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Friday, December 20, 2024

GRICE ITALO A/Z S SCE

 

Grice e Scevola: la ragione conversazionale del pontefice – divisione – dal portico? -- la nascita della giurisprudenza come rama della filosofia politca -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Questore, tribuno della plebe, pretore, console, proconsole d’Asia e si attira, per la sua giustizia e il suo disinteresse, l'affetto dei provinciali e l’odio dei cavalieri romani, che accusarono il suo legato Rutilio Rufo, che egli difese. Pontefice massimo. Cadde vittima delle lotte civili. Giurista insigne. Compose libri XVIII juris civilis, in cui per la prima volta tenta una trattazione sistematica dell’argomento, e un’opera intitolata "Horoi," che contiene definizioni di concetti e di rapporti giuridici. E molto ricercato il suo insegnamento di diritto. Insegna, derivandola, pare, da Panezio di Rodi, la distinzione di tre teologie, ripresa da Varrone: teologia poetica (falsa), teologia ufficiale (falsa) e teologia naturale (vera). Console. Giuristi romani e politici romani. Console della Repubblica romana. Gens: Mucia. Tribuno della plebe, pretore, consolae Pontificato max. Filosofo del portico, giurista e politico romano. Me ad pontificem Scaevolam contuli, quem unum nostrae civitatis et ingenio et iustitia praestantissimum audeo dicere.” Mi sono recato da Scevola pontefice, che oso dire superiore per ingegno e rettitudine a tutti i nostri concittadini. -- CICERONE, Laelius de amicitia. Appartenente alla gens Mucia, è considerato uno dei più grandi giuristi della storia del diritto romano e in parte l'artefice dell'introduzione, nella giurisprudenza romana, del metodo dialettico e diairetico, mutuato dalla filosofia. Questore, tribuno della plebe, pretore, console - insieme a Lucio Licinio Crasso, pro-console e pontefice massimo. Durante il consolato promulga la “lex Licinia Mucia”, che fissa dei rigidi limiti al conseguimento della cittadinanza da parte degl’italici. Fra le sue opere letterarie si ricordano gl’ “Horoi,” titolo in greco che corrisponde al latino definitiones, e i Libri XVIII iuris civilis. Quest'ultima opera può considerarsi il primo manuale sistematico di diritto civile basato sull'impiego delle categorie liceali di genus e species, preso a base di trattazioni civilistiche posteriori che ne seguivano la sistematica – il cosedetto “sistema muciano”), i cosedetti “libri ad Quintum Mucium”, tanto che e il più antico giurista compendiato nei “Digesta del Corpus iuris civilis” e il primo in ordine di apparizione nell'Index Florentinus.  Ce ne fornisce notizia il giurista Sesto Pomponio in un brano dell'opera “Enchiridion” conservatoci dal Digesto giustinianeo: Post hos Quintus Mucius Publii filius pontifex maximus ius civile primus constituit generatim in libros XVIII redigendo”. Sempre Pomponio annovera tra i discepoli di S. illustri giuristi romani: Aquilio Gallo, Lucio Lucilio Balbo, Sesto Papirio, Gaio Giuvenzio, e Servio Sulpicio. Venne soprannominato "Il pontefice" per distinguerlo dal cugino, S. detto l'"Augure".  Morì sotto il consolato di Gneo Papirio Carbone e Gaio Mario il Giovane, ucciso nel tempio di Vesta dai seguaci di quest'ultimo. Digesto, Pomponius libro singulari enchiridia. S. su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. S. su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Predecessore Console romano Successore Gaio Cassio Longino e Gneo Domizio Enobarbo con Lucio Licinio Crasso Gaio Celio Caldo e Lucio Domizio Enobarbo Predecessore Pontefice massimo Successore Gneo Domizio Enobarbo Quinto Cecilio Metello Pio Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Diritto Categorie: Giuristi romani Politici romani Giuristi Consoli repubblicani romani Mucii Pontefici massimi. MUZIO. There are at least III philosophical jurists by the family name of MUZIO. The most prominent among them is S., a pontifes maximus who is consul. He is an outstanding jurist. His treatise on ius civile (DEFINITIONES) is the most important juristic work written under the republic. It is the first attempt of a systematic presentation of law and is commented on by later jurists (Gaius, Pomponius). The SISTEMA MUZIANO is adopted by several writers on ius civile. His predecessors are S., consul, ALSO a pontefice massimo, and S., consul, an AUGUR and teacher of law -- Cicerone attended his lectures. As jurists they are of lesser importance in the history of Roman jurisprudence, but as philosophical jurists, the augur’s utterance shines bright! Kübler e Münzer, RE, Orestano, NDI, Lepointe, “S.” Paris, Bruck, Sem., Kreller, ZSS on S: Münzer;  on S. the augur: Münzer . About the method of dividing the material into kinds, the excerpt from Pomponius's Handbook in Digest tells us that MUZIO becomes the first man to divide the civil law into kinds by arranging it in XVIII books. The result would eventually be - as Schiavone put it – a metaphysics of social relations, reduced to a defined number of archetypal models. Here, Pomponius' account appears reliable enough. Elsewhere examples of S.’s divisions survive. In Gaius' Teaching Manual, Lenel. S.’s division of kinds of tutela is preserved. From this it can be seen how many kinds of TUTELA there are. Some, like S., have said that there are V kinds. Others, like Servio, that there are III. Others, like Labeo, II . In Digest, from Paulus, On the Edict, Lenel, S.’s division with regard to the legal notion of “possessio” has been preserved, albeit in a hostile version. Paolo: “What S. includes among the kinds of possession is truly absurd – not just absurd.” Quinto Muzio Scevola. Keywords: sistema muziano. Scevola.

