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Friday, December 20, 2024

GRICE E SANZO

 

Grice e Sanzo: la ragione conversazional tra natura ed artificio – la filosofia lizia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Insegna a Brindisi, Milano, e Salento. Fonda “Apollo Licio” o Lizio. Sube il fascino dell’esistenzialismo e il orazionalismo. Rivolve la propria attenzione ai rapporti tra filosofia, scienza e società. Si occupa di filosofi quali Becquerel, Boutruox, Corbino, Couturate Curie, Enriques, Fermi, Frola, GEYMONAT, PEANO, VAILATI. Sui fondamenti della geometria” (Brescia,  La Scuola, Collana "Il Pensiero"); “L’artificio della lingua, -- Grice: “I like that: it’s my Gricese, a language I invent and which makes me the master; there’s the arbitrary and there’s the artificial, and Sanzo, reconstructing Peano’s project, fails to distinguish this” -- Milano, Angeli, Collana di Epistemologia, Cimino; Sava, Il nucleo filosofico della scienza, Galatina, Congedo, Collana di Filosofia, Scritti di fisica-matematica, Torino, POMBA, I Classici della Scienza, Poincaré e i filosofi” (Lecce, Milella); Corbino, Scienza e società, Saggi raccolti e commentati, Manduria, Barbieri, Collana di Filosofia Hermes/Hestia, Scritti di fisica-matematica” (Milano, Mondadori, "I Classici del pensiero", Unione Tipografico, Torino, Scientia, Rivista di sintesi scientifica, “Apollo Licio”, Museo Galilei, Firenze. 1. I PRODROMI  Il problema della comprensione internazionale nel campo della scienza inizia, come è noto, con i primi testi scientifici scritti in lingue nazionali. Il latino, che per secoli era stato lo strumento della cultura scientifica dell'Occidente, si era estinto nella parlata comune e si andava lentamente estinguendo anche nella sua funzione di unica lingua comune ai dotti. Trattati scientifici in lingue volgari appaiono già alla fine del Duecento e la matematica commerciale è sempre più frequentemente scritta in volgare; in italiano la prima trattazione di algebra è di Jacopo da Firenze e appare nel 1307; nel 1344 appare un vero trattato di algebra del Maestro Dardi da Pisa . Il Seicento è comunque il secolo di passaggio, nel quale i testi scientifici scritti originariamente in lingue nazionali cominciano ad essere molto numerosi, benché a qualsiasi pubblicazione scientifica in italiano, inglese o francese segua quasi immediatamente la traduzione in latino. Le menti più attente cercano di trovare uno strumento che possa sostituire il latino, che tuttavia vive ancora un lunghissimo tramonto: tesi di laurea o lavori scientifici di matematica o di filosofia saranno scritti in latino ancora nella seconda metà dell'Ottocento, ma si tratterà ormai di casi sporadici . Per ovviare a questo rischio di mancanza di comunicazione tra le persone colte, rischio che cominciava a diventare molto concreto, numerosi pensatori del Seicento, tra i quali Cartesio, Mersenne, Comenius , Leibniz, Kircher avevano dedicato tempo e sforzi all'idea di una lingua universale ; sulla storia di questi tentativi e di tutti quelli che li precedettero e li seguirono, la letteratura è vastissima . Difficile dire chi fu il primo ad ideare una lingua completa ed effettivamente usata al di là di qualche progetto e di qualche prova. Comenius presenta ampiamente e con molta lucidità la necessità di una lingua universale nella Via lucis . L'opera fu scritta in Inghilterra negli anni 1641-42 e circolò manoscritta per un quarto di secolo; fu poi pubblicata ad Amsterdam nel 1668. Lo scopo del grande pedagogista moravo è una riforma della scuola, la quale dovrà uniformarsi ad una luce universale. I quattro requisiti della "via universale alla luce" sono i libri universali, le scuole universali, il collegio universale e una lingua universale . A questi quattro requisiti Comenius dedica cinque dei ventidue capitoli della sua opera, e il più esteso è quello dedicato alla lingua universale. In superamento di Luis Vives , del quale egli cita la propensione all'adozione del latino come lingua universale dei dotti, Comenius propone con coraggio una lingua del tutto nuova, e cita a sostegno di questa idea varie ragioni: la prima è che   […] con la lingua universale si provvede a tutti nello stesso modo, mentre con la latina provvederemmo soprattutto a noi che già la conosciamo, non ugualmente, invece, ai popoli barbari (per i quali, in proposito, c'è una ragione in più, perché essi costituiscono la parte maggiore della Terra), ai quali la lingua latina, come le altre, anzi, ancor di più, è ignota e difficile.    Le complicazioni delle lingue sono opera degli uomini, e alle confusioni della comunicazione si deve ovviare tramite una lingua nuova:  Auspichiamo, quindi, una lingua assolutamente (1) razionale, che nella sua struttura materiale e formale non abbia nulla (nemmeno il più piccolo apice) di non significativo, (2) analogica, che non contenga di fatto nessuna anomalia, (3) armonica, che non inserisca discrepanza alcuna tra le cose e i loro concetti, così da esprimere con la stessa parola la natura e la differenza delle cose, divenendo così quasi un imbuto della sapienza.   Alla domanda su quale sia il modo migliore per costruire tale lingua, Comenius indica due possibilità: o perfezionare le lingue più note, o perfezionare le cose stesse. Questa seconda ipotesi è quella che Comenius preferisce, perché più realistica, "anche se talvolta, per esprimerle esattamente, sarà necessario riordinare tutto". Comenius cita le menti illuminate che già hanno pensato a questo: è noto l'interesse di padre Marino Mersenne (1588-1648) che scrisse sia a Cartesio che a Comenius stesso sull'argomento. Comenius non costruisce una lingua universale, ma dice quali dovrebbero essere le sue caratteristiche; egli pensa che sia possibile costruire una lingua dove le singole parole stiano "al posto delle loro definizioni, perché composte secondo le esigenze delle cose stesse". Nella lettera che gli scrive Mersenne (22 dicembre 1640) viene citato un "carattere universale" elaborato per circa venti anni da Jean Marie Le Maire (1601-1643), un gentiluomo della corte di Luigi XIII. Il "carattere universale" è un sistema di segni che ognuno può leggere nella propria lingua, e che sono posti in corrispondenza delle cose stesse. Si tratta quindi di una specie di alfabeto piuttosto che di lingua, e certamente non usabile oralmente. Le Maire aveva anche inventato una nuova forma di notazione musicale. I tempi sembrano maturi per l'effettiva costruzione di un linguaggio universale .  