte del  corpo che sente l'impressione, dal ven tre o dal petto; se sono ferito penso  alla sola parte ferita ed è essa sola  che in quel dato momento rappresenta  il mio io; se mi metto iguanti il mio  io momentaneo è la mano, ecc. Dopo  un centesimo di minuto secondo la  mano potrà rammentarmi il braccio,  lavambraccio, le gambe,la testa, e in  fine generalizzare l'idea dell'io a tutto  il corpo. Ma questo fatto non è imme diato; è soltanto mediato, successivo e  interrotto da grandi lacune. Avviene  in questi casi come nella storia e in  tutte le associazioni di idee, che sicon nettono: la mia storia, può ricordarmi  quella del mio paese, questa la storia  così rapida che sfugge alla percezione  nostra, di guisachè scambiamo facilmente  la successione colla simultaneità.  >>  EPlinio ( Storia Nut. lib. I. Cap. 2 )  soggiunge: « Egli è da credere che il  mondo, e questo che con altro nome ci  è piaciuto di chiamar cielo,dal cui giro  tutte le cose son coperte, sia una divi nità eterna, che non deve mancare mai.  Egli è sacro, eterno, immenso, tutto nel  tutto, anzi egli è proprio il tutto finito,  e simile all' infinito. Non appartiene  certo agli uomini, nè cape nelle con getture dell' umana mente, il voler in vestigare le cose estrinseche di esso ».  Anche l'Antico Testamento si uni forma all' universale concetto della filo sofia pagana, perciocchè il primo versetto  della Genesi nel testo ebraico ha un  senso ben diverso da quello che gli è  attribuito dai traduttori e commentatori.  Laparola barà che si traduce per creare,  dice il Larroque, non significa produrre  dal nulla, ma nel concetto principale  esprime tagliare, colpire, ed offre i si guificati secondari di formare, produrre,  generare. Siffatta interpretazione che ri sponde al vero spirito della lingua e braica è d' altronde confermata dalla  Genesi stessa, laddove l'autore usando  la stessa, parola, dice che Dio formò  (bard) l'uomo. Ove questo vocabolo ve ramente esprimesse in questo caso il  senso di creare, implicherebbe contraddi zione. Anche la Sapienza, libro ebraico  inscritto nel canone dal Concilio 'di  Trento, insegnando che la mano di Dio  da informe materia ha creato il mondo  (XI, 18) prova che lo spirito della reli gione giudaicaammetteva l'ipotesi di un  caos primitivo.  Il nichilismo del cristianesimo trova  dunque il mondo poco preparato a rice vere la sua dottrina della creazione, e il  dualismo prevalente nelle prime eresie  cristiane con Ermogene, Saturnino e  Marcione ( vedi questi nomi ) rappresen tava lacoordinazione del nuovo domma  coll' antica filosofia. Tutti gli sforzi de gli antichi padri della Chiesa sono di retti a combattere cotesta risplendente  verità, che a loro pare errore. Lattanzio  contro Cicerone ( Instit. lib. II. c. 3 ).  Tertulliano contro Ermogene, Origene  contro Marcione affastellano argomenti  per distruggere il fondamento di questa  filosofia. Origene lo dice chiaro: il sen timento della eternità della materia di vide i pagani dai cristiani ( Omelia XIV );  prima d'ogni cosaegli vuol che si creda  a un Dio che tutto ha tratto dal nulla.  Sopra questo punto il cristianesimo non  transige e l'unanime consentiniento della  Chiesa si smarrisce in ogni altro domma,  ma in questo risplende. Gli antichi pa dri possono errare, smarrirsi, far l'ani ma eziandio materiale, (vedi ANIMA )ma  in questo si accordano, che tutto ciò  ch' esiste è tratto dal nulla. Dio solo è  il principio dell' esistenza, ed egli regna  nel cielo cristiano senza rivali. « Dio,  dice Tertulliano confutando il dualismo  di Ermogene, non avrebbe potuto ser virsi della materia nella sua qualità di  padrone del tutto. Dio è padrone del  tutto in quanto ha tutto creato, la ma teria come il rimanente; ma se Dio non CREAZIONE  avesse creato la materia, se la materia  fosse eternamente esistita come Dio ed  203  dimostrarela nullità di tutti i concepi menti umani intorno al principio delle  indipendentemente da Dio, egli non ne  sarebbe stato il padrone, non avrebbe  avuto alcun potere sovra di essa ». La  filosofia cristiana ben ragionava contro  i dualisti: poichè a che giova l'ammet tere due principi coeterni, uno attivo e  l'altro passivo ? Non ci basta forse una  eternità sola, e non è anche questa di  troppo per capire nel nostro cervello ?  L'error degli antichi consisteva nel con siderare la materia siccome un essere  passivo, privo di movimento, incapace  quindi di produrre la vita. Quest'anti tesi è tolta ormai dalla nuova maniera  di considerare il mondo e le forze che  lo dirigono, e d'innanzi a questo indi rizzo della filosofia, il dualismo e il dei smo divengono egualmente assurdi e in concludenti. E nondimeno chi avrebbe  mai creduto che nei tempi nostri do vesse sorgere una teoria ancor meno  concludente e con ella uomini più in ,  cludenti ancora per innalzarla agli onori  dell' accademia? Non abbiamo noi veduto  Hegel e li Hegheliani farneticare conscon finate astrazioni e riporre ' universal  principio dell' esistenza in qualche cosa  di diverso da tutto ciò che esiste, in ciò  che non è sostanza, nè causa, nè essere,  e che per non sapersi con adatte parole  definire, si chiamò non essere puro ;  principio sempre presente a se stesso, la  cui immutabilità s'intitola processione  dialettica ? La pazzia ha i suoi gradi,  ma quella diHegel doveva essere molto  cronica perch'egli non si avvedesse, che  creando nomi nuovi, noncreava sostanze  nuove e nuove essenze, e che il suo  non essere puro era propriamente un non  essere davvero, dal qualefaceva procedere  l'esistente.  Contro queste astrazioni che si risol vono in meri giuochi di parole e che  alcuni non si peritano di chiamarepro fondità, non vi è miglior rimedio di quel  materialismo scientifico cotantodisprezza to, ilquale,s'anco nonavesse maggiorime riti, nessunogli potrebbecontestarequello  cose. E per verità, sulla creazione non vi  è filosofia che parli più chiaro e con una  più insinuante evidenza del materialismo.  Esso dice: le leggi del pensiero neces sariamente ci inducono a ricercare in  tutte le cose un principio, ma la ragione  di questa tendenza non riposa già, come  vorrebbe la metafisica , in una certa  quale prescienza dell'assoluto propria del 1' anima nostra; anzi essa riposa sopra  un fatto puramente relativo, contingente,  affatto transitorio e che rappresenterebbe  piuttosto la negazione dell'assoluto. Una  volta ammesso che noi non abbiamo  idee innate e che tutte quelle che pos sediamo le abbiamo acquistate colla e sperienza (vediIdee innate), è necessario  che anche l'idea di un principio non ci  sia pervenuta in altra maniera. Infatti  perchè mai noi pensiamo ad un princi pio? Perchè tuttele contingenze fenome niche che noi osserviamo ebbero princi pio e fine. Di tutte le forme che e sistono nessuna è eterna, e in un tem po più o meno lungo l'osservazione ci  attesta che tutte cambiano e si trasfor mano. Noi stessi abbiamo principio e fine,  ed è perciò che siano naturalmente con dotti a dare un principio e una fine a  tutte le cose che vediamo. Ma possiamo  noi applicare questa regola all'assoluto?  Qui tutte le filosofie, tutte le scuole si  accordano,perciocchèl'intelligenzanostra  finita, intendere non può le cause infi nite, e unae il rimanente; ma se Dio non CREAZIONE  avesse creato la materia, se la materia  fosse eternamente esistita come Dio ed  203  dimostrarela nullità di tutti i concepi menti umani intorno al principio delle  indipendentemente da Dio, egli non ne  sarebbe stato il padrone, non avrebbe  avuto alcun potere sovra di essa ». La  filosofia cristiana ben ragionava contro  i dualisti: poichè a che giova l'ammet tere due principi coeterni, uno attivo e  l'altro passivo ? Non ci basta forse una  eternità sola, e non è anche questa di  troppo per capire nel nostro cervello ?  L'error degli antichi consisteva nel con siderare la materia siccome un essere  passivo, privo di movimento, incapace  quindi di produrre la vita. Quest'anti tesi è tolta ormai dalla nuova maniera  di considerare il mondo e le forze che  lo dirigono, e d'innanzi a questo indi rizzo della filosofia, il dualismo e il dei smo divengono egualmente assurdi e in concludenti. E nondimeno chi avrebbe  mai creduto che nei tempi nostri do vesse sorgere una teoria ancor meno  concludente e con ella uomini più in ,  cludenti ancora per innalzarla agli onori  dell' accademia? Non abbiamo noi veduto  Hegel e li Hegheliani farneticare conscon finate astrazioni e riporre ' universal  principio dell' esistenza in qualche cosa  di diverso da tutto ciò che esiste, in ciò  che non è sostanza, nè causa, nè essere,  e che per non sapersi con adatte parole  definire, si chiamò non essere puro ;  principio sempre presente a se stesso, la  cui immutabilità s'intitola processione  dialettica ? La pazzia ha i suoi gradi,  ma quella diHegel doveva essere molto  cronica perch'egli non si avvedesse, che  creando nomi nuovi, noncreava sostanze  nuove e nuove essenze, e che il suo  non essere puro era propriamente un non  essere davvero, dal qualefaceva procedere  l'esistente.  Contro queste astrazioni che si risol vono in meri giuochi di parole e che  alcuni non si peritano di chiamarepro fondità, non vi è miglior rimedio di quel  materialismo scientifico cotantodisprezza to, ilquale,s'anco nonavesse maggiorime riti, nessunogli potrebbecontestarequello  cose. E per verità, sulla creazione non vi  è filosofia che parli più chiaro e con una  più insinuante evidenza del materialismo.  Esso dice: le leggi del pensiero neces sariamente ci inducono a ricercare in  tutte le cose un principio, ma la ragione  di questa tendenza non riposa già, come  vorrebbe la metafisica , in una certa  quale prescienza dell'assoluto propria del 1' anima nostra; anzi essa riposa sopra  un fatto puramente relativo, contingente,  affatto transitorio e che rappresenterebbe  piuttosto la negazione dell'assoluto. Una  volta ammesso che noi non abbiamo  idee innate e che tutte quelle che pos sediamo le abbiamo acquistate colla e sperienza (vediIdee innate), è necessario  che anche l'idea di un principio non ci  sia pervenuta in altra maniera. Infatti  perchè mai noi pensiamo ad un princi pio? Perchè tuttele contingenze fenome niche che noi osserviamo ebbero princi pio e fine. Di tutte le forme che e sistono nessuna è eterna, e in un tem po più o meno lungo l'osservazione ci  attesta che tutte cambiano e si trasfor mano. Noi stessi abbiamo principio e fine,  ed è perciò che siano naturalmente con dotti a dare un principio e una fine a  tutte le cose che vediamo. Ma possiamo  noi applicare questa regola all'assoluto?  Qui tutte le filosofie, tutte le scuole si  accordano,perciocchèl'intelligenzanostra  finita, intendere non può le cause infi nite, e una successione di cause le une  generatrici delle altre all'infinito è tanto  poco comprensibile per l'intelletto nostro  quanto il concetto di un causa prima  esistente da tutta l'eternità. Nondimeno  preferiamo attenerci a quest'ultima ipo tesi, siccome quella che più si avvicina  alle così dette leggi del pensiero. Ora,  supposto che si debba ricercare una  causa prima di tutti i fenomeni che ci  circondano, e che questa causa renda  più chiaro all'intelligenza il concetto di  origine (il che non è vero, perchè nel  concetto di causa primacontiensi sempre 204  CREAZIONE  l'inintelligibile eternità) domandasi se  questa causa prima sia la materia op pure un ente che è fuori e che è ante riore alla materia. La metafisica dice  che la materia non può essere causa  prima, perchè il pensiero necessariamente  ci conduce a dare una origine alla ma teria. Ma ognun vede che questa è una  pura e semplice,petizione di principio;  spiegasi, cioè, la cosa ricercata con la  ragione stessa che ci induce a ricercarla.  Mad'altronde, ammesso pure che questa  causa causarum risieda in una entità  che sta fuori della materia, avremo noi  spiegata l' origine delle cose? Le leggi  del pensiero saranno per questo appa gate? Non ci indurranno forse ancora a  ricercare qual sia l'origine di questa  causa prima, la quale diventerà perciò  avolta sua causa seconda o terza, secondo  che piaccia al pensiero di spingere più  o meno innanzi le sue investigazioni ?  Esiccome il creare delle cause ideali  non costa al pensiero molta fatica, così  non si saprebbe a qual punto si ferme rebbe. Çiò posto, non è egli più ov vio il fermarsi addrittura alla materia,  questo ente sensibile, che vediamo, sen tiamo, e per il quale viviamo? E d' al tronde non vi è poi nessun motivo de terminante che ci possa consigliare que sta scielta? Fra un ente astratto che non  possiamo concepire e che sfugge alla  percezione di tutti i nostri sensi, e una  realtà tangibile che negare non si può,  è egli lecito rimanersi in dubbio ? Ciò  che vediamo e sentiamo avrà egli per la  nostra ragione minor evidenza di una  supposta entità, laquale in nessuna ma niera possiamo concepire, in nessuna  guisa rappresentare? E poi questa stessa  materianon ci dà ella stessa le prove  della sua eternità? L' abbiam noi veduta  nascere? La vediam noi spegnersi? Non  mai: nessuna materia nuova si produce,  nessuna si distrugge; e se perfino la  metafisica non osa negare che la mate ria nel tempo si produce o si distrugge,  come oseremo noi privarladell'attributo  dell' eternità, il qual suppone appunto  l'ente senza fine? Ben si dice dai meta fisici, che se la materia non si produce  nè sì distrugge ora, nulla prova che non  siasi prodotta in principio, che non si  distruggerà alla fine. Ma con altrettanta  logica questa stessa conseguenza puossi  applicare all'ente che si vuol sostituire  alla materia, avvegnachè nulla ci dice  che se esiste ora sia esistito prima, ed  esisterà alla fine. L'astrazione dunque  non spiega in nessuna maniera la que stione d'origine, e fradue ipotesi quella  certamente è più probabile, la quale  meno ripugna ai sensi, e vanta, se non  altro, l'evidenza del fatto presente.  Perfino la filosofia teista è costretta  a convenire che l'idea di creazione in tendere non si può con la sola potenza  dell'intelletto. S. Tommaso rimproveran do gli antropomorfi che concepire non  sanno l'immaterialità,li accusava di non  aver saputo elevarsi al di sopra della  loro immaginazione; la qual cosa è  ancor più chiaramente detta dall' inglese  Clarke, ministroprotestante :>  (Toledo 633). Se in giorno di digiuno  un padrone ciba il suo schiavo con  carni, questo sarà libero (Bergham stede 696) . Nè solo la Chiesa tollera e  approva la schiavitù; essa ha pure i  suoi schiavi. Oltre quelli che nel medio  evo per fuggire la tirannia dei signori  offrivansi in volontaria servitù ai ricchi  conventi e alle potenti abbazie (La Fa rina Storia d' Italia), i bastardi dei preti,  saranno schiavi della Chiesa, ed è fatto  divieto ai giudicidi affrancarli, quand'an che la loro madre fosse libera (Toledo  658, Pavia 1012) ; i vescovi potranno  vendere gli schiavi fuggitivi a lor pro fitto (Adge 506); ma essi non possono 212  CRISTIANESIMO  vendere nè gli schiavi nè gli altri beni  della Chiesa ( Siviglia 619). Il vescovo  non può nemmeno affrancare gli schiavi  della sua Chiesa, s'egli non laindenizza  altrimenti ; e se nonostante questo di vieto il vescovo affrancherà gli schiavi,  il suo successore li ridurrà novellamente  in servitù, poichè l'affrancazione non può  tenersi valida (Toledo 633). Un altro con cilio di Toledo nel 773 trova necessario  di proibire ai vescovi di mutilare i servi  della Chiesa, e quello di Francoforte nel  894 vieta agli abbati di accecare i mo naci o altro gregge servo di Dio ». Cio nondimeno ancora nel 1253 il capitolo  di Nostra Signora di Parigi avendo get tato in orride prigioni tutti i servi del  villaggio di Chateney, sostenne con tro la stessa regina, ch' esso aveva il  diritto di vita edi morte sui suoi schiavi  (Dulaure); e intorno a quel tempo il  vescovo di Cambrai faceva accecare tutti  gli schiavi del suo nemico ( Malfilatre.  Recueil des historiens de France).  Nè si dica che queste massime non  sono cristiane, che laChiesa ha subito i  costumi del tempo. Ella non ha subito  la schiavitù, ma sì l'ha imposta. Ancora  nel 1522 il 3º concilio di Laterano dà  ai sovrani il diritto di ridurre in servitù  i dissidenti, e Gregorio X permette che  siano ridotti in servitù coloro che for nissero armi o navigli agl'infedeli. Pro testanti e cattolici si combattono sui  dommi, ma si accordano sulla schiavitù.  Sentiamo le giurisprudenza ecclesiastica  intorno aquesto punto.  Bossuet, vescovo di Meaux, sullafine  del secolo XVII così scriveva: >  Allorchè nel 1792 i commissari per  ' incameramento presero possesso del la biblioteca ecclesiastica di Clairvaux ,  217  fezione spirituale del cristianesimo, un  trovarono all' incirca 2000 manoscritti e  35000 volumi stampati, rinchiusi nelle  stesse casse che otto anni prima avevano  servito a trasportarli da Dijon, ove era no posseduti dal presidente Bouhier.  Fu certamente per un atto di altis simo rispetto all'antichità e alla scienza  che quei buoni monaci, durante questi  otto anni, avevano religiosamente con servati i volumi nelle stesse casse e in  luogo abbastanza umido; poichè all'a prirsi di esse si trovò che i libri erano  tutti putridi e in gran parte guasti. Nel  1755 i Francescani di Anversa persba razzarsi d' un impaccio inutile, regala rono al loro giardiniere 1500 volumi,  che furono poi venduti ad un erudito  inglese pel valore di quattordici mila  lire!  Moltissimi altri fatti di questo ge nere provano pur troppo quanto i mo naci fossero penetrati dall' importante  missione di conservare ai posteri il te soro delle cognizioni con tanti stenti  accumulato dagli antenati. Certo, molte  e molte opere uscirono dai conventi,  molte polemiche e guerre guerreggiate  a/colpi di penna, furono date in ispet tacolo al medio evo. Ma se le discus sioni fatte sulla consuntanzialità e sulla  grazia, sulla fine del mondo e sui modi  più adatti a scoprire le streghe, fecero  si che quei buoni messeri si scervellas sero intorno alle più futili questioni, e  sempre più imbestialissero il mondo, non  so davvero quanto la civiltà debba es serne grata al cristianesimo e alla sua  Chiesa.  Bayle nel suo Dizionario Storico ha  esaminato se una societàdi atei potrebbe  sussistere; ma a ben miglior ragione a vrebbe potuto esaminare se sussistere  potrebbe una società di veri cristiani.  Imperocchè un popolo interamente as sorto nella idea di raggiungere la per popolo tutto compreso nel pensiero d'  avverare sulla terra la morale evang lica, sarà insensibilmente condotto a 0 vina, quantunque credenti e filosofpo co profondi vadano magnificando l'al tissima perfezione di questa morte. Do vrà innanzi tutto ogni buon cristano che  vuol essere perfetto votarsi a celibato,  e alla mortificazione, avvegnanè il con trastare i sensi e il far soffrir la carne,  è virtù veramente evangelica( v. CELI BATO ECCLESIASTICO E ASTIN-NZA DALLE  CARNI ). Dopo avere tolti alsuo seguace  la moglie e ogni piacere di sensi, Gesù  gli toglie eziandio la ricciezza. Una an che modesta agiatezza pe fondatore del  cristianesimo è colpa e ausa di perdi zione, perciocche egli èpiù agevole che  un cammello passi pe la cruna di un  ago, di quello che sia a un ricco l'en trare nel regno de'cieli. ( Luca XVIII  18-27. Matt. XIX 16-26. Marc. X 17-27 ).   È tanto male il re spingere una offesa quanto il farla (Id.  lib. VI Cap. XVIII) ».  Con questi principii chesono tutto il  nerbo della dottrina cristiana, è impos sibile che una società possa sussistere lun gamente, onde ben aragioneG.G. Rous seau diceva, che una società di veri cri 219  applicasi perfino a un re pagano, a  Ciro, come può vedersi dalle seguenti  parole di Isaia: « Queste cose dice il  Signore a Ciro, mio Cristo, cui io ho  preso per mano a fine di suggellare a  lui le nazioni e porre in fuga i re >  (XIV,). Anche Lattanzio così parlava  intorno a questo punto:   Critolao.Nacquea Faselide nella  Lidia, studio filosofia in Atene sotto  Aristone di Ceo e fu capo della scuola  peripatetica verso l'anno 155 prima  di G. C. Sesto Empirico dice ch'egli  condannavala rettorica siccome un' ar te nocevole, e Filone c'insegna ch'egli  appoggiando la filosofia di Aristotile  ammetteva l' eternità del mondo. Nel  suo Trattato sulla incorruttibilità del  mondo egli ragiona così: « Tutto ciò  che nasce haun accrescimento, è sog getto alla corruzione, alla vecchiezza  ed alla morte. Il mondo non ha accre scimento, non s'altera, non invecchia,  dunque è eterno ».  :  Croce. Tant'è l'importanza che il  cristianesimo ha dato al simbolo della  croce, che icattolici si sonoperfino la sciati indurre adadorarlo come segno  della rigenerazione dell'umanità. Nono stantequesta pretesa importanza simbo lica si è molto sorpresi di vedere che la 222  CROCIATE  croce,comesimbolorappresentativo, non  fa usata dal cristianesimo prima di tre  secoli almeno dopo la morte di Gesù.  Nessunmonumentodidata certa, scrive  il cav. De Rossi, buon ortodosso diret tore degli scavi di Roma, non si pre senta prima del quinto secolo, il quale  porti la croce immissa o quella detta  greca. Un solo esempio della croce  tau, riferito da Boldetti si incontro  sotto la data del 370, e quelle che si  osservano nelle catacombe sono state,  per quanto nedice il citato antiquario  romano, tracciate nei tempi relativa mente moderni dallamano più pia che  esperta dei pellegrini che le visi tavano.  Dunque non solo i contemporanei  di Gesù, ma perfino tutti i cristiani,  per il corso di oltre trecent'anni hanno  affatto ignorato questo famoso signum  Christi, il qual si vuolche fosse stabi lito in tutti i tempi. Ma ciò che ad al cuni parrà veramente strano, si è che  se i cristiani non conobbero il segno  della croce che in tempo molto inol trato, lo conoscevano invece i pagani  e gli idolatri già da tempo immemo rabile prima della venuta di Cristo.  Gabriele di Mortillet in un libro inti tolato: Le signe de la croix avant le  christianisme; haraccoltonumerose te stimonianzepaleontologiche,dalle quali  appare, che il segno di croce trovasi  inciso sopra un gran numero di sto viglie scoperte nelle terremare dell'Emi lia presso Parma e Reggio e attri huite, secondo ogni verosimiglianza,  ad unpopolo che abitava quei paesi as sai tempo prima dei romani e degli  Etruschi. Lo stesso seguo si trova im presso sopra molte stoviglie peistori che del Cimitero di Villanova presso  Bologna, e nelle tombe di Golasecca  presso il lago maggiore, dove fu pure  trovato sotto un vaso fabbricato forse  mille anni prima dell'era nostra, quel  segno che i cristiani adottarono poi  siccome il famoso monogramma di Cri sto (Una X attraversata da un P). Al tri oggetti preistorici col segno di  croce sono stati pure trovati nella  Francia e nell' Inghilterra, ed è poi  noto che la croce detta Tau fu nel l'Egitto un simbolo religioso, l'emble ma della vita e della potenza e come  tale era posta nelle mani agli Dei di  quel paese. Il Signor Letronne in una  memoriapresentata all'Accademia delle  inscrizioni, ha dimostrato che fu ap punto questo Tau & che i cristiani  dell' Egitto hanno adottato nei primi  tempi come simbolo cristiano ; mentre  poi si vede che le prime croci incise  dai cristiani di Roma, si avvicinano ad  un altro tipo che, secondo il signor  Letronne, si trovano sulle medaglie an tiche di Acarnani, di Atene, di Ales sandria e di Seleucide.  Crociate. Guerre fatte dai cri stiani in nome di Dio e della croce  per imporre altrui la loro volontà e  la loro legge.  Alla fine dell'undecimo secolo, scri ve il Laurente, l' Europa si precipita  sull'Asia per conquistare il sepolcro  di Cristo. Le vessazioni che i pellegrini  subivano visitando la città santa, fu il  pretesto di questa guerra di due se coli. Tuttavia queste vessazioni non  erano altro che un accidente. Gli Arabi  hanno gran venerazione di Gesù, e  danno prova di grande rispetto per la  fede che conduce icredenti alla visita  dei luoghi santi. Nella prima metà  dell'ottavo secolo un vescovo Sassone  fatto prigioniero, fu tradotto davanti  al capo degli Arabi per essere giudi cato: poniamo mente alla sentenza del l'emiro:   Leopoldo Delisle (Études sur la con dition de la classe agricole inNormandie,  au moyen-âge) toglie dagli Archivi  nazionali di Francia (Sez. P. 305 n.º  38) il seguente testo del 1419 « En dit  lieu (de laRivière-Bourdet in Norman CULTO  dia) aussi ay droitde prendre sur mes  hommes et autres, qui se marient sur  ma terre, dix soutz tournois  ou je  puis et dois, s'il me plaist, aler cou chier aveque ' espousée, au cas où son  mary ou personne de par lui ne paie 227  ligione positiva rendono a Dio ed agli  altri esseri sovranaturali. Il culto pre senta tutti i caratteri dell'antropomorfi ,  roit >. Che laChiesa, non solo tollerasse, ma  pretendesse cotesto diritto, è provato da  fatti parecchi; se non che, volle ella san tificarlo adducendo, che siccome le pri aver veduto  mizie dėl matrimonio erano dovute a  Dio, e gli sposi avevano l'obbligo di  esser casti durante le prime tre notti di  matrimonio, così dovevano i vassalli pa gare alla Chiesa la licenza di giacersi  insieme colla loro moglie subito dopo  averla sposata. Cattiva giustificazione di  una triste causa, però che questa tassa  applicata ai soli vassalli, è sicuro indi zio della sua origine. Narra Boerins di  in curia Bituricenci  (Bourges), coram metropolitano, proces sum appellationis in quo rector, seu  curatus parochialis , prætendebat, ex  consuetudine, primam habere carnalem  sponsæ cognitionem ».  «  Altri fatti ci attestano che ildiritto di  cullagio era percetto dalla Chiesa. Un  decreto del 19 marzo 1409 toglie al ve scovo d'Amiens il diritto di esigere una  tassa dagli sposi (Arch. de France X. 57)  Altro decreto del parlamento di To losa dato il 1 marzo 1558 vieta all'ab bate di Sorreze di prelevare questa tas sa nella signoria di Villepinte- Nel  1582 il Parlamento di Parigi fa lo stesso  divieto ai religiosi di Saint-Etienne  Egual divieto è fatto dal parlamento di  Bordeaux nel 1620 agli Agostiniani  di Limoges, e più tardi i Canonicidi  S. Claudio, da Voltaire tanto giusta mente stimmatizzati , sequestravano i  beni matrimoniali della sposa che a vesse passata la prima notte di matri monio col marito, invece di restare sotto  il tetto paterno. (Veuillot. Le droit du  seigneur au moyen age- Vedi anche  l'articolo AMORE in questo Dizionario.  Culto. Onore che i fedeli d'ogni re :  smo siccome quello il qual suppone  che Dio possa partecipare alle umane  fragilità e placarsi e diventar benigno  verso i suoi adoratori sol perchè essi  gli tributano quella sorta di omaggi  che, dal più al meno, rendono a tutti  i potenti della terra. L' idea di un  culto, infatti, riposa sopra l'assurda  credenza che la mente , la qual pur  si dice infinita , di Dio , attribuisca  un grandissimo valore agli effimeri o nori dei meschini abitanti di questa  molecola dell' universo, che si chiama  mondo. Appo i selvaggi l'idea cardinale  del culto si rivela con tutti i suoi ca ratteri antropomorfi. Essi con adorano  le potenze sovranaturali, se non in ra gione del bene che possono sperare da  loro o del maleche da loro possono te mere. Il loro culto è meramente rego lato dai rapporti che passano fra essi e  gli altri uomini, epperò rendono ai loro  idoli quegli stessi servizi o quegli stessi  onori i quali sogliono rendere agli uo mini più potenti di loro. I popoli della  Siberia rendono solenne culto e fanno  offerte ai loro Dei sol nei giorni di  sventura, e i Kamtscadali, come rife risce Feuerbach, per solito sono molto  parchi in queste offerte, nè donano ai  loro Dei altro che le ossa, le reste e la  testa dei pesci, dei quali, com'è ben natu rale, essi non possono cibarsi. Anche i  negri per solito non offrono agli Dei  altro che le ossa e le corna delle loro  bestie, e nell'antica Grecia Esiodo dice  che Prometeo insegnava agli uomini di  non offrire agli Dei altro che le ossa, e  a se stessi riservare la carne degli' ani mali. Ma nontutti ipopolisono cosìpar chi nel loro culto, ecertiselvaggi credono  ancora di rendersi accetti ai loro idoli  ungendoli con grasso e riempiendo il  loro naso di tabacco, imperocchè il ta bacco è cosa ad essi cara, e l'ungersi il  corpo è usanza generale dove I' abbon danza degli insetti rende n cessario di 228  CULTO  mettere al riparo l' epidermide dai loro  perniciosi attacchi. Gli insulari di Fidsci  al loro Dio offrono vivande, e in gene rale vediamo che l'idea del culto non si  disgiunge mai da quella di offerta e di  sacrificio, avvegnachè gli uomini offrano  agli Dei le cose cheper lororeputano utili,  ond'acquistarsi laloro protezione e illoro  appoggio; ondechè il culto nei suoi pri mi elementi risolvesi in una sorta di con tratto bilaterale, nelquale non si presta no onori senza promessa di beneficio. I  Botocos, tribù degli Ottentotti, non ado rano forse lo spirito del maledal quale  tutto possono temere, e albuonDio non  negano culto, poich' essi credono che sia  un buon vecchio incapace di far male  ad anima viva? Anche Randall narra  che gli indigeni delle isole Kingsmill  (Micronesia meridionale) dacchè furono  decimati da una orribile epidemia, per dettero ogni fiducia negli spiriti a cui  prima rendevano culto.  Di mano in mano che la civiltà si  accresce anche il culto s'ingentilisce. Il  concetto della divinità che subisce una  elaborazione. metafisica, sempre più si  allontana dall'antropomorfismo volgare ;  l'uomo più non presume di potere tor nar utile al suo Dio, ma da lui tutto  attende, e lui adora come il sovrano di spensatore delle grazie e dei castighi.  Allora alla triviale offerta dei selvaggi su bentra il sacrificio di espiazione, e iriti  e i simboli formano le arcane cerimonie  in soccorso delle quali vengono le me raviglie dell'arte; e l'incanto della mu sica e degli odori accrescono il culto  da rendersi in onore della maestà su prema.  Però non sempre le religioni civili  si sono limitate ad onorare il solo Dio,  e il cattolicismo specialmente ha distinto  il culto in varie specie delle quali qui  appresso parleremo.  CULTO DI LATRIA, che appartiene al  solo Dio, ed intorno al quale'tutte le  chiese cristiane concordano , siccome  quello che è comandato dalla scrittura  e specialmente dal primo comandamento  della legge Temerai il Signore Dio  tuo e lui solo servirai » (Deuter. VI 13).  Però, non tutti icredenti in un Dio per sonale si accordano intorno alla maniera  di prestare il culto dilatria, imperocchè  propriamente questa parola greca signi fica servire (da latreia, servo) e varie  sono le maniere di rendere servitù. Tra  il lusso smodato delle chiese cattoliche  e la modestapovertà delle assemblee dei  quaccheri i quali, secondo un detto e vangelico, adorano Dio in ispirito e ve rità,  corrono tante diversità di culti  quante sono le Chiese e le comunioni  religiose. Nè mancano deisti i quali so stengono che il culto daprestarsi a Dio  deve essere puramente interno, e ogni  culto esterno rigettano siccome inutile  e superstizioso e sgradito alla divinità.  Ma costoro mal ragionano, avvegnachė  sia facile il dimostrare che, o Dio è un  essere veramente antropomorfo, e percid  gusta e ambisce gli onori, e allora l'ono rarlo esternamente e conquella maggior  pompa che siapossibile è atto doveroso  e non superstizioso ; oppure gli onori  non ama, e allora l'adorazione, sia inter na od esterna, non cambia natura din nanzi ad un essere per il quale non esi ste nè dentro nè fuori, nè sopra nè sotto,  e al cui cospetto ogni cosa è palese.  CULTO DI IPERDULIA, con cui viene o norata la Vergina Maria, madre di Dio,  la quale per la Chiesa cattolica essendo  nata immacolata, merita un culto supe riore a quello degli altri esseri del  Paradiso.  CULTO DI DULIA, il quale nella Chiesa  cattolica rendesi ai santi pei doni sopra naturali ond'essa dice che furono da Dio  favoriti. Tutte le Chiese protestanti con  unanime accordo rigettano questo culto,  non meno che quello di iperdulia, sicco me superstizioso econtrario alla scrittura  e non mai praticato dai cristiani dei  primi quattro secoli. In quanto alla scrit tura essi dicono che quando alcuno dei  suoi discepoli domandò a Gesù Cristo:    Fondandosi su queste considerazioni,  il Prof. Mantegazza conchiude che le dif ferenze caratteristiche che si notano fra  gli animali dei due sessi, devono attri buirsi alla natura speciale della secre zione spermatica, laquale imbevendo per  riassorbimento tutti i tessuti ne modifica  profondamente la nutrizione, facendo ap parire nuove forme, nuovi colori, nuovi  caratteri anatomici e fisiologici. Il Dar win inunalettera del 22 settembre 1871  dichiarò di non poter credere che l'as sorbimento del liquido spermatico possa  modificare i tessuti dell'animale che lo  secreta; ma questa denegazione del sa piente transformista inglese, non toglie  che le obbiezioni del Mantegazza siano  di qualche peso, e che la sua ipotesi  acquisti tanta maggior evidenzainquanto  par verificata da un certo numero di  fatti abbastanza capitali. Invero, pri ma della pubertà, come osserva Mante gazza, il maschio e la femmina si rasso gliano tanto da non poterli distinguere,  e la vecchiaia fa spesso scomparire i  caratteri sessuali secondari, i quali pure  non si sviluppano se il maschio è ca strato. Sappiamo che agli eunuchi non  cresce la barba, chelaloro voce conser vasempre un timbro infantile eche giun gono all'età matura assumendo abitudi dini più femminee che virili; e sappia mo pure qual differenza esista fra il  bove e il toro, fra un gallo ed un cap pone.  Del resto, m' affretto a soggiungere  che se il Mantegazza contrasta l'elezione  sessuale, non nega però l'influenza del l'elezione naturale. Mi pare anzi che la DARWINISMO  sua teoria della neogenesi si risolva  ancora in questo ultimo genere di ele zione. Spieghiamo in poche parole que sta teoria. La regola normale della ge nerazione è che il figlio è sempre di verso dal padre o dalla madre, ma che  questa  diversità è però così accessoria  241  normale, mentre invece quando l'eredità  immediata è quasi nulla, e prepondera no gli elementi atavici, cioè la som madi molte modificazioni già compiute  nel passato, la nuovaforma si dice nata  che nonbasta a costituire per se sola  alcun carattere speciale che lo diversifi chi dai parenti. Non sono però tanto  rari i casi di generazione anormale, nei  quali il figlio presenta caratteri nuovi  non propri dei genitori, ed è appunto  in questi casi eccezionali, i quali si di scostano dalla legge normale dell'eredità  fisiologica, che si verifica la neogenesi,  o generazione nuova, improvvisa, che  può costituire una varietà più o meno  permanente.   Tostochè,dice Darwin, qualche antico  membro della grande famigliadei pri mati, o pel cambiamento nella maniera  di procurarsi la sussistenza o per mo dificazioni nel paese primaabitato, sarà  stato ridotto a vivere meno sugli alberi,  il modo di camminare avrà dovuto  modificarsi, esso sarà divenuto obipede  o veramente quadrupede. I cinocefali  L'uomo solo è divenuto bipede, ed io  credo che, almeno in parte, noi possia mo capire com' egli abbia acquistata  l'andatura verticale. Egli non avrebbe  mai raggiunta la sua posizione domi nante nel mondo, senza l'uso delle sue  mani , cost appropriate ad obbedire  alla volontà. Ma braccia e mani non  avrebbero mai potuto divenire organi  così perfetti da poter fabbricare delle  armi, lanciare pietre e giavellotti con  giusta mira, se avessero dovuto servire  abitualmente per muovere il corpo, o  per sopportarne il peso; tanto meno  poi se avessero continuato a servire per  arrampicarsi sugli alberi; avvegnachè  presso le scimmie, essenzialmente ar rampicanti, il pollice è quasi sempre  rudimentale e la mano è un vero un cino. Un servizio così grave avrebbe  d'altronde tolto in gran parte il senso  del tatto, dal quale dipendono princi palmente gli usi delicati acui servono  le dita. Queste sole cause sarebbero  bastate perchè la stazione bipede fosse  vantaggiosa all'uomo; ma vi sono molte  altre azioni che richiedono la libertà  delle due braccia e della parte supe riore del corpo, il quale deve perciò  riposare fermamente sui piedi. Per rag giungere questo risultato vantaggioso,  i piedi sono divenuti più piatti e il  pollice si è singolarmente modificato,  perdendo ogni attitudine a prendere i  corpi, per l'opposizione alle altre dita.Ma  vi sono selvaggi nei quali il piede non  ha tuttavia perduto interamente la fa coltà di prendere, come lo dimostra  la lor maniera di arrampicarsi sugli al beri, e i diversi altri usi in cui l' ad destrano ».  Escluse così,le differenze organiche  sulle quali la vecchia anatomia soleva  fondare il carattere specifico del tipo  umano, Darwin prosegue a combattere 244  DAVIDE DE DINANT  la scuola psicologica, la quale fonda  questo carattere sulla superiorità intel lettuale dell' uomo. Questa superiorità  non è certamente contestabile, ma essa  non esclude però il fatto di una passata  inferiorità morale, nè si riesce a stabi lire tra l'uomo e gli animali superiori  alcuna differenza essenziale fuorchè con frontando la capacità intellettuale dei  bruti con quella delle razze umane su periori. Ma tosto che si scende alle in fime razze, quando si osservano gli usi  e i costumi e le morali attitudinidi certi  selvaggi inetti finanche a contare oltre  il numero cinque, allora si capisce di  leggeri, che gli uomini meno sviluppati,  stanno sui confini della classe più ele vata degli animali, sulla grande intelli genza dei quali tante sono oramai le  testimonianze raccolte che non v'è più  alcuno che non le sappia.  Fondato su queste osservazioni,  Darwinnonteme questa volta diaffer mare che l'uomo é derivato dal regno  animale. Ma qual sarà il nostro imme diato progenitore ? Le nostre cognizioni  attuali non possono rispondere a que sta domanda. Forse l'uomo non è de rivato da nessuno degli antropoidi vi venti, ma piattosto da una forma in termedia fra esso e le scimmie. Questo  anello che avrebbe potuto congiungerci  col regno scimmiesco andò perduto,  nè gli archivi fossili della terra finora  ci hanno fornito le tracce per ritro varlo. Ad ogni modo, bisogna ritenere  che in quest'ipotesi, se noi non siamo  i figli, siamo certamente i nipoti delle  scimmie. Fatta astrazione di queste  forme perdute Darwin traccia, così al l'ingrosso, la nostra geneologia facendo  derivare l'uomo alle scimmie dell' an tico mondo, le scimmie dai lemuri che  tanto le assomigliano e che sarebbero  un ramo parallelo,il ramo cadetto dei  mammiferi ordinari. Che i lemuri si  innestino sul ramo dei marsupiali a  Darwin pare probabile. Dai marsupiali  ai monotremi il passo è breve e da  questi ai rettili non corre gran diva rio. Facilmente i rettili si confondono  cogli anfibi e coi pesci, e questi colle  ascidie, forma più inferiore delle specie  acquatiche. Secondo la novella teoria  Darwinianauna delle più infime forme  acquatiche sarebbe stato nei tempi re motissimi il progenitore dell' umanità  (v. anche l'articolo CAUSE ATTUALI). Ba gnato dalle onde del mare,questo no stro antenato ha dovuto subire l'alter na fortuna delle maree lunari; e para  a Darwin che questa influenza possa a vere qualche rapporto con la caduta  delle uovae lemestruazioni della don na, che appunto si ripetono fra i periodi  lunari. Concordanza, se vogliamo, un  po'forzata, poichè, come osserva Ed mond Perrier, se fosse vera dovrebbe  verificasi negli altri animali , il che  non è.  Del resto, giova notare che gli er rori possibili nelle induzioni che si  fanno per scoprire la geneologia dei  viventi, nonpossono in alcuna maniera  infirmare il Darwinismo. Il concetto  che dobbiamo avere di questa teoria  non può limitarsi negli angusti limiti  genealogici; ma deve abbracciare il  granprincipiodella trasformazione delle  specie prodotta da quelle stesse cause  che anche attualmente agiscono sul  mondo dei viventi. Il determinare poi  quali specie precedano le altre nell'or dine del tempo,da qualtipo l'uomo sia  immediatamente derivato. e se da una  o da più coppie, sono questioni com plementari ma non essenziali pel Dar winismo (v. MONOGENESI E POLIGENESI).  Davide de Dinant. Filosofo  scolastico che visse nel secolo XII e  forse al principio del XIII. Di lui s'i gnora la data precisa della nascita e  della morte, e sol ci è noto per il De ereto di un concilio di Parigi (1209)  che danna al fuoco le opere sue, e per  quanto ne dice Alberto il Grande, il  quale gli attribuisce un libro sugli  atomi. Par che Davide combattesse l'a tomismo di Leucippo e di Democrito  e tutte le cose esistenti nell' universo DE BONI  dividesse in tre classi: i corpi, le ani me e le idee. La materia prima,senza  attributo e senza forma, costituisce la  essenza dei corpi, le qualità dei quali  non sono quindi altro che semplici  apparenze percepite dai sensi, ma sen za realtà. Il pensiero è invece l'essen za dell'anima, e Dio quella delle ideę.  Par che poi questi tre caratteri della  realtà, nel pensiero diDavide, si con fondessero in una sola unità universa le, d'onde forse il sospetto di pantei smo che gliene derivò, e la condanna  del concilio.  Davide l'armeno. Filosofo re putatissimo nell' Armenia, ma che da  noi, senza gran danno, sarebbe forse  sempre stato ignorato,se il signorNeu 245  cero disumare il suo cadavere e lo  consegnarono alle fiamme.  De Boni (Filippo). Nacque a  Feltre nel 1817 e fu uno dei più illu stri e sinceri rappresentanti della po litica e della filosofia. Insigne filosofo  e libero pensatore, la politica militan te non fu per lui sfogo sfrenato di  passioni compresse, ma mezzo neces sario per tradurre logicamente e libe ramente in atto i principii esposti dal la libera filosofia. Nessun divorzio egli  mai tollerò fra queste due scienze, di  cui l'una è il pensiero l'altra l'azio ne della rivoluzione moderna. A que sto tanto armonico sistema che mai  mann non ce lo avesse fatto conosce re con le sue traduzioni. Nacque a  Herten,villaggio Armeno, verso l'anno  450 e mori sul principio del VI seco lo. I suoi connazionali lo dissero il   esa gerazione solita a incontrarsi fra gli  orientali. Egli scrisse un libro intitola to: Definizione dei principii di tutte le  cose, nel quale dice che le cose tutte  constano della sostanza e dell'acciden te; la sostanza divide in prima e secon da, e la seconda in sostanza speculati va e in sostanza attiva. Un altro libro  intitolato: Fondamento della filosofia,  è una confutazione del pirronismo a  tutto beneficio della filosofia plato uica.  Davidisti . Seguaci di un tal  Giorgio David, pittore di Gand, il qua le nell' anno 1525 facendosi credere il  Messia disse di essere stato inviato  dal padre per riempire il vuoto para diso. Non ammetteva matrimonio, ne non precipita gli eventi, ma sempre  li sospinge innanzi col desiderio del  meglio e la coscienza di volerlo, egli  dovette quella calma polemica, lonta na d' ogni astiosa smania,per la qua le tanto fu caro agli amici e dai ne mici rispettato.  Per sottrarsi alle persecuzioni del l' Austria, esulò nella Svizzera e nel  Piemonte, dove dall'anno 1846 al 1867  pubblicò l' effemeride: Cosi la penso,  cronaca di Filippo De Boni, che è un  fedele riassunto del movimento della  nostra nazionale indipendenza, e una  continua e formidabile accusa contro  la istituzione del papato, allora rispet tata assai. E all' elezione al pontifica to di Pio IX, quando ancora l' Italia,  per uno di quei traviamenti di cui la  storia ne offre tanti esempi, inneggia va alla liberalità del nuovo pontefice  e padre del popolo lo acclamava e sal vatore della libertà,solo ilDeBoni ten to comprimere quell' inconsulto slan cio, e avvertire il popolo che vana  era la sua speranza, perciocchè all' I talia mai non venne utile alcuno dai  gava la risurrezione, il peccato origi nale e ' abnegazione evangelica. Es sendo perseguitato fuggì daGand eri- straniere.  coverossi sotto il nome di Giovanni  papi, e loro opre erano le invasioni  Bruch a Basilea, dove morì nell' anno  1556, lasciando credere che tre anni  dopo sarebbe risuscitato. Dicesi che  scorso questo termine i magistratife Pochi lavori di criticaletteraria ne  lasciò egli, e fra tutti vuol essere men zionata una prefazione alle lettere di  Jacopo Ortis, stupendo lavoro nel qua le stabilisce un giustissimo ed artisti 246  DE BONI  co confronto fra Verber e quel nostro  ingegno italiano. Ma i suoi scritti di  filosofia, e della filosofia della storia,  illustrarono specialmente il suo nome  e più di tutti giovarono alla causa  della libertà del pensiero. Bello è il  libricciuolo intitolato ' Inquisizione e  i Calabro-Valdesi, nel quale si dimo strano le crudeltà della Chiesa contro  i dissidenti nelle provincie meridiona li; bellissimo lo scritto sulla incredu lità italiana del medio evo; ma sopra tutto meritano menzione i sette sacra menti, dei quali i primi due soltanto  furono compiuti, e sono un monumen to di storia e di critica religiosa, spo gli di indigesto sapere e di erudita  petulanza, e prova inconfutabile del  come nascono e si formano per lenta  aggregazione, i dommi della Chiesa.  La sua versione della Vita di Gesù  di Renan è pregevole sopratutto per  una sua prefazione, che vince in bel lezza l'arte stessa di quel romanzo,  chè invero difficilmente altro nome po trebbe darsi a quel panegirico diGesù.   e dogma fu in ultimo il titolo adotta tato, quando lo scritto venne in luce  per iniziare una biblioteca del libero  pensiero.  Un passo di quel libro ove si ac cennava alla persistenza di una reli gione avvenire, fu per me cagione di  una corrispondenza, colla quale il De  Boni volle spiegarmi l'oscuro senso  di quelle parole. Opportuna cosa per tanto mi pare il farepubblica la par te della lettera che è l'autentica, seb ben postuma, interpretazione di quel  suo pensiero... « Non ho saputo spie garmi, o per la fretta del conchiudere o  per la paura del soverchio ripetermi  «Io non ammetto veruna religione  positiva. Ma ciò non basta. La paura  degli uomini per le nostre dottrine è  nel credere che la sanzione d'una re ligione positiva sia necessaria per la  morale. È mio intento mostrare che  questa sanzione è altrove, che il do gma è ostacolo non aiuto all' irrag giamento nella coscienza umana delle  leggi morali. Alle continue rivelazioni,  agli antichi rivelatori io sostituisco  l'umanità; essa è rivelatrice fedele e  DeBoni stesso vedeva i difettidi quel |  lavoro con cui Renan, rompendo vio lente le sue scientifiche tradizioni, vol- | perpetua a se stessa. Essa lo fece an le descrivere, sulle tracce degli evan geli, la cui autenticità, per altro, in  gran parte contesta, un Gesù uomo,  superiore all' umanità. E De Boni, ri spondendo a questo appunto, mi scri che per il passato ma inconsciamente;  ora la scienza la conduce a farla con sciamente.  veva: « Io non ammetto rivelazione  alcuna. Cristo, l'uomo-Dio, non è al tro che la umanità che divinizza se  stessa. E Gesù, se ha esistito, ha pro prio i suoi difetti come le sue virtù. >>  Ragione e dogma fu l'ultimo dei  suoi scritti . Egli dettavalo a Nervi  quando solitario passeggiava lungo la  spiaggia del mare, meditando sui pe ricoli, sulle speranze della patria. Il  manoscritto portava in prima un al tro titolo: Durante i crepuscoli, ed era no davvero i crepuscoli della sua tor mentosa vita, che già in sul declino,  per consiglio di medici cercava pro lungare in quel dolce clima. Ragione    DeBoni non solo combattette dun que per la libertà politica, ma i suoi  ultimi anni volle anche specialmente  impegnare in quella guerra secolare  che laRagione sostiene contro la Fede.  La caduta della teocrazia e Roma ri data all' Italia furono il suo precipuo  scopo, il pensiero che detto i suoi ul timi scritti. E quandoMazzini, temente  di combattere in uno la potenza delle  baionette straniere e la fede cattolica,  alla sola Venezia voleva rivolte le no stre forze, De Boni mal non si appo neva dicendo , che l'azione nostra  contro Roma mai non potrebbe dirsi  precoce e immatura, e mai nonsi do vesse sacrificare, coll' astenzione, sul l'altare dei pregiudizi.   Nè con tali ultimeparole egli esa gerava il suo stato: doveva morire po vero, come povero era vissuto.  Da parecchi anni nelle sue lettere  spesso lagnavasi di un lento malore  che lo travagliava. Pure fu sempre  assiduo alle sedute della Camera, nel la quale rappresentava il collegio di  Tricarico. La sua voce mai non fu  muta nelle gravi quistioni che si di batterono in questi ultimianni, espee so quasi solo difese quei principii di  libertà di coscienza e di libero pen 218  DECIMA  șiero, che st raramente si accoppiano , offrire al Signore la decima delle cose  nel maggior numero di coloro che so no devoti alle idee della democrazia.  Ma le sue forze mal rispondevano  oramai agli impeti generosi del cuore.  Non s' illudeva già sul male che len tamente lo prostrava, e agli amici ri peteva, che era uomo morto. Un pro cesso per diffamazione tentato contro  di lui aNapoli fin da quando, con co raggioso proposito, assumeva la re sponsabilità di quanto altri scrivevano  in un giornale liberale che colà era  rimasto senza gerente, rinnovavasi con  strana pertinacia all' incominciare di  ogni vacanza parlamentare e di nuovo  sospendevasi quando, all' aprirsi della  sessione, egli rientrava nei diritti del la inviolabilità della deputazione. No vellamente fu pure ripreso in questa  ultima proroga e minacciava già di  essere condotto alla fine, quando per  consigli d' amici, e accusatori e accu sato, vennero ad un onorevole accordo  pel quale fu tolto dal suo capo il pe ricolo di una detenzione che, senza  dubbio, cagionato avrebbe la sua fine.  Ma fu guadagno di poco momento,  Verso la metà del mese di novembre  dell'anno 1870, mentre riedeva dal so lito bagno freddo che egli prendeva  per consiglio del medico, cadeva sve-.  nuto sulla piazza di Santa Croce in Fi renze. Trasportato al villino Schwart zemberg ov' egli dimorava, più non  ne uscì che col funebre convoglio, il  qual doveva accompagnarlo alla tom ba, non acquistata, ma concessa alla  sua salma dalla pia liberalità di un  amico.  Decima. Come ' indica il nome,  così chiamasi il diritto del clero o della  Chiesa di percepire la decima parte dei  prodotti o delle rendite dei fedeli. Coloro  i quali sostengono che la decima è di  diritto divino citano parecchi testi del l'antico Testamento, che, per verità, sono  favorevoli al loro asserto. Quando Gia cobbe svegliossi dal sogno in cui aveva  veduto la scala misteriosa, si propose di  che avrebbe acquistate (Genesi XXVIII,  20,22). L'Esodo e il Levitico prescrivono  espressamente al popolo di pagare le  decime e le primizie (Es. XXII, 29 Lev.  XXVIII, 30), e unaltro libro della Bib bia, dice che Dio diede ad Aronne ed ai  Leviti le decime, le oblazioni e le pri mizieindiritto perpetuo(Numeri. XVIII),  Il Nuovo Testamento non parla di deci me: la carità è il fondamento della nuova  legge e par che Gesù facesse molto as segnamento su questa virtù del suo  greggie, poichè mandando gli apostoli  a predicare alle genti, lor vieta espres samente di prender seco nè denaro, nè  borsa, nè due tonache, nè scarpe, nè  altra cosa per il loro vestito o pel so stentamento, perciocchè i fedeli son quelli  che devono mantenere gli operai del  Signore (Matt. X. 9. 10-MarcoV17,8-Luca  IX, 3) Adunque nei primi tempi del cri stianesimo i ministri dell'altare vivevano  delle offerte dei fedeli, onde S. Ilario  vescovo di Poitiers, potè scrivere che  il giogo delle decime era stato tolto  da Gesù Cristo. Ma il clero cristiano,  così come quello dei leviti, non potè star  lungamente alsobrio regime della carità,  onde la decima risorge ben presto, e il  Concilio di Macon dell' anno 585 è il  primo che ingiunga, nel suo quinto ca none, di pagare la decima ai sacerdoti  sotto pena di scomunica. I capitolari di  Carlomagno ne regolarono la distribu zione e nel 1179 il Concilio lateranense  dichiarò che le decime erano di precetto  e le estese, oltre ai prodotti agricoli, e ziandio al profitto derivante dalla mano  d'opera e dall' industria (Selden Storia  delle decime). Infatti il concilio di Tro sly nell'anno 919 vi assoggetta tanto il  soldato che l'artigiano:>>>L'industria che  vi fa vivere, dicono i padri di quel con cilio, appartiene a Dio; dunque voi glie ne dovete la decima » (Bergier.. Diz.  Tcol). I modi di esazione della decima  erano coattivi e i decreti civili si uni vano ai precetti ecclesiastici per rendere  quel peso insopportabile. Francesco I. DEDUZIONE E INDUZIONE  con Decreto 1. marzo 1545, ordina che  prima di trasportare ilgrano dal campo  sia pagata la decima sotto pena di con fisca; egual decreto è dato dal governo  belga nel 1650, e Carlo IX il 14 agosto  210  tori ecclesiastici, nè i concili dei primi  otto secoli hanuo maicitato quelle false  Decretali; che nessuna di esse discorre  1568 gli stessi proprietari rende respon sabili della decima. Nuova specie di de cimaeraquella conosciuta sotto il nome  di Norale, e colpiva ogni dissodamento  dei terreni, i tentativi di nuove semina gioni, ogui miglioramento, ogni progres so. Invano Carlo V colle sue lettere pa tenti tentò di impedire che le popola zioni fossero « oppresse nell' occasione  della levata delle decime > ; le proteste  del clero 1 obbligano a interpretare le  sue stesse parole e a concedere l' ulte riore esazione delle Novali.  Finalmente nell' Assemblea francese  il 10 agosto 1789 Mirabeau tuona con tro le decime, che sono allora abolite di  diritto e di fatto su tutto il territorio  della Repubblica. Poco di poi le altre  nazioni seguono l'esempio; così la deci ma è cancellata dagli oneri civili, ma  nondimeno essa continua a sussistere  fra i precetti della Chiesa, i quali ne  impongono il pagamento come un dovere  imperioso di coscienza.  Decretali. Raccolta dei Decreti  che furono attribuiti ai papi dall' anno  93 in avanti, e costitui per tanto tempo  il fondamento del diritto canonico. Que sta raccolta è attribuita a un tal Isidoro  Mercatore, che si suppone vivesse nel  IX secolo, sul conto del quale null'al tro si sa che il nome, e fu approvata da  papa Nicolò I.  Oggidì niun dotto cattolico osa met tere in dubbio che buonnumero di que ste Decretali, e specialmente quelle di  tutti papi anteriori a Siricio non siano  apocrife, e in tal giudizio è indubbia mente convenuta la critica appoggian dosi a molte e varie considerazioni, fra  cui meritano di essere accennate le se guenti: Che i passi della Bibbia citati in  quei Decreti son tutti tolti dalla tradu zione di S. Gerolamo, che fu posteriore  a tutti quei papi; che nessuno degli au fondatamente delle cose opportune al  tempo incui si suppongono redatte ; che  in alcune si trovano interi passi di De creti fatti dai papi posteriori; e final mente che le date segnate coi nomi dei  Consoli sono false.  Può credersi che uno dei principali  motividi questa falsificazione quello fosse  di dare una cotal sorta di retroattività  alle pretese del papato, imperocchè fog giandosi i Decreti dei primi papi vole vasi specialmente mostrare che i vescovi  di Roma, fino dai primi tempi del cri stianesimo, erano sovrani della Chiesa e  autorizzati ad approvare di loro pieno  arbitrio l'obbligo dei concili,o a disappro varli se convocati senza il loro assenso ;  di regnare sovrani sugli altri vescovi,  scomunicare i re e detronizzarli. In  quella raccolta furono perciò alterati i  canoni dei Concili, ed aquello di Ni cease ne aggiunserobencinquanta, tutti  apocrifi.  Nonostante però le grossolane im.  posture ond'erano pieni quei Decreti,  corsero essi per assaitempo nelle manı  del clero come autentici, molti concili  e molti vescovi appoggiarono su di essi  le loro decisioni; Wicleff e Giovanni  Huss furono condannati dal Conciliodi  Costanza anche perchè le avevano di chiarate false, eilV.concilio di Laterano  tenuto sotto Leone X condannava Lu tero per lo stesso motivo. Tante deci sioni infallibili non tolsero che fin dal  secolo XVII la critica si levasse pode rosa contro questi atti apocrifi, sui  i quali David Blondel scrisse un'opera  laboriosa, intitolata: Pseudo Isidorus et  Turrianus vapulantes (Généve 1628).  Anche il Cardinal Baronio dovette ri conoscere la falsità delle Decretali  (Annali A. D. 865), la cui autenticità  oggimainessun teologo romano piùnon  osa sostenere.  Deduzione e Induzione. De duzione, da deducere, è parola novella 250  DEDUZIONE E INDUZIONE  mente introdotta nella filosofia per in dicare l'operazione del pensiero, il  quale da un principio generale cava  fuori, deduce, una verità particolare, in  opposizione dell' induzione , la quale  dalle verità particolari s'induce a sta bilire i principii generali. L'inferiorità  del metodo deduttivo in confronto di  quelloinduttivo può stabilirsi per quelle  stesse ragioni che ai cultori della filo sofia sperimentale fa preferire il me todo analitico a quello sintetico, le ve rità accertate a posteriori a quelle  stabilite a priori. ( V. ANALISI e A  POSTERIORI). Non possiamo in fatti ra gionevolmente pretendere di stabilire  dei principii generali, se prima non  conosciamo le verità particolari che  concorrono a formare la generalizza zione. Dal vedere che l'oro, il ferro,  il rame ecc. si liquefanno al fuoco, con chiudo colla verità generale, che tutti  i metalli sono suscettibili di liquefarsi  al fuoco. Dal vedere che i gravi ca dono verso il centro della terra, con chiudo che negli altri corpi celesti i  gravi seguiranno la stessa direzione.  Osservando che in tutti itriangoli da  ine veduti la somma dei tre angoli  corrisponde sempre a due angoli retti,  ne inferisco che questa relazione è as soluta e si verificherà in tutti i trian goli possibili nel mondo o negli astri.  Tutti questi sono argomenti condotti  coll'induzione, tanto acconcia alla ca pacitàdegli uomini; poichè innanzi tutto  l'uomo percepisce le accidentalità par ticolari che cadono immediatamente  sotto i suoi sensi, e non è mai senza  una continuata osservazione di queste  accidentalità, ch'egli riesce a stabilire  i principii generali, d' onde emanano.  Invano noi cercheremmo di avere l'idea  del genere se prima non avessimo con cepita quella della specie, nè quella  della specie sarebbe accessibile al no stro intendimento se non avessimopri mabenconosciuti e studiati tutti i ca ratteri degli individui che la compon gono. Questa è la ragione per cui nelle  lingue dei selvaggi mancano assoluta mente i vocaboli esprimenti le idee  generali. Gli australiani hanno bensi  nomi particolari per indicare ogni  sorta di piante, ma non hanno parola  per indicare una pianta in genere, il  che vuol dire, che essi non sono ancora  riusciti a riunire per astrazione tutti i  caratteri speciali e comuni della grande  vegetazione, nella ideagenerale chenoi  esprimiamo colla parolapianta. Il tem po soltanto e la continuata osserva zione potranno condurre i selvaggi  dalle idee particolari alle generali ; e  sarebbe una assurdità filosofica il vo lere stabilire nella filosofia un metodo  contrario a quello che segue la natura  nelle percezioni ch'essa ci dà di se  stessa. Il perchè anche lalogica ripu gna al metodo deduttivo, tanto caro  ai metafisici, e pur tanto contrario al l'ordinario procedimento del nostro  pensiero. Invero, se la conoscenza delle  verità particolari non fosse necessaria  perstabilire i principii generali, noi do vremmo essere sorpresi che iselvaggi  e i bambini non riescano mai a inten dere i grandi principii che costituisco no, per cosi dire, tutta la sintesi della  scienza. Ma se noi ammettiamo che le  idee generali s'acquistano soltanto dopo  la conoscenza delle particolari, saremo  forzati a convenire che il metododedut tivo non può mai nulla dinuovo rive larci che già non ci sianoto, a meno chè non deduca da principii generali  supposti a priori, e quindi non dimo strati. E veramente, quando il metodo  deduttivo dall' esistenza di Dio deduce  la necessità di una giustizia nel mon do, suppone in Dio lageneralizzazione  dell'idea di giustizia, ma non dimostra  che questa generalizzazione sia anche  una realtà. Ben più, esso non fa altro  che ripetere in senso inverso una ope razione che l'induzione aveva già com piuta in modo diretto, avvegnachè sia  stato in grazia della osservazione della  necessità di una giustizia particolare  nel mondo, che l'uomo ha potuto ele DEFINIZIONE  varsi alla generalizzazione astratta di  una giustizia divina e universale.  Adunque, il metodo deduttivo per  essere vero, e per avere un valore pro 251  di nuovo mi rivela, e sempre mi porta  a quegli stessi dati che io aveva pri ma d'incominciare la divisione.  prio, deve necessariamente supporre in  noi delle idee innate, dei principii ri velati a priori, i quali non ci siano  pervenuti per la via dei sensi. E chi  non ammette l'esistenza di questi prin cipii rivelati, è necessariamente con dotto a riconoscere che le verità inse gnateci dal metodo deduttivo non sono  che una vana ripetizione e uno sfac ciato plagio di ciò che già era noto  per mezzo dell'induttivo.  Ma se il metodo deduttivo non ha  alcun valore proprio, può nondimeno  giovare nel ragionamento come prova  della induzione, e può anche venire in  soccorso della dialettica col sillogismo,  il quale, secondo le regole della scuo la, ponendo innanzi tutto una premessa  generale, da quella deduce una conse guenza particolare. Ogni corpo è dotato  d'estensione; io sono esteso, dunque sono  un corpo. Oppure : Ciò che non ha e tensione non esiste; ma lo spirito non  ha estensione, dunque lo spirito non e siste. Ecco due deduzioni sillogistiche  perfettamente logiche e intorno alle  quali nulla vi è a ridire. Ma se la de duzione ci giova egregiamente come  mezzo di prova, nulla però ci rivela  che già non ci fosse noto. Infatti noi  non avremmo potuto dedurre alcuna  conseguenza dal principio generale che  ouni corpo ha estensione e che ciò che  nonhaestensionenon esiste, seprimal'in  duzione, partendo dal fatto particolare  della percezione che i nostri sensi im mediatamente hanno di ogni singo lo corpo, non avesse potuto stabilire  i principi generali sopra enunciati. Mi  sia dunque lecito di dire, che la dedu zione è per l'induzione, ciò che per  l'aritmetica è la moltiplicazione, consi derata come prova della divisione. Que st'ultima, infatti, rifacendo l'operazione  della prima, può provarci se in quella  io abbia o nonabbia errato, ma nulla  Per analogia noi direm dunque che  il metodo induttivo è controllo e prova  delle false dimostrazioni, ma nulla ci  rivela . Invece il metodo rivelatore,  quello che nelle scienze guida si curamente alla scopertadei nuovi prin cipii, è l'induttivo, il quale, nelle sue  indagini dal noto all'ignoto, dal parti colare al generale, si fonda sempre sul  principio che ogni effetto suppone una  causa, la quale esso tenta di scoprire  colla scorta dell'altro principio che data  la medesima sostanza e le stesse condi sioni, gli effetti devono essere sempre  eguali. Quindi è, che conosciuto l' ef fetto e trovate le condizioni in cui si  è prodotto, l'induzione può scoprire la  sostanza o la causa che l'hanno gene rato. In questo senso Bacone ben si  apponeva discreditando il sillogismo  perproclamare la prevalenza dell'indu zione. Il sillogismo fu, infatti, il solo  mezzo di indurre della vecchia scuola,  la quale fin'anco ignorava la parola  deduzione, comparsa nei dizionari dei  nostri tempi per opporla al metodo in duttivo inaugurato da Bacone. Questa  è anche la ragione per la quale. si passi  dal generale al particolare, o dal par ticolare al generale, suolsi sempre dir  che si deduce, quantunque più propria mente in quest'ultimo caso dovrebbe  dirsi che s' induce.  Definizione. Due sorta di defini zioni distingue la filosofia: le nominali  e le reali. Le primeson quelle che de terminano il senso in cuidevono inten dersi le parole ; le seconde invece con siderano le qualità stesse delle cose che  le parole rappresentano, e le determi nano. Il difetto di buone definizioni è  la causa precipua della maggior parte  delledispute filosofiche, ondesivedequan to importi, per evitare ogni contraddi zione, di bene e chiaramentedefinire le  cose di cui si parla e il senso della pa role che si adoperano, e quanto sia ri 252  DEFINIZIONE  provevole l'uso di coloro che, per ri spetto ai pregiudizi dominanti, usano  certe parole in un senso che è ben di verso da quello che hanno nell'uso co mune, senza farle innanzi tutto prece cedere da una chiara ed esplicità defi nizione del nuovo e inusitato senso  con cui quelle parole vengono intro dotte nel discorso. Accade sovente di  vedere degli uomini profondamente in creduli esaltare il sentimento religioso;  il perchè essi per sentimento religioso  intendono un qualche cosa che si av vicina alla morale, alla cognizione e  all'osservanza dei doveri nostri. Costoro  evidentemente abusano delle parole, av vegnachè per sentimento religioso da  tutti s'intenda quella aspirazione che i  credenti provano verso Dio, e quel ta cito bisogno che essi hauno di render gli un culto.  Accade lo stesso anche nelle defini zioni reali. Quando la natura delle cose  di cui si parla non è bene e chiara mente definita, non si può sperare di  ragionarvi sopra con fondamento. Se lo  spirito fosse meglio definito non si ve drebbe le tante fiate confuso con la  forza, da quei cotali i quali prendendo  lo spirito nel senso di una attività che  muove l'universo, credono di ridurre  alle strette i materialisti dicendo loro :  fonderlo colla forza, la quale è una  funzione inconsciente non creatrice,  relativa ai corpi e cosi strettamente  congiunta con la materia, che distrug gendo questa quella sarebbe distrutta al  tempo stesso.  La confusione che spesso si fa tra  l'ente e la funzione dipende dunque da  un difetto di definizione, che non sarà  mai bastantemente lamentato, inquan tochè talora si spenda vanamente un  tempo prezioso in controversie che, in  fin dei conti, si risolvono in una mera  questione di parole.  Ma dalla necessità della definizione  come mezzo adatto ad esporre e a ri chiamare alla memoria il meno imper fettamente che sia possibile le cose ve dute, alla defininizione considerata come  principio corre un abisso. Si tenga bene  amente, che ledefinizioni possono farsi  soltanto sulle cose note, e che ogni de finizione piuttosto che essere un princi pio generale e sintetico, non è altro  che un esame analitico delle proprietà  della cosa definita. Il triangolo, dice  Condillac, si definisce chiamandolo una  superficie determinata da tre linee. Ma  se questa definizione ci dà una idea del  triangolo, si è perchè abbiamo veduta  quella figura; se non l'avessimo veduta  non avremmo mai pensato a definirla.  La definizione in se stessa nulla rivela  > (Argomento di  Mazzini).  Delresto, se i credentinelle religioni  non si accordano fra di loro intorno ai  principii della fede, convien dire che i  deistinonsi accordano meglio fra di loro  intorno ai limiti e alla potenza del loro  Dio. Clarque distingue quattro classi di  deisti che più propriamente si possono  ridurre a tre : 1° Quelli che ricono scono un Dio senza provvidenza, indif ferente alle azioni degli uomini e agli  avvenimenti di questo mondo; 2º quelli  che credono in un Dio e in una prov videnza, ma negano le pene e i premi  dell'altra vita. 3º Finalmente quelli che  credono ai premi e alle pene della vita  futura e ammettono la provvidenza di vina. A quest'ultima classe appartengono  tutti i deisti moderni. Kantpoi, con una  divisione affatto arbitraria, distingue il  Teismo dal Deismo, e mentre il primo  definisce la credenza in un Dio libero  creatore e regolatore del mondo; il se condo vorrebbe che fosse limitato alla  credenza in una forza infinita, non in telligente e strettamente unita alla ma teria (Critica della ragione pura p. 659)."  Questa interpretazione non è passata  nell'uso comune, avvegnáchè se cosi 254  DEMOCRITO  fosse, tutti i materialisti dovrebbero og gimai dirsi deisti. (V. Dio)  Deleyre ( Alessandro ). Nacque a  Portrets, presso Bordeaux nel 1726, e  fece i suoi studi nel collegio dei gesuiti,  dei quali vesti l'abito fino all'età di quin dici anni. Quando i gesuiti furono e pulsi dalla Francia, egli si recò aPa rigi ove, nonostantelasua esagerata di vozione, ebbe tanta ventura distringere  amicizia con Diderot, d'Alembert e Rous seau i quali lo persuasero a seguire le  sue inclinazioni per le lettere. Da quel  momento si può dire che incominciò il  rinnovamento della sua educazione, sic chè abbandonato il bigottismo eccessivo  professato nell'adolescenza, man mano si  piegò al partito filosofico di quei tempi  e volse infine ad un aperto ateismo.  L'Analisi della filosofia di Bacone pub blicata nel 1755 in tre volumi, è lavoro  pregevole per la chiarezza con cui egli  espone la filosofia del cancelliere d' In ghilterra e per l' energia delle convin zioni che vi professa l'autore. Fece vari  articoli nell' Enciclopedic, fra i quali  merita menzione quello sul Fanatismo,  che Voltaire riprodusse, sebbene abbre viato, nel suo Dizionario filosofico. La  professione di principii apertamente ir religiosi contenuta in quello scritto, gli  cagiond non pochi dispiaceri. Rousseau,  chenon fu sempre religioso, volle allora  dare all'amico suo consigli di strana  moderazionè >>  ( V. la mia Storia critica della superst.  T. II cap. VIII ).  Ma la demonologia non termina coi  processi delle streghe. Ingentiliti i co stumi, non si abbruciarono più gl' inva sati, ma la potenza del demonio non fu  perciòmeno grande. Gli animali. (v. BE STIE ) l'acqua, l'aria e tutti gli elementi  apparvero congiuranti a danno dell'uo mo, diretti dalla potenza di Satana. A  poco a poco la civiltà spegne i roghi,  manon toglie gli esorcismi, e con essi la  stupida credenza dei vulgari nelle opera zioni magiche del clero. I rituali sono  pieni di esorcismi per tutti i casi e per  tutte le circostanze della vita. Si esor cizza l'acqua prima di benedirla affin  di scacciarvi il demonio che può esservi  occultato, e con l'acqua esorcizzata si  battezza, e il battesimo è novello esor cismo, col quale la Chiesa vuole innanzi  tutto cacciare il demone ch'è in pos sesso del corpo. « Io ti esorcizzo, dice  e ti allontani da questo servo di Dio.  Avvegnachè egli sia Colui che ti coman da ecc ». ( Rituale di Toul Edizione del  1700 pag.. 32 35). Non vi è malanno che non si com metta dai demoni.>  Nel 1742 Diderot strinse amicizia  con Rousseau, ma questo filosofo bron tolone e diffidente non era guari fatto  per viver cogli uomini. Nel 1758 l'a micizia fu rotta e convertita in aperta  inimicizia. Diderot si unì poi a D' A lembert per redigere la famosa Enci clopedia, che interrotta per divieto del  re, e poi ripresa fu infine condotta  a termine sotto la direzione di lui  solo (v. ENCICLOPEDISTI), La pubbli DIDEROT  cazione dell' ENCICLOPEDIA assicurò la  fama del filosofo, che ebbe la buona  sorte di ottenere la protezione di Cate rina II di Russia, la quale volendo in  bella maniera gratificarlo, acquistò la  sua libreria per 15,000 lire, accordan dogli il diritto di conservarla presso  di sè per tutta la vita, e assegnando gli inoltre una pensione per la custo dia dei libri che l' imperatrice in que sta singolar maniera aveva acquistati.  Il procedere degli studi e della  273  dimento col quale faceva parlare il  suo amico. Ma chi, diceva, oserà fir mare questo ?- Io, rispondeva l'ab bate, continuate dunque.  Qual'è  ancora l'uom di lettere il quale non  riconosca facilmente nel libro dello  spirito d' Helvetius e nel sistema della  natura di Holbach molte belle pagine  che non sono, che non possono esse re che di Diderot? Se noi dovessimo  fama di Diderotlo fecero eziandio pro cedere nella negazione del sovranatu rale; e fint col dichiararsi ateo e ma terialista. Nei suoi Principii filosofici  sulla materia e il movimento, egli ri conosce una forza inerente alle mole cole, inseparabile ed eterna, ed accu sa il cartesianismo di assurdità per  avere insegnato che nella materia vi  è una opposizione reale al movimento.  La morale assoluta è pure combattuta  daDiderot in uno scritto che ha per  titolo: Supplemento al viaggio di Bou gainville, o Dialogo tra A e B sull'in conveniente di attribuire le idee morali  a certe azioni che non le comportano.  L'autore con singolarità e spirito di mostra che i costumi dei selvaggi son  quelli della natura, che il pudore e il  ritegno sono chimere, principii di mo rale puramente convenzionale,e la fe deltà conjugale una ostinazione ed un  supplizio. Da buon epicureo Diderot  insegna l' amor del piacere, ma non  lo vuol disgiunto dai nobili affetti e  dalle passioni pure.  Oltre una quantità di scritti sull'ar te, sulla poesia e sulla filosofia, par che  Diderot collaborasse in quelli eziandio  i quali non figurano sotto il suo no me. L'amico suo Grimm, nella sua  corrispondenza, scriveva di lui:   Dilemma. Sorta di sillogismo il  quale consta di due proposizioni oppo ste, di cui una sola può esser vera. E sempio: Se le tre persone divine sono  distinte le une dalle altre, non possono  essere consustanziali; dunque sono tre  Dei; se invece sono consustanziali non  possono essere distinte; e allora Dio di venta Uno senza persone distinte.  Diluviano. Che si riferisce aldi luvio. In geologia dicesi terreno diluviano  o diluvium quello strato terrestre il qual  si suppone che fosse alla superficie della  terra all' epoca del diluvio; e terreno  post-diluviano quello che lo segue. Ma  uno studio più accuratoha reso evidente  che veri diluvi o cataclismi non vi fu rono mai, e che lo strato il qual si re puta diluviano fu lentamente costituito  dall' azione delle correnti d' acque che  anche tuttodi nell' alveo e alla foce dei  fiumi e sulle sponde del mare forma no terreni nuovi, per l'effetto di una  secolare accumulazione di materie. Im pertanto i geologi della nuova scuola  evitano quest' antica denominazione e,  con maggior proprietà di linguaggio,  chiamano il terreno diluviano strato d'al luvione antica, il post-diluviano, strato  d' alluvione moderna (v. CATACLISMA).  Diluvio. Il racconto della Genesi  (Cap VI) intorno al Diluvio di Noè non  può lasciarci alcun dubbio sul carattere  mitico di quella leggenda. Non solo il  Diluvio contrasta con tutto l'indirizzo  della geologia moderna (v. CATACLISMA)  ma le circostanze stesse che l'accom pagnano sono assurde e impossibili.Nar ra la Genesi che nell' Arca sette per sone ricoverarono: Noè, i suoi tre figli  e le loro mogli. Oltre a questi, di cia scuna specie d'animali mondi entra rono nell' arca sette paia, e degli ani mali immondi un sol paio per ogni  specie ( Gen. VII. 2. 3. 14. 15). L'ar caavevalalunghezza di trecento  biti, era larga cinquanta e alta trenta;  cu DILUVIO  la luce riceveva dall' alto, aveva una sol  porta ed erafatta atre piani (Gen. VI.  15. 16). Secondo i dati stessi della Bib bia essa presentava dunque una super ficie di 15,000 cubiti quadrati per ogni  piano e così in complesso una super ficie di 45,000 cubiti , corrispondenti  a 15,000 metri all' incirca. Domandasi  se questo spazio poteva bastare a con tenere anche soltanto un paio di tut ti gli animali viventi sulla terra. I soli  mammiferi finora conosciuti, compresi i  cetacei, ascendono a ben 1200 specie, e  stando nei limiti di un più che mode rato calcolo, si può dire che, in media,  per ogni mammifero occorre lo spazio  275  nel calcolo soltanto due individui per  ogni specie. La Bibbia però ci avverte  che delle specie pure sette paia furono  ricoverate. Ma quali sono gli animali  puri ? La Bibbianol dice; però ci indi ca poche specie soltanto come impure.  Ma suppongasi, per abbondanza, che una  metàdei mammiferi appartenga alle spe cie impure; dovremo sempre per l' altra  metà aumentare di sei volte lo spazio  occorrente. Questo aumento ci da la  cifra di altri 66,000 cubiti quadrati.  di cinque cubiti quadrati all' incirca. E  siccome per ogni specie devono ricove rarsi nell' arca due individui almeno,  così tutti insieme occuperanno una su perficie di ben 6000 cubiti. Ma una metà  di questi mammiferi appartengono alla  specie dei carnivori, d' onde la necessi tà di immettere nell' arca altrettanti  animali quanti occorrevano pel loro man tenimento nel periodo di 355 giorni, du rante i quali restarono nell' arca. Ora,  ammesso che in media ogni mammifero  carnivoro consumasse mezzo chilogram mo dicarne per ogni giorno, dati 1200  carnivori (600 maschi e altrettante fem mine) il consumo giornaliero della car ne avrà dovuto ascendere a seicento chi logrammi, e così per tutta la durata  del diluvio a chilogrammi 237,000, i  quali possono essere rappresentati da  circa 300 buoi, occupanti una superfi cie di 3000 cubiti quadrati almeno. Per  l'altra metà dei mammiferi non carni vori dovevasi accogliere nell' arca il  nutrimento vegetale necessario, il qua le, supposto che constasse di solo fieno,  poteva occupare uno spazio per lo me no doppio dell' alimento necessario ai  carnivori; tanto più che doveva servire  eziandio al mantenimento dei 300 buoi  riservati al pasto degli altri animali.  Ecco quindi una superficie di 21,000  cubiti quadrati, occupata dai soli mam miferi. Ma finora abbiamo introdotto  Questo per i mammiferi soltanto. Ma  abbiamo oltre 500,000 specie di uccelli  e parecchiemigliaia d' altre specie, tra  insetti, vermi, rettili, moltissime delle  quali sono carnivore e altre vivono sot to la terra ed hanno bisogno di gran dissimo spazio. Non è dunque fuor di  proposito ilvalutare lo spazio occorrente  a tutti questi animali inragione di una  metàalmeno diquellooccorrente aimam miferi, e così avremo in complesso una  superficie di circa centomila cubiti qua drati, che è quanto dire maggiore di  oltre sei volte la reale capacità del l'arca!  Il credere poi, come fanno gli orto dossi, che sette persone potessero ba stare a provvedere ai quotidiani biso gni di tutti questi animali, è cosa che  muove il riso. Invero, se ifelici abita tori dell' arca avessero anche avuto la  forza di provvedere tutti i giorni alle  occorrenze di ogni singolo animale, non  ci sarebbero riusciti per mancanza di  tempo, imperocchè ammettendo che al l'incirca quattro milioni di individui fos sero rinchiusi in quel luogo (e il cal colo non è largo ) sette persone che  avessero lavorato indefessamente, sareb bero appena riuscite a numerarli men talmente. Figuriamoci poi se sarebbero  bastati a portare dall'una all'altra gab bia il nutrimento, a rifare il letto del le bestie, a pulire e lavorare i pavi menti, senza cui quella casa quadrata  che si chiama arca, sarebbe in breve  stata ripiena di un insopportabile fe tore. 276  DILUVIO  Riesce ancor più difficile lo spiegare  naturalmente, come vuole Don Calmet  (Dis. Biblico), i fenomeni cosmici che  accompagnarono il Diluvio; imperocchè  senza che Iddio compiesse una nuova  creazione di sostanza acquea, non siriu scirebbe ad intendere in qual maniera  volte tutto l'elemento liquido esistente  sul globo!  Ma tolgansi pure queste impossibi lità fisiche all'effettuazione deldiluvio, e  credasi, come vogliono i sapienti orto dossi, che questo non sia stato altro che  un cataclisma geologico; ebbene, l' evi denza non sarà perciò più chiara e la  pretesa conciliazione tra la Bibbia e la  scienza non vi avrà nulla guadagnato.  le acque potessero superare di quindici  cubiti le piú alte montagne. Suppongasi  pure che l'atmosfera fosse satura di va pore e che il passo biblico: in quel  giorno si aprirono le sorgenti dell'abisso | cataclisma dei geologi corrisponde a  e le cateratte del cielo, debba interpre tarsi nel senso, che le acque del mare  Infatti, nessuno degli effetti attribuiti al  si rovesciarono sui continenti e i vapori  sospesi nell' atmosfera si sciolsero in  pioggia. Ma si è calcolato che i vapori  dell'atmosfera non potevano dare uno  strato d'acqua che coprisse la terra per  una altezza maggiore di dieci piedi. Nè  possiamo credere che il mare uscisse dal  suo letto, per coprire i continenti, giac chè questo fatto oltre all'essere contra rio alle leggi della statica e all'equilibrio  dei liquidi, non avrebbe poi, anche se  possibile, di molto superata una appena  mediocre altezza. Aquesto proposito ben  dice Voltaire, (Bible espliquée T I) che  affinchè l'acqua potesse innalzarsi di  quindici cubiti sopra le più alte monta gne, sarebbe stato necessario che si fos sero formati dodici oceani ' uno sopra  l'altro, e che l'ultimo fosse stato venti quattro volte più grande di quello che  oggidi circonda i due emisferi.  Forse questo conto è alcun poco e sagerato, ma possiamo noi stessi ridurlo  alle sue verosimili proporzioni, calco lando che la profondità del mare sia  in media di tre chilometri ( ridotti  a  due, poichè una terza parte della su perficie non è coperta dalla acque) e  prendendo per base del calcolo il raggio  terrestre in 6000 chilometri. In tal caso  tutta l'acqua dei mari sarà valutata in  215, 928,008 di chilometri cubi. Or l'Hi malaya sorge asei chilometri sul livello  del mare, e a superare la sua cima oc correrebbe la quantitàdi648,648 216 di  chilometri cubi d'acqua, ossiapiù di tre  quelli annunziati nella relazione di Mosè.  Questieffetti sono principalmenteloscava mento delle valli, ladenudazione e l'ero sione delle roccie, ladispersione su tutta  la superficie della terra dello stesso de positodurante la rinnovazionedella mag gior parte degli esseri viventi, e special mente di quasi tutti imammiferi del pe riodo terziario. Or Mosè ebbe cura di  avvisarci che nessuna delle specie viventi  all'epoca del diluvio si è estinta in que sta catastrofe, ed ha prevenute tutte  queste supposizioni di denudazione e di  sprofondamento, raccontando con qual  lentezza le acque diluviane si sono ab bassate, lasciando in piedi, non solo gli  alberi delle foreste, ma ancora quelli dei  campi, come gli olivi (Gen. cap. VIII.  11). Nessuna concessione della geologia,  nè dell' astronomia potrebbe conciliare  ciò che queste scienze hannodi più po sitivo coll' interpretazione letterale di  parecchi passi del racconto di Mosè. La  dottrina esposta nel celebre Discorso  preliminare di Cuvier, quantunque re putata ortodossa, si allontana anch'essa  in molti puntidal raccontogenetico. Es sa suppone l'emersione prolungata per  molti secoli di una partedella superficie  terrestre e l'immersione esclusivadiun'al tra parte ». (Reboul. Geologie de la pé riode quaternaire cap. 27).  Finalmente non bisognadimenticare,  siccome un fatto assai caratteristico, che  questo diluvio mandato appunto per  sterminare l'umana specie avrebbe avuto  per conseguenza di produrre un terreno  geologico nel quale si trovano animali DILUVIO  d'ogni specie non più esistenti, eccetto  quelli dell'uomo !  Ma piuttosto che andare incontro a  tante assurdità, non è egli più savio  consiglio il riconoscere che la leggenda  diluviana non ha nulla di reale e deve  forse la sua origine ad un mito indiano?  La tradizione deldiluvio era infatti molto  diffusa fra gli orientali. Il caldeo Beroso  parla di un diluvio nel quale il buon re  Xisustri, avvertito dagli Dei sulla pros sima innondazione del Ponto-Eusino, si  salvò entro un'arca; un altro diluvio ri cordalamitologia greca nelquale Deuca clione e Pirra ripopolarono il mondo  gettandosi dietro le spalle dei sassi, che  si trasformarono in uomini ; e gli stessi  egiziani ricordavano un diluvio nel quale  si sommerse l'isola Atlantide. Ma tutte  queste tradizioni la cedono in vetustà a  quella dell' India, dove i Vedas, certa mente anteriori alla formazione definitiva  del Pentateuco, narrano l' avvenimento  del diluvio con quelle singolari concor danze coi nostri libri santi, le quali si  possono vedere nel seguente parallelo del  Diluvio di Vichnu.  Notisi intanto che Vich-Nù, Me-Nù,  hanno sempre la stessa desinenza di Nù,  dallaquale gli Ebrei trassero il loroNoè.  Èpoi curiosa laconcordanza del dilu vio del primo con quello del secondo.  Se ne togli la differenza del mito, do vuta alla diversa indole dei due popoli  che lo creavano, è impossibile negare  che uno non proceda dall' altro. Per la  migliore intelligenza del lettore qui sotto  ne riporto la comparazione:  Bibbia-Genesi,  Cap. 6, 7, 8.  Il Diluvio.  Edecco, io farò  veniresoprala terra  il diluvio delle ac que, per farperire  disottoal cielo ogni  carne in cui è alito .  di vita: tutto ciò che  è in terra morrà.  (VI. 17).  MAHABARATA  BAGAVAD-GITA  Episodio del pesce.  Di ciò che si muo ve e di ciò che non  si muove il tempo  avvicina minaccioso  e terribile.  Fatti un' arcadi  legno di Goser  falla a stanze ed im peciala di fuori e di  dentro conpece (Id.  14).  Eprenditid' ogni  cibo che si man giaedaccoglilo ap presso a te (id. 21).  ENoèfececosì:  egli fece secondo  tutto ciò che Dio  aveva comandato...  ed entrò nell' Arca  consuamoglie, con  le moglide'suoifi glioli (VII, 5, 7).  Eildiluviovenne  sopra la terra...... e  le acque si rinfor zarono e crebbero  grandemente e l'Ar canuotava sopra le  acque (Id. 47, 18).  Eleacqueavan zarono i monti che  furonocoperti(VIII,  20 е 24).  Ed essendo state  chiuse le cateratte  del cielo, l'acque an daronoritirandosi e  nel decimosettimo  giorno del settimo  mesel'Arca si fermò  sopra le montagne  d'Ararat (VIII, g-4).  E Iddio parlò a  Noè dicendo : Esci  fuor dell' Arca, tu  e la tua moglie ei  tuoi figlioli ( VIII,  15, 16,).  Ed Iddio bene-.  disseNoè e suoi fi gliuoli e disse loro:  277  ,  Fatti una nave  forte, solida, ben  congiunta con le gami.  