 

Grice e Scevola: la ragione conversazionale dell’augure -- MIHI AGMINA MILITVM QVIBVS CVRIAM CIRCVMSEDISTI LICET MORTEM IDENTIDEM MINITERIS NVMQVAM TAMEN EFFICIES VT PROPTER EXIGVVM SENILEMQVE SANGVINEM MEVM MARIVM A QVO VRBS ET ITALIA CONSERVATA EST HOSTEM IVDICEM – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Console della repubblica romana. Augure. Gens: Mucia. Edile, tribuno della plebe, pretore, console. Politico romano vissuto durante il periodo della repubblica ed un esperto di diritto romano. Da non confondere col pontifice, autore degl’ “Annales Maximi.” Venne educato in legge dal padre e in filosofia da Panezio di Rodi, filosofo del portico. Venne eletto tribune, edile, e pretore. Inviato come governatore nelle province dell'Asia ,inore. Tornato a Roma, dove difendersi da un'accusa di estorsione rivoltagli da Tito Albucio da cui riusce a difendersi. Venne eletto console. S. ha grande interesse per la legge e gl’affari all'interno di Roma. Trasmitte la sua conoscenza del diritto romano ad alcuni dei più famosi oratori di quei tempi, tra cui Cicerone e Attico. Difende Gaio Mario dalla mozione di Silla che lo vuole rendere nemico del popolo, asserendo che mai avrebbe approvato un tale disonore per un uomo che aveva salvato Roma. Cicerone utilizza la figura del suo maestro come interlocutore in tre opere: “De oratore”, “De amicitia”, e “De re publica”. S., su sapere.it, De Agostini. S. su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Predecessore Console romano Successore Marco Porcio Catone e Quinto Marcio Re con Lucio Cecilio Metello Diademato Quinto Fabio Massimo Eburno e Gaio Licinio Geta. Portale Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Politici romani Consoli repubblicani romani Mucii Auguri Governatori romani dell'Asia.  Gaio Mario. Se stai cercando il figlio di Gaio Mario, vedi Gaio Mario il Giovane. Considerata la caratura del personaggio e l'abbondanza di fonti, il numero di riferimenti puntuali inseriti nel testo è particolarmente desolante Sebbene vi siano una bibliografia e/o dei collegamenti esterni, manca la contestualizzazione delle fonti con note a piè di pagina o altri riferimenti precisi che indichino puntualmente la provenienza delle informazioni. Puoi migliorare questa voce citando le fonti più precisamente. Gaio Mario, Console della Repubblica romana. Presunto busto di Gaio Mario, Gliptoteca di Monaco. Morte: Roma. Figlio: Gaio Mario il Giovane Gens: Maria Tribunato della plebe, Pretura, Legatus legionis, Consolato, Proconsolato in Africa. Nasce a Cereatae. Etnia: Romano. Dati militari Paese servito: Repubblica Romana Forza armata: Esercito romano Arma: Fanteria Grado: Imperator, Dux ovvero comandante in capo Guerre: Guerre cimbriche Guerra giugurtina Guerra sociale Guerre mitridatiche Guerra civile tra Mario e Silla. Battaglie: Battaglia di Aquae Sextiae Battaglia dei Campi Raudii Assedio di Numanzia Altre cariche: Console della Repubblica romana voci di militari;  C·MARIVS·C·F·C·N. Generale e politico romano, per VII volte console della Repubblica romana.  Lo storico Plutarco gli dedicò una delle sue Vite parallele, raffrontandolo al re d'Epiro Pirro. È comunemente noto per la rivalità con Lucio Cornelio Silla.  La carriera di Gaio Mario è particolarmente emblematica della situazione sociopolitica della tarda repubblica romana, in quanto si sviluppa attraverso fatti e circostanze che, in seguito, porteranno alla caduta della stessa. Mario era un homo novus, cioè proveniente da una famiglia italica che non faceva parte della nobiltà romana, e seppe distinguersi e giungere alla ribalta della vita pubblica di Roma per merito della propria competenza militare. L'oligarchia dominante fu perciò costretta, suo malgrado, a cooptarlo nel proprio sistema di potere. A causa del verificarsi di una situazione di grande pericolo per la minaccia di invasioni su larga scala, gli si dovette concedere un potere militare senza precedenti nella storia di Roma, e questo a scapito del rispetto delle leggi e delle tradizioni vigenti, che dovettero essere adattate alla nuova situazione di emergenza. Alla fine fu varata una profonda riforma della leva militare, che in passato raccoglieva solamente proprietari terrieri, e che da allora fu aperta anche a cittadini provenienti dalle classi dei nullatenenti. Nel lungo termine questa riforma ebbe l'effetto di cambiare in modo radicale e irreversibile la natura dei rapporti fra l'esercito e lo Stato. Gaio Mario nacque ad Arpinum, precisamente nella zona che ancora oggi porta il suo nome, Casamari -- in una zona chiamata Cereatae, nell'attuale comune di Veroli. La città, d'antica origine volsca, era stata conquistata dai Romani verso la fine del VI secolo a.C., e aveva ricevuto la cittadinanza romana senza diritto di voto -- civitas sine suffragio -- e soltanto nel 188 a.C. le vennero concessi i pieni diritti civili. Plutarco riferisce che il padre era un manovale, ma la notizia non è confermata da altre fonti, e tutto lascia pensare che sia falsa. Infatti i Marii intrattenevano importanti relazioni con gli ambienti della nobiltà romana, partecipavano da protagonisti alla vita politica della loro cittadina e appartenevano all'ordine equestre. Le difficoltà che incontrò agli esordi della sua carriera a Roma dimostrano semmai quanto fosse arduo per un homo novus affermarsi nel novero dell'alta società romana dell'epoca.  