Un altro scienziato che si dedicava in quel tempo al problema è Wilhelm Gottfried Leibniz (1646-1716). Matematico, diplomatico, storico, egli ha armonizzato antiche idee con progetti nuovi al fine di creare una lingua universale. Tutti gli ideatori di lingue universali del XVIII e del XIX secolo sono stati sotto l'influsso di Leibniz, che a sua volta aveva studiato ed ereditato idee da Bacone, Cardano, Kircher, Raimondo Lullo e, soprattutto, da George Dalgarno  e John Wilkins . Leibniz, slavo di origine e tedesco-orientale di nascita, viaggiò molto; scrisse principalmente in francese e in latino, progettò una unione di cattolici e protestanti, studiò e incoraggiò a studiare lingue dell'Asia allora sconosciute, ebbe corrispondenza col re di Francia e con lo zar di Russia, e progettò di fondare una società mondiale di missionari. Scienziato universale ed enciclopedico, fu fondatore di una filosofia dell'armonia, secondo la quale "l'universo è regolato da un ordine perfetto" e "l'anima e il corpo si incontrano data l'armonia che c'è in tutte le sostanze, perché tutte sono rappresentazioni del medesimo universo". Nella matematica fu il fondatore nell'Europa continentale del calcolo differenziale, e ancora oggi si usano le sue notazioni; può considerarsi un precursore dell'informatica, in quanto fu l'ideatore del sistema binario. Da idee piuttosto diverse, come crittografia, ideografia, geroglifici, Leibniz concepì l'ispirazione di una lingua universale, o piuttosto di un complesso universale di segni che potesse esprimere il pensiero umano, espresso così nebulosamente con le parole. "Dio creò la lingua" era la credenza degli indiani antichi; "Adamo creò la lingua" credevano i saggi dell'Europa medievale. In entrambe le filosofie la lingua si presentava come un prodotto artificiale, in principio perfetto e unico, e in seguito degenerato, frantumato, rotto a causa dell'imperfezione e limitatezza umana. Già da adolescente Leibniz aveva sognato una lingua universale: la sua Ars combinatoria (1666) fu scritta quando non aveva ancora 19 anni, ma i suoi studi più intensi sul problema si pongono attorno al 1679 . Leibniz non scrisse un'opera specifica sulla lingua universale, ma le sue idee sono sparse in vari suoi scritti, dei quali molti ancora inediti: nella biblioteca di Hannover esistono ancora manoscritti non pubblicati, in francese, in latino, in tedesco. Per quanto finora è stato pubblicato, due sono stati i suoi progetti sull'argomento: uno è un sistema di calcolo logico sotto il nome Characteristica universalis, che ricalca la classificazione di Wilkins e che dovrebbe essere applicabile a tutte le idee e a tutti gli oggetti del pensiero:  Tutte le idee complesse sono combinazioni di idee semplici, come tutti i numeri non primi sono prodotti di numeri primi. La composizione delle idee tra loro è analoga alla moltiplicazione aritmetica, e la decomposizione di un'idea nei suoi elementi semplici è analoga alla decomposizione di un numero nei suoi fattori primi. Ammesso questo, è naturale rappresentare le idee semplici con i numeri primi e le idee composte di questi o quei numeri primi tramite il prodotto dei numeri primi corrispondenti.   Il secondo progetto è una vera lingua internazionale pratica su base latina con una grammatica semplice e regolare, nella quale Leibniz descrive dettagliatamente la derivazione dei verbi dai sostantivi. In un altro manoscritto Leibniz dice che in questa lingua universale verranno scritti poemi e inni da potersi cantare. Altrove Leibniz sogna un "Ordo caritatis” e una ”Societas Pacidianorum", una società di teofili che celebri le lodi di Dio e si opponga all’ateismo . Questa società di saggi raccoglierà tutto il sapere dell'uomo, elaborerà una lingua opportuna e organizzerà missioni tra i popoli selvaggi per diffondere tra questi l'idea della cultura. È dunque proposta una vera operazione culturale mondiale. E scrive ancora:   Questa lingua sarà il maggiore strumento della ragione. Oso dire che questa sarà l'ultima fatica dello spirito umano, e quando il progetto sarà realizzato, dipenderà solo dagli uomini la loro felicità, perché avranno uno strumento che servirà per entusiasmare la ragione non meno di quanto il telescopio serva per rendere più acuta la vista. Sono certo che nessuna invenzione sarà importante quanto questa, e nulla potrà rendere del pari famoso il nome del suo ideatore. Ma ho motivi ancora più forti per pensare ciò, perché la religione, che seguo fedelmente, mi assicura che l'amore di Dio consiste nell'ardente desiderio di raggiungere il bene comune e il mio intelletto mi dice che nulla contribuisce maggiormente al bene di tutti gli uomini quanto ciò che lo perfeziona.   Leibniz pensa di usare numeri per tradurre le lettere dell'alfabeto di qualsiasi lingua e costruisce una tavola di corrispondenze a questo scopo; egli annota sulla sua copia della Ars signorum di Dalgarno un commento relativo a suoi contatti con Robert Boyle ed Enrico Oldenburg riguardanti la scrittura universale, ed annuncia una propria relazione su tali tentativi ; tuttavia di questa relazione non si ha poi notizia.  La costruzione di un linguaggio universale si prospettava dunque principalmente sotto due aspetti, e con due proposte di soluzione: la scelta di una lingua basata sul latino, che pur sempre era conosciuto e studiato dalle classi colte, ma più facile, oppure la scelta di una lingua logica, senza, o quasi senza, connessioni con una lingua esistente; una lingua che potesse far riferimento a figure, o a suoni, o ad altri segni ritenuti universali.    2. GIUSTO BELLAVITIS  Leibniz non fu mai professore all’Università di Padova, ma nel primo ventennio del 18° secolo ebbe una forte influenza sulle chiamate alla cattedra padovana di matematica. Tale influenza fu effettuata tramite lettere e colloqui e condusse alla chiamata di Jakob Hermann e quindi di Nicolas Bernoulli, entrambi ginevrini . Tra i successori di Leibniz nell’idea di un linguaggio universale si colloca il matematico bassanese Giusto Bellavitis (1803-1880) . Nel 1862 appare un suo lungo scritto, Pensieri sopra una lingua universale e su alcuni argomenti analoghi, nelle «Memorie dell'I. R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti» . Bellavitis è, all'epoca, professore ordinario di geometria descrittiva all'Università di Padova, cattedra assegnatagli nel 1845, dopo due anni di insegnamento di matematica elementare e meccanica al Liceo a Vicenza, dove era subentrato a Domenico Turazza, chiamato alla cattedra di Geometria Descrittiva all’Università di Pavia. Figlio unico, Bellavitis non aveva seguito corsi scolastici regolari perché la famiglia temeva che potesse frequentare cattive compagnie; era stato istruito in casa da un maestro e principalmente dal padre, ragioniere municipale del comune di Bassano. Estremamente desideroso di apprendere, aveva letto fin da ragazzo moltissimi libri, spesso presi in prestito, perché le finanze della famiglia, nobile ma decaduta, non consentivano molti acquisti. A quindici anni già conosceva ed usava il calcolo differenziale e integrale, aveva appreso il latino, il tedesco e il francese, e ancora giovanissimo aveva compilato un dizionario di tedesco organizzandolo non alfabeticamente, ma per radici fondamentali, attorno alle quali si raggruppavano le parole derivate; scriverà poi per il figlio quattro vocabolari di tedesco, dei quali il secondo è ordinato per consonanti, che costituiscono gli elementi immutabili della radice, mentre le vocali possono mutare. Successivamente si dedicherà anche ad altre lingue: inglese, spagnolo, portoghese (di cui scriverà un dizionario nel 1878), danese, russo. Nel 1825 fu per tre mesi a Padova, dove ascoltò alcuni corsi di matematica all'università. Nel 1826 tentò un inizio di carriera universitaria nell'ateneo patavino, ma la mancanza di titoli di studio gliela precluse. Quindi fu impiegato del comune del suo paese natale, Bassano, come "alunno" senza ricevere uno stipendio per buoni dieci anni, fin quando non fu nominato "cancellista", carica pagata che tenne per altri dieci anni fino al 1843. Veniva a Padova spesso, con viaggi a piedi che duravano una decina di ore. Di matematica è semplicemente un autodidatta, copia testi e impartisce lezioni private; costruisce