Grice e Stabile: la ragione conversazionale e
la critica della ragione borghese – la scuola di Sapri -- filosofia campanese
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sapri). Filosofo campanese. Filosofo italiano. Sapri,
Salerno, Campania. Laureatosi a Napoli con una tesi sulla filosofia del valore,
divenne ricercatore a Salerno. Pubblica saggi in "Prassi e teoria",
"Aut Aut", "Studi di filosofia politica e diritto",
"il Centauro", "Ombre rosse", riviste tra le più
prestigiose nel panorama della pubblicistica filosofica italiana. Collabora
alla direzione della collana di testi e studi "Relox" di Bibliopolis
di Napoli. Salerno gli dedica un convegno di studi: "La saggezza moderna.
Temi e problemi”. Il fondo rappresenta sua biblioteca. Alcuni volumi sono in
possesso di Salerno. I volumi del fondo sottolineano l'interesse verso la
critica marxista -- moltissimi i volumi degl’Editori Riuniti. Degni di
attenzione alcuni esemplari caratteristici come ad esempio quelli della collana
"I gabbiani" del Saggiatore o ancora la collana quasi completa degli
"Opuscoli” della Feltrinelli, i volumi della collana "Biblioteca di
nuova cultura" della Mazzotta, e quelli della "Scienza nuova"
della Dedalo -- collane radicalmente trasformate nei successivi anni o
sostituite da altre. Talora nate solamente per offrire testi economici che
rispondessero ai bisogni di una maggiore diffusione culturale. Sono presenti
anche dei volumetti allegati a periodici di partito -- PCI e PSI -- e le
pubblicazioni dell'istituto di filosofia a Salerno. Altri saggi: “Valore morale
e società” (Salerno); “Soggetti e bisogni” (Firenze, Nuova Italia); “Saggezza e
prudenza: studi per la ricostruzione di un'antropologia” (Napoli, Liguori); “Piccolo
trattato sulla saggezza” (Napoli, Bibliopolis); “Umanesimo e rivoluzione” (“Prassi
e teoria: rivista di filosofia della cultura”), “La saggezza moderna” (Napoli,
Edizioni scientifiche italiane). Storia della filosofia, Salerno. Charron
Storia della filosofia, Salerno. Giampiero
Stabile. Stabile. Keywords: Grice’s ‘Needs, need, bisogno, bisogni, bisoin,
complex etymology, durf, tharf, ragione borghese -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Stabile” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Stasea: la ragione conversazionale a Roma, o della virtù – filosofia
campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. The first lizio to take up
residence at Rome. He defends the position that virtue (andreia) is not
sufficient for happiness – a position on which some Lizians were prepared to
compromise, in order to achieve a conciliation with the ethics of the Portico. Keywords: Lizio.
Grice e Statilio: la ragione conversazionale a Roma -- ogni uomo è stolto o pazzo -- Roma antica – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma).
Amico di CATONE. L’orto. Satura e farsa filologica. Penna. Secondo un'ipotesi
allettante, con S., amico di CATONE e morto a Filippi con BRUTO. In questo
contesto forse non è del tutto inutile notare che una filosofia è presente. S. being sollicited by BRUTO to
make one of that noble band, who struck the god-like stroke for the liberty of
Rome, refuses to accompany them, saying, that: all men are fools, or mad, and do
not deserve that a wise man should trouble his head about them. Keywords: ‘All
men are fools, or mad’ -- Giardino, horti epicuri – hortus epicuri. Garden.
Friend of Catone Minore and Marco Bruto and a staunch opponent of Giulio
Cesare.
Grice e Stefani: la ragione conversazionale del “senso
composto” – semantica filosofica – la scuola di Pergola – filosofia marchese --
filosofia italiana – Luigi Speranza (Pergola).
Filosofo marchese.
Filosofo italiano. Pergola, Pesaro e Urbino, Marche. Grice: “I may well say that my idea of a propositional complex
owes much to Stefani’s obsession with ‘sensus’ simplex or ‘divisus, and ‘sensus
compositum’ –“ “The opposite of ‘com-posito’ is de-posito, though!” -- Grice: “I like his diagrammes; The Boedlian has
loads of his mss!” Grice: “He has a figure for the ‘figura quadrata,’ –“. Grice: “He has a figure for ‘suppositio.’” – Il membro
più noto di una famiglia di insegnanti marchigiani. Avviato alla carriera
ecclesiastica nella città natale, ma presto si trasfere a Venezia. Il suo
saggio più importante è il “De sensu composito et diviso”. Insegna a Rialto. Altri saggi: “Dubia in
consequentias Strodi,” “In regulas insolubilium,” “De scire e dubitare,”
“Compendium logicae,” “Logica,” “Tractatus de sensu simplice, sensu composito, et
sensu diviso”, Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Fonte:
Dizionario di filosofia, riferimenti. Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Stefani. Keywords: senso semplice, senso composito, senso deposito, senso
diviso, dialetttica, grammatica filosofica, semantica filosofica, loquenza. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Stefani.”
Grice e Stefanini: la ragione conversazionale
dell’inter-personalismo contro l’idealismo filosofico – filosofia fascista –
veintennio fascista – la scuola di Treviso -- filosofia veneta -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Treviso).
Filosofo veneto. Filosofo italiano. Treviso, Veneto. Grice: “Italians are
obsessed with personalismo; I am with interpersonalismo!” “L’essere è
personale.” “Tutto ciò che non è personale nell’essere ri-entra nella
produttività della persona, come mezzo di manifestazione della persona e di
*comunicazione* o conversazione *tra* due persone,” “La mia prospettiva
filosofica. Attivo nelle associazioni e nei movimenti cattolici del trevigiano,
iscrivendosi a gioventù cattolica dove assume presto l'incarico di presidente
diocesano. Qui svolge la vocazione di educatore, seguendo, in particolare, gli
insegnamenti contenuti nell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII -- opera pure
nel sindacato cattolico dei lavoratori. Dopo il diploma presso il liceo classico
Canova, dove ha fra gl’altri ROTTA come insegnante di filosofia, si iscrive
alla facoltà di lettere e filosofia a Padova. Nell'ateneo patavino, la corrente
del positivismo è tra le più seguite. In controtendenza, decide di scrivere la
propria tesi sull’inter-personalismo, avendo ALIOTTA come relatore, con cui si
laurea in filosofia . Nel periodo di studi padovano, inizia a frequentare anche
il circolo di ZANELLA e inizia a insegnare. Mentre completa gli studi
universitari, inizia già a respirarsi aria di guerra in Italia, ma come molti
giovani, pur favorevole ad una posizione di neutralità nei confronti della
guerra, viene comunque chiamato all’armi. Terminato il conflitto, uscendone con
il grado di capitano e una croce al merito di guerra, studia l’estetica di GRAVINA.
Eletto consigliere del comune di Treviso ma, la violenza dello squadrismo
fascista investe anche il trevigiano. Si oppone con fermezza a tale ideologia,
dimettendosi e dedicandosi completamente all'insegnamento, che ora è la sua
occupazione principale e che conduce sempre secondo una pedagogia ispirata ai
principi cristiani, costantemente attento e sensibile sia ai bisogni che agl’interessi
degli studenti. Si dedica con scrupolo alla stesura di apprezzati testi
didattici di storia e filosofia. Conseguita la libera docenza, ottiene, per
incarico, l'insegnamento a Padova. Oltre ad iscriversi al partito nazionale fascista,
affianca l'insegnamento nelle scuole pubbliche a quello universitario fino a quando,
vinto l'ordinariato, ha una cattedra di storia della filosofia a Messina che
tiene fino a quando si trasferisce a Padova. Al contempo, tiene per incarico
l'insegnamento di estetica a Padova e quello di pedagogia a Venezia, nonché
sarà preside della facoltà di lettere e filosofia dell'ateneo patavino. Nel dopoguerra, riabilitato alla propria
cattedra e all'insegnamento universitario, si dedica prevalentemente allo
studio e la ricerca, ma partecipando anche alla ri-organizzazione della
filosofia italiana, in particolare promuovendo incontri, convegni e riunioni
all'Istituto Aloisianum dei padri gesuiti di Gallarate, che divenne poi il centro
di studi filosofici di Gallarate, per primo diretto da GIANON. Socio
corrispondente dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, nonché socio
effettivo dell’accademia patavina di scienze, lettere ed arti, ricevette il
premio della r. accademia d'Italia per le discipline filosofiche, e il premio
Marzotto per la filosofia, nonché è membro dei consigli direttivi della società
filosofica italiana e del centro di studi filosofici di Gallarate. Fonda a
Padova la “Rivista di estetica”, della quale dirigere solo il primo fascicolo e
a cui gli subentrerà PAREYSON. Gli saranno intitolate delle scuole medie
statali di Treviso e Padova, nonché l'ex istituto magistrale di Mestre. Uno dei
maggiori rappresentati dello spiritualismo, ri-esamina storicamente e
criticamente diverse correnti della filosofia, fra cui lo storicismo, la
filosofia dell'azione, l’idealismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo, lungo
il corso della storia della filosofia, da FIDANZA ed AQUINO a GIOBERTI, ROSMINI
ed altri, sulla scia della sua prima formazione incentrata su uno stretto
connubio fra prospettiva storica e dimensione teoretica. Interessato pure all'estetica, su cui scrive
molti saggi, il contributo più importante è frutto della sua costante
riflessione su personalismo e spiritualismo, grazie alla quale il rapporto
soggetto-oggetto viene interpretato in termini di alterità, di altro da sé,
prospettiva questa che permette di concepire il singolo individuo come membro
di una comunità. Questo rapporto soggetto-oggetto, da un tale punto di vista, è
concepito come il momento fondante di ogni comunità di esseri umani in
relazione fra loro. Le più importanti problematiche connesse a questi principi
di base, sono affrontate nella “Metafisica della persona” – cf. Strawson, “The
concept of a person” -- e “Inter-personalismo”. Strettamente connesse a queste
tematiche filosofiche, poi, sono quelle didattico-pedagogiche aperte e portate
avanti pressoché durante l'intero suo periodo di attività, dai primi anni
formativi, in continuo ripensamento e progressiva ri-visitazione. Per quanto concerne poi la sua vasta
produzione, ricordiamo solo che dà alle stampe le seguenti, notevoli saggi:
“L'esistenzialismo” “Spiritualismo”, “Il dramma filosofico”; “Metafisica della
persona”; “Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico”; “Inter-personalismo”;
“Estetica”; “Trattato di estetica. Viene pubblicata la raccolta di scritti
intitolata “Inter-Personalismo”. Dizionario Biografico degli Italiani. L.
Corrieri, “Un pensiero attuale” (Prometheus, Milano). Citando sue testuali
parole. L’opera di Blondel è più arte che filosofia. I passaggi più ardui
superati con immagini ardite, anziché con logiche dimostrazioni; affermate le
più inconciliabili anti-tesi affinché queste rendano vivo e tragico il
contrasto; i mezzi dialettici atti più a trascinare che a convincere: tutto ciò
ci conferma pienamente nella nostra interpretazione. L'opera del Blondel è, più
che una dottrina filosofica, un romanzo psicologico che descrive l’esitazioni e
l’incertezze, le vane pretese e le supreme aspirazioni dell'umana volontà, che
alfine si appaga e riposa nel divino. Per ciò che al di là del filosofo si
riesca ad afferrare l'uomo, al di là del sistema si riesca ad afferrare il
programma generoso del credente, la filosofia dell'azione può essere
efficacemente educativa, può esercitare nella coscienza contemporanea
l'influsso salutare che essa si era proposta. “L'azione” (Padova). Il quale, a
sua volta, prende le mosse dalle concezioni personalistiche mounieriane e
giobertiane; cfr. Piaia, cit. Altri saggi: “Il problema della conoscenza in
Cartesio e GIOBERTI” (Torino, Sei); “Il problema religioso in Platone e FIDANZA:
sommario storico e critica di testi” (Torino, Sei); “Idealismo cristiano” (Padova,
Zannoni); Platone (Padova, Milani); “Il problema estetico nell’Accademia” (Torino,
Sei); “Imaginismo come problema filosofico” (Padova, Milani); “Problemi attuali
d'arte” (Padova, Milani); “La Chiesa Cattolica, (Milano-Messina, Principato);
“GIOBERTI” (Vita e pensiero, Milano, Bocca); “Metafisica dell'arte” (Padova,
Liviana); “La mia prospettiva filosofica” (Treviso, Canova); Esistenzialismo
ateo ed esistenzialismo teistico. Esposizione e critica costruttiva” (Padova, Milani);
Aubier, Estetica (Roma, Studium); Trattato di Estetica”; “L'arte nella sua
autonomia e nel suo processo” (Brescia, Morcelliana); Personalismo educativo (Roma,
Bocca). Dialettica dell'immagine. Studi sull'imaginismo di S., a cura
dell'Associazione filosofica trevigiana (Genova); Caimi, Educazione e persona”
(Scuola, Brescia); Cappello, Dalle opere e dal carteggio del suo archivio,
Europrint, Treviso, Per una antropologia in S.: metafisica, personalismo,
umanesimo, Cappello, ER. Pagotto, Padova, Lasala, Una ragione vivente.
L'immagine e l'ulteriore, in Frammenti
di filosofia contemporanea, I.v.a.n. Project, Limina Mentis, Villasanta, Boni,
Le ragioni dell’esistenza. Esistenzialismo e ragione (Mimesis, Milano); Rigobello,
Scritti in onore (Liviana, Padova). Rivista Rosminiana, treccani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Luigi Stefanini. Stefanini. Keywords:
inter-personalismo, io e l’altro, l’altro da me, altro da se, alterita,
other-love, self-love. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stefanini” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Stefanoni: implicatura e ragione – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Milano). Filosofo
lombardo. Filosofo italiano. Mantova, Lombardia. Grice: “I love Stefanoni. I regard him as the frist
Italian philosophical lexicographer! Marsoli quotes Ranzoli in passing. And
Ranzoli disparages Stefanoni. But I prefer Stefanoni to Ranzoli. Ranzoli tends
to lean towards the pompous, whereas only in Stefanoni you would find things
like: ‘this word should be extracted from all dictionaries!” STEFANONI, Luigi – Nacque a Milano il 19 febbraio 1841
da Alessandro e da Maria Colombo. Fu rapito fin da giovanissimo dalla
fede mazziniana e ancora adolescente partì volontario al seguito di Giuseppe
Garibaldi nella campagna del 1859. Subito dopo l’unificazione cominciò a
collaborare con il periodico repubblicano L’Unità italiana, ma ben presto i
rapporti con Giuseppe Mazzini si complicarono a causa dell’attrazione di
Stefanoni per le correnti razionaliste e antireligiose che in quegli anni
cominciavano a lambire le file giovanili dell’area democratica. Al pensiero del
filosofo razionalista Ausonio Franchi faceva infatti riferimento la prima opera
importante di Stefanoni, intitolata La scienza della ragione e pubblicata con
un certo clamore a Milano nel 1862: l’autore, allora ventenne, vi faceva aperta
professione di ateismo, delineando i contorni di una pur vaga e semplicistica
filosofia materialistica. Se però Stefanoni riconosceva in Franchi il
proprio ‘maestro in filosofia’, in politica il punto di riferimento rimaneva
Mazzini, come risultava evidente dal saggio Giuseppe Mazzini. Note storiche
(Milano 1863). Un segno di continuità nel solco mazziniano fu anche Le due
repubbliche e il due dicembre (Milano 1864), nonché l’attenzione verso la
questione polacca, testimoniata dall’opuscolo su Francesco Nullo, pubblicato a
pochi mesi di distanza dall’uccisione del patriota democratico per mano dei
russi (Francesco Nullo martire in Polonia. Notizie storiche, Milano
1867). Il dissidio con Mazzini si aggravò nel 1865, quando Stefanoni si
impegnò in prima persona nella fondazione a Milano di una Società di liberi
pensatori: l’iniziativa, tenacemente avversata dal maestro, provocò la rottura
fra i due. Nel gennaio del 1866 vide la luce in quest’ambito la rivista
settimanale Il libero pensiero. Giornale dei razionalisti, di cui Stefanoni fu
l’animoso direttore fino all’ultimo numero, nel 1876. La rivista era
dedicata alla demolizione dei dogmi e dei culti cattolici, nonché più in
generale alla critica delle superstizioni e dell’intolleranza religiosa, cui si
contrapponevano l’esaltazione del pensiero scientifico, la tradizione
razionalista, la nuova dottrina materialista. Il frequente ricorso alla
«derisione» e alla «contumelia» insieme alla «forma caustica, passionata,
rabbiosa» (F. Uda, Magnetismo, in Il libero pensiero, 1° agosto 1867) della
polemica, che talvolta colpirono anche gli amici e procurarono alla rivista
diversi sequestri per offese alla religione dello Stato, le assicurarono
d’altro canto una certa capacità di penetrazione tra il ceto popolare urbano.
Alla rieducazione in senso anticlericale e antireligioso delle masse mirava
anche l’Almanacco popolare del libero pensiero (1869-1879/1980), che ai temi
della rivista aggiungeva un calendario laico, composto dai nomi di personaggi
cari alla tradizione razionalista, democratica e patriottica. Nel
frattempo, la vena poligrafa di Stefanoni si dimostrava inesauribile. Sono di
quegli anni la Storia critica della superstizione (I-II, Milano 1869) e il
Dizionario filosofico (I-II, Milano 1873-1875), nonché alcuni romanzi di
ispirazione anticlericale (I rossi ed i neri di Roma, I-V, Milano 1863),
L’Inferno (I-IV, Milano 1865), Il Purgatorio (I-IV, Milano 1866), Il Paradiso
(I-III, Milano 1867), per un totale di sedici volumi. -ALT Ben più
importante fu l’attività di traduzione: nel giro di una manciata di anni
Stefanoni tradusse una quantità impressionante di pagine, a cominciare da
quelle del tedesco Ludwig Büchner, un divulgatore scientifico di ampio successo
che sosteneva una concezione integralmente materialistica e atea della realtà.
Forza e materia (Kraft und Stoff, 1855) – la cui prima edizione comparve a
Milano nel 1867 (e che tutt’oggi rimane l’unica traduzione italiana
disponibile) – ebbe un forte impatto sul piano culturale e su quello politico.
Per i giovani ribelli stanchi del misticismo mazziniano nonché di un’educazione
bigotta e repressiva, Büchner – di cui Stefanoni tradusse anche Scienza e
natura (Milano 1868) e L’uomo considerato secondo i risultati della scienza.
Donde veniamo? (I-III, Milano 1871-1882) – fu una rivelazione, una liberazione
e una chiamata a raccolta, che concorse peraltro allo slittamento della
ribellione politica sul terreno dell’internazionalismo anarchico-socialista.
Nello stesso breve giro di anni Stefanoni tradusse anche la Fisiologia delle
passioni (Milano 1869) dell’antropologo materialista Charles Letourneau, le
Trenta lezioni sull’essenza della religione (Milano 1872) di Ludwig Feuerbach,
diverse opere dello scrittore razionalista francese André Saturnin Morin e,
nella prospettiva del recupero del filone materialista dell’illuminismo
francese, L’uomo macchina (Milano 1867) di Julien Offray de La Mettrie.
Nel 1871 Stefanoni si trovava Firenze, dove per sua iniziativa si era
trasferita la sede del giornale e si era costituita una Società del libero
pensiero, con cui si fuse la Società della onoranza funebre, vicina agli
ambienti massonici e volta a promuovere il funerale laico e la cremazione.
Ciononostante, verso la massoneria Stefanoni ebbe un atteggiamento critico,
contestandone il carattere segreto e il legame di obbedienza imposto ai suoi
membri. Nella primavera di quello stesso anno entrò in contatto con Carlo
Cafiero, allora emissario di Karl Marx in Italia, e indurì i toni della
polemica con Mazzini per la sua condanna della Comune. A partire dalla fine di
agosto Il libero pensiero prese a seguire da vicino la vita
dell’Internazionale, pubblicandone regolarmente gli atti. Stefanoni fu in prima
fila nella costituzione della sezione internazionalista di Firenze e,
nell’aprile del 1872, in quella del Fascio Operaio cittadino, sorto con
l’obiettivo di coordinare le diverse società operaie già esistenti e di
indirizzarle in senso internazionalista, sfidando l’egemonia mazziniana.
La convergenza tra i liberi pensatori – ai quali, in una lettera a Celso
Ceretti, Michail Bakunin riconosceva il merito di essere stati «i primi a
levare lo stendardo della rivolta contro l’autorità teologica di Mazzini» (Il
libero pensiero, 29 febbraio 1872) – e gli internazionalisti nascondeva però
una divergenza di fondo, destinata ad affiorare presto. La polemica più lunga e
astiosa, con risvolti personali anche pesanti, fu quella che tra il 1871 e il
1872 Stefanoni ingaggiò verso il duo Marx - Engels (da parte sua, in Les
prétendues scissions dans l’Internationale Marx definì il circolo dei liberi
pensatori «un convento di monaci e di suore atee», Genève 1872, p. 35); ma
anche rispetto ai bakuninisti Stefanoni manifestò un atteggiamento critico, respingendone
la prospettiva insurrezionalista. Negli stessi mesi egli portava avanti,
in sintonia con Garibaldi, il tentativo di unificare la frastagliata area
democratica, razionalista, socialista: nel gennaio del 1872 entrò a far parte
di un comitato provvisorio che, in vista della convocazione di un congresso
unitario, rivolse un appello a «tutti gli onesti democratici uniti in
fratellevoli consorzi aventi per scopi precipui il miglioramento delle classi
diseredate ed il trionfo della ragione sulla rivelazione» (Il libero pensiero,
1° febbraio 1872). All’appello era unita una Proposta di Garibaldi per
«l’aggregazione di una sola – quale centro direttivo – di tutte le società
esistenti, che tendono al miglioramento morale e materiale della famiglia italiana»
(ibid., 15 febbraio 1872). Seguiva alla Proposta uno schema di statuto di
quella supposta società, chiamata «Ragione»: lo statuto portava in calce la
firma di Garibaldi, ma in realtà era opera di Luigi Castellazzo e Stefanoni.
Pochi giorni dopo avevano aderito già cinquantasette associazioni democratiche,
repubblicane, socialiste e razionaliste, ma a causa dell’opposizione dei
mazziniani e dei gruppi internazionalisti napoletani e lombardi, l’iniziativa
si risolse in un nulla di fatto. Progressivamente defilato dall’attività
politica, negli anni Ottanta Stefanoni si dedicò alla divulgazione storica,
confermando in pieno il carattere fluviale della sua produzione. Fu la
stagione delle Storie d’Italia illustrate e «narrate al popolo» nel segno
dell’antimoderatismo e dell’anticlericalismo; nel complesso quindici volumi
cumulativi distribuiti su tre opere (tutte pubblicate dall’editore Perino di
Roma tra il 1882 e il 1888), in cui la narrazione, improntata a una chiave
laica e democratica, cominciava dai re di Roma e arrivava fino alla
contemporaneità. Intanto, negli anni Settanta Stefanoni era stato assunto
come impiegato presso il ministero delle Finanze, dove divenne intendente; ma
nel giugno del 1895 fu forzatamente collocato a riposo, nel corso di un lungo
contenzioso con la pubblica amministrazione generato da un trasferimento e
portato avanti per anni a suon di memorie, petizioni e ricorsi. L’intera
vicenda fu minuziosamente ricostruita nel pamphlet intitolato Tristi effetti
del governo parlamentare (Roma 1902), dove il suo caso personale assurse a
prova del carattere patogeno dei governi parlamentari e in cui, in linea con la
vague antiparlamentarista di quegli anni, si invitava il re a prendere in mano
il controllo dell’esecutivo. La tendenza a portare avanti controversie
senza fine, intrecciando alle ragioni pubbliche del contrasto aspetti personali
e atteggiamenti provocatori si era acuita con il passare degli anni, ed emerse
con forza nell’accanitissima battaglia ingaggiata nei primi anni del nuovo
secolo contro Guglielmo Marconi e il telegrafo. Nel 1903 Stefanoni indirizzò al
Senato una petizione contro il finanziamento di una stazione radiotelegrafica;
parallelamente inviò un diluvio di lettere a tutti coloro che a vario titolo
erano coinvolti nell’iter di approvazione parlamentare, compreso il presidente
della commissione incaricata di relazionare sulla questione, e pubblicò memorie
e pamphlet in cui, richiamandosi alla propria annosa polemica contro il
magnetismo, il «sistema Marconi» veniva definito una «pubblica e vergognosa
mistificazione» che non avrebbe dimostrato altro, se non «la leggerezza della
nazione italiana, così facile ad essere fatta zimbello dai furbi» (Contro la
radiotelegrafia Marconi. Memoria, Roma 1903, pp. 1 s.). Fu questa la sua ultima
battaglia, compendiata in un altro testo: Marconigrafia e marconimania (Roma
1903). Morì a Roma e fu inumato al cimitero del Verano il 6 marzo
1918. Fonti e Bibl: Milano, Archivio storico comunale, Stato civile,
Ruolo generale di popolazione 1835, vol. 55; Roma, Cimiteri Capitolini,
Cimitero monumentale del Verano, Anagrafe mortuaria. Sull’attività di Stefanoni
come direttore del Libero pensiero si trovano diverse notizie nel gruppo di
lettere conservate a Milano presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondo
Mauro Macchi, b. 6, f. 34. Un gruppo di lettere degli anni Sessanta e Settanta
indirizzate a corrispondenti diversi è conservato nell’Archivio del Museo
centrale del Risorgimento di Roma, b. 336. Per un breve profilo biografico: A.
De Gubernatis, Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, Firenze
1879, p. 961 (ma la voce fu composta molti anni prima della morte di
Stefanoni); più estesa la voce di E. Civolani, S. L., in Il movimento operaio
italiano. Dizionario biografico, a cura di F. Andreucci - T. Detti, IV, Roma
1975, pp. 703-705. Molto ricchi di informazioni sono: R. Zangheri, Storia del
socialismo italiano, I, Dalla Rivoluzione francese a Andrea Costa, Torino 1993,
ad ind.; G. Verucci, L’Italia laica prima e dopo l’Unità, 1848-1876, Roma-Bari
1996, ad indicem. Sull’attività politica degli anni Settanta: E. Conti, Le
origini del socialismo a Firenze, Roma 1950, ad indicem. Sulla polemica con
Marx ed Engels: K. Marx - F. Engels, Scritti italiani, a cura di G. Bosio, Roma
1972, pp. 43-61, 217 s., 269 s. Per i rapporti con Cafiero: P.C. Masini,
Cafiero, Milano 1974, pp. 43 s. DIZIONARIO
FILOSOFICO DI STEFANONI LUIGI CONTENENTE
L' ESPOSIZIONE DEI PRINCIPALI SISTEMI FILOSOFICI E TEOLOGICI, LA BIOGRAFIA DEI FILOSOFI ANTICHI E MODERNI, LA
CRITICA DEI DOMMI EDELLE ERESIE, LA
DEFINIZIONE DEI VOCABOLI SCIENTIFICI ATTINENTI
ALLA FILOSOFIA ECC. ECC. Volume
I. MILANO NATALE BATTEZZATI, EDITORE Via S. Giovanni alla Conca, 7. 1875.- 77 12.7.18 ^1. DIZIONARIO FILOSOFICO DIZIONARIO
FILOSOFICO DI STEFANONI LUIGI CONTENENTE
L' ESPOSIZIONE DEI PRINCIPALI SISTEMI FILOSOFICI E TEOLOGIGI, LA
BIOGRAFIA DEI FILOSOFI ANTICHI E
MODERNI, LA CRITICA DEI DOMMI E DELLE ERESIE, LA DEFINIZIONE DEI VOCABOLI SCIENTIFICI ATTINENTI
ALLA FILOSOFIA ECC. ECC. MILANO NATALE BATTEZZATI, EDITORE Via S. Giovanni alla Conca, 7. 1873. Parma Tipografia della Società fra gli Operai-tipografi. Uomo che adopra voci
alle quali non dachiaro senso e
determinato, inganna se stesso e gli
altri. LOCKE. Coloro che si occupano di scienze filosofiche
sanno quanto importi l' avere ad ogni
momento sottomano le de finizioni dei vocaboli, l' esposizione storica, e le
contro versie dottrinali della filosofia, senz' uopo di doversi sob barcare in
lunghe e penose ricerche di libri che spesso
non si possédono e più spesso ancora s'ignorano; onde mi parrebbe fatica vana lo spendere parole
per dimostrare agli studiosi , ed
eziandio ai curiosi, di quanta utilità possa
essere un Dizionario Filosofico.
Ma giova che si sappia quale indirizzo e quale ordine presiedettero alla compilazione di questo,
ch'è il primo che si pubblichi in
Italia, e che perciò appunto vanta maggiori
titoli alla tolleranza del lettore. Gli articoli onde si com pone questo
Dizionario possono dividersi in quattro classi
attinenti: 1. Alle definizioni. 2. Alla biografia ed alla storia, ove succintamente si espongono le
vicissitudini delle credenze religiose e
dei sistemi filosofici, e rapidissimamente si accen 6 nano i punti più salienti della vita dei
filosofi e degli ere siarchi. 3. Alle scienze positive, dove si espongono i
risul tamenti degli studi naturali, sui quali oramai, per co mun consenso,
tutta quanta la filosofia moderna si fonda.
4. Alla critica ed alla controversia, che delle teorie e dei sistemi architettati dalle scuole puramente
speculative, ad dita le parti manchevoli e le contraddizioni colla
scienza. Questi quattro caratteri or
s'incontrano in separati articoli, or si
riuniscono in un solo, secondo che parve più oppor tuno per maggior chiarezza
l'unirli o il separarli Ma ad ogni modo
la connessione delle idee è conservata con op portune citazioni di rimando
dall' uno all' altro articolo, acciocchè
la necessaria separazione dei vocaboli, in nulla pregiudichi l' unità d' indirizzo di tutta
l'opera, la quale s' informa a quello
stesso metodo di critica razionale, ch'io
già ebbi il conforto di vedere encomiato nella mia Storia critica della superstizione. Quindi il meglio
che io possa dire in favor dell' opera mia,
si è di ripetere le parole già rivolte
ai lettori della prima edizione di quel lavoro: « Que st' è il primo libro di
simil genere che venga in luce in
Italia, onde, avuto riguardo alla pochezza dei mezzi e alle difficoltà che sempre s'incontrano nei
nuovi tenta tivi della scienza, i lettori mi sapranno grado , quan anche
l'opera mia non fosse riuscita cosi difusa e cosi completa, come, pel bene della verità,
sarebbe a deside rarsi che fosse stata » .
Ma oltre la novità del lavoro, ben altri titoli mi danno diritto a sperare nella indulgenza del
lettore. Fin dal secolo scorso, Voltaire
mi ha preceduto col suo Dizionario Filo sofico, ma chi lo ha letto sa in quante
parti sia manchevole ed anche erroneo,
equantopoco risponda oggi ai bisogni della
nostra filosofia. Oltre di che una buona metàdi quel Diziona rio si
occupa di inezie o d'argomenti affatto stranieri alla filosofia, come sarebbero, ad esempio, gli
articoli Alfabeto, Agricoltura,
Alessandro, Aneddoti, Drammatica, Grano, Go verno, Imposta e tanti altri, basta
dire ch' esso trascura un 7 grandissimo
numero di vocaboli necessariissimi a conoscersi
e adefinirsi, e dei filosofi ed eretici appena pochissimi accen na, per
capire che l'autore fu prolisso in quelle cose nelle quali doveva esser parco, e fu invece
soverchiamente parco dov' era necessità
il diffondersi. Questi ed altri difetti,
che or non giova ripetere, io ho cercato
di evitare; onde non paia immodestia la mia,
se qui mi piace affermare la intera autonomia di questo lavoro, il quale, d'altronde, ha potuto
attingere la sua forza nei moderni
progressi delle scienze e nel vigoroso indiriz zo della nuova filosofia. Ad ogni modo,se io non sono riuscito ad
appagare in teramente il desiderio degli studiosi, non credo che la tol teranza
del lettore potrebbe, senza ingiustizia, venirmi meno. Eper vero, se a Voltaire, ricco, pieno di
fama e di sa pere, protetto dalla corte e appoggiato dal concorso volon tario
dei più illustri pubblicisti (* ) non è riescito di far opera perfetta, e nondimeno il mondo degli
Enciclopedisti in mezzo al quale getto
quel suo lavoro, giudicollo assai
benignamente, mi pare che, fatte le dovute proporzioni, una eguale indulgenza non possa rifiutarsi a chi
nella sola sua attività e nelle sue
sincere convinzioni attinge l'impulso ad
operare, e non ha poi su Voltaire altro vantaggio, che quello di essere venuto un secolo dopo. (*) Federico di Prussia in una sua lettera fa
risalire la data dei primi arti coli del Dizionario Filosofico di Voltaire all'
anno 1751, ma Colini, che poteva es ser meglio informato, così ne fa la genesi:
« Il progetto del Dizionario Filosofico
dev' essere riferito all' anno 1752. Il disegno di quest' opera fu
ideato a Postdam, ove in ogni sera,
mentre Voltaire sen' giaceva a letto, io gli leggeva, secondo l'uso, qualche frammento di Ariosto o di Boccaccio.
Il 28 Settembre egli si coricò assai
preoccupato, e m' apprese che alla cena del re (Federico di Prussia)
molto si era parlato dell' idea di un
Dizionario Filosofico, la quale a poco a poco concretata, si era convertita in un progetto serio. Ei mi
diceva che gli uomini di lettere del re,
e il re stesso dovevano lavorarvi intorno di concerto, e che si
distribuirebbero gli articoli, tali che
Adamo, Abramo ecc. Credetti in sulle prime che questo pro getto non foss' altro
che un ingegnoso scherzo inventato per rallegrare la cena; ma Voltaire, vivace e ardente, s' accinse al
lavoro ' indomani ». ABELARDO A
9 Abecedarj. Dopochè Lutero ebbe
| nella quale si distinse,meno, a dir vero,
assodato il principio, che la ragione in- per la novitàde'suoi precetti,
che per la dividuale è sola giudice
dellainterpreta- | foga giovanile e per la insinuante elo zione delle Sante
Scritture, Stork, di scepolo di lui, a rinforzare la massima del maestro, insegnò che lo studio non giovava a nulla nella interpretazione, ne eraanziunimpedimento,edistoglieval'uo
modallaparoladi Dio.Laondediceva, che
migliorpartito quello era di non imparare aleggere, perocchè coloro ch'erano dotti correvano pericolo di dannarsi. Parrà strano che da un principio diretto a sol
levare la dignità individuale, venisse de
quenza. A Parigi fu preso d'amore per
la nipotedel canonico Fulberto per nome
Eloisa, la sedusse e la mend in moglie
con vincolo segreto; ma gli amori suoi
resi popolari da una lettera ch'egli stesso scrisse, non furono nè onorevoli per lui nè ebbero buonfine.Poco di poi Eloisa prendeva il velo, e Abelardo, fattosi mo
naco, incominciò a scrivere su cose teolo giche. Or si è appunto nella sua In
troduzione alla Teologia e nella Teolo gia cristiana ch'egli, cercandodi
provare la verità della religione e dei
misteri per via di similitudini che li
rendessero chiari epalesiall'
intelletto, ebbe, da certi filosofi
moderni, il nome di razionalista. Il
quale se sia meritato io non saprei
dire, ma parmi, ad ogni modo, che il
dotta una conseguenza cotanto abbietta
econtraria allanostra intelligenza, e nol si crederebbe davvero, se la setta degli abecedari, che fu un ramo degli Ana battisti,
non fosse stata abbastanza dif fusa nella Germania, e non avesse anno verato
nel suo seno Carlostadio, uno dei capi
della Riforma. Ma tant'è; qualun- | vanto di appartenere a cotesto raziona que
sia il nome ch'ella abbia e dovunque
s'indirizzi, la superstizione riescirà sem pre a conseguenze funeste per
l' umana dignità. Abelardo. (Pietro )Le solite esa gerazioni
degli spiriti deboli, hanno at tribuito a questo teologo una poderosa missione contro alla Chiesa; nè manca rono
filosofi, come Cousin, Rémusat e altri
molti, i quali lo onorassero col ti tolo di vero campione del libero
pensiero nel medio evo. Cotesto èerror
massiccio, e ci vuol poco a dimostrarlo.
Abelardo nacque nel 1079 in Palais nella
Bretta gnada nobile e ragguardevole famiglia.
Studið dialettica a Parigi ed a Laon e
fu egli stesso maestro di questa scienza
lismo teologico non gli rimanga incon trastato, avvegnachè, senza tanto
dilun garci, Roscelino, maestro suo e capo
della scuola nominalistica (vedi NOMINA LISMO), non solo aveva prima di
lui sot toposto al ragionamento il mistero della Trinità, ma ancora l'aveva scosso dalle sue
basi. Vero è che Abelardo fu accusato e
condannato nel Concilio di Soissons, ma
nulla ci autorizza a credere che tal
condanna sia stata pronunciata contro ai
suoi principii razionali; chè anzi nelle
quattordici proposizioni condannate, non
vi troviamo altro che errori teolo gici intorno alla natura di Dio,
della Trinità e del peccato originale, i
quali, dal più almeno, furono prima di
lui pro 10 ADAMITI fessati da Pelagio, Nestorio, e Sabellio
ed altri celebri eresiarchi (Vedi questi
nomi). Benè vero che unsecondo concilio
adu nato a Sens sipronunciò controleopinioni
d' Abelardo, il quale, per altro, protestò di non aver mai professati gli errori che gli si imputavano, ed egli stesso gettò sul fuoco il libro nel quale pre
tendevasi che li avesse esposti. Ma è lecito
credere che quella persecuzione , meno
procedesse dall'odio per l'eresia, che per occulti rancori e rivalità personali fra Abelardo, l'abate di Thierry in prima, e S. Bernardo poi, il quale non aveva mancato di additarlo allacorte di Roma siccome « un Dragone infernale e il pre
cursore dell' Anticristo ». E la corte di
Romanondurò fatica a credere alle poco
cristiane accuse del turbolento santo, in quantochè costui non aveva
mancato di insinuare che Abelardo aveva
stretta una occulta lega con Arnaldo da
Brescia per rovesciare il primato di
Gesù Cristo (V. Bernardo Epist. 330,
331, 336, 337). Ma giova credere, cosa
d' altronde confessata dagli stessi
cattolici, che siffatte accuse non
avevano ombra di fondamento, fuor chè in una inimistà personale,
perciocchè ritiratosi Abelardo nel
monastero di Clu gni, fu rappacificato con S. Bernardo e vi morì, come dice l'abate Pluquet, con edificazione di tutti i religiosi nel 1142, in età di 63 anni. Accademica. Dicesi scuolaAcca demica la
filosofia che fu insegnata nella Grecia
durante il periodo di quattro se coli circa, che corrono da Platone fino ad Antioco. Tre sono le Accademie ge
neralmente ammesse. Quelladi Platone è
la prima; la media di Archelao, e la
nuova di Carneade. Una quarta Accade mia èriconosciuta da altri; e altri
ancora ne ammettono una quinta di
Antioco (Sesto Empirico. Instituzioni
Pirroniane lib. I c. 33). S'intende da
se, che lapri ma scuola accademica rappresentata da I'latone eda Socrate fu lanaturale
alleata dellospiritualismo; ed è perciò
chegli spiri tualisti eccletici, perla boccadel Prof. Sais set, riconoscono che
la prima soltanto è giunta all'apogeo
dellagrandezza, mentre colle altre s'
incamminò verso la deca denza. Il fatto si è che con Arcesilao lo scetticismo s'introdusse nell'Accademia e Carneadelo rinforzò provando che fra una percezione vera e una falsa non vi limite tracciabile, essendo lo spazio intermedio occupato da altre percezioni la cui differenza è infinitamente
piccola: onde tra la scuola Accademica
di Car neade e il Pirronismo, non vi è che una
differenza di quantità o, per meglio di re, d' estensione. Adamiti. Il Beausobre ha tacciato di inesattenza S. Epifane, il quale rife
risce (Hæres. 51) che gli eretici di una
antica setta solevano assistere alle ra dunanze del culto affatto nudi,
d'onde avevano preso il nome di Adamiti,
per ciocchè fu appunto in tal costume che
Adamo sen' venne al cospetto della di vinità. Quantunque la cosa sembri strana, non è tuttavia inverosimile, e se riflet
tiamo che tra i Greci ed iRomani l'uso
di scoprirsi la testa e di spogliarsi in
parte in segno di rispetto era generale,
non ci parrà impossibile che l'abbiano
adottato anche i cristiani. Anzi, contra riamente all' uso ebraico ancor
vigente nelle sinagoghe, dice S. Paolo
che i Greci convertiti oravano e
profetizza vano a testa scoperta, e Plutarco rife risce che Augusto,
scongiurando il Se nato che non volesse imporgli la ditta tura, si abbassò fino
alla nudità. Fatta la dovuta parte ai
costumi dei tempi, non vi è dunque nulla
d'invērosimile che alcuni cristiani per
un sentimento di esagerazione facilmente
spiegabile in uomini entusiasti, abbiano
preteso che meglio conveniva onorar Dio
nel co stume stesso ch'egli aveva dato al pri mo uomo. Quelche intendere
nonsipuò, si è che cotali settari
entrando, maschi e femmine, nel tempio
ignudi si con servassero casti a loro modo.
Anche in tempi più recenti lanudità
comeprincipiodi cultononmancodi setta tori. Gli Adamiti ricomparvero nel
secolo AGNOETI XIII guidati da
Tanchelino,il quale con tre mila armati
piantò la sua sede in Anversa; e nel
secolo XIV, sottoil nome di Turlupini e
di poveri fratelli, nel Delfinato e
nella Savoia an-lavano affatto 11 nudi ed inpieno giorno commettevano le azioni più brutal i. Furono distrutti da |
chè non sono rivelati mediante la pro
que attribuiti a Mosè; profetici, e son
quelli di Giosuè e seguenti; ed agiografi che sono i Salmi, Proverbi, Giobbe, Daniele, Esdra, Paralipomeni, Cantico, Ruth ecc. Agli agiografi attribuiscono un valore inferiore agli altri, inquanto
CarloV, che molti ne fece abbruciare. Un
secolo dopo nella Germania, un fanatico
per nome Picard facendosi credere no velloAdamo inviatodaDioper
ristabilire laviolata legge di natura,
insegnò la nudità del corpo e la
comunanza delle donne essere regola
naturale; e ai suoi seguaci ingiunse di
passeggiare affatto nudi però che,
diceva, chiunque copre la sua nudità,
senza ribellione dei sensi non può più
vedere una persona di sesso diverso dal
suo. Non sono molti anni che alcuni fa
natici tentarono di ristabilire la setta
degli Adamiti in America. Radunavansi
costoro in un granaio di Brooklyn a
Nuova Jork, ch'essi dicevano il Para diso Terrestre, e colà, uomini e
donne, nel costume Adamitico facevano le
loro divozioni. Ma nonostante la libertà
reli giosa concessa negli Stati Uniti, la po lizia non ha creduto di poter,
tolle rare questa novella rivelazione; laonde
gli Adamiti furono dispersi e minac ciati di un processo. Adiaforisti o indifferenti. Nome dato a coloro che nel secolo XVI segui rono
Melantone, al quale il carattere
pacifico impediva di aderire all' estrema violenza e al fanatismo con cui Lutero perseguitava gli avversari. Afortiori. Tanto meglio, amag gior ragione.
Impiegasi nelle materie di pura
controversia, quando si conclude dal
meglio provato al men provato, dal più
al meno, come per esempio: Agiografi.
Dal greco: scrittori sa cri. Gli ebrei distinguono i libri della Bibbia in legislativi, é sono i primi cin
fezia. Comunemente poidiconsi agiografi
tutti gli autori che scrissero la vita dei santi.
Agnoeti. Il capitolo XIII, verso 32
dell' Evangelo di S. Matteo, dice che
quanto al giorno e all' ora del giudizio
universale nessuno la sa, non pur gli
Angeli che sonnel cielo,nè il Figliuolo;
ma solo il Padre. Fondandosi sopra que sto passo, verso la metà del
quarto se colo i discepoli d'un tal Teofronio so stennero, e, per verità, non
senza fon damento, che Iddio non aveva una scien za universale, ma ch' egli
pure andava manmano estendendo le sue
cognizioni. Il perchè, dicevano essi
disputando, se il Figliuolo è consustanziale
al Padre ed è Dio egli stesso, come
potrebbe ignorare il giorno del
giudizio, se questo giorno è noto al
Padre Dunque, o Gesù Cristo non è Dio, e
inquesta opinione vennero gli arriani (
Vedi ARRIO ) oppure vi hanno cose che la
sua divinità ignora; d'onde costoro
ebberoilnomedi Agnoeti, sinonimo
d'ignoranti, siccome mettevano
l'ignoranza in Dio. Alcuni padri tenta rono di rispondere a questa
difficoltà, ma non ebbero che ragioni
fiacche o scem pie. Chi, come S. Atanasio (Sermone contro ' Arrianesimo) addusse che Gesù aveva ignorato il giorno del giudizio in quanto era uomo, e chi aggiunse (Ori gene
in Mati) che con quelle parole il
Figliuol di Dio questo solo aveva voluto
dire, che non aveva in quella cosa una
scienza sperimentale; il che, per altro,
poteva dirsi eziandio del Padre. Ma pare
che nenimeno i credenti fossero molto
convinti di queste ragioni, poichè non
mancarono altri che tentarono d' intro durre un nuovo genere di
spiegazione, sopprimendo addrittura il
versetto in questione. Tanto almeno ci
riferisce Fa 12 ALBIGESI bricio, il quale ha potuto accertare che |
disegno di mettersi al coperto dal fer in parecchi manoscritti antichi dell' E
vangelo di S. Matteo questo passo era
scomparso. E fu buona ventura che tal
soppressione non riuscisse a più com pleti risultati, avvegnachè ben
giovache la Chiesa porti seco il pesante
fardello de'suoi errori. Albigest. Nomedato ad una setta di eretici che occupavano la Linguadoca nel dodicesimo secolo. Quali fossero le dottrine degli Albigesi non è facile lo stabilire, perocchè ilBasnage, forse per soverchia tendenza a mostrare la conti nuità
della tradizione delle dottrine pro testanti,, li confuse co'valdesi, mentre
il Bossuet e altri cattolici vogliono
assimi larli ai manichei. Certo è che
fra le mol tissime sette che pullulavano in quei se coli, gli Albigesi potevano
avere attin to un po' a tutte lecredenze. Quindi se al manicheismo avevano tolta la creden za che
Lucifero era concorso nella crea zione del mondo, nonpuòdirsi per questo cheessi ammettessero che cotesto spirito decaduto fosse indipendente e coeterno a Dio. Non è certo che'negassero la divi vinità
di Gesù Cristo, e alladottrina della
Riforma s'accostavano in questo, ch'essi
negavano l'efficacia dei Sacramenti. Gli
Albigesi sono celebri nella storia per la feroce repressione cui andarono
soggetti. Contro di essi Innocenzo III
bandi una crociata per la quale concesse
i medesi mi benefizi spírituali che avevano lucrato i crocesegnati diretti alla liberazione,
del santo sepolcro. Guidavano la
crociata l'abate dei cisterciensi,
legato del papa, ch'ebbe il titolo di
Capitan Generale; 1 arcivescovo di
Bordeaux e il vescovo fi-Limoges.
L'esercito de'crocesegnati espugnò
dapprima Beziers, e vi commise vore dei
vincitori, seguendo il primo moto del
loro impeto, comechè non erano da alcuno
comandati, si gettarono su quegli
infelici e li trucidarono tutti senza
che un solo potesse salvarsi ». Ma se i
crociati non erano diretti da autorevoli
persone, ordini autorevoli avevano rice vuti dal Legato del papa, il
quale, in terpellato come distinguere si potessero i cattolici dagli eretici, uscì in
queste memorabili parole: Uccidete
tutti, Iddio riconoscerà i suoi.
Debellata Beziers po sero l'assedio a Carcassona, che s'arrese a patti, quindi si volsero contro
Lavaur, ove ben ottanta gentiluomini
furono ap piccati, e mossero infine contro Tolosa scopo ultimo della crociata e focolare dell' eresia. Inaudite barbarie scrive il cattolico Hurter, (Storia di Innocenz.
III) segnarono il cammino dell'oste
cattolica: inermi operai, donnee
fanciullitrucidati ; distrutti i
vigneti, atterrati gli alberi, segate le
messi, i casolari e i villaggi dati alle
fiamme fino presso della città, dove
finalmente icrociatiposero il cam po ». Dueanniresistette ilconte di To losa a
quell' orda de'vandali cristiani, ma
infine, debellata la città, ben 15,000 nuove vittime furono immolate al sitibondo mostro del fanatismo. Si chiuse la crociata con la convoca zione del
Concilio di Tolosa nel quale i vescovi,
di concerto coi signori, statui rono severe pene contro gli eretici, Eraclito, scriveva Aristotile, crede che l'animadel mondo sial'eva porazione
degli umori esterni che sono in lui,eche
l'animadegli animali pro cedetantodall'evaporazione degli umo ri esterni che
interni dello stesso ge nere>Macrobio però corregge il sen timento di
Eraclito, dicendo ch' egli credeva che
l' anima appartenesse al l'essenza stellare (animam scintillam stellaris essentiæ ). « Esiste, dic'
egli, moto, d'ogni vita. Quando un
corpo deve essere animato sulla terra,
una molecola rotondadi questo fluido gra
vita per la vialatteaverso la sfera lu nare, e colà arrivata ella si
combina conun'ariapiù grossolanae
diventa atta ad associarsi colla
materia.Allora essa entra nel corpo che
siforma, lo riem pie per intero, lo anima, cresce, soffre, ingrandisce, e con esso lui vien meno. Allorchè in seguito ei perisce ed i suoi elementi grossolani si disciolgono, que
stamolecola incorruttibile se ne separa
eal grande oceano dell'etere si ricon giungerebbe senza ritardo, se la
sua combinazione coll' aria lunare non
la ritenesse ( Macrobio. Sogno di Sci
pione) ». Ennio invece non si accorda
con Macrobio, e vuol che l'anima sia
tratta dal Sole (Varrone Della lingua
Sabina lib. IV). Zenone la riconduceva
agli elementi del fuoco, e gli stoici ag giungevano che il seme umano
non é altro che un estratto delle parti
dell'a nima. » Epicuro, dice Plutarco. crede
che l'anima sia unamiscela di quattro
cose, di un certo che di fuoco, d'aria,
di vento e di una quarta sostanza che
non ha nome. Un'aria sottile la crede vano Anassagora, Anassimene
Diogene ; Anassimandro, piú ragionevole
degli al tri, credeva che l'anima altro non fosse che il sangue; ma Marc' Antonino la faceva derivare dal sangue e dal vento; eDicearco diceva addrittura che anima nonv'era.
Da questi esempi noi dunque ve diamo che quasi tutta l'antichità pa gana
ignorava affatto la spiritualità del l'anima ; ma i nostri moderni
credenti saranno molto sorpresi di
sapere che eziandio l'antichità
cristiana non la co nosceva meglio. Non ho bisogno di dire che le Bibbia stessa non ci dauna idea dell' anima che sia men materiale di un fluido luminoso, igneo, sottilissimo,
quella che avevano i filosofi pagani. In 30
ANIMA fatti le due volte che
l'autore della Genesi discorre dell'
anima, ce la mo stra, nell'una siccome un fiato, nell'al tra siccome identica
al sangue. » E il «Signor Iddio formò l'
uomo dalla pol «vere della terra e gli alitò nelle nari Èuna difficoltà grandissima, dice De la Lubere » il dare ai Siamesi l'idea di un puro spirito, e lo attestano i missio nari
che vissero lungamente in quei paesi.
Per vero, tutti i paganidell'Oriente
credono che dopo la morte dell' uomo
qualche cosa sussista separatamente e in non è molto antica. E per
verità, una astrazione di questa natura
non troppo facilmente si forma, perocchè
ciò che contrasta colla esperienza e
colla realtà, ripugna non meno ai sensi
che alla ra gione. Noi possiamo dunque dire senza tema di errore, che la spiritualità del
l'anima è concetto quasi esclusivamente
cristiano, perciocchè non ci voleva meno
che una gran tendenza al patire, e una
delirante smania di fiacccre la carne e
distruggere i vincoli del corpo, per far
sorgere nel nostro cervello il pensiero di un Ente, che è la negazione di tutte le ANIMA
DEL MONDO entità; il che sarà dimostrato
nell' arti colo SPIRITO. Quale poi sia
la sede dell' anima, fu oggetto di
strane e curiose ricerche fra
imetafisici e iteologicidell'antichità, nè occorre dire che essi, come al solito,
nè si accordarono nè si intesero intorno
a questo punto. Parendo a Platone
che un' anima sola fosse poca cosa, tre
ne suppose: l'una ragionevole, e la mise
nel cervello; l'altra irascibile, e la
collocò nel petto;
l'ultimaconcupiscibile e laconficcò
31 prevalente. Bacone crede
invece che due principii siano in noi:
un' anima sensi tiva comune a tutto ciò che respira, ed un' anima ragionevole particolare per nel basso ventre. Tanto valeva il creare addrittura un'anima per ogni special fun
zione del corpo umano. Maquelli che si
contentaronodiun'animasola, laposeronel
petto o nel cervello; e fra quelli che la posero nel cervello Descartes la
conficcò nella glandula pineale, per la
ragione che nel cervello è sola e vi è
sospesa in guisa da prestarsi atutti
imovimenti. Ragioni altrettanto
convincenti consiglia rono altri a porre l'animanei ventricoli del cervello, o nel centro ovale, o nel corpo calloso, e altri in altri siti non meno curiosi.
Che gli australiani ignoranti e rozzi
come sono, credessero, come abbiamo
veduto, che l'uomo può avere due ani me, è cosa che non farà maraviglia
a nessuno. Quel che sorprende è, che
una tal supposizione abbiapotutoentrarenella testa d'uomini d'ingegno e che ebbero fama d'increduli, come Bacone e Buffon. Ambi supposero che fossero in noi due principii, e il Buffon credè di provarlo citando certe contrarietà, che talora na
scono in noi per la noia, l' indolenza e
il disgusto, in cui pare che il nostro io sia diviso in due persone; laprima delle quali, che rappresenta la facoltà ragio nevole,
biasima la seconda,ma non è ab bastanza forte per opporsi efficacemente evincerla. Ed è strano davvero, dico io, che un naturalista non siasi avveduto chequesta sorta di contrarietà,
piuttosto che riferirsi a due
principii,non rappre senta altro che quello stato nel quale l'io non sa,nè può determinarsi fra due opposti stimoliesterni, nessun de' quali
è l'uomo. Ma il cancelliere d'
Inghilterra non si avvedeva, che
separando la sensa zione dal pensiero scindeva indue l'unità dell'io senziente, e riteneva che il pen
siero fosse indipendente dalla sensazione;
il che è assurdo, poichè in tal caso non
solo bisognerebbe riconoseere l' esistenza di pensieri o di idee innate, ma si do vrebbe
ancora ammettere che oltre alla
sensazione, nel feto appena concepito esi ste eziandio il pensiero.
Perocchè, o l'a nima pensante esite nel feto senza pen siero, il che è assurdo;
oppure il prin cipio pensante pensa nel feto realmente prima ancora che si siano formati gli organi della sensazione. Il che non è meno assurdo, non potendosi concepire alcuna idea che possa essere dimostrata anteriore alla sensazione. (Vedi IDEE IN
NATE, PENSIERO, IMMORTALITÀ, ANIMA ZIONE. Per l'animadelle bestie v.
BESTIE). Anima del mondo. Poichè si era dotato l'uomo d un'anima per spie gare
l'attività del corpo, ragion voleva che
al mondo, o, per meglio dire, all'u niverso, si assegnasse un' altra anima per spiegarne i movimenti. Nella filoso fia
greca Platone, il padre di tutti i
misticismi possibili e impossibili, ebbe la gloria d'inventare questa singolare ani ma,
la quale, a parer suo, concorrere doveva
a rendere perfetto il mondo e a spandere
in ogni parte il movimento e la vita. Ei
non pensò nemmeno che se il mondo era
animato, e l'uomo si com pone della materia di che è composto il mondo, ' assegnare un' anima aquesto secondo essere, diventava una duplicità inutile. Ma ciò non doveva sgomentare Platone, il quale aveva giàdotato l'uomo di tre anime. (vedi ANIMA) L'anima del mondo passò naturalmente nella scuola d'Alessandria, erede delle teorie di Pla
tone; ma presso gli stoici viene innal zata fino all'idea di Dio, con questa
sin golarità però, che questa anima-Dio è 32
ANIMAZIONE una forza attiva della
materia e le im prime il movimento e le dà le forme sotto le quali ella ci appare. Del
resto, il concetto dell'anima del mondo
o del I' anima universale, è domme pressochè
generale di tutta la filosofia antica, ma manifestamente si concreta in Zenone, il quale si raffigura il mondo come un grande animale sferico composto di ma teria e
d' intelligenza, e l' intelligenza
concepisce sotto un certo che d' igneo,
che definire non si pud. Imperocchè il
fuoco ha una parte principalíssima in
tutti i sistemi filosofici dell'antichità, e siccome era quanto di più sottile si co
noscesse, così sovente i filosofi ricorre vano alla sua imagine per rappresen
tare le loro inesprimibili astrazioni, come
oggi ricorrono alla parola Spirito per
rappresentare tutto ciò che definire non
si pud. L'animadel mondodiventa ancor
più materiale con Aristotile, il quale la confonde con l'etere che, a parer suo, muove l'universo.A'giorni nostri l'anima del mondo è scomparsa ed è stata so
tendimento, l'altra alla sensibilità, ed era
questa che si chiamava carro sottile del l'anima secondo i pitagorici, e
che i rab bini, al dir di Macrobio, chiamavano
vascello (Macr. Sogno di Scipione). Se guitando la dottrina dei germi
preesi stenti, Ippocrate da buon medico, rese il mistero dell'animazione un po' piùmate riale,
supponendo che i germi delle ani me, fluttuanti nell' aria, per gli organi della respirazione si introducano nel cor po
umano, si svolgano primamente nel sangue
e poi nell'utero. Come si vede, questo
ingegnoso sistemanon aveva che un
difetto solo, quello di rendere super flua l'azione del maschio, poichè se
i germi dell' animagià esistononella fem
mina, non si capiscelaragione onde non
si sviluppino da soli. Meno male chePla tone era stato lontanissimo da
queste materialissime figuredell' anima;
egli l'a vea anzi elevata alla sublime altezza
dei suoi sogni incomprensibili. » L'esi stenza di ogni generazione,
diceva egli, consiste nell'unità dell'
armonia triango stituita dalla forza, che alcuni concepi- golare (e perchè
nondel quadrilatero ?); scono come
principio indipendente e se parato dalla materia, sistema che è ca gione di
tanti errori e di tante aberra zioni ( vedi FORZA).Ma in conclusione i filosofi moderni che così pensano, non fanno che cambiare nome alle cose, e riprodurre, sotto forme nuove, sistemi an
tichi. Animazione.Dopo avere
esposte le varie opinioni dei filosofi
intorno al l'anima umana, ( vedi ANIMA) conviene oraesaminare lenonmeno singolari idee che essi hanno concepite per spiegare il modo con cui essa si forma e penetra del nostro corpo. Pitagora è il primo che accenni alla preesistenza dei germi per tutti gli animali. Quanto all'uomo, egli diceva che si compone di una so stanza
la qual discende dal,dervello del padre
e che si sviluppa per mezzo di un vapor
igneo. Cotal sostanza forma, se condo lui, il corpodel figlio, e il vapore costituisce l' anima sua. La quale però è doppia, perchè l'una parte serve all'in il
simulacro del padre che genera, e quello
della madre nel quale si genera possono
bencostituire due lati del trian golo; ma per renderlo perfetto bisogna aggiungervi il terzo lato della figurama
tematica, vale a dire il simulacro del fi glio che è generato. » Ecco una
spiega zionela quale,senonsaràintesa,non sarà
però meno ammirata, poichènella meta fisica di solito si ammira appunto
ciò che non s' intende. Anche la casistica cristiana non ha voluto lasciare inesplorato questo ferti
lissimo campo delleumane congetture, e
S. Agostino nelle sue Meditationes de votissimæ si domanda: Quid sum ego
? E risponde: Homo de humore
liquido; fui enim in momento
conceptionis in humano semine conceptus.
Deinde spu ma illa coagulata modicum crescendo
caro facta est. S. Agostino non poteva
risolversi a credere che l'anima, occulta ta nel semepaterno,
s'infondesse nelger me della madre al momento della fecon ANIMAZIONE dazione.
Se così fosse quante anime an drebbero perdute acagionedell'onanismo edella spontanea polluzione ! Ecco per chè
egli crede che l'anima umana, alla 33 mo fatto. Siamo già assai lontani dalle assurdità teologiche, ma lontani ancora dalla verità. Harwey ci fa avanzare diun guisa stessa di quella del Salvatore, ri
sieda nel ventre dellamadre. L'aziondel
padre è nulla in quanto allo spirito!
L'aníma s'infonde direttamente nel seno
materno ! Senza avvedersene Agostino
cadeva nella contraddizione d' Ippocrate
enon giungeva a spiegare perchè mai
le anime non sbucciassero fuori da se
sole, dal momentoche s'infondevano nel l'utero materno senza alcuna
azione del maschio. Ma aveva egli ben
altri pro blemi da spiegare ! Trattavasi di sapere inqual momento l'anima umana sarebbe restata contaminata dal peccato origina le;
ciąè, se prima o dopo la infusione nel
seno della madre. E risponde, che
l'anima infusa èviziatadalla carne(Quæst
Vet. Qest. XXIII) Per lo teologia Iddio
hadunque questo nobilissimo ufficio, di
creare continuamente delle anime e di at tendere il momento della
fecondazione per infonderle subitamente
nel ventre della femmina. Quante
innumerevoli oc cupazioni per un Dio solo! Nè la opi nione di S. Agostino sulla
continua cre azione rimane senza fondamento. Egli l'appoggia sopra ilvangelo, dove è detto che il padre opera sino ad ora (Giov. V 17) e dove S. Paolo dice: Seminatur corpus animale, surget corpus spirita le.
Infine S. Agostino doveva avere an che la testimonianza di un papa, Ales sandro
VII, il quale nella sua infallibi lità , colla costituzione dell'anno 1661, di
chiarava che l'anima di Maria Vergine
nel primo istante della creazione e infu sione nel corpo, per special
grazia epri vilegio di Dio, fu preservata dalla mac chiaoriginale. Ma abbandoniamo lacasistica e pas siamo alla
filosofia moderna. Ecco De scartes che genera l'anima col concorso de' due semi e per l'intermediario del movimento. Le molecole dei due spermi fermentano insieme, ed ecco uscirne un cuore, un naso, braccia e gambe; un uo passo:
è ancor poco, maè sempre meglio che
nulla. Carlo I d'Inghilterra gli aveva
abbandonate le bestie selvaggie dei suoi
parchi, e il medico sì bene ne usò che
dopomoltissime dissezioni anatomiche si
accorse, che un punto animato s' agitava
nel liquor cristallino della matrice. II
punto-anima eradunquetrovato, manon
era giàil punto matematico senza dimen sioni, non una astrazione
metafisica; era unpuntomateriale.
Piùtardi Leuwenhoek esaminando col
microscopio lo sperma umano vi scoprì
gli animalucoli sperma tici: fu una rivelazione. Una goccia di sperma diventava un oceano di anime. C'era tanto dasgomentarnela metafisica e la filosofia teologale. Come ! Un ani
malucolo spermatico, una sorta di rettile
microscopico che naviga nel liquor semi nale sarà quello che s'insinua nell'
uovo della matrice, lo feconda e si
trasforma in uomo? Come! sarem noi
dunque i di scendenti di un animale, poichè non vi ha dubbio che questo animale spermatico rappresenta il principio
dell'animazione? L'anima sarà dunque
unprincipio mate riale; un puntomobile che naviganegli organi genitali del maschio? Bisognava ad ogni costo distruggere cotesta
teoria, enon mancarono filosofi che vi
si ac cingessero con un santo entusiasmo. Un
naturalista che non osava negare questi
animalucoli spermatici, cereò distruggerli in altro modo, e scrisse ch'erano come una sortadiparassiti, che vivevano nello sperma, come gli ascaridi vivono sotto
la pelle e gli entozoari negl'intestini,
insom mauna sorta di malattiache si era ge nerata un mezzo secolo indietro. Gli
fu mostrato che i vermi seminali non si trovano nè nei bimbi, nè negli eunuchi, nè nei vecchi, nè negli adulti durante
il periodo di certemalattie. Malafede
val più della logica e dell' esperienza,
e il malizioso contradditore nonmancò di
dire che ciò dipendevaperchè inquegli
esseri erano morti. (Bourguet
Lettre philos. 3 34 ANIMAZIONE
sur la formation des sels et des cristaux). coli; cosa impossibile a
concepirsi. Con
Parevache dopolascopertadi Leuwen- tuttociò i partigiani di Vallisnieri non
si hoek ilmistero dell'animazione
dovesse es- diedero per vinti, ed anzi procuraronodi sere spiegato col concorso del doppio
ribattere lobbiezione movendone un'altra
elemento: lo spermatozoide del maschio, dello stesso genere ai
partitanti degli el'ovulo dellafemmina.
Ma per solito spermatozoidi. Una balena che pesa sei le cose più semplici son
quelle che centotrenta mila libbre , dissero essi, Diacciono meno. Un famoso medico ita- nel
ventre della madre saràdunque stata
liano, il dottor Vallisnieri, discerolo di settecento quarantotto
milioni ottocento Malrighi, sulla fine
del secolo XVII s'av- mila miliardi di volte più piccola della visò di imaginare che l'ovario della prima
sua mole attuale. Il numero è prodigioso
femmina contenesse delle uova, le quali davvero, ma ancor lontano da
quello di aloro volta contenessero degli
altri es- trentamila cifre. (Altri calcoli non meno seri organizzati coloro ovari piú piccoli, curiosi si possono vedere nelle opere di ecosì di seguito all'inanito. Con questo
Rouybe T. II) Harsoëker si credette
metodoil dottor Vallisni ri faceva risalire vinto, ma ebbe torto. Il
perno della que direttamente a Dio la creazione primitiva stione non sta nella maggiore o minore di tutti i germi, che nel corso dei secoli
piccolezza del germe; bensì nel fatto che
si sarebbero poi trasformati in uomo ; gli spermatozoidi si vedono e i
germi perocche Iddio, creando il primo
germe, preesistenti non si vedono guari. Ad
aveva posti dentro, l'uno nell'altro rav- ogni modo la controversia non
era finita. volti, i tutti germi futuri.
Tal fu il cele- Dopo Harsoëker viene Needham, gran bre sistema dei germi preesistenti e del
fautore dell'epigenesi, celebre per le sue
Loro imbottamento in un solo. Come si esperienzemicroscopiche, le
qualivalgono vede, i medici del medio
evo erano pure meglio dei numeri del suo predecessore. i gran metafisici! Ma Harsodber era Egli
prende il liquor seminale dell'uomo
rimasto fedele agli animalucoli sperma- e degli animali, lo chiude
ermeticamente tici enonmancò di mostrare
quanto fosse in unvetro, lo lascia lungamente esposto ridicola la teoria metafisica dell'imbotta-|
al calore onde farperire ogni essere or mento dei germi preesistenti.
Collapenna alla mano dimostrò il
rapporto di gran dezza che doveva esistere fra il grano di una pianta sviluppata nel primo anno della creazione, e quello che, dopo una seria continuata di riproduzioni, si svi
lupperebbe nell' ultimo anno del sessan tesimo secolo. Questo rapporto era rap
presentato dalla cifra spaventosa di una
unità seguita da trenta mila zeri! Har ganizzato che possa esservi entrato;
ma in capo aqualche tempo, quand'egliesa
mina il liquido al microscopio, lo trova
ancor formicolante di animalucoli, quasi
eguali a quelli di cui ilmicroscopio gli
attestava la presenza nella farina di
grano umettata. Da questa omogeneità
di fenomeni Needham fu tratto a con chiudere che la generazione doveva
es soëker aveva accettato come base dei
suoi computi i sessata secoli della tra dizione biblica ; e non pertanto
quale orrendo paradosso non risultava egli
da questo semplice calcolo! Un grano
di frumento nel paradiso terrestre,
perchè potesse contenere tutti igermi di
ripro duzione di sessanta secoli, o doveva es sere considerata come una cotal
forza vegetativa, la quale, per altro,
spiegare non seppe. Non si negarono le
sue espe rienze, ma si disse che i germi
infinita mentepiccolipotevanopenetrare dal di fuo ri anchein
unvasoermeticamente chiuso.
Acomporrelaquestionevenne infine
Buffon. Posto tral'incudinee il martello, ecostretto ad attribuire l'animazione o sere più grosso del numero di trenta mila
cifre or detto, o i germi dovreb bero essere stati di altrettanto più pic-
minciò col dichiarare che l'uovo nei vi
all'uovo od ai zoospermi, o spermatozoi di, come più tardi si
chiamarono, inco ANIMAZIONE vipari altro
non è che un essere di ra gione, e quanto agli spermatozoidi, se esistevano, ( prudente riserva ! ) non potevano costituire il feto. Quindi, sup
pouendo che vi siano in ogni essere
35 zione intestinale. (Pouchet.
Théorie po sitive de l'ovulation spontanée p. 321). Adunque, se il fatto dell' assenza o del l'esistenza di un organismo é contro una
quantità di molecole simili sempre
attive, le quali se si liberano dalle parti inorganiche producono un nuovo es sere,
spiegò con esse il grande affare della
generazione. Buffon non si avve deva forse che le sue molecole organi
chenonerano, alpostutto, che laripro duzione degli spermatozoidi ? Forse
sì; ma i grandi genii non accettano
le scoperte altrui: le creano a nuovo !
Co munque sia, nè le molecole organiche
di Buffon, né gli animalucoli viventi di
Leuwenhoek piacquero amolti fisiologi
moderni, i quali inclinano a conside rarli siccome elementi organici con
correnti alla fecondazione dell' ovulo.
Questaopinione sifondaprincipalmente
sul fatto , che tutti gli animali non
solo si muovono, ma mangiano, dige riscono e si riproducono, cosa che
non si è ancor osservata negli
spermatozoidi. Per altro, non si può
negare che le osservazioni microscopiche
siano ancora troppo incomplete per
stabilire assolu tamente la nostra opinione. E la in compiutezza di queste
osservazioni fon datamente la possiamo desumere dalla grande contrarietà di risultati a cui hanno condotti i micrografi ; talchè mentre i partigiani dell' opinione che considera gli spermatozoidi quali ele menti
organici, come Prevost, Dumas, Wagner,
Lallemand,Kölliker si fondano
specialmente sul fatto, che essi non
hanno organismo; i difensori della op posta opinione sostengono il
contrario. Ecosì Valentin ha
riconosciuto delle traccie di
organizzazione negli sperma tozoidi dell'orso: delle vesciculestomaca
liocirconvoluzioni d' intestino; Schwann
pretende chealcentro della testa degli
spermatozoidi dell'uomo esiste unaven tosa analoga a quella dei
cerciari, e Pouchet assicura di avervi
osservata una ventosa stomacale e una
circonvolu versa, si capisce facilmente come debba essere controversa anche l'opinione della loro animalità, tanto più poi quando tutti si accordano intorno alla singolarità dei loro movimenti. Ecco infatti come ce li descrive A. Longet ( Traité de Phisiologie p. 739. Paris 1860). » Il raovimento degli spermato zoidi
non ha nulla di comune con quello che si
osserva sotto il micro scopio nelle particelle trasportate da correnti più o meno rapide, o col mo vimento
molecolare sul quale R. Brown ha
chiamato per il primo l' attenzione dei
micrografi. Infatti, gli spermato zoidi si vedono dirigersi in avanti, come se tendessero verso un punto determinato, ritornare in senso con trario,
ciascuno seguire una direzione
differente, urtarsi, separarsi, passare fra i globuli mucosi che li circondano, abbassarsi nel fluido ove nuotano 0 elevarsi alla superficie, in una parola, agitarsi come se fossero sotto l'influ enza
di un impulso volontario «. Ar roge che gli spermatozoidi sottoposti alle esplosioni elettriche, più non si muovono e il liquido spermatico di venta
inetto alla fecondazione. Ad ogni modo,
comunque sia ri solto il quesito dell' animalità o non degli spermatozoidi, il principio filoso fico
nou muta, avvegnacché sia ben accertato
che, molecola o animale, lo
spermatozoide è il principio necessario
della fecondazione. I fisiologi di tutte
le opinioniin questo si accordano, che
il liquido spermatico sprovvisto di sper matozoidi, come frequentamente
accade in quello dei vecchi, dei
fanciulli, del mulo edegli animali
selvaggi fuori del l'epoca del rut, non produce feconda zione, mentre poi le
esperienze di Spal lanzani hanno dimostrato che una goc cia di liquido tolta da
un volume di 18 once d'acqua, nella quale
siano stati di 36 ΑΝΤΙΝΟΜΙΑ luiti soltanto tre grani di seme con spermatozoidi, può ancora essere dotata di potenzafecondante. Tutte le opinioni della teologia e della metafisica non potranno dunque negare la potenza fecondatricedegli spermatozoidi, i quali si ostinarono e si ostinano tuttodi ad affermare la loro presenza e il diritto
di cittadinanza nel regno umano, e
sono anche l'ultima parola che, nello
stato attuale delle nostre cognizioni,
la scien za possa dire intorno al mistero dell' a nimazione umana. L'origine
dello spi rito è dunque rappresentatada unamo lecola materiale! Animismo. Sistema filosofico del dottor Stahl, il quale, alle cause mecca
niche e fisiche colle quali si spiegano i
fenomini vitali e patologici, sostituisce sempre e in ogni caso l'azione diretta dell' anima sull' organismo umano. (Vedi STAHL. )
Anticristo. D' onde derivi la fa vola dell' anticristo non è facile lo
sta bilire. S. Giovanni nell' Apocalisse dice
che il diavolo sarà legatoper mille anni
e poi appresso dovrà essere sciolto per
poco tempo, ed uscirà per sedurre le
genti che sono ai quattro angoli della
terra (Apoc. XX 2, 3, 6, 7). Probabil mente Lattanzio copiando questa
leg gendaha trasformato Satana nell'Anti cristo, così detto perché deve
precedere di poco la venuta di Cristo
per giudi care i vivi ed i morti. Altri teologi più recenti e non meno famosi lavorarono intorno a questa leggenda e tessero la vita di cotesto personaggio favoloso, che sarà il precursore della fine del mondo. S. Alfonso de Liguori,nelle sue Disser
tazioni Teologiche assicura, sulla fede
di chi, s'ignora, che l'anticristo na sceràin Babilonia dal connubio di
una vergine col diavolo; e dal demonio
sarà educato ne' segreti della magią e
nel l'arte di sedurre le genti. Fatto adulto
con falsi miracoli e simulando la santità della vita, si farà credere il Messia, gua
dagnerà i popoli al suo partito, e for merà eserciti, moverà guerra ai
principi e ai vassalli, e infine,
gettata la ma schera, si abbandonerà alla più bassa lascivia e
alle più empie turpitudini. Sugli
altari porrà la propria effige, e dopo
di essere stato riverito dal mondo come
il più santo e il piùpotente, vorrà
sostituirsi a Dio. Rotta allora unaguerra feroce contro la Chiesa e i suoi mini stri,
contro Dio e la Vergine, egli per seguiterà col ferro ecol fuoco tutti colo ro
che non vorranno apostatare. Questa
persecuzione durerà mille duecento no vanta giorni, nè più nè meno, dopo
i quali pioveranno dal cielo i torrenti
di fuoco che distruggeranno tutti gli
esseri, e l'arcangelo Michele scenderà
dal cielo per uccidere l' anticristo e
gettarlo nel l'abisso. Selaleggenda
teologica, secondo ogni evidenza, è
copiata dall' Apocalisse, con vien dire eziandio che il fondamento del racconto apocalittico riposa sopra un mito orientale, vale a dire sopralagran lotta finale, che, secondo il dualismo persiano, dovrà avvenire alla consuma zione
dei secoli fra Ormuzd ed Arimane, il Dio
della luce e quello delle tenebre. ( Ved
i DUALISMO) La Riforma ha però ben
saputo trarre al suo partito anche
questa favola con un apposito articolo
di fede, nel quale si dichiara che l'anti cristo è il papa; e non
mancarono fra i riformatori uomini che
si dedicassero a studi singolari per
dimostrarlo. (Vedi APOCALISSE.) Antinomia.Kantchiamaantinomia ogni contraddizione che derivi dalle
leggi stesse della natura,eche sia
indipendente da quelle del ragionamento.
Si corre quindi incontro all' antinomia
tutte le volte che si abbandona il
metodo speri mentale per seguire le astrazioni dell' as soluto, perciocchè
laddove le cognizioni sperimentali ci
vengono meno, riesce facile il sostenere
il prò e il contro in una stessa cosa.
Ad esempio, noi pos siamo affermare enegare al tempo stesso che oltre gli spazi visibili esista
altra materia; affermare e negare che la
ma teria sia infinitamente indivisibile e che ANTROPOLOGIA quindi in un corpo limitato risiede l'in
finito; ecc. Queste sono le antinomie
della ragione pura; ma Kant rico nosce eziandio le antinomie della ra
37 Non solo considerò il piacere come in
differente, ma come un mal reale; le
gionepratica, nellequalifacilissimamente
s' incorre nella ricerca degli assoluti
principii morali od estetici, avvegnachè
non appena siasi affermato il supremo
bene, o il supremo bello, si trova che
altro era il bene e ilbello affermati dalla storia passata, ond' è lecitosupporreche altri saranno quelli affermati dall'avve
venire. Non vi è del pari principio mo rale cosi assoluto che la ragione
non distrugga e lastoria
nonsmentisca(Vedi BENE, ESTETICA,
MORALE.) D'onde si vede che l'antinomia
con duce neccessariamente allo scetticismo.
Antioco Filosofo accademico nato
in Ascalona un secolo prima di Gesù.
Succedette a Filone, e può dirsi che con
lui è morta la scuola accademica. Di ti mide opinioni, senza indirizzo
proprio, egli tentò di fondare una sorta
di eccletismo fra tutte le scuole dei
suoi tempi ; tutte le volle unire e
tutte levolleconsiderare come
nondivergenti che per la forma. Pretese
in tal guisa di conciliare Platone con
Aristotile, Pirrone con Socrate ed
incontrò la sorte di tutti i conciliatori ad ogni costo, perocchè, se fu amico di tutti, non riusci per altro a conciliare alcuno.
Antistene fondatore della setta
dei Cinici, (vedi CINICA); visse ad Atene sul principio del quinto secolo avanti G. C. Fu discepolo entusiastadi Socrate esi dice ch'egli facesse ogni giorno qua
ranta stadi per sentirlo. Insegnò il tei smo puro, quasi spirituale dei
cristiani, dicendo che Dio non ha forma,
nè può essere rappresentato da imagine
alcuna. Ènaturale che questa astrazione
filoso fica dovesse tendere ad essere se sofferenze invece trasformò in bene,
di guisachè l'uomo queste doveva cercare
e non quello. Quindi l'essenza della
virtù doveva consistere nell'assenza
d'ogni bi sogno, e in una sorta di annichilamento dello spirito. Donde la massima d'Anti stene,
che men bisogni noi abbiamo, più noi
rassomigliamo a Dio, che non neha
alcuno. Ventiquattro secoli dopo, la mo rale cattolica per la boccadi
Alessandro Manzoni, doveva proclamare lo
stesso principio: > Piùnoi soffriamo,
più siamo simili al figliuol di
Dio(Manzoni. Osserva zioni sulla morale cattolica). Uomini che non dovevano conoscere il mondo se non che per ripudiarlo, qual bisogno avevano del sapere ? Onde, se crediamo aDiogene Laerzio, Antistene disprezzava la
scienza, nè voleva che s'apprendesse a
leggere e a scrivere; errore che nel
medio evo fu ripetuto dagli Abecedarj
ecareggiato da tutti i mistici. Antitatti. Eretici che comparvero verso lametàdel secondo secolo, i quali professavano il principiodinonfar nulla di ciò che ordinava la Scrittura. D'onde ebbero il nome di Antitatti, dauna voce greca contr'ordinare. Antitrinitari.Nomecomunedato avarie sette, che in diverse epoche ne garono
il domma della trinità. Gli anti trinitari vogliono essere divisi in due spezie: i triteisti, i quali suppongono che le tre persone divine siano tre di verse
sostanze; e gli unitari, i quali non
ammettono che unDiosoloele tre perso nedivineconsiderano come semplici
attri buti dilui. Queste diverse opinioni furono sostenute da Arrio, Macedonio, Sabellio, Prassea, Socino ecc. (Vedi questi nomi). Antropofagia. Vedi MORALE. Antropologia.Etimologicamente vale discorso sull'uomo, e in questo lato guita da un esagerato misticismo dei costumi. Quindi ampliando i principii di Socratesuo maestro, insegnò ladottrina della macerazione, press' a poco nel mo do
stesso col quale la insegnarono dopo di
lui i mistici del cristianesimo. | gressi delle scienze naturali che si ven
senso infatti s'intese nel passato, quando o gni scienza, fosse pur metafisica,
che ri guardavalostudio dell'uomo,pretendevadi
aver diritto a questo nome. Ma i pro 38
ANTROPOMORFISMO nero affermando
in questi ultimi anni, le acquistarono
un carattere oggidì assai ben
determinato, e tutte le speculazioni
metafisiche sulla natura spirituale del l'uomo relegarono nella
psicologia. Or mai, l'antropologia è la scienza naturale dell'uomo considerato, sia nella sua indi
viduale struttura, sia nella varietà delle
razze comparate col diverso sviluppo
fisico e intellettuale, e in rapporto an che cogli altri tipi. Quantunque
ristretto in questi limiti, facilmente
s' intende quanto sia ancor vasto il
campodell'an tropologia , avvegnachè entrano nelle sue ricerche l'anatomia, la fisiologia,
non meno della storia naturale,
dellageogra fia e della statistica; e giova dire che in rapporto alla moltiplicitàdi questi studii, ' antropologia ha offerto in questi anni dei risultati assai soddisfacenti, ed ha potuto dare un vigoroso e nuovo in dirizzo
eziandio alle scienze filosofiche. L'
antropologia dividesi in due parti:
l'Antropologia analitica, o etnologia : e ' Antropologia sintetica, o generale. La prima applicasi propriamente allo studio delle razze umane e ne desume le varietà, le differenze e ipunti di
contatto, sì per i rapporti fisici che
morali. La se conda, da queste varietà desume i rap porti generali del tipo
umano colle varietà dei tipi animali.
Molti e cu riosi sono iquesiti proposti e risolti in tutto o in parte dalla antropologia, e per mostrare qual sia l'importanza che questa scienza può avere per gli studii filosofici, basterà additarne alcuni. L'uo mo
deriva egli da una o dapiù coppie?
Costituisce nella natura un regno a parte o pur deriva dalle scimmie? È egli nato incivilito o dalla più infima barbarie
si è elevato a civiltà? È ammissibile
la tradizione biblica che fissa all'uomo
una antichità di sei o sette mila anni?
Sui quali quesiti vedansi gli articoli:
ANTRO POMORFI, DARWINISMO, EMBRIOLOGIA, PA LEONTOLOGIA, RAZZE, UOMO. Antropomorfi. (Animali a for ma umana).
Linneo adoperò pel primo questo vocabolo
onde indicare gli ani mali dell'ordine più elevato dei mam miferi, i quali poi
chiamò Primati. Og gidi il vocabolo ha un senso più ri stretto e applicasi
generalmente alle quattro grandi specie
di scimmie, che più si avvicinano al
tipo umano, vale adire: Chimpanzė,
Gorilla, Orang-Outan e Gibbon. Ecco i
punti più essenziali di avvicinamentoche
gli antropomorfi presentano col tipo
umano, secondo il dott. J. Montinié di
Ginevra. La statura la conformazione
generale del corpo e quella dello
scheletro, le cui propor zioni relative nei diversi pezzi, il loro numero e la disposizione sono simili alle parti corrispondenti del corpo u mano la
proporzione delle membra,
l'organizzazione delle loro estremita,
la distinzione possibile in piedi e mani
la loro stazione che è quasi verticale-ilmododi camminare, nel quale, an
che quando corrono, come quasi sem pre accade, coll'appoggiodelle membra anteriori , il corpo non cessa di pog giare
principalmente sulle membrapo steriori, in una posizione alquanto ob bliqua, ma
non mai orizzontale la conformazione della testa e della cavità del cranio, contenente un cervello ben svi
luppato e affatto simile, quanto alla strut tura, al cervello umano-gli occhi
di retti in avanti, avvicinati alla linea me diana le narici separate da una
sot til divisione delle orecchie infine'i denti, che pel numero, la forma e la disposizione ri cordano
perfettamentele parti corrispon denti dell'organismo umano. Antropomorfismo. Dadue pa role greche che significano
forma uma na. In filosofia dicesi antropomorfismo quella tendenza propriadegl'ignoranti, e de' bambini specialmente, a dare a Dio corpo e figura umani, e ad attribuirgli
i pensieri e le passioni degli uomini.
Del resto, tutti i sistemi di filosofia
o di re ligione, dal più al meno, tendono all'an tropomorfismo, imperocchè '
uomo non può pensare che le cosenote,
ele ignote rafigurare sotto I aspetto di
quelle che > la forma e la posizione
APOCALISSE conosce. Errano pertanto
coloro i quali credonodiaver evitato
l'antropomorfismo foggiandosi un Dio
puro spirito e per 39 fedeli credevano
che S. Michele celebrasse fettissimo,
poichè ' idea di puro spirito non è che
accessoria, e ciò che in tal caso serve
a darci l'idea diDio sono gli attributi
suoi. Or non v'è religione, o filosofia,
come dir si voglia, che non at tribuisca a Dio passioni o tendenze u mane, tali
come lacollera o la vendetta ch'egli
prova ed esercita quando alcuno l'oende.
Ma l'idea di punitore che gli si
attribuisce, è un puro antropomorfi smo, sendochènon la siconcepisce altri
menti che trasportando in Dio una pas sione tutta umana, logica innoi,
assurda in Dio; però che fra il finito e
l'infinito, a giustamente parlare, non
vi è offesa possibile, come inutile
diventa la pena, considerata come
rimedio necessario, lad dove nulla rimediare si può. Questo, a dir vero, è l'antropomorfismo
filosofico, che fu tanto ben dimostrato
dal tedesco Feuerbach. Ma ancor più
comune è l'an tropomorfismo volgare. Tutta la Bibbia, incominciandoda quel Dio che impasta l'uomo collesue mani e gli alita in
bocca, fino alla incarnazione del suo
figliuolo che sifa uomo e muore sulla
croce,non è che una serie di
antropomorfismi vol gari, dai quali non vanno immuni le teologie di tutte le religioni del
mondo. Antropomorfiti o atrofiani
furono detti certi eretici del quarto
secolo, i quali fondandosi, e
giustamente, sulpasso della
Genesi:facciamo l'uomo anostra imma ginee somiglianza, credettero che
Iddio avesse un corpo eguale al nostro.
S. Ci rillo e S. Epifane li confutarono, il che
non impedi che l'eresia non risorgesse
nel decimo secolo, il quale, per dirla
colle parole di un abate, era un secolo
d'ignoranzagrossolana.>>>Si voleva avere l'immagined'ogni cosa e ogni cosasi rap
presentava sotto forme corporee; nè si
concepivano gli angeli che come uomini
alati , vestiti di bianco, quali veggiamo dipinti sulle muraglie delle chiese; e si credeva pure, che tutto si facesse in cielo all'incirca come in terra. Anzi, molti la Messa dinanzi a Dio in ogni lunedi; motivo per cui andavano alla sua chiesa più volontieri in quel giornochein ogni altro.
Noi non abbiamo bisogno di andare
tanto lontano per trovare gli antropo morfiti del secol nostro, poichè
gli ado ratori delle immagini non fanno oggi che ripetere gli antichi errori. Apocalisse. L'ultimo dei libri del Nuovo Testamento, e per avventura, il men chiaro e il più favoloso di tutti i libri santi. Tutte le sette cristiane si
ac cordano oggidì nel considerarlo siccome fatturadi S.Giovanni Evangelista, errore questo al quale nessun uomo sensato, credo , presterà fede. L' antica Chie sa
quasi unanimamente lo relegava tra gli
apocrifi e lo trattava d'impostura
inventata dall'eretico Cerinto per dar
credito al regno millenario « Alcuni, seri vevaverso il260
S.Dionigivescovod'Ales sandria, hanno esaminato da capo a fon do quest'
Apocalisse e provarono che non vi è in
esso senso comune, che attribuirlo
nonsipuò aGiovanni o ad altro apostolo,
e che è una finzione di Cerinto per dar
peso alregno millenario>>>(Eusebio Hist. Eccl. III 28). Un secolo dopo il
Concilio di Laodicea lo escludeva dal
canone dei libri sacri, e più tardi
ancora S. Gero lamo scriveva a Dardano, attestando che tutte le Chiese greche rigettavano l'au
tenticitàdi questo libro. (Epist 84). Certo
dinnanzi a testimonianze tanto autorevoli nellaChiesa, laRiforma avrebbe respinto l'Apocalisse, come ha fatto di tanti altri libri della Bibbia, se questo scritto
colle sue strane figure e lesueimmagini
sconfi nate non le avesse servito egregiamente
per trarne argomento di combattere il
cattolicismo. Infatti, nel 1602 il sinodo protestante di Gap faceva un Decreto per dichiarare che il papa era ' anticristo predetto dall'Apocalisse. Trattavasi di di
mostrare questa dottrina chedoveva en trare a farparte dei nuovi dommi
della riforma, e vi si accinsero alcuni
de'mini stri protestanti, fra i quali giova accen 40 APOCRIFI
nare Jurieu. Nei capi XI, XII e XIII del ' Apocalisse accennasi con figure
a un periodo dimille duecento sessanta
giorni, i quali, secondo la
interpretazione pro testante, devono intendersi pei mille du gento sessanta
anni destinati alla perse cuzione che farà l'anticristo, raffigurato nella Chiesa Cattolica. Bisognava dimo strare
quand'era questa persecuzione in cominciata e quando sarebbe finita, e il Jurieu lastabilisce nell'anno 500,
poichè, dic' egli, quando Romahacessato
di es sere la Capitale delle provincie dell'im pero era già ascesa a grado
assai alto, perchè si possa osservare in
questo tempo il primo nascimento dell'
impe ro dell' anticristo. ( Precognizione le gittima) Laonde conchiudeva, che
la fi nedella persecuzione, e quindi del regno
dell'Anticristo, doveva cadere nell' anno 1710 o al più al 1714 o 1715, essendo difficile lo stabilire l'anno » poichè
Iddio nelle sue profezie non guarda
tanto pel sottile. » I cattolici h anno
ben ragione di ridere del male esito di
questa profezia, mahanno torto di
lagnarsi che i prote stanti la interpretino a loro modo, poi chè questo non è
altro che un saggio del modo con cui
essi stessi interpretano già aveva
attraversato la maggior parte degli avvenimenti
spaventevoli che dove vano avverarsi, nè molti giorni manca vano alla
formazione visibile del primo regno
rimuneratore appartenente all'altra
vita. Qual di queste varie opinioni sia la vera, sarebbe stoltezza il decidere, co m'è
stoltezza che uomini d'ingegno ab biano consumato ilorogiorni perspiega re un
libro, lachiavedel quale è sepellita
nellanotte del tempo, eche ad ognimodo
ha ormai perduto ogni importanza per la
storia. Apocrifi. Diconsi
apocrifi quegli scritti dell'antico o
del nuovo Testamento, i quali non si
reputano autentici, e si suppone che
siano stati fatti da autori diversi da
quelli cui sono palesemente attribuiti.
La chiesa riconosce siccome autentici
quei libri della Bibbia, i quali sono
inscritti nel canone dei rivelati, ma
convien osservare che il canone si venne
formando a poco apoco, ondechè se vi
sono libri canonici, i quali oggi si repu tano siccome apocrifi, ve ne
sono pur degli altri i quali un tempo
erano repu tati apocrifi, ed ora si trovano inscritti nel canone. I libri apocrifi dell' Antico Testamento sono 14 (vedi CANONE DEI LIBRI SANTI) e non pertanto la Chiesa cattolica li annovera oggidi fra i cano le
altre profezie dell'Antico e del Nuovo
Testamento. Giova dire che i cattolici
hannodatoaltre interpretazioni ortodosse | nici, quantunque sia
indubitatoche tutta all' Apocalisse e i
lavori di Newton sopra questo libro sono
troppo noti per la Chiesa antica li abbiasempre respinti. Sopra questo punto letestimonianze sto riche
non potrebbero essere, nè più nu merose, nè più concordi. Ilcanone degli ebrei non fa menzione alcuna degli apo crífi
e il concilio di Laodicea tenuto nel chè
valga la pena di citarli. Ma dopo
l'interpretazione teologica convien pure
accennare quella astronomica ingegnosa mente stabilita dal Dupuis con
molto corredo di studi, per dimostrare
che l'Apocalisse non è altro che una
esposi- menzionarli. Identico è il catalogo dato zione simbolica degli astri. (Origine de da
Origene e Tertulliano nel terzo se tous les cultes). Questa interpretazione,
colo (Eusebio. Storia Eccles. lib. 5 cap.
per quanto dotta ella sia, non soddisfa 25). Nel quinto secolo è lo
stesso S. però pienamente, e fu
vivamentecombat- Gerolamo, il traduttore della Vulgata, 572 lo riproduce fedelmente, senza pure tutadaSalvador (Jesus Christ etsadoctri- che
dopo aver fatta la versione anche ne T
II lib. III)-il qualcrede che l'au- degli apocrifi, nel suo Prologo
Galeato tore dell'Apocalisse,
abbandonato all'esal- ha cura di metterci in avvertenza sulla tazione della sua animainunadellepic- loro
non canonicità. Soltanto nel 1439 cole
isole dell'arcipelago greco, volesse papa Eugenio mette i libri apocrifi fra
i persuadereaicontemporanei,chelaChiesa
| canonici, ma non pare che il suo giudi APOCRIFI zio avesseunagrande autorità, o almeno che fosse imperativo, poichè soltanto mezzo secolo dopo il Cardinale Ximenes vescovo di Toledo e grande Inquisitore, stampando la Bibbia Poliglotta, nella Prefazione avverte i lettori che Tobia, Giuditta, la Sapienza, l' Ecclesiastico
i Maccabei, le aggiunted' Ester e
Daniele non sono canonici. In altre
edizioni an tiche della Bibbia gli apocrifi sono di stinti con un asterisco,
oppure portano in margine l'indicazione:
è apocrifo, est apocryphus, e in altre
edizioni gli apo crifi sono posti in fine al libro colla in dicazione:
Apocryphi et extra canonem. Egli è
dunque fuor d' ogni dubbio che questa
opinione sullanonautenticità dei libri
biblici non compresi nel canone ebraico,
si conservò lungamente nella Chiesa,
finchè nel 1546 il concilio di Trento,
trovando che gli apocrifi servi vano molto bene ad autenticare certi donmi del cattolicismo, con un suo de 41 ria Eccl. VII. 19). trovavansi inscritti
le Apocalissi di S. Pietro e di S.Paolo,
che ora sono interamente perdute. Sul
prin cipio del secolo scorso Fabricio, nel suo
Codex apocryphus novi Testam. racco glieva i titoli e le citazioni di
tutti gli e vangeli conosciuti dagli antichi, e il loro numero ammonta a ben cinquanta. Al cuni di
essi ci pervennero per intero, altri per
frammenti, e il maggior nu mero soltantoper lamenzione che ne fu fatta dai santi padri, i quali,
singolare adirsi, li citarono sempre
siccome au tentici, mentre al contrario i quattro e vangeli che ora si
pretendono autentici non si trovano mai
citati dagli antichi padri. » Noi
comprendiamo, dice a que sto proposito il teologo Bergier, che i padri hanno citato più d'una volta i li bri
apocrifi, ma allora si consideravano
come veri. ». Preziosa confessione in
bocca all'autore del Dizionario di Teo creto li dichiarò canonici. Quanto agli apocrifi del Nuovo Te stamento,
il loro numero è più grande di quel che
si pensa; ma non è poi da credersi che
essi siano tutti senza signi ficazione per la storia. Anzi, giova dire che la importanza di molti fra di essi, se non supera, di certo eguaglia quella dei libri canonici, perciocchè quasi tutti fuuntempo incui erano rispettati e ri
guardati dai fedeli siccome inspirati.
Per esempio, il libro d' Enoch, escluso
dal canone biblico, era riguardato come
inspirato da Tertulliano; e Origene, S.
Clemente Alessandrino , S. Ireneo, S.
Anatolio lo citano con rispetto. IlPa store di Erma fu un altro libro
gnosti co-ebionita che la Chiesa cattolica ri guardo sul principio come
inspirato, poi relegò fra gli apocrifi.
Una lettera che si supponeva scritta dal
re di Edessa a Gesù e un'altra con la quale
Gesù ri spondeva al re di Edessa, erano ancora
sul principio delquarto secolo citate co me autentiche da Eusebio; e
intorno a quel tempo nel canone di molte
chiese cristiane, come riferisce
Sozomeno (Sto logia! Dunque riman provato che tutta la Chiesa primitiva considerava come autentici i libri che la Chiesa moderna considera come apocrifi; lo che può au
torizzare gl'increduli a dire, che le fonti
del cristianesimo sono molto dubbie e
assai poco degnedi fede. Oltre
questi libri, che facevano auto rità nella Chiesa primitiva, ve ne sono altri la cui fonte è un po'meno pura e che si rivelano addrittura siccome inven
zioni di credenti, o maliziosi, o pii per
confortare con qualche prova le cost
dette verità della religione. Tra questi
si trovano la pretesa corrispondenza tra
S. Paolo e Seneca, la relazione di Mar cello sugli atti di Pietro e
Paolo e sulle arti magiche di Simon Mago; le due lettere di Pilato all' imperator Tiberio, nel quale il governatore romano fa la singolare confessione, che Gesù era ve
ramente un Dio, e finalmente i Libri
Sibillini e le Decretali. Se
rigettando l' autenticità dei libri che
ora si dicono apocrifi, la chiesa a vesse rigettate anche le favole che
sono in essi contenute, la s ua
contraddizione sarebbe stata al certo
men palese. Per 42 A POSTERIORI, A
PRIORI esempio, sul preteso martirio di
S. Pietro e S. Paolo in Roma, non si
trova una sol parola negli Evangeli e
negli atti degli Apostoli, ma la
relazione di Mar cello ne fa menzione e la Chiesanon fu dubbiosa di adottare quel racconto, pur dichiarando apocrifo il documento che lo conteneva. La discesa di Gesù aglin ferni,
che è uno degli articoli,del pre teso simbolo degli apostoli (vedi
SIMBOLO) etolta interamente dalVangelo
apocrifo di Nicodemo. Dalla Storia
apocrifa degli Apostoli di Abdia, sono
tolti i racconti sui viaggi e
ilmartiriodei vari apostoli, che si
trovano nei leggendari ed ezian dio nel Breviariv Romano. Così pure da altri apocrfi, come osserva il Beausobre (Hist. du Manicheisme T 1) sono tolte le favole canonizzate sulla storia di S. Anna e di S. Gioacchino, sulla santa Veronica e il suo sudario, sull' andatadi S. Pietro a Roma e i suoicontrasti con SimonMago, e tante altre cose nonmeno miracolose. (Vedi DECRETALI E SIBILLINI.) Apodittico. Aristotile nell' anti chità, e
Kant ne tempi moderni sono i soli che
abbiano introdotto nel linguag gio filosofico questo vocabolo, che signi fica
dimostrazione. È apodittica ogni pro posizione che sta al di sopra di ogni discussione, di ogni contrarietà,
essendo essa stessa il principio e la
base di una dimostrazione. Apollinare. Vescovo di Laodicea che visse sulla fine del quarto secolo. Dopo essere stato uno dei più focosi av
versari di Ario, sostenendo, non solo la
divinità di Gesù Cristo, ma eziandio la
consustanzialità del Verbo, cadde in un'
altra eresiae insegnò che Gesù Cristo,
assumendo il corpo umano, non aveva
però assunta un' anima ragionevole, ma
puramente sensitiva. Egli stimava che
un' anima umana gli fosse affatto inutile, però che, chi operava in lui e dirigeva le sue azioni, era la divinità stessa. Fon
dandosi sul passo di s. Paolo che Gesù
era uomo e fatto simile agli uomini
(Ebrei IV, 15), il Concilio d'Alessandria dichiarò eretica questa opinione e il
papa Damaso depose il vescovo che la pro
fessava.
Apollonio(Tianeo).Nacquedauna
ricca famiglia di Tiane, e fu contempo raneo di Cristo, al quale per
lungo tempo il paganesimo l'oppose.
Fattosi discepolo di Pitagora
l'abbandonò ben presto, malcontento
ch'einon uniformas se la pratica della vita colla sua dot trina, la quale
Apollonio s' ingegnò di applicare e
sviluppare da se solo. Da quel momento
fino alla morte egli si a stenne d'ogni nutrimento animale e dal vino; conservò una perfetta castità, e
si impose mille dure privazioni, fra
cui merita di essere menzionato il
silenzio continuato che osservò per
cinque anni. Gli venne poi vaghezza di
percorrere ' Oriente per risalire alle
sorgenti delle tradizioni religiose: fu
a Babilonia, nel l' India, nell' Egitto e nell' Italia e in età molto avvanzata scomparve dal mondo, senza che mai si arrivasse a scoprire qual paese avesse veduto la fine de'
suoi giorni. Pochi proseliti farebbe
Apollonio nei tempi nostri, e seriamente
sidubite rebbe s'egli abbia la testa a segno; ma nel primo secolo dell'era cristiana,
tanto fu il fanatismo che eccitè nel
paganesi mo, che alcuni trascorsero perfino ad a dorarlo siccome un Dio. A posteriori, a priori. Di cesi a posteriori
quella dimostrazione che dalla
osservazione degli effetti procede a
scoprire la causa,o dalla proprietà di
una cosa cerca di scoprirne l'essenza;
in senso inverso, è a priori quelladimo strazione che dalla natura della
causa tende a ricercare gli effetti che
ne de vono nascere. L'uno e l'altro di questi
due metodi di argomentare sarebbero e gualmente buoni, ove fossero
soltanto applicati alle scienze fisiche;
ma nelle metafisiche il metodo a priori
ra con dotto più spesso a conseguenze fallaci.
Esiste un Dio buono e perfetto, che ha
creato il mondo, dunque tutto ciò che vì
ènel mondo deve essere buono e perfetto.
Questa è una argomentazione a priori, la
cui fallacia consiste appunto nellapremes ARCESILAO sa, perocchè riconosce come assiomati camente
provata l'esistenza di un Dio buonoeperfetto,
senz'altra dimostrazione. Equando il
ragionamento a priori fon dasi su ragioni immaginarie, le quali, an zichè
dimostrare,hanno bisogno di essere
dimostrate, deve necessariamente con 43
da invidiare alle credenze di quei tempi, poichè oggi, come allora, si deificano gli uomini, l'effigie loro si mette
sugli altari e le si offrono sacrifizi,
che per essere incruenti, non cessano
perciò di rappresentarci il simulacro di
unavittima durre a false conclusioni. La
dimostra zione a posteriori evita invece sifiatto scoglio, perocchè essa non suppone le cause, ma anzi le ricerca colla scorta degli effetti. Or sono appunto gli
efetti che a noi si rendono palesi e che
i no stri sensi possono accertare , onde il
ragionamento a posteriori ha sempre
sull'altro questo vantaggio , ch'esso in
ogni caso procede dal noto all' ignoto e
non mai in contrario senso. Tutte le cose nel mondo si trasformano, ma nessuna si distrugge, nessuna nasce che non si componga di elementi preesistenti; dun que,
senella natura nulla nasce nè sidi strugge, conchiudo che lamateria è
eterna. Eccounragionamentoaposteriori
chepro cededalnoto all'ignoto. (Vedi INDUZIONE). Apoteosi. Vocegrecachevaledei ficazione. L'
apoteosi compievasi dai pa gani quando, con cerimonie solenni, po nevansi fra
gli Dei gli illustri o i po tenti della terra che erano morti. Im ponenti erano
le apoteosi degli impera tori romani. Dopo un lutto generale portavasi l' imagine del defunto proces
sionalmente per le vie, e igrandidignitari
dello stato, i cavalieri e i senatori e lo stesso successore al trono facevanle cor teo.
Al campo di Marte il corpo delde funto re era arso su di un rogo, dal quale sprigionavasi un' aquila che innal zava
il suo volo fino al cielo. Quindi si fondava
un tempio al novello Dio, si stabilivano
i suoi fiaminii ; e dei sa crifici in onor suo erano ordinati. A noi lontani da quei tempi e da quei co stumi
sembra strano che un popolo, il qual fu
maestro di civiltà al mondo, abbiapotuto
credere a queste più che volgari
superstizioni. Pure non abbiamo che
avolgere intorno lo sguardo per
convincerei, che la civiltànostra nulla ha immolata. L'apoteosi dei giorni nostri ha sol cambiato il nome, e si chiama canonizzazione dei santi. Appercezione. Vocabolo per la prima volta usato da Kant e adoperato da tutti coloro cui piace intralciare
senza scopo il linguaggio filosofico.
Per apper cezione intendesi quella rappresentazione per la quale l' nomo tien presente a se stesso l'atto del pensiero. Questa rap
presentazione io penso, al postutto, non
èdunque che la coscienza dell' io, la
quale di tutte le parti del mio corpo,
costituisce un' unità, che Kant, tanto per non usare il comun linguaggio, chiama unità trascendentale dell' appercezione. Arcesilao. Nacque in Pitana nel 1
anno300primadiG. C. fudiscepolodi
Pirrone e si mise alla testa della seconda scuola Accademica. (vedi ACCADEMIA) nella quale introdusse un metodo d'in
segnamento affatto nuovo. Noninsegnava,
ria disputava, poichè ad ognuno chie deva qual fosse la sua opinione per
poi combatterla, Riproduceva in tal
guisa il Pirronismo, il quale appunto
consistera nel negare ogni certezza e
quindi l'evi denza di ogni filosofia. Contro Arcesilao sosteneva Zenone, che il saggio può ta lora
rimettersi alla certezza della sua
intelligenza; ma obbiettavaArcesilao con
l'esempio dei sogni, del delirio e dei
molti errori umani condivisidai sapienti! Or. diceva egli, se vi sono delle rappre
sentazioni illusorie e delle veridiche, con
qual criterio noi distingueremo le une
dalle altre? Con una rappresentazione ve ridica? Maquesta è
unapetiziondi prin cipio, poichè trattasi appunto di cono scere qual sia la
rappresentazione veri ridica. D'onde conchiudeva, che tra il vero e il falso non vi è per l' uomo dif
ferenza assoluta, e che savio è colui che
si astiene. 44 ARISTIPPO Archetipo. Filologicamente vale modello, forma prima. In filosofiadi cesi
archetipo ciò che è il principio e il
fondamento delle cose o delle idee. Pei
teologi l' archetipo è Dio, conside rato come supremo modello degli
esseri. Ma nella filosofia sperimentale
questo vocabolo non ha alcunsenso,
essendochè l' esperienza ci rivela una
continua mu tabilità di forme senza archetipi. Le idee innate potevano dirsi archetipe, ma la sana filosofia ha dimostrato che non esi
stono idee innate. Argens (Giovanni
Battista mar chesed').Ammesso dapprima all'amba sciata francesedi
Costantinopoli, si diede alla vita
militare. Fu ferito all' assedio di
Kelh, e dopo quello diFilisburgo fece
una caduta da cavallo che gli tolse di
risalirvi più mai. Diseredato dal padre
suo che l'aveva destinato alla magi stratura, egli s'abbandonò
allafilosofia, e per scrivere liberamente
passò in Olanda, ovepubblicò le sue
Lettere giu daiche, chinesi e cabalistiche. Federico diPrussia, allora principe reale, lo chia mò
alla sua corte, e quando sali al trono
lo nominò direttore generale delle belle
lettere dell' Accademia, lo colmò di
riguardi, ed ebbe per lui quella
deferenza che meritava la sua bontà di
cuore e la sua condotta sce vra d' intrighi e di raggiri. In questo frattempo d' Argens scrisse la Filoso fia del
buon senso e mandò a compi mento la traduzione di due trattati greci attribuiti, l'uno ad Ocellodi Lu cania,
sulla natura dell' universo; l'al tro a Timeo di Locri sull'anima del mondo, col titolo: Difesa del Paganesi mo.
Egli mandò alle stampe ancheuna versione
del discorso di Giuliano con tro i cristiani.
Era già finita la guerra dei sette
anni e d' Argens, dopo d'essere an dato a visitare la sua famiglia inPro
venza, tornavasene nellaPrussia, quan do si accorse che nei luoghi del suo passaggio leggevasicon grande stupore unapastorale del vescovo d'Aix con tro di
lui. Lo scritto abbastanza vio lento e minaccioso gli destò dapprima le più grandi inquietudini, ma presto si avvide non essere quello che una gherminella del Re di Prussia, il quale, per burlarsi di lui, l'aveva redatto e fatto diffondere nei paesi del suo pas
saggio. Federico per inavvertenza aveva
impiegato il titolo di Vescovo anziché
quello di Arcivescovo. D' Argens mort
agli 11 gennaio 1771 nella sua terra
della Provenza, donatagli da un suo
fratello, troppo generoso per non di sapprovare la volontà del padre
che l' aveva diseredato. Le opere da lui scritte sono numerose assai, l'istru zione vi
è variata e la filosofia mate rialista, propugnata con calore e con accorto ragionamento, emerge special mente
nellasua Filosofia dellaRagione, nelle
Lettere critiche e filosofiche e nel
Filosofo solit rio. Il marchese
d' Argens nacque ad Aix nel 1704, e
costituisce unadelle più belle e nobili
individualità della filo sofia del secolo XVIII. La bontà del suo cuore e la sua vita irreprensibile parlano ben più alto di tutte le stolte accuse che vengono lanciate contro il così detto materialismo. Argomentazione. Complesso delle prove e dei raziocinii addotti per giungere alla dimostrazione di una ve rità.
Le antiche scuole greche e italiche,
forse per amor del numero, distingue vano sette modi di argomentare, ed
era no: 1. L'induzione. 2. Il paragone. 3.
L'entimema. 4. Il sillogismo. 5. L'epiche rema. 6. Il sorite. 7. Il
sofisma. (Vedi tutti questi
vocaboli). Aristippo. Fu di Cirene,
colonia greca dell' Africa, e visse
sulla fine del quarto secolo prima di G.
C. Delle molte opere scritte da questo
filosofo, non ce ne rimane pur una, e
delle sue dottrine questa sola sappiamo,
che riguarda il fine morale dell'uomo.
Insegnava che il piacere è cosa buona in
se, cattiva il dolore, onde conchiudeva,
che il fine dell'uomo quello è di
cercare il piacere ARIANISMO eildolore
fuggire. Contrariamente al misticismo di
Anassimene, Aristippo in segnava dunque che il somno bene del 45 Nondimeno, il concilio condanno la dottrina di Ario, il quale non cessò per questo di sostenere la su opinione edi l'uomo è il fine della vie che la fe licita
non consiste gis nel riposo, ma
nell'attività e nel movimento.
Arianismo . Eresia di Ario, in
quale consisteva nelnegare la consustan zialità del Verbo, ossia della
seconda persona della Trinità da lui
considerata comecreatura umana. Sul
principio del quarto secolo, Alessandro,
vescovo di A lessandria, volendo confutare l' errore di Sabellio contro la trinità (vedi
SABELLIO) incaricò Ario, prete che stava
sotto la sua giurisdizione, di spiegare
i Misteri della religione colla sua
potente dialet tica. Ario accettò il mandato,e siccome quegli che credeva di far cosa grata al vescovo combattendo ad oltranza l'ere siadi
Sabellio, cadde in un opposto ecces so. Considerando
comelaconsustanzialità importi unità di
sostanza, e l'unità della sostanza
divina renda impossibile la di stinzione delle persone, poichè ciò che è semplice non comporta molteplicità, in
cominciò ad insegnare che il Padre e il
Figliuolo sono personedifferenti, noncon sustanziali, e che il Figliuolo
era stato creato nel tempo. Alessandro
tentò di riprendere Ario , ma vanamente
, chè questi s' incaponi a viemeglio
sostenere lasua opinione; laonde il
vescovo adunò un Concilio in
Alessandria, d' innanzi al quale Ario
espose le sue ragioni. Egli argomentava
così: Il Verbo non può es sere eterno come il Padre, poichè in tal caso nonpotrebbe esseregenerato. D'al tronde
se il Padre non avesse tratto il il
Fgliuolo dal nulla, non l'avesse, cioè,
creato, non avrebbe potuto trarlo altri
mentichedallasuapropriasostanza,ilche
èassurdo. La stessa Scrittura non ci dà
un idea diversa del Verbo, laddove dice
che Iddio l'ha creato al principio delle
sue vie (Prov. VIII). Dio dice che l'ha
generato, il che si deve intendere nel
senso di unavera creazione,attesochè la
Scrittura l' applica, così al Verbo come
agli uomini. esporla
pubblicamente. E siccome tra un assurdo
e l'altro, la dottrin di Ario era
certamente la meno assurda, così non gli
mancarono proseliti tra il po polo, tra chierici e perfin tra vescovi. Anzi, Eusebio vescovo di Nicomedia, adu nato
un secondo concilio,vi fece appro vare le dottrine di Ario emandò lettere ai vescovi d' Oriente onde indurli ad ac
cettare il prete nella loro comunione.
Ben si capisce che con tali prodromi
la querela era tutt' altro che presso ad
assopirsi. Essa fu anzi portata davanti
all' imperatore Costantino, il protettore del Cristianesimo. Ed è singolare il ve dere
la poca importanza ch' egli diede alla
querela, nella quale trattavasi nien temeno che della divinità del Cristo. Vo
lendo insieme conciliare tutti i partiti,
scrisse ai vescovi dissidenti, che la calma e la felicità dell' impero richiedevano
che essi venissero ad un amichevole
compo nimento; e ch' era la cosa più pazzadel
modo il dividersi per questioni tanto fu tili e puerili, com'erano
quelle per le quali da tanto tempo
disputavano. Leparole conciliative dell'
imperatore non valsero però a quietare
gli animi e le dispute, gli scandali e
perfino le scene di sangue, non
mancavano di fornire ai pagani
argomentinonpochi di derisione.
Costantino risolse infine di convocare in Nicea il 19 giugno dell' anno 325 il pri mo
concilio ecumenico, il quale, dopo molte
dispute, approvò il seguente sim bolo, che condannava l'arianismo: >>Questa decisione ebbe la sanzione dell'impera tore,
il quale esilio tutti coloro che non la
vollero sottoscrivere. Non per questo le
dispunte finirono, chè anzi, poco di poi
l'imperatore stesso, circuito da un
prete ariano, rimise Ario nelle buone 46
ARISTOTILE grazie dell'impero.
Intanto la lotta era combattuta da muovi
compioni. Eustazio, vescovo di
Antiochia, accusava Eusebio di Cesarea
di contraddire il simbolo Ni ceno; un nuovo concilio fu adunato in Antiochia nel 329, il quale, colla
solita infallibilità dei concilii, diè
torto al ve scovo di Antiochia, lo depose,nominò in sua vece il di lui avversario, e poco cu
randosi della scomunica lanciata dal Con cilio di Nicea, procurò che Ario
potesse ritornare in Alessandria. Vi si
oppose. nondimeno s. Atanasio, vescovo
di quella città; ma nel 354 un nuovo
concilio a dunato in Tiro depose anche questo ve scovo, e l'imperatore, che già
tanto fe rocemente aveva perseguitati gli ariani, lo manda in esiglio e rimette in grande onore Ario, il quale poco di poi morì. Non è a credersi che la morte di Ario ponesse fine alle contese. InAles
sandria e nella stessa sede dell' impero
avvennero frequenti scene di sangue fra
il popolo fanatico, eccitato dai preti del l'uno o dell'altro partito.
Intanto, succe duto a Costantino il figlio suo Costante, questi parteggio per gli avversari di Ario, e nel 347 fece adunare un conci lio in
Sardi, ove i vescovi confermavano il
simbolo di Nicea e scomunicavano gli
ariani; in quel mentre che un nuovo
concilio adunato dagli orientali in Filip popoli, confermava i principii
di Ario e scomunicava li avversari. Tanta contrarietà e tanto accanimen to dei
partiti, fece nascere nel novello
imperatore il desiderio di convocare un
nuovoconcilio. Eil concilio fu infatti ban dito; ma mentre i vescovi
orientali par titanti dell' arianismo si adunavano in Seleucia, in Rimini aprivano il concilio gli avversari; nè giova direche, come al solito, lo spirito santo inspirò alle
due assemblee due contrarie decisioni.
Dispe rando ormai di venire a buoni risultati,
l' imperatore fece sottoporre al Concilio di Rimini il simbolo approvato in Se leucia,
nel qualela parolaconsustanziale era
stata soppressa, e ordinò al gover natore che nessun vescovo lasciasse u scire
senza che l'avesse sottoscritta. Quat
tro mesi resistettero all' ingiunzione i
padri ivi adunati, ma infine venuti ad
un compromesso fra il ventre e la co scienza, prestarono pieghevole
orecchio alle parole di Valente, il
quale andava loro insinuando che,
salvola parola con sustanziale, il nuovo simbolo non aveva significazione diversa da quello di
Nicea. Firmarono e furono ridati alla
libertà. Per la qual cosa l' arianesimo
risorgeva trionfante e minacciava di
estendersi a tutta la Chiesa. Ma venuto
a morte anche Costante, Giuliano
successore di lui, rimise i cattolici in
favore, e gli impe ratori che gli succedettero, chi più chi meno, seguirono lo stesso partito. Anzi Teodosio vietò agli ariani di adunarsi, cacciò gli uni dalla città, gli altri
notò d' infamia e spogliò del privilegio
della cittadinanza. Ma non bastarono le persecuzioni a spegnere interamente l'arianismo, inquan
tochè i popoli d'Europanovellamente a cquistati al cristianesimo, più
facilmente passavano alla dottrina
diArio, siccome meno assurda e men
seempia di quella professata dal simbolo
di Nicea. Anche nei tempi moderni l'
arianismo ebbe se guaci nella Germania e nella Polonia, e dicesi che fosse importato
nell'Inghilterra da Okino e Bucero, che
l'insegnarono in segreto, perocchè in
grazia della intol leranza protestante, coloro che tentarono di negare pubblicamente la divinità di Gesù furono abbruciati. Cionondimeno, Socino, Chubb, Clarke e parecchi altri il
lustrarono questa dottrina coi loro scritti,
e l'arianismo era ancor sì forte nel se colo scorso, che fu veduta una
signora Myer, fondare nell'Inghilterra
una catte da apposita per combatterne ledottrine. Aristotile. Niun filosofo quanto Aristotile ebbe più gran fama e mag giore
opportunità di distinguersi. Nac que in Stagira nell'anno 304 primadi G. C., fudiscepolo di Platone e dopo la morte del maestro si ritrasse in Acarna nia
ove regnava Ermia già da gran tempo suo
amico. Poco di poi, invaghi ARISTOTILE
tosi della sorella di questo principe, la mend in moglie. Fu quindi precettore di Alessandro il Grande e dopo essere ri masto
otto anni presso di lui, ritirossi
adAtene. Quivi i magistrati gli conces sero il Liceo, sotto i portici
del quale egli insegnava passeggiando
co' suoi di scepoli; d'onde la suasetta fu detta de'pe ripatetici. Sebbene
discepolodi Platone, Aristotile s'
allontanò ben presto dalle dottrine del
maestro, ed anzi si atteggiò ad aperto
antagonismo sulla questione delle idee
innate, insegnando che l'anima umana è
come una tavola rasa, sulla 47 Il Dio di Aristotile non hadunque alcu na
consistenza metafisica, è una paro la, o meglio ancora, la sintesi di
tutte le forze di natura. Egli è perciò
che Aristotile, non solo non ammette
alcuna relazione possibile fraquestoDio
elaspecie umana, manegaanche all'essere
supremo ogni virtù. Come,infatti,
applicare l'idea di virtù a delle leggi naturali
costrette dallanecessità? Qualunque sia
la virtù che voi imaginate,dice
Aristotile, essa è inap plicabile allanaturadi Dio. Gli darete il quale l'esperienza scrive tutto ciò che
i sensi percepiscono;'d' onde'il ben
noto aforismo: nulla è nell'intelletto
che non sia entrato per laporta dei
sensi. Per ciocchè il pensiero suppone necessaria riamente la sensazione e l'
imaginazio ne; come la memoria suppone la persi stenza delle impressioni
sensibili. Laon de, se l'anima non sentisse, nonpotrebbe nè pensare nè intendere. Quest'è come ogaun vede, puro sensualismo, il princi pio
fondamentale della filosofia moderna. Ma
il genio analitico di Aristotile non
poteva rimanersi entro questi con fini; ond'è che spingendo pitu innanzi l'audace suo sguardo, vuol giungere
colla esperienza fino al trono di Dio. A
que sto punto, sotto le apparenze del teista,
par che Aristotile ondeggi fra il pantei smo e l'ateismo. Perciocchè, se
in qual che luogo dice, che Dio è la sostanzadi
tutte le sostanze e non fa che un sol
tutto col mondo , col cielo , con la
natura; altrove assicura che in tutti gli esseri si distingue, colla intelligenza,
la materia e la forma(allo spirito non
ac cenna). Or la forma scompare col di sgregarsi della materia, d'onde
conchiude che l'anima al corpo non
sopravvive. Un sol corpo con la sua
traslazione circolare è causa e
regolatore supremo di tutti gli altri
movimenti. Questo corpo, che Aristotile
chiama divino, è l'etere, o il Cielo,
che spingesi agli estremi limiti dell'
universo, oltre il quale non vi è nè vi
può essere alcuna sustanziale realità.
coraggio ? Ma egli nonè esposto ad al cunpericolo. L'amicizia? Egli
basta a se stesso. La temperanza? Dio
non ha desi deri. Labeneficenza? Ma o questi benefizi sarebbero il risultato di leggi generali,
o sarebbero eccezioni a queste leggi.
Nel primo caso le leggi generali
avrebbero per fine l'universalità e non
l'uomo in particolare, nel secondo si
toglierebbe a Dio il suo carattere
immutabile. Dopo questa succinta
esposizione dei principi di Aristotile
sopra Dio e l'ani ma umana, più non cirecherà sorpresa la foga con cui i nostri metafisici ten tano
di rimorchiare la filosofia all'idea lismo trescedentale di Platone. « Aristo
tile, scrive il Ravaisson, (Essai sur la
Metaphis. d'Aristote.) fondando il ge nerale sopra l'individuale, gli
toglie l' alto suo valore: l'essere
rimane isolato nella sua particolarità:
in natura altro non resta che divisione
senza misura od ar monia, Dio senza provvidenza, la vita umana senza scopo ideale: la bellezza e la poesia vanno in dileguo ».. ed è questo che sopratutto rincresce ai
signori metafisici ! Fa veramente meraviglia che un fi losofo così
poco religioso come Aristotile, abbia
goduto, eziandio nella Chiesa Cat tolica e perlunghissimo spaziodi tempo, una grande autorità. Tutta la scolastica fondavasi sull' autorità di Aristotile,
e tant'era la venerazione che avevasi
di lui, che nol chiamavano altrimenteche
il quasi che fuori di Aristo tile altro
filosofo non esistesse . Questo
entusiasmo per lo Stagirita in uomini 48
ARISTOTILE che professavano
principii tanto con trari ai suoi, era ignoranza o voion tario acciecamento?
Mala contraddizio ne forse si spiega con due circostanze che non devono trascurarsi nella que stione .
Aristotile aveva nominalmente stabilita
l'unità di Dio, e contro la moltitudine
degli Dei del paganesimo, aveva
spogliata ladivinitàdaogni antro pomorfismo. Quest'era già un gran ser vizio
che egli aveva fatto al cristianesi mo, maforse non sarebbebastato a far chiudere gli occhi sulla sua incredulità se il suo libro della Metafisicanon
fosse venuto ad ingarbugliare molte
idee, che altrimenti sarebbero state
assai più chia re. Nel XII libro della Metafisica il lampo del genio di Aristotile si spegne affatto ed una densa nebbia par che si stenda su tuttala suadottrina. Il con
cetto del divino qui nuota inun mardi
parole senza senso: le formole si succe dono alle formole e il pensiero
s'oscura sempre più. Questo libro ha
potuto far credere a molte cose che
Aristotile non credeva; tutti i teologi
e i professori di metafisica vi hanno
dedicato i loro studi, e nei commenti
che hanno fatto a queste formole, vi
hanno distillata tutta la loro scienza.
Gli è tanto dolce lo spiegare quel che
non s'intende ! La Metafisica è stata
dunque labase da cui l'ortodossia ha
prese le mosse per spiegare tutti gli
altri scritti del fi losofo di Stagira.Dio,dice la fet fisica, è eterno, perchè il movimento è eterno (Ant. XIX. 6, 8). Non ha parti, perchè è infinito (XIV. 9). La sua esistenza è una pura speculazione. Qui caque il Dio mondo di Aristotile comincia a ri vestire la forma cristiana. Ma afirettia moci
a dire, che il libro della Moter quello
si è appunto che la itica biblio grafica da lungo tempo tiene in sospetto come apocrifo e indegno del pensiero e del nome di Aristotile. L'incredulità di questo filosofo si ri leva
a' altronde dalle accuse cri andò
incontro quand' era vivo, e dalle perse cuzioni cui furono soggetti i
suoi libri dopolamorte.Se
moltiscolastici tenevano in alto onore
Aristotile, nonmancarono, per altro, degli
ortodossi più avveduti che previdero i
pericoli di questo entu siasmo tutto pagano. Nel 1207 un con cilio provinciale
di Parigi proibisce di leggere, si nelle
scuole che in privato, i libri di
Aristotile intorno alla filosofia
naturale, e sei anni dopo il legato della Santa Sede, nel dare gli statuti dell'uni
versità di Parigi, rinnovò quella proi bizione estendendola anche alla Metafi
sica (Dubolay T. III) Questo fu un er rore, ma non durò molto, poichè nel 1831' il papa corresse la decisione del legato e tolse, com' era ben giusto, il divieto esteso alla Metafisica. Gregorio IX sospende i libri di fisica, libris illis naturalibus, finchè non siano purgati da ogni sospetto d'errori ; ein unmomento molti dotti vi si occupano intorno così bene, che in breve gli errori scompaiono e i libri sono ammessi dall' ortodossia. Ma, o fosse che gli errori rinascessero ad ogni tratto nei libri d' Aristotile,
tanto n' eran zeppi, o fosse che i
revisori a vessero mancato di perizia dommatica, fatto è che più tardi vediamo S. Tomaso d'Aquino applicarsi, d'ordine d' Urbano IV, a rivedere le traduzioni fatte sul te sto
greco, e acommentarle egli stesso con
tanta scienza e dottrina, che in breve del pensiero di Aristotile più non vi rimase un punto. Ma gli errori erano spariti, e la Chiesa dopo d'allora più non vi trovò aridire. Anzi fu appunto da quel mo mento che
lo Stagirita sali in tanta fama, che il
Nicolò Vcredette necessario man dare a farsi una nuova traduzione latina di tutti i libri d'Aristotile, e nel 1432
il suo legato richiamando l'università
di Parigi all'osservanza delle
prescrizioni già date dai suoi
predecessori, dichiarò > Siccome, per altro,le condanne, fos sero esse
cattoliche oprotestanti, non hanno mai
potuto vincere l'eresia, così era
condannato per la mancanza dei | s'intende che i Rimostranti non ces 4 50 ARTE
sarono di insegnare e di propagare le
loro idee, si moltiplicarono nelle pro vince Unite, e per evitare le
persecu zioni dell' Olanda si ritrassero nel l'Holstein e nella Danimarca e vi
fon darono la città di Fridericstad, dove si
conservano anche attualmente.
Arnaldo da Brescia. Eretico del XII
secolo. Fu amico di Abelardo e recossi
in Francia per assistere alle sue
lezioni. Tornato in Italia, si fe'mo naco e gli presevaghezza di insegnare, che i preti e i vescovi che possedes sero
beni stabili non potevano salvarsi. Non
ci voleva dimeglioper acquistare il
partito popolare, allora, come ades so, non troppo devoto ai pontefici; on de
Innocenzo II mandollo in esilio. Non si
tosto questo papa fu spento, Arnaldo
tornò in Italia, ove predicò contro il
suo successore, eccitando i romani a
ristabilire quell' antica re pubblica che li aveva fatti grandi da vanti alla
posterità. Arrise il pensiero al popolo,
il quale saccheggio il pa lazzo dei signori e costrinse il papa a fuggire; ma poco durò la suaindipen denza.
Dopo che Adriano IV ebbe po sto su Romal'interdetto, la città tornò alla Chiesa, e Arnaldo fu costretto ad uscire da Roma e a ricoverarsi nella Toscana. Ma arrestato poco di poi dalle genti del Cardinal Gerardo, venne ricondotto a Roma, ove fu condannato alla forca, il suo corpo ad essere abbru
ciato e le sue ceneri disperse al vento.
Lasentenzafu eseguita nell'anno 1155.
Arte (teoria dell' ). Fra le teorie
più oscure e men determinate che si
conoscano, quella dell' arte occupa
certamente il primo posto. Pure
sun' altra disciplinafu soggetta a tante
ricerche e a tanti studi quanto questa;
nes ma la sua oscurità e indeterminatezza non deriva tanto dall arte in se stes sa,
quanto dalle strane idee che la
metafisica e la religione concepirono
intorno alla teoria del bello, le con traddizioni della quale noi esporremo nell' articolo BELLO. Proudhon definisce l'arte « una rap
presentazione idealista della natura e
di noi stessi, tendente al perfeziona mento fisico e morale della
nostra specie. » Questa definizione è in
gran parte esatta, e lo sarebbe in
tutto, se nel concetto di rappresentazione
idea lista non si rinchiudesse necessaria mente, o un controsenso o un assenti
mento estetico alle più strane aberra zioni dell' arte rappresentativa (chè
di questa soltanto vogliamo parlare).
La contraddizione è evidente nel
concetto dirappresentare idealmente,
perciocchè, o la rappresentazione trova
un riscon tro nella realtà, e allora è realee non ideale; oppure alla realtà si oppone e allora, aparlar propriamente, può dirsi ch' ella rappresenti qualche co sa? No
certamente, poichè quello solo si
rappresenta che esiste e la rap presentazione di ciò che esiste è rea le. Per
verità, suol dirsi che l'arte crea, ma
anche questa la è una di quelle figure
sconfinate, con che la rettorica suol
esagerare quei principii che son troppo
vaghi, per essere ben determinati.
L'arte non crea, l'arte copia; l'arte è
una pura imitazione. Certo, questa
pretesa potenza creatrice dell'arte, la
religione non ha mancato attribuire al
cristianesimo, e filosofi molti e uomini
d'ingegno non stettero in dubbio di
affermarlo. Ma di solito la metafisica
accieca e genera confu sione anche nelle intelligenze più po sitive, e l'arte
ha la sua metafisica non men che
lafilosofia! La metafisica hacreato il
classicismo estetico,il quale
allontanando l'uomo dellapura realtà
dellanatura, che è il vero elemento del l'arte, lo gettò fra
leindeterminatezze del convenzionalismo.
Quindi le idee estetiche si sono
capovolte: l'uomo si sforzò di trovar
bello, non tanto ciò che gli piaceva,
quanto ciò che rispon deva a certe determinate regole, le quali, se giovano poco all'arte, han no però
il merito di avere unagrande antichità.
E ciò che è antico impone ARTE sempre ai
vulgari e ai non vulgari; e un po' per
l'abito fatto a considerare come
piacevoli certe forme che piace voli nonsono, un po' per quella cotal dosedisaccenteriaper laquale ogniuo mo
ambiscedi mostrarsidotto e perito
51 > (Matt. XV 17). >>
Edaggiungono,che lo spiritodimorti ficazione è essenziale al vangelo
ove i digiuni di S. Giovanni Battista
e di Gesù sono ricordati con
encomio (Matt. IV. 2). Sidisapprovano
soltanto quelli che digiunano per
ostentazione (VI: 16. 17). Gesù dice che
vi son de moni che non possono essere discac ciati senoncoll'orazione e col digiuno (XVII. 20 ); non obbligò adigiunare i propri discepoli, ma predisse che di
ginnerebbero quand' egli più non fosse
con loro (IX, 15): gli apostoli si pre pararono col digiuno alle
importanti azioni del lor ministero
(Atti XIII, 2 Cor. VI. 5) ed egli stesso
digiunava (XI, 27) E concludono: se
dunque il detto evangelico « non ciò che
entra nella boccacontamina l'uomo
dovesse letteralmente interpretarsi,
Gesù si sa rebbe contraddetto insegnando il digiu no, e gli apostoli
l'avrebbero smentito
praticandolo,perciocchè l'astinenzadalle
carni non è che una forma di digiuno
men rigorosa dell'astinenza assoluta.
Econvienpur confessare che sopra
questo argomento i cattolici non ra gionano peggio dei protestanti, avve
gnachè gliuni egli altri abbiano torto e
ragione ad untempo, per laragion
chiarissima , che nel vangelo d'ogni
dottrina si trovano i contrari. Il fatto
vero è questo, che già prima dei cri stiani gli Orficie i Pitagorici si
aste nevano dalle carni e dal vino, e che Ori gene ci dice che nel terzo secolo
tale uso trovavasi già in vigore tra
molti fervorosi cristiani. Non è d'uopo dimostrare come que ste
astinenze siano nocive al corpo e
contrarie quindi ad unasana morale:
soltanto una medicina cieca e superti ziosa ha potuto venire in
soccorsO della religione, per mostrare
il lato igienico delle astinenze, quasi
che l'a stenersi da cibi in determinati tempi
e quando forse il corpo ne hamag gior bisogno, possaprodurre gli
stessi effetti delle astinenze ordinate
durante uno stato patologico del nostro
corpo! Astrazione. L' astrazione è
una delle più care e più usate
prerogative della metafisica; ciò val
quanto dire che ❘ella è affatto contraria al metodo spe rimentale. L'astrazione non
è tanto ri provevole pel suo processo, quanto per le erronee e fatali conseguenze acui con
'duce chi ne abusa. Se io considero un
corpo nella sua realtà e secondo il me todo sperimentale, non posso
escludere, come elementi di una esatta
cognizione, i suoi caratteri essenziali,
tali che la forma, il peso, l'
impenetrabilità, il co A 56
ATAVISMO lore, l'odore, il
sapore, e tutte insomma| ficilmente compie il suo ufficio, quanto le proprietà che cadono sotto i miei sensi. Ma se ioelimino dalpensiero tutti gli elementi della cognizione, e nel
corpo considero mentalmente un solo
aspetto, per esempio il colore, avrò
fatta una astrazione di tutte le altre
qualità sen sibili, e il colore, sebben confusamente, mi apparirà al pensiero come possibile a separarsi dall' idea del corpo che lo assume. Da qui la tendenzanei metafisici aconcretizzare gli attributi della mate ria e
a farne tante entità separate ein dipendenti dall' idea di corpo. Il
pericolo è infatti evidente. Se io
considero un corpo in movimento, e
quindi facendo astrazione dal corpo,
tento di riprodurre col pensiero l'idea
di movimento sepa rata da quella di corpo, mi troverò co stretto ad attribuire
a cotesto movimento una certa quale
entità, che possa farlo cadere nel
novero delle esistenze con crete. D'onde la creazione del concetto di forza, cagion del movimento,ed'onde ancora l' error metafisico di concepir
la forza separata dalla materia, mentr'
ella non n'è che l'attributo ( Vedi
FORZA e MATERIA ). Or si è appunto in
graziadi una cosi bella prerogativa
dell' umano intelletto, che la
metafisicaha arricchite le nostre
cognizioni con un numero in finito di così dette verità astratte, le quali hanno tutte tanta realtà quantane ha l' idea di movimento separatadall'or gano
o dal corpo che lo rappresenta. II
principio della metafisica , che ogni
astrazione dello spirito , presup pone qualche dato concreto,non potreb be
essere oppugnato dalla filosofia spe rimentale. Anzi, cotesta filosofia
tantè sicura di questa verità, che
fondandosi saldamente sul concetto che
ogni idea ne viene dai sensi,hanegate le
idee innate. (Vedi IDEE INNATE). Ma
dall' essere ogni nostro astratto
concepimento come unå cotal sorta di
riflessione delle cose este riori, non
ne deriva che tutte queste a strazioni siano vere. L'intelletto astra endo s'
allontana dalla realtà obbiettiva: piu
lontani songli avvenimenti o le cose ch'
essa si sforza di evocare; d'onde la
facilità con cui confonde l'uno coll' al tro fatto, e appropria ad una
cosa lé proprietà dell' altra. Se
pensando alle ali di un uccello, la
mente accoppia in quel momento una
figura d'uomo, io posso ben creare l'
immagine d'un che rubino, ma non nederivaper questo che essa trovi una concreta rappresentazione nella realtà, nè che in natura esistano tutti imostri creati dalla immaginazio ne; ma
piuttosto si troveranno nella re altà tutti gli elementi separati, che l'a
strazione ha insieme congiunti per for mare un nuovo essere. D' onde si
vede, che la sintesi dell' astrazione
non può essere ricondotta alla realtà,
senza il soccorso dell'analisi sperimentale. Atavismo. Ilbotanico Duchêne ha per primo introdotto nel linguaggio scientifico questo vocabolo , che fu poi adottato da Darwin ed è ora divenuto pressochè universale. Indicasi con
questo nome quella tendenza che si
manifesta negli esseri viventi, a
riprodurre certi caratteri anatomici o
fisiologici od ezian dio patologici, che furono già propri dei loro antenati, e non sono più comparsi nei genitori. Ad esempio, la etisia più facilmente trasmettesi dall'avo ai
nipoti, che dai genitori ai figli, e
spesso lascia immune una o due
generazioni, per ri comparire nella famiglia. Ma nelle ere dità fisiologiche
l'atavismo è assai più frequente. Darwin
ha citato ungrannu mero di casi, nei quali vien dimostrata conmolta chiarezzaquesta tendenza, che hanno gli organismi a riprodurre le forme antiche, e il sapiente naturalista inglese si è giovato assai di questi
fatti per assegnare a certe specie di
organi smi i loro antichi progenitori. Spesso
nel cavallo notasi l'apparizione dei diti laterali , che fan credere che questo so
lipede derivi dall' ipparione, animale fos sile molto simile al cavallo, ma che
a veva tre diti. Altri nostri animali dome or è noto che la memoria tanto
piùdif- | stici, a quando a quando riproducono i ATEISMO caratteri dei loro antenati e, per esem pio,
in una razza speciale di buoi di Suffolk
i quali, in grazia di un certo incrociamento,
un secolo e mezzo fa si sono ottenuti
senza corna, di tempo in temporiappaiono
individui cornuti, i quali rivelano la
tendenza a riprodurre questo carattere
originale dei loro antichi an 57 contro
l' ateismo. E convien confessare chese
il fatto fosse vero,sarebbe, senon
altro, una prova o della grandissima e videnza della esistenza di Dio, o
della intima rivelazione che Dio avrebbe
in stillato in ogni uomo della sua propria
esistenza. Ma il fatto non è vero, e la
pretesa universalità della credenzain Dio tenati. Darwin crede eziandio che le va
scompare tosto che la critica sincera e samina le prove numerosissime
raccolte rie forme embrionarie
attraverso alle qualipassa il feto
umano,nonsiano altro | dalla antropologiae dallastoria. L'atei che la
riproduzione delle forme tipiche degli
animali che l'hanno preceduto nella
serie degli esseri da cui deriva ( Vedi
EMBRIOLOGIA) e Vogt considera imicro cefali come una sorta di atavismo
scim miesco. che interrompe la legge di evo luzione. I casi di donne con
quattro e sei mammelle non sono rari, e
Darwin li spiega anch'essi come effetti
dell' a tavismo. Il quale al postutto vuol essere considerato siccome una legge contraria aquella di selezione (vedi DARWINISMO) imperocchè se questa, in grazia della varietà del clima, del nutrimento e del l'
incrociamento, tende costantemente a
trasformare i tipi, l'atavismo ha la co stante tendenza a mantenerli
identici, e or qua or là, manifesta la
sua potenza latente riproducendo, nel
seno stesso dei nuovi organismi, le
forme tipiche dei loro progenitori.
Questa potenza si rende an cor piùevidentenelregno vegetale, dove i tipi derivati che si ottengono senza l'in
crociamento (innesto), e per la sola va rietàdella coltura, inevitabilmente
ritor nano alle forme primitive tosto che si
cessa di coltivarle; la qual tendenza è
comune anche agli animali domestici, i
quali, se sono abbandonati allo stato sel vaggio, facilmente riprendono
i loro ca ratteri originali.
Ateismo.ParolacompostadaTeos, Dio,
e dallaparticella negativa a; d'onde
a-teos, assenza di Dio. La teologia e la
filosofia teologale finora non hanno po tuto far di meglio che negare
ostina tamente l'esistenza di veri atei, e fino
ai nostri giorni fu questo ilmigliore ar gomento che i credenti seppero
addurre smo è lo stato normale di una
buona metà di tutti i popoli dell' Asia.