Si distinse per le notevoli attitudini militari dimostrate in occasione dell'assedio di Numanzia, in Spagna, tanto da farsi notare da Publio Cornelio Scipione Emiliano, soprannominato Africano Minore. Non è dato sapere con certezza se venne in Spagna al seguito dell'esercito di Scipione, oppure se si trovasse già in precedenza a servire nel contingente che, con scarso successo, da tempo cingeva d'assedio Numanzia. Sta di fatto che Mario parve fin dall'inizio molto interessato a far carriera politica in Roma stessa. Infatti si candidò per la carica di tribuno militare di una delle 4 prime legioni -- in tutto i tribuni elettivi sono XXIV, mentre tutti gl’altri venneno nominati dai magistrati preposti agli arruolamenti. Lo storico Sallustio ci informa che il suo nome era del tutto sconosciuto agli elettori, ma che alla fine i rappresentanti delle tribù lo elessero per merito del suo eccellente stato di servizio e su raccomandazione di Scipione Emiliano. Successivamente si ha notizia di una sua candidatura alla carica di questore ad Arpino. È probabile che egli utilizzasse le posizioni di comando ad Arpino per raccogliere dietro di sé un consistente numero di clienti su cui fare affidamento per le successive mosse che aveva in animo di compiere. Tuttavia sono solo congetture in quanto nulla si conosce della sua attività come questore. Nel 120 a.C. Mario fu eletto tribuno della plebe. A quanto sembra si era già candidato alla carica, ma senza successo. Un ruolo determinante ebbe, nell'occasione, il sostegno della potente famiglia dei Cecilii Metelli, verso i quali probabilmente aveva un rapporto di clientela. Durante il suo tribunato Mario perseguì una linea vicina alla fazione dei popolari, facendo in modo che venisse approvata, fra l'altro, una legge che limitava l'influenza delle persone di censo elevato nelle elezioni. Infatti, era stato introdotto il metodo del ballottaggio scritto nelle elezioni per le nomine dei magistrati, per l'approvazione delle leggi e per l'emanazione delle sentenze legali, in sostituzione del metodo tradizionale di votazione orale. Poiché i nobiles cercavano sistematicamente di influenzare l'esito dei ballottaggi con la minaccia di controlli e ispezioni: Mario fa approvare un'apposita legge tabellaria – “Lex Maria de suffragiis ferendis” -- per restringere i ponti sui quali passavano gli elettori per votare, in modo che non si potesse controllare la loro scheda di voto: fece costruire uno stretto corridoio da cui i votanti dovevano passare per depositare il proprio voto nell'urna, in modo che fossero al riparo dagli sguardi indiscreti degli astanti e dagli eventuali tentativi di manipolazione. Questa sua azione provocò il deteriorarsi dei rapporti tra Mario e la potente famiglia dei Metelli, di cui gli esponenti della famiglia di Mario erano clientes per tradizione. Successivamente Mario si candidò per la carica di edile plebeo, ma senza successo. Riusce, di stretta misura, a farsi eleggere pretore per l'anno successivo (a quanto pare si classificò solo al sesto posto su sei), e fu immediatamente accusato di brogli elettorali -- il termine latino è ambitus. Riuscito a malapena a farsi assolvere da questa accusa, esercitò la carica senza che si verificassero avvenimenti degni di particolare menzione. Terminato il mandato ricevette il governatorato della Spagna ulteriore, dove fu necessario intraprendere alcune campagne militari contro le popolazioni celtiberiche mai del tutto sottomesse. Il governatorato e le guerre gli fruttarono ingenti ricchezze personali, come sempre accadeva ai comandanti romani. Le vittorie ottenute gli permisero, tornato a Roma, di richiedere e ottenere il trionfo. La carriera di Mario non sembrava destinata a grandi successi. Gli è proposto un matrimonio con una giovane esponente dell'aristocrazia, Giulia Maggiore, sorella del senatore Gaio Giulio Cesare il vecchio e futura zia di Giulio Cesare. Mario accetta, divorziando dalla sua prima moglie Grania di Pozzuoli. La gens Iulia era una famiglia patrizia di antichissime origini -- fa risalire la propria discendenza a Iulo, figlio di ENEA, e Venere, dea della bellezza --, ma, nonostante ciò, i suoi appartenenti avevano, per ragioni finanziarie, notevoli difficoltà a ricoprire cariche più elevate di quella di pretore (solamente una volta, nel 157 a.C. un Giulio Cesare era stato console). Il matrimonio permise alla famiglia patrizia di rimettere in sesto le proprie finanze e diede a Mario la legittimità per candidarsi al consolato. Il figlio che ne nacque e Gaio Mario il Giovane. Legato di Metello. Moneta raffigurante Giugurta, il re numida, nemico di Roma. La famiglia di Mario era per tradizione cliente dei Metelli, e Cecilio Metello aveva appoggiato la campagna elettorale di Mario per il tribunato. Sebbene i rapporti con i Metelli si fossero in seguito deteriorati, la rottura non dovette essere definitiva, tanto è vero che Q. Cecilio Metello, console., prese con sé Mario come suo legato nella campagna militare contro Giugurta. I legati erano originariamente semplici rappresentanti del Senato, ma, gradualmente, era invalso l'uso di adibirli a compiti di comando alle dipendenze dei comandanti generali. Quindi, molto probabilmente; Metello ottenne che il Senato nominasse Mario legato, in modo che potesse servire alle sue dipendenze nella spedizione che si accingeva a compiere in Numidia. Nel lungo e dettagliato racconto che Sallustio ci fa di questa campagna militare, non si fa menzione di altri legati, e ciò lascia pensare che Mario fosse quello di rango più elevato, nonché braccio destro dello stesso Metello. Questo rapporto conveniva a entrambi, in quanto, mentre Metello si avvantaggiava dell'esperienza militare di Mario, questi rafforzava le sue possibilità di aspirare in seguito al consolato. Va osservato che, se la gravità della rottura con Metello., alla luce di quanto avvenne in seguito, fu probabilmente riferita in modo esagerato, quella che si determinò riguardo alla condotta della guerra in Numidia fu invece molto più seria e foriera di conseguenze. Mario si convinse che i tempi fossero maturi per candidarsi alla carica di console. A quanto pare chiese a Metello il permesso di recarsi a Roma per portare a termine il proprio proposito, ma Metello gli raccomandò di astenersi, e probabilmente gli consigliò di aspettare il tempo necessario per potersi candidare insieme con il figlio ventenne dello stesso Metello, cosa che avrebbe rimandato tutto di almeno venti anni. Mario fu costretto a fare buon viso a cattivo gioco, ma nel frattempo, durante tutta l'estate del 108, fece in modo di guadagnarsi il favore della truppa, allentando notevolmente la rigida disciplina militare, e di accattivarsi anche i commercianti italici del posto, ansiosi di intraprendere i propri lucrosi traffici, assicurando a tutti che, se avesse avuto mano libera, avrebbe potuto, in pochi giorni e con la metà delle forze a disposizione di Metello, concludere vittoriosamente la campagna con la cattura di Giugurta.  