la sua teoria delle equipollenze dal 1832 a casa dell'amica carissima Maria Tavelli, che sposerà appena avrà uno stipendio stabile, e dalla quale avrà l'unico figlio, Ernesto. Pubblica articoli di matematica, fisica e chimica e la sua fama comincia a diffondersi; nel 1832 viene nominato membro dell'Istituto Veneto; nel 1835 e nel 1837 escono due suoi importanti lavori sulle equipollenze, che preludono allo sviluppo del calcolo vettoriale ; nel 1840 l'Istituto Veneto lo nomina membro pensionario, posizione alla quale è annesso un emolumento. Bellavitis partecipa ad un concorso per una cattedra all'Università di Corfù, per la quale viene invece scelto il fisico Ottaviano Mossotti; tre anni dopo è proposto come professore all'Università di Malta, ma rifiuta. Data la mancanza di laurea e di diplomi, all'assegnazione della cattedra all'Università di Padova una “sovrana risoluzione” dell'imperatore d'Austria del 4 luglio 1846 lo promuove “dottore in matematica” senza domanda e con dispensa dagli esami . All'Istituto Veneto dedica una non piccola parte della sua vastissima attività: negli «Atti» escono, in quarantadue dispense, delle rassegne commentate di giornali scientifici nazionali ed esteri dal 1859 al 1880. In tali commenti egli risolve ben 857 questioni matematiche: 228 proposte da 94 matematici italiani e 629 di 247 scienziati stranieri. Le pubblicazioni al termine della sua vita sono 223, e altre 24 sono ancora manoscritte. Nei suoi scritti usa abbreviazioni varie, mostrando una grande tendenza alla sintesi e all'organizzazione gerarchica di concetti e parole.  All'idea di una lingua universale Bellavitis aveva pensato fin da giovane. Già il 18 ottobre 1818, cioè a nemmeno quindici anni, egli scriveva in un libriccino legato in pergamena alcuni appunti sull’argomento sotto il titolo Principi di una lingua universale . Il libretto raccoglie suoi pensieri fino al 1826, e nelle prime quattro pagine vi è un compendio di grammatica. A pagina 6 sono esposti dei "principi di grammatica universale per tutti i filosofi", principi ispirati alla geniale nomenclatura degli elementi chimici dovuta al Lavoisier. Bellavitis è attratto da questi principi generali, nei quali vede una grande possibilità di semplificazione della conoscenza e della sua divulgazione. Alla teoria sono uniti due esempi completi. Vengono trattate lettere dell'alfabeto, sillabe, nomi, generi (viene introdotto il neutro), aggettivi, verbi; ma solo quando è già scienziato largamente affermato Bellavitis esce con una proposta, invero del tutto teorica. All'inizio della citata comunicazione del 1862 egli allude con rammarico alla decadenza della lingua latina:   È antico desiderio quello di una lingua universale, che almeno servisse pei dotti: si tentò di rendere tale la lingua latina; ma sia insufficienza di una lingua condannata a rimanere stazionaria in tanto progresso di idee, sia uso di trasposizioni poco conformi alla schietta esposizione di cose scientifiche, sia desiderio degli scrittori di rendere a tutti accessibili i loro pensieri, l'uso della lingua latina, anche nelle opere puramente scientifiche, fu quasi del tutto dismesso. […] I matematici s'intendono facilmente tra loro, e ben di rado hanno opinioni differenti; per lo contrario i filosofi difficilmente s'intendono, ed ancor più difficilmente si accordano nei loro sistemi; forse è precipua ragione il linguaggio preciso e chiaro di cui si servono i primi, mentre i secondi sono costretti a servirsi di una lingua che creata dal popolo è tutta basata sugli oggetti fisici, e soltanto mediante traslati giunge ad esprimere imperfettissimamente quelle idee astratte, quegli enti d'immaginazione, che formano l'oggetto della filosofia. […] Mi pare non infondata supposizione che l'uso di una lingua filosofica spargerebbe una luce affatto inattesa sulla filosofia e sulle scienze che hanno con essa qualche affinità; sicché quella lingua sarebbe di grande vantaggio, anche indipendentemente dall'universalità che essa potrebbe acquistare fra i dotti, e quindi del legame che stabilirebbe tra tutte le nazioni.   Il Bellavitis sembra non conoscere né gli scritti di Comenio né quelli di Leibniz e questo era certamente comprensibile all'epoca dei suoi primi appunti di ragazzo. La grande opera del Comenio - i sette libri della De rerum humanarum emendatione consultatio catholica (spesso abbreviata nelle citazioni in Consultatio) - non fu scoperta che nel 1935 ad Halle da Dimitri Cicevskij, però il Bellavitis maturo avrebbe dovuto conoscere l'articolo, di una certa ampiezza, sulla lingua universale apparso sulla Encyclopédie di D'Alembert e anche la citata lettera di Mersenne a Cartesio sullo stesso argomento. Invece egli menziona soltanto opere precedenti con parole vaghe e permeate di un certo scetticismo:  Parmi che alcuni lavori pubblicati al principio del presente secolo intorno ad una lingua filosofica tendessero piuttosto a complicare che a semplificare il meccanismo del linguaggio, il che sarebbe, io credo, tutt'altro che opportuno.    I suggerimenti che il Bellavitis dà per la costruzione di una lingua filosofica sono divisi in paragrafi riguardanti sezioni diverse: etimologia, grammatica, pronuncia, scrittura. Nella sezione dedicata all'etimologia egli propone che un letterato faccia la scelta delle idee fondamentali e vi attribuisca un termine derivato dalle lingue più conosciute: egli vede nel sanscrito la madre "delle lingue di popoli, a cui noi riserbiamo il nome di civilizzati; così i materiali sono tutti pronti per la grande opera". È attento all'eufonia, prevedendo un alternarsi di vocali e consonanti, ma con un'indeterminazione delle vocali per poter poi utilizzarne una possibile modifica per esprimere parole derivate. La scelta dei concetti fondamentali sarà necessariamente una scelta di concetti materiali, ma dovranno anche considerarsi "i principali esseri od azioni morali", dato che la lingua è concepita come una "lingua filosofica". Attorno ad un concetto base si raccoglierebbero altre parole derivate che hanno somiglianza di significato, e queste verrebbero create con delle preposizioni (probabilmente si tratta di quanto attualmente si dice "affisso"); una tale idea era già presente nei suoi primi appunti, e ricalca, senza una esplicita citazione, le idee base di Wilkins. Una proposta interessante è che venga costituito subito un vocabolario con la corrispondenza delle principali lingue europee, "notando per ciascuna parola di più significati qual è quello in cui essa s'intende presa." Bellavitis suggerisce quindi un'uscita della lingua già come universale, mentre le altre lingue che concretamente verranno proposte dopo qualche decennio, come il Volapük o l'Esperanto, usciranno con dizionari, peraltro estremamente limitati, in una lingua europea per volta. Bellavitis è ben conscio della grandiosità dell'impresa, ma ha fiducia che anche solo una realizzazione parziale, come la traduzione in una sola lingua e la classificazione metodica di tanti concetti, possa essere utile indipendentemente dalla realizzazione dell'intero progetto. Egli suggerisce anche una riduzione del vocabolario, ritenendo tante parole ormai cadute in disuso. Una certa sua diffidenza si nota quando parla del lessico attinente alla filosofia: ritiene infatti che con l'obbligo di definire con precisione i concetti filosofici apparirà palese che i "pensamenti di alcuni filosofi […] sieno non solamente non dimostrati, ma eziandio senza un preciso significato." La terminologia matematica invece sarebbe facile ad idearsi data la sua limitatezza, in quanto si tratterebbe soltanto di quelle poche parole che accompagnano le formule.  