Etusalirainella  nave e porterai te co tutte le sementi  perchè vi si con servino lunga sta gione. E stando sul  legno mi vedrai ve nire a te con un  corno sulla testa al  quale mi riconosce rai....  E Manù racco gliendo tutte le se menti entrò nella  nave con sette ri chis (sapienti) e si  diede a vogar sul l'oceano orrenda mente gonfiato.  Evidde ilpesce  nuotante nelle acquə  portante un corno  come aveva predet to.....  Attaccòuna corda  al corno che esso  portava al capo, e  il pesce essendosi  avviato trascinò ra pidamente il basti mento sui flutti del l'oceano.  Agitata da fu riosi venti la nave  vacillava sui caval loni. Nè la terra,  nè le regioni del  cielo erano visibili:  tutto era acqua lo  spazio e il cielo.  Così il pesce fe ce vogare la nave  per molti anni, poi  lafeceposare làovè  l' Himarat elevava  lasuapiù altacima.  Alloracosì il pe sce pariò ai sapienti  della nave: lo sono  Rama; nessun es sere è più elevato  dime.  Sotto forma di  pesce io venni asal varvi dai terroridel 278  fruttate e moltipli  catee riempite tutta  la terra (IX, 1, 7).  Io fermo il mio  patto con voi, che  ogni carne non sa ràpiùdistrutta per  l'acqua del diluvio,  e non vi sarà più  diluvio per guastar  la terra. (Id. II ).  DINAMISMO  lamorte. Da Manu | di essere dimostrata, imperocchè non  devono ora nascere si va dal noto all'ignoto, dalla verità  tutte le creature.  Esso deve ri creare tutti i mondi  e per via di auste rità e devozioni sa rà compiuto quel  ch'io annuncio.  Perfavormiola  creazione degli es seri non cadrà più  in confusione.  Dimostrazione. La dimostra zione è il fondamento più ovvio d'ogni  filosofia esatta. Non vi può essere per  noi verità se non è dimostrata; la di mostrazione è quella che ci apre gli  occhi all' evidenza e c'insegna le cose  che credere dobbiamo. La dimostra zione deve seguire il metodo induttivo,  anzichè il deduttivo ( v. DEDUZIONE );  essere a posteriori e non già a priori  (vedi queste parole ); preferire il me todo analitico al sintetico (v. ANALISI ).  Questi principii fondamentali della di mostrazione furono sempre miscono sciuti dalle vecchie scuole della filoso fia, le quali fondandosi appunto sul  principio falsamente affermato daAri stotile, che la dimostrazione è l'atto  del dedurre da una verità univer sale le conseguenze che ne sortono,  necessariamente, hanno supposto che  le verità universali potessero essere a  nostra conoscenza prima ancora della  dimostrazione, e che questa giovasse  soltanto per mostrare l'evidenza delle  verità particolari in quanto si riferi vano agli stretti e necessari rapporti  immediatamente percepita a quella a stratta della generalizzazione, senza che  i rapporti fra queste idee non siano  dimostrati, e che la loro conformità  non sia resa evidente. Ad esempio, io  posso ben credere senza dimostrazione  che l'acqua che bevo è incolore e  trasparente, poichè il fatto stesso della  sensazione che provano i miei occhi è  dimostrazione sufficiente a indurmi in  questa convinzione; e posso egualmente  credere che tutte le acque della terra  non sono egualmente incolori e tra sparenti, poichè ne vedo di più o di  men chiare secondo le fonti, e i ter reni ov'esse si depositano. Ma la di mostrazione diventa solo necessaria  quando io voglio astrarre da queste  differenze e stabilire la proprietà ge nerale dell'acqua di essere incolore.  È allora che io ho bisogno di doman dare alla chimica il soccorso della sua  analisi e della sua sintesi per provare  che le sostanze coloranti non sono  parte essenziale di queste acque, e che  in qualunque tempo, e in qualunque  paese si combinino insieme 88, 91 parti  di ossigeno con 11, 09 d'idrogeno si  avrà quel liquido che si chiama acqua.  Questa verità è dunque d'ordine uni versale, ma è vera sol in quanto è ve rità dimostrata, l'abbiam conosciuta  coll'induzione passando dal noto all'i gnoto, l'abbiamo stabilita colla scorta  delle verità particolari, ma non l'ab biamo dedotta da alcun principio più  che questi avevano con quella. Questo | generale.  errore è stato ben confutato dalla scuo la sensualista, la quale facendo rife rire tutte le nostre idee alla sensa zione, ha provato che le sole verità le  quali non hanno bisogno di essere di mostrate, son quelle che diremmo as siomatiche, e che derivano immediata mente dai sensi ( v, ASSIOMA). La ge neralizzazione di queste verità primi tive direttamente provate dalla sensa xione, è quella che invece ha bisogno I cippo nè a Democrito è mai caduta in  Dinamismo. Teoria filosofica  opposta all' atomismo, per la quale si  concepisce la materia come il risultato  di sole forze. L'atomismo antico aveva  cercato di spiegare i fenomeni della  natura col solo soccorso degli atomi e  del moto, ma è un errore di molti il  credere che in questo sistema tanto av versato oggid) dai metafisici, gli atomi  fossero inerti e senza forza. Nè a Leu DINAMISMO  mente siffatta incongruenza, e l'ultimo  specialmente si è assai ben spiegato  intorno al movimento dei suoi atomi,  ch'egli disse eterno, necessario, quan do intese il movimento con le parole  necessità del fato ( v. DEMOCRITO ). Ciò  posto, non si capisce proprio l'entu 279  non sono altro che i fenomeni, pro prietà assegnate alla materia per rap  presentarla come una sostanza, men tr' essa poi non è altro che il risultato  di azioni e combinazioni di forze, in  una parola il movimento. Credette egli  siasmo di coloro che esaltando le me tafisicherie del dinamismo, credono di  dir cosa nuova insegnando contro l'a tomismo una teoria del movimento.  Leibaitz, Kant e Schelling fondarono  la teoria dinamica. Il primo, per ve rità, non intravvide altro che la im possibilità di un' azione degli atomi  senza forze che fossero inerenti alla  loro sostanza, ed ebbe, confessiamolo  pure, il merito grandissimo di stabilire  chiaramente che alla materia è inerente  il movimento. « Ogni porzione dellama teria, non è soltanto divisibile all' infi nito, ma ancora suddivisa attualmente  senza fine ciascuna parte in parti, o gnuna delle quali ha un movimento  proprio. (MonadologiaNe.65 p. 710)».    ( Genesi XVIII, 21). Non ha la prescien za nè la sicurezza dell'operare ; ed è solo  dopo aver compiuta la creazione ch'egli  si avvede d'aver fatto cosa buona. Spesso  rammaricasi dell'opera sua : si pente di  aver creato l' uomo ( Genesi VI, 6), e  fatto re Saul (I Re XV, II); nè mai è  sicuro se i popoligli saranno fedeli, on d' egli prevede di doversi pentire del  beneche aloro fa (Geremia, XVIII, 10).  Siffatti volgari antropomorfismi, sono  ben altro cbe adatti a farci credere  che l'antica rivelazione abbia dato agli  uomini l'idea di unDio spirituale; e son  poi così goffi e così bassi che la teolo gia è costretta a interpretarli allegori camente. Non èdunque lontano dal vero  chi fa risalire a Platone la prima idea  dello spirito; e per lo meno non è dub bio che il suo Dio fosse incorporeo. Egli  considerò il corpo come un segno d'im perfezione e credette che un essere cor poreo non potesse essere eterno. I cinesi  si avvicinavano a questaopinione quan d'essi dicevano che nessuna cosa nel  faccia senzamorirne (Esodo XXXII! 18 | mondo gli rassomigliava, nè ch'egli po teva vedersi; e i pitagorici credevano  anch'essi che Dio fosse un essere incor poreo. Giova avvertire però, che per  quanto questi filosofi sembrino avvici narsi al concetto della metafisica moder na, non per questo si può credere che  essi avessero una chiara intuizione di ciò  ch'è spirito; imperocchè, come ben dice  l'autore dellastoria della filosofia pagana  (Haye 1724), dall'avere gli antichi chia mato Dio, asomatos, non ne deriva che  essi l'abbiano creduto spirituale. Avve gnachè questa parola non esclude un  corpo leggero e sottile,comeben si prova  con latestimonianza di Porfirio, di Proclo  e Giamblico . Il primo dice infatti che 281  proprietà della materia primitiva se condo gli antichi, è d'essere senza corpo  (Senten. XXI.); e Giamblico e Proclo as sicurano che i corpi celesti sono assai so miglianti alla sostanza incorporea degli  Dei ( Giamblico . De Misteriis . Sez . I  cap. XVII. Proclo in Plat. Theologiam,  cap. XIX). Perfino Tertulliano spiegava  la parola latina incorporalis nello stesso  senso che questi autori danno alla pa rola greca asomatos , poichè egli dice  che la voce è incorporea (Adversus Pra DIO  felicità; solita antitesi del politeismo,  che si trova nella perpetua alternativa,  o di ammettere molti enti assoluti, o  di ricorrere all'unità di Dio. Comunque  sia, niun può mettere indubbio che la  filosofia Platonica non serva, in que sta e in molte altre cose, come d'in troduzione al cristianesimo. Invero, la  prima trasformazione del Dio cristiano  nell'ente spirituale della metafisica, si  compieper l'intermediario di Giovanni,  o per meglio dire, degli scritti che a  lui si attribuiscono ; i quali sono indub biamente l'opera di unneoplatonico. Il  non è affatto esatto: Piatone nulladice  di ciò che sia spiritc, ma sol procede  хеат. Cap. VII )  Il dire adunque che lafilosofia Pla tonica ha stabilita la dottrina spirituale, principio dell' Evangelo di S. Giovanni  parla del Verbo divino, come già ne  parlavano i filosofi della scuola Ales sandrina, i quali, come si sa, s'inspi ravano specialmente nei luoghi oscuri  di Platone. Nel Verbo Iddio perde ogni  per negazione, e c'insegnache Dionon  ha corpo, onde bene aragione gli epi curei rimproveravangli quest'errore (Ci cerone. Della nat. degli Dei lib.I); e Se neca, il qual divideva l'opinione degli  stoici non lo biasimava con minore e nergia. >  (Il Demone di Socrates. Qui vi è evi dente contraddizione , poichè questo  padre degli Deinon può essereil crea tore degli altri esseri che sono eterni  e che bastano da se stessi alla loro  d'essis'affrettano aliberarne la Divinità.  Già nel quarto secolo Lattanzio così  argomentava per provare l'esistenza di  Dio: >>  Seriade, ricco cittadino di Corinto, l'a equistò e alui confidò l'educazione de suoi  figli, trattollo con ogni riguardo, sicchè  infine ebbe il vanto di essere schiavo e  di vivere come se fosse libero. Soleva  passare l' estate a Corinto e ' inverno  ad Atene; ma un bel giorno fu trovato  morto nel Cranion, ginnasio vicino a  Corinto. Morì nell'anno 323 a. G. C. in  etàdi 90 anni. Dopo averegoduto in vita  di una fama ch'egli doveva alle sue stra nezze, dopo la morte ebbe ancora dai  suoi contemporanei onori e monumenti  immeritati. (V. CINICA).  Diogene soprannominato LAER zio, perchè supponesi ch' egli fosse di  Laerzia in Cilicia. Della sua vita nulla  si sa, e il suo stesso nome non ci ènoto  che per un libro intitolato: Vita, dottrine  e sentenze difilosofi illustri, ilqualeè per venuto fino a noi quasi per intero. An che il tempo preciso in cui viveva s' i gnora, poichè la biografia dell' ultimo  filosofo di cui egli parla, è quella di  Ateneo che viveva ancora al principio del  regno di Alessandro Severo, 222 anni  dopo G. C. Adunque quello che sicura mente si può dire di lui, si è che viveva  dopo il secondo secolo dell'era nostra, e  non oltre il quinto secolo, poichè Ste fano di Bisanzio, che visse verso l'anno  500, parla di luicome di un autore già  antico.  Moltihanno creduto che appartenesse  alla setta di Epicuro, siccome fra le  varie biografie da lui redatte più com piacentemente diffondesi in quella di  questo filosofo. Altri invece vorrebbero  annoverarlo fra gli stoici, parendo a  costoro che la vita di Zenone e di Crizia  filosofi come storico, e men che storico,  come cronachista, unica sua cura essendo  quel di raccogliere tutte le opinioni e  tutte le notizie intorno ai filosofi di cui  scrisse la vita, e di registrarle, quand'an che contradditorie, senza critica. Perciò  appunto il suo libro ha tanto giovato  alla storia della filosofia, in grazia delle  notizie molte e varie che ci ha trasmesso  intorno ai filosofi di cui ci ha data la  biografia.  Diritto V. MORALE.  Disgiuntivo.(Argomentodisgiun tivo)Dicesi proposizione disgiuntivaquella  nella quale si riferiscono al medesimo  oggetto vari attributicome possibili. Per  es.: l'uomo o è un animale o un tipo  separato dalla classe dei viventi ; lo spi rito, o è materia o è nienteecc. Colla pro posizione disgiuntiva formasi quello che  nelle scuole suolsi chiamare argomento  disgiuntivo, sorta di sillogismo nel quale  la premessa o maggiore consta di una  proposizione disgiuntiva, e il rapporto  fra la minore e la conclusione è, che se  nella minore negasi uno degli attributi,  la conclusione dovrà negare l'altro, e  viceversa. Esempio: L'uomo o è un ani male o un tipo separato dalla classe  Ma separato non è dagli- dei viventi  altri esseri, coi quali presenta affinità  ed analogie molte  Dunque è un ani male.- Oppure: Lo spirito o è mate ria o è niente; una materia non è  poichè in tal caso esser dovrebbe spiri tuale; dunque è niente. In conclusione si  vede che l'argomento disgiuntivo non è  in findei conti che un sillogismo nel  quale d'ordinario la premessa è un di lemma. (V. SILLOGISMO).  Divisibilità. Una delle proprietà  fisiche dei corpi, per la quale essi pos sono dividersi all'infinito, e verificare in  tal maniera l' antinomia dell'infinito con tenuto in un corpo finito. I mezzi məc canici o chimici che noi possediamo,  sebbene ci permettanodidividere i corpi  in molecole piccolissime e quasi imper  sianoquellech'eglitrattò più lungamente.| cettibili, sono però sempre demodi gros Il fatto si è, che Laerzio parla de' suoi solani di divisione, se li confrontiamo con DIVISIBILITÀ  una più alta potenza visiva. Un vaso di  essenze odorose lasciato aperto in una  stanza può impregnare del suo odore  tutta l'aria di quell'ambiente, eppure la  materia uscita da quel vaso e diffusasi  in ogni parte è così piccola che non  bastano le più precise bilancie per ac accertare una diminuzione di peso nella  essenza odorosa, la quale con una tanto  piccola parte ha prodotto sì mirabili  effetti. Un grano di carmino può colo rare in rosso un litro d'acqua, vale a  dire che il carminopuò dividersi in tante  particelle così piccole, e così numerose  da potersi spargere e mescolare in tutte  201  alle minime proporzioni possibili, tanto chè non ci sia per noi alcun mezzo di  dividerlo ulteriormente; per es. un cor puscolo del sangue, non ne deriva già  che colle leggi del pensiero non si possa  ancora dividerlo consecutivamente inpar ti ancor più piccole. Io posso quindi  supporre che quel corpuscolo sia diviso  in due metà, l' una delle quali rigetto  come inutile, e l'altra posso ulteriormente  dividere col pensiero in due parti ancora.  le parti del liquido in cui è disciolto. E  tuttavia, un goccia di questo liquido sot tomessa al microscopio, ci lascia scorgere  chiaramente queste particelle nuotanti  nell'acqua. Chi considera il sangue sgor gato da una ferita non ha difficoltà a  credere che esso sia un liquido omogeneo  e che il color rosso sia proprio di tutte  le sue parti. Ma appena una goccia di  questo liquido è sottoposta all'esame mi croscopico, subito ci appare assai diversa  daquello che suol parerci ad occhio nudo.  Una infinità di granulazioni si disco prono al nostro occhio, parte colorate  con una legger tinta rossa, parte affatto  incolori, sicché quella sostanza liquida,  scorrevole, omogenea che prima ci pa reva impossibile ad essere più finamente  divisa per la sottigliezza delle sue mo lecole, dopo ci sembra un complesso di  corpi solidi abbastanza vistosi e grossi  per essere ancora divisi e suddivisi in  più e più parti.  Ma questo modo di divisione col  mezzo dell' ingrandimanto ha pure il suo  limite, nè ci è dato di oltrepassare colla  potenza visiva la maggior potenza delle  nostre lenti. Per altro, l'immaginazio ne questi limiti materiali non conosce,  e trasportandosi oltre tutti i mezzi mec canici e fisici e chimici, trova che la  divisibilità potrebbe spingersi più oltre,  e che nessunlimite, in nessun tempo può  esserle fissato. E veramente se conside riamo col pensiero un corpo già ridotto  Nuovamente rigettata una di queste, l'al tra può ancora essere mentalmente di visa in dueparti, e così all'infinito. Onde  si verifica, come ho detto nel principio,  l'antinomia dell' infinita divisibilità con tenuta in uncorpo finito; imperocchè io  non posso supporre col pensiero che un  corpo si divida, senza che l'atto del di videre non separi due parti distinte, nè  posso concepire l'esistenza di queste due  parti, per quanto piccole esse siano, senza  supporle dotate di estensione; e tutto ciò  che è esteso può essere ancora diviso.  E fu appunto per evitare cotesta con traddizione che l'antica scuola atomistica  ha ammesso con Leucippo e con Demo crito che i corpi non sonodivisibili oltre  uncertolimite, e che gli atomi, ch'essi sup ponevano semplici, elementari, non com posti di parti, erano anche indivisibili (v.  ATOMISMO). Ma troncare la questione in  questa guisa non era risolverla, e per  quanto giusto fosse il desiderio degli a tomisti di sciogliere così la controversia  sulle essenze, non è perciò men vero,  che il pensiero trascorre oltre il limite  degli atomi e ad essi vuol dare una di visione.  Ora, questa singolare antinomia per  la quale vediamo congiungersi in uno  stesso oggetto due nozioni così contra l ditorie come sono il finito e l'infinito,  non basterebbe per avventura ad avver tirci che il concetto che noi ci formiamo  dell'infinito non è altro che una pura a strazione? Si suol dire che l' infinito ci  si impone per le leggi del pensiero. Ma  son pure le stesse leggi del pensiero  quelle che ci rivelano l'infinita divisi 292  DOLORE  bilità contenuta in un corpo limitato; cepirla egualmente senzail corpo ma equeste idee contradditorie sono non dimeno così bene congiunte fra di loro  che io non le posso assolutamente se parare: non posso pensare a un corpo  finito senza supporre la divisibilità in finita, nè posso pensare a questa senza  concepirla contenuta in corpo finito.  Se adunque il principio di contraddi zione di Aristotile fosse vero, (v. CON TRADDIZIONE) una di queste due idee  vera non potrebbe essere. Ma il corpo  finito negare non si può, senza negare  l'esperienza dei sensi; dunque non ci  rimane che a considerare ' infinito  nella divisibilità come una mera astra zione. Ma d'altronde chi nega l'infi nita divisibilità nega l'infinità nello  spazio, e nel tempo, vale a dire ne ga insieme l' infinità e ' eternità.  Invero, il processo della divisione è  identico , sebbene in senso inverso,  aquello dell' addizione. Se io divido  una quantità sommata rifaccio il la voro dell' addizione, e riduco la pro porzione al termine primitivo. Som mare edividere possono dunque para gonarsi al movimento di un uomo, che  percorresse un determinato tratto di  cammino, epoi rifacendo la sua strada  ritornasse al punto primitivo. Infatti  quale è l'idea che ci presenta l'infi nità dello spazio? Un metro, un chilo metro,un miriametro come qualunque  altra misura delle distanze possono co stituire gli elementi dell'addizione del l'infinito Un chilometro aggiunto a  un' altro chilometro e poi a un terzo,  aun quarto e così via all' infinito. E  colla parola infinito non esprimiamo  altra idea fuor di quella che non tro viamo alcun ragionevole motivo per  fissare un limite a questa addizione di  chilometri. Nella divisibilità noi proce diamo in senso inverso: togliamo, cioè,  gli spazi aggiunti per tornare al punto  primitivo, e in questa operazione ci tro viamo ancora di fronte all' infinito. La  teriale che le serva, per così dire, di  substrato; basta che si consideri un  determinato spazio e quello spazio lo si  divida mentalmente in parti, per ca pire che eziandio in quello spazio fi nito esiste l'idea dell'infinito.Lo stesso  processo può farsi per il tempo. Un'o ra posso dividerla in minuti, il mi nuto in secondi, il secondo in terzi e  così via all'infinito. Abbiamo macchine  chepossono indicare la diecimillesima  parte di un secondo, ma quella stessa  legge del pensiero che c'impone di cre dere all' eternità, ci impone pure di  credere che la divisibilità del tempo  non può fermarsi a quel punto, e che  come si può con mezzi meccanici se gnare la diecimillesima parte di un  minuto secondo, così la mente può di videre ancora ulteriormente questa mi nima frazione del tempo, e così all' in finito. Ond'è proprio questo il caso di  dire che l'eternità, per le leggi del  pensiero, è contenuta in un minuto.  ( v. ETERNITA ed INFINITA ).  Doceti. S. Girolamo (Contro iLu ciferiani C. 8) dice che contempora nei agli apostoli furono certi eretici,  detti doceti, iquali negavano che Gesù  Cristo avesse preso un vero corpo, la  qual cosa è pure attestata da S. Cle menteAlessandrino(Strom. lib. VII) e da  Teodoreto. Vuolsi anzi che l'apostolo  Giovanni abbia inteso parlar di loro  quando disse, che ogni spirito il qua le non confessa Gesù Cristo venuto  in carne, è l'Anticristo. (Gio. I. Epi stola Cap. 4). Se questi eretici sono  dunque esistiti, e non ne è dato dubi tare dopo le testimonianze addotte,  sarebbe provato, che già i contempo ranei di Gesù negavano al preteso  Messia ogni realtà storica,poichè realtà  storica non può avere chi non è dotato  di corpo.  Dolore. Sensazione penosa per cepita inunaparte vivente del cervello.  infinita divisibilità è adunque identica | E dicesi del cervello e non del corpo,  all'infinità dello spazio; cioè, posso con- perocchè, come tutte le sensazioni, così DOLORE  anche le dolorose non si sentono vera mente nel posto dove sono cagionate  da malattia o da ferita, ma sono sen tite soltanto dall'organo cerebrale, di guisachè se recidonsi i nervi della sen sazione di un dato membro, quel mem bro rimansi insensibile ad ogni sensa zione dolorosa, nè per quanto si tor-.  menti in ogni guisa esso riesce a per cepire il dolore. Organi della trasmis sione del dolore essendo tutti i nervi,  è chiaro ch'esso è una sensazione d'un  genere affatto diversa da tutte le altre  che hanno organi speciali perprodurla;  onde il dolore cambia d'intensità e di  293  uno stato speciale del nostro organi smo, unamodificazione più o meno pro fonda che si opera nel corpo, sia essa  nel cerebro o altrove ; onde vediamo, ad  esempio, che certe affezioni fisiche con ducono sempre ed inevitabilmente a  certe altre affezioni morali. Gli è ben  vero che alcune fiate vediamo lu affe zioni morali produrre nel nostro fisico  alterazioni notevoli; tuttavia questa non  èaltro che una apparenza, una illusione  alla quale naturalmente noi tutti dob natura secondo laspecie del nervo che  lo conduce, secondo lo stato dell' or gano che lo riceve e del cervello che  biamo soggiacere, per la ragione che  l'affezione morale è quella che ordina riamente si palesa ai nostri occhi prima  dell' alterazione fisica che l'ha cagio nata. E siccome nell'ordine del tempo  fra duefenomeni che si seguono imme diatamente noi siam soliti a dare il  nomedi causa al precedente, e di effetto  al susseguente, così è ovvio che in tali  casi l'affezione morale onde siamo tra lo percepisce. Oltre alla lesione dei  nervi, il dolore può essere prodotto da  una difficoltà, che per una qualsiasi  causa provano i diversi tessuti nel loro  modo naturale d' azione. Non devesi,  del resto, dimenticare che ad ogni mo dificazione fisica corrisponde sempre  una modificazione morale, imperocchè,  come ben lo ha dimostrato Cabanis, i  rapporti che passano tra il fisico e il  morale sono cost stretti fradi loro, da  non potersi produrre un' azione qual siasi nell'uno senza che vi corrisponda | detti morali, che noi proviamo per la  vagliati, e che per la prima si rivela  ai nostri occhi, sia spesso creduta la  causa delle alterazioni organiche che si  manifestano poi. Ma laverità è questa,  che nessuna affezione morale noi pos siamo eccitare negli altri o in noistessi,  senza che sia preceduta da una modi ficazione fisica. Cosicchè i dolori cost  una modificazione dell' altro. Io dirò  anche di più, poichè il modoinvalsodi  considerare il fisico ed il morale sic come due elementi distinti, quantunque  in una stretta unione fra di loro, non  mi pare esatto. Quel complesso di fe nomeni e di attività che costituiscono  il carattere morale dell'uomo, non for ma una realtà sostanziale; esso non è  altro che il risultato dell'azione fisica,  epperd dobbiam dire giustamente, che  se consideriamo nel fisico il corpo a gente, nel morale non vi possiamo ve der altro che la funzione. Coloro per collera o per lo spavento, sono infine  sempre prodotti da cause organiche.  « In vari casi, dice il dottore Frerichs,  le malattie scoppiano improvvisamente  in individui sani, dopo un violento spa vento, od un eccesso di collera, sicchè  tanto i quali credono che possano darsi  dei dolori morali, i quali non abbiano  alcuna dipendenza dall' attività del cor po, errano a gran partito. Quel chedi- sibilità viziosa del centro nervoso, in  ciamo dolore morale, non è altro che quellididistruzionegenerale delleforze,  l'effetto della scossa moralepuò appena  essere avvertito. Allora gl' infermi di vengonoitterici,inpreda adelirio emuo iono alcuni giorni più tardi » (Trattato  delle malattie delfegato). Si sa d'altronde  che tutte le malattie cancerose predi spongono singolarmente alla malinco nia, e che la malinconia è il principio  di tutti i dolori morali. >> La  dottrina di una religione qualunque, è  quella che da essa s'insegna sia intorno  al domma, sia intorno alla morale; del  pari la dottrina di una filosofia quella è  che riassume ed espone con ordine e  metodo gl'insegnamenti della suascuola.  Dovere. Vedi MORALE.  Draidismo. Antica religione dei  Galli sul conto della quale poco si sa,  avvegnachè i Druidi o sacerdoti di questo  popolo confidarono alla sola tradizione  orale gl'insegnamenti della loro teologia.  Il nome di Druidi gli antichi derivarono  dalla parola greca che significa quercia,  lerebbe forse un fondamento politeista ?  >>  (Cousin. Introd. alla storiadella filosof.  lez. V.). In tal guisa la sostanzadi Dio  èil mondo, o il mondo à Dio. Qui il  panteismo si rivela chiaramente e senza  sottintesi: ma la filosofia eccletica di  Cousinsi farà un dovere di negarlo  dieci volte in dieci luoghi diversi delle  sue opere, onde essere fedele al sistema  di non aver sistema; sicchè i cattolici  nonebbero torto di rimproverargli quel Jo spirito subdolo che il cristianesimo  accusa negli eccletici antichi , mezzo  pagani mezzo cristiani, mezzo filosofi  mezzo teologi, interi solo nel pensiero  d'insinuársi in tutte le scuole e di tutte  dominarle.  1  >>  Eleatica. (Scuola). Setta filoso fica fondata da Senofane in Elea, città  d'Italia, pochi anni dopo la caduta di  Pitagora, dai principii speculativi del  quale prese le mosse. Due periodi ben  distinti voglionsi considerare nellascuo la eleatica, e meglio che periodi, do vrebbero dirsi addirittura scuole dif ferenti e assolutamente separate fra di  loro. La prima scuola rappresentata  da Senofane, Parmenide, Melisso e Ze nonetutti contemporanei, abbraccia un  periodo di poco più di mezzo secolo,  dal 430 al 540 circa av. G. C. e fondò  una sorta di panteismo, dimostrato con  principii attinti alla pura speculazione.  Per vere, sulla eternità della materia  convengono tutti i filosofi di questa  scuola: essi nonpossono concepire co me esistere possa ciò che non è sem pre esistito, ma poi volendo troppo  sintetizzare intorno a questo principio,  nel mondo e nell'universo tutto vo gliono riconoscere un solo essere, una  unità immobile e immutabile, perchè  esistendo necessariamente e in sè stes so racchiudendo ogni cosa, deve avere  una perfetta immobilità. Quest' unità  universa, costituisce il Dio panteista  degli eleatici, i quali, mal potendo so stenere la loro ipotesi a priori contro  la costante testimonianza dei sensi, i  quali attestano che nel mondo ogni  cosa si muove e si trasforma, conven nero nel proposito di negare ai sensi  ogni fede, e di far precedere le verità  astratte a quelle d'osservazione. Quin di per essi la realtà non poteva esse re argomento, che di speculazioni a stratte, poichè le percezioni dei sensi,  secondo essi, sono quasi sempre erro nee; e una vera scienza non possono  costituire a cagione delle molte illu ounpezzo di metallo è sostenuto nel-sion cui vanno soggetti. In questa  l'aria; toglietegli il suo sostegno, esso parte dunque gli eleatici si accorda cadrà; ma a considerare la cosa apriori | vano con gli accademici, ma differiva ELEMENTI  no poi nella conclusione; poichè men 315  come quelle del suo discepolo Demo tre quelli dall'incertezza dei sensi in ferivano nulla potersi con certezza  asserice, questi volevano invece to gliere ai sensi ogni certezza per ri porla dommaticamente nelle specula zioni a priori della metafisica; nè si  avvedevano che anche la unità astratta  dell eternità della materia, che essi  affermavano, non riposava, in fin dei  conti, su altra testimonianza che quel la dei sensi, perciocchè noi non ab biamo mai veduto nascere dal nulla  alcuna cosa, nè alcuna parte della  materia assolutamente distruggersi.  La teoria della prima scuola elea tica conduceva necessariamente all i dealismo puro: tutte le cose esterne  sono mere parvenze; ciò che esiste è  l'essere in sè e per sè, essenzialmen te uno edimmutabile; che non ha pas sato od avvenire, nè parti, nè limiti,  nė divisioni, nè successione. Tutto il  resto non è che illusione, poichè illu sioni sono le apparenze sensibili, e la  realtà consiste soltanto nelle verità di  ragione. Parecchi secoli dopo Berke ley e Collier riprodurranno nell' In ghilterra l'idealismo degli eleatici con  tutte le sue conseguenze.  Ma di queste astrazioni hanno fatto  giustizia i filosofi eleatici della secon da scuola, contemporanea della prima,  erappresentata da Leucippo e da De mocrito. Bisogna però riconoscere che  nessun rapporto unisce fra di loro  queste due scuole, della qual cosa  tutti i filosofi furono si bene persuasi,  che si accordarono nel dare alla teo ria dei primi eleatici il nome di scuolo  metafisica, e quella dei secondi chia mare col nome di scuola fisica. Il solo  rapporto, infatti, che ha potuto unire  Tuna coll' altra è l'asserzione di Dio gene Laerzio (lib. VIII c. 55 e 56) il  quale annovera Leucippo fra i disce poli di Parmenide. Ma se questo sia  stato discepolo suo è cosa che poco  importa il discutere; l' essenziale a  sapersi è questo, che le sue teorie,  crito, sono la perfetta antitesi di quel le degli altri filosofi eleatici: esse riget tano il puro idealismo di Parmenide e  di Zenone, proclamano la realtà della  sensazione; contro il riposo sostengo no la teoria del movimento eterno, e  all' astrazione dell' unità assoluta e  immobile dell' idealismo, contrappon gono la teoria atomica. (v. ATOMISMO).  Elcessaiti o Essonieni. Ere tici dei primi secoli, i quali alle eresie  degli ebioniti avevano congiunte molte  superstizioni . Praticavano frequenti a bluzioni, credevano in un Messia, al  corpo del quale, come gli ebioniti, at tribuivano proporzioni favolose; e te nevano per sicuro che lo Spirito Santo  fosse femmina, però che in lingua  ebraica ha denominazione di genere  femminile. Un ebreo detto Elxai si  fece loro capo a' tempi di Trajano,  e lui morto rimasero due sorelle, Mar ta e Martena, le quali appartenendo  alla stirpe benedetta, furono tenute in  grandissima venerazione da quei set tari. Dicesi anche che essi raccogliessero  i loro sputi per farsene dei reliquari.  Le preghiere degli elecessaitierano fat te in lingua ebraica e dovevansi, reci  tare senza intenderle, costume che fu  adottato dalla Chiesa cattolica, le cui  preghiere son pur fatte in una lingua  sconosciuta.  Elementi. È tendenza naturale  dell'uomo il ricercare l'origine delle  cose, ed è legge di natura ch'egli mai  non riesca a trovarla. Invano esplorð  gli spazi; quanto più potenti furono i  suoi mezzi d' esplorazione di tanto si  arretrarono i confini dell' universo. Nei  corpi stessi la divisibilità ( v. questo  nóme ) s'oppose mai sempre alla sua  ricerca dell' atomo primitivo; e nella  filosofia naturale la sua ricerca degli  elementi fu altrettanto sfortunata. Per  vero, la filos ofia antica s'era accomo data in un facile trovato; e credette  lungamente che quattro fossero gli e lementi sostanziali di tutte le cose: la 316  ELIOSISMO  terra, l'acqua, l'aria e il fuoco. Da  questi quattro principii elementari tut te le cose essa faceva scaturire. « Co me quei pittori, diceva Empedocle, mi schiando colori diversi con quelli van  figurando uomini e piante, così la na tura coll'accozzare un poco di questo,  un poco di quell' elemento, vien for mando uomini, piante, donne leggiadre  e chiarissimi dei ». L'anima stessa  era un fuoco o un'aria, e gli dei eran  fatti della parte più sottile di questi  stessi elementi. Qualche filosofo, come  Platone e Aristotile, aggiunsero un  unsero  quinto elemento, l'etere. Aristotile ap pelld combinazione la proprietà d'ogni  elemento, cioè nel fuoco il calore e la  siccità, nell' aria il freddo e l'umido,  nell' acqua l' umido e il freddo, e nel la terra il freddo e la siccità. Coll'an tagonismo delle qualità elementari egli  carbonio e il diamante sono sostanze  per la chimica intrinsecamente identi tiche, e non pertanto hanno modi di  essere cotanto differenti, nulla ripugna  a credere che una sola sostanza possa  assumere tutta la varietà di forme che  osserviamo in grazia di una sola di versità d' intima aggregazione moleco lare, che sfugge a tutti i nostri mezzi  di percezione. Ben è questo il sistema  di Democrito, ilquale,senza bisogno di  elementi diversi, spiegava la varietà del le sostanze con la varia aggregazione  molecolare, nè io so perchè i filosofi  moderni vadano cercando sistemi nuo vi per spiegare cose che gli antichi  avevano già intese, nel senso in cui  le spiega la scienza nostra.  Elezione (metodica, naturale .  sessuale) vedi DARWINISMO.  Eliosismo. ( Da H' λιος, sole ),  spiegava i cambiamenti degli elementi Nome applicato a tutte le religioni la  e il loro passaggio dall'uno all' altro. cui divinità sia una simbolica rappre Ma dilungarci sulla fisica degli antichi sentazione del sole. È certo che la luce  non giova. Il male si è che anche i fu nelle religioni primitive il fondamento  moderni ritennero per assai tempo che del culto. Dio nella lingua sanscrita, la  gli elementi dei corpi scoperti dalla più antica che conosciamo, suona il lu chimica fossero un cotalchè di asso- minoso (vedi Dio); i persiani l'adoravano  luto e costituissero i principi fonda- sotto le forme del fuoco (v. ZOROASTRO)  mentali e indecomponibili della mate- e il paganesimo e il cristianesimo non  ria. La scoperta di Volta ha tolto seppero allontanarsi da questo simbolo.  questo errore e ci ha mostrato che se >  Empedocle (Agrigento). Nacque  in Girgenti nella Sicilia sul principio  del quinto secolo avanti l'era nostra,  da famiglia opulente. Uomo illustre,  filosoto, medico, poeta, avversario del la tirannide, benefattore del popolo,  egli fu pei suoi contemporanei più  era virtù sua. Percorreva le vie seguito  da numerosi littori, colla testa ri cinta da corona d'allord, tenendo nel le mani un ramo di lauro, sè stesso  dicendo non uomo ma Dio. E la sua  divinità fu riconosciuta da tutta la Si cilia. Divenuto vecchio egli abbandono  l'isola carico di onori per recarsi ad  Atene, ove lo vediamo maestro di fi losofia, poeta, e vincitore ne' giuochi  olimpici. Poco dopo invano tento di  rientrare nella città nativa; un partito  potente sorto contro di lui gliene vietd  l'accesso. Tornò nella Grecia e l'o scurità avvolse gli ultimi anni della  sua vita. Niuno sa dove e quando mort.  Lo si disse rapito al cielo, precipitato  nel monte Etna, senza che alcuno sap pia con verità qual sia stata la fine  dei suoi giorni.  Dei molti scritti di Empedocle aulla  ci resta, fuorchè alcuniversi delle Puri ficazioni, e alcuni frammenti deltrattato  sulla Natura, opera che è ad un tempo  di fisica, di cosmologia e di psicologia.  Filosofo o teologo, uomo d'inge gno e ciarlatano, Empedocle riunisce  nella sua dottrina gli opposti caratteri  della verità, amministrata sotto il velo  dell' errore. La sua filosofia,dice Con stant, è un mosaico di dommi sacer dotali; egli parla nou come uomo  filosofo, ma come rivelatore e Dio:  >  Ma nonostante tutte queste attenzioni,  il giudizio stesso dei due principali com pilatori non fu molto lusinghiero per  l'Enciclopedia. « Esso è, scriveva d' A lembert a Voltaire, un abito d'arlecchino  nel quale si trovaqualche pezzodibuona  stoffa e troppi cenci » ( Corrispond.  tomo LXIX. p. 26). E Diderot, espri mendosi ancor più energicamente, con fessava che « ' Enciclopedia divenne  una concimaia entro la quale certe spe cie di cenciaiuoli gettarono alla rinfusa  una infinità di cose mal viste, mal di gerite, buone, cattive, detestabili, vere,  false, incerte e sempre incoerenti e di sparate ».  Ad onta di questo severo giudizio,  non si può negare all' Enciclopedia il  merito di avere esercitata, almeno mo ralmente, una benefica influenza sulla  filosofia del secolo XVIII. Fatta ragione  alla vastità dell' impresa e alle moltis sime difficoltà che i tempi le opponeva no, bisogna riconoscere che questo fa moso Dizionario ha servito a costituire  il vero partito filosofico e a dare ai  pensatori d' allora maggior coraggio e  coscienza delle loro forze, esercitandoli  in quella sorta di palestra della pub blicità. Del resto, giova ripeterlo, gli  Enciclopedisti non fondarono scuola, nè  ebbero unità d' azione; ognunocombatte  per conto proprio conservando la sua  distinta individualità,la suaindipendenza  e le sue idee; motivo per cui la loro  filosofia non bisogna cercarla in un solo  lavoro, ma nelle speciali tendenze dei  vari filosofi del secolo XVIII. 326  ENTITA  Gli articoli filosofici d' ogni genere  ed'ogni scuola, sparsi nei vari volumi  dell' Enciclopedia, furono poi raccolti e  ristampati a parte col titolo: Lo spirito  dell' Enciclopedia ( Parigi in 8° ).  Encratiti Vedi TAZIANO.  Enesimene. Uno dei più grandi  scettici dell' antichità. Nacque a Gnossa  nella Creta, in qualtempo s' ignora; ma  probabilmente nel primo secolo dell'era  cristiana. Fondò ad Alessandria la sua  scuola, nella quale insegnò che nessun  principio assoluto può essere affermato  dalla nostra ragione; perciocchè se si  consultano i sensi non ci è dato che di  afferrare la pura apparenzadei fenome ni, senza alcun rapporto di causalità  che sia necessaria; e se si consulta la  ragione ella non potrà mai intendere  qual sia la relazione e i rapporti che  una sostanza potrebbe avere sopra un'al tra. D'onde Enesimene conchiudeva ne gando il principio di causalità. Vero è,  diceva egli, che nella nostra ragione  abbiamo l'idea di causa e di effetto,  ma questa non è altro che un fenomeno  dell' intelligenza, che non ha obbiettivo  reale.  correva i suoi tempi, e riproduceva le  dubitazioni di Pirrone sotto forme che  dovevano riapparire parecchi secoli dopo.  principio della sua azione, e che senza  altro esteriore impulso va da sè mede sima al suo fine. In questo senso l'en telechia è l'interno mobile della mate ria od altrimenti, ' essenza stessa o il  substrato che genera l'azione. E fu in  questo senso che Leibnitz ha tolto que sto nome dalla filosofia aristotelica per  applicarlo alle sue monadi.  Cantinema. Modo di argomenta re per il quale da certi segni visibili  deduconsi le conseguenze che da quelli  si attendono, come, p. e: il cielo è se reno, dunque non pioverà. L'entimema  è perciò un ragionamento men comples so e più incerto del sillogismo, in quan to consta di una sola premessa dalla  quale deducesi direttamente la conse guenza. Esso può presentare nel ragio namento gli utili o i svantaggi del me todo induttivo o deduttivo, secondochè  il rapporto tra la conseguenza è il segno  visibile su cui si fonda, sia palesamente  manifesto, o imaginario. È chiaro che  chi dice: il termometro oggi segna 40  gradi sopra zero, dunqi abbiamo un  calore eguale a quello  Senegal, fa  un Entimema assai diverso e assai più  Ben si vede che questo filosofo pre- congruente di chi dicesse: I miei af fari vanno bene, dunque la provviden za mi protegge.  Entità. Nella lunga lotta che di battevasi nel medio evo fra gli opposti  E se avesse spinto più innanzi la sua  analisi dell' umano intelletto, che condu ceva con tanta perspicacia, nor avrebbe  forse tardato ad avvedersi, che l'idea  di causa ed effetto non è soltanto un  fenomeno dell' imaginazione, ma civiene  suggerita olbiettivamente dalla esperien za, in grazia della successione di tutti  i fenomeni che noi osserviamo, succes sione alla quale nessun corpo sfugge.  Ridurrebbe dunque l'idea di causa ed  effetto al suo vero elemento, chi dices se ch' ella non è altro che una trasfor mazione dell' idea di successione e di  movimento.  Entelechia. Parola primamente  composta da Aristotile per dinotare o gni cosa che in sè stessa contenga il  partiti della filosofia scolastica, il reali smo sosteneva contro il nominalismo  (v. questi nomi) che gli universali, ossia  le generalizzazioni delle cose particolari,  non erano astrazioni prive di consisten za, ma esistevano veramente e realmen te in una lor propria maniera. Secondo  questa dottrina ogni cosa speciale attin ge i caratteri che la distinguono in una  esistenza eterea, nella quale sono i ca ratteri comuni e universali del genere.  Ondechè esistono gli uomini individuali  Pietro, Paolo, Luigi, maoltre questi in dividui vi è qualche cosa di reale e fuo ri del mondo dei viventi che costituisce  l'umanità.  Nei tempi moderni le entità, queste ENTITÀ  esistenze spuree che partecipano ad un  tempo dell'essere e del non essere, non chè rivivere, si moltiplicano straordina riamente nel campo della metafisica. Du bitare dell' esistenza della materia, du 327  entità della metafisica: l'entità ma tematica.  bitar dei sensi, dubitare eziandio di e-i stere son partiti leciti anche agli idea listi, ma guai a colui che dubiterà del le entità della metafisica ! I tipi intel lettuali sono così superiori alle forme  materiali che dubitar di questi si può,  ma sarebbe eresia dubitare di quelli.  Le idee innanzi tutto sono, non la so stanza che vediamo o che sentiamo, е  perciò ' ontologia per i filosofi di que sta scuola deve esser scienza mille volte  più esatta della fisica. Berkeley e Col lier negheranno l'esistenza reale del  mondo per attribuirla alle sole idee, e  nei tempi nostri Rosmini e Manzoni,  più modesti, non toglieranno l' esistenza  alle cose sensibili, ma creeranno una  nuova entità, l'ente-idea che esiste in  sè e per sè anteriore alla sensazione.  Persistendo nella negazione d'ogni  realtà obbiettiva, Descartes si fonda sul  puro subbiettivo e spera di avere tro vata nell' idea una base sicura,incrolla bile alla filosofia. Ma non si accorge  che cotesto sistema è pieno di palpabili  contraddizioni, non vede che egli rico nosce l' effetto e respinge la causa, e  che se i corpi esterni non esistessero e  non reagissero dal di fuori, non avrem mo al di dentro le sensazioni, non le  idee, non il pensiero!  Aristotile è il padre dellametafisica;  ma, la metafisica d' alloranon ha nulla  ache fare con quella dell' oggi, Aristo tile insegnava che ogni causa efficiente  ècorporea, dal che segue che è pure cor porea l'anima umana. Non vi è forza  alcuna, diceva quel sommo, senza qual che materia, perciocchè ogni cosa che  esiste deve esistere in qualche luogo. È  questo un assioma che per quanto vi vano i secoli non potràmai essere smen tito. Ma Descartes si getta all' estremo  opposto; per lui esiste la forma, la so stanza è nulla. E qui nasce la prima  Colui che cogli occhi della mente  considera un triangolo,concepisce i tre  lati, i tre angoli che costituiscono le  lince esteriori, ed ha il concetto di una  forma ipotetica che corrisponde a deter minate regole. Questa forma o non ha  una realtà o ne ha una affatto mate riale, in quanto sia rappresentata da  un corpo; e a tutto rigore si può anzi  dire che senza la materia, senza il cor po nemmeno la forma sarebbe mai sta ta concepibile dal nostro intelletto. Ma  il metafisico astrae affatto dalla realtà,  traccia linee e circoli immaginari e con chiude che la legge geometrica è una  entità, un non so che d'indipendente  dai corpi.  Se considera i numeri, il metafisico  non si allontanerà da questa via. Le  cifre 10, 20 30 ecc, per chi le vuol in tendere, non sono altro che segni neri  segnati in campo bianco. Concetti ideal mente, sono aggettivi numerali che non  hanno alcun valore senza il corrispon dente sostantivo, senza i corpi che, in  certo qual modo, li informino e li rap presentino. Ma il metafisico procede in  senso inverso, da valore e realtà al nu mero, concepisce e fabbrica una legge  arbitraria, una entità senza ente. I mo derni sorridono pensando al valore gran dissimo che li antichi attribuivano a cer ti numeri per l'effetto di inveterate cre denze superstiziose; ma abenmiglior ra gione dovremmo sorrideredei nostri me tafisici, i quali suppongono che esista  in natura una logica division decimale  o dodecimale, senza badare che in na tura ogni divisione equivale a qualun que altra.  Data una realtà alle linee ed ai  punti, Descartes non doveva durar fati ca nel creare quell' altra entità su cui  posa oramai l'intero edificio della me tafisica, voglio dire l" entità pensante.  Dove e come risiede l'anima nel corpo ?  Se essa vi è diffusa per ogni lato, il fa moso ego cogito, ergo existo andrebbe 328  ENTITA  a risolversi in una sostanza estesa, do tata delle tre dimensioni, si compene trerebbe col corpo e sarebbe, insomma,  un ente di materia. Ma Descartes non  sa per uno spazio, la si concepisce este sa, e quindi materiale; essendochè l' i dea della materia non è altro che quella  d' una sostanza estesa. L'affermare che  si sgomenta per si poco. La teoria dei  punti edelle linee è piana,comoda e ben  si presta ai concetti astratti. Descartes lo  vede, ond' eccolo venir fuori colla sua  proposizione, che l'anima entro il cor po occupa un punto matematico.  La potenza della realtà da cui a strarre il metafisico impiega ogni mag giore sforzo, ad ogni momento imperio sa e imponente gli si affaccia.Descartes | denti nozioni ».  vede i punti e le linee segnate sulla car ta, e s'immagina che, astrazion fatta  dalla materia di che son formate, possa  ridurli a quella data essenza per cui  venga ad essi tolta ogni dimensione.  vi è una presenza locale, propria delle  nature immateriali, per cui sono tutte  intiere in ogni punto dello spazio, tal chè senza essere composte di parti e  senza avere estensione occupano un luo go che ha tre dimensioni, l' affermare,  dico, queste cose, egli è non solamente  un non darci idea di cosa alcuna, ma  ancora un combattere le nostre più evi Manonpensa che le linee ei punti  sono pure fatti di una qualunque siasi  sostanza, con la quale soltanto a noi si  rendono percettibili, e che se essi si con cepiscono senza reale rappresentazione,  cessano di essere, non sono più nè pun ti nè linee, sono un nulla. Certo, il ma tematico può per un momento astrarre  dai punti e dalle linee, e mentre li ve de, li tocca e li misura,può considerarli  senza dimensione, tanto questa è mini ma e insignificante pe' suoi calcoli. Ma  per quanto tenue sia la dimensione del  punto, non perciò il punto stesso cessa  di essere una realtà; chè anzi il mate matico traccia apposta i punti e le li nee perchè sa troppo bene che senza  sostanza, senza un ente materiale che la  rappresenti nessuna forma sarebbe pos sibile.  L' argomentazione calzava si bene al  proposito, che i Cartesiani non credet tero di poter uscire dal laberinto senza  gettarsi all' estremo opposto. Se nega vano forma e figura ed estensione all'a nima, a molto miglior motivo dovevano  negaria a Dio. Ma come conciliare que sta lezione colla immensità, per la qua le si vuol che Dio colla sua sostanza si  diffonda in tutto l'universo ? Grave sa rebbe la risposta a noi pigmei della  scienza che non sappiamo elevarci d'un  palmo sullo strato di questa materialissi ma materia; ma alla metafisica che ar dita si slancia negli spazieterei e d'uno  sguardo sagace abbracciala quintessen za di tutto il mondo, il compito dove va essere facile. Un ripiego semplicissi mo bastò ai Cartesiani per spiegare la  cosa, e insegnando non potersi dire, sen za far Dio corporeo, che la sostanza di  lui è diffusa dappertutto, sostennero che  egli, per essere spirituale, non poteva  trovarsi in luogo alcuno.  Qui il punto matematico si trasfor ma in punto veramente metafisico. Per  Il punto matematico, novella entità  di Descartes, non giova dunque anulla| siffatto metodo Dio e l'anima vengono  per provare la semplicità e la indivisi bilità di questa sostanza quintessenziata  che si chiama anima, poichè anzi es sendo il punto idealmente divisibile al l'infinito, dovrebbe dedursi che anche  l'anima lo è del pari. Eil Bayle stesso  confutava molto a proposito Descartes  con questo stringentissimo argomento.  «Quando si concepisce una cosa difu a trovarsi in un luogo che non è luogo,  sono ovunque e nello stesso tempo in  nessun sito, esistono realmente e con stano di nessuna sostanza, non possedo no alcuna dimensione; in una parola  questo metodo ha dato l'ultima entità  della metafisica moderna colla creazione  dell' atomo vuoto.  A questo punto par che tutte le sco EPICHEREMA  perte della metafisica si siano fermate.  Grande e solenne lezione pei sognatori  d' ogni risma, i quali, contanta smania  di lanciarsi fuordella natura, non giun sero nemmeno a produrre una nuova  329  colo) così si esprime:Nel duodecimo secolo  si pronunciava assai male il latino, onde  invece di eum, come si dice oggidì, di cevasi eon, per cui nel simbolo invece  di cantare per eum qui venturus est  idea, non un nuovo pensiero, che non  fosse un controsenso. In questa freneti ca gara di costrurre a forza di pensie ro una nuova sostanza, che fosse diver sa da tutte l'altre cadenti sotto l'azio ne dei sensi, essi riuscirono solo a far  pompa d'una stolta e superba vanità, e,  pur disprezzando i sensi, ricaddero for zatamente entro la sfera dei loro giudizi.  Essi davano alla loro entità il nome e la  figurad'un atomo, per questa capitalis sima ragione, che la forma più leggera  e sottile che mai avessero veduto o sen tito, era quella appunto della più picco la parte della materia immaginabile.  I sensi sono la porta dello spirito,  e loro percezioni sono tutto quel tanto  che a noi è dato di conoscere. Meglio  che ostinarci e disprezzarli e astrarre  da essi a cui siamo strettamente con giunti per una legge fatale e inesorabi le; meglio che creare delle entità effi mere che nei sensi ancora trovano la  loro radice, conviene dunque che nor  sia trascurata questapreziosissima dote  del corpo, questa facoltà di sentire po sitivamente, per la quale soltanto siamo  vivi, giudichiamo, compariamo e attin giamo tutti i criterii della realtà. Infi ne, non conviene dimenticare che il mi glior rimedio contro il pericolo di crea re le entità metafisiche, è quello di non  separare mai il fenomeno dalla sostan za che gli serve di base; e per poco che  uno pensi non tarda ad avvedersi che  tutte le entità non sono infine che l'ef fetto di questa violenta separazione. Nes suno avrebbe mai pensato a dare alle  idee o al movimento, una reale esisten za, se per astrazione non si fossero se parate dal corpo che le pensa o dalla  sostanza in cui si manifestano.  Eon della Stella. Gentiluomo  Bretone la cui eresia l' abate Pluquet,  sulle traccie del Dupin ( Bibliot. XII. se judicare vivos et mortuos , cantavasi  per eon qui venturus ecc. Fu in grazia  di tale pronunzia che Eon s' imagind  che di lui fosse detto nel simbolo, che  dovrebbe venire a giudicare i vivi ed i  morti, la qual fantasia gli riscaldò l'ima ginazione e il persuase di essere il giu dice dei vivi e dei morti, e per conse guenza il figliuol di Dio. Ai suoi discepoli  distribui uffizi col nome di Angeli, Apo stoli, il Giudizio, la Scienza, la Sapien za ecc.  Molti partitanti egli ebbe e i soldati  mandati per arrestarlo non ne vennero  acapo in sulle prime, onde fu detto  ch' egli erainviolabile per sovranaturale  potenza. Tradotto infine davanti al con cilio di Rheims,vi fu condannato a pri gionia perpetua, e alcuni suoi discepoli  che persistettero a riconoscere in lui il  figliuel di Dio, incontrarono la morte.  Stupendo esempio è questo per provare  come intempi anche assai più vicini ai  nostri di quelli in cui visse Gesù, facil  cosa fosse a uno scemo il farsi crede re figliuol di Dio, e il trovare apostoli  che incontrassero il martirio per amor  di lui.  Epicherema. Sorta di sillogismo  composto, mediante il quale alla mag giore ( V. SILLOGISMO ) si aggiunge  qualche ragione dimostrativa onde ren derla più evidente. Il seguente sarebbe  un sillogismo semplice: Tutti i vapori  a parità di massa hanno un volume  maggiore dei liquidi; le nubi sono un  vapore; dunque presentano maggior vo lume dei liquidi. Questo sillogismo si  trasformerebbe in epicherema quando  alla ragione assiomatica espressa nella  maggiore, si aggiungesse una qualche  dimostrazione, per es. così: Tutti i vapo ri a parità di massa hanno un volume  maggiore dei liquidi, poichè il calorico  disgiungendo le loro molecole le allon 330  EPICURO  tana moggiormente fra di loro; le nubi  sono un vapore, dunque ecc.  Epicuro. Nacque inGargezio nel ' Attica nell' anno 341 prima di Gesù,  da famiglia antica ed illustre, ma ca duta nell' indigenza. Per provvedere ai  bisogni della vita, i suoi genitori emi  grarono nell' isola di Samo, ove il pa dre fu maestro di scuola, e la madre  divenne pitonessa e al figlio insegnò a  pronunciare le parole che l'oracolo fa ceva sentire frammezzo alle magiche evo cazioni. Allevato così nei più arcani se greti della divinazione, Epicuro acquistò  un anticipato disprezzo per le supersti zioni religiose d'ogni genere. Dicesi  che a quattordici anni, al maestro che  gl' insegnava il verso di Esiodo: Nel  principio era il caos, egli chiedeva: E  il caos d'onde nacque? Preso dal biso gno di sapere, egli si applicò allo studio  dei filosofi, ma Democrito sopratutti fu  da lui preferito. Spirito profondo e sa gace, ripugnante alle astruserie metafi siche dei suoi predecessori, egli com prese quanto di vero, di naturale e di  pratico vi fosse nella dottrina del filo sofo d' Elea, e divisò d'applicarne i  principii.  Nell' età di 18 anni si recò ad Atene,  ma poco vi rimase, chè fu presto a  Lampsaco, ove cominciò a professare  i suoi principii e vi fece proseliti, coi  quali nell' anno 309 a. G. C. tornò ad  Atene, acquistò un giardino e vi fondò  stabilmente la sua scuola. Gli Epicurei  soli vi erano ammessi e tutt' insieme vi vevano d' una vita comune,come idisce  poli di Pitagora; con la differenza però  che Epicuro non volle che ponesssero  in comune i loro beni, dicendo che cid  eccitava diffidenze fra di loro, ma volle  che ciascuno pagasse una parte della  spesa.  L'accordo della comunità epicurea  non fu mai turbato, e ancora dopo la  morte del maestro sussistette lunga mente; tantochè Cicerone dice che nei  tempi suoi gli epicurei vivevano ancora  in comune. Le spese, d'altronde, erano  poche, e tuttochè filosofi volgarissimi  abbiano cercato di far credere che l'c picureismo amasse lo sfarzo e il pia cere soltanto, è ben sicuro che lavita  degli epicurei fu purissimadaognimac chia, ch'essi vissero colla massima sem plicità e che tenue assai era la spesa che  importava il loro vitto comune. Vero è  che nella comunità epicurea anche le  donne erano ammesse, e fra le più il lustri discepole di Epicuro citansiLeon tina, celebre cortigiana d'Atene, e The mista di Lampsaco. E gli stoici che  avversavano la sua dottrina se ne val sero per calunniarlo. Diotino, uno degli  stoici, fabbricò perfino sotto il nome di  Epicuro cinquanta lettere indirizzate a  cortigiane, piene di oscenità. Ma il falso  fu svelato, e lo stesso Crisippo, il più  autorevole capo della scuola stoica, pub blicamente riconobbe la purità de' co stumi di Epicuro. Egli è ben vero che  per togliere alla dottrina del suo av versario il merito di far procedere in sieme l'amor della felicità con la pu rità dei costumi, disse che ciò dipen deva perch' egli era insensibile. Ma bi sognava ignorare qual fosse il fonda mento della vera dottrina di Epicuro  per muovergli simile accusa. È vero  ch'egli insegnava ilfine dell' uomo es sere il piacere, ma soggiungeva anche  che la felicità si trova nella calma e  nella tranquillità della vita, ond'esser  savio consiglio il guardarsi dalle pas sioni che la possono turbare. É vero  ch'egli diceva consistere il piacer fisico  nellasoddisfazione dei naturali bisogni;  ma aggiungeva poi anche che quanto  minor sollecitudinc si usa nel soddi sfarli, tanto meno si corre il pericolo  di essere esposti alle privazioni. Aste nersi per godere era la sua granmas sima, e se sia vera lo sanno i crapu loni d'ogni tempo, i quali per una  pronta debilitazione delle loro sensa zioni, per una noia e una nausea an ticipate imparano a loro spese quali  siano ipericoli dell'intemperanza. L'a mor del piacere non può dunque es EPIFANE  sere separato da una vita temperante,  e la vita di Epicuro, per la testimo nianza stessa de' suoi nemici, è la più  perfetta e la più nobile applicazione  de'suoi principii. Nonpertanto nel mon do de'vulgari, allora, come adesso,igno ravasi la connessione di queste due  parti della dottrina, onde inferivasi che  amare il piacere e soddisfarlo era una  331  re per vera solo in quanto corrisponde  alla sensazione.  Nella filosofia epicurea ' anticipa zione è facoltà identica alla memoria,  ed è per suo mezzo che le immagini  delle sensazioni già provate riproduconsi  nel nostro pensiero. Le passioni, final mente, sono la nostra guida; esse ci in dicano ciò che ci conviene e ciò che  cosa sola. Dicevasi che Epicuro faceva  consistere il sovrano bene nella vo luttà, e senza oltre preoccuparsi di  spiegare in che consistesse la volutta  di Epicuro e per quali temperanti pre cetti si soddisfa, si abbandonarono a  vita licenziosa, tantochè molti di questi  falsi epicurei furono banditi da Roma  ai tempi dellarepubblica. Ma la scuola  fondata da Epicuro in Atene continuò  a sussistere nella purità de' costumi, e  col suo solenne esempio rese giustizia  innanzi al mondo alle dottrine del  maestro.  Epicuro fu ancora accusato di a teismo, ma non pare che l'accusa a vesse fondamento. Nella sua lettera a  Meneceo egli dice: Gli Dei non sono  tali come il volgare li crede. L'empio  non è colui che rigetta gli Dei della  moltitudine, ma colui che attribuisce  agli Dei le opinioni della moltitudine ».  Intollerante d'ogni credenza supersti ziosa, Epicuro insegna la scienza della  felicità, e i mezzi per ottenerla sono  per lui quelli stessi che s'adoperano  con l'ignoranza e l'illusione per giun gere alla verità. Tre sono i criteri della  verità: le sensazioni, le anticipazioni e  le passioni, fonte triplice d'ogui cono scenza. La sensazione è elemento pri mitivo e immediato della conoscenza,  e come tale non può esser soggetta a  sindacato. Imperocchè una sensazione  non può controllare un' altra sensazio ne essendo pari in grado e autorità, nè  purla ragione può correggerla se er rata, inquantochè la ragione stessa è di retta dalla sensazione. La sensazione  non può generare errore, poichè ha una  causa reale; ma l'opinione hassi a tene evitare dobbiamo. E poichè il fine del l'uomo quello è di cercare il bene ed  evitare il male, così deve egli cercare,  per quanto può, di fuggire le inutili sof ferenze e di risparmiarsi tutti quei go dimenti che potrebbero essere causa di  dolori o che potrebbero togliere godi menti ancor migliori.  Epicuro sorti natura dolce ed eleva ta, che spontaneamente lo portava ad  amare i suoi simili; capace di devozione  e di sacrificio fu visto in occasione di  una grande carestia dividere il poco che  aveva con i suoi discepoli. Nonostante  I'amor de' piaceri di cui filosofi leggeri  lo accusano, menò vita travagliatissima  per i mali ond' era afflitto. Parco oltre  ogni dire, e più che non convenisse alla  sua mal ferma salute, poco pane basta vagli per nutrimento di tutti i giorni,  onde Seneca disse di lui che un soldo  gli era di troppo per un giorno. Afflitto  negli ultimi tempi dal mal della pietra,  non bastavano i vivi dolori di questa  crudele malattia per turbare quella pla cida serenità che tanto lo facevano caro  ai discepoli, ai quali, giunto agli estre mi, legò il suo giardino, acciocchè lui  morto, potessero continuare la vita co mune e la sua scuola. Mori nel 271 a.  G. C. nell' età di 71 anni.  Epirane. Figlio di Carpocrate; di vise e giustificò l'eresia del padre. Dalia  apparente eguaglianza in cui natura  pose tutti gli uomini concluse che il  male non esisteva nel mondo e che la  giustizia divina era provata per questa  stessa eguaglianza. Se il sole, diceva,  si leva egualmente per tutti gli uomini  e la terra a tutti egualmente offre le  sue produzioni, segno è che Iddio ha 332  ΕΡΙΤΕΤΤΟ  stabilita questa eguaglianza e a tutti  egualmente vuol ripartire le benefi cenze sue. D'onde conchiudeva che i  frutti della terra e le donne fossero in  comune. Secondo Epifane la legge sola  quella era stata la quale aveva sviati  gli uomini dal retto sentiero: abolire  la legge e ritornare alla natura, era  per Epifane un ritorno alla perfezione;  e lo provava coi passi di S. Paolo, il  qual dice che prima della legge non  si conosceva il peccato, nè vi sarebbe  peccato se legge non vi fosse.  Epifane morì giovinetto ancora ( di cono alcuni di 17 anni ) e fu onorato  siccome un Dio. Si innalzò un tempio  in suo onore a Sarne, città di Cefa lonia, ove nei primi giorni del mese  celebravasi la festa della sua apoteosi  e si offrivano sacrifizi in suo onore.  dalla parte della femmina lo spazio e  il nutrimento necessari. Questa ipotesi  è oggidì dimostrata falsa, e resta as sodato che gli spermatozoidi determi nano soltanto l'evoluzione del vitellius  con un concorso materiale e diretto  dalla loro sostanza. L'embriologia ha  ancora mostrato che la generazione non  solo è una vera produzione nuova in  ciò che concerne l'ovulo e gli sper matozoidi, ma che lo sviluppo dell'uo vo, l'apparizione dell'erabrione nel seno  materno risultano da una vera epigenesi  successiva che si compie in tempi dif ferenti a spese delle sostanze fornite  dall' ovulo; che nell'ovulo non preesi stono gli organi,i quali compaiono per  autogenesi ciascuno in tempi differenti  durante l'evoluzione embrionaria. ( V.  EMBRIOLOGIA).  Episcopali. Vedi Presbiteri  Epitetto. Nacque nel 1° secolo  dell' Era volgare ad Jerapoli nella Fir gia, dagenitoriindipendenti, e nell' ado Epigenesi(da έπι', soprae γένεσις,  generazione ). Dottrina la quale stabi lisce che la generazione delle diverse  specie degli esseri organizzati si è ef fettuata in tempi differenti. L'epige nesi è dunque contraria all' imbotta meuto , antica dottrina de' fisiologi i  quali credevano che i germi di tutte  Je forme future fossero precontenuti | bestiale, che Epitetto apprese le prime  l'un dentro l'altro nel primo uovo di  ogni specie ch'era stato creato ( v. A lescenza fu schiavodi Epafrodito, liberto  e guardia particolare di Nerone, uomo  rozzo e stupido e di malvagio animo.  Fu sotto tal maestro, poco men che  NIMAZIONE L' epigenesi invece consi dera ogni nascita come una nuova for mazione organica, inquantochè, se fra  i nati e i primi parenti non vi è al tra affinità che le leggi di formazione,  sarebbe assurdo il dire che in essi vi  era la presistenza di tutte le genera zioni future. Laonde Kant che deno minava l'epigenesi la teoria della pre formazione organica, poteva dire che le  generazioni attuali preesistettero vir tualmente o dinamicamente nei primi  genitori. Vi furono degli epigenisti che  credettero che la generazione fosse po steriore alla fecondazione, tali gli sper matisti, i quali credevano che lo sper ma contenesse le parti esenziali del  nuovo essere, al quale l'atto procrea tore non avrebbe fatto che procurare  massime della scuola dell' avversità, e  si bene vi si assimild, che divenne il  più illustre sostegno di quella filosofia  desolante, inadatta alla natura e alla  felicità dell' uomo, che fu poi da Plu tarco vivamente combattuta. La scuola  cinica riviveva in lui sotto novelle forme.  Men brutale e trascurato di Antistene,  Epitetto non si allontana però grande mente dalla sua morale; ed è il cini smo di Socrate ch'egli prende a mo dello e pel quale dimostra una grande  ammirazione. Naturale nemico diEpicu ro, egli proclamache il male è illusione,  eche il bene non devesi ricercare. Non  sono già le cose che ci fanno delmale,  ma l'opinione che noi ci formiamo di  esse. Conformandosi alla dottrina degli  stoici, egli diceva che per quanto fosse  tormentato, non lo si costringerebbe  mai a confessare che il dolore sia un ERESIA  male. Dicesi che il suopadrone ungiorno | quella di Gesù perquesto solo, ch' essa  porta con sè lo stimmadel paganesimo.  La volontà di Dio s'identifica col fata nella sua brutalità trastullavasi a tener gli una gamba. >>  disse Epitetto, ed essendosi rotta dav vero, il filosofo riprese con tutta tran quillità: « io ve l'aveva ben detto che  si sarebbe rotta ». Citando queste pa role Celso le oppone ai cristiani e a lor | verebbe il volervi resistere. « O Dio,  lismo. Gesù vuol la rassegnazione ai  voleri di Dio perchè è Dio; Epitetto,  ch'è stoico, celaraccomanda per un'al tra considerazione, ed è che a nulla gio dice: « Il vostro Cristo ha egli fatto  alcun atto più grande?- Si, risponde  Origene, egli ha taciuto. D'allora in  poi Epitetto zoppicò. La vita di questo fi losofo è nel resto molto oscura, e di lui  s'ignora anche il nome, avvegnachè E pitetto sia un sopranome e significhi  schiavo. Ci sa che fu libero, ma quando  ebbe la libertà s'ignora. Pare che abbia  avuto molta famigliarità coll' imperatore  Adriano, ma contuttociò si sottopose  sempre al regime di unapovertà volon taria. A Roma abitava una casa senza  porte: un lettuccio, una sedia e un ta volo erano tutto il suo mobiliare. Ma  volle un giorno acquistare una lampada  di ferro che gli fu subito involata, on d' egli parlando del ladro, disse:   (Matt. XXVI, 26-28; Giov. Χ, 7, XVI, 1).  Fedeli alla lettera di questo passo, e  contro l' impossibilità stessa che il pane  e il vino potessero trasformarsi nel cor po e nel sangue di Gesù quando Gesù  berrà il calice del Signoreindegnamente,  sarà reo del corpo e del sangue del Si gnore. Provi perciò ' uomo se stesso e  così mangı di quel pane e beva di quel  calice  (I Cor. XI 26-28). Ora quel  ripetere tre volte il pane e il calice in vece del corpo e del sangue di Gesù,  non dimostra forse che il pensiero di  S. Paolo era ben diverso da quello che  gli attribuiscono i cattolici, e ch' egli  credeva che il pane restasse pane,e vino  èvino il vino, e il corpo di Gesù non  fosse introdotto nella cena che come  stesso era presente, bamboleggiando so stengono che tutte le volte in cui il sa cerdote pronuncia le sacramentali parolespressione positiva questo è il mio corpo  della consacrazione, il pane ed il vino  si trasmutano e sotto le loro materiali  parvenze occultano il corpo, il sangue  simbolo materiale del nuovo patto? L'e e la divinità di G. C.  Contro i cattolici dimostrano i pro testanti essere contrario al senso della  scrittura l'interpretare letteralmente le  parole di Gesù: Questo è il mio corpo,  questo è il mio sangue, imperocchè egli  ha pur detto: io sono la porta per la  quale entrano le pecore; io sono il vero  серро е mio padre è ilviguaiuolo, d'on de si dovrebbe conchiudere che Gesù  Cristo è veramente una porta e un cep po, e il padre un vignaiolo. La prova  che Gesù non voleva che le parole sue  fossero intese alla lettera, è che nel  momento stesso in cui dà il calice ai  suoi discepoli, alle parole: questo è il mio  appartiene alla natura di quei modi di  dire che anche oggi i credenti usano nel  natale o nella pasqua dicendo, oggi il  Signore è morto od è risuscitato.  Non si può negare che molti padri  della Chiesa già nei primi secoli par lando dell' Eucaristia la chiamassero  sempre il corpo e il sangue di G. C.; ma  bisogna convincersi che questa espres sione nel loro linguaggio non esprimeva  altro che il simbolo del corpo e del  sangue di Gesù, non giàil suo vero cor po e il suo vero sangue. Questi padri  erano così lontani dal pensare che i cat tolici dei secoli futuri avrebbero preteso  di interpretare letteralmente le loro pa role, che anzi, quando a loro accadde  non già di citare soltanto l'eucaristia,  madi doversi spiegare intorno ad essa, EUCARISTIA  lo fecero sempre con parole che non  lasciano dubbio intorno al loro vero  pensiero. Per esempio nel III. secolo Ter tulliano spiegando la santacena diceva:  Gesù Cristo dopo aver preso il pane  ne fece il suo corpo, e distribuendolo ai  suoi discepoli loro disse: questo è il mio  corpo, vale a dire la figura del mio corpo.  (Adv. Marcion lib. 4 cap. 4).  Nel IV secolo S. Efrem; diacono d'E dessa , scriveva : .  Intorno al modo d'intendere il sim bolismo della scrittura, S. Agostino così  si spiega:   (Abadia, tom II, Sat. 2. c. 5). Una così  dei pådri succitati. Egli è ben vero che  essi citano de' passi che hanno una  grande analogia con quelli che si trova no nei nostri evangeli, ma questa ana logia è ben lontana d'essere identità.  Si sa che tra gli evangeli apocrifi e i  canonici vi sono molte similitudi, onde  non è a meravigliarsi che i padri rife riscano dei passi il senso dei quali è  simile a quello degli evangeli canonici.  Per es. nella seconda epistola di Cle mente, si leggono alcune parole, riferite  come se fossero dette da Gesù, senza  però che si vedaindicato l' Evangelio a  cui sono attinte. Ma esse hanno mol ta analogia con alcuni passi di Matteo  e Luca, come si vede dal seguente pa rallelo:  Passo di un apo crifo citato  da S. Clemente  Il Signore dis se: Voi sarete come  agnelli in mezzo ai  lupi. Pietro rispo se: e se i lupi sbra nano gli agnelli ?  EGesù disse aPie tro: Gli agnelli non  devono temere ilu pi dopo la loro  morte: non paven tate coloro che pos sono uccidervi ma  non nuocervi dopo  la morte; ma teme te colui che dopo  la vostra morte può  mandare l'animavo stra e il vostro cor po nelle gehenna».  Passi dell'Evangelo  secondo  Matteo e Luca  Ecco che io vi  mando come peco re in mezzo ai lupi.  ...  Siate adunque  (Mat. X, 16). An date ecco che io  mando voi come a gnelli tra i Lupi  (Luca X, 3). E non  temete coloro che  uccidono il corpo  e non possono uc cider l'anima; ma  temete piuttosto co lui che può mandar  in perdizione l' a nima, e il corpo  alla gehenna. (Mat.  X, 28 conf. Luca  XII, 45).  Or si può egli credere che Clemente  con queste parole abbia voluto riferirsi  aMatteo e a Luca? Se Clemente aves se avuto sotto gli occhi l' Evangelio di  Matteo e di Luca si sarebbe egli per 360  EVANGELIO  messo di introdurre nella dizione le va rianti che vi si leggono ? Ciò non è cre dibile; onde tutti i critici convengono  che quelle parole sono tolte da qualche  apocrifo.  Enon solo gli evangeli canonici non  furono conosciuti dai primi padri, ma an che dopo essersi propagati nel cristiane simo, a forzadi copie, andarono soggetti  atante e tali variazioni, che mettono  seriamente in dubbio l'autenticità delle  edizioni che ora possediamo. Giovanni  Mill nella sua edizione del Nuovo Te Chiesa, abbilo co me pagano e pub blicano. AlloraPie tro accostandosegli,  disse: Signore quan tevolte peccando il  mio fratello, gliper donerò io ? Fino a  sette volte? Gesù gli  disse: Io non tidico  fino a sette volte;  ma fino a settanta  volte sette.  Qual di questi due passi è l'origi nale? Quel de' Nazarei per la sua sem stamento ha raccolte ben 30 mila va rianti, dovute in gran parte ad errori  di ortografia o a postille scritte in mar gine, che nella trascrizione gli amma nuensi copiavano nel testo. Quando poi  trattavasi di traduzioni non è facile dire  come e quantierrori potessero commet tersi. Or, convien osservare, che, secon do ci attesta Papias il cui maestro,  come ho detto, fu un discepolo degli  apostoli, Matteo scrisse il suo Evange 'lio in ebraico, e ciascuno lo ha tradotto  come ha potuto (Eusebio. Stor. Eccl.  III. 19). Ma l' originale andò perduto, e  di questo vangelo noi non possediamo  plicità evidentemente precede l' altro,  che ne è una parafrasi, nella quale si  sono introdotte cose estranee all' argo mento. I versi 18, 19 e 20 qual rap porto hanno col principio del discorso?  E poiquelprocesso, quei testimoni, quel la Chiesa eretta a tribunale giudicante  potevano forse convenire col pensiero di  Gesù di perdonare sette volte sette? vale  a dir sempre? Ache servono allora quel  giudizio e quei testimoni se si deve in  ogni caso perdonare? Perchè dunque non  crederemo che questa sia una interpo lazione, tanto più che contro Matteo sta  il testo di Luca (XVII, 3, 4) conforme  a quello dei Nazarei?  che il testo greco, il quale è una ap punto di quelle versioniche furono fat te come si è potuto. Qual fede mérita  essa ? Quali errori e quali interpolazioni forse entrambi non sono che la copia  L' Evangelo attribuito a Marco pud  dirsi stereotipato su quel di Matteo, e  non vi furono introdotte? Per es. con frontinsi questi due passi, l'uno di un  antichissimo apocrifo, l' evangelio dei  Nazarei, l' altro di Matteo.  Nazarei.  Se tuo fratello  pecca contro di te  in parole, e ti sod disfaccia , ricevilo  sette volte il giorno.  Simone suo disce polo gli disse: sette  volte il giorno? Ri spose il Signore: io  ti dico anzi fino a  settanta volte sette.  Matteo XVIII.  Se tuo fratello  pecca contro di te,  va e riprendilo fra  te e lui. Se ti ascol ta tu hai guada gnato tuo fratello;  ma se non ti ascol ta prendi teco an cora uno odue, ac ciocchè ogni parola  sia confermata da  due o tre testimoni.  E se disdegna di  modificata di un apocrifo più antico. Ma  quello di Marco è più breve, e noncontiene  molte cose che evidentemente sono state  aggiunte a quello di Matteo. > cementeche esse non si succedono in me,  Dunque, conclude Berkeley, qualunque e che non si succederebbero in un'intel grado di calore e di freddo non è che ligenza di un altro ordine ? Uno stesso  una nostra sensazione ; e siffatto argo- corpo può dunque sembrare aduno muo mento egli l'applica ai sapori, agli o dori, al suono e perfino all'estensione.  Voi convenite, dice Filono al suo sup posto interlocutore, che nessuna qualità  inerente a un corpo potrebbe combiare,  senza che in questo corpo sia avvenuta  qualche modificazione. Ma l'estensione  visibile degli oggetti varia a proporzione  versi su di uno spazio dato nellametà  del tempo, che sembra a noi aver im che noi ce ne avviciniamo o che ce ne  allontaniamo, poichè essa è dieci e cento  volte più grande a certe distanze, che  non ad altre, e da ciò non segue forse  che questa estensione non è realmente  inerente agli oggetti? Voi sareste ben  deciso su questo punto, per poco che vi  permetteste di giudicare della qualitàdi  cui parliamo ora, colla stessa libertà di  spirito che avete usata a riguardo delle  altre. Non avete ammesso per buon ar gomento, che nè il calore, nè il freddo  sono nell'acqua, perchè un'acqua stessa  sembra calda a una mano e fredda al l'altra? E non potete voi concludere con  un ragionamento perfettamente simile,  piegato in questo moto, e questo stesso  ragionamento potrà, d'altronde, applicarsi  ad ogni altra specie di rapporto di tempo;  e poichè secondo i vostri principii, tutti  i moti che si percepiscono sono vera mente nell'oggetto in cui si percepiscono  sarà, per conseguenza, possibile che un  solo e medesimo corpo si muova, insie me, e molto velocemente e molto lenta mente e ciò realmente ed in uno stesso  senso. Ora, come accordare queste con seguenze, non solamente con ciò di cui  voi siete già convenuto, ma eziandio  colle nozioni le più semplici che il buon  senso possa fornirci? >>  La conclusione di tutti questi ragio namenti, secondo Berkeley, è che l'e stensione, il moto, i colori e tutte, in somma, le qualità percettibili della ma teria, son fenomeni, i quali non sono  nei corpi, ma qualità con cui le nostre  sensazioni rivestono i corpi. 368  FENOMENO  Anzi, il corpo stesso, così come noi  lo percepiamo, è un fenomeno; il che  nel linguaggio filosofico vuol dire una  cosa che ci apparisce e che non è, o  può non essere nel modo in cui ci ap parisce. D'onde Berkeley, eccedendo nel l'illazione il contenuto delle premesse,  conchiuse , negando ogni realtà alla  materia.  Ma l'essere i fenomeni effetti o azio ni non reali per se stessi, non implica  che non devano avere un substrato in  cui manifestarsi. Pud ammettersi che il  color biancodella carta che io vedo non  sia altro che un modo con cui certi  movimenti molecolari dell'etere affet a no il mio occhio; ma che vuol direid ?  Si dirà per questo che il fenomeno dei  colori non ha bisogno di una sostanza  per manifestarsi, e che vi possono es sere dei colori anche al di fuori dei  corpi che li assumono ?  Certo, i fenomeni ci rappresentano  i corpi, e sono tutto quel tanto che  dei corpi noi possiamo percepire; ma  sappiam noi che cosa sono questi cor pi in realtà? L'idealismo li negava, lo  scetticismo, menesagerato, della loro e sistenza dubitava soltanto. Quanto ai fe nomeni, tutti sono d' accordo a consi derarli come mereparvenze; e tutti cre dono ch' essi non costituiscono gene ralmente una percezione semplice, ma  una collezione di percezioni, in quella  maniera che nel color verde non per cepiamo il giallo e il turchino che en trano nella sua composizione, o che  nelle vibrazioni di due corde armoni che unisone noi percepiamo un suono  solo. Noi, dice Galluppi, non possiamo  percepire gli oggetti semplici che com pongono l'estensione materiale: nonper cepiamo che la collezione totale, e la  percezione di questa collezione totale,  la quale è molto chiara, èciò che chia miamo il fenomeno dell' estensione ma teriale.  Così, continua Galluppi, tutte  le attività particolari di una estensione  qualunque concorrono, in questa esten sione, a produrre un effetto generale  e semplice, e questo effetto è la per cezione della collezione totale; percezio zione che non può decomporsi nelle  percezioni degli esseri semplici da cui  la collezione è composta..  L'estensione materiale non è dunque  relativamente a noi, se non che una sem plice apparenza, un fenomeno. La realtà  è negli esseri semplici, le cui azioni co spiranti producono il fenomeno. Se dun que la nostra maniera di percepire si  cambiasse; se giungessimo a distinguere  gli esseri semplici, noi perderemmo subi to la percezione indecomponibile della  collezione totale, e per conseguenza quella  dell'estensione sensibile; noipercepiremmo  gli elementi dell' estensione, e non per cepiremmo affatto l'estensione. Ciò av verebbe in un modo simile a quello in  cui la percezione dello spazio raccolto  fra due corpi, la quale ci veniva tolta  dalla distanza in cui era l'occhio dai  corpi stessi, fa sparire il fenomeno della  contiguità degli stessi corpi; ed in un  modo simile a quello in cui la percezione  delle prominenze di una superficie che  si ha per mezzo del microscopio, fa spa rire il fenomeno del lisciamento ».  Il criticismo non aveva seguito una  via molto diversa da quella dello scet ticismo. Kant distingue i fenomeni dai  nomeni: quelli oggetto della nostra per cezione, questi « unacosa in quanto essa  non è oggetto della nostra intuizione  sensibile , astrazion fatta della nostra  maniera di percepirla ». Allorchè, dice  Kant, noi chiamiamo certi oggetti col  nome di fenomeni, ossia d' esseri sensi bili (phænomena), distinguendo la ma niera iu cui noi lipercepiamo, daquella  assoluta che sebbene non percepita è  però da noi pensata, questi oggetti che  non sono dei sensi, noi li diciamo no meni, esseri intellettuali. Si domanda  dunque se i nostri concetti puri dell'in tendimento hanno un valor reale e se  non vi sia per noi qualche maniera per  conoscerli. Qui, continua Kant, vi è un  equivoco; ed è che quando l'intendi mento chiama fenomenounoggetto con FESTE  369  siderato sotto un certo rapporto, oltre seguendo le ormediBacone, raccomanda  la rappresentazione di questo rapporto, il metodo sperimentale, lo studio dei  si fa anche quella di una cosa in se, fatti come condizione fondamentale del  onde si persuade che si possono fare progresso delle scienze fisiche e morali.  eziandio dei concetti di cose simili;e sic- Applicando tal metodo, parteggiò per  come l' intendimento null'altro ci forni- Locke nella questione dell' origine delie  sce che le categorie, esso è condotto a idee, ch'egli considera come derivate, o  prendere il concetto tutt' affatto indeter- | immediatamente dalla sensazione, o com minato di un essere di ragione,di qual- poste dalla sensazione col ragionamento.  che cosa in generale, fuori del dominio Egli avrebbeanche potuto direaddrittura,  della sensibilità, come un concetto de- come aveva fatto Locke, che la sensa terminato di un essere che noi possiamozione stessa è, in fin de'conti, la base  conoscere in qualche maniera col soc corso dell' intelletto. (Critica della ra gione pura. Lib. II. c. III).  Spogliato di tutta quella nebulosità  misteriosa di che sontanto vaghi i filosofi  tedeschi, il discorso di Kant non significa  altro se non che le cose come sono nella  realtà, non sono quelle che ci sembra no, eche il nostro pensiero è fatalmente  costretto a credere che sotto o sopra i  fenomeni vi è un qualche cosa, vi èun  substrato che li informa. In questo con cepimento lo scetticismo e il criticismo,  come al solito si accordano, e cosìm'ac cordo anch' io, non parendomi che si  possa mettere menomemente in dubbio  che'i fenomeni risultano dalle nostre  percezioni subbiettive, ma che fuori di  noi vi è pur qualche cosa, che è la ca usa occasionale delle nostre percezioni.  .  Questo qualche cosa è la sostanza, il  concetto della quale vuol essere sepa rato da quello di fenomeno, e tutt' in sieme costituiscono quell' ente sostanziale  esensibile che diciam materia.  Ferguson (Adamo). Nacque nel  1724 a Logierait presso Perth nella  Scozia, e fece i suoi studi all'università  d'Edimburgo. Fu capellano di un reg gimento di montanari scozzesi diretti  contro la Francia, manon rimase molto  in quella condizione; nel 1757 fu eletto  precettore dei figli di lord Buthe e due  anni dopo fu nominato professore di  filosofia naturale all'università di Edim burgo.  Ferguson è uno dei filosofi della  scuola Scozzese, e in tale qualità egli,  del ragionamento.  Dalla cattedra di filosofia naturale,  essendo stato chiamato a quella di filo sofia morale nella stessa università, Fer guson fondò imotivi della morale sulla  natura stessa dell'uomo ; nel quale cre dette di riconoscere tre leggi che lo  portavano alla moralità, vale a dire :  latendenza a conservarsi, la sociabilità, e  la tendenza aperfezionarsi.Giunto a que sto punto Ferguson si allontana affatto  dallo studio dei fatti, e contro Hobbes,  il quale aveva supposto con molta pe netrazione, che le società all'origine do vettero esistere in uno stato di guerra,  sostiene che i legami di famiglia e le  atfezioni sociali hanno dovuto produrre  fin dall'origine una condizione di cose  assai men funesta. Ma è probabile che  se il filosofo scozzese avesse conosciute  lerelazioni dei viaggiatori che abbiamo  noi, e specialmente se avesse conosciuto  le recenti scoperte paleontologiche che  ci rivelarono la barbara esistenza del l'uomo preistorico, sarebbe stato indotto  a giudizi assai differenti.  Feste. Anticamente le feste o ave vano un senso istorico, o astronomico.  Presso i romani, scrive Constant, ciascun  tempio, ciascuna statua, ciascuna festa  rappresentava qualche pericolo ond' era  stata salvata Roma dagli Dei, qualche  calamità ch'essi avevano allontanata. Le  Lucarie rappresentavano l'asilo accorda to da Romolo ai fuggitivi che dovevano  popolare la nuova città. Il chiodo sacro  che conficcava nel tempiopiù augusto il  primo magistrato della repubblica, era  24 370  FESTE  l'omaggio di un secolo civile verso i se coli predecessori in cui le lettere erano  ignorate (Tito Livio VII. 3). Le Matro almeno un giorno dell'anno, in cui ella  potesse circolare liberamente per tutte  le classi, e che, pura e attiva come la  Ne suoi primordii il cristianesimo non  ha altre feste che quelle della sinagoga;  nali celebravano la riconciliazione dei | fiamma, salisse come essa verso il cielo.  padri e degli sposi colle figlie e colle  mogli (Ovid. Fast. III).  Sotto la Repubblica romana le feste  più solenni avevano peroggetto di cele brare le calende di Gennaio, pronuncian do solennemente voti per la pubblica fe licità, e per quella dei cittadini; di rin novare la memoria dei morti, e di fis sare gli sguardi degli Dei sulla genera zione attuale; di porre i limiti invaria bili delle proprietà, e permaggior sicu rezza confidarli alla custodia d'un Nume;  di salutare al ritorno di primavera le  potenze vivificanti, che comunicano alla  terra la fecondità; di perpetuare queste  due ere memorabili di Roma: la fonda zione della città, e la nascita della re pubblica.  In questi giorni i cittadini avevano  per costume d'ornare le loro porte di  lampade e di rami d' ulivo, di cingere  le loro teste con ghirlande di fiori. In  memoriadella primitiva eguaglianza, che  significava pur qualche cosa presso gli  antichi popoli, celebravano iRomani nel  mese di dicembre le feste dei saturnali.  