Entrambi questi influenti gruppi si affrettarono a inviare a Roma messaggi in appoggio di Mario, con cui si suggeriva di affidargli il comando, e si criticava Metello per il modo lento e inconcludente con cui stava conducendo la campagna militare. In effetti la strategia di Metello prevedeva una lenta, metodica e capillare sottomissione di tutto il territorio. Alla fine Metello dovette cedere, rendendosi conto, a ragione, che non gli conveniva mettersi contro un subordinato tanto influente e vendicativo. In queste circostanze è facile immaginare il modo trionfale con cui Mario, alla fine del 108, fu eletto console per l'anno successivo. La sua campagna elettorale fece leva sull'accusa, rivolta a Metello, di scarsa risolutezza nel condurre la guerra contro Giugurta.  Viste le ripetute sconfitte militari subite, nonché le accuse di spudorata corruzione rivolte a molti esponenti dell'oligarchia dominante, è facile comprendere come l'onesto uomo fattosi da sé, e affermatosi percorrendo faticosamente tutti i gradini della carriera, fu eletto a furor di popolo, essendo visto come l'unica alternativa a una nobiltà divenuta corrotta e incapace. Tuttavia il Senato aveva ancora un asso nella manica. Infatti, la lex Sempronia de provinciis consularibus stabiliva che il Senato aveva facoltà di decidere ogni anno quali province dovessero essere affidate ai consoli per l'anno successivo. Alla fine dell'anno, e appena prima delle elezioni, il Senato decise di sospendere le operazioni contro Giugurta e di prorogare a Metello il comando in Numidia. Mario non si perse d'animo e si servì di un espediente già sperimentato. Si era stati, infatti, in disaccordo su chi avrebbe dovuto comandare la guerra contro Aristonico in Asia, e un tribuno aveva fatto approvare una legge che autorizzava un'apposita elezione per decidere a chi affidare il comando (per la verità c'era stato un altro precedente in occasione della seconda guerra punica). Mario fece approvare una legge simile, risultando eletto a grande maggioranza. Metello ne fu profondamente offeso, tanto che, al suo ritorno, non volle nemmeno incontrarsi con Mario, dovendosi accontentare del trionfo e del titolo di Numidico che gli vennero generosamente concessi. Moderna ricostruzione di un centurione romano. Mario riformò l'esercito dell'epoca allargando il reclutamento a tutti i cittadini romani.  Lo stesso argomento in dettaglio: Riforma mariana dell'esercito romano, Esercito romano e Legione romana. Mario aveva un estremo bisogno di raccogliere truppe fresche e, a questo scopo, introdusse una profonda riforma del sistema di reclutamento, foriera di conseguenze di un'importanza di cui lui stesso, al momento, probabilmente non comprese la portata. Tutte le riforme agrarie attuate dai Gracchi si basavano sul tradizionale principio secondo cui erano esclusi dal servizio di leva i cittadini il cui reddito era inferiore a quello stabilito per la quinta classe di censo. I Gracchi, con le loro riforme, avevano cercato di favorire i piccoli proprietari terrieri, che da sempre avevano costituito il nerbo degli eserciti romani, in modo da fare aumentare il numero di quelli che avevano i requisiti per essere arruolati. Nonostante i loro sforzi, tuttavia, la riforma agraria non risolse la crisi del sistema di arruolamento, che aveva avuto lontana origine dalle sanguinose guerre puniche del secolo precedente. Si cercò quindi di trovare una soluzione semplicemente abbassando la soglia minima di reddito per appartenere alla quinta classe da 11.000 a 3.000 sesterzi, ma nemmeno questo fu sufficiente, tanto che i consoli erano stati costretti a derogare dalle restrizioni sugli arruolamenti imposte dalle leggi graccane. Mario ruppe ogni indugio e decise di arruolare senza alcuna restrizione riguardo al censo e alle proprietà fondiarie del potenziale soldato. Da quel momento in poi le legioni di Roma furono composte prevalentemente da cittadini poveri, il cui futuro, al termine del servizio, dipendeva unicamente dai successi conseguiti dal proprio comandante, che era solito loro assegnare parte delle terre frutto delle vittorie riportate. Di conseguenza i soldati avevano il massimo interesse ad appoggiare il proprio comandante, anche quando si scontrava con i voleri del Senato, composto dai rappresentanti dell'oligarchia dominante, e anche quando andava contro il pubblico interesse, che, a quell'epoca, veniva di fatto impersonato dal Senato stesso. Va notato che Mario, persona fondamentalmente corretta e fedele alle tradizioni, non si avvalse mai di questa potenziale enorme fonte di potere, ma passeranno meno di vent'anni che il suo ex questore Silla, lo farà per imporsi contro il Senato e contro lo stesso Mario. Altri 30-40 anni e il suo esempio sarà seguito da Giulio Cesare, nipote acquisito di Mario. Cartina della Numidia all'epoca di Giugurta.  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre contro Giugurta e Bellum Iugurthinum. Ben presto Mario si rese conto che concludere la guerra non era così facile come egli stesso si era in precedenza vantato di poter fare. Dopo essere sbarcato in Africa verso la fine del 107 a.C. costrinse Giugurta a ritirarsi in direzione sud-ovest verso la Mauritania. Nel 107 suo questore era stato nominato Lucio Cornelio Silla[4], rampollo di una nobile famiglia patrizia caduta economicamente in disgrazia. A quanto pare Mario non fu contento di avere alle proprie dipendenze un simile giovane dissoluto, ma, inaspettatamente, Silla dimostrò sul campo di possedere grandi qualità di comandante militare. Nel 105 a.C. Bocco, re di Mauritania e suocero di Giugurta, nonché suo riluttante alleato, si trovò di fronte l'esercito romano in avanzata. I romani gli fecero sapere di essere disponibili a una pace separata e Bocco invitò Silla nella sua capitale per condurvi le trattative. Anche in questa circostanza Silla si dimostrò particolarmente abile e coraggioso; in effetti, Bocco rimase a lungo dubbioso se consegnare Silla a Giugurta oppure, come poi avvenne, Giugurta a Silla. Alla fine, Bocco fu convinto a tradire Giugurta, che fu subito consegnato nelle mani dello stesso Silla. La guerra era così conclusa. Poiché Mario era il comandante dotato di imperium e Silla militava alle sue dirette dipendenze, l'onore della cattura di Giugurta spettava interamente a Mario, ma era chiaro che gran