Un interessante suggerimento è quello di derivare aggettivi da sostantivi o viceversa, o verbi da sostantivi o viceversa, e di costruire quindi parole riferentisi ad alcuni concetti centrali, attorno ai quali altre parole si aggregherebbero, distinte soltanto per una vocale o per una consonante di suono affine. Le "voci radicali", che dovrebbero essere costruite come somiglianti a quelle delle lingue viventi, sarebbero abbastanza poche, data l'ampia capacità di formare derivati tramite "particelle prepositive" (oggi si chiamerebbero "preposizioni" o "affissi") e di comporre parole composte come in tedesco. L'Esperanto, il cui primo embrione è del 1878 e la cui uscita in pubblico si ha a Varsavia nel 1887, seguirà molto da vicino questi principi, per quanto sia da escludersi che il suo iniziatore, il polacco Lazzaro Ludovico Zamenhof, abbia letto il lavoro di Bellavitis . A sua volta il Volapük, pubblicato nel 1880 dall'abate tedesco Johann Martin Schleyer, sembra una trasposizione concreta dei principi del Bellavitis, anche per quanto riguarda le parole composte e la presenza dell'aspirazione in principio di parola; ma anche in questo caso è da escludersi una conoscenza del lavoro del Bellavitis da parte di Schleyer. Il Bellavitis propone poi un singolare vocabolario in un ordine alfabetico che consideri soltanto le consonanti, dato che le vocali avrebbero valore diverso a seconda della loro posizione all'interno del vocabolo. Ogni parola che cominciasse per vocale sarebbe preceduta da un'aspirazione. Bellavitis si ispira al tedesco, dove l'apofonia vocalica interconsonantica indica funzioni diverse (ad esempio nel verbo, dove in voci come sprechen, sprichst, sprach, gesprochen il cambiamento di vocale indica un cambiamento di funzione della voce verbale). Egli dice di aver trovato molto comodo un dizionario tedesco basato solo sulle consonanti, dove la vocale della radice era sostituita da un punto, nonché un dizionario inverso limitato alle desinenze. La grammatica proposta dal Bellavitis è piuttosto astrusa e non basata su nessuna lingua esistente, e certamente di fruibilità concreta difficile, se non impossibile. Egli propone varie possibilità opzionali che renderebbero la lingua non rigida e sostiene che una lingua basata sui precetti, come la sua lingua a priori, piuttosto che sugli esempi, come sono le lingue etniche, avrebbe una maggior semplicità. È prevista una declinazione con quattro casi, ma anche le desinenze di questi non sarebbero fisse, ma variabili a seconda che la parola si legasse come significato al termine seguente o a quello precedente. Sugli articoli (nei quali il Bellavitis comprende anche gli aggettivi e pronomi dimostrativi) vi sarebbe un'ampia variabilità. Questa così vasta libertà, che davvero sembra sconfinare nell'anarchia, appare non tener conto della difficoltà di imparare una tale lingua: il rendere non obbligatorie certe forme o certe desinenze, o certe congiunzioni, non semplifica la lingua, in quanto la scelta tra tante forme non aiuta chi scrive, che si troverebbe senza un criterio di scelta, e ancor meno chi legge, che dovrebbe tenere a mente tutte le possibili varietà di espressione. Le opzioni che il Bellavitis dà per le successive evoluzioni della lingua sono tutte di possibili estensioni, che sembrano essere così vaste che ognuno sembra poter costruire la lingua a suo piacimento. Anche per i pronomi egli prevede una lista assai più ricca di quelli attuali: essi si diversificherebbero anche a seconda del caso del nome a cui si riferirebbero, e a seconda del fatto che si riferiscano ad un oggetto collocato vicino o lontano non già dal parlante, ma nella proposizione (un po’ come nell’italiano l’uso di “questo” e “quello”). Un suggerimento interessante riguarda i tempi dei verbi, che si potrebbero fissare una sola volta per ogni paragrafo: quando un racconto fosse al passato, basterebbe mettere il segno del passato all'inizio tramite un avverbio, e tutte le voci verbali assumerebbero nel seguito un significato passato.  Come esistono i pronomi, così esisterebbero i "proverbi", termine che va inteso come "parola al posto del verbo" per evitare una ripetizione di questo, così come il pronome evita la ripetizione del nome. In questo il Bellavitis dice di aver preso ispirazione dall'inglese, e infatti l'inglese a volte usa le voci del verbo to do al posto del verbo precedentemente espresso. Interessante è la proposta dei suffissi, per indicare il diminutivo o il peggiorativo, unitamente alla possibilità di usarli entrambi in successione, come se in italiano si potesse dire cavallinaccio; tale possibilità sarà codificata poi sia nel Volapük che nell'Esperanto. Si noti tuttavia che il succedersi di più suffissi, ancorché lecito in queste due lingue, rimane poi, nella pratica, estremamente limitato proprio perché non comune nelle lingue etniche, che sono comunque una buona immagine del pensiero umano, dove la sintesi che porta all'uso dei suffissi e alla loro combinazione è temperata dalla impossibilità di tenere a mente una serie troppo lunga di particelle. Bellavitis auspica nella lingua universale la possibilità di indicare con suffissi all'interno della stessa parola le varie età o le varie qualità della persona, riprendendo alcune possibilità della lingua araba. Sui verbi matura l'idea che numeri e persone non abbiano bisogno di distinguersi tramite una desinenza diversa, principio applicato poi nell’Esperanto, e tuttavia egli caldeggia un ulteriore pronome personale, oltre ai sei usuali, per indicare l'unione dell'io con il tu, e un altro per indicare l'unione del tu con una terza persona. Un atteggiamento singolare il Bellavitis lo ha nei confronti dei tempi verbali, che gli sembrano di poco vantaggio:   […] nelle scienze e in moltissime altre circostanze ciò che si asserisce fu, è, sarà sempre vero, e la distinzione del tempo od è un imbarazzo o si adopera in significato alcun poco differente, come quando si pone in futuro la conseguenza delle asserzioni esposte in tempo presente. La distinzione dei tre tempi passato, presente e futuro è quasi sempre insufficiente, occorrono degli avverbi per indicare qual sia il tempo passato o futuro, e quanto ristretto sia il presente: ora dal momento che si pongono tali avverbi riesce affatto inutile modificare il verbo; così per esempio il dire: ieri lessi, oggi riposo, domani scriverò non è niente più chiaro di: ieri io leggere, oggi (il nominativo si sottintende) riposare, domani scrivere.   Altre semplificazioni il Bellavitis propone nei modi verbali, ricalcando un po' una lingua nella quale il verbo è sempre all'infinito e la forma morfologica diversa verrebbe sostituita da avverbi: se oggi tu venire, domani io partirebbe. E tuttavia ad una semplificazione dei modi indicativo, congiuntivo e condizionale si aggiungerebbe invece un arricchimento con i modi potenziale e dubitativo, mentre non si darebbe luogo all'ottativo. Del pari verrebbe abolito il passivo, dato che ogni frase passiva può essere volta all'attivo, e, se si vuole dare risalto a chi riceve l'azione ponendolo al primo posto nella frase, esso viene contrassegnato dall'accusativo che indica l'oggetto. La costruzione diventa così più libera e si presta ad una maggiore espressività rispetto alle lingue che non hanno declinazioni e che quindi sono costrette nella massima parte dei casi ad utilizzare la struttura soggetto-verbo-oggetto.  