ma manmano che esso si distende nelle  provincie invase dal politeismo romano,  il culto e i costumi, e le feste inveterate  che distruggere non può, riconosce e  santifica. Purchè s'entri nella Chiesa  cristiana poco importa ai papi qual sia  l'origine del simbolo adorato. Perciò ai  missionari inviati nella Brettagna, Gre gorio I scriveva: « Non sopprimete le  feste che fanno i Brettoni nei sacrifici  ai loro Dei; trasportatele soltanto nel  giorno della dedica della Chiesa o alla  festadei santi martiri, affinchè, pur con servando alcuna delle materiali gioie  dell'idolatria, essi siano più facilmente  tratti a gustar le gioie spirituali della  fele cristiana (Epist. IX, 71). Grazie a  questo compromesso, il cristianesimo  potè felicemente sostituirsi al paganesi mo; emoltefeste cristiane de'nostri tem pi ancoraci ricordano quelle dei pagani.  I nomi stessi dei mesi e quelli dei  giorni della settimana ricordano il pa ganesimo; il carnevale ci richiama i Sa Era questo un tempo incui lo spirito | turnali, e varie feste cristianenon sono  che trasformazioni di feste pagane ; per chè i vescovi non volendo urtare troppo  sciolto dagli affari s'abbandonava all'al legrezza. Vi si rinnovava la memoria  dell'età dell'oro, in cui nulla era vietato.  I fanciulli presso dei quali vedevasi  l'immagine dell'antica innocenza, annun ciavano la festa. E ciò, che non sem brerà strano ai nostri nobili, i quali a  vivamente le inveterate abitudini del vol go, si avvisarono d' ingentilirle e di de viarle da uno scopo profano ad uno re.  ligioso.  Dacchè il culto mitriaco o solare  tutti i patti vogliono essere democratici | s'introdusse in Roma, fu parimente in in certi tempi, riservandosi il diritto di  non esserli in certi altri, la servitù spa riva in quel frattempo. I padroni, e nè  anche questo deve parere eccessivo,  prendevano gli abiti dei loro schiavi, e li  servivano; gli schiavi avevano la libertà  di esporre i loro sentimenti; e le lagnan ze, che senza dubbio venivano menomate  dalla politica, erano almeno una risorsa  contro l' oppressione. Converrebbe, dice  Baily, che in tutti ipaesi laverità avesse  trodotto l'uso di festeggiare il Natale  del Sole; e siccome questa solennità  succedeva al 25 dicembre, subito dopo  i Saturnali e le Sigillarie,così ella di venne una festa molto importante: ma  i prelati cristiani vedendo quanto sa rebbe difficile di sradicarla, pensarono  al ripiego di opporne un'altra, e in  quello stesso giorno che i pagani ce lebravano il Natale del Sole, i Cristiani  celebrarono quello di Cristo. FESTE  371  Il ritrovamento di Adone o di Osi- | dai Longobardi, la quale poi si tra ride, altre due grandi solennità, cade vano entrambe al 6 gennaio, e i Cri stiani orientali in questo stesso giorno  stabilirono la natività e il battesimo di  Cristo, che chiamarono Epifania od il lustrazione ; ma l'uso romano di cele brare la natività di Cristo ai 25 di di cembre essendo prevalso da per tutto,  l'Epifania si trasformò in un'altr a festa,  cioè nella commemorazione dei Magi.  L' Evagelio parlando di quei Magi  non indica di loro nè il nome, nè il  numero, nè la qualità, nè il paese natio,  dicendo semplicemente che venivano  dall'Oriente, il quale, rispetto alla Pa lestina dovrebb'essere l'Arabia: in ap presso si ritenne che fossero tre re, fa cendo allusione alle tre partidel mondo  ed alle tre qualità di donativi che por tarono . I nomi caldaici di Gaspare,  Melchiorre e Baldassare, s'incomincia a  trovarli saltanto nel medio evo, e vuolsi  che sieno di invenzione cabalistica. In fatti, nelle scienze magiche e teurgiche  di quell'epoca, dice ilGiovini, i Magi han no una gran parte: sipretendeva cheme diante certe formole o purificazioni si po tesse evocarli, farli comparire, interro garli edavere da loro favorevoliindicazio ni periscoprire tesori; essi portavano la  fortuna, facevano viucere algiuoco, rive lavano le cose occulte; ma una credu lità più innocente e che dura tuttavia  in più paesi, si è che iMagi ogni anno,  la notte dell'Epifania, andando in cerca  di Gesù bambino , fanno il giro del  mondo, e lasciano donativi ai ragazzi.  «Lamitologiascandinava racconta  alcun che di simile degli Asi e delle  Ase, cioè degli Dei e delle Dee che  fanno il loro passaggio ad ogni capo  d'anno; e lasciano ricompense ai buoni.  Nel medio evo era pure conosciuta una  Donna Abundia, che in certi tempidel l'anno girava invisibile di casa in casa  e lasciava mancie ed altri segni della  sua generosità.  .  APPENDICE ALLA LETTERA F.  Fanatismo,Esaltazione della men te per laquale l'uomo lasciasi interamente  padroneggiare da una opinione falsa o  nebre statistica che non si può leggere  senza raccapriccio.  Se crediamo alla Bibbia, l'adorazione  smodata. Il fanatismo s'applica propria- | del vitello d'oro costò agli ebrei 23 mila  mente alle opinioni religiose; ma non  escludesi perciò ilfanatismo politico, nè  quello che pur puòdarsinelle scienze o  nelle lettere. Ma è principalmente nella  religione ch'esso dispiega tutti i suoi  caratteri funesti, e tal fiata si trasfor ma in un terribile flagello per l'uma nità. Quando a una stolta credenza si  aggiunge la convinzioneche il suo trion fo è gradito a Dio, allora non tarda a  sorgere l'intolleranza e la persecuzione  (vedi questinomi), imperocchè il castigo  degli eretici è segno di festa in cielo.  Quante vittime abbia fatto il fanati smo, non è possibile determinare con  sicurezza; magli archivi della storia ci  hanno però lasciati sufficenti dati per  stabilire, se non inmodo certo, almeno  certamente approssimativo, cotesta fu uomini: >  Acotali slanci di un lirismo senti mentale, la filosofia non può risponde re. « Nella sua critica di Feuerbach, Re nan-come ben dice J. Roy-ha  obbedito soltanto alla sua antipatia per  tutto ciò che è netto, chiaro, preciso,  espresso senza ambagi e circonlocuzio ni. Nell'accento convinto, nella convin zione stessa egli trovaqualche cosache  rivela una natura limitata. Le sfuma ture, la delicatezza, la frase, ecco cid  ch'egli cerca innanzi tutto, e queste  qualità nominate ad ogni istante nei  suoi scritti, pare alui che manchino a  tutti i pensatori, che osano esprimersi  sotto una forma intrepida ».  Si vede cheRenanhaviaggiato l'ltalia  per diletto, e volle trarne il più gran  partito per le cognizioni scientifiche.  S'egli abbia scoperte, l'originidelle tra dizioni contemplando le vergini del Pe rugino o l' estasi di santa Caterina,  è cosa ch'io non oso decidere, non es sendovi poeta che non scopra tante  cose nuove in una effige di donna; ma  ad ogni modo Feuerbach può ben con solarsi di non essere mai venuto in  Italia per studiare l'antichità in quella  guisa,  specialmente per trarne tante  scempie conclusioni.Ma s'egli non con templò nè vergini, nè sante, può ben  vantarsi di avere, e lungamente assai,  contemplata e studiata la natura senza  artifizi e senza esagerazioni.  1 GALIENO  G  401  Gall (Giuseppe ) È il fondatore | zione gli fu fatta dallascienza ufficiale.  •il padre dellafrenologia, quella scien za che ha portato i più duri colpi  alle dottrine teologiche sul libero arbi trio. Uno dei dieci figli di un modesto  mercante di Tiefenbrunn, villaggio nel  granducato diBaden, egli venne affidato  alle cure di uno zio, che gli fece dare  le prime lezioni d' anatomia dal celebre  professore Hermann. Fatto adulto im prese uno studio affatto nuovo. Confron tava fra loro le teste sì dei vivi come  dei morti, e dalla vita di coloro cui ap partenevano, e dalle diverse protube ranze chepresentavano, egli comincio a  stabilire la sede delle varie facoltà.  Lunga e penosa fatica fu la sua, ma e gli ebbe campo di fare ungran numero  di osservazioni, poichè a lui dischiude vansi le porte delle prigioni e dei ma nicomi, ed alui si consegnavano le teste  dei giustiziati. Narrasi che la sua peri zia nel riconoscere le tendenze umane  fosse tanto secura, che al solo esaminare  il teschio di un giustiziato ei sapeva sco prire il genere del suo delitto. >  Egli è ben veroche i panspermisti af fermano esser l'aria un gran serbatoio  di germi, ma infine, a cui spetta di  provare l'esistenza di questi germi, se  non a loro stessi ? Or l'esame micro scopico dei corpuscoli dell' aria dimo stra bensì che essa contiene degli avan zi di fecola, grani di silice, filamenti di  lana, cotone o seta, particole di terra o  di fumo, avanzi di vegetali o d' insetti  morti, ma germi pochi o punti. Non  altrimenti che per eccezione si trova  qualche spora e qualche raro infusorio;  ma l'eccezione può ella mai costituire  la regola? Gli elementi della polvere  dell' aria variano secondo che si esami ni quella raccolta nelle città popolose  oppur quella delle solitudini, ma in  ogni caso l'assenza di germi vegetali  o animali è sempre un fatto caratteri stico. Le polveri introdotte dall' aria  nelle ossa pneumatiche degli uccelli ne  sono una prova evidentissima: tra quella  fornita dalla gallina che vive nelle no stre case e quella che si trova nelle  ossa del falco selvatico vi è notabilissi ma differenza; ma nè l' una nè l'altra  somministrano prove della pretesa dif fusione dei germi come vogliono i pan spermisti.  D'altra parte egli è pur forza rico noscere, che le prove degli eterogenisti  sono abbastanza concludenti per respin gere ogni contraria ipotesi. Entro un  provino di vetro, Pouchet pose una ma cerazione filtrata atta a generare dei  ` pre nell' ovario d' individuo della stessa  specie (omogenesi), mentre gl' infusori | cerazione verso entro un piatto di cri grossi microzoari ciliati, e la stessama 410  GENERAZIONE SPONTANEA  stallo, nel mezzo del quale pose il pro vino. Indi copri l'uno e l'altro con una  campana di vetro immersa nell' acqua  onde moderare l' evaporazione. In capo  acinque giorni, con una temperatura  media di 20 gradi, il provino presen tavaunaquantità di microzoari ciliati,  mentre il piatto appena allora dava  segno d' incominciare la formazione di  qualche monade senza microzoari ciliati.  Bastò dunque una differenza nellaquan tità del liquido per produrre così diversi  risultati; cosa tanto più provata, inquan tochè il signor Pouchet diminuendo il  liquido del provino e quello del piatto  aumentando, ha potuto ottenere dei ri sultati inversi. Or come potrebbero spie garsi cotali differenze se gli stessi ger mi devono essere caduti nel piatto e nel  provino, il primo dei quali sottostava  immediatamente all' altro ?  Altro sperimento ancor più decisivo  è il seguente, pure fatto dal Pouchet:  >  Giorgia. Nacque inLeonzio nella  Sicilia verso l'anno 845 avanti G. C.  1  Fu discepolo di Empedocle ma non  segui la scuola del maestro . Versato  nella sofistica di Melisso e di. Zenone,  possiamo conoscere- Invero, acciocchè  un oggetto possa essere conosciuto con verrebbe che il subbietto della cono scenza si confondesse con lui. Ma lo  spirito divieneglibiancoperchè pensa alla  bianchezza? Se così fosse, se lo spirito  s'identificasse con l'obbietto del pensie 426  GIUBILEO  ro, noi non potremmo pensare che alle  cose concrete, ma si sa bene che noi  pensiamo anche alle cose astratte.  3. Se qualche cosa esiste, e può es sere conosciuta, non possiamo farla co noscere agli altri. Ciascun senso è  pria, ma non in altre. La vista perce pisce i colori, ' udito i suoni, ma la  tarle, vuolsi aver riguardo nell'accettare  le conseguenze che Platone specialmente  deduce da quest'autore in rapporto alla  morale.  Che Giorgia insegnasse esseredestino  dell'uomo il cercare la felicità, è cosa  competente nella sfera che gli è pro- | ovvia; ma ch' egli trovasse questa feli cità nella potenza, e insegnasse essere  diritto del più forte il soggiogare il de bole, e che le leggi son de'vincoli fatti  pei deboli, lecito ai forti d' infrangere,  prima non può percepire i suoni, il se condo non può percepire i colori. Or  quando noi parliamo,che cosa trasmet tiamo ai nostri simili? De'suoni, e nul l' altro che de'suoni. Il linguaggio ar riva tutt'intero all' orecchio. Or l'orec chio non può percepire nè le idee, nè  gli obbietti, se no gli obbietti e le idee  sarebbero la stessa cosa delle nostre  parole.  Coteste argomentazioni non sono, per  le son cose che, con tutta pace degli  avversari di Giorgia, credere non posso.  Con tali principii il filosofo di Leonzio  nè avrebbe eccitato l' entusiasmo della  popolazione greca, nè i cittadini d' Ate ne l' avrebbero pregato a soggiornare  nella loro città, ove la necessità del ri spetto alla maestà della legge non si  verità, tutte esatte, maben si vede che, | convincimento.  al postutto, Giorgia già applicava le  ragioni del sensualismo. Sta bene che  colla parola non si possa dare l' idea  può dire non fosse entrata nel comune  dei colori: questo è un fatto che tutti  possono sperimentare sui ciechi nati, Ma  poichè i colori si percepiscono da noi  direttamente, la parola che n'è la rap presentazione può sempre darci una  idea dei rapporti che passano fra le  percezioni giàprovate. Una volta che la  bianchezza sia stata percepita dall' oc chio, tutte le volte che l'orecchio sen tirà quel nome, nel cervello sirisveglie rà quella stessa sensazione che abbiam  provata la prima volta. È vero che  quella sensazione è tutta dentro di noi,  e non fuori di noi, poichè fuori di noi  in quel momento esiste il suono che  produce la parola bianco, ma non la  bianchezza stessa: ed è qui appunto che  Giorgia avrebbe avuto ragione d' intro durre il dubbio sulla esatta corrispon denza fra le nostre sensazioni e le cose  esterne.  Degli scritti di Giorgiala sola notizia  che ci rimane è laconfutazione di Pla tone e di Aristotile. Ma comechè costoro  esagerano oltremisura le sue dottrine  per avere il facile vantaggio di confa Gioviniano.Austero cenobitache  viveva in Milano sulla fine del quarto  secolo. Dopo essersi sottomesso alle più  austere privazioni, recatosi un giorno a  Roma, fusedotto dalla piacevolezza della  vita che colà si menava, onde cambiando  parere intorno alle cose che fino allora  aveva reputate sante, incominciò ad in segnare che l' astinenza non giovava a  nulla, e che meglio conveniva il man giar cibi buoni che i cattivi; che la  verginità non era uno stato più perfetto  del matrimonio, e che non si potrebbe  ammettere che Maria fosse rimasta ver gine dopo il parto senza cadere nell' er rore dei manichei, i quali a Gesù attri buivano un corpo fantastico. Fu con dannato da papa Siricio e nell'anno 412  relegato dall'imperatore Onorio nell'Isola  Boa in Dalmazia, ove morì fra le pia cevolezze della vita, come compenso  alle sofferte miserie della gioventù.  Giubileo. Presso gli ebrei così  chiamavasi ognicinquantesimo anno, nel  quale i prigionieri e gli schiavi dove vano essere liberati, le eredità vendute  ritornare agli antichipadroni, e la terra  restare in riposo. (Levitico Cap. XXV,  XXVII). L'anno del giubileo era fon GIUDAISMO  dato sopra la simbolicadel numero sette,  perocchè decorreva appunto nell' anno  successivo a quello che chiudeva sette  427  aRoma,quindi nuova impazienza nella  generazione sopraveniente, checerto non  vorrà attendere il 1446, eche sarà ten settimane di anni 7×7=49.  Altra cosa è invece il giubileo nella  chiesa cattolica. Questo è indulgenza  plenaria concessa dal papa a tutti i fe deli che visiteranno in Romale Chiese  di S. Pietro e S. Paolo, e differisce dalle  indulgenze ordinarie, perchè in tempo  di giubileo il papaconcede ai confessori  la facoltà di assolvere anche dai casi  riservati.  Dapprincipio ' indulgenza plenaria  fu concessa ai crociati che si recavano  acombattere perla liberazione del Santo  Sepolcro. Ma quando infine i popoli fu rono lassi di farsi sgozzare ad onore e  gloriadella chiesa, sipensò di concede re queste stesse indulgenze a quei pel legrini che si sarebbero recati àvisitare  il Santo Sepolcro. Nondimeno anche que sto viaggio era lungo assai, assai di spendioso e nel medio evo non si ave vano tante strade di comunicazione co tata di cogliere al volo la cifra tonda  dell'anno 1400. Sotto pretestodunque  che il giubileodi trentatre annidi trop po affaticava la divina clemenza, fu ri stabilito il periodo più lungo di cin quant' anni, e per meglio attenderlo si  ricominciò a contare gli anni partendo  dal 1400 con nuovo giubileo. Fiù tardi  Paolo II non attese nè 50 nè 33 anni,  e giunto al 1425 liberò alla volta sua  tutte le anime del purgatorio, fissando  il periodo di 25 anni che attualmente  sussiste. Maquante ampliazioni aggiunte  col progresso dei tempi! S' inventarono  i giubilei senza pellegrinaggio, i giubi lei parziali, i giubilei all' occasione di  grandi avvenimenti, come il giubileo di  Pio IX, i piccoli giubilei delle città, dei  vescovadi, degli altari miracolosi, insom ma i giubilei venduti acontant, e traf ficati in mille modi.  Lo storico Francesco Gucciardini  me al dì d'oggi. Verso l'anno 1300 il assicura che nel 1500 sotto i Pontifi papa Bonifazio VIII pensò di tirare l'ac- cato di Alessandro VI il giubilo fruttò  qua al suo mulino,convertendo il pel- | alla Chiesa grandissimaquantita di oro,  legrinaggio in terra santa in un pel legrinaggio a Roma. Questa fu l'origine  del Giubileo che doveva decorrere ogni  100 anni. Ma tanta felicità, dice unauto re, non poteva differirsi poi d'unsecolo, e  Clemente VII abbrevia il periodo dell'a spettativa riducendolo a cinquant' anni;  argento, gemme e altre cosepreziosis sime; il Bembo dice, e il Sapi ripete,  come questo caritatevolissimo Papa, dal  solo stato veneziano, in quell anno di  grazia 1500, ritraesse 799 libbe di oro.  Giudaismo.Religione egliebrei,  o de'giudei, così detti perchè sortirono  dalla tribù di Giuda, undei fgliuoli di  per cui nel 1350 affluivano di nuovo i  pellegrini da ogni paese dell' Europa | Giacobbe, a cui il padre predisse che  verso la capitale del mondo cattolico.  La frenesia, invecedi diminuire, cresce va: ad ogni giorno dell' anno santo en travano seimila pellegrini in Roma e ne  uscivano altrettanti: appena si può com prendere tanto trasporto. Dopo il 1350  bisognava attendere fino al 1400 per  ottenere una nuova remissione: ma non  seppero rassegnarvisi i credenti , ed  Urbano riduceva il giubileo al periodo  di trentatrè anni , in commemorazione|  della vita di Cristo. Ecco un nuovopel legrinaggio nel 1383, altre turbe affluenti |  avrebbe lo scettro della nazime.  All'articolo PENTATEUCo na vedremo  che la pretesa antichità di questa reli gione, la qual si crede anterore ad o gni altra anche orientale, opinione  fondata sopra documenti aporifi , l'an tichità dei quali non risale otre l'epoca  di Zoroastro.  I dommi del giudaismo ono quelli  stessi i quali si pretende cheMosè ab bia rivelati al popolo d' Ismele, e che  sono contenuti nell' Antico Testamento.  Quali poi sianoquesti domm, non tutti 428  GIUDAISMO  concordano neldeterminare, imperocchè  le mutate condizioni della vita, la ci viltà introdotta, e le religioni stesse fra  cui vivono gli ebrei, hanno dovuto ne cessariamente corrompere le antiche tra dizioni, irgentilirle o migliorarle secondo  l'influenza de'vari paesi.  Ècerto intanto che le credenze del  cenni alla rimunerazione che l' anime  dei giusti riceverebbero in un' altravita.  Il vivere lungamente, e ' odio di Dio  fino alla terza e quarta generazione dei  reprobi, son le sole ricompense e le sole  penechecommina lalegislazione religio sa degli ebrei. Son noti i passidell'Eccle siaste attribuito a Salomone (II 20-34;  giudaismodedotte direttamente dalla fon- | III 12, 13; 19, 22; V, 18; VIII, 15;  te primadella rivelazione mosaica, vo glio dire dal Pentateuco, ci rivelano una  religione grossolana e materiale, inse gnanteunDio corporeo, locale, limitato  nel suo potere dalla possanza degli altri  Dei de' pæsi circostanti ; un Dio unico  sì, ma unico soltanto pel popolo d'Israe le. « Il Signore è più grande di tutti   gli Dei, dire l'Esodo (XVIII). Il Signore |  l'ha condato solo, e con luinon vi era  alcun Diostraniero (Deut. XXXIII, 12)  Nonvi è azione,perquantosia potente,  i cui Dei siano più presso ad essa di  quanto lo sia il nostro anoi. (Id. IV, 7).  Ciò che possiede il vostro Dio Chamos  non vi appartiene di pien diritto? Ciò  che il nosro Dio ha ottenuto colle sue  vittorie dive dunque venire in nostro  potere (Gid. I, 24)». Ilpoliteismo inva dente in quei tempi, non rivelasi con  grande evilenza in questi passi ? In qual  conto gli orei tenevano il loro Dio, se  non inquelo di un esseresovranaturale,  potentissimo, nel quale riponevano tutte  le loro spelanze per soggiogare gli Dei  delle altre nazioni ? Essi esaltano cote sto suo pobre, lo proclamano il primo  e l'inarrivabile, con quello stesso spirito  d'orgoglio nazionale con cui avrebbero  esaltata la jotenza e la superiorità del  loro re. Coesto Dio ha corpo e mem bra umane, id è limitato nel suo potere  così come nella sua essenza; madei vol gari antropmorfismi della Bibbia ho  già discorsoall'articolo Dio.  IX,4,9;) nel quale cotesto re parago nando gli uomini alle bestie dice che lo  stesso avviene degli uomini comede'bruti,  che tutti hanno un medesimo fiato, e  come muore l'uno, cosi muore l' altro.  1 fedeli credono di confutare tutta la  costante tradizione dell'antichità ebraica  opponendo un passo di Tacito, ov' egli  dice che le anime de'morti in guerra  per giustizia gli ebrei tengono immor tali (Histor. lib. V, 5). Opporre Tacito  all' Antico Testamento mi par che sia  cosa singolarissima; nè so quanti siano  disposti a credere allo scrittore latino,  il quale degli ebrei non seppe che quel  poco che gli fudato d'intendere, contro  l'esplicito silenzio dei codici religiosi del  popolo d' Israele. D'altra parte non è  impossibile che ai tempi di Tacito gli  ebrei, o molti fra essi, credessero alla  vita futura, come ci credono oggidì. Il  commercio cogli altri popoli hapur finito  a far prevalere fra gl' israeliti molte  credenze straniere alla dottrina mosaica,  e l'essere ancora esistita ai tempi di  Gesù una setta sacerdotale, laquale ne gava l'immortalità, è cosa che mi pare  che possa ben provare l'antichità di  questa dottrina. Perfino Bossuet vescovo  di Meaux, ne convenne. Ancorchè, scri veva egli, gli ebrei avessero nelle loro  scritture alcune promesse della felicità  eterna, (quali?) e verso i tempi delMes sia, ne'quali essere dovevano dichiarate,  e ne parlassero di vantaggio nei libri  Lo spirio è anch' esso ignorato da gli ebrei, econ lo spirito l'immortalità. apocrifi!); tuttavolta questa verità fa  Nel decalog il premio promesso a co loro che onereranno ilpadre lamadre  tutto consise in una lunga vita, né vi  ènel Pentateuco alcun passo che ac della sapienza e dei Macabei (che sono  ceva si poco un domma universale del  popolo antico, che i Sadducei, senza ri conoscerla, non solo erano ammessi nella  Sinagoga, ma ancora innalzati al sacer GIURAMENTO  dozio. È uno dei caratteri del popolo  nuovo il mettere per fondamento della  religione la fede nella vita futura: e que sto doveva essere il frutto della venuta  del Messia. (Bossuet, Discorso sulla Sto ria Univ. 2 parte c. VI).  429  storo S. Paolo scrisse la sua epistola ai  Galati, dalla quale pare che anche S.  Pietro non fosse immunedaquesta ten denza giudaizante (Gal. II, 14)  Giudizio universale. (Vedi  MONDO)  Toltiquestidommi fondamentalidelle  religioni moderne, vale a dire la spiri ritualità di Dio e l'immortalità dell'ani Giuramento. Promessa formale  di dire la verità o di adempiere a un  impegno assunto, fatta nel nome di Dio  o su quanto è più caro e più sacro al l'uomo. L'uso delgiuramento come mezzo  atto ad imprimeremaggior solennità alle  promesse, è antichissimo, e la Bibbia  stessa ce ne offre non pochi esempi.  Abramoprotesta congiuramentoche non  accetterà i doni del re di Sodoma (Gen.  ma, della religione giudaica altro non  rimane che la parte cerimoniale, piena  di superstizioni e di pratiche assurde.  Ciò non toglie che gli ebrei non vi fos sero e non visiantuttora attaccati, tan tochè essi dicono che il culto esteriore  prescritto dalla loro legge è più per fetto e a Dio più accettevole che non la | XIV, 22); eglipoigiura con Abimelecco  pratica delle stesse virtù morali.  (Gen. XXI, 25); quindi fagiurare aun  Gli ebrei dalla loro dispersione in poi suo servo che non andrà a pigliare la  hanno cessato di sacrificare all' Eterno, sposa d'Isacco frale Cananee (XXIV, 2).  ed invece de' leviti o sacrificatori, non Isaccorinnovacon giuramento l'alleanza  Lanno più che certi dottori, chiamati | fattadaAbramo con Abimelecco (XXVI,  Rabbini, i qualiinsegnanola legge nelle  sinagoghe. E i dommi della spiritualità  di Dio e della vita futura si sono quie tamente infiltrati in tutte le loro sette,  pel lungo commercio ch'essi ebbero coi  popoli frammezzo ai quali son vissuti.  Giudaizanti. Nell' occasione di  tutte le riforme v'hanno uomini che sono  sollecitati ad abbracciare le nuove idee,  e al tempo stesso temono di abbando nare l'antica strada. Costoro appartengo no ai tempi nuovie aivecchi insieme, e  sonqueconciliatori che vorrebbero unire  insieme i contrari, e creanonuove scuole  e nuove sette, che sono tanto logiche  quanto lo è al dì d'oggi quel partito  che nella Germania s'intitola dei vecchi  cattolici, sebbene in fondo siano cattolici  nuovissimi appena sortijeri.  Così nel primo secolo del cristiane simo furono detti giudaizanti quei giudei  convertiti, i quali asserivano bastare la  fede in Gesù Cristo per salvarsi, ma che  nel resto conveniva esser fedeli ai riti e  alle cerimonie giudaiche ordinate dal l'antica legge, come l'osservanza del  sabato , della circoncisione, dell' asti nenza da certe carni ecc.-Contro co 3); altrettanto fa Giacobbe con Labano  (XXXI, 53); e Dio stesso giurando sul  suo nome a conferma delle promesse  fatte ad Abramo, dice: «Per me mede simo io ho giurato... Io ti benedirò e  moltiplicherò la tua stirpe come le stelle  del cielo. (Gen. XXI, 16, 17). Altri e sempi e altre formole di giuramento si  trovano nel libro dei Giudici VII, 19 e  nel I dei Re XIV, 44.  L'Antico Testamento non solo adun que ammette il giuramento, maquasi  l'impone. Solo interdice di giurare pel  nome degli Dei stranieri (Esodo XVIII,  13); e nel primo comandamento ag giunge: « Temerai il Signore Dio tuo,  e lui solo servirai, e pel nome dilui  farai giuramento (Deut. VI, 13).  Nonostante che Gesù affermasse di  essere venuto, non per distruggere la  legge, ma sì perconfermarla, egli con traddice apertamente e ipatriarchi, e i  profeti e Dio stesso che giurò l'alleanza  con Abramo.   e gli apri rono d' innanzi l'ampio orizzonte della  sua nuova filosofia.  Distrutto il principio di causalità,  tolta la certezza che l'effetto è neces sariamente prodotto dalla causa, ne de rivava la conseguenza che nulla vi è  di certo nelle nostre conoscenze: nem meno l'esistenza delle cose esteriori  aun altro fatto che è causa, e non è  causa per altro che perchè precede l'ef fetto nell'ordine del tempo (vedi EFFET то). Ond'egli conchiude che neanche la  fisica argomentando dall'unione di certi | l'universo, e nella Storia naturale della  può essere dimostrata. Imperocchè se  vedere, toccare , sentire in qualsiasi  modo le cose esteriori non può essere  effetto dell'esistenza stessa di queste  cose, havvi luogo a dubitare che esse  esistano. Hume evita però di cadere  nell' idealismo di Berckeley, (v. questo  nome) mantenendo la realtà dell' uni verso, per altro, senza positivamente  affermarla. Egli dubita ancora della re altà sostanziale dell' io individuale, il  quale si risolve in una semplice colle zione di idee, dubita quindi dell'anima,  e alla ragione nega la facoltà di nulla  affermare sull'esistenza e gli attributi  di Dio. Nei Saggi combatte la prova di  questa esistenza dedotta dall'ordine del fatti che tutti i fatti simili saranno sem pre simili, fa una dimostrazione intuiti vamente evidente. Manco la scienza fisi capuò quindi essere principio di cer tezza. Perchè noi dalle cose che sono  siamo indotti a prevedere quelle che  saranno? Hume ammette che l'abitudine  e l'esperienza c'induconoa far cid: ma  laconnessione necessaria fra questi fatti  ci sfugge, e quando i fatti non corri spondono alle nostre previsioni noi non  sappiam più concepire fra loro alcuna  connessione necessaria.  Lanegazione del principio di cau salità tende nientemeno che a distrug gere il fondamento d'ogni certezza e sol levò contro di Hume grandissime prote ste, talchè Reid,Dugald Stewart, Brown e  altri scrissero energicamente per soste nere le fondamenta minacciate del dom religione distrugge ancor quella delle  cause finali.  Hus Giovanni. Decano della fa coltà di teologia e Rettore dell' univer sità di Praga. Visse nel secolo XIV e  fu contemporaneo di Wicleff, del quale  disapprovò le dottrine siccome eretiche,  mentre poi protestava nonconvenire che  i libri di lui fossero dati alle fiamme.  Senza voler toccare alcuno dei dommi  fondamentali del cattolicesimo, mostrava  egli delle vaghe aspirazioni verso una  riforma della Chiesa, e specialmente dei  costumi del clero, al quale vanamente  tentò di insegnare la tolleranza. Fu in  quel tempo che il papa bandiva la cro ciata contro Ladislao re di Napoli, e  pubblicava una bolla nella quale «pre >>  Sono poche e sobrie parole, ma che  per essere di un santo, in questions  teologica, non valgono meno di quelle 476  MACOLATA CONCEL  d'ogni filosofo. Tradotte in buon vol gare e adattate aitempi nostri, esse di cono chiaro, che non ci voleva meno  della inesperienzadella curiaromana per  comporreundommacosìcontrario aquel lo dell'Incarnazione, il quale è la pietra  oratore, non reggono ove si mettano al  paragone collaverateologia. Maracconti  siffatti non sono insegnamenti di fede;  nè il saggio cristiano deve appoggiare  il grande interesse dell' anima sua a  dubbiose o finte leggende. Non contenti  di tante feste instituite in onore della  angolaredel cristianesimo. Avvegnachè,  se Iddio si è incarnatoper salvare tutti gli | Vergine, che superano quelle fatte in  uomini, nessuno eccettuato, dal peccato  originale, segno é ch' egli non poteva  onore di Gesù, ne vanno meditando ogni  salvarli senza incarnarsi. Ma dal mo mento che Maria, creatura umana, nata  da umani genitori senza divina incuba zione, ha potuto veder la luce senza  macchia, vale a dire senza peccato ori ginale, segno è che l'incarnazione a lei  non ha giovato; cosa che è contraria  perfino al Vangelo.  Ascoltiamo ora le parole di Monsi gnor Godeau, Vescovo di Vence: « La  divozione verso la santa Vergine, dice  egli, andò sempre crescendo dopo la  condanna di Nestorio, e l'ignoranzadel  popolo giunse a tal segno ne'secoli se guenti, che vi si commisero molti ec cessi, di maniera che quando le eresie  di Lutero e Calvino vennero al mondo,  era sì grande la superstizione su questo  conto, che faceva gemere chiunque co nosceva sino aqualtermine debba andare  l'onore dovuto alla madre di Gesù Cri sto ». E il padre Petavio, quantunque  gesuita, non aveva difficoltà a confessa re « che convien dare avviso ai pane giristi e devoti della Vergine santa ,  perchè si guardino bene dal non la sciarsi troppo trasportare dalla pietà e  devozione verso di lei. La qual sorta di  idolatria S. Agostino chiama occulta ed  innata nel cuore degli uomini ».  Finalmente anche il Muratori, uomo  pio e di non sospetta fede, scriveva:  Convien ricordarsi che Maria non  è Dio, come giàci avverti S. Epifane e  dopo di lui Teodoreto. Noi udiamo dire  talvolta ch' essa comanda in cielo. So briamente s'ha da intendere queste ed  altre simili espressioni, che cadute di  bocca al fervore devoto di alcuni santi,  e all'ardita eloquenza di qualche sacro  di delle nuove ».  Ma il lato più curioso diquesto dom ma, non tanto consiste nel modo vio lento della sua proclamazione, quanto  nel fatto, che esso non trova neanche  una linea di conferma negli evangeli. E  per vero, tutti gli altri dommi, o bene  o male fondati, furono nondimeno in  qualche modo innestati sulla rivelazione  evangelica, che è la base fondamentale  di tutto il cristianesimo. Invece se gli  evangeli ci narrano la portentosa incu bazione di Gesù fatta per opera dello  Spirito Santo, in quel modo che tutti  sanno, non ci dicono però che Maria  sia essa pure nata senza peccato, nè  tampoco ci parlano dei suoi genitori, i  quali non vi sono menzionati nemmanco  di nome. Dov'è dunque che Pio IX ha  tratta la sua storiella della Immacolata  Concezione, e con quale ardimentosa  impudenza osa egli pretendere di essere  informato intorno ai genitori di Maria,  meglio di quanto nol siano li evangeli sti? Chi gli ha detto che Anna e Gio vachino abbiano generataMaria, e l'ab biano generata senza macchia? E se  gli evangelisti, i quali ebbero la mis sione di trasmetterci la storia dellapre tesa salvazione del genere umano, tac quero di un sì grande ed augusto av venimento, sarà Pio IX, quegli che,die cianove secoli dopo, potràsmentire quel  loro fin troppo eloquente silenzio ?  Molti al certo avranno vaghezza di  conoscere d'onde Pio IX e i panegeristi  abbiano tratta la storiella di Anna e  Giovachino e della loro concezione im macolata; ma negli apocrisi e non al trove convien cercare la sua origine. È  infatti , nell' evangelo APOCRIFO della IMMAGINAZIONE  Nascita di Maria e nel Protovangelo  egualmente APOCRIFO di Giacomo, che  per la prima volta si ha notizia del  la nascita di Maria. Affrettiamoci pe rò a dire, che nemmeno questi due  antichissimi evangeli, ci parlano della  477  scritture apocrife. Questo domma che  compendia in sè tutte le contraddizioni  del cristianesimo, se è il penultimo nella  serie cronologica, non chiude però la  porta a tutti gli altri a cui la Chiesa  può essere condotta nell'orgia della su perstizione. Già molti inneggiano ad  un culto speciale per S. Giuseppe, e  speriamo che lo dichiarino anch'esso  sine labe, con molti altri, finchè la ra Immacolata Concezione. Narrano essi  soltanto che Anna e Giovachino di  Betlemme la prima, di Nazaret il se condo, erano persone devote e pie, e tro vavano grazia presso Iddio, avvegnache| gione ed ilprogresso, spazzatevia tutte  alla chiesa ed ai preti donavano la terza  parte delle loro rendite. Anna però era  sterile, cosa che grandemente l' acco rava, essendo dagli ebrei la sterilità ri guardata come una maledizione, con le fiabe inconcludenti o assurde e le in venzioni sul peccato originale, tutti non  ci proclami immacolati infaccia a quella  natura che tutti ci fa ad un modo.  Immaginazione . La filosofia  greca, più ragionevole di molte scuole  forme al passo d' Isaia: maledetta la  donnachenonhagenerato in Israel (Is.| moderne, non vedeva nella immagina C. IV. 1.). Ma un giorno Giovachino  conobbe che finalmente i suoi voti sa rebbero esauditi, e che Anna, a so miglianza di Sara, genererebbe una fi glia, che sarebbe la madre del Salvato re. Questa notizia, ebbe Giovachino me diante l' annunciazione d'un angelo, е  tal fu la sua gioia, che muto essendo  acquistò la favella. Avvertasi però che  ' apocrifo non parla qui dello Spi rito Santo , anzi dice chiaro che gli  sposi, rassicurati della prole, resero  grazie a Dio, e tornati a casa attesero  con gioia la divina promessa; il che ci  lascia supporre, onestamente, che nel  frattempo del loro meglio cooperassero  per realizzarla. Il Protovangelo di Gia como aggiunge ancora che Giovachino  dopo l'annuncio donò alla Chiesa do dici vacche e cento becchi, e che in  quel giorno egli riposò nella sua casa  per la prima volta.  Ecco a quali fonti il Santo Padre ha  attinta la rivelazione dell' Immacolata  Concezione. Colla sua infallibilità egli  nonha temuto questa volta di dichia rare infallibili anche i libri che gli altri  papi avevano dichiarati falsi, e i Vescovi  del Concilio Vaticano non temettero di in zione altra facoltà che quella di ripro durre le percezioni dei sensi e di rap presentarci alla memoria gli oggetti  percetti anche allora che non erano più  presenti . Platone stesso e Aristotile ri ducono la φαντασία allamemoria im maginativa. I mistici d'Alessandria sono  i primi che vogliono considerare nella  immaginazione una facoltà speciale de stinata a rappresentare le immagini e  gli esseri del mondo intellettuale; per cid essi insegnano che l'immaginazione  sopravvive al corpo,segue l'anima nelle  regioni celesti e divien facoltà dei beati.  A' di nostri non sono pochi coloro  che persistono a vedere nella immagi nazione una facoltà creatrice; ma è for tuna che molti ancora abbiano ricono sciuto il nessun fondamento di questa  opinione. Tutta la scuola sensualista e  ideologica ha ammesso e hadimostrato  che l'immaginazione non è infine che  il risultato della percezione. Riprodurre  fedelmente una impressione provata è  ufficio della memoria; combinare insie me parecchie impressioni è immagina nativa. Chi ha fervida immaginazione  può combinare molte idee e molte im magini, e formartipi che possono parer  nuovi, ma che nuovi non sono; impe vocare la inspirazione dello Spirito Santo,  sotto il patrocinio di un domma fab- rocchè nessuno crea, nè nella scienza  bricato sulle notizie, che ci danno le nè nell' arte (v. ARTE) e le cose anche 478  IMMANENTE  più nuove possono tutte ridursi all' o rigine immediata dei sensi. L'immagi nazione è così poco creatrice ch'essa  non è mai giunta a concepire manco  la possibilità di un senso nuovo, di una  nuova maniera di percepire i fenomeni  Chi ha immaginazione, ha copia d'idee,  penetrazione e attitudine ai lavori in tellettuali; ma chi ha immaginazione ec cessiva, nè sa dominarla e ridurla nei  confini della ragione, prende spesso i  fantasmi della sua mente per cose sal de; con quelli foggiasi teorie e sistemi,  i quali perciò appunto che sono imma ginari trovano poi benpoco fondamen to nella realtà. Nei fanciulli e nei po poli incolti ma di svegliato ingegno la  immaginazione e eccessiva, e gran par te de' loro errori deve imputarsi a ciò  ch' essi per mancanza di sufficenti co gnizioni sperimentali, mal riescono a se parare nei loro strani concepimenti cid  che appartiene all'immaginazione,da ciò  è della realtà (v. SENSUALISMO E IDEE  INNATE).  Immagini (Culto delle). Domma  cattolico stabilito dal Concilio di Trento  nella sessione XXV. « Comanda il Con cilio che debbono tenersi e conservarsi  principalmente nei Tempi le immagini  di Cristo, della Vergine madre di Dio e  d' altri Santi, e che loro deve darsi il  dovuto onore e venerazione: non perchè  si creda esservi inloro qualche divinità  o virtù, per cui debbasi rispettare o  perchè da esse debbasi chiedere nulla ;  o perchè abbia ad aversi fiducia nelle  immagini, siccome in altri tempi face vano i gentili che riponevano la loro  speranza negl' idoli, ma perchè l'onore  che loro si dà si riferisce a' prototipi  che rappresentano; talmente che per le  immagini che baciamo, e innanzi alle  quali stiamo a capo scoperto , e ci  prostriamo, adoriamo Cristo e veneriam  i Santi, dei quali esse hanno la somi glianza ».  Il decreto del Concilio è assai pru dente e poco appiglio offre alla critica  dei protestanti. Il Concilio parla di ve nerazione è di onori da rendersi alle  immagini, ma di culto positivo il suo  decreto parla punto. Pure i riti catto lici sono siffattamente combinati, che  nell'opinione comune le messe in onore  dei Santi, meno si riferiscono al Santo  stesso che all' immagine sull'altare del  quale si officia. E poichè avviene che  nelle menti vulgari i simboli finiscono  sempre a sostituire le cose rappresen tate, così quegli eccessivi onori che nelle  chiese si rendono alle immagini, si ri solvono infine in un vero culto tributato  alle medesime.  Tutte le sette cristiane le quali nè  ammettono il culto, nè gli onori alle  immagini, oppongono a' cattolici che  l'antico testamento in più d'un luogo e  perfinonel Decalogo, vieta positivamente  di farsi immagine alcuna e render loro  qualsiasi culto (Esodo XX, 4; Levitico  XXVI, 1 ; Deuter IV, 15; V, 8). Ma i  cattolici rispondono questa proibizione  esser stata giusta e necessaria in quei  tempi , stante la invincible tendenza  degli ebrei all'idolatria; nullameno avere  Mosè stesso sovrapposto all'arca dell'al leanzadue Cherubini, e Salomone averne  fatto dipingere sul muro del tempio e  sul velo del Santuario. Or gli è ben po sitivo che quanto lo stesso autore dei  libri che contengono quel divieto, si fa  lecito d' infrangere il comandamen o,  hanno ben diritto a venia i cattolici se  imitano l'esempio suo e nonrinunciano  a costumanze che tanto profittano al l'esterno splendore materiale del loro  culto. Vedi ICONOCLASTI)  Imananente. (Da manere restare,  e in dentro) Aggiuntivo di atto, per di stinguerlo dal transitorio. L'atto imma nente è quello che si compie dal sog getto e che rimane nel soggetto stesso  senz'altro termine fuori di lui. In questo  senso i teologi insegnano che Dio cred  il figlio e lo Spirito Santo per atti im manenti, imperocchè nè il Figlio nè lo  Spirito son fuori di lui, ma son Dio  stesso. La creazione invece è atto tran sitorio. In senso non dissimile Spinosa IMMORTALITA  poteva dire che Dio è la causa imma nente e non transitoria di tuttele cose,  perocchè nel panteismo di Spinosa l'uni versalità delle cose, è Dio stesso. (Etica  479  più lungo quanto più lontano il mo  vimento deve trasmettere i suoi effet ti. Or se l'azione di Dio a distanza im Jib. 1 prop. 18). Non vi è altro caso  fuor di questi due in cui la voce imma nente possa usarsi in senso proprio. Ma  nel traslato si usa ancora nella filosofia  moderna per indicare un' azione e una  attività continua inerente al soggetto.  Così suol dirsi che la causa immanente  del movimento è la materia, in quanto  si ammetta che laforza generatrice del  movimento è attributo intrinseco di essa,  in essa si manifesta e vi rimane eter namente.  Immenso. Attributo che si sup pone in Dio, in virtù del quale egli è  presente dappertutto. Questa proprietà,  come ognun vede, è in contraddizione  con una delle più elementari nozioni  della fisica , l'incompenetrabilità dei  corpi ; perocchè dove corpi esistono,  altre sostanze non possono stare. È vero  che Dio è uno spirito,ma, infine, o spi rito o corpo, sostanza bisogna pur che  sia, e nel posto occupato da tutta la  materia di che son fatti i mondi, non  potrebbe stare altra sostanza per sotti lissima che sia.  I primi padri della Chiesa, i quali  ammettevano che Iddio fosse corporeo,  negavano implicitamente la sua immen sità ; per la stessa ragione la negavano  i Manichei, i quali ammettendo due  principii coeterni non li potevano fare  egualmente immensi; e alcuni Calvinisti  e i Sociniani sostennero esser Dio sola mente in cielo, nè altrove presente se  non per la sua scienza e potenza, po tendo egli operar dappertutto. Convien  però considerare che un Dio così li mitato operare non può dappertutto,  perocchè l' azione suppone presenza, o  per lo meno la traslazione dell' atto at tivo attraverso allo spazio fin che giunga  al luogo dove si deve produrre e svol gere cotesta attività. Così è legge mec canica che ogni movimento importa la  necessità del tempo, e il tempo è tanto  porta tempi proporzionali valutabili colla  ragione composta della distanza stessa  e della velocità, ne deriva che l'azione  sua a una distanza infinita richiede  tempi infiniti, il che val quanto dire che  quest' azione non giungerebbe mai a  produrre i suoi effetti, imperocchè un  tempo infinito non ha fine. Se dunque  un Dio immenso contraddice una legge  fisica, un Dio limitato contrasta con una  legge meccanica, e così riman provato  ancora che gli attributi di Dio sono la  negazione di tutte le scienze positive.  (Vedi INFINITO).  Immortalità. L'immortalità per sonale dopo la morte è credenza fonda mentale di quasi tutte le religioni. Non  è però esatto l' affermare, come gene ralmente si fa,che tutti i popoli e tutte  le religioni la proclamano. Circa tre cento milioni di buddhisti credono nel  nirvana, vale a dire che l'anima dei  giusti dopo la morte giunge all'assoluto  annichilamento in Dio (vedi BUDDHISMO).  L'annichilamento dell'anima è pure opi nione professata da tutti i filosofi pan teisti, (v. PANTEISMO), imperocchè am.  mettendo costoro che l'anima nostra  congiungesi all' Essere universale, im plicitamente suppongono che la sua per sonalità si spegne e si fonde nella stessa  personalità di Dio.  Tutta la scuola sceltica antica e mo derna, per la cagione stessa delle sue  dubitazioni non può considerarsi siccome  accettante il domma dell' immortalità;  imperocchè dubitando essa d'ogni cosa  reale ed eziandio delle più evidenti,  tanto meglio deve dubitare di un dom ma che non ci offre alcuna dimostra zione sensibile, e che per confessione  stessa di coloro che lo ammettono, ha  d'uopo di appoggiarsi precipuamente  sulla fede, virtu incompatibile affatto col le ultime conseguenze dello scetticismo.  Quanto all' idealismo il qual nega  ogni realtà alle cose che ne circondano 480  IMMORTALITA  e al nostro stesso corpo, e considera per fino il nostro io siccome un fenomeno,  potrà egli mai fondatamen e annoverarsi  fra le scuole credenti nell'immortalită?  Tuttochè i principali idealisti abbiano  affermato cotesto domma, è lecito cre dere che lo abban fatto per una non  felice inconseguenza, piuttosto che per  vera e naturale necessità dellorsistema.  L'immortalità di un fenomeno non è  invero cosa concepibile, e ad ogni modo  se noi non possiam trovare nelle cose  che ne circondano sufficienti argomenti  per credere alla loro esistenza, tanto  più dovremo dubitare dell' esistenza di  undomma il cui concet.o implicante  eternità sfugge eziandio ai limiti natu ra i della nostra ragione.  Ecco dunque già un buon numero  di uomini e di filosofi, i quali se non  esplicitamente, certo implicitamente non  credono all' immortalità. Quanto ai fi losofi antichi non mancano esempi di  coloro che non ammisero cotesto dom ma. Democrito, Epicuro e Dicearco fra  i greci lo negarono esplicitamente, e  fra i latini Lucrezio nel suo terzo libro  dice chiaro che l'anima ha le sue ma lattie come il corpo, e come il corpo  deve perire. Anche Cicerone fu accu sato da Lattanzio di non credere all'im mortalità, e quel buon padrelo prova va citando un passo di lui, che ora si  èsorpresi dinonpiùtrovare nelle opere  sue. Cicerone vi ragionava secondo i  principii degli Accademici, pei quali è  noto ch' egli nutriva grandissima sim patia ( Latt. de vita beata, lib. VIII cap. 8).  Plinio insegnava addrittura che tanto  valeva il credere di esistere dopo la  morte, quanto il credere di essere esi stiti prima di nascere, e che l'una e  l'altra credenza non erano infine che  una volgare superstizione (Plinio Storia  nat. lib. VII, cap. 55). Non fu Seneca  il tragico che nel coro dei Troadi fece  adottare l'opinione della mortalità del l'anima ? (Seneca. Trod. vers. 395). E  Sorano, come riferisce Tertulliano (De  Anima, cap. VI), nei suoi quattro libri  sulla immortalità, non negava egli co testo domma? Fu pure AlessandroAfro disio colui che sostenne essere cost as surdo il dire che l'anima è immortale,  quanto l'affermare che me e due fanno  cinque. Fra i greci ancora e fra i latini  tutta la setta stoica volendo tenere il  giusto mezzo fra le opposte opinioni,  insegnava che le anime sarebbero bensì  sopravissute ai corpi, ma che infine  esse pure sarebbero annichilate. E fra  gli stoici stessi chi, come Crisippo e  Cleanto, ammetteva che questa distru zione sarebbe avvenuta alla fine del  mondo, e chi,come Epitetto e Marc' An tonio,insegnavache ladissoluzione del le anime avvenisse o contemporanea mente o subito dopo la dissoluzione del  corpo; onde furon detti hersciscundi, cioè,  come spiega Servio, medium secuti. Que sta non è opinione molto diversa da  quella espressa da Kant nella sua Cri tica della ragion pura, dov'egli insegna  non essere impossibile che l'anima, mal grado gli attributi che la rendono indi visibile, perisca di languore per una  graduale estinzione delle sue forze.  Perfino fra il popolod' Israele noitro viamo esempi non dubbi della miscre denza nell'immortalità. Nessun atto della  legislazione di Mosè accenna a questo  domma, e i Sadducei stessi, che erano  una delle sette più cospicue del giudai smo,non credendo nell'immortalità era no ammessi al sacerdozio (V. GIUDAISMO).  Negasi che esistano interi popoli i  quali ignorino il domma dell' immorta lità; ma è negazione contro la quale  stanno prove positive. Oltre l'esempio  dei buddhisti, ne' tempi andati si tro varono intere tribù selvaggie che non  avevano alcuna cognizione nell'altra vita.  Margravius riferisce che i popoli del  Chill erau abbastanza brutali per non  conoscere cotesto domma. Chilenses ne que Deum norunt, neque illius cultum  nullum observant dierum discrimen, ne  mortuorum quidem resurrectionem cre dunt sed post obitum nihil hominis pu tant superesse. (Margravius. lib. VIII IMMORTALITÀ  app. cap. III). Lo stessodicasi di molte  tribù di Madagascar. « Interrompc per  un istante questa relazione, scriveva il  missionario Tachard, per dire ciò che  noi abbiamo veduto degli ottentotti. I  quali essendo persuasi che non vi sia  altra vita, lavorano appena tanto che  basti per passare gradevolmente la vita  presente » (Tachard T. 1 pag. 72)  481  Korannas, Thompson apprese che prima  della venuta dei missionariin quel pae se, essi non avevano idea distinta di un  Dio onnipotente, delle pene e delle ri compense di un'altra vita. « Presso i  Béchuanas, dice il missionario Moffat,non  havvi alcuna idolatria, alcuna tradizione  degli antichi tempi.. Durante parec chi anni di un lavoro pressochè inutile,  È certo che nel secolonostro anche  tra cotesti popoli l'idea di Dio e dell'im mortalità si è insinuata. Ma badiam  bene all'opra de' missionari che oramai  in ogni parte diffusero fra i selvaggi le  idee dei popoli civili. Or se poniam  mente che ira coteste idee quella del l'immortalità è certamente la più facile  a intendersi e ad accettarsi ancora dai  meno colti, non ci saràdifficile scoprire  i veri motivi della diffusione di questo  domma. Pensiamo, infatti, che ogni uo mo nascendo sotto l'impero della pro pria personalità, sentendosi dotato di una  coscienza individua, mal può adattarsi  all' idea della cessazione del suo io. E  pei selvaggi poi vihanno ragioni molte le  quali possono confermarlinella opinione  della sopravivenza dopo la morte. In  paesi ove le più elementari funzioni fi siologiche sono pressochè ignote, qual  non doveva mai essere l' influenza dei  sogni, grandissima anche fra noi, sulle  credenze religiose ?  Quelle figure che l'immaginazione as sopita presenta al dormiente, quelle na turalissime immagini degli amici e dei pa renti che talora vediamo nel sonno, co me avrebbero potuto non far credere  all'esistenza di quegli esseri che essendo  morti, tuttavia ricomparivano colle loro  precise sembianze? Veri fanciulli adulti,  non potevano i selvaggi che confondere  in una sola impressione la realtà col l'immagine, ed è così senz' altro che essi  ebbero il concetto di una sopravvivenza  dell'individuo, senza che, del resto, siano  maicorsi colpensiero ad immaginare un  soggiorno ulteriore, una pena ed un  premio futuri.  Dalla bocca stessa degli Ottentotti  io ho spesso desiderato di scoprire  qualche idea religiosa presso quegli in digeni; ma nessuna nozione di questo  genere mai era entrata nel loro spirito.  Dir loro che esiste uncreatore del cielo  e della terra, parlare ad essi della ca duta dell' uomo, della redenzione, della  risurrezione, dell' immortalità, era per  loro un discorrere di cose altrettanto  stravaganti e favolose quanto le loro  ridicole leggende sui leoni e le jene...  Non potevansi risolvere i Béchuanas ad  ascoltare le nostre prediche, se non re galandoli di tabacco ed altre cose. Poi,  dopo alcuneore di predicazione, essi do mandavano: Che volete dire? Le vostre  fiabesono assai maravigliose, quandopure  non gridavano: Pura menzogna. I più  pratici fra loro osservavano che tutto ciò  non empiva lo stomaco ». Più tardi  quando ilmissionario riuscì a fare qual che conversione, i nuovi proseliti affer mavano chedapprima essi non avevano  idea alcuna nè di Dio, nè della vita fu tura. L'uomo, dicevano altri, non è più  immortale del bue e dell'asino, le ani me nessun le vede.  Siffatte notizie raccolte nell'Encyclo pedie generale, furono nel 1870 piena mente confermate da Tsékélo, principe  dei Caffri-Bassoutos che nel 1869-70  erasi recato a Parigi. Letourneau ebbe  la ventura di vedere cotesto selvaggio  incivilito, il quale parla passabilmente  l'inglese, sa leggere e scrivere, e dopo  avergli lette le notizie sopra riferite,  ebbe da lui in risposta, esser questa la  prima volta ch'egli sentiva dire la verità  in Europa. Egli è vero che il Signor  Casalis scrive che il vecchio Libè, zio  del re dei Bassoutos, tuttochè dapprinci  31 482  IMMORTALITÀ  pio, al missionario che gli insegnava il  vangelo pizzicasse le labbra.e il naso  chiamandolo mentitore, si era infine  convertito. Ma Tsékélo contraddice tal  notizia, e assicura che il suo parente  era troppo vecchio e troppo ammalato  per parlare lungamente. Egli d'altronde  era sì poco convertito, che alle esorta zioni del missionario che gli parlava senza  posa di Gesù Cristo, rispondeva: Gesù  Cristo ? Chi è costui? Io non conosco  cotest' uomo. (Bulletins de la société  d'anthropologie de Paris T. VII. Serie  2. pag. 692).  Il viaggiatore inglese White Baker  che soggiorno parecchi anni fra i negri  che abitano sulle sponde del Nilo Bianco  e dei laghi d'onde questo fiume deriva,  specialmente nella tribù degli Obbos e  dei Latoukas (4 o 5 gradi di latitudine  nord), afferma che non gli fu possibile  di trovare fra questi popoliidea alcuna  religiosa. Letourneau ha raccolte ed  esposte le relazioni di questo viaggiatore  alla Società d'antropologia di Parigi, ed  è curioso il seguente frammento.    Io. Un uomo non è superiore  per la intelligenza ad un bue. Non ha  egli una ragione per guidare la sua in telligenza?  « Commoro. Molti uomini non so no intelligenti al pari del bue. L'uomo  è costretto a seminare del grano per  procurarsi la nutrizione, il búe e lebe stie selvagge l' ottengono senza semi nare.  Io. Non sapete che esiste in noi  un principio spiritüale differentedalno stro corpo ? Durante il vostro sonno non  sognate mai? non viaggiate col vostro  pensiero in lontane regioni ? Nullameno  il vostro corpo è sempre nello stesso  luogo. E come spiegate tutto questo?    «Un pocodigrano che era stato tolto  dai sacchi pel nutrimento de' cavalli e  che trovavasi sparso sul terreno, mi  suggerì l'idea di mostrare a Commoro  la vita avvenire col mezzo della sublime  metafora di cui fece uso S. Paolo.  > Sotto il pontificato di Urbano II, diçe  l'abate Fleury, videsi con sorpresa a  conto di una sola buona opera, esimersi INDULGENZE  il peccatore di ogni pena temporale  pei suoi peccati. E non ci voleva meno  che un numeroso concilio, presieduto  da questo pontefice in persona, per au 493  fossero delegati da lui in Italia, Fran cia, Germania, Spagna ecc, la facoltà  di concedere, mediante spontanea ele mosina o prezzi da stabilirsi secondo i  torizzare siffatta novità. Questo concilio | casi, indulgenze pei vivi e pei morti, as tenutosi a Clermont l' anno 1095, con soluzione e remissione di tutti i reati  cesse indulgenza plenaria, remissione  intera di tutti i peccati a chi pren desse le armi per la liberazione di  Terra Santa. Questa indulgenza valeva  di paga ai crociati, e benchè essa non  desse il mantenimento corporale, fu ac cettata con giubilo ». (6° Disc. sulla  storia eccl. n. 2). Il quarto concilio di  Laterano e il primo di Lione seguirono  questo esempio, e s'andò in tal guisafor mando la giurisprudenza del giubileo  (V. GIUBILEO).  Ma ben peggiori abusi si dovettero  poi lamentare sotto il pontificato di  Leone X. Ai 14 novembre 1517 questo  papa pubblicava la famosa bolla che co mincia Portquam, ad apostolatus apicem  e che diede origine alla riformadi Lu tero: avverto che fu omessa nelle edi zioni di Roma, e la ricavo dalla edi zione di Lussemburgo 1727, supplemento  al tomo X pag. 58.  Èsingolare che il Sarpi, nella sua  Storia del Concilio Tridentino, appena  accenni la detta bolla, mentre un' ana lisi della medesima tornava così accon cia a descrivere la fede ed i costumi  della Romana Chiesa.   Di   (Dern. Analyt. lib. 1. c. 2). Nella filoso fia moderna questa voce ha cambiato  senso e ne ha acquistato un altro assai  più determinato. L'ipotesi è oggidì sup posizione fondata sopra caratteri abba stanza evidenti per essere probabile, sen za tuttavia essere certa. È quindi errore  di molti il credere che ogni più che  azzardata affermazione possa dirsi ipo tesi: le cose manifestamente impossibili  trettanto certo che fedelmente ci rap presentino le cose come sono. L'obbie zione sarebbe vera e ad evitarla con viensi che all'ipotesi diasi senso limi tato, proprio del comun linguaggio ; e  per tale s' intenda quella dimostrazione  la quale secondo lo stato delle nostre  cognizioni non è ancora sufficientemente  provata. Nemmen s' abbia per ipotesi  ogni strambo ragionamento : sì convien  ch'essa sia probabile e verosimile, senza  di che diventerebbe vaneggiamento di  non sono ipotesi; ma assurdità. Prima  di scoprire le leggi generali, la scienza  cerca le ragioni plausibili dei fatti che  osserva fondandosi sull' analogia dei  fatti simili ; ma finchè cotesta analogia  non sia accertata da osservazioni diret- nogamia.  te le sue ragioni rimangono ipotesi.  Convien che il filosofo sappia ben  mente insana.  Ipparchia. Filosofessadella setta  de' cinici e sposa di Crate. Nacque a  Maronea, città della Trancia, da fami glia ricca, e tanto si appassionò per la  filosofia di Crate, che nonostante le sue  infermità e la sua miseria, e malgrado  le rimostranze dei parenti, lo volle per  marito. Vestita di miseri abiti, senza  averi e senza tetto, andò vagando col  marito, secondo i precetti della scuola  cinica, chelavolle immortalare istituendo  una festa in onor suo col nome di Ci Ippon(di Bhegium).Ignorasi l'epo distinguere le leggi dalle ipotesi: il con fondere le une con le altre è spesso  cagione di errori gravissimi per le scien ze, che una maggior prudenza potrebbe  evitare. Vero è che tutti i nostri prin cipii sono dubbi, che la certezza asso luta non è retaggio hostro, e che tal  fiata i principii che ci parevano più  certi sono dimostrati falsi da nuove sco perte. In tal senso lo scettico può ben  dire che tutti i principii che noi abbiamo  elevato al grado di legge sono ipotesi,  ca precisa in cui visse, ma par che fos se nei primi secoli della filosofia greca.  Aristotile nella sua Metafisica (lib. 1, c.  3) ci apprende che sull'esempio di Ta lete egli considerava l'acqua, o l'umidità  come il principio delle cose; e nel libro  dell' Anima (lib. 1, c. 2) aggiunge che  non riconosceva all'anima altra origine.  Sesto Empirico nelle Ipotesi Pirroniane  (lib. III) dice ch' ei riconosceva due  soli principii: l' acqua ed il fuoco, ed  Alessandrio Afrodisio lo annovera fra i  materialisti.  J  Jerocle. Filosofo neoplatonico che | tone, e compose sette libri sopra il de fiorì sul finire del IV secolo. Insegnd | stino, alcuni estratti dei quali ci furono  filosofia in Alessandria , commento Pla- conservati da Fozio. Questo filosofo ap 512  JOUFFROY  partiene al periodo di transizione tra la  filosofia pagana e il cristianesimo, e già  nella sua dottrina si nota il primo mo vimento che confuse il Destino con la  provvidenza. La provvidenza, insegna  egli, è il governo col quale Dio man tiene l'universo. L'uomo è dotato di li bero arbitrio, ma le sue decisioni sono  seguite da una certa azione di Dio che  sollecita la sua volontà, e questa stessa  azione che facilita o noilbuon uso del  Par che gli ionici proclamassero an cora, sebben confusamente, i principii  del sensualismo, e affermassero , che  quello solo esiste il quale cade sotto i  nostri sensi. Così sembra che Platone  dicesse di loro, quando nel suo dialogo  del Sofista scriveva: « Siccome tutte le  cose cadono sotto i sensi, così essi af fermano che quello solo esiste che si  può avvicinare e toccare: in talmaniera  libero arbitrio è già principio di pena  o ricompensa. Qui sorge poi il principio  dalla predestinazione e della grazia, poi- grande disprezzo ».  chè Jerocle ammette, senza manco av essi identificano l'essere col corpo ; e se  qualche altro filosofo lor dice che l'es sere è immateriale, gli dimostrano un  vedersi di cadere in contraddizione, che  Dio fin dall' origine del tempo ha de terminato il principio e la fine dell'esi stenza. Anche nella creazione tenta di  di avvicinare il paganesimo al cristia nesimo, e se non osa d'un tratto far  scomparire il principio dell'eternità della  materia, che tutta la filosofia pagana  aveva ammessa, vuole almeno, con una  delle sue solite contraddizioni, che Dio  l'abbia creata, ammettendo però che la  creazione non ha avuto un principio!  Jonica (Scuola). Talete di Mileto,  città della Jonia, fu il fondatore di que sta Scuola, continuata daEraclito, Anas simandro , Anassimene, Anassagora, e  Archelao. La scuola ionica è sopratutto  fisica per l'insegnamento nell'astrono mia che largamente vi fecero i suoi  maestri. Intorno all'essenza delle cose  disputarono assai gli ionici, e si divi sero in due partiti, l'unde'quali (Anas simandro e Anassagora) sostenne che il  Jouffroy (Teodoro Simone). Pro fessò filosofia a Parigi al collegio Bor bone dal 1817 al 1819, fu quindi inse gnante alla facoltà di lettere nella mө desima città, poi professore di filosofia  aggiunto alla cattedra di Royer-Collard  e nel 1840 membro del Consiglio Supe riore dell' istruzione pubblica. Fu pro mosso a questo posto dal ministro Cou sin, ed è ben ovvio il pensare che il  protetto facesse onore alle opinioni del  protettore. Jouffroy non seppe introdur re nel suo insegnamento alcuna nuova  idea, salvo quella veramente singola rissima, per la quale egli voleva distin guere ' anima dal corpo, e provarne  l'esistenza dimostrando la diversa na tura delle funzioni digestive e volitive.  Sarebbe inutile il confutare le idee di  questo filosofo, basate sopra una com pleta ignoranza delle leggi della vita,  Jouffroy ha fondato anche una teoria  morale ed una teodicea. La prima pog giando sulle basi ipotetiche del duali smo fra la materia e la vita stabilisce  mondo consta di elementi diversi ma  nou numerabili; l'altro, che esso è com posto di un'unica sostanza (Talete, Anas simene), oppure di due o tre elementi  come sarebbero l'acqua e il fuoco. Ar- | azioni materiali del corpo, le quali ten chelao). Gli uni e gli altri convennero  lalegge del dovere nel raggiungimento  del fine morale. dell' uomo, indipen dentemente dalla circolazione e dalle  che la costituzione attuale dell'universo  s'è formata cogli elementi o coll' ele mento primitivo mediante un'azione di namica di unelemento sull'altro, o col  movimento dello stesso elemento in se  stesso.  dono alla pura conservazione di questo.  La vita materiale, dice Jouffroy, tende  al bene del corpo, la vita morale al  bene dell' io. Così l'individuo si separa  in due esseri distinti; il benessere del  suo corpo non è più il benessere del  suo io; dunque il corpo può essere  278.987 JACOBI  martoriato, poichè l'io non è il suo  diretto risultato. Si capisce bene che  queste teorie possono fondare una mo rale ideale, ma non già una morale  513  non esamina, ma percepisce. lo vedo  il sole, dunque il sole esiste; io mi  sento, dunque io sono; io penso lo spi rito supremo,dunque lo spirito supremo  vera e veramente utile alla società.  Jacobi (Federico Enrico). Nacque  il 25 gennaio 1743 a Dusseldorf nella  Germania, da un ricco negoziante di  quella città. Chiamato adirigere la casa  di suo padre, non vi rimase però per  lungo tempo, e quando l'Elettore pala tino lo nomind consigliere delle finanze  del ducato di Bery, abbandonò affatto il  commercio. Ricco e rispettato, la sua  casa di Pempelfort fu ben presto il ri trovo delle notabilità scientifiche e let terarie del suo tempo, in mezzo alle  quali presegli brama di prender posto  egli stesso. Si atteggiò a filosofo, e in  diversi tempi scrisse alcuni libri, tali che  Woldemar, Lettere a Mendelson sulla  filosofia di Spinoza; Una parola di Les sing; David Hume o l'Idealismo e il  Realismo; Del tentativo del criticismo di  rendere la ragione ragionevole, o di  accordare la ragione coll' intendimento  (1801); Delle cose divine (1811) Lettere  su Spinoza.  Jacobi è avversario, non solo del l'idealismo, ma anche del criticismo di  Kant, dello scetticismo e d'ogni incre dulità. Impotente, com' egli stesso con fessa, a spiegarsi iconcetti astrattidella  filosofia, si gettò in braccio con sover chia fidanza agli stimoli del sentimento  individuale: parve a lui che una certa  armonia prestabilita dovesse esistere fra  i nostri concepimenti e i fatti esteriori.  Il suo realismo non è in sostanza che  l'obbiettivazione nella realtà di tutte le  chimere che una mente esaltata può  concepire, e la sua ragione della quale  con tanta pompasifacampione nei suoi  libri, non s' adopera già a sceverare  quanto di falso in queste chimere vi  possa essere, perocchè egli è convinto  che la nostra coscienza attuale, e non  la ragione, sia la misura di tutte le  verità.  esiste ». È in tal maniera che Jacobi  passa dallapercezione sensibile del sole  veduto, all'astrazione intellettuale di un  Dio pensato, senza pure avvedersi del l'immensa distanza che separa fra di  loro questi due modi d'affermazione. Dal  momento che la nostra coscienza intel lettuale è la misura della verità, che  monta sia una cosa veduta o soltanto  pensata? Ciò che si vede o si pensa è  sempre vero, e Jacobi non si doman derà nemmeno se tutte le cose pensate  siano sempre state vere.  Ben a ragione insofferente delle ne bulose formole della filosofia trascen dentale, credette egli di avere evitata  ogni dubitazione supponendo che la cer tezza fosse immediatamente inerente a  tutti i nostri giudizi. « La vera scienza,  dic'egli, è quella dello spirito che rende  testimonianza di se stesso e di Dio....  Oggetto delle mie ricerche fu sempre  la verità nativa, ben superiore alla ve rità scientifica ». E nel 1819 ripeteva :  . Nel seno  stesso dell' Accademia di Berlino vi fu  viva disputa, che nonvolse però a pro fitto della nuova scienza. Fu essa riget tataallaquasi unanimità siccome studio  inutile e impotente a fondare checches a.  Cotesto studio è infruttuoso, scri veva Formey, e il suo fondo indeci frabile. Lo stato attuale del viso umano  verso la metà della sua carriera, risulta  dal concorso di tante circostanze fisiche,  morali, e casuali, ch' egli è affatto im possibile di ritrovare la fisionomia ori ginale e di seguire le tracce delle sue  modificazioni: se il cuore è un enimma,  il viso è un logogrifo, come quei ter reni vulcanici coperti di molti strati di  lava, con una terra molto fitta sopra  ciascuno ».  Lafisiognomia restò a quel punto,  nè più progredi; nè se ne discorre a  tempi nostri fuorchè in quei libri che  si stampano apposta per gli sciocchi. Ma  le conseguenze di quella scuola non fu rono abbandonate, e quando venne Gall  le rinnovò per la sua croniologia, ma  con una scienza, con una pratica e con  un sapere da cui il mistico Lavater era  le mille miglia lontano.  Lao-Tseu. Filosofo chinese con temporaneo diConfuzio.Lasua vita, co me quelladi tutt' i filosofi di quei tempi,  è più leggendaria che storica. Fu con servatore della biblioteca della casa di  Théon, dagli uni considerato come pro feta, dagli altri come uomo eminente mente santo, talchè fu ancor confuso con  Shakya-muni, (Bouddha ) le cui dot trine egli introdusse nella China. (V.  BUDDHISMO).  costanze. È legge di natura che la luce  diminuiscanella sua integrità in ragione  inversa dei quadrati delle distanze; che  colla stessa progressione diretta un cor po grave si acceleri nella sua caduta;  è pure in forza di unalegge che l'elet tricità si trasmette di preferenza attra verso ai corpi conduttori, che il ferro  è attratto dalla calamita, che il filo a  piombo in qualunque parte del globo si  dirige al centro della terra ecc. D'onde  e perchè nasca la legge, s'ignora. Essa  costituisce una nozione essenzialmente  sperimentale e direi quasi assiomatica,  per la quale noi affermiamo che esiste  una legge quando vediamo che date le  medesimecausesi produce costantemente  il medesimo effetto. Romagnosi perciò  non ebbe torto di definire la legge . Dunque lo statista che sulla  media delle tavole degli anni anteceden ti predice approssimativamente il nu mero di certe classi di delitti che suc altri vincoli morali con cui cerchiamo  di determinare o al bene, o all' utile,  o a checchessia le azioni dei nostri si mili, provano, in sostanza, che sotto la  influenza di certe cause noi ci attendia mo dagli uomini certi effetti. Senza di  che, a cosagioverebbero le leggi ? Per chè l' oratore procurerebbe d'indurre  altrui nelle sue convinzioni, se i suoi  motivi non esercitassero una certa effi cacia, e perchè da tal sistema di go verno si attenderebbero tali popoli, e  dai cattivi esempi malvagie azioni ?  Il filosofo inglese Bailey ha ben ra gione di sorprendersi che la connessio ne fra imotivi e le azioni sia teorica mente revocata in dubbio quando poi  nella vita pratica gli uomini non fanno  altra cosa che impegnare perpetuamen te piacere, fortuna, riputazione, la vita  stessa in questo principio che specula tivamente rigettano. La costanza delle  cifre della statistica non è forse una  evidentissima dimostrazione di questo  principio, che anche nell'ordine morale,  il qual si vuole assolutamente indipen dente da ogni determinazione, le mede sime cause conducono costantemente ai  medesimi effetti ? « Per ciò che si rife risce af delitti , scriveva nel 1853 il  signor Quetelet, i medesimi numeri si  riproducono con tale costanza che sa rebbe impossibile il disconoscerli anche  per quei delitti che sembrerebbe do vessero più di tutti sfuggire ad ogni  previsione umana, come sarebbero gli  omicidi, dappoichè essi si commettono  in seguito a risse che nascono senza  stabili motivi, e in apparenza col con corso delle più fortuite circostanze. Non dimeno l'esperienza prova che non solo  cederanno nell' anno successivo, non fa  altro che prevedere gli effetti che do vranno necessariamente derivare da cer te cause, che generalmente si rinnovano;  cosa che non potrebbefarsi certamente  ove le azioni nostre fossero affatto in dipendenti dacause determinanti. Inve ro, se le azioni fossero assolutamente  libere, le più grandi variazioni dovreb bero mutarsi nelle cifre statistiche, e  la costanza di esse dovrebbe trovarsi  sol nei fenomeni cosmici pei quali si  ammette una assoluta dipendenza da  cause uniformi. Ma nell' ordine morale  dovrebbe notarsi una successione asso lutamente arbitraria, nè la statistica,  nè l'esperienza mai potrebbero farci  prevedere quali effetti potrebbero deri vare da certe cause. Quale uomo, per  prudente che sia,potrebbe alloramaipre- vederechecoluichehacarattere sangui gno risponderà colla violenza alla vio lenza; che il pacifico subirà l' ingiuria  senza rintuzzarla; che il coraggioso af fronterà il pericolo, e l'uom d' onore  sarà fedele alla parola data? Se l'ar bitrio di una assoluta indipendenza pre siedesse alle nostre azioni, sarebbe di strutto ogni fondamento dell'ordine so ciale; la fedeltà delle contrattazioni di venterebbe una chimera, eniunopotreb be mai esser sicuro che giustizia gli  fosse fatta, quando sull'animo del giudice  nulla potessero i motivi determinanti  dell' onestà, la convinzione acquisita e  il sentimento del dovere. Si oppone che  determinandosi secondo la convinzione  il giudice non fa altro che seguire la  sua volontà. Ciò è vero; ma è altresi  vero che questa convinzione è acquisita  in grazia di motivi esterni, e che la  sua volontà, non potrebbe non essere 534  LIBERO ARBITRIO  conforme alla sua convinzione. In altre  parole, egli vuole costantemente ciò che  vuole la volontàdeterminatadai motivi.  Nella vita pratica noi siamo tanto  convinti che tali motivi determinano  tali altre azioni, che siamo ben dispo sti a considerare come deboli di mente  e anche pazzi, coloro i quali per ten denze organiche diverse da quelle della  comun degli uomini, non agiscono nel  modo stesso in cui agirebbero tutti gli  altri quando fossero posti nelle mede sime circostanze. Se alcun ricusa il  bene che gli si fa; o si cimenta contro  pericoli evidenti senza scopo; o fa sper pero dei suoi averi senza obbedire ai  motivi di filantropia che noi siamo di sposti a riconoscere, non si avrà in  conto d' uomo che abbia il pieno pos sesso della sua ragione. E poichè tutti  gli altri al posto suo non agirebbero in  quella guisa, cosìnon si ha difficoltà a  riconoscere che alcun che di anormale  vi debba essere nel suo cervello. In  conclusione son matti per noi quei co tali iqualinonsi comportanonel modo  con cui in determinati casi noi ci com portiamo, e non agiscono secondo quei  motivi dai quali nell' ordinario corso  della vita noi ci riconosciamo determi nati.  . (Trattato del  libero arbitrio II).  In questo esempio Bossuet presenta  >  Ecco dunque lo stato che sui tram poli del dommatismo cristiano qui pro clama ex Cathedra un principio reli gioso che fa a pugni col senso comune.  Le pretese del papate non potrebbero  essere peggiori nè più esigenti. E tut tavia l'art. 29 della stessa costituzione  prescrive « che non vi sarànello Stato  stabilimento di alcuna setta religiosa  con preferenza sopra un' altra ». Qui  dunque abbiamo unaperfetta eguaglian za e libertà dei culti, ma quanto non  siamo noi ancor lontani dalla libertà di  coscienza?  stabilimento per una chiesa o una set ta religiosa qualunque di preferenza ad  un' altra, e nessuno, sotto qualunque  pretesto, sarà costretto a recarsi ad un  luogo particolare di culto contro la sua  fede e la sua opinione, nè obbligato a  pagare per la compra di un terreno,  o per la costruzione d' una casa desti nata al culto religioso, o pel manteni mento dei ministri o d'un ministro di  religione, contro ciò che egli crederà  giusto e ragionevole o contro ciò che  si sarà quotato volontariamente e per sonalmente. Tutti avranno il libero e sercizio del culto, ben inteso che nulla  potrà inferirsi dal presente articolo per  esimere i predicatori che facessero di scorsi sediziosi e miranti al tradimento,  dall' essere presi e puniti secondo la  legge. >>  Dopo questa ampiadichiarazione chi  mai crederebbe di leggere quest' altro  articolo, ove contiensi la più esplicita e  violenta negazione della libertà di co scienza ?    Nè ciò basta, l'ortodossia protestante  qui raggiunge il suo massimo apogeo,  e già collo stabilimento di una religione  547  stessi privilegi che le altre società.  Ogni società di cristiani così formata  si darà unnome che ladistingua, sotto  cui sarà chiamata e riconosciuta in giu ufficiale ci fa sentire i tristi effetti della  ingerenza della potestà civile nelle cose  di coscienza,    Qui lo stato, non solo stabilisce una  religione ufficiale, ma si fa assoluta mente banditore di dommi, si erige ad  autorità direttrice delle coscienze ed im pone alla pubblica credenza dei criteri  della verità che sono fallaci e coerci tivi, per ciò solo ch' essi non possono  da tutti essere condivisi. Quest'articolo,  per vero dire, meglio che in una Co stituzione politica, starebbe a suo luo go in un rituale canonico, perciocchè  continuando sullo stesso metro prescri ve poi regole pei ministri dei culti, ad 548  LIBERTÀ DI COSCIENZA  essi ingiunge di instruire il popolo se condo le sante scritture; di essere e satti nel far le preghiere e le letture  dei libri santi; di assistere gli infermi  con tutti i mezzi pubblici di consiglio  e di avvertimento richiesti dalla neces tro i miscredenti, il dommatismo prote stante, che in ciò poco differisce dal  cattolico, assicura la libertà dei culti  alle sette cristiane, ben s'intende, е  spinge anzi la condiscendenza fino a  derogare le disposizioni della legge ge sitâ, ed altre tali cose d'ordine pura- nerale in favore dei quackeri.  mente canonico.  Cosa strana, fra tanto scempio del ' umano buon senso, noi troviamo in  questa costituzione la sanzione di due  principii che le sono esclusivi e che  pur sono essenziali alla libertà di co scienza:  «Qualunque abitante dello stato,  dice lo stesso articolo, chiamato a pren der Dio in testimonio della verità dei  suoi detti, avrà il permesso di farlo nel  modo più consentaneo aciò che la sua  coscienza gli dice.  >  Del resto, bandita la crociata con >  Affrettiamoci però a dire che tutte  queste costituzioni date negli ultimi  anni del secolo scorso, erano la conse guenza nećessaria, inevitabile dello svol gimento storico di quei paesi. Le po polazioni bianche dell' America anda rono formandosi per la continuata emi grazione degli europei e specialmente  degli inglesi. Una moltitudine di fuoru sciti partivasi dall' Inghilterra fin dal  tempo degli Stuardi ed emigrava in  America, quivi portando quel desio di  libertà e di emancipazione, che nella  patria loro era stato ad essi impu tato a colpa. Sotto quel nuovo cielo e  su quella vergine terra essi impianta rono li ordini inglesi sotto il protetto rato dell' Inghilterra; ma più lati, più  liberi, sì che l'autorità del Re quasi si  esinaniva nel lungo tragitto dell' Ocea no. Le dissenzioni politiche non solo,  ma anche le persecuzioni religiose ave vano determinata quella emigrazione. I  nuovi coloni in gran parte non erano  soltanto protestanti, ma nel loro desi derio di purificare la religione prote stavano anche contro gli stessi prote stanti.  Ora, la riforma religiosa,ben lunge  di attutire le esaltazioni mistiche, ag giunge anzi nuova esca al fanatismo.  Le religioni decrepite, simili al vecchio  paganesimo, sono credute e osservate  per abitudine, e più spesso chi ne osten ta i precetti poco li crede in cuor suo.  La riforma, invece, seco trascina l'en LIBERTÀ DI COSCIENZA  549  tusiasmo, la convinzione, e con essi | magistrato d'intervenire nelle questioni  quel principio di intolleranza che non  rare volte tocca i confinidel ranatismo.  Con ciò noi ci spieghiamo perfettamen te quelle strane costituzioni dei varii  stati dell'America meridionale, ove sem di dottrina, o di restringere la profes sione o la propagazione di certi prin cipii, a motivo della incresciosa tenden za che si suppone in essi è un errore  funesto che distrugge tutte le libertà  pre si trova la libertàpoliticacongiunta  al più gretto esclusivismo religioso. Ma  le costituzioni parziali dei varii stati do vevano cedere ilposto a più late dispo sizioni nell' atto d'unione dei singoli  stati in un corpo solo. Per ciò che la  molteplicità delle sette imponeva ap punto a ciascuna di esse dei doveri  in verso le altre, e rendeva necessarie  quelle reciproche concessioni, senza cui  non sarebbe stata possibile una legge  comune.  L' emancipazione degli stati dall'In ghilterra e la unione di essi in un cor po solo, doveva quindi portare i suoi  frutti, e noi veggiamo infatti che laCo religiose, perciocchè è il magistrato  medesimo che rimane giudice di questa  tendenza, e che egli prenderà per re gola di giudizio la propria opinione;    Si stupende idee non potevano du rare a lungo fra popoli sinceramente  devoti alla fede, e il bigottismo prote stante, sotto molti aspetti, non più li berale del cattolico, doveva ancora pre valere contro il principio dell' assoluta  libertà. Egli è perciò che nel 1872  l' Europa leggeva con gran stupore la  notizia che il Senato e il Congresso  degli Stati Uniti avevano approvato la  seguente legge:  1  1. La santificazione della dome cernenti lostabilimento di una religione nica è cosa di interesse pubblico;  o per proibirne il libero esercizio. (Co stituz. art. 2, 6, e III addizionale).  Sotto la presidenza di Jefferson era  stato proposto e votato dal Congresso  il seguente decreto:   ch' egli per la sua tirannia di venne inviso a quanti lo avvicinavano.  Calvino stesso scriveva al suo confidente  Bulinger, « non potersi più tollerare gli  eccessi di Lutero, cui l'amor proprio  non permette di vedere i propri di fetti, nè di sopportare che alcuno gli  si opponga ». E a Melantone: « Il suo  spirito, dicesi, è violento, e i suoi mo vimenti impetuosi, come se questa vio lenza non si portasse soverchiamente  agli eccessi, quando tutto il mondo non  pensa che ad incontrare in tutto il suo  genio. Abbiamo per lo meno una volta  l'ardimento di produrre un gemito con  libertà ». È vero che Calvino,dimentico  ben presto di questa stessa libertà, im mold sul rogo il povero Servet, ma  non è men vero che intorno a Lutero  tutti convenivano in questo suo giudi zio. Muncer diceva esservi due papi:  l'uno quello di Roma, l'altro Lutero,  ma che questo era il peggiore, e Me lantone, uomo mansueto e pacifico, vi veva in tanta soggezione con Lutero e  con i capi del partito, che a Camera rio amico suo, scriveva: « Io sono in  ischiavitù come nell' antro del Ciclope,  perchè non posso palesarvi i miei sen timenti, e penso spesso alla fuga ».  Erasmo poi, cui Lutero erasi dapprima  inclinato con parole servili, n'era stato  quindi sivivamente maltrattato per non  essersi seco lui accordato sul libero ar bitrio, che a propósito di Lutero ram maricavasi d'esser condannato nella sua  vecchiezza a combattere -, 60  »  »  «  1, 20  7,50  2,50  5,00  » 15,00  Anno » 12,00  Semestre-Annuario filosofico del Libero Pensiero. Un vol. in 8 con ritratti  Collezione delle leggi e decreti finanziari annotati. Vol. 7, in 8.  Appendice periodica alla Collezione suddetta. Abbonamento.  >  6,00  » 6,00  > 50,00  5,0 DIZIONARIO  FILOSOFICO  DI  STEFANONI LUIGI  CONTENENTE  L' ESPOSIZIONE DEI PRINCIPALI SISTEMI FILOSOFICI E TEOLOGICI, LA  BIOGRAFIA DEI FILOSOFI ANTICHI E MODERNI, LA CRITICA DEI DOMMI  E DELLE E LA DEFIRESIE,NIZIONE DEI VOCABOLI SCIENTIFICI ATTINENTI  ALLA FILOSOFIA ECC. ECC.  Volume 11.  MILANO  NATALE BATTEZZATI, EDITORE  Via S. Giovanni alla Conca, 7.  1877. 5-6-729 DIZIONARIO FILOSOFICO  :  DIZIONARIO  FILOSOFICO  DI  STEFANONI LUIGI  CONTENENTE  L' ESPOSIZIONE DEI PRINCIPALI SISTEMI FILOSOFICI E TEOLOGICI, LA BIOGRAFIA  DEI FILOSOFI ANTICHI E MODERNI, LA CRITICA DEI DOMMI E DELLE ERESIE, LA  DEFINIZIONE DEI VOCABOLI SCIENTIFICI ATTINENTI ALLA FILOSOFIA ECC. ECC.  MILANO  NATALE BATTEZZATI, EDITORE  Via S. Giovanni alla Conca, 7.  1875. Parma, Tipografia della Società fra gli Operai-tipograf. MALE  M  Macedonio Vescovo arianodiCo stantinopoli incompetenza di Paolo stato  eletto a quella sede dai cattolici. Dopo  5  ste, ciò vuoldire, che Dio o è autore del  male, o non ha potuto impedire che il  molte turbolenze eccitate tra i fedeli di  Costantinopoli che parteggiavano per  ' uno o per ' altro partito, riuscì ad  occupare la sede contrastata, non senza  però aver fatto perire in una sedizione  ben tre mila dissidenti. Poichè Ario a veva negata la divinità delFiglio, nulla  di strano che alcun altro negasse la di vinità dello Spirito Santo.E così feceMa cedonio, il quale per una stranissima  incongruenza, se da una parte trovava  che le ragioni degli ariani non avevano  valore contro la divinità di Gesù, le av male entrasse nel mondo. La prima i potesi contrasta con labontà e lagiu stizia, attributi che tutte le religioni ri conoscono nel loro Dio; laseconda ren de Dio impotente a combattere il male,  e il principio d'onde il male emana fa  superiore a Dio e Dio esso stesso.  Due metodi tentarono leteologie per  evitare siffatte conseguenze; e il primo  già rece le sue prove, e grandiose, nel  dualismo (v. questavoce), ilquale attri buiva l'origine del mondo al concorso  e alla lotta di due opposti principii ,  l' uno buono e l'altro malvagio, che  vi avevano impresse le tracce della lo ro potenza e della loro natura. Que sto sistema già molto diffuso nell'Asia,  valorava però quando trattavasi dello  Spirito Santo. Il quale, diceva Macedo nio, in nessun luogo della Scrittura è  detto che sia Dio, chè anzi vi è sempre  rappresentato come subordinato alPadre  ed al Figliuolo: per essi esiste, per essi  è istruito, e per la loro inspirazione | buon principio una superioritàmorale,  parla (Giov. 16. Paolo ai Corinti I cap.  2.); egli è il consolatore dei cristiani e  penetrò anche nell' Europa, e si divulgò  nel cristianesimo col manicheismo : ma  per quanto cercasse di attribuire al  per essi prega (Rom. 8) il che non fa rebbe s'egli stesso fosse Dio, poichè in  tal caso egli pregherebbe se stesso.  D'altronde, o lo Spirito Santo è gene rato o non è generato. Se non è gene rato in che differisce dal Padre ? se è  generato in che differisce cal Figlio? E  se è generato dal Figlio, allora biso gnerà credere che esso è soltanto il ni pote del Padre.  Male. Teologi e filosofi cercarono  in ogni tempo di spiegare l'origine del  male. Imperocchè se Iddio è l'autore  del mondo e se il male nel mondo esi non potè togliere la conseguenza, che  l'origine del mondo dovendo attribuirsi  adue principii, questi diventassero due  Dei competitori, perpetuamente lottanti  per disputarsi il dominio dell' universo.  Le religioni monoteiste cercarono  perciò nuove spiegazioni, e andarono im maginando che Dio avendo creato un  mondo perfetto, il male vi penetrò poi  non per volontà sua, ma pel peccato  dell' uomo che trasgredi i suoi coman damenti. E non pensarono che se l'uo mo potèpeccare, è segno ch'egli perfetto  non era, e che, il germe del male già  esisteva in lui fin dal momento della  creazione. Imperocchè anche la facoltà , 6  MALE  di volere il male è un male essa stessa.  