Non havvi nella lingua cinese unaparola
che esprima l'idea di Dio; della quale
as senza il signor Renandot trova unapro va sicura nella iscrizione Cinese e Siriaca scoperta nel 1625. Gli Assiri, dic'
egli, che la lasciarono come un
monumento della loro missione, essendo
vissuti 146 anni fra i Cinesi non
nepotevano igno rare la lingua. E se
eglino avessero trovato nella lingua del
paese qualche parola che dinotasse
l'Essere supremo, certo l'avrebbero
adoperata invece della parola siriaca a
Cobo. Quindi è ch' essi hanno fatto
quello che gli spagnuoli dopo di loro
hanno dovuto ripetere nel ' America, adoperando la parola Dios per instruire gli Americani, i quali non ave vano
nè idea nè parolache esprimesse il
concetto di Dio . Per giungere
alla medesima dimo ❘strazione, il signor de la Loubère
si serve del seguente passo di Confucio,
il massimo filosofo dei Cinesi.« Per
quanto un uomo sia virtuoso, vi sarà
sempre un grado di virtù ch' egli
raggiungere non può. Il Cielo stesso e
la Terra sì grandi e perfetti,nonpossono
satisfare tutti a causa dell' incostanza
del tempo e degli elementi, diguisachè
l'uomo tro va contro di essi dei motivi di disgusto e d'indignazione. Laonde, se ben s' in tende
la grandezza dell' estrema virtù, si
dovrà confes are che l'universo intero
non può contenerne nè sostenerne il
peso > D'onde si vede che Confucio,
negando la possibilità dell' esitenza di
una virtù assoluta , implicitamente ne 58 ATEISMO
gava l'esistenza di Dio. ( v. CONFUCIO).
Perfino i missionari mandati nella
Cina non hanno potuto negare questo
fatto. S. Francesco Saverio riferisce che i Bonzi del Giappone non volevano cre dere che
vi vosse un Dio, perciocchè, dicevano
essi, se ve ne fosse uno, i Ci nesi non l'avrebbero ignorato ( Epist. Lib. IV).
Anche i gesuiti, tanto interressati a
sostenere l'eccellenza dei Cinesi, le buone grazie dei quali si erano accaparrati, e n' usavano poco cristianamente contro le missioni di tutti gli altri ordini, fu
rono costretti a confessare l' ateismo dei
Cinesi. « I Cinesi, scriveva il padre An tonio Gorefa, sono pieni di spirito,
e nondimeno finora sono vissuti nelle te
nebre e nella più profonda ignoranza
dell' esistenza di Dio La setta
dei letterati, che condanna il culto
degli idoli, non è, a parlare propriamente,
che un Ateismo approvato dalle leggi
dell' im pero ». Si los Chinas no son
Atheos, que Nacion ay o houve quelo sea!
esclama il padre Antoine di Santa
Maria. Contro queste ed altre numerosissime testimonianze, non mancano coloro i quali vogliono che le voci cinesi Tien e Xangti esprimano il concetto della di vinità;
e i gesuiti, infatti, nelle loro tra duzioni delle opere di Confucio
resero queste parole per Dio. Ma il
senso di que' vocaboli tant era lontano
presso i Cinesi di rendere fedelmente il
concetto della divinità, che il vescovo
di Conon con sua ordinanza del 26 marzo
1693 stimò bene di vietarne l'uso per
espri mere il vero Dio. Avendo i gesuiti ricusato di sottomettersi a questo divieto, ne nac que
uno scandalo; l' affare fu portato
aRoma, ove Innocenzo XII nominò una
Congregazione di Cardinali e di Teologi
per deciderlo. La decisione non fu resa
che sotto Clemente XI, il 20 novembre
dell' anno 1704, e confermava il divieto
del vescovo di Conon. Prima di pronun ciare questa decisione i membri
della Congregazione non avevano mancato
di prendere informazioni sui luoghi.
Tra queste informazioni vi è quella che
il vescovo di Bérite mandò al
cardinale Casanate, che qui rendo
testualmente: > Le prove adotte in questo articolo mi dispensano di confutare siffatte idee. Quanto alle ragioni ontologiche dell' a
teismo si troveranno nell' articolo Dio.
Per i filosofi che dopo aver avuto la
coscienza di Dio, lo negarono poi colle
leggi del ragionamento, veggansi inque sto Dizionario gli articoli:
CRIZIA, PRO TAGORA, BIONE, STRATONE, DIAGORA, LEU CIPPO, DEMOCRITO, LUCREZIO,
Fò, AVERROE, POMPONAZIO, RUGGERI,
VANINI, BRUNO, HOBBES, SPINOSA, TOLAND,
MESLIER, LA METTRIE, BOULANGER,
HOLBACH. Atomo. La parte più
piccola della materia, che non può più
oltre 3 60 ATOMISMO
essere divisa chiamasi molecola. Tut tavia la malecola è ancora
divisibile col pensiero , e l'ultimo
limite al quale colla divisione giunge
il pen siero, dicesi atomo. L'atomo è dunque
una astrazione, perocchè ragion vuole
che lo si suppongasenza dimensioni,
chènel contrario caso,il pensiero po trebbe ancora dividerlo
all'infinito. Vedi ATOMISMO) La
chimicamoderna ha adot tati gli atomi come formola convenzio nale, adatta ad
esprimerele più sottili combinazioni e
il modo di aggrega zione delle varie sostanze fra di loro. Si é infatti osservato che leproporzioni fra le varie sostanze che costituiscono i corpi, rimangono inalterate anche nelle più piccole e intime parti del corpo stesso, di guisachè, posto peresempio come provato dalla chimica, che lo zucchero constadi 12parti di carbonio; 23di idrogeno; 11 di ossigeno,se pren diamo la
più piccola molecola di zuc chero, che ci è data concepiree la di vidiamo in
tre parti, troviamo senz'al tro che ognuna di essenonconsta già interamente di una delle tre sostanze componentilo zucchero, ma bensì di 12 parti di carbonio,23 di idrogeno, 11 di ossigeno, e che ogni ulteriore divisione all'infinito constasempre di una combi
nazione simile. Orl'atomo nella chimica
rappresenta appunto l'ultimo limite nel
quale si suppone che le particelle di
carbonio, d' idrogeno e d'ossigeno si
separeranno senza combinazione. Onde
si dirà, che dodici atomi dicarbonio,23
atomi di idrogeno e 11 di ossigeno costi tuiscono unamolecola di
zucchero. Tut tavia questa locuzione è errata, avvegna chè gli atomi
costituiscono spécialmente un principio
di ragione, che impropria mente si trasforma in corpo materiale; motivo per cui molti chimici d' oggidi abbandonano gli atomi allafilosofiaspe
culativa, e chiamano molecole tutte le
parti più o meno piccole dei corpi,
sieno esse semplici o composte, com binate o no. (Vedi MOLECOLA) Atomismo. Sotto questo nome generale s' intendono tutti i sistemi filo
sofici, i quali hanno per fondamento l'i potesi degli atomi, ossia i corpuscoli impercettibili della materia. Se noi pen
siamo alla divisibilità infinita della ma teria, l'antitesi dell' infinito
contenuto nel finito,non può ameno di
presentarsi alla nostra mente (Vedi INFINITO
). Ма pos siamo noi evitare questa assurdità logica? Fino a qual qunto dovremo noi pensare che un corpuscolo non possa ulterior mente
dividersi? Tali furono le questioni
generali che hanno originata la teoria
atomica. Secondo gli atomisti, ciò che
chiamasi atomo è essenzialmente semplice, e ciò che è semplice non può ulterior mente
dividersi. L'atomo è dunque úna
particella di materia elementare, imper cettibile e imponderabile; e
perciò ap punto che sfugge alla tangente dei sensi, essa rivelasi subito come una mera astra
zione. Epperò l'atomo è la materiaquin tessenziata, press' a poco com'è lo spi
rito; e l'aggregato degli atomi costitui sce i corpi. Ciò basta per farci
intendere che l'atomismo antico, nonostante
la sua tendenza al materialismo,
differisce dalle nostre teorie
molecolari in questo, che le nostre
molecole non sono semplici , e non
dissomigliano essenzialmente dai corpi
che compongono, non rappresentano
unconcetto metafisico, ma semplicemente
un concetto d'estensione, quella più pic colissima parte di materia che
ci è dato di immaginare. Sebbene la
teoria ato mica fiorisse nella Grecia ai tempi di Anassagora e di Democrito, ne troviamo però qualche anterior saggio nell' India nella setta filosofica detta dei
Vaisechika della quale fu fondatore
Kanada. Diceva questo filosofo, che se
un corpo fosse veramente composto di un
numero infi nitodi parti, sarebbe vero il paradosso che fra un grano di senape e unamon tagna non
vi è alcuna differenza di grandezza,
poichè l' infinito è sempre e guale all' infinito. Per evitare questa contraddizione supponeva egli che lama teria
fosse un aggregato di particelle
elementari, eterne e indivisibili; e tali ATOMISMO appunto sono gli atomi. Questi sono ne
cessariamente intangibili , poichè tutto
ciò che cade sotto i nostri sensi è un
composto e ciò che è compostopuò sem pre dividersi: ma nondimentichiamo
che l'atomo è indivisibile. Gli atomi
non constano tutti della stessa
sostanza. Ka nada supponeva che ve ne fossero di quattro specie: terrestri, acquei, aerei
e luminosi: sono sempre iquattro
elementi della fisica antica. La varietà
di questi 61 Poco diversa dalla teoria del filosofo indiano è la teoria atomica dei filosofi greci. Gli atomi d' Empedocle, come quelli del filosofo indiano, sono di quat tro
categorie, e il principio superiore
dell' amore o dell' odio li fa congiun gere o li disgiunge. Nel sistema
di A nassagora gli atomi son detti omeo meria, e si distinguono in un
infinito numero di categorie, quante
sono le sostanze e perfino i colori che
vedia atomi costituisce i corpi, ma la loro
combinazione non è meramente arbitra ria e casuale, bensì è regolata da
una legge. La prima combinazione è
sempre binaria, cioè composta di due
atomi; la seconda formasi
coll'aggregazionedi tre di questi atomi
doppi; quattro atomi se condari formano una combinazione ter naria e così via.
Ora questo modo di combinazione, per
quanto sembri strano, non è poi molto
lontano dalla realtà, quale ci fu
rivelata delle moderne ipo tesi della chimica. Abbandonato il nu mero
progressivo degli atomi, che è una mera
astrazione, noi vediamo che ogni
cristallo è infatti un aggregato di
altri cristalli d' egual natura e forma.
Se, ad esempio, noi prendiamo una delle
più piccole cristallizzazioni del sale co mune, vedremo che ha la forma
di un cubo. Or quel cubo può decomporsi
in altri piccoli cubi, e ciascun di
questi in una quantità di altri cubi più
piccoli, e cosi di seguito fino all'
atomo che si suppone elementare. La
scienza è dun que venuta a convalidare, fino ad un certo punto, la teoria atomica. Se non che, mentre la teoria molecolare più modesta della prima, a questo punto si è fermata, limitandosi a concepire la molecola come la più semplice espres
sionedellamateriaimmaginabile; lateoria
atomica invece, ha voluto quintessenziare l'atomo e renderlo immutabile nell' uni
verso. Dopo tutto questo, Kanada, per
una sorta di astrazione, che non si sa
comeben si concilii colla semplicità e lementare dei suoi atomi, ha ammessa un' anima distinta dal corpo. mo. Ma è soltanto con Leucippo e De mocrito
che il sistema atomistico della Grecia
assume una forma più risoluta e
allontana, siccome ipotesi inutile, il prin cipio spirituale. Poichè gli
atomi sono semplici e riempiono tutto,
come potrebbe definirsi lo spirito, e
qual posto dargli? Se l'atomo è
semplice, e semplice è lo spirito, l'uno
o l'altro è superfluo, oppure l'uno si
confonde coll'altro (Vedi LEU CIPPO E DEMOCRITO). Mentre Anassagora aveva creato tante sorta di atomi quante sono le sostanze, Democrito, afferrando il gran principio dell'unità della
materia, tutti li supponeva della stessa
natura e sol diceva che i corpi
differivano pel di verso modo della loro aggregazione. Si Leucippo che Democrito, ammettendo la eternità degli atomi e del movimento loro, escludevano esplicitamente la possi
bilità della creazione. Ogni cosa è for mata degli atomi e gli
atominonhanno principio nè hanno fine.
Questa dottrina fu ad un dipresso
adottata da Epicuro e cantata da
Lucrezio coi suoi aurei versi. Qui
l'atomismo antico si avvicina al
materialismo moderno: non solo rico nosce l'eternità degli elementi materiali, ma energicamente afferma la realtà della materia. Verità triviale, se si vuole,
ma che non èperciò, cosa incredibile ma
pur vera, meno contrastata anche ai
nostri giorni (Vedi BERKELEY, COLLIER е
Ма TERIALISMO). Nei tempi moderni
l'atomismo rinac que con Gassendi, ma fu sistema scem pio, perciocchè, fedele
al domma della creazione ex nihilo, tolse
agli atomi l'e ternità, li fece decadere dal grado di 62 AUTENTICITA
principio a quello di fenomeno, e in tal
senso la sua ipotesi diventava inutile.
L'atomismo è invece passato nelle scienze naturali sotto il nome di teoria moleco lare,
la quale, come già dissi, è benlon tana di considerare gli atomi con quel carattere di principio elementare che Cadivisioilità degli antichi ad essi at
tribuiva. Attrazione. Newton hacosì chia
mata la tendenza che hanno i corpi di
attrar i fra di loro in ragione diretta
delle ma-se e inversa del quadratodelle
distanze. Quando questa tendenza eser citasi fra i corpi celesti,
chiamasi attra sione universale, o gravitazione; è in vece attrazione
molecolare o coesione quella che si
compie fra le molecole a distanze
infinitamente piccole. Filosoficamente
parlando, l'attrazione esprime un fatto,
non già una causa, onde sarebbe crroneo
il supporre, che essa fosse un certo che
di separatodalla materia in cui si
manifesta. L'attrazione è una forza, e come tutte le forze è un attributo nominale, non sostanziale,
della materia (Vedi FORZA). Attributo. Dicesi attributo ogni qualità o proprietà dei corpi, che ser vono a
meglio determinarli o a far ne conoscere l' essenza. Vi sono at tributi reali
ed attributi inetafisici; e ben si
capisce che questi ultimi hanno tanta
realtà quanto gli enti a cui si attribui scono. Così l'unità, '
attività, ' immor talità dell' anima sono attributi tanto veri quanto può esser vera la esistenza di quello spirito, che si chiama anima; come l' onnipotenza, la bontà e infinità di Dio sono subordinati all' esistenza
di di quello spirito che si chiama Dio.
Ma siccome sull' argomento degli spiriti
l'e sperienza se ne rimane muta, e siccome
d'altronde la metafisica nullac' insegna
che sia assolutamente dimostrato intorno
a questo argomento , così è chiaro che
gli attributi della metafisica mancano
di ogni dimostrazione. Non così
accade degli attributi reali, propri
della materia, i quali in qualche modo
cadono sempre sotto i nostri sensi. Anzi
tant'èlarealtà e l'evidenza di questi,
che spesso la metafisica li confonde e li innalza al grado di sostanze separate,
di entità metafisiche. Accade così del
mo vimento, del pensiero ecc. ( vedi questi
nomi) i quali, quantunque logicamente
non si dimostrino altro che attributi soe cialissimi della materia, la
metafisica li concreta in altre sostanze
cae stanno fuori della materia, e quindi
nel nulla. Anche l'idea generica di
forza, che la metafisica ha creato e la
filosofi speri mentale adottato per spiegare intelligi bilmente la causa dei
fenomeni, non si risolve, in ultima
analisi, che in un aturi buto della materia (vedi FORZA). Quindi è, che i soli attributi sui quali non
cade onon dovrebbe cader disputa, son
quelli stabiliti dalla fisica
sperimentale per i corpi, come sarebbero
' impenetrabilità, l'estensione, la
porosità, la divisibilità, il colore, il
sapore, il peso e tutte in somma le maniere con cui lamateria si presenta ai nostri sensi. Audeo • Audio. Nacque nella Mesopotamia verso la metà del quarto secolo. D' indole atrabiliare e di un esa
gerato ascetismo, soleva egli rimprove rare acerbamente la mollezza dei preti e dei vescovi de'suoi tempi, ond' era spes so
svillaneggiato e talora anche maltrat tato. Denunziato all' imperatore ed esi
gliato infine nella Scizia, v' istruì molti
proseliti, insegnò la pratica della vergi nità e fondò monasteri colle
regole del viver solitario.
Dall'ortodossia si distaccò in alcuni
punti di dottrina, come nella celebrazione
della Pasqua, ch' egli faceva nel giorno
stesso della Pasqua dei Giu dei; poichè diceva che il Conciliodi Ni cea l'aveva
trasportata nel giorno na talizio dell' imperatore, per adulazione verso Costantino. Dopo la morte diAu deo la
sua setta fu governata da vari vescovi
fino alla fine del quarto secolo, col
quale si spense. Autenticità Vedi CANONE
E APO CRIFI. Per l'autenticitàdegliEVANGELI e
del PENTATEUCO vedansi questi nomi. AVERROE 63
Autorità. In filosofiadicesi auto- mente rimettersi all'autorità, in
quelle d'opinione, ha il dovere, per
quanto e meglio può, di far egli stesso
le sue rità quella testimonianza che l'
uomo dotto nelle specialità fa sulle
cose della scienza o dell'arte che gli
appar tengono. E per quanto rifuggasi in
buona filosofia dal prestar fede all'au torità, non può, per altro,
questa eli minarsi affatto, poichè niun uomo può essere dotto intutte le scienze, nè
tutto può sapere. Laonde, per quanto si
in culchi e s' insegni che l'uom deve da
se stesso accertare le cose a cui crede,
non può, per altro, escludersi che in
illazioni. Averroe. Pseudonimo di
Ibn-Ro scd. Filosofo arabo nato in Cordova
verso la metà del XII secolo. Egli fu
il primo che volgesse dal Greco
in arabo i libri di Aristotile , e i
suoi commenti sopra questo filosofo a
cui pro fessava grandissima stima, glimeritarono il sopranome di Commentatore. Aristo tile
sintetizzando tutte le forze di natura e
riducendole ad unità, n'aveva compo sto un tal simulacro di Dio, che nulla
di molti casi ei nondebba
necessariamente ricorrere all'autorità,
vuoi nellescienze storiche, vuoi nelle
fisiche o nelle ma tematiche, e rimettersi al parere di co loro che ne
trattarono con fondamento. Escludere,
infatti, l'autorità dalla storia sarebbe
quanto il negare la storia, però che noi
stessi non possiamo accertarci delle
cose passate; ma del pari non possiamo
conoscere per nostra espe rienza tutto ciò che riguarda le altre scienze, ond'è che inquelle parti nelle | di
assoluto, d' inalterabile, d'eterno, on quali ci riconosciamo manchevoli, dob
divino aveva. E fu con una cotal sintesi
cheAverroe, sorvolando a tutti i fenomeni della coscienza individuale, considerava il pensiero umano come la risultante di tutte le forze dell'universo, o come
parte o azione di una ragione
universalo, che, indipendente dalla
materia non poteva dirsi, ma nemmen che
le fosse soggetta. La ragione fu per
Averroe un cotalche biamo rimetterci
all'autorità di uomini competenti.
Abbisi soltanto l'avvertenza di non
confondere il parere di uomini
autorevoli con la vera dimostrazione,
però che, come ben dice il Romagnosi,
questi dotti possono essere interpreti
della ragione, non la ragione medesima.
Nè estendasi poi l'autorità loro invocata sopra una determinata cosa, a tutti i rami dello scibile, come spesso si suol fare , onde nascono i tanti abusi e le tante autorità effimere,che menano all'errore. Perocchè un uomo può es sere
autorevole in una scienza e non avere
autorità alcuna nelle altre, onde tutti
i grandi, si smarrirono quando uscir
vollero dai lorostudi. L'autorità
specialmente s'invochi sulle questioni
di fatto, poichè in quelle il giudizio di tutti gli uomini si accorda; madove vi è passione, o entusiasmo, o opinione determinata da un partito, l'autorità a nulla giova, perciocchè se nelle que stioni
di fatto l'uomo deve necessaria de inalterabile e eterna doveva essere l'umanità che partecipava ai privilegi di cotesta ragione. Qui scambiando l'essen za
con la forma, Averroe troppo presto
dimenticava, che nessuna forma è inalte rabile e imperitura nell'
universo e che l' umanità deve
necessariamente seguire questa eterna
legge di evoluzione. Averroe non è
propriamente allascuo la esperimentale che vuol essere ascritto, ma negare non si può ch' eglinon tenda alquanto al panteismo. Perciocchè quella sua ragione universale, sintesi dell' uni
verso che s'incarna e s'individualizza
nella coscienza individuale, non ripugna
aquesta scuola. Come Aristotile,
dal suo Dio panteista aveva dedotta la
conseguenza che non vi può essere
relazione alcuna possibile tra
Dioelaspecieumana, così Averroe esclude
i preti e la teologia dal concorrere alla suprema felicità. La personalità finisce col corpo, e dopo la morte va per dendosi nel
mare della intelligenza uni versale, alla quale, non solo è affine, ma 64 BACONE
risale almeno a quattro secoli dopo.
Avicenna, pseudonimodi Jbn-Si anzi identica. Perciò, tutte l'anime in |
ribus, ma a torto, poichè quello scritto
nulla differiscono fra di loro, e l'orga nismo solo quello è, che
fadiversi gl' in dividui, che dà una personalitàpropria a Socrate diversa da quella di Platone. Or gli organi periscono, e l' anima, la ra gione
rimane inalterata e si confonde nella
ragione universale. Questa ragione è
eterna; come eterna è la materia; on de il creare e il risorgere son cose del pari assurde.
Per quel che si vede, non può dirsi
che Averroe spingesse agli estremi le sue negazioni. Pure, senza volerlo, fu egli reputato, e restò per lungo tempo, come na. Celebre medico arabo nato nell'anno 880. Scrisse moltissime opere
filosofiche, dove illustrò i principii
dei peripatetici il capostipite dell'
incredulità. A lui si attribuirono le
più ardite opinioni e i più scettici
pensieri; da lui si intitolò la tendenza
al discredere. L'averroismo non fu
dottrinapanteistica o filosofica, ma pei
successori di Averroe fu ladottrina del con le massime della filosofia
araba. Ammetteva ' eternità del mondo,
seb benegli assegnasse unacausa efficiente,
Ja quale però non cadeva nel tempo;
l'anima voleva congiunta al corpo e la
sua perfezione consisteva per lui in
uno stretto legamecol mondo intellet tuale. Cadeva quindi nell' error
dei mi stici, supponendo che l'uomo tanto più
si fa perfetto, quanto meglio si allon tana dal mondo e si rivolge alla
spe culazione. Non pare però cheAvicenna
abbia messo in pratica le sue idee,
poichè spesso si abbandonò all'orgia e
mori infine d'una malattia d'intestini,
l'incredulità. Ad Averroefu attribuita la ❘ coi conforti della religione mussul redazione del libro De Tribus
imposto- mana. B Bacone(Francesco) Barone di Ve rulamio,
Cancelliere d'Inghilterra, fu fi losofo profondissimo, e di quanti merite voli
di tal nome siano stati, il meno o nesto e il men sincero. Avido di denari e d'onori ei non sempre curò di leal mente
esporre le sue convinzioni, sicchè le
opere di lui riboccano di passi scritti
in favore di una religione ch'egli ogno ra combatteva coi dettatidella
sua filo sofia. Fu egli che scrisse quel detto, di venuto famoso per esser
stato poi ri scritto da tutti gli apologisti, che poca scienza conduce all'ateismo è molta scien
zariconduce alla religione, ondeil catto lico Ladvocat lo chiama dotto teologo, modesto storico, profondo giurista e gra
zioso poeta, e l'autoredelle memorie per
la storia ecclesiastica dice, ch'egli era un protestante molto propenso al cattolice simo.
Giova aggiungere però, che l' am missione nel pantheon cristiano di cote sto
uomo, fa un gran torto al cristiane simo. Se l' apparenza e la lettera
degli scritti di Bacone stanno per la
religione, lo spirito delle sue opere è
tutto diretto anegare il sovranaturale.
Nel Trattato sulla natura delle cose e
in quello Dei principi e delle origini,
Bacone combatte fieramente l'antica
scuola del trascen dentalismo Platonico ed Aristotelico, e rendendo ragione a Democrito e ad E picuro,
egli fa sua la loro teoria atomica
eproclama che la materia è eterna ed
indestruttibile, che il mondo basta a se
stesso e che fuori del mondo non vi so no corpi. « Lamateria, diceva
Bacone, ha dessa un' origine? Ciascun
uomo che BACONE ragiona, per la
testimonianza dei sensi deve
naturalmente pensare che la mate ria è eterna (Principj edorigine). Essa è indistruttibile, impenetrabile. Siamo 65
coli, ed essa li produce asuo tempo per
una legge inevitabile (Dignità ed accre scimento lib. II. Cap. XIII). Or
come si concilia ella mai questa ardita
teoria disposti ad ammettere l'idea di
Erone che ce la rappresenta come
costituitada atomi separati da unvuoto
misto. Tutto cambianella forma, in
sostanzaniente si distrugge ed il volume
della materia re sta sempre lo stesso. Non si neghi l'u tilità delle ricerche relative
al primo stato degli elementi od atomi;
sonoque ste forse più importanti d' ogni altra.
Esse regolano l'atto e la potenza, esse
moderano l'immaginazione e le opere
(Pensieri sulla natura delle cose).
Altrove Bacone parla con molto di sdegno delle cause finali, e vuole ope
rare fra le scienze naturali e le teologi chequel divorzio che oggimai si è com
piuto, non senza grandissimi contrasti.
Baggemio di Lipsia. Visse verso
la metà del XVII secolo. Si disputava
allora tra i teologi e i filosofi se Dio
avesse creato il mondo per meglio far
risplendere i suoi attributi, o se pure
l'avesse creato per farsi rendere omaggio dagli Enti liberi. Baggemio avanzò una certa ipotesi nonmeno assurda delle al mase
parecchi anni. Ma essendo poi ve nuto amorte il superiore,Bacone seppe ingraziarsi il successore di lui, indiriz- tre,
e pensò che Iddio si fosse determi
zandogli, come segno di omaggio, uno
scritto sui mezzi adatti a fermare ipro gressi della vecchiaia. Poco di
poi Ba cone fu ridato alla libertà, manon molto
sopravisse alla sua liberazione, poichè era vecchio, e gli effetti del tempo, che vo leva
arrestare sugli altri, non aveva sa puto impedire sopra se stesso. Lafantasia degli scrittori moderni si è compiaciuta di trasformare questo mo naco
inun uomo di scienza incompa rabile, sol perchè egli fu perseguitato; ma le persecuzioni degli stolti non ba
stanomicaper innalzareun ingegno men che
mediocre finoall' altezza dei tempi
presenti. E che mediocrissimo sapere
possedesse cotesto frate, ce lo attestano i madornali errori e gli stupidi suoi pregiudizi nelle scienze naturali, nelle quali pur sempre si vuol dottissimo.
Egli insegna che con spermaceti, aloe e
carne di dragone puossi prolungare la
vita, e conla pietra filosofale
immortalarla; che la constellazione
dell' agnello ha una di retta influenza sulla testadell'uomo,quella del toro sul collo e quella dei gemelli sulle braccia. (Opus majus). Altrove
dice che la luce si fa per moltiplicazione univora ed equivoca, che quest' ultima genera il calore, e il calore la putrefa
zione. Gli fa troppo onore chi crede
ch'egli sia stato l'inventore della polvere, per un certo passo che si legge nel suo Opus Majus, ove si accenna al fuoco greco ead un certo fuoco, che facevano i bimbi di quei tempi, i quali mettendo del salnitro in una piccola palla grande un pollice egettandola sul fuoco, produ
cevano un rumore sì violento che sor nato ad agire per amore verso le crea
ture. Così restò bene assodato che, in
qualunque modo siconsidera,questo Dio
creatore non può sfuggire all' antropo morfismo. I teologi e i filosofi
gli attri buivano un vizio: l'ambizione d'imperare sopra dei sudditi, e di risplendere ai
loro occhi; eBaggemio gl' imputò una
virtu; virtù e vizi però che sono sempre
copiati dalla passioni umane e che in
nessuna maniera convengono all' Ente
assoluto. Bajo, o Bay (Michele) Nacque
a Malines nell'Haynaut nell'anno 1513,
fu ricevuto dottore nel 1550e nell'anno
se guente occupò lacattedra di Sacra Scrit tura nella università diLovanio. In
quei tempi ferveva vivissima tra i
cattolici e i protestanti la
controversia sulla grazia e la
predestinazione, e gli uni e gli al tri pretendevano di appoggiarsi sulla au
torità di S. Agostino, il quale, coi passi
scritturali, aveva dimostrato contro i pe lagiani, che l'uomo non può
far nulla senza Dio, che tutte le nostre
forze ven gono da lui, giacchè siamo corrotti e
nasciamo figli d'ira. Imperocchè, diceva
questo luminare della Chiesa, dopo il
peccato, l'uomo da se stesso è impotente
a salvarsi senza il soccorso della grazia divina, ed anzi senza questa grazia egli non avrebbe potuto perseverare nella giustizia originale. Condotto dallo
spirito dei tempi astudiare questa
questione, Michele Bajo credette di
rettamente in terpretare S. Agostino contro ilduro fa talismo divino di Calvino
e di Lutero, affermando, che la divina
giustizia non avrebbe potuto creare gli
uomini senza le grazie e le perfezioni
dello statod' in BAYLE 67 nocenza. Pertanto, mentre S. Agostino tenete
voi, ai calvani sti, ai luterani, ai
ammetteva che eziandio una certa qual ❘ zuingliani ?- Io, ripeteva Bayle, sono grazia sufficiente era necessaria per sal-
protestante,equindiprotesto contro tutti.
varsi, Bajo ammise, che l'uomo creato Odiato da molti , egli nondimeno
co libero e giusto si è perduto per sua colpa, ❘ strinse i suoi nemici ad inchinarsi d' in e che
persolavolontàdilui persevera nella nanzi alla perspicacia del suoingegno
e colpa dopo la caduta. Bajo dunque,
con- a riguardarlo come il luminare del suo
tro Lutero e Calvino ammetteva il libero | secolo. Scrisse molte
opere,frale quali il arbitrio,
madifferiva dai cattolici in ciò, che mentre
questi lo fanno consistere nel potere di
determinarsi liberamente Dizionario
Storico-Critico, nelquale rias sume tutte le eresie e tutte le opinioni della filosofia. Le scuole dommatiche
non senza alcuna necessità esterna ed
inter na, Bajo sosteneva che nel pensiero di
S. Agostino il libero arbitrio consistesse in questo, che ' uomo non è esposto a nessuna necessità esterna, senza che in
ternamente egli abbiailpotere di deter minarsi per una cosa diversa da quella ch'egli fa.
Cotal divergenza di opinioni eccitò
serie dispute, specialmente da parte dei
religiosi dei Paesi Bassi dell' ordine di S. Francesco, i quali spedirono a Parigi dieciotto proposizioni del loro
avversario, che la facoltà di
Teologiacondannò. La sanno perdonargli
il metodo della sua critica, perciocchè
spesso assumendo la difesa di un domma,
ei lo circonda di tante difficoltà, gli
solleva contro le tante obbiezionidegli
antichi eresiarchi, espone le tante
fiate i difetti della ortodossia, che il
lettore,dopo un difficilissimo cam mino attraverso alle cento
controversie, giunge alla conclusione e
alla vittoria dopo aver perduto la fede.
Non è dun que senza fondamento che alcuno scrisse dilui : essere più fatali alla religione
le sue difese, che gli stessi suoi
colpi. Certo, questo sistema di critica
nè disputa non si acquetò per questo;
l'af- | sarebbe opportuno nè decoroso per la
fare fu portatod' innanzi al soglio ponti ficio, ove le proposizioni di
Bajo furono del pari condannate. Manon
andò guari chele stesse dispute, risorte
nella Spagna
conMolinaeGiansenio,minacciarono per
lungo tempo la pace e la tranquillità
della Francia (Vedi GIANSENISMO).
Bayle(Pietro)nacque a Carlat nella
contea di Foix e fece isuoi primi studi
di filosofia a Tolosa. Di nascita pro testante, egli per le insinuazioni
di un prete , giovane ancora, si
converti al cattolicismo, che abiurò
dopo 17 mesi. Nel 1675 ottenne
lacattedradi filosofia a Sèdan, ma le
calunnie del ministro Jurieu lo
costrinsero poco di poia rifu giarsi in Olanda, dove fu nominato ad altra cattedra in Rotterdam. Uomo di costumi austeri e di studi profondi, pro
testante di nome, non apparteneva di
fatto anessunareligione positiva. A co loro che lo interrogavano sulla
sua cre denza, rispondeva: io sono protestante. Ma aqual comunità protestante
appar flo moderna, ma noi dobbiamo
pur concedere la lor parte al tempo
ed Li costumi, perciò che quelle
verità elementari che oggi non escono
dai limiti della più modesta
opposizione, po tevano altre volte esser sommamente ar dite e pericolose per
chi avesse osato di vulgarle. D'altronde, non sempre il Bayle fu timido e riguardoso, e in parecchi luoghi del suo dizionario entrò in cam pagna
quasi apertamente contro la divi nità. Egli è specialmente nell'esame cri tico
del Manicheismo che scuote forte mente il principio dommatico d'ogni re ligione
a tutto profitto dello scetticismo, e dimostra
quanto poco le opere di Dio
corrispondano all'idea che dobbiam farci
della sua infinita sapienza, della bontà, della santità e dellapotenza infinita.
Egli esamina se il mondo possa
considerarsi come prodotto da un sol
principio, e conchiude per la negativa.
Ilmondo non è perfetto: zone glaciali,
zona torrida, deserti spaventosi e mari
immensi la 68 BATTESIMO rendono poco abitabile ; montagne e rupi la sfigurano; fulmini, tempeste,
terremoti evulcani la sconvolgono; gli
animali si combattono e a vicenda si
distruggono, e l'uomo stesso, pieno di
mali e di biso gni, non può considerare la sua storia che come una sequela di sventure e di rovine. Or, dice il Bayle toccando iquat tro
punti che formano il contrasto della sua
critica, la Somma Bontà può pro durreuna creatura rea? La SommaBontà può produrre una creatura infelice? La Somma Bontà congiunta aduna potenza infinita non dovrebbe forse colmare l'o pera
sua di tutti i benie da essa allonta nare tutto ciò che può offenderla o mo
lestarla? Invano si risponderà che le di sgrazie dell' uomo son conseguenza del
l'abuso della sua libertà: la sapienza in finita di Dio doveva prevedere tale
abuso: e lasua bontà doveva toglierlo.
Queste idee che il Bayle ripete nelle
sue Ri sposte ad un Provinciale, non passarono
inosservate alla filosofia religiosa , la quale rispose per la boccadei suoi mas simi
organi. Le Clere, l'arcivescovo King, il
Jacquelot, e il Placete scrissero parec chi volumi per confutarla, e se vi riu
scirono ce l'insegna la storia dello spi rito umano, la quale ci dimostra,che
le obbiezioni del Bayle sono la eterna
anti tesi che la ragione di tutti i secoli op pone ai pretesi attributi della
divinità. Baralloti. Così si chiamarono
al cuni eretici di Bologna, altrimenti detti
obbedienti. Di loro non si sa altro, se non che praticavano il comunismo così dei beni, come delle donne e dei figliuoli. Basilide. Visse adAlessandria cir ca 150 anni
dopo Gesù. Non potendo concepire come il
bene e il male deri vasserodauna stessa sorgente, immaginò che Iddio avesse creata la Intelligenza, questa il Verbo, il Verbo la Prudenza, la Sapienza, la Virtu, i Principi e gli Angeli. Gli angeli si dividevano in 365 ordini, ciascun dei quali aveva fatto un cielo, e ' ultimo di essi la Terra. Gesù era venuto per liberare gli uomini dalla schiavitù in cui gemevano, aveva fatto i miracoli che i cristiani narrano , ma non si era guari incarnato, poichè, al dir di Basilide, dell' uomo non aveva assunto che le apparenze; nè egli era morto sulla croce, poichè Simon Cireneo vi era morto in vece sua. Questo amal gamadei
principi di Platone e di Pitagora con
quelli dei Cristiani e dei Giudei, nulla
c' interessa, fuorchè in questo, che le
credenze di Basilide provano come già
nel secondo secolo si negasse la realtà
storica di Gesù. Basilide lasciò una setta che da lui prese il nome e si confuse coi cabalisti. Battesimo. Il principio della pu rificazione
per mezzo dell' acqua è il più
universale che si conosca, siccome quello che dalla natura stessa e dalla igiene è consigliato. Perciò varie religiose
lavande troviamo instituite dagli
antichi, quali per gli uomini, qualiper
i templi e quali per gli animali; e la
triplice abluzione dei mussulmani
èpureunavanzo di que sti riti. Ma il lavacro considerato come segno di iniziazione noi lo troviamo pri
mamente instituito nell' India, culla di
Brama, dove i neonati, nei tre giorni
che succedono la nascita, devono essere
purificati nell'ondadel Gange, e i lontani nell' acqua lustrale santificata dal Bra
mino. Presso gli ebrei troviamo non
scarse instituzioni di sacre lavande; ma
l'acqua non è più segno d'iniziazione: il battesimo è di sangue e appellasi circon
cisione: il padre del bambino deve ta gliargli o fargli tagliare il prepuzio ne
gli otto giorni successivi alla nascita.
Più tardi, il battesimo d'acqua come se gno d'iniziazione ricompare fra
gli stessi ebrei colla settadegliEsseni,
posti lungo le rive del mar Morto, di
cui vogliono alcuni che Giovanni il
Battista fosse, se non partecipe, almeno
imitatore. Gli E vangelisti hanno cercato di inquadrarlo nei loro racconti comeunprecursoredel Messia, ma nonè senza insulto alla ve
rosimiglianza che questa predisposizione
può essere ammessa. Il Battista è per se
solo capo setta ed amministra il Batte simo senza preoccupazioni future.
Gesù BATTESIMO 69 stesso riceve questo segno d' iniziazione |
altro liquido, siavino o saliva. Alle quali
ed è nel Giordano, come già i bramini
nel Gange, che Giovanni dà il santo la esclusioni non si può negare per
certo un carattere assolutamente magico
, e
vacro. Il bisogno difar primeggiare Gesù
sopra ogni altro personaggio della leg genda evangelica, ha indotto gli
evange listi a far comparire dei segni speciali | putata efficace al
Sacramento, perchè una grandissima ignoranza
degli ele menti chimici di cui si compongono
i corpi. Avvegnachè se l'acqua è re nel momento del suo battesimo, ma
nel fatto noi vediamo che non è
primadella morte di Giovanni che il
preteso Messia incomincia il suo
proselitismo. Il batte simo era dunque stato perGesù il mezzo di aggregarsi ad un partito già
costituito, del quale ebbe la direzione
dopo che fu decapitato il maestro , ma
si poca importanza egli dà a questo
segno, che non lo vediamo mai amministra
re il battesimo ai suoi proseliti. Ne
gli apostoli, nè i discepoli suoi sono
mai stati battezzati, nè mai battezza rono, e S. Paolo , che a
buona ra gione può dirsi il fondatore del cri stianesimo, continuando il
rito ebraico, circoncise ma non battezzò
il suo di scepolo Timoteo. Onde i cattolici scu sano questa ommissione dicendo
conS. Bernardo (Epist. 77), che non
potevasi imputare a colpa il non
ricevere il battesimo prima di una
sufficiente pro mulgazione delVangelo.
Nemmeno dopo Gesú e dopo itempi
nol sarebbero l' azoto e l'idrogeno on de l'acqua è composta, e perchè
non il vino, la saliva od altro
qualsiasi li quidonel quale l' acqua entracome prin cipale componente ? Ma se il Sacramento del battesimo era contestato in quanto alla sostanza, non lo fu meno in quanto alla forma. Nonconoscevasi nei primi secoli alcuna formola canonica: i più battezzavanonel nome di Gesù Cristo; il diacono Lisino battezzava dicendo: Cristo te illumini; e S. Lorenzovi aggiungeva: nel corpo e nell'anima. Alla validità del battesimo non reputavasi dunque necessaria l'invo
cazione della Trinità . La necessità di
questa formola comparve officialmente
nella Chiesa soltanto ai tempi del Con cilio di Nicea, il quale promulgò
un ca none ove prescrisse, che i Paulinisti ve nendo ammessinella Chiesa,si
dovessero ribattezzare perchè battezzati
senza l'in vocazione della Trinità (Canone 7.) Fu gran questione nella Chiesa per sapere se fosse valido il battesimo
amministrato della Chiesa apostolica
troviamo che i cristiani fossero
concordi sulla necessità di amministrare
il battesimo d'acqua. Perciocchè molte
sette negavano ogni Sacramento
sensibile, i Manichei dice vano l'acqua prodotta da un principio cattivo, e i Seleuciani, per quanto dice Tertulliano, ripudiando il Battesimo di | III
prescrisse essereinvalido il battesimo
acqua vi sostituirono quello del fuoco,
appoggiandosi a un passo diS. Giovanni
evangelista. Anche i Giacobiti, fedeli a
questopasso, furono soliti imprimere sulla colla formola prescritta, ma senzalepa role
che esprimessero l'atto, cioè senza
dire: io ti battezzo nel nome ecc. Tra
gli scolastici Pietro il Cantore e Pietro Lombardo il sostennero valido, altri lo negarono; maunaDecretaledi Alessandro fronte o sulle braccia del neonato un segno di croce con ferro rovente. La Chiesa ha però dichiarati nulli questi amministrato senzale parole esperimenti l'azione. Respinte cost apoco a poco tutte altre formole, questa sola restò ufficial
mente ammessa: Ego te baptizo in no mine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Intanto la semplicità primitiva del bat
tesimo andava scomparendo, e i ritima modi di battezzare, e nelconcilio di Fi-
gicichevisisoprapponevano dalla Chiesa,
renze e in quel di Trentodecretò l'acqua lo elevavano man mano al grado
di naturale essere la vera ed essenziale
ma- Sacramento indispensabile alla salute.
teria di questo Sacramento, escluso ogni | L'acquanaturale nonparve
materia suf 70 BATTESIMO ficente al ritod' iniziazione ;
s'incominciò acopiare l'uso pagano
dell'acqua lustra le, e la si volle benedetta; poi nonbastò la benedizione : si ordinò di soffiare
sulle acque, di unirvi il santo Crisma,
d'im mergervi dentro l'acceso cero pasquale ;
e a quest'acqua così benedetta attribui rono i padri la virtùmiracolosa
di mon dare le animedal peccato. Ma la neces sità di mondare i neonati dalla
macchia originale non ancora era
vivamente sen tita, e lo prova l' antichissimo uso di ministrare il battesimo soltanto
neigiorni solenni e per ministero
esclusivo del Ve scovo, il quale, se era assente, dovevail battesimo differirsi. (Chardon, Histoire du Bapt. I). La quale costumanza mal si concilierebbecon lasollecitudinedellaChie sa
per salvare le animepericolanti, nè am mettere sipuò che un vescovo solo bastas
seabattezzare in ognigiornotuttii neonati
posti sotto la suagiurisdizione. Provano
questa costante costumanza degli antichi
tempi, gli antichi battisteri sempre po sti in vicinanza
dellaCattedrale,e toglie ogni dubbiouna
lettera di S. Gregorio all' Esarca di
Ravenna, colla quale il Pontefice
esortava il ministro imperiale anon
detenere il vescovo d' Ostia, onde colà
non vi morissero i fanciulli senza
battesimo (v. Gregorio Epist. 32).
Nella Chiesa primitiva non battez zavansi i fanciulli, ma sì gli adulti;
e a quelli rifiutavasi il battesimo i
quali i struiti non fossero nei misteri della reli gione; onde in tempi più
vicinigli ana battisti tennero siccome invalido il bat tesimo dei fanciulli,e
fattiaduųli ribat tezzarono (vedi ANABATTISTI). Nei primi secoli i eandidati al cristianesimo dice
vansi catecumeni, nè venivano ammessi al
segno della iniziazione cristiana senza
molte prove e un lungo noviziato. Ilpa ganesimo aveva avuto i suoi
misteri, e alla nascente Chiesa sarebbe
parso disdicevole il non avere i propri;
onde ai catecumeni non rivelavansi le
cose arcane senza prima farli passare
per una lunga serie di iniziazioni.
Queste, per verità, non costumavansi nè
durante il primo, nè nel secondo secolo,
nei quali la Chiesa, ancor fedele alla
tra dizione apostolica, battezzava facilissi mamentechiunquechiedevadi essere
fatto cristiano. Ma la semplicità è
naturale nemicadella religione, la quale
sempre abbisogna d' arcano, onde i padri
del Concilio Illiberitano stabilirono,
che nes suno dovesse ammettersi al battesimo se
non dopo lo spazio di due anni di spe rimentata condotta. Durante questo
pe riodo il noviziato dei catecumeni era
diviso in tre gradi : di Uditori, di Ge nuflessi e di Competenti. I
primi dove vano uscir dalla Chiesa subito dopo la spiegazione catechista e prima delle preghiere comuni; alle quali assistevano i secondi, ma sempre genuflessi. I soli Competenti erano ammessi all'istruzione dei divini Misteri. Alcuino nella quinta Epistola a Carlomagno, ci trascrisseun saggio delle istruzioni che si davano ai Competenti prima di ammetterli al bat tesimo,
e lo toglieva dal trattato De
chatechisandis rudibus di S. Agostino,
onde siam sicuri che questa pratica già
era in uso nel quinto secolo. « I ca tecumeni , dice Alcuino , si devono
i struire sulla immortalità dell' anima e
della vita futura, della retribuzione dei buoni e dei rei, dell'eternità del
regnodei cieli e dell'Inferno..... si
debbono illumi nare sulla fede nella Trinità; sulla na scita, passione e morte
del Salvatore, e si darà loro una idea
della risurrezione dei corpi e della
seconda venuta di Cristo ». Quindi
icatecumeni erano am messi alla cerimonia dell' Ephata, che significa aprire, perciocchè dicevasi
che aprivansi le loro orecchie alla
disciplina dei misteri , non però a
quella dei riti, questa essendo
riservata ai soli battezzati. Poi,
sottoposti perunperiodo di tempopiù
omeno lungo alle austerità e alle opere
di mortificazione, davasi mano a libe rarli dalla potenza di Satana
ond'e rano invasi, perciocchè la Chiesa, fedele
al carattere demonologico del Cristiane simo, vedeva lo spiritodel male
in ogni uomo che non partecipasse alla
comu BATTESIMΜΟ nione dei fedeli.
Provvedevasi a questa importante bisogna
con gli esorcismi, i quali, come diceva
S. Cirillo , avevano una singolare virtù
per mettere in fuga il comune nemico :
liberati dal quale il Calvario di quei
poveri novizi non era per anco finito.
Poco prima di ricevere il battesimo
facevasi loro assaporare un po' di sale
esorcizzato acciocchè , come spiegò con
mistiche ragioni Rabano, fos sero premuniti dal fetore dell'iniquità e dalla putredine del vizio. Nè credasiche 71 il
velo sol quando entravano nell' acqua,
ma poichèdovevano fare tre immersioni,
necessità voleva che almeno due volte
sortissero dall'acqua, presente il ministro del Sacramento. Introdottosi l'uso di battezzare i fan
ciulli, la triplice immersione apoco a
pococadde indisuso,ma ipadrinidel bat tesimo si instituirono, siccome
quelli che aquesto punto il catecumenato
fosse fi nito. Tre scrutini facevansi nei primi
dovevano rinunziare a Satana in nome
del fanciullo, e per lui giurare la fede. Anticamente tre uomini e tre donne te nevano
al sacro fonte il battezzando ; il
concilio di Trento stabill bastare un
secoli e sette nella Chiesaposteriore, in ❘ sol padrino o una madrina sola, o tut ciascun dei quali davasi ai
novizi tut tociò che impararedovessero a memoria, eintanto facevasi inquisizione sulla
loro t'al più l'uno e l'altra, onde fra
molti non si contraesse affinità
spirituale , condotta e se fallato
avevano durante ii tirocinio, non rade
volte avveniva che fossero rimandati ai
gradi inferiori. Finalmente, ecco gli
eletti ammessi ancora a fare la rinunzia
a Satana e conformola
evidentemented'origine pa gana, siccome quella che faceva rinun ziare a colui
che ènell'Occidente,e face
vastringerepattodiservitù col Sole della
giustizia, ripetere imisteri di Mitra in o nore del sole. Ma spiega S.
Cirillo que sto costume, dicendo che il patto strin gevasi colla parte
orientale perchè colà eravi il paradiso
terrestre, il che, per altro,
laBibbianondice; eadognimodo gli
orientali avrebbero dovuto stringere il
patto con l'occidente. Ho già detto che
nei primi secoli il battesimo si
amministrava per immersio ne. Uomini e donne affatto nudi immer gevansi nell'
acqua fino al collo, con quanto rispetto
pel pudore ionon saprei dire. Ma passata
la prima innocenza e venuto lo scandalo,
si pensò a togliere ogni pericolo; gli
uomini furono battez zati separatamente dalle donne, ma la immersione per gli uni eper le altre di venne
triplice. Furono allorainstituite le
Diaconesse affinchè spogliassero le don ne, le ungessero coll' olio e
uscite dal l'acqua le asciugassero erivestissero. Di cesi, èbenvero,che le
donne toglievansi la quale, come si sa,
è impedimento al matrimonio. ( Concilio
di Trento, Sess. 24.) Molte e singolari questioni la casi stica
teologale suscitò intorno al batte simo; madiquellaprimissimadel peccato originale saràdiscorso a suo luogo (vedi PECCATO ORIGINALE). Una delle questioni che più acrementesi agitò fra
icattolici, quella fu della validità del
battesimo conferito dagli eretici. La
chiesa antica lo riteneva nullo
efuronodi questa opi nione Agrippino vescovo di Cartagine, Tertulliano, S. Cipriano emoltissimi al tri
vescovi dell'Africa, che così decisero
in tre successivi concili, però che, di cevano essi , i separati dalla
Chiesa sono considerati siccome pagani e
inca paci di esercitare il ministerio. Nono stante che lo Spirito Santo, come
sideve credere, avesse inspirate queste
decisioni conciliari, papa S. Stefano
non si peritò di condannare la decisione
dei vescovi dell' Africa, sostenendo
bensì lamancanza degli effetti salutari
in quel battesimo, non la sua nullità.
Non per questo pie garono ivescovi alla infallibile decisione pontificia, perocchè convocato un terzo Concilio di ottantasette vescovi, confer
marono le precedenti deliberazioni. Sde gnato da questa opposizione, contro
S. Cipriano che n' era ilprincipale
autore, il papa scagliò la scomunica,
ilche non 72 BATTESIMO impedì ai suoi successori, sempre infalli- |
il fanciullo, dice un papa infallibile, ê
bili, di canonizzarlo. Fu
antichissima consuetudine della Chiesa
orientale di battezzare i cadaveri di
coloro che erano morti senza battesi mo, e questa pratica tant'era invalsa
in oriente, che S. Gregorio Nazianzeno
ri prese acremente certi vecchi, che differi vano il loro battesimo fino alla
decrepi tezza, persuasi che questo sacramento,
non fosse essenziale alla salute. I seguaci di Marcione solevano invece conferire il battesimo a una personaviva,chelo ri ceveva
in sostituzione del morto; ma l'una e
l'altra di queste pratiche furono
condannate dallaChiesa, dopo che s' in cominciò acredere, che il
Battesimo can cellava il peccato originale. Anzi, dopo quel tempo tal fu l'importanza che que sto sacramento acquistò agli occhi della Chiesa, ch'ella non stette in dubbio di proclamare, che ove unebreo fosse stato battezzato cadeva senz'altro sotto la
sua temporale autorità, Egli è in grazia
di questa dottrina che si sanci quel bru
talissimo costume del ratto dei figli, il
quale, pur troppo riposa sopra il con senso unanime di tutti iteologi «
I figli degli eretici e degli
scismatici, dice An toine (Teologia Morale Vol. II. pag. 169), si possono battezzare lecitamente contro il volere de'parenti. Perchè i ge
nitori per ragion del Battesimosonosud diti della Chiesa e perciò si possono co
stringere ad osservare le sue leggi. Tolto
il pericolo della religione e dello scan dalo, si deve separare
daiparentiilbat tezzato, perchèsia istruito nella Cristiana religione. > Del pari lasacra Congrega
zione del Sant' Uffizio ha deciso che il
Battesimo dato al fanciullo infedele con tro la volontà dei parenti,
sebbene ille cito, è valido, imprime carattere cristia no, e il fanciullo
battezzato dev' essere educato da
persone cristiane. (Decreto 30 marzo
1638, confermato il 3 marzo 1803). Ma se
non è lecito battezzare i figli degli
infedeli senza il consenso dei genitori,
possono però essere battezzati gli infedeli
adulti che lo richiedono. E
ordinariameute adulto e in sua libertà
epotere, quandohacompitosette anni!!!
(Lettera diBenedetto XI, all'Arcivescovo
di Tarsi). Negasi da molti
Teologi, ela Civiltà Cattolica redatta
dai gesuiti a Roma, nei tempi in cui
colà la stola comandava, sosteneva
contro l'autore diquesto Dizio nario, che la Chiesa nonha mai appro vato il
taglio cesareo siccome mezzo le cito per
estrarre il feto dal seno della madre e
battezzarlo. Ma le testimo nianze sopra questo puntonon ci lascia nodubbio di
sorta,e se imolti e recenti casi
dioperazione cesarea fattadai preti nel
Belgio, sopra donne lacui mortenon era
ancora certa, non provassero da se soli
il mio asserto, le citazioni che se guono mi dispensano da altre prove. S. Liguori afferma: > Beghine. Così chiamansi nei Paesi Bassi quelle fanciulle o vedove, lequali, per eccesso di religione, raccolgonsi in
sieme, e senza professare i voti pur vi vono con una regola comune, quasi fos
sero monache.Beghinaggidiconsi le case
ove si raccolgono, e si narra che alcune
siano così grandi e spaziose darivaleg giare in ampiezza con le più
grosse bor gate. Vuolsi che a loro sia derivato il nome da Begga, figlia di Pipino il vec chio;
e fra noi beghina è sinonimo di
pinzocchera. Bello. (Idea del).
Quali sono i ca ratteri dell' idea del bello? Vi è vera mente un bello
assoluto? Il bello è den tro o fuori di noi, è subbiettivo od ob BELLO biettivo? Ecco tre quesiti intorno ai
quali i filosofi speculativi hanno
scritto molti volumi e non riuscirono ad
altro che a confondere le idee, che
erano assai chiare prima delle loro
nebulose disputazioni. Intorno alla
prima domanda sentiamo cosa ne dice
Platone: « Quando l'uomo nei sacri
misteri vedendo un viso ornato 75 che and smarrito: ma ci rimane di lui un trattato sulla musica, ov' egli pone come fondamento dell' arte del bello que sto
principio: Omnis porro pulchritudinis
forma unitas est. Noi vedremo che S.
Agostino aveva più buon senso di tutti
insieme i filosofi della scuola pagana, e cheper una veramente strana coincidenza la scuola sensualistica ha ella pure sta
conforma divina, oppure qualche specie
incorporea, provadapprima unsecreto fre- bilito, che un de' caratteri
del bello è la mito ed una certa qual
tema rispettosa; divinità. ....
egli considera questa figura come una
quando l'influenza della bellezza
entra nell' anima sua per la via degli
occhi, egli si riscalda: le ali del l'anima sua si bagnano, perdono la lor durezza, si liquefanno e i germi
nascosti inqueste ali si sforzano di
sortire per ogni specie dell' anima ».
Intenda e am miri chi vuole, quanto a noi troviamo, che nulla è men bello di questa plato nica
teoria del bello. Però se gli autori
della scuola spiritualista devono essere
riconoscenti a Platone per aver confinato l'idea del bello nella oscuraregione dei caratteri eterni, assoluti e divini, il buon senso non devedimenticareche anch'egli era infin costretto a convenire, che il bello artistico si fonda sul principio d'i
mitazione (vedi ARTE), per la quale con cessione fatta alla realtà, gli
idealisti mo derni gli serbano un imperituro rancore. Questo principio della imitazione nel l'arte
fu pure ammesso da Aristotile, il quale
però vuol le cose naturali miglio rare , onde dice che la pittura deve rappresentare non ciò che è,ma ciò che essere dovrebbe. Era troppo giusto che la filosofia Alessandrina fosse più chePla
tonica: una filosofia che andò raccoglien do di tutte le scuole le parti
meno chiare (vedi ALESSANDRIA) sarebbe
stata incoerente, se per la bocca di
Plotino non avesse dichiarato che il
bello mate riale, non è altro che l' espressione o il riflesso del bello spirituale, e che la
vera bellezza non è che il trionfo dello
spirito sulla materia. Dopo la scuoladi
Ales sandria ' antichità tace fino a S. Ago stino, il quale compose un libro
sul bello varietà nell' unità. Quand' io
chiedo a un architetto, dice questo
padre della Chiesa, perchè dopo avere
innalzato un arco ad un lato dell'
edificio, egli ne in nalzi un altro all'altro lato, mi risponde che convien che cost faccia per amor della simmetria. Ma perchè la simme tria vi
par ella necessaria? Perch' ella piace.
Benissimo, ma ciò è egli bello perchè
piace, o piace perchè è bello? E qui S.
Agostino conclude, che una cosa piace
perchè è bella; ma noi vedremo
chesottoquesto rapporto egli s' inganna,
avvegnachè il bello essendo affatto sub biettivo non è tale, se non a
condi zione che ci piaccia, d' onde la varietà
deigusti e le perpetue contraddizioni del l'estetica. Egli però è assai
coerente quando, rispondendo all'ultima
questione, aggiunge che quei due archi
sonbelli per chè la loro duplicità si completa nell'u nità dell'edificio. Fa
d'uopo aggiungere ch'egli da questa
varietà nell' uno, vuol dedurre la
conseguenza,che al di sopra del nostro
spirito esiste una unità ori ginale, perfetta, eterna, che è regola es senziale
del bello ? Non sarebbe stato un santo
se non l'avesse detto. Nella Germania
Baumgarten è il pri mo che pretenda di separare la scienza del bello dalle altre scienze filosofiche,
per costituire la sua estetica. Kant
invece nella sua critica della facoltàdi
giudica re segue una via diversa, e con grandis sima penetrazione risolve la
tesi, se la idea del bello sia
subbiettiva od obbiet tiva. Molto ragionevolmente egli vuole che il bello non abbia alcun carattere assoluto, ma sia puramente relativo alle facoltà dello spirito umano: la sensibilità,
76 BELLO
l'immaginazione e il gusto, sono i tre
elementi che concorrono a formarlo e a
concepirlo. Ma la scuola germanica non
resta fedele alla tradizione di Kant. Ben presto vien Schelling, il quale vuol che l'arte sia l'accordo fra l'ideale ed il rea
le, l'unità del finito coll'infinito: ed He gel finisce per scombuiare del
tutto una nozione tanto chiara, ponendo
l'arte al di sopra d'ogni scienza
filosofica, come la sola rappresentante
del vero diretto allo spirito per
l'intermediario dei sensi. Pare che i
filosofi del secolo XVIII avrebbero
dovuto ritornare al concetto estetico la
suachiarezza, ma così non è: essi
scrissero poco o imperfettamente in torno aquesto soggetto. Per verità,qual che
lampo di buona critica appare nel l'articolo di Marmontel, inserito nell'En
ciclopedia, ma del resto son lampi rari,
troppo presto soffocatinelle sottilitàdella metafisica. Un curioso fondamento all'i dea
del bello era dato dall'autore del l'Essai sur lemerite etla vertu, (p. 48) il quale vuol che l'utile sia il solo e l'unico fondamento del bello; onde bel l'uomo
quello è nel quale la proporzio nalità delle membra conspira nel miglior modo possibile al compimento delle sue funzioni animali. L'uomo, la donna, il ca
vallo occupano un postonella natura ed
hanno speciali funzioni a compiere : or
l'organizzazione è più o men perfetta o
bella secondo che più o men bene si
presta al compimentodiqueste funzioni.
Del pari le cose più comuni,le sedie,le
tavole, le porte tanto più ci sembrano
belle, quanto meglio convengono all'uso
cui sono destinate. Se noi spesso can giamo di moda, ciò dipende perchè
la conformazione più perfetta
relativamente all'uso cui è destinata, è
difficilissima a incontrarsi, e vi è in
ciò una sorta di maximum che sfugge a
tutte le finezze della geometria
naturale o artificiale. Da questa
definizione Diderot non è appagato e
contro di essa vivamente protesta. (Di derot, Recherches philosophiques sur l'origine et la nature du beau, nelle opere complete T. 2.). « Non vi è alcuno, dic'egli, che non si sia accorto, che la nostra attenzione principalmente si
ferma, sulla similitudinedelle parti
ancheinquelle cose nelle quali questa
similitudine non contribuisce
all'utilità. Purchè le gambe di una
seggiola siano eguali e solide, che
importa se esse nonhanno la stessa forma
? L'una dunque potrà essere di ritta e l'altra ricurva ? » Qui Diderot ha pienamente ragione di porre la sim metria
come fondamento del bello; però non'si
dimentichi, che se una cosa può esser
bella anche senza parerci utile;
quellainvece che è bella e utile al tempo stesso è anche migliore: onde si vede che l'idea dell'utile concorre pure a for
mare uno degli elementi del bello. La
scuola spiritualista moderna per la
bocca di M. Franck riconosce nel bello
tre forme principali, vale a dire il
bello assoluto, il bello reale e il bello ideale. L'assoluto bello risiede in Dio,
il secondo nella natura, che è immagine
e riflesso della beltà divina, e il
terzo nel l'arte. Dei primi due appena occorre ao cennare la contraddizione:
fra finito e in finito, tra spirito e corpo, tra Dio che non ha forma e ilmondo che è formato, non vi è relazione possibile, e chi dice che la bellezza del mondo, è il riflesso della bellezza di Dio dice una asinità,
e una frase vuota di senso. Più giusta
mente potrebbe anzidirsi, che la bellezza
del mondo è l'opposto della bellezza di vina, poichè il finito è
negazione, nonri flesso, dell' infinito ; la materia è nega zione, non
riflesso, dello spirito; ciò che muta e
si trasforma è negazione della
immutabilitàdivina; la varietà (una delle condizioni fisiologiche del bello) è nega
zione dell'unità. Dunque la definizione
spiritualistica non proverebbe altro se non che la bellezza del mondo è il contrario della bellezza di Dio, e che se il mondo èbello, non lo può esser Dio, o vice versa.
Quanto a quello che gli specula tivi chiamano bello ideale, ne abbiamo già esaminata la insussistenza nell'arti colo
ARTE. Ma finalmente, vediamo ciò che la
BELLO all'origine dell'idea del bello, i
caratteri 77 ragione veramente ci insegna intorno | il
piacere non il dolore dunque ogni
rappresentazione che ci disgusti sarà
brutta, e il contrario invecediremo d'ogni rappresentazione piacevole. Ma quali sono del quale devono innanzi tutto essere distinti dall' idea del buono, perciocchè una cosapuò essere bella e non buona e viceversa, ciò che è buono non sempre è bello. Carattere essenziale del bello è la rappresentazione reale od ideale di una cosa, di un pensiero, di un avveni mento;
quindi a giustamente parlare, la vista,
che è il solo senso il quale si ap plica alla rappresentazione delle cose, costituisce il senso speciale della scienza
) del bello. Invece, tutti gli altri
sensi de terminano il buono, onde diremo un bel
quadro, una bella statua, e non già un
buon quadro o una buona statua, in quantochè il quadro e la statua
sono rappresentazioni percettecol senso
della vista ; per la stessa ragione
diremo buono e non già bello un odore od
un sapore, poichè il gusto e l'odorato
sono sensi che producono innoi una
semplice modificazione , non già una
vera e propria rappresentazione. Quanto
all'u 'i caratteri di una rappresentazione pia cevole? Ogni esercizio degli
organi cor porei, dice il signor Pouilly (Theorie des sentimens agreables), che non li in
debolisca, è un piacere. E diciamo che
non li indebolisca o nonli offenda, poi chè in diverso caso il piacere
si trasfor dito, parrebbe a tutta prima che debba annoverarsi fra i sensi del buono, in
quantochè il suono per se solo nulla ci | zione o sensazione tenuissima, è il
men merebbe in noia e in dolore. Non vi
è melodia musicale, per quanto sublime
si sia, che udita per una giornata
intera, non finisca per eccitare il
tedio e pa rerci orrenda. Del parii colori sono tanto più belli quanto maggiormente sono il luminati,
cioè quanta maggior luce ri filettono sul nervo ottico, lo eccitano e lo inducono all'azione. Egli è perciò
che i corpi, più vivaci ci sembrano più
belli degli oscuri, i lisci più belli
dei ruvidi, e fra i vari colori dello
spettro solare, dal violetto ascendendo
fino al rosso, la progressione del bello
aumenta sempre. Il nero che è assenza
d'ogni luce, e quindi rappresenta l'
assenza di sensa rappresenta, ma se riflettiamo che per mezzo dell' udito noi percepiamo la pa rola,
e che la parola eccita immagini e
rappresenta idealmente le cose già per
cette con gli altri sensi, comprenderemo
facilmente perchè un discorso dovrassi
dire bello e non buono. Del pari direm
una bella musica, una bell'aria, poichè
sebbene la musica compongasi di puri
suoni, pur ella eccita in noi pensieri ed affetti che ci rappresentano certi stati dell'animo nostro. Determinata così la vera distinzione delbelloe delbuono,vediamo qualisiano i veri caratteri del primo. Abbiam detto che il bello è una rappresentazione, ma nontutte le rappresentazioni sono belle; del pari nonbella si dirà l'assenza d'o gni
rappresentazione. Inostri sensi hanno bisogno
di agire ed è dall' azione loro che a
noi deriva lacoscienzadell'essere, il
piacere od il dolore; mabello diremo
bellodi tutti, e infatti a nessuno piaccion le tenebre. Per l'opposto principio, il bianco, che è il più luminoso, dovrebbe parerci il più bello d' ogni altro
colore, ma perchè troppo eccita lavista
e ancor l'offende, non tutticonvengono
in questo parere, tanto più ch'esso è
color comu nissimo; e per lo stesso principio che anche la melodia a lungo andare vien a tedio, così il color bianco, che vediamo
in ogni giorno e quasi ad ogni ora, ci
disgu sta. Aben apprezzarlo convien soggior nare nella oscurità, e dopo che i
fuochi di bengala gialli, verdi e rossi,
avranno per lunga pezza tediata la
nostra vista, ci accorgeremo facilmente
qual dolce sorpresa e qual piacevole
sensazione può recarci l' apparizione
diunfuoco e lettrico che irraggi d'ogni intorno la sua bianca luce. Certo,dopo alcun tempo la riapparizione del rosso ci parrebbe forse più bella di quella del bianco, e
78 BELLO
viceversa, ma questa apparente contra rietà di sensazione facilmente si
spiega riflettendo, che i nostri sensi a
poco a poco si abituano alle sensazioni
conti nue, vi si uniformano e perciò, dopo un
certo tempo,son meno adatti a perce pirle, o per meglio dire, tanto sono
de terminati a quel dato movimento, che
poco ne restano colpiti. Quindi un bello
continuato nonpuò essere continuamente
uniforme; conviene che le sensazioni va riino, e in quanto maggior
numero si succedono e in maggior copia
ci colpi scono senza offendere inostri sensi, tanto più ci sembreranno piacevoli. Egli è per questo che la successione di molti
colori èpiù bella della continuazionedi
un co lor solo, e quanti più colori noi vedia mo contemporaneamente, tanto più
il loro complesso ci sembra bello.
Onde qui si conferma il principio di S.
Ago stino, che l'essenza del bello consta della
varietà nell'unità; vale a dire molti co lori, o molte
sensazioni,inunsol spazio o in un sol
tempo. Quel chediciamo dei colori si
confer mapienamente nei suoni. Una sol nota
musicale può esser bella, ma due o più
note musicali son più belle ancora, poi chè in questo caso le sensazioni
si suc cedono e in un egual tempoci colpisco no inmaggior numero. Certo, può
dirsi che una sola successione di suoni
non basta a produrre l' armonia, la
quale è per i suoni, quel che è la
simmetriapei colori. I colori simmetrici
o i suoni ar monici si gustan meglio,poichè si con giungono e s'intrecciano con
una certa quale regolarità, la quale
viemmeglio concorre a formare nell' uno
il vario. Perciò diciamo, che i corpi
simmetrici son più belli degli amorfi,
ossia senza forma, ed è appunto su
questa regola che si fonda il bello
architettonico, il qualetanto più
avvantaggia quanto mag giormente la varietà delle forme, che producono varietà di sensazioni, può accoppiarsi con launitàdel concetto ge
nerale; onde sovente parlando di archi tettura si dice e si scrive l'armonia
delle lines e dei colori, come si dice
l'armo nia dei suoni. Aquesta
dimostrazione alcuni potreb bero opporre, cheove il bellomusicale po tesse
consistere in una armonia di suoni
succedentisi in maggior numero nel più
corto spazio di tempo, ne deriverebbe
questo assurdo, che un'aria dovrebbe es sere più bella quanto più
rapidamente fosse suonata. Questa però
non è che una contraddizione apparente,
che la fi siologia hagiàspiegata, ecerto i signori spiritualisti non la farebbero se non fos
sero soliti a cercare le loro definizioni
nelle nebulosità trascendentali, anzichè
nelle scienze positive. Sanno anche i
bimbi che le sensazioni, per quanto rapide esse siano, persistono nondimeno per qualche istante nel nostro cervello
(vedi SENSAZIONE) onde,adesempio,se
facciamo girare con gran velocità una
ruota a raggi, ci parrà tutta solida, poichè
prima che la percezione di un raggio sia
can cellatanel nostro cervello, l'altro raggio
la rinnova senza lasciare intervallo. Anzi, se sopra una ruota solida disegniamo i colori dello spettro solare, e la mettiam quindi in movimento con grandissima velocità, tutti i colori si
confonderanno in un solo, perciocchè
prima che l' im pronta sia cancellata, l'altra le succede e si sovrappone; e la risultante di que sta
miscela saràuncolore bianco, poichè tale
è appunto il coloredella luce prima che
sia decomposta dallo spettro. Il fe nomeno è perfettamente identico per i suoni: quand'essisi succedono troppo ra
pidamente, si sovrappongono, per così
dire, l'uno all' altro senza lasciar tempo all'orecchio di percepirli
separatamente; anzi, nel suono il
fenomeno si complica maggiormente che
nei colori,poichè, seb ben nel nervo acustico isuoni persistano per un tempo infinitamente minore di quelloche i colorinelnervo ottico, pure possono, anche se percettiseparatamente, produrre disarmonia a cagione del di verso
numero di vibrazioniche i diversi suoni
producono in una eguale unità di tempo.
Onde avviene che, o la moltepli BELLO
cità delle sensazioni si confonde in una
sensazione unica e l'armonia della va rietàscompare, oppure
questavarietànon è, per così dire,
simmetrica, vale a dire che le
vibrazioni non stanno fra loro in giusti
rapporti di tempo e contrastano
perciòcolbello musicale.Diciam lo stesso
del bello architettonico. La sovrabbon danza dei fregi guastal'insieme,
poichè quand'essi sono soverchiamente
appaiati 79 tempi troppo brevi e abbondanza di fregi in spazi troppo piccoli. Per lo stesso principio quando ci riesce di accoppiare l'attività di un senso con la gradevole eccitazione di un altro, possiamo accrescere l'inten sità
del bello. Ecco perchè l'arte rap presentativa congiunta allamusica ne accresce l'incanto. Nel teatro noi ve etroppo
vicini, producono sibbene nel l'occhio una quantitàgrandissima di sen sazioni,
ma per essere appuntotroppe e troppo
molteplici fan lo stesso effetto come se
sisovrapponessero l'una all' al tra. Onde lasoverchia abbondanza è ge neratrice
di uniformità, in quel modo stesso che
su unacartaun gran numero di disegni,
anche simmetrici, ma infini tamente piccoli, produce una sensazione quasi uniforme nella quale la varietà, quantunque vera, o non è avvertita,o lo èmolto imperfettamente. Di questi dise gni
potrà farci avvertire la varietà il
microscopio, ilqualeingrandendo le parti
le allontana, e produce lo stesso effetto del rallentamento dei suoni in una me lodia
suonata troppo rapidamente. Così pure
potremo avvertire ilbello dei fregi in
un edificio soverchiamente adorno,
considerandoli separatamente ad uno ad
uno; ma in questo o in quel caso, il
bello dei fregi o dei disegni non egua glierà quella sensazione
puramente mol teplice che avremmo avuto, da un com plesso armonico. D'onde si
vede, che tutta l'estetica non si riduce
infine che ad una questione di
proporzioni di tempo o di spazio,
secondo che si tratti di musica o d'
arte rappresentativa. Trattasi cioè
d'imprimere ai sensi, in undeterminato
tempo o in un deter minato spazio, il maggior numero di sensazioni possibili, pur sempre evi tando
che la loro frequenzatolga agli organi
di percepirle tutte separata mente. A raggiungere questo intento si capisce subito quanto giovi la pro
porzione, e come convenga non pro durre inutili complicazionidi suoni in diamo e udiamo, onde la sensazione è doppia. Che se poi a ciò che si rap presenta
si aggiunge l'ideadi una bella azione o
di un grande avvenimento, tale che possa
svegliare nel nostro a nimo una dolcecommozione,se label lezza fisica
voluttuosamente ecciterà i nostri sensi,
e i profumi l'odorato, l'in canto di quella situazione sarà accre sciuto a
mille doppi, semprechè anche in questavarietàdi
sensazioni sia salva la necessaria
armonia delleproporzio ni, onde non avvenga che un senso non
siasoverchiamenteeccitato a sca pito degli altri. Ma oltre alle percezioni attuali, il cervello ha la facoltà di riprodurre, sebben più sbiadite, le percezioni pas sate.
Quest'è ufficio della memoria, ed è
questanostra attitudine che cimette in
grado di percepire il bello eziandio
nelle opere d'ingegno. Senzabisogno di
entrare nelleregioni astrattedellamé tafisica, basta un po'dinaturale
discer nimentoper capire,che anche inquesto
caso non abbiambisognodicercare un
senso speciale, o quel non so che, il
qual non si spiega, per giudicare i la vori dell'intelletto. Ilprincipio
che ab biam già posto in precedenza è giusta mente applicabile anchein questo
caso. Quindi diremo che un libro di
poesia o di storia, di scienze
filosofiche o na turali è tanto più bello, quante mag giori immagini, idee e
cognizioni ci presenta, e quanto
maggiormente, con l'ordine e la
chiarezza, al nostro in telletto le rende percettibili. Certo, si notano de' grandi sviamenti nei giudizi dei lavori intellettuali, e
non di rado si affetta un grande
entusiasmo 80 BELLO per libri che sono assai poco chiari e ancor meno comprensibili. Ma riflettia mo che
il bello effimero che certuni tro vano inquesti libri, iquali d'altronde
non intendono, non dipende da un vero
e intimo senso di piacere, sl piuttosto
dal pensiero della vera o supposta
difficoltà che l'autore ha dovuto
superare per raggiungere il suo
scopo.Non altrimenti si procede nel
giudizio di unacerta poe sia o di una certa musica classica, dove meno si ammira l'armonia quanto la difficoltà della esecuzione. Tutto ciò che abbiam detto vienpie namente a
conferma del principio di Kant, che il
bello è subbiettivo e non obbiettivo,
dentro di noi e non fuori di noi. Se
facciamo astrazione dai nostri sensi,non
vi è ragion di credere cheuna cosa sia
bella o brutta: per lanaturaîn generale
le cose non soffrono le acci dentalità della esteticae per essa ètanto bella enecessaria la putrefazione, che è Mase il bello è puramente subbiet tivo, su
qual fondamento i filosofi della scuola
idealista proclamano il suo carat tere assoluto? Per verità, se essi
fossero sinceri dovrebbero confessare
che quest'è un assoluto molto relativo,
poichè oltre essere quasi impossibile il
trovare due cervelli che pensino
egualmente intorno all'idea del bello,
si nota, che per rap porto ai medesimi sensi, una cosa può esser bella o non bella al tempo stes so. Per
esempio, coloro che sono af fetti da daltonismo (vedi questo voca bolo) vedono
rossi tutti gli oggetti di co lor verde, e per essi l' uno o l''altro di questi colori è egualmente bello, sebbe ne
sia provato che l'uno ecciti men dell'
altro il nervo ottico. La luce bianca
sarebbe un sollievo per chi essendo col pito dall' itterizia tutte le
cosevede sotto una tinta gialla; ma
invece chi è affetto dal mal d'occhi l'
ha in orrore. Comepoi si accordino gli
uomini an principiodi vivificazione,quanto lo sonoi che nello stato di sanità
intorno a que capolavori dell'arte odell'ingegno. Ilbello sto assoluto bello, è
cosa che fu già le non esiste fuorchè in
relazione ai nostri cento voltedimostrata dall' antropologia sensi: i capolavori della pittura e della
moderna. Cheledonne abbianoi piedi pic musica,nonmen che quellidellascienza,
coli sì che appena possano camminare
nonsono belli se non inquantovi siano barcollando, è cosa che può parer
bella occhi per vederli, orecchi per
udirli o acerti Cinesi inventori delle scarpe di cervelli per pensarli. Oltre queste condi-
ferro per impedire l' aumento delpiede.
zioni puramente relative, l'esteticascom- Ma i Malesi i quali avrebbero
moltodi pare, e nel senso assoluto la musica o sprezzo per questa usanza,
schiacciano la pittura non sono altro
che vibrazioni congran cura le cartilagini del naso ai più o meno rapide, più o meno armo- loro
figli, poichè come mai un uomo niche
dell' aria o pur dell' etere; il che può esser bello se non ha schiacciato il sarà dimostrato all' articolo SENSAZIONE.
naso? Fra i negri più nera è la pelle,
Questa stessaconsiderazione è quella che più belli si è, onde si narra
che una ci conduce a considerare il
bello come giovane australiana sedotta da un bian subbiettivo e non obbiettivo,
vale a dire co, ebbe un figlio la cui tinta chiara piuttosto come una proprietà delle no-
offendeva gravemente ilsuo materno sen stre percezioni, anzichè uno statovero e
timento della beltà fisica; motivo per cui
reale delle cose. Infatti, se il bello fosse ellalo fregava soventi
volte con grasso una qualità estrinseca
fuori di noi, i ca- e nero fumo per dargli una tinta più ratteri della bellezza dovrebbero essere
carica. Quella giovane sarebbe stata un
eguali per tuttigliuomini, imperocchèciò prezioso professore dell'
assoluto estetico cheèbello
intrinsecamente, è anche bello pei nostri idealisti. Dice bene Voltaire: nelsenso assoluto, nèdeve cessare di esser
chiedete a un rospo checosa siailbello,
talesolperchè vienconsiderato al polo o il supremo bello, il toKalon? Vi
rispon all'equatore, inquestooin un altro mondo.deràche è
lasuarospaggine,conduegros BENE si occhi
rotondi, uscenti dalla sua pic cola testa, un collo largo e piatto, un ventre giallo, un dorso bruno. (Vedi an
chegli articoli BENE E BUONO). 81 giovamento altrui. Ilpiacereod il do lore
rimangono tali, qual pur si sia la Bene.
Disputasi dai filosofi per sa pere se il bene sia identico al Bello e al Buono e se possa darsi un bene brutto omen che aggradevole; ma per la nostra filosofia la questione appena posta è subito risolta, imperocchè non ci vuol molto acume per capire, che se il Bello e il Buono, come è a suo luogodimostrato, (vedi BELLO E BUONO) non sono altro che una eccitazione piacevole dei sensi, questo piacere sia per se stesso intrinsecamente unBene, come è male ogni sensazione disag gradevole o
dolorosa. È dunque ovvio il dire che il
bene altro non è che l'effetto, o la
conseguenza del bello o del buono, od
altrimenti, se meglio piace, che il
bello e il buono sono le forme
generatrici del bene. Epervero, non vi è
uomo almondo natura della causa da cui
derivano o del fine a cui tendono; onde
non ces sano di essere un bene, od un mal fi sico, ma possono invece cessare di
es sere un bene o un mal morale. La ra gione è questa,che nel male o nel
bene fisico si considera un sol termine,
il subbietto che li prova, mentre nel
bene o nel mal morale si considera
anche l'obbietto per le conseguenze che
pro ducono.Infatti,ilben morale non consi derasi soltanto nell'individuo, ma
nella società, ed è la somma dei beni
indi viduali che produce il bene sociale.
Ora, un bene che giova all'uno e nuoce
all'altro, quando lo si considera collet tivamente, cessa di esser tale,
poiché nel concetto morale entra l'idea
di rapporto: non sono più solo a consi
derarmi, ma devo considerare anche gli
altri, onde ciascuno avendo la parte
che gli spetta di diritto nei godimenti
della vita, possa prodursi quel massimo
di bene collettivo che chiamasi utilità
che sia disposto a chiamar bene uno
stato doloroso, astrazion fatta dagli
ascetici, ai quali convien lasciare la li-❘ sociale. Ma il regolare questi rapporti bertà, com'è lor costume, di capovol gere
tutti gli argomenti della logica, è
ufficio della morale. (Vedi MORALE). Qui
convien esaminarese esista ve e di chiamar bene il soffrire, e male il godere. Di cotesti ragionamenti da menteccati non può far caso una sana filosofia. Però, anche da coloro che di
sapprovano l'ascetismo suolsi commet tere lo stesso errore, quand'essi'ci op
pongono che un godimento, procurato
conmezzi immorali, è un male,e unbene
invece il soffrire per amor della giu stizia. Così ragionando costoro
non si avvedono di aver cambiati i
termini delladiscussione, giacchè il
bene fisico eil benmorale non sono mica
la stessa cosa,comecomunemente sicrede
perli dentitàdelnome.Einfatti,un godimento
non cessa di essere intrinsecamente un
bene fisico quand anche sia procurato
con mezzi disonesti: e seio soffro per
la felicità degli altri, uiuno dirà che
l'atto del soffrire cessi di essere in ramenteunbene assoluto, quel
Sovrano bene che i filosofi speculativi
di tutti i tempi ricercarono colla
stessa osti nazione e colla medesima fortuna degli alchimisti in traccia della pietra filo
sofale. Ma avendo noi distrutto il bello
e il buono assoluto, ben s'intende che
anche il bene deve seguire la stessa
sorte. Invero, se il bello e il buono
produttori del bene, variano secondo il
clima, gl' individui e le abitudini, non
si sa perchè quest'ultimo, che è acces sorio, non dovrebbe seguire la
sorte dei due concetti principali.
Certo, noi ve diamo che non tutti gli uomini si ac cordano intorno al concetto
del bene: secondo che l'uno o l'altro
organo siano in questo o quell'
individuo più o meno
sviluppati,ilcarattere del bene
cambiaesi manifesta in questo oin quel
trinsecamente un male solperchè è di | modo. Pelgastronomo non vi è
felicità 6 82 BENTHAM
maggiore di una buona tavola; ma il
lussurioso sol uell'amor sessuale vedrà
il suo bene; invecenullapuò eguagliare
lafelicitàdell'uomo di scienza, che fauna scoperta. Ed è appunto da questa di versa
maniera di concepire il bene che
derivano le varie tendenze degli uomini,
e i vari modi con iquali i di versi popoli hanno immaginato il Para diso. Ma
non solo l'idea del bene cam bia secondo gl'individui, ma eziandio nello stesso individuo cambia secondo il tempo ed i bisogni, onde ilprincipio della varietà, che è uno dei caratteri essenziali del bello e del buono, lo è pure del bene; novellaprova della loro pel molto che gli restava ancora. Or se questo sovrano bene nol si trova nè fra i diversi uomini, nè nello stesso paese, nè nello stesso uomo, ci sarà pur forza convenire ch'esso non esiste in altro luogo che nel mondo archetipo di Platone, dov' egli pone le idee assolute del Bello delBuono, e del Bene,come se fossero cose esistenti per se stesse e non un semplice rapporto degli organi umani colmondo esterno. Lateologiamoderna,e perfinolafamosa Enciclopediadel secolo scorso(art. Bien, par Yvon) ripongono in Dioil Sovrano Bene; ma qual sorta di bene è egli mai quello che non si vede, nè si tocca, nè identità. Anche nel concetto morale il | cade
in alcuna guisa sottoinostri sensi?
principio della varietà è necessario, e L'assenza d'ogni piacevole o
dolorosa in quella stessa guisa che gli
organi sensazione sarebbe forse mai il vero
dei sensi si abituano e finiscono per Bene? Se così fosse, lamorte
sarebbe diventare quasi indifferenti ad
una sen- allora da preferirsi alla vita, il nulla sazione anche piacevolissima, così il
all'essere, e i più grandi filosofidelmon-lo
pensiero si abitua e diventa indifferente sarebbero i Buddisti,
inventori del nir ad un bene provato o posseduto troppo vana, ó della finale
annichilazione di
lungamente.Plutarconell' opuscolodel- ogni pensiero. (Vedi
RUDDHISMO). la Tranquillità dell'animo,
ci narra che Aristippo, costretto a
perdere unadelle migliori sue terre,
s'incontrò con un de'suoiamici, il quale
con molte espres sioni di condoglianza volle esprimergli | |
Bentham (Geremia). Nacque a
Londra nell' anno 1748, fello
stesso paese, nè nello stesso uomo, ci
sarà pur forza convenire ch'esso non
esiste in altro luogo che nel mondo
archetipo di Platone, dov' egli pone le
idee assolute del Bello delBuono, e del
Bene,come se fossero cose esistenti per
se stesse e non un semplice rapporto
degli organi umani colmondo esterno.
Lateologiamoderna,e perfinolafamosa
Enciclopediadel secolo scorso(art. Bien,
par Yvon) ripongono in Dioil Sovrano
Bene; ma qual sorta di bene è egli mai
quello che non si vede, nè si tocca, nè
identità. Anche nel concetto morale il | cade in alcuna guisa
sottoinostri sensi? principio della
varietà è necessario, e L'assenza d'ogni piacevole o dolorosa in quella stessa guisa che gli organi
sensazione sarebbe forse mai il vero dei
sensi si abituano e finiscono per Bene? Se così fosse, lamorte sarebbe diventare quasi indifferenti ad una sen-
allora da preferirsi alla vita, il nulla
sazione anche piacevolissima, così il all'essere, e i più grandi
filosofidelmon-lo pensiero si abitua e
diventa indifferente sarebbero i Buddisti, inventori del nir ad un bene provato
o posseduto troppo vana, ó della finale annichilazione di lungamente.Plutarconell' opuscolodel- ogni
pensiero. (Vedi RUDDHISMO). la
Tranquillità dell'animo, ci narra che
Aristippo, costretto a perdere unadelle
migliori sue terre, s'incontrò con un
de'suoiamici, il quale con molte espres sioni di condoglianza volle
esprimergli | | Bentham (Geremia). Nacque a Londra nell' anno 1748, fu giureconsulto e filosofo distintissimo, e la
convenzione la pena che ne sentiva. «E
perchè do vrò io affannarrmi di questo, rispose
Aristippo, e perchè devi tu dolertene a
mio riguardo? Tra tutti i tuoi beni
non è egli vero che tu non hai che un
piccol podere, e io ne ho tre tuttavia,
e maggiori ? Ciò è vero, rispose l'anti co. Ben dunque avrei maggior
ragione, rispose il filosofo, di
compiangere la tua fortuna, che
tunonl'abbi di afflig gerti della mia >. É proprio questo il caso di dire che seAristippo aveva ra gione,
anche l'amico suo non aveva torto; poichè
se era vero che il filo sofo, relativamente al suo amico , pos sedeva maggior
somma di beni; era altresì vero che la
continua tranquil lità di quel possesso si era fatta a bito in lui, onde
soffriva più del po co che perdeva, di quel che godesse francese lo tenne in tanto onore, che durante uno de' suoi viaggi nella Fran cia
volle rimeritarlo col titolo di citta dino francese. Mori nel 1838
ordinando nel suo testamento, a
disprezzo dei pre giudizi, che il suo corpo fosse abbando nato agli anfiteatri
d' anatomia. Bentham fu colui che diede
lapiù forte spintaalla riforma dell'
amministrazione della giu stizia ; ma sopratutto vuolsi considerare in lui il filosofo fondatore dell' utilita
rismo, di quel principio, che la mo rale desume dall' utile o dal danno,
il quale se ad alcuni può parere
assurdo, non cessa perciò di essere men
vero. Nel sistema di Bentham la sola dif
ferenza possibile fra l'una e l'altra a zione consiste nel maggiore o minor u
tile ch'ella reca alla società, o nelle con seguenze nocive che ne derivano.
Dic'egli (Introduction aux principes de
la mo rale et de la législation) che tutte le BERENGARIO 83
azioni dovrebbero esserci affatto indif- | sul preteso diritto che ha la
società di ferenti ove non potessero
darci del pia cere o del dolore. Ricercare l'uno e l'altro evitare, incoraggiando o
vietando le azioni che li producono,
ecco qual è lo scopo vero della morale.
Questo prin cipio parve a Bentham tanto evidente, ch' egli lo pose siccome assioma, la cui verità non ha nemmen bisogno di es sere
dimostrata, e quest' assioma costi tuisce il criterio cardinale del diritto
di punire. La legittimità, la giustizia,
la bontà, si confondono quindi in quest'
i dea dell' utile, il quale è la veramisura
del valor morale di tutte le azioni. Or
vendicar l' oltraggio, egli non considera la pena altrimenti che sotto il rapporto del maggiore o minor utile che può re care,
vale a dire della minore o mag giore attitudine ch'essa ha di prevenire i delitti. Sopra questo argomento gli studi di Bentham fatti allo scopo di e
saminare il maggiore ominore danno di
una data azione, e l'utilità di una data
pena nei vari casi della vita, non sono
men profondi che curiosi.Nella sua Teo ria delle pene e delle
ricompense, vien nella conclusione, che
unadata penanon sempre può convenire
alla medesima a ' utile degli individui è la maggior❘zione, imperocchè dovendosi cercare di somma di felicità a cui ognuno possa arrivare; e ' utile della società è la som ma
dell' utile di tutti gl' individui che
la compongono: la morale dunque non
non può nè deve avere altro scopo che
quello di produrre il maggior bene pos sibile, così per gli individui
come per la società. Bentham esamina quindi, se questo criterio possa applicarsi ai sistemi che considerano la morale sotto un aspetto opposto a quello dell' utilitarismo, e tro va
che questi sistemi son due: uno asce tico, e l'altro che si fonda sopra sem
plici idee di simpatia o di antipatia. II
primo considera bensì negli atti umani
le conseguenze piacevoli o dolorose che
renderla proporzionale allo scopo che si
vuol raggiungere, bisogna ch' essa vari,
non solo secondo l'età o il sesso, ma
anche secondo il clima, l'educazione, la
professione, la razza, la natura del go verno e della opinione
religiosa. L' eccletismo francese, il
qual fonda la morale sopra un principio
ch'esso stesso non sadefinire, ha
cercato di com battere Bentham, ( Vedi Jouffroy, Droit naturel t. II. leçon 14) ma non è riu scito a
distruggere pur uno dei principii
cardinali dell' utilitarismo inglese , il. quale, nei nostri tempi, ha trovato un novello e potente alleato in Stuart
Mill. Berengario. Nacque a Tours sulla fine del secolo X. Fu maestro delle pubbliche scuole in Tours, poi Arcidiacono, ed uno degli avversari del dommadella Transubstanziazione. Con ne
derivano, ma odiatore com'è d' ogni
felicità presente, chiama buoni quelli che producono pena o dolore, e cattivi de nomina
quelli che generano il piacere. ❘tro
Pascasio che nel IX secolo aveva Il
secondo sistema invece considera gli
atti umani senza alcun riguardo al
bene o al male che possono produrre,
eli classifica puramente secondo certe
tendenze di simpatia e di antipatia, di
cui mal saprebbe spiegare la cagione, e
che riposano sui pregiudizi sociali e sul l'abitudine. Posti questi principii, è naturale che Bentham non potesse discostarsi dalle opinioni di Beccaria intorno all'origine del diritto di punire. E infatti,
escluse tutte le assurde idee del secolo
scorso scritto un trattato per stabilire
il dom ma della presenza reale (vedi PASCASIO)
egli scrisse un altro trattato per dimo strare (cosa non difficile), che
dopo la consacrazione il pane e il
vinoconser vavanolequalità e leproprietà che ave vano prima della
consacrazione, d'onde conchiudeva che
queste sostanze non po tevano essersi transubstanziate in quel lo stesso corpo
di Gesù Cristo cheera stato attaccato
allacroce. Non negava per altro che la
divinità non discendesse veramente sotto
le apparenze del pane 84 BERKELEY edel vino, e con queste sostanze non si congiungesse, ma ammetteva perd che anche dopo la consacrazione non cessavano di esser pane e vino. Un secoloinnanzi, Berengario avreb be potuto
esporre senza molestie la sua dottrina;
maneldecimo secolo ildomma della
transubstanziazione, che conferi sce ai preti la facoltà di trasformare un po'di lievito in Dio, era credenza giàqua si
del tutto assodata. Quindi una lettera
di Berengario mandata aRomanel1050,
fu letta da Leone IX in unconcilioche
pronunciò la scomunica contro la dot trina e la persona di un eretico
cotanto biasimevole.Per altro,
Berengario con tinuò ad insegnare le sue opinioni , onde nei vari concili che si succedet tero in
quegli anni a Vercelli, a Tours e a
Parigi ed ai quali fudenunziato, egli
ritrattava costantemente le sue o nioni, per riprenderle poco di poi e pubblicamente insegnarle. Fu nuova mente
condannato dal Concilio diRoma nel 1079,
ma essendosi egli nuovamente ritrattato,
Clemente VII lo tratto con molta
indulgenza e scrisse anzi in suo favore
all'arcivescovo di Tours. Però questa
stessa indulgenzaper un eretico che
negava uno dei dommi più capitali della
Chiesa, sarebbe inesplicabile ove non si
ammettesse, come benl'ha pro vato il Basnage, che in quei tempi la Transubstanziazione non era opinione universale della Chiesa, talchè non po
tessecontrastarsi.Berengario ebbe anzi
molti discepoli, i quali allora non sof frirono pena alcuna temporale,
mentre si sa quel che soffrissero nei
tempi po steriori Enrico di Bruyes, Arnaldo da
Bresciae gli Albigesi che erano caduti
nella stessa eresia.
Berkeley(Giorgio).Nacque aKil krin nell'Irlanda, nel 1684, fece i
suoi studi all' università di Dublino,
viag gió la Francia e l' Italia e , infine ,
tatto ritorno in Patria, vi ebbe il po sto di decano con ricco beneficio
a Dervy. Ma poco resto in quel
posto, avvegnachè ascoltando soltanto i
con sigli del suo spirito irrequieto e la
smania di religioso proselitismo, parti
per l'America, nel divisamento di fon darvi un collegio per l'istruzione
dei selvaggi. Ma falli il progetto, e
Ber keley, tornato in patria nel 1734, fu
promosso vescovo di Cloyne , carica
ch'egli tenne fino all' anno 1753 in
cui mori. Prima e dopo il periodo
del suo episcopato, egli scrisse parecchi libri, che vennero man mano gettando le fondamenta di una nuova filosofia : Eccone ititoli nell'ordine in cui furono pubblicati: Trattato della visione 1709; Trattato sui principii delleumane cono scenze
1710 ; Tre Dialoghi 1713; Ilpic colo filosofo 1732. Puossi mai concepire il più esage rato
scetticismo accoppiato insieme al l'idealismo più spinto ? Il fondamento dell'incredulità puossi egli mai accop piare
insieme col più esagerato dom matismo ? Tantacontraddizione non la si crederebbe davvero, se Berkeley non avesse voluto provarci, che nello spirito umanoanche icontrari possono trovare insieme il loro posto. Berkeley negava ogni realtà al mondo esterno: tutto è in noi e fuori di noinon esiste altro che l'apparenza. La materia sensibile, ciò che vediamo, tocchiamo e in qualsiasi modo sentiamo coi nostri sensi, non ha alcuna esistenza fuori delle nostre percezioni; quindi il mondo è tutto subbiettivo, ed'obbiettivo nonvi ènulla. Tutto ciò che diciamo sensazione non had'uopo, peressere prodotto che alcuna cosa esista fuori di noi, bastando una semplice operazione dello spirito per produrlo ; onde tutto quanto noi siamo abituati a considerare siccome fuori di noi e veramente esistente, altro non è che illusione. Per quanto strano ci possa parere, il sistema di Berkeley non aveva d'al tronde
il merito della novità, poichè infine,
non faceva altro che riprodurre le
dubitazioni dell' antica scuola in diana (vedi BUDDHISMO). Però nella sua dimostrazionevi era alcun che di nuovo
BERKELEY che merita di essere ricordato.
Egli diceva che i corpi nonpossono
essere la causa nè istrumentale, nè
occasio nale delle nostre sensazioni, e lo di 85 rito nostro poteva avere le prova del
mostrava cosl. L'essere supremo è puro
spirito ed è onnipotente, e non sarebbe
degno di lui il servirsi d' istrumenti
nella produzione delle nostre sensa zioni, poichè il servirsi d'
istrumenti nasce da impotenza. Or se noi
per muovere un dito non ci serviamo d' i
strumenti, potendolo fare con un sem plice atto della nostra volontà,
perchè l'esistenza di altri spiriti. Ed
ecco come egli si toglieva d'impaccio.
Le idee, diceva, non dipendono dalla no
stra volontà, e se si producono in noi
devono necesariamente esistere anche
fuor di noi; ma fuori di noi nella realtà materiale non possono esistere, poichè la materia non è che apparenza, dun que bisogna
che vi sia qualche altro spirito nel
quale abbiano l' esistenza. Berkeley a
questo punto cadevain una purapetizione
di principio, poichè colla tutto non
potràfare Iddio col semplice | negazione della materiavoleva provare suovolere? Dunque icorpi non possono essere lacausa istrumentale dellenostre sensazioni. Ma nemmenopotrebbero es serne la
causa occasionale, poichè la sapienza e
la potenza di Dio bastano del pari per
spiegare tutto l'ordine e la regolarità
che si osserva nella suc cessione delle nostre idee. Non è forse la necessità dell'esistenza di uno spi rito,
senza pensare che era appunto dalla
dimostrazione della esistenza dello
spirito che avrebbe potuto dedurre la
negazione della materia. Ma infine, am messo pur come provato ciò che
pro var sì doveva, restava asapersi in cosa
differiva il suo modo di considerare la
un umiliare lanaturadell'Essere per- | realtà materiale come una
apparenza, fetto il supporre che una
sostanza priva della facoltà di pensare
possa influire sull'azione di lui,
dirigerla e insegnar gli ciò che fare o non far dovrebbe? Dunque la materia non esiste, ma lo spirito soltanto è. Ed ecco in qual maniera per lo sdrucciolo dello spiritualismo, Berkeley era bellamentecondotto a capovolgere tutte lenostre sensazioni, a negare l'e
sistenza alla materia, che è la sola che
veramente esista, la quale vediamo,
sentiamo, è in mille guise a noi si
rende percettibile, per accordarla e sclusivamente allo spirito, il
quale ve dere o toccare non si può, e non si sa
come edove esister possa. Il
dabben uomo si lusingava di a vere in questa guisa rovesciato l'atei smo, e non
si accorgeva ch'era invece contro il
deismo che la sua logica, falsa
nelprincipio, ma stringente nelle
conseguenze, andava a portare i suoi
colpi. Annullata larealtà
obbiettivae ma teriale di tutte le nostre percezioni, s'egli era pur costretto a dare alla re altà
sensibile, cioć alle idee, un obbiet tivo spirituale. Ma il nostro
Irlandese ancorliberavasi dalla
importuna diman da, soggiungendo chese ilmondo sen sibile o ideale, è veramente
esistente, non esiste però se non in
quanto é rappresentato dallavolontàdello
spirito infinito, presente dappertutto,
il quale modifica a ciascun momento le
im pressioni sensibili e ci da la varietà e
l'ordine di esse; onde deve dirsi che le
cose che noi percepiamoson conosciute
dall'intendimento di uno spirito Infinito e prodotte in noi dalla sua sola
volontà. Ilmondorealenon è dunque altro
che il pensiero di Dio ; ciò che noi
vediamo o sentiamo non è che sensazione
prodotta da Dio, e tosto che noi
cessiamo di vedere una cosa, quella cosa
cessa pur di esistere, o per meglio
dire, come non è mai esistita fuori di
Dio, così continua ad esistere
potenzialmente in Diocome un semplice
atto volitivo. Non altrimenti diceva la
filosofia indiana, quando
insegnavacheBrahma produce od annienta
tutto ciò che esiste, secon restava a sapersi in qual modo lo spi 86 entra.
BESTIE do che si svolge o in se
stesso ri- | IX. 5) Ecco che io fermeró il mio
patto con voi ..... e con tutti gli ani mali viventi che sono con voi,
tanto vo latili come giumenti (Gen. IX. 10).
D'ala parte, le azioni delle bestie
Certo, nel secolo nostro tanto posi tivo, la teoria di Berkeley può
parere un vaneggiamento di mente
malsana, e tale é infatti, ma non convien
però considerarla come se fosse senza
nesso logico e senzacoordinazione di
idee.Ben altrimenti, Berkeley, come
tutti coloro che negarono la
realtàdelmondo ester no, vi fu condotto colle leggi stesse del ragionamento, e da una cotal sorta di seetticismo che si è molto maraviglia ti di
vedersi svolgere in quell' aperto
dommatismo idealistico, ch'egli credeva
fosse il miglior antidoto contro ildub bio. Noi esamineremo
nell'articolo SEN non pot mo tuttemeccanicamente spie garsi. Ese dimostrano
volontà, intelli genza, sapere e provano anche delle pas sioni, cose tutte che mal
si conciliano con una semplice azion
meccanica. Bi sognava dunque dotarle di un' anima o negar l'anima all'uomo. Ma di qual sostanza sarà mai fatta l' anima delle bestie? Se di materia, ella è corpo; se di spirito dovrà essere immortale. Ma le più granbestie, dice Voltaire, son
coloro che avvanzarono ch' ella non era
nè corpo nè spirito. Fra queste opposte
o SAZIONE il ragionamento di Berkeley e
ne mostreremole inconseguenze. (Vedi | pinioni disputarono lungamente
gli an anche l'articolo SCETTICISMO, COLLIER E
CERTEZZA). tichi, e il Bayle nel
suo Dizionario sto rico ben le riassume. « Non si vede Bestie. Se siapossibile stabilire una assoluta distinzione fra l'uomo e le be che
gli antichi quando hanno abbando nato il loro stile poetico abbiano sta bilito
una vera differenza fra l'anima umana e
la materia, onde non si deve stie è cosa
che esamineremo all' articolo
DARWINISMO. Qui voglio soltanto mostra re tutto quello che ne pensarono
in be ne o in male gli scrittori dell' antichità. Dice laBibbia, e i credenti ripetono,
che Dio ha dato all' uomo il dominio
delle | secondo idiversi gradi di sottigliezza ». bestie. Ma come si vede in S. Agostino (Lib. I. De Gen. c. 18), già fin dai pri mi
secoli del cristianesimo i Manichei
trovavano che quest' impero dell' uomo
è molto effimero. Il pesce cane, dicevano i dualisti, ingoia il marinaro, il quale
ne paventa perfin la vista, e il
coccodrillo mangiasi bell' e vivo lo stupido
Egiziano pensare che l'anima delle
bestie e quella dell' uomo differiscano
fra loro in essenza, ma soltanto dal più
al meno Tal fu infatti l'opinione di
Anassagora il qual fra l'anima dell'uomo
e quella delle bestie non metteva
altradifferenza fuor che la prima può
spiegare a se stessa i suoi ragionamenti
e la seconda non lo pud. Pitagora e
Platone am bi riconoscevano la ragionevolezza del che lo adora. Ma se gli
animali forti ci resistono, i deboli ci
sfuggono, e non vi è altro che la
leggendadi qualche santo dove si legga
che i pesci venivano com piacentemente a farsi friggere nella pa della e le
quaglie ad infilzarsi sullo spie do. D'altronde, anche la Scrittura santa eleva gli animali alla dignità dell'
uomo, avvegnaché mostra che lo stesso
Iddio le tien degne della sua vendetta e
della sua alleanza. Jeohvah, infatti,
dice aifigli di Noè: « Io farò
vendettadel sangue vo stro sopra qualsiasi delle bestie. ( Gen. l'anima delle bestie, laqualdistingue vano
dall' umana sol per l'attributo della
parol . Non si può dubitare che tal
fosse ad un dipresso anche l' opi nione di Plutarco, dal momento che egli ammetteva la trasmigrazione delle anime umane anche neicorpidegli ani mali;
anzi egli ha scritto anche un trat tato apposito per mostrare che le
bestie pensano e ragionano. Non meno
espli cito è Porfirio, il quale alle bestie at tribuisce,non solo la ragione,
maanche l'attitudine a far intendere i
loro ra gionamenti i quali, se non son tanto BESTIE sottili e complessi comequeidell'uomo, non differiscono perciò essenzialmente. La facilità con cui gli antichi am 87 cosa non sarebbe maggiormente contro l'evidenza che il dir l'altra ». mettevano la ragionevolezza dell'anima delle bestie, concorda d'alt 14 colla opinione della sua materiantà. vero, all'articolo ANIMA, noi abbiamo provato che tutte le scuole filosofiche della Grecia ignoravano affatto quell' astra zione
alla quale i modernidanno ilnome di
spirito; ed esclusa lasostanza spiri tuale, si capisce subito come
convenga oalle bestie negare un'anima, o
dotarle di una non essenzialmente diversa
da quella dell'uomo. Ridotta in questi
ter mini, la controversia diventa una pura
question di parole. E invero, se chia miamo l' aníma funzione,
intenderemo facilmente che tral'uomoele
bestie que sta funzione non può differire essenzial mente, imperocchènell'uno e
nelle altre essa si fonda sulla materia.
Or una Anche nel secolo XVI Gomesio Pe
reira, medico spagnuolo, fece meravi gliare i dotti annunciando che le be stie
son pure macchine e spingen do il paradosso fino a negare l'ani ma sensitiva che
a loro si attribuiva. Sul qual proposito
il Bayle osserva chea' suoi tempi
pretendevasi che De scartes avesse tolto a Pereira la sua singolar dottrina sull' anima delle be stie.
Infatti, Descartes negò che vera mente nelle bestie esistesse un'anima, nonchè ragionevole, nemmen sensitiva, e fondava questa sua negazione, non già sulla ripugnanza della ragione a credere ad unospirito, maunicamente perchè ripugnava al suo pensiero il credere che fra l'uomo e le bestie non esistesse alcuna differenza essen ziale.
Quindi i cartesiani giungevano alla
credenza, che le bestie sono dei
funzione che procede da causa iden tica non si può, senza
contraddizione, ❘ puri automi , fondandosi sul princi
concepire essenzialmentedifferente; ma
può invece concepirsi come quantita tivamente differente in ragione
della maggiore o minor perfezione dell'
or ganismo incui simanifesta. Certo,
nonmancarono nemmeno fra iGreci filosofi
che abbiano ammessa la meccanicità delle
funzioni delle be stie. Pare anzi che tal fosse l'opinione degli stoici; ma ben vi rispondeva Plutarco con queste parole: « Quanto a coloro che goffamente e con tanta impertinenza affermano che gli animali nè si rallegrano nè si corrucciano, nè temono di dire che larondine non am massa
provvigioni, e l'ape non ha me moria, ma sembrasoltanto che la ron dine usi
previdenza e il leone si cor rucci, e il rettile fremi per la paura, io non so cosa risponderebbero a co loro i
quali avanzassero l'opinione, che
convien purdire ch'essi nè credono, nè
odono e ch'essi non hanno voce ma sol tanto che essi vedono oche hanno
voce, in una parola ch'essi non vivono
ma sembrach'essi vivano; poichè dire
l'una pio, che lamateria non solo non
puó pensare, ma nemmensentire e
provare sensazioni di sorta.
Conchiudevano dun que che selebestie avessero un'anima spirituale, questa doveva essere immor tale
quanto quella dell'uomo, e che un' anima
materiale non poteva pen sare, nè sentire, nè produrre la vita. É vero che gli avversari dei cartesiani potevano facilmente imbarazzare i so
stenitori di questa così poco ragione vole dottrina, mostrando i molti
atti degli animali, i quali provano e
sen sazioni, e volontà e pensiero e perfino
qualità morali, come la fedeltà e l'a more, virtù che sono
essenzialmente proprie dell'anima; ma
tornava facile ai cartesiani il
rispondere in questa guisa: « Voi
riconoscete che gli ani mali son cose, le quali rassomigliano a ciò che fal'anima ragionevole e che nullameno la loro anima non è punto ragionevole. Perché dunque non volete che si sostenga ch'essi sono delle cose che rassomigliano a ciò che fa l'anima sensitiva, senza che la loro anima sia
88 BIBBIA sensitiva? » Il perchè poi alle bestie |
raccomandazione ai contadini di pagar
volesse attribuirsi un'anima sensitiva e
non immateriale, ci è detto da Sennert,
medico dell'accademia di Wittemberg,
il quale appunto nel secolo XVI fu ac cusato d' empietà per aver
insegnato che l'anima delle bestie non è
mate riale. Or il dare alle bestie un' anima
immateriale val lo stesso che farle im mortali e quindi eguali
all'uomo. le decime, eccellente rimedio
contro gl'insetti devastatori. (Vedi la
mia Sto ria Critica della superstizione al Vol.
II Cap.XI. Bibbia. Voce greca che
signi fica libro. Così chiamasi la raccolta
degli scritti sacri degli ebrei e dei
cristiani contenente i libri dell' An tico e del Nuovo Testamento. Il lo
Il Cartesianismo aveva evitato que- ro numero e i loro titoli sono regi sto
scoglio supponendo che uno spirito strati nel canone dei libri santi, il esterno fosse la causa delle interne a-
quale, tuttochè si pretenda immutabile,
zioni degli animali, le quali sono vere venne però man mano modificandosi macchine agenti sotto l'impulso di una per
l'aggregazione dei nuovi libri che forza
straniera. Questa opinione non la Chiesa, in progresso di tempo, e pei contrastava d'altronde con quella do- suoi
interessi trovò opportuno di di minantenellachiesacattolicadel medio chiarare
rivelati. ( Vedi CANONE ). É evo,
perciocché vediamo che in diversi dottrina di tutte le Chiese cristiane tempi e invari paesi gl'inquisitori pro- ed
ebraiche, che i libri della Scrittura
cessarono e condannarono gli animali sono stati dettati sotto la
immediata siccome i supposti agenti del
demonio. inspirazione dello Spirito Santo, mo Nel 1451 una quantità di
sanguisughe tivo per cui hassi ragione di credere, avendo infestate le acque del territorio |
che un solo errore il quale si trovi di
Berna, detto fatto il vescovo di Lo sanna le fa citare davanti ad un com
missario incaricato di giudicarle. Un
usciere è inviato sui luoghi occupatida
quegli animaletti e con pubblico bando
aloro ingiunge di comparire davanti
nella Sacra Scrittura costituisca una
prova formidabile contro la sua pre tesa rivelazione; imperocchè non
possa ammettersi che Dio possa
ingannare od essere ingannato. Or
convien con fessare che nella Bibbia li errori son molti e di varia natura, e chi tutti li volesse raccogliere, avrebbe di che com porre
un intero volume. Diró soltanto al
rmagistrato, per essere udite e al l'uopo condannate ad abbandonare en tro
breve termine e sotto le pene di diritto
i campi occupati. S'intende che | dei principali e più manifesti. gli animali non si presentavano mai da vanti
al giudice, ma di solito si nomi nava per loro d'ufficio un avvocato di
fensore, e per non dir d'altri, il fa moso giureconsulto Chassanée stabili appunto la sua fama nella difesa dei topi d' Autun. Del resto, i processi contro gli animali non furono tanto rari e dal 1120 al 1741 se necontano 92, dei quali quattro contro i bruchi, quattro contro le lumache , quattro 1
contro i sorci, e altri contro le san guisughe, le cantaridi, le mosche,
le talpe, i grilli ecc. e tutti, o quasi
tutti, finirono con la scomunica, con
l'esor cismo, con le processioni, e con la
I. Risulta dal contesto del IV e V
capitolo della Genesi, che Adamo ed
Eva sono idue primi sposi dell' uni verso, che dalla loro unione nasce A
bele e Caino,il quale avendo ucciso il
fratello, si allontana dal padre e d alla madre, vale adire da tutto il genere umano. Egli non ha quindi alcuna donna a cui congiungersi, nè alcun uo mo da
cui temere. Eppure si legge che Caino, tremante
d'essere ucciso (da uo mini chenonesistevano) fuggì nel paese di Nod ove fondò una città ( i cui abi tanti
non erano ancor nati ). II. Al capo XII
verso 40 dell' Esodo, si legge che la
durata del soggiorno BIBBIA degli
Israeliti nell'Egitto fu di 430 anni. Ma
S. Paolo, il quale non è meno in spirato di Mosè, afferma che la legge fu data sul Sinai 1030 anni dopo l'al leanza
fatta da Dio con Abramo ( Gal. III 17 )
il quale era allora in età di 75 anni (
Gen. XII 4). Abbiamo dun que la seguente cronologia: Dall' alleanza alla nascita d' Isacco (XXI. 5) corrono . anni 25
Dalla nascita d' Isacco a quella
di Giacobbe (XXV. 26) 89 anni 40
26 8 40
. mente stabilite dalla stessa
Bibbia e citate da Spinoza. Mosè governa ilpopolo nel deserto per.
Giosuè che visse 110 anni, non
ebbe il comando, secondo Giuseppe ed
altri storici, che KusanRisgataiin tiene
ilpo polo sotto il suo imperio Otoniel
figlio di Kenaz fu giudice durante Eglon re di Moab fu giudice «
corrono Dopo 130 anni Giacobbe
si stabilisce in Egitto (XLV II. 9).
> 130 dici durante Dall'alleanza alla
immigra 60 durante • Aod e Samgar furono
giu .- Jabin tiene il popolo sotto zione
in Egitto corrono dunque > 215 il suo giogo
i quali se si tolgono dai 430 anni fissati da S. Paolo, nonnerimangono che 215 per il soggiorno nell' Egitto. Il popolo dopo un riposodi Ricade in servitù sotto la III. Risulta dai versi 6 e 7 (Deute ronomio
X. ) che solo dopo cheAron ne fu morto e seppellito, gl' Israeliti passarono a Gadgad e poi a Jetbat. Ora, al capo XXXIII dei Numeri, verso 32 a 38, era stato detto iuvece che le stazioni di Gadgad e Jetbat avevano preceduto la morte diAronne, laquale non ebbe luogo che alla stazione del monte Hor. Il capo XX verso 22 a29 dei Numeri aveva già fatto morire A ronne sul
monte Hor; si avverta poi che trovasi la
stessa indicazione nel verso 50 del capo
XXXII del Deutero nomio, il quale resta così in contrad dizione, non solo col
libro dei Numeri, ma anche con se
stesso. IV. Il quarto capitolo del primo
li bro dei Re narra che Salomone fondò
il tempio nell'anno 480 della sortita
dall' Egitto. Ma consultando, non dirò
' istoria la quale tace di questi fatti
dominazione di Madian per . Esso
riprende la libertà al tempo di Gedeone Poi èsottomesso daAbimelch Tola figlio di Pua fu giu diceper. Jair per.
Il popolo ricade sotto la do minazione de' Filistei,e degli Ammoniti durante .
Jefte fu giudice durante. Abesan
il Betelemita Aialon il Zebulonita Abdon il Faratonita Ilpopolo cade ancora sotto il dominio de' Filistei . Sansone fu giudice durante Eli durante
Il popolo sottomesso nuo vamente da' Filistei, non fu li berato da
Samuele chedopo un intervallo di.. Davide regna.
Salomone avanti di fondare
leggendari, ma la Bibbia stessa, il li bro infallibile e divinamente
inspirato, il tempio regua . si trova
che tra la fondazione del tem pio e l'uscita degli ebrei dall' Egitto, corre un lasso di tempo assai più lun go, e
precisamente di 580 anni, come appare
dal seguente prospetto, in cui si
computano soltanto le date chiara «
« 18 80 »
20 《 40
7 > 40 >>>
« « «
3 : 23
22 18 6.
7 10 8
40 20 > 40
« « 20
40 4 Totale > 580 «Aquesti anni bisogna però ag giungere
quellidel periodo immediata mente successivo alla morte di Giosuè, durante il quale la nazione ebrea si 90 BIBBIA
mantenne indipendente fino al giorno
in cui Kusan Risgataiin la ridusse in
servitù. Periodo di prosperità che do vrebbe essere stato assai lungo,
non potendosi supporre che subito
dopo la morte di Giosuè tutti coloro
che erano stati testimon: delle sue
gesta prodigiose fossero periti in un mo
mento, e i discendenti loro, abolite le
leggi e gli ordinamenti civili del gran
condottiero, fossero tosto caduti in ser vitù. Ciascuno di questi
avvenimenti e sigendo quasi un secolo di tempo, non puossi mettere in dubbio che lascrit tura nei
versetti 7.9 e 10 del secondo capitolo
dei Giudici non abbracci un gran numero
d'anni, la storiadei quali passata sotto
silenzio. A questi bi sogna poi aggiungere quelli nei quali Samuele fu giudice degli Ebrei e non citati dalla Scrittura; quelli del regno di Saule a disegno ommessi, perchè la sua storia non lasciaindovinare la du rata
del di lui regno; quelli dell' anar chia nella qualeperdurarono gli Ebrei, pure taciuti dalla Bibbia; poiché è im
possibile di valutare giustamente ladu rata degli avvenimenti che sono rac
contati nel libro dei Giudici, comin ciando dal capitoloXVII sino alla
fine. V. Il quarto libro dei Re ( XXIV 8,9) dice che il censimento fatto da Davide mostrò che gli uomini atti alle armi erano in totale 1,300,000. Ma nel primo libro delle Croniche ( XXI 5,6) si trova che questo censimento non venne esteso alle tribù Beniamino e di Levi, e nondimeno diede per risultato 1,570,000 uomini atti alle armi. Lo Spi rito
Santo, dice Miron, è autore del l'uno e dell'altro di questi due rac conti; ma
qual de' due dobbiamo cre dere ? VI. Nel
capo XI (verso32 e 36 del IV libro dei
Re) Jeova dichiara che non lascerà a Roboamo
che una sola tribù enel capo XI (verso
20 ) dicesi in fatti che questo re fu seguito dalla sola tribù di Giuda; ma nei versi se guenti (
21 e 21) è rappresentato co me regnante sulle due tribù, quella di Giuda e quella di Beniamino. VII. Ocozia non avendo lasciato fi gliuoli,
fu sostituito da suo fratello Jo ram, rapporto al quale sono da osser varsi
queste notevoli contraddizioni. Se condo ilverso 17 del capo I (IV Re), egli sali sul trono d' Israele il
secondo anno del regno di Joram, re di Giuda. Secondo il verso primo del capo III, in vece
egli comincia a regnare nel diciot tesimo anno del regno di Giosafat, re
di Giuda. Ma non basta! Secondo il verso 16 del capo VIII, Joram, figliuolo di Giosafat, cominciò a regnare sopra Giu dail
quinto annodel regno diJoram re
d'Israele; d'onde si trae che ravvicinan do il verso 17 del capo primo
al verso 16 del capo VIII, Joram d'
Israele sali sul trono nel secondo anno
del regno di Joram di Giuda, il quale
era salito sul trono nel quinto anno del
regno di Jo ram re d'Israele. Gli annali compilati da scrittori, che non pretendono d' essere qualche cosapiùdi semplici mortali, non offrono certamente esempii di una peg giore
cronologia. VIII. Nessun errore, dice
Fréret (Oeu vres. T. IV. p. 372), può riuscire piú grande di quello che s'incontra nel nu mero degli
israeliti, che dalla cattività di
Babilonia ritornano aGerusalemme sotto
la condotta di Zorobabele. Se noi som miamo insieme tutte le cifre che
ci sono date dal Cap. II del 1º. libro
di Esdra, troviamo che gl' israeliti
ritornati dalla cattività ascendono alla
cifra di 29818. E nondimeno il sacro
scrittore facendo la somma a suo modo,
ai versetti 64 e 65, dice che tutta
questa radunanza in sieme sommava a 42360, non compresi i servi e le serve in numero di 7337! Bi sogna
dunque credere che lo Spirito Santo nel
fare l'addizione delle cifre si sia
fermato ad un bel circa verso la metà
della somma. IX. Nelprimo librodei
Maccabei (vers. 5-17), si narra
diffusamente la orrenda morte di Antioco
Epifane persecutore dei preti, ma questo
spogliatore sacri BIBLIA lego, prima di
fare la suaterribile fine, era già
mortoduevolte; la prima(Capo 91 connubio fra i >> Egli nasconde la luce nelle sue mani, e quindi glicomandadi ricomparire (Giob XXXVI. 32. Questo testo è infedelmente l'origine attribuendoli ad un carnale 92 BIBBIA
tradotto nelle nostre versioni). E i mari che sono essi mai ? La limitazione del mondo tra la terrae l'abisso. » Egli ha posto un certo termine intorno all'acque, il qual durerà fino alla fine della luce
e delle tenebre » (Giob. XXXVI. 10).
E chi potrebbe insegnar geometriacol sin
golar metodo dei libri rivelati, nei quali
si legge che il bacinoposto all'ingresso
del tempio di Salomone era rotondo ed
avea dieci cubiti di diametro e trenta di circonferenza? Calcolo sublime ed incon
testabilmente rivelato, avvegnachè tutta
la scienza nostra non sia ancor arrivata
aprovare che il diametro stia precisa mente
trevoltenellacirconferenza.Prova
evidente è questa chequellaproporzione
geometrica si basa sopra principii supe riori alla povera ragioneumana,
laquale insegna che il diametro sta alla
circon ferenza come 113 a 355, proporzione
che è sempre maggiore del triplo.
Manonostante tutti questi errori, che
sono pochi fra i moltissimi che si po trebbero citare, rincresce ildire,
che non mancanouomini, i quali, fedeli
alla tra dizione antica, vorrebbero che tutte le nostre conoscenze alla Bibbia si attin
gessero e ogni metodo d'insegnamento
sullaBibbia si fondasse.«Come,donde,
> La Enciclica del 1824 data
da Leo ne XII, rinnova il divieto, e una bolla
di Gregorio XVI, dopo avere richiamate
tutte le disposizioni date dai suoi pre decessori, aggiunge: « Noi
confermiamo erinnoviamo collanostra
autorità apo stolica gli ordini suddetti, già da lungo tempo promulgati circa lapubblicazione, lapropagazione, lalettura edil possesso dei libri della Scrittura Sacra tradotti in lingua volgare. >>> Chiesa cattolica, se non in quanto essa sia pubblicata insiem colle note e gli schiarimenti, che ne raddoppiano il vo lume e
la spesa, e la rendono poco ac cessibile alla borsa di tutti. Quando essa fu pubblicata senza queste note dalla Società Bibblica di Londra, e venduta a tenue prezzo, incorse in tutte le
censure che sono comminate contro le
altre ver sioni in lingua volgare. Ma la Bibbia tipo, laBibbia veramente
ufficiale e rico nosciuta dalla Chiesa è la Volgata, così detta, perchè fu da S. Girolamo volga rizzata
nel latino idioma (o, come altri credono,
soltanto corretta)sui testi greci ed
ebraici originali. Or, è pur cosa sin golare a dirsi, che questo testo
ufficiale della rivelazione, è esso
stesso così pieno di errori, che già ai
tempi di S. Gero lamo se ne facevano nella Chiesa grandi lamenti. S. Agostino nella sua decima let
tera, dice che essa non è conforme alla
versione greca dei settanta, che gli e brei n' erano assai malcontenti e
che egli perciò non volle adottarla, nè
per metterne la lettura nella sua chiesa.
Cionondimeno il Concilio di Trento nella
sua quarta sessione, dichiarò la Volgata
la sola autentica versione della Bibbia;
ma la Chiesa ebbe inseguito a ramma ricarsi di quel suo decreto,
inquantochè le critiche di uomini
competentissimi, an che devoti, mostrarono troppo aperta mente i molti errori
di quella versione. Sisto V credette di
rimediare all' incon veniente, facendoricorreggere laVolgata e ripubblicandola coi tipi del Vaticano, onde quella ricorrezione ebbe il suo no me.
Ma pare che neppure quel lavoro
soddisfacesse tutte le esigenze, poichè
anzi Clemente VIII, suo successore, sol tanto tre anni dopo fu obbligato
di farne ritirare tutti gli esemplari, e
far ese guire una nuova correzione ed unanuo va edizione della Bibbia, che è la
Vol gata attuale. Anche questa però, nono stante l' infallibilità papale, non
riusci opera perfetta, giacchè non pochi
teo Osservisi poi chelaversionedel Mar- logi, fra cui il cardinal Gaetano, dimo
96 BIBBIA strarono che essa è ancor piena di er rori, e
perfino Monsignor Martini, ar civescovo di Firenze, alla sua versione del Nuovo Testamento premette una nota, ove attesta che nel solo Nuovo Te
stamento della Volgata si trovano 975
passi che differiscono dall' originale.
Anzi ancora, il cardinal Bellarmino
rispondendo a Luca di Bruge, il quale lo
avvertiva appunto che nella Bibbia la tina trovavansi tanti errori,
diceva: >> Einfatti, Clemente VIII
nella prefa zione della Volgata da lui dichiarata sola autentica, ha l'ingenuità di avver tirci
che « sebbene siasi adoperato con il
Martini aggiunge SUPERSTI zioso, acciò si creda che il solo super stizioso
culto degli angeli la Bibbia con danna, non già il vero culto. Del resto, parecchi altri passi più o Tutte le volte che il Diodati traduce la voce greca presbiteri per ANZIANI (AttiXV, 6, 22, 23; XVI, 4; I Timot. IV 14; X 19; Giac. V. 14), il Martini la rende colla voce Sacerdoti, onde fondare eziandio sui tempi apostolici la institu
zione di un vero e proprio sacerdozio.
Per lo stesso motivo ogniqualvolta il
Diodati nei versetti 2 e 12Cap. III della epistola di S. Paolo a Timoteo traduce, SIA il vescovo, O SIENO i diaconi mariti di una sola moglie; il Martini traduce ABBIA PRESO il vescovo, od ABBIANO PRESO i diaconi una sola moglie. Il motivo della variazione è evidente: il verbo sia, sieno , è imperativo e impone come precetto ' obbligazione del matrimonio per gli ecclesiastici, mentre la locuzione abbia o abbiano preso, è condizionale, non impone nulla nel presente o nel fu turo,
e lascia il posto al precetto po stumo del celibato. Giustizia vuole però che si confessi,che questo precetto è con
forme allo spirito e alla dottrina di San
Paolo, e che la versione del Martini, al meno essenziali differiscono
nelle varie traduzioni della Bibbia; e
si conosce quale strana importanza danno
i credenti a queste per noi quasi
insignificanti diver genze, quando si pensa che talora so pra un solo versetto
e fin sopraunapa rola si fonda l'origine d'un sacramento, di un domma o di un rito della Chiesa. (Vedi anche gli articoli APOCRIFI,
CANONE, EVANGELI, PENTATEUCO, ecc) Biologia. Etimologicamente: di scorso sulla
vita. Labiologia, parola pri mamente usata da Comte, è la scienza delle leggi che regolano la vita negli organismi, e i rapporti fra di loro e il mondo esterno. Base dellabiologia sono quindi l'anatomia e la fisiologia, non menochelescienzenaturali; inquantochè ogni organismo trovasi necessariamente legato col mondo esterno, nè avviene va
riazione nell'uno senza che vi corrisponda
una modificazione dell' altro. (Vedi Po SITIVISMO). Bochm(Giacobbe)soprannominato il Filosofo teutonico.Nacque nel 1575 in un vilaggio della Lusazia presso Gorlitz daparenti poverissimi.Educato allascuola del villaggio, prese amore vivissimo
alla meditazione edi tanto s'esalto, che
infine credette d'essere chiamato a
rivelare al meno inquesto caso,rispondemeglio alla dottrina del fondatore del cristianesimo. |
nati nellaBibbia. Bohem scrisse parecchi
l'umanità i divini misteri, appena accen Efesi, V, 32-33. Perciò l' uomo
la scierà suo padre e sua madre, e si con giungerà con la sua moglie: ed i
due diverranno una stessa carne. Questo
MI STERIO è grande. Il Martini traduce
misterio con SA CRAMENTO. Questa differenza fra i due traduttori facilmente s' intende, rifletten
do che il matrimonio è sacramento pei
cattolici soltanto e non pei protestanti. libri di rivelazione che nel secolo
nostro non meritano nemmeno l'onore di
essere esaminati, ma che a'tempi suoi,
nei quali filosofi si dicevano
icercatori della pietra filosofale e i
cultori dell'alchimia, ebbero moltissimo
successo. Il novello rivelatore pervenne
a costituire una setta di nuovi mistici,
iqualiil maestro illustrarono con
lodiesagerate e senzafine. Singolare coin cidenza! Simile al Cristo sul
quale riposa 7 98 BOLLA
la grazia del Padre, anche Boehm vuol | membro della Camera dei Lord.
Nel che la grazia divina riposi sopra di
lui: il misticismo dell'uno nonval
meglio di quello dell' altro, e l'uno e
l'altro inse gnarono l'imprevidenza, il disprezzo del mondo e tutte le conseguenze che ne derivano.
1714 all'avvenimento altrono della casa
d'Hanover si ritirò inFrancia, ove mend
in moglie la vedova del marchese di
Bogomili. Eretici diBulgaria,di scepoli di un tal Basilio,vecchio
asceta, en tusiasta e fanatico. Dicesi che l'impera tore Alessio Comneno,
nemico acerrimo dell'eresia, facesse
chiamare a se Basilio sotto pretesto di
volersi aggregare alla sua setta, onde
indurlo apalesargli isuoi errori, e che
quando glieli ebbe rivelati l'accusò
davanti al Senato. Basilio si of ferse a sostenere le sue opinioni, mo
strandosi pronto a incontrare il marti rio, e fu esaudito. Acceso ungran
rogo inmezzo all'Ippodromo, fu
dall'altro lato piantata una gran croce,
e a Basilio si ingiunsedi sceglierefra
l'uno e l'altra. Mirabile esempio di
costanza e dicorag Villette. Bolingbroke ebbe amichevoli re lazioni coi
principali filosofi del suo tem po e credesi sia stato il primo che abbia determinato alla carriera filoso fica
Voltaire, ch' egli conobbe durante il
suo esiglio in Francianella sua terra
della Source, presso Orleans. Mori nel l'anno 1751 lasciando isuoi
scritti a Da vide Mallet, che li mandò allestampe in cinque volumi, contenenti, fra gli
altri, le Lettere sullo studio della
Storia e quelle al Papa sulla religione
e la filo sofia. Bolingroke apparteneva alla scuola dei deistidel secolo passato, epperciò
era accanitissimo contro tuttele
religioni ri velate, contro la Bibbia, ch'egli dice un romanzo da Don Quichotte e contro tutti i teologi che chiama « Folli. » Èdubbio che nellasuapolemica con gio, Basilio
si precipitò sul rogo, dimo- tro l'ateismo egli portasse tanta convin strando
al mondo che i martiri nulla❘zione
quanto in quella contro la rivela provano in favore dei principii pei quali
zione. E invero, da una parte s'egli ri hanno data la vita. Basilio morì, ma non la sua setta, che fu assai diffusa nellaGrecia, ed
alla quale appartenevano molte
principalissi me famiglie di Costantinopoli. Qual fosse l'eresia dei Bogomili non è facile il de terminare,
poichè le loro credenze sono un impasto
di tutti gli errori di quei tempi. Par
nondimeno che inclinassero al dualismo
di Manete (vedi Manichei smo) e allademonologia di Platone. Dei libri della Bibbia sette soli
accettavano, e molti interpretavano
allegoricamente. Dio credevano corporeo,
la Trinità spie gavano coi semplici attributi divini ; la terra e l'uomo dicevano creati da Sata naele;
il battesimo facevano senz'acqua; '
Eucarestia negavano, e i vescovi e il
clero disprezzavano. Bolingbroke.
(Enrico San Gio vanni, viscontediBolingbroke)nacque nel❘ 1672. Eletto membro della
Camera dei Comuni di Londra nel 1702,
divenne poi ministro segretario di
Stato, e finalmente conosce un Dio, nega
però al Creatore l'intenzione di fare
gli uomini felici; ammette una
provvidenza generale, ma la nega per
gl'individui in particolare ; confessa
l'antichità della dottrina dell'im mortalitàdell'anima,ma nega aquesta la qualitàdi sostanzaimmateriale e distinta dal corpo. Tutte queste affermazioni di uno scrittore che i suoi stessi nemici chiamavano, seducentenellaconversazio ne, di
spirito fecondo, e molto istruito, erano
tali da poter fare molta impres sione, d'onde la condanna data alle sue opere dal gran giuri di Westminster. L'Esameimportantedi milordBolingbro ke che si
trova inserito nelle opere di Voltaire,
è di quest'ultimo autore. Bolla
pontificia. Rescritto del pon tefice il qual differisce dal Breve in que sto,
che l'uno è spedito dalla cancelleria
apostolica sotto il sigillo di piombo, l'al tro dalla segreteria dei
brevi sotto l'a nello pescatorio; l'uno è scritto in per gamena rozza con
caratteri antichi, l'al BONNET tro in
pergamena fina con caratteri la tini; la bolla porta la data dell' anno dell'incarnazione, e il breve quello
della Natività di Gesù. Due Bolle sono rinomatissime nella 99
abbastanza forte per poterimpunemente
ripubblicarla. Bonnet (Carlo) di
Ginevra. Na que nel 1720. Egli fu ad un tempo na turalista e teosofo, e questi
due carat Storia: quella Unigenitus e l'altra in Cœna Domini. La prima data da Cle menteXI,
condannavala dottrina del pa dre Quesnel,vennerespintada una quan tità di
vescovi e fu il segnale di una lunga
persecuzione contro il giansenismo (vedi
GIANSENISMO ). S'ignora invece chi sia
l' autore della seconda; essa legge vasi pubblicamente in Roma tutti gli anni nel giovedi santo, alla presenza
del papa, accompagnato da cardinali e
da teri si trovano così intimamente con
giunti nelle sue opere,da recare sorpre sa e maraviglia al tempo stesso, per
la stretta unione di principii che sono
fra loro tanto contrarii. Con uno
spirito profondamente religioso Bonnet,
nel suo Essai analytique des facultés de
l'âme e nel Traité des sensations, si
mostra aperto partigiano della scuola
sensua lista. Tutte le idee, egli dice,
ci vengono vescovi. Paolo III nel 1536
pubblicando dai sensi, e tutte le sensazioni si risol una edizione di questa
bolla, dice che vono nell' azione pura e semplice delle era antichissimo uso della chiesa il rin- ❘ fibre nervose. La varietà di queste
fibre novare tutti gli anni questa
scomunica, laquale si estendeva agli
eretici, pirati, corsari ; contro, i
giudici laici che giu dicano gli ecclesiastici e li citano da vanti al loro
tribunale, sia pur esso u dienza, cancelleria, consiglio o parlamen to; tutti
coloro i quali faranno o pub ela loro differente costituzione anato mica
spiegano la varietà delle nostre
percezioni, le quali trovano tutta la loro blicheranno editti diretti a restringere l'autorità ecclesiastica; infine contro
i pubblici funzionari di qualsiasi re
o principe, che evocano asele cause
eccle siastiche o impediscono l'esecuzione delle lettere apostoliche, quand' anche lo fac
ciano sotto il pretesto di impedire qual che violenza. Il Concilio di Tours nel 1510 aveva già dichiarato che labolla in Cœna Do mini
non poteva sostenersi, e ire di Francia
si sono sempre opposti alla loro
pubblicazione,come contraria ai loro di ritti e alle libertàdella chiesa
gallicana. corrispondenza nella modificazione
di esse fibre. I movimenti di questi
organi della sensazione sono determinati
dagli oggetti esterni, e imprimono all'
orga no, anche dopo essere cessati, una certa
tendenza a riprodursi, la quale determi na le abitudini e al tempo
stesso ci fa conoscere se una data
sensazione la sen tiamo per la prima volta o se l'ab biamo già provata. Fedele
al suo prin cipio, Bonnet credè che anche le idee più astratte e le men materiali deriva no dai
nostri sensi. Perfin l'idea di Dio egli
riferisce alla sensazione, e la deduce
dal nostro ragionamento sul com plesso dei fatti edel preteso ordine che osserviamo nella natura. Ma se tutta la filosofia sensualista. Nel 1580, approfittandosi della vacanza di
Bonnet è perfettamente materialista, del
Parlamento, parecchi vescovi vollero | bisogna pur dire che tutta la sua teo
farla ricevere nella lor diocesi, ma il
Procuratore Generale vi si oppose e fu rono prese contro di loro delle
misure severe. La pubblicazione della
Bolla in Cæna Domini fuinfinesospesa nel
1773 da Clemente XIV, ond'evitare l'
odio e il malcontento dei principi, nè
pare che dopo d'allora nessun papa siasi
stimato dicea è affatto idealista.
Quand' egli ar riva al punto in cui ilmovimento delle fibre si trasforma in sensazione, là
pone il mistero e l'anima; la sua logica
si smarrisce, e la sua scienza positiva
si trasforma in un mero idealismo.
Egli cade ancora in questo eccesso nelle
sue Considerations sur les corps
organisés 100 BOULANGER ela Contemplation de la nature, ove la sua feconda fantasia trasforma l'uni verso
nel tempio visibile della divinità, nel
quale la saggezza e la potenza in finita si scoprono nelle minime come nelle massime cose. Ma se Bonnet è buon idealista, non lo è però ancora tanto da poter conce pire lo
spirito separato dalla materia. Dopo la
morte l'anima certamente ci sopravvive,
ma esisterà ella senza cor po? Bonnet risponde negativamente. Egli crede che nel nostro corpo esista il germe di un'altro corpo, il quale si svilupperà dopo la morte e formerà lo inviluppo materiale del nuovo essere. Ma qual sarà questo germe ? Bonnet lo trova nel corpo calloso dell'encefalo: la sede del pensiero è, secondo lui, anche il principio materiale che avvilupperà nell' avvenire il suo substrato. Egli è in questa guisa che un uomo il quale ha scritto tante verità, e dimostra nei
suoi ragionamenti, quando sono fondati
sul fatto, una invincibile
argomentazione, si smarrisce subito ed
erra pazzamente nel I'assurdo tosto che entra nel campo della metafisica. Boulainvilliers (Carlo) Nacque a Saint-Laire nella Normandia nel 1658, emori nel 1722. Il suo nome è noto tra i filosofi del secolo XVIII per il suo spirito d' incredulità, velato da un apparente desiderio di combattere gli increduli. Fingendo di voler confutare i principii della filosofia eterodossa, in realtà egli non ha fatto altro che ripro
durre per sunti i principii di essa, av valorarli con apparenti contraddizioni,
la fiacchezza delle quali è più propria
a farci perdere che a confermarci
nella fede. È conquesto spirito ch'egli
scrisse *i seguenti libri: Réfutation
des erreurs de Benoît Spinosa, par M. de
Fénelon, archevêque de Cambrai, par leP.
Lami, benedectin, et par M. le Comte deBou
Doutes lainvilliers. Bruxelles 1731. sur
la Religion Londra 1767. Traité des
trois imposteurs, 1775 senza luogo.-L'Espit de Spinosa. Amsterdam 1719. Boulanger (Nicola). Nacque a Pa rigi nei
1722, studiò nel collegio di Beauvais, e
dopo essere stato nell'eser cito sotto il comando del barone di Uriers, fu impiegato nella qualità di in
gegnere dei ponti e delle strade. Era
geologo di qualche vaglia, ma i pro gressi delle scienze naturali fatti
in questi ultimi tempi, più non si accor
dano colle ipotesi sue, chè vuol egli es sere, com'è ben naturale, ascritto
alla scuola la qual suppone che tutte le
gran di trasformazioni avvenute sulla super ficie della terra furono l'opera di
cata clismi. In filosofia ebbe idee liberalissi me, ed a lui si attribuiscono
parecchi scritti contro la religione.
Sono suoi gli articoli Corvèe, Guèbres,
Deluge, Lan gue hebraique inseriti nell'Enciclopedia e così pure Le ricerche sull'origine del dispotismo orientale, ove i re ed i preti sonoegualmente maltrattati. L'autore del Dictionnaire des ouvrages anonymes, sulle traccie di Naigeon, assicura che l'opera intitolata L'antichità svelata dai suoi usi, è pure di Boulanger, seb bene
sia stata rifatta dal barone di Holbach.
È però a deplorarsi che l'au tore siasi lasciato guidare da un indi rizzo
esclusivamente sistematico. Dotato di
fervida immaginazione, e impressiona to da alcuni animali fossili
antidiluviani da lui osservati in certi
scavi, di cui gli era stata affidata la
direzione, egli fu dominato dall' idea
fissa di rinvenire in tutti gli usi
dell' antichità, e special mente nellepratiche religiose, le rimem branze di un
diluvio, e le impressioni di terrore che
tal cataclisma ha lascia to nello spirito umano. Naigeon attri buisce a
Boulanger varie dissertazioni sopra
Elia, san Pietro, san Rocco e santa
Genevieffa ed una storia dell' uo mo in società, che andò perduta. Nel Cristianisme devoile, egli esamina con saggia critica tutti gli errori della re
ligione cristiana ed insiem della ebrea,
dimostra qualmente gli atti del Dio del la Bibbia siano incongruenti e
in con traddizione coll' idea stessa che la teolo BRAHAMANISMO gia pretende di darci della divinità, e 101
discrepanza che ben si comprende
la morale si del Nuovo come dell' An tico Testamento sia contraria ai
veri bisogni della società. Ad ogni
modo, giova notare che le sue opere
vennero pubblicate successivamente dopo
la sua morte e per mezzo degli amici
suoi. Mori il 15 settembre 1759. Era di
ca rattere dolce, paziente, insinuante, e fu
osservato che la sua fisonomia rassomi gliava moltissimo a Socrate, come
si vede sopra le pietre antiche. Brahamanismo. La prima re ligione dell'India
e la più antica che si conosca. I
calcoli di Bailly, Colebrooke e Renand
provano che i quattro Vedas sui quali si
fonda la religione di Bra hama sono indubbiamente anteriori a Mosè e risalgano per lo meno all'anno 1400 prima di G. C. Questi libri costi
tuiscono il codice religioso degl'indiani,
come i quattro evangeli formano quello
dei cristiani, e s'intitolano: Rig-Veda, o quando si consideri la vastità e il nu mero
delle fonti a cui i commentatori
attingono. Brama o Brahama è l'essere
eterno per eccellenza: ogni cosa vive in
lui e nulla vive fuori di lui. Assiso
sul loto (caos primitivo) egli girava lo
sguardo d'ogni intorno e non vedevacon
gli oc chi delle sue quattro teste ( i quattro
punti cardinali) che una vasta distesa di acque coperte di tenebre. Non ci vuol molto acume a vedere in questo concet to una
forma mistica del panteismo. La materia
non è creata, essa coesiste in Brahama
eBrahama esiste inlei. Allora, dice il
Rig-Veda, il quale ci richiama i primi
versi della Genesi, non esistevanè
l'essere nè il non essere, nè il mondo,
nè il cielo, nè alcuna cosa sotto o so pra , nè terra, nè acqua, ma
soltanto qualche cosa di oscuro e di
terribile. Brahama dunque non crea, ma
forma il mondo e il firmamento. Dapprima
egli preghiere in versi; 2.º
Jadjour-Veda o preghiere in prosa; 3.º
Sama-Veda pre- | genera le acque in mezzo alle quali parato per il canto; 4.° Atharva-Veda destinato alle purificazioni. La natura, l'aurora, il Sole personificati in
Indra, Diodellaluce, costituiscono il
fondamento teologico di questi libri.