Una sistematica critica il Bellavitis la rivolge ai grammatici, che vogliono studiare una lingua secondo i principi di un'altra, e quindi nell'italiano riconoscono forme e differenze che invece in italiano non esistono e sono proprie del latino. Sulla poesia il Bellavitis esprime posizioni contraddittorie. Da una parte egli sente che nessuna lingua può esistere senza poesia, e che la ricchezza di immagini si potrà trovare anche nella lingua filosofica; dall'altra egli dichiara:  Debbo però confessare che non so scorgere qual sia la vera cagione del diletto che recano nella poesia il metro e la rima: quelle artificiose canzoni, in cui si succedono a lungo periodo le stesse misure di versi e lo stesso concatenarsi di rime; quei sonetti architettati in alcune speciali maniere; quelle terzine che si seguono in modo sempre uniforme e terminano con un primo verso;… sono desse belle soltanto perché difficili?   La critica che egli successivamente muove alla rima, che ritiene stucchevole, menziona il fatto che la rima non è sempre stata una componente essenziale nella poesia, dato che la letteratura latina non la conosceva neppure e che lo spagnolo preferisce le assonanze. Nella pronuncia il Bellavitis segnala la necessità di una grande attenzione, ma non cura l'importanza delle vocali, essendo state quelle le prime a trasformarsi con il passare dei secoli nella lingua greca stessa, che pure è rimasta fino ai giorni nostri abbastanza uguale come grafia a quella classica. Sulla scrittura egli propone come unica soluzione plausibile una scrittura fonetica, cosa che sia l'Esperanto che il Volapük applicheranno come ovvia base; le vocali sarebbero sette, cioè quelle italiane compresa la "o" aperta e la "e" aperta. Ma egli rifiuta i vari caratteri corsivo, tondo, o il tutto maiuscolo, nonché l'uso delle maiuscole per l'iniziale dei nomi propri, ritenendo che questi si possano rendere riconoscibili in altro modo. D'altra parte caldeggia un sistema che consenta di leggere con senso a prima vista, con dei segni particolari al principio del periodo, come il punto interrogativo rovesciato dello spagnolo, o dei segni che consentano di indicare il modo di recitazione, dove alzare e dove abbassare la voce, e pensa che anche le lingue etniche potrebbero introdurre questi segni, una volta che fossero stati studiati e decisi nella lingua universale. La parte didascalica di un colloquio orale è magnificata rispetto alla lettura di un testo scritto, perché appunto il tono della voce può far risaltare la parte fondamentale del discorso rispetto ad altri elementi inessenziali. La scrittura potrebbe anche effettuarsi tramite un sistema di segni corrispondenti a numeri e parole, così come avviene nell'alfabeto Morse. I segni fondamentali sarebbero tre: il punto, la lineetta e la linea (più lunga). Ogni lettera verrebbe espressa da tre di questi segni, che darebbero 27 combinazioni, e le cifre da 1 a 9 verrebbero indicate con due di questi segni. Si potrebbe inoltre costruire un dizionarietto di frasi già fatte e numerate, per cui sei segnali consecutivi potrebbero indicare il numero d'ordine di ciascuna di queste frasi, e si potrebbero riunire sotto lo stesso numero anche frasi diverse che avessero significato simile. Bellavitis propone quindi, pur senza menzionarlo esplicitamente, un frasario utilizzabile durante i viaggi, con frasi di prima necessità. A questi tre segni fondamentali si potrebbero sostituire tre gesti, la mano chiusa a pugno oppure stesa orizzontalmente o verticalmente: si potrebbe così comunicare, oltre che con le lettere, con le mani, e anche le mani potrebbero essere usate per indicare i numeri corrispondenti alle frasi del dizionarietto. Una significativa attenzione il Bellavitis la dedica alla possibilità di evoluzione della lingua filosofica proposta. In più punti egli indica come il lessico non debba restare ingessato, ma debba consentire un adeguamento che segua l'evolversi della scienza. Per la numerazione egli suggerisce di fissare un termine ogni due potenze di dieci, per cui dopo il cento come 102 verrebbe il miria come 104 e il milione come 106, e la potenza corrispondente al mille diventerebbe dieci centi. La giustificazione di questo modo di contare egli la vede nel fatto che spesso nella lingua parlata i numeri molto lunghi vengono letti a coppie di cifre: 30472308,02157 verrebbe letto trenta milioni quarantasette miria ventitré centi otto e due centesimi quindici miriesimi e sette decimi di miriesimo. Già Cardano, nel suo trattato De numeris, aveva proposto una nuova scansione della numerazione utilizzando le miriadi; singolarmente il Bellavitis propone "centi" come forma plurale di "cento", e rifiuta il "mille" che non si adatta alla scansione ogni due potenze di 10. La nota termina con la proposta di un alfabeto per le segnalazioni in mare, di fatto una semplificazione del semaforico, come pure di un alfabeto per ciechi, anch'esso basato su triadi di segni. Alla lingua universale il Bellavitis applica anche una stenografia. Giunti al termine della lunga nota del Bellavitis ci si chiede se una lingua così a priori, alla quale peraltro manca ancora tutto il lavoro riguardante il lessico, possa essere appresa facilmente. La risposta è fatalmente negativa. Altri progetti di lingue a priori proposti nello stesso periodo, come il solrésol del Sudre , non uscirono mai dalla fase di proposta. Il solrésol era un progetto di lingua universale basata sui "sette segni" della musica, cioè sulle sette sillabe che costituiscono i nomi delle note. Maturato da una prima idea del 1817, tale progetto fu presentato all'Accademia francese delle Scienze nel 1827; un testo completo vide però la luce soltanto nel 1866, dopo la morte dell'ideatore. I segni musicali, veramente universali, almeno nella musica del mondo occidentale dell'epoca, offrono varie possibilità di espressione: la lettura vocale dei segni stessi, la loro cantabilità, la scrittura su un pentagramma, la trascrizione in cifre arabe, la presentazione tattile toccandosi con l'indice della mano destra le falangi della sinistra. Il contrario di un'idea si indicava invertendo i segni: mi-sol = il bene, sol-mi = il male; do-mi-sol = Dio, sol-mi-do = Satana. I gradi di un aggettivo erano indicati con un aumento del sonoro, il femminile con la ripetizione (e quindi, foneticamente, con l'allungamento) della vocale finale. Il progetto incontrò anche consensi tra persone importanti, come Napoleone III, Victor Hugo, Humboldt, Lamartine. Probabilmente il Bellavitis aveva avuto notizia del solrésol, in particolare poteva aver apprezzato l'idea di una utilizzabilità e di una possibilità di forme di espressione così ampie, per quanto, come abbiamo visto, egli fosse piuttosto critico nei confronti di progetti precedenti. Ma la logica non è l'unica caratteristica della nostra mente, e un linguaggio puramente logico che non avesse agganci a lingue esistenti non ha mai avuto un benché minimo numero di parlanti. Il Bellavitis non propone nulla di concreto, non la scelta di una radice, non un esempio di applicazione. I suoi discorsi si mantengono teorici e non trattano