E l' obbiezione parve a tutti così seria,  che nel secolo scorso filosofi e teologi,  per confutare ilBayleche la riproduceva,  andarono in tracciadi altre spiegazioni.  Il padre Malebranche sperò di aver tolta  la contradizione sviluppando un certo  suo sistema, nel quale Dio veniva mo strato come l'essere sovranamente egoi sta, curante soltanto di sè e della glo ria sua, alla quale essendo necessaria  l'Incarnazione, il peccato dell'uomo di veniva altrettanto necessario acciocchè  portato adare l'esistenza alle creature, e  che oggetto della suabontànon possono  essere che le creature intelligenti, cost  possiamo dire, ragionando a misura dei  lumi che ci ha datoperconoscerlo, che  si è proposto di creare il maggior  numero di creature intelligenti, e di dar  loro tutte le cognizioni, tutta la felicità,  tutta la bellezza, di cui l' Universo era  suscettibile, e condurle a tale stato fe lice nel modo più conveniente alla loro  natura, e più conforme all'ordine.  « Il mondo attuale per essere il mi Dio potesse esercitare la suainfinita migliore de' mondi possibili debb' essere  sericordia.  Leibnitz credetteche perdissiparegli  scrupoli, che facevano nascere le diffi coltà di Bayle, si dovesse più positiva mente conciliare lapermissione del male  colla bontà di Dio. Tutti i metodi te nutisi per giungere a tal fine, gli par vero imperfetti, e conducenti a moleste  conseguenze, laonde prese un'altrastrada  per giustificare la Provvidenza. Credet te, che tutto quello che succede nel  mondo, essendo una conseguenza della  scelta che Iddio hafattodel mondo at tuale, conveniva elevarsi a quel primo  | istante, nelqualeIddioformò il decreto  1  di produrre il mondo. Un' infinità di  mondi possibili erano presenti all'Intel ligenza divina e la sua potenza poteva  egualmente produrli tutti: giacchè dun que ha creato il mondo attuale, con vien dire che l'abbia scelto.  «Iddio non hadunque potuto creare  il mondo presente, senza preferirlo a  tutti gli altri: ora è contradditorio, che  Iddio avendo dato l'essere ad uno di  cotali mondi, non abbia preferito il più  conforme a' suoi attributi, il più degno  di lui, il migliore: un mondo insomma,  quello, che corrisponda più esattamente  atale oggetto magnifico del creatore,  dimodochè tutte le sue parti, senza ec cettuarne alcuna, con tutte le loro mu tazioni, e riordinamenti cospirano colla  maggior esattezza alla vista generale.  Poichè questo mondo è un tutto, le  parti ne sono talmente concatenate, che  niuna parte potrebbe togliersi, senza che  tutto il resto non fosse interamente mu tato. Il miglior mondo, conteneva dun que le leggi attuali del moto, le leggi  dell'unione dell' anima col corpo, stabi lite dall'autor della natura, l' imperfe zione delle creature attuali e le leggi,  anorma delle quali Iddio scomparte  le grazie, che accorda alle medesime.  Il male metafisico, il male morale, ed  il mal fisico dovevano dunque entra re nel piano del migliore de' mondi.  Tuttavia non si può dire, che Iddio ab bia voluto il peccato, ma bensì il mondo,  nel quale può entrare il peccato. Quindi  Iddio ha solamente permesso il peccato,  e la sua volontà non è in questo punto  che permissiva, per dir così; poichè la  permissione non è altro, che una so spensione, o sia negazione d'un potere,  il quale messo in opera impedirebbe  l'azione di cui si parła, ed il permet tere è l'ammettere una cosa legata ad  che nella sua creazione sia l'oggetto  maggiore, ed il più eccellente, che si  sia potutoprefiggere quell' essere per fettissimo. Noi nonpossiamo assolutamen- | altre, senza proporla direttamente, ben te deciderequale siastato un tale fine del  Creatore, poichè siamo troppo limitati  per conoscere la sua natura: tuttavia  siccome sappiamo che la sua bontà l'ha  chè sia in poter nostro l'impedirla.    ( Corano IV, 155, 156)..  Questi passi, se dimostrano cheMao metto attribuiva a Gesù una missione  profetica, provano eziandio che ai suoi  tempi era accreditata e diffusa la voce  che Maria aveva concepito Gesù nell'a Il profeta d'altronde lasciava il Cora- dulterio, e che molti dubbi sussisteva no fatto raccogliere parecchi anni dopo no ancora intorno alla risurrezione. E  daAbubeker successore di lui. Inque- la intima persuasione del profeta che  sto libro, il cui titolo significa lettura gli ebrei si fossero contaminati atten per eccellenza,Maometto non parlamai| tando alla vita del Messia, fu forse  in prima persona: è Dio stesso che  parla per mezzo di lui, e questa cre denza è così radicata nei mussulmani,  cagione del solo atto iniquo da lui  commesso dopo la vittoria. Imperocchè  non accordò quartiere ainumerosissima 12  MAOMETTO  ebrei dimoranti nell'Arabia, ma li per- siete in viaggio, o ammalati; se avete  segul, quanti potè uccise,saccheggið le fatti i vostri bisogni naturali, o se a loro case e tutti costrinse a rifugiarsi vete avuto commercio con donna, fre in paese non soggetto al suo dominio. gatevi il viso ele mani confina polvere,  Di sè poi Maometto parla nel Co- se vi manca l'acqua. Dio è indulgente  rano come di profeta predetto dalle e misericordioso. » ( Corano IV, 46 ).  stesse scritture degli ebrei. Alla sua  2.º La preghiera che si fa cinque  missione trova allusioni nel Pentateuco volte al giorno in casa o al tempio, ma  ( Corano VII, 156 ); e Gesù stesso è  suo precursore e rivelatore.« Gesù, fi glio di Maria, diceva al suo popolo: O  figli di Israele ! io sono l'apostolo di  Dio a voi inviato per confermare il  Pentateuco che vi è stato dato prima  di me, e per annunciarvi la venuta di  un apostolo che verrà dopo di me, il  cui nome sarà Ahmed. E quando Gesù  faceva loro vedere dei segni evidenti,  essi dicevano : è magia manifesta >>(Co rano LXI, 6). Ahmed, (il glorioso)  è un dei nomidi Mohammed, e i Mao mettani pretendono che Gesù n' abbia  predetta la venuta nel Paracleto di  cui parla S. Giovanni ( XVI, 17), cor ruzione dicono essi, di Periclytos, che  in lingua greca suona, come Ahmed, il  glorioso. Così, aggiungono, l' alterazio ne della voce e la sua applicazione alla  discesa dello Spirito Santo, non è altro  che una prova della mala fede dei cri stiani.  11 Corano è la continuazione della  rivelazione antica. « Prima del Corano  esisteva il libro di Mosè, dato a guida  degli uomini ed in prova della bontà  di Dio; or quello conferma questo in  lingua araba, affinchè i cattivi siano av vertiti, e i buoni sentano la buona no vella » ( Corano XLVI, 11 ).  I principali precetti dell' islamismo  sono:  1.º La purificazione, la qual si ot tiene colle abluzioni molto raccoman sempre cogli occhi rivolti alla Mecca.  Solo la preghiera solenne del venerdi  dev'esser fatta in comune nella moschea,  imperocchè il venerdì presso i mussul mani è giorno sacro a Dio.  3.º Il digiuno del mese di ramazan,  nel quale il fedele non può durante il  giorno cibarsi di checchessia.  4.° L' elemosina molto raccomandata  dal Corano. Dio dice ai credenti: >>  (Corano XI, 109 ).  Il fatalismo e lapredestinazione son  dommi pienamente confermati in molti  passi del Corano, il quale accenna che  il bene e il male son già da Dio pre determinati in modo invariabile. L'isla mismo ha, del resto, le sue dispute  dottrinali, i suoi casisti e la sua teo logia. Poco dopo la morte del profeta  imussulmani si divisero in una molti tudine di sette, le prime delle quali,  quelle dei sciti ed i sunniti, disputano  ancora intorno alla successione dei ca liffi; imperocchè i primi riconoscono in  Ali il solo successore del profeta, e gli  altri vogliono che Abubeker soltanto  avesse il diritto di succedergli. E poi chè i dottori dell' uno e dell' altro par a salvamento.  Marcione. Discepolo di Cerdone.  Credesi che insegnasse il suo sistema  nella Persia verso la metà del secondo  secolo. Adottando i principii del duali smo orientale e volendoli applicare al  cristianesimo, credette di trovare nella  opposizione che presentavano fra loro  l'Antico e il Nuovo Testamento il segno  manifesto dellaloro intrinseca differenza.  Opera del principio malvagio era l'An tico Testamento, e del buon principio  il Nuovo. Tant' erano i Marcioniti con vinti di questo dualismo che nutrivano  un grandissimo disprezzo pel Dio di  Mosè, e Teodoreto narra che un mar cionita di novant'anni, era penetrato  dal più vivo dolore ognivolta che il  bisogno di nutrirsi l'obbligava ad usare i  prodotti del Dio creatore. I discepoli di  Marcione penetrati dalla nobiltà della  loro anima che supponevano essere una  emanazione diretta del buono principio,  correvano valorosamente incontro al  martirio e alla morte, ond' essere li berati dalle catene materiali fatte dal  Dio creatore. Eusebio cita l'esempio di  un marcionita, il quale essendo stato  attaccato vivo ad un palo col capo in  giù, e con i chiodi conficcati nelle carni,  fu abbruciato a fuoco lento, senza che  ritrattasse alcuna cosa delle sue cre denze.  Marechal(PietroSilvano).Nacque  nel 1750 a Parigi, ove esercitò l'avvo 14  MARIA VERGINE  catura. Fu poi chiamato a coprire un  posto nella biblioteca Mazarina, ma lo  perdette nel 1783 peraverpubblicato le  Litanie della provvidenza, libro che fu  giudicato sommamente irreligioso. L'an no appresso pubblicò il Libro sfuggito  al diluvio, o salmi nuovamente scoper ti. L' almanacco degli onesti stampato  nel 1788, fu abbruciato per mano del  boia e l'autore venne condannato a tre  mesi di prigionia. Nel 1790 pubblicò :  Dio e i preti, frammento di un poema  filosofico; ott'annidopo il Lucrezio fran cese e il Culto degli uomini senza Dio,  col quale egli intendeva fin d'allora di  gettare le fondamentadi unasocietà di  uomini onesti che praticassero il bene,  ela morale osservassero senza coazione  religiosa,  Nell'anno 1800 mandò alle stampe il  Dizionario degli atei antichi e moderni,  lavoro dinongran mole, alla compila retto specialmente aintrodurre l'indiffe renza in materia di religione, come gli  Incas furono volti a rendere odioso il  fanatismo.  Nel 1797 eletto membro del Corpo  legislativo, egli compose un discorso sul  libero esercizio dei culti, che non fu  letto nell'assemblea, e si trova stampato  infine alle sue memorie. «Questo scritto,  dice l' autore della storia ecclesiastica,  parla della religione con assai rispetto,  come ne parla nella sua Metafisica e  nella Morale, libri che entrambi vera mente non sono di unuomo irreligioso,  tuttochè qua e là vi si trovino iprinci pii del Belisario. »  Maria Vergine. Dei quattro e vangeli canonici, due negano implicita mente la verginità di Maria, e sono  quelli di Marco e di Giovanni; e due  l'affermano, ma in maniera così scon clusionata e contradditoria, che la loro  testimonianza non può essere di alcun  zione del quale fu aiutato da Lalande  che ' arrichi poi di due supplementi. peso nemmeno per concludere che, vi L'autore affermava che il deista non  differisce gran che dal cattolico romano,  esi lagnava chemoltimembri dell'Isti tutoancora andassero allamessa,emolti  atei portassero la corona e recitassero  il rosario. Fra gli atei più fermi Mare chal contaval'economistaBandeau, l'ab bateArmand, Bourdin tesoriere di Fran cia morto nel 1752, Fieville, Naigeon e  d' Holbach.  Tutti gli scritti di Marechal ap partengononecessariamente aquel perio dofilosofico del secolo XVIII, che lavoro  assai, e assai coraggiosamente, non tanto  per fondare una filosofia nuova, quanto  per distruggere quelle secolari supersti zioni contro le quali la sola rivoluzione  preparata dagli enciclopedisti potè com battere vittoriosamente.  Marmontel(Giovanni).Nacquenel  Limosino nel 1723. Chiamato aParigida  Voltaire, frequentò le sale de' filosofidei  suoi tempi,con alcundei quali contrasse  amicizia. Sottogli auspici di Voltaire in venti ancora i loro autori, questo dom ma cattolico fosse già formato. È vero  che Matteo e Luca parlando di Maria  insegnano ch'ella aveva concepito Gesù  per opera dello Spirito Santo, ma è pur  vero che il primo di questi evangelisti  aggiunge che Giuseppe non conobbe  Maria finch' ella ebbe partorito il suo  figliuol primogenito cui pose nomeGesù.  Ed è chiaro che un primogenito sup pone per lo meno un secondogenito, e  che seMaria fu vergine prima non lo  potè essere poi. D'altra parte, se Giu seppe non conobbe Maria prima ch'ella  avesse partorito Gesù, per illazione si  deve conchiudere che la conobbe dopo,  e che l'evangelista abbia voluto sol tanto indicare che la continenza degli  sposi durd fino alla nascita del reden tore. Che questo fosse il suo vero pen siero, si può desumere dallo stesso e vangelista, il quale più innanzi narra,  che mentre Gesù parlava ancora alle  turbe >>  o il sostegno dell' estensione, bisogne rebbe che essa avesse in se stessa un'al tra estensione che la rendesse propria  ad essere substratum o sostegno, e così  di seguito all'infinito. Ora io vi doman do se non è questauna cosa assurda in  sè, e nel medesimo tempo contraddito ria a ciò che mi avete testè accordato,  che il substratum, o il sostegno dell'e stensione debba essere qualche cosa di stinta dall' estensione ed ancora che  1  l' escluda ? »  Chi non vede che cotesto sofisma si  risolve infine in una pura questione di  parole ? Tutto l'errore dell' argomen tazione sta nel supporre che il substrato  o sostegno, come si voglia chiamare,  sta sotto all'estensione. La confutazione  poteva correre per la vecchia scuola, la  qual supponeva che sotto all'estensione,  alla forza e agli altri fenomeni della  sostanza esisteva un substrato sostan ziale. Oggidì nè sotto nè sopra alla  materia si ammette che esista cosa al cuna. L'estensione e la forza non stanno  nella materia, ma sono la materia, od  altrimenti sono un modo di essere della  materia. Sotto all' estensione non sta  dunque cosa alcuna novellamente estesa,  poichè l'estensione non è cosa, ma mo do di essere delle cose.  Il Genovesi ha ben dimostrata tal  trinsecamente da una cosa di cui è  estensione; e perciò è, o modo o attri ( Metaf. par. V).  L'argomentazione del Genovesi mi  par così precisa che nulla rimanga da  opporgli . Se non che, ponendo egli  nella prima parte la questione della  semplicità della sostanza, cade in una  delle sconfinate astrazioni di Leibnitz  che son, del resto, comuni a tutti i  metafisici dei tempi andati. Ciò che sia  semplice noi non sappiamo, e questa  vocenonesprime pernoi cheunadi quel le tante idee di negazione che sì spesso  si vennero confutando in questo dizio nario. Noi conosciamo una materia com posta di parti ed estesa; e per opposi zione imetafisici hanno voluto concepirne  un' altra, che denominarono sostanza,  la quale essendo semplice non è com posta di parti. Mail negare le proprietá  della materia non è creare una sostan za nuova, e gl' antichi atomisti ( v. A TOMISMO ) che avevan concepito l'atomo  indivisibile e inesteso, erano pur stati  alle prese colla medesima contraddizio ne, di ammettere, cioè, una materia di  cui negavano in ultimo gli attributi.  Nel fatto lamateria, che in conclusione  è tutto quanto esiste di sostanza, non  la percepiamo altrimenti che sotto le  parvenze di questi stessi attributi , e  tutte le volte che noi cerchiamo col  pensiero di sopprimerli, cadiamo in una MATERIALISMO  vuota astrazione. Imperocchè la sem plicità, nel senso inteso da' metafisici,  non sappiamo nemmeno approssimati vamente che cosa sia, e il significato  di quella voce per noi rimane allo stato  di una perfetta incognita.  Tutte le dispute adunque che si son  fatte e che si posson fare sulla sempli cità della sostanza, si risolvono infine  27  argomentazioni delle scuole, si deve con cludere che alcunchè veramente esi ste e compone l' universo, e questo che  essere la materia, l'essenza della quale  noi ignoriamo, si piuttosto conosciamo  sol per i fenomeni ond' ella a noi si fa  palese e pei quali soltanto ai nostri  sensi è dato di percepirla. Codesta ma in meri giuochi di parole, imperocchè  la sostanza non si può concepire altri menti che estesa, e una sostanza estesa  non la si può concepire altrimenti che  divisibile. Voler spingere il nostro pen siero oltre questi limiti segnati dalla  sensazione è follia, è un ricadere nella  teoria delle idee innate (v. questa voce)  èun pretendere di avere idee metafisi che anteriori alla sensazione.  Tal fu invero l'eccesso in cui cadde  Leibnitz quando espose quel suo sistema  delle monadi vuote, o sostanze senza  estensione di che voleva composti tutti  i corpi, le quali nessuno è mai riescito  aconcepire, nè concepirà mai.  Non è a dirsi in quanti errori e in  quante cisquiglie la supposta e non mai  compresa semplicità della sostanza abbia  tratto i metafisici d'altri tempi. Wolf,  per esempio, chiama la materia un fe nomeno sostanziato. La materia, dic'egli,  è l'esteso dotato della forza d' inerzia,  elamateria si mostra a noi come un  soggetto che dura e che è modificabile,  e perciò come unasostanza; ma essendo  la sostanza semplice, l'estensione è un  fenomeno, e perciò non può dirsi che  la materia sia una sostanza, e per tal  ragione puòchiamarsi fenomeno sostan ziato ( Cosmol. § 300).  In questa maniera, grazie alle in venzioni de' metafisici, tanto larghi di  parole nuoveper supplire al difetto delle  loro idee, non avremo la sola sostanza  oil solo fenomeno, ma anche il feno meno sostanziato, ossia qualche cosache  non essendo nè sostanza, nè fenomeno,  dovrà naturalmente relegarsi nel regno  delle chimere.  Ripeto: a ben stringere tutte le  teria, comunque si voglia chiamare e  intendere,è poi identica a quella che i  metafisici dicono sostanza, sol ch' essa,  nel concettonostro, mai non si disgiun ge, nè può disgiungersi, dai fenomeni  con cui ci si palesa. Tostochè noi fac ciamo astrazione di questi fenomeni,  vale a dire la vogliamo concepire se paratamente dalla forza dall' estensio ne, da! movimento, dal colore, dal sa pore, dal suono e così via, essa scom pare per noi, diviene una idea priva di  senso, inconcepibile e assurda, impe rocchè sia appunto ilcomplesso di questi  fenomeni che per noi costituisce tutto  quanto ci è dato d' intendere della ma teria.  All' articolo CREAZIONE fu già dimo strata l'impossibilità della creazione  della materia dal nulla, e la quasi u nanimità degli antichi filosofi nell' atte stare questo principio. Del dinamismo  poi che nega alla materia l'esistenza e  riconosce i soli centri di movimento senza  sostanza che si muova, fu detto negli  articoli DINAMISMO E CATTANEO.  Materialismo. Sistemafilosofico  il quale considera la materia come fon-'  damento e substrato d'ogni esistenza.  Non credo che del materialismo possa  darsi definizione più esatta di questa,  avvegnachè cotesta filosofia sia per se  stessa così chiara e palese da non ri chiedere molte parole per essere defi nita, sendo le cose chiare da tutti su bito e chiaramente intese. Invero, tutto  il domma materialista si compendia in  queste sole parole: affermare che esiste la  materia, e che lamateria è tutto quanto  esiste di sostanziale. Tutto il resto nella  dottrinamaterialista non è che accessorio;  si hanno negazioni ma non altre affer 28  MATERIALISMO  mazioni. Le negazioni scendono natu ralmente dalla affermazione fondamen tale, ne sono, per così dire, la diretta  conseguenza, ma non tutti, per essere  materialisti sono obbligati ad intenderle  ad un modo.  Vedremo in seguito quali siano  queste negazioni. Occupiamoci innanzi  tutto dell' affermazione.  Che cosa sia la materia e che in tenda il materialismo di esprimere con  questa voce, fu già detto al precedente  articolo Materia e a quello Forza, che  non si possono dispensare di leggere  coloro che ben vogliono intendere la  teoria materialista. Materia e forza e sprimono pel materialista tutto quanto  esiste di sostanziale e di fenomenico;  sol ch' egli intende la forza quale un  fenomeno e non una sostanza, unmodo  di essere proprio della materiacome la  forma, l'estensione, il colore ecc.  di è che nemmeno Dio potrebbe esi stere fuorchè materiale, stando cioè en tro la cerchia di quell' elemento che  solo possiede l'esistenza. Questa con seguenza l' avevano già preveduta gli  antichi, e Descartes stesso l'annuncia  tuttochè s' ingegni di respingerla. Al lorchè noi concepiamo la sostanza, dice  egli, concepiamo solamente una cosa che  esiste inunamaniera, in cuinon habiso gno se non di se stessaper esistere. Vi  può essere dell' oscurità riguardo al l'espressione: non aver bisogno che di  se stessa per esistere; poichè propria mente parlando non vi è se non il solo  Dio che sia tale, e non vi è alcuna co sa creata, la quale possa esistere un  solo momento senza la sua potenza ».  Cosi, dopo avere sentita la necessità di  porre per base dell' esistenza della ma teria la sua indipendenza daogni altro  ente, Descartes, non vinto dal ragiona Da questa premessa fondamentale | mento, ma pieghevole ai pregiudizi co scendono tutte le negazioni del mate rialismo, le quali quà e là furono giá  dimostrate nei vari articoli di questo  muni, s'inchina al sofisma con che que sti gli dimostrano che la materia esi ste perchè Dio la sostiene.  Dizionario. E primieramente, se la ma teria, di tutto quanto esista è il sub strato e il fondamento, l'anima e lo  spirito (v. ANIMA) non possono esistere  se non materiali; ma un'anima o uno  spirito materiali non sarebbero più nè  anima nè spirito, ma materia, d'onde  si vede che l' ammissione dellamateria  come fondamento unico dell' esistenza,  ripugna coll'ammissione di una esisten za immateriale. Quest'esistenza sarebbe,  in sostanza, nè più nè meno che l'atoто  vuoto, ossia quella sostanza semplice,  indivisibile che la metafisica è andata  vanamente imaginando senza mai riu scire a concepirla. (v. MATERIA).  Se la materia è il fondamento d'ogni  esistenza, nessuna esistenza può essere  anteriore ad essa e fuori di essa. Nem meno può essere stata creata, poichè  fuori di essa nessuna cosa potendo esi stere, ' immateriale, ossia il nulla non  poteva creare la materia e darle una  qualità che esso stesso non aveva. Quin Ma la definizione era data e revo carsi non poteva; e Spinozache intravi de tutto il profitto che ne poteva trarre,  l' usò largamente. Di maniera che, po sto il principio che per risolvere il pro blema generatore degli esseri bisogna  risalire all'origine stessa delle cose e  partire da alcune prime nozioni chiare  chenon ne suppongono altre, egli pose  come nozione primitiva quelladella so stanza. E come Descartes aveva detto,  così Spinoza ripetè che la sostanza per  esistere non aveva bisogno che di se  stessa. E dappoichè ciò che esiste per  se stesso non ripete da altri la sua e sistenza, così conchiuse che la sostanza  èeterna e come nessuna molecola nuova  nasce nell' universo, così nessuna si di strugge. La materia si trasforma per le  sole forze che le sono proprie, nè mai  se ne stà in riposo. (v. MATERIA).  Che il concetto dell' eternità della  materia escluda l'esistenza e l'eternità  di Dio, non pare che tutti l'intendes MATERIALISMO  sero. Per lo meno l'antico dualismo  ammetteva la coternità di due principii  (V. DUALISMO), e molti anche ne' tempi  moderni si mantennero in tali idee. Tal  fu Voltaire, il quale ammettendo la ve rità dell' antico assioma de nihilo nihil  fit, riconosceva ancora l'esistenza di  Dio, non creatore, ma regolatore della  materia. Tale credenza, del resto, fu  anche degli ebrei, i quali ammettevano  che Dio aveva ordinata, ma nou creata  la materia ( v. CREAZIONE). Si osservi  bene però che nel solo concetto dell'e ternità della materia non è contenuta  l'esclusione dell' esistenza di Dio. Que st' esclusione invece appare evidente  nel principio fondamentale del materia lismo moderno: se la materia è fonda mento d' ogni esistenza, Dio non po 29  di esprimere il concetto che se una e ternità esiste, questa conviene perfetta mente allamateria la quale, colle stes se leggi del pensiero, ci si dimostra  essere eterna e per l' infinita divisibilità  e per l'infinita estensione. (v. INFINITO  E DIVISIBILITA').  AncheDioper esistere dovrebbe essere  sostanziale, sarebbe dunqueunasostanza.  Da qui il panteismo di Spinoza il quale  non differisce dal materialismo che per  una mera questione di parole. L' uno e  l'altro sono, infatti, disposti ad ammettere  che un' unica sostanza è diffusa nell'u trebbe esistere senz' essere materiale o  senz' essere una funzione; ora l'una e  l'altra di queste idee ripugnano col  concetto che noi abbiamo dell'esisten za di Dio.  Dicendo che la materia è eterna il  materialismo però non insegna un dom ma assoluto, nè pur pretende di  a vere risolto il problema dell' eternità.  Esso riconosce anzi e sostiene che noi non  abbiamo, nè possiamo avereil concetto di  ciò ch'è eterno, echel'eternitàper l'uomo  rappresenta una idea negativa piuttosto  che positiva ( v. ETERNITA' E IDEE IN NATE). Ma in un modo o nell' altro,  tutte le volte che noi pensiamo ai cor pi mutabili e perituri possiamo eziandio  pensare alla negazione di questi carat teri transitori, e immaginarci un corpo,  una sostanza che non perisce. Questa è  la condizione di eternità che lo spiri tualismo afferma nello spirito senza in tenderla, e che il materialismo rimet te nella materia senza pretendere per  questo d' intenderla meglio del suo av versario. Ma non fraintendiamo que sta sua affermazione come molti affet tatamente sogliono fare: affermando l'e ternità della materiail materialismo non  intende menomamente di eccedere i li niverso, e che ogni cosa che abbia esi stenza è parte di questa immensa e u niversale unità di sostanza. Che il primo  poi chiami Dio questa sostanza e il  secondo materia, la filosofianon ciha che  veder nulla, ma sì la fisiologia, la quale  dirà se aun essere così composto di parti,  omeglio a quest' universalità degli es seri esistenti a cui mal si può attribuire  un pensiero e una individualitàpropria,  convenga il nome di Dio. Premiando 0  castigando le sue creature questo Dio  premierebbe o punirebbe se stesso.  Io confesso che non ho mai saputo  concepire il panteismo altrimenti che  come un materialismo svisato, sotto il  quale ad ogni tratto fan capolino tutte  le premessedi questo sistema. Fra l'una  e l'altra dottrina vi è differenza di voci,  non d'idee, e qual de' due applichi le  parole nel senso proprio o nel traslato  è facile a vedersi.  Dalla premessa fondamentale del ma terialismo, che la materia è base e fon damento d' ogni esistenza, scende na naturalmente la conseguenza ch' essa è  increata. Imperocchè ciò che è fonda mento dell' esistenza ha già in se stesso  la sua ragion d'essere, nè può riceverla  da altri. La materia è dunque eterna.  Riconoscendo che la materia è de terminata da leggi, che gli effetti suc cedono ognora in forza di cause prece denti, il materialismo è stato condotto  anegare illibero arbitrio, che moltissimi  miti della nostra intelligenza, ma solo í d'altrondehannonegato senz'esseremate 30  MATRIMONIO  rialisti (vedi LIBERO ARBITRIO). Anche in  questa negazione il materialismo non  ha creato un domma nuovo; ha sem plicemente accettate le premesse che  già erano state poste da altri sistemi  perfin teologici ( Vedi PREDESTINAZIONE  e GRAZIA) ed ha obbedito ad un rigo roso bisogno della logica, impotente a  spiegare la possibilità di effetti anco vo litivi che potessero verificarsi senza cau.  se determinanti, senza la ragione del  loro proprio essere.  Togliendo alla morale ogni carattere  assoluto, la filosofia materialista non  poneva una semplice negazione al posto  dell' affermazione de' suoi avversari, ma  faceva ragione ai risultati dell' antro pologia, alle relazioni dei viaggiatori,  alla storia stessa dello spirito umano,  che concordemente ci dimostrano essere  la morale un risultato variabile del cli ma, del tempo, dei costumi edei varibi sogni della societá secondo il suo grado  di coltura e la fisica costituzione del l'uomo. (Vedi MORALE).  Ma, come gia dissi, tutte queste ne gazioni costituiscono la parte accessoria  del materialismo scientifico, e le dissi denze sull' uno o sull' altro punto pos sono stare nel suo seno, secondo le va rie maniere che ai filosofi di questa  scuola piaccia d' interpretare i fenomeni  e di dedurne le conseguenze.  Il vero e fondamentale carattere  che distingue la filosofia materialista  dalle altre, è sempre l'affermazione di  1  una sostanza unica esistente veramente  nell' universo. E parrà strano che su  questo punto sul quale tutte le scuole,  eccezion fatta per l'idealista, conven gono, possano nascere tante controver sie e tante recriminazioni. Imperocchè,  aben considerare le cose, se tutti am mettono che alcun che esiste veramente  ed é sempre esistito, tutti dovrebbero  del pari riconoscere che il chiamare  questa entità col nome di spirite, Dio,  sostanza, quiddità, atomo o materia, può  essere questione filologica ma non filo sofica, e purchè si convenga intorno  agli attributi di questo quid, tutto il  resto si riduce ad una mera disputa di  parole.  Il materialismo, più modesto degli  altri sistemi, ha trovato il nome di ma teria bell' e fatto, e credette inutile van to il creare apposta voci nuove per e sprimere idee vecchie.  Matrimonio. Uno dei sette sa cramenti della Chiesa cattolica. Sotto  la legge di Mosè la poligamia non solo  era permessa, ma poteva anche consi derarsi come di divina instituzione. La  Genesi ci mostra Dio stesso sanzionante  la poligamia dei santi patriarchi. Il ma trimonio indissolubile e contratto tra  un solo uomo e una sol donna fu sta bilito da Gesù. Il quale insegnò ch' egli  era venuto, non per annullare, ma per  confermare l'antica legge; ed infatti  nulla mutò degli ordinamenti religiosi  del giudaismo; ma nel matrimonio in trodusse una vera innovazione. Ciò che  Dio ha congiunto, diss' egli alludendo  all' inviolabilità matrimoniale, l'uomo  non separi.  Certo è che introducendo la mono gamia, Gesù ha seguito un desiderio già  sanzionato dalla morale del suo tempo.  Ed'aver tolti li abusi della poligamia  la filosofia modernanon può che saper gli grado. Ma fu errore grave quello  d'aver tolto il divorzio, rimedio rara mente funesto, e sempre vantaggioso  quando proscioglie da vincoli, che spes so la stessa loro indissolubilità rende  insoffribili.  Se lo stato matrimoniale sia prefe ribile alla verginità Gesù non disse, ed  ebbe torto. Ma il cristianesimo non do veva rimanere entro i modesti confini  che gli aveva tracciati il maestro. Uo mini zelanti e apostoli esaltati dovevano  ben presto eccedere nell' insegnamento  le dottrine stesse di Gesù. Giacchè s'e gli aveva corretta la poligamia e ordi nata la monogamia ond' attutire i sensi  e rintuzzare la voluttà, perchè non  sarebbe stata util cosa il vietare ad drittura ogni unione carnale e proclamare MATRIMOΝΙΟ  31  la verginita siccome uno stato di per- getta all' uomo ! E l'uomo ebbe il do fezione ?  Primo apronunciarsi in questo senso  è s. Paolo; e dopo di lui tutti o quasi  tutti i padri trovarono nel loro santo  delirio parole di amaro rimprovero  contro l'amore che invade e penetra  tutta la natura (v. AMORE).  Gli stessi eretici de' primi secoli  partecipano a cotesto sdegnoso diprezzo  de'vincoli imposti dalla natura. Trattasi  di soffocare la concupiscenza della car ne, di allontanare l'uomo dalla donna  per la quale, come scriveva Lattanzio,  il peccato era entrato nel mondo. Simon  Mago, Basilide, Saturnino, Cerdone, Car pocrate, i gnostici, gli encratiti, Tazia no , i Marcioniti, i Manichei, alcuni  Origenisti, gli Adamiti e i Valesiani  riprovarono il matrimonio, non già per chè ammettessero siccome superfluo il  minio sulla donna. La nascita di Gesù  bastò almeno ariabilitare la donna per  cui opera era stato concepito il redento re ? Ma no, poichè il cristianesimo ,  fedele alla maledizione, non vuole l'u nione dei sessi; fa concepire Maria fuori  del matrimonio, per opera dello Spirito  Santo: la sua maternità è una violazione  della natura.  Il cattolicesimo va ancora più in nanzi: esso insegna ormai che lastessa  nascita di Maria fa eccezione a tutte  le leggidi natura, imperocchè ella non  nacque come nascono le altre femmine:  ella fu immacolata.  Disputano i cattolici e gli accatolici  intorno al matrimonio, al quale gli ul timi negano l'efficacia del sacramento.  Tutti però hanno la benedizione nuziale,  obbligatoria pei primi, volontaria per gli  vincolo religioso per l'unione dei sessi, altri. Ondechè se ai protestanti può  ma perchè considéravano quest' unione  come sostanzialmente malvagia. Invero  nel dualismo prevalente in quasi tutte  le eresie dei primi secoli, il malvagio  principio accagionavasi di tutti i mali,  eposciachè la vita stessa consideravasi  comeunmale, a lui attribuivasi la pro creazione dei corpi. Onde asserivasiche  la generazione dei figliuoli avvenivaper  suggestione del cattivo principio, ed  altro non giovava se non che ad esten dere il suo dominio. Combattere la ge nerazione valeva dunque quanto com battere l'impero del male, e Origene  che da se stesso recidesi le parti geni tali, e i Valesiani più feroci ancora, che  sè e gli altri forzatamente rendevano  eunuchi facevano opera, nel senso loro,  sovranamente benefica.  Questo delirio durò lungamente; ma  come ogni cosa contro natura, dovette  pure avere il suo fine. L'unione dei  sessi, bestemmiata dapprima, riconosciu ta o tollerata poi nel matrimonio, ri ceveva però nel cristianesimo la con danna originale. Eva era caduta per la  concupiscenza, e la maledizione era stata  seagliata contro di lei: Tu sarai sog parer cosa lecita il matrimonio anche  puramente civile, pei cattolici quest' u nione divien concubinato, ed ove non  intervengano il ministro e la materia  del sacramento, unione dei sessi per  loro, lecitamente non si può dare. E  l'unione non è comunanza di sentimenti  fondata sui principii della dignità per sonale e della civile eguaglianza, poichè  laChiesa, secondo la maledizione scaglia tada Dio sul capo di Eva, vuol ladonna  sottomessa all'uomo, e col matrimonio  non ledauncompagno, maun padrone.  Perciò essa dichiara, per la bocca di  uno de' suoi più eminenti casisti, che  nemmeno i mali trattamenti possono  essere causa del divorzio. « Le batti ture, dice S. Alfonso de Liguori, sono  una causa di divorzio ? Gli uni affer mano, gli altri negano. Il maggior nu mero insegna esser permesso al marito  di battere la moglie, purchè nol faccia  frequentemente, per cagion leggera e  con collera, ma raramente e mediocre mente (mediocriter). D'onde l' opinione  probabile di Sanchez che insegna la  donnanon poter abbandonare il marito  che la batte, se i colpi son leggeri,  .. 32  MATRIMONIO  quand' anche fosse colpita senza motivo,  a meno che, secondo altri, non sia di  condizione nobile ».  Enondimeno gl' imperatori pagani  avevano notevolmente migliorata la con dizione della donna, e il primo Anto nino aveva tolto al marito il diritto di  accusare la moglie d'adulterio quand'e gli stesso non fosse stato irriprovevole.  Dopo dieciotto secoli, la legislazione cri stiana non è ancor giunta a questo  punto!  Non già, dice uno scrittore moder no, che la donna manchi d'ogni diritto  sul padrone che la batte. Essa, per e sempio, può involargli i cattivi libri, o  un po' di danaro per fare l' elemosina;  può abbandonarlo se cessa di essere  cattolico, o se la sollecita nell'eresia, e  la carità stessa neppur l'obbliga a ri prenderlo quand'egli si converte; ma  essa deve lasciarsi battere se è buon  credente, e cedere ai suoi desideri quan d' anche sia lebbroso, e il figlio ch'essa  potrebbe concepire corresse pericolo di  morte. ( Liguori Teologia morale 'T.  VII ).  Il diritto canonico condanna esplici tamente il matrimonio tra i cattolici e  gli eretici, imperocchè l' eresia, per  comun consenso dei teologi, è uno degli  impedimenti a ben ricevere il sacramen to. La legge civile in Francia, ancora  nel secolo XVII , sanzionava siffatto  principio, come ne fa prova un editto  di Luigi XIV del mese di novembre  1680, così concepito : « Luigi ecc., I  canoni dei concili avendo condannato il  matrimonio fra gli eretici e i cattolici  come un pubblico scandalo, e una pro fanazione del sacramento, noi abbiamo  creduto tanto più necessario d'impedirli  in avvenire, in quanto abbiamo ricono sciuto che la tolleranza di questi ma trimoni espone i cattolicia una tentazione  continua per la loro perversione ecc.  Laonde vogliamo che per l'avvenire i  nostri sudditi cattolici non possano ,  sotto qualsiasi pretesto, contrarre ma trimonio con quelli della religione pre tesa riformata, dichiarando tali matri moni invalidi , e i figli nascituri ille gittimi ».  Un decreto del 20 dicembre 1599  pubblicato nella Franca Contea dall'Ar ciducaAlbertoe dalla sua sposa Isabella,  avea anche prima d' allora vietati i  matrimoni tra cattolici ed eretici, pena  la confisca del corpo e dei beni (An ciennes ordonnances de la Franche Comte lib. V. tit. XVIII).  Per lo meno prima del 1724 era  lecito ai protestanti francesi di maritarsi  fra di loro; ma colla dichiarazione del  14 maggio 1724 minutata dal Cardinal  di Fleury, siffatta concessione parve li cenza, e a tutti fu ordinato coll'art. 15  di tal legge che le « forme prescritte  dai canoni fossero osservate nei matri moni, tanto dei nuovi convert.ti quanto  di tutti gli altri sudditi del re ». E  perchè quest' ultima frase comprendeva  e cattolici e protestanti, non solo i  giudici civili si rifiutarono di presiedere  ai matrimoni fra i protestanti, ma an cora furono dichiarati invalidi quelli  contratti sotto leconcessioni precedenti  eche non fossero rivestiti delle forme  canoniche.  La rivoluzione francese tolse siffatte  brutture colla instituzione del matrimo nio civile. E fu allora che la Chiesa,  congiurando contro le nuove libertà, e  non volendo riconoscere la potestà civile,  nė pure quella dei preti che avevano  giurato fedeltà alla costituzione, dichia rò validi i matrimoni dei cattolici fatti  fuori della legge civile e senza il mini stero dei preti giurati, purchè contratti  alla presenza di due testimoni. « Questa  sorta di matrimoni, scriveva il cardinale  di Zelada al vescovo di Luçon (Vatica no 28 maggio 1793) quantunque con tratti senza la presenza del curato, non  saranno perciò men validi e leciti, come  fu più volte dichiarato dalla Congrega zione interprete del Conciliodi Trento.>>>  Più tardi se gli sposi troveranno l'oc casione di farsi benedire da un prete  non giurato, faranuo cosa buona, ma MAUPERTUIS  rare cha la benedizione non tocca in  nulla la validità del matrimonio ». (Ri sposta della Congregazione incaricata  degli affari di Francia 22 aprile1795).  33  questo sacerdote avrà cura di dichia- cattolica agli eretici, fu riconosciuto nella  riforma dalla Chiesa anglicana e dal  luteranismo (v. ANGLICANISMO e LUTERO).  Perciò che riguarda il matrimonio dei  preti, concesso nei primi secoli e nega to poi, si consulti l' articolo CELIBATO  La Chiesa cattolica non soffre l'in tervento della potestà civile nel matri monio, nè concede che gli eretici con traggano matrimonio coi cattolici, ma  autorizza il divorzio degli sposi eretici  tutte le volte che un d'essi si converta  al cattolicismo. Così essa divide per  regnare, e molti esempi lo provano irre cusabilmente. Ne cito uno fra i molti,  attestato dal seguente documento:  «Emmanuele, per la misericordia  di Dio e la grazia dalla Santa sede  apostolica, vescovo di S. Sebastiano, o  Rio-Janeiro.  !  Al papa profugo concedeva con un ap posito articolo della costituzione tutte  le guarentigie necessarie, ove fosse tor nato in Roma, per esercitarvi il potere  L'8 settembre 1847,poco dopo l'ele zione di Pio IX, Mazzini mandavagli da  Londra una lettera pereccitarlo, come  già aveva fatto con Carlo Alberto, a  lasciar libera la circolazione delle idee  eapropugnare il principio dell' unitá  nazionale. « Noi, scriveva Mazzini, vi  faremo sorgere una nazione intorno,  al cui sviluppo libero, popolare, voi,  vivendo,presiederete. Noi fonderemo un  governo unico in Europa che distrug gerá l'assurdo divorzio fra il temporale  e lo spirituale; e nel quale voi sarete  scelto a rappresentare il principio del  quale gli uomini scelti a rappresentare  la nazione faranno le applicazioni.... »  La separazione fra il temporale e  lo spirituale era dunque daMazzini di chiarata assurda. Fedele al suo motto  La parte più spiccata della figura  di Mazzini, emerge appunto per la  missione religiosa ch'egli si era impo sta (della quale soltanto dobbiamo qui  occuparci); e i principii suoi, fedel mente applicati, più presto ci avrebbero  condotti alla teocrazia che alla libertà.  Eccone alcuni saggi.  Riti e Simboli « Cristo venne e can  cozzo tra loro, e che pur sono e sa >  Forse sfiduciato ne suoi arditi, quan tunque generosi, tentativi tendenti ad un  fine che era per lui fonte perenne di  vita e stimolo fortissimo all'azione, egli  sentiva ne'momenti di scoramento, ilbi sogno di sfogare il cordoglio e d'impu tare la colpa dell'insuccesso ad unpar tito già troppo inoltrato nella lotta  contro i pregiudizi dominanti, e troppo  nemico di quanti idealismi e misticismi  offuscarono l'intelletto umano, perchè ai  più non paresse opera buona e azion  di merito il condannarlo comechessia,  anche nelle cose ov' esso meno poteva  per l' incapacità stessa di cui l' aveva  accusato. Il materialismo fu la vittima  espiatoria da lui scelta, e come giàgli  antichi pagani su di essa scagliavano  le loro maledizioni, per farle portare  sotto il coltello del sacrificatore tutto  il peso delle colpe dagli uomini com messe, ma da essa soltanto espiate;  così egli sul capo del materialismo a veva rinversato la colpa d' ogni insu cesso de' tentativi da lui fatti per l'e mancipazione politica.  Fin dal giorno in cuipubblicando i  cenni storici della sua vita, iogli espo neva con franchezza eguale a quella  d'oggi, i motivi che mi avevano consi 40  MAZZINI  gliato a sopprimere la sua formola  «Dio e Popolo > laqualeposta a san zione di governo, io considerava e con sidero come contraria ai principii della  separazione della Chiesa dallo Stato e  alla libertà di coscienza, fra l'altre  cose egli mi scriveva: >  Egli credeva nel continuo rivelarsi di  Dio attraverso la Vita collettiva dell' U manità. Dio, diceva, s' incarica peren nementenei grandifatti che manifestano  la vita universale (Dal Conc. a Dio pag.  22). Quidunquelarivelazione èpermanen te e progressiva, ma nulla infatti rivela  fuordiquanto nel sistema de' materialisti  ègiàconcesso e preveduto. L'opposizio ne fra ledue scuole non cambianatura:  noi dicevamo chelalegge morale, nata  nel senso dell'umanità per la necessità  stessa de' suoi bisogni progressivi, si  va svolgendo in ragione dei tempi, dei  costumi e della civiltà; egli traspor tava il principio di questo progresso  fuori di noi, in un punto incognito  dello spazio, d'onde esso emana peren nemente ma con varia efficacia, e s'in carna in noi per mezzo di un processo  che nè l'analisi, nè la sintesi non ci  hanno mai scoverto. Ma come nel no stro sistema vogliamo riservato all'uo mo il merito dellesue opere, così su di  lui ricade la responsabilità delle colpe  e degli errori che momentaneamente  fermarono o fecero retrocedere il pro gresso dell'umanità. Invece la perenne  rivelazione di Mazzini, la quale in so stanza non è altro che una copia adul terata del progresso,storico,ha questo  do  di maggiormente assurdo ogni altra,  ch'essa toglie alsuo Dio ogni carattere  assoluto, lo fa procedere per le sue vie  emanifestarsi per fassi irregolari, con  modo di filosofarenon cape nella testa.  Noi procediamo col metodo per scoprire incarnazioni talora progressive, tal fiata  il fine, non possiamo a mmettere un fine  apriori, anteriore ad ogni esperienza,  regredienti; ci additainfineun Ente incer to di sè che va esplorando i tempi e  erivelatoci non si saprebbe come eda le idee, nè sa raggiungereil fine senza  chi. In conclusione, idue sistemi dista evitare le dubbiezze e le contraddizioni  no di poco; l' essenziale differenza sta  nel modo di stabilire e condurre l'esa me, sta nel sapere se s' incomincerà a  costruire l'edificio dal tetto o dalla  base!  Mabasti per il materialismo. Vediamo  ora se questo intimo sentimento, questa  sintesi dell'anima ha almeno a Mazzini  del Dio mosaico. Questo Dio imperfetto  e capriccioso, harivelato la barbarie in  Australia, la civiltà inEuropa, la scienza  all' antico Egitto, la superstizione e l'in famia ai cattolici del medio evo. Tutti  quosti momenti storici che, nel sistema  mazziniano, sono manifestazioni di Dio,  non possono tutti ad un modo essere MAZZINI  43  progredienti; nè tutti possono derivare | lutava e gli sorrideva dalungi: esso at  dalla incarnazione nell' umanità di quel  medesimo essere che esso dice necessa riamente identico al Vero e al Giusto.  Ecco dunque Mazzini di fronte al dua lismo che rimproverava a'vescovi catto lici del concilio, ma che fatalmente la  logica doveva consigliare a lui, come  già consigliò a Zoroastro, a Manete, a  Saturnino. Questi erano i primi effetti  della sublime sintesi chevuole emanci parsidall'analisi. Astraendo da'fatti par ticolari e dalle leggi di natura che ge nerano edirigono il morale svolgimento  dell'umanità, e che a seconda de' casi,  delle circostanze, del clima, della ferti lità del suolo la sospingono per questa  o quella via, essa vuole riassumere in  unprincipio solo fuor dell'universo tutti  i fenomeni speciali che qui fra noi e  dentro di noi si producono, ed incar nare la collettività degli esseri umani  in un individuo solo, causa prima e u nica d'ogni fenomeno morale  sorta d' antropomorfismo che volendo fog giarsi un Dio impersonale, non giunge  amiglior parto che di darci una ima gine sbiadita di quanto è, opera o pensa  l' Umanità! Veramente non ci voleva  tanto per convincere i materialisti che  la sintesi non crea idee nuove, ma co pia, congiunge, armonizza o deforma i  fenomeni speciali rivelati dall' analisi,  secondo che più o men bene su questa  si appoggia. Ondechè allontanandosi  dall' analisi Mazzini aveva creduto di  foggiarsi un Dio nuovo, ma in verità  non aveva raggiunto altro scopo che  quello di trasportare tutti li attributi  dell'umanità nella parola Dio. E sicco me questi attributi sono buoni e cat tivi, così egli non aveva evitato l'eter no scogliodi tutti i rivelatori: o di am mettere il Bene e il Male derivanti dallo  stesso principio (quindi l' imperfezione  in Dio stesso) o di creare un altro prin cipio d'onde emani ogniMale, come da  Dio neviene ogni Bene.  Mazzini aveva voluto respingere il  Diavolo, ma lo spirito del Male lo sa tende il posto che gli spetta nell'incom pleto sistema mazziniano, e vivrà si curo di sè e fidente nel suo trionfo,  fino a quando vi saranno religioni o  filosofie, che vorranno far derivare il  Bene o il Male da uno stesso eassoluto  principio.  Rispondendo a queste obbiezioni un  anno dopo (1870)Mazzini inuno scritto  sulla intolleranza e l'indifferenza, cost  spiegava il suo concetto della rivela zione di Dio nell'umanità: « Noi non  crediamo nella rivelazione diretta, imme diata, in un tempodeterminato, da Dio  all'uomo. Crediamo nella rivelazione  continua dai primi giorni dell'umanità  fino a noi, per opera delle tendenze e  delle facoltà ingenite in noi quando si  sostanziano in armonia nell'intelletto e  nella virtù ». Con queste parole non  negava egli implicitamente l'esistenza  di unDio immutabile? Non toglieva alla  morale il carattere dell' immutabilitá,  solo imperativo morale, per cui tutti i  deisti che vissero finora credettero ne cessaria la credenza in Dio? Non ab bandonava cost la morale in balla del  progresso, che è quanto dire dell' uma nita? Alla rivelazione non sostituiva la  storia, il fatto, pietra angolare del me todo materialista; e al posto di Dionon  metteva l' umanità? Quella che egli di ceva rivelazione continua, non è forse  il pensiero dell'umanitá che perpetua mente lavora e si svolge, e conquista  nuovi veri ? Or quest' è teoria affatto  materialista, e checchè dicano in con trario i mazziniani, civuol poco a ca pire che Iddio compie una funzione af fatto inutile nel loro sistema teosofico;  non è come nei miti religiosi il rivela tore di verità assolute, eterne ed im mutabili, chè anzi nasce, cresce e si svi luppa coll'umanitá e ha tante leggi e  tanti comandamenti quante sono le ne cessità e i bisogni che si manifestano  nelle varie età del mondo.  Mazzini credeva nella continuitd  della vita negli angeli: che sono l'ani 44  MAZZINI  ma dei giusti che vissero nella fede e re misticismi nuovi, quando la dimenti morirono nella speranza, nell' angelo cata origine li fa porre sugli altari.  custode, anima della creatura che piú | Certo, questa conseguenza non sgomen santamente ci amò, nella serie infinita  di reincarnazioni dell' anima di vita in  vita, di mondo in mondo, e finalmente  nella trasformazione del corpo, che era  per lui lo strumento dato al lavoro da  compiersi (Dal Conc. a Dio pag. 24-25).  Ora tutte queste idee cardinali della   No; non invitate a concordia me:  rivolgetevi altrove ».  Mazzini diceva di non aver tesori,  eserciti, carceri, ordinamento governati vo per far che la sua formola trionfas se e anche se li avesse avuti credeva di  non aver dato in tutto il suo passato  diritto ad alcuno di sospettarlo capace  d'usarne. Nonpertanto bisognapur con fessare che quel sospetto non era poi  affatto infondato. Da ben dieci anni si  insisteva presso di lui, o con lettere o  «  con la stampa, affine di indurlo a fare  una consimiledichiarazione, e pochi me si innanzi io gli scriveva queste parole:  Non si tratta di render grazia ma  giustizia; e il far chiaramente intendere  ai vostri amici che la formola Dio e  Popolo, è regola di coscienza che vuol  essere accettata liberamente, non im posta come principio di governo, nè  consegnata nella costituzione, è dovere  a,cui, se siete tollerante, non potete  sottrarvi. »  Allora Mazzini non rispose, e secon do il suo costume , rispose indiretta mente poi con le parole or riferite. Ma  se almeno dopo tanto ritardo la sua  dichiarazione avesse soddisfatte tutte le  esigenze della libertà, me ne sarei con a  solato. Ma no; egli ritoglieva da una  parte quello che dall' altra concedeva.  Non voleva imporre colla forza la sua  formola, ma lasciava però chiaramente  intendere ch'egli la voleva inalzata  principio di governo. Ora, una afferma zione ufficiale, checcè si dica in contra rio, implica obbligazione. Credo che  Mazzini fosse tale da tenere la parola e  >>  E veramente l'oblazione sola, oltre l'e levazione, era stata levata, perchè, di cevasi, la Chiesa cattolica le attribuisce  il merito di rimettere i peccati per la  semplice offerta, senza esservi bisogno  nè di recarvi la fede, nè alcun movi mento buono del cuore. Poco differisce  anche la messa anglicana, la quale se  ne togli il nome cambiato , la transu stanziazione negata, e le orazioni pei  morti soppresse, ha conservato nella  comunione, il prefazio, la consacrazione  e altre parti fondamentali del canone  cattolico.  Metafisica. La scienza che tratta  dei primi principi, delle idee universali,  e delle operazioni dello spirito. È defi nizione cotesta generalmente accettata,  e della poca stabilità di essa si può  argomentare della pochissima solidità e  delle immense pretese di questa scien za. Gl'idealisti moderni ricorrono spesso  alla metafisica per spiegare in qualche  maniera i fantasmi della loro immagi nazione; e Gioberti che tanto si com piaceva di correre i campi del pensiero  per scoprirvi nuove forme, creare pa role nuove e definirle , assimila ad drittura la metafisica al soprannaturale.  Non pare però che nei tempi anti 1  chi la metafisica fosse scienza così in determinata, e se guardiamo alle origini  di questa voce, dobbiamo anzi conclu dere ch'essa esprimeva meno assai di  quanto vogliono ch'esprima certi filosofi  moderni. Aristotile aveva scritti molti  trattati su quasi tutti i rami dello sci METAFISICA  bile, ma nonavevapensato a riunirli in  classi e a dare un titolo a queste classi,  che abbracciasse la generalità delle cose  dimostrate. Fu questo un lavoro che  fecero i suoi commentatori, eprincipal menteAlessandroAfrodisio,il quale delle  opere aristoteliche fece due grandi di visioni: alla prima riferi le fisiche; ma  dovendo poi dare un nome all' altra  parte, non trovò di meglio che intito larla metafisica, cioè dopo la fisica.  61  nessuno intende. D'altronde una scienza  che si occupa delle cose sopranaturali  non è scienza, mateologia, e i suoi cul tori meglio chefilosofi sidirebbero teo logi.  Dall' inutilità della metafisica sono  insigne monumento la vanità de' suoi  Altri, per verità, voglion dare a  questa voce una diversa etimologia, e  il prof. Martini così ragiona: Μετα' è  una proposizione che ha vari signifi cati: ora esprime dopo, come si è testé  avvertito; ma altre volte esprime oltre  ossia indica passaggio da uno stato ad  un altro, o da un luogoad un altro. Ri ferirò due esempi. Gravina, allettato dal  raro ingegno poetico di Pietro Trapas si, povero fanciullo, se lo adottò a fi gliuolo , ed amante com'era della greca  favella, grecizzò quel cognome, e l'ap pello Metastasio  ,  che veramente e prime Trapassi. Se alcuni l'interpreta rono Metà dell'anima mia, certo erano  affatto stranieri ad ogni ellenismo. Ovi dio intitolò il suo poema le Metamo rfosi  in cui rappresenta le trasformazioni, o  converzioni di persone in costellazioni ,  in pianeti, in animali. Dunque metà fi sica vorrebbe dire trasfisica, o trasna turale, o sopranaturale.Ma se noi dob biamo accettare in tal senso questa  voce, e non v'é ragioneper cui non la  si accetti, dopochè così è prevalso nel l'uso comune, qual concetto dov remo  noi aver d'una scienza che si occupa di  cose non naturali? Dove è il campo dei  suoi studi ? Dove i soggetti delle sue  sperienze? Che ne sa essamai delle cose  che stanno fuori dell'ordine della na tura; anzi ancora vi son cose che non  siano naturali, e delle quali la scienza  possa seriamente occuparsi? A'metafisici  credo che saràmolto difficile rispondere  aqueste domande; ciò che non impe dirà loro di continuare a scrivere dei  volumi per spiegare a tutti cose che  sistemi. Quali scoperte ha esse fatte ?  Cercando vanamente di spingersi fuor  della natura, oltre i confini del mondo  sperimentale, essa vagò sempremai nel  regno delle ombre. In mancanza di fatti  nuovi, di nuovi enti, inventò altre entità  evocate dal nulla e chiamate trop po facilmente all' esistenza sostanziale.  Niuno mai le vide nè le senti. (V.  ENTITÀ)  Ben disse Romagnosi, che il primo  abuso, che non di rado fassi delle pa role e del loro accozzamento, è quello  di adoperarle, con certe idee, che gli  autori medesimi non saprebbero dirsi  che si fossero. « Quando i peripatetici,  per cagion d' esempio,spiegavano molti  fenomeni della natura con due parole  Simpatia e Antipatia, io non so se essi  capissero niente di quel che voleva dir si. Interviene il medesimo, a coloro,  i quali credono esservi, oltre i feno meni di attrazione, una vera forza at tratrice tra i corpi: questa forza non si  capendo meccanicamente, divenuta un  mistero, rende la lingua fisica arcana.  Si trovano diqueste parolee frasi spesso  negli autori antichi, e in tutti quelli i  quali parlano di cose che non inten dono; ma in nessuna scienza v'è n' ha  più quanto nelle metafisiche. Un meta fisico, ch'è sempre uno che si presume  molto, nonpotrebbe coprire la sua igno ranza che con una lingua che impone.  La lingua metafisicadi Omero e di tutti  gli antichi poeti teologi, è piena di  queste parole e frasi significanti un non  so che, nelle quali si trovano da' nostri  eruditi tanti misteri ignoti agli autori.  Alcune volte sono parole tecniche, cioé  d'arte, e servono a coprire l'ignoranza  delle professioni le più triviali. Tutti  gli artisti ne hanno, e sono arme da 62  METODISTI  offesa e da difesa; ma in nessun a arte  ve n'ha tantequanto in chimica, in me dicina, in astrologia.>>>  Metempsicosi. Dottrina religio sa la quale suppone che le anime u mane dopo la morte passano in altri  corpi. Par che i più antichi credenti  nella metempsicosi siano stati gl'indiani  (V. BRAMANISMO, BUDDISMO). Tuttavia lo  ammisero anche molti filosofi greci, tali  che Empedocle. Plutarco , Platone; e  Beausobre sostiene che anchemolti pa dri della Chiesa, come Origene e Sine sio ebbero una simile opinione. Non  occorre dire chequasitutte le religioni  dell'antichità ebbero una tale credenza,  la quale principalmente trova il suo  appoggio nei sogni. Quando, infatti, l'i gnorante ricorda in sogno qualche per  sona defunta, è naturalmente condotto  acredere che quella persona esista ve ramente in qualche luogo. La filosofia  poi, che per far muovere il corpo ave va inventato un'anima, composta di  leggerissima materia, non poteva darle  una occupazione conveniente durante la  infinità dei secoli, che facendola tras migrare dall'uno in altro corpo, per  richiamarla sempre a nuove vite, affine  di premiarla e di punirla dei suoi me riti o de' trascorsi mancamenti.  Platone nel Timeo, nel secondo li bro della Repubblica e nel Fedro cost  spiega l'ordine della trasmigrazione  delle anime. In primo luogo se l'anima  ebbe molte perfezioni in Dio, e abbia  scoperte molte verità, entra nel corpo  di un filosofo o di un savio. Quelle  men perfette entrano nel corpo di altri  uomini meno illustri, secondo l'ordine  seguente: 2. L'anima entra nel corpo  di un re o di ungranprincipe. 3. Essa  passa nel corpo di un magistrato o di  uncapo diuna potente famiglia. 4. En tra nel corpo di un medico. 5. Entra  nel corpo di un uomo che abbia l' in carico di provvedere al culto degli Dei.  6. Passa nel corpo di unpoeta. 7. Nel  corpo di un operaio.8. Nel corpo di un  sofista, e infine nelcorpo diun tiranno.  Gl'indiani ammettevano anch'essi una  successione poco dissimile attraverso  alle loro caste, e i buddisti credono an cora che le anime possono passare nel  corpo degli animali più immondi, opi nione che fu pur divisa da Pitagora e  da Empedocle.  I più accaniti nemici della trasmi grazione delle anime nella Grecia erano  gli epicurei, i quali dicevano che se  noi fossimo entrati nel corpo di altri  uomini avremmo conservata la memo ria delle nostre azioni. Quanto al pas saggio delle anime umane nel corpo  degli animali, essi dicevano che questa  opinione non si appoggiava ai fatti;  se ciò avvenisse l'anima dovrebbe im primere all'animale il suo proprio ca rattere, mentre invece vediamo che i  leoni sono sempre coraggiosi, e 1 cervi  sempre timidi.  Tutti, o quasi tutti ipopoli selvaggi  credono a una sorta di metempsicosi,  ma questa credenza è andata scompa rendo dalle religioni e dalle filosofie  dei popoli civili, ed ormai essa non ha  fra noi altri settatori che gli spiritisti.  (v. SPIRITISMO).  Metodisti. Così son chiamati i  membri di una delle più cospicue sette  ond'è divisa la religione anglicana. Ne  fu fondatore John Wesley nel 1730, il  quale deplorando la depravazione dei  costumi e la corruzione della Chiesa,  volle con una nuova predicazione in trodurre nella riforma una nuova ri forma. Nei suoi viaggi nell'America,  nell'Olanda e nella Germania strinse co noscenza con molti entusiasti luterani,  e visitando le loro communità presto  apprese quanto facil cosa sia il cre dersi inspirati e il farlo credere altrui.  Alcuni anni dopo, il fratel suo Carlo,  si unì a quella missione, insegnando  che Dio, dopo avere colpito colla di sperazione i suoi prediletti,improvvisa mente apre i loro occhi alla luce e li  vivifica col suo spirito. Così fu illumi nato S. Paolo sulla via di Damasco, e  così fu Wesley chiamato alla scienza METODO  della rivelazione. Se non che non fu  egli tocco dalla luceceleste, per quanto  egli stesso afferma, che qualche anno  dopo, cioè a Londra, nella via Alder role:  63  Passai un'ora nella scuola di  Kingwood. Ma singolare stranezza! Che  ne avvenne delle opere mirabili della  grazia che il Signore operava nei fan gate il 29 maggio 1739 a ore otto e  tre quarti. Sul qual proposito unoscrit tore cattolico argutamente osserva come  sia assai difficile a capire com'egli, es sendo inpreda acommozioni così vio lente potè dar retta al batterdelle ore,  o cavarsi di tasca l'oriuolo per osser vare con tanta precisione l'ora e il mi nuto.  Lo spirito di Dio che avevavisitato  il maestro, non poteva restarmuto pei  discepoli. Whitefield, socio di Wesley,  nella nuova Chiesa ebbe anch'egli i  suoi moti convulsi e le suecrisi divire,  e mentr'egli con impetuosa eloquenza  su per le piazze parlava ai suoi ascol tatori, era bene spesso soprappreso da  crisi nervose e da stranivaneggiamenti.  Tali erano i segni esteriori della gra zia, colla quale i nuovi profeti, a so miglianza dei fanatici delle Çevennes,  (v. CAMISARDI) invitavano i fedeli alla  penitenza. E che si tentassedirinnovare  allora l'invasione dei piccoli profeti, ri levasi da Soutey, il quale narracome i  maestri di Kingwood tormentassero  senza posa i fanciulli dell'età di sette  ad otto anni finchè avessero dato se gno della loro giustificazione ». Si cer cava di gettarli in preda al terrore e  alla disperazione spingendoli fino alla  follia; e dappoi colla calma e la sicu rezza procuravasi di fugarne lo spa vento. Wesley, presente a simili ecces si , li approvava e li promoveva, ma  sperò indarno di trarne partito per le  predicazioni profetiche. O vuoi che le  scuole di profezia non fossero così du ramente avviate al misticismo come  quelle dei calvinisti, o che l'esempio  mancasse a generare il contagio men tale, o che, infine, i maestri non per severassero nell'esaltare l'immaginazio ne dei giovanetti, fatto è che risultati  soddisfacenti non si ottennero allora, e  Wesley stesso lo attesta conqueste pa ciulli nello scorso settembre? Tutto di sparve come un sogno! >>  La novella riformawesleiana fudun que fondata sulla sola predicazione de gli adulti,e fu questa così attiva e in defessa, che non pochi chiamò al suo  partito. Le molte e lunghe preghiere  i digiuni, la lettura dellaBibbia, le fre quenti comunioni , ai seguaci di quel  nuovo quietismo, meritarono per ischer no il titolo di metodisti. Uniti sulprin cipio alla Chiesa anglicana, se ne se pararono poi per ordinare 1 loro sacer doti, ma non tardarono a dividersi fra  loro stessi per le vive controversie su  alcuni punti dottrinali, avvenute fra  Wesley e Whitefield; perocchè mentre  il primo riteneva che le opere erano  essenziali alla salute, l'altro le teneva  come meno importanti. Fondato sul  suo principio, parve a Wesley che le  migliori opere fossero quelle che po tessero indirizzare l'uomo a quella co tale perfezione cristiana che gli toglie  ogni lecito godimento terreno per in dirizzare la sua mente al cielo. E per ciò proibi ai suoi seguaci 'le carte, i  teatri, i balli, le corse dei cavalli, i ma nichini, le trine, i liquori spiritosi ed  il tabacco. La verginità non impose,  ma molto encomiò coloro che nel loro  cuore fossero riusciti a totalmente e stinguere la concupiscenza.  I metodisti sono anche oggi molto  numerosi nell'Inghilterra e negli Stati  Uniti, e possedono ricchi stabilimenti  nelle Indie, a Calcutta, nell'isola di  Ceylan e fin nell'Oceania. Essi hanno  molti predicatori ambulanti, e parecchi  ne mandano all'estero per diffondere le  loro dottrine.  Metodo. L'artedi disporre le pro prie idee ordinatamente acciò s' inten dano con maggior facilità. Il metodo è  perciò necessario tanto a chi studia,  quanto a chi insegna, e tutti sanno 64  METODO  quanta maggior fatica si abbia ad ap prendere le cose esposte disordinata mente, che non abbiano, cioè, fra loro  alcuna relazione.  Il metodo è analitico o sintetico,  secondo cheincomincia dalle cose par ticolari per passare alle generali, o vi ceversa. Era massima degli antichi che  il metodo analitico forse adatto soltanto  a ricercare e scoprire la verità, mache  il sintetico meglio convenisse per inse gnarla e dimostrarla. Questa massima  perdurò assai tempo nell' opinione dei  filosofi, e si può ben dire che perdura  tuttora nell' opinione di molti pedago gisti. Non si ha molta difficoltà a am mettere che l'analisi sola conduce alla  verità (vedi ANALISI ); ma si pretende  che quando gia si sia inpossesso della  verità meglio si riesca afarla intendere  altrui col metodo sintetico. Di qui i  termini, le formole, le difinizioni di cui  sono irti tutti i libri elementari. Ma  questo ragionamento non è tutto vero.  Le proposizioni generali non s'intendono  se prima non siano spiegate coi fatti  particolari, e non si mostri in modo  certo in base a quali elementi si siano  pronunciate tali proposizioni. Le idee  non sono innate innoicome credevano  certi antichi, ma si acquistano lenta mente coi processi sperimentali o con  la continuata osservazione di fatti si mili; osservazione per la quale astra endo dai fatti particolari si stabilirono  le regole generali, e principii le leggi.  Nulla, infatti, pare a noi più evidente  di questo teorema: se due rette si ta gliano in qualche punto, gli angoli ver ticali sono eguali tra loro; oppure in  ogni triangolo la somma dei tre an goli equivale a due angoli retti. Eppu re avrebbe mai potuto lageometria ac certare queste così semplici verità, sen za che una precedente osservazione le  avesse dimostrate? Certo che no. Solo  dopo essersi accertato che in tuttii casi  accennati sempre si verificava la me desima condizione, il geometra ha po tuto fare astrazione di tutti i casi par ticolari, e stabilire la regola generale.  Ma l' osservazione precedente è stata  essenzialmente analitica; la regola sol tanto è sintetica, siccome quella che  riunisce in un solo principio tutte le  osservazioni particolari. Ma così debole  è l' evidenza di questa sintesi per co loro che manchino di tutte le cogni zioni analitiche da essa implicitamente  supposte, che in ogni libro di geometria  elementare si vede sempre che ogni  teorema è immediatamente seguito dalla  sua dimostrazione. È vero dunque che  in questi casi si suole incominciare dal  porre la sintesi per poi scendere col l'analisi, alla dimostrazione, ma direi  the sarebbe assai più ovvio e naturale  che prima si ponessero le dimostrazioni  analitiche e dopo si facessero seguire  dalla verità sintetica che ne è come la  conclusione e la conseguenza. Certo è  che in cotesti casi la sintesi che affer ma e l'analisi che dimostra l'afferma zione, si seguono così davvicino, che la  precedenza momentanea dell' una sul l'altra non può avere inconveniente al cuno, fuor che quello di lasciare per  pochi istanti sospesa la convinzione  dello studioso, finchè la dimostrazione  sia compiuta. Masuppongasiche untale  imbizzarendo sulla pretesa precedenza  della sintesi sull'analisi applicasse cote sto metodo a modo. Egli certamente  incomincerebbe in un trattato ad es porre tutte le verità sintetiche della  geometria, d' onde una sequela di as siomi e di teoremi tutti immediatamen te consecutivi, e tutti egualmente non  comprensibili. Il teorema precenente  suppone bensì il susseguente, e questo  quello che gli è posto innanzi, ma sic come nessuno di essi è dimostrato, così  éevidente che tutti riesciranno incom prensibili. È vero che anche seguendo  il metodo sintetico, si dovrà pure in  fine venire all' analisi e dare le dimo strazioni; ma quanta confusione, quale  sforzo di memoria, quanto tempo per duto nello studio arido e puramente  meccanico delle verita sintetiche o ge METODO  nerali ! E dato pure che lo studioso rie sca a superare questa improba fatica,  quale quantafaticanon durerà ancora  perapplicare ad ogni principio generale  65  dessed'incominciare l'insegnamento di  quella legge, senza aver prima dimostrate  le verità speciali su cui essa si fonda e  per le quali soltanto fu trovata, sarebbe  la suadimostrazione e venire via viari schiarando nella sua mente tutte le for mole, e d'ognuna acquistarne l'evidenza?  Ora, se si vorrà essere sinceri, si  dovrà convenire che quello che succede  per la geometria, avviene pure per le  altre scienze. È un error gravissimo  quello di credere che siccome tutte le  verità particolari si trovarono come  contenute nei principi generali che le  rappresentano, da queste si deve inco minciare l'insegnamento e non da quelle;  avvegnachè le verità generali per se  sole non siano che una astrazione dei  fatti particolari, alla conseguenza dei  quali, infin dei conti, sono dirette tutte  le scienze umane; ed è ben strano che  per farci conoscere le leggi che rego lano i singoli fenomeni, si incominci  dal trasportarci lontani da essi, e direi  quasi fuor del campo della loro osser vazione.  Dopo la geometriapongasi la fisica.  Una delle leggi del pendolo è, che in  diversi luoghi della terra, la durata  delle oscillazioni, per pendoli di diver sa lunghezza, è in ragione inversa della  radice quadrata della intensità della  gravità. Non si può negare che questo  principio generale non sia essenzial mente sintetico, e come tale non con tenga unaquantitàdiveritàparticolari.  Maposto cosi solo,senza la cognizione  analitica deiprecedenti esperimenti, che  cosa esprime esso mai per lo studioso?  Bisognerebbe innanzi tutto ch' egli co noscesse, che per i pendoli della mede sima lunghezza la durata delle oscilla zioni è eguale, qualunque sia la sostan za della quale sono formati; poi che  conoscesse le leggidella gravità, l'azione  suadallaperiferia al centro della terra, e  tante altre cognizioni speciali, senza cui  il principio generale non può acquistare  la necessaria evidenza. Non v'è dubbio  che unprofessoredi fisica ilqualepreten altrettanto biasimevole del maestro e lementare che pretendesse d' insegnare  a'suoi alunni l'addizione delle centinaia  prima di aver loro insegnata l'addizione  delle decine e delle unità. Or non  so davvero perchè un metodo che si è  cosi concordemente disposti a biasimare  nelle scienze positive, lo si voglia, non chè tollerare, anche preferire nelle di scipline filosofiche. In verità, la ragione  di questa preferenza non si potrebbe  attribuire ad altro che alla tendenza  che hanno certi filosofi di stabilire con  somma facilità le così dette leggi del  pensiero, seguendo gl' impulsi del loro  sentimento e della loro fantasia, piutto sto che quelli della ragione. Si capisce  facilmente com' essi si troverebbero in  un grande impiccio se fossero costretti  a dare una ragionata analisi di quelle  loro affermazioni, e come con molta co modità si tirino d'impaccio proclamando  l'eccellenza della sintesi, siccome quella  che si presta tanto facilmente a porre  certi principii generali che sono molto  opportuni per toccare il sentimento,  mentre poi si sottraggono, per la stessa  loro generalitá, all'analisi della ragione.  Certo, si obbietterà che uomini di  molto ingegno, come Euclide e Wolf,  adottarono esclusivamente il metodo sin tetico ; ma uomini non meno illustri,  quali Bacone, Locke, Condillacmostra rono quante ragioni dovessero far pre ferire il metodo analitico. É questa, in fatti, la via che segue naturalmente l'u mano intelletto nella scoperta della ve rità. Imperocchè l'uomo non incomincia  già dalla conoscenza delle cose univer sali, ma sì dalle particolari: e dai feno meni più immediati che cadono sotto i  sensi, grado a grado, s'innalza ai più  complessi; dalle cose semplici passa alle  composte, e per questa via scopre le  leggi che regolano i più grandi feno meni della natura. Laonde, il metodo  5 66  MIRABEAUD  analitico, per confession stessa de' suoi  avversari, è detto essenzialmente d' in venzione; e non so proprio intendere  perchè quello stesso metodo per ilquale  siamo condotti a scoprire laverità, deb ba poi reputarsi disadatto quando si  tratti d'insegnarla.  Soave dice che ilmetodo analitico  serba un ordine quasi del tutto opposto  al sintetico. Imperocchè dove questo in comincia dal premettere i principii ge nerali, da cui intende cavar poscia le  conseguenze particolari; quello all' in contro incomincia dall'esame delle cose  particolari per farsistradadimano in ma no allegenerali: edovenel sintetico tutto  è definito, e diviso, edistribuito in teo remi e problemi e corollari ecc, nell'a nalitico per lo contrario quasi niuna de finizione o divisione si adopera, eniuna  menzione ci si fa nè di teoremi, nè di  problemi, nè di corollari; ma tutto è  seguito e continuato, e tutto nasce, e si  sviluppa di mano in mano dall' analisi  delle idee che prendonsi aconsiderare >  (Istituz. di logica P.II). Questo apprez zamento non è però esatto, poichè non  è vero che le divisioni e le definizioni  manchino affatto al metodo analitico.  Esso anzi divide assai bene le varie  parti dello scibile, e certe classi di no zioni particolari in una stessa scienza  divide e raggruppa secondo le conse guenze generali a cui conducono. Esso  definisce ancora queste conseguenze e le  riduce a leggi generali includenti tutti  za; se cioè si debba incominciare dal  dimostrare o dall' affermare. E mi par  che la logica insegni doversi innanzi  tutto dare la dimostrazione delle cose  ha bisogno di prendere le mosse da  certe verità già note. Ma queste prime  affermazioni saranno assiomi enon teo remi; attingeranno, cioè, la loro evi donzadall'esperienza immediatadei sensi  enondal ragionamento, ed è per que sto che io ho detto altrove (V. ASSIOMA)  e ripeto ora, che le verità assiomatiche  sono essenzialmente analitiche.  Metrodoro di Lampsaco. Uno  dei più celebri discepoli, e l'amico più  affezionato di Epicuro.Diogene Laerzio ce  lo rappresenta come uomo d'inconcussi  principii, onestissimo, intrepido contro  la stessa morte. Morì nel 50° anno della  sua vita, sett'anni prima del maestro  di cui professò le dottrine.Epicuro mo rendo legò nel suo testamento agli a mici il compito di allevare e di aver  cura dei figli lasciati dal discepolo che  lo aveva preceduto nella tomba.  Microcosmo e Macrocosmo.  ( da micros piccolo, macros grande e  κοσμοςmondo)Letteralmente queste pa role significano piccolo mondo e gran  mondo, e furono primamente adoperate  dai filosofi mistici ed ermetici per-desi gnare la perfetta corrispondenza che  supponevano esistere fra l'uomo e ilmon do; fra l'essere piccolo e quello gran dissimo, che credevano anch'esso dotato  di anima. Nella filosofia moderna si  adoperano, ma raramente, queste voci  per indicare il mondo delle molecole,  degli infusori e di tutto ciò che per  essere veduto ha bisogno dell' ingran e l'universalità dei mondi e degli astri  che compongono il MACROCOSMO.  i fatti particolari che si sono osservati | dimento del microscopio (Microcosmo),  in quel gruppo. Si diràche quest'ultima  operazione è essenzialmente sintetica ; e  sia pure. Non si tratta giàdi escludere  la sintesi, madi sapere quale tra lasin- | Nacque in Provenza nel 1674 e fu se tesi e l'analisi debba averela preceden- gretario dell' Accademia francese. A mico della libertà del pensiero, egli  parteggiò per la filosofia liberale che  allora appunto, nell'Inghilterra special mente, incominciava a dare qualche  barlume di libertà. Il Sistema della  natura d' Holbach fu pubblicato dap prima sotto il nome di Mirabeaud, ma  niuno fuperciò indotto in inganno, etutti  Mirabeaud. ( Giovanni Battista.)  che si andranno in seguito affermando.  Certo, anche l'analisi è pur d'uopo che  che incominci dall' affermazione, poichè |  ogni ragionamento, per sempliceche sia, 1 MIRANDOLA  67  sanno che l'ardire del filosofo tedesco restarne sorpresi. A ventiquattro anni  mal conveniva alla peritosa incredulità egli pubblicò novecento tesi per un e che mostrò il segretario dell'accademia same scolastico de omni re scibili, ses nei suoi scritti pubblici.AMirabeaud si santaduedellequali,a sentirlo, dovevano  attribuisce unadissertazione sull'origine enunciare dei dommi nuovi. Il vanto di  del mondo; una lettera per provare che essere in possesso ditutteleumane co il disprezzo pergli ebrei è anteriore alla noscenze era in quei tempi assai comu maledizione di Gesù Cristo, e final- ne, imperocchè facilmente la dialettica,  mente le opinioni dei filosofi sulla na- aproposito od a sproposito, discorreva  tura dell'anima. Queste attribuzioni però d' ogni cosa, e facilmente ostentava una  hanno la solatestimonianzadiNaigeon. | grande erudizione per coloroche in luo Due scritti lasciò che furono poi  pubblicati dal marchese d' Argens, e  sono: Sentimento dei filosofi sulla na tura dell'anima, e Il mondo, sua cri gine e sua antichità. Nell'uno e nell'al tro Mirabeaud dimostra che la spiri tualità dell'anima non fu conosciutadai  filosofi dell' antichità; che essi consi derarono il mondo siccome eterno, non  solo nella sostanza, ma eziandio nella  forma, salvo un piccol numero, taliche  Platone e Anassagora, i quali ne ave vano fatto risalire l'origine a un essere  intelligente. Che, del resto, il domma  della creazione ex nikilo è stato affatto  ignorato dell'antichità, come fu sempre  ignorato l'altro domma filosofico della  finale distruzione della materia.  Nella Fenicia e nella Persia, diceva  Mirabeaud, si credeva bensì ad una  fine del mondo, maquesto concettonon  rappresentava altro che una rivoluzione  astronomica. In tal maniera Mirabeaud,  colla storia alla mano, distruggeva i  dommi fondamentali dello spiritualismo  edel cristianesimo insieme.  Mirandola. (Giovanni Picoconte  della Mirandola e principe della Con cordia ). Nacque nel 1463 a Mirandola,  piccola terra dell' Emilia. Studid il di ritto canonico a Bologna e parve sulle  prime che le sue tendenze lo chiamas go dei fatti si appagavano delle parole.  Invece dei sessanta dommi nuovi pro messi, lacuria romana trovò che tredici  delle900tesi date meritavano censura, e  le altre proibil che fossero difese.Era colà  spiaciuta l' arroganza di Pico, e aPico  spiacque lacensura romana,sicchè partl  d'Italia e si recò a Parigi, ov' ebbe  buona accoglienza da Carlo VIII, colla  discesa del quale in Italia, ritornò an ch'egli a Firenze.  Pico della Mirandola aveva vana mente cercato di conciliare le dispute  degli scolastici, dimostrando che Pla tone e Aristotile potevano benissimo  stare insieme, e tutt' e due non servi vano che di commento a Mosè. Più  che filosofo, ne' suoi scritti fu teologo:  commentò la Genesi con sette diverse  significazioni, poichè tante appunto egli  trovava in ogni versetto; e si perdette  nelle fantasticherie della cabala e della  scuola mistica Alessandrina, e perfino  in quelle di Raimondo Lullo. Con una  memoria potentissima, e studi così mal  digeriti, é facile immaginarsi qual sorta  di filosofia fosse quella del nostro mi randolese. Una vacua ambizione lo  spingeva a voler parere grande in tutte  le scienze, e per questo forse gli par vero più apprezzabili le meno chiare alla  intelligenza volgare. Aformarsi cotesta  sero allo stato ecclesiastico. Ma dopo- | fama si poco meritata, egli riuscì cost  chè Marsilio Ficino, maestro suo, ebbe gli infuso il proprio entusiasmo per la  filosofia greca,si applicò allo studio delle  lingue orientali e incominciò ben presto  acredersi pieno di un così profondo e  vasto sapere, che i dotti tutti dovessero  bene, chedopo di lui ilnipote suo (Fran cesco Pico della Mirandola) scrivendo  la biografia dello zio, narra che una fiam ma orbicolare venne per un istante ad  illuminare la madre di Giovanni della  Mirandola, per annunciare ch'ellastava  1 68  MISTERO  perdare alla luce un figliodel quale la  forma orbicolare indicava la perfezione  del sapere.  Mistero. Cosa secreta non possi bile a comprendersi. Tutte le teologie  antiche hanno avuto i loro misteri, ed  erano questi ciò che il paganesimo a veva di più augusto e di più sacro. I  misteri erano cerimonie religiose alle  quali i soli iniziati potevono assistere,  ele cose che vi si vedevano e vi si u divano erano rivelate sotto il suggello  del più rigoroso segreto: una legge col piva di morte i violatori. Tutte le prin cipali divinità avevano i loro misteri,  laonde si celebravano in Egitto in onore  di Iside ed Osiride; nella Fenicia e nel l' Isola di Cipro in memoria di Venere  e di Adone; nella Frigia ad onore di  Cibele ed Ari; nella Grecia e in Sicilia  si commemorava Cerere e Bacco.  Tutti i misteri avevano laloro par te pubblica, nella quale al popolo si la sciava intravedere ciò che si reputava  necessario a conoscersi. Erano d' ordi nario la commemorazione di tutte le  avventure degli Dei, iloro combattimenti  e i loro trionfi; e vi si mostrava che  tutti i loro sforzi erano stati rivolti a  soccorrere il genere umano, a conso larlo de' suoi mali, a colmarlo di bene fizi. Tali erano i piccoli misteri, a cui  seguivano i grandi. Isoli iniziati assiste vano a questi,e guai aiprofani che aves sero osato introdursi nel sacro recinto  durante la celebrazione.Per lungo tem po il segreto di questi misteri fu im penetrabile. Coloro che furono sospetti  di averlo tradito dovettero fuggire per  sottrarsi alla morte. Esdulo corse gra vi pericoli per aver dette poche parole  dei misteri di Cerere che si celebrava no in Eleusi, e Alcibiade fu condannato  a morte per averli riprodotti nella sua  casa, schernendoli. Gran numero bri gavano l'onore di esservi iniziati, ma  molti dotti, tali come Socrate, non vol lero mai esservi ammessi. Diogene, in vitato a farvisi iniziare, rispondeva: Pa tecione, quel famoso ladro, ottenne l'i niziazione; Epamimonda e Agesilao non  la chiesero mai.  Nella parte pubblica dei misteri e rano rappresentati allegoricamente ide stini umani nell' altro mondo. Vi si mo stravano degli spettri erranti nelle te nebre, il dolore, la povertà, la morte,  e si faceva in seguito apparire il Tar taro con le furie tormentatrici dei col pevoli, e i Campi Elisi con le loro de lizie. In ultimo gli iniziati erano intro dotti nel luogo santo ove si vedeva la  statua del Dio risplendente di luce, e  lá si udivano cose che a nessuno era  permesso di rivelare. Quel secreto era  infatti molto essenziale per la maestà  della religione, imperocchè spesso si in segnassero cose che poco si accorda vano con le pratiche del culto. Non  solo si revocd in dubbio l'apoteosi  degli eroi, ma si dubitò perfino della  divinità degli Dei superiori. Tali erano  le concessioni che la Chiesa si vedeva  costretta a fare all' incredulità della fi losofia dominante! Per questo Dionigi  d' Alicarnasso diceva   lore, ma abborrenti i piaceri dei sensi,  condannanti il matrimonio. Colla loro  vita incomune e colla contemplazione  delle cose spirituali alle quali sempre  rivolgevano la mente, essi furono i pre Ascoltiamo ora i precetti di Visnhu  per ottenere l'estasi beatifica con mezzi  molto adatti a produrre unbuona con gestione cerebrale.    Il ragionamento non può spingersi  al di là delle nostre percezioni. Questa  è una verità così ovvia che fa meravi glia il vederla così spesso dimenticata.  Leibnitz può bene innoltrarsi oltre i  confini della sensazione, ma a patto  però che fra la premessa e la conse guenza del suo ragionamento, o non  vi sia rapporto alcuno necessario, o  l'una sia la negazione dell'altra. Infatti  quand'egli dice: vi sono esseri compo sti, dunque vi sono esseri semplici, ar gomenta nello stesso modo come sedi cesse: vi sono corpi, dunque non vi so no corpi. E veramente, se i composti  costituiscono i corpi, i semplici sono  la negazione dei corpi: l'una è l'affer verità generale che la filosofia può de- | mazione, l'altra la negazione. Ma an durre dall' eternità delle funzioni: ( v.  MORTE); e l'eternitàdella materia trova  un corrispondente nella eternità delle  Monadi. Ma il tortodi Leibnitz è quello  di giungere a questi risultamenti per  via di astrazioni, e di trasportare gra che i bimbi che vanno a scuola sanno  che nel sillogismo la conseguenza de ve essere sempre contenuta nella pre messa. Ora nell'idea di corpo è conte nuta l'estensione; la logica dunque mi  tuitamente le qualità dei corpi in certi  principii che non hanno alcuna delle  qualità che sono supposti di produrre.  Il difetto capitale del Monadismo, come  lo ha ben rilevato il prof. Justus, è  quellodi supporre che degli esseri ine stesi possano generare l' estensione ,  che dalla esistenzadei corpi composti  di parti possa logicamente dedursi  quella di cose semplici. Considerando  con attenzione la spiegazione del com posto, dic'egli, non si trova alcun dato  che ci possa condurre all'idea di essere  semplice. Gli esseri composti hanno  delle parti. Dunque la prima conclu sione che si potrebbe fareper taleprin cipio è questa: che dove esistono dei  composti, vi sono anche delle parti. Or  l'idea di parte non ci conduce anco ra a quella di essere semplice, poi chè gli esseri semplici son quelli che  non hanno parti: dunque per spin gersi più innanzi coll'induzione, non si  potrebbe dir altro, se non che, laddove  vieta di dedurre per conseguenza l'e sistenza di corpi inestesi. Posso bensl  dire: il corpo è compostodiparti, dun que esistono le parti; ma queste parti  partecipano alla natura del tutto d'on de emanano, e se io attribuisco loro  qualità diverse da quelle che aveva il  tutto, faccio una induzione difettosa.  Mail sillogismo è per lalogicaciò che  per l'analisi è la chimica: i risultati di  questi due processi se vengono riuniti  devono ricomporre il corpo, o il ragio namento decomposto. Ma se dalla riu nione di cose inestese non potrò mai  avere l'ideadel corpo esteso, dovrò con cludere che la conseguenza contiene  una nozione che non si trovava nella  premessa (V. DEDUZIONE E SILLOGISMO).  