parte del merito andava riconosciuto personalmente a Silla, tanto che gli fu consegnato un anello con un sigillo commemorativo dell'evento. Al momento la cosa non fece particolarmente scalpore, ma in seguito Silla si vanterà di essere stato il vero artefice della conclusione vittoriosa della guerra. Mario, intanto, si guadagnava fama di eroe del momento. Il suo valore stava per essere messo alla prova da un'altra grave emergenza che incombeva su Roma e sull'Italia. L'arrivo in Gallia del popolo germanico dei Cimbri, quasi immediatamente seguito dalla loro schiacciante vittoria sulle truppe di Marco Giunio Silano, il cui esercito venne infatti del tutto sbaragliato dall'orda nemica, aveva indotto ad un ammutinamento a catena delle tribù galliche delle regioni meridionali recentemente assoggettate dai Romani. Il console Lucio Cassio Longino venne completamente sconfitto da una tribù gallica transalpina, e l'ufficiale di grado più elevato fra quelli sopravvissuti (Gaio Popilio Lenate), figlio del console dell'anno 132, riuscì a mettere in salvo quanto restava delle forze romane solo dopo aver ceduto metà degli equipaggiamenti e aver subito l'umiliazione di far marciare il proprio esercito sotto il giogo, in mezzo allo scherno dei vincitori. L'anno successivo un altro console, Quinto Servilio Cepione, marciò contro le tribù stanziate nella zona di Tolosa, che si erano ribellate a Roma, e si impossessò di un'enorme somma di denaro custodita nei santuari dei templi -- il cosiddetto Oro di Tolosa. La maggior parte di questo tesoro sparì misteriosamente durante il trasporto verso Marsiglia e, molto probabilmente, fu lo stesso Cepione che ordinò il finto furto per impossessarsi dell'oro. Cepione fu confermato nel comando anche per l'anno successivo, mentre uno dei nuovi consoli, Gneo Mallio Massimo, si unì a lui nelle operazioni in Gallia meridionale. Al pari di Mario, anche Mallio era un uomo nuovo, e la collaborazione fra lui e Cepione si dimostrò subito impossibile. I Cimbri e i Teutoni erano entrambi composti da tribù di ceppo germanico che, nel corso delle proprie migrazioni, erano apparse sul corso del fiume Rodano proprio mentre l'esercito di Mallio si trovava nella stessa zona. Cepione, che era accampato sulla riva opposta del fiume, si rifiutò in un primo momento di venire in soccorso del collega minacciato, decidendosi ad attraversare il fiume solo dopo che il Senato gli aveva ordinato di cooperare con Mallio. Tuttavia egli si rifiutò di unire le forze dei due eserciti, e si mantenne a debita distanza dal collega. I Germani approfittarono della situazione e, dopo aver sbaragliato Cepione, distrussero anche l'esercito di Mallio il 6 ottobre del 105 a.C. presso la città di Arausio. I Romani dovettero combattere con il fiume alle spalle che li impediva la ritirata, e, stando alle cronache, furono uccisi 80.000 soldati e 40.000 ausiliari. Le perdite subite nel decennio precedente erano state molto gravi, ma questa sconfitta, provocata soprattutto dall'arroganza della nobiltà che si rifiutava di collaborare con i più capaci capi militari di rango non nobiliare, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non soltanto le perdite umane erano state enormi, ma l'Italia stessa era ormai esposta all'invasione delle orde barbariche. Il malcontento del popolo contro l'oligarchia aveva raggiunto ormai l'esasperazione.  Busto di Gaio Mario (Museo Chiaramonti). Mentre si trovava ancora in Africa, Mario fu rieletto console. L'elezione in absentia era una cosa abbastanza rara, e inoltre una legge successiva all'anno 152 a.C. imponeva un intervallo di almeno 10 anni fra due consolati successivi, mentre una del 135 a.C. sembra che proibisse addirittura che questa carica potesse essere rivestita per due volte dalla stessa persona. La grave minaccia incombente dal nord fece tuttavia passare sopra a ogni legge e consuetudine, e Mario, ritenuto il più abile comandante disponibile, fu rieletto console per ben 5 volte consecutive, cosa mai avvenuta in precedenza.  Al suo ritorno a Roma, vi celebrò il trionfo su Giugurta, che prima fu portato come un trofeo in processione, e infine morì nel Carcere Mamertino. Nel frattempo i Cimbri si erano diretti verso la Spagna, mentre i Teutoni vagavano senza una meta precisa nella Gallia settentrionale, lasciando a Mario il tempo di approntare il proprio esercito, curandone in modo molto attento l'addestramento e la disciplina. Uno dei suoi legati era ancora L. Cornelio Silla, e questo dimostra che in quel momento i rapporti fra i due non si erano ancora deteriorati. Sebbene avesse potuto continuare a comandare l'esercito in qualità di proconsole, Mario preferì farsi rieleggere console fino all'anno 100, in quanto questa posizione lo metteva al riparo da eventuali attacchi di altri consoli in carica.  L'influenza di Mario divenne in quel periodo talmente grande che era addirittura in grado di influenzare la scelta dei consoli che in ogni anno dovevano essere eletti insieme con lui, e pare che egli facesse in modo che venissero scelti quelli che riteneva più malleabili. I Germani indugiavano ancora nelle proprie scorribande in Spagna e in Gallia, e questo fatto, insieme con la morte del console collega Lucio Aurelio Oreste, consentì a Mario, che stava già marciando verso nord, di rientrare a Roma per venirvi confermato console per l'anno 102, insieme con un nuovo collega.  Francesco Saverio Altamura, Mario vincitore dei Cimbri. I Cimbri dalla Spagna tornarono in Gallia, e, insieme con i Teutoni, decisero di invadere l'Italia. Questi ultimi avrebbero dovuto puntare a sud dirigendosi verso le coste del Mediterraneo, mentre i Cimbri dovevano penetrare nell'Italia settentrionale da nord-est attraversando il passo del Brennero – “per alpes Rhaeticas”. Infine i Tigurini, la tribù celtica loro alleata che aveva sconfitto Longino pensavano di attraversare le Alpi provenendo da nord-ovest. La decisione di dividere in questo modo le loro forze si sarebbe dimostrata fatale, poiché diede ai Romani, avvantaggiati anche dalle linee di approvvigionamento molto più corte, la possibilità di affrontare separatamente i vari contingenti, concentrando le proprie forze laddove era di volta in volta necessario.  