minimamente della fatica necessaria per imparare una serie di corrispondenze tra le parole delle lingue etniche, a cui l'uomo è già abituato, e le parole, o le successioni di segni, della nuova lingua ancora del tutto sconosciute. La conclusione è un lungo elenco di cose che i costruttori di tale lingua filosofica dovrebbero fare, senza nessun suggerimento pratico. Il Vailati  vede in queste semplificazioni proposte dal Bellavitis un concetto di linguaggio "suscettibile di venir compreso indipendentemente dalla conoscenza di qualsiasi regola grammaticale" . In realtà è arduo aderire a questo giudizio: la mancanza di regole grammaticali fornisce una lingua estremamente povera dal punto di vista espressivo, il che fa dubitare della sua possibilità di funzionamento. La totale mancanza di scelte lessicali, che costituiscono pur sempre la parte più impegnativa di un qualsivoglia apprendimento di una lingua, rende non verificabile qualsiasi possibilità di applicazione pratica. Il Bellavitis spesso esprime i suoi concetti con una certa foga. Le recensioni che egli fa dei lavori che sistematicamente appaiono nelle riviste sono talvolta laudative, talvolta fortemente critiche; è abituato a dire il suo pensiero senza remore. Critica i cultori di geometrie non euclidee, considerandole "false". Uomo anche politico, Senatore del Regno dall'anno in cui il Veneto fu annesso al Regno d'Italia, nelle Utopie  egli disquisisce di politica e di rapporti sociali: propone una anagrafe elettorale con una tessera (cosa che in Italia ha trovato realizzazione solo da pochissimi anni), e dice, a proposito di elezioni indirette: "Io credo che le donne che sanno scrivere possano scegliere gli elettori più opportuni tanto bene quanto gli uomini" (in Italia il voto alle donne si è avuto ottant'anni dopo quello scritto). In tema di successione ereditaria propone considerazioni su figli legittimi e naturali che hanno trovato applicazione soltanto nel diritto di famiglia di oltre cento anni dopo. Nelle Reminiscenze della mia vita  ricorda le conquiste tecnologiche e sociali di cui è stato spettatore: la litografia, la distribuzione dell'elettricità, la decomposizione dello spettro luminoso, il magnetismo, la posta, il telegrafo; e non manca il patriottismo nel pieno senso risorgimentale nelle parole con le quali conclude le Reminiscenze: "Quando vidi entrare in Padova Vittorio Emanuele II liberatore, e quando in Roma udii proclamare dall'augusto labbro che l'unità Nazionale è compiuta potei dire: ho vissuto abbastanza."  Bellavitis si colloca quindi in una posizione con lo sguardo rivolto al futuro, ma con una corretta percezione del passato e dell'evoluzione della tecnica. Riguardo alla lingua universale aveva colto nel segno al tempo giusto: il problema da lui indicato stava esplodendo, e in varie altre parti del mondo si proponevano soluzioni. Nei primissimi anni del Novecento si andò costituendo un forte movimento di accademici, filosofi e matematici favorevole all'adozione di una lingua internazionale per la scienza.   3. GLI SVILUPPI SUCCESSIVI E LA PARTECIPAZIONE DEI PADOVANI  La recente uscita del carteggio tra i due logici Giuseppe Peano e Louis Couturat  offre un interessante spaccato sul problema della lingua internazionale come fu visto non solo dai due protagonisti, ma dalla comunità scientifica del primo Novecento. Purtroppo nel carteggio, che è di 101 lettere, abbiamo quasi soltanto le lettere di Couturat a Peano, ben novantasette, conservate nell'Archivio Giuseppe Peano di Cuneo; delle risposte sono conservate invece soltanto quattro minute del matematico torinese, ma non gli originali, di sicuro molto più numerosi, che, giunti a Couturat, sono poi andati perduti. Il volume termina con un'interessantissima Appendice che contiene altri 15 pezzi: lettere scambiate da Peano e Couturat con altri matematici e il necrologio di Couturat scritto da Peano. L'apparato critico, consistente di un'ampia introduzione, di una completa bibliografia di entrambi gli autori e di un vastissimo corpus di note colloca il volume tra le migliori pubblicazioni sull'argomento. Il carteggio fornisce tutta una serie di elementi finora poco noti sul pensiero e soprattutto sulle attività organizzative dei due scienziati. L'epistolario edito inizia già a scena aperta, in quanto la prima lettera registrata è del 30 ottobre 1896, e in essa Couturat ringrazia Peano dell'invio del suo Formulaire, che Couturat apprezza come raccolta sommaria di proposizioni e come repertorio bibliografico, riservandosi ancora un commento sull'utilità della logica matematica e del linguaggio simbolico di Peano.  A Padova era nata la geometria a più dimensioni di Veronese, con il quale Peano ha una feroce polemica. Infatti il Veronese nei suoi Fondamenti di Geometria  lamenta che Peano, nella «Rivista di Matematica» di cui è direttore, critichi gli iperspazi intesi nel senso di Veronese. La risposta di quest'ultimo è contenuta in una nota a p. 613 dell'opera citata:   Il sig. Peano ha torto nella forma e nella sostanza, ma per quanto non sia difficile rispondere alle sue affermazioni, siccome egli accusa di mancanza di buon senso quei geometri che non possono pensare come lui […] è resa così impossibile ogni amichevole e dignitosa discussione. Io sono convinto che le questioni sui principi della matematica e specialmente della geometria siano già di per sé abbastanza difficili senza che vi sia bisogno di aggiungervi nuove difficoltà di altra natura con polemiche appassionate e intolleranti, come sono altresì convinto che certe critiche pel modo con cui son fatte portano chiaramente in sé la loro condanna.   Il Peano continuerà la polemica nella sua recensione dei Fondamenti di Geometria del Veronese, che appare nella «Rivista di Matematica». La stroncatura è netta e addirittura Peano scende dalla confutazione scientifica all'ironia. Vengono menzionate "sgrammaticature, abituali all'autore", e viene fortemente evidenziata la poca chiarezza logica: successioni di insiemi che diventano sempre più grossi, tautologie evidenti presentate come postulati. Peano si lascia andare a frasi come: "Le conseguenze di questo principio assurdo sono evidenti", e conclude: "E si potrebbe lungamente continuare l'enumerazione degli assurdi che l'A. ha accatastato. Ma, questi errori, la mancanza di precisione e rigore in tutto il libro tolgono ad esso ogni valore."  In realtà i concetti del Veronese, in particolare quelli sugli infiniti e infinitesimi, avevano ricevuto critiche da più parti, e Veronese scriverà a difesa parecchi articoli , confutando le critiche, ma non quelle di Peano, con cui non ebbe più rapporti. Tuttavia nel carteggio tra Peano e Couturat, che riguarda un periodo posteriore, compare il nome di Veronese. Vediamo in quale contesto. Nel 1900 Léopold Leau, un matematico francese, compagno di studi di Couturat all'École Normale Supérieure, pubblica un opuscolo sulla necessità di una lingua internazionale a scopi puramente pratici , invitando gli uomini di scienza e di cultura ad aderire all'idea . Egli lancia anche la costituzione di un comitato che sensibilizzi al problema l'opinione pubblica; Couturat dal canto suo pone la questione al primo Congresso di Filosofia che si tiene a Parigi nella prima settimana di agosto del 1900. A questo congresso partecipano vari matematici italiani, in particolare i logici collaboratori di Peano: tra questi Alessandro Padoa, un veneziano che aveva studiato ingegneria a Padova e che venne poi attratto da argomenti più teorici, laureandosi infine in matematica a Torino. Padoa è un logico matematico: tiene molte conferenze in varie università, tra cui Padova, partecipa con relazioni a congressi, ma non ha un cattedra universitaria. Insegna nella scuola media, dapprima a Pinerolo, poi a Roma e a Cagliari, e infine in un Istituto Tecnico di Genova. Nel 1934 vincerà il premio dell'Accademia dei Lincei. È conosciuto tra i matematici e tra i filosofi: al congresso di Filosofia di Parigi tiene una conferenza sulla teoria algebrica dei numeri, preceduta da un'introduzione logica a una qualsiasi teoria deduttiva.  