Tutto il Monadismo si fonda dun que sopra un artificio simile a quello  su cui si basa il Dinamismo (V. CAT TANEO) vale a dire che alle parole note  sostituisce parolenuove, che son la ne gazione di quelle; poi scambia le pa role nuove per cosevere, e queste con MONDO  sidera come esistenti, mentre quelle  che esistono nega.  Mondo. Quali fossero le opinioni  degli antichi sulla eternitàdel mondo si  può vedere in questo Dizionario all'art.  CREAZIONE. Il maggior numero dei fi losofi pagani credette che la materia  fosse eterna; e tuttavia parecchi fra  essi negando l'intervento della divinità  79  role: Platone rigetto mai sempre l'in finità dei mondi, e dubito del numero di  essi determinato e preciso. Concedendo  che poteva ben esistere, come volevano  alcuni, cinque mondi in ciascun elemen to, egli s'attenne però ad un solo. Un  altro filosofo diceva che il numero dei  mondi non era infinito, nè che ve n'era  un solo o cinque, ma cento ottantatrè  nella produzione della sostanza, ammi sero però che un ente divino avesse  atteso a dar forma acotale materia e terna secondo le attuali disposizioni del  mondo.  Prima d'allora, credeva Anassagora,  tutto eraconfusione, ma lo spiritovenne  ed ogni cosa fu ordinata (Laerz. lib. Il,  Sez, VI).  Questa opinione è pienamente con forme a quella della Bibbia, dove si  legge che nel principio era il caos, dal  quale Iddio formò (non cred,secondo il  testooriginale) il cieloe la terra. Perchè  fin Platone ammetteva che Iddio ave va, non creata, ma ordinata la materia  tal quale noi la vediamo ( Laerz. lib.  III seg. LXX): e gli stoici, ei plato nici professavano tutti eguale opinione.  Anzi, Platone e parecchi altri andaro no ancora più oltre, e attribuirono al  mondo un' anima, distinguendo con ciò  il principio motore dalla materia mos sa, e raffigurandosi il mondo quale un  immenso animale dotato di un princi pio individuo e di una vita propria. Per  i teologi, scriveva Macrobio, Jupiter è  l'anima del mondo; donde il detto di  Virgilio: Muse, cominciamo da Jupiter  poichè ogni cosa è piena di lui ( Virg.  Sogno di Scipione c. 17). Lo spirito a limenta la vita e l'anima sparsa nelle  vaste membra del mondo ne agita la  massa, e forma così un solo immenso  corpo (Saturn.)  La teoria della pluralità dei mondi  che alcuni credono affatto moderna, già  aveva trovato un eco fragli antichi, e  molti dei filosofi greci l'hanno ammessa.  Plutarco nel suo libro degli Oracoli  mette in boccaaCleombroto questepa i quali erano regolati in forma di trian golo, ciascun lato del quale conteneva  60 mondi e che altri tre mondi erano  aciascun angolo ». I Talmudisti cre devano che Dio avesse creati diciotto  mondi, e Maometto nel principio del l'Alcorano invoca il Signore dei mondi.  Quanto all'età del mondo sul quale  viviamo, le teologie ci hanno dati dei  numeri molto singolari e così diversi  danon sapersi proprio a quale aggiu star fede. Anche la Bibbia presen ta tre età differenti nell'antico Te stamento. Infatti, coll'anno 1876 ilmon do conterebbe:  Secondo le versione dei settanta,  anni 7345  Secondo il testo samaritano > 6180  > 5879  Secondo la vulgata  La teologia indiana ci offre dei cal coli assai diversi. Secondo il Riga-Veda  il mondo deve durare 12,000 anni, ma  un' altra versione fa durare il giorno  di Brama corrispondente a quello del  mondo 4,320,000 anni, divisi in quat tro età, l'ultima della quale, quella in  cui viviamo, dura da oltre 432,000 an ni, e dovrà finire quando l'ultimo quar to di virtù, che ancora esiste sulla ter ra, sarà finito.  Il cristianesimo fa correre più ra pidamente il mondo allasua fine. Gesú  aveva promessodivenire nella gloria del  padre suo, co' suoi angeli a giudicare  i vivi ed i morti.  E que' mille anni fu rono variamente valutati, finchè verso  la metà del decimosecolo,Bernardo da  Turingia, predicò che la finale catastrofe  sarebbe avvenuta al cominciare dell'an no 1000. E i ricchi donativi fatti alla  Pochi anni dopo, nel 1198, si sparse  di nuovo la voce della prossima fine  del mondo, non già col mezzo dei fe nonemi celesti, ma per la nascita del l'Anticristo in Babilonia alla quale do vera seguire la distruzione del genere  umano.  Nel principio del secolo decimo quarto, l'alchimista Arnaldo da Villano,  annunciò l'avvenimento per l'anno 1335;  e nel suo trattato De sigillis applicò  l'influenza degli astri all' alchimia, e sponendo tutte le formole misteriose  che dovevano essere atte a scongiurare  i demoni. San Vincenzo Ferreri, da fa moso predicatore spagnuolo quale egli  era, fissò al mondo tanti anni di esi chiesa in quel torno di tempo, e i te stamenti fatti colla formola appropi quante fine mundi, provano il grande  impegno che mettevano i ricchi per ri conciliarsi con Dio, e per presentarsi  con qualche merito al di lui giudizio. strutta in quell'anno stesso. Sul qual  stenza, quanti sono i versetti che si  contano nel Salterio, cioè 2537.  Il secolodecimosesto produsse il mag gior numero di predizioni su la diştru zione del genere umano.  Nel 1584 il famoso astrologo Leo vizio predisse che la terra sarebbé di Ma passò l'anno mille senzacataclismi,  ela fine del mondo fu rimessa all' an no 1033, perciochè fu detto allora che  i mille anni non dovevano contarsi dal  l'anno primo dell' era volgare, ma da  quello della morte del Salvatore, che  aveva incatenato >  ricchiti a buon mercato. La disdetta  toccata aqueste profezie, non sgomen tò il loro autore, chè anzi lo Stoffler,  insieme al famoso Regiomontano, pre disse di nuovo la fine del mondo per  l'anno 1588, senza che il mondo mo strasse di darsi alcunpensierodi quella | recchie, così riassunte da E. Diamilla  predizione.  Ma lasciamo queste sciocche predi zioni, tristi avanzi dei tempi d'ignoran za, e vediamo ciò che nel campo della  scienza può, in via d'ipotesi, logicamente  argomentarsi sul fine ultimo del nostro  mondo. Le ipotesi finora fatte sono pa Però una stella sconosciuta erasi  accesa improvvisamente nel 1572 nella  costellazione di Cassiope, sfolgorante di  tanta luce da rendersi visibile in pien  meriggio. E gli astrologhi divulgarono  essere dessa la famosa Stella dei Magi,  ritornata ad annunciare l'ultima venuta  di Cristo, che non si lasciò vedere.  Nuove predizioni sulla fine del mon dofurono fatte nei secoli XVII e XVIII,  e, ciò che non parrà credibile, anche  nel secolo nostro le predizioni conti nuarono.  Ènota all'universale la predizione di  Salmard Montfort pubblicata nel 1826,  laquale concedeva alla terra soli dieci  anni di esistenza.  La signora di Krüdner; la donna  mistica della Santa alleanza, l' amica  dell' imperatore Alessandro, profetizzò  laruina del nostro pianeta pel giorno  13 gennaio 1819; e sette anni dopo Sal mard Montfort prediceva la distruzione  della terra per l'anno 1836.  Nel 1840, un prete francese, Pierre  Louis, dedicò a Gregorio XVI un com mentario dell' Apocalisse, che stabiliva  la fine dei secoli per l'anno 1900. E la  ragione era questa:  Muller.  Buffon aveva calcolato che la terra  per raffreddarsi e ridursi alla sua tem peratura attuale, aveva dovuto impie gare 74,831 anni, e che l'umanitá po trebbe vivere ancora 93,291 anni prima  che la temperatura della superficie ter restre si rendesse tanto freddadaestin guere la vita. Ma quando si conobbe  che il calorico interno del globo non  ha nessuna influenza alla superficie, e  che la vita terrestre dipende esclusiva mente dal sole, il calcolo di Buffon fu  trascurato.  Una seconda ipotesi, fondata eziandio  sul raffreddamento della terra, suppone  che quando la sua temperatura sarà  divenuta eguale a quelladel ghiaccio, il  suolo si spaccherà come quello della  luna, e l'ultimo avanzo d'aria e d'acс qua si fisserà in quelle caverne, ove gli  uomini potranno trovare un rifugio, fin chè l'aria e l'acquanonsiperderanno  in modo definitivo. Ma poichè la terra  èquarantanove volte più grossa della  luna, dovrà vivere 49 volte di più.  Un' altra ipotesi, la più antica fra  tutte, è quella che prevede la fine del  mondocolfuoco. Questa teoria risale ai  tempi di Zoroastro, degli Ebrei, e dei  padri della Chiesa. La superficie del   nessuna delle quali  ha ottenuta l'universalità. MONTESQUIEU  89  nella calma delle passioni egli potè con servare quella moderazione nei desideri  Famaraviglia che opinioni si poco  ortodosse abbiano potuto stamparsi e  diffondersi in un secolo in cui la tor- | che rendono la vita piacevole a se, e  tura e l'inquisizione erano le forme or dinarie del procedimento giudiziario ;  manondimentichiamo che Montaigne,  come disse Rousseau, dormiva fra due  guanciali: quello del dubbio da una  parte, e dall'altra quello del domma  che riposa sopra l' autorità infallibile  della Chiesa.  agli altri gioconda. Nel 1721 egli mandò  alle stampe sotto il segreto dell'anonimo  le Lettere Persiane, romanzo che a' suoi  tempi ottenne grandissima voga, e me ritò molta rinomanza al suo autore.  Parlando di queste lettere, il celebre  d' Alembert scriveva: « La pittura dei  costumi orientali, reali o supposti che  siano, non è che la minima parte di  questo scritto. Per così dire, l' Oriente  non è altro che il pretestoperfare una  sottilissima satira dei costumi nostri. »  E in realtà, per quei tempi, le lettere  persiane potevano parere arditissime,  inquantochè Montesquieu chiaramente  scriveva che il papa è unvecchio idolo  Montano Eretico nato in Ardban  nella Frigia. Con le convulsioni e i con torcimenti soliti nei profeti, pretese di  essere inviato da Gesù Cristo per puri ficare i costumi e riformare la morale.  Negava la potestà della Chiesa nell'as solvere i grandi delitti; voleva che, non  una, ma tre quaresime si osservassero  con digiuni straordinari e due settimane | che s'incensa perabitudine (lettera 29);  di Xerofagia, nelle quali sidoveva aste nersi, oltre dallecarni, da ogni cosa che  avesse succo; le seconde nozzeconsiderò  siccome adultere ; e il sottrarsi alla per secuzione dichiarò delitto. Due donne,  Priscilla e Massimilla, lo seguirono e  profetarono con lui. O maligni o matti  ch'essi fossero, non mancarono però di  seguaci ; aCostantinopoli stabilirono una  setta, e si spinsero fin nell'Affrica, ove  acquistarono al loro partito uno dei più  famosi padri della Chiesa, Tertulliano.  Se tutti praticassero le austerità imposte  da Montano è lecito dubitare: tutti lo  avevano in grande venerazione, lo cre devano inspirato dalParacleto e perciò  dicevano che le sentenze di lui supe ravano in sapienza le stesse massime  che allorquando Iddio mise Adamo nel  paradiso terrestre col divieto di man giare un certo frutto, gli impose un  precetto che era assurdo per un essere  che conosceva la futura determinazione  delle anime (lettera 59); eche il papa  al postutto è un mago ilquale vuol far  credere che tre nonsonoche uno, e che  il pane non è pane. » Fu in grazia di  questo libro che la elezione di Monte squieu all'Accademia francese fu viva mente combattuta dal cardinale Fleury,  il quale in nome del renon vi consenti  infine senza molte sollecitazioni. Dopo  unlungo viaggio nei varipaesi d'Europa,  tornato inFranciasi accinse ascrivere lo  Spirito delle leggi, libro profondo di  di Gesù.  Montesquieu ( Carlo di Secon dat barone di) Nacque a Bordeaux nel l'anno 1689 da ricca e nobile famiglia,  Nel 1716 fu nominato presidente per scienza e pregevolissimoper le congni zioni storiche, sebbene non tutti i principi  propugnati possanodirsi egualmenteveri.  Egli vi riconosce le leggi di Dio e  quelle della natura, e confutando Hob bes pretende che i selvaggi, anzichè  petuo delparlamento di Bordeaux e poi | combattersi, si uniscono in prima per  eletto membro dell'Accademia poco pri ma fondata in quella città. Per suapro pria confessione, Montesquieu fu uno  degli uomini più felici che mai siano e sistiti: nè invidia, nè gelosia vennero  mai a tormentare la sua ambizione, e  adempiere alla legge naturale della so ciabilità. Ma avrebbe detto più giusta mente che i selvaggi si uniscono e si  combattono al tempo stesso , poichè  quest'unione ha per movente il solo in teresse momentaneo e si risolve in 90  MORO  aperta guerra tosto che cessa questo intero in ogni parte del corpo, poichè  interesse (v. MORALE). In fatto di reli- cid varrebbe adire che la parte è e gione lo Spirito delle leggi, pubblicato | guale al tutto; pure occorreva aMorus  da Montesquieu in età avanzata assai,  non è tale che possa far credere che  l'autore avesse modificate notevolmente  le sue idee. Crede che il cristianesimo  di stabilire che lo spirito esisteva in  qualche luogo, e per ciò fare invento  due estensioni, l'una materiale ed este riore, l'altra spirituale, interiore; la pri ma, come direbbe Kant, estensiva, la  seconda intensiva. Create le parole ,  non sia religione adatta all'Asia, e di sapprova lo zelo dei missionari che  vanno predicando lafede nell'Oriente, e  nella Cina per costringere i popoli a  cambiare lareligione. Combattendo l'in tolleranza del suo tempo, egli scriveva  questa massima memorabile, la quale | speculativi di credere che le parole da  parve aMore di aver creata la cosa, e  poichè le parole eran diverse, credette  anche che diverso dovesse esserne il  significato, poichè è abito de' filosofi  fu una delle accuse che la facoltà di  teologia mosse contro al suo libro: Con viene onorar Dio e non vendicarlo mai.  Nonostante queste disposizioni della sua  mente, dicesi che Montesquieu sia morto  riconciliato colla Chiesa. Tanto almeno  affermò il padre Routh, gesuita, in una  lettera al nunzio del papa a Parigi,  nella quale afferma che l'incredulo si è  a lui confessato abiurando tutti i suoi  errori. Ma di queste ed altre abiura zioni è sempre lecito dubitare, non a vendo esse altrotestimonio che la troppo  interessata coscienza dei signori con fessori.  More (Enrico) in latino Morus.  Nacque a Gutham nel Lincolnshire il  12 ottobre 1614 efu unodei propugna tori della scuola platonica in Inghilter ra. Ammetteva che la ragione potesse  introdursi anche nella teologia, poichè,  aparer suo, nulla vi era nel cristiane simo, chele fosse contrario. Combat  teva l'entusiasmo delle turbe, conside randolo giustamente come una malattia  contagiosa, mentre d'altro canto am metteva come cose vere tutti i racconti  popolari che potessero provare l' esi stenza di un mondo spirituale. Bello è  vedere in qual modo egli stabilisca l'e sistenza dello spirito entro il corpo, in  tutte le parti del quale diceva che non  si può credere che lo spirito sia dif fuso , senza ammettere che come il  corpo risulti composto di parti. Nem meno si può credere che lo spirito sia  essi inventate esprimano veramente le  cose come sono.  Moro (Tommaso) Nacque aLondra  nel 1480, studio all'università d' Oxford  e fu presto elevato alla dignità di Gran  Cancelliere da Enrico VIII, carica nella  quale durò due annisoltanto,dopo iquali  si ritirò in una sua villa e Chelsea. Ma  sopraggiunta la rivoluzione religiosa in  seguito all' affare del divorzio, rifiuto  di giurare per la supremazia religiosa  del príncipe, che sottraevasi così alla  Corte di Roma, fu rinchiuso nella Tor re e il 6 luglio 1535, persistendo nelle  sue convinzioni cattoliche, fu mandato  al patibolo.  È strano che un uomo di convin zioni così fermamente cattoliche abbia  scritta ' Utopia; ma ricordiamo che  questo libro, fatto nella sua gioventú,  comparve nel 1516 aLovanio in latino,  col titolo: Del migliore degli stati pos sibili, e dell'isola d'Utopia nuovamente  scoperta (De optimo reipublicæ statu,  deque nova insula Utopia). In questo  libro che fu tradotto in tutte le lingue  d'Europa, Moro descrive un'isola imagi naria, nella quale la comunità dei beni  coesiste col matrimonio e colla famiglia.  Il principe è eletto avita; il divorzio con cesso solo neicasi di adulterio; le città  hanno ciascuna una religione di propria  scielta, e la tolleranza è generale. Il  governo d'Utopia riposa su queste tre  basi: assoluta divisione dei beni edei  mali fra i cittadini amore fermo e MORALE  91  universale della pace- disprezzo del- | riti sono cost differenti e d'altronde le  l'oro e dell'argento.  Ho vergogna di ceva Moro, di non poter dire con pre cisione in qual mare sia situata l'isola  di cui parlo ». E nel 1517 Budée scri veva: Aforza d'informazioni, ho scoperto  che l'Utopia è situata al di là dei li miti del mondo conosciuto ».  Morale. Lamorale è ilfondamento  dell'etica. Essa è la regola dei costumi  e per essa si stabilisce l'ordine mediante  il quale gli uomini viventi in società  sono condotti a godere, senza contrasti  religioni stesse cost ben st accordano nel  condannarsi vicendevolmente, che non si  ha bisogno inquesto caso,d'altra testi monianza che di quella che esse mede sime spontaneamente ci forniscono le  une contro le altre. Ma anche trala sciando la parte cerimoniale, eoccupan doci di quelle sole massime le quali  sono date come regola dei costumi, le  contrarietà che si notano fra i vari co mandamenti ofraessie le prescrizioni del laciviltànostra, sono tali e tante, damet morale, in un gran brutto impiccio. Po e senza lotte, la maggior felicità possiter l'uomo che va intracciadi una sana  bile. Determinare i doveri ed i diritti,  acciocchè gli atti nocivi agli individui  o alla società siano impediti, eincorag giati invece quelli che ridondano a van taggio dell' umano consorzio, è dunque  ufficio della morale. Sotto questo rap porto si può dire che la morale di un  chi esempi basteranno aconvincerci.  Prendasi il Codice di Manou, se non  il più antico, certo uno de' più antichi  codici sacriche siconoscono. Ivi si legge  popolo è la più esattamisura della sua  civiltá.  Intorno aquesti principii che sem brano tanto ovvii, non tutti però si ac cordano; e perdurano ancoracerte scuole  filosofiche le quali si ostinano a dare  alla morale ben altro fondamento. II  maggior numero si accorda ancora con  la teologia, e ammette tra la religione  1  che il bramano venendo al mondo è  collocato innanzi a tutti sopra la terra,  sovrano signore di tutti gli esseri.....  Tutto quanto il mondo racchiude è,  in certaguisa, sua proprietà. » (Lib. 1.  versetti 99-100). Questo santo uomo ha  tutti i diritti ed assai pochi doveri, fuori  di quelli religiosi. 11 Kchatrya lo difen de, il Vaicya lavora per lui. Se la sua  donna gli è infedelé, il re la faccia di vorare dai cani sopra una piazza pub blica assai frequentata. (Lib. VIII, ver setto 37) Egli condanni l'adultera ed il  suo complice ad essere bruciati sopra  un letto di ferro arroventato (L ib. VIII  verso 372) In ricambio convien essere  pieni d' indulgenza per le sue piccole  imperfezioni, dappoichè per essere bra ela morale una così intima unione, da  non permettere che questa si separi da  quella senza distruggerla; epperò le a zioni degli uomini vuole che siano o  non siano morali in quanto si confor mano aiprecetti religiosi. Hanno costoro  lapretesa, comune del resto a tutti gli  altri, che la morale è unica ed univer- | mani non si cessadi esseruomini. « Se  sale, propria, cioè, di tutti gli uomini  e di tutti i tempi, e non si accorgono  che così affermando pronunciano lapro pria condanna. Imperocché i principii  morali d'ogni religione son cosi diversi  fra di loro, e bene spesso così opposti,  che il volerli conciliare insieme è im presa, nonchè da tentarsi, neppur da    (Lib. XI vers. 130 o 131).  Conmaggior ragione ilbramano ha  il diritto di obbligare il soudra, « che  >  (Lib. VIII vers. 13). Se meglio gli ag grada può derubarlo con tutta pace  di coscienza, così dice il codice (Lib.  VIII verso 417). Che se il Soudra, que sto essere infame, prodotto dalla parte  inferiore di Brama,ha poi l'audacia di  dare dei consigli al bramano, un terri bile castigo gli è riservato. « Il re gli  faccia versare dell' olio bollente nella  bocca e nelle orecchie. (Lib. VIII. verso  299). Se egli ha l' audacia di prendere  costituire agli occhi di Manou lagra vezza del delitto e che solo espone alla  punizione. « Il Dawdja, dice il codice, posto allato ai gloriosi bramani, deve  >  (Ecclesiaste, XXXIII, 28, 29, XLII, 1,5,)  Il divieto di colpire il figlio per lecolpe  del padre. (Deut , XXIV, 16) è degno  di nota; ma è però singolare che lo  stesso Pentateuco in altri passi contra sti il merito di questa disposizione le gislativa, rappresentando la divinità co me disposta acolpire l'iniquitàdei padri  sui figli sino alla decima generazione, e  imponga una pena,allora infamante, ai  bastardi. (Deut., XXX, 2)  Fragli altri popoli dell' antichitànon  sarebbe difficile trovare esempi nume rosi di morale depravata, secondo le  nostre idee. Di eid che pensassero gli  antichi intorno alla continenza e alla  lussuria si è lungamente discorso in  questo Dizionario all' articolo AMORE,  dove si vedranno donne offerenti nel  dei, ed uomini deliranti , che si re cidono le parti genitaliperguadagnarsi  il paradiso. Di sacrifici umani per pla care la collera degli Dei son piene le  cronache antiche, e non si può affer mare con sicurezza che ancor non si  rinnovino tuttodi in qualche lontana  parte della terra. Per lo meno, il signor  de Varigny ci assicura che nelle isole  Sandwich lamemoriadi queste ecatom be di vittime umane immolate sull'altare  degli Dei, è viva ancora nelle tradi zioni di quei popoli, fortunatamente or mai incamminate sulla via della civiltà  (Viaggio alle isole Sandwich)  Tali sono i risultati della universa lità della morale religiosa. Ma vi è una  certa classe di filosofi, i quali non vo lendo assumere la responsabilità delle  contraddizioni teologiche, e riconoscendo  che una separazione tra i dommi reli giosi ed i morali è necessaria, respin gono l'appoggio che spontaneamente  offre a loro la Chiesa, e fondano ad drittura l'ordine morale o sopra Dio,  come facevavano i deisti del secolo pas sato, o sopra certi principii metafisici  nei quali l' oscurità è un carattere pre dominante. Gli uni e gli altri press' a poco ragionano all' istensamaniera, poi chè suppongono che, non già nella re ligione, ma nella stessa natura umana  siano i caratteri ingeniti, indelebili della  morale. Se non che i primi ammettono  che questo carattere, o questa intuizio nemorale, sianostati impressı da Dio al l'uomo siccome facoltà innata; gli al tri l'origine non curano e, come fa cevano gli scrittori della Morale Indi pendente, si occupano del fatto che tro vano, senza cercare, del come sia av venuto. « La nozione del dovere, dice  De Gerando, è una nozione semplice,  primitiva, che non può definirsi, colla  decomposizione in altri elementi, ma si  affaccia alla riflessione quando interroga  i fatti intimi della coscienza  ...  La  legge morale è obbligatoriaper se stes sa, è riconosciuta e applicata dalla ra T 96  MORALE  gione; e riscontra nella coscienza una  facoltà, un senso speciale, che può, a  buon diritto, essere chiamato il senso  morale». In tal manieracome giàBaum garten ebbe l' infelice idea di trovare  un senso speciale per l' estetica, De  Gerando ne trova un' altro per la mo rale. Ma sappiamo oramai quanto val gono questi sensi speciali con cui alcu ni filosofi troppo corrivi sogliono in  realtà occultare le loro nebulose teorie,  non possibili a concepirsi coi sensi veri.  Confesso che creando sensi nuovi, facile  fondamento si dà a qualsivoglia teoria,  per strana ch' ella sia; ma il vantaggio  èdi poco momento, poichè la vera dif immagin AC  ficoltà non consiste nel creare cotesti  sensi, ma sì nel provare che essi esisto no veramente. Ma quando coi cinque  sensi che possediomo, e che la fisiolo logia solo riconosce; quando colle no stre passioni possiamo spiegare i feno meni che sembrano più ribelli agli ar gomenti della scuola spiritualistica, non  vedo proprio qual necessità ci siadi in ventare o di supporre nuovi sensi o  nuove facoltà, che sempre mancano di  banditi delle caverne e fra le associa zioni dei più grandi scellerati; dimodo chè coloro che sembrano avere rinun ciato ad ogni carattere d'uomo, sono  fedeli gli uni agli altri e osservano fra  loro le regole della giustizia. lo am metto che i banditi usino così fra di  loro, ma nego che ciò avvenga incon siderazione delle regole di giustizia e  pei principii innati che sono impressi  nella loro anima. Essi osservano que sti principii soltanto come una regola  di convenienza assolutamente necessa ria per conservare la loro associazione.  La giustizia e la verità sono i vincoli  necessari d'ogni associazione d' uomini,  ed è per questo che i banditi e i ladri  sono obbligati di osservare la fedeltà, e  qualche regola di giustizia fra di loro;  senza di che essi nonpotrebbero vivere  insieme.  Si dirà forse che la con dotta dei briganti é contraria alle loro  cognizioni, e che essi approvano tacita mente nella loro anima, ciò che smen tiscono colle azioni. Rispondo prima mente che ho sempre credutochenonsi  potesse meglioconoscereil pensiero degli  dimostrazione.  Or, De Gerando non si è curato di  ciò cha prima di lui con tanta evidenza  aveva detto la scuola sensualistica. Im perocchè Locke avesse già discussa e  sciolta quest'ardua questione. Ecco cosa  scriveva il filosofo inglese. Per sape re se vi sia qualche principio dimorale  nel quale tutti gli uomini convengono,  io mi richiamo a tutti coloro ch'hanno  qualche conoscenza della storia del ge nere umano, e che hanno, percosì dire,  perduto di vistailcampaniledel lorovil laggio.Mi dicanoessi ove si trovi questa  verità pratica che sia universalmente  riconosciuta, come dovrebbe essere se  fosse innata? (e sarebbe innata se un  senso speciale fosse stato dato all'uomo  per percepirla). La giustizia e l'osser vanza dei contratti par che siail punto  sul quale gli uomini si accordano per  dare il loro consenso. É un principio,  per quanto si dice, accolto perfino dai  uomini che dalle loro azioni.  ..  Sela  natura si è data la pena di imprimere  nell'anima nostra dei principii pratici,  certo dev'essere stato affinchè essi siano  messi in opera; e per conseguenza de vono produrre delle azioni conformi, e  non già un semplice consenso che li  faccia ricevere siccome veri. Confesso  che la natura ha dato a noi tutti il  desiderio di esser felici e una grande  avversione per la miseria. Son questi  dei principii pratici veramente innati, i  quali secondo la destinazione di ogni  principio pratico, hanno una continua  influenza sulle nostre azioni.  ..  L'os servanza dei contratti è certamenteuno  dei più incontestabili principii di mo rale. Ma se voi domandate a un cri stiano che crede alle ricompense e alle  pene future , per qual ragione devesi  tenere laparola, vi risponderà: Perchè  Dio, arbitro supremo della felicità e  della infelicità eterna, ce lo comanda. MORALE  Un discepolo di Hobbes dirà: che il  pubblico vuole che così si faccia, e che  Leviathan punirà i trasgressori. Infine  un filosofo pagano avrebbe risposto che  il violare lapromessa è cosadisonesta,  indegna dell'eccellenza dell'uomo, econ traria alla virtù, la quale inalza la  97  se ne troveràuno solo il quale abbia  sufficiente forza per sopportare il bia simo e il disprezzo continuo della so cietà in cui vive.  «Si dirà forse che poichè la co scienza ci rimprovera l'infrazione delle  regole morali, devesi inferirne che noi  natura umana al più alto grado diper fezione possibile. Da questi differenti  principii deriva naturalmente lagrande  diversità d'opinioni che siincontrano fra  gli uomini intorno a certe regole di  morale, secondo le differenti specie di  felicità a cui tendono.  Oltre le leg gi religiose e civili, v'è ancora lalegge  di opinione o di riputazione, che ci fa  essere morali. È chiaro che i nomi di  virtù e di vizio considerati nelle loro  applicazioni particolari sono costante mente attribuiti a tali o tali altre a zioni, che in ciascun paese e in ogni  società sono reputate onorevoli o ver gognose. Or chiunque si immagina che  l'approvazione e il biasimo non siano  dei motivi sufficienti per obbligare gli  uomini a conformarsi alle opinioni e  alle massime di coloro fra i quali vi vono,non parrebbe molto instruitonella  storia del genere umano, la maggior  parte del quale si governa principal mente, colle leggi della pubblica co stumanza. D'onde risulta che essi pen sano sopra ogni cosa a conservare la  stima di coloro che frequentano, senza  darsi molta pena per le leggi di Dio o  per quelle dei magistrati. Alle pene  che sono attribuite all'infrazione delle  leggi di Dio, alcuni, e forse il maggior  numero, non pensano seriamente; efra  coloro che vi pensano, molti sperano  di mano inmano che violano queste  leggi, che un giorno si riconcilieranno |  col loro autore! E quanto alle pene in- |  flitte dallo Stato, sperano sempre nel l'impunità. Ma non vi è uomo il quale  violando le consuetudini e le opinioni  di coloro che frequenta, ed ai quali  vuol rendersi accetto, possa evitare la  penadella loro censura e del loro dis degno. Sopradieci mila uomini, non  ne riconosciamo la giustizia e l'ob bligazione. Rispondo che queste regole  ci sono insegnate dall'educazione, dalla  compagnia che frequentiamo e dai co stumi del paese: e una volta stabilita  la persuasione della morale, lacoscien zanon diventa altro che l'opinione che  noi abbiamo della rettitudine morale  e della perversità delle nostre azioni,  secondo i principii appresi. Or se la  coscienza fosse una prova dell'esistenza  di principii innati, questi principii po trebbero essere opposti gli uni aglial tri, poichè certe persone fanno per  principio di coscienza, ciò che altre e vitano di fare per lo stesso motivo.    «Si trovano nella Mingrelia, scri veva Charpin citato da Buffon (Op. T.  10 р. 399), delle femmine bellissime,  che hanno un'aria maestosa e il porta mento ammirabile, e che spirano dagli  occhi una dolcezza che innamora. Por tano un abito simile a quello dellePer siane, sono civili e affettuose, ma per fidissime, e non vi è ribalderia di cui  non facciano uso per farsidegli amanti,  per conservarli o perderli. Gli uomini  hanno similmente molte cattive qualità.  Vengono educati al ladrocinio, e in MORALE  99  questo esercizio fanno consistere il loro | favore d'essere sepolti vivi, i figli più  impiego, il loro piacere e la loro glo ria. Raccontano con estrema soddisfa zione i loro furti, e vengono perciò lo dati universalmente. L'assassinio, il fur to, la menzogna sono per essi azioni  assai belle. Il concubinato, la bigamia,  e l'incesto vengono considerati come  abitudini virtuose. Gli uni rapiscono le  mogli degli altri, prendono senza scru polo la zia, la nipote, e la zia della  propria moglie; sposano due o tre don ne in una sola volta, e mantengono  quante concubine vogliono. Imariti mo strano pochissima gelosia per le loro  mogli; e quando le trovano sul fatto  con qualche galante, hanno diritto di  obbligarlo a pagare un porco; e nonsi  pigliano d'ordinario altra vendetta, e  mangiano fra loro tre l'animale. Pre tendonoche siaun costume assai buono  elodevolissimo quello di avere molte  femmine e concubine, mentre per tal  modo si procreano molti figliuoli, che  si vendono a denaro contante, o si cam biano con vestimenti e viveri. >  L'abbandono dei malati, quello dei  parenti troppo vecchi od infermi, è una  regoladella maggior partedei selvaggi.  Gli Esquimesi si prendono la cura di  costruire una tana di ghiaccio nella  quale li richiudono ancor viventi; ma  i Neo-Caledoni non si danno poi tanta  fatica. Scavare unafossa e gettarvi den tro ancor vivi i genitori decrepiti, od i  malati tediosi, è un procedere più spe dito e che la morale neo-caledone non  condanna. Il paziente d' altronde trova  questo trattamento affatto naturale; tal volta anche si prende la briga di sca vare da se stesso la sua fossa, e solo  domanda ai suoi parenti il lieve servi zio di un colpo di mazza. (De Rochas Nouvelle Caledonie.)  AViti (Lubbock- Les Sauvages  modernes d'apres Williams et le capi taine Wilkes ) se accade che i vecchi  genitori, sia per dimenticanza, sia per  un amore smoderato ed inconveniente  della vita, ritardino un po' troppo il  o meno dolcemente insinuano loro come  sia veramente tempo di farla finita;  dopo di che il seppellimento si compie  alla piena luce del sole, non senza so lenizzare lacerimoniaconunbanchetto,  al quale sono convitati i membri della  famiglia ed i genitori stessi. I mede simi Vitiani, allorquando muore un  personaggio di qualche importanza, han no l'abitudine di seppellire con lui le  sue donne predilette e qualche schiava,  che hanno però la cura di sgozzare.  Ghiotti oltre ogni diredellacarne umana,  questi isolani ingrassano gli schiavi per  mangiarli. Talvolta li arrostiscono vivi  per divorarli tosto; tal altra aspettano  agustare il cadavere fin che abbia rag giunto un certo grado di putrefazione.  A Viti ogni pasto officiale deve avere  un piatto d'uomo nella sualista, e mol to disdirebbe se ciò non fosse. Tenero  come l'uomo morto, è il più grande  elogio che si possa fare d'una vivanda  qualunque; e perciò la carne umana ha  un nome significativo: puabba balava,  ossia lungo porco.  OgniVitiano chesia ben allevato, fino  dalla sua infanzia ha appreso abasto nare la madre sua, e la sua maggiore  ambizione è d' arrivare fino ad essere  un grande assassino, ad acquistare, per  esempio, la meritata considerazione di  cui godeva Ra Undre-Undre capo dei  Raki-Raki, che potevagloriarsi di aver  mangiate novecento persone da solo,  senza permettere a chi si fosse di pren dere la sua parte. I Vitiani d' altronde  sono intelligenti, assai cerimoniosi, indu striosi e d'una squisita politezza.  Nella NuovaCaledonia troviamo dei  gusti e dei costumi analoghi. I quaranta  o cinquanta mila individui che abitano  questa fertile isola, trascorrono la loro  vita nello scannarsi reciprocamente, so vente, senza altro motivo che il deside rio d'aggiungere un pezzo d'uomo agli  ignami ed alle radici che costituisco no il loro abituale nutrimento. Di so lito è una tribù vicina che fornisce 100  MORALE  il miglior piatto delbanchetto, ma tut tavolta non è raro di vedere un capo  invitare gli amici a mangiare qualche  duno de'suoi servi. All' infuori del pa ziente, tutti trovano che è questa una  pratica assai semplice,legittima, ed an che gloriosa per il principe. Un capo  della tribù di Heinguène chiamato Bou rano messi a morte dai loro genitori.  Bougainville nel suo Viaggio intorno  al mondo, così parla della sua perma nenza all'isola di Taiti.  Ogni giorno,  >    Acciajo  >  Piombo>  12  Carta  13  Cartone>  14  14  Crine  15  Vermiglio  Paglia  16  15  Biondo  .  ecc  .  Bronzo  .  >  Nove  Dieci  11  Fante  12  Dama  Re  .  ecc  Leone  12  Anna  .  ecc  PAESI  OGGETTI  Italia  Alfonso  Fazzoletto  Spagna  Temperino  Svizzera  Camillo  Inghilterra  Francia  Berta  Moneta  Elisa  Ciondolo  Ventaglio  Alberto  Occhiali  Anello  Adriana  Chiave  11  Suggello  Catena  .  ecc  Germania  Prussia  Russia  Turchia  Belgio  .  ecc  MAGNETISMO  135  ecc  ecc 136  MAGNETISMO ANIMALE  Per meglio intendere la cosa, fac ciamo un breve esperimento.  Noi  siamo in una brigata di parecchie per sone delle quali conosciamo perfetta--  mente il nome, ed a cui abbiamo già  fatto riferire un numero per distinguer le. Dopo brevi passi magnetici, la no stra sonnambola sbadiglia alcun poco,  socchiude gli occhi e ci fa la grazia di  addormentarsi. In questo esperimento  si può bendare gli occhi alla sonnam bola, sebbene d' ordinario i magnetiz zatori non si prendano questa briga.  Ma essi agiscono con una chiave più  complicata, anche con segni non vocali,  come più innanzi vedremo, e la son nambola ha allora bisogno degli occhi.  Dopo aver reclamato dall' adunanza il  silenzio e la fede, perchè non sia stur bata l'efficaciadel fluido, incominciamo  l'azione.  D. Vi sentite in istato di completa  lucidità?  R. Mi pare di poter soddisfare al  vostro desiderio, tuttochè mi senta abdiglia alcun poco,  socchiude gli occhi e ci fa la grazia di  addormentarsi. In questo esperimento  si può bendare gli occhi alla sonnam bola, sebbene d' ordinario i magnetiz zatori non si prendano questa briga.  Ma essi agiscono con una chiave più  complicata, anche con segni non vocali,  come più innanzi vedremo, e la son nambola ha allora bisogno degli occhi.  Dopo aver reclamato dall' adunanza il  silenzio e la fede, perchè non sia stur bata l'efficaciadel fluido, incominciamo  l'azione.  D. Vi sentite in istato di completa  lucidità?  R. Mi pare di poter soddisfare al  vostro desiderio, tuttochè mi senta abbattuta. Vi prego perciò di non affati carmi troppo.  D. Terrò conto della vostra racco mandazione.  Intanto VEDIAMO se sapreste dirmi il  colore di questo oggetto ?  R. È bianco.  D. GUARDATE qual' è la sua forma.  R. Quadrata.  R. Elisa.  D. ORA ditemi qual mano vi ha mo strato  R. La sinistra.  D. GUARDATE quante dita ella alza.  R. Quattro.  D. E ADESSO quante ?  R. Soltanto due.  D. VEDIAMO che forma ha l' oggetto  che tiene in mano Camillo.  R. Rotondo.  D. POTRESTE voi dirmi che cosa sia?  R. Una moneta.  D. INDICATENE il metallo.  R. D' argento.  D GUARDATE bene in qual paese fu  coniata.  R. In Inghilterra.  D. POTRESTE dirmi a qualmano Elisa  ha posto l' anello che poc' anzi vi ha  mostrato?  R. Alla sinistra.  D. VEDETE a qual dito.  R. Al pollice.  D. ADESSO ditemi a qual falangedel  pollice.  R. Alla seconda.  D. DESIGNATE la persona che mi ha  dato un libro.  R.Alberto.  D. VEDIAMO- ORA- PER FAVORE a  qual pagina io apro il libro.  R. Alla pagina 190.  D. GUARDATE-ADESSO quest' altra pa D. ORA ditemi quale oggetto ha in gina.  mano Camillo.  R. Un anello.  R. Ad Elisa.  R. É la pagina 42.  D. Vi sentite abbastanza lucida per  D. INDICATE a chi appartiene l'anello. leggere?  R. Ohimè! vi ho già detto ch' era  D. PROCURATE di sapermidire a chi abbattuta. Di grazia, non vogliate dun Camillo lo ha consegnato.  R. A Giorgetta.  D. ADESSO ditemi con qual mano  Giorgetta lo ha preso.  R. Colla destra.  que stancarmi troppo.  D. Eppure bisogna che questi si gnori abbiano un saggio della vostra  chiaroveggenza  ...  Lo voglio!  R. Concedete almeno che legga una  sola lettera per volta  D. VEDETE ADESSO di che cosaè l'og getto sul quale essa pone quell'anello ? | questo esperimento mi affatica.  ...  R. Lo vedo è di carta.  D. INDICATE lapersonache vi mostra  una delle sue mani.  sapete che  D. Sia. NOMINATE la prima lettera di  questa parola.  R. (Dopo alquanto spasimo) è un C. MAGNETISMO ANIMALE  D. VEDIAMO la seconda.  R. È un A.  D. VEDIAMO PROCURATE di dirmi la  137  Unbravo magnetizzatore ha bisogno di  comunicare il pensiero senz'uopo di ri petere sempre le domande sopra una  terza.  R. È unR.  chiave troppo limitata e che a lungo  andare potrebbe essere avvertita; e  D. VEDIAMO ancora, GUARDATE I' ul- prestigiatori Castagnola e Sisti che si  tima.  R. È un O.  D. Benissimo. Tutti possono vedere  che qui è scritta la parola Caro. Ma  basta per la lettura. Passiamo ad altro  esperimento. PROCURATE di dirmi quante  carte ho in mano.  R. Sette.  D. VEDETE chi me ne prende una?  R. ÉAlfonso.  D. NOMINATE questa carta.  R. É il tre.  D. BENE. E quale?  R. Il tre di picche.  D. (agli spettatori). Ora io debbo  incaricarono di sbugiardare il magneti smo, produssero con un semplice giuoco  di memnotica, fenomeni tali di trasmis sione di pensiero, da rendere attoniti e  increduli gli stessi spettatori.  Il lato mirabile del giuoco, è quello  di indovinare il nome e l'uso e la for madi quei piccoli oggetti chegli spet tatori, d'ordinario, presentano in simili  circostanze, e di indovinare sopratutto  senza uopo, per parte del magnetizza tore, di dovere ad ogni volta variare la  domanda.  Al caso si può provvedere in due  modi: coi segni, o colla voce; ma me chiamare l' attenzione sopra un esperi- glio ancora con gli uni e con gli altri  mento difficile e che non potrebbe rin novarsi spesso senza molto affaticare il  soggetto. La mia sonnambola leggerà  un numero in cifre  ...  Chi avrebbe  la compiacenza di scriverlo sopra que sta carta?  ...  la signora  Benis simo ( alla sonnambola ) VEDIAMO, PO ...  TRESTE- ORA  PER FAVORE INDICARE  la cifra che la signora ha scritto su  questa carta?  R.(Dopoqualche sforzo) sono stanca,  non lo posso.  D. Eppure lo voglio!  R. È il numero 15,906.  Come ognunvede, il giuoco si riduce  aben poca cosa, ad un artificio sem plice, ed è davvero gran motivo di me raviglia che a cose tante dozzinali pre  stino ancor fede gran parte degli uo mini. Egli è pur forzaconvincersi, dopo  un certo numero di esperimenti, che  tutti i fenomeni di magnetismo si ridu cono a questo segreto. Veramente, la  tavola memnotica può essere cambiata  all'infinito. Quella che io ho dataè, co medissi, elementare, e l'esperimento con  essa non potrebbe impunemente ripe tersi senza pericolo d' essere scoperti.  insieme. Tutto l'arcano sta sempre nel  creare nuovi segni, o vocali o mimici,  che sieno abbastanza impercettibili per  sfuggire al più attento osservatore, e  questi poi non sono tanto difficili a for marsi, come può parere aprimagiunta.  Una vocale accentuata, una consonante  raddoppiata, un articolo premesso alla  domanda, bastano per dare un nuovo  numero. Un prestigiatore trasmetteva  alla consorte il nome di un oggetto,  senza che apparentemente mai cangiasse  il genere della domanda. All' altro  oggetto!- Tali erano le sole parole  che invariabilmente accompagnavano la  sua interrogazione. Ma quanti modi e  quante forme non ha la voce per pro nunciare una stessa parola? Infatti, per  il solo artificio della lingua, voi potete  dare a questa semplice domanda dieci  diversi significati, rappresentauti le disci  cifre, dalla cui combinazione possono  nascere tutti i numeri possibili.  Ν. Ι. L'altro oggetto  Dell' altro oggetto  All' altro oggetto  O l'altro oggetto  «2.  «3.  «4.  1 138  MAGNETISMO ANIMALE  Ed eccovi già, con unasemplice de clinazione, quasi quattro numeri. Non  occorre dire che gli articoli premessi, si  pronunciano rapidamente, quasi fossero  errori di lingua. Il quintonumero lo si  può comporre, per esempio, pronun ciando la rdella parola altro, col suono  francese, e per gli altri cinque, neces sari a comporre la decina, si raddoppia  la voce e si accentuano le sillabe. Con  questo mezzo voi trasmettete una sola  cifra, ma la combinazione dellaseconda  cifra può farsi con un altro alfabeto  tutto mimico. L'essere voltato a destra  piuttosto che asinistra, l'alzata dell'una  piuttosto che dell'altra mano, son tutti  segui che sfuggono all'osservazione de gli spettatori, ma che servono assai bene  alla sonnambula. Questa, infatti, ha già  studiato amemoria unaspeciale nomen clatura per la quale, al nome di ciascun  oggetto corrisponde un numero. E per chè il linguaggio dei segni non riesca  di soverchio intralciato per dover ri correre alla composizione di più nume ri, giova assai che i numeri siano di visi in parecchie tavole. Sicchè, il nu mero che, acagiond'esempio,viendato  colla voce si intenderà corrispondere,  poniamo, alla tavolaA, e quel che vien  dato col segno s'intenderà riferirsi al  numero speciale di quella tavola, equindi  al nomeche aquelposto vi si trova in scritto. Del resto, molti sono i mezzi  per comunicare il pensiero, ed è sem pre utile il comporre alfabeti di due o  tre sorta, pernon lasciarsi cogliere alla  sprovvista. Un magnetizzatore comuni cava il pensiero senza parola e senza  gesti: si poneva dietro alla sonnambola  ecolle braccia tese le inviavailpotente  suo fluido, sbuffando come un-mantice.  Chi avrebbe mai sospettato che egli  aveva composto un alfabeto sul sem plice modo della sua respirazione?  Per chi dunque voglia sinceramente  che l'osservatore siadotato diuna certa  penetrazione delle cose,diuna provata  esperienza e che sopratutto si trovi li bero da quegli impacci sociali,daquelle  deferenze, che d' ordinario in una riu nione di persone impediscono di dubi tare di tutto e di tutti, di non accredi tar fede all' altrui parola, di voler ve dere e toccare con mano ogni cosa, di  variare l'ordine degli esperimenti e di  volerli riprodotti in diverse circostanze.  Le arti dei magnetizzatori sonomolte e  varie e perciò la regolasicuraper isco prirle deveemergere, asecondadei casi,  dalla prontezza ed accortezza dell'osser vatore. Importanotareche ifenomenidel  sonno, della catalessi, dell' insensibilità  periferica dell' epidermide, del rallenta mento del polso e simili, non debbono  mai considerarsi come prove valide nella  questione. L'esercizio può produrre una  tensione de'nervi superiore all' ordina naria, e la semplice volontà di tendere  con forza i muscoli del braccio, può  rallentare la circolazione di quel mem bro. Talora anche si ricorre ad un cinto  di gomma elastica che circonda il brac cio sotto l'ascella, il quale con un  semplice movimento stringe le vene e  toglie il libero corso alla circolazione.  Io stesso sono riuscito con una gran  tensione dei muscoli e rallentando, per  quanto è possibile il respiro, a modifi care, se non a sopprimere del tutto, la  pulsazione di un braccio.  Fra-i fenomeni prodottidai magne tizzatori ve n'è uno che maggiormente  impone al pubblico, e che i magnetiz zatori tengono in serbo siccome l'espe rimento più adatto aridurre al silenzio  l'incredulità.  Sanno tutti che voglio parlare della  perforazione del braccio. I magnetizza tori sogliono in codesto caso trapassare  il braccio del supposto magnetizzato  con un lungo spillo d'oro, senza che il  paziente dia pur segno d' avvedersene,  e, cosa ammirabile, quand'eglino estrag gono dal foro quello spillo, non una  e senza idee preconcette esaminare i  così detti fenomeni del magnetismo a nimale, la buona volontà, se ne accer tino pure i lettori, non basta. Bisogna | goccia di sangue escedalla ferita. MAGNETISMO ANIMALE  Il pubblico che d'ordinario non sa  come si faccia quell' esperimento, ne  resta fortemente impressionato; le si gnore si coprono gli occhi per non ve derlo,e semai vigettanodi sbieco qual che occhiata, ne sono sì commosse, e  così leggiadramente atterrite, che guai  al malcapitato che in quel momento  139  mentre la gomma tende a distendersi  circolarmente intorno alla periferia, l'ago comprime bensì la parte rotonda dek  braccio, manon può piegarsi per ab bracciarne tutta lacirconferenza; d'onde  quel leggero stiramento della gomma  ches'increspa sui puntiestremi d'immer tentasse di disilluderle intorno al ma gnetismo.  Comepotranno esse persuadersi che  quell' esperimento che riesce sempre, e  sempre impone, non è gran fatto dolo roso, come generalmente si crede, eche  non occorre poi di essere magnetizzati,  nètampoco catalettici per sostenerlode gnamente?  Madacchè sono sull'argomento, vo glio pur persuadare i miei lettori, che  in tutto cotesto apparato d'insensibilità  non vi è cosa alcuna che veramente  meriti la loro sorpresa, dacchè il foro  non trapassa guari il muscolo del brac cio. Il magnetizzatore prende destre mente tra l'indice e il pollice la pelle  dell' avambraccio, latira a sè, in guisa  che quel tessuto sommamente elastico  corre facilmente dai punti estremi della  periferia, al luogo dove ledita lo strin gono, e al tempostesso formando come  una piega l' allontanano dal muscolo.  Ed èlàdove le dita tengono quel ri piegamento della pelle, il quale non è  più grosso di un mezzo centimetro,che  il magnetizzatore immerge l'ago da  sione e d' emersione. E appunto questo  leggero increspamento, che sempre si  osserva sulle persone così operate dai  magnetizzatori, come purelostudio che  questi pongono di volgersi in maniera  da non essere veduti dal pubblico nel  brevissimo momento in cui fanno de stramente quella operazione, mi con dussero nel convincimento che lo spillo  si immerge soltanto nella pelle, corre  tra il muscolo e il derma, e se n'esce  ancora dalla pelle senza avere offesa  alcuna parte sensibile. Cosi spiegata la  cosa si capisce subito la ragione per  cui da queste ferite, per solito, non e see mai sangue, o una goccia al più.  Salvo quei pochi e sottilissimi vasi san guignichesononelderma,nessuna vena  resta offesa, e la tensione del braccio  che viene alzato e tenuto immobile in  una finta calessi, lo spillo lasciato im merso per alcun tempo onde tutti gli  spettatori lo vedano e il sangue leg germente e internamente si raggrumi,  sono motivi che dovrebbero farci mara vigliare che dalla ferita sortisse sangue,  piuttosto che del casoopposto. Non ab biamoforsepiùdi unavoltaincertipaesi  veduto ai giovani vitelli e agli agnelli,  vivi ancora,tagliare la pelledelle gambe  posteriori presso l' unghia, estrarne i  tendini e con quelli attaccarli vivi col  parte aparte. Quindi, abbandonata la  pelle, quella ritorna al suo posto, la  piega si distende sopra l' ago e lo co pre quasi interamente,dimanierachè, ad  operazione finita, par che l'ago sia pas- | capo abbasso, acciocchè dalla ferita che  sato attraverso al braccio. Egli è come  se si stringesse fra le dita la manicadi  un vestito di gomma elastica. La gom macede, si allontana dal braccio e in  quel sottilissimo strato che resta fra le  dita si può immergere unospillo. Quindi  se la gomma vieneabbandonata, si di stende, comprime lo spillo contro il  braccio e là dove sono ifori forma due  lor si farà al collo più facilmente ne  sgorghi il sangue? Ebbene, spesso ho  veduto che da questi tagh, sempre ab bastanza ampi per poterne estrarre i  tendini, nonusciva goccia di sangue, o  tutt' al più rosseggiavano i margini  della ferita; e nel laboratorio fisiologico  del prof. Schiff, ho poi provato più di  unavolta aforare la pelle di un cane  vivo eterizzato senza che laferita, fatta  Ita  piccole crespe, cagionate dal fatto, che 140  MAGNETISMO ANIMALE  nel modo che si èdetto, accennasse pur  anche a rosseggiare. In conclusione, se  si pensa che i tessuti vivi trapassati  dallo spillo non presentano in com plesso un diametro maggiore di tre o  quattro millimetri, si capirà facilmente  che il dolore cagionato da quella ope razione deve essere ancora inferiore a  quello che si prova nell'innesto del va iuolo; e che perciò non occorre proprio  di essere magnetizzati per poterla so stenere senza presentare tracce visibili  di esteriore sensazione.  Orcotestoesperimento,fatto e rifatto  in privato, mi capitò appunto l' occa sione di ripetere in pubblico nell'estate  dell'anno 1875, quando una sfida vera mente singolare era stata bandita a  Firenze dal magnetizzatore Zanardelli.  In quella occasione ho pubblicamente  eseguita la perforazione del braccio  senza bisogno di ricorrere al magne tismo. Lo spillo d'oro adoperato era  lungo bennove centimetri; la distanza  fra il puntod'immersione e quello d'on deusciva dalla pelle eradi sei centi metri, sicchè sembrava che il braccio  fosse interamente perforato poco al di  sopra del suo diametro. Il dolore della  ferita, per quanto mi assicurò il prof.  Golfarelli, che gentilmente si prestò  come paziente , non fu maggiore di  quello che potrebbe recare una sem plice puntura cutanea, è dopo l' opera zione, nè nei giorni successivi, ebbe a  soffrire il più leggero incomodo. Ben si  vede dunque che una operazione fatta  in queste condizioni non può gran che  spaventare le nostre finte sonnambole,  e che se l'amore per laverità può  spingere gli uomini onesti a sopportare  ben di buon grado il leggero incomodo  di quella puntura, l'avidità dell'interesse  può renderlo sopportabilissimo a coloro  che si fanno credere magnetizzati.  Quando isignorimagnetizzatori siano  posti in condizioni che escludano ogni  possibilità di simulazione o di allucina zione, tosto tutte le meraviglie magne tiche scompajono, e il preteso fluido,  nonchè essere inetto a generare lachia roveggenza, è eziandio impotente apro durre qualsiasi apprezzabile effetto.  Fu questa conviuzioneche indusse la  Società dei Razionalisti di Firenze a  pubblicare il seguente concorso ma gnetico:  «La Società dei Razionalisti di Fi   (Wolf. Ontologia § 57 e 101.)  Io convengo pienamente con Wolf  che l'impossibile è nulla; ma sostengo  ancora che è nulla anche il possibile,  perciocchè ogni possibile che non sia in  atto, non esiste ancora, e ciò che non  esiste è nulla. Io ho un bel dire che  fra una mezz'ora possc sperare di avere  riempita questa pagina di fitta scrittura;  ma finchè quella scrittura non sia com parsa sulla carta, potrò io dire che  qualche cosa esiste? Il possibile è una  idea di pura relazione, e si riferisce al  fatti anteriori già osservati, che ci in ducono nella possibilità che fatti simili si  ripetano ; questa relazione non può dun que esistere senza la cosa a cui si rife risce. È la stessa distinzione che con vien fare per le funzioni in atto e quelle  in potenza. Finchè la funzione non si  estrinseca e diviene un fatto, non può  esistere. Io non posso dire che esista il  movimento di una locomotiva ferma,  sebbene sia possibile che si muova. So  bene che in potenza essa ha questa fa coltà di moto, ma finchè la facoltà non  si fa azione, moto non esiste.  Concludo che la nozione del possi bile, è nulta anch' essa, come quella  dell' impossibile. L'una e l'altra sono  dei puri concetti, e come tali esistono  subbiettivamente, solamente in quanto  ci rappresentano cose o fenomeni che i  sensi hanno percepito (possibile) o non  hanno mai percepito, e che perciò ri tengono impossibili.  Mi pare che Dumarsais definisca i  limiti del quesito nel seguente passo  del suo Trattato dei Tropi: « Gli og getti reali non sono sempre nella stessa  situazione: essi cambiano di luogo, spa riscono, e noi sentiamo realmente que sto cambiamento e questa assenza. Al lora accade in noi un' affezione reale,  per la quale sentiamo che non ricevia mo al un'impressione da un oggetto, la  cui presenza eccitava in noi effetti sen sibili: da ciò deriva l'idea di assenza,  di privazione, di nulla; di modo che,  sebbene il nulla sia in se stesso nulla,  questo vocabolo denota un' affezione  reale dell'intelletto ; cioè un'idea astratta  che noi acquistiamo coll'uso della vita,  nell'occasione dell'assenza degli oggetti  e di tante privazioni che ci recano pia cere o ci affliggono ».  Nullismo o Nihilismo. Dot trina dei buddisti, per la quale credono  essi che la suprema felicitá sia l'annien tamento del corpo e dello spirito; sorte  riservata ai soli beati, i quali cessando  di trasmigrare di corpo in corpo per OCELLO-LUCANO  dono lacoscienza di se stessi e si con fondono in Dio (v. BUDDHISMO).  175  rità oggidi perdute ; ma questa opinione  non ha altro fondamento che la ten Numero. Ciò che fu detto all'ar ticolo MATEMATICA, deve aver chiarita  la ragione per cui facilmente gli uomini  siano trascinati ad attribuire ai numeri  un valore simbolico che ad essi manca  assolutamente. Le operazioni che, gra zie all'aiuto dell' insegnamento tradizio nale, si compiono con grande facilità  mediante i numeri, e poi si riconoscono  esattamente corrispondenti alla realtà,  hanno fatto credere a molti che i nu meri non solamente fossero i simboli  dellecose, ma l'essenza delle cose stesse.  Di tal novero furono Pittagora e Pla tone, i quali introdussero nella filosofia  i simboli numerici, come se fossero per  se stessi dei principii propri a spiegare  le cose. Dei pregiudizi dei Pittagorici  intorno a questo argomento, così parla  Aristotile: >  (Matt. V 29,30). Nel suo vivo entu siasmo, Origene, interpretando alla let tera questo precetto, si recise le parti  genitali. La quale mutilazione fu ap provata da Demetrio suo vescovo. Ma  quando il nome e lafamadi Origene  lo fecero chiamare a Cesarea per inse gnarvi la scrittura nelle assemblee dei  fedeli, Demetrio cominciò ad essergli  contrario; e quando i vescovi di Cesa rea edi Alessandria lo ordinaronoprete,  Origene nel suo libro contro Celso  combattè le accuse che questo filosofo  epicureo moveva contro i cristiani; ma  il trattato di Celso essendo perduto,  nonci resta alcun mezzo per giudicare  il fondamento delle accuse, che dalla  confutazione  dalle citazioni di Ori gene; il quale se abbia sempre citato  fedelmente è lecito dubitare vedendo  com' egli descriva Celso, così accanito  nemico dei cristiani, e al tempo stesso  credente nei miracoli di Gesù.  Origene mort nel 263 in età di 69  egli disapprovò vivamente quella ordi- anni. Di lui così scrisse S. Gerolamo :  nazione, e disse essere Origene irrego lare, avendo commesso un omicidio so pra se stesso. Adund anche un concilio  contro Origene a cui fu intimato di  « Dopo gli Apostoli 10 considero Ori gene come il grande maestro delle  Chiese; l' ignoranza sola potrebbe ne gare tale verità. Io mi caricherei volen uscire d' Alessandria . L' ordinazione  vivamente combattuta da una parte e  con altrettanto calore sostenuta dai ve scovi di Alessandria e di Cesarea, ca giond molte turbolenze nella Chiesa, e  porse occasione a Demetrio di dimo strare gli errori dommatici che quel  dottore della Chiesa aveva introdotto  nel suo insegnamento.  Il Trattato dei principii contiene l'e sposizione delle sue opinioni religiose.  Secondo ogni evidenza Origene fu neo platonico. (v. NEOPLATONISMO). Platone  è il filosofo antico che ottiene le sue  maggiori simpatie, e nella sua filosofia  egli trova chiaramente annunciata la  Trinità. Le anime senza corpo egli non  concepisce; fuor di Dio egli non vede  che esseri in relazione colla materia,  dotati di corpo. Questo carattere della  teologia origenista ci rivela che l' idea  tieri delle calunnie di che gravato venne  il suo nome, purchè a tale prezzo io  potessi avere la sua scienza profonda  delle scritture ». Quantunque fatta da  un santo e da un padre della Chiesa,  non si può dire che questa dichiara zione sia molto ortodossa.  Origenisti. Coloro che fondan dosi sugli scritti di Origene, sostene vano che Gesù Cristo è figliuol di Dio  soltanto per adozione; che le anime e sistono prima di essere congiunte ai  corpi; che i supplizi deidannati avranno  unfine, eche i demoni stessi saranno li beratidallepene dell'inferno. Alcuni mo nacid'Egitto e di Palestina professarono  queste opinioni, le propugnarono con  pertinacia e furono cagione di gravi  scompigli nella Chiesa: ma vennero con dannati dal quinto concilio generale te nuto in Costantinopoli l'anno 553, e in OTTIMISMO  quellacondanna rimase avvolto lo stesso  Origene.  Erano allora gli origenisti divisi in  due sêtte; ma nell'una e nell'altra pro fessavano tutte le sentenze de'librid'Ori gene. I sostenitori della figliuolanza so 193  della grazia ha stabilito ilprincipio che  Dio non può operare che per la sua  gloria; d' onde conclude che Dio nel  creare il mondo lo ha fatto secondo  quell'ordine di cose che era più adatto  lamente adottiva di Gesù Cristo asseri vano altresì che nel giorno della risur rezione generale gli Apostoli sarebbero  fatti eguali aGesù Cristo; perciò furono  denominati isoscristi. Quelli che inse gnavano essere le anime umane esistite  innanzi all'unione coicorpi, furono detti  protocristi, voce indicante l'opinione che  sostenevano. Ignorasi donde sia venuto  aquesti il nome di tetraditi o infatuati  del numero quattro.  Non deesi confondere questo orige nismo con gli errori di un' altra sêtta i  cui partigiani vennero chiamati anch'essi  origenisti od origeniani da un Origene  loro capo, uomo affatto oscuro. Condan navano costoro il matrimonio ed asse rivano che qualunque più enorme atto  disonesto non è peccaminoso. I Santi  Epifanio ed Agostino che ricordano que sto sozzo origenismo confessano che  nessun motivo vi diede il celebre Ori gene, padre della Chiesa, ilquale, come  si sa, si tolse da se stesso le parti ge nitali per non cadere in tentazione (v.  EUNUCHI).  Osservazione.VediEsperimento.  Ottimismo. Sistema di chi af ferma che il mondo in cui viviamo è il  migliore dei mondi possibili; che Dio  stesso, sebbene sia onnipotente, non po trebbe farlo migliore di quel che è,  perocchè all'atto della creazione egli ha  appunto dovuto dispiegare tutta la sua  possanza per produrre opera degna della  sua perfezione. Malebranche e Leibnitz  furono i principali sostenitori di questo  sistema tutto teologico, col quale essi  intesero di confutare le obiezioni di  Bayle contro la provvidenza e l'unità di  Dio, dedotte dall'esistenza del male (v.  DUALISMO).  Malebranche nei suoi Dialoghi me tafisici e nel trattato Della natura e  amettere in evidenza le sue perfezioni.  Egli fonda quel suo principio, confron tando il sesto dei Proverbi, (XVI, 4)  con le parole di S. Paolo ai Colossesi  (I, 16) e ne deduce che Iddio, creando  il mondo,nonsolamente ebbe per scopo  l'ordine fisico e la bellezza dell' opera,  ma l' ordine morale e sovranaturale di  cui Gesù Cristo è, per così dire, l'anima  ed il principio, e che dispiega ai nostri  occhi i divini attributi assai meglio che  l'ordine fisico dell' universo: perciò a  voler comprendere l' eccellenza dell' o pera di Dio, non bisognaseparare l'una  dall' altra queste due considerazioni.  >  (Ici, N.º 10).   (N.° 10).  Éfacile vedersi che qui si ritorna  sempre alla solita petizione di principio.  Non si esamina se ' imperfezione del  mondo non derivi da ciò: che nessuna  intelligenza creatrice presiedette alla  sua formazione; sibbene si ammette già  a priori questa intelligenza, per con cludere che se essa ha scelto il mondo  comesi trova, è segno che questo mondo  è il miglioredei mondi possibili. Eppure  non sarebbe difficile concepire un mondo  migliore, ( v. ORDINE E PERFEZIONE ) e  alla onnipotenza di Dio non doveva es sere impossibile di farlo. Secondo l'opi nione di Leibnitz, è falso che sul nostro  globo la somma dei mali superi quella  dei beni. « Il difetto d'attenzione, dice  egli, è quello che diminuisce i nostri  beni, e bisogna che questa attenzione  venga in noi destata da una mescolanza  di mali.  >  egli sostitui quest' altra più precisa e  più conforme ai nostri bisogni: >  Dalla Grecia il panteismo passò nella  filosofia dei romani. Varrone, Plinio il  naturalista, i poeti Manilio, Lucano e  perfin Virgilio furono accusati di aver  partecipato a questa scuola. Virgilio, di cono, ci parla di Giove come padre di  tutti gli uomini e di tutti gli Dei; e  Cicerone facendosi storico delle dottrine  sparse nella sua patria, ci narra che  secondo queste dottrine « l' Essere ani mato, ricco di prudenza, e d'intelletto,  è stato generato (non creato) inmaniera  ineffabile dal Dio supremo ». Alquanto  più tardi gli stoici romani abbandonan do il panteismo per generazione, ab bracciarono quello per animazione. Lu cullo e Balbo, secondo Cicerone, eransi  dichiarati per il mondo animale ed ani La scuola eleatica è più esplicita. mato; e per il Dio anima del mondo.  Senofane considera Dio come Uno e La quale opinione Cicerone confutava 200  PANTEISMO  mettendo in bocca all' epicureo Vellejo | sospetti di averlo appoggiato. La sola  queste parole: « Il nostro Dio è per lo  meno felicissimo; mentre il vostro è so prafatto dalle occupazioni e sfinito. Im perocchè o Dio è il mondo medesimo,  e alloraniuna cosa avvi meno tranquilla  di questo Dio, obbligato continuamente  a rivolgersi intorno all' asse del cielo:  questo Dio non potrebbe essere felice,  perchè felice non è chi non ètranquillo:  ovvero Dio è mescolato al mondo per  animarlo e reggerlo, per vegliare al cor so degli astri, coll' occhio sempre vigi lante su tutte le terre e su tutti mari  perprocurare il bene e conservare la  vita degli uomini, ed allora voi conver rete che questo Dio è schiacciato sotto il  peso di tante sollecitudini e di tante no iose cure » (De nat. deor)  Nè pure il panteismo pittagorico ap pagava Cicerone, il quale meravigliava  che Pittagora ammettendo le anime u mane come tante particelle della divi nità, supponesse implicitamente un Dio  capace di soffrire e di essere lacerato  abrani.  È opinione accreditata che il pan teismo delle scuole greche sia passato  anche nella filosofia neoplatonica degli  alessandrini. Ma anche di questo pas saggio si hanno pochi indizi; e mag giori induzioni che citazioni. Bayle nel  suo Dizionario critico accusa Plotino di  essere panteista, perch' egli diceva che  ogni cosa pareva non essere infine che  una sola sostanza, la quale non ha di visioni, nè differenze che nei nostri con cetti. Noi non ne percepiamo che qual che parte solamente, le quali non po tendo abbracciare nel loro insieme tras formiamo in esseri reali. (Ennead. VI.  2, 3).  Anche B. Constant crede che mal grado la professione di fede deista dei  neoplatonici, quell' essere uno, esistente  realmente, quell' anima universale con tenente tutte le anime, quella materia  creata dalla forma e tutte le altre sot tigliezze di quei filosofi si avvicinano  troppo al panteismo perchè non siano  differenza, secondo Constant, era nello  spirito dell' epoca. Il panteismo che a veva condotto Senofane all' incredulità,  conduceva invece i neoplatonici all'en tusiasmo.  Anche parecchie sette del cristiane simo furono convinte di professare un  panteismo mistico. Sotto il dualismo di  Manete, alcuni hanno trovato una ten denza unitaria, per la quale i manichei  insegnavano che il mondo è una sola  anima che si comunica atutti gli esseri  animati; non tutta a tutti come si co munica la voce, ma dividendosi come  un' acqua distribuita in diversi canali.  Marcione e Carpocrate sebbene unitari,  anzi appunto perchè unitari, furono co involti nella stessa accusa; e dei gno stici fu detto che ammettevano un solo  principio eterno, dalquale emanava ogni  essere spirituale e materiale. Queste ac cuse hanno forse per fondamento una  soverchia generalizzazione. Ciò nono stante, bisogna credere che il panteismo,  o aperto o latente, fosse assai divul gato anche nei primi secoli del cristia nesimo, perchè i padri mettessero tanto  impegno nel combatterlo. Lattanzio lo  confuta nel libro De vita beatu (lib. VII);  e S. Agostino nel libro II De Genesi  (Cap. VIII) combatte imanichei, e nella  Città di Dio (lib. IV cap. XII) coloro  che dicevano che ogni cosa era parte  della divinità. Anche S. Crisostomo  e  dopo di lui Teodoreto nelle loro spie gazioni sulla Genesi confutarono l'opi nione di coloro che sostenevano essere  l'anima una parte della divinità.  Écosa singolare che il panteismo,  oggetto di tante censure da parte dei  padri, risorgesse poi nel seno stesso  della filosofia scolastica, essenzialmente  cattolica, e trovasse maestri e propu gnatori in Davide de Dinant, Almarico  e generalmente in tuttiirealisti (v. Sco LASTICA). Non è però soverchio avver tire che questi, più che filosofi, teologi,  nonfurono scientemente condotti alpan teismo, e che questo sistema filosofico PANTEISMO  s' induce come necessaria conseguenza  de' loro principii, piuttosto che essere  stato dichiarato da essi come profes 201  veramente non dice S. Giovanni che nel  principio era il Verbo e il Verbo era  Dio, che ogni cosa è stata fattaper esso  sione di fede.  Maggior fondamento ha l'accusa  fatta a Giordano Bruno, del quale così  parla il padre Ventura. >>  Hegel vuol invece che l'unità esista  nella sostanza; e la sostanza che sola  esiste, che sola pensa siaDio, il quale si  manifesta nel mondo finito.  Io ho appena accennatoleultime fasi  del panteismo. Ricaduto neltrascenden tale esso riproduce le solite antinomie  degli scolastici; senza averne la chiarez zae la potente dialettica, si aggira in  un circolo vizioso di parole mal defini te, e di continue equivocazioni.  Èdunque stretta giustizia il dire che  Spinoza fu l'ultimo vero panteista che  abbia fondato una scuola.  Papa. Il nome di papa, che signi fica padre, anticamente era dato dai  fedeli a tutti i sacerdoti; divenne in  seguito un titolo di dignitàpei vescovi,  efu in fine riservato al solo vescovo  di Roma, quando questi pretese il pri mato. Per i cattolici è articolo di fede  che San Pietro è stato capo del colle gio apostolico e pastore della Chiesa  universale; che il romano pontefice è  il successore di quel principe degli  apostoli » ed ha come lui potestà e  giurisdizione su tuttalaChiesa. Il Con cilio di Trento (Sess. VI de réform. C.  I. Sess. XI c. 7) ha espressamente de finito che il sommo pontefice è il vi cario di Dio sulla terra, ed ha la su (XVI, 18) ove è scritto che Gesù disse  aPietro: >   Dunque a Costanti nopoli piuttosto che a Roma i padri  del concilio riconoscono la giurisdi zione in grado di appello. Anche i  padri del Concilio generale di Affrica,  fra i quali si trovava S. Agostino, si PAPA  209  lagnarono col papa Celestino, perchè come alle altre Chiese d' occidente, e  aveva ammesso Appiario alla sua co- mandò lettere a Innocenzo, vescovo di  munione, mentre era stato escluso da| Roma, nello stesso tempo che scrisse  quella delle Chiese d' Affrica.  una serie di  considerazioni tendenti a rimettere in  dubbio l'esistenza di questo Dio ; delle  quali considerazioni ecco la sostanza.  Delle cose pensate noi dobbiamo co noscere la sostanza, la forma e il luo go, poichè nessuno potrebbe concepire,  p. e , un cavallo senza sapere chefi gura abbia, se sia corporeo o incorpo reo ecc. Ma intorno aDio i dommatici  non si accordano nè sulla sostanza, nè  sulla figura, nè sul luogo, giacché al cuni lofanno incorporeo, altri gli danno  corpo; chi lo pone fuori e chi dentro  il mondo: chi gli dà sembianze umane,  echi no. Ma dicono: e tupensa un che  di incorruttibilee beato, e argomen terai questo essere Dio. Ma alla guisa  chenonconoscendo Dio altri non può  pensare gli accidenti di lui; così poichè  ignoriamo la sostanza di Dio, non po tremo immaginare gli accidenti a lui  propri. Ma quando pure Dio fosse im maginabile, non potrebbe tuttavia di mostrarsi. Poichè la dimostrazione  chiara od oscura. Ma se la dimostra zione di Dio fosse chiara, tutti l'ammet terebbero, poichè in tal caso la cosa  dimostrata si concepisce insieme alla  dimostrazione, e perciò anche si intende  con essa : se la dimostrazione è o scura, ha bisogno di altra dimostra zione per essere dimostrata, la quale  non può essere chiara, perchè in tal  caso non sarebbe più oscura, ma chiara  l'esistenza di Dio: nemmeno può essere  oscura perchè una dimostrazione oscura  non può chiarirne un' altra oscura.  Infine si adduce l'obbiezione più formi dabilenella esistenzadel male,obbiezione  che fu poi sostenuta dai manichei e  da Bayle. Chi afferma esistere Dio, o  dirà ch'ei provveda alle cose del mon do, o che non provvede: e se provvede,  sarà o a tutte o a talune. Masedi tutte  e' pigliasse cura, non sarebbe nelmondo  verunmale, nè alcuna cattiveria: ma di cono che tutto sia pienodi male, dun que non si avrà a sostenere che Dio  abbia cura di ogni cosa. Che se ei ne  cura alcuna soltanto, perchè a queste  provvede, a quelle no? In fatti, o egli  vuole può atutte provvedere ; o vuole  e non può; o può e non vuole: o non  può e non vuole. Se volesse e potesse,  avrebbe cura di tutte; ora ei non prov vedeatutto (secondo che dicemmoinnan zi), dunque nonvuole e non può a tutto  provvedere. Se ei vuole, e non può, desso  è più debole della cagione per cui non  può provvedere alle cose di cui non si  cura; ma è contro il concetto di Dio  che ei sia più debole di altro. Se può  curarsi di ogni cosa e non vuole, è da  reputarsi invidioso. Se non vuole yè  può, è invidioso e anche debole; e il  dire ciò intorno a Dio è proprio degli  empii.  Alle cose del mondo non provvede  dunque Iddio: e se egli non ha cura  veruna e non esiste opera di lui, nè  effetto: nessuno può dire inquale modo  comprenda l'esistenza di Dio, poscia  ch'ei non appare da sè e non si com prende per alcuno effetto. Anche perciò  è dunque incomprensibile se Dio esista.  Concludiamo, da siffatte avvertenze, che  coloro i quali dicono asseverantemente  che Dio è, sono costretti ad empietà;  che se lo dicono provvidente ad ogni  cosa, portano Dio ad essere cagione dei  mali; selo dicono curante di alcune  cose o di nessuna, sono costretti am mettere un Dio o invidioso o debole ;  tali sentenze si conoscono proprie degli  empii.  Così del pari il pirronismo rima ne indifferente fra il bene e il male,  nè afferma o nega che causaci sia, o  movimento o quiete ecc. Che alcune  volte non introducanei suoi giudizi dei PITTAGORA  veri sofismi, non può negarsi; ma nè  manco è giusto affermare, come alcuni  hanno fatto, che il pirronista abbia ap preso dai sofisti tutta la scienza del  dubbio. La maggior parte degli argo menti dei pirronisti convengono piena mente agli scettici d'oggidì, e se tutto  lo scetticismo consistesse nel negare  che intuizione vi sia dell'assoluto, si  apporrebbe al vero. Ma dalle cose as 267  il nulla. Più che diversità di principii, tra  lo scettismo dell'Accademia e quello di  Pirrone, vi è diversità nelle conseguen ze; giacchè gli accademici se sospende vano il loro giudizio intorno a molte  cose, non erano per questo indifferenti  solute alle relative ci è grande diffe renza, come non si può argomentare,  dalla differenza dei gusti e delle aspi razioni alla felicità, che cosa buona non  vi sia. Buona per tutti forse no; mada  coloro a cui piace o a cui reca sollievo  perchè non si dirà buona? E perchè i  sensi talora ingannano, nè tutti perce piscono le cose nel modo stesso, si do vrà negare ad essi ogni fiducia? Non  pronunciamo mai sentenze assolute, ma  relative solamente al nostro giudizio, ai  nostri sensi; non pretendiamo di intuire  le essenze, nè di comprendere l'infinito  eallora saremo nel vero. La relatività  delle nostre conoscenze e dei nostri  giudizi bastano per la vita pratica e  per la nostra felicità Prendiamoqueste  cognizioni relative come se fossero as solute e regoliamoci con esse, nè pre tendiamo di tenere ognora e per tutto  sospeso il nostro giudizio, poichè una  sospensione siffatta non è nella natura  nostra, nè possibile ad applicarsi nella  vita pratica. È una contraddizione del  pirronismo quella di presentare il dub bio come uno stato fermo, costante, che  rappresenta il perfetto equilibrio, il ri poso della volontà e il supremo bene.  Questa condizione non può condurre  che all'indifferenza perle cose del mon do; e lapersuasione dell'impotenza no stra a spiegare checchessia, deve as sopire la nostra intelligenza in un mor tale letargo. Questo stato dell'animo è  la morte e non la vita; e la indifferenza  di Pirrone per i dolori fisici così come  per i morali, non è certol'idealedella  vita, nè la vera felicità. L'assenza del  dolore, e del piacere non è la felicità, è  alle cose del mondo, ma stimavano con veniente fra le controversie appigliarsi  alle più probabili, quali erano percepite  dai sensi ( v. PROBABILITÀ).  Pittagora. Lavita di questo fi losofo si perde nella favola, tanta è  l' incertezza dei documenti che l'anti chità ci ha trasmessi intorno a lui.  L'anno della sua nascita è molto con troverso: Lloyd la poneva nel 585 a.  G. C.; Dodwell nel 568, o nel 567;  Freret nel 580. Non si sadel pari con  certezza il luogo ove nacque; ma i più  ritengono che l'isola di Samo gli abbia  dato i natali. Suo padre eratrafficante,  l'associò per tempo ai suoi viaggi e gli  procurò una educazione distinta. Cre sciuto in età, secondo le abitudini del  suo tempo, prese a fare alcuni viaggi  di studio, a solo fine di abboccarsi co gli uomini più illustri e visitare i luo ghi che la fama indicava come quelli  che erano più innanzi nella civiltà.  Abitò lungamente l'Egitto e l'Asia Mi nore, e vi fu chi lo mandò fino nell'In dia e nella Persia, sicchè dicesi che vi  apprendesse l'astronomia, la medicina e  la geometria, la quale scienza egli in segnò appena tornato in patria. Da  Samo passò quindi nellaMagna Grecia;  ma Porfirio e Giamblico lo fanno prima  successivamente immigrare in tutte le  isole della Grecia per propagarvi la  scienza misteriosa che essi suppongono  che abbia appreso dai sacerdoti egizi.  Finalmente verso l' anno 410 a, G. C.  formò stanza a Crotone, città del golfo  di Taranto, nella Calabria che allora,  per le Colonie greche che l' abitavano,  veniva detta Magna Grecia. Di costumi  austeri, frugalissimo e amante della so litudine, non tardò a suscitare quella  viva curiosità che è foriera della fama.  In breve e giovani e vecchi accorsero 268  PITTAGORA  a sentire la sua parola, e tanto fu l'au torità che acquistò anche tra i primati,  che più e più volte fu richiesto di con siglio intorno alla cosa pubblica. Ai  giovani, a' vecchi alle donne insegnava  le virtù private, parlando in pubblico  e più specialmente nei templi, come  per dare ai suoi precetti il carattere  sacro della religione. Ma le passioni  non tardarono a scatenarsi contro di  Jui, e la persecuzione che accanì contro  la sua scuola pare che facesse anche il  filosofo sua vittima verso l'anno 500.  Da chi e perchè quella persecuzione fu  suscitata ? Niuno sa dirlo. Si citano la  vendetta e l' invidia per spiegarla, ma  qual sarebbe stato il movente di queste  passioni? Diogene Laerzio così raccon ta:  Era entrato nella casa di Milone  co'suoi compagni, quando uno di coloro  che egli non volle accettare fra i suoi,  bruciò la casa. Altri dicono che i Cro tonesi per sospetto e per paura di do ver soffrire la sua tirannia lo piglia rono mentre fuggiva l'incendio e l'uc cisero con alcuni de'suoi discepoli. Di cearco narra che Pittagora fuggì nel  tempio delle Muse a Metaponto, ed es sendovi rimasto per quaranta dì senza  nutrimento però d' inedia. Eraclide nel  compendio delle vite del Satiro rac conta che Pittagora dopo avere inual zato un monumento in Delo sulla tom ba di Terecide suo maestro, ritornò in  Italia, pervenne al Metaponto ed ivi,  stanco di vivere, si lasciò morire di  fame. Ermippo dice che essendo in  guerra quei di Agrigento con i Siraçu sani, venne Pittagora con i compagni  d'Agrigento a dare aiuti ; ma essendosi  volti a fuga i suoi, egli ricoverò in un  campo di fave, le quali volendo schi vare, siccome sacre, fu preso dai Sira cusani e fatto morire ».  La famadi Pittagoracome filosofo,  è certamente superiore ai suoi meriti.  Inclinato alla contemplazione mistica,  egli ama il mistero, e si compiace di  creare una dottrina arcana, l' immenso  successo della quale e certamente do vuta alle molte difficoltà che gli uo mini avevanod'intenderla. A somiglianza  dei sacerdoti del paganesimo, instituì  un doppio insegnamento: quello che egli  indirizzava alla generalità degli ascol tatori, e quello riservato ai pochi eletti.  Aveva fondato un istituto col quale i  conventi del cristianesimo hanno moita  analogia. Gli allievi vi erano assogget tati a lunghe prove, e passavano per  gradi successivi proporzionati al loro  ingegno e alla loro virtù. Era una  sorta di iniziazione sacerdotale, una vita  mistica, la quale si è sorpresi di vedere  lodata anche da molti moderni, pedis sequi copiatori delle glorie pittagoriche.  Gli allievi dell'Omachoion, nome dato  all' istituto pittagorico, e che vale udi torio comune, mettevano in comune i  loro beni e coabitavano insieme con le  loro tamiglie, tutti restando sottoposti  alla stessa regola. Vestivano una to naca bianca e alternavano le occupa zioni fra lo studio, la lettura dei poeti,  la ginnastica, i sacrifizi e le cerimonie  religiose. Dai loro pasti era bandita o gni specie di carne: le uova, il vino,  e ognispecie di bevanda alcoolica era  loro interdetta . Anco le fave dicesi  che avessero in orrore perchè rappre sentano le parti sessuali della fem mina; ma altri lo negano e tengono  ciò per una favola. Fatto è che Pitta gora raccomandava a tutti l'uso dei cibi  vegetali, escludendo le carni e il pesce,  come sacri agli Dei, non essendo conve niente, diceva, che la stessa imbandigione  comparisse sulla mensadivina e su quella  degli uomini. Voleva ancora in tal ma niera abituare gli uomini alla sobrietà  e al facile vivere; acciò sempre avessero  apparecchiati i cibi senza bisogno di  cuocerli. Ma più che altro, mi par che  questa prescrizione sia stata tolta dal l'India (se è vero che Pittagora vi sia  andato) dove in grazia della metempsi cosi i bramini hanno orrore del cibo  preparato con ogni cosa che viva. In fatti, Laerzio nella fine della sua vita  di Pittagora, così l'apostrofa: « Non tu PITTAGORA  solo ti sei astenuto dagli animati. Dim mi, o Pittagora, chi è che mangi ani mali animati. Ma ben io mangio arro sto, o lesso, o salume, dai quali ormai  l'anima è sfuggita. Così era savio Pit tagora chè ei non voleva gustare le  carni, perchè diceva ciò esser peccato:  io lodo, ch'egli, astenendosi, ai compa 260  (ossia nella proporzione di otto a sei) :  o secondo la quinta perfetta (diapente)  o di una volta e mezza tanto (ossia  nella proporzione di nove a sei); o  giusta il suono d'ottava (diapason) o del  doppio (ossia nella proporzione di do dici a sei).   tanto contagioso; e chi nell' Italia  Comte ha molto giustamente fon data la nuova scienza sui tre diversi  modi dell' arte di osservare; vale a  dire l'osservazione pura, lo sperimento  e il metodo comparativo. Ma non è già  nel metod  o ch'io trovo manchevole la  sociologia ; sì nei mezzi stessi d'investi gazione. Il maggior numero delle vere  cagioni delle cose ci sfugge inosserva to: noi vediamo le cause apparenti e  immediate dei fenomeni sociali, e spesso  anche su queste ci inganniamo. Con  elementi così scarsi e così poco sicuri  come mai si può pretendere di costi tuire una vera scienza, una scienza sin tetica che sia, per così dire, il com plesso di tutte le altre? Come preten dere di rivelare le varie cagioni dei  fenomeni sociali, quando noi stessi ci  inganniamo sui veri motivi per cui ta lora siamo determinati nei nostri atti, e  se dubitiamo perfino se siamo liberi o  necessitati? L'esperimento non è mezzo  che possa applicarsi alla produzione  dei fenomeni sociali, e il metodo com parativo fra fenomeni prodotti in tempi  diversi, sotto l'impero di diverse circo stanze e da uomini diversi è un rime dio tutt'altro che adatto a correggere  i nostri giudizi. Diciamo dunque ad drittura che la sociologia, come scienza  sintetica ed esatta, è impossibile, avve gnachè suppone la conoscenza di cause  infinite, ciò che implicherebbe la pos sibilità di conoscere il passato e il fu turo data la conoscenza di un solo  punto della storia (v. CASO). Ma poichè  tutte le nostre cognizioni attuali e 1  288  POSITIVISMO  probabilmente anche tutte quelle che  potremo acquistare nell' avvenire, non  sono tali da lasciarci prevedere le sorti  di una battaglia, l' esito di una intra presa, o l'abbondanza dei raccolti di  una contrada, non è temerità il dire  che la sociologia già fin d'ora è con dannata a non essere altro che una  raccolta di fatti storici, una scienza  numismatica piuttostochè una scienza  sperimentale e di previsione. Ed è, in fatti, entro questi soli limiti giàdetermi nati e precorsi dalla filosofia della sto ria che finora è rimasta compresa la  Sociologia positiva. Essa si è limitata  ad esporre ed a considerare come un  semplice fatto dipendente dalle condi zioni stesse del nostro organismo e del  mondo in cui viviamo, la successiva  trasformazione dello scetticismo in po liteismo e monoteismo, per giungere  al presente stato metafisico: tutto ciò  era stato detto, e la sociologia con  questa esposizione storica nulladi nuovo  ci ha finora rivelato , salvo il coro namento dello stato moderno o meta fisico, mediante l'avvenimento della fi losofia positiva.  La sociologia costituisce la prima  parte della filosofia morale. La seconda  parte è costituita dalla morale positiva  propriamente detta, o religione positi va, detta altrimenti religione dell'uma nità. È il secondo periodo della filosofia  di Comte e quello che segna anche la- sua, decadenza. Dopo avere gettate le  fondamenta di una filosofia, alla quale,  se non altro, non si poteva negare il  nome di veramente positiva, Comte si  è compiaciuto di rifare il suo lavoro  per dargli una apparenza teologica, a busando in manierafin qui non mai ve duta del senso delle parole.  Bichat, Cabanis , Giorgio Leroy ed  infine Gall, a parere dei positivisti  hanno gettatole fondamenta della teoria  dell'anima. L'anima esiste ; è dotata  di diciotto facoltà elementari, o, per  meglio dire, sidecompone in queste di ciotto facoltà, la cui enumerazione af fatto inutile ed arbitraria non giova  riprodurre. Basti dire che l'anima, com posta di cuore e spirito, si suddivide  poi in quattro facoltà: nel cuore pro priamente detto, nel carattere, nell' e spressione e nelconcetto.Del resto, tutte  queste facoltà, anche quella del cuore,  sono, con molta disinvoltura, collocate  nel cervello ; dimodochè non si sa poi  bene se lo spirito stia nel cervello o se  ne sia solamente la funzione. Il padre  del positivismo ha avuto anche il torto  di localizzare nel cervello le facoltà no stre e le nostre tendenze, ed è così ca duto nei soliti errori dei frenologi ( v.  FRENOLOGIA).  Il fondamento della morale positivi sta è l'altruismo, che essa costantemente  contrappone ai così detti istinti del no stro egoismo. Vivere per gli altri è la  sua divisa, come è regola fondamentale  della sua morale personale: non fare  cosa alcuna che non si possa confes sare. Il positivismo dichiara che una  religione è necessaria, non già nel co mune senso che si suol dare a questa  necessità, per dirigere le masse, le donne  ed i fanciulli; ma una religione per tutti,  per gl'ignoranti come per i dotti, da  tutti ammessa, da tutti volontariamente  riconosciuta perchè fondata sulla verità.  