Invano cerche resti nella quasi ingenua semplicità di questo mito primitivo tuttoil corpodella teologia di Brahama.I domminon nascono già fatti: lentamente e quasi per strati si sovrappongono, e quelli dell' India si trovano poi disseminati in una quantità grandissima di libri sacri, quali sono
il codice di Manù, i diciotto Purana, il Marayana, poema di Valmichi , e nel colossale Mahabarata, il quale, come l'indica l'etimologia del nome
(granpeso), è il libropiùlungoche
siconosca; tanto che nessuno è ancor
riuscito a tradurlo per intero in una
delle lingue europee. Ecco ora la
succinta esposizione del si stemateologico, quale suolsi più comune mene
desumere daquesti libri; e diciam
comunemente , avvegnachè non tutti e
non sempre si accordino nelle acciden talità secondarie della teologia
indiana, getta un uovo risplendente,
ov'egli stesso si rinchiude e forma il
principio vivi ficante della fecondazione; quindi separa l'uovo in due parti e ne forma il cielo e la terra (Creuser Simbolica 1. p. 179 Manù lib. 1 c. 1 IV) Ma ilmondo vi sibile non
è, al postutto, che la mani festazione di Brahama, ilquale a vicenda riproducendosi o in se stesso rientrando crea od annienta il mondo. Abbiam così la notte e il giorno di Brahama, ossia un Kalpa, e ogni Kalpadura 4,320,000, anni, e il numero dei Kalpa è infi nito.
Tuttavia, guardiamci bene dal pren dere questa cifra sul serio : essa non è altro che uno di quei tanti numeri simbolici i quali rappresentano un
ciclo, oun fenomeno astronomico (vedi
SIM BOLICA), È del rari concetto simbolico
e periodo astronomicoquello delle quat tro età del mondo rappresentate
dauna vacca, che si regge dapprima
suquattro gambe, poi su tre, due e una
sol gamba. A somiglianza del Dio cristiano, che ; 102
BRAHAMANISMO doveva nascere due
secoli dopo il mito Vedantico, il Dio
indiano è unoe trino:
Brahamageneratore,Visnu conservatore
e Siva distruggitore delle forme; ma
questi tre (del resto simboli evidenti
delle varie operazioni della natura) non
son che uno: il Parabrahama creatore
degli spiriti subalterni. Mohassura era
capo di questi, ma li spinse a rivolta
e fu scacciato dal cielo. Allora sotto
la forma del serpente, egli tentò l'uo mo, tese insidie al suo orgoglio
e lo spinse a proclamarsi eguale a Dio.
An che la seconda persona della Trinità ha
le sue incarnazioni, dette avatar. Se ne
contano dieci, tutte narrate diversamente, alcune delle quali presentanouna singo- ❘
larissima somiglianza con la vita mi stica del Cristo, e furono forse
tolte a prestito dal Buddhismo in quella
famosa incarnazione di Buddha, alla
quale evi dentemente è stata attintala leggendadi Gesù (vedi BUDDHISMO) Il Brahamanismo riconosce lametem psicosi, in
grazia della quale crede che tutte le
anime dovranno reincarnarsi nel corpo
degli animali più o men vili, se hanno
demeritato, motivo per cui alcu ne caste di indiani si astengono dal ci barsi
della carne d'ogni animale, e ci tansi certi asceti, i quali ebbero in
tanto orrore l' uccisione anche degli
animali più immondi, ch'essi preferirono
lasciar crescere e moltiplicare i più
schifosi in setti sul loro corpo piuttosto che di struggerli. Per altro , la
metempsicosi non esclude l'esistenza di
un inferno e d'un paradiso.Anzi, nella
opinione vol gare di paradisi ve neson tanti quante dicibili delizie, come tormenti atroci e senza nome si provano nell'inferno. Ma la metempsicosi è purgatorio, e quelle sole anime vi sono soggette, le quali hannobisognodi espiazione. Quattro ca dagli
agricoltori, e commercianti di pro dotti agricoli; e finalmente 4. la
casta di Shudres che sono gli artigiani
od o perai. Ognuna poi di queste classi si sud divide in altre speciali
divisioni, ma dal l'una all' altra classe a niuno è lecito passare ; e se due persone di classe diversa contraggono matrimonio, deca dono d'
ogni diritto e i loro discen denti sono compresi nelle suddivisioni vili dette Varna-Sankara . Un' ulti ma sotto
classe più sprezzata di tutte è quella
dei Pariahs o Paria, i quali convivere
non possono con nessun uomo delle altre
classi, devono starsene isolati, nella
solitudine delle foreste, o nei luo ghi remoti delle valli, contrasegnare
le loro fonti, arretrarsi alla presenza
d' o gni indiano delle altre classi, e final mente sottoporsi alle più vili
funzioni. In compenso essi non hanno
leggi, nè obblighi religiosi, e d'ogni
sostanza pos sono cibarsi, essendochè pel Bramino uomini veramente essi nonsono. Molte o brutali o superstiziose ceri monie
osservano gli odoratori di Bra hama. Fra le prime vuol esseremenzio nato il
barbaro uso delle vedove che si
sacrificano sul rogo dove consuma il
corpo del marito; e la festa di Ja grenaut nella quale il pesante carro
del Dio, trainato dacavalli, schiaccia i
fede li, che per stolta devozione si precipi tano sotto le sue ruote. Altre
feste sono invece dedicate al mistero
della genera zione, e in quei giorni congran pompa, frammezzo al popolo prosteso a terra, por
tasi intorno il Lingam, simulacro degli
organi genitali (Vedi AMORE). Leabluzio son le caste; ma in tutti si
godono in- ni e le lustrazionisonpure parte princi palissimadel culto
brahamanico; le imma gini del Dio si lavano nei fiumi sacri alla divinità, ove pure con simbolico la
vacro si amministra il battesimo ai neo nati.
ste stabilisce la religione Brahamica, e
Il sacerdote di Brahama è nell'India
sono 1. Quella dei bramini o sacerdoti; onorato come un Dio; ad esso
solo 2. Quella dei Khatriyas o Kettris,
com- spetta il diritto di leggere i Vedas, of posta dai guerrieri e pubblici
funziona- frire sacrifizi, insegnar la religione ed ri; 3. La casta dei Vaishyas composta |
appropriarsi le limosine deposte nelle BROUSSAIS pagode: le sue terre sono esenti dalle imposte e nulla deve agli operai che le 103 ne
delle fibre nervose e sono il risultato
lavorano. Il codice di Manu insiste for temente sul rispetto che la
casta dei guerrieri deve al Brahamano,
al quale è imposto il dovere di
osservare la vita contemplativa siccome
massima delleper fezioni.«AlBrahamano,dice questo strano legislatore, che possiede il Rig-Veda com
pleto sarà perdonato ogni delitto, quan d' anche avesse uccisi gli abitanti dei
tre mondi, od avesse accettato il
nutrimento da un uomo dell' ultima
casta. (L. A. Martin. La morale chez les
Indiens, Per altro, questa iniqua
sudditanza fondata sulla disparità delle
caste, condusse alla riforma di Buddha,
come gli abusi del giudaismo menarono
alla riforma di Gesù. Breve. Vedi BOLLA. Broussais (Francesco Giuseppe Vittore). Nacque a S. Malo il 17 di cembre
1772, e mori nel 1838. Fu dap prima allievo all' ospitale di S. Malo, poi medico di fregata, e infine medico maggiore nell' esercito di terra. Venuto in Italia con la spedizione francese, fu per molto tempo addetto all'ospitale di Udine nel Friuli, ove raccolse i mate riali
per comporre il suo Traité des
phlegmasies chroniques. Dopo avere se guito l'esercito nel mezzogiorno
della Francia e nella Spagna, nel 1814
fu in fine nominato secondo professore all' o spitale militare di Parigi, poi
nell'ospizio di perfezionamento, ove
tenne un corso di lezioni mediche, le
quali, per la no vità delle osservazioni e per l'ordine delle idee, non meno che per la violen za del
linguaggio, ottennero un gran dissimo successo. Nel 1831 fu nominato professore di patologia e terapeutica generale, ed infine ebbe anche l' onore di esser eletto membro dell' Istituto. Broussais non era soltanto medico eminente, ma anche eccellente filosofo. Nel suo Trattato della irritazione e della follia, procura di dimostrare che tutti i nostri atti, siano essi materiali
o di un movimento o di una modificazio
ne puramente chimica o meccanica dei
nostri organi. Le emozioni,dic' egli, de rivano sempre da una
eccitazione del ' apparecchio nervoso, e il nostro stato morale non è che la pura e semplice rappresentazione del nostro fisico. Brous
sais aveva abolito dal suo linguaggio le
parole anima, intelligenza, spirito e
tutti i sostantivi astratti, che non hanno una reale rappresentazione, e ch'egli riduceva in ogni caso alla semplice per
cezione dei sensi e ad una sensazione
puramente materiale del cervello. Laon de egli chiamava sognatori i
professori di filosofia, i puri ontologi
e li mostra va come affetti da una sorta d'allucina zione, in forza della
quale, creando la parola spirito o
intelligenza, avevano creduto di
separare in realtà la funzio ne del pensiero dall' apparecchio nervo so, e di
confidarla aun' etere, a un gaz, il
quale per la sua semplicità, nè può
pensare, nè produrre entro di noi alcuna
azione complessa. « Io non ho che un
rammarico, diceva egli, ed è che i me dici i quali coltivano la
fisiologia, recla mano troppo debolmente la loro com petenza nella scienza
delle facoltà intel lettuali, e che gli uomini iquali non hanno fatto uno studio speciale delle funzioni , vogliono appropriarsi questa scienza sotto il nome di psicologia.
>>> Sotto il titolo:
Développement de mon opinion et
expression de ma foi, Broussais lasciò
scritto dopo la sua morte unasorta di
testamento filosofico, dove,
professandosi deista e riconoscen do, con poca congruenza però, l'esisten za di
una intelligenza, non creatrice, ma
semplicemente ordinatrice, persiste sem pre nelle sue opinioni sulla
negazione dell' anima. « Fin
daquando,dic' egli, la chirurgia m'insegnò
che il pus accumu lato alla superficie del cervello distrug ge lenostre
facoltà, e che l'evacuazio ne di questa sostanza concede ch' esse riappariscano, io non ho più potuto esi
intellettuali, sono dovuti a un eccitazio- | mermi di concepire queste facoltà
altri 104 BRUNO menti che quali semplici atti di un cer vello
vivente. >>> Brown (Tommaso).
Filosofo scoz zese, nato nel 1778 a Kirkmabreck pres perquanto di sensato e di
vero quel filo sofo aveva scritto, ma nelle cose si ve nerava ch' egli forse
non scrisse mai e che, non senza
fondamento, sono tenute in sospetto di
apocrife (VediARISTOTILE). Se a Ginevra
d'altronde era morto Cal so Edimburgo. Bouillet dice ch'esso fu discepolo infedele della scuola
scozzese, inquantochè contro
Braidsostiene, che non è necessario
supporre una facoltà speciale di
percezione per conoscere i corpi
esterni, bastando la semplice sen sazione e il concetto di causa; la
quale, con Hume, egli riconosce essere
una semplice idea di successione o di
con nessione. Brown, senza appartenere alla
scuola dello scetticismo, per la sua dot trina vi si dimostra però molto
propen so, come par propenso alla negazione ❘ stotile, quel ricovero eziandio gli fu del libero arbitrio, quand' egli
definisce la volontà: un semplice
desiderio, con vino, il protestante Beza
che vi regna va signore, aveva ereditata tutta l' in tolleranza di lui; onde si
capisce per chè il Bruno trovò la Svizzera poco
ospitale. Quindi passò a Lione, a To losa e venne aParigi insegnando
filo sofia. Qui ebbe miglior fortuna,ed una
cattedra gli fu aperta al libero inse gnamento della sua filosofia. Ma
non appena si avventurò acombattere Ari
' opinione che l'effetto sta per seguirlo.
Brownisti. Partigiani di una delle
molte sette della religione inglese. Fu
fondatanell'anno 1580 daRoberto Brown,
il quale predicò contro l'autorità ecclesia stica, si attirò lo sdegno
dei vescovi e sof frì molte persecuzioni. Egli stesso diceva di aver mutato ben trentadue prigioni. Infine gli stati gli permisero di
fondare una Chiesa a Middelbourg nella
Zelanda, dove proclamò il principio che
il go verno della Chiesa deve essere affatto
democratico e i ministri sempre revo cabili; potere ogni fedele fare le
predi cazioni nella chiesa o rivolgere doman de al ministro. Le opinioni sue si
spar sero nell' Inghilterra prestamente, tanto
che nel 1692 si contavano ben ventimila
Brownisti. Bruno (Giordano).
Nacque aNola presso Napoli verso la metà
del XVI chiuso, sicchè nel 1583 passò in
In ghilterra, e quattro anni dopo visito
la Germania. Fu a Vittemberga che
egli ottenne maggior successo e tolle ranza, ond' egli scriveva al
Senato di quella città, ringraziandolo «
perchè a uno straniero, uomo alieno
dalla vo stra fede, permetteste di insegnare in
pubblico e tolleraste con mirabile mo derazione la sua veemenza nell'
impu gnare la filosofia di Aristotile che tan to vi è cara. » Ma la
riconoscenza trasportò il filosofo e gli
fece trascu rare la verità storica; avvegnacchè in quella sua lettera di commiato abbia eglifatto un entusiastico elogio di Lu tero,
senza pensare quanto quell'auste ro agostiniano fosse lontano dal nutri re quei
sentimenti di libertà filosofica che il
Bruno tanto encomiava. Il vivo desiderio
ch' ei nutriva di rivedere la sua
patria, lo spinse imprudentemente nel
1598 a Venezia. Ma quivi viveva la
inquisizione: fu arrestato, e dopo sei
anni di detenzione nelle carceri,la Re pubblicaconcesse finalmente
l'estradi secolo; fu educato alle scienze matema tiche, filosofiche e
teologiche in un Con vento di domenicani, ove assunse gli or dini sacri.
Mabenpresto icorrotti costu- zione con infinita insistenza reclamata midei colleghi ele assurdità deidommi, lo disgustarono tanto di quella vita,
che se ne fuggì a Ginevra. Sperava egli
di trovarvi maggior tolleranza per la
sua filosofia anti-aristotelica; ma
quivi, come a Roma, Aristotile regnava
sovrano, non dal Sant' Uffizio; fu
trasferito a Roma, ov' egli langul nelle
segrete per due anni, che ci vengono
mostrati come un caritatevole indugio
che la pietà cattolica offriva alla sua
ritrattazione. Qui veramente lafigura di
questo filo BUDDHISMO sofo spicca per la
fermezza e com muove per la ferocità de' suoi giudici. Nulla volle il Bruno ritrattare, nulla modificare delle cose insegnate. Nè i primi teologi di Roma, nè il Cardinale Bellarmino che scesero con lui nel car
105 ne. « Ciò che fu seme, scriveva Gior
dano Bruno, diventa erba, poi spica, poi
pane, succo nutritivo, sangue, sper ma, embrione, uomo, cadavere; poi terra, pietra od altro corpo solido, e così di seguito. Per questo fatto noi cere per disputare,poterono rimuover lo dai
suoi propositi, onde ai 9 di feb braio dell' anno 1600 gl' inquisitori leggevangli la sentenza, nella quale, dopo avere dichiarate empie ed ereti che le
sue opinioni, lo si abbandonava al
braccio secolare per essere punito con
quella maggior clemenza che si potesse,
senza spargimento di sangue; locuzione
ipocrita che l' inquisizione usava per
dannare al rogo! Ai suoi giudici, narra
un biografo, egli rispon deva: >>
Non lo credo; ma non monta: procu rate di avere qualche notizia su
questo stato fisiologico, che ben spesso
diventa patologićo, da quei poveri
diavoli che ' hanno provato. Insomma,
voi avete fame in tutto il senso
prosaico della parola, Ed ecco appunto
il momento in eui io vi presento una
rosa... unabella rosa di maggio, appena
colta,copertadi rugiada e piena di
fragranza. Mail suo profumo vi
irritainervi; voi la degnate appena d'
uno sguardo quella povera rosa, che io
aveva coltivata e vagheg giataper tanti giorni. Ohimè! voi cor rete alla tavola
sulla quale è imbandito un bel cavolo
bianco in insalata, al burro, alla
crema, alla salsa majonnaise, in tutti i
modi. E il suo profumo vi in nebria, vi trasporta, vi commuove, ben più che la fragranza ditutte le rose di questo mondo. Infine, voi mangiate quel povero cavolo tanto indegnamente di
sprezzato, e vi saziate. E quel cavolo vi
ritorna il buon umore, il colorito alle
guance, l'allegria, l'espansione, la fe licità. «Oh potenza di un cavolo! « Il cavolo vi ha ritornato il desi derio
della rosa, vi ha dato il brio, il bello
e l'incarnato delle guancie, il sen timento, lo spirito: in una parola, vi ha dato l' anima. Anzi ancora, quel povero cavolo, digerito nel vostro sto maco,
nelle sue sostanze nutritive si tra sforma in chilo, poi in sangue, poi in carne, e chi sa che non venga appunto aformare unpoco di quella vostra pelle bianca, morbida, vellutata, che è pure i
Nella natura nulla viè che sia spre gievole, ma ogni cosa ci diletta più
o meno secondo i nostri bisogni e il no
stro stato fisiologico e patologico. Per
esempio, io non vi consiglierei di dare
la vostra rosa ad una puerpera e ilca-,
volo ad un ammalato d' indigestione.
Tutto è buonorelativamente, e può gio-;
vare o nuocere, piacere o disgustare se condo i casi. » Intorno a questo carattere pura mente
relativo del gusto, tutti si ac cordano; ed è strano il vedere quegli stessi filosofi i quali nel bello
lottano accanitamente per sostenere
l'assoluto estetico, ammettere poi senza
difficoltà.. la distruzione
dell'assoluto in unaparte
principalissima del buono. Ma non è
forse ' organo del gusto tanto essen-.
ziale all' uomo quanto quello della vi sta e dell' udito? Non percepisce
la sensazione come tutti gli altri
nervi della sensabilità? E se sì, qual
logica è mai quella che induce costoro
ad ammettere una realtà obbiettiva, asso
luta per il nervo ottico e per il nervo
acustico, e a negarla invece ai due
nervi ipoglosso e glosso-faringeo che
presiedono alla funzione delgusto? Im perocchè se il buono del gusto è
in rapporto, è relativo a questi
nervi, perchè il bello della vista e
dell'udito non dovrà essere relativo a
quegli al tri? Ma non si domandi alla filosofia
speculativa la ragione delle sueprefe renze. Ciò che è domma non può es
sere spiegato, e quando si tenta di
spiegarlo non si riesce ad altro che a
dire: il bello si sente. Ma non si sente
forse anche il buono? e ilgusto,varia bilissimo, non è forse da ognuno
sen tito a suo modo?
Buridan(Giovanni).S'ignora l'an no della sua nascita e della sua morte.
110 BUFFON Nel 1327 era rettore dell' Università di di Parigi e si mostrava, per la fama e per l'ingegno, uno dei più abili
difensori del nominalismo (vedi questo
nome). In quei tempi di tanto impero per
la sco lastica e per la teologia, egli fu, si può dire, il sol filosofo chenon siastato teo
logo ed abbia evitato di trattare argo menti di pura teologia. Attivo commen
tatore di Aristotile, egli si applicò alla
ricerca dei termini medii d'ogni specie
di sillogismo. Di lui
nonsipossede altro scritto che i
Commenti sopra Aristotile, stampati a
Parigi nel 1518, ma il suonome è pas sato alla posterità per un
sillogismo as sai caustico, ch'egli soleva ripetere nelle sue lezioni. I teologi negavano l' anima delle bestie per meglio far emergere la superiorità di quella che, adir loro,
Dio aveva alitato nel corpo di Adamo, e
che per ladiscendenzasi è trasmessa
infino a noi. Buridan per combatterli
supponeva un Asino ben affamato fra due
misure di avena perfettamente eguali, e
che e gualmente agissero sopra i suoi organi.
Data questa supposizione, egli chiedeva
allora: Cosa farà quest'asino?- Se
alcuno gli rispondeva ch' esso sarebbe
restato immobile fra le due tendenze e guali, Buridan conchiudeva:-
Dunque esso morirà di fame inmezzo adue
mi sure d'avena. Questa conseguenza pareva
tanto assurda e strana che destava le
risa. Ma qualche altro rispondeva tosto,
che l'Asino non sarebbe poi stato tanto
asino per morir di fame, essendo così
vicino all'alimento.E allora il professore conchiudeva : Dunque o due pesi eguali che sicontrabilanciano possono l'uno far muovere l'altro, oppure quest' asino ha il libero arbitrio al par dell' uomo. Questo sillogismo non mancava mai di imbarazzare e filosofi e teologi, sicchè divenne celebre nelle scuole sotto l'ap
pellativo dell'Asino di Buridan. Buffon (Giorgio Luigi conte di le Clerc ) Nacque a Montban nelle Bor gogna nel
1707 e fu uno dei più rino mati naturalisti del suo tempo. Poco amava Voltaire e punto gli enciclope disti;
edicesi anche che non si mostrò più
nell'Accademiadicui era membro, dopochè
vi penetrarono iprincipii di quella
libera filosofia, che dominava i dotti
dei suoi tempi. Buffon molto ama va le apparenze, nè voleva parere irre
ligioso. Lasua famacome filosofo ema terialista gli fu attribuita
specialmente in grazia della sua Storia
naturale, il primovolume dellaquale
comparve nel 1749. In quest'opera si
trovano, fram misti amolte esolide verità, non pochi errori, e ipotesi ardite o strane, che
più nonconcordano con quelle dei
moderni cosmologi. Per esempio, egli
vuole che le acque del mare col flusso e
riflusso abbiano prodotto i monti
(Vol.I. p. 181) eche le correnti marine
abbiano solcate le valli. Matuttoché sia
stato atorto ac cusato di esagerazione dai suoi contem poranei, bisogna pur
confessare, ch'e gli, sebben confusamente, fu un dei primi che abbiano indovinato la gran dissima
azione che esercitano le acque sulla
esterna configurazione del globo. Nel
suo libro egli ebbe cura di dire che
quanto al Diluvio bisogna limitarsi a
saperne quanto ci apprendono i libri
sunti, e confessare che non ci è permesso di saperne di più, e sopratutto
guardarsi bene di mischiare una cattiva
fisica con la purità di questi libri. Ma
non valse questa sommessione all'
autorità della Bibbia, per fargli
perdonare certi prin cipii che quà e là nel suo libro sem bravano poco conformi
all' ortodossia, come p. e. questi:
> C
Cabala. Dottrina dei cabalisti che | Descrivere per punto e per segno
que sta dottrina, non si può, giacchè la
cabala è mistero, o a dir meglio follia
e aberrazione, per la quale soltanto gli
si crede originaria dei Caldei, e passò
poi fra gli ebrei, e quindi fra gli stessi cristiani dei primi secoli. In ebraico Ca
bala significa tradizione, ed è la tra dizione dell' arte di conoscere le opera
zioni degli spiriti edi spiegare l'essenza
delle cose col mezzo dei simboli, o con
la combinazione dei numeri o col ro vesciamento delle parole della
scrittura. antichi potevano sbizzarirsi
a cercare la occulta azione di certe
parole efficaci in cui si supponeva
esistere una certa potenza adirigere le
sorti dell'umanità. Da qui tutto lo
studio sul vario modo . di combinare le lettere dell' alfabeto o i
112 CABANIS numeri; ed è a credersi che tali pregiu dizi
abbiano generato fra gli ebrei la
persuasione, che il nome di Jehova po tesse operare miracoli, d' onde il
di vieto di pronunciarlo e l'uso invalso
fra i rabbini di cambiare i puntivocali,
onde il vero suono ai vulgari restasse
ignorato. Dai Caldei la Cabala passò
nella Grecia con Pitagora. Si sa che
questo filosofo, supponendo che i vari
rapporti dei numeri fra di loro fossero
immutabili, assoluti, volle che essi espri messero la legge dell' ordine
e dell' ar monia dell' universo, la legge che diri geva ' Intelligenza suprema
nelle sue produzioni. Onde suppose che i
numeri esprimenti questi rapporti
esercitassero anche una certa influenza
sulla Intelli *genza suprema, e la potessero determi nare a produrre certi
effetti invece di certi altri. Da quì la
cabala numerica della filosofia
Pitagorica. Siffatta aberra zione nonpuò maravigliarci, poichèlapo tenzache si
attribuiva acertisegni, acerte parole, a
certi colori o a certe sostanze
formavano il più serio argomento degli
studi degli antichi, e se ne trovano non
pochi esempi tra gli stessi cristiani.
Peres.Mersennoragionava cosi: >
Cataclisma. Il cataclisma è il
fondamento di una certa teoria geolo logica la quale grandemente si
accor da con la teologia. Già nel medio evo
si erano scoperte nel seno della terra
delle conchiglie e degli ossami fos sili; ma si spiegava il fatto
credendo che le prime fossero opera
fortuita della natura, e attribuendo i
secondi agli avanzi di una supposta
razza di giganti, oppur agli scheletri
degli ele fanti di Annibale. Fu solo nel 1580
che un tal Bernardo Bulissy osò dire
in Parigi, alla presenza di tutti i dot tori, che le conchiglie fossili
erano delle vere conchiglie state altra
volta deposte dal mare inquegli stessi
luo ghi dove allora si trovavano; che veri
pesci eran quelli che avevano lasciata
nelle pietre l'impronta della loro figu ra, e arditamente sfidò tutti
gli scola stici a combattere le sue prove. Ma
in qual guisa poteva il mare aver de posto quegli avanzi sul continente
? Ecco il quesito che senz' altro procu
rò di spiegare la teologia col suo di luvio di Noè. Poichè eziandio sui
monti trovavansi le conchiglie e
l'impronta dei pesci lasciata nelle
pietre, non era questa la più bella
prova dell' univer salità del diluvio noetico? Non narra forse la Genesi che in quel grande ca
taclisma le acque del mare s' innalza rono fin quindici cubiti sopra le
più alte montagne ? Questa
spiegazione parve tanto ingegnosa e così
piena di evidenza, che nel secolo scorso
uomi ni d'ingegno, come Reaumur e Jus sieu, e perfino increduli, come Bou
langer, si credettero in dovere di
adottarla, modificandola solo in quan to dicevano, doversi il diluvio
consi derare come un cataclisma naturale,
che le tradizioni religiose avevano poi,
o bene o male,inquadrato nelle sacre
leggende. Niuno per allora pensò ad
opporsi a questa opinione, la quale,
anche nel secolo nostro, trovò in Cu vier un potente e vigoroso propugna
tore. Questo grande geologo, che per
molti riguardi può dirsi che sia il pa dre della paleontologia moderna,
dopo avere ben studiata e stabilita la
in trinseca differenza dei vari strati geo CATACLISMA logici della corteccia terrestre, dopo di avere divinato colla sua scienza le 125
animali i cui avanzi si trovano sepolti
nei vari strati geologici della terra. Ma forme dei grandi animali fossili, che egli chiamò antidiluviani, cercò di spiegare la successiva formazione di questi strati con una serie di catacli smi,
che in varie remotissime epoche spensero
la vita organica in sulla ter ra e riformarono la sua superficie. >
Ma il decreto di Cuvier non val se a frenare lo spirito d'indagine on de
erano invasi li scopritori. Cuvier fu
sconfitto. Non solo si trovarono gran
numero di ossami umani fossili, ma gli
stessi fossili animali furono scoperti
in gran numero, ed in terreni geologici
sì bene caratterizzati, da po tersi provare colla massima evidenza, che queste creazioni non erano sparite lerà chiaro all' intelligenza quando si sappia tutta l'importanzadi quella tra
sformazione, che si è introdotta nella
geologia, e perla quale la vecchia teo ria dei cataclismi, fu
definitivamente surrogata da quella
delle cause at tuali. Quali sono le
cause attuali che noi vediamo concorrere
a modificare la su perficie del suolo? Per poca perspicacia che abbia un osservatore, basta ch'egli volga intorno uno sguardo ond' avve dersi che
queste cause sono parecchie, e che la
loro azione è continua. L'a zione dell'acqua, dei venti, dei vulcani e della vita organica,basterebbe da sola a cambiare tutta la faccia della terra. Negli strati inferiori non si trova alcuna traccia di esseri organici, non già per chè
quand' essi si formarono la vita fosse
spenta sulla terra, ma perché non
esistevano allora gli animali e le
conchiglie calcaree che soli avrebbero
potuto conservarsi. Le conchiglie mi croscopiche giàcominciano a
mostrarsi negli ultimi tempi di questo
periodo e le pietre di costruzione di
Parigi non constano d'altro che di
conchiglie im percettibili insieme aggregate. Abbiam dunque delle roccie costruite per la per l'effetto di nessun cataclisma, ma che si erano semplicemente trasformate | sola
e lentissima azione della vita ani pel lungo volger dei secoli e per
quella legge che modifica la natura ad
ogni minuto. La somma di questi impercet
tibili effetti, ha prodotte quelle pro fonde variazioni, che noi ora conside
male! Citansi ancora dai fautori dei
cata clismi imassi erratici, come monumento
di una forza violenta che si rovesciò
riamo con occhio attonito, come il ri sultato di una immediata
creazione. E Alessandro Humboldt ben
intravedeva questa luminosa idea,dicendo
che la for mazione dei continenti
attuali si è com piuta a poco a poco attraverso una lunga serie di sollevamenti e di abbas
samenti successivi ( Cosmos ). No, non
vi furono diluvi, nè grandi e generali
cataclismi sulla terra, e tut tavia la superficie di essa si è grande mente
trasformata e si trasforma inces sulla terra. Nella valle di Worf lo strato inferiore di lavagna è coperto da uno strato di pietra calcarea, e un centinaio di piedi più sopra si osser vano
degli enormi massi di lavagna in gran
numero; altri massi si trovano nella
duna del Niemen, ed altri in al tre parti. Come si trovano essi in tali paesi e qual forza ve li ha portati; e sopratutto, in qual maniera essi si tro vano
in gran parte posti sopra degli
altipiani, in luogo ove evidentemente
occorreva una forza grandissima per
trascinarveli ? Nessuna forza fuor di
santemente. A molti questa idea potrå
sembrare un paradosso, ma essa par- | quella d'una immensa corrente d'
ac CATACLISMA 127 qua avrebbe potuto strappare questi | quest'
azione preponderante; l'acqua vi
grandiosi massi dal vertice dei monti
per trainarli al piano o sopra altri
monti. Il Diluvio solo avrebbe potuto
ottenere cotali grandiosi risultati. Qual finezza di ragionamento, quale indu strioso
studio non pongono in opera i fautori
del cataclisma ! penetra e vi riempie le
cavità; ov'essa si congeli, tosto
aumenta di volume e fa spaccare
laroccia. Tutti gli scoscen dimenti delle montagne sono cagionati dal semplice ruscello che le corrode, le limae le assedia da ogni parte. L'ac qua
penetra nella terra, scava de' con dotti sotterranei, causa di gran numero di disastri. La superficie terrestre so spesa
per vastissimo tratto sopra un lago
sotterraneo, un bel giorno si rom Non si creda però che ai pervicaci propugnatori delle cause attuali man chi la
voce per rispondere. Essi ragionano
così: Il fondo delle valli è ingombro di
pietre rigate e sol cate pel continuo movimento dei ghiac ciai, i quali,
sciogliendosi al fondo for- |di essi; la contrada si allaga ed av pe, i campi,
le case, interi villaggi si sprofondano
nell'abisso scavato sotto mano de' rivi
e delle correnti, che a lungo andare
scavano la pietra. I ghiac ciai per conseguenza, sciogliendosi al di sotto, corrodono la pietra e si sca
vanounletto nel macigno. Ai bordi de valla.
Le onde del mare che s'infrangono
contro gli scogli, ne minano le fonda menta, frastagliano il macigno,
formano i seni ed i golfi ed inoltrano
il marenel positano i lapilli, che apoco
apoco in- | continente. grossano e
coprono i fianchi promi nenti, quà e là corrosi dalle correnti. Questi fianchi tondeggianti presentano l'aspetto dei massi erratici, i quali
poi si trovano disposti lungo le valli
nella direzione istessa dei ghiacciai, e
lascia nopensare che altra volta questi ghiac- bie che trasporta cotidianamente
il Nilo ciai scendessero più al basso e
che i così detti massi erratici ( che
però non In altre parti l'azione dell'
acqua compie un ufficio opposto.
Trasportando le sabbie che tiene
disciolte, essa le de posita sulle
sponde del mare od alla foce dei fiumi,
ove col corso dei secoli forma immensi
tratti di terreno. Le sab sarebbero più erratici sotto questo ri guardo) ne
costituissero i bordi. Fu infatti
calcolato che pochi anni simili aquelli
più freddi ed umidi dei no stri tempi, basterebbero a distendere i ghiacciai fino alle linee dei massi er
ratici. La dottrina delle cause attuali,
spie gatutti i fenomeni della natura in que sta guisa, e dalla sola azione
delle for ze che ancora agiscono, fa con meravi gliosa semplicità scaturire
tutte le più grandi trasformazioni della
terra. La goccia d'acqua che batte sul
macigno, lo scava lentamente e per
l'opera del tempo forma un colossale
lavoro. Le correnti d'acqua sono le
cause di mag gior trasformazione alla superficie ter restre. Le più durepietre,
il basalto e la pietra focaia, vanno
pure soggette a ne hanno invasa la foce,
ed hanno for mato il Delta. La Lombardia fuun tem po palude, ed in tale stato
sarebbe ri dotta inpochianni, ove l'uomo, con pian tagioni ed argini, non
pensasse ad inca nalare le acque ed a dare ad esse uno sfogo al mare. In altri luoghi è il mare stesso che, rigettando le sabbie alla spiaggia, resti
tuisce al continente quei terreni che al trove gl' invola. L' Olanda ed i
Paesi Bassi sono terre che l'uomo ancora
coi suoi argini contrasta al mare. Le
sab bie che la marea sempre respinge alla
spiaggia, ne ingrandiramo forse il ter reno, ma la potenza dei venti,
terribili nemici d'ogni vita organica,
lor contra stano ad ogni passo lo sviluppo della vita.
Chi non ha udito parlare con terrore
del lento e fatale cammino delle dune?
Il granello di sabbia che il mare 128
CATACLISMA rigetta alla spiaggia
è trasportato dal vento sul continente.
Là ingrossa, si fa superficie, colle,
promontorio, monte. Il vento lo percuote
coi suoi assalti, lo mina alla
superficie e ne spinge le sab bie più innanzi, ove si depositano e for mano un
nuovo colle, alto talora 200 piedi e
lungo parecchie leghe. Queste montagne
viventi figliano emoltiplicano,
s'arrotondano per la pioggia sui fianchi, 1 ۱ 1875
si allargano alla base, si avvallano, ma
si inoltrano sempre! Il
contadino, il proprietario ne calco lano con sgomento il rapido corso. Una solabufera le inoltra spesso di parecchi metri. Basta un anno per avanzarle di una lega! Oggi tocca i confini del mio campo, del mio villaggio, e l'annopros simo
del villaggio e del campo non re sterà che un deserto! La Prussia, la Danimarca, l'Irlanda etutte le coste del mar Baltico hanno le lor dune. Nella Francia un tratto di oltre duecento miglia di terreno, sulle coste della Guascogna, è invaso dalle dune. Un tempo inquelpaese sorgevano città e castella, e quelle coste sulle
quali muta or s'infrange l'onda del
mare, si schiudevano alla navigazione ed
al com mercio. A lato del mare oggi si è col locato un mar di sabbia, che il
vento agita e trasporta, frastaglia in
valli e spinge innanzi a contrastare il
pane, la vegetazione e la vita stessa
dell'uomo. Abbandonate a se stesse, in
pochi secoli le sabbie avrebbero coperta
la Francia. La Provvidenza distruggeva
l'opera delle sue mani! Ma un uomo
eminente, un genio, come sempre deriso,
volle com batterela natura, non più colla preghie ra, ma colle forze della
natura stessa. Dio vede e provvede,
dicevano i nostri antichi. Ma le dune
s'inoltravano sempre. L'ingegnere
Brémontier vide e previde da se stesso.
E le dune si fermarono. Semi di pini e
di ginestri furono sparsi in quelle
lande inospite. Essi gettarono le
radici, produssero le piante e rallen tarono, se non vinsero del tutto, il
corso delle dune. Forse fra qualche
secolo i nostri nipoti invano andranno
in cerca delle dune. Lå ove sorgeva
l'elemento più distruttore della vita
vegetale, essí non troveranno che
terreni solidi, coperti dai boschi.
Anche le sabbie col tempo si
cristallizzano e formano sodi terreni.
Sulle coste dell'Irlanda l'ignoranza
produsse invece un effetto opposto. Nelle dunediquel paese esisteva ungiunco ab
bastanza alto per contenere le sabbie. Gli
abitanti ne tagliarono il fusto per loro
uso. Nel 1697 tutta la contea, di venti
leghe quadrate, fu devastata, e al posto
di un fertile paese, ove sorgevano case
e castella, oggi non si vede che un
cimitero di sabbia. Gli scavi fatti e le
inscrizioni trovate provano la passata
prosperitàdi quella contrada.
L'opera trasformatrice del mare si
esercita sopra una grandissima estensione di terreno. Il Baltico si ritira lentamente dalle coste della Svezia ed invade
invece il litorale della Prussia. Una
parte del litorale della Pomerania è
scoperto, e laddove li antichi storici
ci segnavano il porto di Vineta, ora
s'infrangono le onde marine.
Aigues-mortes fu invece già porto di mare,
ove nel 1248 Luigi IX s'imbarcò per la
crociata; ora dista cinque chilometri
dal lido. Altrettanto distano gli
antichi porti italiani di Ra venna ed Adria, mentre invece le rovine del tempio di Serapide aNapoli, che era stato fondato nell'ultimo secolo dell'
era antica a dodici piedi di altezza sul
li vello del mare, è ora con tutta la base
immerso nelle acque. D'altra
parte nel seno stesso delle arque giace
un elemento potentissimo per la
costruzione delle terre. Il polipo del
corallo lavora incessantemente a co struire nel fondo del mare dei monti, che man mano si innalzano e spesso raggiungono la superficie. Ove sorga uno scoglio sottomarino, il polipo vi si attacca e moltiplica , formando degli immensi banchi di pietra. Nelmezzo del grande Oceano le isole di corallo si contano a migliaia. Qualche volta spro
fondano, perchè esse si allargano intorno CATACLISMA allo scoglio verso la superficie del mare, e mancano di base all' ingiro. Ma le materie precipitate all' intorno allargano questa base, sulla quale ilpolipo ripren de
il suo infaticabile e secolare lavoro.
Le pareti raggiungono ancora la super ficie dell' acqua, e l'isola si
ricostruisce ancor più solida e più
grande. Allora suquesto nuovo terreno,
sorto comeper incanto inmezzo ai flutti,
senza che l'uomo vi semini o che Dio vi
crei, nascono spontaneamente alla
superficie dei licheni bianchi, i quali
ben presto si trasformano in licheni
gialli e di una 129 tratto e che per l'effetto di questi scon
volgimenti, le acque del mare innalzan dosi sopra l' ordinario livello, in gran
dissima copia si rovesciassero sui conti nenti, ove avrebbero prodotti tutti
gli effetti che al Diluvio si
attribuiscono.Ma èben strano, dice
ilgeologo inglese Carlo Lyell, che
coloro i quali sogliono eser citare la loro immaginazione sopra cosi fatta
supposizione, non abbiano addrit tura attribuiti questi effetti alla imme diata
trasformazione di tutto il letto del l'Oceano in un'alto fondo. Avvegnache specie più forte. Il lichene, per chi nol sa, appartiene alle più infime specie vegetali, alla fami
glia delle crittogame, e nascespontanea mente sui muri e sul sasso, che
spesso ricopre d' un verde giallognolo.
Dovrem mo quasi pensare, che esso costituisce il primo tipo della vita vegetale, come il polipo è il primo delregno animale. Nel mezzo dell' Oceano questi due regni si confondono e iniziano la materia
allavita organica, come seivi ilmondo
fosse nato ieri. L' anno susseguente alla
loro na scita, questi licheni muojono sul corallo che li iniziò alla vita, ma essi
lasciano una grande eredità per la
vegetazione futura. La superficie
pietrosa del corallo s'è ricoperta di
uno strato di terra, sot tile ancora, ma sufficente a nuovavege tazione, e il
navigatore chepasserà nel I' anno
successivo in quei paraggi, vedrà
crescere il musco; l'isola sarà verdeg giante. Chi ci assicura che fra
due lustri nonvi possano crescere gli
arbusti, e fra dieci secoli la foresta
vergine ? Qui la generazionesi è
prodotta spontaneamente; il dito del
creatore qui non si scorge; ep pure la vita nasce e si riproduce! Diciamo pure che tutte queste cause, se spiegano assai bene la formazione di nuovi terreni e di nuovi continenti, non spiegano però la formazione delle catene deimonti che solcano tuttala superficie del globo. L'antica geologia spiegava l'azione dei diluvi ammettendo che que ste
catene si fossero sollevate d' un
facilmente s' intenda da chicchessia, chè il sollevamento dei monti non avrebbe avuto altro risultato che quello di spo stare
una certa quantità d'aria atmosfe rica, mentre il sollevamento del fondo del mare potrebbe spostare una conside revole
quantità d'acqua. D'altronde, biso gnaben convenire, che se la teoria dei cataclismi nettuniani non è verosimile, quella dei cataclismi plutonici non è
più vera dell'altra. Lyell ha troppo ben
di mostrato quanto siafalsa la supposizione
chenei tempi antichi l'azione ignea nel l'interno del globo si
esercitasse con maggiore intensità. I
grandiosi effetti che noi oggi
supponiamo prodotti da una straordinaria
azione del fuoco, possono tutti
spiegarsi con una serie lenta e suc cessiva di eruzioni vulcaniche, di terre
moti succedentisi in un lungo periodo di
tempo, come vediamo che tuttodi avvie ne in molte contrade. Lacontinuità
delle eruzioni in unlunghissimo spaziodi
tem po può produrre, a cagione della lava
vomitata, dei nuovi monti. Oltredichě
l'osservazione ha rivelato alla geologia
moderna, che non solo possono per la
lenta azione del calore centrale sollevarsi imonti apoco a poco e quasi impercet
tibilmente, ma anche subire, per le sole
forze attuali, delle grandi variazioni nel loro livello. Per esempio, la Svezia, la costa occidentale dell'America del Sud e certi arcipelaghi dell' Oceano Pacifico provano un movimento lento e insensi bile di
innalzamento, mentre che altre regioni,
come la Groenlandia, diverse 9 . 130
CATACLISMA parti del Mar Pacifico
e dell'Oceano In diano che contengono molte isole di co rallo, provano un
movimento contrario | superficie, basta supporre all' ovest di esi abbassano gradualmente. Certo, si Mendoza
una zona di movimento più 4,900 metri
incirca. Ora, per spiegare la
causadelleprincipali ineguaglianze della
può dire che non vi è alcuna analogia forte e all'est invece una forza
sempre tra il sollevamento di grandi
tratti di più decrescente, a misura che si avvicina terreno, e la formazione delle catene di all'
Atlantico. In una parola, basta am monti, ma ogni discordanza anche sopra
mettere che la regione delle Ande sia
questo punto può essere ridotta a con- stata innalzata di metri 1. 22,
mentre i formità col solo soccorso delle
cause at- Pampas presso Mendoza nell' egual pe tuali. Vi sono, dice Lyell,
delle catene riodo di tempo subirono un sollevamento considerevoli, come le Ande, nelle quali di
tre decimetri e le coste dell'Atlantico
l' azione dei vulcani e dei terremoti si soltanto di 25 millimetri. Che
se noi manifesta con una grande energia,
se- ammettiamo queste cifre come rappre guendo certe linee determinate. D' al-
sentanti il lento innalzamento del suolo
tra parte, osservasi che l'azione di que- nelle varie parti di
quellaregione e nello sti fenomeni si
propaga intorno intorno spazio di un secolo, capiremo facil
conunaintensitàdecrescente. Ciò posto, si mente come, dopo un periodo di
300,000 capisce
cheseunainteraregionedelglobo anni, questa lenta azione, impercettibile va lentamente innalzandosi nel corso dei ❘ ai contemporanei, abbia potuto
produrre secoli, questo innalzamento non
sarà e guale in tutti i suoi punti; ma se agli
estremi lembi del terreno soggetto alla
minima azione vulcanica, potrà aversi
l'innalzamento, poniamo, di un piede in
un secolo, sulla linea centrale dove l'a zione vulcanica è maggiore, l'
innalza mento potrà essere cinque o dieci volte
tanto. Diguisachè in capo a molti secoli
la sproporzione nella rapidità dell'emer sione deve infine generare
quelle grandi differenze di livello nei
terreni, che tanto c'impongono, e che
noisiamo inclinati a considerare come
l'effetto di una subita emersione. Chi
corre l' America dal l'Atlantico al mar Pacifico seguendo una linea che passa per Mendoza, attraversa una pianura di 800miglia di estensione, la cui parte orientale nonèemersa dalle acque da molto tempo. Verso l'Atlantico la pendenza dapprima è insensibile, poi si fa più aspra, finchè arrivando aMen doza
il viaggiatore trova di aver rag giunto quasi insensibilmente una altezza le strane ineguaglianze che ora notiamo. Ora, 3000 secolinonsono gran cosa per un periodo geologico, e se riflettiamo
che in Europa è stato riconosciuto, che
al capo Nord il suolo si innalza di
metri 1. 5in ogni secolo; chepiù lungi,
verso il Sud, il movimento non è che di
3 deci metri ; a Stoccolma di76millimetri sol tanto, e che più oltre cessa
interamente, non avremo difficoltà ad
ammettere, che in unlungoperiododitempo
le forze at tuali della terra non possano produrre e non vadano tuttodi producendo quelle stesse disuguaglianze di livello, che si sono già prodotte nei tempi andati. Gli effetti ultimi delle due teorie sono sempre identici; sol differiscono nella durata, bre
vissima per la teoria dei cataclismi, lun ghissima invece per quella delle
cause attuali. Piuttosto che ammettere
un ro vesciamento improvviso delle acque sui
continenti, quest' ultima teoria riconosce che i continenti furonoper un tempo in
calcolabile sommersi sottole acque. Una
carta geologicadell'Europa pubblicata da
di oltre 1200 metri. Là immediatamante
incomincia la regione montagnosa, la | Carlo Lyell, sulle traccie delle
notizie quale, da Mendozafinoallerive
del Pa cifico, presenta una superficie di 120
miglia in lunghezza; e l'altezza media
della catona principale è da 4,600, a
geologiche ottenute, mostra che dopo il
periodo terziario due terzi dell' Europa
restarono sommersi nelle acque. L'Adria tico invadeva la Lombardia e il
Veneto; : CATACLISMA le maremmee lacampagnaromana era nopure
sommerse; sommersa era quasi tutta
laGermania e laRussia, e laFran cia e l'Inghilterra erano intersecate da mari. Leprovediquesta sommersione si fondano sul fatto, che i luoghi indicati come sommersi sono attualmente coperti dadepositi contenenti gli avanzi fossili di animali, i quali non possono essere vissuti altrimenti che sotto le acque;
ma 131
secoli. Nel primo caso avremmo un ca taclisma, il paese sarebbe privato
dei suoi abitanti, e la superficie del
suolo non presenterebbe altro che un am
masso di rovine; nel secondo la vita e
la vegetazione continuerebbero a sus sistere e andrebbero man mano gua
dagnando anche i terreni novellamente
l'emersione di queste terre è stata certa mente così lenta, come lento è
l'innal zamento attuale di altre terre. Donati,
emersi. Ma l'osservazione non ci lascia
alcun dubbio nella scelta di queste
due ipotesi. Ciò che succede nel Chill
ed altrove, ci spiega con troppa evi denza che la violenza delle
convulsioni del globo non è continua, è
lenta e che, come ben dice Lyell « il
solle esplorando il lettodel mareAdriatico,ha
trovato che esiste la piùgrande analo gia,fra gli strati che vi si
stanno for mando e quelli che costituiscono la | gionato da molte scosse di
intensità mediocre, piuttosto che da un
piccolo numerodiconvulsioni violenti. »
( Prin vamento delle catene dei monti è ca->
maggior parte dei monti d'Italia. Egli
ha eziandio riconosciuto che certi te cipii di Geologia T. I. c.
XII.) stacei viventi nell' Adriatico
erano ag gruppati insieme, precisamente come lo
sono negli strati terrestri i loro fossili analoghi, e che alcune conchiglie re centi
dell' Adriatico cominciavano ade- | la terra ? No; anoi non occorre che del Abbiamo noidunque bisogno di cata clismi, di
diluvi, di creazioni ab nihilo per
spiegarci tutte queste evoluzioni del porsi nei letti di materia calcarea, men
tre altre già si trovavano nascoste nei
lettidi sabbia e di argilla, come lo
sono le conchiglie fossili dei colli Sub appennini. Noi dunque sappiamo
che nuovi depositi, nuovi terreni,
nuovi monti si vanno formando nel fondo
del tempo; e il tempo dura infinito. Il
tem po trasforma in terreno sodo il gra nello di sabbia; il tempo spianai monti ecolma le valli, trasforma il minerale in vegetale e in animale; il tempo, infi ne,
trasforma le specie, le uccide e le
crea. Avvegnacchè ciò che la geologia
ha provato nella trasformazione dei ter mare e dei laghi, e che un
giorno e mergeranno dalle acque e costituiran- | reni, Darwin ha dimostrato
nella tra sformazione delle specie. Nella natura non si fanno salti: tutto procede lenta
mente, successivamente, e quelle specie
estinte che a Cuvier non parvero spie no i nuovi continenti. Manoi
possiamo essere ancor sicuri che questa
emer sione si va tuttodi operando per l'ef fetto stesso dell' innalzamento del
lit torale adriatico, e che perciò non è
nè più celere, nè più violentadi quella
che press' a pocosi osserva in tutte le
altre regioni del globo. Si sa che in
ogni terremoto la costa del Chill si e leva dicirca tre piedi sopra una
esten zione di ben cento miglia, e si è cal colato che duemila colpi di ugual
vio lenzaprodurrebberouna catenadimonti
di 100 miglia di lunghezza e di 1800
metri di altezza. Or si tratta di sapere
se questi 2000 colpi succederanno in
un secolo o in un lungo periodo di
gabili senza ' azione violenta dei cata clismi, il Darwinismo (v. questo
nome) oggi le addita come un semplice e
ne cessario effetto dell'elezione
naturale e delle mutate condizioni della
vita. Tal'è la teoria delle cause attuali,
che la scienza moderna ha tanto felice mente opposta a quella dei
cataclismi. Oltredichè questa teoria ha
ilmerito di una grandissima naturalezza,
soddisfa anche a un bisogno della
filosofia speri mentale, siccome quella che procede col metodo induttivo,dal noto all' ignoto, e
132 CATALESSIA colle cause attuali e presenti spiega la successione dei fenomeni dei tempi an dati.
Nulla, infatti, sembra più logico che lo
studiare i terreni che sono in via di
formazione, per poi farsi unagiusta idea
dei processi che la natura ha impiegati
nella formazione dei terreni delle altre età. In questa maniera noi ci spieghiamo facilmente le irregolarità, le anomalie, le imperfezioni stesse della terra. Ma
se questa è la creazione di una
potenza perfettissima e provvidenziale,
con qua le idea la riguarderemo noi ? È
coerente alle viste di una provvi denza il creare ciò che deve esseredi strutto
? Perchè il mare invade le coste e
altrove le lascia a secco? Perchè le
dune isteriliscono inostri terreni, e per chè le acque abbandonate a se
stesse minerebbero il continente ? A
qual fine Iddio ha create tante specie
di animali che non dovevano nemmeno
essere ve dute dall' uomo, e perchè ha fatta egli succedere una serie di cataclismi per
poi estinguere l' opera delle sue mani?
Si era egli ingannato, s' era pentito di
un errore, oppure era egli impotente
a produrre opera perfetta ? Ecco delle
do mande che resteranno mai sempre sen za risposta. Catalessia. Stato patologico nel quale il sistema nervoso centrale che presiede ai movimenti volontari e rifles si,
non ha azione sui nervi, e tutto il
corpo perde la mobilità, senza che vi sia lesione alcuna negli organi. Durante que sto
stato il malato perde il sentimento e '
intelligenza, ma la persistenza della
circolazione e della respirazione e quindi l'integrità del sistema muscolare lo di bediscono a una volontà esteriore, poi chè si
può comunicare ai, muscoli delle membra,
dei diti della mano, delle pal pebre, delle labbra e delle gote, un grado di contrazione o di rilassamento, che il malato non potrebbe ottenere egli stesso volontariamente nello stato di sanità, a meno che non vi si fosse preparato con un lungo esercizio. I cambiamenti di at
titudine, non sono egualmente facili per
tutti i malati, e talora le membra pren dono una vera rigidezza nella
situazione in cui son messe. Il
carattere essenziale dello stato
catalettico dei muscoli , il quale si
distinguerà sempre dallo stato
convulsivo propriamente detto, è la pos "sibilità di dare alle membra
ogni sorta di attitudini, nelle quali
esse restano im mobili, senza che il malato possa modi ficare volontariamente o
involontaria mente questi atteggiamenti ». La Cata lessia, dice il dott. Pinel
attacca più spe cialmente gli individui di costituzione sensibile e melanconica, quelli che
hanno l'abitudine del ritiro e della
meditazione, sopraggiunge spesso dopo le
affezioni morali assai vive, le
contenzioni di spi rito, gli eccessi di lavoro, e può essere anche generata della presenza di vermi negli intestini. Il Dictionnaire de médicine di Littrè narra pure, e non so sull' au torità
di chi, che in molti casi il ma lato durante la catalessia non perde nè il sentimento, nè l' intelligenza, molto chiaramente intende ciò che si dice in torno
a lui, sente vivamente le punture ele
ferite che gli sono fatte, e ciò mal grado non gli è possibile di fare
alcuno sforzo permuoversi operparlare.
Isolato in mezzo al mondo che lo
circonda, egli stinguono dalla sincope e
dall' asfissia. Oltre aciò, nellacatalessi
le membra han- sente il male che gli si fa, percepisce no la singolare proprietà di conservare le posizioni in cui si mettono. « I cam il
suono, la luce, il solletico, ma nè egli
può muoversi, nè queste sensazioni, siano biamenti di attitudine e di posizione, di
cono Littrè e Robin, si eseguiscono sen za resistenza, come se la volontà vipre
siedesse; anzi, più spesso sarebbe impos sibile ai muscoli di obbedire alla
volontà di colui cui appartengono, come
essi ob pur esse dolorose, riescono a deter minare sul suo corpo alcun
movimento volontario o riflesso,
ondechè, in man canza d' ogni espressione del sentimento, dubitasi ognora s' egli senta. Convien tuttavolta accettare con molte riserve
CATALESSIA 133 queste conclusioni, inquantochè quan- |
speciale intensità sopra MaddalenaMun tunquegli annali dellamedicinaricordino
dol, l'eroina del dramma di Gaufridi,
molti casidi catalessia, essi non si produ- come risulta dal racconto
dell' inquisi cono però cosi di sovente perchè la fre- tore Michaëlis: le
nella contea di Hoorn, presentarono i fece tanto distendere le gambe in
tra più strani accidenti nervosi. Tormentate verso, ch' ella col perineo
toccava il suolo, da incessanti
allucinazioni e da spasimi ementr' era in tal postura le fece te convulsivi
violentissimi, esse cadevano su- nere il tronco del corpo dritto e giun
bitaneamente supine, prive dell' uso della gere le mani ». Eguali fenomeni
nella parola, e così restavano stese al
suolo neurosi epidemica delle religiosedel mo morte le braccia e le gambe
rovesciate ». nastero di S. Elisabetta di Louviers. Per Una epidemia consimile perdurò durante quanto
ne dice Besroger, la maggior dieci anni
fra le religiose del monastero parte di queste religiose restava immo di S.
Brigida. Spesso durante i divini bile durante un' ora, nelle più strane e uffici, nel coro, esse cadevano rovesciate
insolite posizioni. « Una di esse si è tro in gran disordine. Nel 1610 le
figlie di vata assai spesso tutta ripiegata in cer S. Orsola d' Aix
presentarono i più com- chio, la testa contro i piedi fin sulla plessi sintomi di isterismo, demonopatia
bocca, e il ventre in arco... Un' altra
ecatalessia, iquali si manifestaronocon restava col corpoin aria,
lebraccia stese 134 CATALESSIA e ricurve indietro, la testarovesciata fin |
dottor Pinel nella suaNosographie phi sulle reni, i piedi e le gambe pure get
tati indietro e presso la testa, senza
losophique, ou la métode de ' analyse
che i ginocchi, le coscie, il ventre, lo
stomaco, nè altra parte del corpo toc cassero il suolo, salvo il fianco
sinistro.>>> Eguali fenomeni
furono osservati nel 1662 in un convento
della città d' Au xonne, e verso il 1673 una epidemia istero-catalettica, descritta da Kniper, fu osservata nell' ospizio degli orfani
di Hoorn. Alcuni di questi malati dive
nivano tanto irrigiditi, che presi sol per
la testa o i piedi si poteva portarli ove si voleva, e rimanevano inquesto stato parecchie ore. Numerosi esempi di esta si
catalettica furono offerti dagli anabat tisti nel 1586. Spesso li si vedeva
cade re a terra come morti, e pochi anni
dopo i profeti delle Çevennes presen tarono gli stessi fenomeni »(vedi
CAMI SARDI). Fra lestrane crisi prodotte sul la tomba del diacono Paris dal
1731 al 1740, vi era pure il così detto
stato di morte, così descritto da Carrè
de Mont geron. «Aleuni convulsionari sono ri appliquée a la medicine. « Tissot,
dice quest'autore, traccia
l'osservazione di una donna che i gran
dispiaceri gettarono nello stato
catalettico: la si trovò sedu ta, immobile, cogli occhi brillanti e fissi in alto,le palpebre aperte e senza movi
mento,le bracciaalzatee le mani giunte;
il suo viso, dapprimatristo e pallido, era più colorito, più gaio, più grazioso del solito; essa aveva la respirazione
libera ed eguale, il polso lento e
naturale, le membra flessibili, leggere;
si poteva dar loro la posizione che si
voleva ed ella così le conservava;lesi
abbassò il mento, e la sua bocca restò
aperta; le si alzò unbraccio, poi
l'altro e non ricadeva no; li si rivolgevano indietro e si innal zavano tanto
alto che un uomo anche fra i più forti
non li avrebbe potuti te nere lungamente
in quella posizione: ep pur vi rimanevano finchè non n'erano rimossi. La si coricò per fare sulle sue gambe le stesse prove e la malata fu sempre come una molle cera cheprende masti per lo spazio di due e fin tre giorni di seguito senza alcun movimen to,
cogli occhi aperti, pallido il viso, il❘ all'
ultima. Il suo corpo,quantunque in successivamente tutte le figure che le sono date, e s' attiene con perseveranza corpo insensibile, immobile e rigido co me
quello di un morto. » (V. CONVUL SIONARI).
Chi ammettessetutti questi fattiche il
Dictionnaire Encyclopedique des scien ces Médicales cita siccome veri,
darebbe prova di poco senno. Laddove il
fanati smo religioso o l'interesse di casta co stituiscono i moventi delle
azioni uma ne, come succede nella maggior parte
dei casi menzionati, non è rado che il
ciarlatanismo e la frode abbiano una
parte grandissima. Per altro, tutti quei
fatti non ci è lecito negare, e senza
grave rischio possiamo anche credere,
che in granparte siano veri; tanto più
che in nessun d' essi vediamo verificarsi la condizione ammessa da Littrè e Ro bin, che
il malato nello stato di cata lessi conservi la coscienza e la sensibi lità, condizione nemmen supposta dal clinato, conservava sempre e costante mente
uno stesso equilibrio. Questa don na pareva insensibile, la si scuoteva,
la si pizzicava, la și tormentava, le
simet teva sotto i piedi uno scaldino di fuoco,
le si gridava all' orecchio che guadagne rebre il suo processo, senza
ch' essa dasse alcun segno di vita. In
questo stato durd da tre a quattro ore,
finchè ridestatasi si mise a parlare sul
suo processo con molta giustezza, e
senza pure avvedersi dei tormenti che le
erano stati inflitti durante l'accesso
». Il dottor Linas cita pure dei casi
nei quali gli ammalati sor presi da catalessi nelmezzo di una frase, nell' atto di risvegliarsi dopo
parecchie ore seguivano il loro discorso
e compie vano la frase incominciata. È
facile vedere che lacatalessia, sic come i sogni e il sonnambulismo, può interessare la psicologia. Domandasi in 1
CATEGORIE fatti che cosa avvenga dell'
anima spi rituale mentre si è in questo stato. Ri mansi ella forse imprigionata
nel ce rebro pronta a continuare il pensiero
interrotto dalla crisi? Se il corpo fun ziona regolarmente, selavita
vegetativa non è guari interrotta, se
nessuna le sione si verifica negli organi sensori, nonèegli più ovvio pensare che una causa meramente patologica toglie al 135
schiosa capace di legare od'imbarazzare
gli spiriti animali. In tal maniera que sti signori, piuttosto che
confessare la loro ignoranza,
preferivano congelare, coagularé, legare
e invischiare gli spiriti animali.
Strana e singolare idea che essi avevano
dello spirito! Catari, ossia Puri.
Nomeche si at tribuivano i Montanisti, iManichei, iNo vaziani e gli
Albigesi. cervello ogni attitudine a
ricevere le sensazioni o a trasmettere
l' impulso ai nervi motori , anzichè
ammettere che l'anima, per una qualsiasi
causa fisica, abbia perduto ' attitudine
a pensare ed asentire? Ma poniamo pure
il caso in cui il catalettico perda la
facoltà di muoversi e conservi quella di
sentire ; sarà per questo maggiormente
provata l'esistenza di uno spirito? È
ormai ac certato che i nervi del movimento sono
diversi da quelli della sensazione, (vedi SENSAZIONE) dimanierachè non è affatto straordinario, che unacausa fisica possa interrompere lacomunicazione fra il cen tro
nervoso e gli organi del movimento
elasciare intatti invece i conduttori della sensazione. Ciò s'intende e si spiega fa
cilmente senza bisogno di supporre un
substrato immateriale, ilquale, in findei conti, non spiegherebbe nulla, e rende rebbe
anzi il fenomeno ancor più miste Categorie. Voce greca, la quale originariamente significava accusa, e che Aristotile pel primo applicò adefinire
le più grandi e generali divisioni, le
divi sioni, diremo così, cardinali, delle cose
naturali e dello scibile umano. I Padar tha di Kanada, filosofo indiano,
sono le prime categorie, ossia le prime
classifi cazioni filosofiche che si conoscano, e Colebrooke le fa ascendere a sei: la sostanza, la qualità, l'azione, il
comune, il proprio e la relazione. Una
settima categoria era la negazione di
tutte le qualità precedenti; il
nulla. Le categorie dei pitagorici
menzio nate nel 1º libro della Metafisica d' Ari stotile, sono in numero di
dieci, cioè : L'infinito, e il finito;
il dispari e il pari, l'unità e la
pluralità; la diritta e la si nistra; il maschio e la femmina; il ri | poso e
il movimento; il diritto e il curvo; la
luce e le tenebre; il bene e il male; il
quadrato e tutte le figure irre golari. Classificazione men esatta di que sta
non potrebbe darsi,imperocchè consi derai contraricomeprincipj
cardinalidelle rioso e strano,
inquantochè la catalessia potendo anche
essere prodotta artificial mente con mezzi esterni (v. IPNOTISMO) ne deriverebbe questo assurdo, che l'a nima
si accende e si spegne con mezzi
materiali, cosa d'altronde, che si osserva sempre nell' anestesia fatta con l'etere e il cloroformio e in tutti gli effetti pro
dotti dai narcotici. Ma nonostante que st'evidenza non è adirsi quanto almanac
carono i medici spiritualisti per spiegare | luminoso, le tenebre non
rappresentano questa malattia, che
Schilling, Senvert, Plater, e Sylvius
attribuivano alla con gelazione o alla coagulazione degli spi riti animali;
Hoffmann aun ingorgo di fluido vitale
risultante dalle contrazioni delle fibre
nervose, e Baron a una so vrabbondanza di materia grassa, e vi cose. Or si sa che
i contrari solitamente si escludono, non
esprimonopropriamente idee diverse, ma
la cosa stessa concepita, nell'uno come
esistente nell' altro come non
esistente. Così, ad esempio, se la luce
rappresenta la presenza del fluido una
sostanza diversa, ma sol l'assenza di
questo fluido. Crearedunque la nega zione della cosa come una qualità cardi
nale della cosa stessa, è un controsenso.
Dieci son pure le categorie di Ari stotile, e non molto dissimili da
quelle di Kanada; cioè: la sostanza, la
quantità,la 136 CATTANEO relazione, la qualità, il luogo, il
tempo, la situazione, la maniera d'
essere, l'a zione e la passione. Queste categorie sonpiù logiche e piùfondate di quelledei Pitagorici, ma non le direm perciò per fette.
Certo, ogni cosa che esista biso gna che cada sotto quelle divisioni, ma rappresentano poi esse delle divisioni vere, assolute, intrinsecamente diverse
fra di loro? Per es: il tempo e illuogo,
non rientrano ancora nella categoria
della re lazione? Il luogo e il tempo , non sono lo stesso della situazione? La categoria del modo d'essere non contiene implici
tamente tutte le categorie precedenti? Or
che valore hanno queste divisioni se esse non sono infine che la ripetizione di
una stessa idea? Abbiamo infine le categorie di Kant ben diverse da tutte le precedenti, in
quantochè questo filosofo dubitando della
realità obbiettiva, doveva necessariamente cercare nella pura subbiettività del giu
dizio i principii cardinali delle cose. La
sensibilità, secondo Kant, ha due forme
primordiali: il tempo e lo spazio; e l'in tendimento ha diverse specie
di giudizi, vale a dire: generali,
particolari, indivi duali, affermativi, negativi, limitativi, ca tegorici,
ipotetici. Aquesti giudizi corri spondono le categorie di unità, plurali tà,
affermazione, negazione, i quali poi si
suddividono simmetricamente tre per
essendo nella idea assoluta, concreta, es sa non può sortire da questo
stato che per una contraddizione intima,
la qual diviene la causa di
unadivisione, di una diremption. D'onde
il bisogno della con ciliazione e del ritorno all'unità; poi di rempzione nuova
e nuova conciliazione, e così
indefinitamente, fino all'ultimo ter mine dell'evoluzione. La dialettica specu
lativa o immanente, procede con un mo vimento che si compieintre tempi. Dap
prima vi è la tesi o la posizione, l' idea
in sè, in potenza, allo stato d'involuzio ne; poi l' antitesi, la
negazione, l' idea per sè, l'idea
realizzata, allo stato d'evo luzione; infine la sintesi, la negazione della negazione con un risultato positi vo,
l'idea in sè e per sè ritornata a sè
stessa.>>> Cattaneo
(Carlo) Nacque aMilano il 15 giugno
1801, fu allievo di Roma gnosi, professore di rettorica e due volte deputato, senza che i suoi principii gli permettessero di varcare la soglia delia Camera. Ritrattosi a Castagnola, borgata della Svizzera poco discosta da Lugano, morì nella notte dal 5 al 6 febbraio del 1869, dopo aver respinto dal suo letto
l'intervento del prete.- Voi sapete che
io e voi non siamo della stessa opinione. Tali furono le ultime parole che diresse a cui credendo di vincerlo in quel grandissimo momento che ci divide tre e così di seguito. In tal guisa Kant|
dall'ignoto, gli consigliava il linguaggio
è riuscito a formare una di quella lun ghissime e confusissime tavole,
che tutti i filosofi più o meno
speculativi ebbero il ghiribizzo di
redigere ciascuno a loro modo, senza che
mai alcuno li abbia in tesi. Anche Hegel cred certe sue divisioni di tutte le cose sensibili e
intellettuali, le quali hanno molta
analogia con le ca tegorie. Se non che, anche queste di visioni, come tutte le
idee di questo fi losofo, sono siffattamente intricate in una confusa e oscurissima fraseologia, che può ben dirsi fortunato chi riesce a ca varne
qualche idea precisa. Ecco come le
spiega il professor I. Wilm, ispettore
dell' Accademia di Strasburgo: « Tutto
della superstizione e della fede, gli con sigliava l'apostasia del suo
passato. La vita di Carlo Cattaneo è la
vita mili tante del pensatore. Ingegno profondo e sagace, egli sfiorò quasi tutti i rami dello scibile; ma i suoi scritti,
dettati come il bisogno e
l'opportunitàdella di scussione richiedevano, vanno dispersi e dimenticati tosto che la brama di leg gerli è
saziata. Di lui abbiamo una Sto ria dell'insurrezione del 1848 e Alcuni Scritti raccolti in tre volumi, nei quali troviamo una eccellentissima monografia sullo Stato presente dell' Irlanda, che
fu molto lodata e che meriterebbe tutta l'attenzione del governo inglese. In un
CATTANEO articolo inserito nel
Politecnico, rivista scientifica che il
Cattaneo fondò a Mila no ediresse per molti anni, egli annun ciò e propugnò
quell'abolizione degli e serciti stanziali, che poi doveva essere proclamata parecchi anni doponel Con gresso
della Pace e della Libertà. » Il nostro
ideale, scriveva nel 1861, è che la
generazione in Italia debba crescere
tutta iniziata alle libere armi come ai
liberi pensieri; e che ogniqualvolta scen 137 mo quella incertezza che necessariamente devono attribuirgli coloro che li consi
derano come una semplice illusione. Di scostasi quindi, e profondamente, dalcri
ticismo Kantiano, il quale ai fenomeni
dà un carattere puramente subbiettivo :
per lui essi sono un fatto obbiettivo,
reale, l'azione di forze eternamente, ne cessariamente agenti; quindi la
quiete e l'inerzia sono condizioni impossibili
nel da sull' orizzonte della patria una nube
di pericolo, debba dal seno di tutti i po poli italiani accorrere a gara
un' eletta di volontarii e scriversi
inlegioni mobili>>> Carlo
Cattaneo è enciclopedico, e però il suo
nome doveva passare in retaggio anche
alla filosofia; ma delle sue idee
filosofiche solo quel tanto sappiamo, che egli insegnò oralmente nel suo Corso di Filosofia insegnato nel Liceo di Luga no. E
basta quel poco per farci inten dere com'egli profondamente dissentisse da quell' idealismo mazziniano al quale stortamente molti lo credettero fedele. Consente con Locke e Condillac che nes suna idea è innata innoi; per altro tro va
che le ricerche intorno all' origine
delle nostre idee elementari e primitive
è sterile di frutti, nè ci conduce a scopi pratici: fors'egli non pensava che fu in grazia di questi studii, che l'ontologia|
tangibile. Certo, più deplorevole confu l'universo. Fin qui la filosofia di Carlo Cattaneo è coerente; ma, un difetto logico si ri vela
tosto ch'egli trovasi d'innanzi alla
necessità di affermare l' origine primor diale e il principio delle
cose. Dopo di essersi così bene opposto
all'idealismo di Berkeley e di Collier,
i quali negavano ogni realtà obbiettiva
nel mondo, egli, conmolta inconseguenza
e senza pure avvedersi, cade nel
medesimo eccesso, avvegnachè affermi la
realtà dei feno meni siccome forze in atto, e le forze sole egli consideri siccome veramente esistenti. Per lui la materia spogliata dei suoi attributi, ossia delle sue
forze, non è che un nome vano, una
illusione ; ciò che esiste non è la
materia, la quale per se stessa
intrinsecamente non ènulla, ma la forza
sola è quella cheesiste, che genera i
fenomeni e costituisce la realtà ha
potuto ricondurre le idee composte ai
primordiali elementi della sensazione,
echesenza questo processo puramente
analitico dei pazienti osservatori della
scuola sensualistica, nessuna forza sareb be bastata a demolire
l'edifizio della ontologia
trascendentale, che ha la sua sede nel
Platonismo. Fedele alla filosofia
sperimentale, Cattaneo consente pure nel
metodo induttivo: ogni scienza deve pro cedere dal noto all'ignoto; da
ciò che conosciamo e da ciò che siamo,
indurre cautamente quello che fu e che
siamo stati. Intorno ai limiti dello
scetticismo Cattaneononconcorda: una
moderata af fermazione gli par migliore della dubi tazione continua; nè egli
può risolversi ariconoscere nei fenomeni
che percepia sione non poteva farsi, e che questa non sia che una mera question di parole è cosa di cui può avvedersi ogni più che superficiale osservatore.Nonvi è
filosofo. che possa assentire allo
strano metodo introdotto dal Cattaneo,
di negare cioè l'esistenza del soggetto
e affermar quella sola dell' attributo,
chè la logica, per grama e confusa
ch'ella sia, ripugnerà mai sempre ad
ammettere l' effetto di una causa
negata. Ora, o la forza è ef fetto della
materia o non lo è. Se lo è, aniuno può
capire nella testa come la forza
generata dalla materia sia una re altà, e la materia che lagenera una il
lusione. O non lo è, e allora domandasi
se nel concetto di sapore, di estensione, di resistenza, di colore, di suono ecc. 138 CATTOLICISMO
comprendasi l'idea che noi abbiam del la forza , oppur quella della
materia. Se in queste nozioni si
compendia il concetto della materia,
allora l'idea che vevole nella filosofia di Carlo Cattaneo fin di negare che la materia esiste ed affermare che la sola forza è. Tolto questo errore, null'altro è ripro noi
abbiamo della forza è una mera fuorchequellaindeterminatezzache èpro astrazione
con la quale procuriamo di priadi coloro chenon hanno idee all' in spiegare i
vari modi per cui possiamo tutto formate o che ardire non hanno di percepire la materia; se invece in que-
esporle pubblicamente senza molti sottin stenozioni comprendesi il concetto di
tesi e molte reticenze. Nobile e grande
forza, astrazione per certo diventa la nelle sue aspirazioni,egli vuole
l'accordo materia. Ma in questo caso,
osservisi fra la scienza e la filosofia, fra il pen bene, le idee essenziali
che noi abbiamo siero e i fatti; con la filologia tiene delle cose non mutano: avremo soltanto | che
le lingue siansi venute formandosi a dato
il nome di materia alla forza, e alla
forza quello di materia; sarà cioè una
trasposizione di nome, manon di idee,
giuoco illecito inuna seria filosofia. E
per vero, comunque si chiamino le cose,
e qualunque siasi il nome che ad esse si
vuol dare, rimane sempre fermo che il
concetto che noi abbiamo di esse quello
è soltanto che ci possono dare i nostri
sensi. Ma è stato convenuto che ciò che
è esteso, cheha colore, o sapore, oche
oppone resistenza al nostro tatto debba
dirsi materia; e forze invece, si
chiamino le accidentalità che produ cono questi fenomeni . Il traslatare
il poco apoco per l'istinto imitativo mu
sicale; con l'astronomia toglie al mondo
il suo carattere dipunto centrale e di
scopo massimo di tutta la creazione;
con lastatisticapar che dubiti del libero arbitrio, o per lo meno sottoponga i feno meni
morali aregole costanti, determi nate, necessarie, perlequali abbiamo ri
sultati costantidel pari, e prevedibili con
le cifre date dai fatti passati; finalmente nuovo campo inesplorato vuole aprire alla ricerca della certezza, i
fondamenti finora dati alla quale non
ritiene con formi al senso comune.
Cattolicismo . Religione della
Chiesa cattolica, apostolica, romana, la
qual sostiene lacattolicità, ossia la uni nome non muta dunque un jota
alle idee; epperò trattasi di cambiare
ildi zionario, non la filosofia. Quel che ri- versalità della sua dottrina.
Parecchi mane fermo nel pensiero del
Cattaneo einquello del materialismo, si
è che dei due concetti di forza e di
materia, uno solo è vero, e l'altro è
astrazione, in quel modo istesso che nei
contrari un solo termine è vero, come
caldo e freddo, luce e tenebre, nero e
bianco, poichè tutti vedono che seesiste
laluce, il calore, il bianco ece, le tenebre,
il freddo e il nero non rappresentano
che la negazione, ossia l'assenza di
quelle qualità; mentre se queste
esistono, quelle diventano astrazioni
diqueste.Ma avrebbe tanta ragione chi
volesse chiamar tene bre la luce affin di poternegare laluce ed affermare la positiva esistenza delle tenebre, quanto n' aveva il Cattaneo di dar il nome di forzaaquelconcetto che nel comun linguaggio dicesi materia, af santi
padri, dicono i commentatori del Bergier
(Aggiunte al Diz. di Teologia) trattando
della cattolicità distinguono una
triplice universalità: quelladi tempo,
econsiste in ciò che la Chiesa sempre
sussistette e sussisterà sempre fino alla consumazione dei secoli; quella della dot
trina, ed è l'avere la Chiesa mai sempre
insegnato quanto fu da Cristo rivelato;
quella finalmente di luogo, ed è la dif fusione della Chiesa in tutto il
mondo. Or convien dire che appunto di
que ste tre specie di cattolicità nessuna ap partiene alla Chiesa che
s'intitola cat tolica, e tutti gli arzigogoli dei teologi romani non possono dimostrare il con trario.
Intorno alla prima specie della cattolicità
nessuno che siadi buona fede può
asserire che la Chiesa sempre sus 1 CAUSA ED EFFETTO 139
sistette e che sussisteràsempre. Lasciam | fedeli. Ora, la popolazione
totale del pure al futuro la soluzione
dei suoi pro
blemi;maquantoalpassato,chimai potrà
credere che (ammettendo pure i calcoli
dellacronologia ortodossa) una religione
fondatanell' anno 4004 sia sempre esi stita? Certo, è cosa comoda il
dire che lareligione cristiana non è
altro che la continuazione della ebrea;
ma una oppo sizione di principii , di dommi , di ten denze, tutto insomma lo
spirito delle due religioni è così
avverso fra di loro, che bisogna aver
proprio perduto la testa, per
riconoscere siccome una lo gica continuazione , questo violento e forzato innesto della nuova religione sul
l'antica. Ma sia pur vera questa conti nuità della tradizione cristiana,
nederiva forse perciò che la religione
ebraica sia la più antica che si
conosca, e ch'essa abbia cominciato col
principio del mon do? Gl'idioti soltanto potrebbero cre derlo, e agli articoli
MONDO, BRAHAMA NISMO, UOMO, PALEONTOLOGIA, PENTA TEUCO, è dimostrato che, non
solo vi sono religioni anteriori alla
ebrea, ma che eziandio ella è molto
recente in confronto della età dell'
uomo e del mondo. Sarà essa forse più vera la univer salità di
dottrina della Chiesa cattolica?
Masemaipuòstoricamenteprovarsiun
principio, quellodelle continue variazioni del cattolicesimo è il più sicuro ed il meglio dimostrato. Il Battesimo, laCon
fessione, la Confermazione, la Transub stanziazione, l'Ordine, l'Estrema
Unzione, il Culto delle immagini, il
Culto dei Santi, il Purgatorio, il
Primato del papa e tanti altri dommi (
vedi tutti questi nomi ) o non si
conoscevano dalla chiesa primi tiva o non vi si attribuiva un carattere dommatico e sacramentale. Quanto alla terza specie di cattolici tà,
vale a dire l' universalità di luogo,
basta gettare gli occhi sulla statistica, per vedere quanto poco fondamento ella abbia. Basti dire che secondo i calcoli assai larghi di Balbi, laChiesacattolica conta in tutto il mondo 139,000,000 di globo è dallo stesso autore, calcolatain 737,000,000 di uomini; il chevalquanto dire, che la pretesa universalità della Chiesa papale si riduce a meno di un quinto dell'attualepopolazione del globo. ( Vedi RELIGIONI). Ben è vero che i teo logi
cattolici pretendono, che a stabilire
l'universalità della Chiesa non sia neces sario che sia diffusa in ogni
parte e condivisa da tutti gli uomini,
bastando ch'essaabbia i suoi
rappresentanti, e, per così dire, le sue
stazioni, inogni regione del mondo;
maquesta è una interpreta zione che assolutamente non si accorda col vero criterio dell' universalità, e
ad ogni modo in siffatta guisa
potrebbe dirsi egualmente universale
anche la Chiesa protestante, la quale
manda i suoi missionari in ogni terra
conosciuta. Ma ammettasi pure
perunmomentoche iteologi romani abbiano
ragione, sa rebbe perciò la cattolicità della Chiesa romana ben stabilitą? Prima che Colom bo
scoprisse l'America, quali rappresen tanti aveva la Chiesa in quella vastissi
ma parte del globo? Ed oggi ancora è
sicuro che non vi sieno terre o ignote
oinesplorate dove dellaChiesa cattolica
nonsi èper anco udito parlare ?
Causa ed effetto. Nell'ideadi
causa l'antica filosofia distingueva: 1. La causa efficiente, ossial'agente
produttore. 2. La causamateriale, ossia
il soggetto su cui l'agente si esercita. 3. La causa for male, o l'idea. 4.
Finalmente, la causa finale, ossia lo
scopo dell'azione. Queste distinzioni
sono puramente nominali, e non hanno più
ragione di essere, peroc chè le attuali cognizioni nelle scienze naturali non ci permettono più di sepa rare
l'idea di forzadaquelladi materia, la
causa efficiente da quella materiale, e
di supporre quindi che fuor dellama teria ci sia un certo substrato che la faccia muovere. Del pari non possiam più ammettere lacausaformale e quella finale, poichè, ammesso nella natura il principio di necessità, non possiamo più riconoscere quella tal sorta di arbitra
140 CAUSA ED EFFETTO mento che vuole un fine. (Vedi CAUSE FINALI).
Dicesi causa ogni azione che inqual sivoglia maniera concorra a produrre un' altra azione, la qual poi chiamasi effetto. E dico azione, imperocchè la fi
losofia sperimentale abbia ormai irrecu sabilmente accertato, che nessuna causa esiste la quale possa produrre o corpi nuovi o forze nuove, (vedi FORZA e MA TERIA)
ma tutte le cause agenti nonrie scono, infine dei conti, ad altro che a produrre o nuove forme o nuove azioni, vale adire un nuovo modo di essere della materia. Questi effetti sono poi a volta loro causa di altri effetti, e
così all' infinito. Onde a giusta
ragione si deve dire, che ogni cosa che
esista è sempre ed invariabilmente causa
ed ef fetto al tempo stesso; vale a dire effetto di una causa precedente, e causa di un effetto susseguente. Certo, questa gran
dissima verità, la qual suppone la co gnizionedellaeterna trasformazione
della materia, non ha mai potuto essere
sup posta nè tampoco concepita da quei
cotali filosofi degli scorsi anni, e da
molti ancora de' nostri contemporanei, i
quali credettero e persistono a credere
com'egli argomenta: « Col mezzo dei
sensi considerando la costante vicissitu dine delle cose, noi non
possiamo aste nerci di osservare che molte cose parti colari, siano esse
qualità o sostanze, co minciano ad esistere, e che ricevono la loro esistenza dalla giusta applicazione od operazione di qualche altro essere. Or si è appunto per questa osservazione che noi acquistiamo le idee di causa e di effetto. Col nome generale di causa indichiamo ciò che produce qualche idea semplice o complessa, e con quello di effetto ciò che è prodotto. In tal guisa dopo aver veduto che nella sostanza alla quale diamo il nome di cera, la fluidità (una delle idee semplici che non esisteva innanzi ) è costantemente pro dotta
dall'applicazione di un certo grado di
calore, noi diamo all'idea semplice di
calore il nome di causa per rapporto
alla fluidità della cera, che n'è l'effetto. Del pari, provando che la sostanza detta legno, la quale è una collezione di idee semplici a cui si dà questo nome, me diante
il fuoco è ridotta in un' altra so stanza, che chiamiamo cenere (altra ilea complessa che consiste inuna collezione di idee semplici affatto differente dall' i
dea complessa che diciamo legno), noi
consideriamo il fuoco, per rapporto al le ceneri, come una causa, e le
ceneri che lamateria è inerte, e che
fuor di lei esiste qualche cosa che la
muove e la spinge e la induce ad agire
siccome fa. Ben è naturale che costoro
non sap piano concepire in qual maniera l'idea | ciò che noi consideriamo come
contribu come un effetto. In tal maniera tutto
di causa ha potuto entrare in noi, e la
suppongano una di quelle tali nozioni
innate, che il Creatore si è compiaciuto
di infondere nel nostro spirito prima
ancora di metterci al mondo.
Nondimeno tre filosofi che non erano
atei, si sono già adoperati per distrug gere questo assurdissimo pregiudizio,
e vi riuscirono in tre diversi modi
che meritano di essere riferiti. Il
primo di questi filosofi è Locke, il
capo della scuola sensualista, il quale
colla sua stringente logica ha
dimostrato, che an che l'idea di causa non è altrimenti innatainnoi,mache, comeognialtra idea, èentratainnoiper laportadei sensi. Ecco ente allaformazione di qualche idea sem plice
o qualche collezione d' idee sem plici, sia sostanza o modo, che prima non esisteva, eccita nel nostro spirito
la relazione di causa, e le diamo tal no
me ». (Locke Saggio sull' intendimento
umano Cap. XXVI § 1.) Hume,non
solonon ammette l'inneità dell'idea di
causa, ma pur ne combatte ogni realtà
obbiettiva. Che ne sappiam noi,
dic'egli, dei rapporti che passano tra
causa ed effetto? Possiam noi dire se
veramente la causa eserciti una qual siasi influenza sull'effetto prodotto, o
se pure questa influenza non sia altro
che una chimeradellanostra
immaginazione? CAUSE FINALI Certi
fenomeni che si seguono costante mente nello stesso ordine, possono darci l'idea del principiodi causalità, il quale, al postutto, si risolve in una semplice successione di tempo e di fenomeni, di
modochè quando noi vediamo prodursi un
dato fenomeno sempre aspettiamo 141 nali, ben lo disse Bacone due secoli fa: ( De augment. scientiarum lib. III c. 5) . Secrediamo a Lei bnitzla Provvidenzaè
quella che dirige la luce
inlinearettaerende eguale l'angolo
diriflessione aquellod'incidenza; e Prieur nel Spectacle de lanature pretendenien temeno
chelemaree siano date all'oceano
affinchè più facilmente i bastimenti
possano entrare nei porti.Ben dice Vol taire, che con altrettanta
evidenza po trebbepretendersichele gambe son fatte appostaper essere calzate, eil naso per portare occhiali. E tuttavia non è poí lo stesso Voltaire che poche righe dopo trova cheogni cosafufattaper lo scopo cui deve servire? D'onde questacontrad dizione?
Voltaire, crede che per assicu rarsi del vero fine di una causa convenga che l'effetto sia proprio di tutti i
tempi e di tutti i luoghi. Povero
spediente, il qual non salverà il filosofo
di Ferney dalla contraddizione ! Infatti
nessuna cosa è propria d' ogni tempo e
d' ogni luogo, imperocchè tutte si
modificano esi trasformano.Diremnoiche
gli occhi furon fatti per vedere, o che
noi vedia mo perchè abbiamo gli occhi ? Dalla ri sposta che daremo a questa
domanda dipende tutta la teoriadelle
cause finali. Se una
causaintelligentehaprodotto un effetto
con un determinato fine; cioè se Dio ha
prodotto l'occhio per vedere, noi
dovremo eziandio credere che questo
effetto sia proporzionale allo scopo; vale adire che l'occhio deve soddisfare nel miglior modo possibile aibisogni per cui fu fatto. Ma in tal caso come spieghe remo
noi le ulceri, lefistole lacrimali, la
cataratta, la miopia, il presbitismo e
tante altre malattie che affliggono que st'organo tanto poco perfetto e
tanto poco proporzionale alla
causadallaquale si pretende prodotto?
Come! un organo tanto utile, dovrà esser
fatto di sostanze contenute in
tegumentitenerissimi, e per colmo d'
imprudenza esposto all' aperto,
senz'altro riparo che le sottilissime pal pebre? Come ! I nostri più
comuni can nocchiali ci mostrano distintamente le cose alla distanza di parecchi chilometri, e i migliori telescopi ci disegnano le accidentalità della superficie lunare, e Dio ci ha da dotare di un organo il quale più non sa leggere alla distan za di
poche spanne dal naso! Perchè mai
l'occhio non è acromatico? Perchè, come
dice Helmohlz, è desso così poco
perfetto che nessun ottico sarebbe dispo sto ad accettarlo siccome un modello
i narrivabile per la loro arte? Se l'occhio
era fatto per vedere, perchè mai questa CAUSE FINALI causa intelligente non l'ha dotato di tal potenza ottica,che gli facesse vedere le cose più lontane e levicine ancora, e ci ponesse ingradodi ammirarelasapienza del Creatore, così nellecose
infinitamente grandi come nelle
infinitamente piccole? 143 i quali hanno dei veri polmoni, discen dono
in via di generazione normale da un
antico prototipo sul conto del quale
null' altro sappiamo se non ch' esso_era
provvisto di una vescicanatatoria. In tal Poi, l'occhio è veramente d' ogni tempo e d'ogni luogo, come Voltairepretende? Maveramente, no; poichè vi sono ani guisa noi
possiamo facilmente spiegare il fatto
strano, accertato dal prof. Owen, che
ciascuna particola di nutrimento so lido o liquido che noi inghiottiamo,
deve passare sull'orifizio della
trachea, con ri mali che non hanno occhi ed altri che hanno occhi per non vedere. Gli occhi delle talpe e di qualche altro rosicante rimangono sempre allo stato rudimen tale, e
qualche voltasonocompletamente coperti
di pelle o dipelo.Unmammifero | libera fluttuazione dei pesci, perchè si è schio di cadere neipolmoni. Inquesti casi le cause finali comple tamente
si ecclissano. Se Dioha prodotto
lavescica natatoria perchè servisse alla
rosicante dell'America del Sud, il tuco ioco, o cténomys hadelle
abitudini an corpiù sotterraneechelatalpa, equando Darwin notomizzò l'occhio d' un di essi, gli parve che il suo stato di cecità do vesse
attribuirsi ad una infiammazioneco stante delle palpebre. Occhi fatti per
non vedere e membrane fatteper soffrire
una perpetua malattia, non par che dimo
strino la teoria teologica delle cause fi nali. La vescica natatoria dei pesci
è un altro esempio che
contrastasingolarmente col concetto
delle cause finali. Quest' or gano, cheoriginariamenteparevacostrutto per aiutare il movimentodell'animalena tante,
ha potuto in certi pesci trasfer marsi in un organodiretto aduno scopo tutt'affatto differente, tali come la respi
razione o l'audizione. Darwin ha infatti
accertatochepereffettodell'elezione, lave scicanatatoriainalcuni pesci
haacquistato
uncondottopneumaticodestinato alla re spirazione; e in altri si è in tal
guisa modificata , da servire piuttosto
come organo accessorio dell'audizione.
Tutti i fisiologici, continua Darwin,
ammettono che lavescica natatoria è
omologa, vale adi re «idealmente
similare > in posi zione ein strutturacoi polmoni dei verte brati superiori.
Non è dunque straordi nario che l'elezione naturale abbiameta morfosato
successivamente lavescica na tatoria in polmoni o in organi esclusiva
mentedestinati alla respirazione. D'onde
si può conchiudere, che tutti i vertebrati trasformatainun'altro organoche piùnon risponde al suoscopo? Didue usi acuiser
vìunorgano,qualerappresenta lafinalità
intenzionale dalla causa creatrice ? Ol tracciò vi sono
degliorganirudimentali i quali sono
completamente inutili , tali come le
mammelle rudimentali di tutti i maschi
dei mammiferi, e l'ala bastarda di certi
uccelli. In un grandissimo nu mero di serpenti, uno dei lobi dei pol moni sono
rudimentali, in altri esistono i
rudimenti del bacino e delle membra
posteriori. Vi sono esempi di organi ru dimentali assai curiosi; tali
sono i denti osservati nei feti delle
balene, che all'età adulta non ne hanno
più; il qual fatto Darwin spiega
supponendo che le balene abbiano
probabilmente acquistato le abi tudini e i loro caratteri attuali per una metamorfosi regressiva, che le ha fatte retrogradare dal posto più elevato di a
nimali anfibi, fluviatili o lacustri, a quello
inferiore di specieesclusivamentemarine.
Naturalisti degni di fede hanno pure as sicurato di aver veduto dei
denti rudi mentali negli embrioni di certi uccelli. Nulla ci par piú ovvio, diceDarwin, che le ali siano state fatte per il volo e non
dimeno le ali di molti insetti sono tanto
atrofizzate, ch'esse non possono agire, e non è raro il caso che siano chiuse
sotto delle elitri fortemente attaccate
l'una al l'altra. Ci sono invece dei casi d' inter vertimento degli
organirudimentali,come per esempio,
lemammelledicerti maschi SA 144 CAUSE OCCASIONALI che si sono in tal guisa sviluppate fino |
tri organismi la natura ha prodotto ca adare il latte. Nelgenere Bos la mam
mella unica presenta quattro capezzoli e
due rudimentali; ma nelle nostre vacche
domestiche qualche volta anche questi
due ultimi si sviluppano e danno latte.
Giustamentedomandasi perchè ilCreatore
forma degli organi, iquali generalmente
non servono ad alcun uso, oppure ser vono ad un
usodiversodaquellopercui furono creati.
>> (Origine delle specie Cap.
XIII) Anche Büchner, primadi Darwin
(Forza e ma teria cap, XI ) ha dimostrata la insus sistenza delle cause finali,
dicendo che noi oggi ammiriamo gli
esseri tali come sono senza pensare
quale infinità di al sualmente per giungere agli attualiim perfettissimi
risultati, come ben lo pro vano le moltissime specie estinte dei terreni fossili. « Se il pelo degli
animali dei paesi settentrionali è più
folto di quello degli animali dei
paesimeridionali, e se tutti pol l'hanno
relativamente più folto d'inverno che
d'estate, non è forse più naturale il
considerare questo fatto come il
necessario effetto di una influ enza esterna, come la conseguenza della temperatura, piuttosto che supporre un artista celeste il qual prepari a questi animali gli abiti d'estate e d'inverno ?
Se il cervo ha le gambe lunghe e
adatte alla corsa, non devesi credere
ch'egli le abbia avute per correre con
celerità, ma piuttosto che egli
correconcelerità per chè ha le gambe lunghe: se egli avesse avuto delle gambe poco adatte alla cor sa,
sarebbe invece divenuto un ani male coraggioso , mentre ora per la sua tendenza alla fuga sidimostra timi
dissimo. La talpa ha le zampe informa di
pala per solcare il terreno; ma se essa
non le avesse cosl conformate, non
avrebbe mai pensato a scavarsi sotto
terra la sua tana. Le cose sono tali come sono; e se esse fossero state diverse da quel che sono, noi nonle avremmo per ciò trovatemeno
conformi al loro scopо». Vedi anche gli
articoli CAUSA E PER FEZIONE. Cause
occasionali.Certifilosofi cartesiani non
potendo riuscire a spiegare il rapporto
che poteva esistere fra lo spirito e il
corpo, e l' influenza che l'uno esercita
sull' altro , supposero che Dio stesso
durante i pensieri dell' anima
producesse nel nostro corpo i movimenti
corrispondenti a questi pensieri, e vice versa, che nell' occasione dei
movimenti delnostro corpo eccitasse
nell'anima i pen sieri o le passioni che vi corrispondono. Questi movimenti iniziali dell' anima o del corpo son le cause occasionali del cartesianismo, ilquale,come ognun vede, troppo logico per ammettere che alcuna relazione potesse esistere fra il corpo e
CELIBATO ECCLESIASTICO lo spirito, non
lo fuperò abbastanzaper non capire che
se Dio era produttore im mediato delle nostre sensazioni, noi siamo 145
sempre ai piaceri del senso per ser vire con più libero cuore a Dio. »
Più nelle sue mani come delle marionette
cui egli fa danzare a piacer suo. Celibato ecclesiastico. Sta to di coloro che
per motivo di reli gione si astengono di unirsi in matri monio. Dicono i
cattolici , presso i quali soltanto vige
l'obbligazione del celibato, che nessuna
legge naturale o positiva, divina od
umana obbliga gli uomini allo stato
conjugale (Ber gier Diz. Teol ); ma questa non è af fermazione che trovi
fondamento nè tra i credenti, nè tra
gl'increduli. Per ciocchè i primi giustamente oppongo no il Crescite et
multiplicamini , col quale il loro Dio
impose all' uomo l'obbligo di
congiungersi e di figliare (Genesi I,
28); e i secondi ben a pro posito osservano che dal momento che la natura ha dato all'uomo gli organi del sesso, gli ha al tempo stes so
imposto il dovere di usarne per la
propagazione della specie e per la sod disfazione di un bisogno, il quale
non èmenonecessario che naturale; per
la qual cosa giustamente i gentili
talora colpivano d'infamia il celibato
(Cicero ne De legibus lib. III c. 3). Invece ecco che nel cattolicismo il Concilio di Trento dichiara: « Se alcuno avrà det to che
lo stato conjugale sia da ante porsi allo stato di verginità o del ce libato, e
non essere meglio e più bea to rimanersi vergine o celibe che con giungersi in
matrimonio, sia anatema » (Sess. XXIV
can. 10). La qual prefe renza, checchè ne dicano in contrario i protestanti, non è poi così contraria allo spirito del cristianesimo per non trovare appoggio fra i padri e fra gli stessi insegnamenti di Gesù. Il quale dice che vi son eunuchi che si son fatti eunuchi daloro stessi per amore del regno de' cieli (Matt. ΧΙΧ. 12). » del matrimonio dei preti. E tanto dis se e
fece cotesto papa per raggiun gere il suo intento, che riuscì al fine di ottenere dal Concilio di Cartagine, radunato nel 397, un decreto, il qual rendeva obbligatorio il celibato dei chierici. Innocenzo I nel 417 rinnovava la legge del celibato; la rinnovò e la estese ai Suddiaconi Leone I nel 440; e dopo d' allora tutti i papi batterono la stessa strada. Il guaio si è, che
quei decreti non ottenevano universale
con ferma, il che dimostra che in quei
tempi l'unità della Chiesa non era
gran fatto assodata; imperocchè non
solo il clero opponeva una resistenza
passiva a quei decreti dei papi, ma
eziandio nella Francia i concilii di
Autun, di Tours, di Macon nel V se colo, e nella Spagna il Concilio
di Toledo, e il prete Vigilanzio vi si
op posero formalmente. Nel 1059 Nicco ld II nel Concilio di Laterano fa no
vellamente proclamare la legge del ce libato; e cionostante poco di poi
tro.. viamo tutta la diocesi di Milano
retta da preti ammogliati, nè il papa
riesce a farvi prevalere il disonesto
divieto, senza che rivi di sangue
scorrano nel le vie, senza aver scatenate le passio ni politiche e il fanatismo
religioso rappresentati daArialdo e da
Landolfo Cotta, capi del partito dei
celibatari. Solo il cupo dispotismo
d'Ildebran do (Gregorio VII) potè trionfare di tan te opposizioni, e la legge
del celiba to novellamente procamata dal Conci lio di Roma del 1074, andò man
mano estendendosi in tutte le provincie
cri stiane. Il celibato era stato
introdotto per moralizzare il clero, per
acquistare un CELIBATO ECCLESIASTICO
maggior titolo alla Santità e alla ve nerazione dei vulgari. Ma
comechè nessuna legge contro natura può
riu scire a buoni effetti, anche questa nel la Chiesa sciolse il freno d' ogni
mo 147 tino con ledonne dellequali
usavano. Quindi, alzatisi e preso un
bagno, si as sidevano a nuovo desco. (Hist. Eccl. Francorum lib. 5. art. 21). Lo stesso ralità. Già fin dai primi tempi,monaci emonache convivevano insieme, sede vano alla
stessa mensa, dormivano sot to lo stesso tetto: tutti avevano fatto voto di castità, ma chi l'osservava? Instruita dall' esperienza, dice un au tore,
l' imperatrice Irene nel fondare il
monastero delle vergini sotto il no me di Maria piena di grazie, volle che fossero assistite da un padre spi
rituale, un economo, due frati per am ministrare il patrimonio e isacramen ti:
eunuchi tutti quattro! (Helyot. Hist.
des ordr. vol. I c. 28). La
dipintura che nel VI secolo S. Gregorio
di Tours ci fa diSalonio Ve scovo d'Embrun, e diSagittario vesco vo di Creso,
già porta tutti i colori del medio evo.
« Assunto l'episcopato inco minciarono a scatenarsi con insano fu rore in
malversazioni, con morti, con omicidi,
con adulteri e con diverse al tre
scelleratezze, di guisa che ad un certo
tempo, mentre Vittorio Vescovo
_diTricastini celebrava il proprio nata lizio, mandata fuori una coorte
con spade e giavellotti, irruppero
contro di lui, gli stracciarono le
vestimenta, ammazzarono iministri
eportando via vasi ed ogni altra cosa
appartenente al pranzo, lasciarono il
vescovo con grande contumelia..... Essi
si abban donavano ogni giorno amaggiori scel leratezze; corsero alle armi e con
le proprie mani fecero molte
uccisioni. Iafierirono contro i propri
cittadini fa cendoli battere con verghe fino al san gue. Passavano molte notti
parlando ebevendo con i chierici che
celebra vano inChiesa nelle ore mattutine, e si
sfidavano a bevere. Mai si faceva men zione di Dio. Surta l'aurora si
leva vano dacena e coprendosi con legge ri drappi, sepolti nel sonno e nel
vino, Santo (lib. IX ) scriveva: Vi prego di mandarmi i vo stri ordini per
iscritto intorno a quei diaconi i quali
fin dalla loro puerizia son sempre
vissuti in stupri, in adul teri, ed in ogni altra sconcezza: e pu re con tali
testimonianze vennero al diaconato, ed
essendo diaconi ritengo no quattro, cinque ed anche più con cubine (Baronio
Annali 741). Lo stes so cardinal Baronio che cita questa lettera,e che poteva essere molto ben informato, parlando della Chiesa nelX secolo esce in queste parole: « Domi navano
allora in Roma potentissime e sozzissime
meretrici; ed a loro arbi trio si davano i vescovati e si traslo cavano i
vescovi; e, più orrendo a dirsi, s'
introducevano nella sede di Pietro i
loro drudi, pontefici falsi, i quali non
devono essere inscritti nel catalogo
dei papi. » Edgardo re d'Inghilterra
in una lettera diretta ai vescovi del
suo regno e riportata dalPadre Labbe
(Tomo IX p. 698) scrive: « Dirò con
dolore come gli ecclesiastici se la pas sino in gozzoviglie, in
ubbriachezze, in adulteri ed
impudicizie; di guisa che le case dei
preti sono divenute postriboli di
meretrici e conciliaboli di buffoni. » E
per verità, pare che quel degno re non
avesse poi gran torto di lagnarsi dei
suoi preti, impe rocchè tanto bene osservavano essi la legge del celibato, che poco di poi papa Pasquale II, in una lettera diret ta al
vescovo di Cantouberi, autorizza dormivano fino all' ora terza del mat 148 CELIBATO ECCLESIASTICO va l'ordinazione dei figli dei preti, stantechè tanti ve n'erano in Inghil terra,
ch'era impossibile aver dei preti senza
ricorrere alla loro progenie(Lab be Concil. X. p. 707). Fu nell' undecimo secolo, cioè in torno al
tempo della solenne procla mazione del celibato fatta da Grego rio VII, che ai
monaci orientali (i pri mi che si erano sottomessi alla legge della castità) si dovette vietare di introdurre nei conventi, non solo le donne, ma perfin le femmine degli animali. (De Potter. Hist. T. VI lib. II cap. III note suppl. n.º 3). Intorno a quel tempo Alberto d'Arbrissel fonda tore
della celebre Badia di Fontevrand, nella
diocesi di Poitiers, viaggiando colla
sua Petronilla fondo altre quat tordici badłe, nelle quali religiosi e rë
ligiose avevano comune il letto, non
veramente pel godimento della carne,
ma affine di fortificarsi contro la tenta zione, sfidandola nel suo
maggior pe ricolo. Dicesi che anche il beato d' A brissel sen' giaceva colla
donna sua, a somiglianza di S. Adelmo,
che già nel VII secolo, aveva dato
l'esempio dei condormienti. Ma ch'egli
alla sua gui sa si serbasse casto, è cosa che dico no li apologisti suoi, ma
che pochi credono. (Vedi Bayle. art.
Fronte vrand). Ma vediamo che cosa
scrivesse il Petrarca della Chiesa di
Roma, là do v'era partito l'impulso alla promul gazione della legge
obbligatoria sul celibato. « In questo
regno di avari zianon si fa conto di nulla, purchè si faccia denaro... L'amore per verità è dichiarato pazzia, la pudicizia è una vergogna grandissima; la licenza al contrario è stimata grandezza d' ani mo, in
guisa che si reputa più glorio so chi ha sorpassato gli altri in vizi; echi di grazia non sorriderebbe di sde gno
nel vedere que' fanciulli decrepiti
(prelati e cardinali) co' loro capelli
bianchi, coperti di ricchissime cappe
sotto le quali nascondono una impu denza ed una lascivia che supera
ogni imaginazione?... Satana vede tali
cose e ride; e nel suo tripudio siede
arbi tro fra que' vecchi e le giovinette....
lascio da parte gli stupri, i ratti, gl'in cesti, gli adulteri, che sono
giuochi per la lascivia pontificale. Non
dirò nulla de' mariti delle doune
rapite, i quali, non solo sono cacciati
dalla lo ro casa,ma banditi anche dalla patria:
non dirò che molti di essi sono forzati
di riprendere le loro mogli quando
portano nel loro seno il frutto de'de litti dei prelati: e restituirle
allorchè sono sgravate; e così
continuare fino a che l'impudico prelato
non è pie namente sazio o disgustato. E il po polo tutto vede tali cose e tace,
inti morito ma /orribilmente sdegnato. »
(Petrarca Lettere sine titulo. Basilea
1496, Lett. 20). Nel 1401 Nicola
diClemanges, oCle mangis arcidiacono di Bajeux e retto re della facoltà
teologica di Parigi, in un opuscolo
intitolato: De corruptioEc clesiae statu, così parla: « Passo sotto silenziole intercessioni simoniache pres so
il papa, i patrocini venali e più al tre infamie di cui i cardinali sono au
tori o consiglieri.... Taccio altresì i
loro adulteri, i loro stupri, le loro for nicazioni con le quali anche
adesso in cestuano la romana Curia; come an che l'oscenissima vita dei loro
fami gliari, i cui costumi in nulla differi scono da quelli dei loro padroni
». Non altrimenti parla dei
canonici " che qualifica ubbriaconi incontinenti, i quali non si vergognano di far pom padi una
prole meretricio susceptam, e di tenersi
in casa scortu vice con iugum, clie passano il tempo in cian cie ebuffonerie,
studiosi soltanto della gola e del
ventre edi carnali dissolu tezze, nelle quali fanno consistere la loro felicità ut porci Epicuri ». E par lando
delle monache, aggiunge, che vergognasi
di dir le infamie che suc cedono nei monasteri, i quali non so no santuari di
Dio, ma Veneris eace CELIBATO ECCLESIASTICO
cranda postribula; luoghi di lascivie e
di impudicizie, ondechè, dice ancora,
dar il velo ad unafanciulla è lo stes cinte ...
149 L'originale della relazione
di cotesta visita è perduto ; ma '
autore ne ha veduto un estratto, nel
quale i so che esporla
pubblicamente. Anche Santa Brigida,
nelle sue ri velazioni, si fa dire da Gesù Cristo che E il professore con chiude, che la prima
supposizione sol tanto è vera, non potendosi negare che la formazione della cellula non debba attribuirsi all'attività stessa dei suoi ele
menti. Celso. Filosofo pagano che
visse nel secondo secolo, ed è
conosciuto come unodei più
famosioppositori del cristianesimo,
Nessuno dei suoi scritti ci è pervenuto,
e della sua vita edot trina nulla sappiamo di preciso, fuor chè quel tanto che
ne dice un dei pa dri della Chiesa, Origene; il quale nel suo trattato Contro Celso, mentre com batte
quest' incredulo, quà e là ne ri porta le parole e ne rivela in parte le opinioni. Da questo padre sappiamo che Celso, ben lungi di riconosce la miracolosa nascita di Gesù, lo dice fi glio
di connubio illecito; sorride della
pretesa dei cristiani di diffondere per
tutto il mondo laloro dottrina; e quanto
ai miracoli di Gesù dice che i soli suoi
discepoli li avevano visti e li esagera vano oltremisura. Ilpoco che
avevafatto dovevalo, diceva Celso,alle
arti magi che che aveva apprese, e per le quali
Gesù era salito in tanta superbia per
farsi credere un Dio, mentrechè poi
tanti altri impostori avevano fatto mi stato veduto che da una donna e
da pochi discepoli, i quali, o avevano
so gnato o non veduto che un fantasma,
quando pure non avevano narrata una
favola. Se Cristo era risuscitato doveva
mostarsi a'suoi nemici,a'suoi giudici, a
tutto il mondo: meglio ancora, avrebbe
dovuto non lasciarsi porre sulla croce,
o posto che vi fosse, discenderne da sé
solo in presenza de' suoi carnefici.
Cena. Il secondo ed ultimo sacra mento delle Chiese riformate, che
lo celebrano in commemorazione della ce
na di Gesù. I cattolici la distinguono
dall' Eucaristia, perciò che questa con siste essenzialmente nell' atto
e nelle parole colle quali essi
pretendono che Gesù abbia trasformato il
pane e il vino nel suo corpo e nel suo
sangue. (Vedi EUCARISTIA. ) Cenestesi.Dalgreco: comune fa coltà di
sentire. Così chiamasi quel vago
sentimento della nostra esistenza, che
noi abbiamo, o piuttosto che pre tendiamo di avere, indipendentemente dai sensi, e che certi fisiologi dell' an
tica scuola hanno voluto trasformare in
un sesto senso, il senso dell' esi stenza, o cenestesia. La Cenestesi è dun que
sinonimo di appercezione e di co scienza, e in quest' ultimo articolo esa
mineremo qual fondamento abbia la
pretesa coscienza dell' io indipenden temente dai sensi. Cerdone. Poco si conosce della vita di questo eresiarca. Credesi che fosse di origine siriaca, perchè S. Epi fanio
disse che egli dalla Siria passò a Roma,
e ilBarattieri suppone nella sua
cronologia che ciò sia avvenuto nel l'anno 120. Adottando le dottrine de
monologiche di quei tempi, egli accettò
e compi il sistema teogonico di Simone
e di Saturnino. Ma mentre questi due
eresiarchi facevano discendere il mon 151 CERTEZZA
do dagli spiriti creati dall' Essere su premo, Cerdone cercò di evitare
lo sco glio in cui cadde l'unitarismo, di far
derivare il bene e il male dallo stesso
principio. E foss'egli della Siria o vi
avesse soggiornato, certo è che essen do ai confini della Persia non po
teva ignorare il dualismo di Zoroastro;
e fu questo infatti che spiegò nel suo
sistema. Suppose egli dunque che vi
fossero due principii indipendenti l'un
dall' altro, dall'un dei quali ogni bene
derivava; e tutti i maliimputava all'altro. Opera dell' ente buono erano gli spiriti capaci diprovar piacere; del malvagio erano i corpi che ci affliggono in mille modi; supposizione, per verità, contrad
ditoria, perocchè se Cerdone attribuiva
al corpo le sensazioni dolorose, al corpo pure doveva riferire quelle di piacere. Però, da questa singolar distinzione Cerdone fuindotto ad un'altra singola rissima
conseguenza, poichè al malva gio spirito attribul tutta la legge degli ebrei piena di minuziose e difficili e pe
nose pratiche, edEssere malvagio chia inò ' Jehovah, che ordinava al popolo eletto continue guerre e stragi e perla bocca d' Isaia diceva: Io son quello che creò il male. Laleggedi dolcezza e di rassegnazione dei cristiani parve inve ce a
Cerdone il segno del buon prin cipio; però non ammetteva che il fi gliuolo di
questo buon ente fosse di sceso sulla terra per patire e soffrire e per essere messo a morte dagli uo mini,
poichè queste cose sono contra rie alla bontà di Dio, il quale tanta crudeltà non avrebbe tollerata. Se dun que
Cerdone rigettava a buon diritto tutto il
vecchio testamento, nemmeno il nuovo
accettava per intero; ma il solo vangelo
di S. Luca ammetteva e ebbe fama anche
maggiore del mae stro. (Vedi MARCIONE).
Cerinto. Giudeo d'Antiochia con temporaneo degli apostoli.
Riconosceva un essere supremo creatore
degli spi riti con differenti gradi di perfezione, e dagli spiriti faceva derivare il mondo. Non ammetteva che il figliuol di Dio fosse nato da una vergine, ma ricono sceva
che Gesù aveva fatto dei mira coli ingraziadello spirito di Dio, il qua le era
disceso sopra di lui per illumi narlo.
Certezza. Tre sorta di certezze
distingue la filosofia: 1. La certezza
matematica; 2. La certezza fisica; e 3.
La certezza morale. Una quarta certez za vi aggiungono i metafisici e la
pon gono prima d' ogni altra, ed è la cer tezza metafisica, ossia l'intimo
convin cimento che noi abbiamo delle cose
sovranaturali,la quale più propriamente
dovrebbe spettare alla pura fede.
Quando un giudizio nel suo contra rio importa contraddizione, dicesi ma
tematicamente certo, imperocchè una cosa
che è non può non essere, e ciò che non
è,nonpuò essere; il che torna adire che
una cosa non puo essere e non essere al
tempo stesso. Or questo carattere é
proprio di tutti gli assiomi e teoremi
della matématica, i quali, sot to rapporti più o meno complicati, ven gono
tutti a dire, che quando ad una quantità
se ne aggiunge un'altra, quel la s'accresce in proporzione, e dimi nuisce
invece se le si toglie una parte. 1 + 1 =2;oppure 2 1= 1. Mala certezza matematica non è propria sol tanto
delle cifre,imperocchè la si espri neppur questo in ogni parte. Dicesi che Cerdone, abiurati i suoi errori, tornasse in seno alla Chiesa, per poi allontanarsene ancora; ma quando e di qual morte morisse non è certo. Lascið nua setta piuttosto numerosa, guidata da un de' suoi discepoli, Marcione, che ma o in cifre o in lettere o in formo le
algebriche o col ragionamento, non muta
per questo il suo carattere logi co e rimane sempre eguale. L' eviden za di
questa certezza si fonda sempre sul
principio di identità o di relazione che
noi supponiamo assoluti, mentre invece
non sono che relativi ai nostri mezzi di
percezione.Ecco perchè puossi a buon
diritto negare che, nonostante CERTEZZA
la sua apparente evidenza, esista asso luta certezza matematica.
Infatti, nel concetto di relazione io
posso ben dire che due quantità eguali
ad una terza sono eziandio eguali fra di
loro; ma questo assioma matematico non è
vero se non in quanto io lo concepisco a
strattamente , non ' applico, cioè, a
nessuna cosa reale; e tosto che io lo
155 può darmi una assoluta
certezza, giac chè se io concepisco un angolo e men talmente ne prolungo i lati
nello spa zio, ragion vuole ch'io supponga che
questi lati vanno fra loro allontanan dosi all' infinito, e che
nondimeno in ogni punto dell'infinito
l'angolo non faccio uscire
dall'astrazione per entra re nell' ordine della realtà, la certezza scompare e in nessun caso io posso verificarla. Imperocchè non si danno nella natura corpi eguali assolutamen te, ma
appena simili nelle più grosso lane apparenze. Un'oncia d'oro può essere eguale a un'altra oncia d'oro in quanto io faccia astrazione dalla for ma,
dal calore, dal sapore, dal suono, e
dall' aggregazione molecolare, anzi
ancora in quanto io faccia astrazione
del peso stesso, poichè qual bilancia
potrebbe darmi la sicurezza di non a vere errato nemmeno nella
millesima parte di un gramma? E se la
bilancia mi può dare la millesima parte
di un gramma,sono io sicuro che essami
possa accertare di una diecimillesima,
di una centomillesima, o di una
millionesima parte di un gramma? Del
pari,possono i miei occhi accertarmi
della iden tità del colore, della forma edell' ag gregazione molecolare ? Una
sola mo lecola diversamente aggregata, puó
cambiarne ladensità e il volume, e il
colore e il suono, quantunque tutte
queste proprietà sembrino eguali ai no stri organi atti a percepire
soltanto le più grossolané parvenze.
Quando adun que io dico, che un metro è eguale a un' altro metro, o che una moneta è eguale a un' altra moneta, non posso avere la certezza che questa eguaglian za sia
assoluta, ma esprimo soltanto una
certezza relativa ai mieisensi e al mio
modo di vedere. Un'altro essere che
avesse sensi più fini e delicati dei
nostri, vedrebbe forse la diseguaglianza
nelle cose che noi diciamo eguali. Ma
nemmeno astrattamente la matematica
aumenta nè diminuisce il numero dei
suoi gradi. Qui dunque abbiamo due
sorta di contraddizioni fra l'astrazione
e l'esperienza; perciocchè sperimen talmente non possiamo concepire
come due linee unite a un punto, allonta
nandosi sempre fra di loro, non fini scano per congiungersi al lato op posto:
nè tampoco possiamo conce pire come lo spazio contenuto nei due lati, il quale potendo allargarsi e pro
lungarsi all' infinito, deve necessaria mente ritenersi infinito, non compren
da però tutto l'infinito. Ilche implica
contraddizione, poichè noi non possia mo concepire la contemporanea esi
stenza di due quantità infinite, come
non si può concepire inqual guisa un
corpo finito sia divisibile all' infinito. Queste antinomie della logica la mate matica
non spiega, per la ragion chia rissima ch'essa è una scienza mera mente relativa
alle parti, alle quantità finite, epperò
male argomenta chi la chiama scienza
assoluta. Se non è assoluta la certezza
ma tematica, a miglior titolo dovremo dire
relativa ogni certezza fisica, la qual
desumesi da varie cognizioni che mol te e molte volte abbiamo trovato
che riposavano sull'errore. Che una
tigre non partorisca agnelli, che i
corpi spe cificamente più pesanti precipitino al fondo dei liquidi nei quali sono immer si, e
che la terra giri intorno al sole, sono
verità di certezza fisica inconte stabile; ma niuno penserà ch'esse sia no di
certezza assoluta; imperocchè troppo
spesso ci troveremmo nella ne cessità di correggere questo assoluto, che diventerebbe molto e anzi sover chiamente
relativo. Nella scienza sol gl ignoranti
dommatizzano assoluta 156 CERTEZZA mente; ma gli uomini civili e colti du bitano
sempre con discrezione, ammae strati come sono dalla dolorosa espe rienza del
passato. La certezza morale quella è,
infi ne, che altrimenti chiamasi certezza
storica, la quale essenzialmente riposa
sulla testimonianza e sull' autorità di
uomini competenti (V. AUTORITÀ). Già
s'intende che questa certezza non ha
nulla di assoluto, ed anzi più pro priamente dovrebbe dirsi massima pro
babilità, avvegnachè sia molto proba bile che gli storici dicano sempre il vero, ma non sia altrettanto certo. In buona filosofia vuolsi distingue re la
certezza dalla verità; imperoc chè la prima è la coscienza subbiet tiva che ha
ogniuomo, che la tale o tall altra cosa
sia vera , mentre la verità può anche
essere puramente obbiettiva, senza
giungere nella no stra mente al grado di certezza, E in questo senso può dirsi, che vi sono molte certezze non vere, come vi sono molte verità non certe. Infatti il con
fondere, come molti fanno, la certezza
colla verità, è error massiccio, impe rocchè altro è il credere che una
cosa sia vera, altro è che essa lo
sia,effet tivamente. E per quanto grande sia la
nostra convinzione di aver raggiunta
la verità essa non toglie che i secoli
e le nuovescoperte distruggano molte
certezze e scoprano l'errore laddove
prima non vedevasi che verità.
giosi o metafisici è verità di cui noi
siamo o possiamo essere assolutamen te certi. Ben giova distinguere
però fra gli scettici parecchie
gradazioni; imperocchè non tutti
affermano riso lutamente che certezza non vi sia, ma ipiù riconoscono che questa certezza è puramente relativa ai nostri mezzi di percezione, e in ogni caso, se non é tutta, è certamente parte della verità, o per lo meno rappresenta tutto quel tanto della verità che a noi è dato di percepire. Un eguale principio era quello che guidava gli stoici antichi all' affermazione del loro dommatismo; imperocchè fondandosi sulla stessa te
stimonianza di Zenone essi dicevano che
ogni percezione chiara e distinta
risultando esattamente conforme alla
cosa percepita, deve tenersi come un
segno della verità, essendovi uno stretto enecessario legame tra la cosa perce pita e
la percezione che si riceve. Non
consideravano però che,per confessio ne dello stesso Zenone, può aversi
o creder di avere una percezione
chiara e distinta di una cosa che in
realtà non esiste, o che esiste
diversamente da quello che si
percepisce;poichè, ad esempio, color che
sognano hanno spesso percezioni
chiarissime sulle qua li talora stanno dubbiosi se siano sta te percepite allo
stato di sonno oppur di veglia;
chiarissimamente percepisce il dolore
nel membro che gli manca colui al quale
fu amputato un brac Egli è dunque di capitale momen- cio o una gamba, e noi
tutti chiaris to nella filosofia, il sapere se esista simamente vediamo piegato
il remo per l'uomo una assoluta
certezza, e nell' acqua sebben sia dritto. Vi sono quale ne sia il fondamento. Ma su dunque
delle false evidenze, le quali questo
proposito la filosofia si scinde ci possono trarre in inganno; per la in due grandi scuole: quelladello scet- qual
cosa Protagora, al dir di Cicerone,
ticismo, e quella del dommatismo. limitavasi a dichiarare, che
ciascuno Nega la prima che esista una
certezza deve considerar come vero ciò che ver
assoluta per l'uomo e che l'uomo gli sembra. Il qual principio se può es
possa credere di averla raggiunta; la sere un discreto accomodamento per la seconda invece afferma il principio op-
tranquillità della nostra mente, essere
posto e confessa che la cognizione non può unsicuro fondamentodella cer
che noi abbiamo diDio, della spiritua- tezza. Meglio ragionava Epicuro quan
lità dell' anima e d'altri dommi reli- | do egli giudicava nulla esservi di
vero CERTEZZA oltre le immagini
sensibili delle cose, che ci si
rappresentano siccome vere, e peggio
dicevano i platonici quando, a togliere
ogni autorità ai sensi, toglieva no alle percezioni ogni criterio di cer tezza,
e dicevano non esservi certezza che
nelle cose propriamente intellettuali,
che sono di giurisdizione del sentimento; imperocchè per questi filosofi nello spi rito
trovansi iconcepimenti veri, sempli ci, astratti, costanti esprimenti la
vera natura delle cose sensibili; e per
conse 157 qual cosa hanno mai conosciuto
di certo sulla questione capitale della
formazione degli esseri e dell'origine
del mondo ? Non èforse vero che su
questo soggetto vi sono ancora tra i più
grandi uomini tante contraddizioni di
sistemi, tanta di scordia di opinioni da non sapere a che appigliarsi ?.... Ma con qual coraggio e per qual fondamento potremo attenerci all'opinione di un solo di questi
filosofi e rigettare e condannare i
sentimenti di tutti gli altri, il cui
numero è si gran guenza lo spirito solo è il giudice le gittimodel vero. Né tal
trasposizione nel l'ordine di giudicare può recarci mera viglia da parte dei
platonici. Non era forse Platone gran
fautore delle idee innate, idee
archetipe di tutte le cose, che il
nostro spirito deve precontenere prima
ancora di nascere al mondo ? (V. IDEE
INNATE). Questa dottrina supponeva appunto
che iconcetti iquali ci formia mo delle cose già esistono in noi allo stato latente, prima ancora chenoi per
cepiamo alcuna cosa col mezzo dei sen si. La quale sciocchissima dottrina pa
reva a Platone tanto certa, che egli se
n' era fatto adoratore e credeva di scor gervi alcun che di divino. Ma
Aristotile non veggendovi altro che un
sogno, un delirio umano, si pose a
combatterla e la ridusse al nulla. AncheCicerone, nel secondo libro delle Questioni Accademiche, appoggiandosi all' autorità dello scetticismo della
scuola accademica e specialmente di
Carneade, che per ultimo lariformò,
combattè ad oltranza il dommatismo degli
avversari. >>> (Locke. Saggio libro III. Cap. 4) Qui Locke parteggia evidentemente, e assai poco logicamente pel dommatismo idea listico;
distrugge, cioè, le idee innate, e crea
gli archepiti; ma subitodopo ri cade nello scetticismo intorno all' idee delle sostanze, le quali non siamo certi che corrispondano esattamentealla
realtà. Ecco le sue proprie parole: (I nervi e la vita, p. 30). Del pari
una troppo abbondante copia di sanguepro
duce eccitazione soverchia e follia, on d'è che il dott. Parry giunse a far ces
sare gli eccessi di follia comprimendo la
vena giugolare, e Flaming applicando
invece lo stesso trattamento ai sani pro dusse il sonno, con sogni
febbrosi (Ri vista Britann. Aprile 1855). Anche una corrente elettrica mandata attraverso al cervello, per solito, produce il sonno, causa la contrazione dei vasi sanguigni, eccitati dalla elettricità. I quali
fatti tutti ci spiegano il perchè, le
persone di temperamento sanguigno e
quelle che hanno il collo corto, per
solito, siano più appassionate e focose
delle altre, nelle quali o il sangue non
abbondante oil collo lungo non
consentono a que sto liquido vivificatore di eccitare so verchiamente il centro
nervoso. Ai piccioni possono recidersi
in tutto o in parte i lobi cerebrali
senza annul lare le funzioni della vita animale. An nullasi invece '
intelligenza, e le bestie così operate
perdono la facoltà di cer care gli alimenti e di cibarsi, onde ri mangonsi
immobili, come assonnate e imbecillite.
Le funzioni della respira zione e della circolazione continuano non menche quella della digestione; gli or gani
della vita animale assorbono e se cretano tuttavia; ma l' organo del pen siero
essendo distrutto, distrutte son pu re in loro e la volontà e le tendenze,
e quelli che con nome impropriosi
dicono istinti. Ma se l'animale vien
nutrito ar tificialmente, il cervello si riproduce ta lora a poco a poco, e col
cervello rina scono le sensazioni e l'intelligenza. Questo esperimento ilBernard ha chiamato rein
tegrazione per rigenerazione organica.
Ma il Flourens prima di lui aveva già
osservato che le galline alle quali veniva asportato il cervello perdonotutti gl'istin
ti; e quellafula primaprova della stretta e
inseparabile relazione che esiste tra l'azio nedelcervelloe
laproduzionedelpensiero. Questa stessa
relazione rivelasi con non minore
evidenza nell' anatomiacom parata, imperocchè confrontando fra di loro i cervelli delle varie specie
animali, acquistasi laconvinzione che
quelle spe cie soltanto hanno più grande intelli genza, le quali sono dotate
dei mag giori cervelli. Non ricerchisi nel pesce le forme complesse del ragionamento: lad dove
appenasi trovano i primi rudimenti del
cerebro è già segno di grande intel ligenza il riunirsi, come fanno i carpio
ni, al suono del campanelloper ricevere
il nutrimento. Negli uccelli vi è progres sione d' intelligenza, e nei
mammiferi ancora maggiore. Ma i
mammiferi più bassi mancano di
circonvoluzioni cere brali: esse appariscono nei pachidermi, sono più grandi nei carnivori, più gran di
ancora nelle scimmie e nell'uomo.
> Dopo avere invano
sollecitato dal ministro Guizot
l'instituzione di una cattedra di storia
generale delle scien ze fisiche e matematiche, nel 1842 ot tenne il posto di
esaminatore e sup plente alla scuola Politecnica, che per dette poi per alcuni
violenti attacchi contro Arago. Contro
Stuart Mill che aveva aderito pienamente
al positivi smo, Comte ebbe nel 1843 una pro fonda divergenza a proposito della
con 172 CONCETTO dizione della donna, alla quale egli contesta ogni eguaglianza con l'uomo, e dichiara intellettualmente inferiore, mentre poi più tardi vorrà emanciparla dall'uomo anche nel processo delia fe
condazione. Il signor Littrė pone
all'anno 1845 il secondo periodo della
vitadi Comte; e il suo retrocedere alla
teologia e al metodo subbiettivo vuol
far coincidere con una nuova crisi
cerebrale. Mabi sogna convenire, checchè si dica in contrario, che una assoluta coerenza non pare che siamai stato il retaggio di questo filosofo, e che questo secon do
periodo non presenta altri caratte ri che latendenza a simboleggiare gli enti naturali e a costituire una nuova religione avente perbase l'adorazione della natura e della umanità. Cadono dunque in questo secondo periodo della vita di Comte la sua Politica Positiva, tori, li incarica di conservare il suo appartamento tal quale, acciò serva nientemeno che al Culto dell'umanità; di dare unapensione alla sua dome stica, a
cui dovevano passare in pieno possesso
tutti gli averi suoi, salvo la mobilia e
la biblioteca, e di pagare infine i suoi
debiti, che ascendevano a circa 10,000
lire, e pei quali non rima neva naturalmente alcun fondo dispo nibile, dal momento
che Comte dispo neva altrimenti dei suoi averi. Quan tunque il testamento fosse
annullato dai tribunali, il suo
appartamento fu, com' era desiderio del
maestro, conser vato al culto dei suoi discepoli, i quali anche oggidi, sebbene innumero scar sissimo,
si radunano in quel luogo per celebrarvi
il « culto dell'umanità ». La dottrina
filosofica di Comte sarà espo sta all'articolo POSITIVISMO, Concetto. Secondo la filosofia di danon confondersi con quellagiàpub- Kant sono
idee i soli principii assoluti blicata
nel Catechismo di Saint-Simon; ❘ della
pura ragione, e intuizioni le per la Sintesi subbiettiva; il Catechismo Po-
percezioni dei sensi. Ma vi sono idee che
sitivista, o sommaria esposizione della
religione universale; la fondazione della Società Positivista compiuta nel 1848; e la costituzione definitiva dela Reli gione
dell' umanità di cui egli si era
costituito gran prete e il cui tempio,
per il momento, fu la tombadiMada ma di Vaux, per la quale egli
aveva concepita una viva passione fin
dal 1845. Negli ultimi tempi dellasuavita, contrariamente ai più elementari pre cetti
del positivismo, Comte si votava
volontariamente ad una astinenza as surda: trattavasi sempre con gli
stessi cibi, si inibiva il vino, il
caffè, e tutti itonici,credendo di
prolungare i pro prii giorni, ma nonriuscì ad altro che a dimagrarsi straordinariamente e a produrre un cancro del tubo digestivo, che lo trasse alla tomba il 5 settembre del 1857. Abituato a dirigere i suoi di
scepoli senza pur discutere o ad essi
spiegare le sue idee; egli non fumeno
assoluto e meno ingiusto nel suo te stamento, nel quale nomina 13 esecu
non sono nè pure sensazioni, nè principii
assoluti; e questi Kant chiamò concetti,
(begreifen),edivise intreserie: 1º Concetti puri, che nulla attingono
all'esperienza; 2º Concetti empirici che
interamente ri posano sulla esperienza ; e 3º Concetti misti, composti dall'esperienza e dall'in
telletto. Appena è necessario accennare
quanto sia arbitraria una tale divisione, inquantochè non esiste una sola idea,
sia pur essa oscura o chiara, la quale
non sia innanzi tratto percepita coll'
espe rienza. Le idee di causa, di tempo e di
spazio che Kant pone traiconcetti puri
sono anch'esse acquistate col mezzo dei
sensi. (Vedi IDEE INNATE ) Tra
noi, filologicamente, concetto è meno
generaledi idea eval più di perce zione, laquale è la primaimpressione che l'intelligenza riceve dagli oggetti esterni
. Ma l'impressione non basta a produrre il concetto, il quale suppone una ulte riore
operazione dell'intelletto per com prenderla e rischiararla. Chiunque sia dotato d'orecchi può avere Fimpressione 1 CONCILIO
del suono; ma a niuno è dato di avere
ungiusto concetto del suono, se non sa
che esso risulta da undeterminato nu mero di vibrazioni dell'aria, che
stanno inuncerto rapporto con la natura
e la intensità dei suoni. 173
che l'aveva generata, rinnoverà la mede sima sottigliezza, distinguendo
una cer tezza subbiettiva puramente ontologica,
la qual s'ignora se corrisponda alla re altà delle cose che sonofuori di
noi. (V. CRITICISMO) Concettualismo. Nomedato ad una cotal sorta di filosofia-teologica del di
MARIA VERGINE. medio evo, laquale
tenevail posto medio fra le altredue
scuole opposte: il nomi nalismo e il realismo. (vedi questi nomi). Reputasi cheAbelardo siail fondatore di questa scuolache il Cousin dimostrò dis
sentire dal nominalismo soltanto per una
questione di parole. Disputavasi al lora fra realisti e nominalisti per
sapere se gli universali, ossia i
concepimenti empirici, generali,
astratti, siano cose reali oppur
semplici nomi inventati dal nostro
intelletto per avere una ordi nata classificazione delle idee; e i primi sostenevano la realtà obbiettivadi
questi concepimenti, mentre i
nominalisti, per la bocca del loro
maestro Roscelino, stando per l'opposto
partito, tutti gliuni versali riducevano asemplici nomi sprov visti d'ogni
senso. Un sol discepolo di Roscelino,
Abelardo, ribellossi alla teoria del
maestro, e spinto forse dalla sma nia di distinguersi, e di dare il suo nome ad unanuova scuola, fra i conten
Concezione immacolata.Ve Concilio. Il Bergier così definisce il concilio: >(Bos suet. Storia delle
Variaz. lib. VII. 24). Nei primi secoli
della Chiesa, la confes sione era essenzialmente pubblica, e fa cevasi ad alta
voce da tutti i fedeli nella Chiesa,
come oggidì ancora si suol fare fra gli
anglicani. Ma inquei tempi doveva
ciascuno le sue colpe, anche più segrete
e scandalose, rivelare alla Chiesa da
Dio il suo perdono. Questa obbliga zione fu però mitigata in processo di tempo, acciocchè la confessionepubblica rende testimonianza dell'abolizione di
tale confessione, e ne vanta la saviezza
con queste parole: >> (Omelia 30)E nell'Omelia28, spiegando le paroledall'Apostolo La fantasia dicostoro nonrisparmia ipotesi alcuna. >
Burchard ci insegna anche come le
donne venissero interrogate. > scono
Ma ecco altri orrori ad un tempo
vergognosi e ridicoli, perchè si riferi a sortilegi femminili? >
Aquesto punto lo schifo mi farebbe
cader di mano la penua. Per buona
sorte le mie citazioni non andranno più
oltre su queste materie infami. Ma che
scuola, che teologi son quelli del medio
evo ! Sì, e questa scuola fu in onore
per più di cinque secoli. CONFESSIONE V'ho citato il vescovo di
Worms edovete ben argomentare che deplo
rabili effetti l'auricolar confessione pra ticatacon questo metodo dovea produr
re sui costumi. 183 se questi pensieri o questi piaceri non l'indussero aqualche azione disonesta; se confessa averne commessa qualcu na gli
domanderà che azion fosse, e di che modo
e con chi la commise. Devesi Per rimaner
sempre nel vero e non riferire che
testimonianze di incontra stabile autorità nella Chiesa, citerò la Somma angelica (Summa angelica) del reverendissimo padre frate Angelo Cla vasio
dell'ordine dei frati minori, morto nel
1495. Il libro di questo religioso, vero
manuale del clero secolare, specie di
teologia in succinto, fu stampato almeno
unaventina di voltenel secolo XV.
L'ediziou principe comparve a Ve nezia in 4.º nel 1476. L'articolo prin cipale
di questo famoso libro ha per titolo :
Interrogationes in confessione, dove
vengono in scena icasi gravi che già
abbiamo veduto, e che non mi par
verodiommettere.Ma già si capisce che
il nostro gran teologo non intende che
si risparmino anche sur un solo le in terrogazioni de opere
luxuriæ. Un libro dello stesso genere
maad uso moderno è la
Mechialogia,trattato dei peccati contro
il sesto e nono coman damento, e di tutte le questioni matri moniali che vi si
riferiscono, del reve rendo padre Debreyne, prete e religioso dellaGranTappa,dove ilreverendotrap pista
incomincia il suo lavoro dicen do: « Terrem dietro alla umanitànella via fangosa delturpevizio della carne» Tale era lavocazione del padre De breyne nel
chiostro; ed eccone il suo metodo: >
> Domandasi se chi mostra
tanta pe rizia nell'arte dell'impurità, possa egli stesso esser puro, se il sacerdote co stretto
a passare il suo tempo sopra questi casi
di oscenità, alcuni dei quali sono anche
impossibili, non finiscano col perdere
fin la coscienza del loro pudore. E dato
che frammezzo a tante sozzure abbiano
potuto passare imma culati, domandasi se giovani sacerdoti nei quali già i stimoli della natura protestano contro il voto di castità, po
tranno senza pericolo e senza pena,
udire in confessione gli accenti di una
francesi han ragione di così scrivere, poi chè il loro e avendo suono
diverso, pro nunciasi press'a poco come la nostra Z ( Confus). In cinese Khoung-fou-tseu. Nacque nel villaggio di Chang-pingnella Cina, 551 anniprima diG. C. L'infanzia
di questo filosofo di fama mondiale,
come quella di tutti i grandi uomini
dell'an tichità, si perde fra le innumerevoli fa vole colle quali i suoi
biografi la vollero illustrare . A 20
anni fu eletto primo ministro del regno
di Lou, suo paese natale, ebbe la
sopraintendenza dei grani e delle
bestie, la qual carica abbandonò dopo
non molti anni, ondeviaggiare nei
piccoli regni nei quali laCina era allora giovindonzella che confessalesue col-|
divisa. Vogliono alcuni che questo suo
pe, se potranno senza tremito della voce
e convulsione delle labbra, interrogare
le penitenti sulle circostanze di fatto e di tempo che accompagnarono la con viaggio
avesse lo scopo di condurlo a Laotseu,
altro filosofo suo contemporaneo; altri
invece gli attribuiscono il pensiero di
riunire in un solo stato le varie
sumazione del peccato. Quali orrende
torture per un'anima condannata a non
mai provare le dolcezze dell'amore ! E
quantipericoli per un uomo obbligato
a strappare dalle pudiche labbra di una
leggiadra giovanetta una confessione di
debolezza! Bendiceva S. Tommaso, che
certo avràprovate molte di queste ten tazioni: « Le anime dedite alla
pietà, sulle prime non accorgonsi di
questo processo, poichè il demonio
guardasi bene dal lanciare da principio
strali avvelenati, ma usa dardi che
lievemente pungono il cuore. Presto
cessano i trat tenimenti angelici, e comportansi quali esseri compaginati di carne. Avviene uno scambio di sguardi fra loro, poi s' indirizzano lusinghevoli accenti che s'addentrano fino all'animo, e che pur sembrano procedere dalla primiera de vozione;
infine è reciproco il desiderio di
trovarsi insieme. In questo modo,
conchiude l'Angelodellascuola, la divo zione spirituale si converte in
passione sensuale. Quanti virtuosi preti
diserta rono la religione e Dio stesso, vittime
di cotali affezioni originate dalla pietà ! >> Confazio e non Confucio, corru zione del nome
francese Confuce. Ma i potenze della
nazione. La mala riu scita dei suoi sforzi lo persuase ad ab bandonare il
mondo; si ritrasse nella solitudine con
pochi fidi discepoli , e spese il suo
tempo a raccogliere e rive dere i King, libri sacri dei Cinesi, che già fin d'allora si reputavano di una grande antichità. È oggetto di antica controversia il sapere se Confuzio insegnasse
l'esistenza di un Dio; ma intorno a
questo punto sì grandi e numerose sono
le testimo nianze che lo negano, che il manifestare una contraria opinione sarebbe temerità. Forse in gran parte devesi l' opposto av viso
alla divulgazione dei libri Cinesi fatta
dai gesuiti, i quali, com'è noto, sì
bene s'insediarono nella corte di Pekino, che ogni lor cura fu diretta a far ve dere
agli attoniti Europei, quanto poco
dovessero alla lor coscienza ripugnare i
principii religiosi della Cina, traviati sì, ma pur sempre derivati dall'eterna rive
lazione di Mosè. Ma un celebre prelato,
il vescovo diConon, il quale non era ge suita, e che vivendo in quel
paese era in grado meglio d' ogni altro
di com prendere lo spirito della religione cinese, così nel 1699 esprimevasi intorno alle cre
CONFUZIO denze di questo filosofo: ( Hist. de la Philosophie Payenne T. I. p. 23) Per quanto sia d'antica data questa lunga citazione sulla filosofia di Confu zio,
mi pare che imoderni studi abbiano nulla
rivelato, nulla aggiunto all' opi nione del vescovo di Conon. Quel che riman certo si è, che per Confuzio e per tutta quanta la filosofia Cinese, la po tenza
è strettamente congiuntacon l'u niverso materiale, che sopra la terra vi è il Cielo o Thien, e il Thien si con fonde
conquel Sciang-ti che è sinonimodi
supremo imperatore, di sommo edi pa dre. Ma questapersonificazione del
Cielo nonhacarattere veramente
filosofico: e i filosofi speculativi
della Cina tant'erano Confuzio non solo
era ateo, ma ch'egli ha sì fortemente
inspirato l' ateismo ai suoi settatori,
che mill' anni dopo non se ne trovò pur
uno che non fosse ateo quanto il
maestro. Tutti hanno letto | che pensar si dovesse dell' anima dopo lontani di credere a una potenza perso nale
superiore alla natura, ch' essi non
ebbero idea di pene o di ricompense
oltre la vita, e Confuzio stesso, richiesto questo bel passo di Confuzio, e fratanti fedeli adoratori della sua dottrina non ve ne fu un solo il quale si avvedesse cheinquelpasso e in tutti gli altri che i gesuiti sogliono citare, non si parla d'altro che di un cielo materiale, ch'essi la morte, rispose che l' affermare o il negare ch' ella fosse conscia di se era cosa egualmente dubbia e pericolosa. >>
da cui il giorno dopo accettò la ca rica di consigliere di Stato,
durante i cento gicrni ! Caduto
Bonaparte fu ab bastanza fortunato per farsi cancellare dalle listedi proscrizione. Rientrò
quindi nelle file dell'opposizione
parlamentare é si voto a tutti i partiti
che potessero un'opera intitolata: Della
religione con siderata nella sua sorgente, nelle sue forme e nel suo sviluppo (Parigi 1823) dove a chiare note si vede quella conti nua
indecisione, e quella doppiezza che
propriamente convengono al diplomatico,
non al filosofo. Nega alla religione ogni carattere rivelato, ma si affretta a sog
giungere, che la rivelazione è impressa
nel cuore. « L'uomo, dic'egli, non ha
d'uopo che di ascoltare se stesso e tut ta la natura che gli parla con
mille voci, per essere invincibilmente
condotto alla religione Il principio della verità non è nè il ragionamento, nè l'autorità, ma il sentimento ». Di questi luoghi co muni
di cui tanto abusano i poeti-filo sofi dei nostri tempi, son piene le
opere di Constant, il quale negando ogni
au torità sacerdotale vuole che essa « non
possa tentare di inceppare, nè pure di
accelerare i miglioramenti portati alla
religione per gli sforzi della intelligen za ». L'uomo disdegna le
magnificenze delle cerimonie, esso non
si occupa che del culto dell'Essere
Infinito.... Una per cezione indefinibile sembra rivelarci un essere infinito, anima, creatore,
essenza del mondo, poco importando le
denomi nazioni imperfette che ci servono per
designarlo ». Di leggieri si scorge quanto fosse superficiale una filosofia che reg
gevasi sopra fondamenti così poco defi niti e così ambigui. I chiaroscuri,
la pieghevolezza e la grazia delle frasi
co stituiscono tutto il nerbo di cotesta
scuola effeminata, che parla al senti mento, non mai alla ragione.