Il congresso di Filosofia approva l'idea di Couturat e all'unanimità lo nomina suo delegato al Comitato lanciato da Leau e in fase di costituzione. Il secondo congresso dei Matematici si tiene a Parigi immediatamente dopo quello di filosofia, e vi è quindi una parziale continuità di presenze. Ancora ci sono i collaboratori di Peano, e ancora figura Alessandro Padoa. Al congresso dei Matematici viene di nuovo proposta la questione della lingua internazionale, ma, a differenza di quanto era successo tra i filosofi, si fronteggiano due linee di azione: quella caldeggiata da Leau, che insiste per la formazione concreta del Comitato al quale partecipino i matematici con cinque delegati, e invece una mozione proposta da Vasilev, che demanda alle accademie il compito di esaminare il problema del proliferare delle lingue ed eventualmente di restringere soltanto ad alcune lingue la produzione scientifica. Padoa si dichiara esplicitamente a favore della mozione di Leau, ma la maggioranza si colloca sulle posizioni di Vasilev. I matematici quindi respingono l'idea di una lingua unica e in particolare una lingua artificiale, mentre Couturat e Leau sono fautori di una lingua unica, che non può essere altro che pianificata, ritenendo che nessuna lingua nazionale abbia la possibilità di essere imposta a scapito di altre: quale scienziato si sottoporrebbe a una simile diminutio? Peano dal canto suo sta elaborando una lingua internazionale artificiale basata sul latino, che verrà presentata nel 1903 nella «Revue de Mathématiques» sotto il nome di latino sine flexione. In realtà i matematici scelgono di non scegliere: il demandare la decisione ad un altro organismo è una tattica chiaramente dilatoria. L'Associazione Internazionale delle Accademie, che raccoglieva diciotto accademie tra cui quella italiana dei Lincei, si era creata nel 1900 e tenne la prima assemblea generale il 9 aprile 1901. Couturat e Leau ritengono la strada indicata dai matematici non percorribile e nel frattempo iniziano ad agire, raccogliendo, da diverse associazioni e congressi, un gruppo di delegati. Questi escono in pubblico con una dichiarazione sugli scopi e i metodi del loro lavoro: una lingua internazionale unica è necessaria; essa dovrà essere di facile apprendimento anche per persone di cultura elementare, non dovrà essere nessuna lingua nazionale, e dovrà essere usata in tutti i campi, dal commercio ai rapporti culturali. Nasce così nel gennaio 1901 la Délégation pour l'Adoption d'une Langue Auxiliaire Internationale (DALAI), di cui Couturat è il tesoriere e Leau il segretario generale. La Delegazione dovrà pertanto scegliere la lingua artificiale più adatta e quindi sottoporla alle Accademie europee per un riconoscimento. Qualora l'Associazione delle Accademie dovesse ricusare tale compito, la DALAI avrebbe dovuto a sua volta costituire un apposito Comitato elettivo composto di personalità internazionali che perseguisse tale fine.  Nell'aprile 1901 si riunì dunque per la prima volta l'assemblea dell'Associazione delle Accademie, e qui Hippolyte Sebert  presentò una petizione per inserire la questione della lingua internazionale nella successiva assemblea dell'Associazione, che sarebbe stata nel 1904. I tempi iniziarono quindi ad allungarsi, anche perché l'elaborazione e l'approvazione dello statuto della DALAI non fu semplice: esso comunque prevedeva che la Delegazione si prodigasse affinché le singole accademie proponessero ai propri governi il riconoscimento della lingua e il suo insegnamento nelle scuole. Il tempo per queste azioni era definito in tre anni, in previsione del secondo congresso di filosofia che si sarebbe tenuto nel 1904. Il tempo tuttavia non è sufficiente perché si concludano i lavori e pertanto l'azione della DALAI si sgancia dal collegamento con il congresso di filosofia. Couturat nel frattempo pubblica un ponderoso saggio sulla logica di Leibniz , in cui riconosce una sostanziale unitarietà tra i progetti di Leibniz sulla lingua universale e la scienza universale. L'opera suscita l'approvazione incondizionata di Russell e, con qualche riserva, della scuola di Peano; la scuola francese invece espone alcune critiche di fondo. Ancora, nella sua intensa opera di studioso, Couturat, insieme a Leau, pubblica nel 1903 la già citata Histoire, che diventa l'opera fondamentale dell'epoca sulla questione. Tuttavia non conosce la nota del Bellavitis, e ne apprende l'esistenza soltanto da Peano: a lui domanda se si tratta dell'ideatore della teoria delle equipollenze . Couturat ha conosciuto e provato vari progetti di lingue universali, come il Volapük, creato dall'abate tedesco Schleyer , ma ne è rimasto deluso per l'estrema complicazione nella formazione delle parole, la cui riconoscibilità era fortemente ridotta. Couturat diventa quindi un appassionato fautore dell'Esperanto, che egli per il momento considera la migliore delle lingue artificiali, soprattutto per il numero già non piccolo di parlanti, che costituisce un'ottima dimostrazione della sua capacità di adempiere al compito di una lingua internazionale. Non vuole tuttavia che i giochi sembrino già fatti, e la Délégation si ripromette di prendere in considerazione anche altri progetti. I progetti di lingua internazionale hanno sempre oscillato tra il tentativo di una massima regolarità di formazione delle parole derivate da una radice, come proposto anche da Bellavitis, e il polo opposto, cioè la comprensibilità quasi immediata da parte degli europei colti: per ottenere questo secondo scopo una lingua internazionale avrebbe dovuto presentare parole formate con quelle irregolarità di derivazione che si trovano nelle lingue nazionali. Come emerge dal carteggio tra Peano e Couturat, il matematico torinese, pur fortemente interessato alla soluzione del problema tramite una lingua artificiale, non si fa coinvolgere dagli entusiasmi del filosofo francese: ritiene che l'apprendimento di una lingua a livello tale da poter essere parlata da tutti sia impresa ardua, e cita il fatto che anche dell'italiano stesso larghi strati della popolazione non sono sicuri padroni, nonostante che la lingua standard sia insegnata in tutte le scuole del Regno. Peano conosce l'Esperanto e Couturat lo incoraggia a partecipare ai congressi: lui stesso vi ha partecipato ed è rimasto sorpreso di come la lingua funzioni bene e metta in comunicazione senza nessuna difficoltà persone di provenienze e lingue molto diverse. Sulla stessa lunghezza d'onda è il matematico Charles Méray, dell'università di Digione. Tra Méray e Peano erano intercorse due lettere nel luglio del 1900: il giorno 14 Méray scrive una lunga lettera che magnifica le qualità e la semplicità dell'Esperanto, e Peano gli risponde il giorno 27 con un tono piuttosto scettico e facendo una critica puntuale all'Esperanto, pur riconoscendo che questo est plus scientifique que toutes les autres langues artificielles. Il nome di Peano figura tra i partecipanti al secondo congresso mondiale di Esperanto nel 1906 a Ginevra, ma non vi sono altre notizie sulla sua partecipazione.  