Ma ogni religione ha bisogno di un  culto, e la religione positiva deve pure  avere il suo. Quale sarà il soggetto  dell'adorazione di questa religione non  rivelata? La rivoluzione francese aveva  adorata la ragione, cosa buona in'sè,  dicono i positivisti, mapericolosa, per chè conduce all'orgoglio e all'egoismo;  meglio dunque vale adorare il cuore, e  mantenere il culto di tutte le affezioni,  il culto dell'avvenire; ecco il culto del l' Umanità, non inventato, dicono, ma  scoperto dai positivisti. « L' Umanità,  dice Longchamp nel suo Saggio sulla  preghiera positivista, l' Umanità non è  già la specie umana e non comprende  l'universalità degli uomini. L' Umanità  è la memoria dei mortiche inspirano e  guidano i viventi, è l'insieme di tutti i POLITEISMO  grandi pensieri, di tutti i nobili senti menti e di tutti grandi sforzi, riferiti a  un solo e medesimo essere, l'animadel  quale è costituita daquesti grandi pen sieri e il corpo dal complesso di tutti  i viventi ». Solamente coloro i quali  hanno lavorato per il benessere dell'u manità possono sperare di essere im mortali e di vivere per sempre nella.  289  le sue preghiere. La preghiera non é  una domanda, ma una preparazione ed  una eccitazione all'affetto, la rimembran za rinnovata dei benefici ricevuti. Non  si può chiedere al Grande Essere che  un nobile progresso morale, senza ac crescimento di ricchezza materiale.  Oltre al Grande Essere il positivi smo riconosce gli Angeli e gli Angeli  memoria dei viventi.  Il positivisimo professa dunque una  sorta di panteismo simbolico. Il Grande  Essere, che è il Dio positivista, si risolve  nel concetto universale deli' umanità,  mentre ogni benefattore dell' umanità  dopo la morte entra a costituire una  parte di questo Grande Essere ed a  godere gli onori della divinità. « Ogni  vero adoratore del Grande Essere, dice  il dottor Robinet, uno dei tre esecutori  testamentari di A. Comte ( Notice sur  l'oevre et la vie de Comte),presenta due  esistenze successive ; l'una che costitui sce la vita propriamente detta, è tem poraria ma diretta; l'altra che comincia  dopo la morte è permanente ma indi retta ». Il Grande Essere ringiovanisce  ad ogni generazione e le creature u mane diventano i suoi organi passeg custodi nella personificazione dei nobili  concetti, quali l'idea del bene, del vero,  del bello. 1 tre angeli custodi del no stro cuore, sono l'attaccamento. la ve nerazione ela bontd. I santi sono gli  uomini che illustrarono l'Umanità colle  loro opere. Il loro nome è consegnato  in un Calendario positivista, nel quale  l'anno è diviso intredici mesi eguali di 28  giorni ciascuno, i quali non lasciano  che un giorno complementetare negli an ni ordinari e due negli anni bisestili. I  mesi sono divisi in 4 settimane precise,  ed ogni giorno dellasettimanaconserva  il nome che ha attualmente. I mesi si  chiamano: Mosè, Omero, Aristotile, Ar chimede, Cesare ecc.; e la stessa scelta  di nomi si trova nei santi votivi della  settimana, dove si leggono quelli di  Confucio, Buddha, Maometto, Platone,  Alessandro, Innocenzio III, S. Bernardo,  gieri; ma i grandi pensieri e le grandi  azioni possono elevare l'uomo al grado | Bossuet, Tasso, Milton ecc. Questastrana  di organo permanente, o persistente.  Nulla del resto puòquesto Essere sim bolico, per cambiare le cose del mon do.  Se la fede teologica, dice Robinet,  spiega sempre il mondo e l'uomo col l'intervento divino, la fede positiva in segna invece che tutti gli avvenimenti  del mondo e dell'uomo si producono in  forza di influenze invariabili , dette  leggi ».  Non è giàDio,dicono i positivisti,  che ha creato l'uomo, ma è l'uomo che  si é formato il suo Dio. E, come si  vede in questo articolo, essi si sono  valsi largamente di tale massirua, per ciocchè non solamente si sono creati un  Dio e una religione, ma eziandio un  culto. Il culto del Grande Essere, ossia  dell'Umanità, deve avere le sue feste, e  associazione di uomini che ebbero pen sieri e operarono con finibendiversi e  talora opposti, si trova d'altronde d'ac cordo con la filosofia positiva, la quale  considera tutti i fattisociali come una  materiale esplicazione di leggi immuta bili. Ilconcetto del calendario positivista  in surrogazione del calendario cristiano  è uno di quelli che appartengono alla  seconda fase dell' attività del signor .  Comte. Il positivismo aveva completa mente cambiato il suo carattere: dopo  essere stato una filosofia scientifica, era  divenuto una religione dell' umanità.  Così dice il signor Wirouboff (Remar ques sur le calendrier de M. Comte;  Reuve de la Phil. Pos. an. 1876 p. 48)  il quale mette in evidenza i difetti in  gran numero che sono nel calendario  19 290  POSITIVISMO  positivista, fra cui l'ommissione dimolti  nomi notissimi nella scienza, mentre al  loro posto si trovano molti altri o mi tologici o appena noti.  Il culto dell' umanità, avrà i suoi  sacramenti. Essi, dice il signor de Bli gnière, legano ciascuno a tutti: consa crando in nome della utilità sociale tutte  le fasi e tutte le modificazioni generali  e importanti della vitaprivata, essi por gono l'occasione di richiamare i doveri  che incombono a ciascuno nelle circo stanze nuove della sua vita ». Le feste  saranno, infine, la celebrazione dellame moria dei grandi uomini; lo studio della  loro vita e dei loro servizi, sarà l'espres sione verso di essi della pubblica ri conoscenza.  Ma la religione positivista morl pri madi nascere. Il solo tempio che ab bia avuto fu quello creato da Comte  nella sua propria casa, nella quale,  dopo di lui, si riunirono regolarmente  i membri della società positivista che  rimasero fedeli alle tendenze mistiche  del maestro. Mauna eresia scoppiò ben  presto nel seno stesso dei positivisti, e  quelli i quali erano insofferentidei sim boh si unirono al signor E. Littrè, che  è attualmente il più illustre rappresen tante del positivismo. La nuova filoso fia spogliata da ogni misticismo, è ri masta una filosofia materialista nella  sostanza, sebbene nella forma accenni  a velleità di far credere ad un sistema  tutto proprio. Nel fatto però la sola  Questo è il culto positivista ; ma differenza che esiste fra il positivismo  quali ne saranno i sacerdoti ? Tutte le e il materialismo è, che il primo non  funzioni che spettano normalmente ai | crede che l'uomo possa mai spiegare  preti, sono ora divise fra i medici, i  preti attuali, ed i dotti,professori e fi losofi di tutti i gradi. I positivisti tro vano che non è possibile di studiare  separatamente l'uomo nel cuore, nel  corpo e nello spirito, e perciò vogliono  che i ministri della nuova religione  le causeprime ed assolute, e che quan d'anche spiegate le avesse, queste spie gazioni non potrebbero influire sulla  vita pratica. Io mi accordo, fino ad un  certo punto, con questa conseguenza;  ma si tratta di sapere sedopo aver di chiarato di non volersi occupare delle  siano ad un tempo medici, filosofi e  preti. Così il nuovo culto sarà comple to ; potrà sfidare i suoi nemici ed avere  i suoi martiri. L'avvenire gli è assi curato.  Al pari dei sacerdoti pagani, i quali  sotto i simboli del politeismo, preten devano di onorare le leggi della natura  (v. MISTERI ) Così i positivisti, creando  una religione materialista, credevano di  essere coerenti con la verità. E non  pensavano nemmeno che col volgere  degli anni questi simboli,per ladimen ticata origine, sarebbero stati posti su gli altari e adorati per se stessi, e non  già per i principii che avranno rappre cause prime, la curiosità, che è figlia  del sapere, non ci proporrà perpetua mente queste domande: Chi siamo ?  d'onde veniamo? Il materialismo, che  non rinnega alcuno dei mezzi di inve stigazione suggeriti dal positivismo, e  chi li ha anzi applicati prima ancora che  il positivismo fosse nato, non ha temuto  di pronunciare i suoi giudizi, i quali,  intorno allecause prime, nondevono in tendersi in un senso assoluto, ma come  la conseguenza probabilissima che de riva dalle nostre attuali cognizioni. Il  positivismo, più pudico, vuole riservare  il suo giudizio, anzi nè pure consente  adiscutere le origini dell' universo e  il fine ultimo dell' umanità. La quale  astenzione, se rende più facile la sua  missione e gli risparmia le accuse di  sentati. L'interesse dei sacerdoti li avreb be spinti a sollecitare questo felice mo mento, in cui essi soli, fatti padroni del  vero senso dei simboli, avrebbero potuto | molti nemici, non rende perciò il suo  dominare il popolo con le potenze mi steriose che avevano poste sugli altari.  sistema più filosofico, e non toglie che  ogni positivista individualmente non si PRASSEA  trovi, tutti i giorni dinanzi agli eterni  201  dere a tale richiesta col Dato ma non  einevitabili problemi della nostra ori gine e della nostra fine. Ammessopure  chequesti problemi siano indifferenti per  lavitapratica, nederiverà per questo che  noi potremo evitarli? Quante altre que stioni hanno assorbita tutta l'attività di  grandi pensatori ? Che cosaè ilmagneti smo, l'elettricità, l'attrazione? Che cosaso concesso » vale a dire « ammetto pel  momento, ma non credo ».  Kant chiama postulato della ragione  pura l'immortalità dell'anima, essendo  essa un domma dalla filosofia nondimo strabile, e non pertanto necessario ad  ammettersi,aparer suo,comeconseguen.  za dell' ordine universale. Il postulato é  nole comete, il sole i pianetietutti gli | dunque unaipotesi chein seguito potrà  essere dimostrata direttamente, od an che indirettamente con le conseguenze  astri del firmamento? Quantopesano, di  quali materie sono composti? Tutte que ste domande hanno unvalor puramente  scientifico, senza alcuna pratica conse guenza. Ne deriverà per questo che i  dotti devano trascurarle? Il positivismo  se ne è occupato, e ha pure su molti  argomenti, inutili per la pratica, fatte  le sue ipotesi. E perchè troverà esso  che per la vita pratica importi più il  conoscere se la luna abbia o non abbia  una atmosfera, di quel che sapere se  esiste un Dio creatore, un'anima immor tale e una vita avvenire? Gli attuali e retici del positivismo, iquali non hanno  creduto di accettare la religione inven tata daA. Comte,avranno forse ragione  di dire cheprudenza è l'astenersi di sen stesse che deriveranno dall'insieme della  discussione.  Poveri cattolici. Nomi di certi  religiosi, i quali erano un ramo di Val desi o Poveri di Lione che si converti rono nel 1207. Formarono una Congre gazione, che si diffuse nelle provincie  meridionali della Francia e che s' ac crebbe per la successiva conversione di  altri Valdesi, fondendosi poi, l'anno  1256, in quella degli eremitidi Sant'Ago stino. Heliot, storia degli ordini mona stici t. III. pag. 21 .  Prassea. Eretico del secondo se colo e discepolo di Montano, che poi  abbandonò per farsi capo setta. Fon tenziare in codeste materie; ma hanno | dandosi sopra i passi evengelici ove si  torto di proclamare che codesta asten dice:  zione sia veramente scientifica. Perfino  lo scetticismo che non sentenzia, ha loro  insegnato che anche per giungere al  dubbio è necessario esaminare le ra gioni favorevoli e le contrarie al dom il Padre ed io siamo un solo;  quello che mi vede, vedepuremio Pa dre; io sono nel Padre e il Padre è in  me > concluseche Gesù, o ilFiglio, non  era distinto dal Padre, che entrambi co stituivano una sola persona divina; che  il Padre era disceso nel ventre della Ver gine si eraincarnato, avevapatito edera  matismo. D'altronde, questa astensione  non è sincera, e non vi è positivista il  quale nell' intimo foro della coscienza | morto sulla Croce. Eresia non dissimile  non abbia esaminato le ragioni dei cre denti e degli increduli, e non abbia  pronunciato il suo giudizio. La stessa  religione positivista, sotto i suoi simboli,  non faceva altro che insegnare l'incre dulità.  Postulato (dapostulatum, cosado mandata). Aristotile così chiama una  proposizione non ancora dimostrata,  ma che si richiede di ammettere intanto  gratuitamente per il bisogno della di scussione. Dagli italiani si suol rispon da quella di Noeto edi Sabellio, per cui i  settatori di questi tre eretici s' ebbero  il nome di Monarchici, perchè ricono scevano soltanto il Padre qual signore  di tutte le cose; e quello di Patripassia ni, perchè lo supponevano capace di  patire. Il Beausobre (Storia del Mani cheismo, lib. III Cap. 6 § 7) citando un  passo di Tertulliano ilqualdice che l'e resia di Prassea fu confermata da Vit torino, aggiunge che questi è, per co munconsentimento, il papa Vittore. 292  PREDESTINAZIONE  Predestinazione.Vocabolo che  letteralmente significa una destinazione  anteriore : nel linguaggio teologico e sprime il disegno formato da Dio ab  eterno, di condurre, mercè la sua gra zia, taluni all'eterna salute.  Alcuni Padri della Chiesa adopera rono talvolta il vocabolo di predestina zione in generale, così per la destina zione degli eletti alla grazia ed alla  gloria, che per quella de'riprovati alla  dannazione; ma siffatta espressione par ve troppocrudele; oggidì pigliasi questa  voce in buona parte soltanto ; signifi cando la elezione alla grazia od alla  gloria, e chiamandosi riprovazione il  decreto contrario; sebbene, in sostanza,  e l'uno e l'altro decreto costituiscano  la predestinazione , in quanto sono  stati pronunciati da Dio prima ancora  che gli uomini predestinati al paradiso  o all'inferno fossero nati; anzi prima  ancora del cominciamento dei tempi.  Sant' Agostino nel suo libro de dono  perseverantiæ (cap. 7 n. 15. e cap. 14n.  35)definiscelapredestinazione: Præscien tia et præparatio beneficiorum quibus  certissime liberantur quicumque libe runtur. Aggiunge poi al cap.(17, n. 41.),  Dio dispone egli stesso ciò che fard,  secondo la infallibile sua prescienza :  questo, e niente di più, essere prede stinare. Secondo San Tommaso (part. 1.  Q. 23. art. 1.) la predestinazione è il  modo, col quale guida Iddio la creatura  ragionevole al suo fine, che è la vita  eterna.  I principii su cui si fondalaprede stinazione presso i cattolici sono così  riassunti dal Bergier:  1.º Vi è in Dio un decreto di pre destinazione, ossia una volontà assoluta  ed efficace di dare il regno de' cieli a  tutti quelli che effettivamente vi giun geranno.  2.º Iddio, nel predestinarli alla glo ria eterna, ha loro altresì destinato i  mezzi e le grazie, mercè le quali ve li  conduce infallibilmente. (San Fulgenzio,  de Verit. Prædestin. 1. 13.)  3.° Questo decreto è inDio ab eterno  eloha egli formato, come dice San  Paolo, (Ephes. I. 3. 5.) prima della  creazione del mondo.  4.° Il medesimo è un effetto della  pura bontà di lui: epperò questo decreto  è perfettamente libero da parte di Dio  ed esente da ogni necessità(San Paolo,  Ibidem. 6 e 11.)  5.º Tal decreto di predestinazione  è certo ed infallibile, deve immancabil mente sortire il suo effetto, il quale al cuno ostacolo nonpotrà mai impedire;  così dichiara Gesù Cristo (Joan. c. 10,  27, 29.)  6.º Ameno di una esplicita rivela zione, nessuno può andar certo d'essere  nel novero de'predestinati o degli elet ti, lo che provasi con SanPaolo (Filip.  11. 12. 5. Cor. IV, 4) e fu definito dal  Tridentino (Sess. 6, c. 9, 12, 16. e  can. 15.)  7.º Il numero dei predestinati è fisso  ed immutabile, sicchè non può essere  aumentato nè diminuito ; avendolo Iddio  fissato ab eterno e non potendo la sua  prescienza ingannarsi (Joan. IX. 27,  Sant'Agostino, I, De corrept. et gratia  XIII, 8). Non impone il decreto di pre destinazione, nè per sè, nè pei mezzi,  onde giovasi Iddio per mandarlo ad ef fetto, veruna necessità negli eletti di  praticare il bene. Dessi operano sempre  liberissimamente e conservano sempre,  allora pure che ottemperano alla Leg ge, la facoltà di non osservarla (San  Prospero, Respons, ad object. Gallor).  Quante contraddizioni in questi punti  della fede cattolica! Il numero dei pre destinati è fisso e immutabile; essi sono  scielti da Dio ab eterno e persemplice  bontà di lui; e ciò nonostante essi sono  liberissimi di salvarsi, o di dannarsi.  Quale sciocchezza! La libertà suppone  la facoltà di fare o di non fare una  cosa: or come potrei io non dannarmi  se giàperdecreto pronunciato ab eterno  sono stato escluso dagli eletti? Si ri sponde che questo decreto indica la  semplice prescienza di Dio, il quale sa PREDESTINAZIONE  le cose future, manon suppone l'azione  diretta di Lui sull' uomo per indurlo  293  psari; altri insegnarono avere Iddio  fatto un tal decreto di condanna sol alla salute o alla dannazione. Codesta è  una distinzione gesuitica che non ha  fondamento. Ilfuturo si conosce per la  successione delle cause edegli effetti, e  Diocheè infinito, conosce cause infinite.  Ma acciocchè il futuro possa essere  preveduto, conviene che le cause indu cano la necessità dei loro effetti, e que sti siuno cause necessarie di effe tti sus seguenti. Senza questa necessità il caso  e l'arbitrio sarebbero nell'universo, e la  prescienza divina sarebbe un assurdo,  poichè prescienza vale predetermina zione, conoscenza anticipata della suc cessione delle cause e degli effetti. Dove  è il caso là non vi è prescienza possi bile, avvegnachè il caso sia appunto la  negazione d'ogni predeterminazione. (V.  Caso edEFFETTO). Se adunque Iddio non  agisce direttamente sull'uomo, egli però  vi agisce necessariamente colla succes sione di cause che ha create e prede stinate in maniera di conoscere antici patamente il loro risultato ultimo.  Lutero e Calvino piú brutali, ma più  sinceri, avevano evitata la contraddi zione dei cattolici, ammettendo questa  conseguenza. Secondo la loro dottrina  Dio aveva, ab eterno, con immutabile  decreto separato il genere umano in due  parti, l'una di eletti favoriti a cui volle  assolutamente assicurata l'eterna beati tudine, ai quali largisce le grazie effi caci, la cui mercè operano necessaria mente il bene; l'altra di oggetti della sua  collera, da lui destinati al fuoco eter no, e di cui dirige per modo le azioni  che devono di necessità commettere il  male, perseverare e morire in questo  stato. La quale orribile dottrina so stennero Beza ed altri riformatori. Me lantone, più moderato, n'ebbe orrore e  procurò raddolcirla. Parecchi de' setta tori di Calvino perseverarono, come il  maestro, a sostenere che pur anterior mente alpeccato di Adamo, Dio hapre destinato la maggior parte degli uomini  tanto consecutivamente alla previsione  della colpa de' nostri progenitori, e a  costoro venne dato il nome d' infrala psari. Non affermavano come i prece denti che Iddio avesse per si fatto modo  determinata la caduta del primo uomo  e che Adamo non potesse fare a meno  di peccare, ma pretendevano che dopo  questa caduta quelli che peccano non  possano rimanersene dal farlo.  Quantunque una tal dottrina, come  dice ipocritamente il cattolico Bergier,  sia orrenda, tuttavia essa regnò tra i  calvinisti fin quasi a'nostri giorni.Eglino  persistettero nell'affermare che tale è la  pura dottrina della Santa Scrittura e  che Sant' Agostino la propugnò a tut t'uomo contro aipelagiani. Sullo scorcio  del secolo decimosettimo,Bayle asseriva  come nessun maestro osasse insegnare  il contrario, che se alcuni pareva che  se ne fossero scostati, ciò era solo ap parentemente, non avendo cangiato che  alcune espressioni dei predestinaziani.  Nel 1601, Giacobbe Van-Hermine,  conosciuto sotto il nome di Arminio,  professore nell' Olanda, attacco aperta mente la predestinazione assoluta; so stenne che Iddio vuol sinceramente sal vare tutti gli uomini, che a tutti, sen z'eccezione di sorta, dà sufficienti mezzi  di salute, e che riprova coloro soltanto,  i quali abusarono di questi mezzi o vi  hanno resistito. Arminio ebbe ben pre sto un gran numero di seguaci: ma  Gomar, altro professore, sostenne perti nacemente la dottrina rigorosa de'pri mi riformatori e seppe conservarsi un  partito potente. In tal maniera il cal vinismo resto diviso in due fazioni, l'una  degli arminiani o rimostranti, l'altra dei  gomaristi o contro rimostranti. A defi nire questa contesa gli stati generali  d'Olanda convocarono nel 1615, a Dor drecht, un sinodo nazionale; vi preval.  sero i gomaristi, i quali condannarono  gli arminiani, della cui dottrina venne  alla dannazione e furon detti soprala- I proibito l'insegnamento. 201  PREESISTENTE  Ma questa decisione lungi dall' ac quetare gli animi, non fece che au mentare la discordia: non trovò essa  alcun partigiano in Inghilterra, e fu re spinta in più paesi dell' Olanda e della  Germania, e nemmeno in Ginevra le si  ebbe rispetto. N'assicura il Mosemio  che d'allora in poi la dottrina della  predestinazione assoluta andò dall'un di  coll'altro declinando, e che gli arminia ni ripresero poco per volta il sopraven to. (Hist. eccles. secolo XVII, Lez. II,  part. II c. 2. n. 12).  Pregiudizio (da præ, prima, e  judicare, giudizio, giudicar prima). Voce  primamente usata nella giurisprudenza  per indicare il giudizio di quelle cause  le cui conseguenze erano così evidenti,  che la sentenza veniva preveduta prima  ancora del processo. Nella filosofia in dicò poi il giudizio pronunciato od ac cettato senza esame in forza dei princi pii ricevuti dalla tradizione. Questo si gnificato non esprime però interamente  il concetto di pregiudizio, tale come le  s'intende oggidi. Vi sono dei giudizi  accettati senza esame che nondimeno  sono verissimi, tali, ad esempio, tutte  le leggi stabilite nelle scienze, le quali,  in grazia del metodo sintetico, s' inse gnano nelle scuole prima della dimo strazione, o primache l'intelligenza ab bia acquistato il necessario sviluppo  per poterle intendere.  Aformare il vero pregiudizio ec corre che il giudizio, non solo sia pro nunciato senza esame, ma ehe ezian dio sia falso. Un pregiudizio vero non  può esistere : non sarebbe più pregiu dizio, nel senso in cui intendiamo oggi  questa voce, ma una verità.  Sono pregiudizi gli errori a cui sia mo condotti nell'applicazione di princi pii tradizionali ricevuti senza esame ; se  però questi errori riguardano la reli gione, meglio si chiamano superstizioni.  Éuna superstizione il credere alla esi stenza delle streghe, all'invasamento del  demonio, all'influenza degli spiriti ; ma  èun pregiudizio il credere,come comu nemente si fa, alla chiaroveggenza ma gnetica, all'influenza delle comete sugli  avvenimenti umani ; all'influenza di certi  numeri piuttosto che di certi altri, e  cosìvia.  Vi sono pregiudizi politici e pre giudizi scientifici che dipendono unica mente dal nostro amor proprio. Fra i  primi si conta la singolare pretesa d'o gni nazione di essere la prima del mon do; fra i secondi ' ostinata adorazione  delle proprie idee, e la pretesa di tutti  i cultori di qualche scienza speciale, i  quali nelle loro prolusioni nonmancano  mai di proclamare che la loro scienza  è fra le più necessarie al consorzio u mano.  Ho detto che non tutti igiudizi pro nunciati a priori sono pregiudizi ; e che  non to sono precisamente quelli che  sono fondati sulla verità. Del pari non  tutti i giudizi falsi sonopregiudizi, ma  lo sono solamente quelli i quali si pro nunciano senza esame, in forza di prin cipii già ricevuti.  L'uomo il quale,dopo maturo esame,  disgraziatamente affermacosanonvera,  non cade in un pregiudizio, ma sem plicemente in un errore.  Presbiteri. Due sorta di Chiese  presbiteriane si trovano in Inghilterra.  Quella così detta Chiesa stabilita o na zionale, e la Chiesa libera o Indipendente  che si separò dall' altra per non voler  conformarsi alla liturgia che fu stabilit a  per la Chiesa ufficiale. (V. ANGLICA NISMO)  Preesistente. Cosa che esiste  anteriormente ad un' altra. Gli antichi  filosofi, non ammettendo la sua azione,  stimarono che Iddio avesse fatte le cose  tutte d'una maniera preesistente ed al  pari di lui eterna. Alcuni dissero Iddio  avere fatto ogni cosa da ciò che non  esisteva, ex non extantibus; espressione  che a prima vistapare voler significare  ch'egli ha fatto il tutto dal nulla, quindi  tutto creato; ma i critici moderni di mostrano che per non extanita inten devasi la materia, e che tal frase si PRESENZA REALE  gnificava soltanto aver Iddio data una  forma a ciò che non ne aveva alcuna.  Del resto, una materia preesistente, e terna e senza forma, è per lo meno  egualmente difficile a concepirsi che la  295  tazione le parole di Gesù: lo sono la  vite, io sono la porta,per mostrare che  se doveva intendersi nel senso letterale  creazione: poté forse la materia esistere  senza dimensioni; non sono elleno una  forma?  I pittagorici ed iplatonici credettero  nella preesistenza delle anime umane,  ossia che le anime avessero esistito in  un' altra vita prima d' essere mandate  ne' corpi per animarli; soggiungevano  che l'unione delle anime ai corpi che  sono per esse una sorta di prigione,  era una punizione de' peccati da lor  commessi in una vita anteriore. Simove  accusa a Origene di averpartecipato a  tale opinione e talvolta veramente par  la sostenga; ma Uezio osservò che Ori gene, e così sant' Agostino, si tennero  entro i confini del dubbio intorno alla  vera origine dell' anima. (Origenian., I.  II c. VI, N. 1).  Presenza reale. Dommaper il  quale i fedeli credono che sotto le ma terie dell'Eucarestia esiste veramente il  corpo ed il sangue diGesù Cristo. Que sto domma differisce da quello della  transubstanziazione in ciò, che questo  ultimo suppone che le stesse materie  del Sacramento si trasformano nel corpo  enel sangue di Gesù,mentre ilprimo  ammette che il corpo e il sangue stanno  sotto alle materie del Sacramento senza  che però questecambino la loro natura.  Il domma della presenza reale era  generalmente ricevuto dalle Chiese ri formate, quando Carlostadiomandò per  le stampe alcune scritture per combat terlo. A lui si unirono Zuinglio ed Eco lampadio, i quali convennero che le  parole dette da Gesù nella Cena men tre spezzava il pane: questo è il mio  corpo, dovessero intendersi in senso fi gurato. La parolaè devesi intendere in  senso significativo , diceva Zuinglio :  Corpo, cioè il segno del Corpo, aggiun geva Ecolampadio. L'uno e ' altro ad ducevano in prova della loro interpre che il pane era il corpo di Gesù, do veva pure intendersi che Gesù fosse la  vite e la porta. Il segretario della città  che disputava sostenendo la dottrina  opposta, ben adduceva che questi esem pi non erano della stessa sorte, poichè  quando Gesù disse: questo è ilmio cor po, questo è il mio sangue, non propo neva una parabola, nè spiegava una  allegoria. Alla quale obbiezione Zuinglio  cercava una soluzione. E dopo dodici dì  ebbe un sogno in cui dice, che imma ginandosi di disputare ancora col se gretario della città, vide comparirsi ad  un tratto un fantasma bianco o nero,  che gli disse queste parole: vile, perché  non rispondi tu ciò che è scritto nel l'Esodo, l'agnello è la Pasqua, per dir  che n'è il segno? (Esod. XXII, 11).  Frattanto non erano i soli cattolici  quelli che osteggiavano l'interpretazione  figurata. Lutero stesso, il qual vedeva  di mal occhio le innovazioni degli altri  riformatori, sosteneva che volgendo al  figurato le parole del Vangelo, era a prire una porta, per la quale tutti i  misteri sarebbero sfuggiti in figure.  Elagnandosi di coloro che opponevan gli essere la presenza reale un domma  inconcepibile, diceva: « Allorchè Gesù  Cristo è stato concepito per opera dello  Spirito Santo nel seno d' una Vergine,  questo miracolo maggiore di tutti, a  chi è stato sensibile? Quandola Divinità è  corporalmente abitata in Gesù Cristo,  chi lo ha veduto e chi l'ha compre so? Chi lo vede alla destra del Padre  di dove esercita la sua onnipotenza su  tutto l'universo ? É questo ciò che li  costringe a torcere, a mettere in pezzi  le parole del maestro ? Noi non com prendiamo, dicono essi, come egli le  possa eseguire alla lettera. Mi provan  bene con questa ragione che il seuso  umano non si accorda colla sapienza di  Dio: io ne convengo; ma non sapeva  per anche essermi necessario il credere 296  PRESENZA REALE  solamente quel che scorgesi aprendo gli  occhi, o quello che può adattarsi al l'umana ragione » (Sermo de corp. et  sang. Christ )  Rispondendo a Lutero i Zuingliani  non mancaronodi provargli che quando  si dovessero intendere alla lettera le  parole di Gesù, non la sola presenza  reale, ma la transubstanzazione dei cat tolici diventerebbe necessaria. Osserva rono essi che Gesù Cristo non aveva  dell'Eucarestia è il vero corpo naturale  del nostro Signore, la quale dottrina  contenuta nella ultima sua confessione  di fede fu approvata da Melantone e da  tutta la Sassonia. Contro a' Zuingliani  scagliavasi furioso.  α  Mi hanno fatto  piacere, scriveva in una lettera, chia mandomi infelice. Io dunque il più in felice di tutti gli uomini , mi sti detto : il mio corpo è qui; ovvero : il  mio corpo è sotto questa cosa ; oppure:  questo contiene il mio corpo. Così cid  ch'ei voleva dare ai suoi fedeli, non era,  una sostanzachecontenesse il suo corpo,  ochelo accompagnasse, ma il suo corpo  senz'altra sostanza straniera. Nonhadetto  nemmeno: questo pane è il mio corpo,  che è l'altra spiegazione di Lutero, ma  disse: questo è il mio corpo, con un  termine indefinito, per mostrare che la  sostanza da esso data non è più pane,  ma il suo corpo. Perciò Zuinglio nella  confessione di fede che mandò ad Au gusta e che fu approvata da tutti gli  Svizzeri, dichiarava espressamente « che  il corpo di Gesù Cristo dopo la sua  ascensione non era in altro luogo che  in Cielo; e non poteva esistere in altra  parte: che per veritá era come presente  nella Cena per la contemplazione della  fede, e non realmente, nè colla sua es senza » (Bossuet Storia delle variaz.  lib. III, 14). E in una lettera indirizzata  a Francesco I, dice che quanto al man giare che fanno gli Ebrei come i Pa pisti, deve cagionare lo stesso orrore  che avrebbe un padre cui si desse da  mangiare il suo figliuolo; che la fede  ha orrore della presenza visibile e cor porale, e che non si deve mangiare  Gesù Cristo in una maniera carnale  e materiale: un'anima religiosa mangia  il suo corpo sacramentalmente, cioè in  segno, spiritualmente, cioè per la con templazione della fede.  Contuttociò Lutero fu ben lontano  di piegarsi alla opinione dei sacramenta ri; egli sostenne maisempre che il pane  mo per una sola cosa felice, e non  voglio che la beatitudine del Salmi sta: beato l'uomo che non è stato nel  concilio dei sacramentari, e non hamai  camminato per le vie dei Zuingliani, nè  si è posto a sedere nella cattedra di  quei di Zurigo ».  Lutero moriva al 25 gennaio 1546, e  nell'anno 1561 un'adunanza dei teclogi  di Vittemberga e di Lipsia tenuta in  Dresda per ordine dell'Elettore, ne mo dificava sensibilmente la dottrina. Di chiararono « che il vero corpo sostan ziale è veramente e sostanzialmente  dato nella Cena, senza che tuttavia di venti necessario il dire che il pane sia  il corpo essenziale o il proprio corpo  di Gesù Cristo, nè che si riceva corpo ralmente e carnalmente colla bocca del  corpo; che l' ubiquità loro faceva or rore ; che vi era argomentoa stupirsi che  vi fosse tanto attaccamento al dire che  il corpo sia presente nel pane, perché  era molto meglio considerare ciò che  si fa nell'uomo, per il quale, e non pel  pane, Gesù Cristo si rendeva presente ».  Questa attenuazione eracontraddito ria, giacchè, mentre voleva che il corpo  fosse veramente dato nell'Eucarestia, si  avvicinava poi all'interpretazione simbo lica dei sacramentari, in quanto non  ammetteva che il corpo eucaristico fosse  il proprio corpo di Gesù. Non si pote va in così poche parole annunciare  due principii più contrari! Nonostante  la sua poca conseguenza questa confes sione fu il principio di una serie di  transizioni fra i due partiti. Calvino  ammette una presenza quasi miracolosa  e divina; non cessa dal ripetere che il  mistero dell Eucaristia supera i sensi, PREVOST  che èun'opera incomprensibile della di vina potenza, e nel suo catechismo si  sforza di spiegare come sia possibile   ma lo vollero addrit tura infinito ». Già s'intende che  questa infinità contiene una impossibi lità implicita, imperocchè essa suppone  nell' ingegno umano una potenza di  svolgimento infinito. Or noi sappiamo  bene che le facoltà percettive del no stro intendimento sono limitate a un  maggiore o minor numero di cognizio ni, e che quando nuove idee vengono a  imprimersi nella nostra memoria, di mentichiamo una seriedi altre idee, sic chè le une cancellano le altre, e non  vi è nel nostro intelletto aggiunzione  di idee nuove, ma semplice successione  (V. MEMORIA). Vié dunque un limite  intellettivo, oltre il quale l'uomo, così  come è ora organizzato, non può spin gersi. Anche la divisione di una mede sima scienza i vari rami coltivati dagli  specialisti, già indica che un nomonon  può approfondire le sue cognizioni , se  non si dedica esclusivamenle a un de terminato e ristretto numero di fatti.  Ma il pragresso infinito malpuò conte ciclopedia delle scienze, e conoscere  tutti i particolari dellastoria, per quanto  grande sia il numero dei secoli che  conta la vita del mondo.Epoichè pro gresso infinito vale tempo infinito, cosa  infinita, così bisognerà credere che possa  venire un tempo incuil'uomo conoscerà  tutti i fenomeni dell' universo infinito, nel  qualel'eternitànel tempo e nello spazio  non saranno più una incognita per lui.  Siffatta esagerazione nonhabisogno  di essere confutata. Il mondo nè peg giora, nè progredisce infinitamente. II  nostro miglioramento è semplicemente  indefinito, vale a dire che se noi pos siamo accertare il costante progresso  dellasocietà, manchiamo peròdi qualsiasi  dato per stabilire il punto in cui que stoprogresso dovrà arrestarsi.Sappiamo  però che una legge di trasformazione è  immanente in tutta la natura; che la  specie nostra e la nostra vita non rap presentano che un punto e un minuto  nella vita dell' universo; e che nati su  questa terra allorchè le condizioni di  calore furono propizie allo sviluppodella  vita organica, noi cesseremo di esistere  tostochè il successivo raffreddamento di  essa più non permetterà agli attuali  organismi di trovarsi nelle condizioni  necessarie alla loro esistenza (v. Mondo).  Proposizione. La più semplice  forma logica con laqualeesponiamo un  giudizio. Ogni proposizione, infatti, per  semplice che essa sia, contiene sempre  un giudizio, avvegnachè, ancor che sia  ridotta ai suoi minimi termini, essa e sprime sempre l'oggetto e l'attributo, e  spesso la relazione tra l' uno e l'altro.  Quando io dico la forza è eterna, il  verbo é indica la relazione che corre fra  il soggetto forza e l'attributo di eternità  di cui è o la suppongo dotata. Questa  sarebbe una proposizione affermativa  perché il verbo afferma l'attributo; sa rebbe negativa se lo negasse, come per  esempio in quest' altra: l'anima non è  immortale. 312  PROTAGORA  Platone nel Sofista riduce a due soli  i segni vocali della proposizione: >  Morto Francesco I, il suo succes sore restitul aRamus la libertà di par lare e di scrivere, e cred anche per lui  una nuova cattedra al Collegio di Fran cia: ma la protezione reale non valse  ad impedire l'odio di quelli che mal  tolleravano i suoi tentativi di riforma in  ciascuna delle arti liberali, dalla gram matica alle matematiche. Qui vuol es sere ricordata la questione, divenuta  famosa, dei quisquis e dei quanquam.  I teologi della Sorbona pronunciavano  quelle parole alla francese, e cioè come  se fossero scritte Kiskis e Kankam: i  lettori del re invece respingevano come  barbarismo quel modo dipronuncia. Un  beneficiario che aveva adottata la pro nuncia di questi ultimi, fu perciò solo  citato in giudizio davanti al Parlamento  di Parigi, ed egli correva gran rischio  di pagare la sua grammaticale eresia  colla perdita del beneficio, se non lo  avessero caldamente difeso i professori  del Collegio di Francia e Ramus con  essi, i quali a gravissimo stento riesci rono a persuadere i giudici che le re gole dell' ortoepia non erano soggette  alla loro giurisdizione. Giudichisi da  questo fatto quale fosse allora la forza  delle vecchie consuetudini, e del princi pio di autorità, e quanto coraggio do vessepossedere chi in qualsiasi guisa vo lesse sfatare questo o quelle.Pure Ramus RAZIONALISMO  non si lasciò spaventare da ostacoli di  tale natura ; riprese le sue lezioni di  329  le dottrine di Platone e di Aristotile  logica ad onta dei clamori e dei tumulti  con cui si tento ripetutamente di inter romperle; anzi adottò per testo appunto  quelle  considerazioni sulla logica di  Aristotile » per cui erasi scatenata su  lui tanta tempesta. Nello stesso tempo  osò pubblicamentesostenere(ed era al lora esecranda eresia) che anche Cice rone e gli altri autori antichi avevano  i loro difetti, e che « se furono ottimi  in qualche cosa non erabuona ragione  per adorarli in ginocchio e per procla marli perfetti in tutto ».  Avendo Ramus abbracciata in quel l'epocala religione protestante,dapprima  segretamente e pubblicamente dopo l'e ditto di tolleranza del gennaio 1562,  offri ai numerosi nemici che si era  procurati colla sua audacia una poten tissima arma per perderlo. Egli divenne  l' oggetto delle calunnie più odiose, e  per due volte fu costretto ad abbando nare la cattedra ed a correre la via  dell'esiglio. Finalmente, come già dissi,  fu barbaramente trucidato la sera della  strage di San Bartolomeo, dopo che a veva già convenuto e pagato ai suoi as sassini il prezzo del suo riscatto.  Tra le sue opere ricordo le « dia lectuæ partitiones ad Academiam Pari siensem, e gli arithmeticae libri tres ».  Rapin (Renato). Nacque in Tours  nel 1621; morìl in Parigi il 27 Ottobre  1687: entrò nel 1639 nella compagniadi  Gesù, dove fu destinato all'insegnamento.  Scrisse molte opere filosofiche, nes suna però di qualche merito. Come un  infecondo tentativo di filosofia teologica  va ricordato il suo « confronto tra Pla tone ed Aristotile coi giudizi dei padri  sulle loro dottrine. Con esso l'autore  si propose di dimostrare che fu irra gionevole il disprezzo ostentato da De scartes per le tradizioni filosofiche che  erano in auge prima di lui, ed erroneo  ed incompleto il sistema da lui seguito  e le conseguenze che ne dedusse. Pre messa unasuperficiale esposizione del (tra cui fa un confronto non meno su perficiale) come dei padri della chiesa,  Rapin giunge alla conclusione che mal grado la loro ignoranza delle leggi fi siche tutti costoro furono eccellenti filo sofi appunto per aver saputo meglio di  Descartes apprezzare l'importanzadella  metafisica e per averne riconosciuta la  preminenza sopra le scienze fisiche. Del  resto, anche non tenendoconto della va cuitàdelle opere delRapin, i suoi stessi  fautori riconoscono non aver egli saputo  senonchè esporre conuna forma molto  infelice le idee su Platone di un cano nico di poca fama, di cui egli in tal  guisa non sarebbe stato che un impe rito plagiario.  Razionalismo. Così si chiama  quel sistema di filosofia il quale pro fessa di non riconoscere altre verità che  quelle dimostrate dalla ragione. Data  questa definizione,che è la piùgenerale,  si capisce facilmente che le credenze dei  Razionalisti possono essere tanto diverse  quanto sono diversi icervelli degli uo mini. Se la ragione fosse eguale in tutti  gli uomini, certo sarebbe unico anche  il criterio dei razionalisti per scoprire  la verità; ma disgraziatamente non è  così; e poichè ogni uomo crede di se guire i dettati della sua ragione, anche  quando non rettamente argomenta, da  questa varietà doveva necessariamente  derivare, come infatti n'è derivata, una  grandissima diversità nelle conclusioni  dei razionalisti, i quali vanno divisi in  tante scuole, che a tutte nettamente  determinare è ardua impresa. Dirò per tanto di alcune di esse e delle più note.  La prima scuola,la quale interpreta  il razionalismo nel modo più ristretto  e, dirò anche in un senso affatto im proprio, è quella del razionalismo teo logico. Questa scuola, per la maggior  parte compostadi veri teologi, professa  sibbene di accettare la ragione come  criterio di verità, ma riconosce poi che  ci sono dei veri i quali eccedono la ca pacitànaturaledell'umana ragione, quali 330  RAZIONALISMO  sonoadesempio i misteridella religione, primitivo ha potuto colsolo aiuto della  iquali non possono dimostrarsi, ma  devono di necessità essere creduti per  fede. Tutti di leggeri intendono che  impropriamente cotesti tali presero il  nomedi razionalisti, imperocchè dalmo mento che l'uomo sottrae al giudizio  della sua ragione una opinione od un  principio, perde per ciò stesso il diritto  di dirsi razionalista; altrimenti bisogna rebbe che tal nome fosse dato a tutti  gli uomini; inquantochè tutti inqualche  cosa si sottomettono ai dettati della  ragione.  Fra questi stessi teologi il nome di  razionalisti fu disputato; ma infine ge neralmente convennero di applicare tale  appellativo a quelli fra di loro i quali  si sforzano didimostrare laverità della  fede collaragione. Si sa che ilmaggior  numero conviene che molti dommi te ologici sono superiori al nostro inten dimento, e che impresa vana è il ten tarne la dimostrazione. Non pochi però  furono di contrario avviso, e appog giandosi al detto di S. Paolo « la cre denza sia ragionevole » hanno concluso  che ognidommapuò edeve esserespie gatodallaragione, permezzodella quale  si sono accinti a dimostrare, a parer  loro razionalmente, le così dette verità  della fede. Non e a dirsi la meschina  figura che certi tali hanno fatto in co tale improba intrapresa, giacchè, messi  alle strette tra la fede e la ragione,  nonhanno fatto questa giudice di quella,  ina piuttosto un' umile ancella, i cui  servigi sono stati assai poco apprezzati  e ancor peggio rimunerati. Molti teologi  hanno severamente biasimataquesta ten denzadi introdurre laragione nelcampo  dei misteri; e non avevano torto, poichè  la ragione nulla possa in quelle cose  che la Chiesa stessa ex cattedra ha de finite superiori all'umano intendimento.  Appenapochi lustri or sono eraviva  in Francia la disputateologica tra i ra zionalisti ed i tradizionalisti; i primi  cercavano di dimostrare con esempi at tinti alla natura e alla storia che l'uomo  sua ragione man mano sollevarsi dallo  stato selvaggio alla presente civiltà. So stenevano invece i tradizionalisti che  senza il soccorso della tradizione, per  la quale venne trasmessa la rivelazione  fatta da Dio al primo uomo, non solo  il genere umano sarebbe andato dege nerando, ma non sarebbe mai riuscito  neppure  a crearsi un linguaggio.  Era, per verità, da partedei teologi  razionalisti, un'ardua impresa quella di  sostenere arditamente la potenza civi lizzatrice della ragione, e di opporla al  potere della rivelazione. Manon dimen tichiamo che quei singolari razionalisti  nonsostenevano la ragione che per ado perarla poi a beneficio della fede. Essi  non escludevano il sovranaturale, tut t'altro; partivano anzi da un principio  poco diverso dalle idee archetipe di Pla tone, pel quale sostenevano che l'intel letto nostro contiene in germe tutte le  verità così religiose come naturali; che  queste verità, dono gratuitodi Dio, van no manmano svolgendosicol progresso  storico dell' umangenere. Tutte le loro  dispute si struggevano intorno aquesto  solo principio: la rivelazione è un fatto  vero ma non necessario. Se Dio non  avesse data la rivelazione, gli uomini  col solo aiuto dei germi che Dio ha  posti nell'intelletto umano, si sarebbero  innalzati alla civiltà, avrebbero acqui stata la conoscenza di Dio e della sua  legge morale.  Non si può negare che per dei filo sofi teologi questo era un passo assai  ardito. Ma stretti com' erano dai vincoli  della fede, alla quale non potevano sot trarsi, come avrebbero potuto non mal trattare la logica a beneficio della re ligione? Perciò vittoriosamente oppo nevano i loro avversari che laragione  umana essendo limitata, non potrebbe  da se solaelevarsi fino alla chiara idea  diDio. Quindi conchiudevano con l'ar gomento di S. Tomaso (Contr. Gen. c.4)  che tre inconvenienti sarebbero venuti  ove Dio avesse abbandonato alle ricer RAZIONALISMO  che di ciascun uomo l'opera di for marsi le nozioni riguardanti Dio, la cre azione, la legge morale e la vita avve nire. E cioè: 1.º che pochi uomini ar riverebbero fino alla cognizione di Dio,  essendo il maggior numero impedito o  da inettitudine o da estranee occupa zioni, o dall' inerzia; 2.º che anche que  sti pochi i quali hanno capacità, tempo  e volontà, a stento vi potrebbero per venire dopo anni assai, e ad età inol trata; 3.º che essendo limitata laragione  e soggetta ad errare, non potrebbero  quindi avere mai la piena e formale  331  sulle forme del culto, divien scettico  sui dommi fondamentali della vita av venire; non afferma nè nega, ma s'a stiene, come il positivismo. Ciò, pertan to, che fudetto perl'uno valeanche per  l'altro. Dirò ancora che, a parer mio,  questa astensione non èmolto ragione vole, poichè in tutte le cose l'uomo  certezza di avere colto nel vero.  I razionalisti teologi sono molti dif fusi inGermania dove, per razionalismo,  non s'intende già una filosofia incredula,  ma una filosofia, la quale, benchè sia  contraria ai dommi della religione, è  pur sempre sottomessa ai dommi fonda mentali dell' esistenza di Dio, della spi ritualità e dell' immortalità dell'anima.  Ai nostri giorni nell' Italia e nella  Francia è sorto il razionalismo filosofico,  il quale, assai più ardito del suo confra tello, ha scosso tutti i dommidella fede  pronunzia il suo giudizio seguendo le  regole della probabilità. Nel Fedone,  parlando Socrate della immortalità del l'anima, dice: « lachiara cognizione di  tali cose in questa vita è impossibile,  od almenodifficilissima ... Il savio deve  dunque tenersi a ciò che sembra più  probabile quando non abbia dei lumi  più sicuri, o una rivelazione che lo gui di ». Or i razionalisti questa rivelazione  non l'hanno, nè ammettono per vere  quelle a cui credono gli altri uomini;  perchè dunque non si atterranno al co mun modo di determinarsi nei casi  dubbi? Dicono che questequestioni ec cedono lacapacitànostra e che i motivi  addotti pro e contro non hanno alcun  valore. Ragione di più anzi per deter mivarci alla negazione, perciocchè se  alcuno ci venisse innanzi affermando l'e equelli ancora della filosofia spiritua lista. Questo razionalismo, proclamando  l' assoluta indipendenzadella ragione, e  la sua esclusiva competenza a scoprire prensibili, certo non si pretenderebbe  cheda noi si adducessero argomenti  sistenza dicosa impossibilee pretendesse  dimostrarcela con argomenti incom il vero, nega recisamente ogni culto e sterno ed eziandio ogni religione. Si  arresta, per altro, dinanzi ai dommi fon damentali dell'esistenza di Dio e dell'a nima immortale, non giá perché esso  li ammetta siccome veri; ma perchè li di chiara impossibili a concepirsi e a di mostrarsi col nostro intendimento. Par rebbe ovvio che dopo taldichiarazione  il razionalismo dovesse negarli; pure  non è così, giacchè esso aggiunge inol tre, che come quei dommi non possono  concepirsi nè dimostrarsi, così neppure  possono confutarsi e negarsi; che tanto  le prove affermative quanto lenegative  non hanno valore quando si applicano  ad argomenti che eccedono i limiti del l'umana ragione. Mentre adunque il  positivi per negarla. Finchè una cosa  non sia dimostrata, per noi non esiste  ancora, e per negare ciò che non esiste  occorrono forse argomenti positivi? Ma  dimostrato non è ciò che si ammette  eccedere i limiti delnostro intendimento,  perciocchè la dimostrazione vuol essere  compresa, o non è dimostrazione. Se  non è dimostrazione, dunque la cosa  rimane indimostrata; e se la dimostra zione non è conpresa, dunque la cosa  non resta nè compresa ne dimostrata,  come non lo sono tutti i sogni della  nostra immaginazione, ad annullare i  quali bastala semplice attestazione dei  sensi.  L' astensione del razionalismo sui  razionalismo filosofico è affatto incredulo | dommi fondamentali della religione non 332  RAZZA  può dunquefondarsi, come si pretende,  sulla incompetenza della ragione. Un  certo ritegno, consigliato piuttosto dalla  opportunità, per non spingerela nega zione a tutta oltranza e per non cre arsi troppi nemici, è il vero motivo di  questa astensione. Ma molti hanno già  superato anche le ultime barriere e  spingono il razionalismo filosofico alle  sue ultime conseguenze, quali quelle di  emancipare la ragione umana da ogni  incomprensibile sovranaturale e di ren derla suprema giudicatrice d' ogni con troversia.  Razza, Specie. I naturalisti divi dono gli esseri vivi che popolano il mon do in vari generi, ogni genere sidivide  in varie specie, e le specie in razze. La  specie dunque comprende la razza; e  se si ammette che le razze comprese  in una medesima specie derivano tutte  da un'unica fonte, non così sono tutti  disposti ad ammettere che le specie  possono essere derivate le une dalle altre.  Darwin è stato uno fra i primi che  hanno dimostrata la trasformozionedelle  specie e il loro possibile passaggio dal l'una in altra ( v. DARWINISMO ). Rima ne tuttavia il dubbio sul valore delle  varie razze umane, rimane, cioè, a co noscersi se le varietà che si notano nel  fisico umano, derivano dalladegradazio ne o dal miglioramento di individui e guali, oppure se queste varietà sussi stettero in ogni tempoe fin dall'origine  dei vari tipi, i quali sarebbero perciò  distinti con caratteri specifici e costi tuirebbero altrettante specie.  Già fin dal secolo scorso i naturalisti  erano discordi intorno a questo punto.  Buffon ammetteva una sola specieuma na, fondandosi sul fatto che da un clima  all' altro le singole razze di uomini sono  insieme collegate; che a lungo andare  ogni uomo risente la influenza del clima,  che una medesima latitudine, allorchè  contiene climi diversi, presenta pure  razze differenti; finalmente che le varie  razze d'uomini possono associarsi vicen devolmente e generare individui fecondi.  Quest'ultimo carattere fu però negato  da molti naturalisti, specialmente dopo  le infeconde unioni sperimentate sui  negri d' Affrica trasportati in America  (V. DARWINISMO ). D'altra parte si è  pure giustamente obbiettato che la fe condità delle unioni fra individui di  differente razza non proverebbe che essi  appartengono alla medesima specie,poi chè, come osserva il prof. Adelon, è  certo che molti animali di specie evi dentemente diversapossono accoppiarsi  e procreare individui fecondi. A molti  parve poi impossibile di attribuire al l'influenza del clima le differenze che  si riscontrano fra le varie razze umane.  Nella storia naturale, dicono essi, le  specie si fondano sopra diversità im portanti, dipendenti dall' organizzazione  primitiva, le quali resistendo ad ogni  esterna influenza, si trasmettono immu tabili attraverso alle generazioni. Essi  dicono che le differenze che si notano  fra le razze umane in certi casi hanno  questo carattere specifico. Si incontrano  uomini neri vicino ai poli e uomini  bianchi sotto ai tropici; gli uni e gli  altri si mantengono tali in climi opposti  quando non si uniscono con altre razze;  ed in tal modo ibianchi rimangono  bianchi sotto ai tropici ed imori restano  mori nella terra di Diemen, paese fred do, come pure nell' America settentrio nale. Quante nazioni conservano il pri mitivo loro tipo a malgrado dei secoli  e dei climi, quando non contraggono  estranee alleanze, come, per esempio, la  nazione ebrea! D'altronde il moro non  ha mica la sola pelle nera; sono pure  neri ilsuo sangue, i suoi organi interni,  e se pretendesi che la prima sia stata  annerita dal calore del clima si vorrà  forse che egualmente abbia anneriti gli  altri? D'altronde non fu forse osservato  avere il negro un pidocchio particolare  ad esso, e diverso da quello che affligge  la razza bianca?  Intorno a questo argomento così si  spiega il Dott. Bertillon in un notevole  scritto sull' antropologia: «Uno dei cri RAYNAL  333  teri di coloro che sogliono attenersi al di principio per sviluppare la confusa.  gruppo specifico è l'origine. Sono di chiarati della stessa specie coloro che  sortono dalla medesima coppia. Compre sa in questa generalità la tesi è incon testabile, perchè si suppone che la discen denza è unfatto osservato, maquando la  comunanza d'origine non è stata scien tificamente accertata, e in conseguenza  tutte le volte che essa risale a tempi  lontanissimi, come nel caso dell' uomo,  bisogna relegare questo preteso criterio  fra le più detestabili inspirazioni di cui  i miti religiosi hanno infettate le fonti  della scienza. Quand' anche gli uomini  non fossero che delle scimmie antropo morfe perfezionate da una lunga selezio ne, non costituirebbero perciò meno un  gruppo generico ben distinto; e se an che gli astronomi, che oggi ci mostrano  l'esistenza del ferro, del rame, dell'i drogeno ecc. nelsole, riuscissero a farci  vedere degli uomini nel pianeta Marte,  Od altrimenti, il raziociniosi fa quando,  con dei principii luminosi ben applicati  alle cose oscure e ignote, si dimostra  quel che era occulto.  Raynal ( Tommaso Guglielmo )  nato a Saint-Genis il 12 Aprile 1713,  morto a Chaillot il 6 Maggio 1796.  Fudapprima ascritto alla compagnia  dei Gesuiti, mase ne allontand ben pre sto e, recatosi a Parigi, vi abbandonò  apertamente il sacerdozio.  Alcuni lavori di diversa natura, sto rici in gran parte, incominciarono ad  acquistargli rinomanza, e lo fecero ac cettare quale uno dei redattori del Mer curio. Avendo poi stretta amicizia con  Holbach ed Helvetius difese con ar dire e convinzione i principi da essi  professati.  Ebbe fama luminosaper lasua ope ra maggiore intitolata « storiafilosofica  e politica degli stabilimenti e del com mercio degli Europei nelle due Indie ».  qualunque fosse la loro eguaglianza or ganica con noi,dovrebbero forse costi- Con quel libro Raynal tradusse in atto  tuire una specie aparte, sotto pretesto  che non discendono dagli stessi ante un concetto di difficile esecuzione e va nati ? Il solo proporsi queste questioni  vale risolverle. La formazione dei gruppi  specifici deve riposare, o sulla fecondità  scientificamente accertata e duratura fra  gli individui che li compongono, oppure  sul complesso dei rapporti di rassomi glianza e d'intimità i quali possano  condurci ad ammettere come attualmen te possibile la riproduzione durevole  dello stesso tipo ». Con ciò si conclude  che se in nessuna scienza si possono  fare delle divisioni assolute, meno poi  èlecito farle nella storia naturale, nella  quale queste divisioni sono affatto con venzionali enon meritano proprio, come  ben dice il dott. Bertillon, le lunghe  discussioni che hanno generato.  Raziocinio. L'atto del commet tere insieme giudizi per induzione o  per dimostrazione. Il raziocinio, diceRo magnosi, discorso,argomento, prova, non  è che lo sviluppo di una idea chiaro confusa, nellaquale laparte chiara serve  stissimo, quale era quello diriunire in  un quadro metodico e ben fattola sto ria di tutte le imprese degli Europei  nell' India e nel nuovo mondo. Come  egli sia riescito in questa impresa si  ardua, lo mostra la splendida celebrità  che al suo primo apparire l'opera gua dagnava all'autore. Della Storia filoso fica, furono fatte nella sola Francia venti  edizioni, e più che cinquanta altrove.  E fu un successo ben meritato, perchè  se in qualche punto si sarebbe potuto  usare una critica storica più severa, tale  menda però scompare di fronte ai pre valenti pregi reali dell'opera, nella quale  l'autore, alla esatta esposizione dei fatti,  seppe accoppiare profondi insegnamenti,  ed interessantissime considerazioni, qua li sono quelle sulla tratta deinegri, e sul la libertà del commercio, cherimangono  adimostrare il suo profondo affetto per  l'umanità, e per il civile progresso.  L'opera, per la sua indole storica,  più che filosofica, mal si prestava ad una 334  REDENZIONE  completa ed ordinata esposizione di dot trine. Tuttavia Raynal non lascid sfug gire occasione veruna per battere in  breccia l'assolutismo e lasuperstizione,  eper ridurre al loro giusto valore le  teorie dell'assoluto.  Così egli rifiuta ogni fede all'esi stenza di Dio, ed anzichè supporre un  ordine morale eguale in ogni tempo  ed in ogni luogo ed indipendente dalla  diversità dei fatti e delle forme sociali,  dimostra essere la morale una creazione  e  della società, diversa nei diversi tempi  nei diversi luoghi, ed intieramente  subordinata ai climi, alle consuetudini,  ed alle forme di governo.   e  «la storia del Parlamento d'Inghilterra».  Realismo. Vedi NOMINALISMO.  Redenzione. Nell' antico Testa mento redentore è detto chi redimeva  od aveva diritto di redimere l'eredità  venduta da alcuno dei suoiparenti, o il  parente stesso, dalla schiavitù, e chi ri scattava una vittima destinata al sacri ficio. Redentore del sangue era colui  che aveva diritto di vendicare l'uccisione  di qualche suo parente, ammazzando  l'uccisore.  Nel nuovo Testamento Gesù è detto  il Redentore, colui che diede la sua  vita per la redenzione degli uomini  (Matt. XX, 12). Ivi s' insegna che noi  resero molti onori. RELAZIONE, RELATIVO  siamo stati riscattati a gran prezzo (I  Cor. VI, 20), che il nostro riscatto  non fu fatto a prezzo d'argento,macol  335  uomini ed a concedere loro la vita e sangue dell' agnello immacolato, il quale  è Gesù Cristo. (I Piet. I, 11). Gli scrit terna. La quale opinione, che fadi  Gesù Cristoil nostro redentore per in tercessione e non per soddisfazione, è  avversata dalla maggior parte dei cri tori sacri partendo dal concetto del| stiani, i quali siconfortanocolleparole  peccato originale, giungevano fino a  supporre che tutti gli uomini fossero  dannati e fatti preda del demonio, e  che Gesù solamente col versare il suo  cato e la nostra liberazione. Conviene  di Gesù: « Questo è il sangue mio del  nuovo testamento, il quale sarà sparso  per molti in remissione dei peccati ».  Essi dicono ancora chenell'anticalegge  la redenzione o il riscatto dei primo sangue, offrendolo in olocausto al Pa drè suo, ottenne laremissione del pec- geniti consisteva nel pagare il prezzo  per ricuperarli; la redenzione dunque  del genere umano consistere nell'avere  ricordare che sotto l'anticalegge il sa Gesù pagato il prezzo per salvare gli  uomini colpevoli e degui della morte  eterna. Ma fu risposto che se quello di  Gesù Cristo fosse stato un riscatto ve crificio costituiva il fondamento di tutto  il culto. Il popolo d'Israele, simile in  questo a tutto il paganesimo, non im petrava la clemenza di Dio in altro  modo che coll' offrirgli de' sacrifizi. I  migliori animali e i più immacolati e rano immolati sull'altare della divinità,  e su quella vittima innocente ciascuno  scagliava la sua maledizione come per  rovesciare su di lei le colpe di tutti.  Ammesso dunque il peccato originale,  ai primi cristiani doveva parer cosagiu- muoia per alcuni colpevoli, nè offrendo  sta che il sangue di unuomo fosse dato  come corrispettivo del riscatto di tutta  ro, egli avrebbe dovutopagarne il prezzo  al demonio da cui li riscattava, e che  questa idea era troppo orribile per es ser vera. D'altra parte fu detto che la  redenzione per soddisfazione, sarebbe  contraria alla giustizia divina, non es sendo giusto che un innocente patisca e  l'umanità.  Ai sociniani però non parve conve nevole per la divinità ch'ella vendesse,  fosse pure a prezzo di sangue, la re denzione degli uomini; laonde cercarono  di mitigare quanto ha in se stesso di  brutale questo domma, insegnando che,  non già per lamortedi Gesù,Dio aveva  perdonato agli uomini, ma per le sue.  preghiere. Quanto ai pelagiani che ne gavano la propagazione delpeccato ori ginale, dovevano necessariamente inten dere la redenzione in un senso simbo lico. Dissero perciò che Gesù è reden tore degli uomini perchè li ha istruiti  con laparola e con l'esempio, riscat tandoli dalle tenebre dell' ignoranza, e  ponendoli in condizione di acquistarsi  il cielo. Anche Le Clerc nella sua Sto ria Ecclesiastica si avvicina a questa  dottrina, dicendo che Gesù pregò il  questa sostituzione soddisfazione alcuna  pel delitto. Che, infine, sarebbe stata  cosa più degna della bontà infinita il  perdonare senz' altro a rei pentiti che  l'esigere una rigorosa soddisfazione.  Aqueste ed altre obbiezioni, i cre denti nella soddisfazione hanno risposto  essere una veratemeritàil crederedi sa pere meglio di Dio ciò checonvenisse ad  una bontà infinita. In questa maniera  eludendo la domandaconvennero che il  domma della redenzione non è spiega bile dalla ragione umana, e che costi tuisce perciò un mistero imperscruta bile. V. GESÙ, CRISTO, MESSIA, INCARNA ZIONE.  Relazione, relativo.L'atto col  quale l'intelletto consideradue cose di verse, ideali o reali, per indurne conse guenze sulla loro convenienzaosconve nienza si chiama paragone; le conse guenze indotte le quali indicano ciòche  una cosa è rispetto all'altra, sono la  Padre suo a perdonare i falli degli | relazione . Le relazioni che le cose 336  RELIGIONE  hanno fra di loro sono innumerevoli, e  la loro conoscenza costituisce il nerbo  delle nostre cognizioni.  Sono cose o ideerelative quelle che  hanno dipendenza da altre cose o idee.  L'effetto è relativo alla causa da cui  dipende; il colore è relativo al corpo in  cui si manifesta od all'organo da cui è  percepito. Adoperasi perciò nella filoso fia la voce relativo per indicare uno  stato o una condizione differente dal l'assoluto. Ogni nostra idea è relativa a  noi,manon è assoluta; il concetto che  io mi formo del suono, deicolori, della  luce, è affatto relativo al mio modo di  percepirli; ma chi sa in quale altra  maniera sono percepiti da altri esseri ?  e chi sa che cosa questi fenomeni sono  in realtà? Di cose assolute non può e sisterne che una, ed è la sostanza, la  quale essendo indipendente da ogni al tro essere, ed unica, non ha relazione  conaltre cose, poichè tutte le cose sono  parte di essa . Tolta questa unica  eduniversale sostanza, tutti i feno meni percepiti sono relativi o al no stro modo di percepirli, o alla causa  d'onde emanano, o alle condizioni di e sistenza che essi trovano.  Tutte le idee che noi abbiamo sono  relative. Invano noi cerchiamo di avere  la nozione assoluta delle cose; tutto ciò  che noi impariamo, lo impariamo in  grazia dei nostri sensi e perciò la ve rità di tutte le nostre cognizioni è pu ramente relativa a questi sensi. (v. PIR RONISMO).  Religione. Sentimento dell'animo  verso Dio, il quale non deve confon dersi con gli atti di divozione, che  costituiscono più propriamente il culto.  Vi sono alcuni chehannouna religione  enon uncultoesterno; ma l'elevazione  della mente verso Dio è in ogni caso  carattere essenziale della religione. Han no torto quegli increduli i quali affet tano di professare la « religione della  scienza » la « religione dell'umanità >>  ola « religione del vero ». Queste ed  aitre tali espressioni o non esprimono  giustamente il loro pensiero, oppure  non servono che ad occultare la loro  incredulità. Si possono professare delle  opinioni filosofiche intorno alla scienza  o all'umanità; ma acostituire una reli gione, ossia un sentimento di relazione  fra l'uomo e un supposto essere sovra naturale, non bastano leideepuramente  relative a cose naturali.  Questo per ciò che riguarda la de finizione. Se poi si'considera la reli gione nella sua essenza, si vede che  quel  il quale  si suppone innato in tutti gli uomini,  non è altro che l' espressione di quel l'occulto timore che l'uomo prova din nanzi agli agenti naturali più potenti  di lui. Feuerbachha detto giustamente  che il sentimento di dipendenza è la  sorgente di tutte le religioni; or il  primo motivo di questa dipendenza de riva dalla natura, e perciò essa è stata  l'oggetto del primo culto. « I filosofi  speculativi rai hanno canzonato, scri veva Feuerbach, perchè ioho detto che  il sentimento di dipendenza è la sor gente del sentimento religioso, defini zione che parve a loro faceta, dopo che  Hegel disse a Schleiemacher, che se il  sentimento di dipendenza è la sorgente  della religione, il canedovrebbe averne  una; avvegnachè esso si sente sotto la  dipendenza del suo padrone ».  AFeuerbach parve così poco seria  ' obbiezione di Hegel, che dopo averla  accennata non credette di spendere  parole per confutarla. D'altronde gli  sarebbe stato facile il dimostrare che,  se il cane, col suo corto raziocinio,  sentisse il bisogno di credere in un es- sere superiore, certo l'uomo sarebbe it'  suo Dio, con la differenza che esso ha  pel suo padrone un' affezione assai più  vera di quella che l'uomoprova per la  Divinità.   ; ma  ai filosofi moderni, siffatta credenza par  troppo ridicola. Ben altrimenti che tor nare in polvere, il corpo umano per la  massima parte si volatizza in gaz, i gaz  sono assorbiti dalle piante, le piante si  trasformano in frutti, i frutti sono man giati dall'uomo e si assimilano alla sua  carne (v. MORTE). Questo esempio rac chiude così all' ingrosso tutto il con cetto della trasformazione della mate ria; ma uno studio accurato della spe cialità dimostra, che sì nell' uno che  nell' altro modo, per un circolo di tra sformazione più o meno lungo, la ma teria torna quasi sempre al punto di  partenza e compie una rotazione non  dissimile da quella che subisce l'acqua  nei suoi fenomeni apparenti: svapora,  cioé, dal mare, si trasforma in nube,  quindi si condensa in acqua o neve,  penetra nei fianchi dei monti, scaturi sce in sorgenti e quindi le sorgenti  fanno i ruscelli, i torrenti, i fiumi, che  finalmente ritornano al mare. Così del  pari la materia di che è composto il  nostro corpo, sarà a poco a poco assi milata da altri corpi; formerà vegetali,  animali e uomini, di guisa che, in ulti ma analisi, può dirsi con matematica  esattezza, che tutti gli uomini son fatti  dall'istessa sostanza. Ora se la materia  di che é composto ilmio corpo è quella  stessa che formò il corpo di altri uo mini che vissero prima di me, avremo  un corpo solo ognidieci, ogni cinquanta  ocento uomini, di guisa che molti sa ranno impossibilitati a risorgere. Lo  statuario che modellando la sua creta  forma una figura, e cessato il bisogno  l'infrange per formare con essa nuovi  modelli, potrebb'egli mai coll' istessa  creta pretendere di ricostruire tutti i  modelli che con essa egli ha prodotti?  S. Paolo così rispondea questa diffi tempi gli opponevano i Corinti: « Ma,  dirà alcuno, come risuscitano i morti  e con qual corpo verranno? Pazzo che  sei ! Quel che tu semininon èvivificato,  se prima non muore. Tu non semini it  corpo che deve nascere,maun granello  ignudo; ed aciascunseme Iddiodà il suo  proprio corpo. Non ognicarne è la stessa  carne, anzi altra è la carne degli uo mini, altra quella delle bestie. Vi sono  ancora dei corpi celesti e dei corpi ter restri , ma altra è la gloria dei celesti,  altra quella dei terrestri. Cosi ancora  sará la risurrezione dei morti: il corpo  è seminato in corruzione e risusciterà  incorruttibile Egli è seminato in diso nore e risusciterà in gloria: egli è se minato in debolezza, e risusciterà in  forza: egli è seminato corpo animale e  risusciterà corpo spirituale. (I Cor. XV,  35 eseg). Certo, qui San Paolo non  spiega l' impossibilità fisica di formare  due o più corpi con lamedesima mate ria contemporaneamente. Il corpo dei  risorti dev'essere spirituale; e intendasi  pure che in queitempi neiquali lo spi ritualismo moderno non eranato, con  la voce spirituale intendesse di indicare  una sostanza più leggera della materia  (v. ANIMA), una sostanza incorruttibile,  cioè non soggetta a trasformarsi Sarà  pur sempre vero che, secondo S. Paolo,  non saranno già i nostri propri corpi  che dovranno risorgere, ma altri corpi  fatti di una sostanza diversa. Perchè  non è piaciuto ai teologi di restar fe deli a questo insegnamento ? Volendo  lusingare la vanità dei vulgari essi  hanno forse capito che se il domma  della risurrezione giovava al cristiane simo, ciò era apatto che il nostro pro prio corpo fosse chiamato alla risurre zione; cioè quel corpo al quale siamo  tanto attaccati, e che costituisce per  noi tutta la nostra personalità. Perciò  amolti teologi èpiaciuto di sbizzarrirsi  descrivendo le condizioni della nostra  risurrezione.A sentirli, tutti i corpi do vranno essere perfetti; quindi gli storpi 352  RIVELAZIONE  si raddrizzeranno, i ciechi avranno la  vista e i sordi l'udito; i grassi diver ranno un po'magri e i magri ingrasse ranno; i vecchi dovranno diventar gio vani e igiovani dovranno farsi adulti, in  modoche tutti abbiano la perfetta età di  33 anni. Non hanno detto però se per  amore di questa tanto invidiabile ugua glianza e di questa sublime perfezione,  le vergini dovranno cessare di essere  tali, o se le donne maritate dovranno  tornare vergini. Quest'ultima opinione è  però assai più probabile, attesochèGesù  Cristo, rispondendo ad una interpellanza  chegliavevanofatta iSadducei, dichiarò  che quando gli uomini saranno risu scitati dai morti, non prenderanno nè  daranno mogli, ma faranno come gli  angeli che son ne'cieli » (Marco XII,  25). Quindi gli uomini avranno la bocca  ma nonmangeranno; il ventricolo ma  non digeriranno; gli organidellagene razione ma nongenereranno. In termini  assoluti si può dunque dire, che tutti  questi organi saranno superflui : or è  molto dubbio che le cose superflue sian  perfette. Perciò, guidati da questa ob biezione, molti teologi supposero che  nella risurrezione non si farà più di stinzione di sesso. Questa opinione ha  fondamento in un passo dell' Evangelo  apocrifo degli Egiziani, nel quale si  leggevano queste parole: « Il Signore  fu interrogato daSalome quando verreb be il suo regno? Ed egli disse: quando  voi calcherete sotto i piedi gli abiti  della vostra nudità, quando due saranno  una, e ciò che è di fuori sarà come cid  che è di dentro e non vi sarà più nè  maschio nè femmina » . Giustamente  osservò BianchiGiovini,che con questa  anfibologia pare si voglia dire, che la  trasformazione del mondo presente deb ba produrre anche una trasformazione  dell'essere umano, il quale sarà vestito  di un corpo diafano, liscio, senza sesso,  senza membri o visceri, di cui non vi  sarà più bisogno; come non vi sarà bi sogno di vestimenta essendo cessati i  riguardi del pudore e le esigenze delle  stagioni. In tutti i casi le prime fonti  cristiane insegnerebbero che la risurre zione si farà con corpi diversi dai no stri, e se i teologi vi avessero attinto  fedelmente e senza esagerazioni, avreb bero almeno evitata la impossibilità fi sica di cui si è parlato.  Rivelazione. Nelsenso dei dom matici è l'atto col quale Dio ha inse gnato agli uomini, a viva voce, o per  mezzo dei suoi inviati, lecosì dette ve rità della religione. Tutte le religioni  positive ammettono una rivelazione fatta  daDioall'uomo,siadirettamente all'atte  della creazione, sia indirettamente col  mezzo di mandatari che consegnarono le  regole della religionenei codici sacri, i  quali perciò si considerano dai credenti  come inspiratidalla divinità. I principali  libri sacri sono: i Veddas, il CodicediMa nou e i Purana degli Indiani; il Zend Avesta dei Persiani; laBibbia degli ebrei  (V. BIBBIA) l'Edda degli Scandinavi e il  Korano dei mussulmani.IGreci ediRo mani avevano ingrande venerazione al cuni scritti dei poeti, tali che Omero ed  Esiodo, certe raccolte degli oracoli ed  i libri Sibillini, evidentemente apocrifi.  Allora la poesia dettava le sue leggi ai  popoli, dei quali i poeti erano i natu rali legislatori. Nei primordi della ci viltà gli uomini non ebbero altra re gola di condotta all'infuori di questa :  ecoloro fra essi che per il loro inge gno, per il coraggio o per l'entusiasmo  si distinsero dagli altri, furono creduti  inspirati dagli enti superiori. L' uomo  aveva vicino i suoi Dei, e tutti i giorni  ne udiva la voce, iconsigli e icomandi  in tutti i fenomeni della natura, nei  tuoni e nei lampi, nel volo degli uc celli, nelle interiora degli animali, nei  vapori delle caverne, nel canto dei poe ti, e perfino negli incoerenti propositi  dei pazzi (v. ORACOLI). Chi per le doti  del suo ingegno si sentiva chiamato a  dirigere i destini della società, si cre deva o fingeva di credersi inspirato da  Dio; dettava le sue leggi, e i suoi  scritti andavano bene spesso ad aumen RIVELAZIONE  tare il codice dei libri sacri. Il sorgere  di un profeta, di un rivelatore era cosa  assai comune tra gli orientali; come  tra i Greci ed i Romani comunissima  era la scoperta di nuovi oracoli. Dio  parlava all'umanità in tutte le guise,  sotto tutte le forme. Dal serpente del  l'Eden che predice all' uomo la reden zione, dall'asino di Balaam all'umile fa legname di Nazareth, la storia degli  ebrei non è che una continua succes 1  353  serie dei profeti. Pietro de Bruys, Eon  della Stella, Epifane, gl'Illuminati, i Ca misardi, i Giansenisti, e gli Svedenbor gisti, ci provano quanto in ogni tempo  sia stato facile il farsi credere in comu nicazione con la divinità. Ancora ai  giorni nostri la rivelazione non è ces sata. Brigham Young non ha egli pro nunciati i suoi oracoli fra i mormoni?  e tutti i giorni i medium spiritisti non  rivelano ai credenti le cose dell' al sione di profeti e di entusiasti, del mag gior numero dei quali la tradizione  forse ci ha taciuto il nome. Così divul gata era allora la credenza della par tecipazione degli Dei nei consigli uma ni, che molti filosofi non la posero in  dubbio, e quando pure dubitarono di  questo o quell'oracolo, non dubitarono  di tutti. Pittagora si diceva egli stesso  in comunicazione colla divinità. Platone  nel quarto libro delle leggi insegnava  doversi ricorrere a qualche Nume, o at tendere dal cielo una guida, un mae stro che ci istruisca. Nel Fedone par lando Socrate dell'immortalità dell'ani ma diceva, dovere il sapiente tenersi al  probabile, quando non ha dei lumi più  sicuri, o la parola di Dio stesso che gli  serva di guida. Tutta la scuola pitta gorica e neoplatonica, come quella di  tutti i mistici ha professato lacredenza  nella facile comunicazione con ladi vinità.  Il gran numero degli evangeli apo crifici ( v. APOCRIFI ) dimostra quanto  fosse facile il compilare dei libri rive lati anche nei primi secoli del cristia nesimo. Solamente dopo che la Chiesa  ebbe stabilito il suo poteree fu custode  gelosa della sua autorità, tacque la  voce dei profeti,e gli oracoli con leggi  violenti furono costretti al silenzio. Ma  non cessò per questo il popolo di con sultare i suoi genii; e nel medio evoebbe  per profeti le streghe e gli stregoni e  il demonio per rivelatore. Di tempo in  tempo sorgevano nuovi inspirati, iquali,  sempre condannati dalla Chiesa, ma sem pre creduti dalle turbe,continuarono la  tro mondo? (V. MORMONISMO E SPIRI TISMO).  I deisti, i quali non ammettono reli gione positiva, negano che vi sia stata  una vera rivelazione, poichè a quanto  dicono, l'uomo non ha che a seguire i  dettami dellasua ragione e il lume della  sua coscienza per conformarsi alle leggi  divine. Una rivelazione, continuano essi,  fatta ad un popolo o ad una schiatta,  sarebbe ingiusta, poichè essa conter rebbe delle regole di condotta che sa rebbero ignorate dai popoli ai quali la  rivelazione non venne data.  Se ciò fosse vero, rispondono i cat tolici, bisognerebbe conchiudere essere  interdetto il porgere agli uomini istru zione ed educazione di sorta; un im pertinente essere stato qualunque filosofo  tentò farsi maestro ai propri simili, ed  insegnare a pochi uominiquello ch'egli  era in dovere di insegnare all'universo  intero. Ma questa risposta non giova  proprio ai cattolici, i quali sanno pure  che Dio non è un filosofo, la cui azione  è limitata necessariamente al ristretto  numero di coloro che aspettano i suoi  insegnamenti. Ma se il filosofo non può  istruire tutti gli uomini, Dio poteva  farlo, nè ciò gli sarebbe costata mag giore fatica di quellacheglisia costata  l'istruzione di pochi eletti.  Una religione rivelata,dicono ancora  i deisti, non può essere destinata da  Dio a tutti gli uomini, poichè non ve  n'è alcuna che abbia tali prove, che  comprendere si possano da ogni uomo;  altrimenti Dio esigerebbe l'impossibile ;  quanto poi alla rivelazione cristiana in  23 354  ROBINET  particolare, non si può dire che essa  eccelle in perfezione, imperocchè errori  di fisica, di astronomia, di morale e per fino di cronologia si trovano nei libri  nei quali questa pretesa rivelazione è  stata consegnata (V. BIBBIA).  Robinet ( Giovanni-Battista-Re nato) nacque a Rennes nel 1735, morì  il 24 febbraio 1820.  ed il riposo e la sicurezza di cui cia scuno gode. E la compensazione deriva  da ciò, che immutabili sono soltanto  Dio ed il nulla: l'essere finito cambia  ad ogni istante ma nonpossiede senon chè laminima parte possibile di esi stenza, così che in ogni istante perde  altrettanta esistenza, quanto ne riceve :  e siccome esistere è il bene e non esi Entrò nella società dei Gesuiti, ma stere il male, ecco stabilitaper sè stessa  si stancò ben presto di un genere di la compensazione. La quale è inoltre  vita pel quale non era inclinato. Usci manifestata da tutti i grandi fenomeni  quindi da quel sodalizio per dedicarsi della natura come da quelli dell'ordine  interamente alla filosofia. Stampò in sociale: la nutrizione non può ristorare  Olanda (dove recavasi a questo scopo) senza distruggere, l'attività distrugge  il suo libro della Natura, la cui pub- quanto produce, la sensibilità accoppia  blicazione non sarebbe stata permessa al piacere la pena; ogni stato ha le sue  in Francia dall' autorità. L'opera fece gioie e le sue miserie, ogni condizione  tanto rumore che fu attribuita agli i suoi vantaggi ed i suoi inconvenienti.  scrittori più celebri dell' epoca, quali Ma gli esseri, oltre avere la stessa som Helvetius, Diderot, Voltaire, ma Robinet ma di beni e di mali, hanno anche la  non tardo a rivendicare in termini fermi stessa origine. Tutti sono varietà del  emodesti la paternità come la respon- tipo animale, hanno organi con cui ri sabilità del lavoro. Se però il suo nome prodursi, ed i minerali e gli astri sono  fu più conosciuto, non migliorò per que- soggetti alle leggi della generazione,  sto la sua condizione economica, tanto come gli animali e le piante. Ora legge  che fu costretto a mettersi agli stipendi universale della natura animale è l'i de'librai, ed a tradurre dall'inglese per stinto: l' istinto è adunque la Legge su  essi de' romanzi. Nel 1778 ritornò in cui si fondano la società, i costumi e  Parigi, e qualunque fosse stata l'impres- la legge della specie umana; la stessa  sione prodotta dal suo libro, la mede- | morale non è che un istinto più per sima era già così cancellata, che l'au tore fu nominato censore reale e con servò l'impiego fino al momento in cui  quella carica fu soppressa. Robinet du rante la rivoluzione si ritrasse a sua  Rennes, ove fint i suoi giorni.  Concetto fondamentale dell' opera  la Natura è che i benied i mali si e quilibrano perfettamente nel mondo. Il  dolore ed il piacere, il vizio e la virtù  corrispondono a monete il cui corso è  regolato ed il cui valore si eleva e si  abbassa in proporzioni costanti. Gli es seri più perfetti dopo Dio, i più ricchi,  quelli che hanno ricevuto le facoltà più  potenti sono anche quelli che trovansi  più esposti alla corruzione e quindi alla  maggiore infelicità. Vi è adunque com pensazione tra il benessere di ciascuno,  fetto di quello degli altri animali.  Quanto all' anima, Robinet suppone  che dall'istante della creazione abbiano  esistito insieme i germi di tutte le ani me e quelle di tutte le organizzazioni.  Ledue nature non derivano l'una dal l'altra, ma non possono esistere l'una  senza dell'altra. Ad ogni funzione dello  spirito, alle sensazioni, alle idee, alle vo lontà corrispondono certi organi interni  e certe fibre del cervello, così che se  corpo.  il corpo è animato dallo spirito, l'anima non pensa ed agisce che per mezzo del  1  Robinet riconosce che l'idea comune  di Dio non è che l'idea stessa dell'uomo  elevata a proporzioni chimeriche, o ri dotte, il che è lo stesso, ad un concetto  negativo. Pure, anzichè concluderne che ROSCELINO  con ciò stesso si distrugge la teoria del l'ideainnatadiDio, ed insieme uno degli  argomentipiùfavoriti deideisti,egli siper deneltentativo di togliere dalla nozione  dell'essere supremo ogni legadiantropo morfismo, ammettendo come indiscuti 355  da lui seguito nelle conferenze pubbli che che teneva in Parigi tutti i merco ledì. Egli incominciava col porre alcune  generali proposizioni tratte dall' espe rienza e ne deduceva laspiegazione dei  fenomeni: ciò dava origine a discus bile l'esistenza dell'essere stesso. « Noi  sappiamo, egli dice, che Dio esiste, elo  riconosciamo come creatore, poichè l'ef fetto ci attesta la causa e il finito l'in finito; ma nessuna analogia è possibile  tra questi due ordini di esistenze. La  causa prima abita una gloria inaccessi bile, e noi, non potendo che distinguerla  da ciò che essa noné, dobbiamo rasse gnarci alla conclusione che la natura  divina è per noi assolutamente incom prensibile ». Edal creatore venendo alla  creazione, Robinet crede che Dio da  tutta l'eternità dia alla natura una esi stenza temporanea, e cioè che se la  creazione è eterna non lo sieno ilmondo  e gli oggetti creati; con questa propo sizione egli addottò una opinionemedia  tra quelli che considerano ilmondo co me eterno, e quelli che lo suppongono  creato dopo una eternità, e non si av vide che l'idea di Dio creatore è tanto  assurda che con essa nessuna teoria  regge alla critica. Così che delle tre  idee suaccennate nessuna è conciliabile  coll' idea di Dio creatore: non la sua  perchè suppone unDio che crea e non  crea, o che vuol creare e non crea nel  medesimo tempo; non la seconda che  facendo il mondo coeterno a Dio lo so stituisce a lui, come fece Spinoza ; non  la terza che suppone un' eternità limi tata, od un mondo che esiste senz' es sere stato ancora crea to, mentre non  potrebbe d'altronde esistere che per la  creazione.  Rohault(Giacomo)nato in Amiens  nel 1620, morto nel 1675. Fu uno dei  sioni di ogni sorta sui diversi argomen ti, discussioni che egli poi riassumeva,  esponendo il suo avviso, cui corrobo rava colla esperienza. Con siffatte le zioni Rohault compose il migliore trat tato di fisica che fosse stato stampato  fino allora, cosi che fino a Newton ven ne considerato come opera classica in  Francia ed in Inghilterra.  Rohault fu autore anche di una o pera di metafisica intitolata  cade  talora in contraddizione, giacchè tra  due pareri contrari egli non prende par tito senza avvilupparsi in un dedalo di  distinzioni spesso inutili e sempre poco  chiare. Perciò molti hanno detto scri vere il Romagnosi per sè A non per gli  altri, e un suo apologista confessa che  gli accadde sentire da qualcuno che a vendo letto per intero il suo libro della  Mente sana, era giunto alla fine senza  intender niente. ( Prof. Celso Mazzuc chi, sull' economia dell' umano sapere).  Rosmini (Antonio)nato nel 1797  a Roveredo presso Trento. Studid all'u niversità di Padova e fino da allora  diede segni di spiegata tendenza al mi sticismo. Nel 1821 fu ordinato frate. Si  segnale per qualche tempo per fanati smo ed intolleranza, ma si mitigò poscia  sensibilmente e tanto da dedicare il re sto della sua vita al trionfo del cosi detto cattolicismo liberale ed alla indi pendenza politica d' Italia. Con questi  scopi fondò egli stesso un ordine reli gioso destinato a riunire in sodalizio  preti istruiti e tolleranti, e pubblicò  gran numero di opere che fecero di lui  un capo-scuola.  Per quanto la sincerità della sua  fede religiosa e la sua opposizione alla  teocrazia gli avessero guadagnata gran de rinomanza e numerosi seguaci, pure  dovette convincersi asue spese che tenta  un'opera impossibile chi aspira a con ciliare tra loro i due principi affatto  incompatibili del cattolicismo e della  libertà. I suoi progetti di riforma eccle siastica e le sue opinioni teologichesu scitarougli contre l'odio dei gesuiti.  Speditoda re Carlo Alberto in missione  presso il papa, lo segul a Gaeta all'e poca della fuga famosa, ma essendosi  poi reso sospetto al papa e trovandosi  sotto la minaccia del carcere della po lizia borbonica, dovette partire e rifu giarsi aTresa sul lagoMaggiore dove  morì nel 1855, dopo avere (con un atto  di sommissione inesplicabile di fronte  alla energia del suo carattere) ricono sciutoil giudizio con cui la Chiesa met teva all'indice le sue opere, anzi dopo  aver distrutti quanti più potè dei libri  che avevano cagionata la condanna.  Le fondamenta del nuovo ordine fu rono da lui gettate al Calvario di Do modossola nell'alto Novarese, dove con  alcuni pochi compagni si era ritirato  nel febbraio dell'anno 1828. Il voto era  perpetuo, ma non privava imembridel  diritto di possedere beni propri; sola mente li sottometteva ad una ammini strazione comune e li privava del diritto  di applicarli per volontà propria in fac ROSMINI  cia alla coscienza, non già in faccia alle  leggi civili , per le quali possedevano  come ogni privato. L'Istituto, come cor po,nonpossedendo nulla, i suoi membri  dovevanoesser provveduti diuna rendita  359  se questi filosofi si fossero data la briga  di uscire dalla ristretta cerchia del loro  per la loro sussistenza personale, la  quale per i nullatenenti è supplita dal  superfluo dei loro fratelli. L' Istituto  era diffuso nel Piemonte, dove aveva  case a Stresa, a Domodossola e a S.  Ambrogio di Susa. Qualche casa di ro veretani fu pure fondata nell'Inghilterra,  mase abbiano prosperato o no, ignoro.  