Questafi losofia che evita tutte le angolosità, che piaggia tutta le scuole, e che le sue a
spirazioni liberalilascia intravvedere come
radi lampi di luce attraverso a un infi nito numero di sentimentali
reticenze, fu con grandissimo successo
adottata da tutti gli uomini politici
che ebbero va 188 CONTEMPLAZIONE E
RIFLESSIONE ghezza di acquistarsi fama
di profondi pensatori e di filosofi. Noi
abbiam ve duto qual successo abbia avuto per Con stant, e sappiamo, qual fama
immeritata abbia dato a Vittor Hugo,
Quinet, Maz zini, i quali (fatta la debita proporzione tra la volubilità politica del primo e l'onesta vita dei secondi) seguirono le orme sue. Il fatto si è, che cotesto
modo di filosofare col sentimento, oltre
che ap paga unbisogno delle deboli intelligen ze, le quali sono sempre il
maggior nu mero, lascia insolute tutte le questioni, degli uni ottiene il plauso, degli altri evita l'odio ; il perchè tutti vi
trovano dentro alcuna cosa buona, e pei
più esi genti non mancano frasi, che torturate
nella debita maniera, non possano essere
intese nel senso che ad ognuno piace
di leggervi dentro. Penetrato
dalla coscienza che l'uomo politico deve
piacere al maggior nume ro, e a nessuno dispiacere, Constant a busò di questo
metodo, l' eccellenza del quale pare a
molti confermata dal suc cesso. « Il sentimento religioso è sempre favorevole alla libertà » Tal è la sen tenza
di Constant, il quale rende poi a se
stesso questa testimonianza, che « nes suno prima di lui non aveva
contemplata la religione sotto l'aspetto
del sentimen to ». Per quanto poco intrepida fosse cotesta filosofia, parve tuttavia al suo autore ancor molto ardita, avvegnachè in un libro postumo pubblicato da Mat ter nel
1833 col titolo : Politeismo ro Constant era vissuto in tempi che aper tamente
smentivano siffatte conclusioni. Egli
aveva veduto l'incredulità degli en ciclopedisti precorrere la grande rivolu
zione che doveva rovesciare l'antico feu dalismo e liberare gliuomini da un
giogo secolare; egli aveva ancor veduto
spe gnersi questo fuoco di libertà sotto la
dominazione di Napoleone ristauratore
del cattolicismo, e con Luigi XVIII sta bilirsi l'assolutismo della
santa alleanza. Strana libertà era
quella che portava il risorgimento del
fervore religioso! Questo regresso era
d'altronde atte so, avvegnachè già fin dal 1811 egli scriveva al signorHochet: >> (Nuovi saggi. Introd) Non si può ne gare che
la spiegazione sia ingegnosa e sottile e
non debba mettere in grave coscienza
dell'io, ossia la coscienza che noi
abbiamo delnostro essere, sia con tinua, sempre viva e presente a se imbarazzo i cultori della filosofia spe
culativa. Quanto allascuola sensualista,
essa può facilmente rispondervi dicen do, che il nervo acustico
percepisce solo i suoni determinati da
un certo numero e da unacertaintensità
di vi brazioni; oltre quel limite non vi è
percezione, ondechè se il nostro orecchio sente il rumore di 100,000 onde, non così può dirsi che senta il rumore di ciascuna onda. Il movimento vibratorio percepito è essenzialmente uno, cioè il risultante dai movimenti parziali, sepa
ratamente impotenti a produrre un'a zione sul nervo. Quindi giustamente si può dire che i movimenti non avvertiti, nemmen sono sentiti; imperocchè non basta che le vibrazioni del suono o
della luce o di altro qualsiasi
movimento si comunichino a un nervo per
essere sentiti, occorre anche che il
cervello, organo centrale della
percezione, age voli l'azione fisiologica di quel nervo, e, per così dire, sidisponga a ricevere la sensazione. Egli è perciò che chi è stessa. Iu altre parole, domandasi se in ogni istante della vitanoisappiamo di esistere. E ben a ragione si fa questa domanda, avvegnachésia indubitato, che se la coscienza é, come si pretende, ilri
sultato di un esseresemplice,uno,nondi visibile inparti, debba ognora agire,
non mai fermarsi, non ammettere
divisibilità di tempo né disensazione.
Or gli spiri tualisti affermano che così avvenga, e lo provanopure affermando che la coscien za
dell'io è essenzialmente una eindivisi bile, onde tutte le sensazioni vanno
a riunirsi in un punto solo, il qualeha
la coscienza dell'essere. Or, dicono
essi, se questo punto centrale fosse
mate riale dovrebbe essere esteso, ma ciò
che è esteso è composto di parti e non
può dareuna sensazione unica, non può
darci quel sentimento unitario per il
quale, nell'atto di percepire le cose e sterne,noi sappiamo di
percepirle, e ac canto all'oggetto percetto abbiam sem pre il sentimento del
soggetto che per cepisce. Per spiegare questo sentimento che costituisce la coscienza, conviene
COSCIENZA ammettere che dietro agli
organi mate riali della sensazione, vi è un substrato spirituale, non esteso, non composto di parti, il quale riunisce concentra in un punto solo, in una sola unità, tutta la varietà e la molteplicità delle sensa
197 Il Prof. Schiff ha bene e
giustamente risposto all'obbiezione di
Lotze, il quale afferma che noi sentiamo
esistere in noi stessi, una unità
consciente delle zioni, e produce infine
quel sentimento unitario che ci fa dire
: io sento, io penso. Maperò è unavera astrazione degli spiritualisti quella per la quale essi credono che in noi esista veramente quelsentimento misterioso, indipenden te
dalla sensazione,che ci dàlacoscienza
dell'esser nostro. Glidealisti stessi della scuola di Berkeley, e perfino Hegel hanno dimostrato che l'io è un essere puramente fenomenale, prodotto in noi dalla sensazione e strettamente con la sensazione congiunto; e che quando dall'idea dell' io si toglie quella di sen
sazione, più non ci resta che una vaga
idea astratta, senza determinazione, idea che è identica collo zero assoluto. Non so con qualfondamento ilProf. Schiff nella sua Cenestesi abbia scritto che questa negazione dell'io non rimane senza opposizione,specialmente da parte del materialismo. Il materialismo si ac corda
anzı assai bene con la teoria sen sualistica, e non può quindi in nessuna maniera consentire a separare la sen. sazione dalla coscienza: esso sa troppo bene che noi acquistiamo la coscienza dell' essere allora soltanto che eserci tiamo
i nostri sensi, tantochè sentire e
sapere di sentire sono per noidue fatti
contemporanei che si confondono in un
solo concetto. Laddove non vi è sensa zione non può nemmen esservi
coscien za; sebbene possa esservi vita chimica
o vegetativa ; e questo fatto chiarisce
ancora il materialismo che la coscien za dell'io entra in noi per la
porta dei sensi. Il materialismo non
poteva dunque combattere Berkeley per
avere avanzata questa negazione, ma sì
piut tosto ha combattuto il suo eccessivo
idealismo col quale negava alla materia
ogni realtà. molteplici
sensazioni che proviamo. Or questa
unità, questo punto dove con vengono e si uniscono tutte le sensa zioni per
costituire l'unità dell' io, per quanto
si possa concepire piccolissimo, èperò
sempre esteso, e come tale può essere
rappresentato come costituito di parti,
come formato con faccette ed angoli,
ciascuno dei quali forma una
individualità separata. A menochè dun que questo punto non corrisponda
a quello ipotetico dei matematici,
non abbia, cioè, nessuna dimensione,
noi nonpotremo mairappresentarcelo
come il substrato per mezzo del quale si
con centrano in una unità tutte le sensa zioni e si costituisce la coscienza
del ' io. A siffatta obbiezione di
Lotze, si può facilmente rispondere
negando assolu tamente ogni substrato della materia, la quale trova in se stessa il principio della sua azione. Se l' io costituisce ve
ramente una unità indivisibile, come
pretende Lotze, egli avrebbe ben ra gione di negare, che un punto mate
riale qualsiasi possa essere il centro di
questa unitàconsciente; ma nella realtà
ifatti ben ci dimostrano che questa in divisibilità dell'io non è altro
che una idea metafisica non conforme al
vero. Chi è assorto in profonda
meditazione avverte appena il dolore che
gli si ca giona se questo non è così grave per
poterlo distrarre. Sol quando
egli esce dalla preoccu pazione ricorda il dolore provato, e al lora soltanto
riacquista l'idea dell' io, che lo
sentiva. Mentr'io sto esaminando con
interesse un fatto che può con durmi alla verità, non penso guari al mio io; io sono per così dire fuori di me, non penso che agli oggetti delle mie ricerche, ed appena so se io esi sto. Se
un vestito stretto alla vita mi
importuna, in quel momento il mio io 198
COSCIENZA è rappresentato da
quella parte del corpo che sente
l'impressione, dal ven tre o dal petto; se sono ferito penso alla sola parte ferita ed è essa sola che in quel dato momento rappresenta il mio io; se mi metto iguanti il mio io momentaneo è la mano, ecc. Dopo un centesimo di minuto secondo la mano potrà rammentarmi il braccio, lavambraccio, le gambe,la testa, e in fine generalizzare l'idea dell'io a
tutto il corpo. Ma questo fatto non è
imme diato; è soltanto mediato, successivo e
interrotto da grandi lacune. Avviene
in questi casi come nella storia e in
tutte le associazioni di idee, che sicon nettono: la mia storia, può
ricordarmi quella del mio paese, questa
la storia così rapida che sfugge alla
percezione nostra, di guisachè scambiamo
facilmente la successione colla
simultaneità. >> EPlinio ( Storia Nut. lib. I. Cap. 2 ) soggiunge: « Egli è da credere che il mondo, e questo che con altro nome ci è piaciuto di chiamar cielo,dal cui giro tutte le cose son coperte, sia una divi nità
eterna, che non deve mancare mai. Egli è
sacro, eterno, immenso, tutto nel tutto,
anzi egli è proprio il tutto finito, e
simile all' infinito. Non appartiene
certo agli uomini, nè cape nelle con getture dell' umana mente, il voler
in vestigare le cose estrinseche di esso ».
Anche l'Antico Testamento si uni forma all' universale concetto della
filo sofia pagana, perciocchè il primo versetto
della Genesi nel testo ebraico ha un
senso ben diverso da quello che gli è
attribuito dai traduttori e commentatori. Laparola barà che si traduce per creare, dice il Larroque, non significa produrre dal nulla, ma nel concetto principale esprime tagliare, colpire, ed offre i si guificati
secondari di formare, produrre,
generare. Siffatta interpretazione che ri sponde al vero spirito della
lingua e braica è d' altronde confermata dalla
Genesi stessa, laddove l'autore usando
la stessa, parola, dice che Dio formò
(bard) l'uomo. Ove questo vocabolo ve ramente esprimesse in questo caso
il senso di creare, implicherebbe
contraddi zione. Anche la Sapienza, libro ebraico inscritto nel canone dal Concilio 'di Trento, insegnando che la mano di Dio da informe materia ha creato il mondo (XI, 18) prova che lo spirito della reli
gione giudaicaammetteva l'ipotesi di un
caos primitivo. Il nichilismo del
cristianesimo trova dunque il mondo poco
preparato a rice vere la sua dottrina della creazione, e il dualismo prevalente nelle prime eresie cristiane con Ermogene, Saturnino e Marcione ( vedi questi nomi ) rappresen tava
lacoordinazione del nuovo domma coll'
antica filosofia. Tutti gli sforzi de gli antichi padri della Chiesa sono di
retti a combattere cotesta risplendente
verità, che a loro pare errore. Lattanzio contro Cicerone ( Instit. lib. II. c. 3
). Tertulliano contro Ermogene,
Origene contro Marcione affastellano
argomenti per distruggere il fondamento
di questa filosofia. Origene lo dice
chiaro: il sen timento della eternità della materia di vide i pagani dai
cristiani ( Omelia XIV ); prima d'ogni
cosaegli vuol che si creda a un Dio che
tutto ha tratto dal nulla. Sopra questo
punto il cristianesimo non transige e
l'unanime consentiniento della Chiesa si
smarrisce in ogni altro domma, ma in
questo risplende. Gli antichi pa dri possono errare, smarrirsi, far l'ani ma
eziandio materiale, (vedi ANIMA )ma in
questo si accordano, che tutto ciò ch'
esiste è tratto dal nulla. Dio solo è il
principio dell' esistenza, ed egli regna
nel cielo cristiano senza rivali. « Dio,
dice Tertulliano confutando il dualismo
di Ermogene, non avrebbe potuto ser virsi della materia nella sua
qualità di padrone del tutto. Dio è
padrone del tutto in quanto ha tutto
creato, la ma teria come il rimanente; ma se Dio non CREAZIONE avesse creato la materia, se la materia fosse eternamente esistita come Dio ed 203
dimostrarela nullità di tutti i concepi menti umani intorno al principio
delle indipendentemente da Dio, egli non
ne sarebbe stato il padrone, non
avrebbe avuto alcun potere sovra di essa
». La filosofia cristiana ben ragionava
contro i dualisti: poichè a che giova
l'ammet tere due principi coeterni, uno attivo e l'altro passivo ? Non ci basta forse una eternità sola, e non è anche questa di troppo per capire nel nostro cervello ? L'error degli antichi consisteva nel con
siderare la materia siccome un essere
passivo, privo di movimento, incapace
quindi di produrre la vita. Quest'anti tesi è tolta ormai dalla nuova
maniera di considerare il mondo e le
forze che lo dirigono, e d'innanzi a
questo indi rizzo della filosofia, il dualismo e il dei smo divengono
egualmente assurdi e in concludenti. E nondimeno chi avrebbe mai creduto che nei tempi nostri do vesse
sorgere una teoria ancor meno
concludente e con ella uomini più in ,
cludenti ancora per innalzarla agli onori dell' accademia? Non abbiamo noi veduto Hegel e li Hegheliani farneticare conscon
finate astrazioni e riporre ' universal
principio dell' esistenza in qualche cosa di diverso da tutto ciò che esiste, in
ciò che non è sostanza, nè causa, nè
essere, e che per non sapersi con adatte
parole definire, si chiamò non essere
puro ; principio sempre presente a se
stesso, la cui immutabilità s'intitola
processione dialettica ? La pazzia ha i
suoi gradi, ma quella diHegel doveva
essere molto cronica perch'egli non si
avvedesse, che creando nomi nuovi,
noncreava sostanze nuove e nuove
essenze, e che il suo non essere puro
era propriamente un non essere davvero,
dal qualefaceva procedere
l'esistente. Contro queste
astrazioni che si risol vono in meri giuochi di parole e che alcuni non si peritano di chiamarepro
fondità, non vi è miglior rimedio di quel
materialismo scientifico cotantodisprezza to, ilquale,s'anco nonavesse
maggiorime riti, nessunogli potrebbecontestarequello cose. E per verità, sulla creazione non
vi è filosofia che parli più chiaro e
con una più insinuante evidenza del
materialismo. Esso dice: le leggi del
pensiero neces sariamente ci inducono a ricercare in tutte le cose un principio, ma la
ragione di questa tendenza non riposa
già, come vorrebbe la metafisica , in
una certa quale prescienza dell'assoluto
propria del 1' anima nostra; anzi essa riposa sopra un fatto puramente relativo, contingente, affatto transitorio e che
rappresenterebbe piuttosto la negazione
dell'assoluto. Una volta ammesso che noi
non abbiamo idee innate e che tutte
quelle che pos sediamo le abbiamo acquistate colla e sperienza (vediIdee
innate), è necessario che anche l'idea
di un principio non ci sia pervenuta in
altra maniera. Infatti perchè mai noi
pensiamo ad un princi pio? Perchè tuttele contingenze fenome niche che noi
osserviamo ebbero princi pio e fine. Di tutte le forme che e sistono nessuna è
eterna, e in un tem po più o meno lungo l'osservazione ci attesta che tutte cambiano e si trasfor mano.
Noi stessi abbiamo principio e fine, ed
è perciò che siano naturalmente con dotti a dare un principio e una fine a tutte le cose che vediamo. Ma possiamo noi applicare questa regola
all'assoluto? Qui tutte le filosofie,
tutte le scuole si
accordano,perciocchèl'intelligenzanostra
finita, intendere non può le cause infi nite, e unae il rimanente; ma se
Dio non CREAZIONE avesse creato la
materia, se la materia fosse eternamente
esistita come Dio ed 203 dimostrarela nullità di tutti i concepi menti
umani intorno al principio delle
indipendentemente da Dio, egli non ne
sarebbe stato il padrone, non avrebbe
avuto alcun potere sovra di essa ». La
filosofia cristiana ben ragionava contro
i dualisti: poichè a che giova l'ammet tere due principi coeterni, uno
attivo e l'altro passivo ? Non ci basta
forse una eternità sola, e non è anche
questa di troppo per capire nel nostro
cervello ? L'error degli antichi
consisteva nel con siderare la materia siccome un essere passivo, privo di movimento, incapace quindi di produrre la vita. Quest'anti tesi è
tolta ormai dalla nuova maniera di
considerare il mondo e le forze che lo
dirigono, e d'innanzi a questo indi rizzo della filosofia, il dualismo e il dei
smo divengono egualmente assurdi e in concludenti. E nondimeno chi avrebbe mai creduto che nei tempi nostri do vesse
sorgere una teoria ancor meno
concludente e con ella uomini più in ,
cludenti ancora per innalzarla agli onori dell' accademia? Non abbiamo noi veduto Hegel e li Hegheliani farneticare conscon
finate astrazioni e riporre ' universal
principio dell' esistenza in qualche cosa di diverso da tutto ciò che esiste, in
ciò che non è sostanza, nè causa, nè
essere, e che per non sapersi con adatte
parole definire, si chiamò non essere
puro ; principio sempre presente a se
stesso, la cui immutabilità s'intitola
processione dialettica ? La pazzia ha i
suoi gradi, ma quella diHegel doveva
essere molto cronica perch'egli non si
avvedesse, che creando nomi nuovi,
noncreava sostanze nuove e nuove
essenze, e che il suo non essere puro
era propriamente un non essere davvero,
dal qualefaceva procedere
l'esistente. Contro queste
astrazioni che si risol vono in meri giuochi di parole e che alcuni non si peritano di chiamarepro
fondità, non vi è miglior rimedio di quel
materialismo scientifico cotantodisprezza to, ilquale,s'anco nonavesse
maggiorime riti, nessunogli potrebbecontestarequello cose. E per verità, sulla creazione non
vi è filosofia che parli più chiaro e
con una più insinuante evidenza del
materialismo. Esso dice: le leggi del
pensiero neces sariamente ci inducono a ricercare in tutte le cose un principio, ma la
ragione di questa tendenza non riposa
già, come vorrebbe la metafisica , in
una certa quale prescienza dell'assoluto
propria del 1' anima nostra; anzi essa riposa sopra un fatto puramente relativo,
contingente, affatto transitorio e che
rappresenterebbe piuttosto la negazione
dell'assoluto. Una volta ammesso che noi
non abbiamo idee innate e che tutte
quelle che pos sediamo le abbiamo acquistate colla e sperienza (vediIdee
innate), è necessario che anche l'idea
di un principio non ci sia pervenuta in
altra maniera. Infatti perchè mai noi
pensiamo ad un princi pio? Perchè tuttele contingenze fenome niche che noi
osserviamo ebbero princi pio e fine. Di tutte le forme che e sistono nessuna è
eterna, e in un tem po più o meno lungo l'osservazione ci attesta che tutte cambiano e si trasfor mano.
Noi stessi abbiamo principio e fine, ed
è perciò che siano naturalmente con dotti a dare un principio e una fine a tutte le cose che vediamo. Ma possiamo noi applicare questa regola all'assoluto? Qui tutte le filosofie, tutte le scuole
si accordano,perciocchèl'intelligenzanostra finita, intendere non può le cause infi nite,
e una successione di cause le une
generatrici delle altre all'infinito è tanto poco comprensibile per l'intelletto
nostro quanto il concetto di un causa
prima esistente da tutta l'eternità.
Nondimeno preferiamo attenerci a
quest'ultima ipo tesi, siccome quella che più si avvicina alle così dette leggi del pensiero. Ora, supposto che si debba ricercare una causa prima di tutti i fenomeni che ci circondano, e che questa causa renda più chiaro all'intelligenza il concetto
di origine (il che non è vero, perchè
nel concetto di causa primacontiensi
sempre 204 CREAZIONE l'inintelligibile eternità) domandasi se questa causa prima sia la materia op pure un
ente che è fuori e che è ante riore alla materia. La metafisica dice che la materia non può essere causa prima, perchè il pensiero
necessariamente ci conduce a dare una
origine alla ma teria. Ma ognun vede che questa è una pura e semplice,petizione di principio; spiegasi, cioè, la cosa ricercata con la ragione stessa che ci induce a ricercarla. Mad'altronde, ammesso pure che questa causa causarum risieda in una entità che sta fuori della materia, avremo noi spiegata l' origine delle cose? Le leggi del pensiero saranno per questo appa gate?
Non ci indurranno forse ancora a
ricercare qual sia l'origine di questa
causa prima, la quale diventerà perciò
avolta sua causa seconda o terza, secondo che piaccia al pensiero di spingere più o meno innanzi le sue investigazioni ? Esiccome il creare delle cause ideali non costa al pensiero molta fatica, così non si saprebbe a qual punto si ferme rebbe.
Çiò posto, non è egli più ov vio il fermarsi addrittura alla materia, questo ente sensibile, che vediamo, sen
tiamo, e per il quale viviamo? E d' al tronde non vi è poi nessun motivo de
terminante che ci possa consigliare que sta scielta? Fra un ente astratto che
non possiamo concepire e che sfugge
alla percezione di tutti i nostri sensi,
e una realtà tangibile che negare non si
può, è egli lecito rimanersi in dubbio ?
Ciò che vediamo e sentiamo avrà egli per
la nostra ragione minor evidenza di
una supposta entità, laquale in nessuna
ma niera possiamo concepire, in nessuna
guisa rappresentare? E poi questa stessa
materianon ci dà ella stessa le prove
della sua eternità? L' abbiam noi veduta
nascere? La vediam noi spegnersi? Non
mai: nessuna materia nuova si produce,
nessuna si distrugge; e se perfino la
metafisica non osa negare che la mate ria nel tempo si produce o si
distrugge, come oseremo noi
privarladell'attributo dell' eternità,
il qual suppone appunto l'ente senza
fine? Ben si dice dai meta fisici, che se la materia non si produce nè sì distrugge ora, nulla prova che non siasi prodotta in principio, che non si distruggerà alla fine. Ma con
altrettanta logica questa stessa
conseguenza puossi applicare all'ente
che si vuol sostituire alla materia,
avvegnachè nulla ci dice che se esiste
ora sia esistito prima, ed esisterà alla
fine. L'astrazione dunque non spiega in
nessuna maniera la que stione d'origine, e fradue ipotesi quella certamente è più probabile, la quale meno ripugna ai sensi, e vanta, se non altro, l'evidenza del fatto presente. Perfino la filosofia teista è costretta a convenire che l'idea di creazione in
tendere non si può con la sola potenza
dell'intelletto. S. Tommaso rimproveran do gli antropomorfi che
concepire non sanno l'immaterialità,li
accusava di non aver saputo elevarsi al
di sopra della loro immaginazione; la
qual cosa è ancor più chiaramente detta
dall' inglese Clarke,
ministroprotestante :> (Toledo 633).
Se in giorno di digiuno un padrone ciba
il suo schiavo con carni, questo sarà
libero (Bergham stede 696) . Nè solo la Chiesa tollera e approva la schiavitù; essa ha pure i suoi schiavi. Oltre quelli che nel medio evo per fuggire la tirannia dei signori offrivansi in volontaria servitù ai
ricchi conventi e alle potenti abbazie
(La Fa rina Storia d' Italia), i bastardi dei preti, saranno schiavi della Chiesa, ed è fatto divieto ai giudicidi affrancarli, quand'an
che la loro madre fosse libera (Toledo
658, Pavia 1012) ; i vescovi potranno
vendere gli schiavi fuggitivi a lor pro fitto (Adge 506); ma essi non
possono 212 CRISTIANESIMO vendere nè gli schiavi nè gli altri beni della Chiesa ( Siviglia 619). Il vescovo non può nemmeno affrancare gli schiavi della sua Chiesa, s'egli non laindenizza altrimenti ; e se nonostante questo di vieto
il vescovo affrancherà gli schiavi, il
suo successore li ridurrà novellamente
in servitù, poichè l'affrancazione non può tenersi valida (Toledo 633). Un altro con
cilio di Toledo nel 773 trova necessario
di proibire ai vescovi di mutilare i servi della Chiesa, e quello di Francoforte
nel 894 vieta agli abbati di accecare i
mo naci o altro gregge servo di Dio ». Cio nondimeno ancora nel 1253 il
capitolo di Nostra Signora di Parigi
avendo get tato in orride prigioni tutti i servi del villaggio di Chateney, sostenne con tro la
stessa regina, ch' esso aveva il diritto
di vita edi morte sui suoi schiavi
(Dulaure); e intorno a quel tempo il
vescovo di Cambrai faceva accecare tutti
gli schiavi del suo nemico ( Malfilatre.
Recueil des historiens de France).
Nè si dica che queste massime non
sono cristiane, che laChiesa ha subito i
costumi del tempo. Ella non ha subito
la schiavitù, ma sì l'ha imposta. Ancora
nel 1522 il 3º concilio di Laterano dà
ai sovrani il diritto di ridurre in servitù i dissidenti, e Gregorio X permette che siano ridotti in servitù coloro che for
nissero armi o navigli agl'infedeli. Pro testanti e cattolici si combattono
sui dommi, ma si accordano sulla schiavitù. Sentiamo le giurisprudenza ecclesiastica intorno aquesto punto. Bossuet, vescovo di Meaux, sullafine del secolo XVII così scriveva: > Allorchè nel 1792 i commissari per ' incameramento presero possesso del la
biblioteca ecclesiastica di Clairvaux ,
217 fezione spirituale del
cristianesimo, un trovarono all' incirca
2000 manoscritti e 35000 volumi
stampati, rinchiusi nelle stesse casse
che otto anni prima avevano servito a
trasportarli da Dijon, ove era no posseduti dal presidente Bouhier. Fu certamente per un atto di altis simo
rispetto all'antichità e alla scienza
che quei buoni monaci, durante questi
otto anni, avevano religiosamente con servati i volumi nelle stesse
casse e in luogo abbastanza umido;
poichè all'a prirsi di esse si trovò che i libri erano tutti putridi e in gran parte guasti.
Nel 1755 i Francescani di Anversa persba
razzarsi d' un impaccio inutile, regala rono al loro giardiniere 1500
volumi, che furono poi venduti ad un
erudito inglese pel valore di
quattordici mila lire! Moltissimi altri fatti di questo ge nere
provano pur troppo quanto i mo naci fossero penetrati dall' importante missione di conservare ai posteri il te soro
delle cognizioni con tanti stenti
accumulato dagli antenati. Certo, molte
e molte opere uscirono dai conventi,
molte polemiche e guerre guerreggiate
a/colpi di penna, furono date in ispet tacolo al medio evo. Ma se le
discus sioni fatte sulla consuntanzialità e sulla grazia, sulla fine del mondo e sui modi più adatti a scoprire le streghe, fecero si che quei buoni messeri si scervellas sero
intorno alle più futili questioni, e
sempre più imbestialissero il mondo, non
so davvero quanto la civiltà debba es serne grata al cristianesimo e
alla sua Chiesa. Bayle nel suo Dizionario Storico ha esaminato se una societàdi atei potrebbe sussistere; ma a ben miglior ragione a vrebbe
potuto esaminare se sussistere potrebbe
una società di veri cristiani.
Imperocchè un popolo interamente as sorto nella idea di raggiungere la
per popolo tutto compreso nel pensiero d'
avverare sulla terra la morale evang lica, sarà insensibilmente condotto
a 0 vina, quantunque credenti e filosofpo co profondi vadano magnificando l'al
tissima perfezione di questa morte. Do vrà innanzi tutto ogni buon cristano
che vuol essere perfetto votarsi a
celibato, e alla mortificazione,
avvegnanè il con trastare i sensi e il far soffrir la carne, è virtù veramente evangelica( v. CELI BATO
ECCLESIASTICO E ASTIN-NZA DALLE CARNI ).
Dopo avere tolti alsuo seguace la moglie
e ogni piacere di sensi, Gesù gli toglie
eziandio la ricciezza. Una an che modesta agiatezza pe fondatore del cristianesimo è colpa e ausa di perdi zione,
perciocche egli èpiù agevole che un
cammello passi pe la cruna di un ago, di
quello che sia a un ricco l'en trare nel regno de'cieli. ( Luca XVIII 18-27. Matt. XIX 16-26. Marc. X 17-27 ). È tanto male il re spingere una offesa
quanto il farla (Id. lib. VI Cap. XVIII)
». Con questi principii chesono tutto il nerbo della dottrina cristiana, è impos
sibile che una società possa sussistere lun gamente, onde ben aragioneG.G. Rous
seau diceva, che una società di veri cri 219
applicasi perfino a un re pagano, a
Ciro, come può vedersi dalle seguenti
parole di Isaia: « Queste cose dice il
Signore a Ciro, mio Cristo, cui io ho
preso per mano a fine di suggellare a
lui le nazioni e porre in fuga i re >
(XIV,). Anche Lattanzio così parlava
intorno a questo punto:
Critolao.Nacquea Faselide nella
Lidia, studio filosofia in Atene sotto
Aristone di Ceo e fu capo della scuola
peripatetica verso l'anno 155 prima
di G. C. Sesto Empirico dice ch'egli
condannavala rettorica siccome un' ar te nocevole, e Filone c'insegna
ch'egli appoggiando la filosofia di
Aristotile ammetteva l' eternità del
mondo. Nel suo Trattato sulla
incorruttibilità del mondo egli ragiona
così: « Tutto ciò che nasce haun
accrescimento, è sog getto alla corruzione, alla vecchiezza ed alla morte. Il mondo non ha accre
scimento, non s'altera, non invecchia,
dunque è eterno ». : Croce. Tant'è l'importanza che il cristianesimo ha dato al simbolo della croce, che icattolici si sonoperfino la
sciati indurre adadorarlo come segno
della rigenerazione dell'umanità. Nono stantequesta pretesa importanza
simbo lica si è molto sorpresi di vedere che la 222 CROCIATE
croce,comesimbolorappresentativo, non
fa usata dal cristianesimo prima di tre
secoli almeno dopo la morte di Gesù.
Nessunmonumentodidata certa, scrive
il cav. De Rossi, buon ortodosso diret tore degli scavi di Roma, non si
pre senta prima del quinto secolo, il quale
porti la croce immissa o quella detta
greca. Un solo esempio della croce
tau, riferito da Boldetti si incontro
sotto la data del 370, e quelle che si
osservano nelle catacombe sono state,
per quanto nedice il citato antiquario
romano, tracciate nei tempi relativa mente moderni dallamano più pia
che esperta dei pellegrini che le visi
tavano. Dunque non solo i
contemporanei di Gesù, ma perfino tutti
i cristiani, per il corso di oltre
trecent'anni hanno affatto ignorato
questo famoso signum Christi, il qual si
vuolche fosse stabi lito in tutti i tempi. Ma ciò che ad al cuni parrà
veramente strano, si è che se i
cristiani non conobbero il segno della
croce che in tempo molto inol trato, lo conoscevano invece i pagani e gli idolatri già da tempo immemo rabile
prima della venuta di Cristo. Gabriele
di Mortillet in un libro inti tolato: Le signe de la croix avant le christianisme; haraccoltonumerose te
stimonianzepaleontologiche,dalle quali
appare, che il segno di croce trovasi
inciso sopra un gran numero di sto viglie scoperte nelle terremare
dell'Emi lia presso Parma e Reggio e attri huite, secondo ogni verosimiglianza, ad unpopolo che abitava quei paesi as sai
tempo prima dei romani e degli Etruschi.
Lo stesso seguo si trova im presso sopra molte stoviglie peistori che del
Cimitero di Villanova presso Bologna, e
nelle tombe di Golasecca presso il lago
maggiore, dove fu pure trovato sotto un
vaso fabbricato forse mille anni prima
dell'era nostra, quel segno che i
cristiani adottarono poi siccome il
famoso monogramma di Cri sto (Una X attraversata da un P). Al tri oggetti
preistorici col segno di croce sono
stati pure trovati nella Francia e nell'
Inghilterra, ed è poi noto che la croce
detta Tau fu nel l'Egitto un simbolo religioso, l'emble ma della vita e della potenza
e come tale era posta nelle mani agli
Dei di quel paese. Il Signor Letronne in
una memoriapresentata all'Accademia
delle inscrizioni, ha dimostrato che fu
ap punto questo Tau & che i cristiani
dell' Egitto hanno adottato nei primi
tempi come simbolo cristiano ; mentre
poi si vede che le prime croci incise
dai cristiani di Roma, si avvicinano ad
un altro tipo che, secondo il signor
Letronne, si trovano sulle medaglie an tiche di Acarnani, di Atene, di
Ales sandria e di Seleucide. Crociate. Guerre
fatte dai cri stiani in nome di Dio e della croce per imporre altrui la loro volontà e la loro legge. Alla fine dell'undecimo secolo, scri ve il
Laurente, l' Europa si precipita
sull'Asia per conquistare il sepolcro
di Cristo. Le vessazioni che i pellegrini subivano visitando la città santa, fu il pretesto di questa guerra di due se coli.
Tuttavia queste vessazioni non erano
altro che un accidente. Gli Arabi hanno
gran venerazione di Gesù, e danno prova
di grande rispetto per la fede che conduce
icredenti alla visita dei luoghi santi.
Nella prima metà dell'ottavo secolo un
vescovo Sassone fatto prigioniero, fu
tradotto davanti al capo degli Arabi per
essere giudi cato: poniamo mente alla sentenza del l'emiro: Leopoldo Delisle (Études sur la con dition
de la classe agricole inNormandie, au
moyen-âge) toglie dagli Archivi
nazionali di Francia (Sez. P. 305 n.º
38) il seguente testo del 1419 « En dit
lieu (de laRivière-Bourdet in Norman CULTO dia) aussi ay droitde prendre sur mes hommes et autres, qui se marient sur ma terre, dix soutz tournois ou je
puis et dois, s'il me plaist, aler cou chier aveque ' espousée, au cas
où son mary ou personne de par lui ne
paie 227 ligione positiva rendono a Dio
ed agli altri esseri sovranaturali. Il
culto pre senta tutti i caratteri dell'antropomorfi , roit >. Che laChiesa, non solo tollerasse,
ma pretendesse cotesto diritto, è
provato da fatti parecchi; se non che,
volle ella san tificarlo adducendo, che siccome le pri aver veduto mizie dėl matrimonio erano dovute a Dio, e gli sposi avevano l'obbligo di esser casti durante le prime tre notti
di matrimonio, così dovevano i vassalli
pa gare alla Chiesa la licenza di giacersi
insieme colla loro moglie subito dopo
averla sposata. Cattiva giustificazione di una triste causa, però che questa tassa applicata ai soli vassalli, è sicuro indi zio
della sua origine. Narra Boerins di in
curia Bituricenci (Bourges), coram
metropolitano, proces sum appellationis in quo rector, seu curatus parochialis , prætendebat, ex consuetudine, primam habere carnalem sponsæ cognitionem ». «
Altri fatti ci attestano che ildiritto di cullagio era percetto dalla Chiesa. Un decreto del 19 marzo 1409 toglie al ve scovo
d'Amiens il diritto di esigere una tassa
dagli sposi (Arch. de France X. 57)
Altro decreto del parlamento di To losa dato il 1 marzo 1558 vieta
all'ab bate di Sorreze di prelevare questa tas sa nella signoria di Villepinte-
Nel 1582 il Parlamento di Parigi fa lo
stesso divieto ai religiosi di
Saint-Etienne Egual divieto è fatto dal
parlamento di Bordeaux nel 1620 agli
Agostiniani di Limoges, e più tardi i
Canonicidi S. Claudio, da Voltaire tanto
giusta mente stimmatizzati , sequestravano i
beni matrimoniali della sposa che a vesse passata la prima notte di
matri monio col marito, invece di restare sotto
il tetto paterno. (Veuillot. Le droit du
seigneur au moyen age- Vedi anche
l'articolo AMORE in questo Dizionario.
Culto. Onore che i fedeli d'ogni re :
smo siccome quello il qual suppone
che Dio possa partecipare alle umane
fragilità e placarsi e diventar benigno
verso i suoi adoratori sol perchè essi
gli tributano quella sorta di omaggi
che, dal più al meno, rendono a tutti
i potenti della terra. L' idea di un
culto, infatti, riposa sopra l'assurda
credenza che la mente , la qual pur
si dice infinita , di Dio , attribuisca
un grandissimo valore agli effimeri o nori dei meschini abitanti di
questa molecola dell' universo, che si
chiama mondo. Appo i selvaggi l'idea
cardinale del culto si rivela con tutti
i suoi ca ratteri antropomorfi. Essi con adorano le potenze sovranaturali, se non in ra gione
del bene che possono sperare da loro o
del maleche da loro possono te mere. Il loro culto è meramente rego lato dai
rapporti che passano fra essi e gli
altri uomini, epperò rendono ai loro
idoli quegli stessi servizi o quegli stessi onori i quali sogliono rendere agli uo mini
più potenti di loro. I popoli della
Siberia rendono solenne culto e fanno
offerte ai loro Dei sol nei giorni di
sventura, e i Kamtscadali, come rife risce Feuerbach, per solito sono
molto parchi in queste offerte, nè
donano ai loro Dei altro che le ossa, le
reste e la testa dei pesci, dei quali,
com'è ben natu rale, essi non possono cibarsi. Anche i negri per solito non offrono agli Dei altro che le ossa e le corna delle loro bestie, e nell'antica Grecia Esiodo dice che Prometeo insegnava agli uomini di non offrire agli Dei altro che le ossa,
e a se stessi riservare la carne degli'
ani mali. Ma nontutti ipopolisono cosìpar chi nel loro culto, ecertiselvaggi
credono ancora di rendersi accetti ai
loro idoli ungendoli con grasso e
riempiendo il loro naso di tabacco,
imperocchè il ta bacco è cosa ad essi cara, e l'ungersi il corpo è usanza generale dove I' abbon danza
degli insetti rende n cessario di 228
CULTO mettere al riparo l'
epidermide dai loro perniciosi attacchi.
Gli insulari di Fidsci al loro Dio
offrono vivande, e in gene rale vediamo che l'idea del culto non si disgiunge mai da quella di offerta e di sacrificio, avvegnachè gli uomini
offrano agli Dei le cose cheper
lororeputano utili, ond'acquistarsi
laloro protezione e illoro appoggio;
ondechè il culto nei suoi pri mi elementi risolvesi in una sorta di con tratto
bilaterale, nelquale non si presta no onori senza promessa di beneficio. I Botocos, tribù degli Ottentotti, non ado rano
forse lo spirito del maledal quale tutto
possono temere, e albuonDio non negano
culto, poich' essi credono che sia un
buon vecchio incapace di far male ad
anima viva? Anche Randall narra che gli
indigeni delle isole Kingsmill
(Micronesia meridionale) dacchè furono
decimati da una orribile epidemia, per dettero ogni fiducia negli
spiriti a cui prima rendevano
culto. Di mano in mano che la civiltà si accresce anche il culto s'ingentilisce.
Il concetto della divinità che subisce
una elaborazione. metafisica, sempre più
si allontana dall'antropomorfismo
volgare ; l'uomo più non presume di
potere tor nar utile al suo Dio, ma da lui tutto attende, e lui adora come il sovrano di
spensatore delle grazie e dei castighi.
Allora alla triviale offerta dei selvaggi su bentra il sacrificio di
espiazione, e iriti e i simboli formano
le arcane cerimonie in soccorso delle
quali vengono le me raviglie dell'arte; e l'incanto della mu sica e degli odori
accrescono il culto da rendersi in onore
della maestà su prema. Però non sempre
le religioni civili si sono limitate ad
onorare il solo Dio, e il cattolicismo
specialmente ha distinto il culto in
varie specie delle quali qui appresso
parleremo. CULTO DI LATRIA, che
appartiene al solo Dio, ed intorno al
quale'tutte le chiese cristiane
concordano , siccome quello che è
comandato dalla scrittura e specialmente
dal primo comandamento della legge
Temerai il Signore Dio tuo e lui solo
servirai » (Deuter. VI 13). Però, non
tutti icredenti in un Dio per sonale si accordano intorno alla maniera di prestare il culto dilatria,
imperocchè propriamente questa parola
greca signi fica servire (da latreia, servo) e varie sono le maniere di rendere servitù. Tra il lusso smodato delle chiese cattoliche e la modestapovertà delle assemblee dei quaccheri i quali, secondo un detto e
vangelico, adorano Dio in ispirito e ve rità,
corrono tante diversità di culti
quante sono le Chiese e le comunioni
religiose. Nè mancano deisti i quali so stengono che il culto
daprestarsi a Dio deve essere puramente
interno, e ogni culto esterno rigettano
siccome inutile e superstizioso e
sgradito alla divinità. Ma costoro mal
ragionano, avvegnachė sia facile il
dimostrare che, o Dio è un essere
veramente antropomorfo, e percid gusta e
ambisce gli onori, e allora l'ono rarlo esternamente e conquella maggior pompa che siapossibile è atto doveroso e non superstizioso ; oppure gli onori non ama, e allora l'adorazione, sia inter na
od esterna, non cambia natura din nanzi ad un essere per il quale non esi ste
nè dentro nè fuori, nè sopra nè sotto, e
al cui cospetto ogni cosa è palese.
CULTO DI IPERDULIA, con cui viene o norata la Vergina Maria, madre di
Dio, la quale per la Chiesa cattolica
essendo nata immacolata, merita un culto
supe riore a quello degli altri esseri del
Paradiso. CULTO DI DULIA, il
quale nella Chiesa cattolica rendesi ai
santi pei doni sopra naturali ond'essa dice che furono da Dio favoriti. Tutte le Chiese protestanti
con unanime accordo rigettano questo
culto, non meno che quello di iperdulia,
sicco me superstizioso econtrario alla scrittura e non mai praticato dai cristiani dei primi quattro secoli. In quanto alla scrit
tura essi dicono che quando alcuno dei
suoi discepoli domandò a Gesù Cristo:
Fondandosi su queste considerazioni,
il Prof. Mantegazza conchiude che le dif ferenze caratteristiche che si
notano fra gli animali dei due sessi,
devono attri buirsi alla natura speciale della secre zione spermatica, laquale
imbevendo per riassorbimento tutti i
tessuti ne modifica profondamente la
nutrizione, facendo ap parire nuove forme, nuovi colori, nuovi caratteri anatomici e fisiologici. Il Dar win
inunalettera del 22 settembre 1871
dichiarò di non poter credere che l'as sorbimento del liquido spermatico
possa modificare i tessuti dell'animale
che lo secreta; ma questa denegazione
del sa piente transformista inglese, non toglie
che le obbiezioni del Mantegazza siano
di qualche peso, e che la sua ipotesi
acquisti tanta maggior evidenzainquanto
par verificata da un certo numero di
fatti abbastanza capitali. Invero, pri ma della pubertà, come osserva
Mante gazza, il maschio e la femmina si rasso gliano tanto da non poterli
distinguere, e la vecchiaia fa spesso
scomparire i caratteri sessuali
secondari, i quali pure non si
sviluppano se il maschio è ca strato. Sappiamo che agli eunuchi non cresce la barba, chelaloro voce conser
vasempre un timbro infantile eche giun gono all'età matura assumendo abitudi
dini più femminee che virili; e sappia mo pure qual differenza esista fra
il bove e il toro, fra un gallo ed un
cap pone. Del resto, m' affretto a
soggiungere che se il Mantegazza contrasta
l'elezione sessuale, non nega però
l'influenza del l'elezione naturale. Mi pare anzi che la DARWINISMO sua teoria della neogenesi si risolva ancora in questo ultimo genere di ele zione.
Spieghiamo in poche parole que sta teoria. La regola normale della ge nerazione
è che il figlio è sempre di verso dal padre o dalla madre, ma che questa
diversità è però così accessoria
241 normale, mentre invece quando
l'eredità immediata è quasi nulla, e
prepondera no gli elementi atavici, cioè la som madi molte modificazioni già
compiute nel passato, la nuovaforma si
dice nata che nonbasta a costituire per
se sola alcun carattere speciale che lo
diversifi chi dai parenti. Non sono però tanto
rari i casi di generazione anormale, nei
quali il figlio presenta caratteri nuovi
non propri dei genitori, ed è appunto
in questi casi eccezionali, i quali si di scostano dalla legge normale
dell'eredità fisiologica, che si
verifica la neogenesi, o generazione
nuova, improvvisa, che può costituire
una varietà più o meno permanente. Tostochè,dice Darwin, qualche antico membro della grande famigliadei pri mati, o
pel cambiamento nella maniera di
procurarsi la sussistenza o per mo dificazioni nel paese primaabitato,
sarà stato ridotto a vivere meno sugli
alberi, il modo di camminare avrà
dovuto modificarsi, esso sarà divenuto
obipede o veramente quadrupede. I
cinocefali L'uomo solo è divenuto
bipede, ed io credo che, almeno in
parte, noi possia mo capire com' egli abbia acquistata l'andatura verticale. Egli non avrebbe mai raggiunta la sua posizione domi nante nel
mondo, senza l'uso delle sue mani , cost
appropriate ad obbedire alla volontà. Ma
braccia e mani non avrebbero mai potuto
divenire organi così perfetti da poter
fabbricare delle armi, lanciare pietre e
giavellotti con giusta mira, se avessero
dovuto servire abitualmente per muovere
il corpo, o per sopportarne il peso;
tanto meno poi se avessero continuato a
servire per arrampicarsi sugli alberi;
avvegnachè presso le scimmie, essenzialmente
ar rampicanti, il pollice è quasi sempre
rudimentale e la mano è un vero un cino. Un servizio così grave
avrebbe d'altronde tolto in gran parte
il senso del tatto, dal quale dipendono
princi palmente gli usi delicati acui servono
le dita. Queste sole cause sarebbero
bastate perchè la stazione bipede fosse
vantaggiosa all'uomo; ma vi sono molte
altre azioni che richiedono la libertà
delle due braccia e della parte supe riore del corpo, il quale deve
perciò riposare fermamente sui piedi.
Per rag giungere questo risultato vantaggioso,
i piedi sono divenuti più piatti e il
pollice si è singolarmente modificato,
perdendo ogni attitudine a prendere i
corpi, per l'opposizione alle altre dita.Ma vi sono selvaggi nei quali il piede non ha tuttavia perduto interamente la fa coltà
di prendere, come lo dimostra la lor
maniera di arrampicarsi sugli al beri, e i diversi altri usi in cui l' ad
destrano ». Escluse così,le differenze
organiche sulle quali la vecchia
anatomia soleva fondare il carattere
specifico del tipo umano, Darwin
prosegue a combattere 244 DAVIDE DE
DINANT la scuola psicologica, la quale
fonda questo carattere sulla superiorità
intel lettuale dell' uomo. Questa superiorità
non è certamente contestabile, ma essa
non esclude però il fatto di una passata
inferiorità morale, nè si riesce a stabi lire tra l'uomo e gli animali
superiori alcuna differenza essenziale
fuorchè con frontando la capacità intellettuale dei bruti con quella delle razze umane su
periori. Ma tosto che si scende alle in fime razze, quando si osservano gli
usi e i costumi e le morali attitudinidi
certi selvaggi inetti finanche a contare
oltre il numero cinque, allora si
capisce di leggeri, che gli uomini meno
sviluppati, stanno sui confini della
classe più ele vata degli animali, sulla grande intelli genza dei quali tante
sono oramai le testimonianze raccolte
che non v'è più alcuno che non le
sappia. Fondato su queste osservazioni, Darwinnonteme questa volta diaffer mare che
l'uomo é derivato dal regno animale. Ma
qual sarà il nostro imme diato progenitore ? Le nostre cognizioni attuali non possono rispondere a que sta
domanda. Forse l'uomo non è de rivato da nessuno degli antropoidi vi venti, ma
piattosto da una forma in termedia fra esso e le scimmie. Questo anello che avrebbe potuto congiungerci col regno scimmiesco andò perduto, nè gli archivi fossili della terra
finora ci hanno fornito le tracce per
ritro varlo. Ad ogni modo, bisogna ritenere
che in quest'ipotesi, se noi non siamo
i figli, siamo certamente i nipoti delle
scimmie. Fatta astrazione di queste
forme perdute Darwin traccia, così al l'ingrosso, la nostra geneologia
facendo derivare l'uomo alle scimmie
dell' an tico mondo, le scimmie dai lemuri che
tanto le assomigliano e che sarebbero
un ramo parallelo,il ramo cadetto dei
mammiferi ordinari. Che i lemuri si
innestino sul ramo dei marsupiali a
Darwin pare probabile. Dai marsupiali
ai monotremi il passo è breve e da
questi ai rettili non corre gran diva rio. Facilmente i rettili si
confondono cogli anfibi e coi pesci, e
questi colle ascidie, forma più
inferiore delle specie acquatiche.
Secondo la novella teoria Darwinianauna
delle più infime forme acquatiche
sarebbe stato nei tempi re motissimi il progenitore dell' umanità (v. anche l'articolo CAUSE ATTUALI). Ba gnato
dalle onde del mare,questo no stro antenato ha dovuto subire l'alter na fortuna
delle maree lunari; e para a Darwin che
questa influenza possa a vere qualche rapporto con la caduta delle uovae lemestruazioni della don na, che
appunto si ripetono fra i periodi
lunari. Concordanza, se vogliamo, un
po'forzata, poichè, come osserva Ed mond Perrier, se fosse vera dovrebbe verificasi negli altri animali , il che non è.
Del resto, giova notare che gli er rori possibili nelle induzioni che si fanno per scoprire la geneologia dei viventi, nonpossono in alcuna maniera infirmare il Darwinismo. Il concetto che dobbiamo avere di questa teoria non può limitarsi negli angusti limiti genealogici; ma deve abbracciare il granprincipiodella trasformazione delle specie prodotta da quelle stesse cause che anche attualmente agiscono sul mondo dei viventi. Il determinare poi quali specie precedano le altre nell'or dine
del tempo,da qualtipo l'uomo sia
immediatamente derivato. e se da una
o da più coppie, sono questioni com plementari ma non essenziali pel Dar
winismo (v. MONOGENESI E POLIGENESI).
Davide de Dinant. Filosofo
scolastico che visse nel secolo XII e
forse al principio del XIII. Di lui s'i gnora la data precisa della
nascita e della morte, e sol ci è noto
per il De ereto di un concilio di Parigi (1209)
che danna al fuoco le opere sue, e per
quanto ne dice Alberto il Grande, il
quale gli attribuisce un libro sugli
atomi. Par che Davide combattesse l'a tomismo di Leucippo e di Democrito e tutte le cose esistenti nell' universo DE
BONI dividesse in tre classi: i corpi,
le ani me e le idee. La materia prima,senza
attributo e senza forma, costituisce la
essenza dei corpi, le qualità dei quali
non sono quindi altro che semplici
apparenze percepite dai sensi, ma sen za realtà. Il pensiero è invece
l'essen za dell'anima, e Dio quella delle ideę.
Par che poi questi tre caratteri della
realtà, nel pensiero diDavide, si con fondessero in una sola unità
universa le, d'onde forse il sospetto di pantei smo che gliene derivò, e la
condanna del concilio. Davide l'armeno. Filosofo re putatissimo
nell' Armenia, ma che da noi, senza gran
danno, sarebbe forse sempre stato
ignorato,se il signorNeu 245 cero disumare
il suo cadavere e lo consegnarono alle
fiamme. De Boni (Filippo). Nacque a Feltre nel 1817 e fu uno dei più illu stri e
sinceri rappresentanti della po litica e della filosofia. Insigne filosofo e libero pensatore, la politica militan te
non fu per lui sfogo sfrenato di
passioni compresse, ma mezzo neces sario per tradurre logicamente e libe
ramente in atto i principii esposti dal la libera filosofia. Nessun divorzio
egli mai tollerò fra queste due scienze,
di cui l'una è il pensiero l'altra
l'azio ne della rivoluzione moderna. A que sto tanto armonico sistema che
mai mann non ce lo avesse fatto conosce
re con le sue traduzioni. Nacque a
Herten,villaggio Armeno, verso l'anno
450 e mori sul principio del VI seco lo. I suoi connazionali lo dissero
il esa gerazione solita a incontrarsi
fra gli orientali. Egli scrisse un libro
intitola to: Definizione dei principii di tutte le cose, nel quale dice che le cose tutte constano della sostanza e dell'acciden te; la
sostanza divide in prima e secon da, e la seconda in sostanza speculati va e in
sostanza attiva. Un altro libro
intitolato: Fondamento della filosofia,
è una confutazione del pirronismo a
tutto beneficio della filosofia plato uica. Davidisti . Seguaci di un tal Giorgio David, pittore di Gand, il qua le
nell' anno 1525 facendosi credere il
Messia disse di essere stato inviato
dal padre per riempire il vuoto para diso. Non ammetteva matrimonio, ne
non precipita gli eventi, ma sempre li
sospinge innanzi col desiderio del
meglio e la coscienza di volerlo, egli
dovette quella calma polemica, lonta na d' ogni astiosa smania,per la
qua le tanto fu caro agli amici e dai ne mici rispettato. Per sottrarsi alle persecuzioni del l'
Austria, esulò nella Svizzera e nel
Piemonte, dove dall'anno 1846 al 1867
pubblicò l' effemeride: Cosi la penso,
cronaca di Filippo De Boni, che è un
fedele riassunto del movimento della
nostra nazionale indipendenza, e una
continua e formidabile accusa contro
la istituzione del papato, allora rispet tata assai. E all' elezione al
pontifica to di Pio IX, quando ancora l' Italia, per uno di quei traviamenti di cui la storia ne offre tanti esempi, inneggia va
alla liberalità del nuovo pontefice e
padre del popolo lo acclamava e sal vatore della libertà,solo ilDeBoni ten to
comprimere quell' inconsulto slan cio, e avvertire il popolo che vana era la sua speranza, perciocchè all' I talia
mai non venne utile alcuno dai gava la
risurrezione, il peccato origi nale e ' abnegazione evangelica. Es sendo
perseguitato fuggì daGand eri- straniere.
coverossi sotto il nome di Giovanni
papi, e loro opre erano le invasioni
Bruch a Basilea, dove morì nell' anno
1556, lasciando credere che tre anni
dopo sarebbe risuscitato. Dicesi che
scorso questo termine i magistratife Pochi lavori di criticaletteraria
ne lasciò egli, e fra tutti vuol essere
men zionata una prefazione alle lettere di
Jacopo Ortis, stupendo lavoro nel qua le stabilisce un giustissimo ed
artisti 246 DE BONI co confronto fra Verber e quel nostro ingegno italiano. Ma i suoi scritti di filosofia, e della filosofia della
storia, illustrarono specialmente il suo
nome e più di tutti giovarono alla
causa della libertà del pensiero. Bello
è il libricciuolo intitolato '
Inquisizione e i Calabro-Valdesi, nel
quale si dimo strano le crudeltà della Chiesa contro i dissidenti nelle provincie meridiona li;
bellissimo lo scritto sulla incredu lità italiana del medio evo; ma sopra tutto
meritano menzione i sette sacra menti, dei quali i primi due soltanto furono compiuti, e sono un monumen to di
storia e di critica religiosa, spo gli di indigesto sapere e di erudita petulanza, e prova inconfutabile del come nascono e si formano per lenta aggregazione, i dommi della Chiesa. La sua versione della Vita di Gesù di Renan è pregevole sopratutto per una sua prefazione, che vince in bel lezza
l'arte stessa di quel romanzo, chè
invero difficilmente altro nome po trebbe darsi a quel panegirico diGesù. ❘ e
dogma fu in ultimo il titolo adotta tato, quando lo scritto venne in luce per iniziare una biblioteca del libero pensiero.
Un passo di quel libro ove si ac cennava alla persistenza di una reli
gione avvenire, fu per me cagione di una
corrispondenza, colla quale il De Boni
volle spiegarmi l'oscuro senso di quelle
parole. Opportuna cosa per tanto mi pare il farepubblica la par te della
lettera che è l'autentica, seb ben postuma, interpretazione di quel suo pensiero... « Non ho saputo spie garmi, o
per la fretta del conchiudere o per la
paura del soverchio ripetermi «Io non
ammetto veruna religione positiva. Ma
ciò non basta. La paura degli uomini per
le nostre dottrine è nel credere che la
sanzione d'una re ligione positiva sia necessaria per la morale. È mio intento mostrare che questa sanzione è altrove, che il do gma è
ostacolo non aiuto all' irrag giamento nella coscienza umana delle leggi morali. Alle continue rivelazioni, agli antichi rivelatori io sostituisco l'umanità; essa è rivelatrice fedele e DeBoni stesso vedeva i difettidi quel | lavoro con cui Renan, rompendo vio lente le
sue scientifiche tradizioni, vol- | perpetua a se stessa. Essa lo fece an le descrivere,
sulle tracce degli evan geli, la cui autenticità, per altro, in gran parte contesta, un Gesù uomo, superiore all' umanità. E De Boni, ri
spondendo a questo appunto, mi scri che per il passato ma inconsciamente; ora la scienza la conduce a farla con
sciamente. veva: « Io non ammetto
rivelazione alcuna. Cristo, l'uomo-Dio,
non è al tro che la umanità che divinizza se
stessa. E Gesù, se ha esistito, ha pro prio i suoi difetti come le sue
virtù. >> Ragione e dogma fu
l'ultimo dei suoi scritti . Egli
dettavalo a Nervi quando solitario
passeggiava lungo la spiaggia del mare,
meditando sui pe ricoli, sulle speranze della patria. Il manoscritto portava in prima un al tro
titolo: Durante i crepuscoli, ed era no davvero i crepuscoli della sua tor
mentosa vita, che già in sul declino,
per consiglio di medici cercava pro lungare in quel dolce clima.
Ragione DeBoni non solo combattette
dun que per la libertà politica, ma i suoi
ultimi anni volle anche specialmente
impegnare in quella guerra secolare
che laRagione sostiene contro la Fede.
La caduta della teocrazia e Roma ri data all' Italia furono il suo
precipuo scopo, il pensiero che detto i
suoi ul timi scritti. E quandoMazzini, temente
di combattere in uno la potenza delle
baionette straniere e la fede cattolica,
alla sola Venezia voleva rivolte le no stre forze, De Boni mal non si
appo neva dicendo , che l'azione nostra
contro Roma mai non potrebbe dirsi
precoce e immatura, e mai nonsi do vesse sacrificare, coll' astenzione,
sul l'altare dei pregiudizi. Nè con
tali ultimeparole egli esa gerava il suo stato: doveva morire po vero, come
povero era vissuto. Da parecchi anni
nelle sue lettere spesso lagnavasi di un
lento malore che lo travagliava. Pure fu
sempre assiduo alle sedute della Camera,
nel la quale rappresentava il collegio di
Tricarico. La sua voce mai non fu
muta nelle gravi quistioni che si di batterono in questi ultimianni,
espee so quasi solo difese quei principii di
libertà di coscienza e di libero pen 218
DECIMA șiero, che st raramente si
accoppiano , offrire al Signore la decima delle cose nel maggior numero di coloro che so no devoti
alle idee della democrazia. Ma le sue
forze mal rispondevano oramai agli
impeti generosi del cuore. Non s'
illudeva già sul male che len tamente lo prostrava, e agli amici ri peteva, che
era uomo morto. Un pro cesso per diffamazione tentato contro di lui aNapoli fin da quando, con co raggioso
proposito, assumeva la re sponsabilità di quanto altri scrivevano in un giornale liberale che colà era rimasto senza gerente, rinnovavasi con strana pertinacia all' incominciare di ogni vacanza parlamentare e di nuovo sospendevasi quando, all' aprirsi della sessione, egli rientrava nei diritti del la
inviolabilità della deputazione. No vellamente fu pure ripreso in questa ultima proroga e minacciava già di essere condotto alla fine, quando per consigli d' amici, e accusatori e accu sato,
vennero ad un onorevole accordo pel
quale fu tolto dal suo capo il pe ricolo di una detenzione che, senza dubbio, cagionato avrebbe la sua fine. Ma fu guadagno di poco momento, Verso la metà del mese di novembre dell'anno 1870, mentre riedeva dal so lito
bagno freddo che egli prendeva per
consiglio del medico, cadeva sve-. nuto
sulla piazza di Santa Croce in Fi renze. Trasportato al villino Schwart zemberg
ov' egli dimorava, più non ne uscì che
col funebre convoglio, il qual doveva
accompagnarlo alla tom ba, non acquistata, ma concessa alla sua salma dalla pia liberalità di un amico.
Decima. Come ' indica il nome,
così chiamasi il diritto del clero o della Chiesa di percepire la decima parte dei prodotti o delle rendite dei fedeli.
Coloro i quali sostengono che la decima
è di diritto divino citano parecchi
testi del l'antico Testamento, che, per verità, sono favorevoli al loro asserto. Quando Gia cobbe
svegliossi dal sogno in cui aveva veduto
la scala misteriosa, si propose di che
avrebbe acquistate (Genesi XXVIII,
20,22). L'Esodo e il Levitico prescrivono espressamente al popolo di pagare le decime e le primizie (Es. XXII, 29 Lev. XXVIII, 30), e unaltro libro della Bib bia,
dice che Dio diede ad Aronne ed ai
Leviti le decime, le oblazioni e le pri mizieindiritto perpetuo(Numeri.
XVIII), Il Nuovo Testamento non parla di
deci me: la carità è il fondamento della nuova
legge e par che Gesù facesse molto as segnamento su questa virtù del
suo greggie, poichè mandando gli
apostoli a predicare alle genti, lor
vieta espres samente di prender seco nè denaro, nè borsa, nè due tonache, nè scarpe, nè altra cosa per il loro vestito o pel so
stentamento, perciocchè i fedeli son quelli
che devono mantenere gli operai del
Signore (Matt. X. 9. 10-MarcoV17,8-Luca
IX, 3) Adunque nei primi tempi del cri stianesimo i ministri dell'altare
vivevano delle offerte dei fedeli, onde
S. Ilario vescovo di Poitiers, potè
scrivere che il giogo delle decime era
stato tolto da Gesù Cristo. Ma il clero
cristiano, così come quello dei leviti,
non potè star lungamente alsobrio regime
della carità, onde la decima risorge ben
presto, e il Concilio di Macon dell'
anno 585 è il primo che ingiunga, nel
suo quinto ca none, di pagare la decima ai sacerdoti sotto pena di scomunica. I capitolari di Carlomagno ne regolarono la distribu zione e
nel 1179 il Concilio lateranense
dichiarò che le decime erano di precetto
e le estese, oltre ai prodotti agricoli, e ziandio al profitto derivante
dalla mano d'opera e dall' industria
(Selden Storia delle decime). Infatti il
concilio di Tro sly nell'anno 919 vi assoggetta tanto il soldato che
l'artigiano:>>>L'industria che
vi fa vivere, dicono i padri di quel con cilio, appartiene a Dio; dunque
voi glie ne dovete la decima » (Bergier.. Diz.
Tcol). I modi di esazione della decima
erano coattivi e i decreti civili si uni vano ai precetti ecclesiastici
per rendere quel peso insopportabile. Francesco
I. DEDUZIONE E INDUZIONE con Decreto 1.
marzo 1545, ordina che prima di
trasportare ilgrano dal campo sia pagata
la decima sotto pena di con fisca; egual decreto è dato dal governo belga nel 1650, e Carlo IX il 14 agosto 210
tori ecclesiastici, nè i concili dei primi otto secoli hanuo maicitato quelle false Decretali; che nessuna di esse discorre 1568 gli stessi proprietari rende respon
sabili della decima. Nuova specie di de cimaeraquella conosciuta sotto il
nome di Norale, e colpiva ogni
dissodamento dei terreni, i tentativi di
nuove semina gioni, ogui miglioramento, ogni progres so. Invano Carlo V colle
sue lettere pa tenti tentò di impedire che le popola zioni fossero « oppresse
nell' occasione della levata delle
decime > ; le proteste del clero 1
obbligano a interpretare le sue stesse
parole e a concedere l' ulte riore esazione delle Novali. Finalmente nell' Assemblea francese il 10 agosto 1789 Mirabeau tuona con tro le
decime, che sono allora abolite di diritto
e di fatto su tutto il territorio della
Repubblica. Poco di poi le altre nazioni
seguono l'esempio; così la deci ma è cancellata dagli oneri civili, ma nondimeno essa continua a sussistere fra i precetti della Chiesa, i quali ne impongono il pagamento come un dovere imperioso di coscienza. Decretali. Raccolta dei Decreti che furono attribuiti ai papi dall' anno 93 in avanti, e costitui per tanto tempo il fondamento del diritto canonico. Que sta
raccolta è attribuita a un tal Isidoro
Mercatore, che si suppone vivesse nel
IX secolo, sul conto del quale null'al tro si sa che il nome, e fu
approvata da papa Nicolò I. Oggidì niun dotto cattolico osa met tere in
dubbio che buonnumero di que ste Decretali, e specialmente quelle di tutti papi anteriori a Siricio non siano apocrife, e in tal giudizio è indubbia mente
convenuta la critica appoggian dosi a molte e varie considerazioni, fra cui meritano di essere accennate le se
guenti: Che i passi della Bibbia citati in
quei Decreti son tutti tolti dalla tradu zione di S. Gerolamo, che fu
posteriore a tutti quei papi; che
nessuno degli au fondatamente delle cose opportune al tempo incui si suppongono redatte ; che in alcune si trovano interi passi di De creti
fatti dai papi posteriori; e final mente che le date segnate coi nomi dei Consoli sono false. Può credersi che uno dei principali motividi questa falsificazione quello
fosse di dare una cotal sorta di
retroattività alle pretese del papato,
imperocchè fog giandosi i Decreti dei primi papi vole vasi specialmente
mostrare che i vescovi di Roma, fino dai
primi tempi del cri stianesimo, erano sovrani della Chiesa e autorizzati ad approvare di loro pieno arbitrio l'obbligo dei concili,o a disappro
varli se convocati senza il loro assenso ;
di regnare sovrani sugli altri vescovi,
scomunicare i re e detronizzarli. In
quella raccolta furono perciò alterati i
canoni dei Concili, ed aquello di Ni cease ne aggiunserobencinquanta,
tutti apocrifi. Nonostante però le grossolane im. posture ond'erano pieni quei Decreti, corsero essi per assaitempo nelle manı del clero come autentici, molti concili e molti vescovi appoggiarono su di essi le loro decisioni; Wicleff e Giovanni Huss furono condannati dal Conciliodi Costanza anche perchè le avevano di chiarate
false, eilV.concilio di Laterano tenuto
sotto Leone X condannava Lu tero per lo stesso motivo. Tante deci sioni
infallibili non tolsero che fin dal
secolo XVII la critica si levasse pode rosa contro questi atti apocrifi,
sui i quali David Blondel scrisse un'opera laboriosa, intitolata: Pseudo Isidorus
et Turrianus vapulantes (Généve
1628). Anche il Cardinal Baronio dovette
ri conoscere la falsità delle Decretali
(Annali A. D. 865), la cui autenticità
oggimainessun teologo romano piùnon
osa sostenere. Deduzione e
Induzione. De duzione, da deducere, è parola novella 250 DEDUZIONE E INDUZIONE mente introdotta nella filosofia per in dicare
l'operazione del pensiero, il quale da
un principio generale cava fuori,
deduce, una verità particolare, in
opposizione dell' induzione , la quale
dalle verità particolari s'induce a sta bilire i principii generali.
L'inferiorità del metodo deduttivo in
confronto di quelloinduttivo può
stabilirsi per quelle stesse ragioni che
ai cultori della filo sofia sperimentale fa preferire il me todo analitico a
quello sintetico, le ve rità accertate a posteriori a quelle stabilite a priori. ( V. ANALISI e A POSTERIORI). Non possiamo in fatti ra
gionevolmente pretendere di stabilire dei
principii generali, se prima non conosciamo
le verità particolari che concorrono a
formare la generalizza zione. Dal vedere che l'oro, il ferro, il rame ecc. si liquefanno al fuoco, con
chiudo colla verità generale, che tutti
i metalli sono suscettibili di liquefarsi al fuoco. Dal vedere che i gravi ca dono
verso il centro della terra, con chiudo che negli altri corpi celesti i gravi seguiranno la stessa direzione. Osservando che in tutti itriangoli da ine veduti la somma dei tre angoli corrisponde sempre a due angoli retti, ne inferisco che questa relazione è as soluta
e si verificherà in tutti i trian goli possibili nel mondo o negli astri. Tutti questi sono argomenti condotti coll'induzione, tanto acconcia alla ca
pacitàdegli uomini; poichè innanzi tutto
l'uomo percepisce le accidentalità par ticolari che cadono
immediatamente sotto i suoi sensi, e non
è mai senza una continuata osservazione
di queste accidentalità, ch'egli riesce
a stabilire i principii generali, d'
onde emanano. Invano noi cercheremmo di
avere l'idea del genere se prima non
avessimo con cepita quella della specie, nè quella della specie sarebbe accessibile al no stro
intendimento se non avessimopri mabenconosciuti e studiati tutti i ca ratteri
degli individui che la compon gono. Questa è la ragione per cui nelle lingue dei selvaggi mancano assoluta mente i
vocaboli esprimenti le idee generali.
Gli australiani hanno bensi nomi
particolari per indicare ogni sorta di
piante, ma non hanno parola per indicare
una pianta in genere, il che vuol dire,
che essi non sono ancora riusciti a
riunire per astrazione tutti i caratteri
speciali e comuni della grande
vegetazione, nella ideagenerale chenoi
esprimiamo colla parolapianta. Il tem po soltanto e la continuata
osserva ❘zione potranno condurre i selvaggi dalle idee particolari alle generali ; e sarebbe una assurdità filosofica il vo lere
stabilire nella filosofia un metodo
contrario a quello che segue la natura
nelle percezioni ch'essa ci dà di se
stessa. Il perchè anche lalogica ripu gna al metodo deduttivo, tanto
caro ai metafisici, e pur tanto
contrario al l'ordinario procedimento del nostro pensiero. Invero, se la conoscenza delle verità particolari non fosse necessaria perstabilire i principii generali, noi do
vremmo essere sorpresi che iselvaggi e i
bambini non riescano mai a inten dere i grandi principii che costituisco no,
per cosi dire, tutta la sintesi della
scienza. Ma se noi ammettiamo che le
idee generali s'acquistano soltanto dopo
la conoscenza delle particolari, saremo
forzati a convenire che il metododedut tivo non può mai nulla dinuovo
rive larci che già non ci sianoto, a meno chè non deduca da principii
generali supposti a priori, e quindi non
dimo strati. E veramente, quando il metodo
deduttivo dall' esistenza di Dio deduce
la necessità di una giustizia nel mon do, suppone in Dio
lageneralizzazione dell'idea di
giustizia, ma non dimostra che questa
generalizzazione sia anche una realtà.
Ben più, esso non fa altro che ripetere
in senso inverso una ope razione che l'induzione aveva già com piuta in modo
diretto, avvegnachè sia stato in grazia
della osservazione della necessità di
una giustizia particolare nel mondo, che
l'uomo ha potuto ele DEFINIZIONE varsi
alla generalizzazione astratta di una
giustizia divina e universale. Adunque,
il metodo deduttivo per essere vero, e
per avere un valore pro 251 di nuovo mi
rivela, e sempre mi porta a quegli
stessi dati che io aveva pri ma d'incominciare la divisione. prio, deve necessariamente supporre in noi delle idee innate, dei principii ri
velati a priori, i quali non ci siano
pervenuti per la via dei sensi. E chi
non ammette l'esistenza di questi prin cipii rivelati, è necessariamente
con dotto a riconoscere che le verità inse gnateci dal metodo deduttivo non
sono che una vana ripetizione e uno sfac
ciato plagio di ciò che già era noto per
mezzo dell'induttivo. Ma se il metodo
deduttivo non ha alcun valore proprio,
può nondimeno giovare nel ragionamento
come prova della induzione, e può anche
venire in soccorso della dialettica col
sillogismo, il quale, secondo le regole
della scuo la, ponendo innanzi tutto una premessa generale, da quella deduce una conse guenza
particolare. Ogni corpo è dotato
d'estensione; io sono esteso, dunque sono un corpo. Oppure : Ciò che non ha e tensione
non esiste; ma lo spirito non ha
estensione, dunque lo spirito non e siste. Ecco due deduzioni sillogistiche perfettamente logiche e intorno alle quali nulla vi è a ridire. Ma se la de
duzione ci giova egregiamente come mezzo
di prova, nulla però ci rivela che già
non ci fosse noto. Infatti noi non
avremmo potuto dedurre alcuna
conseguenza dal principio generale che
ouni corpo ha estensione e che ciò che
nonhaestensionenon esiste, seprimal'in
duzione, partendo dal fatto particolare
della percezione che i nostri sensi im mediatamente hanno di ogni singo
lo corpo, non avesse potuto stabilire i
principi generali sopra enunciati. Mi
sia dunque lecito di dire, che la dedu zione è per l'induzione, ciò che
per l'aritmetica è la moltiplicazione,
consi derata come prova della divisione. Que st'ultima, infatti, rifacendo
l'operazione della prima, può provarci
se in quella io abbia o nonabbia errato,
ma nulla Per analogia noi direm dunque
che il metodo induttivo è controllo e
prova delle false dimostrazioni, ma
nulla ci rivela . Invece il metodo
rivelatore, quello che nelle scienze
guida si curamente alla scopertadei nuovi prin cipii, è l'induttivo, il quale,
nelle sue indagini dal noto all'ignoto,
dal parti colare al generale, si fonda sempre sul principio che ogni effetto suppone una causa, la quale esso tenta di scoprire colla scorta dell'altro principio che
data la medesima sostanza e le stesse
condi sioni, gli effetti devono essere sempre
eguali. Quindi è, che conosciuto l' ef fetto e trovate le condizioni in
cui si è prodotto, l'induzione può
scoprire la sostanza o la causa che
l'hanno gene rato. In questo senso Bacone ben si apponeva discreditando il sillogismo perproclamare la prevalenza dell'indu zione.
Il sillogismo fu, infatti, il solo mezzo
di indurre della vecchia scuola, la
quale fin'anco ignorava la parola
deduzione, comparsa nei dizionari dei
nostri tempi per opporla al metodo in duttivo inaugurato da Bacone.
Questa è anche la ragione per la quale.
si passi dal generale al particolare, o
dal par ticolare al generale, suolsi sempre dir
che si deduce, quantunque più propria mente in quest'ultimo caso
dovrebbe dirsi che s' induce. Definizione. Due sorta di defini zioni
distingue la filosofia: le nominali e le
reali. Le primeson quelle che de terminano il senso in cuidevono inten dersi le
parole ; le seconde invece con siderano le qualità stesse delle cose che le parole rappresentano, e le determi nano.
Il difetto di buone definizioni è la
causa precipua della maggior parte
delledispute filosofiche, ondesivedequan to importi, per evitare ogni
contraddi zione, di bene e chiaramentedefinire le cose di cui si parla e il senso della pa role
che si adoperano, e quanto sia ri 252
DEFINIZIONE provevole l'uso di
coloro che, per ri spetto ai pregiudizi dominanti, usano certe parole in un senso che è ben di verso
da quello che hanno nell'uso co mune, senza farle innanzi tutto prece cedere da
una chiara ed esplicità defi nizione del nuovo e inusitato senso con cui quelle parole vengono intro dotte nel
discorso. Accade sovente di vedere degli
uomini profondamente in creduli esaltare il sentimento religioso; il perchè essi per sentimento religioso intendono un qualche cosa che si av vicina
alla morale, alla cognizione e
all'osservanza dei doveri nostri. Costoro evidentemente abusano delle parole, av
vegnachè per sentimento religioso da
tutti s'intenda quella aspirazione che i
credenti provano verso Dio, e quel ta cito bisogno che essi hauno di
render gli un culto. Accade lo stesso
anche nelle defini zioni reali. Quando la natura delle cose di cui si parla non è bene e chiara mente
definita, non si può sperare di
ragionarvi sopra con fondamento. Se lo
spirito fosse meglio definito non si ve drebbe le tante fiate confuso
con la forza, da quei cotali i quali
prendendo lo spirito nel senso di una
attività che muove l'universo, credono
di ridurre alle strette i materialisti
dicendo loro : fonderlo colla forza, la
quale è una funzione inconsciente non
creatrice, relativa ai corpi e cosi
strettamente congiunta con la materia,
che distrug gendo questa quella sarebbe distrutta al tempo stesso.
La confusione che spesso si fa tra
l'ente e la funzione dipende dunque da
un difetto di definizione, che non sarà
mai bastantemente lamentato, inquan tochè talora si spenda vanamente
un tempo prezioso in controversie che,
in fin dei conti, si risolvono in una
mera questione di parole. Ma dalla necessità della definizione come mezzo adatto ad esporre e a ri chiamare
alla memoria il meno imper fettamente che sia possibile le cose ve dute, alla
defininizione considerata come principio
corre un abisso. Si tenga bene amente,
che ledefinizioni possono farsi soltanto
sulle cose note, e che ogni de finizione piuttosto che essere un princi pio
generale e sintetico, non è altro che un
esame analitico delle proprietà della
cosa definita. Il triangolo, dice
Condillac, si definisce chiamandolo una
superficie determinata da tre linee. Ma
se questa definizione ci dà una idea del
triangolo, si è perchè abbiamo veduta
quella figura; se non l'avessimo veduta
non avremmo mai pensato a definirla.
La definizione in se stessa nulla rivela
> (Argomento di Mazzini). Delresto, se i credentinelle religioni non si accordano fra di loro intorno ai principii della fede, convien dire che i deistinonsi accordano meglio fra di loro intorno ai limiti e alla potenza del
loro Dio. Clarque distingue quattro
classi di deisti che più propriamente si
possono ridurre a tre : 1° Quelli che
ricono scono un Dio senza provvidenza, indif ferente alle azioni degli uomini e
agli avvenimenti di questo mondo; 2º
quelli che credono in un Dio e in una
prov videnza, ma negano le pene e i premi
dell'altra vita. 3º Finalmente quelli che credono ai premi e alle pene della vita futura e ammettono la provvidenza di vina. A
quest'ultima classe appartengono tutti i
deisti moderni. Kantpoi, con una
divisione affatto arbitraria, distingue il Teismo dal Deismo, e mentre il primo definisce la credenza in un Dio libero creatore e regolatore del mondo; il se condo
vorrebbe che fosse limitato alla
credenza in una forza infinita, non in telligente e strettamente unita
alla ma teria (Critica della ragione pura p. 659)." Questa interpretazione non è passata nell'uso comune, avvegnáchè se cosi 254 DEMOCRITO
fosse, tutti i materialisti dovrebbero og gimai dirsi deisti. (V.
Dio) Deleyre ( Alessandro ). Nacque
a Portrets, presso Bordeaux nel 1726,
e fece i suoi studi nel collegio dei
gesuiti, dei quali vesti l'abito fino
all'età di quin dici anni. Quando i gesuiti furono e pulsi dalla Francia, egli
si recò aPa rigi ove, nonostantelasua esagerata di vozione, ebbe tanta ventura
distringere amicizia con Diderot,
d'Alembert e Rous seau i quali lo persuasero a seguire le sue inclinazioni per le lettere. Da quel momento si può dire che incominciò il rinnovamento della sua educazione, sic chè
abbandonato il bigottismo eccessivo
professato nell'adolescenza, man mano si
piegò al partito filosofico di quei tempi e volse infine ad un aperto ateismo. L'Analisi della filosofia di Bacone pub
blicata nel 1755 in tre volumi, è lavoro
pregevole per la chiarezza con cui egli
espone la filosofia del cancelliere d' In ghilterra e per l' energia
delle convin zioni che vi professa l'autore. Fece vari articoli nell' Enciclopedic, fra i quali merita menzione quello sul Fanatismo, che Voltaire riprodusse, sebbene abbre viato,
nel suo Dizionario filosofico. La
professione di principii apertamente ir religiosi contenuta in quello
scritto, gli cagiond non pochi
dispiaceri. Rousseau, chenon fu sempre
religioso, volle allora dare all'amico
suo consigli di strana moderazionè
>> ( V. la mia Storia critica
della superst. T. II cap. VIII ). Ma la demonologia non termina coi processi delle streghe. Ingentiliti i co
stumi, non si abbruciarono più gl' inva sati, ma la potenza del demonio non
fu perciòmeno grande. Gli animali. (v.
BE STIE ) l'acqua, l'aria e tutti gli elementi
apparvero congiuranti a danno dell'uo mo, diretti dalla potenza di
Satana. A poco a poco la civiltà spegne
i roghi, manon toglie gli esorcismi, e
con essi la stupida credenza dei vulgari
nelle opera zioni magiche del clero. I rituali sono pieni di esorcismi per tutti i casi e
per tutte le circostanze della vita. Si
esor cizza l'acqua prima di benedirla affin
di scacciarvi il demonio che può esservi
occultato, e con l'acqua esorcizzata si
battezza, e il battesimo è novello esor cismo, col quale la Chiesa vuole
innanzi tutto cacciare il demone ch'è in
pos sesso del corpo. « Io ti esorcizzo, dice
e ti allontani da questo servo di Dio.
Avvegnachè egli sia Colui che ti coman da ecc ». ( Rituale di Toul
Edizione del 1700 pag.. 32 35). Non vi è
malanno che non si com metta dai demoni.>
Nel 1742 Diderot strinse amicizia
con Rousseau, ma questo filosofo bron tolone e diffidente non era guari
fatto per viver cogli uomini. Nel 1758
l'a micizia fu rotta e convertita in aperta
inimicizia. Diderot si unì poi a D' A lembert per redigere la famosa
Enci clopedia, che interrotta per divieto del
re, e poi ripresa fu infine condotta
a termine sotto la direzione di lui
solo (v. ENCICLOPEDISTI), La pubbli DIDEROT cazione dell' ENCICLOPEDIA assicurò la fama del filosofo, che ebbe la buona sorte di ottenere la protezione di Cate rina
II di Russia, la quale volendo in bella
maniera gratificarlo, acquistò la sua
libreria per 15,000 lire, accordan dogli il diritto di conservarla presso di sè per tutta la vita, e assegnando gli
inoltre una pensione per la custo dia dei libri che l' imperatrice in que sta
singolar maniera aveva acquistati. Il
procedere degli studi e della 273 dimento col quale faceva parlare il suo amico. Ma chi, diceva, oserà fir mare
questo ?- Io, rispondeva l'ab bate, continuate dunque. Qual'è
ancora l'uom di lettere il quale non
riconosca facilmente nel libro dello
spirito d' Helvetius e nel sistema della
natura di Holbach molte belle pagine
che non sono, che non possono esse re che di Diderot? Se noi
dovessimo fama di Diderotlo fecero
eziandio pro cedere nella negazione del sovranatu rale; e fint col dichiararsi
ateo e ma terialista. Nei suoi Principii filosofici sulla materia e il movimento, egli ri conosce
una forza inerente alle mole cole, inseparabile ed eterna, ed accu sa il
cartesianismo di assurdità per avere
insegnato che nella materia vi è una
opposizione reale al movimento. La
morale assoluta è pure combattuta
daDiderot in uno scritto che ha per
titolo: Supplemento al viaggio di Bou gainville, o Dialogo tra A e B
sull'in conveniente di attribuire le idee morali a certe azioni che non le comportano. L'autore con singolarità e spirito di mostra
che i costumi dei selvaggi son quelli
della natura, che il pudore e il ritegno
sono chimere, principii di mo rale puramente convenzionale,e la fe deltà
conjugale una ostinazione ed un
supplizio. Da buon epicureo Diderot
insegna l' amor del piacere, ma non
lo vuol disgiunto dai nobili affetti e
dalle passioni pure. Oltre una
quantità di scritti sull'ar te, sulla poesia e sulla filosofia, par che Diderot collaborasse in quelli eziandio i quali non figurano sotto il suo no me.
L'amico suo Grimm, nella sua
corrispondenza, scriveva di lui:
Dilemma. Sorta di sillogismo il
quale consta di due proposizioni oppo ste, di cui una sola può esser
vera. E sempio: Se le tre persone divine sono
distinte le une dalle altre, non possono
essere consustanziali; dunque sono tre
Dei; se invece sono consustanziali non
possono essere distinte; e allora Dio di venta Uno senza persone
distinte. Diluviano. Che si riferisce
aldi luvio. In geologia dicesi terreno diluviano o diluvium quello strato terrestre il qual si suppone che fosse alla superficie
della terra all' epoca del diluvio; e
terreno post-diluviano quello che lo
segue. Ma uno studio più accuratoha reso
evidente che veri diluvi o cataclismi
non vi fu rono mai, e che lo strato il qual si re puta diluviano fu lentamente
costituito dall' azione delle correnti
d' acque che anche tuttodi nell' alveo e
alla foce dei fiumi e sulle sponde del
mare forma no terreni nuovi, per l'effetto di una secolare accumulazione di materie. Im
pertanto i geologi della nuova scuola
evitano quest' antica denominazione e,
con maggior proprietà di linguaggio,
chiamano il terreno diluviano strato d'al luvione antica, il
post-diluviano, strato d' alluvione
moderna (v. CATACLISMA). Diluvio. Il
racconto della Genesi (Cap VI) intorno
al Diluvio di Noè non può lasciarci
alcun dubbio sul carattere mitico di
quella leggenda. Non solo il Diluvio
contrasta con tutto l'indirizzo della
geologia moderna (v. CATACLISMA) ma le
circostanze stesse che l'accom pagnano sono assurde e impossibili.Nar ra la
Genesi che nell' Arca sette per sone ricoverarono: Noè, i suoi tre figli e le loro mogli. Oltre a questi, di cia scuna
specie d'animali mondi entra rono nell' arca sette paia, e degli ani mali
immondi un sol paio per ogni specie (
Gen. VII. 2. 3. 14. 15). L'ar caavevalalunghezza di trecento biti, era larga cinquanta e alta trenta; cu DILUVIO
la luce riceveva dall' alto, aveva una sol porta ed erafatta atre piani (Gen. VI. 15. 16). Secondo i dati stessi della Bib bia
essa presentava dunque una super ficie di 15,000 cubiti quadrati per ogni piano e così in complesso una super ficie di
45,000 cubiti , corrispondenti a 15,000
metri all' incirca. Domandasi se questo
spazio poteva bastare a con tenere anche soltanto un paio di tut ti gli animali
viventi sulla terra. I soli mammiferi
finora conosciuti, compresi i cetacei,
ascendono a ben 1200 specie, e stando
nei limiti di un più che mode rato calcolo, si può dire che, in media, per ogni mammifero occorre lo spazio 275
nel calcolo soltanto due individui per
ogni specie. La Bibbia però ci avverte
che delle specie pure sette paia furono
ricoverate. Ma quali sono gli animali
puri ? La Bibbianol dice; però ci indi ca poche specie soltanto come
impure. Ma suppongasi, per abbondanza,
che una metàdei mammiferi appartenga
alle spe cie impure; dovremo sempre per l' altra metà aumentare di sei volte lo spazio occorrente. Questo aumento ci da la cifra di altri 66,000 cubiti quadrati. di cinque cubiti quadrati all' incirca.
E siccome per ogni specie devono ricove
rarsi nell' arca due individui almeno,
così tutti insieme occuperanno una su perficie di ben 6000 cubiti. Ma
una metà di questi mammiferi
appartengono alla specie dei carnivori,
d' onde la necessi tà di immettere nell' arca altrettanti animali quanti occorrevano pel loro man
tenimento nel periodo di 355 giorni, du rante i quali restarono nell' arca.
Ora, ammesso che in media ogni
mammifero carnivoro consumasse mezzo
chilogram mo dicarne per ogni giorno, dati 1200
carnivori (600 maschi e altrettante fem mine) il consumo giornaliero
della car ne avrà dovuto ascendere a seicento chi logrammi, e così per tutta la
durata del diluvio a chilogrammi
237,000, i quali possono essere
rappresentati da circa 300 buoi,
occupanti una superfi cie di 3000 cubiti quadrati almeno. Per l'altra metà dei mammiferi non carni vori
dovevasi accogliere nell' arca il
nutrimento vegetale necessario, il qua le, supposto che constasse di
solo fieno, poteva occupare uno spazio
per lo me no doppio dell' alimento necessario ai carnivori; tanto più che doveva servire eziandio al mantenimento dei 300 buoi riservati al pasto degli altri animali. Ecco quindi una superficie di 21,000 cubiti quadrati, occupata dai soli mam
miferi. Ma finora abbiamo introdotto
Questo per i mammiferi soltanto. Ma
abbiamo oltre 500,000 specie di uccelli
e parecchiemigliaia d' altre specie, tra
insetti, vermi, rettili, moltissime delle quali sono carnivore e altre vivono sot to la
terra ed hanno bisogno di gran dissimo spazio. Non è dunque fuor di proposito ilvalutare lo spazio
occorrente a tutti questi animali
inragione di una metàalmeno
diquellooccorrente aimam miferi, e così avremo in complesso una superficie di circa centomila cubiti qua
drati, che è quanto dire maggiore di
oltre sei volte la reale capacità del l'arca! Il credere poi, come fanno gli orto dossi,
che sette persone potessero ba stare a provvedere ai quotidiani biso gni di
tutti questi animali, è cosa che muove
il riso. Invero, se ifelici abita tori dell' arca avessero anche avuto la forza di provvedere tutti i giorni alle occorrenze di ogni singolo animale, non ci sarebbero riusciti per mancanza di tempo, imperocchè ammettendo che al l'incirca
quattro milioni di individui fos sero rinchiusi in quel luogo (e il cal colo
non è largo ) sette persone che avessero
lavorato indefessamente, sareb bero appena riuscite a numerarli men talmente.
Figuriamoci poi se sarebbero bastati a
portare dall'una all'altra gab bia il nutrimento, a rifare il letto del le
bestie, a pulire e lavorare i pavi menti, senza cui quella casa quadrata che si chiama arca, sarebbe in breve stata ripiena di un insopportabile fe tore.
276 DILUVIO Riesce ancor più difficile lo spiegare naturalmente, come vuole Don Calmet (Dis. Biblico), i fenomeni cosmici che accompagnarono il Diluvio; imperocchè senza che Iddio compiesse una nuova creazione di sostanza acquea, non siriu
scirebbe ad intendere in qual maniera
volte tutto l'elemento liquido esistente
sul globo! Ma tolgansi pure
queste impossibi lità fisiche all'effettuazione deldiluvio, e credasi, come vogliono i sapienti orto dossi,
che questo non sia stato altro che un
cataclisma geologico; ebbene, l' evi denza non sarà perciò più chiara e la pretesa conciliazione tra la Bibbia e la scienza non vi avrà nulla guadagnato. le acque potessero superare di quindici cubiti le piú alte montagne. Suppongasi pure che l'atmosfera fosse satura di va pore
e che il passo biblico: in quel giorno
si aprirono le sorgenti dell'abisso | cataclisma dei geologi corrisponde a e le cateratte del cielo, debba interpre
tarsi nel senso, che le acque del mare
Infatti, nessuno degli effetti attribuiti al si rovesciarono sui continenti e i
vapori sospesi nell' atmosfera si
sciolsero in pioggia. Ma si è calcolato
che i vapori dell'atmosfera non potevano
dare uno strato d'acqua che coprisse la
terra per una altezza maggiore di dieci
piedi. Nè possiamo credere che il mare
uscisse dal suo letto, per coprire i
continenti, giac chè questo fatto oltre all'essere contra rio alle leggi della
statica e all'equilibrio dei liquidi,
non avrebbe poi, anche se possibile, di
molto superata una appena mediocre
altezza. Aquesto proposito ben dice
Voltaire, (Bible espliquée T I) che
affinchè l'acqua potesse innalzarsi di
quindici cubiti sopra le più alte monta gne, sarebbe stato necessario
che si fos sero formati dodici oceani ' uno sopra l'altro, e che l'ultimo fosse stato venti
quattro volte più grande di quello che
oggidi circonda i due emisferi.
Forse questo conto è alcun poco e sagerato, ma possiamo noi stessi
ridurlo alle sue verosimili proporzioni,
calco lando che la profondità del mare sia
in media di tre chilometri ( ridotti
a due, poichè una terza parte
della su perficie non è coperta dalla acque) e
prendendo per base del calcolo il raggio
terrestre in 6000 chilometri. In tal caso tutta l'acqua dei mari sarà valutata in 215, 928,008 di chilometri cubi. Or l'Hi
malaya sorge asei chilometri sul livello
del mare, e a superare la sua cima oc correrebbe la quantitàdi648,648
216 di chilometri cubi d'acqua, ossiapiù
di tre quelli annunziati nella relazione
di Mosè. Questieffetti sono
principalmenteloscava mento delle valli, ladenudazione e l'ero sione delle
roccie, ladispersione su tutta la
superficie della terra dello stesso de positodurante la rinnovazionedella mag
gior parte degli esseri viventi, e special mente di quasi tutti imammiferi del
pe riodo terziario. Or Mosè ebbe cura di
avvisarci che nessuna delle specie viventi all'epoca del diluvio si è estinta in que sta
catastrofe, ed ha prevenute tutte queste
supposizioni di denudazione e di
sprofondamento, raccontando con qual
lentezza le acque diluviane si sono ab bassate, lasciando in piedi, non
solo gli alberi delle foreste, ma ancora
quelli dei campi, come gli olivi (Gen.
cap. VIII. 11). Nessuna concessione
della geologia, nè dell' astronomia
potrebbe conciliare ciò che queste
scienze hannodi più po ❘sitivo coll' interpretazione
letterale di parecchi passi del racconto
di Mosè. La dottrina esposta nel celebre
Discorso preliminare di Cuvier,
quantunque re putata ortodossa, si allontana anch'essa in molti puntidal raccontogenetico. Es sa
suppone l'emersione prolungata per molti
secoli di una partedella superficie
terrestre e l'immersione esclusivadiun'al tra parte ». (Reboul. Geologie
de la pé riode quaternaire cap. 27).
Finalmente non bisognadimenticare,
siccome un fatto assai caratteristico, che questo diluvio mandato appunto per sterminare l'umana specie avrebbe avuto per conseguenza di produrre un terreno geologico nel quale si trovano animali
DILUVIO d'ogni specie non più esistenti,
eccetto quelli dell'uomo ! Ma piuttosto che andare incontro a tante assurdità, non è egli più savio consiglio il riconoscere che la leggenda diluviana non ha nulla di reale e deve forse la sua origine ad un mito indiano? La tradizione deldiluvio era infatti molto diffusa fra gli orientali. Il caldeo Beroso parla di un diluvio nel quale il buon re Xisustri, avvertito dagli Dei sulla pros sima
innondazione del Ponto-Eusino, si salvò
entro un'arca; un altro diluvio ri cordalamitologia greca nelquale Deuca clione
e Pirra ripopolarono il mondo gettandosi
dietro le spalle dei sassi, che si
trasformarono in uomini ; e gli stessi
egiziani ricordavano un diluvio nel quale si sommerse l'isola Atlantide. Ma tutte queste tradizioni la cedono in vetustà a quella dell' India, dove i Vedas, certa mente
anteriori alla formazione definitiva del
Pentateuco, narrano l' avvenimento del
diluvio con quelle singolari concor danze coi nostri libri santi, le quali si possono vedere nel seguente parallelo
del Diluvio di Vichnu. Notisi intanto che Vich-Nù, Me-Nù, hanno sempre la stessa desinenza di Nù, dallaquale gli Ebrei trassero il
loroNoè. Èpoi curiosa laconcordanza del
dilu vio del primo con quello del secondo.
Se ne togli la differenza del mito, do vuta alla diversa indole dei due
popoli che lo creavano, è impossibile
negare che uno non proceda dall' altro.
Per la migliore intelligenza del lettore
qui sotto ne riporto la comparazione: Bibbia-Genesi, Cap. 6, 7, 8.
Il Diluvio. Edecco, io farò veniresoprala terra il diluvio delle ac que, per farperire disottoal cielo ogni carne in cui è alito . di vita: tutto ciò che è in terra morrà. (VI. 17).
MAHABARATA BAGAVAD-GITA Episodio del pesce. Di ciò che si muo ve e di ciò che non si muove il tempo avvicina minaccioso e terribile.
Fatti un' arcadi legno di
Goser falla a stanze ed im peciala di
fuori e di dentro conpece (Id. 14).
Eprenditid' ogni cibo che si man
giaedaccoglilo ap presso a te (id. 21).
ENoèfececosì: egli fece secondo tutto ciò che Dio aveva comandato... ed entrò nell' Arca consuamoglie, con le moglide'suoifi glioli (VII, 5, 7). Eildiluviovenne sopra la terra...... e le acque si rinfor zarono e crebbero grandemente e l'Ar canuotava sopra le acque (Id. 47, 18). Eleacqueavan zarono i monti che furonocoperti(VIII, 20 е 24).
Ed essendo state chiuse le
cateratte del cielo, l'acque an
daronoritirandosi e nel decimosettimo giorno del settimo mesel'Arca si fermò sopra le montagne d'Ararat (VIII, g-4). E Iddio parlò a Noè dicendo : Esci fuor dell' Arca, tu e la tua moglie ei tuoi figlioli ( VIII, 15, 16,).
Ed Iddio bene-. disseNoè e suoi
fi gliuoli e disse loro: 277 ,
Fatti una nave forte, solida,
ben congiunta con le gami. Etusalirainella nave e porterai te co tutte le sementi perchè vi si con servino lunga sta gione. E
stando sul legno mi vedrai ve nire a te
con un corno sulla testa al quale mi riconosce rai.... E Manù racco gliendo tutte le se menti entrò
nella nave con sette ri chis (sapienti)
e si diede a vogar sul l'oceano orrenda
mente gonfiato. Evidde ilpesce nuotante nelle acquə portante un corno come aveva predet to..... Attaccòuna corda al corno che esso portava al capo, e il pesce essendosi avviato trascinò ra pidamente il basti mento
sui flutti del l'oceano. Agitata da fu
riosi venti la nave vacillava sui caval
loni. Nè la terra, nè le regioni
del cielo erano visibili: tutto era acqua lo spazio e il cielo. Così il pesce fe ce vogare la nave per molti anni, poi lafeceposare làovè l' Himarat elevava lasuapiù altacima. Alloracosì il pe sce pariò ai sapienti della nave: lo sono Rama; nessun es sere è più elevato dime.
Sotto forma di pesce io venni
asal varvi dai terroridel 278 fruttate e
moltipli catee riempite tutta la terra (IX, 1, 7). Io fermo il mio patto con voi, che ogni carne non sa ràpiùdistrutta per l'acqua del diluvio, e non vi sarà più diluvio per guastar la terra. (Id. II ). DINAMISMO
lamorte. Da Manu | di essere dimostrata, imperocchè non devono ora nascere si va dal noto all'ignoto,
dalla verità tutte le creature. Esso deve ri creare tutti i mondi e per via di auste rità e devozioni sa rà
compiuto quel ch'io annuncio. Perfavormiola
creazione degli es seri non cadrà più
in confusione. Dimostrazione. La
dimostra zione è il fondamento più ovvio d'ogni
filosofia esatta. Non vi può essere per
noi verità se non è dimostrata; la di mostrazione è quella che ci apre
gli occhi all' evidenza e c'insegna le
cose che credere dobbiamo. La dimostra
zione deve seguire il metodo induttivo,
anzichè il deduttivo ( v. DEDUZIONE );
essere a posteriori e non già a priori
(vedi queste parole ); preferire il me todo analitico al sintetico (v.
ANALISI ). Questi principii fondamentali
della di mostrazione furono sempre miscono sciuti dalle vecchie scuole della
filoso fia, le quali fondandosi appunto sul
principio falsamente affermato daAri stotile, che la dimostrazione è
l'atto del dedurre da una verità univer
sale le conseguenze che ne sortono,
necessariamente, hanno supposto che
le verità universali potessero essere a
nostra conoscenza prima ancora della
dimostrazione, e che questa giovasse
soltanto per mostrare l'evidenza delle
verità particolari in quanto si riferi vano agli stretti e necessari
rapporti immediatamente percepita a
quella a stratta della generalizzazione, senza che i rapporti fra queste idee non siano dimostrati, e che la loro conformità non sia resa evidente. Ad esempio, io posso ben credere senza dimostrazione che l'acqua che bevo è incolore e trasparente, poichè il fatto stesso della sensazione che provano i miei occhi è dimostrazione sufficiente a indurmi in questa convinzione; e posso egualmente credere che tutte le acque della terra non sono egualmente incolori e tra sparenti,
poichè ne vedo di più o di men chiare
secondo le fonti, e i ter reni ov'esse si depositano. Ma la di mostrazione
diventa solo necessaria quando io voglio
astrarre da queste differenze e
stabilire la proprietà ge nerale dell'acqua di essere incolore. È allora che io ho bisogno di doman dare alla
chimica il soccorso della sua analisi e
della sua sintesi per provare che le
sostanze coloranti non sono parte
essenziale di queste acque, e che in
qualunque tempo, e in qualunque paese si
combinino insieme 88, 91 parti di
ossigeno con 11, 09 d'idrogeno si avrà
quel liquido che si chiama acqua. Questa
verità è dunque d'ordine uni versale, ma è vera sol in quanto è ve rità
dimostrata, l'abbiam conosciuta
coll'induzione passando dal noto all'i gnoto, l'abbiamo stabilita colla
scorta delle verità particolari, ma non
l'ab biamo dedotta da alcun principio più
che questi avevano con quella. Questo | generale. errore è stato ben confutato dalla scuo la
sensualista, la quale facendo rife rire tutte le nostre idee alla sensa zione,
ha provato che le sole verità le quali
non hanno bisogno di essere di mostrate, son quelle che diremmo as siomatiche,
e che derivano immediata mente dai sensi ( v, ASSIOMA). La ge neralizzazione di
queste verità primi tive direttamente provate dalla sensa xione, è quella che
invece ha bisogno I cippo nè a Democrito è mai caduta in Dinamismo. Teoria filosofica opposta all' atomismo, per la quale si concepisce la materia come il risultato di sole forze. L'atomismo antico aveva cercato di spiegare i fenomeni della natura col solo soccorso degli atomi e del moto, ma è un errore di molti il credere che in questo sistema tanto av
versato oggid) dai metafisici, gli atomi
fossero inerti e senza forza. Nè a Leu DINAMISMO mente siffatta incongruenza, e l'ultimo specialmente si è assai ben spiegato intorno al movimento dei suoi atomi, ch'egli disse eterno, necessario, quan do
intese il movimento con le parole
necessità del fato ( v. DEMOCRITO ). Ciò
posto, non si capisce proprio l'entu 279
non sono altro che i fenomeni, pro prietà assegnate alla materia per
rap presentarla come una sostanza, men
tr' essa poi non è altro che il risultato
di azioni e combinazioni di forze, in
una parola il movimento. Credette egli
siasmo di coloro che esaltando le me tafisicherie del dinamismo, credono
di dir cosa nuova insegnando contro l'a
tomismo una teoria del movimento.
Leibaitz, Kant e Schelling fondarono
la teoria dinamica. Il primo, per ve rità, non intravvide altro che la
im possibilità di un' azione degli atomi
senza forze che fossero inerenti alla
loro sostanza, ed ebbe, confessiamolo
pure, il merito grandissimo di stabilire
chiaramente che alla materia è inerente
il movimento. « Ogni porzione dellama teria, non è soltanto divisibile
all' infi nito, ma ancora suddivisa attualmente
senza fine ciascuna parte in parti, o gnuna delle quali ha un
movimento proprio. (MonadologiaNe.65 p.
710)». ( Genesi XVIII, 21). Non ha la
prescien za nè la sicurezza dell'operare ; ed è solo dopo aver compiuta la creazione ch'egli si avvede d'aver fatto cosa buona.
Spesso rammaricasi dell'opera sua : si
pente di aver creato l' uomo ( Genesi
VI, 6), e fatto re Saul (I Re XV, II);
nè mai è sicuro se i popoligli saranno
fedeli, on d' egli prevede di doversi pentire del beneche aloro fa (Geremia, XVIII, 10). Siffatti volgari antropomorfismi, sono ben altro cbe adatti a farci credere che l'antica rivelazione abbia dato agli uomini l'idea di unDio spirituale; e son poi così goffi e così bassi che la teolo gia
è costretta a interpretarli allegori camente. Non èdunque lontano dal vero chi fa risalire a Platone la prima idea dello spirito; e per lo meno non è dub bio
che il suo Dio fosse incorporeo. Egli
considerò il corpo come un segno d'im perfezione e credette che un
essere cor poreo non potesse essere eterno. I cinesi si avvicinavano a questaopinione quan d'essi
dicevano che nessuna cosa nel faccia
senzamorirne (Esodo XXXII! 18 | mondo gli rassomigliava, nè ch'egli po teva
vedersi; e i pitagorici credevano
anch'essi che Dio fosse un essere incor poreo. Giova avvertire però, che
per quanto questi filosofi sembrino
avvici narsi al concetto della metafisica moder na, non per questo si può
credere che essi avessero una chiara
intuizione di ciò ch'è spirito;
imperocchè, come ben dice l'autore
dellastoria della filosofia pagana (Haye
1724), dall'avere gli antichi chia mato Dio, asomatos, non ne deriva che essi l'abbiano creduto spirituale. Avve
gnachè questa parola non esclude un
corpo leggero e sottile,comeben si prova
con latestimonianza di Porfirio, di Proclo e Giamblico . Il primo dice infatti che
281 proprietà della materia primitiva se
condo gli antichi, è d'essere senza corpo
(Senten. XXI.); e Giamblico e Proclo as sicurano che i corpi celesti
sono assai so miglianti alla sostanza incorporea degli Dei ( Giamblico . De Misteriis . Sez . I cap. XVII. Proclo in Plat. Theologiam, cap. XIX). Perfino Tertulliano spiegava la parola latina incorporalis nello stesso senso che questi autori danno alla pa rola
greca asomatos , poichè egli dice che la
voce è incorporea (Adversus Pra DIO
felicità; solita antitesi del politeismo, che si trova nella perpetua alternativa, o di ammettere molti enti assoluti, o di ricorrere all'unità di Dio. Comunque sia, niun può mettere indubbio che la filosofia Platonica non serva, in que sta e
in molte altre cose, come d'in troduzione al cristianesimo. Invero, la prima trasformazione del Dio cristiano nell'ente spirituale della metafisica,
si compieper l'intermediario di
Giovanni, o per meglio dire, degli
scritti che a lui si attribuiscono ; i
quali sono indub biamente l'opera di unneoplatonico. Il non è affatto esatto: Piatone nulladice di ciò che sia spiritc, ma sol procede хеат. Cap. VII ) Il dire adunque che lafilosofia Pla tonica ha
stabilita la dottrina spirituale, ❘
principio dell' Evangelo di S. Giovanni
parla del Verbo divino, come già ne
parlavano i filosofi della scuola Ales sandrina, i quali, come si sa,
s'inspi ravano specialmente nei luoghi oscuri
di Platone. Nel Verbo Iddio perde ogni
per negazione, e c'insegnache Dionon
ha corpo, onde bene aragione gli epi curei rimproveravangli quest'errore
(Ci cerone. Della nat. degli Dei lib.I); e Se neca, il qual divideva l'opinione
degli stoici non lo biasimava con minore
e nergia. > (Il Demone di Socrates.
Qui vi è evi dente contraddizione , poichè questo padre degli Deinon può essereil crea tore
degli altri esseri che sono eterni e che
bastano da se stessi alla loro
d'essis'affrettano aliberarne la Divinità. Già nel quarto secolo Lattanzio così argomentava per provare l'esistenza di Dio: >>
Seriade, ricco cittadino di Corinto, l'a equistò e alui confidò
l'educazione de suoi figli, trattollo
con ogni riguardo, sicchè infine ebbe il
vanto di essere schiavo e di vivere come
se fosse libero. Soleva passare l'
estate a Corinto e ' inverno ad Atene;
ma un bel giorno fu trovato morto nel
Cranion, ginnasio vicino a Corinto. Morì
nell'anno 323 a. G. C. in etàdi 90 anni.
Dopo averegoduto in vita di una fama
ch'egli doveva alle sue stra nezze, dopo la morte ebbe ancora dai suoi contemporanei onori e monumenti immeritati. (V. CINICA). Diogene soprannominato LAER zio, perchè
supponesi ch' egli fosse di Laerzia in
Cilicia. Della sua vita nulla si sa, e
il suo stesso nome non ci ènoto che per
un libro intitolato: Vita, dottrine e
sentenze difilosofi illustri, ilqualeè per venuto fino a noi quasi per intero.
An che il tempo preciso in cui viveva s' i gnora, poichè la biografia dell'
ultimo filosofo di cui egli parla, è
quella di Ateneo che viveva ancora al
principio del regno di Alessandro
Severo, 222 anni dopo G. C. Adunque
quello che sicura mente si può dire di lui, si è che viveva dopo il secondo secolo dell'era nostra,
e non oltre il quinto secolo, poichè Ste
fano di Bisanzio, che visse verso l'anno
500, parla di luicome di un autore già
antico. Moltihanno creduto che
appartenesse alla setta di Epicuro,
siccome fra le varie biografie da lui
redatte più com piacentemente diffondesi in quella di questo filosofo. Altri invece vorrebbero annoverarlo fra gli stoici, parendo a costoro che la vita di Zenone e di
Crizia filosofi come storico, e men che
storico, come cronachista, unica sua
cura essendo quel di raccogliere tutte
le opinioni e tutte le notizie intorno
ai filosofi di cui scrisse la vita, e di
registrarle, quand'an che contradditorie, senza critica. Perciò appunto il suo libro ha tanto giovato alla storia della filosofia, in grazia delle notizie molte e varie che ci ha
trasmesso intorno ai filosofi di cui ci
ha data la biografia. Diritto V. MORALE. Disgiuntivo.(Argomentodisgiun tivo)Dicesi
proposizione disgiuntivaquella nella
quale si riferiscono al medesimo oggetto
vari attributicome possibili. Per es.:
l'uomo o è un animale o un tipo separato
dalla classe dei viventi ; lo spi rito, o è materia o è nienteecc. Colla pro
posizione disgiuntiva formasi quello che
nelle scuole suolsi chiamare argomento
disgiuntivo, sorta di sillogismo nel quale la premessa o maggiore consta di una proposizione disgiuntiva, e il rapporto fra la minore e la conclusione è, che se nella minore negasi uno degli attributi, la conclusione dovrà negare l'altro, e viceversa. Esempio: L'uomo o è un ani male o
un tipo separato dalla classe Ma
separato non è dagli- dei viventi altri
esseri, coi quali presenta affinità ed
analogie molte Dunque è un ani male.-
Oppure: Lo spirito o è mate ria o è niente; una materia non è poichè in tal caso esser dovrebbe spiri
tuale; dunque è niente. In conclusione si
vede che l'argomento disgiuntivo non è
in findei conti che un sillogismo nel
quale d'ordinario la premessa è un di lemma. (V. SILLOGISMO). Divisibilità. Una delle proprietà fisiche dei corpi, per la quale essi pos sono
dividersi all'infinito, e verificare in
tal maniera l' antinomia dell'infinito con tenuto in un corpo finito. I
mezzi məc canici o chimici che noi possediamo,
sebbene ci permettanodidividere i corpi
in molecole piccolissime e quasi imper
sianoquellech'eglitrattò più lungamente.| cettibili, sono però sempre
demodi gros Il fatto si è, che Laerzio parla de' suoi solani di divisione, se
li confrontiamo con DIVISIBILITÀ una più
alta potenza visiva. Un vaso di essenze
odorose lasciato aperto in una stanza
può impregnare del suo odore tutta
l'aria di quell'ambiente, eppure la
materia uscita da quel vaso e diffusasi
in ogni parte è così piccola che non
bastano le più precise bilancie per ac accertare una diminuzione di peso
nella essenza odorosa, la quale con una
tanto piccola parte ha prodotto sì
mirabili effetti. Un grano di carmino
può colo rare in rosso un litro d'acqua, vale a
dire che il carminopuò dividersi in tante particelle così piccole, e così numerose da potersi spargere e mescolare in tutte 201
alle minime proporzioni possibili, tanto chè non ci sia per noi alcun
mezzo di dividerlo ulteriormente; per
es. un cor puscolo del sangue, non ne deriva già che colle leggi del pensiero non si
possa ancora dividerlo consecutivamente
inpar ti ancor più piccole. Io posso quindi
supporre che quel corpuscolo sia diviso
in due metà, l' una delle quali rigetto
come inutile, e l'altra posso ulteriormente dividere col pensiero in due parti
ancora. le parti del liquido in cui è
disciolto. E tuttavia, un goccia di
questo liquido sot tomessa al microscopio, ci lascia scorgere chiaramente queste particelle nuotanti nell'acqua. Chi considera il sangue sgor gato
da una ferita non ha difficoltà a
credere che esso sia un liquido omogeneo
e che il color rosso sia proprio di tutte le sue parti. Ma appena una goccia di questo liquido è sottoposta all'esame mi
croscopico, subito ci appare assai diversa
daquello che suol parerci ad occhio nudo. Una infinità di granulazioni si disco prono
al nostro occhio, parte colorate con una
legger tinta rossa, parte affatto
incolori, sicché quella sostanza liquida, scorrevole, omogenea che prima ci pa reva
impossibile ad essere più finamente
divisa per la sottigliezza delle sue mo lecole, dopo ci sembra un
complesso di corpi solidi abbastanza
vistosi e grossi per essere ancora
divisi e suddivisi in più e più
parti. Ma questo modo di divisione
col mezzo dell' ingrandimanto ha pure il
suo limite, nè ci è dato di oltrepassare
colla potenza visiva la maggior potenza
delle nostre lenti. Per altro,
l'immaginazio ne questi limiti materiali non conosce, e trasportandosi oltre tutti i mezzi mec
canici e fisici e chimici, trova che la
divisibilità potrebbe spingersi più oltre, e che nessunlimite, in nessun tempo può esserle fissato. E veramente se conside riamo
col pensiero un corpo già ridotto
Nuovamente rigettata una di queste, l'al tra può ancora essere
mentalmente di visa in dueparti, e così all'infinito. Onde si verifica, come ho detto nel
principio, l'antinomia dell' infinita
divisibilità con tenuta in uncorpo finito; imperocchè io non posso supporre col pensiero che un corpo si divida, senza che l'atto del di
videre non separi due parti distinte, nè
posso concepire l'esistenza di queste due parti, per quanto piccole esse siano,
senza supporle dotate di estensione; e
tutto ciò che è esteso può essere ancora
diviso. E fu appunto per evitare cotesta
con traddizione che l'antica scuola atomistica
ha ammesso con Leucippo e con Demo crito che i corpi non sonodivisibili
oltre uncertolimite, e che gli atomi,
ch'essi sup ponevano semplici, elementari, non com posti di parti, erano anche
indivisibili (v. ATOMISMO). Ma troncare
la questione in questa guisa non era
risolverla, e per quanto giusto fosse il
desiderio degli a tomisti di sciogliere così la controversia sulle essenze, non è perciò men vero, che il pensiero trascorre oltre il
limite degli atomi e ad essi vuol dare
una di visione. Ora, questa singolare
antinomia per la quale vediamo congiungersi
in uno stesso oggetto due nozioni così
contra l ditorie come sono il finito e l'infinito, non basterebbe per avventura ad avver tirci
che il concetto che noi ci formiamo
dell'infinito non è altro che una pura a strazione? Si suol dire che l'
infinito ci si impone per le leggi del
pensiero. Ma son pure le stesse leggi
del pensiero quelle che ci rivelano
l'infinita divisi 292 DOLORE bilità contenuta in un corpo limitato; ❘ cepirla egualmente senzail corpo ma
equeste idee contradditorie sono non dimeno così bene congiunte fra di
loro che io non le posso assolutamente
se parare: non posso pensare a un corpo
finito senza supporre la divisibilità in finita, nè posso pensare a
questa senza concepirla contenuta in
corpo finito. Se adunque il principio di
contraddi zione di Aristotile fosse vero, (v. CON TRADDIZIONE) una di queste
due idee vera non potrebbe essere. Ma il
corpo finito negare non si può, senza
negare l'esperienza dei sensi; dunque
non ci rimane che a considerare '
infinito nella divisibilità come una
mera astra zione. Ma d'altronde chi nega l'infi nita divisibilità nega
l'infinità nello spazio, e nel tempo,
vale a dire ne ga insieme l' infinità e ' eternità. Invero, il processo della divisione è identico , sebbene in senso inverso, aquello dell' addizione. Se io divido una quantità sommata rifaccio il la voro
dell' addizione, e riduco la pro porzione al termine primitivo. Som mare
edividere possono dunque para gonarsi al movimento di un uomo, che percorresse un determinato tratto di cammino, epoi rifacendo la sua strada ritornasse al punto primitivo. Infatti quale è l'idea che ci presenta l'infi nità
dello spazio? Un metro, un chilo metro,un miriametro come qualunque altra misura delle distanze possono co
stituire gli elementi dell'addizione del l'infinito Un chilometro aggiunto
a un' altro chilometro e poi a un
terzo, aun quarto e così via all'
infinito. E colla parola infinito non
esprimiamo altra idea fuor di quella che
non tro viamo alcun ragionevole motivo per
fissare un limite a questa addizione di
chilometri. Nella divisibilità noi proce diamo in senso inverso: togliamo,
cioè, gli spazi aggiunti per tornare al
punto primitivo, e in questa operazione
ci tro viamo ancora di fronte all' infinito. La
teriale che le serva, per così dire, di
substrato; basta che si consideri un
determinato spazio e quello spazio lo si
divida mentalmente in parti, per ca pire che eziandio in quello spazio
fi nito esiste l'idea dell'infinito.Lo stesso
processo può farsi per il tempo. Un'o ra posso dividerla in minuti, il
mi nuto in secondi, il secondo in terzi e
così via all'infinito. Abbiamo macchine
chepossono indicare la diecimillesima
parte di un secondo, ma quella stessa
legge del pensiero che c'impone di cre dere all' eternità, ci impone
pure di credere che la divisibilità del
tempo non può fermarsi a quel punto, e
che come si può con mezzi meccanici se
gnare la diecimillesima parte di un
minuto secondo, così la mente può di videre ancora ulteriormente questa
mi nima frazione del tempo, e così all' in finito. Ond'è proprio questo il caso
di dire che l'eternità, per le leggi del pensiero, è contenuta in un minuto. ( v. ETERNITA ed INFINITA ). Doceti. S. Girolamo (Contro iLu ciferiani C.
8) dice che contempora nei agli apostoli furono certi eretici, detti doceti, iquali negavano che Gesù Cristo avesse preso un vero corpo, la qual cosa è pure attestata da S. Cle
menteAlessandrino(Strom. lib. VII) e da
Teodoreto. Vuolsi anzi che l'apostolo
Giovanni abbia inteso parlar di loro
quando disse, che ogni spirito il qua le non confessa Gesù Cristo
venuto in carne, è l'Anticristo. (Gio.
I. Epi stola Cap. 4). Se questi eretici sono
dunque esistiti, e non ne è dato dubi tare dopo le testimonianze
addotte, sarebbe provato, che già i
contempo ranei di Gesù negavano al preteso
Messia ogni realtà storica,poichè realtà
storica non può avere chi non è dotato
di corpo. Dolore. Sensazione
penosa per cepita inunaparte vivente del cervello. infinita divisibilità è adunque identica | E
dicesi del cervello e non del corpo,
all'infinità dello spazio; cioè, posso con- perocchè, come tutte le
sensazioni, così DOLORE anche le
dolorose non si sentono vera mente nel posto dove sono cagionate da malattia o da ferita, ma sono sen tite
soltanto dall'organo cerebrale, di guisachè se recidonsi i nervi della sen
sazione di un dato membro, quel mem bro rimansi insensibile ad ogni sensa zione
dolorosa, nè per quanto si tor-. menti
in ogni guisa esso riesce a per cepire il dolore. Organi della trasmis sione
del dolore essendo tutti i nervi, è
chiaro ch'esso è una sensazione d'un
genere affatto diversa da tutte le altre
che hanno organi speciali perprodurla;
onde il dolore cambia d'intensità e di
293 uno stato speciale del nostro
organi smo, unamodificazione più o meno pro fonda che si opera nel corpo, sia
essa nel cerebro o altrove ; onde
vediamo, ad esempio, che certe affezioni
fisiche con ducono sempre ed inevitabilmente a
certe altre affezioni morali. Gli è ben
vero che alcune fiate vediamo lu affe zioni morali produrre nel nostro
fisico alterazioni notevoli; tuttavia
questa non èaltro che una apparenza, una
illusione alla quale naturalmente noi
tutti dob natura secondo laspecie del nervo che
lo conduce, secondo lo stato dell' or gano che lo riceve e del cervello
che biamo soggiacere, per la ragione
che l'affezione morale è quella che
ordina riamente si palesa ai nostri occhi prima
dell' alterazione fisica che l'ha cagio nata. E siccome nell'ordine del
tempo fra duefenomeni che si seguono
imme diatamente noi siam soliti a dare il
nomedi causa al precedente, e di effetto
al susseguente, così è ovvio che in tali
casi l'affezione morale onde siamo tra lo percepisce. Oltre alla lesione
dei nervi, il dolore può essere prodotto
da una difficoltà, che per una
qualsiasi causa provano i diversi
tessuti nel loro modo naturale d'
azione. Non devesi, del resto,
dimenticare che ad ogni mo dificazione fisica corrisponde sempre una modificazione morale, imperocchè, come ben lo ha dimostrato Cabanis, i rapporti che passano tra il fisico e il morale sono cost stretti fradi loro, da non potersi produrre un' azione qual siasi
nell'uno senza che vi corrisponda | detti morali, che noi proviamo per la vagliati, e che per la prima si rivela ai nostri occhi, sia spesso creduta la causa delle alterazioni organiche che si manifestano poi. Ma laverità è questa, che nessuna affezione morale noi pos siamo
eccitare negli altri o in noistessi,
senza che sia preceduta da una modi ficazione fisica. Cosicchè i dolori
cost una modificazione dell' altro. Io
dirò anche di più, poichè il
modoinvalsodi considerare il fisico ed
il morale sic come due elementi distinti, quantunque in una stretta unione fra di loro, non mi pare esatto. Quel complesso di fe nomeni e
di attività che costituiscono il
carattere morale dell'uomo, non for ma una realtà sostanziale; esso non è altro che il risultato dell'azione
fisica, epperd dobbiam dire giustamente,
che se consideriamo nel fisico il corpo
a gente, nel morale non vi possiamo ve der altro che la funzione. Coloro per
collera o per lo spavento, sono infine sempre
prodotti da cause organiche. « In vari
casi, dice il dottore Frerichs, le
malattie scoppiano improvvisamente in
individui sani, dopo un violento spa vento, od un eccesso di collera,
sicchè tanto i quali credono che possano
darsi dei dolori morali, i quali non
abbiano alcuna dipendenza dall' attività
del cor po, errano a gran partito. Quel chedi- sibilità viziosa del centro
nervoso, in ciamo dolore morale, non è
altro che quellididistruzionegenerale delleforze, l'effetto della scossa moralepuò appena essere avvertito. Allora gl' infermi di
vengonoitterici,inpreda adelirio emuo iono alcuni giorni più tardi »
(Trattato delle malattie delfegato). Si
sa d'altronde che tutte le malattie
cancerose predi spongono singolarmente alla malinco nia, e che la malinconia è
il principio di tutti i dolori morali.
>> La dottrina di una religione
qualunque, è quella che da essa
s'insegna sia intorno al domma, sia
intorno alla morale; del pari la
dottrina di una filosofia quella è che
riassume ed espone con ordine e metodo
gl'insegnamenti della suascuola. Dovere.
Vedi MORALE. Draidismo. Antica religione
dei Galli sul conto della quale poco si
sa, avvegnachè i Druidi o sacerdoti di
questo popolo confidarono alla sola
tradizione orale gl'insegnamenti della
loro teologia. Il nome di Druidi gli
antichi derivarono dalla parola greca
che significa quercia, lerebbe forse un
fondamento politeista ? >> (Cousin. Introd. alla storiadella filosof. lez. V.). In tal guisa la sostanzadi Dio èil mondo, o il mondo à Dio. Qui il panteismo si rivela chiaramente e senza sottintesi: ma la filosofia eccletica di Cousinsi farà un dovere di negarlo dieci volte in dieci luoghi diversi delle sue opere, onde essere fedele al sistema di non aver sistema; sicchè i cattolici nonebbero torto di rimproverargli quel Jo
spirito subdolo che il cristianesimo
accusa negli eccletici antichi , mezzo
pagani mezzo cristiani, mezzo filosofi
mezzo teologi, interi solo nel pensiero
d'insinuársi in tutte le scuole e di tutte dominarle.
1 >> Eleatica. (Scuola). Setta filoso fica fondata
da Senofane in Elea, città d'Italia,
pochi anni dopo la caduta di Pitagora,
dai principii speculativi del quale
prese le mosse. Due periodi ben distinti
voglionsi considerare nellascuo la eleatica, e meglio che periodi, do vrebbero
dirsi addirittura scuole dif ferenti e assolutamente separate fra di loro. La prima scuola rappresentata da Senofane, Parmenide, Melisso e Ze
nonetutti contemporanei, abbraccia un
periodo di poco più di mezzo secolo,
dal 430 al 540 circa av. G. C. e fondò
una sorta di panteismo, dimostrato con
principii attinti alla pura speculazione. Per vere, sulla eternità della materia convengono tutti i filosofi di questa scuola: essi nonpossono concepire co me
esistere possa ciò che non è sem pre esistito, ma poi volendo troppo sintetizzare intorno a questo principio, nel mondo e nell'universo tutto vo gliono
riconoscere un solo essere, una unità
immobile e immutabile, perchè esistendo
necessariamente e in sè stes so racchiudendo ogni cosa, deve avere una perfetta immobilità. Quest' unità universa, costituisce il Dio panteista degli eleatici, i quali, mal potendo so
stenere la loro ipotesi a priori contro
la costante testimonianza dei sensi, i
quali attestano che nel mondo ogni
cosa si muove e si trasforma, conven nero nel proposito di negare ai
sensi ogni fede, e di far precedere le
verità astratte a quelle d'osservazione.
Quin di per essi la realtà non poteva esse re argomento, che di speculazioni a
stratte, poichè le percezioni dei sensi,
secondo essi, sono quasi sempre erro nee; e una vera scienza non
possono costituire a cagione delle molte
illu ounpezzo di metallo è sostenuto nel-❘sion cui
vanno soggetti. In questa l'aria;
toglietegli il suo sostegno, esso parte dunque gli eleatici si accorda cadrà;
ma a considerare la cosa apriori | vano con gli accademici, ma differiva
ELEMENTI no poi nella conclusione;
poichè men 315 come quelle del suo
discepolo Demo tre quelli dall'incertezza dei sensi in ferivano nulla potersi
con certezza asserice, questi volevano
invece to gliere ai sensi ogni certezza per ri porla dommaticamente nelle
specula zioni a priori della metafisica; nè si
avvedevano che anche la unità astratta
dell eternità della materia, che essi
affermavano, non riposava, in fin dei
conti, su altra testimonianza che quel la dei sensi, perciocchè noi non
ab biamo mai veduto nascere dal nulla
alcuna cosa, nè alcuna parte della
materia assolutamente distruggersi.
La teoria della prima scuola elea tica conduceva necessariamente all i
dealismo puro: tutte le cose esterne
sono mere parvenze; ciò che esiste è
l'essere in sè e per sè, essenzialmen te uno edimmutabile; che non ha
pas sato od avvenire, nè parti, nè limiti,
nė divisioni, nè successione. Tutto il
resto non è che illusione, poichè illu sioni sono le apparenze
sensibili, e la realtà consiste soltanto
nelle verità di ragione. Parecchi secoli
dopo Berke ley e Collier riprodurranno nell' In ghilterra l'idealismo degli
eleatici con tutte le sue
conseguenze. Ma di queste astrazioni
hanno fatto giustizia i filosofi
eleatici della secon da scuola, contemporanea della prima, erappresentata da Leucippo e da De mocrito. Bisogna
però riconoscere che nessun rapporto
unisce fra di loro queste due scuole,
della qual cosa tutti i filosofi furono
si bene persuasi, che si accordarono nel
dare alla teo ria dei primi eleatici il nome di scuolo metafisica, e quella dei secondi chia mare
col nome di scuola fisica. Il solo
rapporto, infatti, che ha potuto unire
Tuna coll' altra è l'asserzione di Dio gene Laerzio (lib. VIII c. 55 e
56) il quale annovera Leucippo fra i
disce poli di Parmenide. Ma se questo sia
stato discepolo suo è cosa che poco
importa il discutere; l' essenziale a
sapersi è questo, che le sue teorie,
crito, sono la perfetta antitesi di quel le degli altri filosofi
eleatici: esse riget tano il puro idealismo di Parmenide e di Zenone, proclamano la realtà della sensazione; contro il riposo sostengo no la
teoria del movimento eterno, e all'
astrazione dell' unità assoluta e
immobile dell' idealismo, contrappon gono la teoria atomica. (v.
ATOMISMO). Elcessaiti o Essonieni. Ere
tici dei primi secoli, i quali alle eresie
degli ebioniti avevano congiunte molte
superstizioni . Praticavano frequenti a bluzioni, credevano in un
Messia, al corpo del quale, come gli
ebioniti, at tribuivano proporzioni favolose; e te nevano per sicuro che lo
Spirito Santo fosse femmina, però che in
lingua ebraica ha denominazione di
genere femminile. Un ebreo detto Elxai
si fece loro capo a' tempi di
Trajano, e lui morto rimasero due
sorelle, Mar ta e Martena, le quali appartenendo alla stirpe benedetta, furono tenute in grandissima venerazione da quei set tari.
Dicesi anche che essi raccogliessero i
loro sputi per farsene dei reliquari. Le
preghiere degli elecessaitierano fat te in lingua ebraica e dovevansi,
reci tare senza intenderle, costume che
fu adottato dalla Chiesa cattolica, le
cui preghiere son pur fatte in una
lingua sconosciuta. Elementi. È tendenza naturale dell'uomo il ricercare l'origine delle cose, ed è legge di natura ch'egli mai non riesca a trovarla. Invano esplorð gli spazi; quanto più potenti furono i suoi mezzi d' esplorazione di tanto si arretrarono i confini dell' universo.
Nei corpi stessi la divisibilità ( v.
questo nóme ) s'oppose mai sempre alla
sua ricerca dell' atomo primitivo; e
nella filosofia naturale la sua ricerca
degli elementi fu altrettanto
sfortunata. Per vero, la filos ofia
antica s'era accomo data in un facile trovato; e credette lungamente che quattro fossero gli e lementi
sostanziali di tutte le cose: la 316
ELIOSISMO terra, l'acqua, l'aria
e il fuoco. Da questi quattro principii
elementari tut te le cose essa faceva scaturire. « Co me quei pittori, diceva
Empedocle, mi schiando colori diversi con quelli van figurando uomini e piante, così la na tura
coll'accozzare un poco di questo, un
poco di quell' elemento, vien for mando uomini, piante, donne leggiadre e chiarissimi dei ». L'anima stessa era un fuoco o un'aria, e gli dei eran fatti della parte più sottile di questi stessi elementi. Qualche filosofo, come Platone e Aristotile, aggiunsero un unsero
quinto elemento, l'etere. Aristotile ap pelld combinazione la proprietà
d'ogni elemento, cioè nel fuoco il
calore e la siccità, nell' aria il
freddo e l'umido, nell' acqua l' umido e
il freddo, e nel la terra il freddo e la siccità. Coll'an tagonismo delle
qualità elementari egli carbonio e il
diamante sono sostanze per la chimica
intrinsecamente identi tiche, e non pertanto hanno modi di essere cotanto differenti, nulla ripugna a credere che una sola sostanza possa assumere tutta la varietà di forme che osserviamo in grazia di una sola di versità
d' intima aggregazione moleco lare, che sfugge a tutti i nostri mezzi di percezione. Ben è questo il sistema di Democrito, ilquale,senza bisogno di elementi diversi, spiegava la varietà del le
sostanze con la varia aggregazione
molecolare, nè io so perchè i filosofi
moderni vadano cercando sistemi nuo vi per spiegare cose che gli
antichi avevano già intese, nel senso in
cui le spiega la scienza nostra. Elezione (metodica, naturale . sessuale) vedi DARWINISMO. Eliosismo. ( Da H' λιος, sole ), spiegava i cambiamenti degli elementi Nome
applicato a tutte le religioni la e il
loro passaggio dall'uno all' altro. cui divinità sia una simbolica rappre Ma
dilungarci sulla fisica degli antichi sentazione del sole. È certo che la
luce non giova. Il male si è che anche i
fu nelle religioni primitive il fondamento
moderni ritennero per assai tempo che del culto. Dio nella lingua
sanscrita, la gli elementi dei corpi
scoperti dalla più antica che conosciamo, suona il lu chimica fossero un
cotalchè di asso- minoso (vedi Dio); i persiani l'adoravano luto e costituissero i principi fonda- sotto
le forme del fuoco (v. ZOROASTRO)
mentali e indecomponibili della mate- e il paganesimo e il cristianesimo
non ria. La scoperta di Volta ha tolto
seppero allontanarsi da questo simbolo.
questo errore e ci ha mostrato che se > Empedocle (Agrigento). Nacque in Girgenti nella Sicilia sul principio del quinto secolo avanti l'era nostra, da famiglia opulente. Uomo illustre, filosoto, medico, poeta, avversario del la
tirannide, benefattore del popolo, egli
fu pei suoi contemporanei più era virtù
sua. Percorreva le vie seguito da
numerosi littori, colla testa ri cinta da corona d'allord, tenendo nel le mani
un ramo di lauro, sè stesso dicendo non
uomo ma Dio. E la sua divinità fu
riconosciuta da tutta la Si cilia. Divenuto vecchio egli abbandono l'isola carico di onori per recarsi ad Atene, ove lo vediamo maestro di fi losofia,
poeta, e vincitore ne' giuochi olimpici.
Poco dopo invano tento di rientrare
nella città nativa; un partito potente
sorto contro di lui gliene vietd
l'accesso. Tornò nella Grecia e l'o scurità avvolse gli ultimi anni
della sua vita. Niuno sa dove e quando
mort. Lo si disse rapito al cielo,
precipitato nel monte Etna, senza che
alcuno sap pia con verità qual sia stata la fine dei suoi giorni. Dei molti scritti di Empedocle aulla ci resta, fuorchè alcuniversi delle Puri
ficazioni, e alcuni frammenti deltrattato
sulla Natura, opera che è ad un tempo
di fisica, di cosmologia e di psicologia. Filosofo o teologo, uomo d'inge gno e
ciarlatano, Empedocle riunisce nella sua
dottrina gli opposti caratteri della
verità, amministrata sotto il velo dell'
errore. La sua filosofia,dice Con stant, è un mosaico di dommi sacer dotali;
egli parla nou come uomo filosofo, ma
come rivelatore e Dio: > Ma nonostante tutte queste attenzioni, il giudizio stesso dei due principali com
pilatori non fu molto lusinghiero per
l'Enciclopedia. « Esso è, scriveva d' A lembert a Voltaire, un abito
d'arlecchino nel quale si trovaqualche
pezzodibuona stoffa e troppi cenci » (
Corrispond. tomo LXIX. p. 26). E
Diderot, espri mendosi ancor più energicamente, con fessava che « '
Enciclopedia divenne una concimaia entro
la quale certe spe cie di cenciaiuoli gettarono alla rinfusa una infinità di cose mal viste, mal di
gerite, buone, cattive, detestabili, vere,
false, incerte e sempre incoerenti e di sparate ». Ad onta di questo severo giudizio, non si può negare all' Enciclopedia il merito di avere esercitata, almeno mo
ralmente, una benefica influenza sulla
filosofia del secolo XVIII. Fatta ragione alla vastità dell' impresa e alle moltis sime
difficoltà che i tempi le opponeva no, bisogna riconoscere che questo fa moso
Dizionario ha servito a costituire il
vero partito filosofico e a dare ai
pensatori d' allora maggior coraggio e
coscienza delle loro forze, esercitandoli in quella sorta di palestra della pub
blicità. Del resto, giova ripeterlo, gli
Enciclopedisti non fondarono scuola, nè
ebbero unità d' azione; ognunocombatte
per conto proprio conservando la sua
distinta individualità,la suaindipendenza e le sue idee; motivo per cui la loro filosofia non bisogna cercarla in un
solo lavoro, ma nelle speciali tendenze
dei vari filosofi del secolo XVIII.
326 ENTITA Gli articoli filosofici d' ogni genere ed'ogni scuola, sparsi nei vari volumi dell' Enciclopedia, furono poi raccolti
e ristampati a parte col titolo: Lo
spirito dell' Enciclopedia ( Parigi in
8° ). Encratiti Vedi TAZIANO. Enesimene. Uno dei più grandi scettici dell' antichità. Nacque a Gnossa nella Creta, in qualtempo s' ignora; ma probabilmente nel primo secolo dell'era cristiana. Fondò ad Alessandria la sua scuola, nella quale insegnò che nessun principio assoluto può essere affermato dalla nostra ragione; perciocchè se si consultano i sensi non ci è dato che di afferrare la pura apparenzadei fenome ni,
senza alcun rapporto di causalità che
sia necessaria; e se si consulta la
ragione ella non potrà mai intendere
qual sia la relazione e i rapporti che
una sostanza potrebbe avere sopra un'al tra. D'onde Enesimene
conchiudeva ne gando il principio di causalità. Vero è, diceva egli, che nella nostra ragione abbiamo l'idea di causa e di effetto, ma questa non è altro che un fenomeno dell' intelligenza, che non ha
obbiettivo reale. correva i suoi tempi, e riproduceva le dubitazioni di Pirrone sotto forme che dovevano riapparire parecchi secoli
dopo. principio della sua azione, e che
senza altro esteriore impulso va da sè
mede sima al suo fine. In questo senso l'en telechia è l'interno mobile della
mate ria od altrimenti, ' essenza stessa o il
substrato che genera l'azione. E fu in
questo senso che Leibnitz ha tolto que sto nome dalla filosofia
aristotelica per applicarlo alle sue
monadi. Cantinema. Modo di argomenta re
per il quale da certi segni visibili
deduconsi le conseguenze che da quelli
si attendono, come, p. e: il cielo è se reno, dunque non pioverà.