Nel frattempo Mario aveva organizzato nel migliore dei modi la propria armata. I soldati erano stati sottoposti a un addestramento che mai in precedenza si era visto, ed erano abituati a sopportare senza lamentarsi le fatiche delle lunghe marce di avvicinamento, dell'allestimento degli accampamenti e delle macchine da guerra, tanto da meritarsi il soprannome di muli di Mario. Dapprima decise di affrontare i Teutoni, che si trovavano in quel momento nella provincia della Gallia Narbonense e si stavano dirigendo verso le Alpi. In un primo momento rifiutò lo scontro, preferendo arretrare fino ad Aix en Provence, un insediamento fondato da Gaio Sestio Calvo, console nel 109 a.C., in modo da sbarrare loro il cammino. Alcuni contingenti di Ambroni, avanguardia dell'esercito dei Germani, si lanciarono avventatamente all'attacco delle posizioni romane, senza aspettare l'arrivo di rinforzi, e 30.000 di essi rimasero uccisi. Mario schierò poi un contingente di 30.000 uomini per tendere un'imboscata al grosso dell'esercito dei Germani, che presi alle spalle e attaccati frontalmente, furono completamente sterminati e persero 100.000 uomini,[6] e quasi altrettanti ne furono catturati. Il suo nome è ancor oggi ricordato non solo nell'etimologia della località, allora arpinate, di nascita, Casamari (Casa Marii, per l'appunto), ma persino nell'etimologia della regione francese della Camargue (Caii Marii Ager), come sostenuto dallo storico francese Louis-Pierre Anquetil nella sua opera "Histoire de France". La tradizione orale della città di Arpino sostiene che Mario, dopo aver sconfitto i Germani ad Aix-en-Provence e nella battaglia dei Campi Raudii, all'apogeo della sua gloria, non dimenticasse la sua patria d'origine e, disponendo della Gallia transalpina come terra di conquista, donasse ad Arpino quei territori, le cui rendite servirono a mantenere i templi e gli edifici pubblici della città.  Il collega di Mario Quinto Lutazio Càtulo, console, non ebbe altrettanta fortuna, non riuscendo a impedire che i Cimbri forzassero il passo del Brennero avanzando nell'Italia settentrionale Mario apprese la notizia mentre si trovava a Roma, dove fu rieletto console per l'anno 101 a.C. Il senato gli accordò il trionfo ma lui rifiutò perché ne voleva fare partecipe anche l'esercito, quindi lo posticipò a una vittoria contro i Cimbri. Immediatamente si mise in marcia per ricongiungersi con Catulo, il cui comando fu prorogato anche per il 101. Infine, nell'estate di quell'anno, a Vercelli, nella Gallia cisalpina, in una località allora chiamata Campi Raudii, ebbe luogo lo scontro decisivo.  Ancora una volta la ferrea disciplina dei Romani ebbe la meglio sull'impeto dei barbari, e almeno 65.000 di loro (o forse 100.000) perirono, mentre tutti i sopravvissuti furono ridotti in schiavitù. I Tigurini, a questo punto, rinunciarono al loro proposito di penetrare in Italia da nord-ovest e rientrarono nelle proprie sedi. Catulo e Mario, come consoli in carica, celebrarono insieme uno splendido trionfo, ma, nell'opinione popolare, tutto il merito venne attribuito a Mario. In seguito Catulo si trovò in contrasto con Mario, divenendone uno dei più acerrimi rivali. Come ricompensa per avere sventato il pericolo dell'invasione barbarica, Mario venne rieletto console anche per l'anno 100 a.C. Gli avvenimenti di quell'anno, tuttavia, non gli furono propizi.  Sesto consolato (100 a.C.)  Il mondo romano, al termine della seconda guerra punica (in verde), e poi attorno al 100 a.C. (arancione). Nel corso di questo anno il tribuno della plebe Lucio Appuleio Saturnino richiese con forza che si varassero riforme simili a quelle per cui si erano in passato battuti i Gracchi. Propose quindi una legge per l'assegnazione di terre ai veterani della guerra appena conclusasi e per la distribuzione da parte dello stato di grano a prezzo inferiore a quello di mercato. Il senato si oppose a queste misure, provocando così lo scoppio di violente proteste, che presto sfociarono in una vera e propria rivolta popolare, e a Mario, come console in carica, fu chiesto di reprimerla. Sebbene egli fosse vicino al partito popolare, il supremo interesse della repubblica e l'alta magistratura da lui rivestita gli imposero di assolvere, sebbene riluttante, a questo compito. Dopodiché lasciò ogni carica pubblica e partì per un viaggio in Oriente.  Guerra sociale (95-88 a.C.)  Busto di Lucio Cornelio Silla, il rivale di Mario.  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra sociale. Durante gli anni di assenza di Mario da Roma, e subito dopo il suo ritorno, Roma conobbe alcuni anni di relativa tranquillità. Nel 95 a.C., tuttavia, venne approvata una legge che decretava che tutti coloro che non fossero cittadini romani, cioè coloro che provenivano da altre città italiche, dovessero essere espulsi da Roma. Marco Livio Druso fu eletto tribuno e propose una grande distribuzione di terre appartenenti allo Stato, l'allargamento del Senato e la concessione della cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi di tutte le città italiche. Il successivo assassinio di Druso provocò l'immediata insurrezione delle città-Stato italiche contro Roma, e la Guerra sociale -- da socii, gli alleati italici. Mario e chiamato ad assumere, insieme con Silla, il comando degli eserciti chiamati a sedare la pericolosa rivolta. Finita la guerra in Italia si aprì un nuovo fronte in Asia, dove Mitridate, re del Ponto, nel tentativo di allargare verso occidente i confini del suo regno, invase la Grecia. Posto di fronte alla scelta se affidare il comando dell'inevitabile guerra contro Mitridate a Silla o Mario, il Senato, in un primo momento, scelse Silla. In seguito, tuttavia, quando il tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo, appoggiato da Mario, cercò di far passare una legge per distribuire gli alleati italici nelle tribù cittadine, in modo da influenzare con il loro voto i comizi, nacque uno scontro nel quale il figlio del console Quinto Pompeo Rufo trovò la morte.  