Tutto il sistema della filosofia rosmi niana si fonda sopra unprimo errore, un  errore fondamentale, distrutto il quale,  l'intero sistema resta scomposto. Questo  errore è l'intuizione dell' ente univer sale, la quale daRosmini cosi si dimo stra: « Io so d'esistere, io so che esi stono altri esseri simili a me; so ch'e sistono de' corpi estesi, larghi, lunghi  eprofondi. Noncerco ora se questo mio  sapere m'inganni o no; io intanto so  tutto questo e cerco disapere come lo  so. Ora io veggo che non saprei che  esiste un solo ente, se io non dicessi,  se non avessi mai detto a me stesso  che quell'ente esiste. Sapere dunque che  osiste un ente e dire e pronunciare meco  stesso che esiste, é il medesimo. Lamia  cognizione adunque degli entireali non  è che un' affermazione interna, un giu dizio. Conosciuto questo, non mi rimane  che ad analizzare un tale giudizio, ad  osservarne l'intima costituzione. Quando  io dico meco stesso che esiste un dato  ente qualunque particolare e reale, non  intenderei ciò che dico, se non sapessi  che cosa è ente, che cosa è entità. La  notizia dunque dell'entità in universale  debb'essere in me, e precedere tutti quei  giudizi, coi quali dico che qualche ente  particolare e reale esiste ».  Il frate roveretano supponeva dunque  che noi abbiamo la conoscenzadegli u niversali, prima ancora di avere quella  dei particolari, errore, che, d'altronde ,  bisogna perdonargli di buon grado, poi chè è stato comune a molti filosofi. Ma  subbiettivismo, per esaminare ciò che  accade nella realtà, si sarebbero presto  accorti, che prima noi conosciamo le  cose particolari, e poi ci facciamo l'idea  değli universali, i quali non sono altro  che l'astrazione o la generalizzazione  dei particolari. I selvaggi australiani,  per quanto ne riferisce il padre Salva do, hanno voci per dinotare ogni specie  di albero, ma non hanno una voce per  esprimere l'idea d'albero in generale;  hanno voci per indicare i vari animali  daessi conosciuti, manon per esprimere  l'animale in genere, ossia la riunione  dei caratteri comuni a tutti gli animali,  astrazion fatta delle loro qualità par ticolari.  Chi vede per la prima volta un og getto, ha l'idea particolare di quell'og getto e non altro; i particolari che gli  sono propri lo colpiscono per i primi;  ne apprezza il colore, l'odore, il sapo re o la forma, che sono i fenomeni,  nè pensa in alcuna maniera all'essenza  che assume la forma di quei fenomeni,  e che costituisce l'idea dell' ente uni versale, tale come Rosmini l' intende.  Solamente dopo una serie continua di  percezioni la mente umana si eleverà  dal particolare all' universale, ossia a  quel carattere comune atutti gli esseri,  che per astrazione si attribuisce ad un  essere unico non percepito. Ma l'idea  dell' ente privato delle sue realità feno menali èuna pura negazione. Percepisco  il colore , e penso poi a uncorpo senza  colore; questo secondo concetto non è  altro che una negazione del primo, e  quand' anche gli si volesse dare un ca rattere positivo, sarebbe sucessivo e non  precedente alla percezione della cosa  particolare. Pertanto ' affermazione ro sminiana,che noi abbiamo l'intuizione  dell'ente in universale, astrazione fatta  degli enti particolari, vale quanto dire  che noi abbiamo la conoscenza di nes suna cosa prima che qualche cosa sia  stata da noi percepita. 360  ROUSSEAU  Posto questo primo errore comeuna  verità fondamentale del suo sistema,  Rosmini ha bel giuoco nel confondere  gli scettici. Data la cognizione della  prima verità, cioè quella dell' ente in  astratto, egli risponde all'obbiezione di  coloro che gli dicevano « a voi pare di  sapere che cosa sia essere, ma forse  nol sapete ». E dice: « Il sapere, sem plicemente che cosa è essere, senza  aggiungervi alcuna determinazione, e  il credere di saperlo, è la medesima  cosa: credere di sapere che cosa è es sere, e sapere che cosa è essere è sa pere la verità, perchè l'essere essen zialmente è... Si consideri bene che  sapere che cosa è essere, è la semplice  concezione dell' essere, non è afferma zione di alcuna cosa sussistente; l' illu sione adunque che si obbietta non è  possibile, giacchè non si può favellare  della illusione della concezione dell'es sere senza ammettere già questa con cezione di cui si disputa ».  Così dunque per Rosmini un' affer mazione che non riguarda alcuna cosa  sussistente, provache un enteveramente  esiste; e il credere che un ente vera mente esiste, provache esisteveramente.  Anche volendo passar sopra a queste  incongruenze, la prova rosminiana si  ridurrebbe a dire: penso che penso,  dunquepenso veramente. Può darsi ch'e gli abbiapensato dipensare; quello che  per certo non ha pensato, è che ilpen siero non nasce in noi senza unacausa  occasionale estérna, e che la percezione  di questa causa, tale quale ci si mani festa nelle sue accidentalità, è il primo  pensiero che noi abbiamo. Se vedo un  oggetto verde, penso al verde; e se a  questo pensiero tolgo il concetto di  verde, che è l' accidentalità, non ho l'i dea dell' essenza dell'ente, ma sopprimo  addrittura il pensiero, perocchè il pen siero non può stare senza l'oggetto  pensato.  Quanto alla teologia naturale rosmi miana nonsi può dire che abbia almeno  il merito d' esser chiara. Rosmini vuole  che il principio di causa conduca alla  conoscenza di Dio; quanto all' esistenza  dell' anima non cura di dimostrarla,  parendogli di averne fin troppo bene  dimostrati i carattari di semplicità e di  immortalità . Questa dimostrazione è  davvero così singolare che merita ne  sia dato un saggio: « La semplicità si  prova da questo appunto che l'anima  èun principio unico e immune dallo  spazio, perchè l'identico principio che  sente è anche quello che intende: per chè l'atto del sentire in opposizione  all'esteso sentito esclude l'estensione  per lamedesima opposizione; finalmente  perchè il principio intelligente riceve  la forma dell'idea, cosa immune affatto  dallo spazio e dal tempo ». Questa serie  di pretese dimostrazioni, non sono che  affermazioni pure e semplici, le quali  supponendo cio che è inquestione, piut tosto che servire di dimostrazione a vrebbero anzi bisogno di essere dimo strate.  Dello stesso genere sono le altre  prove date nella teologia naturale ro sminiana, sicché inutile sarrebbe qui  l'accennarle, e più inutile ancora il con futarle.  Rubov (Rubovius) nato a Luchow  nel 1703, morto ad Hannovernel 1774.  Fu professore di teologia nell'università  di Gottinga. Divise le opinioni filosofiche  di Wolf, anzi imprese a mostrare che  le medesime erano in perfetto accordo  coi dommi del cristianesimo. Lasciò due  opere  Sviluppo delle idee razionali  di Wolf su Dio-Dissertatio de anima  brutorum.  Rousseau(GianGiacomo).Nacque  a Ginevra il 28giugno 1712daun oro logiaio. I primi anni della sua giovinezza  trascorsero in una vita avventurosa e  assai poco edificante. Fu dapprima po sto in pensione presso un ministro a  Bossey, dove imparò il latino, quindi  collocato come scrivano presso il can celliere di Ginevra, fu poco appresso ri mandato siccome inetto. Fece poi il suo  tirocinio presso un incisore, i cattivi ROUSSEAU  trattamenti del quale instillarono nel l'animo di Rousseau, per quanto ne  dice egli stesso, l'infingardaggine, la  menzogna e la tendenza al furto. Con fessa egli stesso ; ammirava il carat tere della divinità dell' Evangelo; poi  aggiungeva >>  menò in moglie la signorina de Camp grand dalla quale si separò poi con atto  di divorzio. Confessa egli stesso che vo leva usare del matrimonio come di un  mezzoper studiareiscienziati, e che per  migliorare l'organizzazione del sistema  scientifico, gli occorreva di conoscere  >>  e la trasforma con uno slancio trascen dentale nel solo assoluto universale!  Scho penhauer scrive: l'universo e volontà! Egli  procura anche didimostrare laverità di  questo sofisma con degli argomenti empi rici, e passando attraverso ai regni della  natura, cerca di persuadere che il vege tale ha già degli istinti, i quali si tra sformano in volontà negli animali; che  gli animali delle classi inferiori, quan tunque non abbiano ancor la coscienza  della loro propria volontà, pure per la  tendenza che hanno a soddisfare i loro  bisogni accennano già alla volontà di  vivere, la quale si va viavia sviluppan do nelle classi superiori. Nella sua sma nia di scoprire la volontà germogliante  in ogni dove, il filosofo di Dantzig non  teme di trovare una nuova formola  della teoria delle cause finali, poiché  egli dice che l'organismo si conforma  alla volontà, che il leone p. e., ha le  zanne perché vuol lacerare la preda, e  che l'uccello ha le ali perché vuol vo lare. S'egli si fosse limitato a dire che  l'uccello vola perché ha ie ali e che il  leone squarta la preda perchè ha le  zanne, sarebbe rimasto nel vero. Avreb be allora designata una legge e non una  volontà, giacchè il senso che egli attri buisce a questa voce è assolutamente  nuovo, per non dire addrittura contra rio a quello che essa ha veramente  nella lingua. Questa pretesa volontà se parata dai corpi volenti, non è che una  generalizzazione, è l'astrazione delle vo lontà particolari, e tanto varrebbe dire  che esiste una persona generale, indi pendente da ogni individuo e da ogni  forma, perchè esistono delle persone  particolari. Qui Schopenhauer cade nello  stesso errore dei realisti (v. SCOLASTICA)  dal quale avrebbe tanto più dovuto  guardarsi, in quanto egli non si perita di  accusare Spinoza di usare le parole in  un senso affatto nuovo, e di chiamar  Dio l'universo, diritto la forza, volontá  la determinazione.  Io ho detto poc'anzi che la filosofia  di Schopenhauer è un puroidealismo sub biettivo. Il suo sistema della volontà  non mi pare fatto per togliermi da  questa convinzione. Se il mondo non è  che l' obbiettivazione della volontà, e  se « la volontà è tutto ciò che costitui sce il mondo al di fuoridella immagine  rappresentativa » a parte la poca coe renza di queste due idee, mi pare che  niun dubbio possa esistere su questo  punto. Pure è Schopenhauer stesso quello  che nega questa conseguenza, e dopo  aver detto che « il sole ha bisogno di  occhio che lo veda per illuminare », si  rappresenta il sole delle epoche geolo giche, quando la terra era coperta  da «uno strato uniforme di granito >>  e così lo fa interrogare : « Perché ti  dai tu tanta pena di comparire così?  Non vi è occhio che ti veda nè intel SCHOPENHAUER  letto che ti comprenda! E il sole ri sponde: Ma io sono il sole, e appaio  perchè io sono: coloro che lo possono  mi vedano ». Dunque anche il sole esi ste e illumina senza che occhio vi sia per  vederlo, senza intelletto ove riflettere la  sua immagine rappresentativa ! Non ten terò di conciliare Schopenhauer con se  393  a dire che essa non può formarsi spon taneamente, nè aver fine; il quantum  di sostanza che si trova nel mondo non  stesso. Nessuno, per quanto io sappia,  l'ha fatto. Vi sono de filosofi tedeschi  che bisogna ammirare ma non discute re, e i più fanno così solo perchè ciò  fa comodo al loro pigro intelletto.  Se si riduce al suo vero valore la  contraddizionediSchopenhauer,interpre tandola nel modo il più benigno, biso gnerebbe credere ch' egli abbia voluto  stabilire, che senza intelletto non vi può  essere immagine rappresentativa e che  per noi l' immagine rappresentativa è  tutto quanto conosciamo del mondo. Ma  codesta è una verità così banale che  nessun filosofo ha creduto di stabi lırla, appunto perché la sua evidenza è  tale che anessuno é mai venuto in mente  di negarla.  Schopenhauer, volente o nolente, idea lista, combatte acerbamente Fichte, per ché le conseguenze del suo sistema con ducono a negare la realtà dell' ob biettivo; con la stessa coerenza com batte i materialisti, ch'egli accusa di  fondarsi sopra una enorme petizione di  principio, prendendo l'oggetto dellafilo sofia per base di essa,mentre senza laco noscenza che il materialismo fa derivare  dalla materia, noi non avremmo alcuna  cognizione, neppur quella della materia,  che è il puntodi partenzadelmateriali smo. Così lanciata, come il solito, la sua  accusa, forse per avere l'aria di costruire  una filosofia tutt'affatto indipendente, egli  prende senza scrupolo iprincipii fonda mentali del materialismo, al quale natu ralmente si crede dispensato di dirigere  qualsiasi ringraziamento. In conseguenza  egli dichiara che la materia è imperi tura, e contro Hegel dice che « negare  questo fatto vale rinunciare al buon  senso. La sostanza persiste sempre, vale  può dunque nè aumentare nè diminui re ». Più innanzi Schopenhauer designa  la materia come assoluta, la dice su scettibile di pensare, « se la materia  può cadere perla gravitazione, essa può  anche pensare ». Come poiqueste affer mazioni si accordino col suo sistemafi losofico, egli non cura di dircelo.  Nelle scienze positive tanti e tanti  sonogli errori di Schopenhauer, che rie sce difficile accreditar fede al suo si stema, vedendo quanto poco sia adden tro nell'arte di osservare. La storia della  terra per lui non è altro che una ob biettivazione sensibilmente ascendente  della volontà; suppone che l'uomo fu  dalla natura creato erbivoro; tira in  campo come cosa positiva quella forsa  vitale, che fu oramai abbandonata da  tutti i fisiologi. Tutte le favole più inve rosimili spacciate dai ciarlatani sul ma gnetismo animale, sulla chiaroveggenza,  sulla apparizione degli spiriti trovano  in lui uno strenuo difensore; egli le  inquadra nel suo sistema come tante  prove empiriche della, obbiettivazione  della volontà. Egli considera natural mente tutti i contradditori del magne tismo animale come tanti ignoranti, e  dice che la scienza mesmerica è la più  istruttiva di tutte le scoperte. Dicesi  che il suo entusiasmo per imagnetizza tori, ha dato luogo a delle scene co miche, nell'occasione in cui i medici di  Francoforte si erano incaricati di sma scherare il famoso Regazzoni, magne tizzatore italiano.  Nel 1836 Schopenhauer pubblicò uno  scritto sulla Volontà nella natura, nel  quale procurò di dimostrare che le ul time scoperte della scienza hanno pie namente confermata la sua filosofia.  Non occorre dire che la maggior parte  delle scoperte a cui egli allude, o non  hanno alcun rapporto colle sue idee, o  appartengono al novero di quelle ora  accennate. 394  SCIENZA  Scienza. Conoscenza ordinata e  metodica delle cose e dei fenomeni.  Tutte le scienze degli antichi erano  comprese nella filosofia, sicchè filosofo  suonava allora amico della scienza, co Jui che la insegnava e che la faceva  avanzare colle sue scoperte. Erano i  filosofi greci che insegnavano l' astro nomia, la geologia, la musica, e la ma tematica, e per lungo tempo tutta la  medicina fu campo aperto alle dispute  filosofiche, per le quali l'arte di gua rire si deduceva da principii generali  e astratti, piuttosto che dalla osserva zione e dalla esperienza.  sotto quei reali rapporti d' unità che a  noi è dato conoscere, si può dire sa piente. I sapienti sono assai più rari di  quello che nella comune si crede; in vece la scienza appartiene a molti ».  Questa distinzione é così poco chiara,  che Tommaseo nella stessa pagina, con  assai poca coerenza, lacontraddice « La  scienza conosce; la sapienza conosce,  contempla, opera ed ama. La sapienza  comprende la teoria e la pratica; la  scienza la sola teoria ». Dunque la sa pienza comprende la scienza e qualche  cosa più. Ma poco dopo lo stesso au tore aggiunge: « Senza molta scienza  La scienza si distingue dall'arte per può l'uomo essere sapiente. C'è una  questo solo, che la prima conosce e sapienza pratica che fa a meno della  scopre, la seconda eseguisce. La pittu- scienza e n' ha gli ultimi frutti ». Non  ra, la scultura e lamusica sono arti in è questa la sola volta che Tommaseo  quanto traducono in atto la rappresen- si contraddice nel suo dizionario. Cote tazione delle forme e dei suoni. Per lo sta smania di sottili distinzioni, utile  stesso motivo è arte la poesia, lo stu- forse ai grammatici, è perniciosissima  dio delle lingue e la rettorica ; ma lo ai filosofi, i quali piú che all'apparenza  studio teorico della combinazione dei devono badare alla sostanza delle cose.  colori e della produzione dei suoni, co- E finchè i grammatici non si saranno  stituiscono l'ottica e l'acustica, che sono ben intesi per dare un chiaro senso  scienze, com' è scienza la filologia, che alle parole, i filosofi che correranno  si occupa della origine e della deriva-| sulle tracce delle loro affettate distin zione delle lingue. La scienza dunque  1  studia, scopre e stabilisce le regole che  sono applicate dall'arte.  La necessità di ordinare la varietà  delle nostre cognizioni, ha resa neces saria la divisione della scienza in vari  rami, a ciascuno dei quali venne pure  dato il nome di scienza. Le principali  di queste divisioni costituiscono lescien ze astratte o speculative, come la filo sofia, la logica e la matematica;le  scienze sperimentali tali che la fisica,  la chimica, la medicina; le scienze d'os servazione, come l'astronomia e la sto ria naturale; e le scienze morali e po litiche, come l' economia pubblica, la  politica, la giurisprudenza ecc.  Niccolò Tommaseosull'esempiodalBal dini, nel Dizionario dei sinonimi, di stingue la scienza dalla sapienza, qua sichè vi possa essere sapere senza scien za eviceversa.« Chi, dice, vede il creato  zioni crederanno di discutere sulla na tura di cose differenti, laddove in fondo  non vi sarà che distinzione di parole.  Nei passi ora citati, N. Tommaseo  pone la sapienza umanacome conoscen za sinteticadel creato ; rari perciò sono i  sapienti, e molti i scienziati. Non solo  dice che la sapienza comprende la teo ria, ma anche la pratica; e giunge in fine alla conclusione che senza molta  scienza si può essere sapienti! Non era  meglio dire che cotesta sorta di sa pienza non è che una affettazione, una  vana ostentazione? Si dicevano sapienti  coloro che dettavano facili sentenze e  luoghi comuni ; e i proverbi diconsi an cora la sapienza delle nazioni. Ma essa  è la sapienza dei pregiudizi correnti ; e  a questa conoscenza veramente con  poca scienza, si adatta così bene il  nome di sapienza quanto quello di me dico conviene al ciarlatano che corre i  villaggi e le città. SCOLASTICA  Scisma. Voce greca che vale di stacco, separazione. Indica la separa zione dalla Chiesa cattolicadi una parte  dei suoi membri, per costituirsi in una  comunione separata.  La Chiesa cattolica commina la  395  sofia. La scolastica è filosofia religiosa;  qualche volta un po'eretica, ma non mai  incredula. Tutte le questioni teologiche  sono state da essa discusse, e però non  dobbiamo meravigliarci se tra coloro  che la coltivarono noi troviamo dei teo scomunica contro i scismatici; ma le  comunioni riformate, costrettevi dalla  stessa libertá di interpretazione della  Bibbia, che esse accordano ai fedeli,  sono obbligate a proclamare che ladi versità delle opinioni non costituisce un  peccato, e che le molte comunioni  sistenti nella religione riformata, sono  una conseguenza della libertà che ha  ogni uomo d' intendere a suo modo la  parola di Dio.  e Io non voglio qui esaminare la stra nezza di questa dottrina, la quale sup pone che Dio si sia rivelato al mondo  in tal maniera da farsi intendere da  tutti gli uomini diversamente. Accettia mo questa libertà d'interpretazione per i  benefizi che essa ha portato alla libertà  del pensiero, senza preoccuparci del  poco logico fondamento su cui si fonda.  Ma i cattolici che hanno un grande in teresse nel conservare l'unità della  Chiesa, hanno ben trovato nella Scrit tura molti passi che fanno al caso loro.  Essi hanno citato S. Paolo, il quale  biasima qualunque sorta di divisioni, e  sostiene che le eresie sono necessarie  per mostrare quali sono di buona lega  (I. Cor. 10, 11, 12, XI, 16, 19). L'uomo  eretico, dice ancora S. Paolo, dopo la  prima e la seconda correzione sia sfug gito ( Tito III, 10). Giovanni, vuole che  gli si ricusi perfino il saluto (II Giov.  V. 10).  Scolastica. Cousin, nel Corso  della storia della filosofia dell'anno 1827,  definiva la Scolastica l'applicazione  della filosofia, come semplice forma, a  servizio della fede. Questa definizione  non è sempre vera, sebbene sia vero  che tutti gli scolastici appartenessero  alla filosofia cattolica e si allontanas sero qualche volta dall' ortodossia solo  per certe accidentalità della loro filo logi, dei monaci e dei vescovi, e non  mai de'veri filosofi. La scolastica è una  lotta intestina combattuta nel seno  stesso della Chiesa, da uomini profon damente credenti, tuttochè qualche volta  nel calore della disputa i loro argo menti sembrino piuttosto adatti a dar  ragione agli increduli. Di questa lotta  nella quale combatterono vari teologi  il cui nome è taciuto in questo dizio nario, mi par conveniente dare un sag gio alquanto diffuso, al quale scopo mi  giova qui compendiare le varie notizie  su questo argomento raccolte e pubbli cate da Bartolomeo Haureau. Egli esor disce col dire che la definizione di  Cousin non è nè chiara nè esatta.  Quanti, di fatto, tra i filosofi detti sco lastici furono dall' autorità richiamati  al dovere! E se qualche paziente e sa gace inquisitore volesse di presente to gliere a censurare, dal lato della dot trina, tra questi filosofi, quelli il cui  nome fu onorato e santificato anche  dalla Chiesa, quanti troverebbe non e senti da sospetto d' eresia! La defini zione di Cousin potrebbe pertanto es sere così modificata: La scolastica è  l'applicazione della filosofia alla discus sione dei dommi della fede.  Maanche così emendata la definizione  non troppo soddisfa il sig. Haureau: pe rocchè, dic'egli, lascolastica ha principio  aduncerto tempo, e sebbene non siano  concordi le opinioni degli storici intorno  a questo tempo, tuttavia ne sono ormai  convenuti i limiti, e questi non permet tono di accettare la definizione di Cou sin, neppure così emendata. Pare a lui  che i padri e gli scolastici abbiano tutti  fatta entrare la filosofia nell' analisi e  nella discussione della fede . Conse guenza per verità un po'esagerata, im perocchè laddove la fede è sovrana e 306  SCOLASTICA  impone ossequio alla ragione, la filoso fia vanamente dibattesi tra le distrette  di principii già accettati e dichiarati  inviolabili. Per essere giusti si dovrà  dunque dire che la definizione di Cou sin, se non è sempre vera, è però in  gran parte vera.  Secondo il sig. Haureau, la scola stica non può essere definita, poichè  essa non è una scienza distinta dalle  altre scienze, e nemmeno è, a parlare  esattamente, una forma particolare della  filosofia, ma propriamente la filosofia  di una cert'epoca, che ha e deve avere  il carattere tutto teologico di quel tem po. Che se nondimeno vuolsi che, at tenendoci a quanto il rigore del metodo  richiede, non passiamo oltre senza aver  prima determinato l'oggetto di questo  articolo, diremo, la storia della Scola stica essere quella delle diverse dot trine professate nelle scuole del medio  evo, dall' istituzione di queste fino a  quando fu ad esse tolta l' istruzione  prima e la direzione delle menti.  Ma quando furono le scuole insti tuite? Tutti gli storici monumenti ne  attribuiscono a Carlo Magno l' onore,  epperò il signor Haureau fa da lui in comincirre il primo periodo della sco lastica, il qual finisce col secolo XI,  cioè da Alcuino a Berengario. Comin cia con questi due il secondo periodo.  Il più illustre campione di questo pe riodo è Giovanni Scoto. Egli conosceva  il greco e l'ebraico, corresse la Volga ta, e tradusse il libro dei Nomi divini,  attribuito a San Dionigi areopagita,  sopra un manoscritto mandato da Mi chele Balbo a Luigi il Pio. Era inol tre, se crediamo al signor Haureau, li bero pensatore, tanto che nel principio  della sua opera principale così si espri me aproposito della Tradizione: « L'au  Prende ad esempio il battesi mo. Nelle cerimonie di esso il tatto, la  vista ed il gusto dandosi mano a vicen da accertano la presenza dell'acqua: la  ragione va più oltre, ed arriva a cono scere le naturali proprietà e l'essenza  della medesima, non che le parti che  la compongono; ma non è dal battesi mo sollevata fino a comprendere il mi stero della salvazione ; la ragione è in feriore alla fede, come ad essa sono  inferiori i sensi. Aldemanno non fu il  solo oppositore; ma ebbe anche Beren gario i suoi discepoli, tra cui Ildeberto  di Lavardino , arcivescovo di Tours.  Egli vorrebbe rilevare la ragione; ma  come farlo senza offendere la fede? Que sta difficoltà non fu punto da Ildeberto  risoluta. Berengario, distinguendo varie  maniere di certezza, ammetteva tanto  le credenze della fede, quanto quelle  della ragione ; ma non voleva che ve 398  SCOLASTICA  nissero confuse, siccome insegnava la  Chiesa. Ildeberto ammette sì le distin zioni del maestro, ma dimostreremo che  il pio arcivescovo di Tours, chiamato  dai contemporanei colonna della Chiesa,  s'accosta all'eresia più che non si crede.  Apriamo il Trattato di teologia, e vi  troveremo sul bel principio questa defi nizione per lo meno ardita: « La fede  è la certezza volontaria delle cose as senti ; essa è superiore all' opinione ed  inferiore alla scienza ».   egli dice « deve sotto > Fin quì il filosofo  è unicamente idealista, mava più innanzi   loro dice  >>  Questi due frammenti contengono  intera la dottrina nominalistica. Rosce lino ne trasse alcune conseguenze teo logiche, ed a malgrado del rispetto che  la fede imponeva pei misteri, osò, con  iscandalo della Chiesa, sottomettere il  Mistero della Trinità al criterio della  ragione, argomentando in questo modo:  Giusta le premesse, la cosa, come  «  cosa, non è altro che una e non ha  parte; soltanto l'unità è reale. In pari  modo, Dio, come Dio, non è altro che  Dio, non il Padre, il Figlio e lo Spirito  Santo ». Faceva pertanto questo dilem ma:  O la Chiesa, d'accordo con Sa bellio, deve nella Trinità ammettere tre  Dei separati, distinti, individui, come  sono tre angeli, tre spiriti; o non po trà attribuire la realtà e la sostanza  che a un solo Dio, chiamato con tre  nomi, ma senzadistinzione di persone ».  Contro Roscelino si elevò Guglielmo di  Champeaux il quale insegnava a Parigi,  nella scuola del chiostro. Bayle accusa  di spinozismo la dottrina di lui; nè  priva di fondamento è quest' accusa, la  quale, del resto, è diretta contro tutta  la scuola realistica. Insegnava egli che  il genere è essenzialmente, integral mente e simultaneamente identico in  tutti gl'individui, e che gl' individui sono  fralorodistintinon peraltro che persem plici accidenti, ed argomentava in cosi  fattomodo: « L'umanità è unacosa essen zialmente una, che non possiede daper  sè, ma riceve d' altronde certe forme  che fanno Socrate. Questa cosa, re stando essenzialmente la medesima ri ceve del pari altre forme che fanno  Platone e gli altri individui dell'umana  specie; ed eccettuate le forme che si 400  SCOLASTICA  applicano a questa materia per pro durre Socrate, nulla è in Socrate che  non sia ad un tempo in Platone, ma  sotto le forme di Platone ».  Questo teologo apparteneva, come si  vede, alla scuola del più aperto reali smo. Egli non riconosceva altra esistenza  che gli universali: le cose particolari  sono accidenti o fenomeni. In questo  modo il realismo volendo da una parte  evitare lo scetticismo dei nominalisti, ri cadeva dall'altra nel panteismo. Gugliel mo di Champeaux doveva trovare un  terribile oppositore nel giovane Abe l' universale esista, ma che la mente  chiama universale ciò che esiste di si milare inciascunindividuo (v. ABELARDO).  Così si ebbe il concettualismo, scuola  che in sostanza non mipare diversa da  quella dei nominalisti.  Tra le scuole a cui ha dato origine  il concettualismo di Abelardo, vuol es sere ricordata quella dei Cornificiani, di  cui Giovanni di Salisbury lasciò un qua dro sì poco favorevole. I Cornificiani,  partecipando ad un tempo dei realisti e  dei nominalisti, riducevano tutte le dot trine e tutte le idee a semplici formole:  queste formole, ne cercavano le con traddizioni. Questo metodo doveva age volmente guidare al più universale scet ticismo ; e Giovanni di Salisbury rac lardo (di Palais nella Bretagna), il più quindi ponendo a confronto tra loro  illustre discepolo di Roscelino. All' ar gomentazione realistica egli risponde va: « Se così è, chi potrà negare che  Socrate sia ad un tempo stesso in Roma  ed in Atene? Difatto dove è Socrate,  trovasi altresì l'uomo universale che ha  vestito nella sua intierezza la forma  della sua socratità. Perocche tutto ciò  che comprende l' universale, lo ritiene  nella sua totalità. Se pertanto l'univer sale, che è affetto per intiero della so cratità, trovasi in Roma nel tempo stesso  tutt' intiero in Platone, egli è impossi bile che nel tempo stesso e nel mede simo luogo non si trovi la socratità che  è nell'uomo; là è Socrate, poichè Socrate  è l' uomo socratico. Chiunque ragioni,  conta che la più parte dei Cornificiani  ne diedero non dubbia prova, rinun ciando per disperazione allo studio della  filosofia, quali per chiudersi nei chio stri, quali per darsi alla medicina.  Dopo Abelardo la scolastica ricade  in un aperto misticismo. San Vittore e  Ugone mostrano pari disprezzo per la  ragione, e l'uno vanta i meriti dell'intui zione, ' altro quelli della contempla zione.  Alano Magno delle Isole (Yssel o  Rupel) dimostrò con vigoroso raziocinio  nonhacome rispondere a ciò ».  Ache tende Abelardo? A provare  che l'universale è, non una cosa, ma  un'idea, una parola; che se l'universale  fosse alcuna cosa, questa siccome uni versale od assoluta sarebbe necessaria mente contenuta per intero in ciascun  individuo, il che è assurdo. Aggiunge :  >  dicono gli autori del Compendio ad uso  del collegio di Juilly  una naturale inclinazione, che è come  « un' incoazione di questa virtù, la qual  ; che « Iddio è una  sfera impassibile ». Diogene Laerzio gli  fa dire che « l'essenza di Dio è sferica>>>  e Teodoreto che « il tutto è uno; è  sferico » . Lo stesso dice Aristotile  quando assicura che secondo Senofonte  >  convennero che in certi animali infe riori la sede della sensibilitàrisiede nel  midollo allungato,laquale,secondo Loriy,  Desmoulins, Gerdy, J. Muller ecc. è  anche la « sorgente del movimento ».  Gerdy appoggiandosi ai suoi propri e sperimenti riconosce che l'ablazione del  cervello pone l'animale in uno stato di  sonnolenza, senza però distruggere ogni  manifestazione della percezione e della  volontà, giacchè se l'animale è viva mente irritato fa degli sforzi per sfug gire al dolore. Poichè la facoltà di per cepire e la volontà sono rese ottuse  per l'asportazione dei lobi cerebrali, il  cervello, dice questo autore, serve dun que a tali funzioni: ma poiché esse con tinuano ancora dopo la recisione, biso gna dire che non sia solo a produrle.  Il suo completamento non sarebbe già  il cervelletto, l'ablazione del quale par  che ecciti l' animale piuttosto che stor dirlo, ma a giudizio di Gerdy, la per cezione e la volontà avrebbero sede nel  cervello e nella protuberanza.  Aquesta supposizione F. A. Longet  presta tutto l'appoggio della sua espe rienza. Allorchè, dic'egli, viene mutilata  la massa encefalica di un coniglio o di  un giovane cane, fino al punto di non  lasciare nella cavità del cranio altro che  la protuberanza e il bulbo, questi ani mali, quantunque sembrino immersi in  un coma profondo, sotto l' influenza di  vive irritazioni esterne, potranno ancora  mandare dei gemiti, ed agitarsi violen temente; ma quando vien lesa abba stanza profondamente la protuberanza  anulare, subito i gemiti e l' agitazione  cessano, e più non resta che un ani male nel quale la circolazione, la re spirazione e le altre funzioni nutritive  continuano momentaneamente.  Fu domandato se senza la parteci pazione dei lobi cerebrali può realmente  esistere sensazione di dolore. lo chiamo  l' attenzione del lettore sulla risposta  che il signor Longet, fisiologo certo 410  SENSAZIONE  non materialista, e per conseguenza  non sospetto di parzialità per la nostra  filosofia, ha creduto di dover dare a  questa domanda.   ( Anatomie descriptive t . I ). Savart  avendo osservato che la sabbia posta | degli ossicini! Chi pretendeva che il  sopra una membrana vibrante saltava  tanto più alto quanto meno la membrana  era tesa, ha concluso, contrariamente a  Bichat, che è la tensione e non già il  solo martello picchiasse, chi tutti insie rilassamento della membrana che di minuisce la sua facoltà conduttrice. Que sta opinione, non è generalmente accet tata; e Longet, p. e, crede che l'a zione del muscolo sia quella di OV viare semplicemente alle variazioni di  tensione che può presentare la mem brana, impedendo specialmenteche essa  si rilassi completemente.  La cavità del timpano è attraversata  da una catena di ossicini articolati fra  loro in guisa da formare una leva an golare, una estremità della quale è at taccata alla membrana del timpano, e  l'altra a quella della finestra ovale.  Questi ossicini sono in numero di quat tro: il martello, l'incudine, l'orbicolare  e la staffa. Non si è ancora ben potuto  spiegare quale utilità essi rechino nella  funzione dell'udito. Certo essi trasmet tono le vibrazioni dell'orecchio medio al me, e chi voleva non avessero azione  sulla trasmissione del suono. Del pari,  cosa non si è detto della tromba di  Eustachio , canale che mette in co municazione la fossa nasale colla pa rete interna della cassa del timpano!  Non si accontentarono della supposi zione probabile ch' essa fosse data per  la rinnovazione dell'aria contenuta nella  cassa, ma vollero alcuni ch'essa servisse  anche all'animale per udire la sua pro pria voce !  Dalle finestre ovale e rotonda, chiuse  ,  da membrane vibratili le vibrazioni  sonore sono trasmesse all' orecchio in terno, al vestibula, e alla linfa del co tugno, che riempie tutto il labirinto ; il  quale nella parte anteriore è occupato  dalla chiocciola e nella posteriore dai  ' orecchio interno attraverso alla fine stra ovale ; male vibrazioni della cassa  timpanica non avrebbero forse egual mente potuto trasmettersi col mezzo  dell' aria contenuta nella cassa, come.  ciò avviene per la viadella finestra ro tonda? Il meccanismo dell' orecchio in contra ad ogni passo serie difficoltà, e  i fautori delle cause finali non man carono di ricercare in ogni organo uno  scopo dato dal creatore alla sua fun zione. Boërhaave non ha forsedetto che  il padiglione esterno dell' orecchio pre senta delle curve disposte geometrica mente ed in modo da riflettere nel con canali semicircolari. Ma queste tre parti,  vestibolo, canali semicircolari e chioc ciola, non sono la porzione essenziale  dell'organo, solo costituiscono la cavità  ossea nella quale risiedeuna membrana,  alla quale fanno capo gli ultimi filetti  del nervo acustico, incaricato di por tare le sensazioni sonore all' encefalo.  Il signor Adelon ha giustamente os servato che tutto questo apparecchio  non serve infine che a trasmettere le  vibrazioni sonore al nervo conduttore  naturale del suono, e che in conse guenza il suono può pervenirci altri menti che per questa trafila, cioè col l' intermedio delle ossa del cranio, ma  soltanto quando il corpo sonoro è posto  a contatto immediato con esse. Il ru more di un orologio é inteso, benchè  gli orecchi siano turati, quando ' oro SENSAZIONE  421  logio è tenuto fra i denti. Ingrassias | più debole,sia tale, non perchè lontano,  cita l'osservazione di uno spagnuolo, il  quale, divenuto sordo per l'ostruzione  del condotto uditivo esterno, sentiva il  suono di una chitarra ponendone il  manico fra'denti, oppure mettendo nella  ma perchè più debole veramente. Pos- siamo noi dire qual sia la distanza del  rombo del cannone, se non sappiamo  innanzi tutto da qual sorta di cannoni  nasce quel rumore. Possono darsi can sua bocca l'estremità d'una bacchetta  mentre coll' altra estremità toccava lo  strumento. Questi fatti non ci avver tono, come ben diceva Blainville, che  I udito non è altro, infine, che una  specie di tatto? Molti animali che sono  privi di quel senso, distinguono nondi meno le vibrazioni dei corpi sonori per  la sola impressione che esse producono  sulla loro pelle. Noi stessi riusciamo a  sentire queste impressioni nei forti ru mori; cosa la quale può farcicompren dere facilmente, che quel fenomeno il  quale è suono nel nervo acustico, fuori  di esso non è che movimento. Berkeley  e la scuola sensualista hanno perciò  avuto ragione di dire che le sensazioni  sono dentro di noi piuttosto che fuori  di noi, tanto poca relazione ha il movi mento con l' idea che noi abbiamo del  suono, che forza è concludere essere il  suono una pura modificazione del nervo  acustico al quale si comunicano le vi brazioni.  Fu detto che il senso dell'udito po teva esso solo farci conoscere le di stanze, poichè noi sappiamo giudicare  se un corpo sonoro è più o meno vi cino a noi. Ma questa è una induzione  erronea, poichè noi riesciamo a giudi care la distanza della sorgente da cui  partono i suoni solamente quando trat tasi di suoni noti. In questi casi noi  abbiamo già veduto l'istrumento o il  corpo da cui parte il suono, e l' espe rienza ci ha già avvertiti di quanto di minuiscono questi suoni per rapporto  alla lontananza. E poichè sappiamo che  tutti i suoni diminuiscono colla lonta nanza noi crediamo lontani tutti i suoni  deboli, col qual giudizio cadiamo molte  volte in errore. Ad esempio, dall'inten sità del tuono molti ne giudicano la lon tananza; pure può avvenire che un tuono  noni di gran portata il cui rombo si  faccia sentire distintamente a distanza  maggiore di quella che basterebbe a  rendere impercettibile la scarica di can noni di portata minore. Dunque la va lutazione delle distanze col mezzo degli  orecchi suppone una esperienza combi nata con un altro senso. Senza questa  esperienza, noi non avremmo alcuna  ragione di dire che i suoni deboli sono  più lontani dei suoni forti, giacchè vi  sono dei suoni forti che succedono a  distanza maggiore di quelli che ci sem brano deboli. Nè meglio riescirebbe  l'orecchio solo a giudicare la direzione  delle onde sonore. É vero che portando  l'orecchio nella direzione delle onde so nore la sensazione si accresce , ma  perchè mai l'orecchio giudicherebbe  che quell' accrescimento sia lo stesso  suono percepito più distintamente, an zichè un altro suono più forte ? Se gli  occhi od il tatto non ci avessero mai  avvertiti che lo stesso suono si indebo lisce o si rinforza secondo che l'orec chio è più o men bene posto nella di rezione della sorgente da cui partono  le onde sonore, certo l'udito solo non  ci avrebbe mai potuto istruire di que sto fatto.  Il senso dell' odorato non è più di stinto di quello dell'udito, sebbene per cepisca delle impressioni che sono im percettibili a tutti gli altri sensi. In torno alla natura degli odori, fisici e  fisiologi sono ancora divisi in due o pinioni; quella dell'emanazione, e quella  della vibrazione. Coloro i quali adot tano la prima opinione suppongono che  dai corpi odorosi emanino delle parti celle tenuissime ed imponderabili le quali  penetrando nel nostro organo produ cono, mediante il contatto, la sensa zione dell' odorato. L'altra opinione 422  SENSAZIONE  applica eziandio agli odori quella  legge di vibrazione che abbiamo attri buita alla luce e al suono. Secondo  questa ipotesi i corpi odorosi, come i  luminosi ed i sonori, avrebbero una spe ciale maniera di vibrazione, la quale  comunicandosi al mezzo ambientę, ir raggerebbe tutt'intorno trasmettendo le  onde odorose fino a noi. Gli emanatisti  sostengono la loro opinione mostrando  che i corpi più odorosi sono quelli che  più facilmente si volatizzano; ma ri spondono gli avversari che questa vo latizzazione, se getta nell'atmosfera una  parte del corpo odoroso, deve natural mente rendere anche più facile la per cezione dell' odore, in grazia dei molti  centri di vibrazione che si stabiliscono  intorno a noi; che per questa ragione  1  molte essenze diventano più odorose  quando si volatizzano, mentre se si fiu tano nelle boccette producono una assai  minore impressione sull'organo olfatto rio . Aggiungono che certe sostanze,  come il muschio e l'ambra grigia, dopo  avere eccitate per parecchi anni le no stre impressioni olfattive, se sono pesate  anche colle più perfette bilancie, non si  trova che abbiano diminuito di peso.  Ma contro queste dimostrazioni si ri sponde che i nostri sensi sono assai  più sensibili delle nostre bilancie e che  l'ipotesi di un movimento vibratorio non  si accorda nè col trasporto degli odori  a distanze sovente enormi, nè con certe  condizioni della sensazione olfattiva ,  come sarebbe la necessità di una cor rente d'aria per mettere l'apparecchio  dell'olfatto in rapporto col suo eccitante  naturale.  Comunque sia, o corpuscoli o vibra zioni, il contatto o il movimento, per  essere percepito, deve essere comunicato  alla membrana olfattiva o pituitaria  onde sono rivestite le fosse nasali ;  cavità ossea che si trova sotto alla fronte  e che corrisponde alla parte superioredel  naso. Questamembrana del genere delle  mucose, nella partesuperiore e media è  intersecata da una quarantina di filetti  nervosi, i quali, dopo avere attraversato  i fori che crivellano la lamina dell'osso  etmoidale, riunisconsinel nervo olfattorio  incaricato di portare le sensazioni odo rose al cervello.  I soliti fisiologi teleologi non hanno  mancato di ricercare nell'organo dell'o dorato quella perfezione che essi tro vano sempre in tutte lecose (v. CAUSE  FINALI). Dissero in prima che l' organo  dell'odorato, per la sua stretta relazione  coll'organo del gusto, ci era stato dato  per avvertirci della bontà delle materie  che ci prepariamo ad ingestire. Ma fu  osservato che nell' uomo l'odorato è il  senso meno perfetto di tutti gli altri, e  che sotto questo rapporto egli è meno  favorito di molti animali. Il nervo ol fattorio dell' uomo è, in proporzione,  molto piccolo; il ganglio olfattorio è  molto gracile, e il signor de Blanville  lo dice addrittura rudimentario. Poco  estese sono le fosse nasali, ed il naso  esterno non è così ben disposto per ri cevere gli odori come il muso del cane,  il grugno del porco o la proboscide  dell'elefante. I nervi che lo dovrebbero  muovere sono poco sviluppati, quasi  come quelli delle orecchie, che sono  nell' uomo affatto immobili ; e la mem brana olfattoria presenta poca superfi cie in confronto di quei giri doppi e  tripli che offrono i cornetti del cane.  Perciò nell' uomo gli avvertimenti del l'odorato sono poco sicuri; non gli sve lano la presenza di molti gas la cui  respirazione è funesta, e gli fanno in vece incontrare un odore spiacevole nei  buoni alimenti e un gradevole odore in  molti veleni.  La speciale disposizione dell' organo  è quella che determina la natura degli  odori, che ce li rende grati o sgrade voli indipendentemente dalla loro qua lità intrinseca. Ciò che è odoroso per  un animale può essere inodoro per un  altro e ciò che piace ad una specie può  spiacere ad un'altra. Certe persone, dice  il signor Adelon, amano gli odori che  altri sfuggono; Luigi XIV, per esempio, SENSAZIONE  gradiva gli odori virosi ; i Persiani qua lificavano col titolo di cibo degli Dei  l'assa-fetida, che noi indichiamo col vo cabolo di stercus diaboli.  423  scellare superiore e dal ganglio sfeno Si è detto che gli odori gradevoli  hanno una diretta influenza sugli or gani genitali, ed è un fatto ch'essi c'in nebbriano e ci dispongono all'amore. Ma  èpur vero, come osserva il professore  Longet, che vi sono degli uomini i quali  nell'influenza esercitata dall'odore della  vulva sulla pituitaria, trovano lo sti molo a disposizioni erotiche; come l'o dore dell' uomo eccita in alcune donne  ardenti il bisogno del piacere. L'imma ginazione coopera certamente a pro durre in alcuni questo singolare feno meno. Manegli animali questa influenza  delle impressioni olfattive è ancor più  pronunciata, poichè gli organi sessuali  delle femmine di molte specie,all'epoca  del rut sviluppano un odore forte e  speciale, le cui esalazioni sembrano at tirare i maschi sulle loro peste.  Per la natura dell'organo che loper cepisce, il gusto è il senso che piú di  tutti gli altri si avvicina al tatto. Per  svilupparsi esso ha bisogno del contatto  di un corpo estraneo, e questo contatto  deve operarsi in una maniera perfetta,  cioè colla dissoluzione delle parti sapide  entro gli umori secretati dalla bocca.  La sensazione del gusto, per comune  consenso, si esercita dalle papille che  si trovano sulla membrana mucosa della  lingua, principalmente formate dalle fi nali estremità dei nervi, la cui tenuità  però è tale, che difficile è il vedere  com'essi vi si dispongano. Per la stessa  ragione difficile è il sapere quale dei  nervi che mettono alla lingua sia quello  chepresiede allaloro formazione e quale  meriti perciò di essere detto il nervo  del gusto. Vi sono state e vi sono tut tavia delle controversie su questo pro posito, giacchè molti nervi distribui sconsi nella lingua, e sono: il nervo lin guale, del quinto paio, il nervo grande  ipoglosso ed il grosso faringeo, come  pure alcuni filetti provenienti dal ma palatino. Ma se uno o se diversi di  questi nervi cooperano atrasportare la  sensazione del gusto al cervello è que stione indifferente per la filosofia.  Servendosi di una piccola spugna at taccata all'estremità di un osso di balena,  Antonio Vernièr ha cercato di esplorare  quali parti della bocca fossero sensibili  alle impressioni sapide. Egli affermò di  avere costantemente trovate insensibili  all'azione dei sapori la membrana mu cosa della volta palatina, delle gengive,  delle gote, delle labbra, della [regione  media e dorsale della lingua; mentre la  sensibilità gustativa fu da lui trovata  nella mucosa che copre le glande sub linguali, la superficie inferiore, la punta,  i contorni e la base della lingua, le  due faccie del velo del palato e la fa ringe. I signori Gussot e Admyrauld  rinnovando le esperienze in altre con dizioni confermarono le conclusioni di  Vernière, colla sola differenza ch' essi  trovarono traccie di sensibilità sopra  una piccola parte della volta del palato  situata al centro della sua superficie  anteriore. I medesimi fisiologi si sono  eziandio proposti di conoscere se tutte  le superficie sensibili percepissero il  gusto alla stessa maniera, e i loro e sperimenti li hanno condotti a conchiu dere che molti corpi, e specialmente i  sali, producono sensazioni differenti se condo che sono gustati dalla parte an teriore della lingua oppure dalla poste riore. Per esempio, dicono essi, lace tato di potassa solido, d' una acidità  bruciante alla parte anteriore della  bocca, è amaro, insipido e nauseoso alla  parte posteriore. L' idroclorato di po tassa semplicemente fresco e salato da vanti, diviene dolciastro vicino alla gola.  Il nitrato di potassa fresco e piccante  sul davanti, nella parte posteriore della  bocca diviene leggermente amaro e in sipido. L' alunno solido, poco sapido,  fresco, acido e molto stitico sul davanti,  nella parte posteriore dà un sapore  dolciastro senza alcuna acidità. Il sol 424  SENSAZIONE  fato di soda molto salato sul davanti, è  amaro sul fondo della bocca ecc.  Questi esperimenti sono adatti a ren dere assai dubbioso il nostro giudizio sulla  vera natura dei sapori, e se poi teniamo  conto della diversità grandissima di gu sti che si notano fra le diverse specie  animali e fra gli stessi uomini, potremo  facilmente essere condotti ad affermare  che i sapori non esistono fuori di noi,  ma che sono solamente in noi, o piut tosto sono unafunzionedipendente dal l'intima natura dei nostri organi.  Il gusto non somministra all'intelli genza alcuna nozione estrinseca, salvo  la qualità sapida dei corpi gustati; esso  è assolutamente inetto ad obbiettivare  la sensazione, nè vi è alcun dubbio che  questo solo senso non basterebbe a darci  alcuna cognizione dei corpi esteriori.  Fu perciò detto che il gusto non è un  senso della intelligenza, madella nutri zione. Se non che i teleologi hanno  trovato che la sua destinazione provvi denziale era quella di farci scegliere,  fra le diverse sostanze che la natura ci  presenta, quelle che sono proprie a ser virci d'alimenti. Questa proprietà non è  però rigorosamente vera. Vi sono delle  sostanze velenose o nocive all'ingestione  delle quali non proviamo alcuna nausea,  se pure tal fiata non hanno sapore gra devole, mentre altre sostanze che sareb bero eminentemente plastiche e nutri enti ci ripugnano. Inoltre, se lo scopo  del gusto fosse stato quello di avver tirci dei bisogni dello stomaco, pare na turale che certi farmachi , che pure gio vano adeccitare, a mantenere od ari stabilire le funzioni dell' organo dige stivo, avrebbero dovuto parere meno  ingrati all'organo del gusto.  In qual maniera i corpi agiscono  sull' organo del gusto per generare la  sensazione che gli è propria? Molte i potesi furono fatte a questo riguardo,  ma tutte insufficenti. Alcuni hanno at tribuito questa facoltà alla forma delle  molecole, ed in conseguenza hanno ri ferita ladiversità dei sapori alla differen te figuradelle molecole integranti; altri  alla natura chimica dei corpi; altri alla  vibrazione speciale delle molecole dei  vari corpi; ma tutto questo non ci a vanza nella spiegazione del fenomeno,  come non ne erano avvantaggiati gli  antichi pei loro principii salino, acido,  o igneo che supponevano risiedere nei  corpi come causa dei sapori.  Noi dobbiamo confessare che tutte  le spiegazioni date su questo e sugli  altri sensi non ci spingono più in là  dell' idea di contatto (v. CAUSA) e che  nel resto siamo affatto all' oscuro sul  come questo contatto, secondo la di versa natura dei nervi su cui si opera,  si trasforma in sensazioni diverse. Que sta oscurità impenetrabile non ha però  in se stessa nulla di misterioso, e non  è in alcuna maniera l'indizio che sotto  il nostro involucro materiale si nascon da uno spirito. Questa conseguenza sa rebbe tanto fondata quanto quella di  quel selvaggio, il quale vedendo un o rologio che si muoveva da sè, lo repu tava un Dio. Il nostro corpo è una  macchina chiusa, i cui ordegni non co nosciamo interamente. Noi nonpossiamo  aprire questa macchina senza scompor la, senza guastarla e senza sospenderne  il movimento; noi non abbiamo mai  potuto seguire i movimenti del cervello  nelle sue intime fibre, nè percorrere  insieme alla sensazione i nervi condut tori. L' anatomia spiega la forma e la  disposizione dei congegnidi questa mac china, ma non la funzione; la fisiologia  colle sue vivisezioni si è inoltrata al cunpoco nello studio dei movimenti in  azione, ma tosto che essa si spinge al  centro del movimento, le lesioni che  produce sconvolgono tutta la macchina,  e il movimento scompare. Qual maravi glia, dunque, se la causa dell'azione ci  sfugge tuttora e se il nostro stesso corpo  resta per noi come una scatola chiusa?  Forsechè il solo pensiero può bastare a  darci l' idea di quel che siamo? Ma il  nostro io è la funzione, il risultato di  questa macchina che diciamo uomo, SENSISMO O SENSUALISMO  non può trovare in sè che gli elementi  della funzione e non quelli della cau sa. Se non fosse così, perchè mai gli  spiritualisti non intendono meglio lo  spirito di quello che noi intendiamo il  425  intesa da Cartesio, il quale sul pro posito delt' idea di Dio così si cor reggeva: « Quando dissi che l'esistenza  di Dio è naturalmente in noi, volli in corpo? E perchè gli stessi materialisti  rientrando col pensiero in se stessi non  scoprono questa stupenda e misteriosa  causaspirituale, laquale, tuttochè non sia  altro che l'essenza di noi stessi, si ostinaa  restare per noi nel più profondo mistero?  Sensismo o Sensualismo.  Dottrina colla quale si dimostra che  tutte le nostre idee derivano dalla sen sazione. Dopochè Platone aveva inse gnato che le idee sono innate in noi,  (v. IDEE INNATE) Aristotile sorse a com batterlo e a dimostrare il doppio prin cipio : 1º nulla trovarsi nell' intelletto  che prima non esista nei sensi; 2º l'a nima umana essere in principio una  tavola rasa sulla quale nulla è scritto.  Queste due opposte teorie subirono na turalmente le fasi di favore e disfavore  acui soggiacquero successivamente i si stemi di quei due filosofi; ma il pre dominio era rimasto a Platone e le sue  idee innate, più o meno modificate, e rano state accolte dai più rinomati fi losofi del secolo XVII. Mentre Platone  considerava le idee come enti sostan zialmente esistenti in noi, Cartesio le  aveva ammesse solamente come esistenti  per una certa disposizione dello spirito,  in potenza ; mentre Leibnitz credeva  che le idee stanno nello spirito come  una statua si trova in un masso di  marmo prima che ne sia tratta dallo  scalpello dell'artista. Per verità, il modo  che usavano questi due filosofi per con cepire leidee innate differiva sostanzial mente da quello di Platone, perciocchè  una disposizione dello spirito a produrre  una idea, non può dirsi ancora che sia  una idea, come la proprietà che hanno  i corpi di muoversi non può dirsi che  sia movimento. Una cosa non può es sere e non essere al tempo stesso, e ciò  che è possibile non è ancora un fatto.  Questa sostanziale differenza fu pure  tendere soltanto che la natura ha po sto in noi una facoltà mediante la quale  noi possiamo conoscere Dio; ma non ho  mai scritto nè pensato che questa idea  fosse attuale ».  Bacone fu il primo che intravvide  lamodernateoriadei sensisti, insegnan do che le idee civengono trasmesse dai  sensi, i quali ne formano degli idoli  (idola) o delle immagini, grazie a certe  particelle materiali, le quali, come a veva supposto Democrito, si staccauo  dagli oggetti, e per mezzo dei sensi si  introducono nel cervello. Questa teoria,  per quanto possa parer singolare, non  è poi affatto strana, se si considera che  l'ultima parola della fisiologia e della fi sica, se non è favorevole ad una vera  epropria traslazione della materia, am mette però una continuità di vibrazione  che, per la via dei nervi sensori, dagli  oggetti percepiti giunge al centro della  percezione (v. SENSAZIONE).  Il problema della filosofia sulla ori gine delle nostre idee ha cominciato  ad essere metodicamente sottoposto ad  una accurata analisi delle nostre sen sazioni nel 1694, nel quale comparve il  Saggio di Locke sull' umano intendi mento. Questo celebre filosofo ha rigo rosamente impugnata la dottrina carte siana sulle idee preesistenti alla sensa zione, ed ha dimostrato la verità dell'a forismo aristotelico (v. IDEE INNATE).  Egli costruì arditamente una nuova  teoria, e dimostrò che tutte le nostre  idee, così le più semplici, come le più  complesse, derivano dalla sensazione e  dalla riflessione. Divise perciò l' espe rienza in esteriore ed interiore e le idee  in due specie: quelle che vengono dal l'esperienza esteriore, cioè dalle sensa zioni, e quelle che derivano dall' espe rienza interna, cioè dalla coscienza. Le  prime si riferiscono alle cose materiali ;  le altre alle morali. 426  SENSISMO O SENSUALISMO  Condillac ha rassodata la teoria di  Locke e l'ha anche perfezionata. Giu stamente egli ha osservato che la di stinzione del filosofo inglese, il quale fa  procedere le idee dai sensi e dalla ri flessione è superflua. Sarebbe stato più  esatto, dic'egli, di non riconoscere che  una sola sorgente, sia perchè la ri flessione non è essenzialmente diversa  dalla stessa sensazione; sia perchè essa  non è tanto lasorgente delle idee quanto  il canale per il quale esse derivano dai  sensi. Questa inesattezza, continua Con dillac, quantunque sembri di poco mo mento, rende molto oscuro il sistema di  Locke, giacchè lo mette nell' impossibi lità di svilupparne i principii; ragione  per cui egli si accontenta di ricono  scere che l' anima comprende, pen sa, dubita, crede, ragiona, vuole, riflet te; che noi siamo convintidell'esistenza  di queste operazioni perchè le troviamo  in noi stessi e vediamo che contribui scono al progresso delle nostre cogni zioni.  Nel 1746 Condillac tentò didare un  nuovo saggio delle nostre facoltà senza  però riuscire più chiaro di Locke. Egli  stesso lo confessa, e ne ha poi fatta larga  ammenda, allorchènel 1754, pubblicando  il Trattato delle sensazioni, intraprese  vittoriosamente a ridurre nei loro primi  elementi le idee complesse che noi ab biamo dei corpi. E fuin questo libro  che ritrattò il parere contrario a quello  che Locke aveva dato sul problema da  Molineaux proposto in questi termi ni: >>>  (cop. cit. p. 3. с. 2).  L' autore segue a spiegarci come il  tatto istruisce gli occhi a vedere al di  fuori: « L'occhio, egli dice, è un or gano che si limita unicamente a modi ficar l'animo, e le sensazioni ch'esso le  trasmette nonhanno, come il sentimento  di solidità, quel doppio rapporto ilquale  fa che noi ci sentiamo, e che sentiamo  insieme qualche cosa esteriore a noi.  Esso non ha dunque per sè stesso la  facoltà di vedere gli oggetti colorati ; SENSISMO O SENSUALISMO  gli abbisognano de'soccorsi per acqui 429  denza stessa é la cosa più difficile ad  starla.  >  A questedomande Diderot aveva cer cato di rispondere prima di Condillac,  nelle sue Lettere sui sordo-muti stara pate nel 1751, quando appunto Condil lac, com'egli stesso afferma, stava lavo rando intorno al suo Trattato delle sen sazioni « La mia idea, dice l'autore  delle lettere citate, sarebbe, per così  dire, di decomporre un uomo e di con siderare ciò ch'egli tiene da ciascun sen so.  ..  Sarebbe, a parer mio, una sin golare società quella di cinque persone,  ciascuna delle quali non avesse che un  senso. Per la facoltà ch'esse avrebbero  di astrarre, tutte potrebbero essere geo metri, intendersi a meraviglia e non in tendersi che in geometria ».    Leibnitz che già dalungo tempo non  teneva più alcuna sentenza di Newton,  si risentì giustamente di questa defini zione dello spazio come il sensorio della  divinità, e sostenne l'opinione cartesia na, che lo spazio altro non è che la  relazione che noi concepiamo tra gli  enti coesistenti; non altro che l'ordine  dei corpi, la loro disposizione, le loro  distanze.  ANewton mancò il coraggio di ri spondere direttamente al suo avversario,  e lasciò al suodiscepolo,il dottor Clarke,  la cura di difenderlo. Costui vi si ac cinse infatti con ardore e comincid col  giustificare il maestro pel paragone  preso dal sensorio, attesa l'impossibilità  d'esprimersi chiaramente, diceva, in cui  uno si trova inqualunque lingua quan do ardisce parlare di Dio. Quindi ri battendo l'opinione di Leibnitz sullo  spazio, sostenne che se questo nor fos se reale ne deriverebbe un assurdo ;  poichè se Dio avesse posta la terra,  la Luna e il Solenel luogo in cui sono  le stelle fisse, purchè la Terra, la Luna  e il Sole fossero fra di loro nel mede simo ordine, in cui sono attualmente,  ne seguirebbe che la Terra la Luna  29 450  SPAZIO  •il Solesarebbero nel medesimo luogo | gli avversari di Descartes, non vi sa in cui ora sono; lo che, diceva, è una rebbe vuoto, e lamancanza delvuoto to-- contraddizione nei termini.  glierebbe nell'universo la possibilità di  ALeibnitz non fu difficile di rispon dere che se tutti i corpi dell' universo  fossero trasferiti in altro luogo, sarebbe  precisamente come se si trovassero nel  luogo stesso, poichè ciò che determina  il luogo è la relazione che esiste fra  essi corpi, e una volta che questa re lazione rimane inalterata, non si può  dire che vi sia, nè i nostri sensi lo po trebbero percepire, un cambiamento di  luogo; poichè cambiamento di luogo  importacambiamento di rapporti, e rap porti possono bensì esistere tra i corpi,  ma non tra i corpi e il nulla.  Lo spazio e laduratasonoquantità,  ribatteva Clarke, dunque sono qualche  cosa di veramente positivo. Ma qui il  discepolo di Newton non rifletteva che  nè lo spazio nè la durata sono quan tità, ma che le quantità sono propria--mente i corpi che occupano lo spazio  onei quali si manifestano ifenomeni di  successione che rappresentano la dura •ta. Egli aggiungeva quest' antico argo mento: Stenda un uomo il suo braccio  ai confini dell'universo; questo braccio  deve essere nello spazio puro, poichè  esso non è nel nulla ; e se si risponde  che esso è ancora nella materia, il  mondo in questo caso è dunque infini to, il mondo è dunque Dio. Leibnitz che  era deista, nonostante la sua teoria delle  monadi, doveva trovarsi non poco im barazzato per rispondere a questa do *manda. Come mai un deista avrebbe  potuto ammettere la materia infinita ?  Newton si appoggiava forte a questo  argomento, che oggidì non ha piú alcun  valore, giacchè esso ha anzi condotto  direttamente al panteismo ed al mate rialismo.  Di tutti gli argomenti addotti con tro la negazione dello spazio come re altà uno solo è adoperato dai filosofi  dei nostri giorni, i quali lo adducono  ancora come una prova inconfutabile.  Se tutto il mondo è pieno, opponevano  qualsiasi movimento, giacchè l'impene trabilità della materia non permette rebbe che un corpo entrasse al posto  occupato da un altro corpo.  Ho veduto molte volte addurre que st' argomento ne' tempi nostri, da uo mini eruditissimi, tra cui anche Tyn dall, i quali mi parvero che neppur  sospettassero che Descartes vi aveva già  sufficientemente risposto. Ecco, infatti, in  qual maniera un autore anonimo suo  contemporaneo riassume la dimostra zione della possibilità del movimento  nel pieno.  >  Per assai tempo, continua l' amico  mio Miron, io ho frequentato un cena colo spiritista nel quale le comunica zioni si fanno con un cestello munito  di una matita, sul quale un frequenta tore delle sedute e la padrona della casa  pongono le loro dita. Codesta ultima  signora è uno dei medium più famosi,  avvegnachè dicesi che ella abbia otte nuto un libro che in certo qual módo  serve di vangelo a una delle chiese spi sitiste. Alle sue serate s' incontravano  spesso le sommitàdel magnetismo e dello  spiritismo, prova evidente che quello era  uno dei centri più importanti di rivela zione. Là ogni spettatore può a suo ta lento evocare lo spirito col quale vuol  essere in comunicazione. E tosto fatta  l'evocazione un signore, chepuò riguar darsi come co-medium, prova una vio lente scossa e annuncia che lo spirito  evocato è presente. L'evocatore fa poi  tutte le domande che crede, e il cestello,  mettendosi in movimento sotto le dita del  medium principale, traccia le risposte.  Parecchie fiate alcuni evocarono de gli esseri immaginari, oppure dicendo  di voler fare l'evocazione mentale, nulla  invocarono. Il co-medium non perciò  cessava di provare le sue scosse, e at testava con piena sicurezza la presenza  degli spiriti evocati. Malgrado poi la  diversità di questi spiriti, le loro ri sposte sono di un carattere uniforme e  di una povertàveramente umiliante. Si  evochi Cicerone o Cadet Roussel, lo  stile ei pensieri sono sempre identici,  edenotano la stessa ignoranza. Eccone  un saggio.  L'illustre astronomo Arago essendo  evocato, dichiara che la scienza terre stre èun nulla in confronto della scienza  celeste che egli possiede attualmente. Or  è possibile che così sia; ma siccome  non si possono revocare in dubbio le  matematiche, bisogna credere che quanto  aquesto ramo delle umane conoscenze  'gono di esercizi presso a poco eguali a 464  SPIRITISMO  lascienza celeste non può essere diffe rente dalla nostra. Arago, divenuto più  sapiente, non può dunque aver disim parate le matematiche. Lo si interroga  su questo proposito, e si vede che il  cestello, nè comprende la domanda, nè  pure il valore delle parole di cui si  serve. Lo si interroga allorasul sistema  del mondo, e il cestello risponde che la  terra non gira intorno al sole più che  il sole giri intorno alla terra, ma che  la terra oscilla (se balance ) intorno al  sole. Si domanda allora di quanti gradi  sia l'ampiezza dell'oscillazione, lo spirito  risponde : quattro miliardi di gradi.  L'interrogatore manifestando allora qual chestupore per una tal risposta, il co medium, iniziato certamente ai misteri  del cestello spiritico, si affretta a sog giungere che questi gradi sono di 25  leghe ciascuno. I devoti sono incantati  di tal risposta ed hanno pietà della  scienza terrestre che non avrebbe mai  scoperte sì belle cose!  Gli evocatori ingeneralenon hanno  alcun dubbio sulla identità degli spiriti  che si manifestano. Però talvolta alcuni  vogliono accertarsene, ed invitano lo  spirito a fornirequalche prova indicando  peresempio il suo nome, o il tempo della  sua nascita o della morte. Lo spirito  allora risponde: scrivete dieci nomi fra  i quali io indicherò quello dello spirito  domandato. Per altro, cotesta prova non  riesce quasi mai.Unasignora di mia co noscenza la quale avevaevocatoilmarito,  evoleva che egli indicasse il suo pre nome, scrisse come gli fu prescritto, i  dieci nomi, fra cui era quello che si  doveva scoprire. Il cestello si mise in  movimento e percorse lentamente la  lista, e di tempo in tempo lapunta  della matita si avvicinava a un nome,  mentrechè il medium, cogli occhi fissi  sull' evocatrice, cercava di leggere sul  suo viso qualche traccia che gli accen nasse aver egli ben indovinato. Non  trovandosi l'espressione cercata, il ce stello fint col segnare a caso un nome:  scoraggiarsi, indicò unsecondo, poi un  terzo e fino a sette nomi senza coglier  nel segno! Cotali svarioni nonnocquero  minimamente al medium. Si sa bene  che gli spiriti liberati dai legami ter restri obliano spesso le particolarità  della loro vita passata.  Grande è la lezione che ci dà oggi  lo spiritismo sull'attitudine dell'uomo a  credere e a creare il maraviglioso. Se  la scienza non fosse giunta ad una so luzione abbastanza negativa, e non ci  garantisse oramai da ogni durevole  traviamento, lo spiritismo sarebbe di ventato religione elegislatori inappella bili i suoi sacerdoti.  Il lato temibile di questa nuova su perstizione, destinata fra noi a morire  col secolo che le diede vita, non tanto  sarebbe statala sua stravaganza, quanto  l'  l'apparente sua connessionecolla scienza,  alla quale i suoi sacerdoti tentano rian nodarla. Approfittandosi essi della u mana credulità e delle superstizioni cor renti, cercano di provare l'esistenza di  spiriti incorporei che col mezzo di tra smigrazioni, vengono sulla terra ad a nimare gli uomini, e ritornano nello  spazio dotati di una personalità e di  una volontà propria. Essi hanno inoltre  una forma, sono limitati, si trasportano  negli altri mondi a piacimento, e fra  loro si distinguono in più o meno puri,  cosicchè, come si è creato una scala  saliente e progressiva per gli esseri  viventi del nostro globo, lo spiritismo  la crea per gli spiriti. Possono essere  più o meno buoni, secondo il grado di  perfezione a cui sono giunti; ipiù im perfetti sono anche quelli che tengono  ancora alla materia, dalla quale vanno  allontanandosi gradatamente, per avvi cinarsi a Dio. Del resto, l'uomo, come  gli spiriti, sono destinati a progredire  e aperfezionarsi, sino aqual punto poi,  lo spiritismo non lo dice. Essi si incar nano, siaper compiere unamissione, sia  per espiazione, e in tal caso diventano  ciò che volgarmente chiamasi l' anima.  Come nel mondo materiale, vi sono  esso si eraingannato Ricominciò senza SPIRITISMO  nel mondo spiritico sensazioni e piaceri,  libero arbitrio, gerarchia, e tutta la  sequela dei mali, che,sebben diversi dai  nostri, non cessano però di esser mali.  Il fine ultimo della perfezione ci è rap presentato dagli spiriti superiori, i quali  non potendo più oltre perfezionarsi, sono  interamente occupati aricevere diretta mente gli ordini di Dio, a trasportarli  in tutto l'universo ed a vegliare diret tamente alla loro esecuzione (Le livre  des Esprits, par Allan Kardec). Evi dentemente lo spiritismo, che mostrasi  465  nel secolo nostro, nemmen fa d' uopo  dirlo, una religione o filosofia che pre tende insegnare il modo di evocar gli  spiriti , che con mille illusioni tenta  di traviar le menti dei creduli ; che  dichiara il sonnambulismo l'effetto di  tanto avverso al suo mortal nemico il  materialismo, pare che non abbia sa puto inventare di meglio che il tra sporto della gerarchia sociale nello  spazio!  Il sistema, bisogna confessarlo, è in gegnosissimo; esso però ha un difetto  solo, quello di mancar di prove. Infatti,  qual'è la base dello spiritismo? Il si gnor Allan Kardec, che si può ritenere  sia stato il maestro di questa nuova  superstizione in Francia, lo dichiarava  in modo esplicito: la rivelazione, i mi racoli, il sovrannaturale sono, secondo  lui, il fine ultimo della dottrina spiriti ca, ed a questo fine pare che egli miri  sopra ogni altra cosa, procurando di  conformarvi la rivelazione degli spiriti  (L'Evangile selon le spiritisme). « Essi  non riflettono, dice egli, parlando degli  avversari, che facendo il processo al  meraviglioso, fanno anche quello della  religione che è fondata sulla rivelazione  esui miracoli ; ora, che è mai la rive lazione se non una comunicazione extra  umana?   1. I fratelliPettyhannopresentato  parecchi dei fenomeni che essi avevano  annunciati, allorchè non venne presa  alcuna precauzione, tale da prevenire  lapossibilità di inganno, oallorchè que ste precauzioni erano indicate dai te stimoni e non escludevano perciò la  possibilità di questo inganno.  > 2. I fenomeni promessi o non si  sono prodotti, oppure la frode dei fra accolto questa proposta. Alla seconda | telli Petty è stata svelata ogni volta che  seduta della Commissione essi hanno  enumerato i generi di fenomeni che co noscevano ed hanno raccomandato di  studiare quelli che avvengono in pre senza dei medium, cioè delle persone  coll'intermediario delle quali i fenomeni  si manifestano con maggior intensità e  precisione. Il signor A. Axakof ha pro messo di presentare dei medium alla  Commissione. Questa, da parte sua, ac cogliendo con riconoscenza il concorso  che le era in questa guisa offerto pel  compimento del suo mandato,hadeciso  di ammettere ai suoi esperimenti tre  testimoni designati dai medium, ha pro posto di limitare le ricerche ai più sem plici fra i fatti dello spiritismo, ed ha  dai membri della Commissione furono  prese lepiù elementari precauzioni per  confondere l'impostura.  >3. I testimoni, riferendosi ad una  lunga pratica dello spiritismo, ed ime dium stessi, hanno posto alle sedute  delle condizioni, le quali escludevano la  possibilità di una osservazione esatta,  quali l'oscurità, la mezzaluce o l'allon tanamento dei membri della Commis sione ad una certa distanza dai medium.  >4. I testimoni adiverse ripresehanno  determinato molto diversamente le con dizioni che essi pretendevano favorevoli  alla manifestazione dei fenomeni spi ritici.  > 5. Alla sedutadel 20 novembre, si  fissato il termine di un anno per la du- | constato la rottura di una cortina po rata dei suoi lavori.  Nel mese di ottobre 1875, due me dium, i fratelli Petty, di Newcastle, che  il sig. A. Axakof aveva invitati a re carsi a Pietroburgo, sono stati presen tati alla Commissione. La loro qualità  di medium era attestata dauna dichia razione scritta del signor A. Axakof e  danumerose testimonianze stampate che  provenivano dagli spiriti.  «La Commissione tenne sedute coi  fratelli Petty; i testimoni erano i si  gnori Axakof e Boutlerof. Secondo il  desiderio dei testimoni, le due prime  sedute furono occupate dai medium nel  far conoscenza coll' ambiente nel quale  erano chiamati ad agire. Le quattro se dute successive sono state consacrate  allo scopo della Commissione ed ebbero  luogo nel mese di novembre. I loro ri sultati furono i seguenti:  sta vicina al medium per isolarli dal  campanello, il cui tintinnio doveva co stituire un fenomeno annunziato.  > Dopoquesti fatti il sig. A. Axakof  ha allontanato i medium dalla Commis sione. I testimoni dichiarano oggi che i  fratelli Petty sono dei medium assai  deboli.  > In quanto alla Commissione, essa  ha, nella sua seconda seduta, dichiarato  che i fratelli Petty erano due impo stori.  > Nelmese di gennaio 1876, il signor  A. Axakof avendo annunziato l'arrivo  dall'Inghilterra di madama Clayre, me dium dilettante, la Commissione si èdi  nuovo radunata in seduta. I testimoni  hanno certificato alla Commissione che  la signora Clayre era un medium po tente e che il professore Crooks aveva  fatto con lei inInghilterraparecchi de SPIRITISMO  gli esperimenti che sonopresentati co 469  >3. I sollevamentideitavolini ordinari  me prove in favore dello spiritismo. La  Commissione decise di procedere imme diatamente all'esame dei fenomeni spi ritici manifestati in presenza della si gnora Clayre, adoperando degli appa recchi a questo effetto preparati, affine  di sostituire alle ossrrvazioni dirette,  che sono incomode e non lasciano trac cia di sè, l'osservazione più probativa  delleindicazionidiapparecchi, la testimo nianza dei quali è irrecusabile. Il sig.  A. Axakof ha riconosciuto l'uso degli  apparecchi possibile in questa circo stanza, vista la potenza singolare del  medium e le esperienze di questo ge nere che erano già state fatte con  quella persona.  > La Commissione tenne nelmesedi  gennaio quattro sedute colla signora  Clayre come medium e coi signori  Axakof, Boutlerof e Wagner come te stimoni. I risultati furono i seguenti:  > 1. I testimoni hanno insistito sulla  necessità, per lo sviluppo dei fenomeni,  di tenere le sedute intorno ad una ta vola,ordinaria ; alcuni membri della  Commissione non furono ammessi nella  sala delle sedute; fu loro persino im pedito di fare delle osservazioni dalla  stanza vicina. Le sedute stesse attorno  ad una tavola ordinaria ebbero luogo,  grazie ai testimoni, in condizioni che  escludonolafacilitàd'osservare,lasciando  al medium piena libertà d'azione, senza  sindacato. É stato pure richiesto, per  esempio, che tutte le persone presenti  stessero contro la tavola, quando si u diva il moto di questa, ciò che facili tava la possibilità di farla muovere col  che si osservarono nelle sedute colla  signora Clayre, erano, per desiderio dei  testimoni e del medium, circondati da  condizioni tali, che il medium stesso  poteva scuotere il tavolino, avanzare i  piedi sotto il mobile e sollevare anche  questo . I membri della Commissione  hanno più volte osservato dei tentativi  di questo genere, ed hanno veduto il  piede del medium sotto quello del  tavolino.  > 4. Itestimoni nonhanno acconsen tito che una volta all' uso d'una tavola  manometrica, provveduta d' apparecchi  destinati a misurare lo sforzo delle  mani apposte su quella tavola. Non  avvenne oscillazione, nè movimento, nè  sollevazione di quella tavola. I testimoni  hanno poscia respinto a più riprese  l'invito della Commissione di procedere  adelle osservazioni mediante apparec  chi misuratori.  > 5. Un tavolino apiedi curvi, che in  grazia della sua costruzione non era  facile a farsi oscillare colla semplice  pressione delle mani sulla tavoletta, e  che allontanava la possibilità di porre  un piede sotto il piede del mobile, non  si mosse una volta sola, sebbene si  fosse adoperato quando dei movimenti  erano avvenuti con una tavola ordi naria.  > 6. Tutti i fenomeni chesiprodus sero in presenza della signora Clayre  possono esser prodotti da qualsiasi per sona che si trovasse nelle condizioni  favorevoli alla frode in cui, per deside rio dei testimoni, questo medium era  collocato durante le sedute della Com missione; i membri della Commissione  lo hanno provato da se stessi.  > Nelle ultime sedute colla signora  Clayre, la Commissione ha richiesto ca piede senza esser veduti.  > 2. I movimenti e le oscillazioni di  una tavola ordinaria che ebbero luogo  nelle sedute, mentre le persone pre senti tenevano sulla tavolale loro mani, tegoricamente che non si fossero più  sono stati incontrastabilmente prodotti  coll'aiuto delle mani del medium, come  impiegate delle tavole ordinarie, e che  I' osservazione dei fenomeni non a si potè indurlodallaloro tensione e dai  loro cambiamenti di posto che prece devano le mutazioni della tavola.  vesse luogo che col sussidio dei mezzi  proposti da essa.  I testimoni vi hanno aderito (il 27 • 470  SPIRITISMO  gennaio),ma esprimendo ildesiderio che  questi apparecchi fossero loro portati a  domicilio per essere anticipatamente e sperimentati. Dopo aver ricevuto (il 28  gennaio) due di questi apparecchi, i te stimoni hanno sospeso le sedute (il 2  febbraio) e in seguito (il 4 marzo) vi  hanno definitivamente posto termine.  Nelle dichiarazioni che essi hanno allora  presentato, i testimoni hanno rinnovato  l' assicurazione delle potenti facoltà me dianiche di madama Clayre, e hanno mo tivato il loro rifiuto principalmente sulla  prevenzione della Commissione contro  lo spiritismo, e sul desiderio di questa  di non fare l'osservazione dei fenomeni  dello spiritismo che con l'aiuto d'appa recchi.  > La Commissione ha considerato al lora come raggiunto il suo scopo, per chè essa si era accertata che fra i fe nomeni prodotti dal piùpotente medium,  in tutte le condizioni più favorevoli, non  ve ne era stato un solo che potesse in dicare la esistenza di un ordine parti colare di fenomeni costituenti lo spiri tismo.  >> Nelle quattro sedute che essa ha te nuto nel mese di marzo, la Commissione  ha discusso:  > 1. Dei dati stampati sui fenomeni  spiritici e sullo spiritismo in generale;  >> Delle prove ed osservazioni fatte  dai suoi membri, fuori del suo seno,  sopra dei fenomeni attribuiti allo spiri tismo e prodotti con o senza la presenza  dei medium..  > 3. I suoi processi verbali e lestampe  ricevute alle sedute che essa tenne coi  medium Petty e Clayre, in presenza dei  signori Axakof, Boutlerof e Wagner,  testimoni.  > 4. Ledichiarazioniscritte da questi  testimoni alla Commissione.  contrastabilmentedeterminati dall'effetto  della pressione esercitata, intenzional mente o no, dalle persone presenti; si  riferiscono cioè a dei movimenti mu scolari consci e incosci; per spiegarli  non è necessario ammettere la esistenza  della forza o della causa nuova, accet ta dagli spiritisti.  > 2.Dei fenomeni, qualelasollevazione  delle tavole o il movimento di diversi  oggetti dietro una cortina o neila oscu rità, portano il carattere irrecusabile di  atti di frode commessi scientemente dai  medium. Allorchè delle misure efficaci  sono prese contro la possibilità dell'im postura, questi fenomeni non avvengono,  oppure l'inganno è svelato.  > 3. I rumori e i suoninei quali gli  spiritisti vedono dei fenomeni aventi un  senso, e che possono servire a comuni care cogli spiriti, stanno negli atti per sonali dei medium ed hanno la stessa  importanzae lo stesso carattere dell'acci dentalità o della frode, dei vaticini e dei  presagi di buona fortuna.  > 4. I fenomeni attribuiti all'influsso  dei medium chiamati medium plastiques  dagli spiritisti, come la materializzazione  delle varie partidegli spiriti e l' appari zione di figure umane, sono incontra stabilmente falsi; si deve infatti così  conchiudere, non solo per l'assenza di  qualsiasi prova precisa, ma ancora:  a) Dall' assenza di attitudine all'os servazione scientifica nelle persone che  credono alla autenticità di questi-feno meni, le quali descrivono ciò che hanno  veduto;  b) Dalle precauzioni che gli spiri tisti e i medium chiedono ordinaria mente alle persone davanti alle quali  devono compiersi questi fenomeni;  c) Finalmente, dai casi numerosi  nei quali i medium furono direttamente  >> Da quest' esame la Commissioneha convinti d'avere prodotto coll' impostura  tratto le seguenti conclusioni:  simili manifestazioni, sia da sè stessi,  > 1. Quelli fra i fenomeni attribuiti  allo spiritismo, che avvengono coll' im posizione delle mani, come, per esem pio, i movimenti delle tavole, sono in sia col sussidio di terzi.  > 5. Nelle loro manifestazioni, le per sone simili ai medium mettono a pro fitto, da unaparte imovimenti inconsci SPIRITUALISMO  einvolontari delle persone presenti, e  dall' altra parte la credulità dellagente  onesta, ma superficiale, che non sospetta  la frode e non prende precauzioni per  prevenirla.  > 6. Lamaggior parte degli aderenti  allo spiritismo non danno prova nè di  tolleranza per l'opinione delle persone  che nulla di scientifico scorgono nello  spiritismo, nè di critica per l'oggetto  della loro credenza, nè di desiderio di  471  partecipazione di persone umane alla  produzione di quei fatti; quando si os servarono i principii razionali delle ri cerche scientifiche, come consiglianoGay  Lussac, Arago, Chevreuil, Faraday, Tyn dal, Carpentier e altri, è stato provato  che i fenomeni attribuiti ai medium so no il risultato, o di movimenti involon tari, che provengono da particolarità  naturali dell' organismo, o dalla furbe ria, o dall' inganno di persone che por studiare i fenomeni spiritici coll' aiuto  dei mezzi d' investigazione ordinari della  scienza. Però gli spiritisti diffondono  con ostinazione le loro idee mistiche,  dandole per nuove verità scientifiche.  Queste idee sono accettate da molti  perchè rispondono a vecchie supersti zioni contro le quali la scienza e la  verità da gran tempo combattono. Gli  uomini di scienza che sono trascinati  dallo spiritismo, si comportano verso di  questo come dei dilettanti passivi di  spettacoli e non come dei cercatori di  fenomeni della natura.  > 7. Lepoche esperienze con apparec chi atti a misurare, che si citano quali  prove in favore dello spiritismo, sono  state eseguite in condizioni, le quali  permettono giudizi precisi, e mostrano  che gli sperimentatori non conoscono  sufficientemente i metodi adatti allo  studio scientifico dei fatti nuovi e dub biosi. Questi sono, per esempio, gli e sperimenti eseguiti dagli spiritisti con  una membrana o con delle bilancie.  > 8. Ogni volta che degli spiritisti fu rono invitati, o che si sono offerti a  provare coll' esperienza ciò che essi af fermavano nei circoli delle persone che  conoscono le scienze esatte, esse si sono  volentieri messi all' opera, maognivolta  hanno interrotte le prove, hanno allonta nato i medium e si sono lagnati delle  prevenzioni degli esperimentatori, appe na trovarono che i fatti osservati erano  sottomessi ad un esame critico.  > 9. Allorquando lo studio dei feno meni spiritici è stato circondato da pre cauzioni atte a mettere in luce la  tano denominazioni analoghe a quelle  dei medium.  E ciò è quanto la Commissione ha  pure constatato nelle sue osservazioni  sui tre medium inglesi, che le furono  presentati dai nostri spiritisti.  Fondandosi sul complesso di ciò che  essi hanno appreso e veduto, i membri  della Commissione sono unanimi nel for mulare la seguente conclusione: ifeno meni spiritici provengono damovimeuti  involontari e da una impostura consa pevole, e la dottrina spiritica è una su perstizione.  Firmati: i membri della Commis sione: Bo Bylef, aggregato di fisica al l'Università di Pietroburgo.- Borgman,  preparatore al gabinetto di fisica del l' Università di Pietroburgo Bouly guine- Hezehus, licenziato in fisica Elenef preparatore al laboratorio di  chimica dell'Università di Pietroburgo-Krajëvitch, maestro di fisica all' isti tuto delle miniere e alla scuola degli  ingegneri-Latchinof, maestro di fisica  all' istituto agronomico di Pietroburgo  Mendèleief, professore di chimica al l' Università di Pietroburgo- Perrat,  professore dimeccanica-Pétrouschevski,  professore di fisica all' Università di Pie--  troburgo- Khmolowsly, maestro di fi  sica  Van der Vliet, aggregato di fi sica all' università di Pietroburgo.  Pietroburgo, 21 marzo 1876.  Spiritualismo. Dottrina di co loro i quali credono all'esistenza dello  spirito. La filosofia spiritualista è essen zialmente cristiana, nè vi è esempio tra  i filosofici pagani, il qualeprovi che gli 472  SENSO COMUNE  antichi concepissero l' anima secondo  l'astrazione dei moderni spiritualisti.  Anzi, alcuni tra gli stessi padri della  Chiesa concepirono l'animain un senso  affatto materiale, come una sostanza  sottilissima, ma tuttavia molto diversa  daquella dello spirito. (Vedi ANIMA,  SPIRITO). Tra i filosofi cristiani, non  mancarono coloro che, come Priestley,  riconobbero non essere necessario am mettere l'esistenza di uno spirito per  spiegare i fenomeni del pensiero, giac chè Dio ha benissimo potuto dare alla  materia la facoltà di pensare, come le  ha dato quella di muoversi e di agire.  Anche Voltaire, che era Deista, aveva  sposato questa opinione V. SPIRITISMO.  Sensibilità. Suolsi definire la  sensibilità la facoltà di sentire; poi la  si considera come un fatto reale in se  stesso ben distinto dalla sensazione. Ma  se i metafisici facessero attenzione più  alla sostanza delle cose di cui trattano,  che alle parole colle quali le definisco no, si accorgerebbero che la sensazione  contiene già in se stessa la sensibilità,  giacchè non vi può essere sensazione  che non sia sentita. Anzi, a propria mente parlare, la sensazione non è al tro che l'atto col quale sentiamo che  una modificazione si è prodotta in noi.  Or che cosa è la sensibilità? L'astra zione appunto di questo atto, e non per  altro questo vocabolo entra nella cate gioria dei nomi astratti. Sensibilità è la  possibilità di sentire. Ma questa possi blità é qualche cosa od è niente? Per  essere qualche cosa bisognerebbe rap presentarcela in azione; ma nel mo mento in cui la sensibilità é, per così  dire, in atto, essa diventa sensazione.  Se poi si considera la sensibilità non  in atto, essa non ha niente di reale in  se, e indica solamente la facoltà che  hanno gli esseri vivi di provare sen sazioni.  