L'entimema è perciò un ragionamento men
comples so e più incerto del sillogismo, in quan to consta di una sola premessa
dalla quale deducesi direttamente la
conse guenza. Esso può presentare nel ragio namento gli utili o i svantaggi del
me todo induttivo o deduttivo, secondochè
il rapporto tra la conseguenza è il segno visibile su cui si fonda, sia palesamente manifesto, o imaginario. È chiaro che chi dice: il termometro oggi segna 40 gradi sopra zero, dunqi abbiamo un calore eguale a quello Senegal, fa
un Entimema assai diverso e assai più
Ben si vede che questo filosofo pre- congruente di chi dicesse: I miei
af fari vanno bene, dunque la provviden za mi protegge. Entità. Nella lunga lotta che di battevasi
nel medio evo fra gli opposti E se
avesse spinto più innanzi la sua analisi
dell' umano intelletto, che condu ceva con tanta perspicacia, nor avrebbe forse tardato ad avvedersi, che l'idea di causa ed effetto non è soltanto un fenomeno dell' imaginazione, ma civiene suggerita olbiettivamente dalla esperien za,
in grazia della successione di tutti i
fenomeni che noi osserviamo, succes sione alla quale nessun corpo sfugge. Ridurrebbe dunque l'idea di causa ed effetto al suo vero elemento, chi dices se
ch' ella non è altro che una trasfor mazione dell' idea di successione e
di movimento. Entelechia. Parola primamente composta da Aristotile per dinotare o gni
cosa che in sè stessa contenga il
partiti della filosofia scolastica, il reali smo sosteneva contro il
nominalismo (v. questi nomi) che gli
universali, ossia le generalizzazioni
delle cose particolari, non erano
astrazioni prive di consisten za, ma esistevano veramente e realmen te in una
lor propria maniera. Secondo questa
dottrina ogni cosa speciale attin ge i caratteri che la distinguono in una esistenza eterea, nella quale sono i ca
ratteri comuni e universali del genere.
Ondechè esistono gli uomini individuali
Pietro, Paolo, Luigi, maoltre questi in dividui vi è qualche cosa di
reale e fuo ri del mondo dei viventi che costituisce l'umanità.
Nei tempi moderni le entità, queste ENTITÀ esistenze spuree che partecipano ad un tempo dell'essere e del non essere, non chè
rivivere, si moltiplicano straordina riamente nel campo della metafisica. Du
bitare dell' esistenza della materia, du 327
entità della metafisica: l'entità ma tematica. bitar dei sensi, dubitare eziandio di e-i
stere son partiti leciti anche agli idea listi, ma guai a colui che dubiterà
del le entità della metafisica ! I tipi intel lettuali sono così superiori alle
forme materiali che dubitar di questi si
può, ma sarebbe eresia dubitare di
quelli. Le idee innanzi tutto sono, non
la so stanza che vediamo o che sentiamo, е
perciò ' ontologia per i filosofi di que sta scuola deve esser scienza
mille volte più esatta della fisica.
Berkeley e Col lier negheranno l'esistenza reale del mondo per attribuirla alle sole idee, e nei tempi nostri Rosmini e Manzoni, più modesti, non toglieranno l' esistenza alle cose sensibili, ma creeranno una nuova entità, l'ente-idea che esiste in sè e per sè anteriore alla sensazione. Persistendo nella negazione d'ogni realtà obbiettiva, Descartes si fonda sul puro subbiettivo e spera di avere tro vata
nell' idea una base sicura,incrolla bile alla filosofia. Ma non si accorge che cotesto sistema è pieno di palpabili contraddizioni, non vede che egli rico nosce
l' effetto e respinge la causa, e che se
i corpi esterni non esistessero e non
reagissero dal di fuori, non avrem mo al di dentro le sensazioni, non le idee, non il pensiero! Aristotile è il padre dellametafisica; ma, la metafisica d' alloranon ha nulla ache fare con quella dell' oggi, Aristo tile
insegnava che ogni causa efficiente
ècorporea, dal che segue che è pure cor porea l'anima umana. Non vi è
forza alcuna, diceva quel sommo, senza
qual che materia, perciocchè ogni cosa che
esiste deve esistere in qualche luogo. È
questo un assioma che per quanto vi vano i secoli non potràmai essere
smen tito. Ma Descartes si getta all' estremo
opposto; per lui esiste la forma, la so stanza è nulla. E qui nasce la
prima Colui che cogli occhi della
mente considera un triangolo,concepisce
i tre lati, i tre angoli che
costituiscono le lince esteriori, ed ha
il concetto di una forma ipotetica che
corrisponde a deter minate regole. Questa forma o non ha una realtà o ne ha una affatto mate riale, in
quanto sia rappresentata da un corpo; e
a tutto rigore si può anzi dire che
senza la materia, senza il cor po nemmeno la forma sarebbe mai sta ta
concepibile dal nostro intelletto. Ma il
metafisico astrae affatto dalla realtà,
traccia linee e circoli immaginari e con chiude che la legge geometrica
è una entità, un non so che
d'indipendente dai corpi. Se considera i numeri, il metafisico non si allontanerà da questa via. Le cifre 10, 20 30 ecc, per chi le vuol in
tendere, non sono altro che segni neri
segnati in campo bianco. Concetti ideal mente, sono aggettivi numerali
che non hanno alcun valore senza il
corrispon dente sostantivo, senza i corpi che, in certo qual modo, li informino e li rap
presentino. Ma il metafisico procede in
senso inverso, da valore e realtà al nu mero, concepisce e fabbrica una
legge arbitraria, una entità senza ente.
I mo derni sorridono pensando al valore gran dissimo che li antichi
attribuivano a cer ti numeri per l'effetto di inveterate cre denze
superstiziose; ma abenmiglior ra gione dovremmo sorrideredei nostri me
tafisici, i quali suppongono che esista
in natura una logica division decimale
o dodecimale, senza badare che in na tura ogni divisione equivale a
qualun que altra. Data una realtà alle
linee ed ai punti, Descartes non doveva
durar fati ca nel creare quell' altra entità su cui posa oramai l'intero edificio della me
tafisica, voglio dire l" entità pensante.
Dove e come risiede l'anima nel corpo ?
Se essa vi è diffusa per ogni lato, il fa moso ego cogito, ergo existo
andrebbe 328 ENTITA a risolversi in una sostanza estesa, do tata
delle tre dimensioni, si compene trerebbe col corpo e sarebbe, insomma, un ente di materia. Ma Descartes non sa per uno spazio, la si concepisce este sa,
e quindi materiale; essendochè l' i dea della materia non è altro che
quella d' una sostanza estesa.
L'affermare che si sgomenta per si poco.
La teoria dei punti edelle linee è
piana,comoda e ben si presta ai concetti
astratti. Descartes lo vede, ond' eccolo
venir fuori colla sua proposizione, che
l'anima entro il cor po occupa un punto matematico. La potenza della realtà da cui a strarre il
metafisico impiega ogni mag giore sforzo, ad ogni momento imperio sa e
imponente gli si affaccia.Descartes | denti nozioni ». vede i punti e le linee segnate sulla car ta,
e s'immagina che, astrazion fatta dalla
materia di che son formate, possa
ridurli a quella data essenza per cui
venga ad essi tolta ogni dimensione.
vi è una presenza locale, propria delle
nature immateriali, per cui sono tutte
intiere in ogni punto dello spazio, tal chè senza essere composte di
parti e senza avere estensione occupano
un luo go che ha tre dimensioni, l' affermare,
dico, queste cose, egli è non solamente
un non darci idea di cosa alcuna, ma
ancora un combattere le nostre più evi Manonpensa che le linee ei
punti sono pure fatti di una qualunque
siasi sostanza, con la quale soltanto a
noi si rendono percettibili, e che se
essi si con cepiscono senza reale rappresentazione, cessano di essere, non sono più nè pun ti nè
linee, sono un nulla. Certo, il ma tematico può per un momento astrarre dai punti e dalle linee, e mentre li ve de,
li tocca e li misura,può considerarli
senza dimensione, tanto questa è mini ma e insignificante pe' suoi
calcoli. Ma per quanto tenue sia la
dimensione del punto, non perciò il
punto stesso cessa di essere una realtà;
chè anzi il mate matico traccia apposta i punti e le li nee perchè sa troppo
bene che senza sostanza, senza un ente
materiale che la rappresenti nessuna
forma sarebbe pos sibile. L'
argomentazione calzava si bene al
proposito, che i Cartesiani non credet tero di poter uscire dal
laberinto senza gettarsi all' estremo
opposto. Se nega vano forma e figura ed estensione all'a nima, a molto miglior
motivo dovevano negaria a Dio. Ma come
conciliare que sta lezione colla immensità, per la qua le si vuol che Dio colla
sua sostanza si diffonda in tutto
l'universo ? Grave sa rebbe la risposta a noi pigmei della scienza che non sappiamo elevarci d'un palmo sullo strato di questa materialissi ma
materia; ma alla metafisica che ar dita si slancia negli spazieterei e
d'uno sguardo sagace abbracciala
quintessen za di tutto il mondo, il compito dove va essere facile. Un ripiego
semplicissi mo bastò ai Cartesiani per spiegare la cosa, e insegnando non potersi dire, sen za
far Dio corporeo, che la sostanza di lui
è diffusa dappertutto, sostennero che
egli, per essere spirituale, non poteva
trovarsi in luogo alcuno. Qui il
punto matematico si trasfor ma in punto veramente metafisico. Per Il punto matematico, novella entità di Descartes, non giova dunque anulla|
siffatto metodo Dio e l'anima vengono
per provare la semplicità e la indivisi bilità di questa sostanza
quintessenziata che si chiama anima,
poichè anzi es sendo il punto idealmente divisibile al l'infinito, dovrebbe
dedursi che anche l'anima lo è del pari.
Eil Bayle stesso confutava molto a
proposito Descartes con questo
stringentissimo argomento. «Quando si
concepisce una cosa difu a trovarsi in un luogo che non è luogo, sono ovunque e nello stesso tempo in nessun sito, esistono realmente e con stano
di nessuna sostanza, non possedo no alcuna dimensione; in una parola questo metodo ha dato l'ultima entità della metafisica moderna colla creazione dell' atomo vuoto. A questo punto par che tutte le sco
EPICHEREMA perte della metafisica si
siano fermate. Grande e solenne lezione
pei sognatori d' ogni risma, i quali,
contanta smania di lanciarsi fuordella
natura, non giun sero nemmeno a produrre una nuova 329
colo) così si esprime:Nel duodecimo secolo si pronunciava assai male il latino,
onde invece di eum, come si dice oggidì,
di cevasi eon, per cui nel simbolo invece
di cantare per eum qui venturus est
idea, non un nuovo pensiero, che non
fosse un controsenso. In questa freneti ca gara di costrurre a forza di
pensie ro una nuova sostanza, che fosse diver sa da tutte l'altre cadenti sotto
l'azio ne dei sensi, essi riuscirono solo a far
pompa d'una stolta e superba vanità, e,
pur disprezzando i sensi, ricaddero for zatamente entro la sfera dei
loro giudizi. Essi davano alla loro
entità il nome e la figurad'un atomo,
per questa capitalis sima ragione, che la forma più leggera e sottile che mai avessero veduto o sen tito,
era quella appunto della più picco la parte della materia immaginabile. I sensi sono la porta dello spirito, e loro percezioni sono tutto quel tanto che a noi è dato di conoscere. Meglio che ostinarci e disprezzarli e astrarre da essi a cui siamo strettamente con giunti
per una legge fatale e inesorabi le; meglio che creare delle entità effi mere
che nei sensi ancora trovano la loro
radice, conviene dunque che nor sia
trascurata questapreziosissima dote del
corpo, questa facoltà di sentire po sitivamente, per la quale soltanto
siamo vivi, giudichiamo, compariamo e
attin giamo tutti i criterii della realtà. Infi ne, non conviene dimenticare
che il mi glior rimedio contro il pericolo di crea re le entità metafisiche, è
quello di non separare mai il fenomeno
dalla sostan za che gli serve di base; e per poco che uno pensi non tarda ad avvedersi che tutte le entità non sono infine che l'ef
fetto di questa violenta separazione. Nes suno avrebbe mai pensato a dare
alle idee o al movimento, una reale
esisten za, se per astrazione non si fossero se parate dal corpo che le pensa o
dalla sostanza in cui si manifestano. Eon della Stella. Gentiluomo Bretone la cui eresia l' abate Pluquet, sulle traccie del Dupin ( Bibliot. XII. se
judicare vivos et mortuos , cantavasi
per eon qui venturus ecc. Fu in grazia
di tale pronunzia che Eon s' imagind
che di lui fosse detto nel simbolo, che
dovrebbe venire a giudicare i vivi ed i
morti, la qual fantasia gli riscaldò l'ima ginazione e il persuase di
essere il giu dice dei vivi e dei morti, e per conse guenza il figliuol di Dio.
Ai suoi discepoli distribui uffizi col
nome di Angeli, Apo stoli, il Giudizio, la Scienza, la Sapien za ecc. Molti partitanti egli ebbe e i soldati mandati per arrestarlo non ne vennero acapo in sulle prime, onde fu detto ch' egli erainviolabile per
sovranaturale potenza. Tradotto infine
davanti al con cilio di Rheims,vi fu condannato a pri gionia perpetua, e alcuni
suoi discepoli che persistettero a
riconoscere in lui il figliuel di Dio,
incontrarono la morte. Stupendo esempio
è questo per provare come intempi anche
assai più vicini ai nostri di quelli in
cui visse Gesù, facil cosa fosse a uno
scemo il farsi crede re figliuol di Dio, e il trovare apostoli che incontrassero il martirio per amor di lui.
Epicherema. Sorta di sillogismo
composto, mediante il quale alla mag giore ( V. SILLOGISMO ) si
aggiunge qualche ragione dimostrativa
onde ren derla più evidente. Il seguente sarebbe un sillogismo semplice: Tutti i vapori a parità di massa hanno un volume maggiore dei liquidi; le nubi sono un vapore; dunque presentano maggior vo lume dei
liquidi. Questo sillogismo si
trasformerebbe in epicherema quando
alla ragione assiomatica espressa nella
maggiore, si aggiungesse una qualche
dimostrazione, per es. così: Tutti i vapo ri a parità di massa hanno un
volume maggiore dei liquidi, poichè il
calorico disgiungendo le loro molecole
le allon 330 EPICURO tana moggiormente fra di loro; le nubi sono un vapore, dunque ecc. Epicuro. Nacque inGargezio nel ' Attica nell'
anno 341 prima di Gesù, da famiglia
antica ed illustre, ma ca duta nell' indigenza. Per provvedere ai bisogni della vita, i suoi genitori emi grarono nell' isola di Samo, ove il pa dre fu
maestro di scuola, e la madre divenne
pitonessa e al figlio insegnò a
pronunciare le parole che l'oracolo fa ceva sentire frammezzo alle
magiche evo cazioni. Allevato così nei più arcani se greti della divinazione,
Epicuro acquistò un anticipato disprezzo
per le supersti zioni religiose d'ogni genere. Dicesi che a quattordici anni, al maestro che gl' insegnava il verso di Esiodo: Nel principio era il caos, egli chiedeva: E il caos d'onde nacque? Preso dal biso gno di
sapere, egli si applicò allo studio dei
filosofi, ma Democrito sopratutti fu da
lui preferito. Spirito profondo e sa gace, ripugnante alle astruserie metafi
siche dei suoi predecessori, egli com prese quanto di vero, di naturale e
di pratico vi fosse nella dottrina del
filo sofo d' Elea, e divisò d'applicarne i
principii. Nell' età di 18 anni
si recò ad Atene, ma poco vi rimase, chè
fu presto a Lampsaco, ove cominciò a
professare i suoi principii e vi fece
proseliti, coi quali nell' anno 309 a.
G. C. tornò ad Atene, acquistò un
giardino e vi fondò stabilmente la sua
scuola. Gli Epicurei soli vi erano
ammessi e tutt' insieme vi vevano d' una vita comune,come idisce poli di Pitagora; con la differenza però che Epicuro non volle che ponesssero in comune i loro beni, dicendo che cid eccitava diffidenze fra di loro, ma
volle che ciascuno pagasse una parte
della spesa. L'accordo della comunità epicurea non fu mai turbato, e ancora dopo la morte del maestro sussistette lunga mente;
tantochè Cicerone dice che nei tempi
suoi gli epicurei vivevano ancora in
comune. Le spese, d'altronde, erano poche,
e tuttochè filosofi volgarissimi abbiano
cercato di far credere che l'c picureismo amasse lo sfarzo e il pia cere
soltanto, è ben sicuro che lavita degli
epicurei fu purissimadaognimac chia, ch'essi vissero colla massima sem plicità
e che tenue assai era la spesa che
importava il loro vitto comune. Vero è
che nella comunità epicurea anche le
donne erano ammesse, e fra le più il lustri discepole di Epicuro
citansiLeon tina, celebre cortigiana d'Atene, e The mista di Lampsaco. E gli
stoici che avversavano la sua dottrina
se ne val sero per calunniarlo. Diotino, uno degli stoici, fabbricò perfino sotto il nome
di Epicuro cinquanta lettere indirizzate
a cortigiane, piene di oscenità. Ma il
falso fu svelato, e lo stesso Crisippo,
il più autorevole capo della scuola stoica,
pub blicamente riconobbe la purità de' co stumi di Epicuro. Egli è ben vero
che per togliere alla dottrina del suo
av versario il merito di far procedere in sieme l'amor della felicità con la pu
rità dei costumi, disse che ciò dipen deva perch' egli era insensibile. Ma bi
sognava ignorare qual fosse il fonda mento della vera dottrina di Epicuro per muovergli simile accusa. È vero ch'egli insegnava ilfine dell' uomo es sere
il piacere, ma soggiungeva anche che la
felicità si trova nella calma e nella
tranquillità della vita, ond'esser savio
consiglio il guardarsi dalle pas sioni che la possono turbare. É vero ch'egli diceva consistere il piacer fisico nellasoddisfazione dei naturali bisogni; ma aggiungeva poi anche che quanto minor sollecitudinc si usa nel soddi sfarli,
tanto meno si corre il pericolo di
essere esposti alle privazioni. Aste nersi per godere era la sua granmas sima,
e se sia vera lo sanno i crapu loni d'ogni tempo, i quali per una pronta debilitazione delle loro sensa zioni,
per una noia e una nausea an ticipate imparano a loro spese quali siano ipericoli dell'intemperanza. L'a mor
del piacere non può dunque es EPIFANE
sere separato da una vita temperante,
e la vita di Epicuro, per la testimo nianza stessa de' suoi nemici, è la
più perfetta e la più nobile
applicazione de'suoi principii.
Nonpertanto nel mon do de'vulgari, allora, come adesso,igno ravasi la
connessione di queste due parti della
dottrina, onde inferivasi che amare il
piacere e soddisfarlo era una 331 re per vera solo in quanto corrisponde alla sensazione. Nella filosofia epicurea ' anticipa zione è
facoltà identica alla memoria, ed è per
suo mezzo che le immagini delle
sensazioni già provate riproduconsi nel
nostro pensiero. Le passioni, final mente, sono la nostra guida; esse ci in
dicano ciò che ci conviene e ciò che
cosa sola. Dicevasi che Epicuro faceva
consistere il sovrano bene nella vo luttà, e senza oltre preoccuparsi
di spiegare in che consistesse la
volutta di Epicuro e per quali
temperanti pre cetti si soddisfa, si abbandonarono a vita licenziosa, tantochè molti di
questi falsi epicurei furono banditi da
Roma ai tempi dellarepubblica. Ma la
scuola fondata da Epicuro in Atene
continuò a sussistere nella purità de'
costumi, e col suo solenne esempio rese
giustizia innanzi al mondo alle dottrine
del maestro. Epicuro fu ancora accusato di a teismo, ma
non pare che l'accusa a vesse fondamento. Nella sua lettera a Meneceo egli dice: Gli Dei non sono tali come il volgare li crede. L'empio non è colui che rigetta gli Dei della moltitudine, ma colui che attribuisce agli Dei le opinioni della moltitudine
». Intollerante d'ogni credenza supersti
ziosa, Epicuro insegna la scienza della
felicità, e i mezzi per ottenerla sono
per lui quelli stessi che s'adoperano
con l'ignoranza e l'illusione per giun gere alla verità. Tre sono i
criteri della verità: le sensazioni, le
anticipazioni e le passioni, fonte
triplice d'ogui cono scenza. La sensazione è elemento pri mitivo e immediato
della conoscenza, e come tale non può
esser soggetta a sindacato. Imperocchè
una sensazione non può controllare un'
altra sensazio ne essendo pari in grado e autorità, nè purla ragione può correggerla se er rata,
inquantochè la ragione stessa è di retta dalla sensazione. La sensazione non può generare errore, poichè ha una causa reale; ma l'opinione hassi a tene
evitare dobbiamo. E poichè il fine del l'uomo quello è di cercare il bene
ed evitare il male, così deve egli
cercare, per quanto può, di fuggire le
inutili sof ferenze e di risparmiarsi tutti quei go dimenti che potrebbero
essere causa di dolori o che potrebbero
togliere godi menti ancor migliori.
Epicuro sorti natura dolce ed eleva ta, che spontaneamente lo portava
ad amare i suoi simili; capace di
devozione e di sacrificio fu visto in
occasione di una grande carestia
dividere il poco che aveva con i suoi
discepoli. Nonostante I'amor de' piaceri
di cui filosofi leggeri lo accusano,
menò vita travagliatissima per i mali
ond' era afflitto. Parco oltre ogni
dire, e più che non convenisse alla sua
mal ferma salute, poco pane basta vagli per nutrimento di tutti i giorni, onde Seneca disse di lui che un soldo gli era di troppo per un giorno.
Afflitto negli ultimi tempi dal mal
della pietra, non bastavano i vivi dolori
di questa crudele malattia per turbare
quella pla cida serenità che tanto lo facevano caro ai discepoli, ai quali, giunto agli estre mi,
legò il suo giardino, acciocchè lui
morto, potessero continuare la vita co mune e la sua scuola. Mori nel
271 a. G. C. nell' età di 71 anni. Epirane. Figlio di Carpocrate; di vise e
giustificò l'eresia del padre. Dalia
apparente eguaglianza in cui natura
pose tutti gli uomini concluse che il
male non esisteva nel mondo e che la
giustizia divina era provata per questa
stessa eguaglianza. Se il sole, diceva,
si leva egualmente per tutti gli uomini
e la terra a tutti egualmente offre le
sue produzioni, segno è che Iddio ha 332
ΕΡΙΤΕΤΤΟ stabilita questa
eguaglianza e a tutti egualmente vuol
ripartire le benefi cenze sue. D'onde conchiudeva che i frutti della terra e le donne fossero in comune. Secondo Epifane la legge sola quella era stata la quale aveva sviati gli uomini dal retto sentiero: abolire la legge e ritornare alla natura, era per Epifane un ritorno alla perfezione; e lo provava coi passi di S. Paolo, il qual dice che prima della legge non si conosceva il peccato, nè vi sarebbe peccato se legge non vi fosse. Epifane morì giovinetto ancora ( di cono
alcuni di 17 anni ) e fu onorato siccome
un Dio. Si innalzò un tempio in suo
onore a Sarne, città di Cefa lonia, ove nei primi giorni del mese celebravasi la festa della sua apoteosi e si offrivano sacrifizi in suo onore. dalla parte della femmina lo spazio e il nutrimento necessari. Questa ipotesi è oggidì dimostrata falsa, e resta as sodato
che gli spermatozoidi determi nano soltanto l'evoluzione del vitellius con un concorso materiale e diretto dalla loro sostanza. L'embriologia ha ancora mostrato che la generazione non solo è una vera produzione nuova in ciò che concerne l'ovulo e gli sper
matozoidi, ma che lo sviluppo dell'uo vo, l'apparizione dell'erabrione nel seno materno risultano da una vera epigenesi successiva che si compie in tempi dif ferenti
a spese delle sostanze fornite dall'
ovulo; che nell'ovulo non preesi stono gli organi,i quali compaiono per autogenesi ciascuno in tempi differenti durante l'evoluzione embrionaria. ( V. EMBRIOLOGIA).
Episcopali. Vedi Presbiteri
Epitetto. Nacque nel 1° secolo
dell' Era volgare ad Jerapoli nella Fir gia, dagenitoriindipendenti, e
nell' ado Epigenesi(da έπι', soprae γένεσις,
generazione ). Dottrina la quale stabi lisce che la generazione delle
diverse specie degli esseri organizzati
si è ef fettuata in tempi differenti. L'epige nesi è dunque contraria all'
imbotta meuto , antica dottrina de' fisiologi i
quali credevano che i germi di tutte
Je forme future fossero precontenuti | bestiale, che Epitetto apprese le
prime l'un dentro l'altro nel primo uovo
di ogni specie ch'era stato creato ( v.
A lescenza fu schiavodi Epafrodito, liberto
e guardia particolare di Nerone, uomo
rozzo e stupido e di malvagio animo.
Fu sotto tal maestro, poco men che
NIMAZIONE L' epigenesi invece consi dera ogni nascita come una nuova for
mazione organica, inquantochè, se fra i
nati e i primi parenti non vi è al tra affinità che le leggi di
formazione, sarebbe assurdo il dire che
in essi vi era la presistenza di tutte
le genera zioni future. Laonde Kant che deno minava l'epigenesi la teoria della
pre formazione organica, poteva dire che le
generazioni attuali preesistettero vir tualmente o dinamicamente nei
primi genitori. Vi furono degli
epigenisti che credettero che la
generazione fosse po steriore alla fecondazione, tali gli sper matisti, i quali
credevano che lo sper ma contenesse le parti esenziali del nuovo essere, al quale l'atto procrea tore
non avrebbe fatto che procurare massime
della scuola dell' avversità, e si bene
vi si assimild, che divenne il più illustre
sostegno di quella filosofia desolante,
inadatta alla natura e alla felicità
dell' uomo, che fu poi da Plu tarco vivamente combattuta. La scuola cinica riviveva in lui sotto novelle
forme. Men brutale e trascurato di
Antistene, Epitetto non si allontana
però grande mente dalla sua morale; ed è il cini smo di Socrate ch'egli prende
a mo dello e pel quale dimostra una grande
ammirazione. Naturale nemico diEpicu ro, egli proclamache il male è
illusione, eche il bene non devesi
ricercare. Non sono già le cose che ci
fanno delmale, ma l'opinione che noi ci
formiamo di esse. Conformandosi alla
dottrina degli stoici, egli diceva che per
quanto fosse tormentato, non lo si
costringerebbe mai a confessare che il
dolore sia un ERESIA male. Dicesi che il
suopadrone ungiorno | quella di Gesù perquesto solo, ch' essa porta con sè lo stimmadel paganesimo. La volontà di Dio s'identifica col fata nella
sua brutalità trastullavasi a tener gli una gamba. >> disse Epitetto, ed essendosi rotta dav vero,
il filosofo riprese con tutta tran quillità: « io ve l'aveva ben detto che si sarebbe rotta ». Citando queste pa role
Celso le oppone ai cristiani e a lor | verebbe il volervi resistere. « O
Dio, lismo. Gesù vuol la rassegnazione
ai voleri di Dio perchè è Dio;
Epitetto, ch'è stoico, celaraccomanda
per un'al tra considerazione, ed è che a nulla gio dice: « Il vostro Cristo ha
egli fatto alcun atto più grande?- Si,
risponde Origene, egli ha taciuto.
D'allora in poi Epitetto zoppicò. La
vita di questo fi losofo è nel resto molto oscura, e di lui s'ignora anche il nome, avvegnachè E pitetto
sia un sopranome e significhi schiavo.
Ci sa che fu libero, ma quando ebbe la
libertà s'ignora. Pare che abbia avuto
molta famigliarità coll' imperatore
Adriano, ma contuttociò si sottopose
sempre al regime di unapovertà volon taria. A Roma abitava una casa
senza porte: un lettuccio, una sedia e
un ta volo erano tutto il suo mobiliare. Ma
volle un giorno acquistare una lampada
di ferro che gli fu subito involata, on d' egli parlando del ladro,
disse: (Matt. XXVI, 26-28; Giov. Χ, 7,
XVI, 1). Fedeli alla lettera di questo
passo, e contro l' impossibilità stessa
che il pane e il vino potessero
trasformarsi nel cor po e nel sangue di Gesù quando Gesù berrà il calice del Signoreindegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Si gnore.
Provi perciò ' uomo se stesso e così mangı
di quel pane e beva di quel calice (I Cor. XI 26-28). Ora quel ripetere tre volte il pane e il calice in
vece del corpo e del sangue di Gesù, non
dimostra forse che il pensiero di S.
Paolo era ben diverso da quello che gli
attribuiscono i cattolici, e ch' egli
credeva che il pane restasse pane,e vino
èvino il vino, e il corpo di Gesù non
fosse introdotto nella cena che come
stesso era presente, bamboleggiando so stengono che tutte le volte in
cui il sa cerdote pronuncia le sacramentali parolespressione positiva questo è
il mio corpo della consacrazione, il
pane ed il vino si trasmutano e sotto le
loro materiali parvenze occultano il
corpo, il sangue simbolo materiale del
nuovo patto? L'e e la divinità di G. C.
Contro i cattolici dimostrano i pro testanti essere contrario al senso
della scrittura l'interpretare
letteralmente le parole di Gesù: Questo
è il mio corpo, questo è il mio sangue,
imperocchè egli ha pur detto: io sono la
porta per la quale entrano le pecore; io
sono il vero серро е mio padre è
ilviguaiuolo, d'on de si dovrebbe conchiudere che Gesù Cristo è veramente una porta e un cep po, e
il padre un vignaiolo. La prova che Gesù
non voleva che le parole sue fossero
intese alla lettera, è che nel momento
stesso in cui dà il calice ai suoi
discepoli, alle parole: questo è il mio
appartiene alla natura di quei modi di
dire che anche oggi i credenti usano nel
natale o nella pasqua dicendo, oggi il
Signore è morto od è risuscitato.
Non si può negare che molti padri
della Chiesa già nei primi secoli par lando dell' Eucaristia la
chiamassero sempre il corpo e il sangue
di G. C.; ma bisogna convincersi che
questa espres sione nel loro linguaggio non esprimeva altro che il simbolo del corpo e del sangue di Gesù, non giàil suo vero cor po e
il suo vero sangue. Questi padri erano
così lontani dal pensare che i cat tolici dei secoli futuri avrebbero
preteso di interpretare letteralmente le
loro pa role, che anzi, quando a loro accadde
non già di citare soltanto l'eucaristia,
madi doversi spiegare intorno ad essa, EUCARISTIA lo fecero sempre con parole che non lasciano dubbio intorno al loro vero pensiero. Per esempio nel III. secolo Ter
tulliano spiegando la santacena diceva:
Gesù Cristo dopo aver preso il pane
ne fece il suo corpo, e distribuendolo ai suoi discepoli loro disse: questo è il
mio corpo, vale a dire la figura del mio
corpo. (Adv. Marcion lib. 4 cap. 4). Nel IV secolo S. Efrem; diacono d'E dessa ,
scriveva : . Intorno al modo d'intendere
il sim bolismo della scrittura, S. Agostino così si spiega:
(Abadia, tom II, Sat. 2. c. 5). Una così
dei pådri succitati. Egli è ben vero che
essi citano de' passi che hanno una
grande analogia con quelli che si trova no nei nostri evangeli, ma
questa ana logia è ben lontana d'essere identità. Si sa che tra gli evangeli apocrifi e i canonici vi sono molte similitudi, onde non è a meravigliarsi che i padri rife
riscano dei passi il senso dei quali è
simile a quello degli evangeli canonici.
Per es. nella seconda epistola di Cle mente, si leggono alcune parole,
riferite come se fossero dette da Gesù,
senza però che si vedaindicato l'
Evangelio a cui sono attinte. Ma esse
hanno mol ta analogia con alcuni passi di Matteo e Luca, come si vede dal seguente pa
rallelo: Passo di un apo crifo citato da S. Clemente Il Signore dis se: Voi sarete come agnelli in mezzo ai lupi. Pietro rispo se: e se i lupi sbra nano
gli agnelli ? EGesù disse aPie tro: Gli
agnelli non devono temere ilu pi dopo la
loro morte: non paven tate coloro che
pos sono uccidervi ma non nuocervi
dopo la morte; ma teme te colui che
dopo la vostra morte può mandare l'animavo stra e il vostro cor po
nelle gehenna». Passi dell'Evangelo secondo
Matteo e Luca Ecco che io vi mando come peco re in mezzo ai lupi. ...
Siate adunque (Mat. X, 16). An
date ecco che io mando voi come a gnelli
tra i Lupi (Luca X, 3). E non temete coloro che uccidono il corpo e non possono uc cider l'anima; ma temete piuttosto co lui che può mandar in perdizione l' a nima, e il corpo alla gehenna. (Mat. X, 28 conf. Luca XII, 45).
Or si può egli credere che Clemente
con queste parole abbia voluto riferirsi
aMatteo e a Luca? Se Clemente aves se avuto sotto gli occhi l' Evangelio
di Matteo e di Luca si sarebbe egli per
360 EVANGELIO messo di introdurre nella dizione le va
rianti che vi si leggono ? Ciò non è cre dibile; onde tutti i critici
convengono che quelle parole sono tolte
da qualche apocrifo. Enon solo gli evangeli canonici non furono conosciuti dai primi padri, ma an che
dopo essersi propagati nel cristiane simo, a forzadi copie, andarono
soggetti atante e tali variazioni, che
mettono seriamente in dubbio l'autenticità
delle edizioni che ora possediamo.
Giovanni Mill nella sua edizione del
Nuovo Te Chiesa, abbilo co me pagano e pub blicano. AlloraPie tro
accostandosegli, disse: Signore quan
tevolte peccando il mio fratello, gliper
donerò io ? Fino a sette volte? Gesù
gli disse: Io non tidico fino a sette volte; ma fino a settanta volte sette.
Qual di questi due passi è l'origi nale? Quel de' Nazarei per la sua sem
stamento ha raccolte ben 30 mila va rianti, dovute in gran parte ad errori di ortografia o a postille scritte in mar
gine, che nella trascrizione gli amma nuensi copiavano nel testo. Quando
poi trattavasi di traduzioni non è
facile dire come e quantierrori
potessero commet tersi. Or, convien osservare, che, secon do ci attesta Papias
il cui maestro, come ho detto, fu un
discepolo degli apostoli, Matteo scrisse
il suo Evange 'lio in ebraico, e ciascuno lo ha tradotto come ha potuto (Eusebio. Stor. Eccl. III. 19). Ma l' originale andò perduto,
e di questo vangelo noi non
possediamo plicità evidentemente precede
l' altro, che ne è una parafrasi, nella
quale si sono introdotte cose estranee
all' argo mento. I versi 18, 19 e 20 qual rap porto hanno col principio del
discorso? E poiquelprocesso, quei
testimoni, quel la Chiesa eretta a tribunale giudicante potevano forse convenire col pensiero di Gesù di perdonare sette volte sette?
vale a dir sempre? Ache servono allora
quel giudizio e quei testimoni se si
deve in ogni caso perdonare? Perchè
dunque non crederemo che questa sia una
interpo lazione, tanto più che contro Matteo sta il testo di Luca (XVII, 3, 4) conforme a quello dei Nazarei? che il testo greco, il quale è una ap punto
di quelle versioniche furono fat te come si è potuto. Qual fede mérita essa ? Quali errori e quali interpolazioni ❘ forse entrambi non sono che la copia L' Evangelo attribuito a Marco pud dirsi stereotipato su quel di Matteo, e non vi furono introdotte? Per es. con
frontinsi questi due passi, l'uno di un
antichissimo apocrifo, l' evangelio dei
Nazarei, l' altro di Matteo.
Nazarei. Se tuo fratello pecca contro di te in parole, e ti sod disfaccia , ricevilo sette volte il giorno. Simone suo disce polo gli disse: sette volte il giorno? Ri spose il Signore: io ti dico anzi fino a settanta volte sette. Matteo XVIII.
Se tuo fratello pecca contro di
te, va e riprendilo fra te e lui. Se ti ascol ta tu hai guada gnato
tuo fratello; ma se non ti ascol ta
prendi teco an cora uno odue, ac ciocchè ogni parola sia confermata da due o tre testimoni. E se disdegna di modificata di un apocrifo più antico. Ma quello di Marco è più breve, e
noncontiene molte cose che evidentemente
sono state aggiunte a quello di Matteo.
> cementeche esse non si succedono in me,
Dunque, conclude Berkeley, qualunque e che non si succederebbero in
un'intel grado di calore e di freddo non è che ligenza di un altro ordine ? Uno
stesso una nostra sensazione ; e
siffatto argo- corpo può dunque sembrare aduno muo mento egli l'applica ai
sapori, agli o dori, al suono e perfino all'estensione. Voi convenite, dice Filono al suo sup posto
interlocutore, che nessuna qualità
inerente a un corpo potrebbe combiare,
senza che in questo corpo sia avvenuta
qualche modificazione. Ma l'estensione
visibile degli oggetti varia a proporzione versi su di uno spazio dato nellametà del tempo, che sembra a noi aver im che noi
ce ne avviciniamo o che ce ne
allontaniamo, poichè essa è dieci e cento volte più grande a certe distanze, che non ad altre, e da ciò non segue forse che questa estensione non è realmente inerente agli oggetti? Voi sareste ben deciso su questo punto, per poco che vi permetteste di giudicare della qualitàdi cui parliamo ora, colla stessa libertà
di spirito che avete usata a riguardo
delle altre. Non avete ammesso per buon ar
gomento, che nè il calore, nè il freddo
sono nell'acqua, perchè un'acqua stessa
sembra calda a una mano e fredda al l'altra? E non potete voi concludere
con un ragionamento perfettamente
simile, piegato in questo moto, e questo
stesso ragionamento potrà, d'altronde,
applicarsi ad ogni altra specie di
rapporto di tempo; e poichè secondo i
vostri principii, tutti i moti che si
percepiscono sono vera mente nell'oggetto in cui si percepiscono sarà, per conseguenza, possibile che un solo e medesimo corpo si muova, insie me, e
molto velocemente e molto lenta mente e ciò realmente ed in uno stesso senso. Ora, come accordare queste con
seguenze, non solamente con ciò di cui voi
siete già convenuto, ma eziandio colle
nozioni le più semplici che il buon
senso possa fornirci? >> La
conclusione di tutti questi ragio namenti, secondo Berkeley, è che l'e
stensione, il moto, i colori e tutte, in somma, le qualità percettibili della
ma teria, son fenomeni, i quali non sono
nei corpi, ma qualità con cui le nostre
sensazioni rivestono i corpi. 368
FENOMENO Anzi, il corpo stesso,
così come noi lo percepiamo, è un
fenomeno; il che nel linguaggio
filosofico vuol dire una cosa che ci
apparisce e che non è, o può non essere
nel modo in cui ci ap parisce. D'onde Berkeley, eccedendo nel l'illazione il
contenuto delle premesse, conchiuse ,
negando ogni realtà alla materia. Ma l'essere i fenomeni effetti o azio ni non
reali per se stessi, non implica che non
devano avere un substrato in cui
manifestarsi. Pud ammettersi che il
color biancodella carta che io vedo non
sia altro che un modo con cui certi
movimenti molecolari dell'etere affet a no il mio occhio; ma che vuol
direid ? Si dirà per questo che il
fenomeno dei colori non ha bisogno di
una sostanza per manifestarsi, e che vi
possono es sere dei colori anche al di fuori dei corpi che li assumono ? Certo, i fenomeni ci rappresentano i corpi, e sono tutto quel tanto che dei corpi noi possiamo percepire; ma sappiam noi che cosa sono questi cor pi in
realtà? L'idealismo li negava, lo
scetticismo, menesagerato, della loro e sistenza dubitava soltanto.
Quanto ai fe nomeni, tutti sono d' accordo a consi derarli come mereparvenze; e
tutti cre dono ch' essi non costituiscono gene ralmente una percezione
semplice, ma una collezione di
percezioni, in quella maniera che nel
color verde non per cepiamo il giallo e il turchino che en trano nella sua
composizione, o che nelle vibrazioni di
due corde armoni che unisone noi percepiamo un suono solo. Noi, dice Galluppi, non possiamo percepire gli oggetti semplici che com
pongono l'estensione materiale: nonper cepiamo che la collezione totale, e
la percezione di questa collezione totale, la quale è molto chiara, èciò che chia miamo
il fenomeno dell' estensione ma teriale.
Così, continua Galluppi, tutte le
attività particolari di una estensione
qualunque concorrono, in questa esten sione, a produrre un effetto
generale e semplice, e questo effetto è
la per cezione della collezione totale; percezio zione che non può decomporsi
nelle percezioni degli esseri semplici
da cui la collezione è composta.. L'estensione materiale non è dunque relativamente a noi, se non che una sem plice
apparenza, un fenomeno. La realtà è
negli esseri semplici, le cui azioni co ❘spiranti
producono il fenomeno. Se dun que la nostra maniera di percepire si cambiasse; se giungessimo a distinguere gli esseri semplici, noi perderemmo subi to
la percezione indecomponibile della
collezione totale, e per conseguenza quella dell'estensione sensibile;
noipercepiremmo gli elementi dell'
estensione, e non per cepiremmo affatto l'estensione. Ciò av verebbe in un modo
simile a quello in cui la percezione
dello spazio raccolto fra due corpi, la
quale ci veniva tolta dalla distanza in
cui era l'occhio dai corpi stessi, fa
sparire il fenomeno della contiguità
degli stessi corpi; ed in un modo simile
a quello in cui la percezione delle
prominenze di una superficie che si ha
per mezzo del microscopio, fa spa rire il fenomeno del lisciamento ». Il criticismo non aveva seguito una via molto diversa da quella dello scet
ticismo. Kant distingue i fenomeni dai
nomeni: quelli oggetto della nostra per cezione, questi « unacosa in
quanto essa non è oggetto della nostra
intuizione sensibile , astrazion fatta
della nostra maniera di percepirla ».
Allorchè, dice Kant, noi chiamiamo certi
oggetti col nome di fenomeni, ossia d'
esseri sensi bili (phænomena), distinguendo la ma niera iu cui noi
lipercepiamo, daquella assoluta che
sebbene non percepita è però da noi
pensata, questi oggetti che non sono dei
sensi, noi li diciamo no meni, esseri intellettuali. Si domanda dunque se i nostri concetti puri dell'in
tendimento hanno un valor reale e se non
vi sia per noi qualche maniera per
conoscerli. Qui, continua Kant, vi è un
equivoco; ed è che quando l'intendi mento chiama fenomenounoggetto con
FESTE 369 siderato sotto un certo rapporto, oltre
seguendo le ormediBacone, raccomanda la
rappresentazione di questo rapporto, il metodo sperimentale, lo studio dei si fa anche quella di una cosa in se, fatti come
condizione fondamentale del onde si
persuade che si possono fare progresso delle scienze fisiche e morali. eziandio dei concetti di cose simili;e sic-
Applicando tal metodo, parteggiò per come l' intendimento null'altro ci forni-
Locke nella questione dell' origine delie
sce che le categorie, esso è condotto a idee, ch'egli considera come
derivate, o prendere il concetto tutt'
affatto indeter- | immediatamente dalla sensazione, o com minato di un essere
di ragione,di qual- poste dalla sensazione col ragionamento. che cosa in generale, fuori del dominio Egli
avrebbeanche potuto direaddrittura,
della sensibilità, come un concetto de- come aveva fatto Locke, che la
sensa terminato di un essere che noi possiamo❘zione stessa è, in fin de'conti, la base conoscere in qualche maniera col soc corso
dell' intelletto. (Critica della ra gione pura. Lib. II. c. III). Spogliato di tutta quella nebulosità misteriosa di che sontanto vaghi i
filosofi tedeschi, il discorso di Kant
non significa altro se non che le cose
come sono nella realtà, non sono quelle
che ci sembra no, eche il nostro pensiero è fatalmente costretto a credere che sotto o sopra i fenomeni vi è un qualche cosa, vi èun substrato che li informa. In questo con
cepimento lo scetticismo e il criticismo,
come al solito si accordano, e cosìm'ac cordo anch' io, non parendomi
che si possa mettere menomemente in
dubbio che'i fenomeni risultano dalle
nostre percezioni subbiettive, ma che
fuori di noi vi è pur qualche cosa, che
è la ca usa occasionale delle nostre percezioni. .
Questo qualche cosa è la sostanza, il
concetto della quale vuol essere sepa rato da quello di fenomeno, e
tutt' in sieme costituiscono quell' ente sostanziale esensibile che diciam materia. Ferguson (Adamo). Nacque nel 1724 a Logierait presso Perth nella Scozia, e fece i suoi studi all'università d'Edimburgo. Fu capellano di un reg gimento
di montanari scozzesi diretti contro la
Francia, manon rimase molto in quella
condizione; nel 1757 fu eletto
precettore dei figli di lord Buthe e due
anni dopo fu nominato professore di
filosofia naturale all'università di Edim burgo. Ferguson è uno dei filosofi della scuola Scozzese, e in tale qualità egli, del ragionamento. Dalla cattedra di filosofia naturale, essendo stato chiamato a quella di filo sofia
morale nella stessa università, Fer guson fondò imotivi della morale sulla natura stessa dell'uomo ; nel quale cre dette
di riconoscere tre leggi che lo
portavano alla moralità, vale a dire :
latendenza a conservarsi, la sociabilità, e la tendenza aperfezionarsi.Giunto a que sto
punto Ferguson si allontana affatto
dallo studio dei fatti, e contro Hobbes,
il quale aveva supposto con molta pe netrazione, che le società all'origine
do vettero esistere in uno stato di guerra,
sostiene che i legami di famiglia e le
atfezioni sociali hanno dovuto produrre
fin dall'origine una condizione di cose
assai men funesta. Ma è probabile che
se il filosofo scozzese avesse conosciute lerelazioni dei viaggiatori che abbiamo noi, e specialmente se avesse conosciuto le recenti scoperte paleontologiche che ci rivelarono la barbara esistenza del l'uomo
preistorico, sarebbe stato indotto a
giudizi assai differenti. Feste.
Anticamente le feste o ave vano un senso istorico, o astronomico. Presso i romani, scrive Constant,
ciascun tempio, ciascuna statua,
ciascuna festa rappresentava qualche
pericolo ond' era stata salvata Roma
dagli Dei, qualche calamità ch'essi
avevano allontanata. Le Lucarie
rappresentavano l'asilo accorda to da Romolo ai fuggitivi che dovevano popolare la nuova città. Il chiodo sacro che conficcava nel tempiopiù augusto il primo magistrato della repubblica, era 24 370
FESTE l'omaggio di un secolo
civile verso i se coli predecessori in cui le lettere erano ignorate (Tito Livio VII. 3). Le Matro almeno
un giorno dell'anno, in cui ella potesse
circolare liberamente per tutte le
classi, e che, pura e attiva come la Ne
suoi primordii il cristianesimo non ha
altre feste che quelle della sinagoga;
nali celebravano la riconciliazione dei | fiamma, salisse come essa
verso il cielo. padri e degli sposi
colle figlie e colle mogli (Ovid. Fast.
III). Sotto la Repubblica romana le
feste più solenni avevano peroggetto di
cele brare le calende di Gennaio, pronuncian do solennemente voti per la
pubblica fe licità, e per quella dei cittadini; di rin novare la memoria dei
morti, e di fis sare gli sguardi degli Dei sulla genera zione attuale; di porre
i limiti invaria bili delle proprietà, e permaggior sicu rezza confidarli alla
custodia d'un Nume; di salutare al
ritorno di primavera le potenze
vivificanti, che comunicano alla terra
la fecondità; di perpetuare queste due
ere memorabili di Roma: la fonda zione della città, e la nascita della re
pubblica. In questi giorni i cittadini
avevano per costume d'ornare le loro
porte di lampade e di rami d' ulivo, di
cingere le loro teste con ghirlande di
fiori. In memoriadella primitiva
eguaglianza, che significava pur qualche
cosa presso gli antichi popoli,
celebravano iRomani nel mese di dicembre
le feste dei saturnali. ma manmano che
esso si distende nelle provincie invase
dal politeismo romano, il culto e i
costumi, e le feste inveterate che
distruggere non può, riconosce e
santifica. Purchè s'entri nella Chiesa
cristiana poco importa ai papi qual sia
l'origine del simbolo adorato. Perciò ai
missionari inviati nella Brettagna, Gre gorio I scriveva: « Non
sopprimete le feste che fanno i Brettoni
nei sacrifici ai loro Dei; trasportatele
soltanto nel giorno della dedica della
Chiesa o alla festadei santi martiri,
affinchè, pur con servando alcuna delle materiali gioie dell'idolatria, essi siano più
facilmente tratti a gustar le gioie
spirituali della fele cristiana (Epist.
IX, 71). Grazie a questo compromesso, il
cristianesimo potè felicemente
sostituirsi al paganesi mo; emoltefeste cristiane de'nostri tem pi ancoraci
ricordano quelle dei pagani. I nomi
stessi dei mesi e quelli dei giorni
della settimana ricordano il pa ganesimo; il carnevale ci richiama i Sa Era
questo un tempo incui lo spirito | turnali, e varie feste cristianenon
sono che trasformazioni di feste pagane
; per chè i vescovi non volendo urtare troppo
sciolto dagli affari s'abbandonava all'al legrezza. Vi si rinnovava la
memoria dell'età dell'oro, in cui nulla
era vietato. I fanciulli presso dei
quali vedevasi l'immagine dell'antica
innocenza, annun ciavano la festa. E ciò, che non sem brerà strano ai nostri
nobili, i quali a vivamente le
inveterate abitudini del vol go, si avvisarono d' ingentilirle e di de viarle
da uno scopo profano ad uno re.
ligioso. Dacchè il culto mitriaco
o solare tutti i patti vogliono essere
democratici | s'introdusse in Roma, fu parimente in in certi tempi, riservandosi
il diritto di non esserli in certi
altri, la servitù spa riva in quel frattempo. I padroni, e nè anche questo deve parere eccessivo, prendevano gli abiti dei loro schiavi, e
li servivano; gli schiavi avevano la
libertà di esporre i loro sentimenti; e
le lagnan ze, che senza dubbio venivano menomate dalla politica, erano almeno una risorsa contro l' oppressione. Converrebbe, dice Baily, che in tutti ipaesi laverità
avesse trodotto l'uso di festeggiare il
Natale del Sole; e siccome questa
solennità succedeva al 25 dicembre,
subito dopo i Saturnali e le
Sigillarie,così ella di venne una festa molto importante: ma i prelati cristiani vedendo quanto sa rebbe
difficile di sradicarla, pensarono al
ripiego di opporne un'altra, e in quello
stesso giorno che i pagani ce lebravano il Natale del Sole, i Cristiani celebrarono quello di Cristo. FESTE 371 Il
ritrovamento di Adone o di Osi- | dai Longobardi, la quale poi si tra ride,
altre due grandi solennità, cade vano entrambe al 6 gennaio, e i Cri stiani
orientali in questo stesso giorno
stabilirono la natività e il battesimo di Cristo, che chiamarono Epifania od il
lustrazione ; ma l'uso romano di cele brare la natività di Cristo ai 25 di di
cembre essendo prevalso da per tutto,
l'Epifania si trasformò in un'altr a festa, cioè nella commemorazione dei Magi. L' Evagelio parlando di quei Magi non indica di loro nè il nome, nè il numero, nè la qualità, nè il paese natio, dicendo semplicemente che venivano dall'Oriente, il quale, rispetto alla Pa
lestina dovrebb'essere l'Arabia: in ap presso si ritenne che fossero tre re, fa
cendo allusione alle tre partidel mondo
ed alle tre qualità di donativi che por tarono . I nomi caldaici di
Gaspare, Melchiorre e Baldassare,
s'incomincia a trovarli saltanto nel
medio evo, e vuolsi che sieno di
invenzione cabalistica. In fatti, nelle scienze magiche e teurgiche di quell'epoca, dice ilGiovini, i Magi han no
una gran parte: sipretendeva cheme diante certe formole o purificazioni si po
tesse evocarli, farli comparire, interro garli edavere da loro
favorevoliindicazio ni periscoprire tesori; essi portavano la fortuna, facevano viucere algiuoco, rive
lavano le cose occulte; ma una credu lità più innocente e che dura
tuttavia in più paesi, si è che iMagi
ogni anno, la notte dell'Epifania,
andando in cerca di Gesù bambino , fanno
il giro del mondo, e lasciano donativi
ai ragazzi. «Lamitologiascandinava
racconta alcun che di simile degli Asi e
delle Ase, cioè degli Dei e delle Dee
che fanno il loro passaggio ad ogni
capo d'anno; e lasciano ricompense ai
buoni. Nel medio evo era pure conosciuta
una Donna Abundia, che in certi tempidel
l'anno girava invisibile di casa in casa
e lasciava mancie ed altri segni della
sua generosità. . APPENDICE ALLA LETTERA F. Fanatismo,Esaltazione della men te per
laquale l'uomo lasciasi interamente
padroneggiare da una opinione falsa o
nebre statistica che non si può leggere
senza raccapriccio. Se crediamo
alla Bibbia, l'adorazione smodata. Il
fanatismo s'applica propria- | del vitello d'oro costò agli ebrei 23 mila mente alle opinioni religiose; ma non escludesi perciò ilfanatismo politico,
nè quello che pur puòdarsinelle scienze
o nelle lettere. Ma è principalmente
nella religione ch'esso dispiega tutti i
suoi caratteri funesti, e tal fiata si
trasfor ma in un terribile flagello per l'uma nità. Quando a una stolta
credenza si aggiunge la convinzioneche
il suo trion fo è gradito a Dio, allora non tarda a sorgere l'intolleranza e la persecuzione (vedi questinomi), imperocchè il castigo degli eretici è segno di festa in cielo. Quante vittime abbia fatto il fanati smo, non
è possibile determinare con sicurezza;
magli archivi della storia ci hanno però
lasciati sufficenti dati per stabilire,
se non inmodo certo, almeno certamente
approssimativo, cotesta fu uomini: >
Acotali slanci di un lirismo senti mentale, la filosofia non può
risponde re. « Nella sua critica di Feuerbach, Re nan-come ben dice J.
Roy-ha obbedito soltanto alla sua
antipatia per tutto ciò che è netto,
chiaro, preciso, espresso senza ambagi e
circonlocuzio ni. Nell'accento convinto, nella convin zione stessa egli
trovaqualche cosache rivela una natura
limitata. Le sfuma ture, la delicatezza, la frase, ecco cid ch'egli cerca innanzi tutto, e queste qualità nominate ad ogni istante nei suoi scritti, pare alui che manchino a tutti i pensatori, che osano esprimersi sotto una forma intrepida ». Si vede cheRenanhaviaggiato l'ltalia per diletto, e volle trarne il più gran partito per le cognizioni scientifiche. S'egli abbia scoperte, l'originidelle tra
dizioni contemplando le vergini del Pe rugino o l' estasi di santa
Caterina, è cosa ch'io non oso decidere,
non es sendovi poeta che non scopra tante
cose nuove in una effige di donna; ma
ad ogni modo Feuerbach può ben con solarsi di non essere mai venuto in Italia per studiare l'antichità in
quella guisa, specialmente per trarne tante scempie conclusioni.Ma s'egli non con templò
nè vergini, nè sante, può ben vantarsi
di avere, e lungamente assai,
contemplata e studiata la natura senza
artifizi e senza esagerazioni. 1
GALIENO G 401
Gall (Giuseppe ) È il fondatore | zione gli fu fatta dallascienza
ufficiale. •il padre dellafrenologia,
quella scien za che ha portato i più duri colpi
alle dottrine teologiche sul libero arbi trio. Uno dei dieci figli di un
modesto mercante di Tiefenbrunn,
villaggio nel granducato diBaden, egli
venne affidato alle cure di uno zio, che
gli fece dare le prime lezioni d'
anatomia dal celebre professore Hermann.
Fatto adulto im prese uno studio affatto nuovo. Confron tava fra loro le teste
sì dei vivi come dei morti, e dalla vita
di coloro cui ap partenevano, e dalle diverse protube ranze chepresentavano,
egli comincio a stabilire la sede delle
varie facoltà. Lunga e penosa fatica fu
la sua, ma e gli ebbe campo di fare ungran numero di osservazioni, poichè a lui dischiude vansi
le porte delle prigioni e dei ma nicomi, ed alui si consegnavano le teste dei giustiziati. Narrasi che la sua peri zia
nel riconoscere le tendenze umane fosse
tanto secura, che al solo esaminare il
teschio di un giustiziato ei sapeva sco prire il genere del suo delitto. > Egli è ben veroche i panspermisti af fermano
esser l'aria un gran serbatoio di germi,
ma infine, a cui spetta di provare
l'esistenza di questi germi, se non a
loro stessi ? Or l'esame micro scopico dei corpuscoli dell' aria dimo stra
bensì che essa contiene degli avan zi di fecola, grani di silice, filamenti
di lana, cotone o seta, particole di
terra o di fumo, avanzi di vegetali o d'
insetti morti, ma germi pochi o punti.
Non altrimenti che per eccezione si
trova qualche spora e qualche raro
infusorio; ma l'eccezione può ella mai
costituire la regola? Gli elementi della
polvere dell' aria variano secondo che
si esami ni quella raccolta nelle città popolose oppur quella delle solitudini, ma in ogni caso l'assenza di germi vegetali o animali è sempre un fatto caratteri stico.
Le polveri introdotte dall' aria nelle
ossa pneumatiche degli uccelli ne sono
una prova evidentissima: tra quella
fornita dalla gallina che vive nelle no stre case e quella che si trova
nelle ossa del falco selvatico vi è
notabilissi ma differenza; ma nè l' una nè l'altra somministrano prove della pretesa dif fusione
dei germi come vogliono i pan spermisti.
D'altra parte egli è pur forza rico noscere, che le prove degli
eterogenisti sono abbastanza concludenti
per respin gere ogni contraria ipotesi. Entro un provino di vetro, Pouchet pose una ma cerazione
filtrata atta a generare dei ` pre nell'
ovario d' individuo della stessa specie
(omogenesi), mentre gl' infusori | cerazione verso entro un piatto di cri
grossi microzoari ciliati, e la stessama 410
GENERAZIONE SPONTANEA stallo, nel
mezzo del quale pose il pro vino. Indi copri l'uno e l'altro con una campana di vetro immersa nell' acqua onde moderare l' evaporazione. In capo acinque giorni, con una temperatura media di 20 gradi, il provino presen
tavaunaquantità di microzoari ciliati,
mentre il piatto appena allora dava
segno d' incominciare la formazione di
qualche monade senza microzoari ciliati.
Bastò dunque una differenza nellaquan tità del liquido per produrre così
diversi risultati; cosa tanto più
provata, inquan tochè il signor Pouchet diminuendo il liquido del provino e quello del piatto aumentando, ha potuto ottenere dei ri sultati
inversi. Or come potrebbero spie garsi cotali differenze se gli stessi ger mi
devono essere caduti nel piatto e nel
provino, il primo dei quali sottostava
immediatamente all' altro ? Altro
sperimento ancor più decisivo è il
seguente, pure fatto dal Pouchet:
> Giorgia. Nacque inLeonzio
nella Sicilia verso l'anno 845 avanti G.
C. 1
Fu discepolo di Empedocle ma non
segui la scuola del maestro . Versato
nella sofistica di Melisso e di. Zenone,
possiamo conoscere- Invero, acciocchè
un oggetto possa essere conosciuto con verrebbe che il subbietto della
cono scenza si confondesse con lui. Ma lo
spirito divieneglibiancoperchè pensa alla bianchezza? Se così fosse, se lo spirito s'identificasse con l'obbietto del pensie
426 GIUBILEO ro, noi non potremmo pensare che alle cose concrete, ma si sa bene che noi pensiamo anche alle cose astratte. 3. Se qualche cosa esiste, e può es sere
conosciuta, non possiamo farla co noscere agli altri. Ciascun senso è pria, ma non in altre. La vista perce pisce i
colori, ' udito i suoni, ma la tarle,
vuolsi aver riguardo nell'accettare le
conseguenze che Platone specialmente
deduce da quest'autore in rapporto alla
morale. Che Giorgia insegnasse
esseredestino dell'uomo il cercare la
felicità, è cosa competente nella sfera
che gli è pro- | ovvia; ma ch' egli trovasse questa feli cità nella potenza, e
insegnasse essere diritto del più forte
il soggiogare il de bole, e che le leggi son de'vincoli fatti pei deboli, lecito ai forti d'
infrangere, prima non può percepire i
suoni, il se condo non può percepire i colori. Or quando noi parliamo,che cosa trasmet tiamo ai
nostri simili? De'suoni, e nul l' altro che de'suoni. Il linguaggio ar riva
tutt'intero all' orecchio. Or l'orec chio non può percepire nè le idee, nè gli obbietti, se no gli obbietti e le
idee sarebbero la stessa cosa delle
nostre parole. Coteste argomentazioni non sono, per le son cose che, con tutta pace degli avversari di Giorgia, credere non posso. Con tali principii il filosofo di
Leonzio nè avrebbe eccitato l'
entusiasmo della popolazione greca, nè i
cittadini d' Ate ne l' avrebbero pregato a soggiornare nella loro città, ove la necessità del ri
spetto alla maestà della legge non si
verità, tutte esatte, maben si vede che, | convincimento. al postutto, Giorgia già applicava le ragioni del sensualismo. Sta bene che colla parola non si possa dare l' idea può dire non fosse entrata nel comune dei colori: questo è un fatto che tutti possono sperimentare sui ciechi nati, Ma poichè i colori si percepiscono da noi direttamente, la parola che n'è la rap
presentazione può sempre darci una idea
dei rapporti che passano fra le
percezioni giàprovate. Una volta che la
bianchezza sia stata percepita dall' oc chio, tutte le volte che
l'orecchio sen tirà quel nome, nel cervello sirisveglie rà quella stessa
sensazione che abbiam provata la prima
volta. È vero che quella sensazione è
tutta dentro di noi, e non fuori di noi,
poichè fuori di noi in quel momento
esiste il suono che produce la parola
bianco, ma non la bianchezza stessa: ed
è qui appunto che Giorgia avrebbe avuto
ragione d' intro durre il dubbio sulla esatta corrispon denza fra le nostre
sensazioni e le cose esterne. Degli scritti di Giorgiala sola notizia che ci rimane è laconfutazione di Pla tone e
di Aristotile. Ma comechè costoro
esagerano oltremisura le sue dottrine
per avere il facile vantaggio di confa Gioviniano.Austero
cenobitache viveva in Milano sulla fine
del quarto secolo. Dopo essersi
sottomesso alle più austere privazioni,
recatosi un giorno a Roma, fusedotto
dalla piacevolezza della vita che colà
si menava, onde cambiando parere intorno
alle cose che fino allora aveva reputate
sante, incominciò ad in segnare che l' astinenza non giovava a nulla, e che meglio conveniva il man giar
cibi buoni che i cattivi; che la
verginità non era uno stato più perfetto
del matrimonio, e che non si potrebbe
ammettere che Maria fosse rimasta ver gine dopo il parto senza cadere
nell' er rore dei manichei, i quali a Gesù attri buivano un corpo fantastico.
Fu con dannato da papa Siricio e nell'anno 412
relegato dall'imperatore Onorio nell'Isola Boa in Dalmazia, ove morì fra le pia
cevolezze della vita, come compenso alle
sofferte miserie della gioventù.
Giubileo. Presso gli ebrei così
chiamavasi ognicinquantesimo anno, nel
quale i prigionieri e gli schiavi dove vano essere liberati, le eredità
vendute ritornare agli antichipadroni, e
la terra restare in riposo. (Levitico
Cap. XXV, XXVII). L'anno del giubileo
era fon GIUDAISMO dato sopra la
simbolicadel numero sette, perocchè
decorreva appunto nell' anno successivo
a quello che chiudeva sette 427 aRoma,quindi nuova impazienza nella generazione sopraveniente, checerto non vorrà attendere il 1446, eche sarà ten
settimane di anni 7×7=49. Altra cosa è
invece il giubileo nella chiesa
cattolica. Questo è indulgenza plenaria
concessa dal papa a tutti i fe deli che visiteranno in Romale Chiese di S. Pietro e S. Paolo, e differisce
dalle indulgenze ordinarie, perchè in
tempo di giubileo il papaconcede ai
confessori la facoltà di assolvere anche
dai casi riservati. Dapprincipio ' indulgenza plenaria fu concessa ai crociati che si recavano acombattere perla liberazione del Santo Sepolcro. Ma quando infine i popoli fu rono
lassi di farsi sgozzare ad onore e
gloriadella chiesa, sipensò di concede re queste stesse indulgenze a
quei pel legrini che si sarebbero recati àvisitare il Santo Sepolcro. Nondimeno anche que sto
viaggio era lungo assai, assai di spendioso e nel medio evo non si ave vano
tante strade di comunicazione co tata di cogliere al volo la cifra tonda dell'anno 1400. Sotto pretestodunque che il giubileodi trentatre annidi trop po
affaticava la divina clemenza, fu ri stabilito il periodo più lungo di cin
quant' anni, e per meglio attenderlo si
ricominciò a contare gli anni partendo
dal 1400 con nuovo giubileo. Fiù tardi
Paolo II non attese nè 50 nè 33 anni,
e giunto al 1425 liberò alla volta sua
tutte le anime del purgatorio, fissando
il periodo di 25 anni che attualmente
sussiste. Maquante ampliazioni aggiunte
col progresso dei tempi! S' inventarono
i giubilei senza pellegrinaggio, i giubi lei parziali, i giubilei all'
occasione di grandi avvenimenti, come il
giubileo di Pio IX, i piccoli giubilei
delle città, dei vescovadi, degli altari
miracolosi, insom ma i giubilei venduti acontant, e traf ficati in mille
modi. Lo storico Francesco
Gucciardini me al dì d'oggi. Verso
l'anno 1300 il assicura che nel 1500 sotto i Pontifi papa Bonifazio VIII pensò
di tirare l'ac- cato di Alessandro VI il giubilo fruttò qua al suo mulino,convertendo il pel- | alla
Chiesa grandissimaquantita di oro, legrinaggio
in terra santa in un pel legrinaggio a Roma. Questa fu l'origine del Giubileo che doveva decorrere ogni 100 anni. Ma tanta felicità, dice unauto re,
non poteva differirsi poi d'unsecolo, e
Clemente VII abbrevia il periodo dell'a spettativa riducendolo a
cinquant' anni; argento, gemme e altre
cosepreziosis sime; il Bembo dice, e il Sapi ripete, come questo caritatevolissimo Papa, dal solo stato veneziano, in quell anno di grazia 1500, ritraesse 799 libbe di oro. Giudaismo.Religione egliebrei, o de'giudei, così detti perchè sortirono dalla tribù di Giuda, undei fgliuoli di per cui nel 1350 affluivano di nuovo i pellegrini da ogni paese dell' Europa |
Giacobbe, a cui il padre predisse che
verso la capitale del mondo cattolico.
La frenesia, invecedi diminuire, cresce va: ad ogni giorno dell' anno
santo en travano seimila pellegrini in Roma e ne uscivano altrettanti: appena si può com
prendere tanto trasporto. Dopo il 1350
bisognava attendere fino al 1400 per
ottenere una nuova remissione: ma non
seppero rassegnarvisi i credenti , ed
Urbano riduceva il giubileo al periodo
di trentatrè anni , in commemorazione|
della vita di Cristo. Ecco un nuovopel legrinaggio nel 1383, altre turbe
affluenti | avrebbe lo scettro della
nazime. All'articolo PENTATEUCo na
vedremo che la pretesa antichità di
questa reli gione, la qual si crede anterore ad o gni altra anche orientale,
opinione fondata sopra documenti aporifi
, l'an tichità dei quali non risale otre l'epoca di Zoroastro.
I dommi del giudaismo ono quelli
stessi i quali si pretende cheMosè ab bia rivelati al popolo d' Ismele,
e che sono contenuti nell' Antico
Testamento. Quali poi sianoquesti domm,
non tutti 428 GIUDAISMO concordano neldeterminare, imperocchè le mutate condizioni della vita, la ci viltà
introdotta, e le religioni stesse fra
cui vivono gli ebrei, hanno dovuto ne cessariamente corrompere le
antiche tra dizioni, irgentilirle o migliorarle secondo l'influenza de'vari paesi. Ècerto intanto che le credenze del cenni alla rimunerazione che l' anime dei giusti riceverebbero in un'
altravita. Il vivere lungamente, e '
odio di Dio fino alla terza e quarta generazione
dei reprobi, son le sole ricompense e le
sole penechecommina lalegislazione
religio sa degli ebrei. Son noti i passidell'Eccle siaste attribuito a Salomone
(II 20-34; giudaismodedotte direttamente
dalla fon- | III 12, 13; 19, 22; V, 18; VIII, 15; te primadella rivelazione mosaica, vo glio
dire dal Pentateuco, ci rivelano una
religione grossolana e materiale, inse gnanteunDio corporeo, locale,
limitato nel suo potere dalla possanza
degli altri Dei de' pæsi circostanti ;
un Dio unico sì, ma unico soltanto pel
popolo d'Israe le. « Il Signore è più grande di tutti ❘ gli Dei, dire l'Esodo
(XVIII). Il Signore | l'ha condato solo,
e con luinon vi era alcun Diostraniero
(Deut. XXXIII, 12) Nonvi è
azione,perquantosia potente, i cui Dei
siano più presso ad essa di quanto lo
sia il nostro anoi. (Id. IV, 7). Ciò che
possiede il vostro Dio Chamos non vi
appartiene di pien diritto? Ciò che il
nosro Dio ha ottenuto colle sue vittorie
dive dunque venire in nostro potere
(Gid. I, 24)». Ilpoliteismo inva dente in quei tempi, non rivelasi con grande evilenza in questi passi ? In
qual conto gli orei tenevano il loro
Dio, se non inquelo di un
esseresovranaturale, potentissimo, nel
quale riponevano tutte le loro spelanze
per soggiogare gli Dei delle altre
nazioni ? Essi esaltano cote sto suo pobre, lo proclamano il primo e l'inarrivabile, con quello stesso
spirito d'orgoglio nazionale con cui
avrebbero esaltata la jotenza e la
superiorità del loro re. Coesto Dio ha
corpo e mem bra umane, id è limitato nel suo potere così come nella sua essenza; madei vol gari
antropmorfismi della Bibbia ho già
discorsoall'articolo Dio. IX,4,9;) nel
quale cotesto re parago nando gli uomini alle bestie dice che lo stesso avviene degli uomini
comede'bruti, che tutti hanno un
medesimo fiato, e come muore l'uno, cosi
muore l' altro. 1 fedeli credono di confutare
tutta la costante tradizione
dell'antichità ebraica opponendo un
passo di Tacito, ov' egli dice che le
anime de'morti in guerra per giustizia
gli ebrei tengono immor tali (Histor. lib. V, 5). Opporre Tacito all' Antico Testamento mi par che sia cosa singolarissima; nè so quanti siano disposti a credere allo scrittore
latino, il quale degli ebrei non seppe
che quel poco che gli fudato
d'intendere, contro l'esplicito silenzio
dei codici religiosi del popolo d'
Israele. D'altra parte non è impossibile
che ai tempi di Tacito gli ebrei, o
molti fra essi, credessero alla vita
futura, come ci credono oggidì. Il
commercio cogli altri popoli hapur finito a far prevalere fra gl' israeliti molte credenze straniere alla dottrina
mosaica, e l'essere ancora esistita ai
tempi di Gesù una setta sacerdotale,
laquale ne gava l'immortalità, è cosa che mi pare che possa ben provare l'antichità di questa dottrina. Perfino Bossuet vescovo di Meaux, ne convenne. Ancorchè, scri veva
egli, gli ebrei avessero nelle loro
scritture alcune promesse della felicità
eterna, (quali?) e verso i tempi delMes sia, ne'quali essere dovevano
dichiarate, e ne parlassero di vantaggio
nei libri Lo spirio è anch' esso
ignorato da gli ebrei, econ lo spirito l'immortalità. ❘ apocrifi!); tuttavolta questa verità fa Nel decalog il premio promesso a co loro che
onereranno ilpadre lamadre tutto consise
in una lunga vita, né vi ènel Pentateuco
alcun passo che ac della sapienza e dei Macabei (che sono ceva si poco un domma universale del popolo antico, che i Sadducei, senza ri
conoscerla, non solo erano ammessi nella
Sinagoga, ma ancora innalzati al sacer GIURAMENTO dozio. È uno dei caratteri del popolo nuovo il mettere per fondamento della religione la fede nella vita futura: e que
sto doveva essere il frutto della venuta
del Messia. (Bossuet, Discorso sulla Sto ria Univ. 2 parte c. VI). 429
storo S. Paolo scrisse la sua epistola ai Galati, dalla quale pare che anche S. Pietro non fosse immunedaquesta ten denza
giudaizante (Gal. II, 14) Giudizio
universale. (Vedi MONDO) Toltiquestidommi fondamentalidelle religioni moderne, vale a dire la spiri
ritualità di Dio e l'immortalità dell'ani Giuramento. Promessa formale di dire la verità o di adempiere a un impegno assunto, fatta nel nome di Dio o su quanto è più caro e più sacro al l'uomo.
L'uso delgiuramento come mezzo atto ad
imprimeremaggior solennità alle
promesse, è antichissimo, e la Bibbia
stessa ce ne offre non pochi esempi.
Abramoprotesta congiuramentoche non
accetterà i doni del re di Sodoma (Gen.
ma, della religione giudaica altro non
rimane che la parte cerimoniale, piena
di superstizioni e di pratiche assurde.
Ciò non toglie che gli ebrei non vi fos sero e non visiantuttora
attaccati, tan tochè essi dicono che il culto esteriore prescritto dalla loro legge è più per fetto e
a Dio più accettevole che non la | XIV, 22); eglipoigiura con Abimelecco pratica delle stesse virtù morali. (Gen. XXI, 25); quindi fagiurare aun Gli ebrei dalla loro dispersione in poi suo
servo che non andrà a pigliare la hanno
cessato di sacrificare all' Eterno, sposa d'Isacco frale Cananee (XXIV,
2). ed invece de' leviti o
sacrificatori, non Isaccorinnovacon giuramento l'alleanza Lanno più che certi dottori, chiamati | fattadaAbramo
con Abimelecco (XXVI, Rabbini, i
qualiinsegnanola legge nelle sinagoghe.
E i dommi della spiritualità di Dio e
della vita futura si sono quie tamente infiltrati in tutte le loro sette, pel lungo commercio ch'essi ebbero coi popoli frammezzo ai quali son vissuti. Giudaizanti. Nell' occasione di tutte le riforme v'hanno uomini che sono sollecitati ad abbracciare le nuove
idee, e al tempo stesso temono di
abbando nare l'antica strada. Costoro appartengo no ai tempi nuovie aivecchi
insieme, e sonqueconciliatori che
vorrebbero unire insieme i contrari, e
creanonuove scuole e nuove sette, che
sono tanto logiche quanto lo è al dì
d'oggi quel partito che nella Germania
s'intitola dei vecchi cattolici, sebbene
in fondo siano cattolici nuovissimi
appena sortijeri. Così nel primo secolo
del cristiane simo furono detti giudaizanti quei giudei convertiti, i quali asserivano bastare
la fede in Gesù Cristo per salvarsi, ma
che nel resto conveniva esser fedeli ai
riti e alle cerimonie giudaiche ordinate
dal l'antica legge, come l'osservanza del
sabato , della circoncisione, dell' asti nenza da certe carni
ecc.-Contro co 3); altrettanto fa Giacobbe con Labano (XXXI, 53); e Dio stesso giurando sul suo nome a conferma delle promesse fatte ad Abramo, dice: «Per me mede simo io
ho giurato... Io ti benedirò e
moltiplicherò la tua stirpe come le stelle del cielo. (Gen. XXI, 16, 17). Altri e sempi
e altre formole di giuramento si trovano
nel libro dei Giudici VII, 19 e nel I
dei Re XIV, 44. L'Antico Testamento non
solo adun que ammette il giuramento, maquasi
l'impone. Solo interdice di giurare pel
nome degli Dei stranieri (Esodo XVIII,
13); e nel primo comandamento ag giunge: « Temerai il Signore Dio
tuo, e lui solo servirai, e pel nome
dilui farai giuramento (Deut. VI,
13). Nonostante che Gesù affermasse
di essere venuto, non per distruggere
la legge, ma sì perconfermarla, egli con
traddice apertamente e ipatriarchi, e i
profeti e Dio stesso che giurò l'alleanza con Abramo.
e gli apri rono d' innanzi l'ampio orizzonte della sua nuova filosofia. Distrutto il principio di causalità, tolta la certezza che l'effetto è neces
sariamente prodotto dalla causa, ne de rivava la conseguenza che nulla vi
è di certo nelle nostre conoscenze: nem
meno l'esistenza delle cose esteriori
aun altro fatto che è causa, e non è
causa per altro che perchè precede l'ef fetto nell'ordine del tempo
(vedi EFFET то). Ond'egli conchiude che neanche la fisica argomentando dall'unione di certi |
l'universo, e nella Storia naturale della
può essere dimostrata. Imperocchè se
vedere, toccare , sentire in qualsiasi
modo le cose esteriori non può essere
effetto dell'esistenza stessa di queste
cose, havvi luogo a dubitare che esse
esistano. Hume evita però di cadere
nell' idealismo di Berckeley, (v. questo
nome) mantenendo la realtà dell' uni verso, per altro, senza
positivamente affermarla. Egli dubita
ancora della re altà sostanziale dell' io individuale, il quale si risolve in una semplice colle zione
di idee, dubita quindi dell'anima, e
alla ragione nega la facoltà di nulla
affermare sull'esistenza e gli attributi
di Dio. Nei Saggi combatte la prova di
questa esistenza dedotta dall'ordine del fatti che tutti i fatti simili
saranno sem pre simili, fa una dimostrazione intuiti vamente evidente. Manco la
scienza fisi capuò quindi essere principio di cer tezza. Perchè noi dalle cose
che sono siamo indotti a prevedere
quelle che saranno? Hume ammette che
l'abitudine e l'esperienza c'induconoa
far cid: ma laconnessione necessaria fra
questi fatti ci sfugge, e quando i fatti
non corri spondono alle nostre previsioni noi non sappiam più concepire fra loro alcuna connessione necessaria. Lanegazione del principio di cau salità tende
nientemeno che a distrug gere il fondamento d'ogni certezza e sol levò contro
di Hume grandissime prote ste, talchè Reid,Dugald Stewart, Brown e altri scrissero energicamente per soste nere
le fondamenta minacciate del dom religione distrugge ancor quella delle cause finali.
Hus Giovanni. Decano della fa coltà di teologia e Rettore dell' univer
sità di Praga. Visse nel secolo XIV e fu
contemporaneo di Wicleff, del quale
disapprovò le dottrine siccome eretiche,
mentre poi protestava nonconvenire che
i libri di lui fossero dati alle fiamme.
Senza voler toccare alcuno dei dommi
fondamentali del cattolicesimo, mostrava
egli delle vaghe aspirazioni verso una
riforma della Chiesa, e specialmente dei
costumi del clero, al quale vanamente
tentò di insegnare la tolleranza. Fu in
quel tempo che il papa bandiva la cro ciata contro Ladislao re di
Napoli, e pubblicava una bolla nella
quale «pre >> Sono poche e sobrie
parole, ma che per essere di un santo,
in questions teologica, non valgono meno
di quelle 476 MACOLATA CONCEL d'ogni filosofo. Tradotte in buon vol gare e
adattate aitempi nostri, esse di cono chiaro, che non ci voleva meno della inesperienzadella curiaromana per comporreundommacosìcontrario aquel lo
dell'Incarnazione, il quale è la pietra
oratore, non reggono ove si mettano al
paragone collaverateologia. Maracconti
siffatti non sono insegnamenti di fede;
nè il saggio cristiano deve appoggiare
il grande interesse dell' anima sua a
dubbiose o finte leggende. Non contenti
di tante feste instituite in onore della
angolaredel cristianesimo. Avvegnachè,
se Iddio si è incarnatoper salvare tutti gli | Vergine, che superano
quelle fatte in uomini, nessuno
eccettuato, dal peccato originale, segno
é ch' egli non poteva onore di Gesù, ne
vanno meditando ogni salvarli senza
incarnarsi. Ma dal mo mento che Maria, creatura umana, nata da umani genitori senza divina incuba zione,
ha potuto veder la luce senza macchia,
vale a dire senza peccato ori ginale, segno è che l'incarnazione a lei non ha giovato; cosa che è contraria perfino al Vangelo. Ascoltiamo ora le parole di Monsi gnor
Godeau, Vescovo di Vence: « La divozione
verso la santa Vergine, dice egli, andò
sempre crescendo dopo la condanna di
Nestorio, e l'ignoranzadel popolo giunse
a tal segno ne'secoli se guenti, che vi si commisero molti ec cessi, di maniera
che quando le eresie di Lutero e Calvino
vennero al mondo, era sì grande la
superstizione su questo conto, che
faceva gemere chiunque co nosceva sino aqualtermine debba andare l'onore dovuto alla madre di Gesù Cri sto ».
E il padre Petavio, quantunque gesuita,
non aveva difficoltà a confessa re « che convien dare avviso ai pane giristi e
devoti della Vergine santa , perchè si
guardino bene dal non la sciarsi troppo trasportare dalla pietà e devozione verso di lei. La qual sorta di idolatria S. Agostino chiama occulta ed innata nel cuore degli uomini ». Finalmente anche il Muratori, uomo pio e di non sospetta fede, scriveva: Convien ricordarsi che Maria non è Dio, come giàci avverti S. Epifane e dopo di lui Teodoreto. Noi udiamo dire talvolta ch' essa comanda in cielo. So
briamente s'ha da intendere queste ed
altre simili espressioni, che cadute di
bocca al fervore devoto di alcuni santi,
e all'ardita eloquenza di qualche sacro
di delle nuove ». Ma il lato più
curioso diquesto dom ma, non tanto consiste nel modo vio lento della sua
proclamazione, quanto nel fatto, che
esso non trova neanche una linea di
conferma negli evangeli. E per vero,
tutti gli altri dommi, o bene o male
fondati, furono nondimeno in qualche
modo innestati sulla rivelazione
evangelica, che è la base fondamentale
di tutto il cristianesimo. Invece se gli
evangeli ci narrano la portentosa incu bazione di Gesù fatta per opera
dello Spirito Santo, in quel modo che
tutti sanno, non ci dicono però che
Maria sia essa pure nata senza peccato,
nè tampoco ci parlano dei suoi genitori,
i quali non vi sono menzionati
nemmanco di nome. Dov'è dunque che Pio
IX ha tratta la sua storiella della
Immacolata Concezione, e con quale
ardimentosa impudenza osa egli
pretendere di essere informato intorno
ai genitori di Maria, meglio di quanto
nol siano li evangeli sti? Chi gli ha detto che Anna e Gio vachino abbiano
generataMaria, e l'ab biano generata senza macchia? E se gli evangelisti, i quali ebbero la mis sione
di trasmetterci la storia dellapre tesa salvazione del genere umano, tac quero
di un sì grande ed augusto av venimento, sarà Pio IX, quegli che,die cianove
secoli dopo, potràsmentire quel loro fin
troppo eloquente silenzio ? Molti al
certo avranno vaghezza di conoscere
d'onde Pio IX e i panegeristi abbiano
tratta la storiella di Anna e Giovachino
e della loro concezione im macolata; ma negli apocrisi e non al trove convien
cercare la sua origine. È infatti ,
nell' evangelo APOCRIFO della IMMAGINAZIONE
Nascita di Maria e nel Protovangelo
egualmente APOCRIFO di Giacomo, che
per la prima volta si ha notizia del
la nascita di Maria. Affrettiamoci pe rò a dire, che nemmeno questi
due antichissimi evangeli, ci parlano
della 477 scritture apocrife. Questo domma che compendia in sè tutte le contraddizioni del cristianesimo, se è il penultimo nella serie cronologica, non chiude però la porta a tutti gli altri a cui la Chiesa può essere condotta nell'orgia della su
perstizione. Già molti inneggiano ad un
culto speciale per S. Giuseppe, e
speriamo che lo dichiarino anch'esso
sine labe, con molti altri, finchè la ra Immacolata Concezione. Narrano
essi soltanto che Anna e Giovachino
di Betlemme la prima, di Nazaret il se
condo, erano persone devote e pie, e tro vavano grazia presso Iddio,
avvegnache| gione ed ilprogresso, spazzatevia tutte alla chiesa ed ai preti donavano la
terza parte delle loro rendite. Anna
però era sterile, cosa che grandemente
l' acco rava, essendo dagli ebrei la sterilità ri guardata come una
maledizione, con le fiabe inconcludenti o assurde e le in venzioni sul peccato
originale, tutti non ci proclami
immacolati infaccia a quella natura che
tutti ci fa ad un modo. Immaginazione .
La filosofia greca, più ragionevole di
molte scuole forme al passo d' Isaia:
maledetta la donnachenonhagenerato in
Israel (Is.| moderne, non vedeva nella immagina C. IV. 1.). Ma un giorno
Giovachino conobbe che finalmente i suoi
voti sa rebbero esauditi, e che Anna, a so miglianza di Sara, genererebbe una
fi glia, che sarebbe la madre del Salvato re. Questa notizia, ebbe Giovachino
me diante l' annunciazione d'un angelo, е
tal fu la sua gioia, che muto essendo
acquistò la favella. Avvertasi però che
' apocrifo non parla qui dello Spi rito Santo , anzi dice chiaro che
gli sposi, rassicurati della prole,
resero grazie a Dio, e tornati a casa
attesero con gioia la divina promessa;
il che ci lascia supporre, onestamente,
che nel frattempo del loro meglio
cooperassero per realizzarla. Il
Protovangelo di Gia como aggiunge ancora che Giovachino dopo l'annuncio donò alla Chiesa do dici
vacche e cento becchi, e che in quel
giorno egli riposò nella sua casa per la
prima volta. Ecco a quali fonti il Santo
Padre ha attinta la rivelazione dell'
Immacolata Concezione. Colla sua
infallibilità egli nonha temuto questa
volta di dichia rare infallibili anche i libri che gli altri papi avevano dichiarati falsi, e i
Vescovi del Concilio Vaticano non
temettero di in zione altra facoltà che quella di ripro durre le percezioni dei
sensi e di rap presentarci alla memoria gli oggetti percetti anche allora che non erano più presenti . Platone stesso e Aristotile ri
ducono la φαντασία allamemoria im maginativa. I mistici d'Alessandria sono i primi che vogliono considerare nella immaginazione una facoltà speciale de stinata
a rappresentare le immagini e gli esseri
del mondo intellettuale; per cid essi insegnano che l'immaginazione sopravvive al corpo,segue l'anima nelle regioni celesti e divien facoltà dei
beati. A' di nostri non sono pochi
coloro che persistono a vedere nella
immagi nazione una facoltà creatrice; ma è for tuna che molti ancora abbiano
ricono sciuto il nessun fondamento di questa
opinione. Tutta la scuola sensualista e
ideologica ha ammesso e hadimostrato
che l'immaginazione non è infine che
il risultato della percezione. Riprodurre fedelmente una impressione provata è ufficio della memoria; combinare insie me
parecchie impressioni è immagina nativa. Chi ha fervida immaginazione può combinare molte idee e molte im magini, e
formartipi che possono parer nuovi, ma
che nuovi non sono; impe vocare la inspirazione dello Spirito Santo, sotto il patrocinio di un domma fab- rocchè
nessuno crea, nè nella scienza bricato
sulle notizie, che ci danno le nè nell' arte (v. ARTE) e le cose anche 478 IMMANENTE
più nuove possono tutte ridursi all' o rigine immediata dei sensi.
L'immagi nazione è così poco creatrice ch'essa
non è mai giunta a concepire manco
la possibilità di un senso nuovo, di una
nuova maniera di percepire i fenomeni
Chi ha immaginazione, ha copia d'idee,
penetrazione e attitudine ai lavori in tellettuali; ma chi ha
immaginazione ec cessiva, nè sa dominarla e ridurla nei confini della ragione, prende spesso i fantasmi della sua mente per cose sal de; con
quelli foggiasi teorie e sistemi, i
quali perciò appunto che sono imma ginari trovano poi benpoco fondamen to nella
realtà. Nei fanciulli e nei po poli incolti ma di svegliato ingegno la immaginazione e eccessiva, e gran par te de'
loro errori deve imputarsi a ciò ch'
essi per mancanza di sufficenti co gnizioni sperimentali, mal riescono a se
parare nei loro strani concepimenti cid
che appartiene all'immaginazione,da ciò
è della realtà (v. SENSUALISMO E IDEE
INNATE). Immagini (Culto delle).
Domma cattolico stabilito dal Concilio
di Trento nella sessione XXV. « Comanda
il Con cilio che debbono tenersi e conservarsi
principalmente nei Tempi le immagini
di Cristo, della Vergine madre di Dio e
d' altri Santi, e che loro deve darsi il
dovuto onore e venerazione: non perchè
si creda esservi inloro qualche divinità
o virtù, per cui debbasi rispettare o
perchè da esse debbasi chiedere nulla ;
o perchè abbia ad aversi fiducia nelle
immagini, siccome in altri tempi face vano i gentili che riponevano la
loro speranza negl' idoli, ma perchè
l'onore che loro si dà si riferisce a'
prototipi che rappresentano; talmente
che per le immagini che baciamo, e
innanzi alle quali stiamo a capo
scoperto , e ci prostriamo, adoriamo
Cristo e veneriam i Santi, dei quali
esse hanno la somi glianza ». Il decreto
del Concilio è assai pru dente e poco appiglio offre alla critica dei protestanti. Il Concilio parla di ve
nerazione è di onori da rendersi alle
immagini, ma di culto positivo il suo
decreto parla punto. Pure i riti catto lici sono siffattamente
combinati, che nell'opinione comune le
messe in onore dei Santi, meno si
riferiscono al Santo stesso che all'
immagine sull'altare del quale si
officia. E poichè avviene che nelle
menti vulgari i simboli finiscono sempre
a sostituire le cose rappresen tate, così quegli eccessivi onori che nelle chiese si rendono alle immagini, si ri
solvono infine in un vero culto tributato
alle medesime. Tutte le sette
cristiane le quali nè ammettono il
culto, nè gli onori alle immagini,
oppongono a' cattolici che l'antico
testamento in più d'un luogo e
perfinonel Decalogo, vieta positivamente
di farsi immagine alcuna e render loro
qualsiasi culto (Esodo XX, 4; Levitico
XXVI, 1 ; Deuter IV, 15; V, 8). Ma i
cattolici rispondono questa proibizione
esser stata giusta e necessaria in quei
tempi , stante la invincible tendenza
degli ebrei all'idolatria; nullameno avere Mosè stesso sovrapposto all'arca dell'al
leanzadue Cherubini, e Salomone averne
fatto dipingere sul muro del tempio e
sul velo del Santuario. Or gli è ben po sitivo che quanto lo stesso
autore dei libri che contengono quel
divieto, si fa lecito d' infrangere il comandamen
o, hanno ben diritto a venia i cattolici
se imitano l'esempio suo e
nonrinunciano a costumanze che tanto
profittano al l'esterno splendore materiale del loro culto. Vedi ICONOCLASTI) Imananente. (Da manere restare, e in dentro) Aggiuntivo di atto, per di
stinguerlo dal transitorio. L'atto imma nente è quello che si compie dal sog
getto e che rimane nel soggetto stesso
senz'altro termine fuori di lui. In questo senso i teologi insegnano che Dio cred il figlio e lo Spirito Santo per atti im
manenti, imperocchè nè il Figlio nè lo
Spirito son fuori di lui, ma son Dio
stesso. La creazione invece è atto tran sitorio. In senso non dissimile
Spinosa IMMORTALITA poteva dire che Dio
è la causa imma nente e non transitoria di tuttele cose, perocchè nel panteismo di Spinosa l'uni
versalità delle cose, è Dio stesso. (Etica
479 più lungo quanto più lontano
il mo vimento deve trasmettere i suoi
effet ti. Or se l'azione di Dio a distanza im Jib. 1 prop. 18). Non vi è altro
caso fuor di questi due in cui la voce
imma nente possa usarsi in senso proprio. Ma
nel traslato si usa ancora nella filosofia moderna per indicare un' azione e una attività continua inerente al soggetto. Così suol dirsi che la causa immanente del movimento è la materia, in quanto si ammetta che laforza generatrice del movimento è attributo intrinseco di
essa, in essa si manifesta e vi rimane
eter namente. Immenso. Attributo che si
sup pone in Dio, in virtù del quale egli è
presente dappertutto. Questa proprietà,
come ognun vede, è in contraddizione
con una delle più elementari nozioni
della fisica , l'incompenetrabilità dei
corpi ; perocchè dove corpi esistono,
altre sostanze non possono stare. È vero
che Dio è uno spirito,ma, infine, o spi rito o corpo, sostanza bisogna
pur che sia, e nel posto occupato da
tutta la materia di che son fatti i
mondi, non potrebbe stare altra sostanza
per sotti lissima che sia. I primi padri
della Chiesa, i quali ammettevano che
Iddio fosse corporeo, negavano
implicitamente la sua immen sità ; per la stessa ragione la negavano i Manichei, i quali ammettendo due principii coeterni non li potevano fare egualmente immensi; e alcuni Calvinisti e i Sociniani sostennero esser Dio sola mente
in cielo, nè altrove presente se non per
la sua scienza e potenza, po tendo egli operar dappertutto. Convien però considerare che un Dio così li mitato
operare non può dappertutto, perocchè l'
azione suppone presenza, o per lo meno
la traslazione dell' atto at tivo attraverso allo spazio fin che giunga al luogo dove si deve produrre e svol gere
cotesta attività. Così è legge mec canica che ogni movimento importa la necessità del tempo, e il tempo è tanto porta tempi proporzionali valutabili
colla ragione composta della distanza
stessa e della velocità, ne deriva che
l'azione sua a una distanza infinita
richiede tempi infiniti, il che val
quanto dire che quest' azione non
giungerebbe mai a produrre i suoi
effetti, imperocchè un tempo infinito
non ha fine. Se dunque un Dio immenso
contraddice una legge fisica, un Dio
limitato contrasta con una legge
meccanica, e così riman provato ancora
che gli attributi di Dio sono la
negazione di tutte le scienze positive.
(Vedi INFINITO). Immortalità.
L'immortalità per sonale dopo la morte è credenza fonda mentale di quasi tutte
le religioni. Non è però esatto l'
affermare, come gene ralmente si fa,che tutti i popoli e tutte le religioni la proclamano. Circa tre cento
milioni di buddhisti credono nel
nirvana, vale a dire che l'anima dei
giusti dopo la morte giunge all'assoluto
annichilamento in Dio (vedi BUDDHISMO).
L'annichilamento dell'anima è pure opi nione professata da tutti i
filosofi pan teisti, (v. PANTEISMO), imperocchè am. mettendo costoro che l'anima nostra congiungesi all' Essere universale, im
plicitamente suppongono che la sua per sonalità si spegne e si fonde nella
stessa personalità di Dio. Tutta la scuola sceltica antica e mo derna,
per la cagione stessa delle sue
dubitazioni non può considerarsi siccome
accettante il domma dell' immortalità;
imperocchè dubitando essa d'ogni cosa
reale ed eziandio delle più evidenti,
tanto meglio deve dubitare di un dom ma che non ci offre alcuna dimostra
zione sensibile, e che per confessione
stessa di coloro che lo ammettono, ha
d'uopo di appoggiarsi precipuamente
sulla fede, virtu incompatibile affatto col le ultime conseguenze dello
scetticismo. Quanto all' idealismo il
qual nega ogni realtà alle cose che ne
circondano 480 IMMORTALITA e al nostro stesso corpo, e considera per
fino il nostro io siccome un fenomeno,
potrà egli mai fondatamen e annoverarsi
fra le scuole credenti nell'immortalită?
Tuttochè i principali idealisti abbiano
affermato cotesto domma, è lecito cre dere che lo abban fatto per una
non felice inconseguenza, piuttosto che
per vera e naturale necessità
dellorsistema. L'immortalità di un
fenomeno non è invero cosa concepibile,
e ad ogni modo se noi non possiam
trovare nelle cose che ne circondano
sufficienti argomenti per credere alla
loro esistenza, tanto più dovremo
dubitare dell' esistenza di undomma il
cui concet.o implicante eternità sfugge
eziandio ai limiti natu ra i della nostra ragione. Ecco dunque già un buon numero di uomini e di filosofi, i quali se non esplicitamente, certo implicitamente non credono all' immortalità. Quanto ai fi losofi
antichi non mancano esempi di coloro che
non ammisero cotesto dom ma. Democrito, Epicuro e Dicearco fra i greci lo negarono esplicitamente, e fra i latini Lucrezio nel suo terzo
libro dice chiaro che l'anima ha le sue
ma lattie come il corpo, e come il corpo
deve perire. Anche Cicerone fu accu sato da Lattanzio di non credere
all'im mortalità, e quel buon padrelo prova va citando un passo di lui, che ora
si èsorpresi dinonpiùtrovare nelle
opere sue. Cicerone vi ragionava secondo
i principii degli Accademici, pei quali
è noto ch' egli nutriva grandissima sim
patia ( Latt. de vita beata, lib. VIII cap. 8).
Plinio insegnava addrittura che tanto
valeva il credere di esistere dopo la
morte, quanto il credere di essere esi stiti prima di nascere, e che
l'una e l'altra credenza non erano
infine che una volgare superstizione
(Plinio Storia nat. lib. VII, cap. 55).
Non fu Seneca il tragico che nel coro
dei Troadi fece adottare l'opinione
della mortalità del l'anima ? (Seneca. Trod. vers. 395). E Sorano, come riferisce Tertulliano (De Anima, cap. VI), nei suoi quattro libri sulla immortalità, non negava egli co testo
domma? Fu pure AlessandroAfro disio colui che sostenne essere cost as surdo il
dire che l'anima è immortale, quanto
l'affermare che me e due fanno cinque.
Fra i greci ancora e fra i latini tutta
la setta stoica volendo tenere il giusto
mezzo fra le opposte opinioni, insegnava
che le anime sarebbero bensì
sopravissute ai corpi, ma che infine
esse pure sarebbero annichilate. E fra
gli stoici stessi chi, come Crisippo e
Cleanto, ammetteva che questa distru zione sarebbe avvenuta alla fine
del mondo, e chi,come Epitetto e Marc'
An tonio,insegnavache ladissoluzione del le anime avvenisse o contemporanea
mente o subito dopo la dissoluzione del
corpo; onde furon detti hersciscundi, cioè, come spiega Servio, medium secuti. Que sta
non è opinione molto diversa da quella
espressa da Kant nella sua Cri tica della ragion pura, dov'egli insegna non essere impossibile che l'anima, mal grado
gli attributi che la rendono indi visibile, perisca di languore per una graduale estinzione delle sue forze. Perfino fra il popolod' Israele noitro viamo
esempi non dubbi della miscre denza nell'immortalità. Nessun atto della legislazione di Mosè accenna a questo domma, e i Sadducei stessi, che erano una delle sette più cospicue del giudai
smo,non credendo nell'immortalità era no ammessi al sacerdozio (V.
GIUDAISMO). Negasi che esistano interi
popoli i quali ignorino il domma dell'
immorta lità; ma è negazione contro la quale
stanno prove positive. Oltre l'esempio
dei buddhisti, ne' tempi andati si tro varono intere tribù selvaggie che
non avevano alcuna cognizione nell'altra
vita. Margravius riferisce che i popoli
del Chill erau abbastanza brutali per
non conoscere cotesto domma. Chilenses ne
que Deum norunt, neque illius cultum
nullum observant dierum discrimen, ne
mortuorum quidem resurrectionem cre dunt sed post obitum nihil hominis
pu tant superesse. (Margravius.
lib. VIII IMMORTALITÀ app. cap. III). Lo
stessodicasi di molte tribù di
Madagascar. « Interrompc per un istante
questa relazione, scriveva il
missionario Tachard, per dire ciò che
noi abbiamo veduto degli ottentotti. I
quali essendo persuasi che non vi sia
altra vita, lavorano appena tanto che
basti per passare gradevolmente la vita
presente » (Tachard T. 1 pag. 72)
481 Korannas, Thompson apprese
che prima della venuta dei missionariin
quel pae se, essi non avevano idea distinta di un Dio onnipotente, delle pene e delle ri
compense di un'altra vita. « Presso i
Béchuanas, dice il missionario Moffat,non havvi alcuna idolatria, alcuna
tradizione degli antichi tempi.. Durante
parec chi anni di un lavoro pressochè inutile,
È certo che nel secolonostro anche
tra cotesti popoli l'idea di Dio e dell'im mortalità si è insinuata. Ma
badiam bene all'opra de' missionari che
oramai in ogni parte diffusero fra i
selvaggi le idee dei popoli civili. Or
se poniam mente che ira coteste idee quella
del l'immortalità è certamente la più facile
a intendersi e ad accettarsi ancora dai
meno colti, non ci saràdifficile scoprire i veri motivi della diffusione di questo domma. Pensiamo, infatti, che ogni uo mo
nascendo sotto l'impero della pro pria personalità, sentendosi dotato di
una coscienza individua, mal può
adattarsi all' idea della cessazione del
suo io. E pei selvaggi poi vihanno
ragioni molte le quali possono
confermarlinella opinione della
sopravivenza dopo la morte. In paesi ove
le più elementari funzioni fi siologiche sono pressochè ignote, qual non doveva mai essere l' influenza dei sogni, grandissima anche fra noi, sulle credenze religiose ? Quelle figure che l'immaginazione as sopita
presenta al dormiente, quelle na turalissime immagini degli amici e dei pa
renti che talora vediamo nel sonno, co me avrebbero potuto non far credere all'esistenza di quegli esseri che
essendo morti, tuttavia ricomparivano
colle loro precise sembianze? Veri
fanciulli adulti, non potevano i
selvaggi che confondere in una sola impressione
la realtà col l'immagine, ed è così senz' altro che essi ebbero il concetto di una sopravvivenza dell'individuo, senza che, del resto, siano maicorsi colpensiero ad immaginare un soggiorno ulteriore, una pena ed un premio futuri. Dalla bocca stessa degli Ottentotti io ho spesso desiderato di scoprire qualche idea religiosa presso quegli in
digeni; ma nessuna nozione di questo
genere mai era entrata nel loro spirito.
Dir loro che esiste uncreatore del cielo
e della terra, parlare ad essi della ca duta dell' uomo, della
redenzione, della risurrezione, dell'
immortalità, era per loro un discorrere
di cose altrettanto stravaganti e
favolose quanto le loro ridicole
leggende sui leoni e le jene... Non
potevansi risolvere i Béchuanas ad
ascoltare le nostre prediche, se non re galandoli di tabacco ed altre
cose. Poi, dopo alcuneore di
predicazione, essi do mandavano: Che volete dire? Le vostre fiabesono assai maravigliose, quandopure non gridavano: Pura menzogna. I più pratici fra loro osservavano che tutto
ciò non empiva lo stomaco ». Più
tardi quando ilmissionario riuscì a fare
qual che conversione, i nuovi proseliti affer mavano chedapprima essi non
avevano idea alcuna nè di Dio, nè della
vita fu tura. L'uomo, dicevano altri, non è più
immortale del bue e dell'asino, le ani me nessun le vede. Siffatte notizie raccolte nell'Encyclo pedie
generale, furono nel 1870 piena mente confermate da Tsékélo, principe dei Caffri-Bassoutos che nel 1869-70 erasi recato a Parigi. Letourneau ebbe la ventura di vedere cotesto selvaggio incivilito, il quale parla passabilmente l'inglese, sa leggere e scrivere, e dopo avergli lette le notizie sopra riferite, ebbe da lui in risposta, esser questa la prima volta ch'egli sentiva dire la
verità in Europa. Egli è vero che il
Signor Casalis scrive che il vecchio
Libè, zio del re dei Bassoutos, tuttochè
dapprinci 31 482 IMMORTALITÀ
pio, al missionario che gli insegnava il
vangelo pizzicasse le labbra.e il naso
chiamandolo mentitore, si era infine
convertito. Ma Tsékélo contraddice tal
notizia, e assicura che il suo parente
era troppo vecchio e troppo ammalato
per parlare lungamente. Egli d'altronde
era sì poco convertito, che alle esorta zioni del missionario che gli
parlava senza posa di Gesù Cristo,
rispondeva: Gesù Cristo ? Chi è costui?
Io non conosco cotest' uomo. (Bulletins
de la société d'anthropologie de Paris
T. VII. Serie 2. pag. 692). Il viaggiatore inglese White Baker che soggiorno parecchi anni fra i negri che abitano sulle sponde del Nilo Bianco e dei laghi d'onde questo fiume deriva, specialmente nella tribù degli Obbos e dei Latoukas (4 o 5 gradi di latitudine nord), afferma che non gli fu possibile di trovare fra questi popoliidea alcuna religiosa. Letourneau ha raccolte ed esposte le relazioni di questo
viaggiatore alla Società d'antropologia
di Parigi, ed è curioso il seguente
frammento. Io. Un uomo non è
superiore per la intelligenza ad un bue.
Non ha egli una ragione per guidare la
sua in telligenza? « Commoro. Molti
uomini non so no intelligenti al pari del bue. L'uomo è costretto a seminare del grano per procurarsi la nutrizione, il búe e lebe stie
selvagge l' ottengono senza semi nare.
Io. Non sapete che esiste in noi
un principio spiritüale differentedalno stro corpo ? Durante il vostro
sonno non sognate mai? non viaggiate col
vostro pensiero in lontane regioni ?
Nullameno il vostro corpo è sempre nello
stesso luogo. E come spiegate tutto
questo? «Un pocodigrano che era stato
tolto dai sacchi pel nutrimento de'
cavalli e che trovavasi sparso sul
terreno, mi suggerì l'idea di mostrare a
Commoro la vita avvenire col mezzo della
sublime metafora di cui fece uso S.
Paolo. > Sotto il pontificato di
Urbano II, diçe l'abate Fleury, videsi
con sorpresa a conto di una sola buona
opera, esimersi INDULGENZE il peccatore
di ogni pena temporale pei suoi peccati.
E non ci voleva meno che un numeroso
concilio, presieduto da questo pontefice
in persona, per au 493 fossero delegati
da lui in Italia, Fran cia, Germania, Spagna ecc, la facoltà di concedere, mediante spontanea ele mosina o
prezzi da stabilirsi secondo i torizzare
siffatta novità. Questo concilio | casi, indulgenze pei vivi e pei morti, as
tenutosi a Clermont l' anno 1095, con soluzione e remissione di tutti i
reati cesse indulgenza plenaria,
remissione intera di tutti i peccati a
chi pren desse le armi per la liberazione di
Terra Santa. Questa indulgenza valeva
di paga ai crociati, e benchè essa non
desse il mantenimento corporale, fu ac cettata con giubilo ». (6° Disc.
sulla storia eccl. n. 2). Il quarto
concilio di Laterano e il primo di Lione
seguirono questo esempio, e s'andò in
tal guisafor mando la giurisprudenza del giubileo (V. GIUBILEO). Ma ben peggiori abusi si dovettero poi lamentare sotto il pontificato di Leone X. Ai 14 novembre 1517 questo papa pubblicava la famosa bolla che co mincia
Portquam, ad apostolatus apicem e che
diede origine alla riformadi Lu tero: avverto che fu omessa nelle edi zioni di
Roma, e la ricavo dalla edi zione di Lussemburgo 1727, supplemento al tomo X pag. 58. Èsingolare che il Sarpi, nella sua Storia del Concilio Tridentino, appena accenni la detta bolla, mentre un' ana lisi
della medesima tornava così accon cia a descrivere la fede ed i costumi della Romana Chiesa. Di
(Dern. Analyt. lib. 1. c. 2). Nella filoso fia moderna questa voce ha
cambiato senso e ne ha acquistato un
altro assai più determinato. L'ipotesi è
oggidì sup posizione fondata sopra caratteri abba stanza evidenti per essere
probabile, sen za tuttavia essere certa. È quindi errore di molti il credere che ogni più che azzardata affermazione possa dirsi ipo tesi:
le cose manifestamente impossibili
trettanto certo che fedelmente ci rap presentino le cose come sono.
L'obbie zione sarebbe vera e ad evitarla con viensi che all'ipotesi diasi senso
limi tato, proprio del comun linguaggio ; e
per tale s' intenda quella dimostrazione
la quale secondo lo stato delle nostre
cognizioni non è ancora sufficientemente
provata. Nemmen s' abbia per ipotesi
ogni strambo ragionamento : sì convien
ch'essa sia probabile e verosimile, senza di che diventerebbe vaneggiamento di non sono ipotesi; ma assurdità. Prima di scoprire le leggi generali, la
scienza cerca le ragioni plausibili dei
fatti che osserva fondandosi sull'
analogia dei fatti simili ; ma finchè
cotesta analogia non sia accertata da
osservazioni diret- nogamia. te le sue
ragioni rimangono ipotesi. Convien che
il filosofo sappia ben mente
insana. Ipparchia. Filosofessadella
setta de' cinici e sposa di Crate.
Nacque a Maronea, città della Trancia,
da fami glia ricca, e tanto si appassionò per la filosofia di Crate, che nonostante le
sue infermità e la sua miseria, e
malgrado le rimostranze dei parenti, lo
volle per marito. Vestita di miseri
abiti, senza averi e senza tetto, andò
vagando col marito, secondo i precetti
della scuola cinica, chelavolle
immortalare istituendo una festa in onor
suo col nome di Ci Ippon(di Bhegium).Ignorasi l'epo distinguere le leggi dalle
ipotesi: il con fondere le une con le altre è spesso cagione di errori gravissimi per le scien ze,
che una maggior prudenza potrebbe
evitare. Vero è che tutti i nostri prin cipii sono dubbi, che la
certezza asso luta non è retaggio hostro, e che tal fiata i principii che ci parevano più certi sono dimostrati falsi da nuove sco
perte. In tal senso lo scettico può ben
dire che tutti i principii che noi abbiamo elevato al grado di legge sono ipotesi, ca precisa in cui visse, ma par che fos se
nei primi secoli della filosofia greca.
Aristotile nella sua Metafisica (lib. 1, c. 3) ci apprende che sull'esempio di Ta lete
egli considerava l'acqua, o l'umidità
come il principio delle cose; e nel libro dell' Anima (lib. 1, c. 2) aggiunge che non riconosceva all'anima altra origine. Sesto Empirico nelle Ipotesi Pirroniane (lib. III) dice ch' ei riconosceva due soli principii: l' acqua ed il fuoco, ed Alessandrio Afrodisio lo annovera fra i materialisti.
J Jerocle. Filosofo neoplatonico
che | tone, e compose sette libri sopra il de fiorì sul finire del IV secolo.
Insegnd | stino, alcuni estratti dei quali ci furono filosofia in Alessandria , commento Pla-
conservati da Fozio. Questo filosofo ap 512
JOUFFROY partiene al periodo di
transizione tra la filosofia pagana e il
cristianesimo, e già nella sua dottrina
si nota il primo mo vimento che confuse il Destino con la provvidenza. La provvidenza, insegna egli, è il governo col quale Dio man tiene
l'universo. L'uomo è dotato di li bero arbitrio, ma le sue decisioni sono seguite da una certa azione di Dio che sollecita la sua volontà, e questa stessa azione che facilita o noilbuon uso del Par che gli ionici proclamassero an cora,
sebben confusamente, i principii del
sensualismo, e affermassero , che quello
solo esiste il quale cade sotto i nostri
sensi. Così sembra che Platone dicesse
di loro, quando nel suo dialogo del
Sofista scriveva: « Siccome tutte le
cose cadono sotto i sensi, così essi af fermano che quello solo esiste
che si può avvicinare e toccare: in
talmaniera libero arbitrio è già
principio di pena o ricompensa. Qui
sorge poi il principio dalla
predestinazione e della grazia, poi- grande disprezzo ». chè Jerocle ammette, senza manco av essi
identificano l'essere col corpo ; e se
qualche altro filosofo lor dice che l'es sere è immateriale, gli
dimostrano un vedersi di cadere in
contraddizione, che Dio fin dall'
origine del tempo ha de terminato il principio e la fine dell'esi stenza. Anche
nella creazione tenta di di avvicinare
il paganesimo al cristia nesimo, e se non osa d'un tratto far scomparire il principio dell'eternità
della materia, che tutta la filosofia
pagana aveva ammessa, vuole almeno, con
una delle sue solite contraddizioni, che
Dio l'abbia creata, ammettendo però che
la creazione non ha avuto un principio! Jonica (Scuola). Talete di Mileto, città della Jonia, fu il fondatore di que sta
Scuola, continuata daEraclito, Anas simandro , Anassimene, Anassagora, e Archelao. La scuola ionica è sopratutto fisica per l'insegnamento nell'astrono mia
che largamente vi fecero i suoi maestri.
Intorno all'essenza delle cose
disputarono assai gli ionici, e si divi sero in due partiti,
l'unde'quali (Anas simandro e Anassagora) sostenne che il Jouffroy (Teodoro Simone). Pro fessò
filosofia a Parigi al collegio Bor bone dal 1817 al 1819, fu quindi inse gnante
alla facoltà di lettere nella mө desima città, poi professore di filosofia aggiunto alla cattedra di Royer-Collard e nel 1840 membro del Consiglio Supe riore
dell' istruzione pubblica. Fu pro mosso a questo posto dal ministro Cou sin, ed
è ben ovvio il pensare che il protetto
facesse onore alle opinioni del
protettore. Jouffroy non seppe introdur re nel suo insegnamento alcuna
nuova idea, salvo quella veramente
singola rissima, per la quale egli voleva distin guere ' anima dal corpo, e
provarne l'esistenza dimostrando la
diversa na tura delle funzioni digestive e volitive. Sarebbe inutile il confutare le idee di questo filosofo, basate sopra una com pleta
ignoranza delle leggi della vita,
Jouffroy ha fondato anche una teoria
morale ed una teodicea. La prima pog giando sulle basi ipotetiche del
duali smo fra la materia e la vita stabilisce
mondo consta di elementi diversi ma
nou numerabili; l'altro, che esso è com posto di un'unica sostanza
(Talete, Anas simene), oppure di due o tre elementi come sarebbero l'acqua e il fuoco. Ar- |
azioni materiali del corpo, le quali ten chelao). Gli uni e gli altri
convennero lalegge del dovere nel
raggiungimento del fine morale. dell'
uomo, indipen dentemente dalla circolazione e dalle che la costituzione attuale
dell'universo s'è formata cogli elementi
o coll' ele mento primitivo mediante un'azione di namica di unelemento
sull'altro, o col movimento dello stesso
elemento in se stesso. dono alla pura conservazione di questo. La vita materiale, dice Jouffroy, tende al bene del corpo, la vita morale al bene dell' io. Così l'individuo si separa in due esseri distinti; il benessere del suo corpo non è più il benessere del suo io; dunque il corpo può essere 278.987 JACOBI martoriato, poichè l'io non è il suo diretto risultato. Si capisce bene che queste teorie possono fondare una mo rale
ideale, ma non già una morale 513 non esamina, ma percepisce. lo vedo il sole, dunque il sole esiste; io mi sento, dunque io sono; io penso lo spi rito
supremo,dunque lo spirito supremo vera e
veramente utile alla società. Jacobi
(Federico Enrico). Nacque il 25 gennaio
1743 a Dusseldorf nella Germania, da un
ricco negoziante di quella città.
Chiamato adirigere la casa di suo padre,
non vi rimase però per lungo tempo, e
quando l'Elettore pala tino lo nomind consigliere delle finanze del ducato di Bery, abbandonò affatto il commercio. Ricco e rispettato, la sua casa di Pempelfort fu ben presto il ri trovo
delle notabilità scientifiche e let terarie del suo tempo, in mezzo alle quali presegli brama di prender posto egli stesso. Si atteggiò a filosofo, e
in diversi tempi scrisse alcuni libri,
tali che Woldemar, Lettere a Mendelson
sulla filosofia di Spinoza; Una parola
di Les sing; David Hume o l'Idealismo e il
Realismo; Del tentativo del criticismo di rendere la ragione ragionevole, o di accordare la ragione coll' intendimento (1801); Delle cose divine (1811) Lettere su Spinoza.
Jacobi è avversario, non solo del l'idealismo, ma anche del criticismo
di Kant, dello scetticismo e d'ogni
incre dulità. Impotente, com' egli stesso con fessa, a spiegarsi iconcetti
astrattidella filosofia, si gettò in
braccio con sover chia fidanza agli stimoli del sentimento individuale: parve a lui che una certa armonia prestabilita dovesse esistere
fra i nostri concepimenti e i fatti
esteriori. Il suo realismo non è in
sostanza che l'obbiettivazione nella
realtà di tutte le chimere che una mente
esaltata può concepire, e la sua ragione
della quale con tanta pompasifacampione
nei suoi libri, non s' adopera già a
sceverare quanto di falso in queste
chimere vi possa essere, perocchè egli è
convinto che la nostra coscienza
attuale, e non la ragione, sia la misura
di tutte le verità. esiste ». È in tal maniera che Jacobi passa dallapercezione sensibile del sole veduto, all'astrazione intellettuale di
un Dio pensato, senza pure avvedersi del
l'immensa distanza che separa fra di
loro questi due modi d'affermazione. Dal
momento che la nostra coscienza intel lettuale è la misura della verità,
che monta sia una cosa veduta o
soltanto pensata? Ciò che si vede o si
pensa è sempre vero, e Jacobi non si
doman derà nemmeno se tutte le cose pensate
siano sempre state vere. Ben a
ragione insofferente delle ne bulose formole della filosofia trascen dentale,
credette egli di avere evitata ogni dubitazione
supponendo che la cer tezza fosse immediatamente inerente a tutti i nostri giudizi. « La vera
scienza, dic'egli, è quella dello
spirito che rende testimonianza di se
stesso e di Dio.... Oggetto delle mie
ricerche fu sempre la verità nativa, ben
superiore alla ve rità scientifica ». E nel 1819 ripeteva : . Nel seno
stesso dell' Accademia di Berlino vi fu
viva disputa, che nonvolse però a pro fitto della nuova scienza. Fu essa
riget tataallaquasi unanimità siccome studio
inutile e impotente a fondare checches a. Cotesto studio è infruttuoso, scri veva
Formey, e il suo fondo indeci frabile. Lo stato attuale del viso umano verso la metà della sua carriera, risulta dal concorso di tante circostanze
fisiche, morali, e casuali, ch' egli è
affatto im possibile di ritrovare la fisionomia ori ginale e di seguire le
tracce delle sue modificazioni: se il
cuore è un enimma, il viso è un
logogrifo, come quei ter reni vulcanici coperti di molti strati di lava, con una terra molto fitta sopra ciascuno ».
Lafisiognomia restò a quel punto,
nè più progredi; nè se ne discorre a
tempi nostri fuorchè in quei libri che
si stampano apposta per gli sciocchi. Ma
le conseguenze di quella scuola non fu rono abbandonate, e quando venne
Gall le rinnovò per la sua croniologia,
ma con una scienza, con una pratica e
con un sapere da cui il mistico Lavater
era le mille miglia lontano. Lao-Tseu. Filosofo chinese con temporaneo
diConfuzio.Lasua vita, co me quelladi tutt' i filosofi di quei tempi, è più leggendaria che storica. Fu con
servatore della biblioteca della casa di
Théon, dagli uni considerato come pro feta, dagli altri come uomo
eminente mente santo, talchè fu ancor confuso con Shakya-muni, (Bouddha ) le cui dot trine egli
introdusse nella China. (V.
BUDDHISMO). costanze. È legge di
natura che la luce diminuiscanella sua
integrità in ragione inversa dei
quadrati delle distanze; che colla
stessa progressione diretta un cor po grave si acceleri nella sua caduta; è pure in forza di unalegge che l'elet
tricità si trasmette di preferenza attra verso ai corpi conduttori, che il
ferro è attratto dalla calamita, che il
filo a piombo in qualunque parte del
globo si dirige al centro della terra
ecc. D'onde e perchè nasca la legge,
s'ignora. Essa costituisce una nozione
essenzialmente sperimentale e direi
quasi assiomatica, per la quale noi
affermiamo che esiste una legge quando
vediamo che date le medesimecausesi
produce costantemente il medesimo
effetto. Romagnosi perciò non ebbe torto
di definire la legge . Dunque lo statista che sulla media delle tavole degli anni anteceden ti
predice approssimativamente il nu mero di certe classi di delitti che suc altri
vincoli morali con cui cerchiamo di
determinare o al bene, o all' utile, o a
checchessia le azioni dei nostri si mili, provano, in sostanza, che sotto
la influenza di certe cause noi ci
attendia mo dagli uomini certi effetti. Senza di che, a cosagioverebbero le leggi ? Per chè l'
oratore procurerebbe d'indurre altrui
nelle sue convinzioni, se i suoi motivi
non esercitassero una certa effi cacia, e perchè da tal sistema di go verno si
attenderebbero tali popoli, e dai
cattivi esempi malvagie azioni ? Il
filosofo inglese Bailey ha ben ra gione di sorprendersi che la connessio ne fra
imotivi e le azioni sia teorica mente revocata in dubbio quando poi nella vita pratica gli uomini non fanno altra cosa che impegnare perpetuamen te
piacere, fortuna, riputazione, la vita
stessa in questo principio che specula tivamente rigettano. La costanza
delle cifre della statistica non è forse
una evidentissima dimostrazione di
questo principio, che anche nell'ordine
morale, il qual si vuole assolutamente
indipen dente da ogni determinazione, le mede sime cause conducono
costantemente ai medesimi effetti ? «
Per ciò che si rife risce af delitti , scriveva nel 1853 il signor Quetelet, i medesimi numeri si riproducono con tale costanza che sa rebbe
impossibile il disconoscerli anche per
quei delitti che sembrerebbe do vessero più di tutti sfuggire ad ogni previsione umana, come sarebbero gli omicidi, dappoichè essi si commettono in seguito a risse che nascono senza stabili motivi, e in apparenza col con corso
delle più fortuite circostanze. Non dimeno l'esperienza prova che non solo cederanno nell' anno successivo, non fa altro che prevedere gli effetti che do vranno
necessariamente derivare da cer te cause, che generalmente si rinnovano; cosa che non potrebbefarsi certamente ove le azioni nostre fossero affatto in
dipendenti dacause determinanti. Inve ro, se le azioni fossero
assolutamente libere, le più grandi
variazioni dovreb bero mutarsi nelle cifre statistiche, e la costanza di esse dovrebbe trovarsi sol nei fenomeni cosmici pei quali si ammette una assoluta dipendenza da cause uniformi. Ma nell' ordine morale dovrebbe notarsi una successione asso
lutamente arbitraria, nè la statistica,
nè l'esperienza mai potrebbero farci
prevedere quali effetti potrebbero deri vare da certe cause. Quale uomo,
per prudente che sia,potrebbe alloramaipre-
vederechecoluichehacarattere sangui gno risponderà colla violenza alla vio
lenza; che il pacifico subirà l' ingiuria
senza rintuzzarla; che il coraggioso af fronterà il pericolo, e l'uom d'
onore sarà fedele alla parola data? Se
l'ar bitrio di una assoluta indipendenza pre siedesse alle nostre azioni,
sarebbe di strutto ogni fondamento dell'ordine so ciale; la fedeltà delle
contrattazioni di venterebbe una chimera, eniunopotreb be mai esser sicuro che
giustizia gli fosse fatta, quando
sull'animo del giudice nulla potessero i
motivi determinanti dell' onestà, la
convinzione acquisita e il sentimento
del dovere. Si oppone che determinandosi
secondo la convinzione il giudice non fa
altro che seguire la sua volontà. Ciò è
vero; ma è altresi vero che questa
convinzione è acquisita in grazia di
motivi esterni, e che la sua volontà,
non potrebbe non essere 534 LIBERO
ARBITRIO conforme alla sua convinzione.
In altre parole, egli vuole
costantemente ciò che vuole la
volontàdeterminatadai motivi. Nella vita
pratica noi siamo tanto convinti che
tali motivi determinano tali altre
azioni, che siamo ben dispo sti a considerare come deboli di mente e anche pazzi, coloro i quali per ten denze
organiche diverse da quelle della comun
degli uomini, non agiscono nel modo stesso
in cui agirebbero tutti gli altri quando
fossero posti nelle mede sime circostanze. Se alcun ricusa il bene che gli si fa; o si cimenta contro pericoli evidenti senza scopo; o fa sper pero
dei suoi averi senza obbedire ai motivi
di filantropia che noi siamo di sposti a riconoscere, non si avrà in conto d' uomo che abbia il pieno pos sesso
della sua ragione. E poichè tutti gli
altri al posto suo non agirebbero in
quella guisa, cosìnon si ha difficoltà a
riconoscere che alcun che di anormale
vi debba essere nel suo cervello. In
conclusione son matti per noi quei co tali iqualinonsi comportanonel
modo con cui in determinati casi noi ci
com portiamo, e non agiscono secondo quei
motivi dai quali nell' ordinario corso
della vita noi ci riconosciamo determi nati. . (Trattato del libero arbitrio II). In questo esempio Bossuet presenta >
Ecco dunque lo stato che sui tram poli del dommatismo cristiano qui pro
clama ex Cathedra un principio reli gioso che fa a pugni col senso comune. Le pretese del papate non potrebbero essere peggiori nè più esigenti. E tut tavia
l'art. 29 della stessa costituzione
prescrive « che non vi sarànello Stato
stabilimento di alcuna setta religiosa
con preferenza sopra un' altra ». Qui
dunque abbiamo unaperfetta eguaglian za e libertà dei culti, ma quanto
non siamo noi ancor lontani dalla
libertà di coscienza? stabilimento per una chiesa o una set ta
religiosa qualunque di preferenza ad un'
altra, e nessuno, sotto qualunque
pretesto, sarà costretto a recarsi ad un
luogo particolare di culto contro la sua
fede e la sua opinione, nè obbligato a
pagare per la compra di un terreno,
o per la costruzione d' una casa desti nata al culto religioso, o pel
manteni mento dei ministri o d'un ministro di
religione, contro ciò che egli crederà
giusto e ragionevole o contro ciò che
si sarà quotato volontariamente e per ❘sonalmente. Tutti avranno il libero e sercizio del culto, ben
inteso che nulla potrà inferirsi dal
presente articolo per esimere i
predicatori che facessero di scorsi sediziosi e miranti al tradimento, dall' essere presi e puniti secondo la legge. >> Dopo questa ampiadichiarazione chi mai crederebbe di leggere quest' altro articolo, ove contiensi la più esplicita
e violenta negazione della libertà di co
scienza ? Nè ciò basta, l'ortodossia
protestante qui raggiunge il suo massimo
apogeo, e già collo stabilimento di una
religione 547 stessi privilegi che le altre società. Ogni società di cristiani così formata si darà unnome che ladistingua, sotto cui sarà chiamata e riconosciuta in giu
ufficiale ci fa sentire i tristi effetti della
ingerenza della potestà civile nelle cose di coscienza, Qui lo stato, non solo stabilisce una religione ufficiale, ma si fa assoluta mente
banditore di dommi, si erige ad autorità
direttrice delle coscienze ed im pone alla pubblica credenza dei criteri della verità che sono fallaci e coerci tivi,
per ciò solo ch' essi non possono da
tutti essere condivisi. Quest'articolo,
per vero dire, meglio che in una Co stituzione politica, starebbe a suo
luo go in un rituale canonico, perciocchè
continuando sullo stesso metro prescri ve poi regole pei ministri dei
culti, ad 548 LIBERTÀ DI COSCIENZA essi ingiunge di instruire il popolo se condo
le sante scritture; di essere e satti nel far le preghiere e le letture dei libri santi; di assistere gli infermi con tutti i mezzi pubblici di consiglio e di avvertimento richiesti dalla neces tro i
miscredenti, il dommatismo prote stante, che in ciò poco differisce dal cattolico, assicura la libertà dei culti alle sette cristiane, ben s'intende, е spinge anzi la condiscendenza fino a derogare le disposizioni della legge ge sitâ,
ed altre tali cose d'ordine pura- nerale in favore dei quackeri. mente canonico. Cosa strana, fra tanto scempio del ' umano
buon senso, noi troviamo in questa
costituzione la sanzione di due
principii che le sono esclusivi e che
pur sono essenziali alla libertà di co scienza: «Qualunque abitante dello stato, dice lo stesso articolo, chiamato a pren der
Dio in testimonio della verità dei suoi
detti, avrà il permesso di farlo nel
modo più consentaneo aciò che la sua
coscienza gli dice. > Del resto, bandita la crociata con > Affrettiamoci però a dire che tutte queste costituzioni date negli ultimi anni del secolo scorso, erano la conse guenza
nećessaria, inevitabile dello svol gimento storico di quei paesi. Le po
polazioni bianche dell' America anda rono formandosi per la continuata emi
grazione degli europei e specialmente
degli inglesi. Una moltitudine di fuoru sciti partivasi dall' Inghilterra
fin dal tempo degli Stuardi ed emigrava
in America, quivi portando quel desio
di libertà e di emancipazione, che nella patria loro era stato ad essi impu tato a
colpa. Sotto quel nuovo cielo e su
quella vergine terra essi impianta rono li ordini inglesi sotto il protetto
rato dell' Inghilterra; ma più lati, più
liberi, sì che l'autorità del Re quasi si esinaniva nel lungo tragitto dell' Ocea no.
Le dissenzioni politiche non solo, ma
anche le persecuzioni religiose ave vano determinata quella emigrazione. I nuovi coloni in gran parte non erano soltanto protestanti, ma nel loro desi derio
di purificare la religione prote stavano anche contro gli stessi prote
stanti. Ora, la riforma religiosa,ben
lunge di attutire le esaltazioni
mistiche, ag giunge anzi nuova esca al fanatismo. Le religioni decrepite, simili al
vecchio paganesimo, sono credute e
osservate per abitudine, e più spesso
chi ne osten ta i precetti poco li crede in cuor suo. La riforma, invece, seco trascina l'en
LIBERTÀ DI COSCIENZA 549 tusiasmo, la convinzione, e con essi |
magistrato d'intervenire nelle questioni
quel principio di intolleranza che non
rare volte tocca i confinidel ranatismo.
Con ciò noi ci spieghiamo perfettamen te quelle strane costituzioni dei
varii stati dell'America meridionale,
ove sem di dottrina, o di restringere la profes sione o la propagazione di
certi prin cipii, a motivo della incresciosa tenden za che si suppone in essi è
un errore funesto che distrugge tutte le
libertà pre si trova la
libertàpoliticacongiunta al più gretto
esclusivismo religioso. Ma le
costituzioni parziali dei varii stati do vevano cedere ilposto a più late dispo
sizioni nell' atto d'unione dei singoli
stati in un corpo solo. Per ciò che la
molteplicità delle sette imponeva ap punto a ciascuna di esse dei doveri
in verso le altre, e rendeva
necessarie quelle reciproche
concessioni, senza cui non sarebbe stata
possibile una legge comune. L' emancipazione degli stati dall'In
ghilterra e la unione di essi in un cor po solo, doveva quindi portare i
suoi frutti, e noi veggiamo infatti che
laCo religiose, perciocchè è il magistrato
medesimo che rimane giudice di questa
tendenza, e che egli prenderà per re gola di giudizio la propria
opinione; Si stupende idee non
potevano du rare a lungo fra popoli sinceramente devoti alla fede, e il bigottismo prote
stante, sotto molti aspetti, non più li berale del cattolico, doveva ancora pre
valere contro il principio dell' assoluta
libertà. Egli è perciò che nel 1872
l' Europa leggeva con gran stupore la
notizia che il Senato e il Congresso
degli Stati Uniti avevano approvato la
seguente legge: 1 1. La santificazione della dome cernenti
lostabilimento di una religione ❘nica è
cosa di interesse pubblico; o per
proibirne il libero esercizio. (Co stituz. art. 2, 6, e III addizionale). Sotto la presidenza di Jefferson era stato proposto e votato dal Congresso il seguente decreto: ch' egli per la sua tirannia di venne inviso
a quanti lo avvicinavano. Calvino stesso
scriveva al suo confidente Bulinger, «
non potersi più tollerare gli eccessi di
Lutero, cui l'amor proprio non permette
di vedere i propri di fetti, nè di sopportare che alcuno gli si opponga ». E a Melantone: « Il suo spirito, dicesi, è violento, e i suoi mo
vimenti impetuosi, come se questa vio lenza non si portasse soverchiamente agli eccessi, quando tutto il mondo non pensa che ad incontrare in tutto il suo genio. Abbiamo per lo meno una volta l'ardimento di produrre un gemito con libertà ». È vero che Calvino,dimentico ben presto di questa stessa libertà, im mold
sul rogo il povero Servet, ma non è men
vero che intorno a Lutero tutti
convenivano in questo suo giudi zio. Muncer diceva esservi due papi: l'uno quello di Roma, l'altro Lutero, ma che questo era il peggiore, e Me lantone,
uomo mansueto e pacifico, vi veva in tanta soggezione con Lutero e con i capi del partito, che a Camera rio
amico suo, scriveva: « Io sono in
ischiavitù come nell' antro del Ciclope,
perchè non posso palesarvi i miei sen timenti, e penso spesso alla fuga
». Erasmo poi, cui Lutero erasi
dapprima inclinato con parole servili,
n'era stato quindi sivivamente
maltrattato per non essersi seco lui
accordato sul libero ar bitrio, che a propósito di Lutero ram maricavasi
d'esser condannato nella sua vecchiezza
a combattere -, 60 » »
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filosofico del Libero Pensiero. Un vol. in 8 con ritratti Collezione delle leggi e decreti finanziari
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STEFANONI LUIGI CONTENENTE L' ESPOSIZIONE DEI PRINCIPALI SISTEMI FILOSOFICI
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ANTICHI E MODERNI, LA CRITICA DEI DOMMI
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MILANO NATALE BATTEZZATI, EDITORE Via S. Giovanni alla Conca, 7. 1877. 5-6-729 DIZIONARIO FILOSOFICO :
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FILOSOFICI E TEOLOGICI, LA BIOGRAFIA DEI
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ATTINENTI ALLA FILOSOFIA ECC. ECC.
MILANO NATALE BATTEZZATI,
EDITORE Via S. Giovanni alla Conca, 7. 1875. Parma, Tipografia della Società fra gli
Operai-tipograf. MALE M Macedonio Vescovo arianodiCo stantinopoli
incompetenza di Paolo stato eletto a
quella sede dai cattolici. Dopo 5 ste, ciò vuoldire, che Dio o è autore
del male, o non ha potuto impedire che
il molte turbolenze eccitate tra i
fedeli di Costantinopoli che
parteggiavano per ' uno o per ' altro
partito, riuscì ad occupare la sede
contrastata, non senza però aver fatto
perire in una sedizione ben tre mila
dissidenti. Poichè Ario a veva negata la divinità delFiglio, nulla di strano che alcun altro negasse la di
vinità dello Spirito Santo.E così feceMa cedonio, il quale per una
stranissima incongruenza, se da una
parte trovava che le ragioni degli
ariani non avevano valore contro la
divinità di Gesù, le av male entrasse nel mondo. La prima i potesi contrasta
con labontà e lagiu stizia, attributi che tutte le religioni ri conoscono nel
loro Dio; laseconda ren de Dio impotente a combattere il male, e il principio d'onde il male emana fa superiore a Dio e Dio esso stesso. Due metodi tentarono leteologie per evitare siffatte conseguenze; e il primo già rece le sue prove, e grandiose, nel dualismo (v. questavoce), ilquale attri buiva
l'origine del mondo al concorso e alla
lotta di due opposti principii , l' uno
buono e l'altro malvagio, che vi avevano
impresse le tracce della lo ro potenza e della loro natura. Que sto sistema già
molto diffuso nell'Asia, valorava però
quando trattavasi dello Spirito Santo.
Il quale, diceva Macedo nio, in nessun luogo della Scrittura è detto che sia Dio, chè anzi vi è sempre rappresentato come subordinato alPadre ed al Figliuolo: per essi esiste, per essi è istruito, e per la loro inspirazione | buon
principio una superioritàmorale, parla
(Giov. 16. Paolo ai Corinti I cap. 2.);
egli è il consolatore dei cristiani e
penetrò anche nell' Europa, e si divulgò
nel cristianesimo col manicheismo : ma
per quanto cercasse di attribuire al
per essi prega (Rom. 8) il che non fa rebbe s'egli stesso fosse Dio,
poichè in tal caso egli pregherebbe se
stesso. D'altronde, o lo Spirito Santo è
gene rato o non è generato. Se non è gene rato in che differisce dal Padre ? se
è generato in che differisce cal Figlio?
E se è generato dal Figlio, allora biso
gnerà credere che esso è soltanto il ni pote del Padre. Male. Teologi e filosofi cercarono in ogni tempo di spiegare l'origine del male. Imperocchè se Iddio è l'autore del mondo e se il male nel mondo esi non potè
togliere la conseguenza, che l'origine
del mondo dovendo attribuirsi adue
principii, questi diventassero due Dei
competitori, perpetuamente lottanti per
disputarsi il dominio dell' universo. Le
religioni monoteiste cercarono perciò
nuove spiegazioni, e andarono im maginando che Dio avendo creato un mondo perfetto, il male vi penetrò poi non per volontà sua, ma pel peccato dell' uomo che trasgredi i suoi coman
damenti. E non pensarono che se l'uo mo potèpeccare, è segno ch'egli
perfetto non era, e che, il germe del
male già esisteva in lui fin dal momento
della creazione. Imperocchè anche la
facoltà , 6 MALE di volere il male è un male essa stessa. E l' obbiezione parve a tutti così
seria, che nel secolo scorso filosofi e
teologi, per confutare ilBayleche la
riproduceva, andarono in tracciadi altre
spiegazioni. Il padre Malebranche sperò
di aver tolta la contradizione
sviluppando un certo suo sistema, nel
quale Dio veniva mo strato come l'essere sovranamente egoi sta, curante
soltanto di sè e della glo ria sua, alla quale essendo necessaria l'Incarnazione, il peccato dell'uomo di
veniva altrettanto necessario acciocchè
portato adare l'esistenza alle creature, e che oggetto della suabontànon possono essere che le creature intelligenti, cost possiamo dire, ragionando a misura dei lumi che ci ha datoperconoscerlo, che si è proposto di creare il maggior numero di creature intelligenti, e di dar loro tutte le cognizioni, tutta la
felicità, tutta la bellezza, di cui l'
Universo era suscettibile, e condurle a
tale stato fe lice nel modo più conveniente alla loro natura, e più conforme all'ordine. « Il mondo attuale per essere il mi Dio
potesse esercitare la suainfinita migliore de' mondi possibili debb' essere sericordia.
Leibnitz credetteche perdissiparegli
scrupoli, che facevano nascere le diffi coltà di Bayle, si dovesse più
positiva mente conciliare lapermissione del male colla bontà di Dio. Tutti i metodi te nutisi
per giungere a tal fine, gli par vero imperfetti, e conducenti a moleste conseguenze, laonde prese un'altrastrada per giustificare la Provvidenza. Credet te,
che tutto quello che succede nel mondo,
essendo una conseguenza della scelta che
Iddio hafattodel mondo at tuale, conveniva elevarsi a quel primo | istante, nelqualeIddioformò il decreto 1 di
produrre il mondo. Un' infinità di mondi
possibili erano presenti all'Intel ligenza divina e la sua potenza poteva egualmente produrli tutti: giacchè dun que ha
creato il mondo attuale, con vien dire che l'abbia scelto. «Iddio non hadunque potuto creare il mondo presente, senza preferirlo a tutti gli altri: ora è contradditorio,
che Iddio avendo dato l'essere ad uno
di cotali mondi, non abbia preferito il
più conforme a' suoi attributi, il più
degno di lui, il migliore: un mondo
insomma, quello, che corrisponda più
esattamente atale oggetto magnifico del
creatore, dimodochè tutte le sue parti,
senza ec cettuarne alcuna, con tutte le loro mu tazioni, e riordinamenti
cospirano colla maggior esattezza alla
vista generale. Poichè questo mondo è un
tutto, le parti ne sono talmente
concatenate, che niuna parte potrebbe
togliersi, senza che tutto il resto non
fosse interamente mu tato. Il miglior mondo, conteneva dun que le leggi attuali
del moto, le leggi dell'unione dell'
anima col corpo, stabi lite dall'autor della natura, l' imperfe zione delle
creature attuali e le leggi, anorma
delle quali Iddio scomparte le grazie,
che accorda alle medesime. Il male
metafisico, il male morale, ed il mal
fisico dovevano dunque entra re nel piano del migliore de' mondi. Tuttavia non si può dire, che Iddio ab bia
voluto il peccato, ma bensì il mondo,
nel quale può entrare il peccato. Quindi
Iddio ha solamente permesso il peccato,
e la sua volontà non è in questo punto
che permissiva, per dir così; poichè la
permissione non è altro, che una so spensione, o sia negazione d'un
potere, il quale messo in opera
impedirebbe l'azione di cui si parła, ed
il permet tere è l'ammettere una cosa legata ad
che nella sua creazione sia l'oggetto
maggiore, ed il più eccellente, che si
sia potutoprefiggere quell' essere per fettissimo. Noi nonpossiamo
assolutamen- | altre, senza proporla direttamente, ben te deciderequale
siastato un tale fine del Creatore, poichè
siamo troppo limitati per conoscere la
sua natura: tuttavia siccome sappiamo
che la sua bontà l'ha chè sia in poter
nostro l'impedirla. ( Corano IV, 155,
156).. Questi passi, se dimostrano
cheMao metto attribuiva a Gesù una missione
profetica, provano eziandio che ai suoi
tempi era accreditata e diffusa la voce
che Maria aveva concepito Gesù nell'a Il profeta d'altronde lasciava il
Cora- dulterio, e che molti dubbi sussisteva no fatto raccogliere parecchi anni
dopo no ancora intorno alla risurrezione. E
daAbubeker successore di lui. Inque- la intima persuasione del profeta
che sto libro, il cui titolo significa
lettura gli ebrei si fossero contaminati atten per eccellenza,Maometto non
parlamai| tando alla vita del Messia, fu forse
in prima persona: è Dio stesso che
parla per mezzo di lui, e questa cre denza è così radicata nei
mussulmani, cagione del solo atto iniquo
da lui commesso dopo la vittoria.