Silla, sfuggito alla confusione, si rifugiò nella casa dello stesso Mario. Intanto la legge venne approvata e le tribù che adesso contenevano anche i nuovi cittadini fecero passare una legge secondo la quale veniva affidata a Mario la guerra contro Mitridate. Intanto nell'88 a.C. Silla aveva già raggiunto l'esercito a Nola e Mario fece mandare due tribuni per riportarlo a Roma. Ma l'esercito uccise i tribuni e Silla con esso marciò alla volta di Roma. Mario, dichiarato nemico pubblico da Silla, all'arrivo di questi abbandonò precipitosamente l'Urbe, rifugiandosi in un primo tempo tra le paludi di Minturnae. I magistrati locali decretarono la sua morte per mano di uno schiavo cimbro, il quale, però, mosso a compassione o intimorito per la sua fama, non diede corso all'esecuzione. Plutarco, in Marium, scrisse che i Minturnesi, mossi a compassione, lo aiutarono a imbarcarsi sulla nave di Beleo, diretta in l'Africa, ove visse per un po' di tempo in esilio. Data l'assenza di Mario, Gneo Ottavio e Lucio Cornelio Cinna furono eletti consoli nell'87 a.C., mentre Silla, nominato proconsole, si mise in marcia verso oriente con l'esercito.  Mentre Silla conduceva la sua campagna militare in Grecia, a Roma il confronto fra la fazione conservatrice di Ottavio, rimasto fedele a Silla, e quella popolare e radicale di Cinna si inasprì sfociando in aperto scontro. A questo punto, nel tentativo di avere la meglio su Ottavio, Mario, insieme con il figlio, rientrò dall'Africa con un esercito ivi raccolto e unì le proprie forze a quelle di Cinna, che aveva radunato truppe filomariane ancora impegnate in Campania contro gli ultimi socii ribelli. Gli eserciti alleati entrarono in Roma, di modo che Cinna fu eletto console per la seconda volta e Mario per la settima. Seguì una feroce repressione contro gli esponenti del partito conservatore: Silla fu proscritto, le sue case distrutte e i suoi beni confiscati. Tuttavia nel primo mese del suo mandato, Mario muore. Dopo la morte di quest'ultimo Cinna divenne di fatto il padrone della repubblica e mantenne il consolato per altri due anni di seguito per poi morire, vittima di un ammutinamento, mentre si dirigeva con l'esercito verso la Grecia. L'armata di Silla, dopo aver concluso vittoriosamente la campagna nel Ponto, rientrò in Italia sbarcando a Brindisi., e sconfisse il figlio di Mario, Gaio Mario il Giovane, che muore in combattimento a Praeneste, a circa 50 chilometri da Roma. Gaio Giulio Cesare, nipote della moglie di Mario, sposa una delle figlie di Cinna. Dopo il ritorno di Silla a Roma si instaurò un regime di restaurazione che perpetrò le più feroci repressioni, tanto che Giulio Cesare fu costretto a fuggire in Cilicia, dove rimase fino alla morte di Silla nel 78 a.C. Il busto bronzeo di Gaio Mario si trova collocato attualmente nel Municipio di Minturno. Lo storico greco riferisce anche che Gaio Mario ebbe una relazione di lunga data con un comandante che era al contempo un erudito intellettuale spiccatamente filoellenico, che gli dedicò vari epigrammi molto raffinati e a carattere omoerotico. Il praenomen "Gaio" è forma corretta rispetto al pur comune "Caio". La forma "Caio", infatti, si è diffusa a seguito di un'errata interpretazione dell'abbreviazione epigrafica "C." (vedi, tra gli altri, Gian Biagio Conte, Emilio Pianezzola, Giuliano Ranucci, Dizionario della lingua latina, Firenze, Monnier, 2000, sub voce Gaius: «il fraintendimento dell'abbr., in cui la G si scriveva, per conservazione di grafia arcaica, C., ha generato la forma "Caio"»). Encyclopædia Britannica: Gaius Marius, Roman general., su britannica.com.  Che è diffusa convinzione sul posto che derivi dall'espressione latina Casa Marii.[senza fonte]  Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo, Sesto Giulio Frontino, Strategemata, 150.000 uomini secondo altre fonti, vedi Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo, II, 12. Filmato audio Marina Mattei e Maddalena Crippa, Luce sull'archeologia - Le idi di marzo a Largo Argentina - Incontro, su Marina Mattei (Sovrintenza ai Musei Capitolini), You tube, Roma, Teatro di Roma, Appiano di Alessandria, Historia Romana Ῥωμαϊκά Internet Archive.). Aulo Gellio, Noctes Atticae. (testo latino  e traduzione inglese). Cesare, Commentarii de bello Gallico. Progetto Ovidio. Dione Cassio, Storia romana. Floro, Epitoma de LIVIO (si veda) bellorum omnium annorum DCC libri duo. Frontino, Strategemata. (testo latino  e traduzione inglese). Plutarco, Vite parallele, "Gaio Mario", "Silla" e "Giulio Cesare". Sallustio, Bellum Iugurthinum. Svetonio, De vita Caesarum libri VIII. Tacito, De origine et situ Germanorum.  Progetto Ovidio. Tacito, Annales. Tacito, Historiae. (testo latino ; traduzione italiana ; traduzione inglese qui  e qui). Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo. (testo latino  e traduzione inglese qui e qui ). Fonti storiografiche moderne Giuseppe Antonelli, Gaio Mario, Roma Carcopino, Silla, Milano 1981. Luciano Canfora, Giulio Cesare. Il dittatore democratico, Laterza, 1Carcopino, Giulio Cesare, traduzione di Anna Rosso Cattabiani, Rusconi Libri, Piganiol André, Le conquiste dei romani, Milano, Il Saggiatore, Scullard, Storia del mondo romano. Dalla fondazione di Roma alla morte di Nerone, Milano, BUR, Consoli repubblicani romani Gens Maria Mario, Gaio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Màrio, Gàio, su sapere.it, De Agostini. Dacre Balsdon, Gaius Marius, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Gaio Mario, su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Gaio Mario, su Goodreads. Portale turistico di Minturno Scauri - Minturnae, su minturnoscauri. it. Mario e Silla, su janusquirinus.org. La vita di Gaio Mario, su jerryfielden Predecessore Console romano Successore Servio Sulpicio Galba e Lucio Ortensio107 a.C. con Lucio Cassio LonginoQuinto Servilio Cepione e Gaio Atilio SerranoI Gneo Mallio Massimo e Publio Rutilio Rufo con Gaio Flavio FimbriaLucio Aurelio Oreste e Gaio Mario IIIII Gaio Mario II e Gaio Flavio Fimbria con Lucio Aurelio OresteGaio Mario IV e Quinto Lutazio CatuloIII Lucio Aurelio Oreste e Gaio Mario III con Quinto Lutazio CatuloManlio Aquillio e Gaio Mario VIV Quinto Lutazio Catulo e Gaio Mario IV con Manlio AquillioLucio Valerio Flacco e Gaio Mario VIV Manio Aquilio e Gaio Mario V con Lucio Valerio FlaccoAulo Postumio Albino, Marco Antonio OratoreVI Lucio Cornelio Cinna I e Gneo Ottavio con Lucio Cornelio Cinna IILucio Cornelio Cinna III e Gneo Papirio CarboneVII V · D · M Gaio Giulio