Questo così elementare ragionamento  basta a mostrare la vacuità di tutte le  disquisizioni che i metafisici si credono  in dovere di fare sulla sensibilità e mi  limito a rimandare il lettore all' arti colo SENSAZIONE, per quella stessa ragione  che un professore di meccanica, do po avere lungamente parlato del movi mento, troverebbe affatto inutile didilun garsi sulla mobilità, la quale non è  unacosa in se, ma una semplice parola  creata per indicare che icorpi possono  entrare in movimento. Cionondimeno  un filosofo contemporaneo, il signor  A. Franck membro dell' Istituto, ha tro vato il modo di scrivere molte pagine  intorno a questa voce, sulla quale ci dà  delle notizie veramente peregrine, come,  per esempio, questa che non mi sarei  certamente immaginato di dover leggere  nei nostri tempi: « La sensibilità, se si  eccettuano le passioni, che sono l'opera  dell' uomo, é un movimento che emana  da Dio, una azione immediata della sua  potenza, che ci inclina senza costrizione  verso il nostro fine, e ci penetra senza  assorbirci ». Io capisco bene che col l'intervento del Deus ex machina, i  metafisici spiegano facilmente ogni cosa,  ma sarebbe pur tempo che siffatti me schini espedienti fossero lasciati ai te ologi.  Senso comune. (Dottrina del)  Da tempo immemorabile teologi e filo sofi cattolici hanno combattuto lo scet ticismo coll' autorità della rivelazione e  col senso comune, o consentimento u niversale. L'esistenza di Dio, la verità  della fede, la stessa autorità della rive lazione, dicevano certissimamente con fermate dall' universale consentimentodi  tutti gli uomini, i quali in tutti itempi  ein tutti i paesi hanno creduto e cre dono in un Ente creatore e conserva tore del mondo. Finché le cognizioni  antropologiche ed etnologighe furono  limitate a poche relazioni di missionari,  che d'altronde non erano divulgate,  questa dottrina sembrò fare buonapro SI e va; ma quando le comunicazioni  stesero e numerosi viaggiatori intrapre sero lo studio dei costumi de' popoli  lontani, appari chiaramente che questa  supposta unanimità di credenza erame SENSO COMUNE  ramente effimera; che vi sono popoli  increduli o credenti in esseri che non  possono in alcuna maniera riferirsi al  Dio metafisico immaginato dai cristiani.  (ν. ΑTEL, DIO, IMMORTALITÀ, SPIRITO).  Nemmeno come principio la dottrina  del senso comune potrebbe addursi in  prova di checchessia, giacché l' ade sione unanime di tutti gli uomini non  173  Fra gli autori cattolici favorevoli  alla dottrina del senso comune, vuol es sere ricordato Lamennais. Egli ha detto  che i nostri sensi c' ingannano, che la  ragione individuale è impotente a sco prire la verità, e che l'uomo ridotto  alle sue sole risorse, non potendo cre proverebbe che le cose sulle quali vi ė  unanime accordo siano vere; essa pro verebbe solamente che gli uomini si  accordano a ritenerle tali; ogni di più  eccederebbe i limiti del sillogismo e  costituirebbe una conseguenza i princi pii della quale non sarebbero contenuti  nella premessa.  Infatti, perché la conseguenza fosse  corretta, il sillogismo dovrebbe costru irsi così:  dere, nè a Dio, nè all' universo, nè a  se stesso, cadrebbenel più assoluto scet ticismo. Solo rimedio efficace contro il  dubbio egli credeva che fosse l' univer sale consentimento, fondato sulla tradi zione costante dell' umanilà alla quale  é stato rivelato quel vero ch' essa stes sa è impotente a scoprire. Ma come  si potrebbe consultare questo senso co mune? Lamennais trovava che il mezzo  era molto semplice. LaChiesa cattolica,  legittima depositariadella tradizione, era  anche l'organo per mezzo del quale la  Ciò che tutti gli uomini credono sic- tradizione parlava; e il papa che é il  come vero, é vero realmente.  Tutti gli uomini credono in Dio.  Dunque Dio esiste realmente.  Ma, domando io, esiste un solo filo sofo il quale sia disposto ad ammettere  la maggiore di queste premesse? Io non  lo credo, giacché non vi é alcuno che  non veda a quali stolti giudizi esso ci  condurrebbe.  Se ciò che tutti gli uomini credono  é realmente vero; tutti hanno creduto  che il sole si muovesse intorno alla  terra; dunque sarebbe vero che il sole si  muove! Con questo principio non vi sa rebbe errore santificato dai secoli e dal l'ignoranza che non potrebbe essere di mostrato per vero; e allascienza non re sterebbe altro che raccogliere le antiche  credenze, siccome le più attendibili e le  più universalmente credute. (v. CERTEZZA  •REID).  Nella stessa religione il principiodel  senso comune potrebbe essere rivolto  contro la verità di molti dommi; e per fino il cristianesimo dovrebbe essere con siderato come una falsa rivelazione ,  quando fosse confrontato colla gran  maggioranza dei settatori di altre reli gioni (V. RELIGIONI).  capo visibile di questa Chiesa ne era il  legittimo interprete (Essai sur l'indif ference).  Grazie e questo consentimento uni versale, Lamennais conferiva alla ragione  umana collettivamente, ciò che singolar mente rifiutava ad ogni ragione parti colare, e concretava poi in un solo uo mo la collezione di tutte queste ragioni.  Finché Lamennais si attenne a questa  si poco liberale applicazione della dot trina del senso comune, la Chiesanulla  trovò a ridire; ma venticinque anni ap presso, quand' egli, piegandosi al movi mento generale del pensiero, dettò l'E squisse d' une philosophie, nella quale,  pur sempre restando prete, cessò di in carnare nella Chiesa cattolica la rap presentazione della ragione collettiva  dell'umanità, papa Gregorio XVI trovò  che quella dottrina era vana, futile e  incerta, e solennemente la riprovò nel  modo che segue: « Egli é assai deplo revole il vedere in quale eccesso di de lirio si precipiti l' umana ragione, al lorché l'uomo si lasciapigliare all'esca.  della novità, e sforzandosi, malgrado  l'avvertimento dell' apostolo, a riescire  piu saggio di quel che abbisogni, trop. 474  SENTIMENTO  po fidente di se, reputa che la verità  possa cercarsi fuori della cerchia della  Chiesa cattolica .....   stupenda definizione che ha  solamente il difetto di non esser chiara;  manon si può volergli male per que sto: il miglior professore di sentimen talismo non potrebbe dircene di più.  Servet (Michele) Nacque nel 1509  a Villanova nell' Aragona. A 19 anni si  recò a Tolosa per studiarvi il diritto,  che abbandonò poi per dedicarsi inte ramente alla teologia. Fra tutti i dommi  religiosi quello della trinità gli parve  il più strano, e il mendegno dellapub blica fede, sicchè cercò di renderlo, se  non altro, più intelligibile, considerando  le tre persone divine come la semplice  manifestazione di un solo Dio. Trovata  questa spiegazione per lui soddisfacente;  sperò che i capi della riforma in Ger mania sarebbero stati del suo avviso;  ne scrisse perciò ad Ecolampadio, ed  egli stesso si trasferì a Strasburgo per  conferire con Bucero. Ma ildabben uo mo non aveva pensato che i capi della  riforma erano per lo meno tanto intol leranti quanto i papisti: egli fu detto  un bestemmiatore ed un messo del  diavolo » e Zuinglio trascorse fino a  maledire il maledetto e scellerato Spa gnuolo. Nonostante questa opposizione  pubblicò nel 1532 il libro sugli Errori  della Trinità e l'anno seguente i Dia loghi sulla Trinita. Lo scandalo destato  da questi due scritti fu tale, ch'egli si  vide costretto a cambiar di nome e a  rifugiarsi a Lione, ove visse parecchio 476  SERVET  tempo in una tipografia, correggendo | lo calunnia, lo insulta, nè si sta pago,  bozze di stampa. Fatto che ebbe qual finchè la sentenza di morte è pronun che risparmio, si trasferì a Parigi, ove stu diò le matematiche e la medicina,scienze  nella quale fu addottorato. Dopo avere  professato nel collegio dei Lombardi,  Pietro Paumier, suo discepolo nominato  vescovo a Vienna nel Delfinato, lo chia mò presso di senellaqualitàdimedico.  Servet visse così tranquillamente dodici  anni, nel qual tempo alternò i suoi studi  di medicina con quelli di teologia, e  venne compilando un libro col titolo  Restitutio Cristianismi, nel quale in tendeva di proporre una nuovariforma  della religione. Prima di pubblicarlo  egli entrò in corrispondenza con Calvino,  sperando forse di poterlo trarre alle sue  idee. Ma dopo parecchie lettere, il capo  della riforma di Ginevra, irritato forse  dall' ostinazione e dalle arguzie di Ser vet, ruppe ogni commercio con lui.  Intanto il Servet mandò alla stampe  il suo libro, e poichè trovavasi in paese  cattolico, lo fece imprimere con tutta  segretezza, ma non tanto che Calvino  non ne avesse sentore. Il furore teolo gico allora invase costui a tal punto,  ch'egli, capo della riforma, non temette  di far denunciare il suo avversario al l' inquisizione cattolica. In quell' occa sione, dice Gabriel, Calvino si mostra  talmente acciecato dal fanatismo, che  perde perfino le nozioni distinte del  bene e del male » (Hist. de l' Eglise de  Genève T. 2).  ciata contro di lui e il 27 ottobre 1553,  mandata ad esecuzione mediante il rogo.  Benchè oltre ogni dire abbattuto, Ser vet rifiutò mai sempre di ritrattare le  sue opinioni, anche allora che gli fu  promesso di convertire la penadimorte  mediante il rogo,conquellaper la spada.  Egli perì tra le fiamme dopo mezz' ora  di inauditi tormenti.  Tra i capi d'accusa della sentenza  si leggono questi, i quali possono mettere  in luce quali fossero le eresie che cat tolici e protestanti imputavano a Servet.  « Item. Ha spontaneamente confes sato che nel libro Christianismi resti tutio egli chiama trinitari edatei coloro  che credono nella Trinità.   io, con è fatto arrestare dall' inquisizione e sot- tinua Calvino, essendo corrucciato di  toposto a processo. Un giorno però gli una assurdità si grossa, replicai di ri vien fatto di fuggirsene; egli pensa di scontro: come, povero uomo, se qualcuno  recarsi a Napoli per esercitarvi la me- battesse col piede questo pavimento, e  dicina, e per la via delle Alpi scende a dicesse che calpesta il suo Dio non i Ginevra all' osteria della Rosa. Appena norridiresti di aver assoggettata lamae Calvino ha sentore dell' arrivo a Gine- stà di Dio ad un tale obbrobrio? Allora  vra del suo avversario, tostolo denun- egli rispose: io non dubito menoma cia all' autorità criminale, e mette in mente che questo banco e questa cre cauzione il suo stesso segretario accioc- denza e tutto ciò che si potrà mostrare  chè, secondo le leggi d'allora, avesse non sia la sostanza di Dio. Nuovamente  egli la parte di accusatore. Egli assale gli fu opposto che, a parer suo, dun il suo avversariod' innanzi al Consiglio, | que il diavolo sarebbe sostanzialmente SESTO EMPIRICO  477  Dio. Ridendo, egli arditamente rispose: | dallo affermare qualcosa,così senza mal  ne dubitate voi? Quanto ame tengo per  massima generale che tutte le cose sono  una parte e porzione di Dio, e che ogni  natura è il suo spirito sostanziale ».  animo contro altri, eglino espongono  le proprie dubitazioni sopra ogni ma niera di discipline; dacchè non rinven Sesto Empirico. Il luogo e il  tempo preciso della nascita di questo  filosofo si ignora. Sulla fe le di Diogene  Laerzio che lo annovera tra i discepoli  di Erodoto di Tarso, si crede general mente ch' egli sia fiorito verso il prin cipio del terzo secolo, e che sia origina rio d' Africa. Ch' egli fosse medico ed  esercitasse l'arte salutare non è dub nero in nessuna la verità che cercavano  con gli studi. « Nega, anzi tutto, l' esi stenza della disciplina, argomentandone  e dalla indeterminata controversia dei  filosofi circa la essenza sua e dal non  potersi affermare quale si è la cosa in segnata, chi l'istruttore, chi l' ammae strato, e quale il modo dello appren bio, poichè egli stesso lo afferma; e che  fra i medici egli appartenesse alla setta  degli empirici pare altrettanto certo,  per quanto dice Diogene, e per lo stes so nome di Empirico che gliene è de rivato. Null' altro si sa della sua vita,  nè pure delle sue opinioni in medicina,  giacchè le sue Memorie di medicinale, nè la istorica, né quella che con andarono perdute.  dere. E come i principii e il metodo  generale della asserita disciplina si por gono della grammatica; chiamandola  unalusingatrice sirena, entra sottilmente  amostrarla arbitraria ne' propri ele menti, nelle leggi stabilite per le sil labe, pei nomi, per lametrica, per l'or tografia, per la etimologia; e ne deduce  non esistente nè la parte sua artificia cerne i poeti e gli scrittori (L. 7) e  tanto meno quella chehaper iscopo di  rizzata la filosofia di Pirrone. Nel suo  libro Contro i matematici, egli confuta  i dommatici inqualsiasi scienza, i gram matici dapprima, quindi i rettorici, i  geometri, gli aritmetici, gli astrologi,  e i musici. Più conosciute sono le sue  Ipotiposi pirroniane, che furono tra dotte in francese prima da un tal Huart  col titolo: Les Hipotiposes ou Institu tions pirroniennes (Amsterdam 1725) e  poi da Samuele Sorbière.  L'autore riproducendo le obbiezioni  di Pirrone contro i dommatici si di chiara apertamente in favoredegliscet Sesto Empirico é invece conosciu tissimo nella filosofia per avere volga- persuadere, ossia la rettorica (L. II).  > Passa ai Geometri; e subito toglie  concludenza alle loro argomentazioni  chiarendo inefficace ogni discorso che  non abbia base dimostrata, come sono  i loro; costruiti sopra ipotesi, e con  principii egualmente indimostrabili (qua li il punto e la linea), e da cui nessu no può mai nulla togliere nè tagliare  (L. III ) Conlo stesso argomento della  impossibilità di aggiungere o sottrarre  qualcosa, confuta le teorie degli arit metici massime pitagorici (L. IV).  >> Ingegnosi ed afforzati da giusta  erudizione, sono gli argomenti contro  gli Astrologi Caldei i quali, dice, in  vario modo fanno onta alla vita, fab bricandoci una grande superstizione,  nè consentendoci operare nulla confor.  me a ragione (L. V.)  tici. Le parti principali di questo libro  vôlto in italiano da Stefano Bissolati,  essendostate riprodotte all'articolo PIR RONISMO, gioverà qui citare il sunto che  lo stesso antore dà del libro contro i  matematici.  > Siccome i pirroniani accostatisi  alla filosofia per desiderio di incontrarsi  al vero, e non lo avendo trovato in  nessuna parte, per l' eguale peso di ra gioni che stanno in tutte, si astennero  > Pur accordando che dalle armo nie si sia potuto trarre bene, e dol cezza, e conforti; incalza i musici col  mettere in aperto la nonesistenza delle  modulazioni e de' ritmi (L. VI).  > Spiegata la forma generale della 478  SOCINIANISMO  scettica, viene alla particolare, ossia a  quella che parzialmente combatte la  filosofia divisa in razionale, naturale,  morale. Nel primo libro (L. VII) contro  i logici diffusamente espone e sottil mente oppugnaquanto erasidetto, circa  il criterio della verità, dai filosofi che  ne negavano la esistenza e da chi la  ammetteva; bene avvertendo essere que sta la suprema delle indagini. Giac ché o non si trova la regola per cui  conoscere la vera esistenza delle cose,  ebisognerà finirla coi grandiosi vanta menti dei dommatici; o scorgerassi qual cosa che valga acondurci allacompren sione della verità, e meriteranno censura  di audaci gli scettici che sanno andare  contro alla comune credenza. « Nel se condo (L. VIII) discorre in particolare  del vero, del segno, degli oscuri, della  dimostrazione, della materia della di mostrazione e se la dimostrazione esi sta. E poiché ha concluso che tutto è  incomprensibile e indimostrabile; e con tro l' obbiezione che, quando non ci  abbia possibilità di dimostrazione, an che il discorso dello scettico non vale  ed egli non può trarre arma che ab batta il dommatico, risposto con l'ar gomento dato nel Libro I. c. 8 delle  Istituzioni; entra in lotta (L. IX) coi  Fisici. E la critica è intorno i principii  naturali, gli dei, la causa e l'effetto,  circa il tutto e la parte e sopra il cor po; e appresso dice contro del luogo,  del moto, del tempo, del numero,della  generazione e del corrompimento. Chiu de la serie dei combattimenti opponen do ai filosofi moralisti sopra i sette  punti fondamentali dell' etica: quale sia  il bene, e il male, e l'indifferente; se  per natura ci sieno il bene e il male; se  pure ammessa la esistenza del bene e  del male in natura, sia possibile il vi ver felice; se chi astiensi dallo ammet tere o dal negare l'esistenza del bene  e del male, incontri ed essere felice,  se una qualche arte si trovi per con durre la vita; e se quella possa venire  insegnata ».  Socinianismo. Dottrina inse gnata da Lelio e Fausto Socino, con traria alla Trinità. Nel 1546 dopochè  le dispute di Lutero ebbero fatto ri sorgere il gusto per le controversie re ligiose, alcuni nobili stabilirono in Vi cenza una Accademia collo scopo di  discorrere di siffatte materie. Lelio So cino era nel numero di costoro, i quali  interpretando le scritture, dommatizza rono che vi è un sommo Iddio che  hacreato tutte le cose pel ministero  del suo Verbo, che il Verbo è Figlio  di Dio; che il Figlio di Dio è Gesù di  Nazareth; e che Gesù di Nazareth è un  uomo. Questadottrinanon faceva molto  onore alla logica dei novelli Accade mici; e tutto ciò che vi era in essa di  chiaro era la riproduzione della eresia  di Ario ( Vedi ARIO) che negava la  divinità di Gesù, e la sua consustan zialità col Padre. Ma di pensare inque sta guisa in quei tempi, nemmeno ai  nobili era cosa lecita,laonde, saputasi la  cosa, il governo ne fece arrestare alcuni  che mandò amorte; mentre altri, tracui  il Socino , si rifugiarono nella Polonia  dove l' unitarismo aveva fatto de' sen sibili progressi. Lelio Socino fu ospi tato dai nobili Polacchi, ma morì a  Zurigo il 17 Marzo 1562 senza aver  fatto molti proseliti. Alcuni anni dopo  Fausto Socino nipote di Lelio, dopo  aver brillato alla Corte ducale di To scana, divisò d' intraprendere la car riera teologica dello zio; fu a Basilea,  quindi nella Transilvania, e finalmente  l'anno 1579 giunse in Polonia. Quivi,  posto al sicuro dalle persecuzioni cat toliche, non men che da quelle dei nuovi  protestanti pure tremendi nelle loro  vendette, armeggiò contro Lutero e  Calvino e ottenne di riunire in una sol  comunione le trenta e più Chiese an titrinitarie che esistevano nella Polonia.  Morì nella villa di Luclavia l'anno 1604  e sul suo sepolcro fu posto un epitafio  latino che diceva così: Lutero distrusse  il tetto di Babilonia, Calvino ne ro- vesciò le muraglie, ma Socino ne strap SOFISMA  pò le fondamenta. Dopo la morte di  Socino non si spense l'eresia sua. Molti  nobili erano venuti al suo partito, e  questi in sì buon numero che nella Dieta  riuscirono ad avere il sopravvento e a  far proclamare la libertà di coscienza.  479  Nome dato da Augusto Comte alla fi losofia della storia. Nel sistema positi vista essa costituisce la prima parte  della filosofia morale, e si propone di  scoprire le leggi costanti che reggono  la successione degli avvenimenti sociali.  Ma non andò molto che Cattolici e  Protestanti insieme intolleranti che si  negasse la divinità di Gesù, unirono i  loro suffragi e riuscirono a far décre tare che i Sociniani, o rientrassero in  una delle chiese tollerate, o uscissero  dai confini dello stato; il qual decreto  fu il segnale della persecuzione gene rale di tutti gli stati contro i Sociniani  che riparavano entro i lor confini.  Dal catechismo di Cracovia compilato  da Socino si deducono i seguenti prin cipii fondamentali della sua dottrina.  1. La sacra Scrittura è la sola regola  di fede, ed è interpretata dalla ragione.  2. Conseguenza di questo principio è  che i dommi della Trinità, della Incar nazione, della Divinità di Gesù Cristo,  del Peccato originale, i quali non sono  chiaramente annunciati nella Scrittura,  non hanno diritto alla nostra fede. 3.  Del pari la creazione dal nulla non è  domma comprensibile nè credibile, poi  chè Dio non chiaramente lo palesò nella  Scrittura, dov' egli forma il mondo da  una materia preesistente ( Vedi "CREA ZIONE). 4. Gesù è il divin verbo, figliuol  di Dio; Dio manifestatosi in carne, ma  questi simboli usati dai Sociniani non  hanno per loro che un senso puramente  metaforico. 5. Il battesimo e la cena,  come credono i protestanti, sono i due  soli sacramenti istituiti da Gesù, ma  non hanno altra virtù che quella di  eccitare la fede. 6. La risurrezione della  carne è impossibile, le pene eterne in giuste: le anime dei malvagi saranno  (V. POSITIVISMO).  Sofisma. Chiamasi cosi ogni sil logismo il quale, sebbene lasci intendere  di condurre a conseguenze assurde, pure  presentasi con certe forme sotto le quali  si è imbarazzati a scoprirlo, o almeno si  è imbrogliati a dire in qual parte il  ragionamento sia falso e capzioso.  Varie classi di sofismi si distinguono  nelle scuole, e a ciascuna classe l'antica  filosofia ha applicato uno special nome.  Prima classe. Grammatica fallace o  amfibologia; sorta di sofismi che deri vano o dall' ambiguità dei termini o  dall' equivoco. Esempio: Dio è dovunque;  dovunque è un avverbio, dunque Dio è  un avverbio.  Seconda classe. Ignoratio elenchi ;  consiste nell' ignoranza del soggetto in  questione.  Terza classe. Petizione di principio.  Succede quando si vuol spiegare lacosa  che è in questione, con un' altra cosa  che essa stessa dev' essere provata, per  cui si torna ancora alla questione di  principio. Esempio: La Bibbia è infal libile perchè lo afferma la Chiesa; la  Chiesa è infallibile perchè lo afferma la  Bibbia; dunque la Bibbia e la Chiesa  sono infallibili. Si capisce facilmente  che i libri dei teologi sono pieni di  petizioni di principio.  Quarta classe. Del falso supponente.  Supporre vero il falso è vizio più co mune di quel che si pensa, ond'è che  in questa classe di sofismi cadono facil mente i credenti, i quali deducono lo annichilate. 7. A niuno è lecito guereg- giche conseguenze da falsi principii.  giare nè reclamare in giudizio la ripa razione di una ingiuria, essendo queste  cose chiaramente divietate dal Vangelo,  equesto principio fu comune ai Qua CHERI e agli ANABATTISTI.  Sociologia, o Scienza sociale.  Quinta classe. Non causa pro causa.  Prendere per causa ciò che non è causa.  In quest' anno è succeduta una guerra;  ma la guerra è stata preceduta dalla  comparsa di una cometa; dunque la co  meta è stata la causa della guerra. 480  SONNO E SOGNI  Sesta classe. Consequentis. Sofisma | tative, e sopprime solamente ifenomeni  che si fa quando si reciproca dove non della coscienza, della volontà, i movi si può, perchè il soggetto della propo- menti muscolari e l' attitudine dei nervi  sizione non contiene tutto il suo predi- a trasmettere le sensazioni. La respira cato. Ogni cubo è una figura, dunque zione e la circolazione deifluidi durante  ogni figura è un cubo.  Settima classe. Fallacia dicti non  simpliciter. Si fa quando da quel che è  vero in parte si conchiude che è vero  in tutto. Esempio: Pietro è buono; ma  Pietro è pittore; dunque Pietro è buon  pittore.  Sonno e Sogni. Il sonno e i  sogni sono stati argomento di non po che controversie tra i psicologi, e hanno  fornito a Dugald-Stevart l' occasione di  un serio studio, per determinare quale  sia lo stato dell'anima nel sonno. I  fisiologi poi si sono occupatidello stesso  argomento per stabilire di qual natura  sia la funzione fisiologica del sonno, e  inqual maniera essa succeda. Comin cerò da quest'ultimo argomento, dal  quale principalmente dipende la solu zione del problema che si sono propo sti i psicologi.  Cabanis ha definito il sonno  uno  stato che non è puramente passivo, ma  che è una funzione particolare del cer vello, la quale succede quando si sta bilisce in quest' organo una serie di  movimenti particolari, la cessazione dei  quali conduce il risveglio » (Rapport  du physique et du moral § XV). Que sta proposizione avrebbe bisogno di es sere provata, né alcuno ha ancor po tuto determinare quali siano i movi menti intracerebrali che producono e  mantengono il sonno. Buffon ha detto  più genericamente, ma perciò appunto  con maggior verità, che  il sonno é  un modo di esistere altrettanto reale e  più generale che ogni altro; che tutti  gli esseri organizzati i quali mancano  di sensi esistono in questa maniera >  (Hist. nat. t. IV). Questa definizione mi  pare preferibile a quelle più o meno  ampollose, date da vari fisiologi. In ef fetto, il sonno lascia intatte tutte le  funzioniche, sarei tentato di dire, vege il sonno continua regolarmente, ma i  nervi riposano, e coi nervi il cervello.  Tuttavia questo riposo non succede  immediatamente e in un sol tratto per  tutti gli organi. Generalmente laprima  azione che si sospende è lamuscolare; le  membra si rilassano e cadonopel pro prio peso restando immobili nella posi zione che si sono scielta e secondo la  disposizione delle articolazioni. Dumeril  ha dimostrato che nessuna azione vo lontaria nè alcun sforzo muscolare de vono esercitare gli uccelli per mante nersi dritti sui rami durante il sonno.  Egli sostiene che uno dei tendini del  crurale passa sulla rotella per unirsi ai  tendini motori dei pollici , cosicchè  quando lagamba degli uccelli è pie gata, i pollici si trovano mantenuti nella  flessione in una maniera fissa, perma nente e solida, quantunque passiva.  Durante il sonno tutti isensi dimo rano in uno stato di riposo. Non biso gna però confondere questo stato colla  soppressione assoluta della sensazione,  poichè se ciò fosse si correrebbe peri colo di non svegliarsi più. Il sonno ot  tunde i sensi, ma non li sopprime, e  numerosi esempi ci dimostrano che la  semplice eccitazione di un senso basta  a svegliarci. Spesso però accade che  quando l'eccitazione non è sufficente mente forte e che il sonno è profondo,  la sensazione avvenga senza essere per cepita. L'uomo addormentato spesso si  toglie da una posizione incomoda, ed  eseguisce dei movimenti muscolari. La  luce, dice il Prof. Longet, può manife stare durante il sonno la sua azione  sulla retina senza che visia percezione.  Infatti le pupille dell' uomo che dorme  in un luogo oscuro sono dilatate, men tre quelle di chi si addormenta alsole  cogli occhi rivolti verso quest' astro  sono contratte, come si contraggono SONNO E SOGNI  eziandio quelle di chi, senza svegliarsi,  sia fatto passare dall' oscurità alla luce.  Il Prof. Longet attribuisce quest' azione  a un movimento riflesso dell' asse ce 187  Gli spiritualisti si sono proposti il  problema: Quale è lo stato delio spirito  rebro spinale. É certo però che alcune  volte l'impressione luminosa giunge  fino all' encefalo ed è da noi percepita  sebbene spesso non sia così forte per  svegliarci.  L'udito è l'ultimo senso che si ad dormenta. Già i muscoli sono nel riposo,  e l'occhio più non percepisce la luce,  quando encora persiste l' udito. La vi sta trova nelle palpebre un riposo con tro le moleste impressioni esteriori, ma  I'udito non ha mezzo alcuno per sot trarsi naturalmente all' azione dei suoni,  Quest' organo, dice Longet, che è il più  ribelle alle influenze del suono, è ezian dio quello che più resiste agli attacchi  della morte: si ode ancora dopo che  tutti gli altri sensi hanno cessato di  vivere, nella stessa maniera che si ode  ancora quando tutti gli altri sensi dor mono. É per l' organo dell' udito, con tinua Longet, che penetrano sovente le  influenze soporifere, ed è per il suo in termediario che gli altri sensi dormono  mentre esso veglia ancora. Però que sta osservazione non mi pare esatta,  giacchè se è vero che certi rumori mo notoni sembrano conciliare il sonno, è  pur vero che questo fatto non può at tribuirsi ad altro che ad una nostra  illusione. Infatti, niuno può negare che  il silenzio sopratutto sia favorevole al  riposo, e che chi si addormenta nel si lenzio è senz' altro svegliato da ogni  piccolo rumore. Che se noi riusciamo  ad addormentarci nonostante certi ru mori regolari e continuati, ciò si deve  attribuire al fatto che tutte le impres sioni eguali e continuate, divenendo, do po un certo tempo, abituali, l'organo  finisce per adattarvisi e a restarvi pres sochè indifferente. É in questa maniera  durante il sonno? E tutti si sono ac cordati nella sentenza, che durante il  sonno lo spirito non è come il corpo  in uno stato speciale, ma ch'esso ve glia sempre. Essi erano condotti neces sariamente a questa affermazione, dalle  conseguenze imperiose del loro sistema,  imperocchè ammessa che sia una so stanza semplice, indivisibile, immutabile  ed essenzialmente pensante, com'è lo  lo spirito, la cessazione del pensiero  non avrebbe potuto a meno di condurre  la cessazione o la modificazione della  sostanza. Ma nè lo spirito può cessare  di essere senza diventare mortale, nè  può trasformarsi, perchè essendo sem plice e indivisibile ogni trasformazione  cambierebbe essenzialmente la sua na tura. Gli spiritualisti hanno perciò as serito che nel sonno del corpo la vo lontà esiste pur sempre, tuttochè perda  la sua influenza sui membri del corpo.    «Io consento che il corpo del Si gnor Voltaire sia trasportato senza ce rimonia, rinunziando a questo riguardo  a tutti i diritti curiali che mi competono».  >  «Attesto e dichiaro che io sono stato  chiamato per confessare Voltaire, che  ho trovato, permancanza di sentimenti,  incapace di essere ascoltato in confes sione  Non tocca a noi parlare delle opere  semplicemente letterarie di Voltaire ed  esporne i pregi ed i difetti. Non accen neremo quindi che i suoi lavori filosofici  e quelli che hanno una qualche re lazione colla filosofia.  Presentasi prima il saggio sui co stumi e lo spirito delle nazioni, che  è forse l'opera più ragguardevole usci ta dalla sua penna. Con tutt'altro scopo  continua il lavoro omonimo di Bossuet,  rire in pace! Il curato di S. Sulpicio | incominciando ove questi fini,dalla fon ciò udendo, rivolto ai circostanti: voi dazione, cioè, dell'Impero diCarlomagno. VOLTAIRE  Ma mentre Bossuet proponevasi di ser vire alla gloria ed al consolidamento  della religione cattolica, Voltaire invece  combatte arditamente per avvilirla, anzi  per distruggerla. Bossuet riferisce alla  istituzione del cristianesimo come al loro  unico fine tutti gli avvenimenti: Voltaire  gli attribuisce come a vera causa di quasi  tutti i delitti e dei mali che desolarono  l'universo dalla fondazione dell'Impero  d'occidente in avanti. Implacabile nella  ricerca del vero, distrugge, nella sua  rapida corsa attraverso i secoli, la fa 527  di Voltaire vogliono essere menzionati  le Questioni sull'enclopedia, pubblicate  in seguito col titolo, per vero poco me ritato, di Dizionario filosofico; il Filo sofo ignorante; La bibbia infine spie gata; Esame importante di milord Bo linbroke; Commentario su Malebranche,  Trattato della tolleranza; Storia dello  ma di civilizzatore usurpata dal cristia nesimo, lacera il velo che copriva le  infinite infamie commesse dal clero e  dai suoi seguaci in nome della religione,  ne palesa le debolezze, i vizi e i de litti, imprimendo al papismo ed ai suoi  ministri un marchio disonorante che  non potrà più venir cancellato. Così  l'opera spetta meglio alla filosofia che  allastoria, perché gli avvenimenti vi sono  riferiti non tanto per sè stessi, quanto  come argomento alle riflessioni che vi  fanno seguito. Fedele al suotitolo attende  principalmente a far conoscere i costu mi e lo spirito delle nazioni, e nulla  conveniva meglio al suo ingegno tanto  abile nel cogliere i tratti caratteristici  dei costumi, degli usi, delle opinioni e  dei pregiudizi.  Poche letture poi sono dilettevoli  quanto i romanzi di Voltaire, e quasi  tutti hanno uno scope filosofico. Cosi  Candido, quadro giocoso delle miserie  della vita umana è una confutazione  del sistema ottimista, che già l'autore  aveva combattuto in modo più serio  manon più efficace nelpoema: il Disa stro di Lisbona. Mennone tende a pro vare che il proporsi di essere perfetta mente ragionevole è pretta pazzia, tanto  gli avvenimenti trascinano l'uomo con  maggior forza de' suoi propositi. I Viag gi di Scarmentado, la visione di Babuc,  Micromegas ecc; celano sotto finzioni  d'ordine naturale qualche principio di  filosofia speculativa o qualche verità di  morale pratica. Tra i libri di filosofia  stabilimento del cristianesimo; e molti  scritti minori. La maggior parte di queste  opere comparve sotto una quantità di  pseudonimi, ch'egli per la necessità di  nascondersi, cambiava ad ogni tratto.  Senonchè quando alcune volesse de terminare in che precisamente consista  la filosofia di Voltaire, arrischierebbe  di trovarsi gravemente imbarazzato. La  sua, più che altro, è una dottrina nega tiva: sottrarre l'umanità al predominio  di quell'ammasso informe di assurdi e  di pregiudizi che costituiscono le reli gioni rivelate, ecco l'unico concetto che  predomina nelle numerosissime opere di  Voltaire. Le altre questioni filosofiche  lo preoccupano generalmente benpoco:  talora con quell'acutezza onde il suo  genio getta così spesso splendidi lampi,  d'una sola frase incisiva affronta e ri solve i problemi più difficili: talora in vece si lascia trascinare daidee precon cette, cade in inesplicabili contraddi zioni, e assale con indegni improperi i  materialisti più illustri, tali che Hol bach e La-Mettrie ch'egli combatte,  non già argomenti, ma col sarcasmo.  Leggendo gli scritti di Voltaire più  volte accade di trovarlo in contraddizione  con sè stesso, sì perchè sovente egli  stesso si compiaceva di occultare il suo  pensiero, sì perchè talora le sue idee  stesse si vennero modificando. Ad esem pio, mentre nel 1839 in una lettera ad  Helvetius egli sostiene il libero arbitrio,  nel Filosofo ignorante, partendo dal  principio che nessun effetto vi è senza  causa, conclude che se noi siamo liberi  di seguire gl'impulsi dellanostravolontà,  questa volontà è però necessariamente  determinata da cause.   Voltaire si dichiarò più volte puro  sensista ; la teoria delle idee innate  sembrava a lui come già a Locke il  nec plus ultra dell'assurdo. A convin cersene basta leggere in Micromega  il brano in cui adopera la sua sottile  ironia contro quel paradosso: » Il car tesiano prese la parola e disse: l'anima  è uno spirito che nel ventre della ma dre ricevette tutte le idee metafisiche,  e che uscendone è obbligato di andare  alla scuola per imparare tutto ciò che  sapeva così bene e che non saprà più.  Non valeva adunque la pena, rispose  l'animale di otto leghe, che la tua ani ma fosse così sapientenel ventre di tua  madre, perchè poi tu avessi a finire  cosl ignorante, quantunque abbi già il  barbuto mento.  ..... Un piccolo seguace di Lo cke.  io non so, disse,come penso;  so che non ho pensato che all'occasio ne de' miei sensi.  La bestia di Si rio sorrise, non trovando costui ilmeno  saggio, e l'avrebbe abbracciato senza  l'estrema sproporzione » (Micromega.  cap. VII) Eppure ad affermazioni così  recise, invano si ricercano conseguenze  egualmente risolute. Voltaire non sa  indursi a negare nè l'esistenza di una  legge morale, né Dio, nè la libertà e  nemmeno la vita futura.  Dirò di più: egli anzi, quanto al meno alla legge morale, a Dio, alla li bertà, le ammette in guisa da escludere  ogni equivoco.  Perlaprimaveggasi ad esempio quan to esso scrive in Cu-Su et Kou: » Kου  La setta di Laokium dice che non vi  ènè giusto, nè ingiusto, nè vizio, nè  virtù.  Cu-Su. La setta di Laokium dice  forse anche che non vi è nè salute nè  malattia ?»  Enel filosofo ignorante: «Vi sono  mille differenze, in mille circostanze,  nella interpretazione della legge morale:  ma il fondo rimane sempre eguale, ed  è l'idea del giusto e dell'ingiusto » .  Voltaire era deista e per sessan t'anni lotto in tutti i modi a difesa di  questa idea: negò la generazione spon tanea che era un argomento in favore  dell'ateismo, e fece ogni sforzo per com battere lecause finali,mentre poi, senza  pur avvedersene, deducela maggior co pia delle sue prove dell'esistenza di Dio  dalla perfezione del creato.  Il pensiero di Voltaire non è così  esplicito intorno alla natura dell'anima,  ch'egli ammette possa anche essere ma teriale. » Le voci materia e spirito,  scriveva nel Filosofo ignorante, non so no che parole; noi non abbiamo alcuna  nozione completa di queste due cose.  In sostanza, vi è tanta temerità a dire  che un corpo organizzato da Dio stesso,  non può ricevere il pensiero da Dio me desimo, quanto sarebbe ridicolo di dire  che lo spirito non può pensare ».  Diffatti Voltaire non ammetteva che  la ragione fosse privilegio esclusivo del l'uomo, e su questo argomento com battendo l' opinione contraria dei car tesiani, diceva:  <<<Quelli che non ebbero il tempo di  osservare la condotta degli animali, leg gano nell' Enciclopedia l'eccellente ar ticolo ISTINTO: saranno convinti dell'e sistenza di questa facoltà, che è la ra gione delle bestie, ragione tanto infe riore alla nostra quanto lo è uno spiedo  all'orologio di Strasburgo: ragione limi tata ma reale: intelligenza grossolana,  ma intelligenza dipendente dai sensi  COME LA NOSTRA ecc. » (Dialogo XXIX  Gli adoratori e le lodi di Dio).  In sostanza, giovaripeterlo, Voltaire  nè segui, nè creò alcun vero sistema  filosofico positivo: indipendente da tutti,  bene spesso anche dasè medesimo, non  esaminò con attenzione delle dottrine  filosofiche che quelle le quali servivan gli per il grande scopo della sua vita:  la lotta contro la superstizione; le altre  non approfondi, ma accetto o respinse, ZENONE  meno per convinzione ragionata che  per inclinazione. Cionondimeno egli  resterà sempre uno delle più splendide  figure del suo secolo, ed il suo nome  sarà sempre onorato, perchè indissolu bilmente congiunto alla storia della  529  lotta, iniziatasi prima di lui ma da lui  capitanata per tanto tempo; lotta del  buon senso contro lasuperstizione, della  tolleranza religiosa e politica contro  l'assolutismo del progresso,contro l' im mobilità e l'oscurantismo.  Z  Zenone. Nacquea Cizianell' isola  di Cipro verso l'anno 358 a. G., e morl  adAtene verso l'anno 260. Figlio di  un ricco mercante d' origine greca, si  esercitò per tempo nello studio della  filosofia coi libri che il padre gli por restano i titoli, tali che quelli dei libri  sull' Etica di Crate, Sull' istinto, Sulle  passioni, Sull' Essere, Sui segni, e l'Arte  dell' Amore. Ciò che si sa della dottrina  di Zenone, grazie agli scritti dei filosofi  e deicommentatori antichi, è abbastanza  confuso; nè è facile a distinguersi cid  tava, ritornando dai suoi viaggi nella  Grecia. Venuto ad Atene si fece disce- | che gli appartiene in proprio da quello  polo di Crate il cinico e dalui apprese  a disprezzare i bisogni del corpo e a  dominare coll'impero della volontà le  che alle sue opinioni fu aggiunto dai  discepoli.  Dicesi che fosse il primo ad intro durre il dilemma nelle dispute filosofi che, e ch'egli usasse una dialettica ro busta e incalzante che distruggeva le  argomentazioni piùsicure de' dommatici.  passioni, i desideri e il dolore. Ma se  adottò le massime della scuola cinica,  non così ne approvò le forme esterne,  e l'ostentazione che i cinici ponevano  nel mostrarsi in pubblico noncuranti nel | Par che ammettesse un'unitàdetta Dio,  vestire. Si aggregò in seguito alla scuola  e che questa unità confondesse col mon megarica ed all' accademica, e, se cre diamo aDiogene Laerzio, vent' anni più  tardi, prese egli medesimo ad insegnare  filosofia in Atene. Scelse a luogo dei  suoi convegni coi discepoli il portico  (Stoa) dell' Azora, d'onde derivò il no me alla scuola stoica da lui fondata.  (V. STOICISMO). Presto egli salı in tanta  fama, che Antigone Gonata, re di Ma cedonia, si ascrisse ad onore di mettersi  fra i suoi discepoli; Tolomeo Filadelfo  lo chiamò, sebbene invano, nell' Egitto,  e Atene gli conferì il diritto di citta dinanza.  Resistendo alle splendide offerte che  gli venivano fatte, Zenone preferì re stare in Atene, ov' egli condusse vita  frugale, e mantenne ne' suoi costumi  una purità che nessuno gli contesta.  Gli scritti di Zenone andarono tutti  perduti, e d'alcuni di essi soltanto ci  do che diceva eterno. La creazione ne gava pel noto principio che dal nulla  si fa nulla, e che ciò cheesiste da tutta  l'eternità non può produrre cosa di versa da se. Più unità, ossia più Dei  non poteva ammettere, conciossiachè se  essi anche avessero perfezioni eguali,  non potrebbero esser Dei, non essendo  ciascun di loro, preso isolatamente, nè  il più grande, ne il più potente, nè il  più perfetto. Zenone sosteneva con Se nofane, che se Dio è uno, deve avere  forma sferica, giacchè la Divinità per  essere perfetta deve essere in ogni parte  simile a se stessa; e la sfera non può  essere nè infinita nè circoscritta, giac chè circoscritte sono le cose finite, e  infinito è il solo nulla, il quale nonha  principio, nè mezzo, nè fine. L'unità  non può essere neppuremutabile o im mutabile, non essendovi d'immutabile 530  ZUINGLIO  che il solo nulla, il quale non può cam biarsi nè unirsi con le cose esistenti;  nè pure potrebbe mutarsi, poichè ogni  cambiamento importa movimento, e per chè col cambiamento la sostanza unica  cesserebbe di esser tale. La divinità di  Zenone è dunque un essere unico, sfe rico, sempre eguale a se stesso; nè fi nito, nè infinito; nè mutabile, nè in mo vimento.  Sulla pluralità delle cose Zenone  cadeva nello scetticismo, giacchè egli  si sforzava a dimostrare che il ragio namento è impotente a provare che e sista qualche cosa o che esista nulla.  Essere o non essere eran per lui forme  di dire, e il nulla a suo credere esisteva  tanto bene quanto l'esisteate. Le prove  empiriche respingeva siccome inefficaci  acondurci alla ricerca dellaverità; per chè secondo lui contro il ragionamento  che dimostra non potere esistere che  un essere unico, l'esperienza a nulla  giova. Quanto all'essere unico, egli  argomentava che fosse prova, non ne gazione del nulla, poichè, diceva, se e siste un essere unico, quest'uno è in divisibile; ma ciò che non è divisibile  non è qualche cosa, perchè non si può  porre nel numero degli esseri ciò che  per sua natura, se è aggiunto ad un  altro, non arreca aumento, distaccato  non vi produce diminuzione: dunque  I'essere unico è nulla, e non esiste pro priamente un essere.  Le sottigliezze di Zenone per negare  il movimento e l'empirismo l'hanno  fatto considerare da alcuni come un  sofista. Certo è che l'unitá del suo es sere sferico lo dimostra fedele alle ten denze panteistiche degli eleatici e che  i cavilli da lui adoperati per negare  la realtà obbiettiva delle cose, ci ri cordano le vane disquisizioni degli i dealisti. Aveva molti discepoli, che al cuni sommano fino a ottantamila, nu mero per certo esagerato, ma che ad  ogni modo prova sempre il facile di vulgarsi della sua dottrina. Questo fi losofo, che fu riguardato siccome un Dio,  presso amorire confessò ai suoi seguaci  che aveva loro sempre taciuta la verità,  e che essendo venuto il momento di  togliere le metafore ond' egli usava, li  ammoniva che nessuna ricercapuò farsi  con speranza di conseguire la cono scenza delle essenze, giacchè il nulla  ed il vuoto sono il principio di tutte  cose.  Zuinglio (Ulrico). Capo della  setta protestante che da lui s' intitola.  Nacque nella Svizzera e fu curato della  primaria parocchia nella città di Zu rigo. Disputano iprotestanti per sapere  se prima o contemporaneamente a Lu tero predicasse la riforma. Certo è che,  o prima o poi, questi due riformatori,  senza nemmeno affiatarsi nèconoscersi,  predicarono quasi insieme li stessi prin cipii. Per altro, Zuinglio dissentiva dal la riforma luterana intorno a due punti,  il primo dei quali è la rigida prede stinazione predicata da Lutero, in forza  della quale niuno può salvarsi se non  è daDio predestinato. Zuinglio sperava  di addolcire quest' empio domma sup ponendo che eziandio i pagani potes sero salvarsi colle loro virtù e per una  certa qual grazia giustificante che, al  postutto, diventava ancora predestinante,  poichè proveniva dall' alto e non dal l'uomo. Il secondo punto dottrinale sul  quale Zuinglio differiva da Lutero, era  la cena, od eucaristia intorno allaquale,  mentre Lutero sosteneva il domma della  presenza reale di Gesù Cristo, quan tunque negasse la transubstanziazione ,  Zuinglio invece non voleva riconoscere  che una semplice commemorazione. On de diceva che nelle parole di Gesù:  questo è il mio corpo ecc. il verbo è e quivale a significa, nello stesso modo  che nella Bibbia è detto: L'agnello è  la Pasqua, per indicare che è il segno  0  la rappresentazione della Pasqua  (Esodo XII. 27). WICLEFF  W  Wicleff. Nacque a Wicleff nella  provincia di Yorck nell' anno 1329; fu  professore di teologia e capo della setta  dei Wicleffisti. Egli accusò il papad'es sere simoniaco ed eretico; il potere dei  vescovi negò, gli ordini monastici chia md sette, l'eucaristia una falsità, le  preghiere per i morti inutili pratiche.  D'onde si vede che Wicleff fu uno  dei più arditi precursori della riforma  inglese. Molti seguaci egli ebbe, e come  lui arditi, ma il papa ancor troppo do minava nella Chiesa inglese perchè po 531  tessero i loro sforzi sortire allora piena  efficacia. Wicleff mori paralitico il 28  Dicembre del 1384, non prima di aver  sentita l' Università di Oxford condan nare 278 proposizioni estratte dai suoi  libri. Il clero scomunicò poi i suoi pro seliti e ottenne dal re vari editti, in  grazia dei quali alcuni eretici furono  mandati al rogo. I libri di Wicleff por tati nella Germania furono stimolo e  fondamento alla nuova eresia di Gio vanni Huss.  FINE DEL SECONDO ED ULTIMO VOLUME.The fabric of philosophical Latin has undergone a series of crucial transformations induced by historical events as well as intellectual reasons. To begin with, the translation activity from Greek into Latin carried out by several humanists in Italy and their own reflection on that activity has a profound impact on the practice of philosophical writing, on both the stylistic and the conceptual level.   In this context, BRUNI, VALLA, and PICO, to mention only a few, are perfect cases in point.  But the debate about the style of philosophical Latin involves quite a number of humanists and schoolmen, continuing long after.  By injecting the germs of historicity, cultural relativism, and social constructivism into the body of metaphysical knowledge —a kind of knowledge viewed as stable and self-sufficient —, humanistic reflection helps accelerate the crisis of philosophical Latin in the early modern period.  Closely connected to characteristically humanist discontents about the status of scholastic jargon is the renewed eagerness to provide Latin translations from Greek, Arabic, and Hebrew sources.   While some of these works were in fact re-translations of previously translated texts, others were original versions of treatises that had never been translated before. The recovery of Platonic and Hermetic sources and Ficino’s influential translations represent some of the most significant instances in this field.   One should also add, however, the various editions of Aristotle’s collected works supplied with Averroes's commentaries, which, as was the case with the celebrated editions of the Venetian Giuntine press, come out with new translations and editorial contributions (Schmitt 1984b; Burnett 2013).  Among the new translations of Averroes's works, his Destructio destructionum refuting an earlier Destruction of Philosophers by Al-Ghazali) becomes certainly the most significant addition, first commented upon by NIFO in a slightly revised version of the translation by one Calonymos ben Calonymos of Arles, and later published in a new translation by a Neapolitan physician who also called himself Calonymos, entitled Subtilissimus liber Averois qui dicitur Destructio.    Another factor in the transformation of philosophical Latin is the increasingly more frequent appearance of cases of philosophical bilingualism, evident among authors who began to write in both Latin and the vernacular, such as Ficino,  Patrizi, Bruno,  Bacon, Campanella, Descartes, Hobbes and Spinoza.    Such a close proximity of Latin and the vernacular, besides signaling a growing tension between traditional institutional sites of  Latin knowledge such as the university and milieus that were becoming more and more receptive to philosophical discussions in the vernacular (courts in the first place, but also academies, convents, chanceries, and salons), result in particularly creative phenomena of hybridization and cross-pollination between different linguistic currencies.    An important medium that more than any other reflects the early modern evolution of philosophical Latin is the genre of the Latin dictionary of philosophy, which became extremely popular between the sixteenth and the eighteenth century, as a by-product of a diffuse interest in lexica, glossaries, and other linguistic tools.    Dictionaries are meant to handle and organize an increasingly unmanageable load of information that pours out throughout Europe, as a result of the combined action of the printing press, geographical discoveries, technological progress, and a singularly vibrant culture of intellectual confrontation and debate.     Among the various attempts to harvest and index philosophi-cal information, the most significant case was  Goclenius's Lexicon philosophicum  and Lexicon philosophicum Graecum.    But but we should add Micraelius's Lexicon terminorum philosophis usitatorum and Chauvin's Lexicon rationale, sive thesaurus philosophicus.    Bruno compiles his own dictionary of philosophical concepts, Summa terminorum metaphysicorum, probably devised as a teaching tool while he was lecturing in some German universities (Canone 1988; Bruno  1989).     This tradition culminates with Bayles vernacular Dictionnaire historique et cri-tique and had its witty coda with Voltaires Dictionnaire philosophique.    Major linguistic turns periodically affect the course of philosophical inquiries in Europe.     In ancient Greece, the fifth-century sophists are  able to question the idea of an original correspondence between reason and reality by emphasizing the inherently conventional and contractual nature of language.     While doing so, they act as powerful catalysts for both Plato's and Aristotle’s responses in the domain of metaphysics.     Likewise, the effort to test the boundaries that separate reality from its linguistic descriptions became a recurrent leitmotif in philosophy, in both the Continental (Heidegger) and the analytical traditions (Wittgenstein).     The Renaissance represents another of these decisive linguistic turns.     The debate concerning the relationship between reason and language takes place on two different levels: one of a technical character (the nature of scholastic Latin), the other of a broader cultural significance (the issue of multilingualism).    With respect to the first level, it should be pointed out that  a large part of the philosophical output is written in Latin.     Starting with BOEZIO, a momentous effort in translation and exegesis, marked by a sophisticated level of analytical precision and linguistic creativity, results in a formidable corpus of knowledge. Its Latin is one of the principal reasons for its long-lasting success (Gregory 2006, 3; Dionisotti 1997).    Precisely because of its aspects of raw artificiality, free from the strictures of idiomatic decorum, Latins turns out to be a most flexible tool for the exercise of thinking, open to all sorts of experiments with respect to both language and logic.     Here I am deliberately using the oxymoronic label "raw artificiality."    Latin is largely an artificial creation produced in the great translation laboratories of medieval Europe (Sicily) and remains characterized by a distinctive quality of unpolished immediacy that suits very well the task of thinking, and thinking outside the historical box.     Due to particular circumstances, this encounter of Latin and philosophy is quite a unique episode in the history of Western culture, more so than in the fields of law and medicine, where the question of the relationship between verbal and nonverbal knowledge never manages to rise to the status of foundational issue, as happens in metaphysics.    A number of philosophical innovators charge Latin with being a parasitical construction in relation to the free exercise of thought.     In fact, that kind of Latin has long been an uncanny symbiosis of mind and word.     As far as the second level is concerned —that is to say, the emergence of national vernaculars as legitimate media for literary pursuits of all kinds and orders—a generalized state of multilingualism creates the ideal conditions for the rise of original considerations on the nature of language.    The humanist revolt against the use of Latin is fueled by discussions about the nature of translation.     In De interpretatione recta, designed as a manifesto stating the requisites for a good translation, Bruni prefers to dwell on the technical aspects of the question rather than explore the speculative implications underlying the activity of thinking.     Criticizing the medieval translator of Aristotle's Nicomachean Ethics, whom we know to be Grosseteste, Bruni points out the "(imperitia litterarum) of the latter-that is, both the naiveté with which he had undertaken a task well beyond his capabilities, and his obvious lack of literary taste, which had prevented him from reproducing the original flair of Aristotle'stext (Bruni).     In Bruni's opinion, the "efficacy" and "rationale" (vis and ratio) of a good translation lie in transferring the written form of a particular language into the form of another language.     In order to do so, a translator needs to have a vast and confident knowledge of both languages, acquired through long and careful readings of different kinds of writing (multiplex et varia ac accurata lectio omnis generis scriptorum;  Bruni 1996, 158).     Being a transfer of forms more than an exercise in thinking, translation was first and foremost a reenactment of the original experience of literary enchantment and largely an aesthetic experience.     This also applied to the field of philosophy, for, Bruni pointed out, Plato's and Aristotle's essays were "replete with  (exornationes) and venustates)" (Bruni).     The best translator was therefore that artisan of the written word who was capable of transforming himself entirely-with both his mind and will-into the author he was translating (sese in primum scribendi auctorem tota mente et animo et voluntate convertet).     Bruni argued that if a translator is not capable of recovering the spirit of the original, he cannot aspire to preserve its meaning (sensus).     The skill lies in keeping the stylistic template of the original (figura primae orationis) and the verbal coloring (verborum colores). The model is therefore painting, not philosophy.     More specifically, with respect to philosophical translation, the translator is supposed to combine knowledge of reality (doctrina rerum) with style (scribendi ornatus), for the ultimate aim behind all his efforts is to recover the life of the author's thoughts, their vividness (splendor sententiarum) and the naturally harmonic flow of the original (tota ad numerum facta oratio; Bruni).    A militant anti-philosophical attitude lingers in Valla's Dialecticae disputationes composed in three different redactions).     As in Bruni's De interpretatione recta, Vallas arguments were grammatical and aesthetic rather than philosophical (Valla; Dionisotti).     In focusing on the aspects of aesthetic and grammatical awkwardness among scholastic philosophers, Lorenzo Valla was close to Bruni's position. Like Bruni, he dismissed the scholastic tendency to reify adjectives and pronouns (sometimes even adverbs) into philosophical objects as an illegitimate and pointless practice, for they were abusing, as it were, the natural-grammatically correct-process of deriving abstract nouns from adjectives, such as sanitas ("health") from sanus ("healthy").     Contrary to the logic of historical lan-guages, philosophers made instead quiditas ("whatness") out of quid ("what"), perseitas ("per se-ness") out of per se and haecceitas ("thisness") out of haecce ("this"), and this was all the more irritating because creations of this kind could not even be found in Aristotle's own works (haec ab Aristotele non traduntur)    . Most of all, Valla condemned the artificial decision of giving a name to the very essence of being, entitas (literally  "being-ness," later entering standard English usage as "entity"), out of ens, which was a fictional present participle of the verb esse ("to be"), never used by Latin writers.    Pico tackles the question of Latinate forms of philosophical expression by appealing to the ancient trope of contrasting nature with convention.     In Pico's opinion, the effort to understand reality was always more pressing than finding the correct linguistic expression.     Reworking in an original way the classical argument used to defend the power of language over freedom of thinking, Pico assigns a priority to philosophy over Latinity based on both nature and conventions.     Addressing the Venetian scholar  Barbaro (Garin), Pico claims that he was even ready to embrace the argument based on convention, which is the traditional prerogative of rhetoricians and sophists.     If the foundations of any language are deemed to be conventional, Pico goes on, every linguistic community on earth is entitled to have its “normae dicendi” and to philosophize in accordance with those “normae.”    Indeed, it is precisely the thesis of the conventional, historical, and social origins of language, so often championed by the humanists, which, in Pico's opinion, make their charges against Latin irrelevant.     However, Pico believes that anxieties against Latin are even more out of place if the discussion pertains to the natural origin of meanings and words.     If “rectitudo nominum” depends on nature, Pico goes on, why should one turn to the rhetoricians to know more about the nature of this “rectitudo,” and not to those philosophers “who alone examine and clarify the nature of all things?"     Formulated with a precise anti-rhetorical aim in mind, the tone of Picos question is clearly rhetorical.    We know where Pico's allegiances lies — namely, for the philosophers and against the rhetoricians.    “That which the ears reject as being too harsh, reason accepts as more in tune with reality (utpote rebus cognatiora)" (Garin).     Pico is convinced that by revealing the unsettling domain of things that is not verbally articulated, the limits of language expose reality in its more perplexing aspects. The need for the philosopher to stretch the boundaries of the common use of words comes, therefore, directly from a perceived rift between what may and what may not be said.     “Why does a philosopher need to introduce innovations into the language?” Pico asks, “if they were born among Latins?"     This time, the question is not rhetorical.    Indeed, it is the most crucial question of all.    Pico, like Plato, is convinced that, ontologically speaking, there is an original surplus of meaning that no historic language ever encompasses (Garin), and even a language as nuanced as Latin is not equal to putting into words the full range of human ideas and experience.    Not only is reality ontologically richer than any description language provides; it also evolves faster than a historic language like Italian.     At a time when the overflow of information demands new words and new linguistic solutions, philosophers, whether metaphysicians, logicians, or natural and moral thinkers  do not have time to check their Latin grammar or dictionary and repertoires of verbal elegantiae.     In his Dialogo delle lingue, Speroni — one of the most illustrious members of the Paduan Infiammati, represents the contrast of “arbitrio” and “natura” by imagining a duel between Lascaris and Pomponazzi.     In this case, a curious reversal of roles occurs between nature and convention.    Lascaris, who in the dialogue defends the need to be proficient in Latin in order to be able to practice philosophy, appeals to nature as a norm that is not changed by a social or a cultural intervention.    Pomponazzi, by contrast, resumes the well-rehearsed humanist argument about the conventional origin of languages in order to vindicate the right a nation like Italy to philosophize in the vernacular (Speroni). Stimulated by the broad linguistic turn that took place during the Renaissance and by individual contributions of humanist scholars (Schmitt), a good number of philosophers, including the most stylistically and linguistically alert, reach the conclusion that thinking requires a deeper investment than simply relying on grammatical and rhetorical proficiency.     The reason is that reality itself is richer, and evolving more quickly than words.     Thinking is also a more integral and wholesome experience than the one provided by a correct description of the thing, both grammatically and stylistically.     Any verbal account of reality is inherently partial and effete compared to the freedom and poignancy of inner meditation.     As Pico points out to Barbaro, philosophers are always in search of a language is close to reality as a whole, including the reality of the soul.    In this way, reasons of intellectual honesty make inward experience more valuable than linguistic proficiency:     “Those who create a disagreement between the heart and the *tongue* are mistaken.”    “However, isn’t he who “totus est lingua” precisely because he is “excordes” simply a dead dictionary, as Cato says?" (Garin, Kraye).    Starting with Dante's ITALIAN Convivio  in Italy, GALLIC  translations of Aristotle's Nicomachean Ethics and Politics  and a teeming output of mystical treatises in TEDESCO (Eckhart being the most representative case), the use of the vernacular to compose a philosophical essay is prompted by rhetorical, political, and religious motives, such as the need to extend the range of the author's readership, the will to reach a social class not directly involved in courtly or intellectual life, the urge to give immediate expression to some lofty theological speculation, and a pathetic dearth of administrative and diplomatic personnel trained in the fine art of ‘classical’ argument.    And yet, in all these cases, there is still a link that connects a neo-Latin vernacular such as Italian to the template of ‘palaeo’-Latin. Even the rising of a philosophical discourse in TEDESCO with strong mystical overtones emerges out of Latin (De Libera).     When Segni, to give another example, translates and comments the Nicomachean Ethics into Tuscan Italian (Segni 1550), the technical language remains appropriately highly Latinate when a vernacular couplet is even available (implicatura, empiegatura). Bruno, to mention someone who is as linguistically creative in his vernacular Italian as he loathes both scholastic obscurity and grammatical pedantry, fully recognises the speculative value of the scholastic tradition     Averroes, Bruno famously retorts, knows his Aristotle better than any of his Greek readers (Bruno). The relationship between Latin and the vernacular in the domain of the philosophical essay becomes increasingly more sophisticated.     The practice of translating from palaeo-Latin into the neo-Latin Italian  vernacular and the complementary trend to turn a vernacular philosophical essay into Latin respond to different but parallel communicative strategies.     While the move from palaeo-Latin into the vernacular like Neo-Latin Italian is largely aimed at expanding the social spectrum of the philosophical audience, the tendency to transpose vernacular essay into Latin makes the most recent and innovative results in the field accessible to a readership beyond the vernacular-only one.    To these general lines of exchange one should add individual cases of self-translation, in which the philosopher,  depending on his specific needs and rhetorical preference, switches from one medium to another and experiment with different linguistic resources. To mention a few examples of self-translation, Ficino turns his “De amore and De Christiana religione” into Tuscan; Campanella translated his Città del sole, II senso delle cose, and Ateismo trionfato from Italian neo-Latin into palaeo-Latin.    Hobbes provides a palaeo-Latin version of his Leviathan with significant changes and additions to the original in his vernacular — Anglice — Malcolm in Hobbes.    A translation into vernacular and Latin as well as self-translations are all ways of testing (sometimes breaking) the limits of linguistic rectitudo and of demonstrating that the boundaries of reason in different contexts (between different languages, nations, and classes) is in fact porous.     Leibniz advocates the need to start  (Germanice philosophari) and rejects a distorted use of palaeo-Latin (cfr. Peano, Latino) as a way of narrowing the social compass of philosophy by excluding the plebs) and  (feminae) from its exercise (Leibniz     The use of a vernacular like neo-Latin Italian often ensures greater freedom of expression and a certain level of stylistic playfulness, which may turn out to be refreshing and inspiring (Dionisotti.     Significantly, by the time Montaigne had written his Essais in Gallica "a type of philosophy had been created which was both colloquial and militant" (Zambelli    Within the general debate about the philosophical potential of palaeo-Latin in its relationship to both its contemporary neo-Latin vernacular like Itala or Gallica and other languages (first and foremost Greek, but also Hebrew and Arabic), some technical points betray specific assumptions of a more theoretical order.     Bruni believes that all languages may be translated into each other without losing any of the original meaning and style.    Bruno is not however interested in defending the special status of any particular *historical* language as better suited to the exercise of philosophical inquiry.     Bruni’s position differs from the one championed by such philhellenes as those depicted by Speroni in his dialogue Lascaris and Buonamici), who show no qualms about advocating the philosophical primacy of Greek, claiming that it had been no accident that philosophy had originally been written in Greek and that Greek should continue to be the model — (philhellenism by the way, is a recurrent vogue in the history of philosophy, from  to Heidegger! By contrast, even an admirer like VALLA of the expressive potential of Latin and a firm believer in the superiority of both history and poetry over philosophy remains convinced that a philosophical concept — or twist of idiom: think the optative — that was originally elaborated in Greek may not find adequate expression in Latin and should be left UNtranslated. (V) multa belle dicuntur Graece quae non belle dicuntur Latine — (V) inclusa — Valla     pomponazzi, a philosopher trained in the subtleties of scholasticism considers the question about what language — Palaeo-Latin, neo-Latin —  is most suitable for composing a philosophical essay as irrelevant and looks at the philosophical discussion about the veridical import of a historical language as a waste of time (Paccagnella.     The  thesis that one is allowed to philosophize in one of the available idioms represents a further argument against the dogmatic belief that there is only *one* true description of the world.       Speroni's recommendations to (filoso-far volgarmente), without knowing palaeo-Latin" (Speroni is a sign that the time has come when a philosopher  could compose an essay not only in Italian, or French — but Dutch, German, and beyond.    The philosophical potential of the vernacular neo-Latin Italian, being a question that is closely intertwined with issues of readership and communication, also bear on the problem of distinguishing between what is safe to say!    Resuming a characteristically Academic posture,  Pico does not miss the opportunity to describe the relationship between language and philosophy in terms of esoteric and exoteric communica-tion.     Philosophers, Pico argues in De ente et uno, should  sentire quidem ut pauci, loqui autem ut plures), for (loquimur ut intelligamur; Pico.    This was another situation that requires the philosopher to strike a balance between intellectual novelty and linguistic tradition.   Since language represents the vehicle of conventional wisdom (Grice on Austin), a philosopher was supposed to accept the rules of the linguistic game (with its attached social conventions) while skillfully circumventing the traps of linguistic pressure.    The NEO-Latin lexicon gets enriched with new terms as a result of discovery, invention, insight, and the successive waves of Latin translations from Greek, Arabic, and Hebrew, from Boezio to Wolff's Latinization of Leibniz's metaphysics, and it is worth recording the most significant changes that affect the Latin philosophical vocabulary. Some Latin keywords mark the evolution of the philosophical lexicon:    res    subiectum    obiectum   conceptus    intentio   intentionalitas     Transliterations and calques from other languages, such as entelechia — or from a non-Aryan source  colchodea (the intellect as "giver of forms"), enjoy a remarkable fate in Latin and continue to be the subject of heated debate among humanist philosophers.      Poliziano devotes one of his essays in Miscellaneorum centuria prima  to clarify the many pphilosophical issues involved in a discussion of the difference between entelechia, an activity as the fulfillment of apotentiality,  and endelechia, the (activity as a perpetual movement; Poliziano — whereas Pico saw it as a vulgar typo!    If it is true that not as many transliterations from the nonAryan Arabic became part of the technical lexicon of philosophical Latin as for mathematics, astrology, and alchemy (Burnett the impact of the translations from Arabic result in significant additions to the specific vocabulary of the internal senses ([virtus) aestimativa, i.e., animal instinct, and cogitativa, e. G. human rea-son. Some illustrious Greek transliterations also enjoyed a new life such as of energeia and energeticus which, begin to be used with increasing frequency to denote the life and energy of matter and a material being.     Glisson is probably the most interesting case, with his De natura substantiae energetica , a foundational work of physiology. New words — such as Sidonius implicatura — are created by the philosopher who feels the need to hone his expressive tools and expand the range of the available vocabulary.     Other examples are Campanellas primalitas,  essentiatio  specificatio ), corporatio  and toticipatio — Giglioni    In philosophy, where  (verba) find themselves in a relationship of uneasiness with res) from the very beginning, it is precisely the use of the neologism -in the technical sense of linguistic expressions contravening the standard of good use and purity-that often facilitate the task of finding words for a particularly vexing notion.    Bruni recommends that translators avoid neologisms and new ways of expressing old things (et verborum et orationis novitas).     Above all, a translator is supposed to shun (inepta et barbara).    Bruni's main contribution is his idea that any language could be turned into any other:    nihil Graece dictum est quod Latine dici non possit; Bruni     While concerned with the use of the neologism in philosophy, others like  Gockel, displays a more tolerant attitude.     For instance, Gockel describes the use of “vigorari in Zabarella's commentary on Aristotle's De anima as an innovation, which is necessary to explain the heightened condition undergone by the intellect when invigorated by the power of a forceful intelligible (i.e., object of understanding; vehemens ac excellens intelligibile; Goclenius. It is significant to note that, a scholastic philosopher by training and profession, Govkrl allows for certain latitude in philosophese.     Among the innovators" Duns Scotus is probably the most creative, and Gockrl  carefully surveys his influence over philosophical Latin tlexicon.    Gockel notes that even  Scaliger's (lautissima lingua) entertains  a conceptual closeness with Scotist ideas (Goclenius Glocker is so concerned with the influence that Latin innovations exercise on the philosophical tradition that he adds to his *Greek* dictionary a little APPENDIX to his earlier *Latin* dictionary, entirely devoted to a meticulous analysis of all sorts of inappropriate ways of expressing philosophical notions: a     Sylloge vocum et phrasium quarumdam obsoletarum, minus usu receptarum, nuper natarum, ineptarum, lutulentarum, subrusticarum, barmi-barbararum, soloecismorum et hyposoloikön Of the specific technical terms in philosophy, res may be considered one of the most important ones. In his Lexicon philosophicum, Goclenius defines res as (quodlibet conceptibile)non includens contradic-tionem), in the domain of both (ens rationis) and (ens reale)    .Glocker explains that in philosophy res may  be taken com-munissime), communiter), or i (strictissime seu appropriate).     Combining Aristotle with Quintilian, and perhaps aware of Vallas sophisticated treatment of the matter in his Dialecticae disputationes, Goclenius identifies res in the strictest sense with (substantia; Goclenius. Here it is crucial to point out that, while Goclenius reconfirms the primacy of substance as the ontological marker of reality (and in this sense, res were substantiae), Valla follows the opposite route and brings substantia back to res, understood, in line with the rhetorical tradition, as that which can be said of a particular reality.     By thus resolving  "substance" into "thing," Valla, like other humanists in fact deflates the ontological content of res by transforming it into any subject that could be conceptual-ized through words.    Among the most illustrious Latin words that enter a phase of remarkable decline, actualitas can be taken as a vivid example of a term with a glorious past in the sphere of philosophical learning, which, finds itself heading towards extinction.     Any professional philosopher trained in a university would have called reality actualitas.     As recorded by Goclenius in his diction-ary, actualitas prima, is conceived as the principal ontological requirement behind the existence of anything.     This alleged process of reifi-cation or actualitas through which the notion of being as activity (energeia in Aristotle) mutates into that of being as static presence (be that presence subiectum or res) is interpreted as the dominant event in the history of metaphysics.     In an attempt to come to terms with the powerful consequences of Descartes's philosophy and the way he polarizes reality between the extremes of the res cogitans) and the res extensa) Gilson dissects with painstaking precision the many layers accrued by the principal categories of Latin ontology (esse, ens, entitas, and essentia), making a powerful case for the vitality and creativity of scholastic philosophy. After all, Descartes's great accomplishment, in Gilson's opinion, lies in the way in which the Gallic-speaking philosopher takes advantage- both speculatively and linguistically - of scholastic lore, fertile and productive as it is (Gilson     Latin is also a source of speculative inspiration for  Heidegger,  who secures his philosophical credentials by detecting in the process through which energeia becomes actualitas the symptom of a lingering metaphysical malaise; that is, the gradual obfuscation or oblivion of the true meaning of being (Seinsvergessenheit.    Here it may be useful to point out that behind Heidegger's effort to reawaken our awareness of the energeia of being, there is no humanistic intent, as he clearly intimates in his Brief über den Humanismus,     . Indeed, the opposite is true for Heidegger.    The legacy of scholastic philosophical Latin (and significantly Heidegger's first foray into the domains of philosophy had been a dissertation ion Duns Scotus's ontology) is clear and strong in his mind.     Or perhaps, we might say that a peculiarly humanist urge underlies Heidegger's warnings about the "presentification" oGegenwärtigung), of being  in that, like Lascaris and Buonamici, he thinks that Greek is more suitable than Latin to metaphysical inquiries for the ominous Seinsvergessenheit had already happened with the Italic pre-Socratics in Crotone, Girgenti and Velia, and therefore the truth had begun to hide itself (Verborgenheit) quite early on.     In the specific domain of thinking, unlike Latin, Greek is inherently philosophical, for Latin helps disseminate the Gegenwärtigung of being.     It is by referring to Heidegger that Libera asks the crucial question:     Is Latin a language suitable for philosophy?     Libera’s answer to this question is unambiguously positive.     Libera characterises the "multilingual translatio ["transfer"] of philosophy" (in particular its Latin transfer) as a "linguistic event" that affected the development of modern thinking in a significant way (De Libera     Libera draws our attention to a moment in history when Latin stops being a language of philosophy to become the language of philosophical taxonomy (not to say, taxidermy).    In other words, the moment in which Latin moves from the status of a language that is philosophically alive to that of a language that is *philosophically* dead" (Libera     That is not the case  the transfer of learning prompted by t(translatio studiorum), when Latin plays a fundamental role in the "philosophi-cal acculturation of Europe" (Libera      And yet, from its very beginnings at Rome — Appio — philosophy has always had an extremely uncomfortable relationship with the Latin language.     The act of thinking cannot help stumbling over words.    According to Libera, the most fascinating aspect of  Latin  is the far-reaching linguistic experiment—an extremely successful one, it must be said, through which, in the translation and exegetical laboratories of European studia and universities, masters of arts and theologians forge a language suitable for philosophy, a privileged medium that allowed a trans-national, trans-linguistic, and trans-cultural discussion for the transmission of ideas.     So it happens that precisely the artificiality condemned by the humanists may be seen as the major innovation and resource introduced by the philosophical Latin of the schools, for that raw neo- Latin expands the scope of the thinking exercise.     Petrarca and Bruni fail to understand this    Addressing Grosseteste, Bruni, who asserts himself as part of the neo-Latin community, proudly declared his inability to make sense of Grosseteste's Latin.    ego Latinus, istam barbariem tuam non intelligo     ; Bruni     From a genuinely philosophical point of view, what Bruni fails to understand is that not mastering a language, with all its idioms and elegancies (which, in the final analysis, we should admit is rather harmless, betrays the philosopher's effort to come to terms with a much deeper issue that is, the remorselessly foreign and alienating experience of thinking of the other qua other.     Bruno opposes the obsession with linguistic decorum (an obsession that is for him the defining feature of "grammarians" and "pedants" to the philosophical disorientation that derives from delving into the depths of the thinking process (profondano ne' sentimenti, Bruno Bruno  Ciliberto     Perhaps, the most significant point we can make out of this whole discussion is that, more than in any other discipline, novitas, the perplexing nature of what is unfamiliar) is the very hallmark of philosophy.     Reality is inherently challenging" because it is every time foreign and new to the human mind, and it challenges the mind's attempts to represent it.     This sense of ontological "novelty" was clear to Giovanni Pico, who as a philosopher was equally open to reasons of linguistic perspicuity and philosophical inquiry. His was a subtle mediation between language (tradition) and thought (novelty).     In De ente et uno, Pico praises Poliziano, "vindicator of a more elegant lan-guage," for allowing the use of "a few terms that are not entirely Latin, but necessary in any case because of the (ipsa rerum novitas]" (Pico     The fact is that reality is for the most part brutally opaque, while language is often employed to confirm and reassert its opacity (through the use of rhetorical and literary devices, for instance), more than to shed light on it.     The exercise of thinking, as an attempt to dissolve this resistance to interpretation, finds itself uneasily squeezed between a reality that is perceived as already given and the expressive resources made available by a particular linguistic communities.     The Latin of scholastic philosophy, precisely because of its artificiality is more than well equipped to cope with bouts of  reality, and it continued to do so.    To Libera we should therefore add here  Schmitt:     scholastic Latin was in good health — Schmitt.     Indeed, the taxonomical and taxidermic use of Latin, so much feared by de Libera, if we bear in mind thatthe imposing system of Leibnizian scholasticism Latinized by Wolff became the breeding ground for  Kant's  pre-critical production.    On the development of philosophical ideas in Latinate contexts f see "Latin and philosophy" in ENLW  Garrod, Rees, Kraye, De Bom, and van Bunge).     The close link between philology and philosophy is examined by Kraye     The research institute Lessico Intellettuale Europe has been publishing regular contributions to the study of philosophical Latin keywords in their developments from antiquity to the eighteenth century.     (Florence: Olschki):     Ordo   Res   Spiritus   Phantasia/Imaginatio  Idea   Ratio    Sensus/Sensatio   Signum   ), Experientia   Machina   Materia Bruni, Opere letterarie e politiche, cur. Viti. Turin: Utet.    Bruno, La cena de le ceneri. Cur. Aquilecchia. Turin: Einaudi.    De la causa principio e uno." In Dialoghi Italiani, cur. Gentile e  Aquilecchia, Firenze Sansoni.    Summa terminorum metaphysicorum. Cur. Gregory e  Canone. Roma: Ateneo.    Burnett, The Enrichment of Latin Philosophical Vocabulary through Translations from Arabic: The Problem of Transliterations." In Les innovations du vocabu-laire latin à la fin du moyen âge: Autour du Glossaire du Latin philosophique, cur. Weijers, Costa, e Oliva, 37-44. Turnhout: Brepols.    "Revisiting the Aristotle-Averroes Edition." In Renaissance Averroism and Its Aftermath: Arabic Philosophy in Early Modern Europe, cur. Akasoy e  Giglioni, Dordrecht: Springer.    Canone, . "Phantasia/Imaginatio come problema terminologico nella lessico-grafia filosofica " In Phantasia-Imaginatio, cur. Fattori e  Bianchi,  Roma: Ateneo.    Ciliberto, Lessico di  Bruno. Roma: Ateneo  & Bizzarri.    Libera, . "Sermo mysticus: La transposition du vocabulaire scolastique dans la mystique allemande du XIV° siècle." Rue Descartes   Le latin, véritable langue de la philosophie." In Hamesse   Dionisotti, Philosophie grecque et tradition latine." In Hamesse   Dionisotti,  Introduction to Prose e rime, by Bembo, Turn: Utet.  Garin,  Prosatori latini del Quattrocento. Milan: Ricciardi.  Giglioni, "Primalità (primalitas)." In Enciclopedia bruniana et campanel-liana, ed. Canone/Ernst, Pisa: Serra.Gilson, Index scolastico-cartésien. Paris: Alcan.  Being and Some Philosophers. Toronto: Pontifical Institute of Mediaeval Studies.  Goclenius, Lexicon philosophicum quo tanquam clave philosophiae fores aperiun-tur. Frankfurt: Becker.  Lexicon philosophicum Graecum ... accessit adiicienda Latino lexico sylloge vocum et phrasium. Marburg: Hutwelcker.  Gregory, Origini della terminologia filosofica moderna: Linee di ricerca. Firenze, Olschki.  Hamesse,  Aux origines du lexique philosophique européen: L'influence de la  Latinitas. Louvain-La-Neuve: Collège Cardinal Mercier.  Hobbes, Leviathan, ed. Malcolm,  Clarendon.  Kraye, Philologists and Philosophers." In The Cambridge Companion to Renaissance Humanism, edited by Jill Kraye,  Cambridge: Cambridge, Pico on the Relationship of Rhetoric and Philosophy." In Pico della  Mirandola: New Essays, edited by Michael V. Dougherty, 13-36. Cambridge: Cambridge University Press.  Leibniz, Die philosophischen Schriften, 7 vols., edited by Carl I.  Gerhardt. Berlin: Weidmann.  Paccagnella, La lingua del Peretto" In Pomponazzi: Tradizione e dissenso, edited by Marco Sgarbi.  Florence: Olschki.  Pico, De ente et uno." In De hominis dignitate, Heptaplus, De ente et uno, e scritti vari, edited by Garin, Florence: Vallecchi.  Poliziano, Angelo. 1553. "Miscellaneorum centuria prima." In Opera omnia, Basel: Nicholas Episcopius.  Schmitt, Aristotle and the Renaissance.  Harvard. The Aristotelian Tradition and Renaissance Universities. London: Variorum. Renaissance Averroism Studied through the Venetian Editions Aristotle-Averroes (with Particular Reference to the Giunta Edition  In Schmitt, "Aristotelian Textual Studies at Padova:  The Case of Francesco Cavalli. In Schmitt  Segni, L'Ethica tradotta in lingua volgare fiorentina et comentata.  Firenze: Torrentino.  Speroni "Dialogo delle lingue." In Opere,  Venezia, Occhi.  Valla, Dialectical Disputations. Ed.  Copenhaver/Nauta.  Harvard.  Zambelli, From the Questiones to the Essais: On the Autonomy and  Methods of the History of Philosophy, In Astrology and Magic from the Medieval Latin and Islamic World to Renaissance Europe: Theories and Approches, Farnham:  Ashgate. Stefanoni.

 

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