Imperocchè non accordò quartiere
ainumerosissima 12 MAOMETTO ebrei dimoranti nell'Arabia, ma li per- siete
in viaggio, o ammalati; se avete segul,
quanti potè uccise,saccheggið le fatti i vostri bisogni naturali, o se a loro
case e tutti costrinse a rifugiarsi vete avuto commercio con donna, fre in
paese non soggetto al suo dominio. gatevi il viso ele mani confina
polvere, Di sè poi Maometto parla nel
Co- se vi manca l'acqua. Dio è indulgente
rano come di profeta predetto dalle e misericordioso. » ( Corano IV, 46
). stesse scritture degli ebrei. Alla
sua 2.º La preghiera che si fa cinque missione trova allusioni nel Pentateuco❘ volte al giorno in casa o al tempio,
ma ( Corano VII, 156 ); e Gesù stesso
è suo precursore e rivelatore.« Gesù, fi
glio di Maria, diceva al suo popolo: O
figli di Israele ! io sono l'apostolo di
Dio a voi inviato per confermare il
Pentateuco che vi è stato dato prima
di me, e per annunciarvi la venuta di
un apostolo che verrà dopo di me, il
cui nome sarà Ahmed. E quando Gesù
faceva loro vedere dei segni evidenti,
essi dicevano : è magia manifesta >>(Co rano LXI, 6). Ahmed, (il
glorioso) è un dei nomidi Mohammed, e i
Mao mettani pretendono che Gesù n' abbia
predetta la venuta nel Paracleto di
cui parla S. Giovanni ( XVI, 17), cor ruzione dicono essi, di
Periclytos, che in lingua greca suona,
come Ahmed, il glorioso. Così,
aggiungono, l' alterazio ne della voce e la sua applicazione alla discesa dello Spirito Santo, non è altro che una prova della mala fede dei cri
stiani. 11 Corano è la continuazione
della rivelazione antica. « Prima del
Corano esisteva il libro di Mosè, dato a
guida degli uomini ed in prova della
bontà di Dio; or quello conferma questo
in lingua araba, affinchè i cattivi
siano av vertiti, e i buoni sentano la buona no vella » ( Corano XLVI, 11
). I principali precetti dell'
islamismo sono: 1.º La purificazione, la qual si ot tiene
colle abluzioni molto raccoman sempre cogli occhi rivolti alla Mecca. Solo la preghiera solenne del venerdi dev'esser fatta in comune nella moschea, imperocchè il venerdì presso i mussul mani è
giorno sacro a Dio. 3.º Il digiuno del
mese di ramazan, nel quale il fedele non
può durante il giorno cibarsi di
checchessia. 4.° L' elemosina molto
raccomandata dal Corano. Dio dice ai
credenti: >> (Corano XI, 109
). Il fatalismo e lapredestinazione
son dommi pienamente confermati in
molti passi del Corano, il quale accenna
che il bene e il male son già da Dio pre
determinati in modo invariabile. L'isla mismo ha, del resto, le sue
dispute dottrinali, i suoi casisti e la
sua teo logia. Poco dopo la morte del profeta
imussulmani si divisero in una molti tudine di sette, le prime delle
quali, quelle dei sciti ed i sunniti,
disputano ancora intorno alla
successione dei ca liffi; imperocchè i primi riconoscono in Ali il solo successore del profeta, e
gli altri vogliono che Abubeker
soltanto avesse il diritto di
succedergli. E poi chè i dottori dell' uno e dell' altro par a salvamento. Marcione. Discepolo di Cerdone. Credesi che insegnasse il suo sistema nella Persia verso la metà del secondo secolo. Adottando i principii del duali smo
orientale e volendoli applicare al
cristianesimo, credette di trovare nella
opposizione che presentavano fra loro
l'Antico e il Nuovo Testamento il segno
manifesto dellaloro intrinseca differenza. Opera del principio malvagio era l'An tico
Testamento, e del buon principio il
Nuovo. Tant' erano i Marcioniti con vinti di questo dualismo che nutrivano un grandissimo disprezzo pel Dio di Mosè, e Teodoreto narra che un mar cionita di
novant'anni, era penetrato dal più vivo
dolore ognivolta che il bisogno di
nutrirsi l'obbligava ad usare i prodotti
del Dio creatore. I discepoli di
Marcione penetrati dalla nobiltà della
loro anima che supponevano essere una
emanazione diretta del buono principio,
correvano valorosamente incontro al
martirio e alla morte, ond' essere li berati dalle catene materiali
fatte dal Dio creatore. Eusebio cita
l'esempio di un marcionita, il quale
essendo stato attaccato vivo ad un palo
col capo in giù, e con i chiodi
conficcati nelle carni, fu abbruciato a
fuoco lento, senza che ritrattasse
alcuna cosa delle sue cre denze.
Marechal(PietroSilvano).Nacque
nel 1750 a Parigi, ove esercitò l'avvo 14 MARIA VERGINE
catura. Fu poi chiamato a coprire un
posto nella biblioteca Mazarina, ma lo
perdette nel 1783 peraverpubblicato le
Litanie della provvidenza, libro che fu
giudicato sommamente irreligioso. L'an no appresso pubblicò il Libro
sfuggito al diluvio, o salmi nuovamente
scoper ti. L' almanacco degli onesti stampato
nel 1788, fu abbruciato per mano del
boia e l'autore venne condannato a tre
mesi di prigionia. Nel 1790 pubblicò :
Dio e i preti, frammento di un poema
filosofico; ott'annidopo il Lucrezio fran cese e il Culto degli uomini
senza Dio, col quale egli intendeva fin
d'allora di gettare le fondamentadi
unasocietà di uomini onesti che
praticassero il bene, ela morale
osservassero senza coazione
religiosa, Nell'anno 1800 mandò
alle stampe il Dizionario degli atei
antichi e moderni, lavoro dinongran
mole, alla compila retto specialmente aintrodurre l'indiffe renza in materia di
religione, come gli Incas furono volti a
rendere odioso il fanatismo. Nel 1797 eletto membro del Corpo legislativo, egli compose un discorso
sul libero esercizio dei culti, che non
fu letto nell'assemblea, e si trova
stampato infine alle sue memorie.
«Questo scritto, dice l' autore della
storia ecclesiastica, parla della
religione con assai rispetto, come ne
parla nella sua Metafisica e nella
Morale, libri che entrambi vera mente non sono di unuomo irreligioso, tuttochè qua e là vi si trovino iprinci pii
del Belisario. » Maria Vergine. Dei
quattro e vangeli canonici, due negano implicita mente la verginità di Maria, e
sono quelli di Marco e di Giovanni; e
due l'affermano, ma in maniera così scon
clusionata e contradditoria, che la loro
testimonianza non può essere di alcun
zione del quale fu aiutato da Lalande
che ' arrichi poi di due supplementi.❘ peso nemmeno per concludere che, vi L'autore affermava che il
deista non differisce gran che dal
cattolico romano, esi lagnava
chemoltimembri dell'Isti tutoancora andassero allamessa,emolti atei portassero la corona e recitassero il rosario. Fra gli atei più fermi Mare chal
contaval'economistaBandeau, l'ab bateArmand, Bourdin tesoriere di Fran cia morto
nel 1752, Fieville, Naigeon e d'
Holbach. Tutti gli scritti di Marechal
ap partengononecessariamente aquel perio dofilosofico del secolo XVIII, che lavoro assai, e assai coraggiosamente, non
tanto per fondare una filosofia nuova,
quanto per distruggere quelle secolari
supersti zioni contro le quali la sola rivoluzione preparata dagli enciclopedisti potè com
battere vittoriosamente.
Marmontel(Giovanni).Nacquenel
Limosino nel 1723. Chiamato aParigida
Voltaire, frequentò le sale de' filosofidei suoi tempi,con alcundei quali contrasse amicizia. Sottogli auspici di Voltaire in
venti ancora i loro autori, questo dom ma cattolico fosse già formato. È vero che Matteo e Luca parlando di Maria insegnano ch'ella aveva concepito Gesù per opera dello Spirito Santo, ma è pur vero che il primo di questi evangelisti aggiunge che Giuseppe non conobbe Maria finch' ella ebbe partorito il suo figliuol primogenito cui pose nomeGesù. Ed è chiaro che un primogenito sup pone per
lo meno un secondogenito, e che seMaria
fu vergine prima non lo potè essere poi.
D'altra parte, se Giu seppe non conobbe Maria prima ch'ella avesse partorito Gesù, per illazione si deve conchiudere che la conobbe dopo, e che l'evangelista abbia voluto sol tanto
indicare che la continenza degli sposi
durd fino alla nascita del reden tore. Che questo fosse il suo vero pen siero,
si può desumere dallo stesso e vangelista, il quale più innanzi narra, che mentre Gesù parlava ancora alle turbe >> o il sostegno dell' estensione, bisogne rebbe
che essa avesse in se stessa un'al tra estensione che la rendesse propria ad essere substratum o sostegno, e così di seguito all'infinito. Ora io vi doman do
se non è questauna cosa assurda in sè, e
nel medesimo tempo contraddito ria a ciò che mi avete testè accordato, che il substratum, o il sostegno dell'e
stensione debba essere qualche cosa di stinta dall' estensione ed ancora
che 1
l' escluda ? » Chi non vede che
cotesto sofisma si risolve infine in una
pura questione di parole ? Tutto
l'errore dell' argomen tazione sta nel supporre che il substrato o sostegno, come si voglia chiamare, sta sotto all'estensione. La
confutazione poteva correre per la
vecchia scuola, la qual supponeva che
sotto all'estensione, alla forza e agli
altri fenomeni della sostanza esisteva
un substrato sostan ziale. Oggidì nè sotto nè sopra alla materia si ammette che esista cosa al cuna.
L'estensione e la forza non stanno nella
materia, ma sono la materia, od
altrimenti sono un modo di essere della
materia. Sotto all' estensione non sta
dunque cosa alcuna novellamente estesa,
poichè l'estensione non è cosa, ma mo do di essere delle cose. Il Genovesi ha ben dimostrata tal trinsecamente da una cosa di cui è estensione; e perciò è, o modo o attri (
Metaf. par. V). L'argomentazione del
Genovesi mi par così precisa che nulla
rimanga da opporgli . Se non che,
ponendo egli nella prima parte la
questione della semplicità della
sostanza, cade in una delle sconfinate
astrazioni di Leibnitz che son, del
resto, comuni a tutti i metafisici dei
tempi andati. Ciò che sia semplice noi
non sappiamo, e questa vocenonesprime
pernoi cheunadi quel le tante idee di negazione che sì spesso si vennero confutando in questo dizio nario.
Noi conosciamo una materia com posta di parti ed estesa; e per opposi zione
imetafisici hanno voluto concepirne un'
altra, che denominarono sostanza, la
quale essendo semplice non è com posta di parti. Mail negare le proprietá della materia non è creare una sostan za
nuova, e gl' antichi atomisti ( v. A TOMISMO ) che avevan concepito
l'atomo indivisibile e inesteso, erano
pur stati alle prese colla medesima
contraddizio ne, di ammettere, cioè, una materia di cui negavano in ultimo gli attributi. Nel fatto lamateria, che in conclusione è tutto quanto esiste di sostanza, non la percepiamo altrimenti che sotto le parvenze di questi stessi attributi , e tutte le volte che noi cerchiamo col pensiero di sopprimerli, cadiamo in una
MATERIALISMO vuota astrazione.
Imperocchè la sem plicità, nel senso inteso da' metafisici, non sappiamo nemmeno approssimati vamente che
cosa sia, e il significato di quella
voce per noi rimane allo stato di una
perfetta incognita. Tutte le dispute
adunque che si son fatte e che si posson
fare sulla sempli cità della sostanza, si risolvono infine 27
argomentazioni delle scuole, si deve con cludere che alcunchè veramente
esi ste e compone l' universo, e questo che
essere la materia, l'essenza della quale
noi ignoriamo, si piuttosto conosciamo
sol per i fenomeni ond' ella a noi si fa
palese e pei quali soltanto ai nostri
sensi è dato di percepirla. Codesta ma in meri giuochi di parole,
imperocchè la sostanza non si può
concepire altri menti che estesa, e una sostanza estesa non la si può concepire altrimenti che divisibile. Voler spingere il nostro pen
siero oltre questi limiti segnati dalla
sensazione è follia, è un ricadere nella
teoria delle idee innate (v. questa voce) èun pretendere di avere idee metafisi che
anteriori alla sensazione. Tal fu invero
l'eccesso in cui cadde Leibnitz quando
espose quel suo sistema delle monadi
vuote, o sostanze senza estensione di
che voleva composti tutti i corpi, le
quali nessuno è mai riescito aconcepire,
nè concepirà mai. Non è a dirsi in
quanti errori e in quante cisquiglie la
supposta e non mai compresa semplicità
della sostanza abbia tratto i metafisici
d'altri tempi. Wolf, per esempio, chiama
la materia un fe nomeno sostanziato. La materia, dic'egli, è l'esteso dotato della forza d'
inerzia, elamateria si mostra a noi come
un soggetto che dura e che è
modificabile, e perciò come unasostanza;
ma essendo la sostanza semplice,
l'estensione è un fenomeno, e perciò non
può dirsi che la materia sia una
sostanza, e per tal ragione puòchiamarsi
fenomeno sostan ziato ( Cosmol. § 300).
In questa maniera, grazie alle in venzioni de' metafisici, tanto larghi
di parole nuoveper supplire al difetto
delle loro idee, non avremo la sola
sostanza oil solo fenomeno, ma anche il
feno meno sostanziato, ossia qualche cosache
non essendo nè sostanza, nè fenomeno,
dovrà naturalmente relegarsi nel regno
delle chimere. Ripeto: a ben
stringere tutte le teria, comunque si
voglia chiamare e intendere,è poi
identica a quella che i metafisici
dicono sostanza, sol ch' essa, nel
concettonostro, mai non si disgiun ge, nè può disgiungersi, dai fenomeni con cui ci si palesa. Tostochè noi fac ciamo
astrazione di questi fenomeni, vale a
dire la vogliamo concepire se paratamente dalla forza dall' estensio ne, da!
movimento, dal colore, dal sa pore, dal suono e così via, essa scom pare per
noi, diviene una idea priva di senso,
inconcepibile e assurda, impe rocchè sia appunto ilcomplesso di questi fenomeni che per noi costituisce tutto quanto ci è dato d' intendere della ma
teria. All' articolo CREAZIONE fu già
dimo strata l'impossibilità della creazione
della materia dal nulla, e la quasi u nanimità degli antichi filosofi
nell' atte stare questo principio. Del dinamismo poi che nega alla materia l'esistenza e riconosce i soli centri di movimento
senza sostanza che si muova, fu detto
negli articoli DINAMISMO E
CATTANEO. Materialismo.
Sistemafilosofico il quale considera la
materia come fon-' damento e substrato
d'ogni esistenza. Non credo che del
materialismo possa darsi definizione più
esatta di questa, avvegnachè cotesta
filosofia sia per se stessa così chiara
e palese da non ri chiedere molte parole per essere defi nita, sendo le cose
chiare da tutti su bito e chiaramente intese. Invero, tutto il domma materialista si compendia in queste sole parole: affermare che esiste
la materia, e che lamateria è tutto
quanto esiste di sostanziale. Tutto il resto
nella dottrinamaterialista non è che
accessorio; si hanno negazioni ma non
altre affer 28 MATERIALISMO mazioni. Le negazioni scendono natu ralmente
dalla affermazione fondamen tale, ne sono, per così dire, la diretta conseguenza, ma non tutti, per essere materialisti sono obbligati ad
intenderle ad un modo. Vedremo in seguito quali siano queste negazioni. Occupiamoci innanzi tutto dell' affermazione. Che cosa sia la materia e che in tenda il
materialismo di esprimere con questa
voce, fu già detto al precedente
articolo Materia e a quello Forza, che
non si possono dispensare di leggere
coloro che ben vogliono intendere la
teoria materialista. Materia e forza e sprimono pel materialista tutto
quanto esiste di sostanziale e di
fenomenico; sol ch' egli intende la
forza quale un fenomeno e non una
sostanza, unmodo di essere proprio della
materiacome la forma, l'estensione, il
colore ecc. di è che nemmeno Dio
potrebbe esi stere fuorchè materiale, stando cioè en tro la cerchia di quell'
elemento che solo possiede l'esistenza.
Questa con seguenza l' avevano già preveduta gli antichi, e Descartes stesso l'annuncia tuttochè s' ingegni di respingerla. Al lorchè
noi concepiamo la sostanza, dice egli,
concepiamo solamente una cosa che esiste
inunamaniera, in cuinon habiso gno se non di se stessaper esistere. Vi può essere dell' oscurità riguardo al
l'espressione: non aver bisogno che di
se stessa per esistere; poichè propria mente parlando non vi è se non il
solo Dio che sia tale, e non vi è alcuna
co sa creata, la quale possa esistere un
solo momento senza la sua potenza ».
Cosi, dopo avere sentita la necessità di
porre per base dell' esistenza della ma teria la sua indipendenza daogni
altro ente, Descartes, non vinto dal
ragiona Da questa premessa fondamentale | mento, ma pieghevole ai pregiudizi co
scendono tutte le negazioni del mate rialismo, le quali quà e là furono
giá dimostrate nei vari articoli di
questo muni, s'inchina al sofisma con
che que sti gli dimostrano che la materia esi ste perchè Dio la sostiene. Dizionario. E primieramente, se la ma teria,
di tutto quanto esista è il sub strato e il fondamento, l'anima e lo spirito (v. ANIMA) non possono esistere se non materiali; ma un'anima o uno spirito materiali non sarebbero più nè anima nè spirito, ma materia, d'onde si vede che l' ammissione dellamateria come fondamento unico dell' esistenza, ripugna coll'ammissione di una esisten za
immateriale. Quest'esistenza sarebbe, in
sostanza, nè più nè meno che l'atoто
vuoto, ossia quella sostanza semplice,
indivisibile che la metafisica è andata
vanamente imaginando senza mai riu scire a concepirla. (v.
MATERIA). Se la materia è il fondamento
d'ogni esistenza, nessuna esistenza può
essere anteriore ad essa e fuori di
essa. Nem meno può essere stata creata, poichè
fuori di essa nessuna cosa potendo esi stere, ' immateriale, ossia il
nulla non poteva creare la materia e
darle una qualità che esso stesso non
aveva. Quin Ma la definizione era data e revo carsi non poteva; e Spinozache
intravi de tutto il profitto che ne poteva trarre, l' usò largamente. Di maniera che, po sto il
principio che per risolvere il pro blema generatore degli esseri bisogna risalire all'origine stessa delle cose e partire da alcune prime nozioni chiare chenon ne suppongono altre, egli pose come nozione primitiva quelladella so stanza.
E come Descartes aveva detto, così
Spinoza ripetè che la sostanza per
esistere non aveva bisogno che di se
stessa. E dappoichè ciò che esiste per
se stesso non ripete da altri la sua e sistenza, così conchiuse che la
sostanza èeterna e come nessuna molecola
nuova nasce nell' universo, così nessuna
si di strugge. La materia si trasforma per le
sole forze che le sono proprie, nè mai
se ne stà in riposo. (v. MATERIA).
Che il concetto dell' eternità della
materia escluda l'esistenza e l'eternità
di Dio, non pare che tutti l'intendes MATERIALISMO sero. Per lo meno l'antico dualismo ammetteva la coternità di due principii (V. DUALISMO), e molti anche ne' tempi moderni si mantennero in tali idee. Tal fu Voltaire, il quale ammettendo la ve rità
dell' antico assioma de nihilo nihil
fit, riconosceva ancora l'esistenza di
Dio, non creatore, ma regolatore della
materia. Tale credenza, del resto, fu
anche degli ebrei, i quali ammettevano
che Dio aveva ordinata, ma nou creata
la materia ( v. CREAZIONE). Si osservi
bene però che nel solo concetto dell'e ternità della materia non è
contenuta l'esclusione dell' esistenza
di Dio. Que st' esclusione invece appare evidente nel principio fondamentale del materia lismo
moderno: se la materia è fonda mento d' ogni esistenza, Dio non po 29 di esprimere il concetto che se una e ternità
esiste, questa conviene perfetta mente allamateria la quale, colle stes se
leggi del pensiero, ci si dimostra
essere eterna e per l' infinita divisibilità e per l'infinita estensione. (v.
INFINITO E DIVISIBILITA'). AncheDioper esistere dovrebbe essere sostanziale, sarebbe dunqueunasostanza. Da qui il panteismo di Spinoza il quale non differisce dal materialismo che per una mera questione di parole. L' uno e l'altro sono, infatti, disposti ad ammettere che un' unica sostanza è diffusa nell'u
trebbe esistere senz' essere materiale o
senz' essere una funzione; ora l'una e
l'altra di queste idee ripugnano col
concetto che noi abbiamo dell'esisten za di Dio. Dicendo che la materia è eterna il materialismo però non insegna un dom ma
assoluto, nè pur pretende di a vere
risolto il problema dell' eternità. Esso
riconosce anzi e sostiene che noi non
abbiamo, nè possiamo avereil concetto di
ciò ch'è eterno, echel'eternitàper l'uomo rappresenta una idea negativa piuttosto che positiva ( v. ETERNITA' E IDEE IN NATE).
Ma in un modo o nell' altro, tutte le
volte che noi pensiamo ai cor pi mutabili e perituri possiamo eziandio pensare alla negazione di questi carat teri
transitori, e immaginarci un corpo, una
sostanza che non perisce. Questa è la
condizione di eternità che lo spiri tualismo afferma nello spirito senza in
tenderla, e che il materialismo rimet te nella materia senza pretendere
per questo d' intenderla meglio del suo
av versario. Ma non fraintendiamo que sta sua affermazione come molti affet
tatamente sogliono fare: affermando l'e ternità della materiail materialismo
non intende menomamente di eccedere i li
niverso, e che ogni cosa che abbia esi stenza è parte di questa immensa e u
niversale unità di sostanza. Che il primo
poi chiami Dio questa sostanza e il
secondo materia, la filosofianon ciha che veder nulla, ma sì la fisiologia, la
quale dirà se aun essere così composto
di parti, omeglio a quest' universalità
degli es seri esistenti a cui mal si può attribuire un pensiero e una individualitàpropria, convenga il nome di Dio. Premiando 0 castigando le sue creature questo Dio premierebbe o punirebbe se stesso. Io confesso che non ho mai saputo concepire il panteismo altrimenti che come un materialismo svisato, sotto il quale ad ogni tratto fan capolino tutte le premessedi questo sistema. Fra l'una e l'altra dottrina vi è differenza di
voci, non d'idee, e qual de' due
applichi le parole nel senso proprio o
nel traslato è facile a vedersi. Dalla premessa fondamentale del ma
terialismo, che la materia è base e fon damento d' ogni esistenza, scende na
naturalmente la conseguenza ch' essa è
increata. Imperocchè ciò che è fonda mento dell' esistenza ha già in se
stesso la sua ragion d'essere, nè può
riceverla da altri. La materia è dunque
eterna. Riconoscendo che la materia è de
terminata da leggi, che gli effetti suc cedono ognora in forza di cause prece
denti, il materialismo è stato condotto
anegare illibero arbitrio, che moltissimi miti della nostra intelligenza, ma solo í
d'altrondehannonegato senz'esseremate 30
MATRIMONIO rialisti (vedi LIBERO
ARBITRIO). Anche in questa negazione il
materialismo non ha creato un domma
nuovo; ha sem plicemente accettate le premesse che già erano state poste da altri sistemi perfin teologici ( Vedi PREDESTINAZIONE e GRAZIA) ed ha obbedito ad un rigo roso bisogno
della logica, impotente a spiegare la
possibilità di effetti anco vo litivi che potessero verificarsi senza cau. se determinanti, senza la ragione del loro proprio essere. Togliendo alla morale ogni carattere assoluto, la filosofia materialista non poneva una semplice negazione al posto dell' affermazione de' suoi avversari,
ma faceva ragione ai risultati dell'
antro pologia, alle relazioni dei viaggiatori,
alla storia stessa dello spirito umano,
che concordemente ci dimostrano essere
la morale un risultato variabile del cli ma, del tempo, dei costumi edei
varibi sogni della societá secondo il suo grado
di coltura e la fisica costituzione del l'uomo. (Vedi MORALE). Ma, come gia dissi, tutte queste ne gazioni
costituiscono la parte accessoria del
materialismo scientifico, e le dissi denze sull' uno o sull' altro punto pos
sono stare nel suo seno, secondo le va rie maniere che ai filosofi di
questa scuola piaccia d' interpretare i
fenomeni e di dedurne le
conseguenze. Il vero e fondamentale
carattere che distingue la filosofia
materialista dalle altre, è sempre
l'affermazione di 1 una sostanza unica esistente veramente nell' universo. E parrà strano che su questo punto sul quale tutte le scuole, eccezion fatta per l'idealista, conven gono,
possano nascere tante controver sie e tante recriminazioni. Imperocchè, aben considerare le cose, se tutti am mettono
che alcun che esiste veramente ed é sempre
esistito, tutti dovrebbero del pari
riconoscere che il chiamare questa
entità col nome di spirite, Dio,
sostanza, quiddità, atomo o materia, può
essere questione filologica ma non filo sofica, e purchè si convenga
intorno agli attributi di questo quid,
tutto il resto si riduce ad una mera
disputa di parole. Il materialismo, più modesto degli altri sistemi, ha trovato il nome di ma teria
bell' e fatto, e credette inutile van to il creare apposta voci nuove per e
sprimere idee vecchie. Matrimonio. Uno
dei sette sa cramenti della Chiesa cattolica. Sotto la legge di Mosè la poligamia non solo era permessa, ma poteva anche consi derarsi
come di divina instituzione. La Genesi
ci mostra Dio stesso sanzionante la
poligamia dei santi patriarchi. Il ma trimonio indissolubile e contratto
tra un solo uomo e una sol donna fu sta
bilito da Gesù. Il quale insegnò ch' egli
era venuto, non per annullare, ma per
confermare l'antica legge; ed infatti
nulla mutò degli ordinamenti religiosi
del giudaismo; ma nel matrimonio in trodusse una vera innovazione. Ciò
che Dio ha congiunto, diss' egli alludendo all' inviolabilità matrimoniale, l'uomo non separi.
Certo è che introducendo la mono gamia, Gesù ha seguito un desiderio già sanzionato dalla morale del suo tempo. Ed'aver tolti li abusi della poligamia la filosofia modernanon può che saper gli
grado. Ma fu errore grave quello d'aver
tolto il divorzio, rimedio rara mente funesto, e sempre vantaggioso quando proscioglie da vincoli, che spes so la
stessa loro indissolubilità rende
insoffribili. Se lo stato
matrimoniale sia prefe ribile alla verginità Gesù non disse, ed ebbe torto. Ma il cristianesimo non do veva
rimanere entro i modesti confini che gli
aveva tracciati il maestro. Uo mini zelanti e apostoli esaltati dovevano ben presto eccedere nell' insegnamento le dottrine stesse di Gesù. Giacchè s'e gli
aveva corretta la poligamia e ordi nata la monogamia ond' attutire i sensi e rintuzzare la voluttà, perchè non sarebbe stata util cosa il vietare ad
drittura ogni unione carnale e proclamare MATRIMOΝΙΟ 31 la
verginita siccome uno stato di per- getta all' uomo ! E l'uomo ebbe il do
fezione ? Primo apronunciarsi in questo
senso è s. Paolo; e dopo di lui tutti o
quasi tutti i padri trovarono nel loro
santo delirio parole di amaro
rimprovero contro l'amore che invade e
penetra tutta la natura (v. AMORE). Gli stessi eretici de' primi secoli partecipano a cotesto sdegnoso diprezzo de'vincoli imposti dalla natura. Trattasi di soffocare la concupiscenza della car ne,
di allontanare l'uomo dalla donna per la
quale, come scriveva Lattanzio, il
peccato era entrato nel mondo. Simon
Mago, Basilide, Saturnino, Cerdone, Car pocrate, i gnostici, gli
encratiti, Tazia no , i Marcioniti, i Manichei, alcuni Origenisti, gli Adamiti e i Valesiani riprovarono il matrimonio, non già per chè
ammettessero siccome superfluo il minio
sulla donna. La nascita di Gesù bastò
almeno ariabilitare la donna per cui
opera era stato concepito il redento re ? Ma no, poichè il cristianesimo , fedele alla maledizione, non vuole l'u nione
dei sessi; fa concepire Maria fuori del
matrimonio, per opera dello Spirito
Santo: la sua maternità è una violazione
della natura. Il cattolicesimo va
ancora più in nanzi: esso insegna ormai che lastessa nascita di Maria fa eccezione a tutte le leggidi natura, imperocchè ella non nacque come nascono le altre femmine: ella fu immacolata. Disputano i cattolici e gli accatolici intorno al matrimonio, al quale gli ul timi
negano l'efficacia del sacramento. Tutti
però hanno la benedizione nuziale,
obbligatoria pei primi, volontaria per gli vincolo religioso per l'unione dei sessi,❘ altri. Ondechè se ai protestanti può ma perchè considéravano quest' unione come sostanzialmente malvagia. Invero nel dualismo prevalente in quasi tutte le eresie dei primi secoli, il malvagio principio accagionavasi di tutti i mali, eposciachè la vita stessa consideravasi comeunmale, a lui attribuivasi la pro
creazione dei corpi. Onde asserivasiche
la generazione dei figliuoli avvenivaper
suggestione del cattivo principio, ed
altro non giovava se non che ad esten dere il suo dominio. Combattere la
ge nerazione valeva dunque quanto com battere l'impero del male, e Origene che da se stesso recidesi le parti geni tali,
e i Valesiani più feroci ancora, che sè
e gli altri forzatamente rendevano
eunuchi facevano opera, nel senso loro,
sovranamente benefica. Questo
delirio durò lungamente; ma come ogni
cosa contro natura, dovette pure avere
il suo fine. L'unione dei sessi,
bestemmiata dapprima, riconosciu ta o tollerata poi nel matrimonio, ri ceveva
però nel cristianesimo la con danna originale. Eva era caduta per la concupiscenza, e la maledizione era
stata seagliata contro di lei: Tu sarai
sog parer cosa lecita il matrimonio anche
puramente civile, pei cattolici quest' u nione divien concubinato, ed
ove non intervengano il ministro e la
materia del sacramento, unione dei sessi
per loro, lecitamente non si può dare.
E l'unione non è comunanza di
sentimenti fondata sui principii della
dignità per sonale e della civile eguaglianza, poichè laChiesa, secondo la maledizione scaglia tada
Dio sul capo di Eva, vuol ladonna
sottomessa all'uomo, e col matrimonio
non ledauncompagno, maun padrone.
Perciò essa dichiara, per la bocca di
uno de' suoi più eminenti casisti, che
nemmeno i mali trattamenti possono
essere causa del divorzio. « Le batti ture, dice S. Alfonso de Liguori,
sono una causa di divorzio ? Gli uni
affer mano, gli altri negano. Il maggior nu mero insegna esser permesso al
marito di battere la moglie, purchè nol
faccia frequentemente, per cagion
leggera e con collera, ma raramente e
mediocre mente (mediocriter). D'onde l' opinione probabile di Sanchez che insegna la donnanon poter abbandonare il marito che la batte, se i colpi son leggeri, .. 32
MATRIMONIO quand' anche fosse
colpita senza motivo, a meno che, secondo
altri, non sia di condizione nobile
». Enondimeno gl' imperatori pagani avevano notevolmente migliorata la con
dizione della donna, e il primo Anto nino aveva tolto al marito il diritto
di accusare la moglie d'adulterio
quand'e gli stesso non fosse stato irriprovevole. Dopo dieciotto secoli, la legislazione cri
stiana non è ancor giunta a questo
punto! Non già, dice uno
scrittore moder no, che la donna manchi d'ogni diritto sul padrone che la batte. Essa, per e sempio,
può involargli i cattivi libri, o un po'
di danaro per fare l' elemosina; può
abbandonarlo se cessa di essere
cattolico, o se la sollecita nell'eresia, e la carità stessa neppur l'obbliga a ri
prenderlo quand'egli si converte; ma
essa deve lasciarsi battere se è buon
credente, e cedere ai suoi desideri quan d' anche sia lebbroso, e il
figlio ch'essa potrebbe concepire
corresse pericolo di morte. ( Liguori
Teologia morale 'T. VII ). Il diritto canonico condanna esplici tamente
il matrimonio tra i cattolici e gli
eretici, imperocchè l' eresia, per comun
consenso dei teologi, è uno degli
impedimenti a ben ricevere il sacramen to. La legge civile in Francia,
ancora nel secolo XVII , sanzionava
siffatto principio, come ne fa prova un
editto di Luigi XIV del mese di
novembre 1680, così concepito : « Luigi
ecc., I canoni dei concili avendo
condannato il matrimonio fra gli eretici
e i cattolici come un pubblico scandalo,
e una pro fanazione del sacramento, noi abbiamo
creduto tanto più necessario d'impedirli
in avvenire, in quanto abbiamo ricono sciuto che la tolleranza di questi
ma trimoni espone i cattolicia una tentazione
continua per la loro perversione ecc.
Laonde vogliamo che per l'avvenire i
nostri sudditi cattolici non possano ,
sotto qualsiasi pretesto, contrarre ma trimonio con quelli della
religione pre tesa riformata, dichiarando tali matri moni invalidi , e i figli
nascituri ille gittimi ». Un decreto del
20 dicembre 1599 pubblicato nella Franca
Contea dall'Ar ciducaAlbertoe dalla sua sposa Isabella, avea anche prima d' allora vietati i matrimoni tra cattolici ed eretici, pena la confisca del corpo e dei beni (An ciennes
ordonnances de la Franche Comte lib. V. tit. XVIII). Per lo meno prima del 1724 era lecito ai protestanti francesi di maritarsi fra di loro; ma colla dichiarazione del 14 maggio 1724 minutata dal Cardinal di Fleury, siffatta concessione parve li
cenza, e a tutti fu ordinato coll'art. 15
di tal legge che le « forme prescritte
dai canoni fossero osservate nei matri moni, tanto dei nuovi convert.ti
quanto di tutti gli altri sudditi del re
». E perchè quest' ultima frase
comprendeva e cattolici e protestanti,
non solo i giudici civili si rifiutarono
di presiedere ai matrimoni fra i
protestanti, ma an cora furono dichiarati invalidi quelli contratti sotto leconcessioni precedenti eche non fossero rivestiti delle forme canoniche.
La rivoluzione francese tolse siffatte
brutture colla instituzione del matrimo nio civile. E fu allora che la
Chiesa, congiurando contro le nuove
libertà, e non volendo riconoscere la
potestà civile, nė pure quella dei preti
che avevano giurato fedeltà alla
costituzione, dichia rò validi i matrimoni dei cattolici fatti fuori della legge civile e senza il mini
stero dei preti giurati, purchè contratti
alla presenza di due testimoni. « Questa
sorta di matrimoni, scriveva il cardinale di Zelada al vescovo di Luçon (Vatica no 28
maggio 1793) quantunque con tratti senza la presenza del curato, non saranno perciò men validi e leciti, come fu più volte dichiarato dalla Congrega zione
interprete del Conciliodi Trento.>>>
Più tardi se gli sposi troveranno l'oc casione di farsi benedire da un
prete non giurato, faranuo cosa buona,
ma MAUPERTUIS rare cha la benedizione
non tocca in nulla la validità del
matrimonio ». (Ri sposta della Congregazione incaricata degli affari di Francia 22 aprile1795). 33
questo sacerdote avrà cura di dichia- cattolica agli eretici, fu
riconosciuto nella riforma dalla Chiesa
anglicana e dal luteranismo (v.
ANGLICANISMO e LUTERO). Perciò che
riguarda il matrimonio dei preti,
concesso nei primi secoli e nega to poi, si consulti l' articolo CELIBATO La Chiesa cattolica non soffre l'in tervento
della potestà civile nel matri monio, nè concede che gli eretici con traggano
matrimonio coi cattolici, ma autorizza
il divorzio degli sposi eretici tutte le
volte che un d'essi si converta al
cattolicismo. Così essa divide per
regnare, e molti esempi lo provano irre cusabilmente. Ne cito uno fra i
molti, attestato dal seguente
documento: «Emmanuele, per la misericordia di Dio e la grazia dalla Santa sede apostolica, vescovo di S. Sebastiano, o Rio-Janeiro.
! Al papa profugo concedeva con
un ap posito articolo della costituzione tutte
le guarentigie necessarie, ove fosse tor nato in Roma, per esercitarvi
il potere L'8 settembre 1847,poco dopo
l'ele zione di Pio IX, Mazzini mandavagli da
Londra una lettera pereccitarlo, come
già aveva fatto con Carlo Alberto, a
lasciar libera la circolazione delle idee eapropugnare il principio dell' unitá nazionale. « Noi, scriveva Mazzini, vi faremo sorgere una nazione intorno, al cui sviluppo libero, popolare, voi, vivendo,presiederete. Noi fonderemo un governo unico in Europa che distrug gerá
l'assurdo divorzio fra il temporale e lo
spirituale; e nel quale voi sarete
scelto a rappresentare il principio del
quale gli uomini scelti a rappresentare
la nazione faranno le applicazioni.... »
La separazione fra il temporale e
lo spirituale era dunque daMazzini di chiarata assurda. Fedele al suo
motto La parte più spiccata della
figura di Mazzini, emerge appunto per
la missione religiosa ch'egli si era
impo sta (della quale soltanto dobbiamo qui
occuparci); e i principii suoi, fedel mente applicati, più presto ci
avrebbero condotti alla teocrazia che
alla libertà. Eccone alcuni saggi. Riti e Simboli « Cristo venne e can cozzo tra loro, e che pur sono e sa > Forse sfiduciato ne suoi arditi, quan tunque
generosi, tentativi tendenti ad un fine
che era per lui fonte perenne di vita e
stimolo fortissimo all'azione, egli
sentiva ne'momenti di scoramento, ilbi sogno di sfogare il cordoglio e
d'impu tare la colpa dell'insuccesso ad unpar tito già troppo inoltrato nella
lotta contro i pregiudizi dominanti, e
troppo nemico di quanti idealismi e
misticismi offuscarono l'intelletto
umano, perchè ai più non paresse opera
buona e azion di merito il condannarlo
comechessia, anche nelle cose ov' esso
meno poteva per l' incapacità stessa di
cui l' aveva accusato. Il materialismo
fu la vittima espiatoria da lui scelta,
e come giàgli antichi pagani su di essa
scagliavano le loro maledizioni, per
farle portare sotto il coltello del
sacrificatore tutto il peso delle colpe
dagli uomini com messe, ma da essa soltanto espiate; così egli sul capo del materialismo a veva
rinversato la colpa d' ogni insu cesso de' tentativi da lui fatti per l'e
mancipazione politica. Fin dal giorno in
cuipubblicando i cenni storici della sua
vita, iogli espo neva con franchezza eguale a quella d'oggi, i motivi che mi avevano consi 40 MAZZINI
gliato a sopprimere la sua formola
«Dio e Popolo > laqualeposta a san zione di governo, io considerava e
con sidero come contraria ai principii della
separazione della Chiesa dallo Stato e
alla libertà di coscienza, fra l'altre
cose egli mi scriveva: > Egli
credeva nel continuo rivelarsi di Dio
attraverso la Vita collettiva dell' U manità. Dio, diceva, s' incarica peren
nementenei grandifatti che manifestano
la vita universale (Dal Conc. a Dio pag.
22). Quidunquelarivelazione èpermanen te e progressiva, ma nulla infatti
rivela fuordiquanto nel sistema de'
materialisti ègiàconcesso e preveduto.
L'opposizio ne fra ledue scuole non cambianatura: noi dicevamo chelalegge morale, nata nel senso dell'umanità per la necessità stessa de' suoi bisogni progressivi, si va svolgendo in ragione dei tempi, dei costumi e della civiltà; egli traspor tava il
principio di questo progresso fuori di
noi, in un punto incognito dello spazio,
d'onde esso emana peren nemente ma con varia efficacia, e s'in carna in noi per
mezzo di un processo che nè l'analisi,
nè la sintesi non ci hanno mai scoverto.
Ma come nel no stro sistema vogliamo riservato all'uo mo il merito dellesue
opere, così su di lui ricade la
responsabilità delle colpe e degli
errori che momentaneamente fermarono o
fecero retrocedere il pro gresso dell'umanità. Invece la perenne rivelazione di Mazzini, la quale in so stanza
non è altro che una copia adul terata del progresso,storico,ha questo do di
maggiormente assurdo ogni altra, ch'essa
toglie alsuo Dio ogni carattere
assoluto, lo fa procedere per le sue vie
emanifestarsi per fassi irregolari, con
modo di filosofarenon cape nella testa.
Noi procediamo col metodo per scoprire ❘ incarnazioni talora progressive, tal fiata il fine, non possiamo a mmettere un fine apriori, anteriore ad ogni esperienza, regredienti; ci additainfineun Ente incer to
di sè che va esplorando i tempi e erivelatoci
non si saprebbe come eda ❘ le
idee, nè sa raggiungereil fine senza
chi. In conclusione, idue sistemi dista evitare le dubbiezze e le
contraddizioni no di poco; l' essenziale
differenza sta nel modo di stabilire e
condurre l'esa me, sta nel sapere se s' incomincerà a costruire l'edificio dal tetto o dalla base!
Mabasti per il materialismo. Vediamo
ora se questo intimo sentimento, questa
sintesi dell'anima ha almeno a Mazzini
del Dio mosaico. Questo Dio imperfetto
e capriccioso, harivelato la barbarie in
Australia, la civiltà inEuropa, la scienza all' antico Egitto, la superstizione e l'in
famia ai cattolici del medio evo. Tutti
quosti momenti storici che, nel sistema
mazziniano, sono manifestazioni di Dio,
non possono tutti ad un modo essere MAZZINI 43
progredienti; nè tutti possono derivare | lutava e gli sorrideva
dalungi: esso at dalla incarnazione
nell' umanità di quel medesimo essere
che esso dice necessa riamente identico al Vero e al Giusto. Ecco dunque Mazzini di fronte al dua lismo
che rimproverava a'vescovi catto lici del concilio, ma che fatalmente la logica doveva consigliare a lui, come già consigliò a Zoroastro, a Manete, a Saturnino. Questi erano i primi effetti della sublime sintesi chevuole emanci
parsidall'analisi. Astraendo da'fatti par ticolari e dalle leggi di natura che
ge nerano edirigono il morale svolgimento
dell'umanità, e che a seconda de' casi,
delle circostanze, del clima, della ferti lità del suolo la sospingono
per questa o quella via, essa vuole
riassumere in unprincipio solo fuor
dell'universo tutti i fenomeni speciali
che qui fra noi e dentro di noi si
producono, ed incar nare la collettività degli esseri umani in un individuo solo, causa prima e u nica
d'ogni fenomeno morale sorta d'
antropomorfismo che volendo fog giarsi un Dio impersonale, non giunge amiglior parto che di darci una ima gine
sbiadita di quanto è, opera o pensa l'
Umanità! Veramente non ci voleva tanto
per convincere i materialisti che la
sintesi non crea idee nuove, ma co pia, congiunge, armonizza o deforma i fenomeni speciali rivelati dall'
analisi, secondo che più o men bene su
questa si appoggia. Ondechè
allontanandosi dall' analisi Mazzini
aveva creduto di foggiarsi un Dio nuovo,
ma in verità non aveva raggiunto altro
scopo che quello di trasportare tutti li
attributi dell'umanità nella parola Dio.
E sicco me questi attributi sono buoni e cat tivi, così egli non aveva evitato
l'eter no scogliodi tutti i rivelatori: o di am mettere il Bene e il Male
derivanti dallo stesso principio (quindi
l' imperfezione in Dio stesso) o di
creare un altro prin cipio d'onde emani ogniMale, come da Dio neviene ogni Bene. Mazzini aveva voluto respingere il Diavolo, ma lo spirito del Male lo sa tende
il posto che gli spetta nell'incom pleto sistema mazziniano, e vivrà si curo di
sè e fidente nel suo trionfo, fino a quando
vi saranno religioni o filosofie, che
vorranno far derivare il Bene o il Male
da uno stesso eassoluto principio. Rispondendo a queste obbiezioni un anno dopo (1870)Mazzini inuno scritto sulla intolleranza e l'indifferenza,
cost spiegava il suo concetto della
rivela zione di Dio nell'umanità: « Noi non
crediamo nella rivelazione diretta, imme diata, in un tempodeterminato,
da Dio all'uomo. Crediamo nella
rivelazione continua dai primi giorni
dell'umanità fino a noi, per opera delle
tendenze e delle facoltà ingenite in noi
quando si sostanziano in armonia
nell'intelletto e nella virtù ». Con
queste parole non negava egli
implicitamente l'esistenza di unDio
immutabile? Non toglieva alla morale il
carattere dell' immutabilitá, solo
imperativo morale, per cui tutti i
deisti che vissero finora credettero ne cessaria la credenza in Dio? Non
ab bandonava cost la morale in balla del
progresso, che è quanto dire dell' uma nita? Alla rivelazione non
sostituiva la storia, il fatto, pietra
angolare del me todo materialista; e al posto di Dionon metteva l' umanità? Quella che egli di ceva
rivelazione continua, non è forse il
pensiero dell'umanitá che perpetua mente lavora e si svolge, e conquista nuovi veri ? Or quest' è teoria affatto materialista, e checchè dicano in con trario
i mazziniani, civuol poco a ca pire che Iddio compie una funzione af fatto inutile
nel loro sistema teosofico; non è come
nei miti religiosi il rivela tore di verità assolute, eterne ed im mutabili,
chè anzi nasce, cresce e si svi luppa coll'umanitá e ha tante leggi e tanti comandamenti quante sono le ne cessità
e i bisogni che si manifestano nelle
varie età del mondo. Mazzini credeva
nella continuitd della vita negli
angeli: che sono l'ani 44 MAZZINI ma dei giusti che vissero nella fede e re
misticismi nuovi, quando la dimenti morirono nella speranza, nell' angelo cata
origine li fa porre sugli altari.
custode, anima della creatura che piú | Certo, questa conseguenza non
sgomen santamente ci amò, nella serie infinita
di reincarnazioni dell' anima di vita in
vita, di mondo in mondo, e finalmente
nella trasformazione del corpo, che era
per lui lo strumento dato al lavoro da
compiersi (Dal Conc. a Dio pag. 24-25).
Ora tutte queste idee cardinali della
No; non invitate a concordia me:
rivolgetevi altrove ». Mazzini
diceva di non aver tesori, eserciti,
carceri, ordinamento governati vo per far che la sua formola trionfas se e
anche se li avesse avuti credeva di non
aver dato in tutto il suo passato
diritto ad alcuno di sospettarlo capace
d'usarne. Nonpertanto bisognapur con fessare che quel sospetto non era
poi affatto infondato. Da ben dieci anni
si insisteva presso di lui, o con
lettere o « con la stampa, affine di indurlo a fare una consimiledichiarazione, e pochi me si
innanzi io gli scriveva queste parole:
Non si tratta di render grazia ma
giustizia; e il far chiaramente intendere ai vostri amici che la formola Dio e Popolo, è regola di coscienza che vuol essere accettata liberamente, non im posta
come principio di governo, nè consegnata
nella costituzione, è dovere a,cui, se
siete tollerante, non potete sottrarvi.
» Allora Mazzini non rispose, e secon do
il suo costume , rispose indiretta mente poi con le parole or riferite. Ma se almeno dopo tanto ritardo la sua dichiarazione avesse soddisfatte tutte
le esigenze della libertà, me ne sarei
con a solato. Ma no; egli ritoglieva da
una parte quello che dall' altra
concedeva. Non voleva imporre colla forza
la sua formola, ma lasciava però
chiaramente intendere ch'egli la voleva
inalzata principio di governo. Ora, una
afferma zione ufficiale, checcè si dica in contra rio, implica obbligazione.
Credo che Mazzini fosse tale da tenere
la parola e >> E veramente l'oblazione sola, oltre l'e
levazione, era stata levata, perchè, di cevasi, la Chiesa cattolica le
attribuisce il merito di rimettere i
peccati per la semplice offerta, senza
esservi bisogno nè di recarvi la fede,
nè alcun movi mento buono del cuore. Poco differisce anche la messa anglicana, la quale se ne togli il nome cambiato , la transu
stanziazione negata, e le orazioni pei
morti soppresse, ha conservato nella
comunione, il prefazio, la consacrazione
e altre parti fondamentali del canone
cattolico. Metafisica. La scienza
che tratta dei primi principi, delle
idee universali, e delle operazioni
dello spirito. È defi nizione cotesta generalmente accettata, e della poca stabilità di essa si può argomentare della pochissima solidità e delle immense pretese di questa scien za.
Gl'idealisti moderni ricorrono spesso
alla metafisica per spiegare in qualche
maniera i fantasmi della loro immagi nazione; e Gioberti che tanto si
com piaceva di correre i campi del pensiero
per scoprirvi nuove forme, creare pa role nuove e definirle , assimila
ad drittura la metafisica al soprannaturale.
Non pare però che nei tempi anti 1
chi la metafisica fosse scienza così in determinata, e se guardiamo alle
origini di questa voce, dobbiamo anzi
conclu dere ch'essa esprimeva meno assai di
quanto vogliono ch'esprima certi filosofi moderni. Aristotile aveva scritti molti trattati su quasi tutti i rami dello sci
METAFISICA bile, ma nonavevapensato a
riunirli in classi e a dare un titolo a
queste classi, che abbracciasse la
generalità delle cose dimostrate. Fu
questo un lavoro che fecero i suoi
commentatori, eprincipal menteAlessandroAfrodisio,il quale delle opere aristoteliche fece due grandi di
visioni: alla prima riferi le fisiche; ma
dovendo poi dare un nome all' altra
parte, non trovò di meglio che intito larla metafisica, cioè dopo la
fisica. 61 nessuno intende. D'altronde una scienza che si occupa delle cose sopranaturali non è scienza, mateologia, e i suoi cul tori
meglio chefilosofi sidirebbero teo logi.
Dall' inutilità della metafisica sono
insigne monumento la vanità de' suoi
Altri, per verità, voglion dare a
questa voce una diversa etimologia, e
il prof. Martini così ragiona: Μετα' è
una proposizione che ha vari signifi cati: ora esprime dopo, come si è
testé avvertito; ma altre volte esprime
oltre ossia indica passaggio da uno
stato ad un altro, o da un luogoad un
altro. Ri ferirò due esempi. Gravina, allettato dal raro ingegno poetico di Pietro Trapas si,
povero fanciullo, se lo adottò a fi gliuolo , ed amante com'era della
greca favella, grecizzò quel cognome, e
l'ap pello Metastasio , che veramente e prime Trapassi. Se alcuni
l'interpreta rono Metà dell'anima mia, certo erano affatto stranieri ad ogni ellenismo. Ovi dio
intitolò il suo poema le Metamo rfosi in
cui rappresenta le trasformazioni, o
converzioni di persone in costellazioni , in pianeti, in animali. Dunque metà fi sica
vorrebbe dire trasfisica, o trasna turale, o sopranaturale.Ma se noi dob biamo
accettare in tal senso questa voce, e
non v'é ragioneper cui non la si
accetti, dopochè così è prevalso nel l'uso comune, qual concetto dov remo noi aver d'una scienza che si occupa di cose non naturali? Dove è il campo dei suoi studi ? Dove i soggetti delle sue sperienze? Che ne sa essamai delle cose che stanno fuori dell'ordine della na tura;
anzi ancora vi son cose che non siano
naturali, e delle quali la scienza possa
seriamente occuparsi? A'metafisici credo
che saràmolto difficile rispondere
aqueste domande; ciò che non impe dirà loro di continuare a scrivere
dei volumi per spiegare a tutti cose
che sistemi. Quali scoperte ha esse
fatte ? Cercando vanamente di spingersi
fuor della natura, oltre i confini del
mondo sperimentale, essa vagò sempremai
nel regno delle ombre. In mancanza di
fatti nuovi, di nuovi enti, inventò
altre entità evocate dal nulla e
chiamate trop po facilmente all' esistenza sostanziale. Niuno mai le vide nè le senti. (V. ENTITÀ)
Ben disse Romagnosi, che il primo
abuso, che non di rado fassi delle pa role e del loro accozzamento, è
quello di adoperarle, con certe idee,
che gli autori medesimi non saprebbero
dirsi che si fossero. « Quando i
peripatetici, per cagion d'
esempio,spiegavano molti fenomeni della
natura con due parole Simpatia e
Antipatia, io non so se essi capissero
niente di quel che voleva dir si. Interviene il medesimo, a coloro, i quali credono esservi, oltre i feno meni di
attrazione, una vera forza at tratrice tra i corpi: questa forza non si capendo meccanicamente, divenuta un mistero, rende la lingua fisica arcana. Si trovano diqueste parolee frasi spesso negli autori antichi, e in tutti quelli
i quali parlano di cose che non inten
dono; ma in nessuna scienza v'è n' ha
più quanto nelle metafisiche. Un meta fisico, ch'è sempre uno che si
presume molto, nonpotrebbe coprire la
sua igno ranza che con una lingua che impone.
La lingua metafisicadi Omero e di tutti
gli antichi poeti teologi, è piena di
queste parole e frasi significanti un non so che, nelle quali si trovano da'
nostri eruditi tanti misteri ignoti agli
autori. Alcune volte sono parole tecniche,
cioé d'arte, e servono a coprire
l'ignoranza delle professioni le più
triviali. Tutti gli artisti ne hanno, e
sono arme da 62 METODISTI offesa e da difesa; ma in nessun a arte ve n'ha tantequanto in chimica, in me dicina,
in astrologia.>>> Metempsicosi.
Dottrina religio sa la quale suppone che le anime u mane dopo la morte passano
in altri corpi. Par che i più antichi
credenti nella metempsicosi siano stati
gl'indiani (V. BRAMANISMO, BUDDISMO).
Tuttavia lo ammisero anche molti
filosofi greci, tali che Empedocle.
Plutarco , Platone; e Beausobre sostiene
che anchemolti pa dri della Chiesa, come Origene e Sine sio ebbero una simile
opinione. Non occorre dire chequasitutte
le religioni dell'antichità ebbero una
tale credenza, la quale principalmente
trova il suo appoggio nei sogni. Quando,
infatti, l'i gnorante ricorda in sogno qualche per sona defunta, è naturalmente condotto acredere che quella persona esista ve ramente
in qualche luogo. La filosofia poi, che
per far muovere il corpo ave va inventato un'anima, composta di leggerissima materia, non poteva darle una occupazione conveniente durante la infinità dei secoli, che facendola tras
migrare dall'uno in altro corpo, per
richiamarla sempre a nuove vite, affine
di premiarla e di punirla dei suoi me riti o de' trascorsi
mancamenti. Platone nel Timeo, nel
secondo li bro della Repubblica e nel Fedro cost spiega l'ordine della trasmigrazione delle anime. In primo luogo se l'anima ebbe molte perfezioni in Dio, e abbia scoperte molte verità, entra nel corpo di un filosofo o di un savio. Quelle men perfette entrano nel corpo di altri uomini meno illustri, secondo l'ordine seguente: 2. L'anima entra nel corpo di un re o di ungranprincipe. 3. Essa passa nel corpo di un magistrato o di uncapo diuna potente famiglia. 4. En tra nel
corpo di un medico. 5. Entra nel corpo
di un uomo che abbia l' in carico di provvedere al culto degli Dei. 6. Passa nel corpo di unpoeta. 7. Nel corpo di un operaio.8. Nel corpo di un sofista, e infine nelcorpo diun tiranno. Gl'indiani ammettevano anch'essi una successione poco dissimile attraverso alle loro caste, e i buddisti credono an cora
che le anime possono passare nel corpo
degli animali più immondi, opi nione che fu pur divisa da Pitagora e da Empedocle.
I più accaniti nemici della trasmi grazione delle anime nella Grecia
erano gli epicurei, i quali dicevano che
se noi fossimo entrati nel corpo di
altri uomini avremmo conservata la memo
ria delle nostre azioni. Quanto al pas saggio delle anime umane nel corpo degli animali, essi dicevano che questa opinione non si appoggiava ai fatti; se ciò avvenisse l'anima dovrebbe im primere
all'animale il suo proprio ca rattere, mentre invece vediamo che i leoni sono sempre coraggiosi, e 1 cervi sempre timidi. Tutti, o quasi tutti ipopoli selvaggi credono a una sorta di metempsicosi, ma questa credenza è andata scompa rendo
dalle religioni e dalle filosofie dei
popoli civili, ed ormai essa non ha fra
noi altri settatori che gli spiritisti.
(v. SPIRITISMO). Metodisti. Così
son chiamati i membri di una delle più
cospicue sette ond'è divisa la religione
anglicana. Ne fu fondatore John Wesley
nel 1730, il quale deplorando la
depravazione dei costumi e la corruzione
della Chiesa, volle con una nuova
predicazione in trodurre nella riforma una nuova ri forma. Nei suoi viaggi
nell'America, nell'Olanda e nella
Germania strinse co noscenza con molti entusiasti luterani, e visitando le loro communità presto apprese quanto facil cosa sia il cre dersi
inspirati e il farlo credere altrui.
Alcuni anni dopo, il fratel suo Carlo,
si unì a quella missione, insegnando
che Dio, dopo avere colpito colla di sperazione i suoi
prediletti,improvvisa mente apre i loro occhi alla luce e li vivifica col suo spirito. Così fu illumi nato
S. Paolo sulla via di Damasco, e così fu
Wesley chiamato alla scienza METODO della
rivelazione. Se non che non fu egli
tocco dalla luceceleste, per quanto egli
stesso afferma, che qualche anno dopo,
cioè a Londra, nella via Alder role:
63 Passai un'ora nella scuola
di Kingwood. Ma singolare stranezza!
Che ne avvenne delle opere mirabili
della grazia che il Signore operava nei
fan gate il 29 maggio 1739 a ore otto e
tre quarti. Sul qual proposito unoscrit tore cattolico argutamente
osserva come sia assai difficile a
capire com'egli, es sendo inpreda acommozioni così vio lente potè dar retta al
batterdelle ore, o cavarsi di tasca
l'oriuolo per osser vare con tanta precisione l'ora e il mi nuto. Lo spirito di Dio che avevavisitato il maestro, non poteva restarmuto pei discepoli. Whitefield, socio di Wesley, nella nuova Chiesa ebbe anch'egli i suoi moti convulsi e le suecrisi divire, e mentr'egli con impetuosa eloquenza su per le piazze parlava ai suoi ascol
tatori, era bene spesso soprappreso da
crisi nervose e da stranivaneggiamenti.
Tali erano i segni esteriori della gra zia, colla quale i nuovi profeti,
a so miglianza dei fanatici delle Çevennes,
(v. CAMISARDI) invitavano i fedeli alla
penitenza. E che si tentassedirinnovare
allora l'invasione dei piccoli profeti, ri levasi da Soutey, il quale
narracome i maestri di Kingwood
tormentassero senza posa i fanciulli
dell'età di sette ad otto anni finchè
avessero dato se gno della loro giustificazione ». Si cer cava di gettarli in
preda al terrore e alla disperazione
spingendoli fino alla follia; e dappoi
colla calma e la sicu rezza procuravasi di fugarne lo spa vento. Wesley,
presente a simili ecces si , li approvava e li promoveva, ma sperò indarno di trarne partito per le predicazioni profetiche. O vuoi che le scuole di profezia non fossero così du
ramente avviate al misticismo come
quelle dei calvinisti, o che l'esempio
mancasse a generare il contagio men tale, o che, infine, i maestri non
per severassero nell'esaltare l'immaginazio ne dei giovanetti, fatto è che
risultati soddisfacenti non si ottennero
allora, e Wesley stesso lo attesta
conqueste pa ciulli nello scorso settembre? Tutto di sparve come un sogno!
>> La novella riformawesleiana
fudun que fondata sulla sola predicazione de gli adulti,e fu questa così attiva
e in defessa, che non pochi chiamò al suo
partito. Le molte e lunghe preghiere
i digiuni, la lettura dellaBibbia, le fre quenti comunioni , ai seguaci
di quel nuovo quietismo, meritarono per
ischer no il titolo di metodisti. Uniti sulprin cipio alla Chiesa anglicana, se
ne se pararono poi per ordinare 1 loro sacer doti, ma non tardarono a dividersi
fra loro stessi per le vive controversie
su alcuni punti dottrinali, avvenute
fra Wesley e Whitefield; perocchè
mentre il primo riteneva che le opere
erano essenziali alla salute, l'altro le
teneva come meno importanti. Fondato
sul suo principio, parve a Wesley che
le migliori opere fossero quelle che po
tessero indirizzare l'uomo a quella co tale perfezione cristiana che gli toglie ogni lecito godimento terreno per in
dirizzare la sua mente al cielo. E per ciò proibi ai suoi seguaci 'le carte,
i teatri, i balli, le corse dei cavalli,
i ma nichini, le trine, i liquori spiritosi ed
il tabacco. La verginità non impose,
ma molto encomiò coloro che nel loro
cuore fossero riusciti a totalmente e stinguere la concupiscenza. I metodisti sono anche oggi molto numerosi nell'Inghilterra e negli Stati Uniti, e possedono ricchi stabilimenti nelle Indie, a Calcutta, nell'isola di Ceylan e fin nell'Oceania. Essi hanno molti predicatori ambulanti, e parecchi ne mandano all'estero per diffondere le loro dottrine. Metodo. L'artedi disporre le pro prie idee
ordinatamente acciò s' inten dano con maggior facilità. Il metodo è perciò necessario tanto a chi studia, quanto a chi insegna, e tutti sanno 64 METODO
quanta maggior fatica si abbia ad ap prendere le cose esposte
disordinata mente, che non abbiano, cioè, fra loro alcuna relazione. Il metodo è analitico o sintetico, secondo cheincomincia dalle cose par ticolari
per passare alle generali, o vi ceversa. Era massima degli antichi che il metodo analitico forse adatto
soltanto a ricercare e scoprire la
verità, mache il sintetico meglio
convenisse per inse gnarla e dimostrarla. Questa massima perdurò assai tempo nell' opinione dei filosofi, e si può ben dire che perdura tuttora nell' opinione di molti pedago gisti.
Non si ha molta difficoltà a am mettere che l'analisi sola conduce alla verità (vedi ANALISI ); ma si pretende che quando gia si sia inpossesso della verità meglio si riesca afarla intendere altrui col metodo sintetico. Di qui i termini, le formole, le difinizioni di
cui sono irti tutti i libri elementari.
Ma questo ragionamento non è tutto
vero. Le proposizioni generali non
s'intendono se prima non siano spiegate
coi fatti particolari, e non si mostri
in modo certo in base a quali elementi
si siano pronunciate tali proposizioni.
Le idee non sono innate innoicome
credevano certi antichi, ma si
acquistano lenta mente coi processi sperimentali o con la continuata osservazione di fatti si mili;
osservazione per la quale astra endo dai fatti particolari si stabilirono le regole generali, e principii le
leggi. Nulla, infatti, pare a noi più
evidente di questo teorema: se due rette
si ta gliano in qualche punto, gli angoli ver ticali sono eguali tra loro;
oppure in ogni triangolo la somma dei
tre an goli equivale a due angoli retti. Eppu re avrebbe mai potuto lageometria
ac certare queste così semplici verità, sen za che una precedente osservazione
le avesse dimostrate? Certo che no.
Solo dopo essersi accertato che in
tuttii casi accennati sempre si
verificava la me desima condizione, il geometra ha po tuto fare astrazione di
tutti i casi par ticolari, e stabilire la regola generale. Ma l' osservazione precedente è stata essenzialmente analitica; la regola sol tanto
è sintetica, siccome quella che riunisce
in un solo principio tutte le
osservazioni particolari. Ma così debole
è l' evidenza di questa sintesi per co loro che manchino di tutte le
cogni zioni analitiche da essa implicitamente
supposte, che in ogni libro di geometria
elementare si vede sempre che ogni
teorema è immediatamente seguito dalla
sua dimostrazione. È vero dunque che
in questi casi si suole incominciare dal
porre la sintesi per poi scendere col l'analisi, alla dimostrazione, ma
direi the sarebbe assai più ovvio e
naturale che prima si ponessero le
dimostrazioni analitiche e dopo si
facessero seguire dalla verità sintetica
che ne è come la conclusione e la
conseguenza. Certo è che in cotesti casi
la sintesi che affer ma e l'analisi che dimostra l'afferma zione, si seguono
così davvicino, che la precedenza
momentanea dell' una sul l'altra non può avere inconveniente al cuno, fuor che
quello di lasciare per pochi istanti
sospesa la convinzione dello studioso,
finchè la dimostrazione sia compiuta.
Masuppongasiche untale imbizzarendo
sulla pretesa precedenza della sintesi
sull'analisi applicasse cote sto metodo a modo. Egli certamente incomincerebbe in un trattato ad es porre
tutte le verità sintetiche della
geometria, d' onde una sequela di as siomi e di teoremi tutti
immediatamen te consecutivi, e tutti egualmente non comprensibili. Il teorema precenente suppone bensì il susseguente, e questo quello che gli è posto innanzi, ma sic come
nessuno di essi è dimostrato, così
éevidente che tutti riesciranno incom prensibili. È vero che anche
seguendo il metodo sintetico, si dovrà
pure in fine venire all' analisi e dare
le dimo strazioni; ma quanta confusione, quale
sforzo di memoria, quanto tempo per duto nello studio arido e
puramente meccanico delle verita
sintetiche o ge METODO nerali ! E dato
pure che lo studioso rie sca a superare questa improba fatica, quale quantafaticanon durerà ancora perapplicare ad ogni principio generale 65
dessed'incominciare l'insegnamento di
quella legge, senza aver prima dimostrate le verità speciali su cui essa si fonda
e per le quali soltanto fu trovata,
sarebbe la suadimostrazione e venire via
viari schiarando nella sua mente tutte le for mole, e d'ognuna acquistarne
l'evidenza? Ora, se si vorrà essere
sinceri, si dovrà convenire che quello
che succede per la geometria, avviene
pure per le altre scienze. È un error
gravissimo quello di credere che siccome
tutte le verità particolari si trovarono
come contenute nei principi generali che
le rappresentano, da queste si deve inco
minciare l'insegnamento e non da quelle;
avvegnachè le verità generali per se
sole non siano che una astrazione dei
fatti particolari, alla conseguenza dei
quali, infin dei conti, sono dirette tutte le scienze umane; ed è ben strano che per farci conoscere le leggi che rego lano i
singoli fenomeni, si incominci dal
trasportarci lontani da essi, e direi
quasi fuor del campo della loro osser vazione. Dopo la geometriapongasi la fisica. Una delle leggi del pendolo è, che in diversi luoghi della terra, la durata delle oscillazioni, per pendoli di diver sa
lunghezza, è in ragione inversa della
radice quadrata della intensità della
gravità. Non si può negare che questo
principio generale non sia essenzial mente sintetico, e come tale non
con tenga unaquantitàdiveritàparticolari.
Maposto cosi solo,senza la cognizione
analitica deiprecedenti esperimenti, che
cosa esprime esso mai per lo studioso?
Bisognerebbe innanzi tutto ch' egli co noscesse, che per i pendoli della
mede sima lunghezza la durata delle oscilla zioni è eguale, qualunque sia la
sostan za della quale sono formati; poi che
conoscesse le leggidella gravità, l'azione suadallaperiferia al centro della terra,
e tante altre cognizioni speciali, senza
cui il principio generale non può
acquistare la necessaria evidenza. Non
v'è dubbio che unprofessoredi fisica
ilqualepreten altrettanto biasimevole del maestro e lementare che pretendesse
d' insegnare a'suoi alunni l'addizione
delle centinaia prima di aver loro
insegnata l'addizione delle decine e
delle unità. Or non so davvero perchè un
metodo che si è cosi concordemente
disposti a biasimare nelle scienze
positive, lo si voglia, non chè tollerare, anche preferire nelle di scipline
filosofiche. In verità, la ragione di
questa preferenza non si potrebbe
attribuire ad altro che alla tendenza
che hanno certi filosofi di stabilire con somma facilità le così dette leggi del pensiero, seguendo gl' impulsi del loro sentimento e della loro fantasia, piutto sto
che quelli della ragione. Si capisce
facilmente com' essi si troverebbero in
un grande impiccio se fossero costretti
a dare una ragionata analisi di quelle
loro affermazioni, e come con molta co modità si tirino d'impaccio
proclamando l'eccellenza della sintesi,
siccome quella che si presta tanto
facilmente a porre certi principii
generali che sono molto opportuni per
toccare il sentimento, mentre poi si
sottraggono, per la stessa loro
generalitá, all'analisi della ragione.
Certo, si obbietterà che uomini di
molto ingegno, come Euclide e Wolf,
adottarono esclusivamente il metodo sin tetico ; ma uomini non meno
illustri, quali Bacone, Locke,
Condillacmostra rono quante ragioni dovessero far pre ferire il metodo
analitico. É questa, in fatti, la via che segue naturalmente l'u mano
intelletto nella scoperta della ve rità. Imperocchè l'uomo non incomincia già dalla conoscenza delle cose univer sali,
ma sì dalle particolari: e dai feno meni più immediati che cadono sotto i sensi, grado a grado, s'innalza ai più complessi; dalle cose semplici passa alle composte, e per questa via scopre le leggi che regolano i più grandi feno meni
della natura. Laonde, il metodo 5 66 MIRABEAUD
analitico, per confession stessa de' suoi avversari, è detto essenzialmente d' in
venzione; e non so proprio intendere
perchè quello stesso metodo per ilquale
siamo condotti a scoprire laverità, deb ba poi reputarsi disadatto
quando si tratti d'insegnarla. Soave dice che ilmetodo analitico serba un ordine quasi del tutto opposto al sintetico. Imperocchè dove questo in
comincia dal premettere i principii ge nerali, da cui intende cavar poscia le conseguenze particolari; quello all' in
contro incomincia dall'esame delle cose
particolari per farsistradadimano in ma no allegenerali: edovenel
sintetico tutto è definito, e diviso,
edistribuito in teo remi e problemi e corollari ecc, nell'a nalitico per lo
contrario quasi niuna de finizione o divisione si adopera, eniuna menzione ci si fa nè di teoremi, nè di problemi, nè di corollari; ma tutto è seguito e continuato, e tutto nasce, e
si sviluppa di mano in mano dall'
analisi delle idee che prendonsi
aconsiderare > (Istituz. di logica
P.II). Questo apprez zamento non è però esatto, poichè non è vero che le divisioni e le definizioni manchino affatto al metodo analitico. Esso anzi divide assai bene le varie parti dello scibile, e certe classi di no
zioni particolari in una stessa scienza
divide e raggruppa secondo le conse guenze generali a cui conducono. Esso definisce ancora queste conseguenze e le riduce a leggi generali includenti tutti za; se cioè si debba incominciare dal dimostrare o dall' affermare. E mi par che la logica insegni doversi innanzi tutto dare la dimostrazione delle cose ha bisogno di prendere le mosse da certe verità già note. Ma queste prime affermazioni saranno assiomi enon teo remi;
attingeranno, cioè, la loro evi donzadall'esperienza immediatadei sensi enondal ragionamento, ed è per que sto che io
ho detto altrove (V. ASSIOMA) e ripeto
ora, che le verità assiomatiche sono
essenzialmente analitiche. Metrodoro di
Lampsaco. Uno dei più celebri discepoli,
e l'amico più affezionato di
Epicuro.Diogene Laerzio ce lo rappresenta
come uomo d'inconcussi principii,
onestissimo, intrepido contro la stessa
morte. Morì nel 50° anno della sua vita,
sett'anni prima del maestro di cui
professò le dottrine.Epicuro mo rendo legò nel suo testamento agli a mici il
compito di allevare e di aver cura dei
figli lasciati dal discepolo che lo
aveva preceduto nella tomba. Microcosmo
e Macrocosmo. ( da micros piccolo,
macros grande e κοσμοςmondo)Letteralmente
queste pa role significano piccolo mondo e gran
mondo, e furono primamente adoperate
dai filosofi mistici ed ermetici per-desi gnare la perfetta
corrispondenza che supponevano esistere
fra l'uomo e ilmon do; fra l'essere piccolo e quello gran dissimo, che
credevano anch'esso dotato di anima.
Nella filosofia moderna si adoperano, ma
raramente, queste voci per indicare il
mondo delle molecole, degli infusori e
di tutto ciò che per essere veduto ha
bisogno dell' ingran e l'universalità dei mondi e degli astri che compongono il MACROCOSMO. i fatti particolari che si sono osservati |
dimento del microscopio (Microcosmo), in
quel gruppo. Si diràche quest'ultima
operazione è essenzialmente sintetica ; e sia pure. Non si tratta giàdi escludere la sintesi, madi sapere quale tra lasin- |
Nacque in Provenza nel 1674 e fu se tesi e l'analisi debba averela preceden-
gretario dell' Accademia francese. A mico della libertà del pensiero, egli parteggiò per la filosofia liberale che allora appunto, nell'Inghilterra special
mente, incominciava a dare qualche
barlume di libertà. Il Sistema della
natura d' Holbach fu pubblicato dap prima sotto il nome di Mirabeaud,
ma niuno fuperciò indotto in inganno,
etutti Mirabeaud. ( Giovanni
Battista.) che si andranno in seguito
affermando. Certo, anche l'analisi è pur
d'uopo che che incominci dall'
affermazione, poichè | ogni
ragionamento, per sempliceche sia, 1 MIRANDOLA
67 sanno che l'ardire del
filosofo tedesco restarne sorpresi. A ventiquattro anni mal conveniva alla peritosa incredulità egli
pubblicò novecento tesi per un e che mostrò il segretario dell'accademia same
scolastico de omni re scibili, ses nei suoi scritti pubblici.AMirabeaud si
santaduedellequali,a sentirlo, dovevano
attribuisce unadissertazione sull'origine enunciare dei dommi nuovi. Il
vanto di del mondo; una lettera per
provare che essere in possesso ditutteleumane co il disprezzo pergli ebrei è
anteriore alla noscenze era in quei tempi assai comu maledizione di Gesù
Cristo, e final- ne, imperocchè facilmente la dialettica, mente le opinioni dei filosofi sulla na-
aproposito od a sproposito, discorreva
tura dell'anima. Queste attribuzioni però d' ogni cosa, e facilmente
ostentava una hanno la
solatestimonianzadiNaigeon. | grande erudizione per coloroche in luo Due
scritti lasciò che furono poi pubblicati
dal marchese d' Argens, e sono:
Sentimento dei filosofi sulla na tura dell'anima, e Il mondo, sua cri gine e
sua antichità. Nell'uno e nell'al tro Mirabeaud dimostra che la spiri tualità
dell'anima non fu conosciutadai filosofi
dell' antichità; che essi consi derarono il mondo siccome eterno, non solo nella sostanza, ma eziandio nella forma, salvo un piccol numero, taliche Platone e Anassagora, i quali ne ave vano
fatto risalire l'origine a un essere
intelligente. Che, del resto, il domma
della creazione ex nikilo è stato affatto ignorato dell'antichità, come fu sempre ignorato l'altro domma filosofico della finale distruzione della materia. Nella Fenicia e nella Persia, diceva Mirabeaud, si credeva bensì ad una fine del mondo, maquesto concettonon rappresentava altro che una rivoluzione astronomica. In tal maniera Mirabeaud, colla storia alla mano, distruggeva i dommi fondamentali dello spiritualismo edel cristianesimo insieme. Mirandola. (Giovanni Picoconte della Mirandola e principe della Con cordia
). Nacque nel 1463 a Mirandola, piccola
terra dell' Emilia. Studid il di ritto canonico a Bologna e parve sulle prime che le sue tendenze lo chiamas go dei
fatti si appagavano delle parole. Invece
dei sessanta dommi nuovi pro messi, lacuria romana trovò che tredici delle900tesi date meritavano censura, e le altre proibil che fossero difese.Era
colà spiaciuta l' arroganza di Pico, e
aPico spiacque lacensura romana,sicchè
partl d'Italia e si recò a Parigi, ov'
ebbe buona accoglienza da Carlo VIII,
colla discesa del quale in Italia,
ritornò an ch'egli a Firenze. Pico della
Mirandola aveva vana mente cercato di conciliare le dispute degli scolastici, dimostrando che Pla tone e
Aristotile potevano benissimo stare
insieme, e tutt' e due non servi vano che di commento a Mosè. Più che filosofo, ne' suoi scritti fu
teologo: commentò la Genesi con sette
diverse significazioni, poichè tante
appunto egli trovava in ogni versetto; e
si perdette nelle fantasticherie della
cabala e della scuola mistica
Alessandrina, e perfino in quelle di
Raimondo Lullo. Con una memoria
potentissima, e studi così mal digeriti,
é facile immaginarsi qual sorta di
filosofia fosse quella del nostro mi randolese. Una vacua ambizione lo spingeva a voler parere grande in tutte le scienze, e per questo forse gli par vero
più apprezzabili le meno chiare alla
intelligenza volgare. Aformarsi cotesta
sero allo stato ecclesiastico. Ma dopo- | fama si poco meritata, egli
riuscì cost chè Marsilio Ficino, maestro
suo, ebbe gli infuso il proprio entusiasmo per la filosofia greca,si applicò allo studio
delle lingue orientali e incominciò ben
presto acredersi pieno di un così
profondo e vasto sapere, che i dotti
tutti dovessero bene, chedopo di lui
ilnipote suo (Fran cesco Pico della Mirandola) scrivendo la biografia dello zio, narra che una fiam ma
orbicolare venne per un istante ad
illuminare la madre di Giovanni della
Mirandola, per annunciare ch'ellastava
1 68 MISTERO perdare alla luce un figliodel quale la forma orbicolare indicava la perfezione del sapere.
Mistero. Cosa secreta non possi bile a comprendersi. Tutte le teologie antiche hanno avuto i loro misteri, ed erano questi ciò che il paganesimo a veva di
più augusto e di più sacro. I misteri
erano cerimonie religiose alle quali i
soli iniziati potevono assistere, ele
cose che vi si vedevano e vi si u divano erano rivelate sotto il suggello del più rigoroso segreto: una legge col piva
di morte i violatori. Tutte le prin cipali divinità avevano i loro
misteri, laonde si celebravano in Egitto
in onore di Iside ed Osiride; nella
Fenicia e nel l' Isola di Cipro in memoria di Venere e di Adone; nella Frigia ad onore di Cibele ed Ari; nella Grecia e in Sicilia si commemorava Cerere e Bacco. Tutti i misteri avevano laloro par te
pubblica, nella quale al popolo si la sciava intravedere ciò che si
reputava necessario a conoscersi. Erano
d' ordi nario la commemorazione di tutte le
avventure degli Dei, iloro combattimenti
e i loro trionfi; e vi si mostrava che
tutti i loro sforzi erano stati rivolti a soccorrere il genere umano, a conso larlo de'
suoi mali, a colmarlo di bene fizi. Tali erano i piccoli misteri, a cui seguivano i grandi. Isoli iniziati assiste
vano a questi,e guai aiprofani che aves sero osato introdursi nel sacro
recinto durante la celebrazione.Per
lungo tem po il segreto di questi misteri fu im penetrabile. Coloro che furono
sospetti di averlo tradito dovettero
fuggire per sottrarsi alla morte. Esdulo
corse gra vi pericoli per aver dette poche parole dei misteri di Cerere che si celebrava no in
Eleusi, e Alcibiade fu condannato a
morte per averli riprodotti nella sua
casa, schernendoli. Gran numero bri gavano l'onore di esservi iniziati,
ma molti dotti, tali come Socrate, non
vol lero mai esservi ammessi. Diogene, in vitato a farvisi iniziare,
rispondeva: Pa tecione, quel famoso ladro, ottenne l'i niziazione; Epamimonda e
Agesilao non la chiesero mai. Nella parte pubblica dei misteri e rano
rappresentati allegoricamente ide stini umani nell' altro mondo. Vi si mo
stravano degli spettri erranti nelle te nebre, il dolore, la povertà, la
morte, e si faceva in seguito apparire
il Tar taro con le furie tormentatrici dei col pevoli, e i Campi Elisi con le
loro de lizie. In ultimo gli iniziati erano intro dotti nel luogo santo ove si
vedeva la statua del Dio risplendente di
luce, e lá si udivano cose che a nessuno
era permesso di rivelare. Quel secreto
era infatti molto essenziale per la
maestà della religione, imperocchè
spesso si in segnassero cose che poco si accorda vano con le pratiche del
culto. Non solo si revocd in dubbio
l'apoteosi degli eroi, ma si dubitò
perfino della divinità degli Dei
superiori. Tali erano le concessioni che
la Chiesa si vedeva costretta a fare all'
incredulità della fi losofia dominante! Per questo Dionigi d' Alicarnasso diceva lore, ma abborrenti i piaceri dei
sensi, condannanti il matrimonio. Colla
loro vita incomune e colla
contemplazione delle cose spirituali
alle quali sempre rivolgevano la mente,
essi furono i pre Ascoltiamo ora i precetti di Visnhu per ottenere l'estasi beatifica con
mezzi molto adatti a produrre unbuona
con gestione cerebrale. Il
ragionamento non può spingersi al di là
delle nostre percezioni. Questa è una
verità così ovvia che fa meravi glia il vederla così spesso dimenticata. Leibnitz può bene innoltrarsi oltre i confini della sensazione, ma a patto però che fra la premessa e la conse guenza
del suo ragionamento, o non vi sia
rapporto alcuno necessario, o l'una sia
la negazione dell'altra. Infatti
quand'egli dice: vi sono esseri compo sti, dunque vi sono esseri
semplici, ar gomenta nello stesso modo come sedi cesse: vi sono corpi, dunque
non vi so no corpi. E veramente, se i composti
costituiscono i corpi, i semplici sono
la negazione dei corpi: l'una è l'affer verità generale che la filosofia
può de- | mazione, l'altra la negazione. Ma an durre dall' eternità delle
funzioni: ( v. MORTE); e l'eternitàdella
materia trova un corrispondente nella
eternità delle Monadi. Ma il tortodi
Leibnitz è quello di giungere a questi
risultamenti per via di astrazioni, e di
trasportare gra che i bimbi che vanno a scuola sanno che nel sillogismo la conseguenza de ve
essere sempre contenuta nella pre messa. Ora nell'idea di corpo è conte nuta
l'estensione; la logica dunque mi
tuitamente le qualità dei corpi in certi
principii che non hanno alcuna delle
qualità che sono supposti di produrre.
Il difetto capitale del Monadismo, come
lo ha ben rilevato il prof. Justus, è
quellodi supporre che degli esseri ine stesi possano generare l'
estensione , che dalla esistenzadei
corpi composti di parti possa
logicamente dedursi quella di cose
semplici. Considerando con attenzione la
spiegazione del com posto, dic'egli, non si trova alcun dato che ci possa condurre all'idea di essere semplice. Gli esseri composti hanno delle parti. Dunque la prima conclu sione che
si potrebbe fareper taleprin cipio è questa: che dove esistono dei composti, vi sono anche delle parti. Or l'idea di parte non ci conduce anco ra a
quella di essere semplice, poi chè gli esseri semplici son quelli che non hanno parti: dunque per spin gersi più
innanzi coll'induzione, non si potrebbe
dir altro, se non che, laddove vieta di
dedurre per conseguenza l'e sistenza di corpi inestesi. Posso bensl dire: il corpo è compostodiparti, dun que
esistono le parti; ma queste parti
partecipano alla natura del tutto d'on de emanano, e se io attribuisco
loro qualità diverse da quelle che aveva
il tutto, faccio una induzione
difettosa. Mail sillogismo è per
lalogicaciò che per l'analisi è la
chimica: i risultati di questi due
processi se vengono riuniti devono
ricomporre il corpo, o il ragio namento decomposto. Ma se dalla riu nione di
cose inestese non potrò mai avere
l'ideadel corpo esteso, dovrò con cludere che la conseguenza contiene una nozione che non si trovava nella premessa (V. DEDUZIONE E SILLOGISMO). Tutto il Monadismo si fonda dun que sopra un
artificio simile a quello su cui si basa
il Dinamismo (V. CAT TANEO) vale a dire che alle parole note sostituisce parolenuove, che son la ne
gazione di quelle; poi scambia le pa role nuove per cosevere, e queste con
MONDO sidera come esistenti, mentre
quelle che esistono nega. Mondo. Quali fossero le opinioni degli antichi sulla eternitàdel mondo si può vedere in questo Dizionario all'art. CREAZIONE. Il maggior numero dei fi losofi
pagani credette che la materia fosse
eterna; e tuttavia parecchi fra essi
negando l'intervento della divinità 79 role: Platone rigetto mai sempre l'in finità
dei mondi, e dubito del numero di essi
determinato e preciso. Concedendo che
poteva ben esistere, come volevano
alcuni, cinque mondi in ciascun elemen to, egli s'attenne però ad un
solo. Un altro filosofo diceva che il
numero dei mondi non era infinito, nè
che ve n'era un solo o cinque, ma cento
ottantatrè nella produzione della
sostanza, ammi sero però che un ente divino avesse atteso a dar forma acotale materia e terna
secondo le attuali disposizioni del
mondo. Prima d'allora, credeva
Anassagora, tutto eraconfusione, ma lo
spiritovenne ed ogni cosa fu ordinata
(Laerz. lib. Il, Sez, VI). Questa opinione è pienamente con forme a
quella della Bibbia, dove si legge che
nel principio era il caos, dal quale
Iddio formò (non cred,secondo il
testooriginale) il cieloe la terra. Perchè fin Platone ammetteva che Iddio ave va, non
creata, ma ordinata la materia tal quale
noi la vediamo ( Laerz. lib. III seg.
LXX): e gli stoici, ei plato nici professavano tutti eguale opinione. Anzi, Platone e parecchi altri andaro no
ancora più oltre, e attribuirono al
mondo un' anima, distinguendo con ciò
il principio motore dalla materia mos sa, e raffigurandosi il mondo
quale un immenso animale dotato di un
princi pio individuo e di una vita propria. Per
i teologi, scriveva Macrobio, Jupiter è
l'anima del mondo; donde il detto di
Virgilio: Muse, cominciamo da Jupiter
poichè ogni cosa è piena di lui ( Virg.
Sogno di Scipione c. 17). Lo spirito a limenta la vita e l'anima sparsa
nelle vaste membra del mondo ne agita
la massa, e forma così un solo
immenso corpo (Saturn.) La teoria della pluralità dei mondi che alcuni credono affatto moderna, già aveva trovato un eco fragli antichi, e molti dei filosofi greci l'hanno
ammessa. Plutarco nel suo libro degli
Oracoli mette in boccaaCleombroto
questepa i quali erano regolati in forma di trian golo, ciascun lato del quale
conteneva 60 mondi e che altri tre mondi
erano aciascun angolo ». I Talmudisti
cre devano che Dio avesse creati diciotto
mondi, e Maometto nel principio del l'Alcorano invoca il Signore dei
mondi. Quanto all'età del mondo sul
quale viviamo, le teologie ci hanno dati
dei numeri molto singolari e così
diversi danon sapersi proprio a quale
aggiu star fede. Anche la Bibbia presen ta tre età differenti nell'antico Te
stamento. Infatti, coll'anno 1876 ilmon do conterebbe: Secondo le versione dei settanta, anni 7345
Secondo il testo samaritano > 6180
> 5879 Secondo la vulgata La teologia indiana ci offre dei cal coli
assai diversi. Secondo il Riga-Veda il
mondo deve durare 12,000 anni, ma un'
altra versione fa durare il giorno di
Brama corrispondente a quello del mondo
4,320,000 anni, divisi in quat tro età, l'ultima della quale, quella in cui viviamo, dura da oltre 432,000 an ni, e
dovrà finire quando l'ultimo quar to di virtù, che ancora esiste sulla ter ra,
sarà finito. Il cristianesimo fa correre
più ra pidamente il mondo allasua fine. Gesú
aveva promessodivenire nella gloria del
padre suo, co' suoi angeli a giudicare
i vivi ed i morti. E que' mille
anni fu rono variamente valutati, finchè verso
la metà del decimosecolo,Bernardo da
Turingia, predicò che la finale catastrofe sarebbe avvenuta al cominciare dell'an no
1000. E i ricchi donativi fatti alla
Pochi anni dopo, nel 1198, si sparse
di nuovo la voce della prossima fine
del mondo, non già col mezzo dei fe nonemi celesti, ma per la nascita
del l'Anticristo in Babilonia alla quale do vera seguire la distruzione del
genere umano. Nel principio del secolo decimo quarto,
l'alchimista Arnaldo da Villano,
annunciò l'avvenimento per l'anno 1335;
e nel suo trattato De sigillis applicò
l'influenza degli astri all' alchimia, e sponendo tutte le formole
misteriose che dovevano essere atte a
scongiurare i demoni. San Vincenzo
Ferreri, da fa moso predicatore spagnuolo quale egli era, fissò al mondo tanti anni di esi chiesa
in quel torno di tempo, e i te stamenti fatti colla formola appropi quante fine
mundi, provano il grande impegno che
mettevano i ricchi per ri conciliarsi con Dio, e per presentarsi con qualche merito al di lui giudizio. ❘ strutta in quell'anno stesso. Sul
qual stenza, quanti sono i versetti che
si contano nel Salterio, cioè 2537. Il secolodecimosesto produsse il mag gior
numero di predizioni su la diştru zione del genere umano. Nel 1584 il famoso astrologo Leo vizio
predisse che la terra sarebbé di Ma passò l'anno mille senzacataclismi, ela fine del mondo fu rimessa all' an no
1033, perciochè fu detto allora che i
mille anni non dovevano contarsi dal
l'anno primo dell' era volgare, ma da
quello della morte del Salvatore, che
aveva incatenato > ricchiti a
buon mercato. La disdetta toccata
aqueste profezie, non sgomen tò il loro autore, chè anzi lo Stoffler, insieme al famoso Regiomontano, pre disse di
nuovo la fine del mondo per l'anno 1588,
senza che il mondo mo strasse di darsi alcunpensierodi quella | recchie, così
riassunte da E. Diamilla
predizione. Ma lasciamo queste
sciocche predi zioni, tristi avanzi dei tempi d'ignoran za, e vediamo ciò che
nel campo della scienza può, in via
d'ipotesi, logicamente argomentarsi sul
fine ultimo del nostro mondo. Le ipotesi
finora fatte sono pa Però una stella sconosciuta erasi accesa improvvisamente nel 1572 nella costellazione di Cassiope, sfolgorante
di tanta luce da rendersi visibile in
pien meriggio. E gli astrologhi
divulgarono essere dessa la famosa
Stella dei Magi, ritornata ad annunciare
l'ultima venuta di Cristo, che non si
lasciò vedere. Nuove predizioni sulla
fine del mon dofurono fatte nei secoli XVII e XVIII, e, ciò che non parrà credibile, anche nel secolo nostro le predizioni conti
nuarono. Ènota all'universale la
predizione di Salmard Montfort
pubblicata nel 1826, laquale concedeva
alla terra soli dieci anni di
esistenza. La signora di Krüdner; la
donna mistica della Santa alleanza, l'
amica dell' imperatore Alessandro,
profetizzò laruina del nostro pianeta
pel giorno 13 gennaio 1819; e sette anni
dopo Sal mard Montfort prediceva la distruzione
della terra per l'anno 1836. Nel
1840, un prete francese, Pierre Louis,
dedicò a Gregorio XVI un com mentario dell' Apocalisse, che stabiliva la fine dei secoli per l'anno 1900. E la ragione era questa: Muller.
Buffon aveva calcolato che la terra
per raffreddarsi e ridursi alla sua tem peratura attuale, aveva dovuto
impie gare 74,831 anni, e che l'umanitá po trebbe vivere ancora 93,291 anni
prima che la temperatura della
superficie ter restre si rendesse tanto freddadaestin guere la vita. Ma quando
si conobbe che il calorico interno del
globo non ha nessuna influenza alla
superficie, e che la vita terrestre
dipende esclusiva mente dal sole, il calcolo di Buffon fu trascurato.
Una seconda ipotesi, fondata eziandio
sul raffreddamento della terra, suppone
che quando la sua temperatura sarà
divenuta eguale a quelladel ghiaccio, il
suolo si spaccherà come quello della
luna, e l'ultimo avanzo d'aria e d'acс qua si fisserà in quelle caverne,
ove gli uomini potranno trovare un
rifugio, fin chè l'aria e l'acquanonsiperderanno in modo definitivo. Ma poichè la terra èquarantanove volte più grossa della luna, dovrà vivere 49 volte di più. Un' altra ipotesi, la più antica fra tutte, è quella che prevede la fine del mondocolfuoco. Questa teoria risale ai tempi di Zoroastro, degli Ebrei, e dei padri della Chiesa. La superficie del nessuna delle quali ha ottenuta l'universalità. MONTESQUIEU 89
nella calma delle passioni egli potè con servare quella moderazione nei
desideri Famaraviglia che opinioni si
poco ortodosse abbiano potuto stamparsi
e diffondersi in un secolo in cui la
tor- | che rendono la vita piacevole a se, e
tura e l'inquisizione erano le forme or dinarie del procedimento
giudiziario ; manondimentichiamo che
Montaigne, come disse Rousseau, dormiva
fra due guanciali: quello del dubbio da
una parte, e dall'altra quello del domma che riposa sopra l' autorità infallibile della Chiesa.
agli altri gioconda. Nel 1721 egli mandò
alle stampe sotto il segreto dell'anonimo le Lettere Persiane, romanzo che a' suoi tempi ottenne grandissima voga, e me ritò
molta rinomanza al suo autore. Parlando
di queste lettere, il celebre d'
Alembert scriveva: « La pittura dei
costumi orientali, reali o supposti che
siano, non è che la minima parte di
questo scritto. Per così dire, l' Oriente non è altro che il pretestoperfare una sottilissima satira dei costumi nostri.
» E in realtà, per quei tempi, le
lettere persiane potevano parere
arditissime, inquantochè Montesquieu
chiaramente scriveva che il papa è
unvecchio idolo Montano Eretico nato in
Ardban nella Frigia. Con le convulsioni
e i con torcimenti soliti nei profeti, pretese di essere inviato da Gesù Cristo per puri ficare
i costumi e riformare la morale. Negava
la potestà della Chiesa nell'as solvere i grandi delitti; voleva che, non una, ma tre quaresime si osservassero con digiuni straordinari e due settimane |
che s'incensa perabitudine (lettera 29);
di Xerofagia, nelle quali sidoveva aste nersi, oltre dallecarni, da ogni
cosa che avesse succo; le seconde
nozzeconsiderò siccome adultere ; e il
sottrarsi alla per secuzione dichiarò delitto. Due donne, Priscilla e Massimilla, lo seguirono e profetarono con lui. O maligni o matti ch'essi fossero, non mancarono però di seguaci ; aCostantinopoli stabilirono
una setta, e si spinsero fin
nell'Affrica, ove acquistarono al loro
partito uno dei più famosi padri della
Chiesa, Tertulliano. Se tutti
praticassero le austerità imposte da
Montano è lecito dubitare: tutti lo
avevano in grande venerazione, lo cre devano inspirato dalParacleto e
perciò dicevano che le sentenze di lui
supe ravano in sapienza le stesse massime
che allorquando Iddio mise Adamo nel
paradiso terrestre col divieto di man giare un certo frutto, gli impose
un precetto che era assurdo per un
essere che conosceva la futura
determinazione delle anime (lettera 59);
eche il papa al postutto è un mago
ilquale vuol far credere che tre
nonsonoche uno, e che il pane non è
pane. » Fu in grazia di questo libro che
la elezione di Monte squieu all'Accademia francese fu viva mente combattuta dal
cardinale Fleury, il quale in nome del
renon vi consenti infine senza molte
sollecitazioni. Dopo unlungo viaggio nei
varipaesi d'Europa, tornato inFranciasi
accinse ascrivere lo Spirito delle
leggi, libro profondo di di Gesù. Montesquieu ( Carlo di Secon dat barone di)
Nacque a Bordeaux nel l'anno 1689 da ricca e nobile famiglia, Nel 1716 fu nominato presidente per scienza e
pregevolissimoper le congni zioni storiche, sebbene non tutti i principi propugnati possanodirsi egualmenteveri. Egli vi riconosce le leggi di Dio e quelle della natura, e confutando Hob bes
pretende che i selvaggi, anzichè petuo
delparlamento di Bordeaux e poi | combattersi, si uniscono in prima per eletto membro dell'Accademia poco pri ma
fondata in quella città. Per suapro pria confessione, Montesquieu fu uno degli uomini più felici che mai siano e
sistiti: nè invidia, nè gelosia vennero
mai a tormentare la sua ambizione, e
adempiere alla legge naturale della so ciabilità. Ma avrebbe detto più
giusta mente che i selvaggi si uniscono e si
combattono al tempo stesso , poichè
quest'unione ha per movente il solo in teresse momentaneo e si risolve
in 90 MORO aperta guerra tosto che cessa questo intero
in ogni parte del corpo, poichè
interesse (v. MORALE). In fatto di reli- cid varrebbe adire che la parte
è e gione lo Spirito delle leggi, pubblicato | guale al tutto; pure occorreva
aMorus da Montesquieu in età avanzata
assai, non è tale che possa far credere
che l'autore avesse modificate
notevolmente le sue idee. Crede che il
cristianesimo di stabilire che lo
spirito esisteva in qualche luogo, e per
ciò fare invento due estensioni, l'una
materiale ed este riore, l'altra spirituale, interiore; la pri ma, come direbbe
Kant, estensiva, la seconda intensiva.
Create le parole , non sia religione
adatta all'Asia, e di sapprova lo zelo dei missionari che vanno predicando lafede nell'Oriente, e nella Cina per costringere i popoli a cambiare lareligione. Combattendo l'in tolleranza
del suo tempo, egli scriveva questa
massima memorabile, la quale | speculativi di credere che le parole da parve aMore di aver creata la cosa, e poichè le parole eran diverse, credette anche che diverso dovesse esserne il significato, poichè è abito de' filosofi fu una delle accuse che la facoltà di teologia mosse contro al suo libro: Con viene
onorar Dio e non vendicarlo mai.
Nonostante queste disposizioni della sua
mente, dicesi che Montesquieu sia morto
riconciliato colla Chiesa. Tanto almeno
affermò il padre Routh, gesuita, in una
lettera al nunzio del papa a Parigi,
nella quale afferma che l'incredulo si è
a lui confessato abiurando tutti i suoi
errori. Ma di queste ed altre abiura zioni è sempre lecito dubitare, non
a vendo esse altrotestimonio che la troppo
interessata coscienza dei signori con fessori. More (Enrico) in latino Morus. Nacque a Gutham nel Lincolnshire il 12 ottobre 1614 efu unodei propugna tori
della scuola platonica in Inghilter ra. Ammetteva che la ragione potesse introdursi anche nella teologia, poichè, aparer suo, nulla vi era nel cristiane simo,
chele fosse contrario. Combat teva
l'entusiasmo delle turbe, conside randolo giustamente come una malattia contagiosa, mentre d'altro canto am metteva
come cose vere tutti i racconti popolari
che potessero provare l' esi stenza di un mondo spirituale. Bello è vedere in qual modo egli stabilisca l'e
sistenza dello spirito entro il corpo, in
tutte le parti del quale diceva che non
si può credere che lo spirito sia dif fuso , senza ammettere che come
il corpo risulti composto di parti. Nem
meno si può credere che lo spirito sia
essi inventate esprimano veramente le
cose come sono. Moro (Tommaso)
Nacque aLondra nel 1480, studio
all'università d' Oxford e fu presto
elevato alla dignità di Gran Cancelliere
da Enrico VIII, carica nella quale durò
due annisoltanto,dopo iquali si ritirò
in una sua villa e Chelsea. Ma
sopraggiunta la rivoluzione religiosa in
seguito all' affare del divorzio, rifiuto di giurare per la supremazia religiosa del príncipe, che sottraevasi così alla Corte di Roma, fu rinchiuso nella Tor re e il
6 luglio 1535, persistendo nelle sue
convinzioni cattoliche, fu mandato al patibolo. È strano che un uomo di convin zioni così
fermamente cattoliche abbia scritta '
Utopia; ma ricordiamo che questo libro,
fatto nella sua gioventú, comparve nel
1516 aLovanio in latino, col titolo: Del
migliore degli stati pos sibili, e dell'isola d'Utopia nuovamente scoperta (De optimo reipublicæ statu, deque nova insula Utopia). In questo libro che fu tradotto in tutte le lingue d'Europa, Moro descrive un'isola imagi naria,
nella quale la comunità dei beni
coesiste col matrimonio e colla famiglia. Il principe è eletto avita; il divorzio con
cesso solo neicasi di adulterio; le città
hanno ciascuna una religione di propria
scielta, e la tolleranza è generale. Il
governo d'Utopia riposa su queste tre
basi: assoluta divisione dei beni edei
mali fra i cittadini amore fermo e MORALE 91
universale della pace- disprezzo del- | riti sono cost differenti e
d'altronde le l'oro e dell'argento. Ho vergogna di ceva Moro, di non poter dire
con pre cisione in qual mare sia situata l'isola di cui parlo ». E nel 1517 Budée scri veva:
Aforza d'informazioni, ho scoperto che
l'Utopia è situata al di là dei li miti del mondo conosciuto ». Morale. Lamorale è ilfondamento dell'etica. Essa è la regola dei costumi e per essa si stabilisce l'ordine
mediante ✓il quale gli uomini viventi in società sono condotti a godere, senza contrasti religioni stesse cost ben st accordano
nel condannarsi vicendevolmente, che non
si ha bisogno inquesto caso,d'altra
testi monianza che di quella che esse mede sime spontaneamente ci forniscono
le une contro le altre. Ma anche trala
sciando la parte cerimoniale, eoccupan doci di quelle sole massime le
quali sono date come regola dei costumi,
le contrarietà che si notano fra i vari
co mandamenti ofraessie le prescrizioni del laciviltànostra, sono tali e tante,
damet morale, in un gran brutto impiccio. Po e senza lotte, la maggior felicità
possiter l'uomo che va intracciadi una sana
bile. Determinare i doveri ed i diritti,
acciocchè gli atti nocivi agli individui
o alla società siano impediti, eincorag giati invece quelli che
ridondano a van taggio dell' umano consorzio, è dunque ufficio della morale. Sotto questo rap porto
si può dire che la morale di un chi
esempi basteranno aconvincerci. Prendasi
il Codice di Manou, se non il più
antico, certo uno de' più antichi codici
sacriche siconoscono. Ivi si legge
popolo è la più esattamisura della sua
civiltá. Intorno aquesti
principii che sem brano tanto ovvii, non tutti però si ac cordano; e perdurano
ancoracerte scuole filosofiche le quali
si ostinano a dare alla morale ben altro
fondamento. II maggior numero si accorda
ancora con la teologia, e ammette tra la
religione 1 che il bramano venendo al mondo è collocato innanzi a tutti sopra la
terra, sovrano signore di tutti gli
esseri..... Tutto quanto il mondo
racchiude è, in certaguisa, sua
proprietà. » (Lib. 1. versetti 99-100).
Questo santo uomo ha tutti i diritti ed
assai pochi doveri, fuori di quelli
religiosi. 11 Kchatrya lo difen de, il Vaicya lavora per lui. Se la sua donna gli è infedelé, il re la faccia di
vorare dai cani sopra una piazza pub blica assai frequentata. (Lib. VIII, ver
setto 37) Egli condanni l'adultera ed il
suo complice ad essere bruciati sopra
un letto di ferro arroventato (L ib. VIII verso 372) In ricambio convien essere pieni d' indulgenza per le sue piccole imperfezioni, dappoichè per essere bra ela
morale una così intima unione, da non
permettere che questa si separi da
quella senza distruggerla; epperò le a zioni degli uomini vuole che
siano o non siano morali in quanto si
confor mano aiprecetti religiosi. Hanno costoro
lapretesa, comune del resto a tutti gli
altri, che la morale è unica ed univer- | mani non si cessadi
esseruomini. « Se sale, propria, cioè,
di tutti gli uomini e di tutti i tempi,
e non si accorgono che così affermando
pronunciano lapro pria condanna. Imperocché i principii morali d'ogni religione son cosi diversi fra di loro, e bene spesso così opposti, che il volerli conciliare insieme è im presa,
nonchè da tentarsi, neppur da (Lib. XI
vers. 130 o 131). Conmaggior ragione
ilbramano ha il diritto di obbligare il
soudra, « che > (Lib. VIII vers. 13). Se meglio gli ag grada
può derubarlo con tutta pace di
coscienza, così dice il codice (Lib. VIII
verso 417). Che se il Soudra, que sto essere infame, prodotto dalla parte inferiore di Brama,ha poi l'audacia di dare dei consigli al bramano, un terri bile
castigo gli è riservato. « Il re gli
faccia versare dell' olio bollente nella
bocca e nelle orecchie. (Lib. VIII. verso 299). Se egli ha l' audacia di prendere costituire agli occhi di Manou lagra vezza
del delitto e che solo espone alla
punizione. « Il Dawdja, dice il codice, ❘ posto allato ai gloriosi bramani, deve >
(Ecclesiaste, XXXIII, 28, 29, XLII, 1,5,) Il divieto di colpire il figlio per lecolpe del padre. (Deut , XXIV, 16) è degno di nota; ma è però singolare che lo stesso Pentateuco in altri passi contra sti
il merito di questa disposizione le gislativa, rappresentando la divinità co me
disposta acolpire l'iniquitàdei padri
sui figli sino alla decima generazione, e imponga una pena,allora infamante, ai bastardi. (Deut., XXX, 2) Fragli altri popoli dell' antichitànon sarebbe difficile trovare esempi nume rosi di
morale depravata, secondo le nostre
idee. Di eid che pensassero gli antichi
intorno alla continenza e alla lussuria
si è lungamente discorso in questo
Dizionario all' articolo AMORE, dove si
vedranno donne offerenti nel dei, ed
uomini deliranti , che si re cidono le parti genitaliperguadagnarsi il paradiso. Di sacrifici umani per pla care
la collera degli Dei son piene le
cronache antiche, e non si può affer mare con sicurezza che ancor non
si rinnovino tuttodi in qualche
lontana parte della terra. Per lo meno,
il signor de Varigny ci assicura che
nelle isole Sandwich lamemoriadi queste
ecatom be di vittime umane immolate sull'altare
degli Dei, è viva ancora nelle tradi zioni di quei popoli,
fortunatamente or mai incamminate sulla via della civiltà (Viaggio alle isole Sandwich) Tali sono i risultati della universa lità
della morale religiosa. Ma vi è una
certa classe di filosofi, i quali non vo lendo assumere la responsabilità
delle contraddizioni teologiche, e
riconoscendo che una separazione tra i
dommi reli giosi ed i morali è necessaria, respin gono l'appoggio che
spontaneamente offre a loro la Chiesa, e
fondano ad drittura l'ordine morale o sopra Dio, come facevavano i deisti del secolo pas sato,
o sopra certi principii metafisici nei
quali l' oscurità è un carattere pre dominante. Gli uni e gli altri press' a
poco ragionano all' istensamaniera, poi chè suppongono che, non già nella re
ligione, ma nella stessa natura umana
siano i caratteri ingeniti, indelebili della morale. Se non che i primi ammettono che questo carattere, o questa intuizio
nemorale, sianostati impressı da Dio al l'uomo siccome facoltà innata; gli al
tri l'origine non curano e, come fa cevano gli scrittori della Morale Indi
pendente, si occupano del fatto che tro vano, senza cercare, del come sia av
venuto. « La nozione del dovere, dice De
Gerando, è una nozione semplice,
primitiva, che non può definirsi, colla
decomposizione in altri elementi, ma si
affaccia alla riflessione quando interroga i fatti intimi della coscienza ...
La legge morale è obbligatoriaper
se stes sa, è riconosciuta e applicata dalla ra T 96 MORALE
gione; e riscontra nella coscienza una
facoltà, un senso speciale, che può, a
buon diritto, essere chiamato il senso
morale». In tal manieracome giàBaum garten ebbe l' infelice idea di
trovare un senso speciale per l'
estetica, De Gerando ne trova un' altro
per la mo rale. Ma sappiamo oramai quanto val gono questi sensi speciali con
cui alcu ni filosofi troppo corrivi sogliono in
realtà occultare le loro nebulose teorie, non possibili a concepirsi coi sensi
veri. Confesso che creando sensi nuovi,
facile fondamento si dà a qualsivoglia
teoria, per strana ch' ella sia; ma il
vantaggio èdi poco momento, poichè la
vera dif immagin AC ficoltà non consiste
nel creare cotesti sensi, ma sì nel
provare che essi esisto no veramente. Ma quando coi cinque sensi che possediomo, e che la fisiolo logia
solo riconosce; quando colle no stre passioni possiamo spiegare i feno meni che
sembrano più ribelli agli ar gomenti della scuola spiritualistica, non vedo proprio qual necessità ci siadi in
ventare o di supporre nuovi sensi o
nuove facoltà, che sempre mancano di
banditi delle caverne e fra le associa zioni dei più grandi scellerati;
dimodo chè coloro che sembrano avere rinun ciato ad ogni carattere d'uomo,
sono fedeli gli uni agli altri e
osservano fra loro le regole della
giustizia. lo am metto che i banditi usino così fra di loro, ma nego che ciò avvenga incon
siderazione delle regole di giustizia e
pei principii innati che sono impressi
nella loro anima. Essi osservano que sti principii soltanto come una
regola di convenienza assolutamente
necessa ria per conservare la loro associazione. La giustizia e la verità sono i vincoli necessari d'ogni associazione d' uomini, ed è per questo che i banditi e i ladri sono obbligati di osservare la fedeltà,
e qualche regola di giustizia fra di
loro; senza di che essi nonpotrebbero
vivere insieme. Si dirà forse che la con dotta dei briganti é
contraria alle loro cognizioni, e che
essi approvano tacita mente nella loro anima, ciò che smen tiscono colle
azioni. Rispondo prima mente che ho sempre credutochenonsi potesse meglioconoscereil pensiero degli dimostrazione. Or, De Gerando non si è curato di ciò cha prima di lui con tanta evidenza aveva detto la scuola sensualistica. Im
perocchè Locke avesse già discussa e
sciolta quest'ardua questione. Ecco cosa
scriveva il filosofo inglese. Per sape re se vi sia qualche principio
dimorale nel quale tutti gli uomini
convengono, io mi richiamo a tutti
coloro ch'hanno qualche conoscenza della
storia del ge nere umano, e che hanno, percosì dire, perduto di vistailcampaniledel lorovil
laggio.Mi dicanoessi ove si trovi questa
verità pratica che sia universalmente
riconosciuta, come dovrebbe essere se
fosse innata? (e sarebbe innata se un
senso speciale fosse stato dato all'uomo
per percepirla). La giustizia e l'osser vanza dei contratti par che
siail punto sul quale gli uomini si
accordano per dare il loro consenso. É
un principio, per quanto si dice,
accolto perfino dai uomini che dalle
loro azioni. .. Sela
natura si è data la pena di imprimere
nell'anima nostra dei principii pratici,
certo dev'essere stato affinchè essi siano messi in opera; e per conseguenza de vono
produrre delle azioni conformi, e non
già un semplice consenso che li faccia
ricevere siccome veri. Confesso che la
natura ha dato a noi tutti il desiderio
di esser felici e una grande avversione
per la miseria. Son questi dei principii
pratici veramente innati, i quali
secondo la destinazione di ogni
principio pratico, hanno una continua
influenza sulle nostre azioni.
.. L'os servanza dei contratti è
certamenteuno dei più incontestabili
principii di mo rale. Ma se voi domandate a un cri stiano che crede alle
ricompense e alle pene future , per qual
ragione devesi tenere laparola, vi
risponderà: Perchè Dio, arbitro supremo
della felicità e della infelicità eterna,
ce lo comanda. MORALE Un discepolo di
Hobbes dirà: che il pubblico vuole che
così si faccia, e che Leviathan punirà i
trasgressori. Infine un filosofo pagano
avrebbe risposto che il violare
lapromessa è cosadisonesta, indegna
dell'eccellenza dell'uomo, econ traria alla virtù, la quale inalza la 97 se
ne troveràuno solo il quale abbia
sufficiente forza per sopportare il bia simo e il disprezzo continuo
della so cietà in cui vive. «Si dirà
forse che poichè la co scienza ci rimprovera l'infrazione delle regole morali, devesi inferirne che noi natura umana al più alto grado diper fezione
possibile. Da questi differenti
principii deriva naturalmente lagrande
diversità d'opinioni che siincontrano fra gli uomini intorno a certe regole di morale, secondo le differenti specie di felicità a cui tendono. Oltre le leg gi religiose e civili, v'è
ancora lalegge di opinione o di
riputazione, che ci fa essere morali. È
chiaro che i nomi di virtù e di vizio
considerati nelle loro applicazioni particolari
sono costante mente attribuiti a tali o tali altre a zioni, che in ciascun
paese e in ogni società sono reputate
onorevoli o ver gognose. Or chiunque si immagina che l'approvazione e il biasimo non siano dei motivi sufficienti per obbligare gli uomini a conformarsi alle opinioni e alle massime di coloro fra i quali vi
vono,non parrebbe molto instruitonella
storia del genere umano, la maggior
parte del quale si governa principal mente, colle leggi della pubblica
co stumanza. D'onde risulta che essi pen sano sopra ogni cosa a conservare
la stima di coloro che frequentano,
senza darsi molta pena per le leggi di
Dio o per quelle dei magistrati. Alle
pene che sono attribuite all'infrazione
delle leggi di Dio, alcuni, e forse il
maggior numero, non pensano seriamente;
efra coloro che vi pensano, molti
sperano di mano inmano che violano
queste leggi, che un giorno si
riconcilieranno | col loro autore! E
quanto alle pene in- | flitte dallo
Stato, sperano sempre nel l'impunità. Ma non vi è uomo il quale violando le consuetudini e le opinioni di coloro che frequenta, ed ai quali vuol rendersi accetto, possa evitare la penadella loro censura e del loro dis degno.
Sopradieci mila uomini, non ne
riconosciamo la giustizia e l'ob bligazione. Rispondo che queste regole ci sono insegnate dall'educazione, dalla compagnia che frequentiamo e dai co stumi del
paese: e una volta stabilita la
persuasione della morale, lacoscien zanon diventa altro che l'opinione che noi abbiamo della rettitudine morale e della perversità delle nostre azioni, secondo i principii appresi. Or se la coscienza fosse una prova dell'esistenza di principii innati, questi principii po
trebbero essere opposti gli uni aglial tri, poichè certe persone fanno per principio di coscienza, ciò che altre e
vitano di fare per lo stesso motivo.
«Si trovano nella Mingrelia, scri veva Charpin citato da Buffon (Op.
T. 10 р. 399), delle femmine
bellissime, che hanno un'aria maestosa e
il porta mento ammirabile, e che spirano dagli occhi una dolcezza che innamora. Por tano un
abito simile a quello dellePer siane, sono civili e affettuose, ma per
fidissime, e non vi è ribalderia di cui
non facciano uso per farsidegli amanti,
per conservarli o perderli. Gli uomini
hanno similmente molte cattive qualità.
Vengono educati al ladrocinio, e in MORALE 99
questo esercizio fanno consistere il loro | favore d'essere sepolti
vivi, i figli più impiego, il loro
piacere e la loro glo ria. Raccontano con estrema soddisfa zione i loro furti,
e vengono perciò lo dati universalmente. L'assassinio, il fur to, la menzogna
sono per essi azioni assai belle. Il
concubinato, la bigamia, e l'incesto
vengono considerati come abitudini
virtuose. Gli uni rapiscono le mogli
degli altri, prendono senza scru polo la zia, la nipote, e la zia della propria moglie; sposano due o tre don ne in
una sola volta, e mantengono quante
concubine vogliono. Imariti mo strano pochissima gelosia per le loro mogli; e quando le trovano sul fatto con qualche galante, hanno diritto di obbligarlo a pagare un porco; e nonsi pigliano d'ordinario altra vendetta, e mangiano fra loro tre l'animale. Pre tendonoche
siaun costume assai buono elodevolissimo
quello di avere molte femmine e
concubine, mentre per tal modo si
procreano molti figliuoli, che si
vendono a denaro contante, o si cam biano con vestimenti e viveri. > L'abbandono dei malati, quello dei parenti troppo vecchi od infermi, è una regoladella maggior partedei selvaggi. Gli Esquimesi si prendono la cura di costruire una tana di ghiaccio nella quale li richiudono ancor viventi; ma i Neo-Caledoni non si danno poi tanta fatica. Scavare unafossa e gettarvi den tro
ancor vivi i genitori decrepiti, od i
malati tediosi, è un procedere più spe dito e che la morale neo-caledone
non condanna. Il paziente d' altronde
trova questo trattamento affatto
naturale; tal volta anche si prende la briga di sca vare da se stesso la sua
fossa, e solo domanda ai suoi parenti il
lieve servi zio di un colpo di mazza. (De Rochas Nouvelle Caledonie.) AViti (Lubbock- Les Sauvages modernes d'apres Williams et le capi taine
Wilkes ) se accade che i vecchi
genitori, sia per dimenticanza, sia per
un amore smoderato ed inconveniente
della vita, ritardino un po' troppo il
o meno dolcemente insinuano loro come
sia veramente tempo di farla finita;
dopo di che il seppellimento si compie
alla piena luce del sole, non senza so lenizzare lacerimoniaconunbanchetto, al quale sono convitati i membri della famiglia ed i genitori stessi. I mede simi
Vitiani, allorquando muore un
personaggio di qualche importanza, han no l'abitudine di seppellire con
lui le sue donne predilette e qualche
schiava, che hanno però la cura di
sgozzare. Ghiotti oltre ogni
diredellacarne umana, questi isolani
ingrassano gli schiavi per mangiarli.
Talvolta li arrostiscono vivi per
divorarli tosto; tal altra aspettano
agustare il cadavere fin che abbia rag giunto un certo grado di
putrefazione. A Viti ogni pasto
officiale deve avere un piatto d'uomo
nella sualista, e mol to disdirebbe se ciò non fosse. Tenero come l'uomo morto, è il più grande elogio che si possa fare d'una vivanda qualunque; e perciò la carne umana ha un nome significativo: puabba balava, ossia lungo porco. OgniVitiano chesia ben allevato, fino dalla sua infanzia ha appreso abasto nare la
madre sua, e la sua maggiore ambizione è
d' arrivare fino ad essere un grande
assassino, ad acquistare, per esempio,
la meritata considerazione di cui godeva
Ra Undre-Undre capo dei Raki-Raki, che
potevagloriarsi di aver mangiate
novecento persone da solo, senza
permettere a chi si fosse di pren dere la sua parte. I Vitiani d' altronde sono intelligenti, assai cerimoniosi, indu
striosi e d'una squisita politezza.
Nella NuovaCaledonia troviamo dei
gusti e dei costumi analoghi. I quaranta
o cinquanta mila individui che abitano
questa fertile isola, trascorrono la loro vita nello scannarsi reciprocamente, so
vente, senza altro motivo che il deside rio d'aggiungere un pezzo d'uomo
agli ignami ed alle radici che
costituisco no il loro abituale nutrimento. Di so lito è una tribù vicina che
fornisce 100 MORALE il miglior piatto delbanchetto, ma tut
tavolta non è raro di vedere un capo
invitare gli amici a mangiare qualche
duno de'suoi servi. All' infuori del pa ziente, tutti trovano che è
questa una pratica assai
semplice,legittima, ed an che gloriosa per il principe. Un capo della tribù di Heinguène chiamato Bou rano
messi a morte dai loro genitori.
Bougainville nel suo Viaggio intorno
al mondo, così parla della sua perma nenza all'isola di Taiti. Ogni giorno,
> Acciajo >
Piombo> 12 Carta
13 Cartone> 14
14 Crine 15
Vermiglio Paglia 16
15 Biondo . ecc .
Bronzo . >
Nove Dieci 11
Fante 12 Dama
Re . ecc
Leone 12 Anna
. ecc PAESI
OGGETTI Italia Alfonso
Fazzoletto Spagna Temperino
Svizzera Camillo Inghilterra
Francia Berta Moneta
Elisa Ciondolo Ventaglio
Alberto Occhiali Anello
Adriana Chiave 11
Suggello Catena .
ecc Germania Prussia
Russia Turchia Belgio
. ecc MAGNETISMO
135 ecc ecc 136
MAGNETISMO ANIMALE Per meglio
intendere la cosa, fac ciamo un breve esperimento. Noi
siamo in una brigata di parecchie per sone delle quali conosciamo perfetta-- mente il nome, ed a cui abbiamo già fatto riferire un numero per distinguer le.
Dopo brevi passi magnetici, la no stra sonnambola sbadiglia alcun poco, socchiude gli occhi e ci fa la grazia di addormentarsi. In questo esperimento si può bendare gli occhi alla sonnam bola,
sebbene d' ordinario i magnetiz zatori non si prendano questa briga. Ma essi agiscono con una chiave più complicata, anche con segni non vocali, come più innanzi vedremo, e la son nambola ha
allora bisogno degli occhi. Dopo aver
reclamato dall' adunanza il silenzio e
la fede, perchè non sia stur bata l'efficaciadel fluido, incominciamo l'azione.
D. Vi sentite in istato di completa
lucidità? R. Mi pare di poter
soddisfare al vostro desiderio, tuttochè
mi senta abdiglia alcun poco, socchiude
gli occhi e ci fa la grazia di
addormentarsi. In questo esperimento
si può bendare gli occhi alla sonnam bola, sebbene d' ordinario i
magnetiz zatori non si prendano questa briga.
Ma essi agiscono con una chiave più
complicata, anche con segni non vocali,
come più innanzi vedremo, e la son nambola ha allora bisogno degli
occhi. Dopo aver reclamato dall'
adunanza il silenzio e la fede, perchè
non sia stur bata l'efficaciadel fluido, incominciamo l'azione.
D. Vi sentite in istato di completa
lucidità? R. Mi pare di poter
soddisfare al vostro desiderio, tuttochè
mi senta abbattuta. Vi prego perciò di non affati carmi troppo. D. Terrò conto della vostra racco
mandazione. Intanto VEDIAMO se sapreste
dirmi il colore di questo oggetto ? R. È bianco.
D. GUARDATE qual' è la sua forma.
R. Quadrata. R. Elisa. D. ORA ditemi qual mano vi ha mo strato R. La sinistra. D. GUARDATE quante dita ella alza. R. Quattro.
D. E ADESSO quante ? R. Soltanto
due. D. VEDIAMO che forma ha l'
oggetto che tiene in mano Camillo. R. Rotondo.
D. POTRESTE voi dirmi che cosa sia?
R. Una moneta. D. INDICATENE il
metallo. R. D' argento. D GUARDATE bene in qual paese fu coniata.
R. In Inghilterra. D. POTRESTE
dirmi a qualmano Elisa ha posto l'
anello che poc' anzi vi ha
mostrato? R. Alla sinistra. D. VEDETE a qual dito. R. Al pollice. D. ADESSO ditemi a qual falangedel pollice.
R. Alla seconda. D. DESIGNATE la
persona che mi ha dato un libro. R.Alberto.
D. VEDIAMO- ORA- PER FAVORE a
qual pagina io apro il libro. R.
Alla pagina 190. D. GUARDATE-ADESSO
quest' altra pa D. ORA ditemi quale oggetto ha in gina. mano Camillo.
R. Un anello. R. Ad Elisa. R. É la pagina 42. D. Vi sentite abbastanza lucida per D. INDICATE a chi appartiene l'anello.
leggere? R. Ohimè! vi ho già detto ch'
era D. PROCURATE di sapermidire a chi
abbattuta. Di grazia, non vogliate dun Camillo lo ha consegnato. R. A Giorgetta. D. ADESSO ditemi con qual mano Giorgetta lo ha preso. R. Colla destra. que stancarmi troppo. D. Eppure bisogna che questi si gnori abbiano
un saggio della vostra
chiaroveggenza ... Lo voglio!
R. Concedete almeno che legga una
sola lettera per volta D. VEDETE
ADESSO di che cosaè l'og getto sul quale essa pone quell'anello ? | questo
esperimento mi affatica. ... R. Lo vedo è di carta. D. INDICATE lapersonache vi mostra una delle sue mani. sapete che
D. Sia. NOMINATE la prima lettera di
questa parola. R. (Dopo alquanto
spasimo) è un C. MAGNETISMO ANIMALE D.
VEDIAMO la seconda. R. È un A. D. VEDIAMO PROCURATE di dirmi la 137
Unbravo magnetizzatore ha bisogno di
comunicare il pensiero senz'uopo di ri petere sempre le domande sopra
una terza. R. È unR.
chiave troppo limitata e che a lungo
andare potrebbe essere avvertita; e
D. VEDIAMO ancora, GUARDATE I' ul- prestigiatori Castagnola e Sisti che
si tima.
R. È un O. D. Benissimo. Tutti
possono vedere che qui è scritta la
parola Caro. Ma basta per la lettura.
Passiamo ad altro esperimento. PROCURATE
di dirmi quante carte ho in mano. R. Sette.
D. VEDETE chi me ne prende una?
R. ÉAlfonso. D. NOMINATE questa
carta. R. É il tre. D. BENE. E quale? R. Il tre di picche. D. (agli spettatori). Ora io debbo incaricarono di sbugiardare il magneti smo,
produssero con un semplice giuoco di
memnotica, fenomeni tali di trasmis sione di pensiero, da rendere attoniti e increduli gli stessi spettatori. Il lato mirabile del giuoco, è quello di indovinare il nome e l'uso e la for madi
quei piccoli oggetti chegli spet tatori, d'ordinario, presentano in simili circostanze, e di indovinare sopratutto senza uopo, per parte del magnetizza tore, di
dovere ad ogni volta variare la domanda. Al caso si può provvedere in due modi: coi segni, o colla voce; ma me chiamare
l' attenzione sopra un esperi- glio ancora con gli uni e con gli altri mento difficile e che non potrebbe rin
novarsi spesso senza molto affaticare il
soggetto. La mia sonnambola leggerà
un numero in cifre ... Chi avrebbe
la compiacenza di scriverlo sopra que sta carta? ... la
signora Benis simo ( alla sonnambola )
VEDIAMO, PO ... TRESTE- ORA PER FAVORE INDICARE la cifra che la signora ha scritto su questa carta?
R.(Dopoqualche sforzo) sono stanca,
non lo posso. D. Eppure lo
voglio! R. È il numero 15,906. Come ognunvede, il giuoco si riduce aben poca cosa, ad un artificio sem plice, ed
è davvero gran motivo di me raviglia che a cose tante dozzinali pre stino ancor fede gran parte degli uo mini.
Egli è pur forzaconvincersi, dopo un
certo numero di esperimenti, che tutti i
fenomeni di magnetismo si ridu cono a questo segreto. Veramente, la tavola memnotica può essere cambiata all'infinito. Quella che io ho dataè, co
medissi, elementare, e l'esperimento con
essa non potrebbe impunemente ripe tersi senza pericolo d' essere
scoperti. insieme. Tutto l'arcano sta
sempre nel creare nuovi segni, o vocali
o mimici, che sieno abbastanza
impercettibili per sfuggire al più
attento osservatore, e questi poi non
sono tanto difficili a for marsi, come può parere aprimagiunta. Una vocale accentuata, una consonante raddoppiata, un articolo premesso alla domanda, bastano per dare un nuovo numero. Un prestigiatore trasmetteva alla consorte il nome di un oggetto, senza che apparentemente mai cangiasse il genere della domanda. All' altro oggetto!- Tali erano le sole parole che invariabilmente accompagnavano la sua interrogazione. Ma quanti modi e quante forme non ha la voce per pro nunciare
una stessa parola? Infatti, per il solo
artificio della lingua, voi potete dare
a questa semplice domanda dieci diversi
significati, rappresentauti le disci
cifre, dalla cui combinazione possono
nascere tutti i numeri possibili.
Ν. Ι. L'altro oggetto Dell' altro
oggetto All' altro oggetto O l'altro oggetto «2.
«3. «4. 1 138
MAGNETISMO ANIMALE Ed eccovi già,
con unasemplice de clinazione, quasi quattro numeri. Non occorre dire che gli articoli premessi,
si pronunciano rapidamente, quasi
fossero errori di lingua. Il
quintonumero lo si può comporre, per
esempio, pronun ciando la rdella parola altro, col suono francese, e per gli altri cinque, neces sari
a comporre la decina, si raddoppia la
voce e si accentuano le sillabe. Con
questo mezzo voi trasmettete una sola
cifra, ma la combinazione dellaseconda
cifra può farsi con un altro alfabeto
tutto mimico. L'essere voltato a destra
piuttosto che asinistra, l'alzata dell'una piuttosto che dell'altra mano, son tutti segui che sfuggono all'osservazione de gli
spettatori, ma che servono assai bene
alla sonnambula. Questa, infatti, ha già
studiato amemoria unaspeciale nomen clatura per la quale, al nome di
ciascun oggetto corrisponde un numero. E
per chè il linguaggio dei segni non riesca
di soverchio intralciato per dover ri correre alla composizione di più
nume ri, giova assai che i numeri siano di visi in parecchie tavole. Sicchè, il
nu mero che, acagiond'esempio,viendato
colla voce si intenderà corrispondere,
poniamo, alla tavolaA, e quel che vien
dato col segno s'intenderà riferirsi al
numero speciale di quella tavola, equindi al nomeche aquelposto vi si trova in scritto.
Del resto, molti sono i mezzi per
comunicare il pensiero, ed è sem pre utile il comporre alfabeti di due o tre sorta, pernon lasciarsi cogliere
alla sprovvista. Un magnetizzatore
comuni cava il pensiero senza parola e senza
gesti: si poneva dietro alla sonnambola
ecolle braccia tese le inviavailpotente
suo fluido, sbuffando come un-mantice.
Chi avrebbe mai sospettato che egli
aveva composto un alfabeto sul sem plice modo della sua respirazione? Per chi dunque voglia sinceramente che l'osservatore siadotato diuna certa penetrazione delle cose,diuna provata esperienza e che sopratutto si trovi li bero
da quegli impacci sociali,daquelle
deferenze, che d' ordinario in una riu nione di persone impediscono di
dubi tare di tutto e di tutti, di non accredi tar fede all' altrui parola, di
voler ve dere e toccare con mano ogni cosa, di
variare l'ordine degli esperimenti e di
volerli riprodotti in diverse circostanze. Le arti dei magnetizzatori sonomolte e varie e perciò la regolasicuraper isco prirle
deveemergere, asecondadei casi, dalla
prontezza ed accortezza dell'osser vatore. Importanotareche ifenomenidel sonno, della catalessi, dell'
insensibilità periferica dell'
epidermide, del rallenta mento del polso e simili, non debbono mai considerarsi come prove valide nella questione. L'esercizio può produrre una tensione de'nervi superiore all' ordina
naria, e la semplice volontà di tendere
con forza i muscoli del braccio, può
rallentare la circolazione di quel mem bro. Talora anche si ricorre ad
un cinto di gomma elastica che circonda
il brac cio sotto l'ascella, il quale con un
semplice movimento stringe le vene e
toglie il libero corso alla circolazione. Io stesso sono riuscito con una gran tensione dei muscoli e rallentando, per quanto è possibile il respiro, a modifi care,
se non a sopprimere del tutto, la
pulsazione di un braccio. Fra-i
fenomeni prodottidai magne tizzatori ve n'è uno che maggiormente impone al pubblico, e che i magnetiz zatori
tengono in serbo siccome l'espe rimento più adatto aridurre al silenzio l'incredulità. Sanno tutti che voglio parlare della perforazione del braccio. I magnetizza tori
sogliono in codesto caso trapassare il
braccio del supposto magnetizzato con un
lungo spillo d'oro, senza che il
paziente dia pur segno d' avvedersene,
e, cosa ammirabile, quand'eglino estrag gono dal foro quello spillo, non
una e senza idee preconcette esaminare
i così detti fenomeni del magnetismo a
nimale, la buona volontà, se ne accer tino pure i lettori, non basta. Bisogna |
goccia di sangue escedalla ferita. MAGNETISMO ANIMALE Il pubblico che d'ordinario non sa come si faccia quell' esperimento, ne resta fortemente impressionato; le si gnore
si coprono gli occhi per non ve derlo,e semai vigettanodi sbieco qual che
occhiata, ne sono sì commosse, e così
leggiadramente atterrite, che guai al
malcapitato che in quel momento 139 mentre la gomma tende a distendersi circolarmente intorno alla periferia, l'ago
comprime bensì la parte rotonda dek
braccio, manon può piegarsi per ab bracciarne tutta lacirconferenza;
d'onde quel leggero stiramento della
gomma ches'increspa sui puntiestremi
d'immer tentasse di disilluderle intorno al ma gnetismo. Comepotranno esse persuadersi che quell' esperimento che riesce sempre, e sempre impone, non è gran fatto dolo roso,
come generalmente si crede, eche non
occorre poi di essere magnetizzati,
nètampoco catalettici per sostenerlode gnamente? Madacchè sono sull'argomento, vo glio pur
persuadare i miei lettori, che in tutto
cotesto apparato d'insensibilità non vi
è cosa alcuna che veramente meriti la loro
sorpresa, dacchè il foro non trapassa
guari il muscolo del brac cio. Il magnetizzatore prende destre mente tra
l'indice e il pollice la pelle dell'
avambraccio, latira a sè, in guisa che
quel tessuto sommamente elastico corre
facilmente dai punti estremi della
periferia, al luogo dove ledita lo strin gono, e al tempostesso formando
come una piega l' allontanano dal
muscolo. Ed èlàdove le dita tengono quel
ri piegamento della pelle, il quale non è
più grosso di un mezzo centimetro,che
il magnetizzatore immerge l'ago da
sione e d' emersione. E appunto questo
leggero increspamento, che sempre si
osserva sulle persone così operate dai
magnetizzatori, come purelostudio che
questi pongono di volgersi in maniera
da non essere veduti dal pubblico nel
brevissimo momento in cui fanno de stramente quella operazione, mi con
dussero nel convincimento che lo spillo si
immerge soltanto nella pelle, corre tra
il muscolo e il derma, e se n'esce
ancora dalla pelle senza avere offesa
alcuna parte sensibile. Cosi spiegata la
cosa si capisce subito la ragione per
cui da queste ferite, per solito, non e see mai sangue, o una goccia al
più. Salvo quei pochi e sottilissimi
vasi san guignichesononelderma,nessuna vena
resta offesa, e la tensione del braccio
che viene alzato e tenuto immobile in
una finta calessi, lo spillo lasciato im merso per alcun tempo onde
tutti gli spettatori lo vedano e il
sangue leg germente e internamente si raggrumi,
sono motivi che dovrebbero farci mara vigliare che dalla ferita sortisse
sangue, piuttosto che del casoopposto.
Non ab biamoforsepiùdi unavoltaincertipaesi
veduto ai giovani vitelli e agli agnelli, vivi ancora,tagliare la pelledelle gambe posteriori presso l' unghia, estrarne i tendini e con quelli attaccarli vivi col parte aparte. Quindi, abbandonata la pelle, quella ritorna al suo posto, la piega si distende sopra l' ago e lo co pre
quasi interamente,dimanierachè, ad
operazione finita, par che l'ago sia pas- | capo abbasso, acciocchè
dalla ferita che sato attraverso al
braccio. Egli è come se si stringesse
fra le dita la manicadi un vestito di
gomma elastica. La gom macede, si allontana dal braccio e in quel sottilissimo strato che resta fra
le dita si può immergere unospillo.
Quindi se la gomma vieneabbandonata, si
di stende, comprime lo spillo contro il
braccio e là dove sono ifori forma due
lor si farà al collo più facilmente ne
sgorghi il sangue? Ebbene, spesso ho
veduto che da questi tagh, sempre ab bastanza ampi per poterne estrarre
i tendini, nonusciva goccia di sangue,
o tutt' al più rosseggiavano i
margini della ferita; e nel laboratorio
fisiologico del prof. Schiff, ho poi provato
più di unavolta aforare la pelle di un
cane vivo eterizzato senza che laferita,
fatta Ita piccole crespe, cagionate dal fatto, che
140 MAGNETISMO ANIMALE nel modo che si èdetto, accennasse pur anche a rosseggiare. In conclusione, se si pensa che i tessuti vivi trapassati dallo spillo non presentano in com plesso un
diametro maggiore di tre o quattro millimetri,
si capirà facilmente che il dolore
cagionato da quella ope razione deve essere ancora inferiore a quello che si prova nell'innesto del va
iuolo; e che perciò non occorre proprio
di essere magnetizzati per poterla so stenere senza presentare tracce
visibili di esteriore sensazione. Orcotestoesperimento,fatto e rifatto in privato, mi capitò appunto l' occa sione
di ripetere in pubblico nell'estate
dell'anno 1875, quando una sfida vera mente singolare era stata bandita
a Firenze dal magnetizzatore Zanardelli. In quella occasione ho pubblicamente eseguita la perforazione del braccio senza bisogno di ricorrere al magne tismo. Lo
spillo d'oro adoperato era lungo bennove
centimetri; la distanza fra il
puntod'immersione e quello d'on deusciva dalla pelle eradi sei centi metri,
sicchè sembrava che il braccio fosse
interamente perforato poco al di sopra
del suo diametro. Il dolore della
ferita, per quanto mi assicurò il prof.
Golfarelli, che gentilmente si prestò
come paziente , non fu maggiore di
quello che potrebbe recare una sem plice puntura cutanea, è dopo l'
opera zione, nè nei giorni successivi, ebbe a
soffrire il più leggero incomodo. Ben si
vede dunque che una operazione fatta
in queste condizioni non può gran che
spaventare le nostre finte sonnambole,
e che se l'amore per laverità può
spingere gli uomini onesti a sopportare
ben di buon grado il leggero incomodo
di quella puntura, l'avidità dell'interesse può renderlo sopportabilissimo a coloro che si fanno credere magnetizzati. Quando isignorimagnetizzatori siano posti in condizioni che escludano ogni possibilità di simulazione o di allucina
zione, tosto tutte le meraviglie magne tiche scompajono, e il preteso
fluido, nonchè essere inetto a generare
lachia roveggenza, è eziandio impotente apro durre qualsiasi apprezzabile
effetto. Fu questa conviuzioneche
indusse la Società dei Razionalisti di
Firenze a pubblicare il seguente
concorso ma gnetico: «La Società dei
Razionalisti di Fi (Wolf. Ontologia §
57 e 101.) Io convengo pienamente con
Wolf che l'impossibile è nulla; ma
sostengo ancora che è nulla anche il
possibile, perciocchè ogni possibile che
non sia in atto, non esiste ancora, e
ciò che non esiste è nulla. Io ho un bel
dire che fra una mezz'ora possc sperare
di avere riempita questa pagina di fitta
scrittura; ma finchè quella scrittura
non sia com parsa sulla carta, potrò io dire che qualche cosa esiste? Il possibile è una idea di pura relazione, e si riferisce
al fatti anteriori già osservati, che ci
in ducono nella possibilità che fatti simili si
ripetano ; questa relazione non può dun que esistere senza la cosa a cui
si rife risce. È la stessa distinzione che con vien fare per le funzioni in
atto e quelle in potenza. Finchè la
funzione non si estrinseca e diviene un
fatto, non può esistere. Io non posso
dire che esista il movimento di una
locomotiva ferma, sebbene sia possibile
che si muova. So bene che in potenza
essa ha questa fa coltà di moto, ma finchè la facoltà non si fa azione, moto non esiste. Concludo che la nozione del possi bile, è
nulta anch' essa, come quella dell'
impossibile. L'una e l'altra sono dei
puri concetti, e come tali esistono
subbiettivamente, solamente in quanto
ci rappresentano cose o fenomeni che i
sensi hanno percepito (possibile) o non
hanno mai percepito, e che perciò ri tengono impossibili. Mi pare che Dumarsais definisca i limiti del quesito nel seguente passo del suo Trattato dei Tropi: « Gli og getti
reali non sono sempre nella stessa
situazione: essi cambiano di luogo, spa riscono, e noi sentiamo
realmente que sto cambiamento e questa assenza. Al lora accade in noi un'
affezione reale, per la quale sentiamo
che non ricevia mo al un'impressione da un oggetto, la cui presenza eccitava in noi effetti sen
sibili: da ciò deriva l'idea di assenza,
di privazione, di nulla; di modo che,
sebbene il nulla sia in se stesso nulla,
questo vocabolo denota un' affezione
reale dell'intelletto ; cioè un'idea astratta che noi acquistiamo coll'uso della vita, nell'occasione dell'assenza degli
oggetti e di tante privazioni che ci
recano pia cere o ci affliggono ».
Nullismo o Nihilismo. Dot trina dei buddisti, per la quale credono essi che la suprema felicitá sia l'annien
tamento del corpo e dello spirito; sorte
riservata ai soli beati, i quali cessando di trasmigrare di corpo in corpo per
OCELLO-LUCANO dono lacoscienza di se
stessi e si con fondono in Dio (v. BUDDHISMO).
175 rità oggidi perdute ; ma
questa opinione non ha altro fondamento
che la ten Numero. Ciò che fu detto all'ar ticolo MATEMATICA, deve aver
chiarita la ragione per cui facilmente
gli uomini siano trascinati ad
attribuire ai numeri un valore simbolico
che ad essi manca assolutamente. Le
operazioni che, gra zie all'aiuto dell' insegnamento tradizio nale, si compiono
con grande facilità mediante i numeri, e
poi si riconoscono esattamente corrispondenti
alla realtà, hanno fatto credere a molti
che i nu meri non solamente fossero i simboli
dellecose, ma l'essenza delle cose stesse. Di tal novero furono Pittagora e Pla tone, i
quali introdussero nella filosofia i
simboli numerici, come se fossero per se
stessi dei principii propri a spiegare
le cose. Dei pregiudizi dei Pittagorici
intorno a questo argomento, così parla
Aristotile: > (Matt. V 29,30).
Nel suo vivo entu siasmo, Origene, interpretando alla let tera questo precetto,
si recise le parti genitali. La quale
mutilazione fu ap provata da Demetrio suo vescovo. Ma quando il nome e lafamadi Origene lo fecero chiamare a Cesarea per inse gnarvi
la scrittura nelle assemblee dei fedeli,
Demetrio cominciò ad essergli contrario;
e quando i vescovi di Cesa rea edi Alessandria lo ordinaronoprete, Origene nel suo libro contro Celso combattè le accuse che questo filosofo epicureo moveva contro i cristiani; ma il trattato di Celso essendo perduto, nonci resta alcun mezzo per giudicare il fondamento delle accuse, che dalla confutazione
dalle citazioni di Ori gene; il quale se abbia sempre citato fedelmente è lecito dubitare vedendo com' egli descriva Celso, così accanito nemico dei cristiani, e al tempo stesso credente nei miracoli di Gesù. Origene mort nel 263 in età di 69 egli disapprovò vivamente quella ordi- anni.