Cesare V · D · M Marco Tullio Cicerone V · D · M Plutarco Portale Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Generali romaniPolitici romani del II secolo a.C.Politici romani Generali del II secolo a.C.Generali Nati ad ArpinoMorti a Roma Gaio Mario Condottieri romani antichi Consoli repubblicani romani Marii Auguri. Our concern is with the debate in the Senate on the “hostis” declaration proposed by SULLA, who presumably presided over the meeting in his capacity as consul and framed and put the “relatio.” VALERIO MASSIMO gives a graphic description of S.'s part in the proceedings. SULLA coerces the senate into adjudging Mario a “hostis”. No one ventures to oppose him except S. who, on being asked for his opinion, refuses to say anything. When Sulla begins pressing him ever more menacingly Scevola says: “You can make a display of the troops whom you have thrown around the curia, you can threaten me with death as often as you like, but you shall never force me, old and weak as I am, to adjudge Mario, the saviour of Rome and Italy, a hostis.' - Sulla ... senatum armatus coegerat ac summa cupiditate ferebatur ut C. Marius quam celerrime hostis iudicaretur. cuius voluntati nullo obviam ire audente solus Scaevola de hac re interrogatus sententiam dicere noluit. quin etiam truculentius sibi instanti Sullae 'licet' inquit MIHI AGNIMA MILITVM QVIBVS CVRIAM CIRCVMSEDISTI LICET MORTEM IDENTIDEM MINITERIS NVMQVAM TAMEN EFFICIES VT PROPTER EXIGVVM SENILEMQVE SANGVINEM MEVM MARIVM A QVO VRBS ET ITALIA CONSERVATA EST HOSTEM IVDICEM.  'mihi agmina militum, quibus curiam circumsedisti, ostentes, licet mortem identidem miniteris, numquam tamen efficies ut propter exiguum senilemque sanguinem meum Marium, a quo urbs et Italia conservata est, hostem iudicem.' S. is making two points. The first, and more obvious, is a declaration of friendship for Mario and a reminder to his audience that they are dealing with the man who had saved Italy from the Cimbri. The statement that S. stood alone against Sulla may be an exaggeration, but other names are hard to come by. The one that we should most like to know about is Q. Scevola Pontifex. At this point we merely note the highly relevant fact that of the X known names on Sulla's list, no less than V are of *non*-Roman origin, thus confirming that the focal point of the crisis was the rights of new citizens. It can be inferred that the augur stood with Mario on that issue; where the Pontifex stood remains to be seen. No one else comes into the reckoning: Crasso is dead; and M. Acilius Glabrio, the Augur's grandson and future president of the court which tried Verres, is too young.  The *other* point made by Scevola is a conceptual, philosoophical point of law or jurisprudence. It depends on the words, S. DE HAC RE INTERROGATVS SENTENTIAM DICERE NOLUIT. The words mean exactly what they say: S., being asked about this matter, refused to express an opinion. VALERIO MASSIMO is telling us that S. did not vote for or against the motion. He refuses to vote at all. The reason is that, as S. sees it, the clause in GRACCO’s law – NE DE CAPITE CIVIVM INIUSSV VESTRO INDICARETVR – means that any capital adjudication on a citizen *without* the authority of the people is prohibited, irrespective of whether it is a vote for condemnation or for acquittal. This may not have been the intention of the framers of the “hostis” declaration, for the theory behind that decree is that the “hostis” forfeits his citizenship retro-actively to the time of his treasonable act. But once there is talk of adjudication – HOSTIS INDICARETVR, HOSTEM IVDICEM --, in S.’s view there is a danger of the LEX SEMPRONIA being contravened. S. is not alone in this view. CICERONE observes that a number of populares stays away from the Catilinarian debate for the same reason as that which prompts S. to abstain from voting. VIDEO DE ISTIS QVI SE POPVLARIS HABERI VOLVNT ABESSE NON NEMINEN NE DE CAPITE VIDELICET CIVIVM ROMANORVM SENTENTIAM FERAT. S. is the first to detect this conceptual difficulty – philosophical puzzle -- in the application of the law, and he does so ex tempore, the moment the very first “hostis” declaration is proposed. It is clear that S. has this area of law at his fingertips. Our confidence in his ability to have assisted Mario with the special wording of the s. c. ultimum of C is greatly increased. Was there anything else that S. could have done to block Sulla's relatio? In particular, could S.  have used his office as an augur for which he was so famous that it was almost a cognomen? The obvious way would have been by announcing auspices unfavourable to the convention of the senate. But the question is whether that body's sessions need the taking of auspices. In Mommsen's opinion, “auspicatio” is required. But, in historical times, “auspicatio” is carried out by haruspices and pullari and the augur is only called in where there was some doubt. There is no record of acts of signal bravery by haruspices or pullarii, and it must be concluded that S. is not able to function officially in the matter. There is, however, a broader issue, and that is whether his augural skills are ever enlisted on behalf of his friend Mario. The reason for raising this is that his grandson, the S. who was tribune of the plebs, is an augur, was consulted by GIULIO CESARE on whether a praetor could conduct consular elections, and undoubtedly rules that he can. Caesar's uncle may have needed augural assistance in another matter connected with the consulship, namely his election for a second term and in absentia and the augur could have done some research then, which not only helped Mario but laid the foundation for a favourable ruling for Caesar. For all we know, GIULIO CESARE might have consulted the grandson on Bibulus' obstructive tactics. There will have been much material reflecting the augur's views in the family archives. Keywords: il concetto di stato nel diritto romano, Cicerone, Mario, Silla. He thought there were three theologies: that of the poets – fanciful and false – that of the philosophers – true but unsuitable to the masses – and that of the politicians – beneficial. Quinto Muzio Scevola.

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