Di lui così scrisse S. Gerolamo :
nazione, e disse essere Origene irrego lare, avendo commesso un omicidio
so pra se stesso. Adund anche un concilio
contro Origene a cui fu intimato di
« Dopo gli Apostoli 10 considero Ori gene come il grande maestro
delle Chiese; l' ignoranza sola potrebbe
ne gare tale verità. Io mi caricherei volen uscire d' Alessandria . L'
ordinazione vivamente combattuta da una
parte e con altrettanto calore sostenuta
dai ve scovi di Alessandria e di Cesarea, ca giond molte turbolenze nella Chiesa,
e porse occasione a Demetrio di dimo
strare gli errori dommatici che quel
dottore della Chiesa aveva introdotto
nel suo insegnamento. Il Trattato
dei principii contiene l'e sposizione delle sue opinioni religiose. Secondo ogni evidenza Origene fu neo
platonico. (v. NEOPLATONISMO). Platone è
il filosofo antico che ottiene le sue
maggiori simpatie, e nella sua filosofia
egli trova chiaramente annunciata la
Trinità. Le anime senza corpo egli non
concepisce; fuor di Dio egli non vede
che esseri in relazione colla materia,
dotati di corpo. Questo carattere della
teologia origenista ci rivela che l' idea tieri delle calunnie di che gravato
venne il suo nome, purchè a tale prezzo
io potessi avere la sua scienza
profonda delle scritture ». Quantunque
fatta da un santo e da un padre della
Chiesa, non si può dire che questa
dichiara zione sia molto ortodossa.
Origenisti. Coloro che fondan dosi sugli scritti di Origene, sostene
vano che Gesù Cristo è figliuol di Dio
soltanto per adozione; che le anime e sistono prima di essere congiunte
ai corpi; che i supplizi deidannati
avranno unfine, eche i demoni stessi
saranno li beratidallepene dell'inferno. Alcuni mo nacid'Egitto e di Palestina
professarono queste opinioni, le
propugnarono con pertinacia e furono
cagione di gravi scompigli nella Chiesa:
ma vennero con dannati dal quinto concilio generale te nuto in Costantinopoli
l'anno 553, e in OTTIMISMO
quellacondanna rimase avvolto lo stesso
Origene. Erano allora gli
origenisti divisi in due sêtte; ma
nell'una e nell'altra pro fessavano tutte le sentenze de'librid'Ori gene. I
sostenitori della figliuolanza so 193
della grazia ha stabilito ilprincipio che Dio non può operare che per la sua gloria; d' onde conclude che Dio nel creare il mondo lo ha fatto secondo quell'ordine di cose che era più adatto lamente adottiva di Gesù Cristo asseri vano
altresì che nel giorno della risur rezione generale gli Apostoli sarebbero fatti eguali aGesù Cristo; perciò furono denominati isoscristi. Quelli che inse
gnavano essere le anime umane esistite
innanzi all'unione coicorpi, furono detti protocristi, voce indicante l'opinione
che sostenevano. Ignorasi donde sia
venuto aquesti il nome di tetraditi o
infatuati del numero quattro. Non deesi confondere questo orige nismo con
gli errori di un' altra sêtta i cui
partigiani vennero chiamati anch'essi
origenisti od origeniani da un Origene
loro capo, uomo affatto oscuro. Condan navano costoro il matrimonio ed
asse rivano che qualunque più enorme atto
disonesto non è peccaminoso. I Santi
Epifanio ed Agostino che ricordano que sto sozzo origenismo confessano
che nessun motivo vi diede il celebre
Ori gene, padre della Chiesa, ilquale, come
si sa, si tolse da se stesso le parti ge nitali per non cadere in
tentazione (v. EUNUCHI). Osservazione.VediEsperimento. Ottimismo. Sistema di chi af ferma che il
mondo in cui viviamo è il migliore dei
mondi possibili; che Dio stesso, sebbene
sia onnipotente, non po trebbe farlo migliore di quel che è, perocchè all'atto della creazione egli
ha appunto dovuto dispiegare tutta la
sua possanza per produrre opera degna
della sua perfezione. Malebranche e
Leibnitz furono i principali sostenitori
di questo sistema tutto teologico, col
quale essi intesero di confutare le
obiezioni di Bayle contro la provvidenza
e l'unità di Dio, dedotte dall'esistenza
del male (v. DUALISMO). Malebranche nei suoi Dialoghi me tafisici e
nel trattato Della natura e amettere in
evidenza le sue perfezioni. Egli fonda
quel suo principio, confron tando il sesto dei Proverbi, (XVI, 4) con le parole di S. Paolo ai Colossesi (I, 16) e ne deduce che Iddio, creando il mondo,nonsolamente ebbe per scopo l'ordine fisico e la bellezza dell'
opera, ma l' ordine morale e
sovranaturale di cui Gesù Cristo è, per
così dire, l'anima ed il principio, e
che dispiega ai nostri occhi i divini
attributi assai meglio che l'ordine
fisico dell' universo: perciò a voler
comprendere l' eccellenza dell' o pera di Dio, non bisognaseparare l'una dall' altra queste due considerazioni. >
(Ici, N.º 10). (N.° 10). Éfacile vedersi che qui si ritorna sempre alla solita petizione di principio. Non si esamina se ' imperfezione del mondo non derivi da ciò: che nessuna intelligenza creatrice presiedette alla sua formazione; sibbene si ammette già a priori questa intelligenza, per con cludere
che se essa ha scelto il mondo comesi
trova, è segno che questo mondo è il
miglioredei mondi possibili. Eppure non
sarebbe difficile concepire un mondo
migliore, ( v. ORDINE E PERFEZIONE ) e
alla onnipotenza di Dio non doveva es sere impossibile di farlo. Secondo
l'opi nione di Leibnitz, è falso che sul nostro
globo la somma dei mali superi quella
dei beni. « Il difetto d'attenzione, dice egli, è quello che diminuisce i nostri beni, e bisogna che questa attenzione venga in noi destata da una mescolanza di mali.
> egli sostitui quest' altra più
precisa e più conforme ai nostri
bisogni: > Dalla Grecia il panteismo
passò nella filosofia dei romani.
Varrone, Plinio il naturalista, i poeti
Manilio, Lucano e perfin Virgilio furono
accusati di aver partecipato a questa
scuola. Virgilio, di cono, ci parla di Giove come padre di tutti gli uomini e di tutti gli Dei; e Cicerone facendosi storico delle
dottrine sparse nella sua patria, ci
narra che secondo queste dottrine « l'
Essere ani mato, ricco di prudenza, e d'intelletto, è stato generato (non creato) inmaniera ineffabile dal Dio supremo ». Alquanto più tardi gli stoici romani abbandonan do il
panteismo per generazione, ab bracciarono quello per animazione. Lu cullo e
Balbo, secondo Cicerone, eransi
dichiarati per il mondo animale ed ani La scuola eleatica è più
esplicita. ❘ mato; e per il Dio anima del mondo. Senofane considera Dio come Uno e La quale
opinione Cicerone confutava 200
PANTEISMO mettendo in bocca all'
epicureo Vellejo | sospetti di averlo appoggiato. La sola queste parole: « Il nostro Dio è per lo meno felicissimo; mentre il vostro è so
prafatto dalle occupazioni e sfinito. Im perocchè o Dio è il mondo
medesimo, e alloraniuna cosa avvi meno
tranquilla di questo Dio, obbligato
continuamente a rivolgersi intorno all'
asse del cielo: questo Dio non potrebbe
essere felice, perchè felice non è chi
non ètranquillo: ovvero Dio è mescolato
al mondo per animarlo e reggerlo, per
vegliare al cor so degli astri, coll' occhio sempre vigi lante su tutte le
terre e su tutti mari perprocurare il
bene e conservare la vita degli uomini,
ed allora voi conver rete che questo Dio è schiacciato sotto il peso di tante sollecitudini e di tante no
iose cure » (De nat. deor) Nè pure il
panteismo pittagorico ap pagava Cicerone, il quale meravigliava che Pittagora ammettendo le anime u mane come
tante particelle della divi nità, supponesse implicitamente un Dio capace di soffrire e di essere lacerato abrani.
È opinione accreditata che il pan teismo delle scuole greche sia
passato anche nella filosofia
neoplatonica degli alessandrini. Ma
anche di questo pas saggio si hanno pochi indizi; e mag giori induzioni che
citazioni. Bayle nel suo Dizionario
critico accusa Plotino di essere
panteista, perch' egli diceva che ogni
cosa pareva non essere infine che una
sola sostanza, la quale non ha di visioni, nè differenze che nei nostri con
cetti. Noi non ne percepiamo che qual che parte solamente, le quali non po
tendo abbracciare nel loro insieme tras formiamo in esseri reali. (Ennead.
VI. 2, 3). Anche B. Constant crede che mal grado la
professione di fede deista dei
neoplatonici, quell' essere uno, esistente realmente, quell' anima universale con
tenente tutte le anime, quella materia
creata dalla forma e tutte le altre sot tigliezze di quei filosofi si
avvicinano troppo al panteismo perchè
non siano differenza, secondo Constant,
era nello spirito dell' epoca. Il
panteismo che a veva condotto Senofane all' incredulità, conduceva invece i neoplatonici all'en
tusiasmo. Anche parecchie sette del
cristiane simo furono convinte di professare un
panteismo mistico. Sotto il dualismo di
Manete, alcuni hanno trovato una ten denza unitaria, per la quale i
manichei insegnavano che il mondo è una
sola anima che si comunica atutti gli
esseri animati; non tutta a tutti come
si co munica la voce, ma dividendosi come
un' acqua distribuita in diversi canali.
Marcione e Carpocrate sebbene unitari,
anzi appunto perchè unitari, furono co involti nella stessa accusa; e
dei gno stici fu detto che ammettevano un solo
principio eterno, dalquale emanava ogni
essere spirituale e materiale. Queste ac cuse hanno forse per fondamento
una soverchia generalizzazione. Ciò nono
stante, bisogna credere che il panteismo,
o aperto o latente, fosse assai divul gato anche nei primi secoli del
cristia nesimo, perchè i padri mettessero tanto
impegno nel combatterlo. Lattanzio lo
confuta nel libro De vita beatu (lib. VII); e S. Agostino nel libro II De Genesi (Cap. VIII) combatte imanichei, e nella Città di Dio (lib. IV cap. XII) coloro che dicevano che ogni cosa era parte della divinità. Anche S. Crisostomo e dopo
di lui Teodoreto nelle loro spie gazioni sulla Genesi confutarono l'opi nione
di coloro che sostenevano essere l'anima
una parte della divinità. Écosa
singolare che il panteismo, oggetto di
tante censure da parte dei padri,
risorgesse poi nel seno stesso della
filosofia scolastica, essenzialmente
cattolica, e trovasse maestri e propu gnatori in Davide de Dinant,
Almarico e generalmente in
tuttiirealisti (v. Sco LASTICA). Non è però soverchio avver tire che questi,
più che filosofi, teologi, nonfurono
scientemente condotti alpan teismo, e che questo sistema filosofico
PANTEISMO s' induce come necessaria
conseguenza de' loro principii,
piuttosto che essere stato dichiarato da
essi come profes 201 veramente non dice
S. Giovanni che nel principio era il
Verbo e il Verbo era Dio, che ogni cosa
è stata fattaper esso sione di
fede. Maggior fondamento ha
l'accusa fatta a Giordano Bruno, del
quale così parla il padre Ventura.
>> Hegel vuol invece che l'unità
esista nella sostanza; e la sostanza che
sola esiste, che sola pensa siaDio, il
quale si manifesta nel mondo
finito. Io ho appena accennatoleultime
fasi del panteismo. Ricaduto
neltrascenden tale esso riproduce le solite antinomie degli scolastici; senza averne la chiarez zae
la potente dialettica, si aggira in un
circolo vizioso di parole mal defini te, e di continue equivocazioni. Èdunque stretta giustizia il dire che Spinoza fu l'ultimo vero panteista che abbia fondato una scuola. Papa. Il nome di papa, che signi fica padre,
anticamente era dato dai fedeli a tutti
i sacerdoti; divenne in seguito un
titolo di dignitàpei vescovi, efu in
fine riservato al solo vescovo di Roma,
quando questi pretese il pri mato. Per i cattolici è articolo di fede che San Pietro è stato capo del colle gio
apostolico e pastore della Chiesa
universale; che il romano pontefice è
il successore di quel principe degli
apostoli » ed ha come lui potestà e
giurisdizione su tuttalaChiesa. Il Con cilio di Trento (Sess. VI de
réform. C. I. Sess. XI c. 7) ha
espressamente de finito che il sommo pontefice è il vi cario di Dio sulla
terra, ed ha la su (XVI, 18) ove è scritto che Gesù disse aPietro: > Dunque a Costanti nopoli piuttosto che a
Roma i padri del concilio riconoscono la
giurisdi zione in grado di appello. Anche i
padri del Concilio generale di Affrica,
fra i quali si trovava S. Agostino, si PAPA 209
lagnarono col papa Celestino, perchè come alle altre Chiese d'
occidente, e aveva ammesso Appiario alla
sua co- mandò lettere a Innocenzo, vescovo di
munione, mentre era stato escluso da| Roma, nello stesso tempo che
scrisse quella delle Chiese d' Affrica. una serie di
considerazioni tendenti a rimettere in
dubbio l'esistenza di questo Dio ; delle
quali considerazioni ecco la sostanza.
Delle cose pensate noi dobbiamo co noscere la sostanza, la forma e il
luo go, poichè nessuno potrebbe concepire,
p. e , un cavallo senza sapere chefi gura abbia, se sia corporeo o
incorpo reo ecc. Ma intorno aDio i dommatici
non si accordano nè sulla sostanza, nè
sulla figura, nè sul luogo, giacché al cuni lofanno incorporeo, altri
gli danno corpo; chi lo pone fuori e chi
dentro il mondo: chi gli dà sembianze
umane, echi no. Ma dicono: e tupensa un
che di incorruttibilee beato, e argomen
terai questo essere Dio. Ma alla guisa
chenonconoscendo Dio altri non può
pensare gli accidenti di lui; così poichè ignoriamo la sostanza di Dio, non po tremo
immaginare gli accidenti a lui propri.
Ma quando pure Dio fosse im maginabile, non potrebbe tuttavia di mostrarsi.
Poichè la dimostrazione chiara od
oscura. Ma se la dimostra zione di Dio fosse chiara, tutti l'ammet terebbero,
poichè in tal caso la cosa dimostrata si
concepisce insieme alla dimostrazione, e
perciò anche si intende con essa : se la
dimostrazione è o scura, ha bisogno di altra dimostra zione per essere
dimostrata, la quale non può essere
chiara, perchè in tal caso non sarebbe
più oscura, ma chiara l'esistenza di
Dio: nemmeno può essere oscura perchè
una dimostrazione oscura non può
chiarirne un' altra oscura. Infine si
adduce l'obbiezione più formi dabilenella esistenzadel male,obbiezione che fu poi sostenuta dai manichei e da Bayle. Chi afferma esistere Dio, o dirà ch'ei provveda alle cose del mon do, o
che non provvede: e se provvede, sarà o
a tutte o a talune. Masedi tutte e'
pigliasse cura, non sarebbe nelmondo
verunmale, nè alcuna cattiveria: ma di cono che tutto sia pienodi male,
dun que non si avrà a sostenere che Dio
abbia cura di ogni cosa. Che se ei ne
cura alcuna soltanto, perchè a queste
provvede, a quelle no? In fatti, o egli
vuole può atutte provvedere ; o vuole
e non può; o può e non vuole: o non
può e non vuole. Se volesse e potesse,
avrebbe cura di tutte; ora ei non prov vedeatutto (secondo che
dicemmoinnan zi), dunque nonvuole e non può a tutto provvedere. Se ei vuole, e non può,
desso è più debole della cagione per cui
non può provvedere alle cose di cui non
si cura; ma è contro il concetto di
Dio che ei sia più debole di altro. Se
può curarsi di ogni cosa e non vuole, è
da reputarsi invidioso. Se non vuole
yè può, è invidioso e anche debole; e il dire ciò intorno a Dio è proprio degli empii.
Alle cose del mondo non provvede
dunque Iddio: e se egli non ha cura
veruna e non esiste opera di lui, nè
effetto: nessuno può dire inquale modo
comprenda l'esistenza di Dio, poscia
ch'ei non appare da sè e non si com prende per alcuno effetto. Anche
perciò è dunque incomprensibile se Dio
esista. Concludiamo, da siffatte
avvertenze, che coloro i quali dicono
asseverantemente che Dio è, sono
costretti ad empietà; che se lo dicono
provvidente ad ogni cosa, portano Dio ad
essere cagione dei mali; selo dicono
curante di alcune cose o di nessuna,
sono costretti am mettere un Dio o invidioso o debole ; tali sentenze si conoscono proprie degli empii.
Così del pari il pirronismo rima ne indifferente fra il bene e il
male, nè afferma o nega che causaci sia,
o movimento o quiete ecc. Che
alcune volte non introducanei suoi
giudizi dei PITTAGORA veri sofismi, non
può negarsi; ma nè manco è giusto
affermare, come alcuni hanno fatto, che
il pirronista abbia ap preso dai sofisti tutta la scienza del dubbio. La maggior parte degli argo menti dei
pirronisti convengono piena mente agli scettici d'oggidì, e se tutto lo scetticismo consistesse nel negare che intuizione vi sia dell'assoluto, si apporrebbe al vero. Ma dalle cose as 267 il nulla. Più che diversità di principii,
tra lo scettismo dell'Accademia e quello
di Pirrone, vi è diversità nelle
conseguen ze; giacchè gli accademici se sospende vano il loro giudizio intorno
a molte cose, non erano per questo
indifferenti solute alle relative ci è
grande diffe renza, come non si può argomentare, dalla differenza dei gusti e delle aspi
razioni alla felicità, che cosa buona non
vi sia. Buona per tutti forse no; mada
coloro a cui piace o a cui reca sollievo
perchè non si dirà buona? E perchè i
sensi talora ingannano, nè tutti perce piscono le cose nel modo stesso,
si do vrà negare ad essi ogni fiducia? Non
pronunciamo mai sentenze assolute, ma
relative solamente al nostro giudizio, ai nostri sensi; non pretendiamo di intuire le essenze, nè di comprendere l'infinito eallora saremo nel vero. La relatività delle nostre conoscenze e dei nostri giudizi bastano per la vita pratica e per la nostra felicità Prendiamoqueste cognizioni relative come se fossero as solute
e regoliamoci con esse, nè pre tendiamo di tenere ognora e per tutto sospeso il nostro giudizio, poichè una sospensione siffatta non è nella natura nostra, nè possibile ad applicarsi nella vita pratica. È una contraddizione del pirronismo quella di presentare il dub bio
come uno stato fermo, costante, che
rappresenta il perfetto equilibrio, il ri poso della volontà e il
supremo bene. Questa condizione non può
condurre che all'indifferenza perle cose
del mon do; e lapersuasione dell'impotenza no stra a spiegare checchessia, deve
as sopire la nostra intelligenza in un mor tale letargo. Questo stato
dell'animo è la morte e non la vita; e
la indifferenza di Pirrone per i dolori
fisici così come per i morali, non è
certol'idealedella vita, nè la vera
felicità. L'assenza del dolore, e del
piacere non è la felicità, è alle cose
del mondo, ma stimavano con veniente fra le controversie appigliarsi alle più probabili, quali erano
percepite dai sensi ( v. PROBABILITÀ). Pittagora. Lavita di questo fi losofo si
perde nella favola, tanta è l'
incertezza dei documenti che l'anti chità ci ha trasmessi intorno a lui. L'anno della sua nascita è molto con
troverso: Lloyd la poneva nel 585 a. G.
C.; Dodwell nel 568, o nel 567; Freret
nel 580. Non si sadel pari con certezza
il luogo ove nacque; ma i più ritengono
che l'isola di Samo gli abbia dato i
natali. Suo padre eratrafficante,
l'associò per tempo ai suoi viaggi e gli
procurò una educazione distinta. Cre sciuto in età, secondo le abitudini
del suo tempo, prese a fare alcuni
viaggi di studio, a solo fine di
abboccarsi co gli uomini più illustri e visitare i luo ghi che la fama indicava
come quelli che erano più innanzi nella
civiltà. Abitò lungamente l'Egitto e
l'Asia Mi nore, e vi fu chi lo mandò fino nell'In dia e nella Persia, sicchè
dicesi che vi apprendesse l'astronomia,
la medicina e la geometria, la quale
scienza egli in segnò appena tornato in patria. Da Samo passò quindi nellaMagna Grecia; ma Porfirio e Giamblico lo fanno prima successivamente immigrare in tutte le isole della Grecia per propagarvi la scienza misteriosa che essi suppongono che abbia appreso dai sacerdoti egizi. Finalmente verso l' anno 410 a, G. C. formò stanza a Crotone, città del golfo di Taranto, nella Calabria che allora, per le Colonie greche che l' abitavano, veniva detta Magna Grecia. Di costumi austeri, frugalissimo e amante della so
litudine, non tardò a suscitare quella
viva curiosità che è foriera della fama.
In breve e giovani e vecchi accorsero 268 PITTAGORA
a sentire la sua parola, e tanto fu l'au torità che acquistò anche tra i
primati, che più e più volte fu
richiesto di con siglio intorno alla cosa pubblica. Ai giovani, a' vecchi alle donne insegnava le virtù private, parlando in pubblico e più specialmente nei templi, come per dare ai suoi precetti il carattere sacro della religione. Ma le passioni non tardarono a scatenarsi contro di Jui, e la persecuzione che accanì contro la sua scuola pare che facesse anche il filosofo sua vittima verso l'anno 500. Da chi e perchè quella persecuzione fu suscitata ? Niuno sa dirlo. Si citano la vendetta e l' invidia per spiegarla, ma qual sarebbe stato il movente di queste passioni? Diogene Laerzio così raccon
ta: Era entrato nella casa di
Milone co'suoi compagni, quando uno di
coloro che egli non volle accettare fra
i suoi, bruciò la casa. Altri dicono che
i Cro tonesi per sospetto e per paura di do ver soffrire la sua tirannia lo
piglia rono mentre fuggiva l'incendio e l'uc cisero con alcuni de'suoi
discepoli. Di cearco narra che Pittagora fuggì nel tempio delle Muse a Metaponto, ed es sendovi
rimasto per quaranta dì senza nutrimento
però d' inedia. Eraclide nel compendio
delle vite del Satiro rac conta che Pittagora dopo avere inual zato un
monumento in Delo sulla tom ba di Terecide suo maestro, ritornò in Italia, pervenne al Metaponto ed ivi, stanco di vivere, si lasciò morire di fame. Ermippo dice che essendo in guerra quei di Agrigento con i Siraçu sani,
venne Pittagora con i compagni
d'Agrigento a dare aiuti ; ma essendosi
volti a fuga i suoi, egli ricoverò in un
campo di fave, le quali volendo schi vare, siccome sacre, fu preso dai
Sira cusani e fatto morire ». La famadi
Pittagoracome filosofo, è certamente
superiore ai suoi meriti. Inclinato alla
contemplazione mistica, egli ama il
mistero, e si compiace di creare una
dottrina arcana, l' immenso successo
della quale e certamente do vuta alle molte difficoltà che gli uo mini
avevanod'intenderla. A somiglianza dei
sacerdoti del paganesimo, instituì un
doppio insegnamento: quello che egli
indirizzava alla generalità degli ascol tatori, e quello riservato ai
pochi eletti. Aveva fondato un istituto
col quale i conventi del cristianesimo
hanno moita analogia. Gli allievi vi
erano assogget tati a lunghe prove, e passavano per gradi successivi proporzionati al loro ingegno e alla loro virtù. Era una sorta di iniziazione sacerdotale, una
vita mistica, la quale si è sorpresi di vedere lodata anche da molti moderni, pedis sequi
copiatori delle glorie pittagoriche. Gli
allievi dell'Omachoion, nome dato all'
istituto pittagorico, e che vale udi torio comune, mettevano in comune i loro beni e coabitavano insieme con le loro tamiglie, tutti restando sottoposti alla stessa regola. Vestivano una to naca
bianca e alternavano le occupa zioni fra lo studio, la lettura dei poeti, la ginnastica, i sacrifizi e le
cerimonie religiose. Dai loro pasti era
bandita o gni specie di carne: le uova, il vino, e ognispecie di bevanda alcoolica era loro interdetta . Anco le fave dicesi che avessero in orrore perchè rappre sentano
le parti sessuali della fem mina; ma altri lo negano e tengono ciò per una favola. Fatto è che Pitta gora
raccomandava a tutti l'uso dei cibi
vegetali, escludendo le carni e il pesce, come sacri agli Dei, non essendo conve niente,
diceva, che la stessa imbandigione
comparisse sulla mensadivina e su quella
degli uomini. Voleva ancora in tal ma niera abituare gli uomini alla
sobrietà e al facile vivere; acciò
sempre avessero apparecchiati i cibi
senza bisogno di cuocerli. Ma più che
altro, mi par che questa prescrizione
sia stata tolta dal l'India (se è vero che Pittagora vi sia andato) dove in grazia della metempsi cosi i
bramini hanno orrore del cibo preparato
con ogni cosa che viva. In fatti, Laerzio nella fine della sua vita di Pittagora, così l'apostrofa: « Non tu
PITTAGORA solo ti sei astenuto dagli
animati. Dim mi, o Pittagora, chi è che mangi ani mali animati. Ma ben io
mangio arro sto, o lesso, o salume, dai quali ormai l'anima è sfuggita. Così era savio Pit tagora
chè ei non voleva gustare le carni,
perchè diceva ciò esser peccato: io
lodo, ch'egli, astenendosi, ai compa 260
(ossia nella proporzione di otto a sei) : o secondo la quinta perfetta (diapente) o di una volta e mezza tanto (ossia nella proporzione di nove a sei); o giusta il suono d'ottava (diapason) o
del doppio (ossia nella proporzione di
do dici a sei). tanto contagioso; e chi
nell' Italia Comte ha molto giustamente
fon data la nuova scienza sui tre diversi
modi dell' arte di osservare; vale a
dire l'osservazione pura, lo sperimento
e il metodo comparativo. Ma non è già
nel metod o ch'io trovo
manchevole la sociologia ; sì nei mezzi
stessi d'investi gazione. Il maggior numero delle vere cagioni delle cose ci sfugge inosserva to:
noi vediamo le cause apparenti e
immediate dei fenomeni sociali, e spesso
anche su queste ci inganniamo. Con
elementi così scarsi e così poco sicuri
come mai si può pretendere di costi tuire una vera scienza, una scienza
sin tetica che sia, per così dire, il com plesso di tutte le altre? Come preten
dere di rivelare le varie cagioni dei
fenomeni sociali, quando noi stessi ci
inganniamo sui veri motivi per cui ta lora siamo determinati nei nostri
atti, e se dubitiamo perfino se siamo
liberi o necessitati? L'esperimento non
è mezzo che possa applicarsi alla
produzione dei fenomeni sociali, e il
metodo com parativo fra fenomeni prodotti in tempi diversi, sotto l'impero di diverse circo
stanze e da uomini diversi è un rime dio tutt'altro che adatto a
correggere i nostri giudizi. Diciamo
dunque ad drittura che la sociologia, come scienza sintetica ed esatta, è impossibile, avve
gnachè suppone la conoscenza di cause
infinite, ciò che implicherebbe la pos sibilità di conoscere il passato
e il fu turo data la conoscenza di un solo
punto della storia (v. CASO). Ma poichè
tutte le nostre cognizioni attuali e 1
288 POSITIVISMO probabilmente anche tutte quelle che potremo acquistare nell' avvenire, non sono tali da lasciarci prevedere le sorti di una battaglia, l' esito di una intra
presa, o l'abbondanza dei raccolti di
una contrada, non è temerità il dire
che la sociologia già fin d'ora è con dannata a non essere altro che
una raccolta di fatti storici, una
scienza numismatica piuttostochè una
scienza sperimentale e di previsione. Ed
è, in fatti, entro questi soli limiti giàdetermi nati e precorsi dalla
filosofia della sto ria che finora è rimasta compresa la Sociologia positiva. Essa si è limitata ad esporre ed a considerare come un semplice fatto dipendente dalle condi zioni
stesse del nostro organismo e del mondo
in cui viviamo, la successiva
trasformazione dello scetticismo in po liteismo e monoteismo, per
giungere al presente stato metafisico:
tutto ciò era stato detto, e la
sociologia con questa esposizione
storica nulladi nuovo ci ha finora
rivelato , salvo il coro namento dello stato moderno o meta fisico, mediante
l'avvenimento della fi losofia positiva.
La sociologia costituisce la prima
parte della filosofia morale. La seconda
parte è costituita dalla morale positiva
propriamente detta, o religione positi va, detta altrimenti religione
dell'uma nità. È il secondo periodo della filosofia di Comte e quello che segna anche la- sua,
decadenza. Dopo avere gettate le fondamenta
di una filosofia, alla quale, se non
altro, non si poteva negare il nome di
veramente positiva, Comte si è
compiaciuto di rifare il suo lavoro per
dargli una apparenza teologica, a busando in manierafin qui non mai ve duta del
senso delle parole. Bichat, Cabanis ,
Giorgio Leroy ed infine Gall, a parere
dei positivisti hanno gettatole
fondamenta della teoria dell'anima.
L'anima esiste ; è dotata di diciotto facoltà
elementari, o, per meglio dire,
sidecompone in queste di ciotto facoltà, la cui enumerazione af fatto inutile
ed arbitraria non giova riprodurre.
Basti dire che l'anima, com posta di cuore e spirito, si suddivide poi in quattro facoltà: nel cuore pro
priamente detto, nel carattere, nell' e spressione e nelconcetto.Del resto,
tutte queste facoltà, anche quella del
cuore, sono, con molta disinvoltura,
collocate nel cervello ; dimodochè non
si sa poi bene se lo spirito stia nel
cervello o se ne sia solamente la
funzione. Il padre del positivismo ha
avuto anche il torto di localizzare nel
cervello le facoltà no stre e le nostre tendenze, ed è così ca duto nei soliti
errori dei frenologi ( v.
FRENOLOGIA). Il fondamento della
morale positivi sta è l'altruismo, che essa costantemente contrappone ai così detti istinti del no stro
egoismo. Vivere per gli altri è la sua
divisa, come è regola fondamentale della
sua morale personale: non fare cosa
alcuna che non si possa confes sare. Il positivismo dichiara che una religione è necessaria, non già nel co mune
senso che si suol dare a questa necessità,
per dirigere le masse, le donne ed i
fanciulli; ma una religione per tutti,
per gl'ignoranti come per i dotti, da
tutti ammessa, da tutti volontariamente
riconosciuta perchè fondata sulla verità. Ma ogni religione ha bisogno di un culto, e la religione positiva deve pure avere il suo. Quale sarà il soggetto dell'adorazione di questa religione non rivelata? La rivoluzione francese aveva adorata la ragione, cosa buona in'sè, dicono i positivisti, mapericolosa, per chè
conduce all'orgoglio e all'egoismo;
meglio dunque vale adorare il cuore, e
mantenere il culto di tutte le affezioni, il culto dell'avvenire; ecco il culto del l'
Umanità, non inventato, dicono, ma
scoperto dai positivisti. « L' Umanità,
dice Longchamp nel suo Saggio sulla
preghiera positivista, l' Umanità non è
già la specie umana e non comprende
l'universalità degli uomini. L' Umanità
è la memoria dei mortiche inspirano e
guidano i viventi, è l'insieme di tutti i POLITEISMO grandi pensieri, di tutti i nobili senti menti
e di tutti grandi sforzi, riferiti a un
solo e medesimo essere, l'animadel quale
è costituita daquesti grandi pen sieri e il corpo dal complesso di tutti i viventi ». Solamente coloro i quali hanno lavorato per il benessere dell'u manità
possono sperare di essere im mortali e di vivere per sempre nella. 289 le
sue preghiere. La preghiera non é una
domanda, ma una preparazione ed una
eccitazione all'affetto, la rimembran za rinnovata dei benefici ricevuti.
Non si può chiedere al Grande Essere che un nobile progresso morale, senza ac
crescimento di ricchezza materiale.
Oltre al Grande Essere il positivi smo riconosce gli Angeli e gli Angeli memoria dei viventi. Il positivisimo professa dunque una sorta di panteismo simbolico. Il Grande Essere, che è il Dio positivista, si
risolve nel concetto universale deli'
umanità, mentre ogni benefattore dell'
umanità dopo la morte entra a costituire
una parte di questo Grande Essere ed
a godere gli onori della divinità. «
Ogni vero adoratore del Grande Essere,
dice il dottor Robinet, uno dei tre
esecutori testamentari di A. Comte (
Notice sur l'oevre et la vie de
Comte),presenta due esistenze successive
; l'una che costitui sce la vita propriamente detta, è tem poraria ma diretta;
l'altra che comincia dopo la morte è
permanente ma indi retta ». Il Grande Essere ringiovanisce ad ogni generazione e le creature u mane
diventano i suoi organi passeg custodi nella personificazione dei nobili concetti, quali l'idea del bene, del vero, del bello. 1 tre angeli custodi del no stro
cuore, sono l'attaccamento. la ve nerazione ela bontd. I santi sono gli uomini che illustrarono l'Umanità colle loro opere. Il loro nome è consegnato in un Calendario positivista, nel quale l'anno è diviso intredici mesi eguali di
28 giorni ciascuno, i quali non lasciano che un giorno complementetare negli an ni
ordinari e due negli anni bisestili. I
mesi sono divisi in 4 settimane precise,
ed ogni giorno dellasettimanaconserva
il nome che ha attualmente. I mesi si
chiamano: Mosè, Omero, Aristotile, Ar chimede, Cesare ecc.; e la stessa
scelta di nomi si trova nei santi votivi
della settimana, dove si leggono quelli
di Confucio, Buddha, Maometto,
Platone, Alessandro, Innocenzio III, S.
Bernardo, gieri; ma i grandi pensieri e
le grandi azioni possono elevare l'uomo
al grado | Bossuet, Tasso, Milton ecc. Questastrana di organo permanente, o persistente. Nulla del resto puòquesto Essere sim bolico,
per cambiare le cose del mon do. Se la
fede teologica, dice Robinet, spiega
sempre il mondo e l'uomo col l'intervento divino, la fede positiva in segna
invece che tutti gli avvenimenti del
mondo e dell'uomo si producono in forza
di influenze invariabili , dette leggi
». Non è giàDio,dicono i
positivisti, che ha creato l'uomo, ma è
l'uomo che si é formato il suo Dio. E,
come si vede in questo articolo, essi si
sono valsi largamente di tale massirua,
per ciocchè non solamente si sono creati un
Dio e una religione, ma eziandio un
culto. Il culto del Grande Essere, ossia
dell'Umanità, deve avere le sue feste, e
associazione di uomini che ebbero pen sieri e operarono con
finibendiversi e talora opposti, si
trova d'altronde d'ac cordo con la filosofia positiva, la quale considera tutti i fattisociali come una materiale esplicazione di leggi immuta bili.
Ilconcetto del calendario positivista in
surrogazione del calendario cristiano è
uno di quelli che appartengono alla
seconda fase dell' attività del signor .
Comte. Il positivismo aveva completa mente cambiato il suo carattere:
dopo essere stato una filosofia
scientifica, era divenuto una religione
dell' umanità. Così dice il signor
Wirouboff (Remar ques sur le calendrier de M. Comte; Reuve de la Phil. Pos. an. 1876 p. 48) il quale mette in evidenza i difetti in gran numero che sono nel calendario 19 290
POSITIVISMO positivista, fra cui
l'ommissione dimolti nomi notissimi nella
scienza, mentre al loro posto si trovano
molti altri o mi tologici o appena noti.
Il culto dell' umanità, avrà i suoi
sacramenti. Essi, dice il signor de Bli gnière, legano ciascuno a tutti:
consa crando in nome della utilità sociale tutte le fasi e tutte le modificazioni
generali e importanti della vitaprivata,
essi por gono l'occasione di richiamare i doveri che incombono a ciascuno nelle circo stanze
nuove della sua vita ». Le feste
saranno, infine, la celebrazione dellame moria dei grandi uomini; lo
studio della loro vita e dei loro
servizi, sarà l'espres sione verso di essi della pubblica ri conoscenza. Ma la religione positivista morl pri madi
nascere. Il solo tempio che ab bia avuto fu quello creato da Comte nella sua propria casa, nella quale, dopo di lui, si riunirono regolarmente i membri della società positivista che rimasero fedeli alle tendenze mistiche del maestro. Mauna eresia scoppiò ben presto nel seno stesso dei positivisti,
e quelli i quali erano insofferentidei
sim boh si unirono al signor E. Littrè, che
è attualmente il più illustre rappresen tante del positivismo. La nuova
filoso fia spogliata da ogni misticismo, è ri masta una filosofia materialista
nella sostanza, sebbene nella forma
accenni a velleità di far credere ad un
sistema tutto proprio. Nel fatto però la
sola Questo è il culto positivista ; ma
differenza che esiste fra il positivismo
quali ne saranno i sacerdoti ? Tutte le e il materialismo è, che il
primo non funzioni che spettano
normalmente ai | crede che l'uomo possa mai spiegare preti, sono ora divise fra i medici, i preti attuali, ed i dotti,professori e fi
losofi di tutti i gradi. I positivisti tro vano che non è possibile di
studiare separatamente l'uomo nel cuore,
nel corpo e nello spirito, e perciò
vogliono che i ministri della nuova
religione le causeprime ed assolute, e
che quan d'anche spiegate le avesse, queste spie gazioni non potrebbero
influire sulla vita pratica. Io mi
accordo, fino ad un certo punto, con
questa conseguenza; ma si tratta di
sapere sedopo aver di chiarato di non volersi occupare delle siano ad un tempo medici, filosofi e preti. Così il nuovo culto sarà comple to ;
potrà sfidare i suoi nemici ed avere i
suoi martiri. L'avvenire gli è assi curato.
Al pari dei sacerdoti pagani, i quali
sotto i simboli del politeismo, preten devano di onorare le leggi della
natura (v. MISTERI ) Così i positivisti,
creando una religione materialista,
credevano di essere coerenti con la
verità. E non pensavano nemmeno che col
volgere degli anni questi simboli,per
ladimen ticata origine, sarebbero stati posti su gli altari e adorati per se
stessi, e non già per i principii che
avranno rappre cause prime, la curiosità, che è figlia del sapere, non ci proporrà perpetua mente
queste domande: Chi siamo ? d'onde
veniamo? Il materialismo, che non
rinnega alcuno dei mezzi di inve stigazione suggeriti dal positivismo, e chi li ha anzi applicati prima ancora
che il positivismo fosse nato, non ha
temuto di pronunciare i suoi giudizi, i
quali, intorno allecause prime,
nondevono in tendersi in un senso assoluto, ma come la conseguenza probabilissima che de riva
dalle nostre attuali cognizioni. Il
positivismo, più pudico, vuole riservare
il suo giudizio, anzi nè pure consente
adiscutere le origini dell' universo e
il fine ultimo dell' umanità. La quale
astenzione, se rende più facile la sua
missione e gli risparmia le accuse di
sentati. L'interesse dei sacerdoti li avreb be spinti a sollecitare
questo felice mo mento, in cui essi soli, fatti padroni del vero senso dei simboli, avrebbero potuto |
molti nemici, non rende perciò il suo
dominare il popolo con le potenze mi steriose che avevano poste sugli
altari. sistema più filosofico, e non
toglie che ogni positivista
individualmente non si PRASSEA trovi,
tutti i giorni dinanzi agli eterni
201 dere a tale richiesta col
Dato ma non einevitabili problemi della
nostra ori gine e della nostra fine. Ammessopure chequesti problemi siano indifferenti
per lavitapratica, nederiverà per questo
che noi potremo evitarli? Quante altre
que stioni hanno assorbita tutta l'attività di
grandi pensatori ? Che cosaè ilmagneti smo, l'elettricità, l'attrazione?
Che cosaso concesso » vale a dire « ammetto pel
momento, ma non credo ». Kant
chiama postulato della ragione pura
l'immortalità dell'anima, essendo essa
un domma dalla filosofia nondimo strabile, e non pertanto necessario ad ammettersi,aparer suo,comeconseguen. za dell' ordine universale. Il postulato
é nole comete, il sole i pianetietutti
gli | dunque unaipotesi chein seguito potrà
essere dimostrata direttamente, od an che indirettamente con le
conseguenze astri del firmamento?
Quantopesano, di quali materie sono
composti? Tutte que ste domande hanno unvalor puramente scientifico, senza alcuna pratica conse
guenza. Ne deriverà per questo che i
dotti devano trascurarle? Il positivismo
se ne è occupato, e ha pure su molti
argomenti, inutili per la pratica, fatte
le sue ipotesi. E perchè troverà esso
che per la vita pratica importi più il
conoscere se la luna abbia o non abbia
una atmosfera, di quel che sapere se
esiste un Dio creatore, un'anima immor tale e una vita avvenire? Gli
attuali e retici del positivismo, iquali non hanno creduto di accettare la religione inven tata
daA. Comte,avranno forse ragione di dire
cheprudenza è l'astenersi di sen stesse che deriveranno dall'insieme della discussione.
Poveri cattolici. Nomi di certi
religiosi, i quali erano un ramo di Val desi o Poveri di Lione che si
converti rono nel 1207. Formarono una Congre gazione, che si diffuse nelle
provincie meridionali della Francia e
che s' ac crebbe per la successiva conversione di altri Valdesi, fondendosi poi, l'anno 1256, in quella degli eremitidi Sant'Ago
stino. Heliot, storia degli ordini mona stici t. III. pag. 21 . Prassea. Eretico del secondo se colo e
discepolo di Montano, che poi abbandonò
per farsi capo setta. Fon tenziare in codeste materie; ma hanno | dandosi sopra
i passi evengelici ove si torto di
proclamare che codesta asten dice: zione
sia veramente scientifica. Perfino lo
scetticismo che non sentenzia, ha loro
insegnato che anche per giungere al
dubbio è necessario esaminare le ra gioni favorevoli e le contrarie al
dom il Padre ed io siamo un solo; quello
che mi vede, vedepuremio Pa dre; io sono nel Padre e il Padre è in me > concluseche Gesù, o ilFiglio,
non era distinto dal Padre, che entrambi
co stituivano una sola persona divina; che
il Padre era disceso nel ventre della Ver gine si eraincarnato,
avevapatito edera matismo. D'altronde,
questa astensione non è sincera, e non
vi è positivista il quale nell' intimo
foro della coscienza | morto sulla Croce. Eresia non dissimile non abbia esaminato le ragioni dei cre denti
e degli increduli, e non abbia
pronunciato il suo giudizio. La stessa
religione positivista, sotto i suoi simboli, non faceva altro che insegnare l'incre
dulità. Postulato (dapostulatum, cosado
mandata). Aristotile così chiama una
proposizione non ancora dimostrata,
ma che si richiede di ammettere intanto
gratuitamente per il bisogno della di scussione. Dagli italiani si suol
rispon da quella di Noeto edi Sabellio, per cui i settatori di questi tre eretici s'
ebbero il nome di Monarchici, perchè
ricono scevano soltanto il Padre qual signore
di tutte le cose; e quello di Patripassia ni, perchè lo supponevano
capace di patire. Il Beausobre (Storia
del Mani cheismo, lib. III Cap. 6 § 7) citando un passo di Tertulliano ilqualdice che l'e resia
di Prassea fu confermata da Vit torino, aggiunge che questi è, per co
munconsentimento, il papa Vittore. 292
PREDESTINAZIONE
Predestinazione.Vocabolo che
letteralmente significa una destinazione
anteriore : nel linguaggio teologico e sprime il disegno formato da Dio
ab eterno, di condurre, mercè la sua gra
zia, taluni all'eterna salute. Alcuni
Padri della Chiesa adopera rono talvolta il vocabolo di predestina zione in
generale, così per la destina zione degli eletti alla grazia ed alla gloria, che per quella de'riprovati alla dannazione; ma siffatta espressione par ve
troppocrudele; oggidì pigliasi questa
voce in buona parte soltanto ; signifi cando la elezione alla grazia od
alla gloria, e chiamandosi riprovazione
il decreto contrario; sebbene, in
sostanza, e l'uno e l'altro decreto
costituiscano la predestinazione , in
quanto sono stati pronunciati da Dio
prima ancora che gli uomini predestinati
al paradiso o all'inferno fossero nati;
anzi prima ancora del cominciamento dei
tempi. Sant' Agostino nel suo libro de
dono perseverantiæ (cap. 7 n. 15. e cap.
14n. 35)definiscelapredestinazione:
Præscien tia et præparatio beneficiorum quibus
certissime liberantur quicumque libe runtur. Aggiunge poi al cap.(17, n.
41.), Dio dispone egli stesso ciò che
fard, secondo la infallibile sua
prescienza : questo, e niente di più,
essere prede stinare. Secondo San Tommaso (part. 1. Q. 23. art. 1.) la predestinazione è il modo, col quale guida Iddio la creatura ragionevole al suo fine, che è la vita eterna.
I principii su cui si fondalaprede stinazione presso i cattolici sono
così riassunti dal Bergier: 1.º Vi è in Dio un decreto di pre
destinazione, ossia una volontà assoluta
ed efficace di dare il regno de' cieli a
tutti quelli che effettivamente vi giun geranno. 2.º Iddio, nel predestinarli alla glo ria
eterna, ha loro altresì destinato i
mezzi e le grazie, mercè le quali ve li
conduce infallibilmente. (San Fulgenzio,
de Verit. Prædestin. 1. 13.) 3.°
Questo decreto è inDio ab eterno eloha
egli formato, come dice San Paolo,
(Ephes. I. 3. 5.) prima della creazione
del mondo. 4.° Il medesimo è un effetto
della pura bontà di lui: epperò questo
decreto è perfettamente libero da parte
di Dio ed esente da ogni necessità(San
Paolo, Ibidem. 6 e 11.) 5.º Tal decreto di predestinazione è certo ed infallibile, deve immancabil mente
sortire il suo effetto, il quale al cuno ostacolo nonpotrà mai impedire; così dichiara Gesù Cristo (Joan. c. 10, 27, 29.)
6.º Ameno di una esplicita rivela ❘zione,
nessuno può andar certo d'essere nel
novero de'predestinati o degli elet ti, lo che provasi con SanPaolo
(Filip. 11. 12. 5. Cor. IV, 4) e fu
definito dal Tridentino (Sess. 6, c. 9,
12, 16. e can. 15.) 7.º Il numero dei predestinati è fisso ed immutabile, sicchè non può essere aumentato nè diminuito ; avendolo Iddio fissato ab eterno e non potendo la sua prescienza ingannarsi (Joan. IX. 27, Sant'Agostino, I, De corrept. et gratia XIII, 8). Non impone il decreto di pre
destinazione, nè per sè, nè pei mezzi,
onde giovasi Iddio per mandarlo ad ef fetto, veruna necessità negli
eletti di praticare il bene. Dessi
operano sempre liberissimamente e
conservano sempre, allora pure che
ottemperano alla Leg ge, la facoltà di non osservarla (San Prospero, Respons, ad object. Gallor). Quante contraddizioni in questi punti della fede cattolica! Il numero dei pre
destinati è fisso e immutabile; essi sono
scielti da Dio ab eterno e persemplice
bontà di lui; e ciò nonostante essi sono
liberissimi di salvarsi, o di dannarsi.
Quale sciocchezza! La libertà suppone
la facoltà di fare o di non fare una
cosa: or come potrei io non dannarmi
se giàperdecreto pronunciato ab eterno
sono stato escluso dagli eletti? Si ri sponde che questo decreto indica
la semplice prescienza di Dio, il quale
sa PREDESTINAZIONE le cose future, manon
suppone l'azione diretta di Lui sull'
uomo per indurlo 293 psari; altri insegnarono avere Iddio fatto un tal decreto di condanna sol alla
salute o alla dannazione. Codesta è una
distinzione gesuitica che non ha
fondamento. Ilfuturo si conosce per la
successione delle cause edegli effetti, e Diocheè infinito, conosce cause
infinite. Ma acciocchè il futuro possa
essere preveduto, conviene che le cause
indu cano la necessità dei loro effetti, e que sti siuno cause necessarie di
effe tti sus seguenti. Senza questa necessità il caso e l'arbitrio sarebbero nell'universo, e
la prescienza divina sarebbe un
assurdo, poichè prescienza vale
predetermina zione, conoscenza anticipata della suc cessione delle cause e
degli effetti. Dove è il caso là non vi
è prescienza possi bile, avvegnachè il caso sia appunto la negazione d'ogni predeterminazione. (V. Caso edEFFETTO). Se adunque Iddio non agisce direttamente sull'uomo, egli però vi agisce necessariamente colla succes sione
di cause che ha create e prede stinate in maniera di conoscere antici patamente
il loro risultato ultimo. Lutero e
Calvino piú brutali, ma più sinceri,
avevano evitata la contraddi zione dei cattolici, ammettendo questa conseguenza. Secondo la loro dottrina Dio aveva, ab eterno, con immutabile decreto separato il genere umano in due parti, l'una di eletti favoriti a cui
volle assolutamente assicurata l'eterna
beati tudine, ai quali largisce le grazie effi caci, la cui mercè operano
necessaria mente il bene; l'altra di oggetti della sua collera, da lui destinati al fuoco eter no, e
di cui dirige per modo le azioni che
devono di necessità commettere il male,
perseverare e morire in questo stato. La
quale orribile dottrina so stennero Beza ed altri riformatori. Me lantone, più
moderato, n'ebbe orrore e procurò
raddolcirla. Parecchi de' setta tori di Calvino perseverarono, come il maestro, a sostenere che pur anterior mente
alpeccato di Adamo, Dio hapre destinato la maggior parte degli uomini tanto consecutivamente alla previsione della colpa de' nostri progenitori, e a costoro venne dato il nome d' infrala psari.
Non affermavano come i prece denti che Iddio avesse per si fatto modo determinata la caduta del primo uomo e che Adamo non potesse fare a meno di peccare, ma pretendevano che dopo questa caduta quelli che peccano non possano rimanersene dal farlo. Quantunque una tal dottrina, come dice ipocritamente il cattolico Bergier, sia orrenda, tuttavia essa regnò tra i calvinisti fin quasi a'nostri
giorni.Eglino persistettero
nell'affermare che tale è la pura
dottrina della Santa Scrittura e che
Sant' Agostino la propugnò a tut t'uomo contro aipelagiani. Sullo scorcio del secolo decimosettimo,Bayle asseriva come nessun maestro osasse insegnare il contrario, che se alcuni pareva che se ne fossero scostati, ciò era solo ap parentemente,
non avendo cangiato che alcune
espressioni dei predestinaziani. Nel
1601, Giacobbe Van-Hermine, conosciuto
sotto il nome di Arminio, professore
nell' Olanda, attacco aperta mente la predestinazione assoluta; so stenne che
Iddio vuol sinceramente sal vare tutti gli uomini, che a tutti, sen z'eccezione
di sorta, dà sufficienti mezzi di
salute, e che riprova coloro soltanto, i
quali abusarono di questi mezzi o vi
hanno resistito. Arminio ebbe ben pre sto un gran numero di seguaci:
ma Gomar, altro professore, sostenne
perti nacemente la dottrina rigorosa de'pri mi riformatori e seppe conservarsi
un partito potente. In tal maniera il
cal vinismo resto diviso in due fazioni, l'una
degli arminiani o rimostranti, l'altra dei gomaristi o contro rimostranti. A defi nire
questa contesa gli stati generali
d'Olanda convocarono nel 1615, a Dor drecht, un sinodo nazionale; vi
preval. sero i gomaristi, i quali
condannarono gli arminiani, della cui
dottrina venne alla dannazione e furon
detti soprala- I proibito l'insegnamento. 201
PREESISTENTE Ma questa decisione
lungi dall' ac quetare gli animi, non fece che au mentare la discordia: non
trovò essa alcun partigiano in
Inghilterra, e fu re spinta in più paesi dell' Olanda e della Germania, e nemmeno in Ginevra le si ebbe rispetto. N'assicura il Mosemio che d'allora in poi la dottrina della predestinazione assoluta andò dall'un di coll'altro declinando, e che gli arminia ni
ripresero poco per volta il sopraven to. (Hist. eccles. secolo XVII, Lez.
II, part. II c. 2. n. 12). Pregiudizio (da præ, prima, e
judicare, giudizio, giudicar prima). Voce primamente usata nella giurisprudenza per indicare il giudizio di quelle cause le cui conseguenze erano così evidenti, che la sentenza veniva preveduta prima ancora del processo. Nella filosofia in dicò
poi il giudizio pronunciato od ac cettato senza esame in forza dei princi pii
ricevuti dalla tradizione. Questo si gnificato non esprime però
interamente il concetto di pregiudizio,
tale come le s'intende oggidi. Vi sono
dei giudizi accettati senza esame che
nondimeno sono verissimi, tali, ad
esempio, tutte le leggi stabilite nelle
scienze, le quali, in grazia del metodo
sintetico, s' inse gnano nelle scuole prima della dimo strazione, o primache
l'intelligenza ab bia acquistato il necessario sviluppo per poterle intendere. Aformare il vero pregiudizio ec corre che il
giudizio, non solo sia pro nunciato senza esame, ma ehe ezian dio sia falso. Un
pregiudizio vero non può esistere : non
sarebbe più pregiu dizio, nel senso in cui intendiamo oggi questa voce, ma una verità. Sono pregiudizi gli errori a cui sia mo
condotti nell'applicazione di princi pii tradizionali ricevuti senza esame ; se però questi errori riguardano la reli gione,
meglio si chiamano superstizioni. Éuna
superstizione il credere alla esi stenza delle streghe, all'invasamento del demonio, all'influenza degli spiriti ;
ma èun pregiudizio il credere,come comu
nemente si fa, alla chiaroveggenza ma gnetica, all'influenza delle comete
sugli avvenimenti umani ; all'influenza
di certi numeri piuttosto che di certi
altri, e cosìvia. Vi sono pregiudizi politici e pre giudizi
scientifici che dipendono unica mente dal nostro amor proprio. Fra i primi si conta la singolare pretesa d'o gni
nazione di essere la prima del mon do; fra i secondi ' ostinata adorazione delle proprie idee, e la pretesa di
tutti i cultori di qualche scienza
speciale, i quali nelle loro prolusioni
nonmancano mai di proclamare che la loro
scienza è fra le più necessarie al
consorzio u mano. Ho detto che non tutti
igiudizi pro nunciati a priori sono pregiudizi ; e che non to sono precisamente quelli che sono fondati sulla verità. Del pari non tutti i giudizi falsi sonopregiudizi, ma lo sono solamente quelli i quali si pro
nunciano senza esame, in forza di prin cipii già ricevuti. L'uomo il quale,dopo maturo esame, disgraziatamente affermacosanonvera, non cade in un pregiudizio, ma sem plicemente
in un errore. Presbiteri. Due sorta di
Chiese presbiteriane si trovano in
Inghilterra. Quella così detta Chiesa
stabilita o na zionale, e la Chiesa libera o Indipendente che si separò dall' altra per non voler conformarsi alla liturgia che fu stabilit
a per la Chiesa ufficiale. (V. ANGLICA
NISMO) Preesistente. Cosa che
esiste anteriormente ad un' altra. Gli
antichi filosofi, non ammettendo la sua
azione, stimarono che Iddio avesse fatte
le cose tutte d'una maniera preesistente
ed al pari di lui eterna. Alcuni dissero
Iddio avere fatto ogni cosa da ciò che
non esisteva, ex non extantibus;
espressione che a prima vistapare voler
significare ch'egli ha fatto il tutto
dal nulla, quindi tutto creato; ma i
critici moderni di mostrano che per non extanita inten devasi la materia, e che
tal frase si PRESENZA REALE gnificava
soltanto aver Iddio data una forma a ciò
che non ne aveva alcuna. Del resto, una
materia preesistente, e terna e senza forma, è per lo meno egualmente difficile a concepirsi che la 295
tazione le parole di Gesù: lo sono la
vite, io sono la porta,per mostrare che
se doveva intendersi nel senso letterale
creazione: poté forse la materia esistere senza dimensioni; non sono elleno una forma?
I pittagorici ed iplatonici credettero
nella preesistenza delle anime umane,
ossia che le anime avessero esistito in
un' altra vita prima d' essere mandate
ne' corpi per animarli; soggiungevano
che l'unione delle anime ai corpi che
sono per esse una sorta di prigione,
era una punizione de' peccati da lor
commessi in una vita anteriore. Simove
accusa a Origene di averpartecipato a
tale opinione e talvolta veramente par
la sostenga; ma Uezio osservò che Ori gene, e così sant' Agostino, si
tennero entro i confini del dubbio
intorno alla vera origine dell' anima.
(Origenian., I. II c. VI, N. 1). Presenza reale. Dommaper il quale i fedeli credono che sotto le ma terie
dell'Eucarestia esiste veramente il
corpo ed il sangue diGesù Cristo. Que sto domma differisce da quello
della transubstanziazione in ciò, che
questo ultimo suppone che le stesse
materie del Sacramento si trasformano
nel corpo enel sangue di Gesù,mentre
ilprimo ammette che il corpo e il sangue
stanno sotto alle materie del Sacramento
senza che però questecambino la loro
natura. Il domma della presenza reale
era generalmente ricevuto dalle Chiese
ri formate, quando Carlostadiomandò per
le stampe alcune scritture per combat terlo. A lui si unirono Zuinglio
ed Eco lampadio, i quali convennero che le
parole dette da Gesù nella Cena men tre spezzava il pane: questo è il
mio corpo, dovessero intendersi in senso
fi gurato. La parolaè devesi intendere in
senso significativo , diceva Zuinglio :
Corpo, cioè il segno del Corpo, aggiun geva Ecolampadio. L'uno e ' altro
ad ducevano in prova della loro interpre che il pane era il corpo di Gesù, do
veva pure intendersi che Gesù fosse la
vite e la porta. Il segretario della città che disputava sostenendo la dottrina opposta, ben adduceva che questi esem pi non
erano della stessa sorte, poichè quando
Gesù disse: questo è ilmio cor po, questo è il mio sangue, non propo neva una
parabola, nè spiegava una allegoria.
Alla quale obbiezione Zuinglio cercava
una soluzione. E dopo dodici dì ebbe un sogno
in cui dice, che imma ginandosi di disputare ancora col se gretario della
città, vide comparirsi ad un tratto un
fantasma bianco o nero, che gli disse
queste parole: vile, perché non rispondi
tu ciò che è scritto nel l'Esodo, l'agnello è la Pasqua, per dir che n'è il segno? (Esod. XXII, 11). Frattanto non erano i soli cattolici quelli che osteggiavano
l'interpretazione figurata. Lutero
stesso, il qual vedeva di mal occhio le
innovazioni degli altri riformatori,
sosteneva che volgendo al figurato le
parole del Vangelo, era a prire una porta, per la quale tutti i misteri sarebbero sfuggiti in figure. Elagnandosi di coloro che opponevan gli
essere la presenza reale un domma
inconcepibile, diceva: « Allorchè Gesù
Cristo è stato concepito per opera dello
Spirito Santo nel seno d' una Vergine,
questo miracolo maggiore di tutti, a
chi è stato sensibile? Quandola Divinità è corporalmente abitata in Gesù Cristo, chi lo ha veduto e chi l'ha compre so? Chi lo
vede alla destra del Padre di dove
esercita la sua onnipotenza su tutto
l'universo ? É questo ciò che li
costringe a torcere, a mettere in pezzi
le parole del maestro ? Noi non com prendiamo, dicono essi, come egli
le possa eseguire alla lettera. Mi
provan bene con questa ragione che il
seuso umano non si accorda colla
sapienza di Dio: io ne convengo; ma non
sapeva per anche essermi necessario il
credere 296 PRESENZA REALE solamente quel che scorgesi aprendo gli occhi, o quello che può adattarsi al l'umana
ragione » (Sermo de corp. et sang.
Christ ) Rispondendo a Lutero i
Zuingliani non mancaronodi provargli che
quando si dovessero intendere alla
lettera le parole di Gesù, non la sola
presenza reale, ma la transubstanzazione
dei cat tolici diventerebbe necessaria. Osserva rono essi che Gesù Cristo non
aveva dell'Eucarestia è il vero corpo
naturale del nostro Signore, la quale
dottrina contenuta nella ultima sua
confessione di fede fu approvata da
Melantone e da tutta la Sassonia. Contro
a' Zuingliani scagliavasi furioso. α Mi
hanno fatto piacere, scriveva in una
lettera, chia mandomi infelice. Io dunque il più in felice di tutti gli uomini
, mi sti detto : il mio corpo è qui; ovvero : il mio corpo è sotto questa cosa ; oppure: questo contiene il mio corpo. Così cid ch'ei voleva dare ai suoi fedeli, non
era, una sostanzachecontenesse il suo corpo, ochelo accompagnasse, ma il suo corpo senz'altra sostanza straniera.
Nonhadetto nemmeno: questo pane è il mio
corpo, che è l'altra spiegazione di
Lutero, ma disse: questo è il mio corpo,
con un termine indefinito, per mostrare
che la sostanza da esso data non è più
pane, ma il suo corpo. Perciò Zuinglio
nella confessione di fede che mandò ad
Au gusta e che fu approvata da tutti gli
Svizzeri, dichiarava espressamente « che
il corpo di Gesù Cristo dopo la sua
ascensione non era in altro luogo che
in Cielo; e non poteva esistere in altra
parte: che per veritá era come presente
nella Cena per la contemplazione della
fede, e non realmente, nè colla sua es senza » (Bossuet Storia delle
variaz. lib. III, 14). E in una lettera
indirizzata a Francesco I, dice che
quanto al man giare che fanno gli Ebrei come i Pa pisti, deve cagionare lo
stesso orrore che avrebbe un padre cui
si desse da mangiare il suo figliuolo;
che la fede ha orrore della presenza
visibile e cor porale, e che non si deve mangiare Gesù Cristo in una maniera carnale e materiale: un'anima religiosa mangia il suo corpo sacramentalmente, cioè in segno, spiritualmente, cioè per la con
templazione della fede. Contuttociò
Lutero fu ben lontano di piegarsi alla
opinione dei sacramenta ri; egli sostenne maisempre che il pane mo per una sola cosa felice, e non voglio che la beatitudine del Salmi sta:
beato l'uomo che non è stato nel
concilio dei sacramentari, e non hamai
camminato per le vie dei Zuingliani, nè
si è posto a sedere nella cattedra di
quei di Zurigo ». Lutero moriva
al 25 gennaio 1546, e nell'anno 1561
un'adunanza dei teclogi di Vittemberga e
di Lipsia tenuta in Dresda per ordine
dell'Elettore, ne mo dificava sensibilmente la dottrina. Di chiararono « che il
vero corpo sostan ziale è veramente e sostanzialmente dato nella Cena, senza che tuttavia di venti
necessario il dire che il pane sia il
corpo essenziale o il proprio corpo di
Gesù Cristo, nè che si riceva corpo ralmente e carnalmente colla bocca del corpo; che l' ubiquità loro faceva or rore ;
che vi era argomentoa stupirsi che vi
fosse tanto attaccamento al dire che il
corpo sia presente nel pane, perché era
molto meglio considerare ciò che si fa
nell'uomo, per il quale, e non pel pane,
Gesù Cristo si rendeva presente ».
Questa attenuazione eracontraddito ria, giacchè, mentre voleva che il
corpo fosse veramente dato
nell'Eucarestia, si avvicinava poi
all'interpretazione simbo lica dei sacramentari, in quanto non ammetteva che il corpo eucaristico fosse il proprio corpo di Gesù. Non si pote va in
così poche parole annunciare due
principii più contrari! Nonostante la
sua poca conseguenza questa confes sione fu il principio di una serie di transizioni fra i due partiti. Calvino ammette una presenza quasi miracolosa e divina; non cessa dal ripetere che il mistero dell Eucaristia supera i sensi,
PREVOST che èun'opera incomprensibile
della di vina potenza, e nel suo catechismo si
sforza di spiegare come sia possibile
ma lo vollero addrit tura infinito ». Già s'intende che questa infinità contiene una impossibi lità
implicita, imperocchè essa suppone nell'
ingegno umano una potenza di svolgimento
infinito. Or noi sappiamo bene che le
facoltà percettive del no stro intendimento sono limitate a un maggiore o minor numero di cognizio ni, e che
quando nuove idee vengono a imprimersi
nella nostra memoria, di mentichiamo una seriedi altre idee, sic chè le une
cancellano le altre, e non vi è nel
nostro intelletto aggiunzione di idee
nuove, ma semplice successione (V.
MEMORIA). Vié dunque un limite
intellettivo, oltre il quale l'uomo, così come è ora organizzato, non può spin gersi.
Anche la divisione di una mede sima scienza i vari rami coltivati dagli specialisti, già indica che un nomonon può approfondire le sue cognizioni , se non si dedica esclusivamenle a un de
terminato e ristretto numero di fatti.
Ma il pragresso infinito malpuò conte ciclopedia delle scienze, e
conoscere tutti i particolari
dellastoria, per quanto grande sia il
numero dei secoli che conta la vita del
mondo.Epoichè pro gresso infinito vale tempo infinito, cosa infinita, così bisognerà credere che
possa venire un tempo incuil'uomo
conoscerà tutti i fenomeni dell'
universo infinito, nel
qualel'eternitànel tempo e nello spazio
non saranno più una incognita per lui.
Siffatta esagerazione nonhabisogno
di essere confutata. Il mondo nè peg giora, nè progredisce
infinitamente. II nostro miglioramento è
semplicemente indefinito, vale a dire
che se noi pos siamo accertare il costante progresso dellasocietà, manchiamo peròdi qualsiasi dato per stabilire il punto in cui que
stoprogresso dovrà arrestarsi.Sappiamo
però che una legge di trasformazione è
immanente in tutta la natura; che la
specie nostra e la nostra vita non rap presentano che un punto e un
minuto nella vita dell' universo; e che
nati su questa terra allorchè le
condizioni di calore furono propizie
allo sviluppodella vita organica, noi
cesseremo di esistere tostochè il
successivo raffreddamento di essa più
non permetterà agli attuali organismi di
trovarsi nelle condizioni necessarie
alla loro esistenza (v. Mondo).
Proposizione. La più semplice
forma logica con laqualeesponiamo un
giudizio. Ogni proposizione, infatti, per semplice che essa sia, contiene sempre un giudizio, avvegnachè, ancor che sia ridotta ai suoi minimi termini, essa e sprime
sempre l'oggetto e l'attributo, e spesso
la relazione tra l' uno e l'altro.
Quando io dico la forza è eterna, il
verbo é indica la relazione che corre fra il soggetto forza e l'attributo di
eternità di cui è o la suppongo dotata.
Questa sarebbe una proposizione
affermativa perché il verbo afferma
l'attributo; sa rebbe negativa se lo negasse, come per esempio in quest' altra: l'anima non è immortale. 312 PROTAGORA
Platone nel Sofista riduce a due soli
i segni vocali della proposizione: >
Morto Francesco I, il suo succes sore restitul aRamus la libertà di par
lare e di scrivere, e cred anche per lui
una nuova cattedra al Collegio di Fran cia: ma la protezione reale non
valse ad impedire l'odio di quelli che
mal tolleravano i suoi tentativi di
riforma in ciascuna delle arti liberali,
dalla gram matica alle matematiche. Qui vuol es sere ricordata la questione,
divenuta famosa, dei quisquis e dei
quanquam. I teologi della Sorbona
pronunciavano quelle parole alla
francese, e cioè come se fossero scritte
Kiskis e Kankam: i lettori del re invece
respingevano come barbarismo quel modo
dipronuncia. Un beneficiario che aveva
adottata la pro nuncia di questi ultimi, fu perciò solo citato in giudizio davanti al Parlamento di Parigi, ed egli correva gran rischio di pagare la sua grammaticale eresia colla perdita del beneficio, se non lo avessero caldamente difeso i professori del Collegio di Francia e Ramus con essi, i quali a gravissimo stento riesci rono
a persuadere i giudici che le re gole dell' ortoepia non erano soggette alla loro giurisdizione. Giudichisi da questo fatto quale fosse allora la forza delle vecchie consuetudini, e del princi pio
di autorità, e quanto coraggio do vessepossedere chi in qualsiasi guisa vo
lesse sfatare questo o quelle.Pure Ramus RAZIONALISMO non si lasciò spaventare da ostacoli di tale natura ; riprese le sue lezioni di 329 le
dottrine di Platone e di Aristotile
logica ad onta dei clamori e dei tumulti
con cui si tento ripetutamente di inter romperle; anzi adottò per testo
appunto quelle considerazioni sulla logica di Aristotile » per cui erasi scatenata su lui tanta tempesta. Nello stesso tempo osò pubblicamentesostenere(ed era al lora
esecranda eresia) che anche Cice rone e gli altri autori antichi avevano i loro difetti, e che « se furono ottimi in qualche cosa non erabuona ragione per adorarli in ginocchio e per procla marli
perfetti in tutto ». Avendo Ramus
abbracciata in quel l'epocala religione protestante,dapprima segretamente e pubblicamente dopo l'e ditto
di tolleranza del gennaio 1562, offri ai
numerosi nemici che si era procurati
colla sua audacia una poten tissima arma per perderlo. Egli divenne l' oggetto delle calunnie più odiose, e per due volte fu costretto ad abbando nare la
cattedra ed a correre la via
dell'esiglio. Finalmente, come già dissi, fu barbaramente trucidato la sera della strage di San Bartolomeo, dopo che a veva già
convenuto e pagato ai suoi as sassini il prezzo del suo riscatto. Tra le sue opere ricordo le « dia lectuæ
partitiones ad Academiam Pari siensem, e gli arithmeticae libri tres ». Rapin (Renato). Nacque in Tours nel 1621; morìl in Parigi il 27 Ottobre 1687: entrò nel 1639 nella compagniadi Gesù, dove fu destinato
all'insegnamento. Scrisse molte opere
filosofiche, nes suna però di qualche merito. Come un infecondo tentativo di filosofia
teologica va ricordato il suo «
confronto tra Pla tone ed Aristotile coi giudizi dei padri sulle loro dottrine. Con esso l'autore si propose di dimostrare che fu irra
gionevole il disprezzo ostentato da De scartes per le tradizioni filosofiche
che erano in auge prima di lui, ed
erroneo ed incompleto il sistema da lui
seguito e le conseguenze che ne dedusse.
Pre messa unasuperficiale esposizione del (tra cui fa un confronto non meno su
perficiale) come dei padri della chiesa,
Rapin giunge alla conclusione che mal grado la loro ignoranza delle
leggi fi siche tutti costoro furono eccellenti filo sofi appunto per aver
saputo meglio di Descartes apprezzare
l'importanzadella metafisica e per
averne riconosciuta la preminenza sopra
le scienze fisiche. Del resto, anche non
tenendoconto della va cuitàdelle opere delRapin, i suoi stessi fautori riconoscono non aver egli saputo senonchè esporre conuna forma molto infelice le idee su Platone di un cano nico
di poca fama, di cui egli in tal guisa
non sarebbe stato che un impe rito plagiario.
Razionalismo. Così si chiama quel
sistema di filosofia il quale pro fessa di non riconoscere altre verità
che quelle dimostrate dalla ragione.
Data questa definizione,che è la
piùgenerale, si capisce facilmente che
le credenze dei Razionalisti possono
essere tanto diverse quanto sono diversi
icervelli degli uo mini. Se la ragione fosse eguale in tutti gli uomini, certo sarebbe unico anche il criterio dei razionalisti per
scoprire la verità; ma disgraziatamente
non è così; e poichè ogni uomo crede di
se guire i dettati della sua ragione, anche
quando non rettamente argomenta, da
questa varietà doveva necessariamente
derivare, come infatti n'è derivata, una
grandissima diversità nelle conclusioni
dei razionalisti, i quali vanno divisi in tante scuole, che a tutte nettamente determinare è ardua impresa. Dirò per tanto
di alcune di esse e delle più note. La
prima scuola,la quale interpreta il razionalismo
nel modo più ristretto e, dirò anche in
un senso affatto im proprio, è quella del razionalismo teo logico. Questa
scuola, per la maggior parte compostadi
veri teologi, professa sibbene di
accettare la ragione come criterio di
verità, ma riconosce poi che ci sono dei
veri i quali eccedono la ca pacitànaturaledell'umana ragione, quali 330 RAZIONALISMO
sonoadesempio i misteridella religione,❘ primitivo ha potuto colsolo aiuto della iquali non possono dimostrarsi, ma devono di necessità essere creduti per fede. Tutti di leggeri intendono che impropriamente cotesti tali presero il nomedi razionalisti, imperocchè dalmo mento
che l'uomo sottrae al giudizio della sua
ragione una opinione od un principio,
perde per ciò stesso il diritto di dirsi
razionalista; altrimenti bisogna rebbe che tal nome fosse dato a tutti gli uomini; inquantochè tutti inqualche cosa si sottomettono ai dettati della ragione.
Fra questi stessi teologi il nome di
razionalisti fu disputato; ma infine ge neralmente convennero di
applicare tale appellativo a quelli fra
di loro i quali si sforzano didimostrare
laverità della fede collaragione. Si sa
che ilmaggior numero conviene che molti
dommi te ologici sono superiori al nostro inten dimento, e che impresa vana è
il ten tarne la dimostrazione. Non pochi però
furono di contrario avviso, e appog giandosi al detto di S. Paolo « la
cre denza sia ragionevole » hanno concluso
che ognidommapuò edeve esserespie gatodallaragione, permezzodella
quale si sono accinti a dimostrare, a
parer loro razionalmente, le così dette
verità della fede. Non e a dirsi la
meschina figura che certi tali hanno
fatto in co tale improba intrapresa, giacchè, messi alle strette tra la fede e la ragione, nonhanno fatto questa giudice di quella, ina piuttosto un' umile ancella, i cui servigi sono stati assai poco apprezzati e ancor peggio rimunerati. Molti teologi hanno severamente biasimataquesta ten denzadi
introdurre laragione nelcampo dei
misteri; e non avevano torto, poichè la
ragione nulla possa in quelle cose che la
Chiesa stessa ex cattedra ha de finite superiori all'umano intendimento. Appenapochi lustri or sono eraviva in Francia la disputateologica tra i ra
zionalisti ed i tradizionalisti; i primi
cercavano di dimostrare con esempi at tinti alla natura e alla storia
che l'uomo sua ragione man mano
sollevarsi dallo stato selvaggio alla
presente civiltà. So stenevano invece i tradizionalisti che senza il soccorso della tradizione, per la quale venne trasmessa la rivelazione fatta da Dio al primo uomo, non solo il genere umano sarebbe andato dege nerando,
ma non sarebbe mai riuscito neppure a crearsi un linguaggio. Era, per verità, da partedei teologi razionalisti, un'ardua impresa quella di sostenere arditamente la potenza civi
lizzatrice della ragione, e di opporla al
potere della rivelazione. Manon dimen tichiamo che quei singolari
razionalisti nonsostenevano la ragione
che per ado perarla poi a beneficio della fede. Essi non escludevano il sovranaturale, tut
t'altro; partivano anzi da un principio
poco diverso dalle idee archetipe di Pla tone, pel quale sostenevano che
l'intel letto nostro contiene in germe tutte le
verità così religiose come naturali; che
queste verità, dono gratuitodi Dio, van no manmano svolgendosicol
progresso storico dell' umangenere.
Tutte le loro dispute si struggevano
intorno aquesto solo principio: la
rivelazione è un fatto vero ma non
necessario. Se Dio non avesse data la
rivelazione, gli uomini col solo aiuto
dei germi che Dio ha posti
nell'intelletto umano, si sarebbero
innalzati alla civiltà, avrebbero acqui stata la conoscenza di Dio e
della sua legge morale. Non si può negare che per dei filo sofi
teologi questo era un passo assai
ardito. Ma stretti com' erano dai vincoli della fede, alla quale non potevano sot
trarsi, come avrebbero potuto non mal trattare la logica a beneficio della re
ligione? Perciò vittoriosamente oppo nevano i loro avversari che laragione umana essendo limitata, non potrebbe da se solaelevarsi fino alla chiara idea diDio. Quindi conchiudevano con l'ar gomento
di S. Tomaso (Contr. Gen. c.4) che tre
inconvenienti sarebbero venuti ove Dio
avesse abbandonato alle ricer RAZIONALISMO
che di ciascun uomo l'opera di for marsi le nozioni riguardanti Dio, la
cre azione, la legge morale e la vita avve nire. E cioè: 1.º che pochi uomini
ar riverebbero fino alla cognizione di Dio,
essendo il maggior numero impedito o
da inettitudine o da estranee occupa zioni, o dall' inerzia; 2.º che
anche que sti pochi i quali hanno
capacità, tempo e volontà, a stento vi
potrebbero per venire dopo anni assai, e ad età inol trata; 3.º che essendo
limitata laragione e soggetta ad errare,
non potrebbero quindi avere mai la piena
e formale 331 sulle forme del culto, divien scettico sui dommi fondamentali della vita av venire;
non afferma nè nega, ma s'a stiene, come il positivismo. Ciò, pertan to, che
fudetto perl'uno valeanche per l'altro.
Dirò ancora che, a parer mio, questa
astensione non èmolto ragione vole, poichè in tutte le cose l'uomo certezza di avere colto nel vero. I razionalisti teologi sono molti dif fusi
inGermania dove, per razionalismo, non
s'intende già una filosofia incredula,
ma una filosofia, la quale, benchè sia
contraria ai dommi della religione, è
pur sempre sottomessa ai dommi fonda mentali dell' esistenza di Dio,
della spi ritualità e dell' immortalità dell'anima. Ai nostri giorni nell' Italia e nella Francia è sorto il razionalismo
filosofico, il quale, assai più ardito
del suo confra tello, ha scosso tutti i dommidella fede pronunzia il suo giudizio seguendo le regole della probabilità. Nel Fedone, parlando Socrate della immortalità del
l'anima, dice: « lachiara cognizione di
tali cose in questa vita è impossibile,
od almenodifficilissima ... Il savio deve dunque tenersi a ciò che sembra più probabile quando non abbia dei lumi più sicuri, o una rivelazione che lo gui di
». Or i razionalisti questa rivelazione
non l'hanno, nè ammettono per vere
quelle a cui credono gli altri uomini;
perchè dunque non si atterranno al co mun modo di determinarsi nei
casi dubbi? Dicono che questequestioni
ec cedono lacapacitànostra e che i motivi
addotti pro e contro non hanno alcun
valore. Ragione di più anzi per deter mivarci alla negazione, perciocchè
se alcuno ci venisse innanzi affermando
l'e equelli ancora della filosofia spiritua lista. Questo razionalismo,
proclamando l' assoluta indipendenzadella
ragione, e la sua esclusiva competenza a
scoprire ❘ prensibili, certo non si
pretenderebbe cheda noi si adducessero
argomenti sistenza dicosa impossibilee
pretendesse dimostrarcela con argomenti
incom il vero, nega recisamente ogni culto e sterno ed eziandio ogni religione.
Si arresta, per altro, dinanzi ai dommi
fon damentali dell'esistenza di Dio e dell'a nima immortale, non giá perché
esso li ammetta siccome veri; ma perchè
li di chiara impossibili a concepirsi e a di mostrarsi col nostro intendimento.
Par rebbe ovvio che dopo taldichiarazione
il razionalismo dovesse negarli; pure
non è così, giacchè esso aggiunge inol tre, che come quei dommi non
possono concepirsi nè dimostrarsi, così
neppure possono confutarsi e negarsi;
che tanto le prove affermative quanto
lenegative non hanno valore quando si
applicano ad argomenti che eccedono i
limiti del l'umana ragione. Mentre adunque il
positivi per negarla. Finchè una cosa
non sia dimostrata, per noi non esiste
ancora, e per negare ciò che non esiste
occorrono forse argomenti positivi? Ma
dimostrato non è ciò che si ammette
eccedere i limiti delnostro intendimento, perciocchè la dimostrazione vuol essere compresa, o non è dimostrazione. Se non è dimostrazione, dunque la cosa rimane indimostrata; e se la dimostra zione
non è conpresa, dunque la cosa non resta
nè compresa ne dimostrata, come non lo
sono tutti i sogni della nostra
immaginazione, ad annullare i quali
bastala semplice attestazione dei
sensi. L' astensione del
razionalismo sui razionalismo filosofico
è affatto incredulo | dommi fondamentali della religione non 332 RAZZA
può dunquefondarsi, come si pretende,
sulla incompetenza della ragione. Un
certo ritegno, consigliato piuttosto dalla opportunità, per non spingerela nega zione a
tutta oltranza e per non cre arsi troppi nemici, è il vero motivo di questa astensione. Ma molti hanno già superato anche le ultime barriere e spingono il razionalismo filosofico alle sue ultime conseguenze, quali quelle di emancipare la ragione umana da ogni incomprensibile sovranaturale e di ren derla
suprema giudicatrice d' ogni con troversia.
Razza, Specie. I naturalisti divi dono gli esseri vivi che popolano il
mon do in vari generi, ogni genere sidivide
in varie specie, e le specie in razze. La specie dunque comprende la razza; e se si ammette che le razze comprese in una medesima specie derivano tutte da un'unica fonte, non così sono tutti disposti ad ammettere che le specie possono essere derivate le une dalle altre. Darwin è stato uno fra i primi che hanno dimostrata la trasformozionedelle specie e il loro possibile passaggio dal
l'una in altra ( v. DARWINISMO ). Rima ne tuttavia il dubbio sul valore
delle varie razze umane, rimane, cioè, a
co noscersi se le varietà che si notano nel
fisico umano, derivano dalladegradazio ne o dal miglioramento di
individui e guali, oppure se queste varietà sussi stettero in ogni tempoe fin
dall'origine dei vari tipi, i quali
sarebbero perciò distinti con caratteri
specifici e costi tuirebbero altrettante specie. Già fin dal secolo scorso i naturalisti erano discordi intorno a questo punto. Buffon ammetteva una sola specieuma na,
fondandosi sul fatto che da un clima all'
altro le singole razze di uomini sono
insieme collegate; che a lungo andare
ogni uomo risente la influenza del clima, che una medesima latitudine, allorchè contiene climi diversi, presenta pure razze differenti; finalmente che le
varie razze d'uomini possono associarsi
vicen devolmente e generare individui fecondi.
Quest'ultimo carattere fu però negato
da molti naturalisti, specialmente dopo
le infeconde unioni sperimentate sui
negri d' Affrica trasportati in America
(V. DARWINISMO ). D'altra parte si è
pure giustamente obbiettato che la fe condità delle unioni fra individui
di differente razza non proverebbe che
essi appartengono alla medesima
specie,poi chè, come osserva il prof. Adelon, è
certo che molti animali di specie evi dentemente diversapossono
accoppiarsi e procreare individui
fecondi. A molti parve poi impossibile
di attribuire al l'influenza del clima le differenze che si riscontrano fra le varie razze umane. Nella storia naturale, dicono essi, le specie si fondano sopra diversità im
portanti, dipendenti dall' organizzazione
primitiva, le quali resistendo ad ogni
esterna influenza, si trasmettono immu tabili attraverso alle
generazioni. Essi dicono che le
differenze che si notano fra le razze
umane in certi casi hanno questo
carattere specifico. Si incontrano
uomini neri vicino ai poli e uomini
bianchi sotto ai tropici; gli uni e gli
altri si mantengono tali in climi opposti quando non si uniscono con altre razze; ed in tal modo ibianchi rimangono bianchi sotto ai tropici ed imori
restano mori nella terra di Diemen,
paese fred do, come pure nell' America settentrio nale. Quante nazioni
conservano il pri mitivo loro tipo a malgrado dei secoli e dei climi, quando non contraggono estranee alleanze, come, per esempio, la nazione ebrea! D'altronde il moro non ha mica la sola pelle nera; sono pure neri ilsuo sangue, i suoi organi interni, e se pretendesi che la prima sia stata annerita dal calore del clima si vorrà forse che egualmente abbia anneriti gli altri? D'altronde non fu forse osservato avere il negro un pidocchio particolare ad esso, e diverso da quello che affligge la razza bianca? Intorno a questo argomento così si spiega il Dott. Bertillon in un notevole scritto sull' antropologia: «Uno dei cri
RAYNAL 333 teri di coloro che sogliono attenersi al ❘ di principio per sviluppare la
confusa. gruppo specifico è l'origine.
Sono di chiarati della stessa specie coloro che
sortono dalla medesima coppia. Compre sa in questa generalità la tesi è
incon testabile, perchè si suppone che la discen denza è unfatto osservato,
maquando la comunanza d'origine non è
stata scien tificamente accertata, e in conseguenza tutte le volte che essa risale a tempi lontanissimi, come nel caso dell' uomo, bisogna relegare questo preteso criterio fra le più detestabili inspirazioni di
cui i miti religiosi hanno infettate le
fonti della scienza. Quand' anche gli
uomini non fossero che delle scimmie
antropo morfe perfezionate da una lunga selezio ne, non costituirebbero perciò
meno un gruppo generico ben distinto; e
se an che gli astronomi, che oggi ci mostrano
l'esistenza del ferro, del rame, dell'i drogeno ecc. nelsole,
riuscissero a farci vedere degli uomini
nel pianeta Marte, Od altrimenti, il
raziociniosi fa quando, con dei
principii luminosi ben applicati alle
cose oscure e ignote, si dimostra quel
che era occulto. Raynal ( Tommaso
Guglielmo ) nato a Saint-Genis il 12
Aprile 1713, morto a Chaillot il 6
Maggio 1796. Fudapprima ascritto alla
compagnia dei Gesuiti, mase ne allontand
ben pre sto e, recatosi a Parigi, vi abbandonò
apertamente il sacerdozio. Alcuni
lavori di diversa natura, sto rici in gran parte, incominciarono ad acquistargli rinomanza, e lo fecero ac
cettare quale uno dei redattori del Mer curio. Avendo poi stretta amicizia
con Holbach ed Helvetius difese con ar
dire e convinzione i principi da essi
professati. Ebbe fama luminosaper
lasua ope ra maggiore intitolata « storiafilosofica e politica degli stabilimenti e del com
mercio degli Europei nelle due Indie ».
qualunque fosse la loro eguaglianza or ganica con noi,dovrebbero forse
costi-❘ Con quel libro Raynal tradusse in
atto tuire una specie aparte, sotto
pretesto che non discendono dagli stessi
ante un concetto di difficile esecuzione e va nati ? Il solo proporsi queste
questioni vale risolverle. La formazione
dei gruppi specifici deve riposare, o
sulla fecondità scientificamente
accertata e duratura fra gli individui
che li compongono, oppure sul complesso
dei rapporti di rassomi glianza e d'intimità i quali possano condurci ad ammettere come attualmen te
possibile la riproduzione durevole dello
stesso tipo ». Con ciò si conclude che
se in nessuna scienza si possono fare
delle divisioni assolute, meno poi
èlecito farle nella storia naturale, nella quale queste divisioni sono affatto con
venzionali enon meritano proprio, come
ben dice il dott. Bertillon, le lunghe
discussioni che hanno generato.
Raziocinio. L'atto del commet tere insieme giudizi per induzione o per dimostrazione. Il raziocinio, diceRo
magnosi, discorso,argomento, prova, non
è che lo sviluppo di una idea chiaro confusa, nellaquale laparte chiara
serve stissimo, quale era quello
diriunire in un quadro metodico e ben
fattola sto ria di tutte le imprese degli Europei nell' India e nel nuovo mondo. Come egli sia riescito in questa impresa si ardua, lo mostra la splendida celebrità che al suo primo apparire l'opera gua dagnava
all'autore. Della Storia filoso fica, furono fatte nella sola Francia
venti edizioni, e più che cinquanta
altrove. E fu un successo ben meritato,
perchè se in qualche punto si sarebbe
potuto usare una critica storica più
severa, tale menda però scompare di
fronte ai pre valenti pregi reali dell'opera, nella quale l'autore, alla esatta esposizione dei
fatti, seppe accoppiare profondi
insegnamenti, ed interessantissime
considerazioni, qua li sono quelle sulla tratta deinegri, e sul la libertà del
commercio, cherimangono adimostrare il
suo profondo affetto per l'umanità, e
per il civile progresso. L'opera, per la
sua indole storica, più che filosofica,
mal si prestava ad una 334
REDENZIONE completa ed ordinata
esposizione di dot trine. Tuttavia Raynal non lascid sfug gire occasione veruna
per battere in breccia l'assolutismo e
lasuperstizione, eper ridurre al loro
giusto valore le teorie
dell'assoluto. Così egli rifiuta ogni
fede all'esi stenza di Dio, ed anzichè supporre un ordine morale eguale in ogni tempo ed in ogni luogo ed indipendente dalla diversità dei fatti e delle forme
sociali, dimostra essere la morale una
creazione e della società, diversa nei diversi tempi nei diversi luoghi, ed intieramente subordinata ai climi, alle consuetudini, ed alle forme di governo. e «la
storia del Parlamento d'Inghilterra».
Realismo. Vedi NOMINALISMO.
Redenzione. Nell' antico Testa mento redentore è detto chi redimeva od aveva diritto di redimere l'eredità venduta da alcuno dei suoiparenti, o il parente stesso, dalla schiavitù, e chi ri
scattava una vittima destinata al sacri ficio. Redentore del sangue era
colui che aveva diritto di vendicare
l'uccisione di qualche suo parente,
ammazzando l'uccisore. Nel nuovo Testamento Gesù è detto il Redentore, colui che diede la sua vita per la redenzione degli uomini (Matt. XX, 12). Ivi s' insegna che noi resero molti onori. RELAZIONE, RELATIVO siamo stati riscattati a gran prezzo (I Cor. VI, 20), che il nostro riscatto non fu fatto a prezzo d'argento,macol 335
uomini ed a concedere loro la vita e sangue dell' agnello immacolato, il
quale è Gesù Cristo. (I Piet. I, 11).
Gli scrit terna. La quale opinione, che fadi
Gesù Cristoil nostro redentore per in tercessione e non per
soddisfazione, è avversata dalla maggior
parte dei cri tori sacri partendo dal concetto del| stiani, i quali
siconfortanocolleparole peccato
originale, giungevano fino a supporre
che tutti gli uomini fossero dannati e
fatti preda del demonio, e che Gesù
solamente col versare il suo cato e la
nostra liberazione. Conviene di Gesù: «
Questo è il sangue mio del nuovo
testamento, il quale sarà sparso per
molti in remissione dei peccati ». Essi dicono
ancora chenell'anticalegge la redenzione
o il riscatto dei primo sangue, offrendolo in olocausto al Pa drè suo, ottenne
laremissione del pec-❘ geniti consisteva nel pagare il
prezzo per ricuperarli; la redenzione
dunque del genere umano consistere
nell'avere ricordare che sotto l'anticalegge
il sa Gesù pagato il prezzo per salvare gli
uomini colpevoli e degui della morte
eterna. Ma fu risposto che se quello di
Gesù Cristo fosse stato un riscatto ve crificio costituiva il fondamento
di tutto il culto. Il popolo d'Israele,
simile in questo a tutto il paganesimo,
non im petrava la clemenza di Dio in altro
modo che coll' offrirgli de' sacrifizi. I migliori animali e i più immacolati e rano
immolati sull'altare della divinità, e
su quella vittima innocente ciascuno
scagliava la sua maledizione come per
rovesciare su di lei le colpe di tutti.
Ammesso dunque il peccato originale,
ai primi cristiani doveva parer cosagiu- muoia per alcuni colpevoli, nè
offrendo sta che il sangue di unuomo
fosse dato come corrispettivo del
riscatto di tutta ro, egli avrebbe
dovutopagarne il prezzo al demonio da
cui li riscattava, e che questa idea era
troppo orribile per es ser vera. D'altra parte fu detto che la redenzione per soddisfazione, sarebbe contraria alla giustizia divina, non es sendo
giusto che un innocente patisca e
l'umanità. Ai sociniani però non
parve conve nevole per la divinità ch'ella vendesse, fosse pure a prezzo di sangue, la re denzione
degli uomini; laonde cercarono di
mitigare quanto ha in se stesso di
brutale questo domma, insegnando che,
non già per lamortedi Gesù,Dio aveva
perdonato agli uomini, ma per le sue.
preghiere. Quanto ai pelagiani che ne gavano la propagazione delpeccato
ori ginale, dovevano necessariamente inten dere la redenzione in un senso simbo
lico. Dissero perciò che Gesù è reden tore degli uomini perchè li ha
istruiti con laparola e con l'esempio,
riscat tandoli dalle tenebre dell' ignoranza, e
ponendoli in condizione di acquistarsi
il cielo. Anche Le Clerc nella sua Sto ria Ecclesiastica si avvicina a
questa dottrina, dicendo che Gesù pregò
il questa sostituzione soddisfazione
alcuna pel delitto. Che, infine, sarebbe
stata cosa più degna della bontà
infinita il perdonare senz' altro a rei
pentiti che l'esigere una rigorosa
soddisfazione. Aqueste ed altre
obbiezioni, i cre denti nella soddisfazione hanno risposto essere una veratemeritàil crederedi sa pere
meglio di Dio ciò checonvenisse ad una
bontà infinita. In questa maniera
eludendo la domandaconvennero che il
domma della redenzione non è spiega bile dalla ragione umana, e che
costi tuisce perciò un mistero imperscruta bile. V. GESÙ, CRISTO, MESSIA,
INCARNA ZIONE. Relazione,
relativo.L'atto col quale l'intelletto
consideradue cose di verse, ideali o reali, per indurne conse guenze sulla loro
convenienzaosconve nienza si chiama paragone; le conse guenze indotte le quali
indicano ciòche una cosa è rispetto
all'altra, sono la Padre suo a perdonare
i falli degli | relazione . Le relazioni che le cose 336 RELIGIONE
hanno fra di loro sono innumerevoli, e
la loro conoscenza costituisce il nerbo
delle nostre cognizioni. Sono
cose o ideerelative quelle che hanno
dipendenza da altre cose o idee.
L'effetto è relativo alla causa da cui
dipende; il colore è relativo al corpo in cui si manifesta od all'organo da cui è percepito. Adoperasi perciò nella filoso fia
la voce relativo per indicare uno stato
o una condizione differente dal l'assoluto. Ogni nostra idea è relativa a noi,manon è assoluta; il concetto che io mi formo del suono, deicolori, della luce, è affatto relativo al mio modo di percepirli; ma chi sa in quale altra maniera sono percepiti da altri esseri ? e chi sa che cosa questi fenomeni sono in realtà? Di cose assolute non può e
sisterne che una, ed è la sostanza, la
quale essendo indipendente da ogni al tro essere, ed unica, non ha
relazione conaltre cose, poichè tutte le
cose sono parte di essa . Tolta questa
unica eduniversale sostanza, tutti i
feno meni percepiti sono relativi o al no stro modo di percepirli, o alla
causa d'onde emanano, o alle condizioni
di e sistenza che essi trovano. Tutte le
idee che noi abbiamo sono relative.
Invano noi cerchiamo di avere la nozione
assoluta delle cose; tutto ciò che noi
impariamo, lo impariamo in grazia dei
nostri sensi e perciò la ve rità di tutte le nostre cognizioni è pu ramente
relativa a questi sensi. (v. PIR RONISMO).
Religione. Sentimento dell'animo
verso Dio, il quale non deve confon dersi con gli atti di divozione,
che costituiscono più propriamente il
culto. Vi sono alcuni chehannouna
religione enon uncultoesterno; ma
l'elevazione della mente verso Dio è in ogni
caso carattere essenziale della
religione. Han no torto quegli increduli i quali affet tano di professare la «
religione della scienza » la « religione
dell'umanità >> ola « religione
del vero ». Queste ed aitre tali
espressioni o non esprimono giustamente
il loro pensiero, oppure non servono che
ad occultare la loro incredulità. Si
possono professare delle opinioni
filosofiche intorno alla scienza o
all'umanità; ma acostituire una reli gione, ossia un sentimento di
relazione fra l'uomo e un supposto
essere sovra naturale, non bastano leideepuramente relative a cose naturali. Questo per ciò che riguarda la de finizione.
Se poi si'considera la reli gione nella sua essenza, si vede che quel
il quale si suppone innato in
tutti gli uomini, non è altro che l'
espressione di quel l'occulto timore che l'uomo prova din nanzi agli agenti
naturali più potenti di lui. Feuerbachha
detto giustamente che il sentimento di
dipendenza è la sorgente di tutte le
religioni; or il primo motivo di questa
dipendenza de riva dalla natura, e perciò essa è stata l'oggetto del primo culto. « I filosofi speculativi rai hanno canzonato, scri veva
Feuerbach, perchè ioho detto che il
sentimento di dipendenza è la sor gente del sentimento religioso, defini zione
che parve a loro faceta, dopo che Hegel
disse a Schleiemacher, che se il
sentimento di dipendenza è la sorgente
della religione, il canedovrebbe averne
una; avvegnachè esso si sente sotto la
dipendenza del suo padrone ».
AFeuerbach parve così poco seria
' obbiezione di Hegel, che dopo averla
accennata non credette di spendere
parole per confutarla. D'altronde gli
sarebbe stato facile il dimostrare che,
se il cane, col suo corto raziocinio,
sentisse il bisogno di credere in un es- sere superiore, certo l'uomo
sarebbe it' suo Dio, con la differenza
che esso ha pel suo padrone un'
affezione assai più vera di quella che
l'uomoprova per la Divinità. ; ma
ai filosofi moderni, siffatta credenza par troppo ridicola. Ben altrimenti che tor nare
in polvere, il corpo umano per la
massima parte si volatizza in gaz, i gaz
sono assorbiti dalle piante, le piante si trasformano in frutti, i frutti sono man
giati dall'uomo e si assimilano alla sua
carne (v. MORTE). Questo esempio rac chiude così all' ingrosso tutto il
con cetto della trasformazione della mate ria; ma uno studio accurato della spe
cialità dimostra, che sì nell' uno che
nell' altro modo, per un circolo di tra sformazione più o meno lungo, la
ma teria torna quasi sempre al punto di
partenza e compie una rotazione non
dissimile da quella che subisce l'acqua
nei suoi fenomeni apparenti: svapora,
cioé, dal mare, si trasforma in nube,
quindi si condensa in acqua o neve,
penetra nei fianchi dei monti, scaturi sce in sorgenti e quindi le
sorgenti fanno i ruscelli, i torrenti, i
fiumi, che finalmente ritornano al mare.
Così del pari la materia di che è
composto il nostro corpo, sarà a poco a
poco assi milata da altri corpi; formerà vegetali, animali e uomini, di guisa che, in ulti ma
analisi, può dirsi con matematica
esattezza, che tutti gli uomini son fatti dall'istessa sostanza. Ora se la materia di che é composto ilmio corpo è quella stessa che formò il corpo di altri uo mini
che vissero prima di me, avremo un corpo
solo ognidieci, ogni cinquanta ocento
uomini, di guisa che molti sa ranno impossibilitati a risorgere. Lo statuario che modellando la sua creta forma una figura, e cessato il bisogno l'infrange per formare con essa nuovi modelli, potrebb'egli mai coll' istessa creta pretendere di ricostruire tutti i modelli che con essa egli ha prodotti? S. Paolo così rispondea questa diffi tempi
gli opponevano i Corinti: « Ma, dirà
alcuno, come risuscitano i morti e con
qual corpo verranno? Pazzo che sei !
Quel che tu semininon èvivificato, se
prima non muore. Tu non semini it corpo
che deve nascere,maun granello ignudo;
ed aciascunseme Iddiodà il suo proprio
corpo. Non ognicarne è la stessa carne,
anzi altra è la carne degli uo mini, altra quella delle bestie. Vi sono ancora dei corpi celesti e dei corpi ter
restri , ma altra è la gloria dei celesti,
altra quella dei terrestri. Cosi ancora
sará la risurrezione dei morti: il corpo
è seminato in corruzione e risusciterà
incorruttibile Egli è seminato in diso nore e risusciterà in gloria:
egli è se minato in debolezza, e risusciterà in
forza: egli è seminato corpo animale e
risusciterà corpo spirituale. (I Cor. XV, 35 eseg). Certo, qui San Paolo non spiega l' impossibilità fisica di
formare due o più corpi con lamedesima
mate ria contemporaneamente. Il corpo dei
risorti dev'essere spirituale; e intendasi pure che in queitempi neiquali lo spi
ritualismo moderno non eranato, con la
voce spirituale intendesse di indicare
una sostanza più leggera della materia
(v. ANIMA), una sostanza incorruttibile,
cioè non soggetta a trasformarsi Sarà
pur sempre vero che, secondo S. Paolo,
non saranno già i nostri propri corpi
che dovranno risorgere, ma altri corpi
fatti di una sostanza diversa. Perchè
non è piaciuto ai teologi di restar fe deli a questo insegnamento ?
Volendo lusingare la vanità dei vulgari
essi hanno forse capito che se il
domma della risurrezione giovava al
cristiane simo, ciò era apatto che il nostro pro prio corpo fosse chiamato alla
risurre zione; cioè quel corpo al quale siamo
tanto attaccati, e che costituisce per
noi tutta la nostra personalità. Perciò
amolti teologi èpiaciuto di sbizzarrirsi
descrivendo le condizioni della nostra
risurrezione.A sentirli, tutti i corpi do vranno essere perfetti; quindi
gli storpi 352 RIVELAZIONE si raddrizzeranno, i ciechi avranno la vista e i sordi l'udito; i grassi diver ranno
un po'magri e i magri ingrasse ranno; i vecchi dovranno diventar gio vani e
igiovani dovranno farsi adulti, in
modoche tutti abbiano la perfetta età di
33 anni. Non hanno detto però se per
amore di questa tanto invidiabile ugua glianza e di questa sublime
perfezione, le vergini dovranno cessare
di essere tali, o se le donne maritate
dovranno tornare vergini. Quest'ultima
opinione è però assai più probabile,
attesochèGesù Cristo, rispondendo ad una
interpellanza chegliavevanofatta
iSadducei, dichiarò che quando gli
uomini saranno risu scitati dai morti, non prenderanno nè daranno mogli, ma faranno come gli angeli che son ne'cieli » (Marco XII, 25). Quindi gli uomini avranno la bocca ma nonmangeranno; il ventricolo ma non digeriranno; gli organidellagene razione
ma nongenereranno. In termini assoluti
si può dunque dire, che tutti questi
organi saranno superflui : or è molto
dubbio che le cose superflue sian
perfette. Perciò, guidati da questa ob biezione, molti teologi supposero
che nella risurrezione non si farà più
di stinzione di sesso. Questa opinione ha
fondamento in un passo dell' Evangelo
apocrifo degli Egiziani, nel quale si
leggevano queste parole: « Il Signore
fu interrogato daSalome quando verreb be il suo regno? Ed egli disse:
quando voi calcherete sotto i piedi gli
abiti della vostra nudità, quando due
saranno una, e ciò che è di fuori sarà
come cid che è di dentro e non vi sarà
più nè maschio nè femmina » .
Giustamente osservò BianchiGiovini,che
con questa anfibologia pare si voglia dire,
che la trasformazione del mondo presente
deb ba produrre anche una trasformazione
dell'essere umano, il quale sarà vestito
di un corpo diafano, liscio, senza sesso, senza membri o visceri, di cui non vi sarà più bisogno; come non vi sarà bi sogno
di vestimenta essendo cessati i riguardi
del pudore e le esigenze delle stagioni.
In tutti i casi le prime fonti cristiane
insegnerebbero che la risurre zione si farà con corpi diversi dai no stri, e se
i teologi vi avessero attinto fedelmente
e senza esagerazioni, avreb bero almeno evitata la impossibilità fi sica di cui
si è parlato. Rivelazione. Nelsenso dei
dom matici è l'atto col quale Dio ha inse gnato agli uomini, a viva voce, o
per mezzo dei suoi inviati, lecosì dette
ve rità della religione. Tutte le religioni
positive ammettono una rivelazione fatta
daDioall'uomo,siadirettamente all'atte
della creazione, sia indirettamente col
mezzo di mandatari che consegnarono le
regole della religionenei codici sacri, i quali perciò si considerano dai credenti come inspiratidalla divinità. I
principali libri sacri sono: i Veddas,
il CodicediMa nou e i Purana degli Indiani; il Zend Avesta dei Persiani;
laBibbia degli ebrei (V. BIBBIA) l'Edda
degli Scandinavi e il Korano dei
mussulmani.IGreci ediRo mani avevano ingrande venerazione al cuni scritti dei
poeti, tali che Omero ed Esiodo, certe
raccolte degli oracoli ed i libri
Sibillini, evidentemente apocrifi.
Allora la poesia dettava le sue leggi ai
popoli, dei quali i poeti erano i natu rali legislatori. Nei primordi
della ci viltà gli uomini non ebbero altra re gola di condotta all'infuori di
questa : ecoloro fra essi che per il
loro inge gno, per il coraggio o per l'entusiasmo si distinsero dagli altri, furono
creduti inspirati dagli enti superiori.
L' uomo aveva vicino i suoi Dei, e tutti
i giorni ne udiva la voce, iconsigli e
icomandi in tutti i fenomeni della
natura, nei tuoni e nei lampi, nel volo
degli uc celli, nelle interiora degli animali, nei vapori delle caverne, nel canto dei poe ti, e
perfino negli incoerenti propositi dei
pazzi (v. ORACOLI). Chi per le doti del
suo ingegno si sentiva chiamato a
dirigere i destini della società, si cre deva o fingeva di credersi
inspirato da Dio; dettava le sue leggi,
e i suoi scritti andavano bene spesso ad
aumen RIVELAZIONE tare il codice dei libri
sacri. Il sorgere di un profeta, di un
rivelatore era cosa assai comune tra gli
orientali; come tra i Greci ed i Romani
comunissima era la scoperta di nuovi
oracoli. Dio parlava all'umanità in
tutte le guise, sotto tutte le forme.
Dal serpente del l'Eden che predice all'
uomo la reden zione, dall'asino di Balaam all'umile fa legname di Nazareth, la
storia degli ebrei non è che una
continua succes 1 353 serie dei profeti. Pietro de Bruys, Eon della Stella, Epifane, gl'Illuminati, i Ca
misardi, i Giansenisti, e gli Svedenbor gisti, ci provano quanto in ogni
tempo sia stato facile il farsi credere
in comu nicazione con la divinità. Ancora ai
giorni nostri la rivelazione non è ces sata. Brigham Young non ha egli
pro nunciati i suoi oracoli fra i mormoni?
e tutti i giorni i medium spiritisti non
rivelano ai credenti le cose dell' al sione di profeti e di entusiasti,
del mag gior numero dei quali la tradizione
forse ci ha taciuto il nome. Così divul gata era allora la credenza
della par tecipazione degli Dei nei consigli uma ni, che molti filosofi non la
posero in dubbio, e quando pure
dubitarono di questo o quell'oracolo,
non dubitarono di tutti. Pittagora si
diceva egli stesso in comunicazione
colla divinità. Platone nel quarto libro
delle leggi insegnava doversi ricorrere
a qualche Nume, o at tendere dal cielo una guida, un mae stro che ci istruisca.
Nel Fedone par lando Socrate dell'immortalità dell'ani ma diceva, dovere il
sapiente tenersi al probabile, quando
non ha dei lumi più sicuri, o la parola
di Dio stesso che gli serva di guida. Tutta
la scuola pitta gorica e neoplatonica, come quella di tutti i mistici ha professato lacredenza nella facile comunicazione con ladi
vinità. Il gran numero degli evangeli
apo crifici ( v. APOCRIFI ) dimostra quanto
fosse facile il compilare dei libri rive lati anche nei primi secoli del
cristia nesimo. Solamente dopo che la Chiesa
ebbe stabilito il suo poteree fu custode
gelosa della sua autorità, tacque la
voce dei profeti,e gli oracoli con leggi
violenti furono costretti al silenzio. Ma non cessò per questo il popolo di con sultare
i suoi genii; e nel medio evoebbe per
profeti le streghe e gli stregoni e il
demonio per rivelatore. Di tempo in
tempo sorgevano nuovi inspirati, iquali,
sempre condannati dalla Chiesa, ma sem pre creduti dalle
turbe,continuarono la tro mondo? (V. MORMONISMO
E SPIRI TISMO). I deisti, i quali non
ammettono reli gione positiva, negano che vi sia stata una vera rivelazione, poichè a quanto dicono, l'uomo non ha che a seguire i dettami dellasua ragione e il lume della sua coscienza per conformarsi alle leggi divine. Una rivelazione, continuano
essi, fatta ad un popolo o ad una
schiatta, sarebbe ingiusta, poichè essa
conter rebbe delle regole di condotta che sa rebbero ignorate dai popoli ai
quali la rivelazione non venne
data. Se ciò fosse vero, rispondono i
cat tolici, bisognerebbe conchiudere essere
interdetto il porgere agli uomini istru zione ed educazione di sorta; un
im pertinente essere stato qualunque filosofo
tentò farsi maestro ai propri simili, ed
insegnare a pochi uominiquello ch'egli
era in dovere di insegnare all'universo
intero. Ma questa risposta non giova
proprio ai cattolici, i quali sanno pure
che Dio non è un filosofo, la cui azione
è limitata necessariamente al ristretto
numero di coloro che aspettano i suoi
insegnamenti. Ma se il filosofo non può
istruire tutti gli uomini, Dio poteva
farlo, nè ciò gli sarebbe costata mag giore fatica di quellacheglisia
costata l'istruzione di pochi
eletti. Una religione rivelata,dicono
ancora i deisti, non può essere
destinata da Dio a tutti gli uomini,
poichè non ve n'è alcuna che abbia tali
prove, che comprendere si possano da
ogni uomo; altrimenti Dio esigerebbe
l'impossibile ; quanto poi alla
rivelazione cristiana in 23 354 ROBINET
particolare, non si può dire che essa
eccelle in perfezione, imperocchè errori
di fisica, di astronomia, di morale e per fino di cronologia si trovano
nei libri nei quali questa pretesa
rivelazione è stata consegnata (V.
BIBBIA). Robinet ( Giovanni-Battista-Re
nato) nacque a Rennes nel 1735, morì il
24 febbraio 1820. ed il riposo e la
sicurezza di cui cia scuno gode. E la compensazione deriva da ciò, che immutabili sono soltanto Dio ed il nulla: l'essere finito cambia ad ogni istante ma nonpossiede senon chè
laminima parte possibile di esi stenza, così che in ogni istante perde altrettanta esistenza, quanto ne riceve
: e siccome esistere è il bene e non esi
Entrò nella società dei Gesuiti, ma stere il male, ecco stabilitaper sè
stessa si stancò ben presto di un genere
di la compensazione. La quale è inoltre
vita pel quale non era inclinato. Usci manifestata da tutti i grandi
fenomeni quindi da quel sodalizio per dedicarsi
della natura come da quelli dell'ordine
interamente alla filosofia. Stampò in sociale: la nutrizione non può
ristorare Olanda (dove recavasi a questo
scopo) senza distruggere, l'attività distrugge
il suo libro della Natura, la cui pub- quanto produce, la sensibilità
accoppia blicazione non sarebbe stata
permessa al piacere la pena; ogni stato ha le sue in Francia dall' autorità. L'opera fece gioie
e le sue miserie, ogni condizione tanto
rumore che fu attribuita agli i suoi vantaggi ed i suoi inconvenienti. scrittori più celebri dell' epoca, quali Ma
gli esseri, oltre avere la stessa som Helvetius, Diderot, Voltaire, ma Robinet
ma di beni e di mali, hanno anche la non
tardo a rivendicare in termini fermi stessa origine. Tutti sono varietà
del emodesti la paternità come la
respon- tipo animale, hanno organi con cui ri sabilità del lavoro. Se però il
suo nome prodursi, ed i minerali e gli astri sono fu più conosciuto, non migliorò per que-
soggetti alle leggi della generazione,
sto la sua condizione economica, tanto come gli animali e le piante. Ora
legge che fu costretto a mettersi agli
stipendi universale della natura animale è l'i de'librai, ed a tradurre
dall'inglese per stinto: l' istinto è adunque la Legge su essi de' romanzi. Nel 1778 ritornò in cui si
fondano la società, i costumi e Parigi,
e qualunque fosse stata l'impres- la legge della specie umana; la stessa sione prodotta dal suo libro, la mede- |
morale non è che un istinto più per sima era già così cancellata, che l'au tore
fu nominato censore reale e con servò l'impiego fino al momento in cui quella carica fu soppressa. Robinet du rante
la rivoluzione si ritrasse a sua Rennes,
ove fint i suoi giorni. Concetto
fondamentale dell' opera la Natura è che
i benied i mali si e quilibrano perfettamente nel mondo. Il dolore ed il piacere, il vizio e la virtù corrispondono a monete il cui corso è regolato ed il cui valore si eleva e si abbassa in proporzioni costanti. Gli es seri
più perfetti dopo Dio, i più ricchi,
quelli che hanno ricevuto le facoltà più
potenti sono anche quelli che trovansi
più esposti alla corruzione e quindi alla maggiore infelicità. Vi è adunque com
pensazione tra il benessere di ciascuno,
fetto di quello degli altri animali.
Quanto all' anima, Robinet suppone
che dall'istante della creazione abbiano
esistito insieme i germi di tutte le ani me e quelle di tutte le
organizzazioni. Ledue nature non
derivano l'una dal l'altra, ma non possono esistere l'una senza dell'altra. Ad ogni funzione dello spirito, alle sensazioni, alle idee, alle vo
lontà corrispondono certi organi interni
e certe fibre del cervello, così che se
corpo. il corpo è animato dallo
spirito, l'anima non pensa ed agisce che per mezzo del 1
Robinet riconosce che l'idea comune
di Dio non è che l'idea stessa dell'uomo
elevata a proporzioni chimeriche, o ri dotte, il che è lo stesso, ad un
concetto negativo. Pure, anzichè
concluderne che ROSCELINO con ciò stesso
si distrugge la teoria del l'ideainnatadiDio, ed insieme uno degli argomentipiùfavoriti deideisti,egli siper
deneltentativo di togliere dalla nozione
dell'essere supremo ogni legadiantropo morfismo, ammettendo come
indiscuti 355 da lui seguito nelle
conferenze pubbli che che teneva in Parigi tutti i merco ledì. Egli
incominciava col porre alcune generali
proposizioni tratte dall' espe rienza e ne deduceva laspiegazione dei fenomeni: ciò dava origine a discus bile
l'esistenza dell'essere stesso. « Noi
sappiamo, egli dice, che Dio esiste, elo
riconosciamo come creatore, poichè l'ef fetto ci attesta la causa e il
finito l'in finito; ma nessuna analogia è possibile tra questi due ordini di esistenze. La causa prima abita una gloria inaccessi bile,
e noi, non potendo che distinguerla da
ciò che essa noné, dobbiamo rasse gnarci alla conclusione che la natura divina è per noi assolutamente incom prensibile
». Edal creatore venendo alla creazione,
Robinet crede che Dio da tutta
l'eternità dia alla natura una esi stenza temporanea, e cioè che se la creazione è eterna non lo sieno ilmondo e gli oggetti creati; con questa propo
sizione egli addottò una opinionemedia
tra quelli che considerano ilmondo co me eterno, e quelli che lo
suppongono creato dopo una eternità, e
non si av vide che l'idea di Dio creatore è tanto assurda che con essa nessuna teoria regge alla critica. Così che delle tre idee suaccennate nessuna è conciliabile coll' idea di Dio creatore: non la sua perchè suppone unDio che crea e non crea, o che vuol creare e non crea nel medesimo tempo; non la seconda che facendo il mondo coeterno a Dio lo so
stituisce a lui, come fece Spinoza ; non
la terza che suppone un' eternità limi tata, od un mondo che esiste
senz' es sere stato ancora crea to, mentre non
potrebbe d'altronde esistere che per la
creazione. Rohault(Giacomo)nato
in Amiens nel 1620, morto nel 1675. Fu
uno dei sioni di ogni sorta sui diversi
argomen ti, discussioni che egli poi riassumeva, esponendo il suo avviso, cui corrobo rava
colla esperienza. Con siffatte le zioni Rohault compose il migliore trat tato
di fisica che fosse stato stampato fino
allora, cosi che fino a Newton ven ne considerato come opera classica in Francia ed in Inghilterra. Rohault fu autore anche di una o pera di
metafisica intitolata cade talora in contraddizione, giacchè tra due pareri contrari egli non prende par tito
senza avvilupparsi in un dedalo di
distinzioni spesso inutili e sempre poco
chiare. Perciò molti hanno detto scri vere il Romagnosi per sè A non per
gli altri, e un suo apologista confessa
che gli accadde sentire da qualcuno che
a vendo letto per intero il suo libro della
Mente sana, era giunto alla fine senza
intender niente. ( Prof. Celso Mazzuc chi, sull' economia dell' umano
sapere). Rosmini (Antonio)nato nel
1797 a Roveredo presso Trento. Studid
all'u niversità di Padova e fino da allora
diede segni di spiegata tendenza al mi sticismo. Nel 1821 fu ordinato
frate. Si segnale per qualche tempo per
fanati smo ed intolleranza, ma si mitigò poscia
sensibilmente e tanto da dedicare il re sto della sua vita al trionfo
del cosi detto cattolicismo liberale ed alla indi pendenza politica d' Italia.
Con questi scopi fondò egli stesso un
ordine reli gioso destinato a riunire in sodalizio preti istruiti e tolleranti, e pubblicò gran numero di opere che fecero di lui un capo-scuola. Per quanto la sincerità della sua fede religiosa e la sua opposizione alla teocrazia gli avessero guadagnata gran de
rinomanza e numerosi seguaci, pure
dovette convincersi asue spese che tenta
un'opera impossibile chi aspira a con ciliare tra loro i due principi
affatto incompatibili del cattolicismo e
della libertà. I suoi progetti di
riforma eccle siastica e le sue opinioni teologichesu scitarougli contre l'odio
dei gesuiti. Speditoda re Carlo Alberto
in missione presso il papa, lo segul a
Gaeta all'e poca della fuga famosa, ma essendosi poi reso sospetto al papa e trovandosi sotto la minaccia del carcere della po lizia
borbonica, dovette partire e rifu giarsi aTresa sul lagoMaggiore dove morì nel 1855, dopo avere (con un atto di sommissione inesplicabile di fronte alla energia del suo carattere) ricono
sciutoil giudizio con cui la Chiesa met teva all'indice le sue opere, anzi
dopo aver distrutti quanti più potè dei
libri che avevano cagionata la
condanna. Le fondamenta del nuovo ordine
fu rono da lui gettate al Calvario di Do modossola nell'alto Novarese, dove
con alcuni pochi compagni si era
ritirato nel febbraio dell'anno 1828. Il
voto era perpetuo, ma non privava
imembridel diritto di possedere beni
propri; sola mente li sottometteva ad una ammini strazione comune e li privava
del diritto di applicarli per volontà
propria in fac ROSMINI cia alla
coscienza, non già in faccia alle leggi
civili , per le quali possedevano come
ogni privato. L'Istituto, come cor po,nonpossedendo nulla, i suoi membri dovevanoesser provveduti diuna rendita 359 se
questi filosofi si fossero data la briga
di uscire dalla ristretta cerchia del loro per la loro sussistenza personale, la quale per i nullatenenti è supplita dal superfluo dei loro fratelli. L' Istituto era diffuso nel Piemonte, dove aveva case a Stresa, a Domodossola e a S. Ambrogio di Susa. Qualche casa di ro veretani
fu pure fondata nell'Inghilterra, mase
abbiano prosperato o no, ignoro. Tutto
il sistema della filosofia rosmi niana si fonda sopra unprimo errore, un errore fondamentale, distrutto il quale, l'intero sistema resta scomposto. Questo errore è l'intuizione dell' ente univer sale,
la quale daRosmini cosi si dimo stra: « Io so d'esistere, io so che esi stono
altri esseri simili a me; so ch'e sistono de' corpi estesi, larghi, lunghi eprofondi. Noncerco ora se questo mio sapere m'inganni o no; io intanto so tutto questo e cerco disapere come lo so. Ora io veggo che non saprei che esiste un solo ente, se io non dicessi, se non avessi mai detto a me stesso che quell'ente esiste. Sapere dunque che osiste un ente e dire e pronunciare meco stesso che esiste, é il medesimo. Lamia cognizione adunque degli entireali non è che un' affermazione interna, un giu dizio.
Conosciuto questo, non mi rimane che ad
analizzare un tale giudizio, ad
osservarne l'intima costituzione. Quando
io dico meco stesso che esiste un dato
ente qualunque particolare e reale, non
intenderei ciò che dico, se non sapessi
che cosa è ente, che cosa è entità. La
notizia dunque dell'entità in universale
debb'essere in me, e precedere tutti quei giudizi, coi quali dico che qualche ente particolare e reale esiste ». Il frate roveretano supponeva dunque che noi abbiamo la conoscenzadegli u
niversali, prima ancora di avere quella
dei particolari, errore, che, d'altronde , bisogna perdonargli di buon grado, poi chè è
stato comune a molti filosofi. Ma
subbiettivismo, per esaminare ciò che
accade nella realtà, si sarebbero presto
accorti, che prima noi conosciamo le
cose particolari, e poi ci facciamo l'idea değli universali, i quali non sono altro che l'astrazione o la generalizzazione dei particolari. I selvaggi australiani, per quanto ne riferisce il padre Salva do,
hanno voci per dinotare ogni specie di
albero, ma non hanno una voce per
esprimere l'idea d'albero in generale;
hanno voci per indicare i vari animali
daessi conosciuti, manon per esprimere
l'animale in genere, ossia la riunione
dei caratteri comuni a tutti gli animali, astrazion fatta delle loro qualità par
ticolari. Chi vede per la prima volta un
og getto, ha l'idea particolare di quell'og getto e non altro; i particolari
che gli sono propri lo colpiscono per i
primi; ne apprezza il colore, l'odore,
il sapo re o la forma, che sono i fenomeni,
nè pensa in alcuna maniera all'essenza
che assume la forma di quei fenomeni,
e che costituisce l'idea dell' ente uni versale, tale come Rosmini l'
intende. Solamente dopo una serie
continua di percezioni la mente umana si
eleverà dal particolare all' universale,
ossia a quel carattere comune atutti gli
esseri, che per astrazione si
attribuisce ad un essere unico non
percepito. Ma l'idea dell' ente privato
delle sue realità feno menali èuna pura negazione. Percepisco il colore , e penso poi a uncorpo senza colore; questo secondo concetto non è altro che una negazione del primo, e quand' anche gli si volesse dare un ca
rattere positivo, sarebbe sucessivo e non
precedente alla percezione della cosa
particolare. Pertanto ' affermazione ro sminiana,che noi abbiamo
l'intuizione dell'ente in universale,
astrazione fatta degli enti particolari,
vale quanto dire che noi abbiamo la
conoscenza di nes suna cosa prima che qualche cosa sia stata da noi percepita. 360 ROUSSEAU
Posto questo primo errore comeuna
verità fondamentale del suo sistema,
Rosmini ha bel giuoco nel confondere
gli scettici. Data la cognizione della
prima verità, cioè quella dell' ente in
astratto, egli risponde all'obbiezione di coloro che gli dicevano « a voi pare di sapere che cosa sia essere, ma forse nol sapete ». E dice: « Il sapere, sem
plicemente che cosa è essere, senza
aggiungervi alcuna determinazione, e
il credere di saperlo, è la medesima
cosa: credere di sapere che cosa è es sere, e sapere che cosa è essere è
sa pere la verità, perchè l'essere essen zialmente è... Si consideri bene
che sapere che cosa è essere, è la
semplice concezione dell' essere, non è
afferma zione di alcuna cosa sussistente; l' illu sione adunque che si obbietta
non è possibile, giacchè non si può
favellare della illusione della
concezione dell'es sere senza ammettere già questa con cezione di cui si
disputa ». Così dunque per Rosmini un'
affer mazione che non riguarda alcuna cosa
sussistente, provache un enteveramente
esiste; e il credere che un ente vera mente esiste, provache
esisteveramente. Anche volendo passar
sopra a queste incongruenze, la prova
rosminiana si ridurrebbe a dire: penso
che penso, dunquepenso veramente. Può
darsi ch'e gli abbiapensato dipensare; quello che per certo non ha pensato, è che ilpen siero
non nasce in noi senza unacausa
occasionale estérna, e che la percezione
di questa causa, tale quale ci si mani festa nelle sue accidentalità, è
il primo pensiero che noi abbiamo. Se
vedo un oggetto verde, penso al verde; e
se a questo pensiero tolgo il concetto
di verde, che è l' accidentalità, non ho
l'i dea dell' essenza dell'ente, ma sopprimo
addrittura il pensiero, perocchè il pen siero non può stare senza
l'oggetto pensato. Quanto alla teologia naturale rosmi miana
nonsi può dire che abbia almeno il
merito d' esser chiara. Rosmini vuole
che il principio di causa conduca alla
conoscenza di Dio; quanto all' esistenza
dell' anima non cura di dimostrarla,
parendogli di averne fin troppo bene
dimostrati i carattari di semplicità e di immortalità . Questa dimostrazione è davvero così singolare che merita ne sia dato un saggio: « La semplicità si prova da questo appunto che l'anima èun principio unico e immune dallo spazio, perchè l'identico principio che sente è anche quello che intende: per chè
l'atto del sentire in opposizione
all'esteso sentito esclude l'estensione
per lamedesima opposizione; finalmente
perchè il principio intelligente riceve
la forma dell'idea, cosa immune affatto
dallo spazio e dal tempo ». Questa serie
di pretese dimostrazioni, non sono che
affermazioni pure e semplici, le quali
supponendo cio che è inquestione, piut tosto che servire di
dimostrazione a vrebbero anzi bisogno di essere dimo strate. Dello stesso genere sono le altre prove date nella teologia naturale ro
sminiana, sicché inutile sarrebbe qui
l'accennarle, e più inutile ancora il con futarle. Rubov (Rubovius) nato a Luchow nel 1703, morto ad Hannovernel 1774. Fu professore di teologia
nell'università di Gottinga. Divise le
opinioni filosofiche di Wolf, anzi
imprese a mostrare che le medesime erano
in perfetto accordo coi dommi del
cristianesimo. Lasciò due opere Sviluppo delle idee razionali di Wolf su Dio-Dissertatio de anima brutorum.
Rousseau(GianGiacomo).Nacque a
Ginevra il 28giugno 1712daun oro logiaio. I primi anni della sua
giovinezza trascorsero in una vita
avventurosa e assai poco edificante. Fu
dapprima po sto in pensione presso un ministro a Bossey, dove imparò il latino, quindi collocato come scrivano presso il can
celliere di Ginevra, fu poco appresso ri mandato siccome inetto. Fece poi il
suo tirocinio presso un incisore, i
cattivi ROUSSEAU trattamenti del quale
instillarono nel l'animo di Rousseau, per quanto ne dice egli stesso, l'infingardaggine, la menzogna e la tendenza al furto. Con fessa
egli stesso ; ammirava il carat tere della divinità dell' Evangelo; poi aggiungeva >> menò in moglie la signorina de Camp grand
dalla quale si separò poi con atto di
divorzio. Confessa egli stesso che vo leva usare del matrimonio come di un mezzoper studiareiscienziati, e che per migliorare l'organizzazione del sistema scientifico, gli occorreva di conoscere >>
e la trasforma con uno slancio trascen dentale nel solo assoluto
universale! Scho penhauer scrive:
l'universo e volontà! Egli procura anche
didimostrare laverità di questo sofisma
con degli argomenti empi rici, e passando attraverso ai regni della natura, cerca di persuadere che il vege tale
ha già degli istinti, i quali si tra sformano in volontà negli animali;
che gli animali delle classi inferiori,
quan tunque non abbiano ancor la coscienza
della loro propria volontà, pure per la
tendenza che hanno a soddisfare i loro
bisogni accennano già alla volontà di
vivere, la quale si va viavia sviluppan do nelle classi superiori. Nella
sua sma nia di scoprire la volontà germogliante
in ogni dove, il filosofo di Dantzig non
teme di trovare una nuova formola
della teoria delle cause finali, poiché
egli dice che l'organismo si conforma
alla volontà, che il leone p. e., ha le
zanne perché vuol lacerare la preda, e
che l'uccello ha le ali perché vuol vo lare. S'egli si fosse limitato a
dire che l'uccello vola perché ha ie ali
e che il leone squarta la preda perchè
ha le zanne, sarebbe rimasto nel vero.
Avreb be allora designata una legge e non una
volontà, giacchè il senso che egli attri buisce a questa voce è
assolutamente nuovo, per non dire addrittura
contra rio a quello che essa ha veramente
nella lingua. Questa pretesa volontà se parata dai corpi volenti, non è
che una generalizzazione, è l'astrazione
delle vo lontà particolari, e tanto varrebbe dire che esiste una persona generale, indi
pendente da ogni individuo e da ogni
forma, perchè esistono delle persone
particolari. Qui Schopenhauer cade nello
stesso errore dei realisti (v. SCOLASTICA) dal quale avrebbe tanto più dovuto guardarsi, in quanto egli non si perita
di accusare Spinoza di usare le parole
in un senso affatto nuovo, e di
chiamar Dio l'universo, diritto la
forza, volontá la determinazione. Io ho detto poc'anzi che la filosofia di Schopenhauer è un puroidealismo sub
biettivo. Il suo sistema della volontà
non mi pare fatto per togliermi da
questa convinzione. Se il mondo non è
che l' obbiettivazione della volontà, e
se « la volontà è tutto ciò che costitui sce il mondo al di fuoridella
immagine rappresentativa » a parte la
poca coe renza di queste due idee, mi pare che
niun dubbio possa esistere su questo
punto. Pure è Schopenhauer stesso quello
che nega questa conseguenza, e dopo
aver detto che « il sole ha bisogno di
occhio che lo veda per illuminare », si
rappresenta il sole delle epoche geolo giche, quando la terra era
coperta da «uno strato uniforme di
granito >> e così lo fa interrogare
: « Perché ti dai tu tanta pena di
comparire così? Non vi è occhio che ti
veda nè intel SCHOPENHAUER letto che ti
comprenda! E il sole ri sponde: Ma io sono il sole, e appaio perchè io sono: coloro che lo possono mi vedano ». Dunque anche il sole esi ste e
illumina senza che occhio vi sia per
vederlo, senza intelletto ove riflettere la sua immagine rappresentativa ! Non ten terò
di conciliare Schopenhauer con se 393 a dire che essa non può formarsi spon
taneamente, nè aver fine; il quantum di
sostanza che si trova nel mondo non
stesso. Nessuno, per quanto io sappia,
l'ha fatto. Vi sono de filosofi tedeschi
che bisogna ammirare ma non discute re, e i più fanno così solo perchè
ciò fa comodo al loro pigro
intelletto. Se si riduce al suo vero valore
la contraddizionediSchopenhauer,interpre
tandola nel modo il più benigno, biso gnerebbe credere ch' egli abbia
voluto stabilire, che senza intelletto
non vi può essere immagine
rappresentativa e che per noi l'
immagine rappresentativa è tutto quanto
conosciamo del mondo. Ma codesta è una
verità così banale che nessun filosofo
ha creduto di stabi lırla, appunto perché la sua evidenza è tale che anessuno é mai venuto in mente di negarla.
Schopenhauer, volente o nolente, idea lista, combatte acerbamente
Fichte, per ché le conseguenze del suo sistema con ducono a negare la realtà
dell' ob biettivo; con la stessa coerenza com batte i materialisti, ch'egli
accusa di fondarsi sopra una enorme
petizione di principio, prendendo
l'oggetto dellafilo sofia per base di essa,mentre senza laco noscenza che il
materialismo fa derivare dalla materia,
noi non avremmo alcuna cognizione,
neppur quella della materia, che è il
puntodi partenzadelmateriali smo. Così lanciata, come il solito, la sua accusa, forse per avere l'aria di
costruire una filosofia tutt'affatto
indipendente, egli prende senza scrupolo
iprincipii fonda mentali del materialismo, al quale natu ralmente si crede
dispensato di dirigere qualsiasi
ringraziamento. In conseguenza egli
dichiara che la materia è imperi tura, e contro Hegel dice che « negare questo fatto vale rinunciare al buon senso. La sostanza persiste sempre, vale può dunque nè aumentare nè diminui re ». Più
innanzi Schopenhauer designa la materia
come assoluta, la dice su scettibile di pensare, « se la materia può cadere perla gravitazione, essa può anche pensare ». Come poiqueste affer mazioni
si accordino col suo sistemafi losofico, egli non cura di dircelo. Nelle scienze positive tanti e tanti sonogli errori di Schopenhauer, che rie sce
difficile accreditar fede al suo si stema, vedendo quanto poco sia adden tro
nell'arte di osservare. La storia della
terra per lui non è altro che una ob biettivazione sensibilmente ascendente della volontà; suppone che l'uomo fu dalla natura creato erbivoro; tira in campo come cosa positiva quella forsa vitale, che fu oramai abbandonata da tutti i fisiologi. Tutte le favole più inve
rosimili spacciate dai ciarlatani sul ma gnetismo animale, sulla
chiaroveggenza, sulla apparizione degli
spiriti trovano in lui uno strenuo
difensore; egli le inquadra nel suo
sistema come tante prove empiriche
della, obbiettivazione della volontà.
Egli considera natural mente tutti i contradditori del magne tismo animale come
tanti ignoranti, e dice che la scienza
mesmerica è la più istruttiva di tutte
le scoperte. Dicesi che il suo
entusiasmo per imagnetizza tori, ha dato luogo a delle scene co miche,
nell'occasione in cui i medici di
Francoforte si erano incaricati di sma scherare il famoso Regazzoni,
magne tizzatore italiano. Nel 1836
Schopenhauer pubblicò uno scritto sulla
Volontà nella natura, nel quale procurò
di dimostrare che le ul time scoperte della scienza hanno pie namente
confermata la sua filosofia. Non occorre
dire che la maggior parte delle scoperte
a cui egli allude, o non hanno alcun
rapporto colle sue idee, o appartengono
al novero di quelle ora accennate.
394 SCIENZA Scienza. Conoscenza ordinata e metodica delle cose e dei fenomeni. Tutte le scienze degli antichi erano comprese nella filosofia, sicchè
filosofo suonava allora amico della
scienza, co Jui che la insegnava e che la faceva avanzare colle sue scoperte. Erano i filosofi greci che insegnavano l' astro
nomia, la geologia, la musica, e la ma tematica, e per lungo tempo tutta
la medicina fu campo aperto alle
dispute filosofiche, per le quali l'arte
di gua rire si deduceva da principii generali
e astratti, piuttosto che dalla osserva zione e dalla esperienza. sotto quei reali rapporti d' unità che a noi è dato conoscere, si può dire sa piente.
I sapienti sono assai più rari di quello
che nella comune si crede; in vece la scienza appartiene a molti ». Questa distinzione é così poco chiara, che Tommaseo nella stessa pagina, con assai poca coerenza, lacontraddice « La scienza conosce; la sapienza conosce, contempla, opera ed ama. La sapienza comprende la teoria e la pratica; la scienza la sola teoria ». Dunque la sa pienza
comprende la scienza e qualche cosa più.
Ma poco dopo lo stesso au tore aggiunge: « Senza molta scienza La scienza si distingue dall'arte per può
l'uomo essere sapiente. C'è una questo
solo, che la prima conosce e sapienza pratica che fa a meno della scopre, la seconda eseguisce. La pittu-
scienza e n' ha gli ultimi frutti ». Non
ra, la scultura e lamusica sono arti in è questa la sola volta che
Tommaseo quanto traducono in atto la
rappresen- si contraddice nel suo dizionario. Cote tazione delle forme e dei
suoni. Per lo sta smania di sottili distinzioni, utile stesso motivo è arte la poesia, lo stu- forse
ai grammatici, è perniciosissima dio
delle lingue e la rettorica ; ma lo ai filosofi, i quali piú che
all'apparenza studio teorico della
combinazione dei devono badare alla sostanza delle cose. colori e della produzione dei suoni, co- E
finchè i grammatici non si saranno
stituiscono l'ottica e l'acustica, che sono ben intesi per dare un
chiaro senso scienze, com' è scienza la
filologia, che alle parole, i filosofi che correranno si occupa della origine e della deriva-|
sulle tracce delle loro affettate distin zione delle lingue. La scienza
dunque 1
studia, scopre e stabilisce le regole che sono applicate dall'arte. La necessità di ordinare la varietà delle nostre cognizioni, ha resa neces saria
la divisione della scienza in vari rami,
a ciascuno dei quali venne pure dato il
nome di scienza. Le principali di queste
divisioni costituiscono lescien ze astratte o speculative, come la filo sofia,
la logica e la matematica;le scienze
sperimentali tali che la fisica, la
chimica, la medicina; le scienze d'os servazione, come l'astronomia e la sto
ria naturale; e le scienze morali e po litiche, come l' economia pubblica,
la politica, la giurisprudenza ecc. Niccolò Tommaseosull'esempiodalBal dini, nel
Dizionario dei sinonimi, di stingue la scienza dalla sapienza, qua sichè vi
possa essere sapere senza scien za eviceversa.« Chi, dice, vede il creato zioni crederanno di discutere sulla na tura
di cose differenti, laddove in fondo non
vi sarà che distinzione di parole. Nei
passi ora citati, N. Tommaseo pone la
sapienza umanacome conoscen za sinteticadel creato ; rari perciò sono i sapienti, e molti i scienziati. Non solo dice che la sapienza comprende la teo ria, ma
anche la pratica; e giunge in fine alla conclusione che senza molta scienza si può essere sapienti! Non era meglio dire che cotesta sorta di sa pienza
non è che una affettazione, una vana
ostentazione? Si dicevano sapienti
coloro che dettavano facili sentenze e
luoghi comuni ; e i proverbi diconsi an cora la sapienza delle nazioni.
Ma essa è la sapienza dei pregiudizi
correnti ; e a questa conoscenza
veramente con poca scienza, si adatta
così bene il nome di sapienza quanto
quello di me dico conviene al ciarlatano che corre i villaggi e le città. SCOLASTICA Scisma. Voce greca che vale di stacco,
separazione. Indica la separa zione dalla Chiesa cattolicadi una parte dei suoi membri, per costituirsi in una comunione separata. La Chiesa cattolica commina la 395
sofia. La scolastica è filosofia religiosa; qualche volta un po'eretica, ma non mai incredula. Tutte le questioni teologiche sono state da essa discusse, e però non dobbiamo meravigliarci se tra coloro che la coltivarono noi troviamo dei teo
scomunica contro i scismatici; ma le
comunioni riformate, costrettevi dalla
stessa libertá di interpretazione della
Bibbia, che esse accordano ai fedeli,
sono obbligate a proclamare che ladi versità delle opinioni non
costituisce un peccato, e che le molte
comunioni sistenti nella religione
riformata, sono una conseguenza della
libertà che ha ogni uomo d' intendere a
suo modo la parola di Dio. e Io non voglio qui esaminare la stra nezza
di questa dottrina, la quale sup pone che Dio si sia rivelato al mondo in tal maniera da farsi intendere da tutti gli uomini diversamente. Accettia mo
questa libertà d'interpretazione per i
benefizi che essa ha portato alla libertà del pensiero, senza preoccuparci del poco logico fondamento su cui si fonda. Ma i cattolici che hanno un grande in teresse
nel conservare l'unità della Chiesa,
hanno ben trovato nella Scrit tura molti passi che fanno al caso loro. Essi hanno citato S. Paolo, il quale biasima qualunque sorta di divisioni, e sostiene che le eresie sono necessarie per mostrare quali sono di buona lega (I. Cor. 10, 11, 12, XI, 16, 19). L'uomo eretico, dice ancora S. Paolo, dopo la prima e la seconda correzione sia sfug gito (
Tito III, 10). Giovanni, vuole che gli
si ricusi perfino il saluto (II Giov. V.
10). Scolastica. Cousin, nel Corso della storia della filosofia dell'anno
1827, definiva la Scolastica
l'applicazione della filosofia, come
semplice forma, a servizio della fede.
Questa definizione non è sempre vera,
sebbene sia vero che tutti gli
scolastici appartenessero alla filosofia
cattolica e si allontanas sero qualche volta dall' ortodossia solo per certe accidentalità della loro filo logi,
dei monaci e dei vescovi, e non mai
de'veri filosofi. La scolastica è una
lotta intestina combattuta nel seno
stesso della Chiesa, da uomini profon damente credenti, tuttochè qualche
volta nel calore della disputa i loro
argo menti sembrino piuttosto adatti a dar
ragione agli increduli. Di questa lotta
nella quale combatterono vari teologi
il cui nome è taciuto in questo dizio nario, mi par conveniente dare un
sag gio alquanto diffuso, al quale scopo mi
giova qui compendiare le varie notizie
su questo argomento raccolte e pubbli cate da Bartolomeo Haureau. Egli
esor disce col dire che la definizione di
Cousin non è nè chiara nè esatta.
Quanti, di fatto, tra i filosofi detti sco lastici furono dall' autorità
richiamati al dovere! E se qualche
paziente e sa gace inquisitore volesse di presente to gliere a censurare, dal
lato della dot trina, tra questi filosofi, quelli il cui nome fu onorato e santificato anche dalla Chiesa, quanti troverebbe non e senti
da sospetto d' eresia! La defini zione di Cousin potrebbe pertanto es sere così
modificata: La scolastica è
l'applicazione della filosofia alla discus sione dei dommi della
fede. Maanche così emendata la
definizione non troppo soddisfa il sig.
Haureau: pe rocchè, dic'egli, lascolastica ha principio aduncerto tempo, e sebbene non siano concordi le opinioni degli storici
intorno a questo tempo, tuttavia ne sono
ormai convenuti i limiti, e questi non
permet tono di accettare la definizione di Cou sin, neppure così emendata. Pare
a lui che i padri e gli scolastici
abbiano tutti fatta entrare la filosofia
nell' analisi e nella discussione della
fede . Conse guenza per verità un po'esagerata, im perocchè laddove la fede è
sovrana e 306 SCOLASTICA impone ossequio alla ragione, la filoso fia
vanamente dibattesi tra le distrette di
principii già accettati e dichiarati
inviolabili. Per essere giusti si dovrà
dunque dire che la definizione di Cou sin, se non è sempre vera, è però
in gran parte vera. Secondo il sig. Haureau, la scola stica non
può essere definita, poichè essa non è
una scienza distinta dalle altre
scienze, e nemmeno è, a parlare
esattamente, una forma particolare della
filosofia, ma propriamente la filosofia
di una cert'epoca, che ha e deve avere
il carattere tutto teologico di quel tem po. Che se nondimeno vuolsi
che, at tenendoci a quanto il rigore del metodo
richiede, non passiamo oltre senza aver
prima determinato l'oggetto di questo
articolo, diremo, la storia della Scola stica essere quella delle
diverse dot trine professate nelle scuole del medio evo, dall' istituzione di queste fino a quando fu ad esse tolta l' istruzione prima e la direzione delle menti. Ma quando furono le scuole insti tuite? Tutti
gli storici monumenti ne attribuiscono a
Carlo Magno l' onore, epperò il signor
Haureau fa da lui in comincirre il primo periodo della sco lastica, il qual
finisce col secolo XI, cioè da Alcuino a
Berengario. Comin cia con questi due il secondo periodo. Il più illustre campione di questo pe riodo è
Giovanni Scoto. Egli conosceva il greco
e l'ebraico, corresse la Volga ta, e tradusse il libro dei Nomi divini, attribuito a San Dionigi areopagita, sopra un manoscritto mandato da Mi chele
Balbo a Luigi il Pio. Era inol tre, se crediamo al signor Haureau, li bero
pensatore, tanto che nel principio della
sua opera principale così si espri me aproposito della Tradizione: « L'au Prende ad esempio il battesi mo. Nelle
cerimonie di esso il tatto, la vista ed
il gusto dandosi mano a vicen da accertano la presenza dell'acqua: la ragione va più oltre, ed arriva a cono scere
le naturali proprietà e l'essenza della
medesima, non che le parti che la
compongono; ma non è dal battesi mo sollevata fino a comprendere il mi stero
della salvazione ; la ragione è in feriore alla fede, come ad essa sono inferiori i sensi. Aldemanno non fu il solo oppositore; ma ebbe anche Beren gario i
suoi discepoli, tra cui Ildeberto di
Lavardino , arcivescovo di Tours. Egli vorrebbe
rilevare la ragione; ma come farlo senza
offendere la fede? Que sta difficoltà non fu punto da Ildeberto risoluta. Berengario, distinguendo varie maniere di certezza, ammetteva tanto le credenze della fede, quanto quelle della ragione ; ma non voleva che ve 398 SCOLASTICA
nissero confuse, siccome insegnava la
Chiesa. Ildeberto ammette sì le distin zioni del maestro, ma
dimostreremo che il pio arcivescovo di
Tours, chiamato dai contemporanei
colonna della Chiesa, s'accosta
all'eresia più che non si crede. Apriamo
il Trattato di teologia, e vi troveremo
sul bel principio questa defi nizione per lo meno ardita: « La fede è la certezza volontaria delle cose as senti
; essa è superiore all' opinione ed
inferiore alla scienza ». egli
dice « deve sotto > Fin quì il filosofo
è unicamente idealista, mava più innanzi loro dice
>> Questi due frammenti
contengono intera la dottrina
nominalistica. Rosce lino ne trasse alcune conseguenze teo logiche, ed a
malgrado del rispetto che la fede
imponeva pei misteri, osò, con iscandalo
della Chiesa, sottomettere il Mistero
della Trinità al criterio della ragione,
argomentando in questo modo: Giusta le
premesse, la cosa, come « cosa, non è altro che una e non ha parte; soltanto l'unità è reale. In pari modo, Dio, come Dio, non è altro che Dio, non il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo ». Faceva pertanto questo
dilem ma: O la Chiesa, d'accordo con Sa
bellio, deve nella Trinità ammettere tre
Dei separati, distinti, individui, come
sono tre angeli, tre spiriti; o non po trà attribuire la realtà e la
sostanza che a un solo Dio, chiamato con
tre nomi, ma senzadistinzione di persone
». Contro Roscelino si elevò Guglielmo
di Champeaux il quale insegnava a
Parigi, nella scuola del chiostro. Bayle
accusa di spinozismo la dottrina di lui;
nè priva di fondamento è quest' accusa,
la quale, del resto, è diretta contro
tutta la scuola realistica. Insegnava
egli che il genere è essenzialmente,
integral mente e simultaneamente identico in
tutti gl'individui, e che gl' individui sono fralorodistintinon peraltro che persem plici
accidenti, ed argomentava in cosi
fattomodo: « L'umanità è unacosa essen zialmente una, che non possiede
daper sè, ma riceve d' altronde certe
forme che fanno Socrate. Questa cosa, re
stando essenzialmente la medesima ri ceve del pari altre forme che fanno Platone e gli altri individui dell'umana specie; ed eccettuate le forme che si
400 SCOLASTICA applicano a questa materia per pro durre
Socrate, nulla è in Socrate che non sia
ad un tempo in Platone, ma sotto le
forme di Platone ». Questo teologo
apparteneva, come si vede, alla scuola
del più aperto reali smo. Egli non riconosceva altra esistenza che gli universali: le cose particolari sono accidenti o fenomeni. In questo modo il realismo volendo da una parte evitare lo scetticismo dei nominalisti, ri
cadeva dall'altra nel panteismo. Gugliel mo di Champeaux doveva trovare un terribile oppositore nel giovane Abe l'
universale esista, ma che la mente
chiama universale ciò che esiste di si milare inciascunindividuo (v.
ABELARDO). Così si ebbe il
concettualismo, scuola che in sostanza
non mipare diversa da quella dei
nominalisti. Tra le scuole a cui ha dato
origine il concettualismo di Abelardo,
vuol es sere ricordata quella dei Cornificiani, di cui Giovanni di Salisbury lasciò un qua dro
sì poco favorevole. I Cornificiani,
partecipando ad un tempo dei realisti e
dei nominalisti, riducevano tutte le dot trine e tutte le idee a
semplici formole: queste formole, ne
cercavano le con traddizioni. Questo metodo doveva age volmente guidare al più
universale scet ticismo ; e Giovanni di Salisbury rac lardo (di Palais nella
Bretagna), il più ❘ quindi ponendo a confronto tra loro illustre discepolo di Roscelino. All' ar
gomentazione realistica egli risponde va: « Se così è, chi potrà negare
che Socrate sia ad un tempo stesso in
Roma ed in Atene? Difatto dove è
Socrate, trovasi altresì l'uomo
universale che ha vestito nella sua
intierezza la forma della sua socratità.
Perocche tutto ciò che comprende l'
universale, lo ritiene nella sua
totalità. Se pertanto l'univer sale, che è affetto per intiero della so
cratità, trovasi in Roma nel tempo stesso
tutt' intiero in Platone, egli è impossi bile che nel tempo stesso e nel
mede simo luogo non si trovi la socratità che
è nell'uomo; là è Socrate, poichè Socrate è l' uomo socratico. Chiunque ragioni, conta che la più parte dei Cornificiani ne diedero non dubbia prova, rinun ciando per
disperazione allo studio della
filosofia, quali per chiudersi nei chio stri, quali per darsi alla
medicina. Dopo Abelardo la scolastica
ricade in un aperto misticismo. San
Vittore e Ugone mostrano pari disprezzo
per la ragione, e l'uno vanta i meriti
dell'intui zione, ' altro quelli della contempla zione. Alano Magno delle Isole (Yssel o Rupel) dimostrò con vigoroso raziocinio nonhacome rispondere a ciò ». Ache tende Abelardo? A provare che l'universale è, non una cosa, ma un'idea, una parola; che se l'universale fosse alcuna cosa, questa siccome uni versale
od assoluta sarebbe necessaria mente contenuta per intero in ciascun individuo, il che è assurdo. Aggiunge : >
dicono gli autori del Compendio ad uso
del collegio di Juilly una
naturale inclinazione, che è come « un'
incoazione di questa virtù, la qual ;
che « Iddio è una sfera impassibile ».
Diogene Laerzio gli fa dire che «
l'essenza di Dio è sferica>>> e
Teodoreto che « il tutto è uno; è
sferico » . Lo stesso dice Aristotile
quando assicura che secondo Senofonte
> convennero che in certi
animali infe riori la sede della sensibilitàrisiede nel midollo allungato,laquale,secondo Loriy, Desmoulins, Gerdy, J. Muller ecc. è anche la « sorgente del movimento ». Gerdy appoggiandosi ai suoi propri e
sperimenti riconosce che l'ablazione del
cervello pone l'animale in uno stato di
sonnolenza, senza però distruggere ogni
manifestazione della percezione e della
volontà, giacchè se l'animale è viva mente irritato fa degli sforzi per
sfug gire al dolore. Poichè la facoltà di per cepire e la volontà sono rese
ottuse per l'asportazione dei lobi
cerebrali, il cervello, dice questo
autore, serve dun que a tali funzioni: ma poiché esse con tinuano ancora dopo
la recisione, biso gna dire che non sia solo a produrle. Il suo completamento non sarebbe già il cervelletto, l'ablazione del quale par che ecciti l' animale piuttosto che stor
dirlo, ma a giudizio di Gerdy, la per cezione e la volontà avrebbero sede
nel cervello e nella protuberanza. Aquesta supposizione F. A. Longet presta tutto l'appoggio della sua espe
rienza. Allorchè, dic'egli, viene mutilata
la massa encefalica di un coniglio o di
un giovane cane, fino al punto di non
lasciare nella cavità del cranio altro che la protuberanza e il bulbo, questi ani mali,
quantunque sembrino immersi in un coma
profondo, sotto l' influenza di vive
irritazioni esterne, potranno ancora
mandare dei gemiti, ed agitarsi violen temente; ma quando vien lesa abba
stanza profondamente la protuberanza
anulare, subito i gemiti e l' agitazione
cessano, e più non resta che un ani male nel quale la circolazione, la
re spirazione e le altre funzioni nutritive
continuano momentaneamente. Fu
domandato se senza la parteci pazione dei lobi cerebrali può realmente esistere sensazione di dolore. lo chiamo l' attenzione del lettore sulla risposta che il signor Longet, fisiologo certo
410 SENSAZIONE non materialista, e per conseguenza non sospetto di parzialità per la nostra filosofia, ha creduto di dover dare a questa domanda. ( Anatomie descriptive t . I ). Savart avendo osservato che la sabbia posta | degli
ossicini! Chi pretendeva che il sopra
una membrana vibrante saltava tanto più
alto quanto meno la membrana era tesa,
ha concluso, contrariamente a Bichat,
che è la tensione e non già il solo
martello picchiasse, chi tutti insie rilassamento della membrana che di
minuisce la sua facoltà conduttrice. Que sta opinione, non è generalmente accet
tata; e Longet, p. e, crede che l'a zione del muscolo sia quella di OV viare
semplicemente alle variazioni di
tensione che può presentare la mem brana, impedendo specialmenteche
essa si rilassi completemente. La cavità del timpano è attraversata da una catena di ossicini articolati fra loro in guisa da formare una leva an golare,
una estremità della quale è at taccata alla membrana del timpano, e l'altra a quella della finestra ovale. Questi ossicini sono in numero di quat tro:
il martello, l'incudine, l'orbicolare e
la staffa. Non si è ancora ben potuto
spiegare quale utilità essi rechino nella funzione dell'udito. Certo essi trasmet tono
le vibrazioni dell'orecchio medio al me, e chi voleva non avessero azione sulla trasmissione del suono. Del pari, cosa non si è detto della tromba di Eustachio , canale che mette in co
municazione la fossa nasale colla pa rete interna della cassa del timpano! Non si accontentarono della supposi zione
probabile ch' essa fosse data per la
rinnovazione dell'aria contenuta nella
cassa, ma vollero alcuni ch'essa servisse anche all'animale per udire la sua pro pria
voce ! Dalle finestre ovale e rotonda,
chiuse ,
da membrane vibratili le vibrazioni
sonore sono trasmesse all' orecchio in terno, al vestibula, e alla linfa
del co tugno, che riempie tutto il labirinto ; il quale nella parte anteriore è occupato dalla chiocciola e nella posteriore dai ' orecchio interno attraverso alla fine stra
ovale ; male vibrazioni della cassa
timpanica non avrebbero forse egual mente potuto trasmettersi col
mezzo dell' aria contenuta nella cassa,
come. ciò avviene per la viadella
finestra ro tonda? Il meccanismo dell' orecchio in contra ad ogni passo serie
difficoltà, e i fautori delle cause
finali non man carono di ricercare in ogni organo uno scopo dato dal creatore alla sua fun zione.
Boërhaave non ha forsedetto che il
padiglione esterno dell' orecchio pre senta delle curve disposte geometrica mente
ed in modo da riflettere nel con canali semicircolari. Ma queste tre
parti, vestibolo, canali semicircolari e
chioc ciola, non sono la porzione essenziale
dell'organo, solo costituiscono la cavità ossea nella quale risiedeuna membrana, alla quale fanno capo gli ultimi filetti del nervo acustico, incaricato di por tare le
sensazioni sonore all' encefalo. Il
signor Adelon ha giustamente os servato che tutto questo apparecchio non serve infine che a trasmettere le vibrazioni sonore al nervo conduttore naturale del suono, e che in conse guenza il
suono può pervenirci altri menti che per questa trafila, cioè col l' intermedio
delle ossa del cranio, ma soltanto
quando il corpo sonoro è posto a
contatto immediato con esse. Il ru more di un orologio é inteso, benchè gli orecchi siano turati, quando ' oro
SENSAZIONE 421 logio è tenuto fra i denti. Ingrassias | più
debole,sia tale, non perchè lontano,
cita l'osservazione di uno spagnuolo, il
quale, divenuto sordo per l'ostruzione
del condotto uditivo esterno, sentiva il
suono di una chitarra ponendone il
manico fra'denti, oppure mettendo nella
ma perchè più debole veramente. Pos- siamo noi dire qual sia la distanza
del rombo del cannone, se non
sappiamo innanzi tutto da qual sorta di
cannoni nasce quel rumore. Possono darsi
can sua bocca l'estremità d'una bacchetta
mentre coll' altra estremità toccava lo
strumento. Questi fatti non ci avver tono, come ben diceva Blainville,
che I udito non è altro, infine, che una specie di tatto? Molti animali che sono privi di quel senso, distinguono nondi meno
le vibrazioni dei corpi sonori per la
sola impressione che esse producono
sulla loro pelle. Noi stessi riusciamo a
sentire queste impressioni nei forti ru mori; cosa la quale può
farcicompren dere facilmente, che quel fenomeno il quale è suono nel nervo acustico, fuori di esso non è che movimento. Berkeley e la scuola sensualista hanno perciò avuto ragione di dire che le sensazioni sono dentro di noi piuttosto che fuori di noi, tanto poca relazione ha il movi mento
con l' idea che noi abbiamo del suono,
che forza è concludere essere il suono
una pura modificazione del nervo
acustico al quale si comunicano le vi brazioni. Fu detto che il senso dell'udito po teva esso
solo farci conoscere le di stanze, poichè noi sappiamo giudicare se un corpo sonoro è più o meno vi cino a
noi. Ma questa è una induzione erronea,
poichè noi riesciamo a giudi care la distanza della sorgente da cui partono i suoni solamente quando trat tasi di
suoni noti. In questi casi noi abbiamo
già veduto l'istrumento o il corpo da
cui parte il suono, e l' espe rienza ci ha già avvertiti di quanto di
minuiscono questi suoni per rapporto
alla lontananza. E poichè sappiamo che
tutti i suoni diminuiscono colla lonta nanza noi crediamo lontani tutti
i suoni deboli, col qual giudizio
cadiamo molte volte in errore. Ad
esempio, dall'inten sità del tuono molti ne giudicano la lon tananza; pure può
avvenire che un tuono noni di gran
portata il cui rombo si faccia sentire
distintamente a distanza maggiore di
quella che basterebbe a rendere
impercettibile la scarica di can noni di portata minore. Dunque la va lutazione
delle distanze col mezzo degli orecchi
suppone una esperienza combi nata con un altro senso. Senza questa esperienza, noi non avremmo alcuna ragione di dire che i suoni deboli sono più lontani dei suoni forti, giacchè vi sono dei suoni forti che succedono a distanza maggiore di quelli che ci sem brano
deboli. Nè meglio riescirebbe l'orecchio
solo a giudicare la direzione delle onde
sonore. É vero che portando l'orecchio
nella direzione delle onde so nore la sensazione si accresce , ma perchè mai l'orecchio giudicherebbe che quell' accrescimento sia lo stesso suono percepito più distintamente, an zichè
un altro suono più forte ? Se gli occhi
od il tatto non ci avessero mai avvertiti
che lo stesso suono si indebo lisce o si rinforza secondo che l'orec chio è più
o men bene posto nella di rezione della sorgente da cui partono le onde sonore, certo l'udito solo non ci avrebbe mai potuto istruire di que sto
fatto. Il senso dell' odorato non è più
di stinto di quello dell'udito, sebbene per cepisca delle impressioni che sono
im percettibili a tutti gli altri sensi. In torno alla natura degli odori,
fisici e fisiologi sono ancora divisi in
due o pinioni; quella dell'emanazione, e quella
della vibrazione. Coloro i quali adot tano la prima opinione suppongono
che dai corpi odorosi emanino delle
parti celle tenuissime ed imponderabili le quali penetrando nel nostro organo produ cono,
mediante il contatto, la sensa zione dell' odorato. L'altra opinione 422 SENSAZIONE
applica eziandio agli odori quella
legge di vibrazione che abbiamo attri buita alla luce e al suono.
Secondo questa ipotesi i corpi odorosi,
come i luminosi ed i sonori, avrebbero
una spe ciale maniera di vibrazione, la quale
comunicandosi al mezzo ambientę, ir raggerebbe tutt'intorno trasmettendo
le onde odorose fino a noi. Gli
emanatisti sostengono la loro opinione
mostrando che i corpi più odorosi sono
quelli che più facilmente si
volatizzano; ma ri spondono gli avversari che questa vo latizzazione, se getta
nell'atmosfera una parte del corpo
odoroso, deve natural mente rendere anche più facile la per cezione dell'
odore, in grazia dei molti centri di
vibrazione che si stabiliscono intorno a
noi; che per questa ragione 1 molte essenze diventano più odorose quando si volatizzano, mentre se si fiu tano
nelle boccette producono una assai
minore impressione sull'organo olfatto rio . Aggiungono che certe
sostanze, come il muschio e l'ambra
grigia, dopo avere eccitate per parecchi
anni le no stre impressioni olfattive, se sono pesate anche colle più perfette bilancie, non
si trova che abbiano diminuito di
peso. Ma contro queste dimostrazioni si
ri sponde che i nostri sensi sono assai
più sensibili delle nostre bilancie e che l'ipotesi di un movimento vibratorio non si accorda nè col trasporto degli odori a distanze sovente enormi, nè con certe condizioni della sensazione olfattiva , come sarebbe la necessità di una cor rente
d'aria per mettere l'apparecchio
dell'olfatto in rapporto col suo eccitante naturale.
Comunque sia, o corpuscoli o vibra zioni, il contatto o il movimento,
per essere percepito, deve essere
comunicato alla membrana olfattiva o
pituitaria onde sono rivestite le fosse
nasali ; cavità ossea che si trova sotto
alla fronte e che corrisponde alla parte
superioredel naso. Questamembrana del
genere delle mucose, nella
partesuperiore e media è intersecata da
una quarantina di filetti nervosi, i
quali, dopo avere attraversato i fori
che crivellano la lamina dell'osso
etmoidale, riunisconsinel nervo olfattorio incaricato di portare le sensazioni odo rose
al cervello. I soliti fisiologi
teleologi non hanno mancato di ricercare
nell'organo dell'o dorato quella perfezione che essi tro vano sempre in tutte
lecose (v. CAUSE FINALI). Dissero in
prima che l' organo dell'odorato, per la
sua stretta relazione coll'organo del
gusto, ci era stato dato per avvertirci
della bontà delle materie che ci
prepariamo ad ingestire. Ma fu osservato
che nell' uomo l'odorato è il senso meno
perfetto di tutti gli altri, e che sotto
questo rapporto egli è meno favorito di
molti animali. Il nervo ol fattorio dell' uomo è, in proporzione, molto piccolo; il ganglio olfattorio è molto gracile, e il signor de Blanville lo dice addrittura rudimentario. Poco estese sono le fosse nasali, ed il naso esterno non è così ben disposto per ri cevere
gli odori come il muso del cane, il
grugno del porco o la proboscide
dell'elefante. I nervi che lo dovrebbero
muovere sono poco sviluppati, quasi
come quelli delle orecchie, che sono
nell' uomo affatto immobili ; e la mem brana olfattoria presenta poca
superfi cie in confronto di quei giri doppi e
tripli che offrono i cornetti del cane.
Perciò nell' uomo gli avvertimenti del l'odorato sono poco sicuri; non
gli sve lano la presenza di molti gas la cui
respirazione è funesta, e gli fanno in vece incontrare un odore
spiacevole nei buoni alimenti e un
gradevole odore in molti veleni. La speciale disposizione dell' organo è quella che determina la natura degli odori, che ce li rende grati o sgrade voli
indipendentemente dalla loro qua lità intrinseca. Ciò che è odoroso per un animale può essere inodoro per un altro e ciò che piace ad una specie può spiacere ad un'altra. Certe persone,
dice il signor Adelon, amano gli odori
che altri sfuggono; Luigi XIV, per
esempio, SENSAZIONE gradiva gli odori
virosi ; i Persiani qua lificavano col titolo di cibo degli Dei l'assa-fetida, che noi indichiamo col vo
cabolo di stercus diaboli. 423 scellare superiore e dal ganglio sfeno Si è
detto che gli odori gradevoli hanno una
diretta influenza sugli or gani genitali, ed è un fatto ch'essi c'in nebbriano
e ci dispongono all'amore. Ma èpur vero,
come osserva il professore Longet, che
vi sono degli uomini i quali
nell'influenza esercitata dall'odore della vulva sulla pituitaria, trovano lo sti molo a
disposizioni erotiche; come l'o dore dell' uomo eccita in alcune donne ardenti il bisogno del piacere. L'imma
ginazione coopera certamente a pro durre in alcuni questo singolare feno meno.
Manegli animali questa influenza delle
impressioni olfattive è ancor più
pronunciata, poichè gli organi sessuali
delle femmine di molte specie,all'epoca
del rut sviluppano un odore forte e
speciale, le cui esalazioni sembrano at tirare i maschi sulle loro
peste. Per la natura dell'organo che
loper cepisce, il gusto è il senso che piú di
tutti gli altri si avvicina al tatto. Per svilupparsi esso ha bisogno del contatto di un corpo estraneo, e questo contatto deve operarsi in una maniera perfetta, cioè colla dissoluzione delle parti
sapide entro gli umori secretati dalla
bocca. La sensazione del gusto, per
comune consenso, si esercita dalle
papille che si trovano sulla membrana
mucosa della lingua, principalmente
formate dalle fi nali estremità dei nervi, la cui tenuità però è tale, che difficile è il vedere com'essi vi si dispongano. Per la stessa ragione difficile è il sapere quale dei nervi che mettono alla lingua sia quello chepresiede allaloro formazione e quale meriti perciò di essere detto il nervo del gusto. Vi sono state e vi sono tut tavia
delle controversie su questo pro posito, giacchè molti nervi distribui sconsi
nella lingua, e sono: il nervo lin guale, del quinto paio, il nervo grande ipoglosso ed il grosso faringeo, come pure alcuni filetti provenienti dal ma
palatino. Ma se uno o se diversi di
questi nervi cooperano atrasportare la
sensazione del gusto al cervello è que stione indifferente per la
filosofia. Servendosi di una piccola
spugna at taccata all'estremità di un osso di balena, Antonio Vernièr ha cercato di esplorare quali parti della bocca fossero
sensibili alle impressioni sapide. Egli
affermò di avere costantemente trovate
insensibili all'azione dei sapori la
membrana mu cosa della volta palatina, delle gengive, delle gote, delle labbra, della [regione media e dorsale della lingua; mentre la sensibilità gustativa fu da lui trovata nella mucosa che copre le glande sub
linguali, la superficie inferiore, la punta,
i contorni e la base della lingua, le
due faccie del velo del palato e la fa ringe. I signori Gussot e
Admyrauld rinnovando le esperienze in
altre con dizioni confermarono le conclusioni di Vernière, colla sola differenza ch' essi trovarono traccie di sensibilità sopra una piccola parte della volta del palato situata al centro della sua superficie anteriore. I medesimi fisiologi si sono eziandio proposti di conoscere se tutte le superficie sensibili percepissero il gusto alla stessa maniera, e i loro e
sperimenti li hanno condotti a conchiu dere che molti corpi, e specialmente
i sali, producono sensazioni differenti
se condo che sono gustati dalla parte an teriore della lingua oppure dalla
poste riore. Per esempio, dicono essi, lace tato di potassa solido, d' una
acidità bruciante alla parte anteriore
della bocca, è amaro, insipido e
nauseoso alla parte posteriore. L'
idroclorato di po tassa semplicemente fresco e salato da vanti, diviene
dolciastro vicino alla gola. Il nitrato
di potassa fresco e piccante sul davanti,
nella parte posteriore della bocca
diviene leggermente amaro e in sipido. L' alunno solido, poco sapido, fresco, acido e molto stitico sul davanti, nella parte posteriore dà un sapore dolciastro senza alcuna acidità. Il sol
424 SENSAZIONE fato di soda molto salato sul davanti, è amaro sul fondo della bocca ecc. Questi esperimenti sono adatti a ren dere
assai dubbioso il nostro giudizio sulla
vera natura dei sapori, e se poi teniamo
conto della diversità grandissima di gu sti che si notano fra le diverse
specie animali e fra gli stessi uomini,
potremo facilmente essere condotti ad
affermare che i sapori non esistono
fuori di noi, ma che sono solamente in
noi, o piut tosto sono unafunzionedipendente dal l'intima natura dei nostri
organi. Il gusto non somministra
all'intelli genza alcuna nozione estrinseca, salvo la qualità sapida dei corpi gustati; esso è assolutamente inetto ad obbiettivare la sensazione, nè vi è alcun dubbio che questo solo senso non basterebbe a darci alcuna cognizione dei corpi esteriori. Fu perciò detto che il gusto non è un senso della intelligenza, madella nutri
zione. Se non che i teleologi hanno
trovato che la sua destinazione provvi denziale era quella di farci
scegliere, fra le diverse sostanze che
la natura ci presenta, quelle che sono
proprie a ser virci d'alimenti. Questa proprietà non è però rigorosamente vera. Vi sono delle sostanze velenose o nocive
all'ingestione delle quali non proviamo
alcuna nausea, se pure tal fiata non
hanno sapore gra devole, mentre altre sostanze che sareb bero eminentemente
plastiche e nutri enti ci ripugnano. Inoltre, se lo scopo del gusto fosse stato quello di avver tirci
dei bisogni dello stomaco, pare na turale che certi farmachi , che pure gio
vano adeccitare, a mantenere od ari stabilire le funzioni dell' organo dige
stivo, avrebbero dovuto parere meno
ingrati all'organo del gusto. In
qual maniera i corpi agiscono sull'
organo del gusto per generare la
sensazione che gli è propria? Molte i potesi furono fatte a questo
riguardo, ma tutte insufficenti. Alcuni
hanno at tribuito questa facoltà alla forma delle molecole, ed in conseguenza hanno ri ferita
ladiversità dei sapori alla differen te figuradelle molecole integranti;
altri alla natura chimica dei corpi;
altri alla vibrazione speciale delle
molecole dei vari corpi; ma tutto questo
non ci a vanza nella spiegazione del fenomeno,
come non ne erano avvantaggiati gli
antichi pei loro principii salino, acido, o igneo che supponevano risiedere nei corpi come causa dei sapori. Noi dobbiamo confessare che tutte le spiegazioni date su questo e sugli altri sensi non ci spingono più in là dell' idea di contatto (v. CAUSA) e che nel resto siamo affatto all' oscuro sul come questo contatto, secondo la di versa
natura dei nervi su cui si opera, si
trasforma in sensazioni diverse. Que sta oscurità impenetrabile non ha però in se stessa nulla di misterioso, e non è in alcuna maniera l'indizio che sotto il nostro involucro materiale si nascon da
uno spirito. Questa conseguenza sa rebbe tanto fondata quanto quella di quel selvaggio, il quale vedendo un o rologio
che si muoveva da sè, lo repu tava un Dio. Il nostro corpo è una macchina chiusa, i cui ordegni non co
nosciamo interamente. Noi nonpossiamo
aprire questa macchina senza scompor la, senza guastarla e senza
sospenderne il movimento; noi non
abbiamo mai potuto seguire i movimenti
del cervello nelle sue intime fibre, nè
percorrere insieme alla sensazione i
nervi condut tori. L' anatomia spiega la forma e la disposizione dei congegnidi questa mac china,
ma non la funzione; la fisiologia colle
sue vivisezioni si è inoltrata al cunpoco nello studio dei movimenti in azione, ma tosto che essa si spinge al centro del movimento, le lesioni che produce sconvolgono tutta la macchina, e il movimento scompare. Qual maravi glia,
dunque, se la causa dell'azione ci
sfugge tuttora e se il nostro stesso corpo resta per noi come una scatola chiusa? Forsechè il solo pensiero può bastare a darci l' idea di quel che siamo? Ma il nostro io è la funzione, il risultato di questa macchina che diciamo uomo, SENSISMO O
SENSUALISMO non può trovare in sè che
gli elementi della funzione e non quelli
della cau sa. Se non fosse così, perchè mai gli
spiritualisti non intendono meglio lo
spirito di quello che noi intendiamo il
425 intesa da Cartesio, il quale
sul pro posito delt' idea di Dio così si cor reggeva: « Quando dissi che
l'esistenza di Dio è naturalmente in
noi, volli in corpo? E perchè gli stessi materialisti rientrando col pensiero in se stessi non scoprono questa stupenda e misteriosa causaspirituale, laquale, tuttochè non sia altro che l'essenza di noi stessi, si
ostinaa restare per noi nel più profondo
mistero? Sensismo o Sensualismo. Dottrina colla quale si dimostra che tutte le nostre idee derivano dalla sen
sazione. Dopochè Platone aveva inse gnato che le idee sono innate in noi, (v. IDEE INNATE) Aristotile sorse a com
batterlo e a dimostrare il doppio prin cipio : 1º nulla trovarsi nell'
intelletto che prima non esista nei
sensi; 2º l'a nima umana essere in principio una tavola rasa sulla quale nulla è scritto. Queste due opposte teorie subirono na
turalmente le fasi di favore e disfavore
acui soggiacquero successivamente i si stemi di quei due filosofi; ma il
pre dominio era rimasto a Platone e le sue
idee innate, più o meno modificate, e rano state accolte dai più
rinomati fi losofi del secolo XVII. Mentre Platone considerava le idee come enti sostan
zialmente esistenti in noi, Cartesio le
aveva ammesse solamente come esistenti
per una certa disposizione dello spirito, in potenza ; mentre Leibnitz credeva che le idee stanno nello spirito come una statua si trova in un masso di marmo prima che ne sia tratta dallo scalpello dell'artista. Per verità, il
modo che usavano questi due filosofi per
con cepire leidee innate differiva sostanzial mente da quello di Platone,
perciocchè una disposizione dello
spirito a produrre una idea, non può
dirsi ancora che sia una idea, come la
proprietà che hanno i corpi di muoversi
non può dirsi che sia movimento. Una
cosa non può es sere e non essere al tempo stesso, e ciò che è possibile non è ancora un fatto. Questa sostanziale differenza fu pure tendere soltanto che la natura ha po sto in
noi una facoltà mediante la quale noi
possiamo conoscere Dio; ma non ho mai
scritto nè pensato che questa idea fosse
attuale ». Bacone fu il primo che
intravvide lamodernateoriadei sensisti,
insegnan do che le idee civengono trasmesse dai
sensi, i quali ne formano degli idoli
(idola) o delle immagini, grazie a certe
particelle materiali, le quali, come a veva supposto Democrito, si
staccauo dagli oggetti, e per mezzo dei
sensi si introducono nel cervello.
Questa teoria, per quanto possa parer
singolare, non è poi affatto strana, se
si considera che l'ultima parola della
fisiologia e della fi sica, se non è favorevole ad una vera epropria traslazione della materia, am mette
però una continuità di vibrazione che,
per la via dei nervi sensori, dagli
oggetti percepiti giunge al centro della
percezione (v. SENSAZIONE). Il
problema della filosofia sulla ori gine delle nostre idee ha cominciato ad essere metodicamente sottoposto ad una accurata analisi delle nostre sen sazioni
nel 1694, nel quale comparve il Saggio
di Locke sull' umano intendi mento. Questo celebre filosofo ha rigo rosamente
impugnata la dottrina carte siana sulle idee preesistenti alla sensa zione, ed
ha dimostrato la verità dell'a forismo aristotelico (v. IDEE INNATE). Egli costruì arditamente una nuova teoria, e dimostrò che tutte le nostre idee, così le più semplici, come le più complesse, derivano dalla sensazione e dalla riflessione. Divise perciò l' espe
rienza in esteriore ed interiore e le idee
in due specie: quelle che vengono dal l'esperienza esteriore, cioè dalle
sensa zioni, e quelle che derivano dall' espe rienza interna, cioè dalla
coscienza. Le prime si riferiscono alle
cose materiali ; le altre alle morali.
426 SENSISMO O SENSUALISMO Condillac ha rassodata la teoria di Locke e l'ha anche perfezionata. Giu stamente
egli ha osservato che la di stinzione del filosofo inglese, il quale fa procedere le idee dai sensi e dalla ri
flessione è superflua. Sarebbe stato più
esatto, dic'egli, di non riconoscere che
una sola sorgente, sia perchè la ri flessione non è essenzialmente
diversa dalla stessa sensazione; sia
perchè essa non è tanto lasorgente delle
idee quanto il canale per il quale esse
derivano dai sensi. Questa inesattezza,
continua Con dillac, quantunque sembri di poco mo mento, rende molto oscuro il
sistema di Locke, giacchè lo mette nell'
impossibi lità di svilupparne i principii; ragione per cui egli si accontenta di ricono scere che l' anima comprende, pen sa, dubita,
crede, ragiona, vuole, riflet te; che noi siamo convintidell'esistenza di queste operazioni perchè le troviamo in noi stessi e vediamo che contribui scono
al progresso delle nostre cogni zioni.
Nel 1746 Condillac tentò didare un
nuovo saggio delle nostre facoltà senza
però riuscire più chiaro di Locke. Egli
stesso lo confessa, e ne ha poi fatta larga ammenda, allorchènel 1754, pubblicando il Trattato delle sensazioni, intraprese vittoriosamente a ridurre nei loro primi elementi le idee complesse che noi ab biamo
dei corpi. E fuin questo libro che
ritrattò il parere contrario a quello
che Locke aveva dato sul problema da
Molineaux proposto in questi termi ni: >>> (cop. cit. p. 3. с. 2). L' autore segue a spiegarci come il tatto istruisce gli occhi a vedere al di fuori: « L'occhio, egli dice, è un or gano
che si limita unicamente a modi ficar l'animo, e le sensazioni ch'esso le trasmette nonhanno, come il sentimento di solidità, quel doppio rapporto
ilquale fa che noi ci sentiamo, e che
sentiamo insieme qualche cosa esteriore
a noi. Esso non ha dunque per sè stesso
la facoltà di vedere gli oggetti
colorati ; SENSISMO O SENSUALISMO gli
abbisognano de'soccorsi per acqui 429
denza stessa é la cosa più difficile ad
starla. > A questedomande Diderot aveva cer cato di
rispondere prima di Condillac, nelle sue
Lettere sui sordo-muti stara pate nel 1751, quando appunto Condil lac, com'egli
stesso afferma, stava lavo rando intorno al suo Trattato delle sen sazioni « La
mia idea, dice l'autore delle lettere
citate, sarebbe, per così dire, di
decomporre un uomo e di con siderare ciò ch'egli tiene da ciascun sen so. ..
Sarebbe, a parer mio, una sin golare società quella di cinque
persone, ciascuna delle quali non avesse
che un senso. Per la facoltà ch'esse
avrebbero di astrarre, tutte potrebbero
essere geo metri, intendersi a meraviglia e non in tendersi che in geometria ». Leibnitz che già dalungo tempo non teneva più alcuna sentenza di Newton, si risentì giustamente di questa defini zione
dello spazio come il sensorio della
divinità, e sostenne l'opinione cartesia na, che lo spazio altro non è
che la relazione che noi concepiamo tra
gli enti coesistenti; non altro che
l'ordine dei corpi, la loro
disposizione, le loro distanze. ANewton mancò il coraggio di ri spondere
direttamente al suo avversario, e lasciò
al suodiscepolo,il dottor Clarke, la
cura di difenderlo. Costui vi si ac cinse infatti con ardore e comincid
col giustificare il maestro pel paragone preso dal sensorio, attesa
l'impossibilità d'esprimersi
chiaramente, diceva, in cui uno si trova
inqualunque lingua quan do ardisce parlare di Dio. Quindi ri battendo
l'opinione di Leibnitz sullo spazio,
sostenne che se questo nor fos se reale ne deriverebbe un assurdo ; poichè se Dio avesse posta la terra, la Luna e il Solenel luogo in cui sono le stelle fisse, purchè la Terra, la
Luna e il Sole fossero fra di loro nel
mede simo ordine, in cui sono attualmente,
ne seguirebbe che la Terra la Luna
29 450 SPAZIO •il Solesarebbero nel medesimo luogo | gli
avversari di Descartes, non vi sa in cui ora sono; lo che, diceva, è una rebbe
vuoto, e lamancanza delvuoto to-- contraddizione nei termini. glierebbe nell'universo la possibilità
di ALeibnitz non fu difficile di rispon
dere che se tutti i corpi dell' universo
fossero trasferiti in altro luogo, sarebbe precisamente come se si trovassero nel luogo stesso, poichè ciò che determina il luogo è la relazione che esiste fra essi corpi, e una volta che questa re lazione
rimane inalterata, non si può dire che
vi sia, nè i nostri sensi lo po trebbero percepire, un cambiamento di luogo; poichè cambiamento di luogo importacambiamento di rapporti, e rap porti
possono bensì esistere tra i corpi, ma
non tra i corpi e il nulla. Lo spazio e
laduratasonoquantità, ribatteva Clarke,
dunque sono qualche cosa di veramente
positivo. Ma qui il discepolo di Newton
non rifletteva che nè lo spazio nè la
durata sono quan tità, ma che le quantità sono propria--mente i corpi che
occupano lo spazio onei quali si
manifestano ifenomeni di successione che
rappresentano la dura •ta. Egli aggiungeva quest' antico argo mento: Stenda un
uomo il suo braccio ai confini
dell'universo; questo braccio deve
essere nello spazio puro, poichè esso
non è nel nulla ; e se si risponde che
esso è ancora nella materia, il mondo in
questo caso è dunque infini to, il mondo è dunque Dio. Leibnitz che era deista, nonostante la sua teoria
delle monadi, doveva trovarsi non poco
im barazzato per rispondere a questa do *manda. Come mai un deista avrebbe potuto ammettere la materia infinita ? Newton si appoggiava forte a questo argomento, che oggidì non ha piú alcun valore, giacchè esso ha anzi condotto direttamente al panteismo ed al mate
rialismo. Di tutti gli argomenti addotti
con tro la negazione dello spazio come re altà uno solo è adoperato dai
filosofi dei nostri giorni, i quali lo
adducono ancora come una prova
inconfutabile. Se tutto il mondo è
pieno, opponevano qualsiasi movimento,
giacchè l'impene trabilità della materia non permette rebbe che un corpo
entrasse al posto occupato da un altro
corpo. Ho veduto molte volte addurre que
st' argomento ne' tempi nostri, da uo mini eruditissimi, tra cui anche Tyn
dall, i quali mi parvero che neppur
sospettassero che Descartes vi aveva già
sufficientemente risposto. Ecco, infatti, in qual maniera un autore anonimo suo contemporaneo riassume la dimostra zione
della possibilità del movimento nel
pieno. > Per assai tempo, continua l' amico mio Miron, io ho frequentato un cena colo
spiritista nel quale le comunica zioni si fanno con un cestello munito di una matita, sul quale un frequenta tore
delle sedute e la padrona della casa
pongono le loro dita. Codesta ultima
signora è uno dei medium più famosi,
avvegnachè dicesi che ella abbia otte nuto un libro che in certo qual
módo serve di vangelo a una delle chiese
spi sitiste. Alle sue serate s' incontravano
spesso le sommitàdel magnetismo e dello
spiritismo, prova evidente che quello era uno dei centri più importanti di rivela
zione. Là ogni spettatore può a suo ta lento evocare lo spirito col quale
vuol essere in comunicazione. E tosto
fatta l'evocazione un signore, chepuò
riguar darsi come co-medium, prova una vio lente scossa e annuncia che lo
spirito evocato è presente. L'evocatore
fa poi tutte le domande che crede, e il
cestello, mettendosi in movimento sotto
le dita del medium principale, traccia
le risposte. Parecchie fiate alcuni
evocarono de gli esseri immaginari, oppure dicendo di voler fare l'evocazione mentale,
nulla invocarono. Il co-medium non
perciò cessava di provare le sue scosse,
e at testava con piena sicurezza la presenza
degli spiriti evocati. Malgrado poi la
diversità di questi spiriti, le loro ri sposte sono di un carattere
uniforme e di una povertàveramente
umiliante. Si evochi Cicerone o Cadet
Roussel, lo stile ei pensieri sono
sempre identici, edenotano la stessa
ignoranza. Eccone un saggio. L'illustre astronomo Arago essendo evocato, dichiara che la scienza terre stre
èun nulla in confronto della scienza
celeste che egli possiede attualmente. Or è possibile che così sia; ma siccome non si possono revocare in dubbio le matematiche, bisogna credere che quanto aquesto ramo delle umane conoscenze 'gono di esercizi presso a poco eguali a
464 SPIRITISMO lascienza celeste non può essere diffe rente
dalla nostra. Arago, divenuto più
sapiente, non può dunque aver disim parate le matematiche. Lo si
interroga su questo proposito, e si vede
che il cestello, nè comprende la
domanda, nè pure il valore delle parole
di cui si serve. Lo si interroga
allorasul sistema del mondo, e il
cestello risponde che la terra non gira
intorno al sole più che il sole giri
intorno alla terra, ma che la terra
oscilla (se balance ) intorno al sole.
Si domanda allora di quanti gradi sia
l'ampiezza dell'oscillazione, lo spirito
risponde : quattro miliardi di gradi.
L'interrogatore manifestando allora qual chestupore per una tal
risposta, il co medium, iniziato certamente ai misteri del cestello spiritico, si affretta a sog
giungere che questi gradi sono di 25
leghe ciascuno. I devoti sono incantati
di tal risposta ed hanno pietà della
scienza terrestre che non avrebbe mai
scoperte sì belle cose! Gli
evocatori ingeneralenon hanno alcun
dubbio sulla identità degli spiriti che
si manifestano. Però talvolta alcuni
vogliono accertarsene, ed invitano lo
spirito a fornirequalche prova indicando
peresempio il suo nome, o il tempo della
sua nascita o della morte. Lo spirito
allora risponde: scrivete dieci nomi fra
i quali io indicherò quello dello spirito domandato. Per altro, cotesta prova non riesce quasi mai.Unasignora di mia co
noscenza la quale avevaevocatoilmarito,
evoleva che egli indicasse il suo pre nome, scrisse come gli fu
prescritto, i dieci nomi, fra cui era
quello che si doveva scoprire. Il
cestello si mise in movimento e percorse
lentamente la lista, e di tempo in tempo
lapunta della matita si avvicinava a un
nome, mentrechè il medium, cogli occhi
fissi sull' evocatrice, cercava di
leggere sul suo viso qualche traccia che
gli accen nasse aver egli ben indovinato. Non
trovandosi l'espressione cercata, il ce stello fint col segnare a caso
un nome: scoraggiarsi, indicò unsecondo,
poi un terzo e fino a sette nomi senza
coglier nel segno! Cotali svarioni
nonnocquero minimamente al medium. Si sa
bene che gli spiriti liberati dai legami
ter restri obliano spesso le particolarità
della loro vita passata. Grande è
la lezione che ci dà oggi lo spiritismo
sull'attitudine dell'uomo a credere e a
creare il maraviglioso. Se la scienza
non fosse giunta ad una so luzione abbastanza negativa, e non ci garantisse oramai da ogni durevole traviamento, lo spiritismo sarebbe di ventato
religione elegislatori inappella bili i suoi sacerdoti. Il lato temibile di questa nuova su
perstizione, destinata fra noi a morire
col secolo che le diede vita, non tanto
sarebbe statala sua stravaganza, quanto
l' l'apparente sua connessionecolla
scienza, alla quale i suoi sacerdoti
tentano rian nodarla. Approfittandosi essi della u mana credulità e delle
superstizioni cor renti, cercano di provare l'esistenza di spiriti incorporei che col mezzo di tra
smigrazioni, vengono sulla terra ad a nimare gli uomini, e ritornano nello spazio dotati di una personalità e di una volontà propria. Essi hanno inoltre una forma, sono limitati, si trasportano negli altri mondi a piacimento, e fra loro si distinguono in più o meno puri, cosicchè, come si è creato una scala saliente e progressiva per gli esseri viventi del nostro globo, lo spiritismo la crea per gli spiriti. Possono essere più o meno buoni, secondo il grado di perfezione a cui sono giunti; ipiù im
perfetti sono anche quelli che tengono
ancora alla materia, dalla quale vanno
allontanandosi gradatamente, per avvi cinarsi a Dio. Del resto, l'uomo,
come gli spiriti, sono destinati a
progredire e aperfezionarsi, sino aqual
punto poi, lo spiritismo non lo dice.
Essi si incar nano, siaper compiere unamissione, sia per espiazione, e in tal caso diventano ciò che volgarmente chiamasi l' anima. Come nel mondo materiale, vi sono esso si eraingannato Ricominciò senza
SPIRITISMO nel mondo spiritico
sensazioni e piaceri, libero arbitrio,
gerarchia, e tutta la sequela dei mali,
che,sebben diversi dai nostri, non
cessano però di esser mali. Il fine
ultimo della perfezione ci è rap presentato dagli spiriti superiori, i
quali non potendo più oltre
perfezionarsi, sono interamente occupati
aricevere diretta mente gli ordini di Dio, a trasportarli in tutto l'universo ed a vegliare diret
tamente alla loro esecuzione (Le livre
des Esprits, par Allan Kardec). Evi dentemente lo spiritismo, che
mostrasi 465 nel secolo nostro, nemmen fa d' uopo dirlo, una religione o filosofia che pre
tende insegnare il modo di evocar gli
spiriti , che con mille illusioni tenta
di traviar le menti dei creduli ; che
dichiara il sonnambulismo l'effetto di
tanto avverso al suo mortal nemico il
materialismo, pare che non abbia sa puto inventare di meglio che il tra
sporto della gerarchia sociale nello
spazio! Il sistema, bisogna
confessarlo, è in gegnosissimo; esso però ha un difetto solo, quello di mancar di prove.
Infatti, qual'è la base dello
spiritismo? Il si gnor Allan Kardec, che si può ritenere sia stato il maestro di questa nuova superstizione in Francia, lo dichiarava in modo esplicito: la rivelazione, i mi
racoli, il sovrannaturale sono, secondo
lui, il fine ultimo della dottrina spiriti ca, ed a questo fine pare che
egli miri sopra ogni altra cosa,
procurando di conformarvi la rivelazione
degli spiriti (L'Evangile selon le spiritisme).
« Essi non riflettono, dice egli,
parlando degli avversari, che facendo il
processo al meraviglioso, fanno anche
quello della religione che è fondata
sulla rivelazione esui miracoli ; ora,
che è mai la rive lazione se non una comunicazione extra umana?
1. I fratelliPettyhannopresentato
parecchi dei fenomeni che essi avevano
annunciati, allorchè non venne presa
alcuna precauzione, tale da prevenire
lapossibilità di inganno, oallorchè que ste precauzioni erano indicate
dai te stimoni e non escludevano perciò la
possibilità di questo inganno.
> 2. I fenomeni promessi o non si
sono prodotti, oppure la frode dei fra accolto questa proposta. Alla
seconda | telli Petty è stata svelata ogni volta che seduta della Commissione essi hanno enumerato i generi di fenomeni che co
noscevano ed hanno raccomandato di
studiare quelli che avvengono in pre senza dei medium, cioè delle
persone coll'intermediario delle quali i
fenomeni si manifestano con maggior
intensità e precisione. Il signor A. Axakof
ha pro messo di presentare dei medium alla
Commissione. Questa, da parte sua, ac cogliendo con riconoscenza il
concorso che le era in questa guisa
offerto pel compimento del suo
mandato,hadeciso di ammettere ai suoi
esperimenti tre testimoni designati dai
medium, ha pro posto di limitare le ricerche ai più sem plici fra i fatti dello
spiritismo, ed ha dai membri della
Commissione furono prese lepiù
elementari precauzioni per confondere
l'impostura. >3. I testimoni,
riferendosi ad una lunga pratica dello
spiritismo, ed ime dium stessi, hanno posto alle sedute delle condizioni, le quali escludevano
la possibilità di una osservazione
esatta, quali l'oscurità, la mezzaluce o
l'allon tanamento dei membri della Commis sione ad una certa distanza dai
medium. >4. I testimoni adiverse
ripresehanno determinato molto
diversamente le con dizioni che essi pretendevano favorevoli alla manifestazione dei fenomeni spi
ritici. > 5. Alla sedutadel 20
novembre, si fissato il termine di un
anno per la du- | constato la rottura di una cortina po rata dei suoi
lavori. Nel mese di ottobre 1875, due me
dium, i fratelli Petty, di Newcastle, che
il sig. A. Axakof aveva invitati a re carsi a Pietroburgo, sono stati
presen tati alla Commissione. La loro qualità
di medium era attestata dauna dichia razione scritta del signor A.
Axakof e danumerose testimonianze
stampate che provenivano dagli
spiriti. «La Commissione tenne sedute
coi fratelli Petty; i testimoni erano i
si gnori Axakof e Boutlerof. Secondo
il desiderio dei testimoni, le due
prime sedute furono occupate dai medium
nel far conoscenza coll' ambiente nel
quale erano chiamati ad agire. Le
quattro se dute successive sono state consacrate allo scopo della Commissione ed ebbero luogo nel mese di novembre. I loro ri sultati
furono i seguenti: sta vicina al medium
per isolarli dal campanello, il cui
tintinnio doveva co stituire un fenomeno annunziato. > Dopoquesti fatti il sig. A. Axakof ha allontanato i medium dalla Commis sione. I
testimoni dichiarano oggi che i fratelli
Petty sono dei medium assai deboli. > In quanto alla Commissione, essa ha, nella sua seconda seduta, dichiarato che i fratelli Petty erano due impo
stori. > Nelmese di gennaio 1876, il
signor A. Axakof avendo annunziato
l'arrivo dall'Inghilterra di madama
Clayre, me dium dilettante, la Commissione si èdi nuovo radunata in seduta. I testimoni hanno certificato alla Commissione che la signora Clayre era un medium po tente e
che il professore Crooks aveva fatto con
lei inInghilterraparecchi de SPIRITISMO
gli esperimenti che sonopresentati co 469 >3. I sollevamentideitavolini
ordinari me prove in favore dello
spiritismo. La Commissione decise di
procedere imme diatamente all'esame dei fenomeni spi ritici manifestati in
presenza della si gnora Clayre, adoperando degli appa recchi a questo effetto
preparati, affine di sostituire alle
ossrrvazioni dirette, che sono incomode
e non lasciano trac cia di sè, l'osservazione più probativa delleindicazionidiapparecchi, la testimo
nianza dei quali è irrecusabile. Il sig.
A. Axakof ha riconosciuto l'uso degli
apparecchi possibile in questa circo stanza, vista la potenza singolare
del medium e le esperienze di questo ge
nere che erano già state fatte con
quella persona. > La
Commissione tenne nelmesedi gennaio
quattro sedute colla signora Clayre come
medium e coi signori Axakof, Boutlerof e
Wagner come te stimoni. I risultati furono i seguenti: > 1. I testimoni hanno insistito
sulla necessità, per lo sviluppo dei
fenomeni, di tenere le sedute intorno ad
una ta vola,ordinaria ; alcuni membri della
Commissione non furono ammessi nella
sala delle sedute; fu loro persino im pedito di fare delle osservazioni
dalla stanza vicina. Le sedute stesse
attorno ad una tavola ordinaria ebbero
luogo, grazie ai testimoni, in
condizioni che
escludonolafacilitàd'osservare,lasciando
al medium piena libertà d'azione, senza
sindacato. É stato pure richiesto, per
esempio, che tutte le persone presenti
stessero contro la tavola, quando si u diva il moto di questa, ciò che
facili tava la possibilità di farla muovere col
che si osservarono nelle sedute colla
signora Clayre, erano, per desiderio dei
testimoni e del medium, circondati da
condizioni tali, che il medium stesso
poteva scuotere il tavolino, avanzare i
piedi sotto il mobile e sollevare anche
questo . I membri della Commissione
hanno più volte osservato dei tentativi
di questo genere, ed hanno veduto il
piede del medium sotto quello del
tavolino. > 4. Itestimoni
nonhanno acconsen tito che una volta all' uso d'una tavola manometrica, provveduta d' apparecchi destinati a misurare lo sforzo delle mani apposte su quella tavola. Non avvenne oscillazione, nè movimento, nè sollevazione di quella tavola. I testimoni hanno poscia respinto a più riprese l'invito della Commissione di procedere adelle osservazioni mediante apparec chi misuratori. > 5. Un tavolino apiedi curvi, che in grazia della sua costruzione non era facile a farsi oscillare colla semplice pressione delle mani sulla tavoletta, e che allontanava la possibilità di porre un piede sotto il piede del mobile, non si mosse una volta sola, sebbene si fosse adoperato quando dei movimenti erano avvenuti con una tavola ordi naria. > 6. Tutti i fenomeni chesiprodus sero in
presenza della signora Clayre possono
esser prodotti da qualsiasi per sona che si trovasse nelle condizioni favorevoli alla frode in cui, per deside rio
dei testimoni, questo medium era
collocato durante le sedute della Com missione; i membri della
Commissione lo hanno provato da se
stessi. > Nelle ultime sedute colla
signora Clayre, la Commissione ha
richiesto ca piede senza esser veduti.
> 2. I movimenti e le oscillazioni di
una tavola ordinaria che ebbero luogo
nelle sedute, mentre le persone pre senti tenevano sulla tavolale loro
mani, ❘ tegoricamente che non si fossero più sono stati incontrastabilmente prodotti coll'aiuto delle mani del medium, come impiegate delle tavole ordinarie, e che I' osservazione dei fenomeni non a si potè
indurlodallaloro tensione e dai loro
cambiamenti di posto che prece devano le mutazioni della tavola. vesse luogo che col sussidio dei mezzi proposti da essa. I testimoni vi hanno aderito (il 27 •
470 SPIRITISMO gennaio),ma esprimendo ildesiderio che questi apparecchi fossero loro portati a domicilio per essere anticipatamente e
sperimentati. Dopo aver ricevuto (il 28
gennaio) due di questi apparecchi, i te stimoni hanno sospeso le sedute
(il 2 febbraio) e in seguito (il 4
marzo) vi hanno definitivamente posto
termine. Nelle dichiarazioni che essi
hanno allora presentato, i testimoni
hanno rinnovato l' assicurazione delle
potenti facoltà me dianiche di madama Clayre, e hanno mo tivato il loro rifiuto
principalmente sulla prevenzione della
Commissione contro lo spiritismo, e sul
desiderio di questa di non fare
l'osservazione dei fenomeni dello
spiritismo che con l'aiuto d'appa recchi.
> La Commissione ha considerato al lora come raggiunto il suo scopo,
per chè essa si era accertata che fra i fe nomeni prodotti dal piùpotente
medium, in tutte le condizioni più
favorevoli, non ve ne era stato un solo
che potesse in dicare la esistenza di un ordine parti colare di fenomeni
costituenti lo spiri tismo. >>
Nelle quattro sedute che essa ha te nuto nel mese di marzo, la Commissione ha discusso:
> 1. Dei dati stampati sui fenomeni
spiritici e sullo spiritismo in generale; >> Delle prove ed osservazioni
fatte dai suoi membri, fuori del suo
seno, sopra dei fenomeni attribuiti allo
spiri tismo e prodotti con o senza la presenza
dei medium.. > 3. I suoi
processi verbali e lestampe ricevute
alle sedute che essa tenne coi medium
Petty e Clayre, in presenza dei signori
Axakof, Boutlerof e Wagner,
testimoni. > 4.
Ledichiarazioniscritte da questi
testimoni alla Commissione.
contrastabilmentedeterminati dall'effetto della pressione esercitata, intenzional mente
o no, dalle persone presenti; si
riferiscono cioè a dei movimenti mu scolari consci e incosci; per
spiegarli non è necessario ammettere la
esistenza della forza o della causa
nuova, accet ta dagli spiritisti. >
2.Dei fenomeni, qualelasollevazione
delle tavole o il movimento di diversi
oggetti dietro una cortina o neila oscu rità, portano il carattere
irrecusabile di atti di frode commessi
scientemente dai medium. Allorchè delle
misure efficaci sono prese contro la
possibilità dell'im postura, questi fenomeni non avvengono, oppure l'inganno è svelato. > 3. I rumori e i suoninei quali gli spiritisti vedono dei fenomeni aventi un senso, e che possono servire a comuni care
cogli spiriti, stanno negli atti per sonali dei medium ed hanno la stessa importanzae lo stesso carattere dell'acci
dentalità o della frode, dei vaticini e dei
presagi di buona fortuna. > 4.
I fenomeni attribuiti all'influsso dei
medium chiamati medium plastiques dagli
spiritisti, come la materializzazione
delle varie partidegli spiriti e l' appari zione di figure umane, sono
incontra stabilmente falsi; si deve infatti così conchiudere, non solo per l'assenza di qualsiasi prova precisa, ma ancora: a) Dall' assenza di attitudine all'os
servazione scientifica nelle persone che
credono alla autenticità di questi-feno meni, le quali descrivono ciò
che hanno veduto; b) Dalle precauzioni che gli spiri tisti e i
medium chiedono ordinaria mente alle persone davanti alle quali devono compiersi questi fenomeni; c) Finalmente, dai casi numerosi nei quali i medium furono direttamente >> Da quest' esame la Commissioneha
convinti d'avere prodotto coll' impostura
tratto le seguenti conclusioni:
simili manifestazioni, sia da sè stessi,
> 1. Quelli fra i fenomeni attribuiti
allo spiritismo, che avvengono coll' im posizione delle mani, come, per
esem pio, i movimenti delle tavole, sono in sia col sussidio di terzi. > 5. Nelle loro manifestazioni, le per
sone simili ai medium mettono a pro fitto, da unaparte imovimenti inconsci
SPIRITUALISMO einvolontari delle persone
presenti, e dall' altra parte la
credulità dellagente onesta, ma
superficiale, che non sospetta la frode
e non prende precauzioni per
prevenirla. > 6. Lamaggior
parte degli aderenti allo spiritismo non
danno prova nè di tolleranza per
l'opinione delle persone che nulla di
scientifico scorgono nello spiritismo,
nè di critica per l'oggetto della loro
credenza, nè di desiderio di 471 partecipazione di persone umane alla produzione di quei fatti; quando si os
servarono i principii razionali delle ri cerche scientifiche, come
consiglianoGay Lussac, Arago, Chevreuil,
Faraday, Tyn dal, Carpentier e altri, è stato provato che i fenomeni attribuiti ai medium so no il
risultato, o di movimenti involon tari, che provengono da particolarità naturali dell' organismo, o dalla furbe ria,
o dall' inganno di persone che por studiare i fenomeni spiritici coll'
aiuto dei mezzi d' investigazione
ordinari della scienza. Però gli
spiritisti diffondono con ostinazione le
loro idee mistiche, dandole per nuove
verità scientifiche. Queste idee sono
accettate da molti perchè rispondono a
vecchie supersti zioni contro le quali la scienza e la verità da gran tempo combattono. Gli uomini di scienza che sono trascinati dallo spiritismo, si comportano verso di questo come dei dilettanti passivi di spettacoli e non come dei cercatori di fenomeni della natura. > 7. Lepoche esperienze con apparec chi
atti a misurare, che si citano quali
prove in favore dello spiritismo, sono
state eseguite in condizioni, le quali
permettono giudizi precisi, e mostrano
che gli sperimentatori non conoscono
sufficientemente i metodi adatti allo
studio scientifico dei fatti nuovi e dub biosi. Questi sono, per
esempio, gli e sperimenti eseguiti dagli spiritisti con una membrana o con delle bilancie. > 8. Ogni volta che degli spiritisti fu
rono invitati, o che si sono offerti a
provare coll' esperienza ciò che essi af fermavano nei circoli delle
persone che conoscono le scienze esatte,
esse si sono volentieri messi all'
opera, maognivolta hanno interrotte le
prove, hanno allonta nato i medium e si sono lagnati delle prevenzioni degli esperimentatori, appe na
trovarono che i fatti osservati erano
sottomessi ad un esame critico.
> 9. Allorquando lo studio dei feno meni spiritici è stato circondato
da pre cauzioni atte a mettere in luce la
tano denominazioni analoghe a quelle
dei medium. E ciò è quanto la
Commissione ha pure constatato nelle sue
osservazioni sui tre medium inglesi, che
le furono presentati dai nostri
spiritisti. Fondandosi sul complesso di
ciò che essi hanno appreso e veduto, i
membri della Commissione sono unanimi
nel for mulare la seguente conclusione: ifeno meni spiritici provengono
damovimeuti involontari e da una
impostura consa pevole, e la dottrina spiritica è una su perstizione. Firmati: i membri della Commis sione: Bo
Bylef, aggregato di fisica al l'Università di Pietroburgo.- Borgman, preparatore al gabinetto di fisica del l'
Università di Pietroburgo Bouly guine- Hezehus, licenziato in fisica Elenef
preparatore al laboratorio di chimica
dell'Università di Pietroburgo-Krajëvitch, maestro di fisica all' isti tuto
delle miniere e alla scuola degli
ingegneri-Latchinof, maestro di fisica
all' istituto agronomico di Pietroburgo
Mendèleief, professore di chimica al l' Università di Pietroburgo-
Perrat, professore
dimeccanica-Pétrouschevski, professore
di fisica all' Università di Pie--
troburgo- Khmolowsly, maestro di fi
sica Van der Vliet, aggregato di
fi sica all' università di Pietroburgo.
Pietroburgo, 21 marzo 1876.
Spiritualismo. Dottrina di co loro i quali credono all'esistenza
dello spirito. La filosofia
spiritualista è essen zialmente cristiana, nè vi è esempio tra i filosofici pagani, il qualeprovi che gli
472 SENSO COMUNE antichi concepissero l' anima secondo l'astrazione dei moderni spiritualisti. Anzi, alcuni tra gli stessi padri della Chiesa concepirono l'animain un senso affatto materiale, come una sostanza sottilissima, ma tuttavia molto diversa daquella dello spirito. (Vedi ANIMA, SPIRITO). Tra i filosofi cristiani, non mancarono coloro che, come Priestley, riconobbero non essere necessario am mettere
l'esistenza di uno spirito per spiegare
i fenomeni del pensiero, giac chè Dio ha benissimo potuto dare alla materia la facoltà di pensare, come le ha dato quella di muoversi e di agire. Anche Voltaire, che era Deista, aveva sposato questa opinione V. SPIRITISMO. Sensibilità. Suolsi definire la sensibilità la facoltà di sentire; poi
la si considera come un fatto reale in
se stesso ben distinto dalla sensazione.
Ma se i metafisici facessero attenzione
più alla sostanza delle cose di cui
trattano, che alle parole colle quali le
definisco no, si accorgerebbero che la sensazione contiene già in se stessa la
sensibilità, giacchè non vi può essere
sensazione che non sia sentita. Anzi, a
propria mente parlare, la sensazione non è al tro che l'atto col quale sentiamo
che una modificazione si è prodotta in
noi. Or che cosa è la sensibilità?
L'astra zione appunto di questo atto, e non per
altro questo vocabolo entra nella cate gioria dei nomi astratti.
Sensibilità è la possibilità di sentire.
Ma questa possi blità é qualche cosa od è niente? Per essere qualche cosa bisognerebbe rap
presentarcela in azione; ma nel mo mento in cui la sensibilità é, per così dire, in atto, essa diventa sensazione. Se poi si considera la sensibilità non in atto, essa non ha niente di reale in se, e indica solamente la facoltà che hanno gli esseri vivi di provare sen
sazioni. Questo così elementare
ragionamento basta a mostrare la vacuità
di tutte le disquisizioni che i
metafisici si credono in dovere di fare
sulla sensibilità e mi limito a
rimandare il lettore all' arti colo SENSAZIONE, per quella stessa ragione che un professore di meccanica, do po avere
lungamente parlato del movi mento, troverebbe affatto inutile didilun garsi
sulla mobilità, la quale non è unacosa
in se, ma una semplice parola creata per
indicare che icorpi possono entrare in
movimento. Cionondimeno un filosofo
contemporaneo, il signor A. Franck
membro dell' Istituto, ha tro vato il modo di scrivere molte pagine intorno a questa voce, sulla quale ci dà delle notizie veramente peregrine, come, per esempio, questa che non mi sarei certamente immaginato di dover leggere nei nostri tempi: « La sensibilità, se
si eccettuano le passioni, che sono
l'opera dell' uomo, é un movimento che
emana da Dio, una azione immediata della
sua potenza, che ci inclina senza
costrizione verso il nostro fine, e ci
penetra senza assorbirci ». Io capisco
bene che col l'intervento del Deus ex machina, i metafisici spiegano facilmente ogni
cosa, ma sarebbe pur tempo che siffatti
me schini espedienti fossero lasciati ai te ologi. Senso comune. (Dottrina del) Da tempo immemorabile teologi e filo sofi
cattolici hanno combattuto lo scet ticismo coll' autorità della rivelazione e col senso comune, o consentimento u niversale.
L'esistenza di Dio, la verità della
fede, la stessa autorità della rive lazione, dicevano certissimamente con
fermate dall' universale consentimentodi
tutti gli uomini, i quali in tutti itempi ein tutti i paesi hanno creduto e cre dono in
un Ente creatore e conserva tore del mondo. Finché le cognizioni antropologiche ed etnologighe furono limitate a poche relazioni di
missionari, che d'altronde non erano
divulgate, questa dottrina sembrò fare
buonapro SI e va; ma quando le comunicazioni
stesero e numerosi viaggiatori intrapre sero lo studio dei costumi de'
popoli lontani, appari chiaramente che
questa supposta unanimità di credenza
erame SENSO COMUNE ramente effimera; che
vi sono popoli increduli o credenti in
esseri che non possono in alcuna maniera
riferirsi al Dio metafisico immaginato
dai cristiani. (ν. ΑTEL, DIO,
IMMORTALITÀ, SPIRITO). Nemmeno come
principio la dottrina del senso comune
potrebbe addursi in prova di
checchessia, giacché l' ade sione unanime di tutti gli uomini non 173
Fra gli autori cattolici favorevoli
alla dottrina del senso comune, vuol es sere ricordato Lamennais. Egli
ha detto che i nostri sensi c'
ingannano, che la ragione individuale è
impotente a sco prire la verità, e che l'uomo ridotto alle sue sole risorse, non potendo cre
proverebbe che le cose sulle quali vi ė
unanime accordo siano vere; essa pro verebbe solamente che gli uomini
si accordano a ritenerle tali; ogni di
più eccederebbe i limiti del sillogismo
e costituirebbe una conseguenza i princi
pii della quale non sarebbero contenuti
nella premessa. Infatti, perché
la conseguenza fosse corretta, il
sillogismo dovrebbe costru irsi così:
dere, nè a Dio, nè all' universo, nè a
se stesso, cadrebbenel più assoluto scet ticismo. Solo rimedio efficace
contro il dubbio egli credeva che fosse
l' univer sale consentimento, fondato sulla tradi zione costante dell' umanilà
alla quale é stato rivelato quel vero
ch' essa stes sa è impotente a scoprire. Ma come si potrebbe consultare questo senso co mune?
Lamennais trovava che il mezzo era molto
semplice. LaChiesa cattolica, legittima
depositariadella tradizione, era anche
l'organo per mezzo del quale la Ciò che
tutti gli uomini credono sic- tradizione parlava; e il papa che é il come vero, é vero realmente. Tutti gli uomini credono in Dio. Dunque Dio esiste realmente. Ma, domando io, esiste un solo filo sofo il
quale sia disposto ad ammettere la
maggiore di queste premesse? Io non lo
credo, giacché non vi é alcuno che non
veda a quali stolti giudizi esso ci
condurrebbe. Se ciò che tutti gli
uomini credono é realmente vero; tutti
hanno creduto che il sole si muovesse
intorno alla terra; dunque sarebbe vero
che il sole si muove! Con questo
principio non vi sa rebbe errore santificato dai secoli e dal l'ignoranza che
non potrebbe essere di mostrato per vero; e allascienza non re sterebbe altro
che raccogliere le antiche credenze,
siccome le più attendibili e le più
universalmente credute. (v. CERTEZZA
•REID). Nella stessa religione il
principiodel senso comune potrebbe
essere rivolto contro la verità di molti
dommi; e per fino il cristianesimo dovrebbe essere con siderato come una falsa
rivelazione , quando fosse confrontato
colla gran maggioranza dei settatori di
altre reli gioni (V. RELIGIONI). capo
visibile di questa Chiesa ne era il
legittimo interprete (Essai sur l'indif ference). Grazie e questo consentimento uni versale,
Lamennais conferiva alla ragione umana
collettivamente, ciò che singolar mente rifiutava ad ogni ragione parti colare,
e concretava poi in un solo uo mo la collezione di tutte queste ragioni. Finché Lamennais si attenne a questa si poco liberale applicazione della dot trina
del senso comune, la Chiesanulla trovò a
ridire; ma venticinque anni ap presso, quand' egli, piegandosi al movi mento
generale del pensiero, dettò l'E squisse d' une philosophie, nella quale, pur sempre restando prete, cessò di in
carnare nella Chiesa cattolica la rap presentazione della ragione
collettiva dell'umanità, papa Gregorio
XVI trovò che quella dottrina era vana,
futile e incerta, e solennemente la
riprovò nel modo che segue: « Egli é
assai deplo revole il vedere in quale eccesso di de lirio si precipiti l' umana
ragione, al lorché l'uomo si lasciapigliare all'esca. della novità, e sforzandosi, malgrado l'avvertimento dell' apostolo, a
riescire piu saggio di quel che
abbisogni, trop. 474 SENTIMENTO po fidente di se, reputa che la verità possa cercarsi fuori della cerchia della Chiesa cattolica ..... stupenda definizione che ha solamente il difetto di non esser
chiara; manon si può volergli male per
que sto: il miglior professore di sentimen talismo non potrebbe dircene di più. Servet (Michele) Nacque nel 1509 a Villanova nell' Aragona. A 19 anni si recò a Tolosa per studiarvi il diritto, che abbandonò poi per dedicarsi inte ramente
alla teologia. Fra tutti i dommi
religiosi quello della trinità gli parve
il più strano, e il mendegno dellapub blica fede, sicchè cercò di
renderlo, se non altro, più intelligibile,
considerando le tre persone divine come
la semplice manifestazione di un solo
Dio. Trovata questa spiegazione per lui
soddisfacente; sperò che i capi della
riforma in Ger mania sarebbero stati del suo avviso; ne scrisse perciò ad Ecolampadio, ed egli stesso si trasferì a Strasburgo per conferire con Bucero. Ma ildabben uo mo non
aveva pensato che i capi della riforma
erano per lo meno tanto intol leranti quanto i papisti: egli fu detto un bestemmiatore ed un messo del diavolo » e Zuinglio trascorse fino a maledire il maledetto e scellerato Spa
gnuolo. Nonostante questa opposizione
pubblicò nel 1532 il libro sugli Errori
della Trinità e l'anno seguente i Dia loghi sulla Trinita. Lo scandalo
destato da questi due scritti fu tale,
ch'egli si vide costretto a cambiar di
nome e a rifugiarsi a Lione, ove visse
parecchio 476 SERVET tempo in una tipografia, correggendo | lo
calunnia, lo insulta, nè si sta pago,
bozze di stampa. Fatto che ebbe qual finchè la sentenza di morte è
pronun che risparmio, si trasferì a Parigi, ove stu diò le matematiche e la
medicina,scienze nella quale fu
addottorato. Dopo avere professato nel
collegio dei Lombardi, Pietro Paumier,
suo discepolo nominato vescovo a Vienna
nel Delfinato, lo chia mò presso di senellaqualitàdimedico. Servet visse così tranquillamente dodici anni, nel qual tempo alternò i suoi
studi di medicina con quelli di
teologia, e venne compilando un libro
col titolo Restitutio Cristianismi, nel
quale in tendeva di proporre una nuovariforma della religione. Prima di pubblicarlo egli entrò in corrispondenza con
Calvino, sperando forse di poterlo
trarre alle sue idee. Ma dopo parecchie
lettere, il capo della riforma di
Ginevra, irritato forse dall'
ostinazione e dalle arguzie di Ser vet, ruppe ogni commercio con lui. Intanto il Servet mandò alla stampe il suo libro, e poichè trovavasi in
paese cattolico, lo fece imprimere con
tutta segretezza, ma non tanto che
Calvino non ne avesse sentore. Il furore
teolo gico allora invase costui a tal punto,
ch'egli, capo della riforma, non temette
di far denunciare il suo avversario al l' inquisizione cattolica. In
quell' occa sione, dice Gabriel, Calvino si mostra talmente acciecato dal fanatismo, che perde perfino le nozioni distinte del bene e del male » (Hist. de l' Eglise de Genève T. 2).
ciata contro di lui e il 27 ottobre 1553, mandata ad esecuzione mediante il rogo. Benchè oltre ogni dire abbattuto, Ser vet
rifiutò mai sempre di ritrattare le sue
opinioni, anche allora che gli fu promesso
di convertire la penadimorte mediante il
rogo,conquellaper la spada. Egli perì
tra le fiamme dopo mezz' ora di inauditi
tormenti. Tra i capi d'accusa della
sentenza si leggono questi, i quali
possono mettere in luce quali fossero le
eresie che cat tolici e protestanti imputavano a Servet. « Item. Ha spontaneamente confes sato che nel
libro Christianismi resti tutio egli chiama trinitari edatei coloro che credono nella Trinità. io, con è fatto arrestare dall' inquisizione
e sot- tinua Calvino, essendo corrucciato di
toposto a processo. Un giorno però gli una assurdità si grossa, replicai
di ri vien fatto di fuggirsene; egli pensa di scontro: come, povero uomo, se
qualcuno recarsi a Napoli per
esercitarvi la me- battesse col piede questo pavimento, e dicina, e per la via delle Alpi scende a
dicesse che calpesta il suo Dio non i Ginevra all' osteria della Rosa. Appena
norridiresti di aver assoggettata lamae Calvino ha sentore dell' arrivo a Gine-
stà di Dio ad un tale obbrobrio? Allora
vra del suo avversario, tostolo denun- egli rispose: io non dubito
menoma cia all' autorità criminale, e mette in mente che questo banco e questa
cre cauzione il suo stesso segretario accioc- denza e tutto ciò che si potrà
mostrare chè, secondo le leggi d'allora,
avesse non sia la sostanza di Dio. Nuovamente
egli la parte di accusatore. Egli assale gli fu opposto che, a parer
suo, dun il suo avversariod' innanzi al Consiglio, | que il diavolo sarebbe
sostanzialmente SESTO EMPIRICO 477 Dio. Ridendo, egli arditamente rispose: |
dallo affermare qualcosa,così senza mal
ne dubitate voi? Quanto ame tengo per
massima generale che tutte le cose sono
una parte e porzione di Dio, e che ogni
natura è il suo spirito sostanziale ».
animo contro altri, eglino espongono
le proprie dubitazioni sopra ogni ma niera di discipline; dacchè non
rinven Sesto Empirico. Il luogo e il
tempo preciso della nascita di questo
filosofo si ignora. Sulla fe le di Diogene Laerzio che lo annovera tra i discepoli di Erodoto di Tarso, si crede general mente
ch' egli sia fiorito verso il prin cipio del terzo secolo, e che sia origina
rio d' Africa. Ch' egli fosse medico ed
esercitasse l'arte salutare non è dub nero in nessuna la verità che
cercavano con gli studi. « Nega, anzi
tutto, l' esi stenza della disciplina, argomentandone e dalla indeterminata controversia dei filosofi circa la essenza sua e dal non potersi affermare quale si è la cosa in
segnata, chi l'istruttore, chi l' ammae strato, e quale il modo dello appren
bio, poichè egli stesso lo afferma; e che
fra i medici egli appartenesse alla setta degli empirici pare altrettanto certo, per quanto dice Diogene, e per lo stes so
nome di Empirico che gliene è de rivato. Null' altro si sa della sua vita, nè pure delle sue opinioni in medicina, giacchè le sue Memorie di medicina❘le, nè la istorica, né quella che con
andarono perdute. dere. E come i
principii e il metodo generale della
asserita disciplina si por gono della grammatica; chiamandola unalusingatrice sirena, entra
sottilmente amostrarla arbitraria ne'
propri ele menti, nelle leggi stabilite per le sil labe, pei nomi, per
lametrica, per l'or tografia, per la etimologia; e ne deduce non esistente nè la parte sua artificia cerne
i poeti e gli scrittori (L. 7) e tanto
meno quella chehaper iscopo di rizzata
la filosofia di Pirrone. Nel suo libro
Contro i matematici, egli confuta i
dommatici inqualsiasi scienza, i gram matici dapprima, quindi i rettorici,
i geometri, gli aritmetici, gli
astrologi, e i musici. Più conosciute
sono le sue Ipotiposi pirroniane, che
furono tra dotte in francese prima da un tal Huart col titolo: Les Hipotiposes ou Institu tions
pirroniennes (Amsterdam 1725) e poi da
Samuele Sorbière. L'autore riproducendo
le obbiezioni di Pirrone contro i
dommatici si di chiara apertamente in favoredegliscet Sesto Empirico é invece
conosciu tissimo nella filosofia per avere volga- persuadere, ossia la
rettorica (L. II). > Passa ai
Geometri; e subito toglie concludenza
alle loro argomentazioni chiarendo
inefficace ogni discorso che non abbia
base dimostrata, come sono i loro;
costruiti sopra ipotesi, e con principii
egualmente indimostrabili (qua li il punto e la linea), e da cui nessu no può
mai nulla togliere nè tagliare (L. III )
Conlo stesso argomento della
impossibilità di aggiungere o sottrarre
qualcosa, confuta le teorie degli arit metici massime pitagorici (L.
IV). >> Ingegnosi ed afforzati da
giusta erudizione, sono gli argomenti
contro gli Astrologi Caldei i quali,
dice, in vario modo fanno onta alla
vita, fab bricandoci una grande superstizione,
nè consentendoci operare nulla confor.
me a ragione (L. V.) tici. Le
parti principali di questo libro vôlto
in italiano da Stefano Bissolati,
essendostate riprodotte all'articolo PIR RONISMO, gioverà qui citare il
sunto che lo stesso antore dà del libro
contro i matematici. > Siccome i pirroniani accostatisi alla filosofia per desiderio di incontrarsi al vero, e non lo avendo trovato in nessuna parte, per l' eguale peso di ra gioni
che stanno in tutte, si astennero >
Pur accordando che dalle armo nie si sia potuto trarre bene, e dol cezza, e
conforti; incalza i musici col mettere
in aperto la nonesistenza delle
modulazioni e de' ritmi (L. VI).
> Spiegata la forma generale della 478 SOCINIANISMO
scettica, viene alla particolare, ossia a quella che parzialmente combatte la filosofia divisa in razionale, naturale, morale. Nel primo libro (L. VII) contro i logici diffusamente espone e sottil mente
oppugnaquanto erasidetto, circa il
criterio della verità, dai filosofi che
ne negavano la esistenza e da chi la
ammetteva; bene avvertendo essere que sta la suprema delle indagini.
Giac ché o non si trova la regola per cui
conoscere la vera esistenza delle cose,
ebisognerà finirla coi grandiosi vanta menti dei dommatici; o scorgerassi
qual cosa che valga acondurci allacompren sione della verità, e meriteranno
censura di audaci gli scettici che sanno
andare contro alla comune credenza. «
Nel se condo (L. VIII) discorre in particolare
del vero, del segno, degli oscuri, della
dimostrazione, della materia della di mostrazione e se la dimostrazione
esi sta. E poiché ha concluso che tutto è
incomprensibile e indimostrabile; e con tro l' obbiezione che, quando
non ci abbia possibilità di
dimostrazione, an che il discorso dello scettico non vale ed egli non può trarre arma che ab batta il
dommatico, risposto con l'ar gomento dato nel Libro I. c. 8 delle Istituzioni; entra in lotta (L. IX) coi Fisici. E la critica è intorno i
principii naturali, gli dei, la causa e
l'effetto, circa il tutto e la parte e
sopra il cor po; e appresso dice contro del luogo, del moto, del tempo, del numero,della generazione e del corrompimento. Chiu de la
serie dei combattimenti opponen do ai filosofi moralisti sopra i sette punti fondamentali dell' etica: quale
sia il bene, e il male, e
l'indifferente; se per natura ci sieno
il bene e il male; se pure ammessa la
esistenza del bene e del male in natura,
sia possibile il vi ver felice; se chi astiensi dallo ammet tere o dal negare
l'esistenza del bene e del male,
incontri ed essere felice, se una
qualche arte si trovi per con durre la vita; e se quella possa venire insegnata ».
Socinianismo. Dottrina inse gnata da Lelio e Fausto Socino, con traria
alla Trinità. Nel 1546 dopochè le
dispute di Lutero ebbero fatto ri sorgere il gusto per le controversie re
ligiose, alcuni nobili stabilirono in Vi cenza una Accademia collo scopo
di discorrere di siffatte materie. Lelio
So cino era nel numero di costoro, i quali
interpretando le scritture, dommatizza rono che vi è un sommo Iddio
che hacreato tutte le cose pel
ministero del suo Verbo, che il Verbo è
Figlio di Dio; che il Figlio di Dio è
Gesù di Nazareth; e che Gesù di Nazareth
è un uomo. Questadottrinanon faceva
molto onore alla logica dei novelli
Accade mici; e tutto ciò che vi era in essa di
chiaro era la riproduzione della eresia
di Ario ( Vedi ARIO) che negava la
divinità di Gesù, e la sua consustan zialità col Padre. Ma di pensare
inque sta guisa in quei tempi, nemmeno ai
nobili era cosa lecita,laonde, saputasi la cosa, il governo ne fece arrestare
alcuni che mandò amorte; mentre altri,
tracui il Socino , si rifugiarono nella
Polonia dove l' unitarismo aveva fatto
de' sen sibili progressi. Lelio Socino fu ospi tato dai nobili Polacchi, ma
morì a Zurigo il 17 Marzo 1562 senza
aver fatto molti proseliti. Alcuni anni
dopo Fausto Socino nipote di Lelio, dopo aver brillato alla Corte ducale di To scana,
divisò d' intraprendere la car riera teologica dello zio; fu a Basilea, quindi nella Transilvania, e finalmente l'anno 1579 giunse in Polonia. Quivi, posto al sicuro dalle persecuzioni cat
toliche, non men che da quelle dei nuovi
protestanti pure tremendi nelle loro
vendette, armeggiò contro Lutero e
Calvino e ottenne di riunire in una sol
comunione le trenta e più Chiese an titrinitarie che esistevano nella
Polonia. Morì nella villa di Luclavia
l'anno 1604 e sul suo sepolcro fu posto
un epitafio latino che diceva così:
Lutero distrusse il tetto di Babilonia,
Calvino ne ro- vesciò le muraglie, ma Socino ne strap SOFISMA pò le fondamenta. Dopo la morte di Socino non si spense l'eresia sua. Molti nobili erano venuti al suo partito, e questi in sì buon numero che nella Dieta riuscirono ad avere il sopravvento e a far proclamare la libertà di coscienza. 479
Nome dato da Augusto Comte alla fi losofia della storia. Nel sistema
positi vista essa costituisce la prima parte
della filosofia morale, e si propone di
scoprire le leggi costanti che reggono
la successione degli avvenimenti sociali. Ma non andò molto che Cattolici e Protestanti insieme intolleranti che si negasse la divinità di Gesù, unirono i loro suffragi e riuscirono a far décre tare
che i Sociniani, o rientrassero in una
delle chiese tollerate, o uscissero dai confini
dello stato; il qual decreto fu il
segnale della persecuzione gene rale di tutti gli stati contro i Sociniani che riparavano entro i lor confini. Dal catechismo di Cracovia compilato da Socino si deducono i seguenti prin cipii
fondamentali della sua dottrina. 1. La
sacra Scrittura è la sola regola di
fede, ed è interpretata dalla ragione.
2. Conseguenza di questo principio è
che i dommi della Trinità, della Incar nazione, della Divinità di Gesù
Cristo, del Peccato originale, i quali
non sono chiaramente annunciati nella
Scrittura, non hanno diritto alla nostra
fede. 3. Del pari la creazione dal nulla
non è domma comprensibile nè credibile,
poi chè Dio non chiaramente lo palesò
nella Scrittura, dov' egli forma il
mondo da una materia preesistente ( Vedi
"CREA ZIONE). 4. Gesù è il divin verbo, figliuol di Dio; Dio manifestatosi in carne, ma questi simboli usati dai Sociniani non hanno per loro che un senso puramente metaforico. 5. Il battesimo e la cena, come credono i protestanti, sono i due soli sacramenti istituiti da Gesù, ma non hanno altra virtù che quella di eccitare la fede. 6. La risurrezione della carne è impossibile, le pene eterne in
giuste: le anime dei malvagi saranno (V.
POSITIVISMO). Sofisma. Chiamasi cosi
ogni sil logismo il quale, sebbene lasci intendere di condurre a conseguenze assurde, pure presentasi con certe forme sotto le
quali si è imbarazzati a scoprirlo, o
almeno si è imbrogliati a dire in qual
parte il ragionamento sia falso e
capzioso. Varie classi di sofismi si
distinguono nelle scuole, e a ciascuna
classe l'antica filosofia ha applicato
uno special nome. Prima classe. Grammatica
fallace o amfibologia; sorta di sofismi
che deri vano o dall' ambiguità dei termini o
dall' equivoco. Esempio: Dio è dovunque;
dovunque è un avverbio, dunque Dio è
un avverbio. Seconda classe.
Ignoratio elenchi ; consiste nell'
ignoranza del soggetto in
questione. Terza classe.
Petizione di principio. Succede quando
si vuol spiegare lacosa che è in questione,
con un' altra cosa che essa stessa dev'
essere provata, per cui si torna ancora
alla questione di principio. Esempio: La
Bibbia è infal libile perchè lo afferma la Chiesa; la Chiesa è infallibile perchè lo afferma
la Bibbia; dunque la Bibbia e la
Chiesa sono infallibili. Si capisce
facilmente che i libri dei teologi sono
pieni di petizioni di principio. Quarta classe. Del falso supponente. Supporre vero il falso è vizio più co mune di
quel che si pensa, ond'è che in questa
classe di sofismi cadono facil mente i credenti, i quali deducono lo
annichilate. 7. A niuno è lecito guereg- giche conseguenze da falsi
principii. giare nè reclamare in
giudizio la ripa razione di una ingiuria, essendo queste cose chiaramente divietate dal Vangelo, equesto principio fu comune ai Qua CHERI e
agli ANABATTISTI. Sociologia, o Scienza
sociale. Quinta classe. Non causa pro
causa. Prendere per causa ciò che non è
causa. In quest' anno è succeduta una
guerra; ma la guerra è stata preceduta
dalla comparsa di una cometa; dunque la
co meta è stata la causa della guerra.
480 SONNO E SOGNI Sesta classe. Consequentis. Sofisma | tative,
e sopprime solamente ifenomeni che si fa
quando si reciproca dove non della coscienza, della volontà, i movi si può,
perchè il soggetto della propo- menti muscolari e l' attitudine dei nervi sizione non contiene tutto il suo predi- a
trasmettere le sensazioni. La respira cato. Ogni cubo è una figura, dunque
zione e la circolazione deifluidi durante
ogni figura è un cubo. Settima
classe. Fallacia dicti non simpliciter.
Si fa quando da quel che è vero in parte
si conchiude che è vero in tutto.
Esempio: Pietro è buono; ma Pietro è
pittore; dunque Pietro è buon
pittore. Sonno e Sogni. Il sonno
e i sogni sono stati argomento di non po
che controversie tra i psicologi, e hanno
fornito a Dugald-Stevart l' occasione di
un serio studio, per determinare quale
sia lo stato dell'anima nel sonno. I
fisiologi poi si sono occupatidello stesso argomento per stabilire di qual natura sia la funzione fisiologica del sonno, e inqual maniera essa succeda. Comin cerò da
quest'ultimo argomento, dal quale
principalmente dipende la solu zione del problema che si sono propo sti i
psicologi. Cabanis ha definito il
sonno uno stato che non è puramente passivo, ma che è una funzione particolare del cer vello,
la quale succede quando si sta bilisce in quest' organo una serie di movimenti particolari, la cessazione dei quali conduce il risveglio » (Rapport du physique et du moral § XV). Que sta
proposizione avrebbe bisogno di es sere provata, né alcuno ha ancor po tuto
determinare quali siano i movi menti intracerebrali che producono e mantengono il sonno. Buffon ha detto più genericamente, ma perciò appunto con maggior verità, che il sonno é
un modo di esistere altrettanto reale e
più generale che ogni altro; che tutti
gli esseri organizzati i quali mancano
di sensi esistono in questa maniera >
(Hist. nat. t. IV). Questa definizione mi pare preferibile a quelle più o meno ampollose, date da vari fisiologi. In ef
fetto, il sonno lascia intatte tutte le
funzioniche, sarei tentato di dire, vege il sonno continua regolarmente,
ma i nervi riposano, e coi nervi il
cervello. Tuttavia questo riposo non
succede immediatamente e in un sol
tratto per tutti gli organi.
Generalmente laprima azione che si
sospende è lamuscolare; le membra si
rilassano e cadonopel pro prio peso restando immobili nella posi zione che si
sono scielta e secondo la disposizione
delle articolazioni. Dumeril ha
dimostrato che nessuna azione vo lontaria nè alcun sforzo muscolare de vono
esercitare gli uccelli per mante nersi dritti sui rami durante il sonno. Egli sostiene che uno dei tendini del crurale passa sulla rotella per unirsi
ai tendini motori dei pollici ,
cosicchè quando lagamba degli uccelli è
pie gata, i pollici si trovano mantenuti nella
flessione in una maniera fissa, perma nente e solida, quantunque
passiva. Durante il sonno tutti isensi
dimo rano in uno stato di riposo. Non biso gna però confondere questo stato
colla soppressione assoluta della
sensazione, poichè se ciò fosse si
correrebbe peri colo di non svegliarsi più. Il sonno ot tunde i sensi, ma non li sopprime, e numerosi esempi ci dimostrano che la semplice eccitazione di un senso basta a svegliarci. Spesso però accade che quando l'eccitazione non è sufficente mente
forte e che il sonno è profondo, la
sensazione avvenga senza essere per cepita. L'uomo addormentato spesso si toglie da una posizione incomoda, ed eseguisce dei movimenti muscolari. La luce, dice il Prof. Longet, può manife stare
durante il sonno la sua azione sulla
retina senza che visia percezione.
Infatti le pupille dell' uomo che dorme
in un luogo oscuro sono dilatate, men tre quelle di chi si addormenta
alsole cogli occhi rivolti verso quest'
astro sono contratte, come si
contraggono SONNO E SOGNI eziandio
quelle di chi, senza svegliarsi, sia
fatto passare dall' oscurità alla luce.
Il Prof. Longet attribuisce quest' azione a un movimento riflesso dell' asse ce
187 Gli spiritualisti si sono proposti
il problema: Quale è lo stato delio
spirito rebro spinale. É certo però che
alcune volte l'impressione luminosa
giunge fino all' encefalo ed è da noi
percepita sebbene spesso non sia così
forte per svegliarci. L'udito è l'ultimo senso che si ad dormenta.
Già i muscoli sono nel riposo, e
l'occhio più non percepisce la luce,
quando encora persiste l' udito. La vi sta trova nelle palpebre un
riposo con tro le moleste impressioni esteriori, ma I'udito non ha mezzo alcuno per sot trarsi
naturalmente all' azione dei suoni,
Quest' organo, dice Longet, che è il più
ribelle alle influenze del suono, è ezian dio quello che più resiste
agli attacchi della morte: si ode ancora
dopo che tutti gli altri sensi hanno
cessato di vivere, nella stessa maniera
che si ode ancora quando tutti gli altri
sensi dor mono. É per l' organo dell' udito, con tinua Longet, che penetrano
sovente le influenze soporifere, ed è
per il suo in termediario che gli altri sensi dormono mentre esso veglia ancora. Però que sta
osservazione non mi pare esatta, giacchè
se è vero che certi rumori mo notoni sembrano conciliare il sonno, è pur vero che questo fatto non può at
tribuirsi ad altro che ad una nostra
illusione. Infatti, niuno può negare che
il silenzio sopratutto sia favorevole al
riposo, e che chi si addormenta nel si lenzio è senz' altro svegliato da
ogni piccolo rumore. Che se noi
riusciamo ad addormentarci nonostante
certi ru mori regolari e continuati, ciò si deve attribuire al fatto che tutte le impres sioni
eguali e continuate, divenendo, do po un certo tempo, abituali, l'organo finisce per adattarvisi e a restarvi pres
sochè indifferente. É in questa maniera
durante il sonno? E tutti si sono ac cordati nella sentenza, che durante
il sonno lo spirito non è come il
corpo in uno stato speciale, ma ch'esso
ve glia sempre. Essi erano condotti neces sariamente a questa affermazione,
dalle conseguenze imperiose del loro
sistema, imperocchè ammessa che sia una
so stanza semplice, indivisibile, immutabile
ed essenzialmente pensante, com'è lo
lo spirito, la cessazione del pensiero
non avrebbe potuto a meno di condurre
la cessazione o la modificazione della
sostanza. Ma nè lo spirito può cessare
di essere senza diventare mortale, nè
può trasformarsi, perchè essendo sem plice e indivisibile ogni
trasformazione cambierebbe
essenzialmente la sua na tura. Gli spiritualisti hanno perciò as serito che nel
sonno del corpo la vo lontà esiste pur sempre, tuttochè perda la sua influenza sui membri del corpo. «Io consento che il corpo del Si gnor
Voltaire sia trasportato senza ce rimonia, rinunziando a questo riguardo a tutti i diritti curiali che mi
competono». > «Attesto e dichiaro che io sono stato chiamato per confessare Voltaire, che ho trovato, permancanza di sentimenti, incapace di essere ascoltato in confes
sione Non tocca a noi parlare delle
opere semplicemente letterarie di
Voltaire ed esporne i pregi ed i
difetti. Non accen neremo quindi che i suoi lavori filosofici e quelli che hanno una qualche re lazione
colla filosofia. Presentasi prima il
saggio sui co stumi e lo spirito delle nazioni, che è forse l'opera più ragguardevole usci ta
dalla sua penna. Con tutt'altro scopo
continua il lavoro omonimo di Bossuet,
rire in pace! Il curato di S. Sulpicio | incominciando ove questi
fini,dalla fon ciò udendo, rivolto ai circostanti: voi dazione, cioè,
dell'Impero diCarlomagno. VOLTAIRE Ma
mentre Bossuet proponevasi di ser vire alla gloria ed al consolidamento della religione cattolica, Voltaire
invece combatte arditamente per
avvilirla, anzi per distruggerla.
Bossuet riferisce alla istituzione del
cristianesimo come al loro unico fine
tutti gli avvenimenti: Voltaire gli
attribuisce come a vera causa di quasi
tutti i delitti e dei mali che desolarono l'universo dalla fondazione dell'Impero d'occidente in avanti. Implacabile nella ricerca del vero, distrugge, nella sua rapida corsa attraverso i secoli, la fa
527 di Voltaire vogliono essere
menzionati le Questioni sull'enclopedia,
pubblicate in seguito col titolo, per
vero poco me ritato, di Dizionario filosofico; il Filo sofo ignorante; La
bibbia infine spie gata; Esame importante di milord Bo linbroke; Commentario su
Malebranche, Trattato della tolleranza;
Storia dello ma di civilizzatore
usurpata dal cristia nesimo, lacera il velo che copriva le infinite infamie commesse dal clero e dai suoi seguaci in nome della
religione, ne palesa le debolezze, i
vizi e i de litti, imprimendo al papismo ed ai suoi ministri un marchio disonorante che non potrà più venir cancellato. Così l'opera spetta meglio alla filosofia che allastoria, perché gli avvenimenti vi
sono riferiti non tanto per sè stessi,
quanto come argomento alle riflessioni
che vi fanno seguito. Fedele al
suotitolo attende principalmente a far
conoscere i costu mi e lo spirito delle nazioni, e nulla conveniva meglio al suo ingegno tanto abile nel cogliere i tratti
caratteristici dei costumi, degli usi,
delle opinioni e dei pregiudizi. Poche letture poi sono dilettevoli quanto i romanzi di Voltaire, e quasi tutti hanno uno scope filosofico. Cosi Candido, quadro giocoso delle miserie della vita umana è una confutazione del sistema ottimista, che già l'autore aveva combattuto in modo più serio manon più efficace nelpoema: il Disa stro di
Lisbona. Mennone tende a pro vare che il proporsi di essere perfetta mente
ragionevole è pretta pazzia, tanto gli
avvenimenti trascinano l'uomo con
maggior forza de' suoi propositi. I Viag gi di Scarmentado, la visione
di Babuc, Micromegas ecc; celano sotto
finzioni d'ordine naturale qualche
principio di filosofia speculativa o
qualche verità di morale pratica. Tra i
libri di filosofia stabilimento del
cristianesimo; e molti scritti minori.
La maggior parte di queste opere
comparve sotto una quantità di
pseudonimi, ch'egli per la necessità di
nascondersi, cambiava ad ogni tratto.
Senonchè quando alcune volesse de terminare in che precisamente
consista la filosofia di Voltaire,
arrischierebbe di trovarsi gravemente
imbarazzato. La sua, più che altro, è
una dottrina nega tiva: sottrarre l'umanità al predominio di quell'ammasso informe di assurdi e di pregiudizi che costituiscono le reli gioni
rivelate, ecco l'unico concetto che
predomina nelle numerosissime opere di
Voltaire. Le altre questioni filosofiche
lo preoccupano generalmente benpoco:
talora con quell'acutezza onde il suo
genio getta così spesso splendidi lampi,
d'una sola frase incisiva affronta e ri solve i problemi più difficili:
talora in vece si lascia trascinare daidee precon cette, cade in inesplicabili
contraddi zioni, e assale con indegni improperi i materialisti più illustri, tali che Hol bach
e La-Mettrie ch'egli combatte, non già
argomenti, ma col sarcasmo. Leggendo gli
scritti di Voltaire più volte accade di
trovarlo in contraddizione con sè
stesso, sì perchè sovente egli stesso si
compiaceva di occultare il suo pensiero,
sì perchè talora le sue idee stesse si
vennero modificando. Ad esem pio, mentre nel 1839 in una lettera ad Helvetius egli sostiene il libero
arbitrio, nel Filosofo ignorante,
partendo dal principio che nessun
effetto vi è senza causa, conclude che
se noi siamo liberi di seguire
gl'impulsi dellanostravolontà, questa
volontà è però necessariamente
determinata da cause. Voltaire
si dichiarò più volte puro sensista ; la
teoria delle idee innate sembrava a lui
come già a Locke il nec plus ultra
dell'assurdo. A convin cersene basta leggere in Micromega il brano in cui adopera la sua sottile ironia contro quel paradosso: » Il car
tesiano prese la parola e disse: l'anima
è uno spirito che nel ventre della ma dre ricevette tutte le idee
metafisiche, e che uscendone è obbligato
di andare alla scuola per imparare tutto
ciò che sapeva così bene e che non saprà
più. Non valeva adunque la pena,
rispose l'animale di otto leghe, che la
tua ani ma fosse così sapientenel ventre di tua
madre, perchè poi tu avessi a finire
cosl ignorante, quantunque abbi già il
barbuto mento. ..... Un piccolo
seguace di Lo cke. io non so, disse,come
penso; so che non ho pensato che
all'occasio ne de' miei sensi. La bestia
di Si rio sorrise, non trovando costui ilmeno
saggio, e l'avrebbe abbracciato senza
l'estrema sproporzione » (Micromega.
cap. VII) Eppure ad affermazioni così
recise, invano si ricercano conseguenze
egualmente risolute. Voltaire non sa
indursi a negare nè l'esistenza di una
legge morale, né Dio, nè la libertà e
nemmeno la vita futura. Dirò di
più: egli anzi, quanto al meno alla legge morale, a Dio, alla li bertà, le
ammette in guisa da escludere ogni
equivoco. Perlaprimaveggasi ad esempio
quan to esso scrive in Cu-Su et Kou: » Kου
La setta di Laokium dice che non vi
ènè giusto, nè ingiusto, nè vizio, nè
virtù. Cu-Su. La setta di Laokium
dice forse anche che non vi è nè salute
nè malattia ?» Enel filosofo ignorante: «Vi sono mille differenze, in mille circostanze, nella interpretazione della legge
morale: ma il fondo rimane sempre
eguale, ed è l'idea del giusto e
dell'ingiusto » . Voltaire era deista e
per sessan t'anni lotto in tutti i modi a difesa di questa idea: negò la generazione spon tanea
che era un argomento in favore
dell'ateismo, e fece ogni sforzo per com battere lecause finali,mentre
poi, senza pur avvedersene, deducela
maggior co pia delle sue prove dell'esistenza di Dio dalla perfezione del creato. Il pensiero di Voltaire non è così esplicito intorno alla natura dell'anima, ch'egli ammette possa anche essere ma
teriale. » Le voci materia e spirito,
scriveva nel Filosofo ignorante, non so no che parole; noi non abbiamo
alcuna nozione completa di queste due
cose. In sostanza, vi è tanta temerità a
dire che un corpo organizzato da Dio
stesso, non può ricevere il pensiero da
Dio me desimo, quanto sarebbe ridicolo di dire
che lo spirito non può pensare ».
Diffatti Voltaire non ammetteva che
la ragione fosse privilegio esclusivo del l'uomo, e su questo argomento
com battendo l' opinione contraria dei car tesiani, diceva: <<<Quelli che non ebbero il tempo
di osservare la condotta degli animali,
leg gano nell' Enciclopedia l'eccellente ar ticolo ISTINTO: saranno convinti
dell'e sistenza di questa facoltà, che è la ra gione delle bestie, ragione
tanto infe riore alla nostra quanto lo è uno spiedo all'orologio di Strasburgo: ragione limi tata
ma reale: intelligenza grossolana, ma
intelligenza dipendente dai sensi COME
LA NOSTRA ecc. » (Dialogo XXIX Gli
adoratori e le lodi di Dio). In
sostanza, giovaripeterlo, Voltaire nè
segui, nè creò alcun vero sistema
filosofico positivo: indipendente da tutti, bene spesso anche dasè medesimo, non esaminò con attenzione delle dottrine filosofiche che quelle le quali servivan gli
per il grande scopo della sua vita: la
lotta contro la superstizione; le altre
non approfondi, ma accetto o respinse, ZENONE meno per convinzione ragionata che per inclinazione. Cionondimeno egli resterà sempre uno delle più splendide figure del suo secolo, ed il suo nome sarà sempre onorato, perchè indissolu
bilmente congiunto alla storia della
529 lotta, iniziatasi prima di
lui ma da lui capitanata per tanto
tempo; lotta del buon senso contro
lasuperstizione, della tolleranza
religiosa e politica contro
l'assolutismo del progresso,contro l' im mobilità e l'oscurantismo. Z
Zenone. Nacquea Cizianell' isola
di Cipro verso l'anno 358 a. G., e morl
adAtene verso l'anno 260. Figlio di
un ricco mercante d' origine greca, si
esercitò per tempo nello studio della
filosofia coi libri che il padre gli por restano i titoli, tali che
quelli dei libri sull' Etica di Crate,
Sull' istinto, Sulle passioni, Sull'
Essere, Sui segni, e l'Arte dell' Amore.
Ciò che si sa della dottrina di Zenone,
grazie agli scritti dei filosofi e
deicommentatori antichi, è abbastanza
confuso; nè è facile a distinguersi cid
tava, ritornando dai suoi viaggi nella
Grecia. Venuto ad Atene si fece disce- | che gli appartiene in proprio
da quello polo di Crate il cinico e
dalui apprese a disprezzare i bisogni
del corpo e a dominare coll'impero della
volontà le che alle sue opinioni fu
aggiunto dai discepoli. Dicesi che fosse il primo ad intro durre il
dilemma nelle dispute filosofi che, e ch'egli usasse una dialettica ro busta e
incalzante che distruggeva le
argomentazioni piùsicure de' dommatici.
passioni, i desideri e il dolore. Ma se
adottò le massime della scuola cinica,
non così ne approvò le forme esterne,
e l'ostentazione che i cinici ponevano
nel mostrarsi in pubblico noncuranti nel | Par che ammettesse
un'unitàdetta Dio, vestire. Si aggregò
in seguito alla scuola e che questa
unità confondesse col mon megarica ed all' accademica, e, se cre diamo aDiogene
Laerzio, vent' anni più tardi, prese
egli medesimo ad insegnare filosofia in
Atene. Scelse a luogo dei suoi convegni
coi discepoli il portico (Stoa) dell'
Azora, d'onde derivò il no me alla scuola stoica da lui fondata. (V. STOICISMO). Presto egli salı in
tanta fama, che Antigone Gonata, re di
Ma cedonia, si ascrisse ad onore di mettersi
fra i suoi discepoli; Tolomeo Filadelfo
lo chiamò, sebbene invano, nell' Egitto,
e Atene gli conferì il diritto di citta dinanza. Resistendo alle splendide offerte che gli venivano fatte, Zenone preferì re stare
in Atene, ov' egli condusse vita
frugale, e mantenne ne' suoi costumi
una purità che nessuno gli contesta.
Gli scritti di Zenone andarono tutti
perduti, e d'alcuni di essi soltanto ci
do che diceva eterno. La creazione ne gava pel noto principio che dal
nulla si fa nulla, e che ciò cheesiste
da tutta l'eternità non può produrre
cosa di versa da se. Più unità, ossia più Dei
non poteva ammettere, conciossiachè se
essi anche avessero perfezioni eguali,
non potrebbero esser Dei, non essendo
ciascun di loro, preso isolatamente, nè
il più grande, ne il più potente, nè il
più perfetto. Zenone sosteneva con Se nofane, che se Dio è uno, deve
avere forma sferica, giacchè la Divinità
per essere perfetta deve essere in ogni
parte simile a se stessa; e la sfera non
può essere nè infinita nè circoscritta,
giac chè circoscritte sono le cose finite, e
infinito è il solo nulla, il quale nonha
principio, nè mezzo, nè fine. L'unità
non può essere neppuremutabile o im mutabile, non essendovi d'immutabile
530 ZUINGLIO che il solo nulla, il quale non può cam
biarsi nè unirsi con le cose esistenti;
nè pure potrebbe mutarsi, poichè ogni
cambiamento importa movimento, e per chè col cambiamento la sostanza
unica cesserebbe di esser tale. La
divinità di Zenone è dunque un essere
unico, sfe rico, sempre eguale a se stesso; nè fi nito, nè infinito; nè
mutabile, nè in mo vimento. Sulla
pluralità delle cose Zenone cadeva nello
scetticismo, giacchè egli si sforzava a
dimostrare che il ragio namento è impotente a provare che e sista qualche cosa
o che esista nulla. Essere o non essere
eran per lui forme di dire, e il nulla a
suo credere esisteva tanto bene quanto
l'esisteate. Le prove empiriche
respingeva siccome inefficaci acondurci
alla ricerca dellaverità; per chè secondo lui contro il ragionamento che dimostra non potere esistere che un essere unico, l'esperienza a nulla giova. Quanto all'essere unico, egli argomentava che fosse prova, non ne gazione
del nulla, poichè, diceva, se e siste un essere unico, quest'uno è in
divisibile; ma ciò che non è divisibile
non è qualche cosa, perchè non si può
porre nel numero degli esseri ciò che
per sua natura, se è aggiunto ad un
altro, non arreca aumento, distaccato
non vi produce diminuzione: dunque
I'essere unico è nulla, e non esiste pro priamente un essere. Le sottigliezze di Zenone per negare il movimento e l'empirismo l'hanno fatto considerare da alcuni come un sofista. Certo è che l'unitá del suo es sere
sferico lo dimostra fedele alle ten denze panteistiche degli eleatici e
che i cavilli da lui adoperati per
negare la realtà obbiettiva delle cose,
ci ri cordano le vane disquisizioni degli i dealisti. Aveva molti discepoli,
che al cuni sommano fino a ottantamila, nu mero per certo esagerato, ma che
ad ogni modo prova sempre il facile di
vulgarsi della sua dottrina. Questo fi losofo, che fu riguardato siccome un
Dio, presso amorire confessò ai suoi
seguaci che aveva loro sempre taciuta la
verità, e che essendo venuto il momento
di togliere le metafore ond' egli usava,
li ammoniva che nessuna ricercapuò
farsi con speranza di conseguire la cono
scenza delle essenze, giacchè il nulla
ed il vuoto sono il principio di tutte
cose. Zuinglio (Ulrico). Capo
della setta protestante che da lui s'
intitola. Nacque nella Svizzera e fu
curato della primaria parocchia nella città
di Zu rigo. Disputano iprotestanti per sapere
se prima o contemporaneamente a Lu tero predicasse la riforma. Certo è
che, o prima o poi, questi due
riformatori, senza nemmeno affiatarsi
nèconoscersi, predicarono quasi insieme
li stessi prin cipii. Per altro, Zuinglio dissentiva dal la riforma luterana
intorno a due punti, il primo dei quali
è la rigida prede stinazione predicata da Lutero, in forza della quale niuno può salvarsi se non è daDio predestinato. Zuinglio sperava di addolcire quest' empio domma sup ponendo
che eziandio i pagani potes sero salvarsi colle loro virtù e per una certa qual grazia giustificante che, al postutto, diventava ancora predestinante, poichè proveniva dall' alto e non dal l'uomo.
Il secondo punto dottrinale sul quale
Zuinglio differiva da Lutero, era la
cena, od eucaristia intorno allaquale,
mentre Lutero sosteneva il domma della
presenza reale di Gesù Cristo, quan tunque negasse la
transubstanziazione , Zuinglio invece
non voleva riconoscere che una semplice
commemorazione. On de diceva che nelle parole di Gesù: questo è il mio corpo ecc. il verbo è e
quivale a significa, nello stesso modo
che nella Bibbia è detto: L'agnello è
la Pasqua, per indicare che è il segno
0 la rappresentazione della
Pasqua (Esodo XII. 27). WICLEFF W
Wicleff. Nacque a Wicleff nella
provincia di Yorck nell' anno 1329; fu
professore di teologia e capo della setta dei Wicleffisti. Egli accusò il papad'es sere
simoniaco ed eretico; il potere dei
vescovi negò, gli ordini monastici chia md sette, l'eucaristia una
falsità, le preghiere per i morti
inutili pratiche. D'onde si vede che
Wicleff fu uno dei più arditi precursori
della riforma inglese. Molti seguaci
egli ebbe, e come lui arditi, ma il papa
ancor troppo do minava nella Chiesa inglese perchè po 531 tessero i loro sforzi sortire allora
piena efficacia. Wicleff mori paralitico
il 28 Dicembre del 1384, non prima di
aver sentita l' Università di Oxford
condan nare 278 proposizioni estratte dai suoi
libri. Il clero scomunicò poi i suoi pro seliti e ottenne dal re vari
editti, in grazia dei quali alcuni
eretici furono mandati al rogo. I libri
di Wicleff por tati nella Germania furono stimolo e fondamento alla nuova eresia di Gio vanni
Huss. FINE DEL SECONDO ED ULTIMO VOLUME.The
fabric of philosophical Latin has undergone a series of crucial transformations
induced by historical events as well as intellectual reasons. To begin
with, the translation activity from Greek into Latin carried out by several
humanists in Italy and their own reflection on that activity has a profound
impact on the practice of philosophical writing, on both the stylistic and the
conceptual level. In this context, BRUNI, VALLA, and PICO, to
mention only a few, are perfect cases in point. But the debate about the
style of philosophical Latin involves quite a number of humanists and
schoolmen, continuing long after. By injecting the germs of historicity,
cultural relativism, and social constructivism into the body of metaphysical
knowledge —a kind of knowledge viewed as stable and self-sufficient —,
humanistic reflection helps accelerate the crisis of philosophical Latin in the
early modern period. Closely connected to characteristically humanist
discontents about the status of scholastic jargon is the renewed eagerness to
provide Latin translations from Greek, Arabic, and Hebrew sources.
While some of these works were in fact re-translations of previously
translated texts, others were original versions of treatises that had never
been translated before. The recovery of Platonic and Hermetic sources and
Ficino’s influential translations represent some of the most significant
instances in this field. One should also add, however, the various
editions of Aristotle’s collected works supplied with Averroes's commentaries,
which, as was the case with the celebrated editions of the Venetian Giuntine
press, come out with new translations and editorial contributions (Schmitt
1984b; Burnett 2013). Among the new translations of Averroes's works, his
Destructio destructionum refuting an earlier Destruction of Philosophers by
Al-Ghazali) becomes certainly the most significant addition, first commented
upon by NIFO in a slightly revised version of the translation by one Calonymos
ben Calonymos of Arles, and later published in a new translation by a
Neapolitan physician who also called himself Calonymos, entitled Subtilissimus
liber Averois qui dicitur Destructio. Another factor in the
transformation of philosophical Latin is the increasingly more frequent
appearance of cases of philosophical bilingualism, evident among authors who
began to write in both Latin and the vernacular, such as Ficino, Patrizi,
Bruno, Bacon, Campanella, Descartes, Hobbes and Spinoza.
Such a close proximity of Latin and the vernacular, besides signaling a growing
tension between traditional institutional sites of Latin knowledge such
as the university and milieus that were becoming more and more receptive to
philosophical discussions in the vernacular (courts in the first place, but
also academies, convents, chanceries, and salons), result in particularly
creative phenomena of hybridization and cross-pollination between different
linguistic currencies. An important medium that more than any
other reflects the early modern evolution of philosophical Latin is the genre
of the Latin dictionary of philosophy, which became extremely popular between
the sixteenth and the eighteenth century, as a by-product of a diffuse interest
in lexica, glossaries, and other linguistic tools. Dictionaries
are meant to handle and organize an increasingly unmanageable load of
information that pours out throughout Europe, as a result of the combined action
of the printing press, geographical discoveries, technological progress, and a
singularly vibrant culture of intellectual confrontation and debate.
Among the various attempts to harvest and index philosophi-cal
information, the most significant case was Goclenius's Lexicon
philosophicum and Lexicon philosophicum Graecum. But but we
should add Micraelius's Lexicon terminorum philosophis usitatorum and Chauvin's
Lexicon rationale, sive thesaurus philosophicus. Bruno compiles
his own dictionary of philosophical concepts, Summa terminorum metaphysicorum,
probably devised as a teaching tool while he was lecturing in some German
universities (Canone 1988; Bruno 1989). This tradition
culminates with Bayles vernacular Dictionnaire historique et cri-tique and had
its witty coda with Voltaires Dictionnaire philosophique. Major
linguistic turns periodically affect the course of philosophical inquiries in
Europe. In ancient Greece, the fifth-century sophists
are able to question the idea of an original correspondence between
reason and reality by emphasizing the inherently conventional and contractual
nature of language. While doing so, they act as powerful
catalysts for both Plato's and Aristotle’s responses in the domain of
metaphysics. Likewise, the effort to test the boundaries
that separate reality from its linguistic descriptions became a recurrent
leitmotif in philosophy, in both the Continental (Heidegger) and the analytical
traditions (Wittgenstein). The Renaissance represents
another of these decisive linguistic turns. The debate
concerning the relationship between reason and language takes place on two
different levels: one of a technical character (the nature of scholastic
Latin), the other of a broader cultural significance (the issue of
multilingualism). With respect to the first level, it should be
pointed out that a large part of the philosophical output is written in
Latin. Starting with BOEZIO, a momentous effort in
translation and exegesis, marked by a sophisticated level of analytical
precision and linguistic creativity, results in a formidable corpus of
knowledge. Its Latin is one of the principal reasons for its long-lasting
success (Gregory 2006, 3; Dionisotti 1997). Precisely because of
its aspects of raw artificiality, free from the strictures of idiomatic
decorum, Latins turns out to be a most flexible tool for the exercise of
thinking, open to all sorts of experiments with respect to both language and
logic. Here I am deliberately using the oxymoronic label
"raw artificiality." Latin is largely an artificial
creation produced in the great translation laboratories of medieval Europe
(Sicily) and remains characterized by a distinctive quality of unpolished
immediacy that suits very well the task of thinking, and thinking outside the
historical box. Due to particular circumstances, this
encounter of Latin and philosophy is quite a unique episode in the history of
Western culture, more so than in the fields of law and medicine, where the
question of the relationship between verbal and nonverbal knowledge never
manages to rise to the status of foundational issue, as happens in
metaphysics. A number of philosophical innovators charge Latin
with being a parasitical construction in relation to the free exercise of
thought. In fact, that kind of Latin has long been an
uncanny symbiosis of mind and word. As far as the second
level is concerned —that is to say, the emergence of national vernaculars as
legitimate media for literary pursuits of all kinds and orders—a generalized
state of multilingualism creates the ideal conditions for the rise of original
considerations on the nature of language. The humanist revolt
against the use of Latin is fueled by discussions about the nature of
translation. In De interpretatione recta, designed as a
manifesto stating the requisites for a good translation, Bruni prefers to dwell
on the technical aspects of the question rather than explore the speculative
implications underlying the activity of thinking.
Criticizing the medieval translator of Aristotle's Nicomachean Ethics,
whom we know to be Grosseteste, Bruni points out the "(imperitia
litterarum) of the latter-that is, both the naiveté with which he had
undertaken a task well beyond his capabilities, and his obvious lack of
literary taste, which had prevented him from reproducing the original flair of
Aristotle'stext (Bruni). In Bruni's opinion, the
"efficacy" and "rationale" (vis and ratio) of a good
translation lie in transferring the written form of a particular language into
the form of another language. In order to do so, a
translator needs to have a vast and confident knowledge of both languages,
acquired through long and careful readings of different kinds of writing
(multiplex et varia ac accurata lectio omnis generis scriptorum; Bruni
1996, 158). Being a transfer of forms more than an exercise
in thinking, translation was first and foremost a reenactment of the original
experience of literary enchantment and largely an aesthetic experience.
This also applied to the field of philosophy, for, Bruni pointed
out, Plato's and Aristotle's essays were "replete with
(exornationes) and venustates)" (Bruni). The best translator
was therefore that artisan of the written word who was capable of transforming
himself entirely-with both his mind and will-into the author he was translating
(sese in primum scribendi auctorem tota mente et animo et voluntate
convertet). Bruni argued that if a translator is not capable
of recovering the spirit of the original, he cannot aspire to preserve its
meaning (sensus). The skill lies in keeping the stylistic
template of the original (figura primae orationis) and the verbal coloring
(verborum colores). The model is therefore painting, not philosophy.
More specifically, with respect to philosophical translation, the
translator is supposed to combine knowledge of reality (doctrina rerum) with
style (scribendi ornatus), for the ultimate aim behind all his efforts is to
recover the life of the author's thoughts, their vividness (splendor
sententiarum) and the naturally harmonic flow of the original (tota ad numerum
facta oratio; Bruni). A militant anti-philosophical attitude
lingers in Valla's Dialecticae disputationes composed in three different redactions).
As in Bruni's De interpretatione recta, Vallas arguments were
grammatical and aesthetic rather than philosophical (Valla; Dionisotti).
In focusing on the aspects of aesthetic and grammatical
awkwardness among scholastic philosophers, Lorenzo Valla was close to Bruni's
position. Like Bruni, he dismissed the scholastic tendency to reify
adjectives and pronouns (sometimes even adverbs) into philosophical objects as
an illegitimate and pointless practice, for they were abusing, as it were, the
natural-grammatically correct-process of deriving abstract nouns from
adjectives, such as sanitas ("health") from sanus
("healthy"). Contrary to the logic of historical
lan-guages, philosophers made instead quiditas ("whatness") out of
quid ("what"), perseitas ("per se-ness") out of per se and
haecceitas ("thisness") out of haecce ("this"), and this
was all the more irritating because creations of this kind could not even be
found in Aristotle's own works (haec ab Aristotele non traduntur)
. Most of all, Valla condemned the artificial decision of giving a name to the
very essence of being, entitas (literally "being-ness," later
entering standard English usage as "entity"), out of ens, which was a
fictional present participle of the verb esse ("to be"), never used
by Latin writers. Pico tackles the question of Latinate forms of
philosophical expression by appealing to the ancient trope of contrasting
nature with convention. In Pico's opinion, the effort to
understand reality was always more pressing than finding the correct linguistic
expression. Reworking in an original way the classical
argument used to defend the power of language over freedom of thinking, Pico
assigns a priority to philosophy over Latinity based on both nature and
conventions. Addressing the Venetian scholar Barbaro
(Garin), Pico claims that he was even ready to embrace the argument based on
convention, which is the traditional prerogative of rhetoricians and
sophists. If the foundations of any language are deemed to
be conventional, Pico goes on, every linguistic community on earth is entitled
to have its “normae dicendi” and to philosophize in accordance with those
“normae.” Indeed, it is precisely the thesis of the conventional,
historical, and social origins of language, so often championed by the
humanists, which, in Pico's opinion, make their charges against Latin
irrelevant. However, Pico believes that anxieties against
Latin are even more out of place if the discussion pertains to the natural
origin of meanings and words. If “rectitudo nominum” depends
on nature, Pico goes on, why should one turn to the rhetoricians to know more
about the nature of this “rectitudo,” and not to those philosophers “who alone
examine and clarify the nature of all things?"
Formulated with a precise anti-rhetorical aim in mind, the tone of Picos
question is clearly rhetorical. We know where Pico's allegiances
lies — namely, for the philosophers and against the rhetoricians.
“That which the ears reject as being too harsh, reason accepts as more in tune
with reality (utpote rebus cognatiora)" (Garin). Pico
is convinced that by revealing the unsettling domain of things that is not
verbally articulated, the limits of language expose reality in its more
perplexing aspects. The need for the philosopher to stretch the boundaries
of the common use of words comes, therefore, directly from a perceived rift
between what may and what may not be said. “Why does a
philosopher need to introduce innovations into the language?” Pico asks, “if
they were born among Latins?" This time, the question
is not rhetorical. Indeed, it is the most crucial question of
all. Pico, like Plato, is convinced that, ontologically speaking,
there is an original surplus of meaning that no historic language ever
encompasses (Garin), and even a language as nuanced as Latin is not equal to
putting into words the full range of human ideas and experience.
Not only is reality ontologically richer than any description language provides;
it also evolves faster than a historic language like Italian.
At a time when the overflow of information demands new words and new
linguistic solutions, philosophers, whether metaphysicians, logicians, or
natural and moral thinkers do not have time to check their Latin grammar
or dictionary and repertoires of verbal elegantiae. In his
Dialogo delle lingue, Speroni — one of the most illustrious members of the
Paduan Infiammati, represents the contrast of “arbitrio” and “natura” by
imagining a duel between Lascaris and Pomponazzi. In this
case, a curious reversal of roles occurs between nature and convention.
Lascaris, who in the dialogue defends the need to be proficient in Latin
in order to be able to practice philosophy, appeals to nature as a norm that is
not changed by a social or a cultural intervention. Pomponazzi, by
contrast, resumes the well-rehearsed humanist argument about the conventional
origin of languages in order to vindicate the right a nation like Italy to
philosophize in the vernacular (Speroni). Stimulated by the broad
linguistic turn that took place during the Renaissance and by individual
contributions of humanist scholars (Schmitt), a good number of philosophers,
including the most stylistically and linguistically alert, reach the conclusion
that thinking requires a deeper investment than simply relying on grammatical
and rhetorical proficiency. The reason is that reality
itself is richer, and evolving more quickly than words. Thinking
is also a more integral and wholesome experience than the one provided by a
correct description of the thing, both grammatically and stylistically.
Any verbal account of reality is inherently partial and effete
compared to the freedom and poignancy of inner meditation.
As Pico points out to Barbaro, philosophers are always in search of a
language is close to reality as a whole, including the reality of the
soul. In this way, reasons of intellectual honesty make inward
experience more valuable than linguistic proficiency: “Those
who create a disagreement between the heart and the *tongue* are
mistaken.” “However, isn’t he who “totus est lingua” precisely
because he is “excordes” simply a dead dictionary, as Cato says?" (Garin,
Kraye). Starting with Dante's ITALIAN Convivio in Italy,
GALLIC translations of Aristotle's Nicomachean Ethics and Politics
and a teeming output of mystical treatises in TEDESCO (Eckhart being the most
representative case), the use of the vernacular to compose a philosophical
essay is prompted by rhetorical, political, and religious motives, such as the
need to extend the range of the author's readership, the will to reach a social
class not directly involved in courtly or intellectual life, the urge to give
immediate expression to some lofty theological speculation, and a pathetic
dearth of administrative and diplomatic personnel trained in the fine art of
‘classical’ argument. And yet, in all these cases, there is still
a link that connects a neo-Latin vernacular such as Italian to the template of
‘palaeo’-Latin. Even the rising of a philosophical discourse in TEDESCO
with strong mystical overtones emerges out of Latin (De Libera).
When Segni, to give another example, translates and comments the
Nicomachean Ethics into Tuscan Italian (Segni 1550), the technical language
remains appropriately highly Latinate when a vernacular couplet is even
available (implicatura, empiegatura). Bruno, to mention someone who is as
linguistically creative in his vernacular Italian as he loathes both scholastic
obscurity and grammatical pedantry, fully recognises the speculative value of
the scholastic tradition Averroes, Bruno famously retorts,
knows his Aristotle better than any of his Greek readers (Bruno). The
relationship between Latin and the vernacular in the domain of the
philosophical essay becomes increasingly more sophisticated.
The practice of translating from palaeo-Latin into the neo-Latin
Italian vernacular and the complementary trend to turn a vernacular
philosophical essay into Latin respond to different but parallel communicative
strategies. While the move from palaeo-Latin into the
vernacular like Neo-Latin Italian is largely aimed at expanding the social
spectrum of the philosophical audience, the tendency to transpose vernacular
essay into Latin makes the most recent and innovative results in the field
accessible to a readership beyond the vernacular-only one. To
these general lines of exchange one should add individual cases of
self-translation, in which the philosopher, depending on his specific
needs and rhetorical preference, switches from one medium to another and
experiment with different linguistic resources. To mention a few examples
of self-translation, Ficino turns his “De amore and De Christiana religione”
into Tuscan; Campanella translated his Città del sole, II senso delle cose, and
Ateismo trionfato from Italian neo-Latin into palaeo-Latin. Hobbes
provides a palaeo-Latin version of his Leviathan with significant changes and
additions to the original in his vernacular — Anglice — Malcolm in
Hobbes. A translation into vernacular and Latin as well as
self-translations are all ways of testing (sometimes breaking) the limits of
linguistic rectitudo and of demonstrating that the boundaries of reason in
different contexts (between different languages, nations, and classes) is in
fact porous. Leibniz advocates the need to start
(Germanice philosophari) and rejects a distorted use of palaeo-Latin (cfr.
Peano, Latino) as a way of narrowing the social compass of philosophy by
excluding the plebs) and (feminae) from its exercise (Leibniz
The use of a vernacular like neo-Latin Italian often ensures
greater freedom of expression and a certain level of stylistic playfulness,
which may turn out to be refreshing and inspiring (Dionisotti.
Significantly, by the time Montaigne had written his Essais in Gallica
"a type of philosophy had been created which was both colloquial and
militant" (Zambelli Within the general debate about the
philosophical potential of palaeo-Latin in its relationship to both its
contemporary neo-Latin vernacular like Itala or Gallica and other languages
(first and foremost Greek, but also Hebrew and Arabic), some technical points
betray specific assumptions of a more theoretical order.
Bruni believes that all languages may be translated into each other
without losing any of the original meaning and style. Bruno is not
however interested in defending the special status of any particular
*historical* language as better suited to the exercise of philosophical
inquiry. Bruni’s position differs from the one championed by
such philhellenes as those depicted by Speroni in his dialogue Lascaris and
Buonamici), who show no qualms about advocating the philosophical primacy of
Greek, claiming that it had been no accident that philosophy had originally
been written in Greek and that Greek should continue to be the model —
(philhellenism by the way, is a recurrent vogue in the history of philosophy,
from to Heidegger! By contrast, even an admirer like VALLA of the
expressive potential of Latin and a firm believer in the superiority of both
history and poetry over philosophy remains convinced that a philosophical
concept — or twist of idiom: think the optative — that was originally elaborated
in Greek may not find adequate expression in Latin and should be left
UNtranslated. (V) multa belle dicuntur Graece quae non belle dicuntur
Latine — (V) inclusa — Valla pomponazzi, a philosopher
trained in the subtleties of scholasticism considers the question about what
language — Palaeo-Latin, neo-Latin — is most suitable for composing a
philosophical essay as irrelevant and looks at the philosophical discussion
about the veridical import of a historical language as a waste of time (Paccagnella.
The thesis that one is allowed to philosophize in one of the
available idioms represents a further argument against the dogmatic belief that
there is only *one* true description of the world.
Speroni's recommendations to (filoso-far volgarmente), without knowing
palaeo-Latin" (Speroni is a sign that the time has come when a
philosopher could compose an essay not only in Italian, or French — but
Dutch, German, and beyond. The philosophical potential of the
vernacular neo-Latin Italian, being a question that is closely intertwined with
issues of readership and communication, also bear on the problem of
distinguishing between what is safe to say! Resuming a
characteristically Academic posture, Pico does not miss the opportunity
to describe the relationship between language and philosophy in terms of
esoteric and exoteric communica-tion. Philosophers, Pico
argues in De ente et uno, should sentire quidem ut pauci, loqui autem ut
plures), for (loquimur ut intelligamur; Pico. This was another
situation that requires the philosopher to strike a balance between
intellectual novelty and linguistic tradition. Since language
represents the vehicle of conventional wisdom (Grice on Austin), a philosopher
was supposed to accept the rules of the linguistic game (with its attached
social conventions) while skillfully circumventing the traps of linguistic
pressure. The NEO-Latin lexicon gets enriched with new terms as a
result of discovery, invention, insight, and the successive waves of Latin
translations from Greek, Arabic, and Hebrew, from Boezio to Wolff's
Latinization of Leibniz's metaphysics, and it is worth recording the most
significant changes that affect the Latin philosophical vocabulary. Some Latin
keywords mark the evolution of the philosophical lexicon:
res subiectum obiectum conceptus
intentio intentionalitas Transliterations
and calques from other languages, such as entelechia — or from a
non-Aryan source colchodea (the intellect as "giver of forms"),
enjoy a remarkable fate in Latin and continue to be the subject of heated
debate among humanist philosophers. Poliziano devotes one
of his essays in Miscellaneorum centuria prima to clarify the many
pphilosophical issues involved in a discussion of the difference between
entelechia, an activity as the fulfillment of apotentiality, and
endelechia, the (activity as a perpetual movement; Poliziano — whereas Pico saw
it as a vulgar typo! If it is true that not as many
transliterations from the nonAryan Arabic became part of the technical lexicon
of philosophical Latin as for mathematics, astrology, and alchemy (Burnett the
impact of the translations from Arabic result in significant additions to the
specific vocabulary of the internal senses ([virtus) aestimativa, i.e., animal
instinct, and cogitativa, e. G. human rea-son. Some illustrious Greek
transliterations also enjoyed a new life such as of energeia and energeticus
which, begin to be used with increasing frequency to denote the life and energy
of matter and a material being. Glisson is probably the most
interesting case, with his De natura substantiae energetica , a foundational
work of physiology. New words — such as Sidonius implicatura — are created
by the philosopher who feels the need to hone his expressive tools and expand
the range of the available vocabulary. Other examples are
Campanellas primalitas, essentiatio specificatio ),
corporatio and toticipatio — Giglioni In philosophy,
where (verba) find themselves in a relationship of uneasiness with res)
from the very beginning, it is precisely the use of the neologism -in the
technical sense of linguistic expressions contravening the standard of good use
and purity-that often facilitate the task of finding words for a particularly
vexing notion. Bruni recommends that translators avoid neologisms
and new ways of expressing old things (et verborum et orationis novitas).
Above all, a translator is supposed to shun (inepta et
barbara). Bruni's main contribution is his idea that any language
could be turned into any other: nihil Graece dictum est quod
Latine dici non possit; Bruni While concerned with the use
of the neologism in philosophy, others like Gockel, displays a more
tolerant attitude. For instance, Gockel describes the use of
“vigorari in Zabarella's commentary on Aristotle's De anima as an innovation,
which is necessary to explain the heightened condition undergone by the
intellect when invigorated by the power of a forceful intelligible (i.e.,
object of understanding; vehemens ac excellens intelligibile;
Goclenius. It is significant to note that, a scholastic philosopher by
training and profession, Govkrl allows for certain latitude in
philosophese. Among the innovators" Duns Scotus is
probably the most creative, and Gockrl carefully surveys his influence
over philosophical Latin tlexicon. Gockel notes that even
Scaliger's (lautissima lingua) entertains a conceptual closeness with
Scotist ideas (Goclenius Glocker is so concerned with the influence that
Latin innovations exercise on the philosophical tradition that he adds to his
*Greek* dictionary a little APPENDIX to his earlier *Latin* dictionary,
entirely devoted to a meticulous analysis of all sorts of inappropriate ways of
expressing philosophical notions: a Sylloge vocum et
phrasium quarumdam obsoletarum, minus usu receptarum, nuper natarum, ineptarum,
lutulentarum, subrusticarum, barmi-barbararum, soloecismorum et
hyposoloikön Of the specific technical terms in philosophy, res may be
considered one of the most important ones. In his Lexicon philosophicum,
Goclenius defines res as (quodlibet conceptibile)non includens
contradic-tionem), in the domain of both (ens rationis) and (ens reale)
.Glocker explains that in philosophy res may be taken com-munissime),
communiter), or i (strictissime seu appropriate). Combining
Aristotle with Quintilian, and perhaps aware of Vallas sophisticated treatment
of the matter in his Dialecticae disputationes, Goclenius identifies res in the
strictest sense with (substantia; Goclenius. Here it is crucial to point out
that, while Goclenius reconfirms the primacy of substance as the ontological
marker of reality (and in this sense, res were substantiae), Valla follows the
opposite route and brings substantia back to res, understood, in line with the
rhetorical tradition, as that which can be said of a particular reality.
By thus resolving "substance" into
"thing," Valla, like other humanists in fact deflates the ontological
content of res by transforming it into any subject that could be
conceptual-ized through words. Among the most illustrious Latin
words that enter a phase of remarkable decline, actualitas can be taken as a
vivid example of a term with a glorious past in the sphere of philosophical
learning, which, finds itself heading towards extinction.
Any professional philosopher trained in a university would have called
reality actualitas. As recorded by Goclenius in his
diction-ary, actualitas prima, is conceived as the principal ontological
requirement behind the existence of anything. This alleged
process of reifi-cation or actualitas through which the notion of being as
activity (energeia in Aristotle) mutates into that of being as static presence
(be that presence subiectum or res) is interpreted as the dominant event in the
history of metaphysics. In an attempt to come to terms with
the powerful consequences of Descartes's philosophy and the way he polarizes
reality between the extremes of the res cogitans) and the res extensa) Gilson
dissects with painstaking precision the many layers accrued by the principal
categories of Latin ontology (esse, ens, entitas, and essentia), making a
powerful case for the vitality and creativity of scholastic
philosophy. After all, Descartes's great accomplishment, in Gilson's
opinion, lies in the way in which the Gallic-speaking philosopher takes
advantage- both speculatively and linguistically - of scholastic lore, fertile
and productive as it is (Gilson Latin is also a source of speculative
inspiration for Heidegger, who secures his philosophical
credentials by detecting in the process through which energeia becomes
actualitas the symptom of a lingering metaphysical malaise; that is, the
gradual obfuscation or oblivion of the true meaning of being
(Seinsvergessenheit. Here it may be useful to point out that
behind Heidegger's effort to reawaken our awareness of the energeia of being,
there is no humanistic intent, as he clearly intimates in his Brief über den
Humanismus, . Indeed, the opposite is true for
Heidegger. The legacy of scholastic philosophical Latin (and
significantly Heidegger's first foray into the domains of philosophy had been a
dissertation ion Duns Scotus's ontology) is clear and strong in his mind.
Or perhaps, we might say that a peculiarly humanist urge underlies
Heidegger's warnings about the "presentification" oGegenwärtigung),
of being in that, like Lascaris and Buonamici, he thinks that Greek is
more suitable than Latin to metaphysical inquiries for the ominous
Seinsvergessenheit had already happened with the Italic pre-Socratics in
Crotone, Girgenti and Velia, and therefore the truth had begun to hide itself
(Verborgenheit) quite early on. In the specific domain of
thinking, unlike Latin, Greek is inherently philosophical, for Latin helps
disseminate the Gegenwärtigung of being. It is by referring
to Heidegger that Libera asks the crucial question: Is Latin
a language suitable for philosophy? Libera’s answer to this
question is unambiguously positive. Libera characterises the
"multilingual translatio ["transfer"] of philosophy" (in
particular its Latin transfer) as a "linguistic event" that affected
the development of modern thinking in a significant way (De Libera
Libera draws our attention to a moment in history when Latin stops being
a language of philosophy to become the language of philosophical taxonomy (not
to say, taxidermy). In other words, the moment in which Latin
moves from the status of a language that is philosophically alive to that of a
language that is *philosophically* dead" (Libera That
is not the case the transfer of learning prompted by t(translatio
studiorum), when Latin plays a fundamental role in the "philosophi-cal acculturation
of Europe" (Libera And yet, from its very beginnings
at Rome — Appio — philosophy has always had an extremely uncomfortable
relationship with the Latin language. The act of thinking
cannot help stumbling over words. According to Libera, the most
fascinating aspect of Latin is the far-reaching linguistic
experiment—an extremely successful one, it must be said, through which, in the
translation and exegetical laboratories of European studia and universities,
masters of arts and theologians forge a language suitable for philosophy, a
privileged medium that allowed a trans-national, trans-linguistic, and
trans-cultural discussion for the transmission of ideas. So
it happens that precisely the artificiality condemned by the humanists may be
seen as the major innovation and resource introduced by the philosophical Latin
of the schools, for that raw neo- Latin expands the scope of the thinking
exercise. Petrarca and Bruni fail to understand this
Addressing Grosseteste, Bruni, who asserts himself as part of the
neo-Latin community, proudly declared his inability to make sense of
Grosseteste's Latin. ego Latinus, istam barbariem tuam non
intelligo ; Bruni From a genuinely
philosophical point of view, what Bruni fails to understand is that not
mastering a language, with all its idioms and elegancies (which, in the final
analysis, we should admit is rather harmless, betrays the philosopher's effort
to come to terms with a much deeper issue that is, the remorselessly foreign and
alienating experience of thinking of the other qua other.
Bruno opposes the obsession with linguistic decorum (an obsession that is
for him the defining feature of "grammarians" and "pedants"
to the philosophical disorientation that derives from delving into the depths
of the thinking process (profondano ne' sentimenti, Bruno Bruno
Ciliberto Perhaps, the most significant point we can make
out of this whole discussion is that, more than in any other discipline,
novitas, the perplexing nature of what is unfamiliar) is the very hallmark of philosophy.
Reality is inherently challenging" because it is every time
foreign and new to the human mind, and it challenges the mind's attempts to
represent it. This sense of ontological "novelty"
was clear to Giovanni Pico, who as a philosopher was equally open to reasons of
linguistic perspicuity and philosophical inquiry. His was a subtle mediation
between language (tradition) and thought (novelty). In De
ente et uno, Pico praises Poliziano, "vindicator of a more elegant
lan-guage," for allowing the use of "a few terms that are not
entirely Latin, but necessary in any case because of the (ipsa rerum
novitas]" (Pico The fact is that reality is for the
most part brutally opaque, while language is often employed to confirm and
reassert its opacity (through the use of rhetorical and literary devices, for
instance), more than to shed light on it. The exercise of
thinking, as an attempt to dissolve this resistance to interpretation, finds
itself uneasily squeezed between a reality that is perceived as already given
and the expressive resources made available by a particular linguistic
communities. The Latin of scholastic philosophy, precisely
because of its artificiality is more than well equipped to cope with bouts of
reality, and it continued to do so. To Libera we should therefore
add here Schmitt: scholastic Latin was in good health
— Schmitt. Indeed, the taxonomical and taxidermic use of
Latin, so much feared by de Libera, if we bear in mind thatthe imposing system
of Leibnizian scholasticism Latinized by Wolff became the breeding ground
for Kant's pre-critical production. On the development
of philosophical ideas in Latinate contexts f see "Latin and
philosophy" in ENLW Garrod, Rees, Kraye, De Bom, and van
Bunge). The close link between philology and philosophy is
examined by Kraye The research institute Lessico
Intellettuale Europe has been publishing regular contributions to the study of
philosophical Latin keywords in their developments from antiquity to the
eighteenth century. (Florence: Olschki): Ordo
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Idea Ratio Sensus/Sensatio Signum
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"Phantasia/Imaginatio come problema terminologico nella lessico-grafia
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Roma: Ateneo. Ciliberto, Lessico di Bruno. Roma:
Ateneo & Bizzarri. Libera, . "Sermo
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filosofica moderna: Linee di ricerca. Firenze, Olschki. Hamesse,
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"Miscellaneorum centuria prima." In Opera omnia, Basel: Nicholas
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Studied through the Venetian Editions Aristotle-Averroes (with Particular
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Zambelli, From the Questiones to the Essais: On the Autonomy and Methods
of the History of Philosophy, In Astrology and Magic from the Medieval Latin
and Islamic World to Renaissance Europe: Theories and Approches, Farnham:
Ashgate. Stefanoni.
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