La DALAI spinge perché il problema dell'adozione di una lingua internazionale venga posto all'ordine del giorno della terza assemblea generale dell'Associazione delle Accademie, da tenersi a Vienna nel maggio 1907, e cerca di acquisire consensi di accademie e associazioni scientifiche; pertanto Couturat chiede l'intervento di Peano per ottenere appoggi di scienziati italiani ad una petizione in tal senso. In particolare egli segnala come desiderabile il consenso della Association Géodésique Internationale e ne elenca i membri italiani: tra questi vi è Giuseppe Lorenzoni (1843-1914), astronomo e ingegnere, direttore dell'Osservatorio di Padova. Giuseppe Lorenzoni era entrato come assistente all'osservatorio astronomico nel 1863 ancora prima di laurearsi (si laureò in ingegneria nel 1864) e dieci anni dopo era professore. Nominato direttore dell'Osservatorio, contribuì a fare di Padova un centro di insegnamento dell'astronomia; si occupò di gravimetria, di spettroscopia, di stelle cadenti, di ottica. Autore di oltre un centinaio di pubblicazioni di astronomia e geodesia, fu membro dell'Accademia dei Lincei e dell'Istituto Veneto. Il suo appoggio era quindi da considerarsi di estremo prestigio. L'attività frenetica del Couturat raggiunge qualche risultato concreto: l'Accademia di Vienna proporrà una mozione a favore della lingua internazionale e l'Accademia di Copenaghen voterà a favore. Per tale mozione vengono raccolte firme di associazioni e di singoli, e il conteggio finale dà 307 associazioni e 1251 scienziati, tra i quali vari italiani. Nel dicembre 1906 Couturat e Leau inviano una circolare per definire l'azione dell'Associazione in vista dell'assemblea e la circolare riporta una decisone della DALAI che esclude dalla DALAI stessa gli inventori in prima persona di lingue artificiali. Couturat non si illude che le accademie si incaricheranno di risolvere la questione e comincia un'azione per costituire il Comitato elettivo di personalità scientifiche previsto dallo statuto della DALAI; infatti il 29 maggio 1907 l'Associazione delle Accademie respinge la mozione. Couturat ritiene quindi che non siano più differibili i tempi per la costituzione del Comitato, nel quale devono essere rappresentati tutti i paesi culturalmente avanzati, ciascuno con un singolo membro, e si adopera per invitare scienziati autorevoli ad entrare nel Comitato. La sua ricerca parte da quelli che avevano già firmato la mozione che chiedeva che l'Associazione delle Accademie si occupasse del problema della lingua internazionale. Peano è escluso a priori dalla DALAI e quindi dal Comitato, perché Peano è l'ideatore del latino sine flexione, ma in una lettera del 30 marzo 1907, scritta da Parigi, Couturat chiede a Peano di adoperarsi perché un italiano di prestigio entri a far parte del Comitato. Peano è membro dell'Accademia dei Lincei, e può parlare con altri membri. Couturat elenca alcuni nomi che gli appaiono adatti, tra i quali anche Giuseppe Veronese, professore di grande fama, deputato, senatore del Regno d'Italia dal 1904 per meriti scientifici, schierato tra i radicali. Veronese era succeduto a Bellavitis sulla cattedra padovana di geometria descrittiva. Siamo ormai nel 1907, le polemiche tra Peano e Veronese sono di un quindicennio prima, ma forse non del tutto sopite . Non ci sono testimonianze del coinvolgimento di Veronese nel costituendo Comitato, ma si può ragionevolmente supporre che Peano non gli abbia fatto nessuna proposta. Un rappresentante italiano che aderisse al Comitato non fu trovato: per acquisirne uno fu violato lo statuto, in quanto fu cooptato proprio il Peano, ancorché autore di un suo progetto di lingua internazionale. L'azione del Comitato fu certamente seria e minuziosa, ma la probabilità che ne conseguisse la scelta di una lingua con reale possibilità di essere accettata da accademie e governi andò rapidamente scemando.  Nel frattempo i sostenitori dell'Esperanto erano cresciuti di numero e nel 1905 avevano avuto il loro primo congresso internazionale a Boulogne-sur-Mer, dove avevano dichiarato immutabile la struttura della lingua, codificata nell'opera Fundamento, consistente nella Grammatica, in un Eserciziario e nel Vocabolario in cinque lingue. L'Esperanto dunque veniva sottratto alla tentazione di continue modifiche e miglioramenti: i suoi utenti ritenevano che la lingua andasse abbastanza bene così, e che qualsiasi tentativo di miglioramento avrebbe soltanto portato ad una destabilizzazione. Gli esperantisti avevano già rifiutato delle proposte di miglioramento nel 1894, e ormai, a venti anni dall'uscita della prima grammatica della lingua, erano diventati fortemente conservatori. Il Comitato scelse formalmente l'Esperanto , ma con una notevole quantità di proposte di cambiamento nell'alfabeto, nella fonetica, nella morfologia, nelle preposizioni: alcuni si illusero che questi miglioramenti sarebbero stati gli ultimi e definitivi, e quindi aderirono a questa nuova forma dell'Esperanto, che prese il nome di Ido (che in Esperanto significa "discendente"); ma la gran parte degli adepti restò fedele all'Esperanto già consolidato. La nuova lingua fu oggetto di successive modifiche e alcuni membri del Comitato produssero a loro volta altri progetti, nella supposizione che la mancata diffusione di una lingua internazionale dipendesse dalle qualità della lingua in sé, piuttosto che da motivi di sociopolitica, come le vicende successive dimostreranno ampiamente. Couturat aderì pienamente all'Ido, convinto che la scelta del Comitato fosse la migliore, e ne fu un propagandista entusiasta come prima lo era stato dell'Esperanto; Peano, che pure aveva partecipato ai lavori del Comitato, ma non all'ultima votazione perché era impegnato in esami a Torino, non rispettò le conclusioni del Comitato e continuò a usare e propagandare il latino sine flexione. Ciò causò un rapido raffreddamento dei rapporti con Couturat, che lo accusava di tradimento; seguì tosto un'interruzione definitiva: l'ultima lettera di Couturat è del 23 febbraio 1910. Il filosofo francese morirà il 20 agosto 1914 in un incidente stradale: la sua automobile verrà investita da un camion militare che portava alle truppe francesi la notizia che la Germania aveva dichiarato guerra alla Francia; era il secondo giorno del primo conflitto mondiale. Peano ne scriverà un commosso necrologio in latino sine flexione, pur ricordando anche i dissensi . La lingua caldeggiata da Peano assume nel 1909 il nome di Interlingua ; il matematico torinese fonda anche una Academia pro Interlingua, che rileva una precedente accademia volapükista, la Kadem Volapüka . Negli anni Peano scrive vari vocabolari di Interlingua e altre lingue; i suoi adepti si raccolgono intorno alla rivista «Schola et Vita», una rivista fondata e diretta a Milano da Nicola Mastropaolo; vi scrive anche, in Interlingua, un illustre docente dell'ateneo patavino, Tullio Levi-Civita . Peano viene contattato per redigere alcune voci dell'Enciclopedia Italiana, ed egli accetta di scrivere voci sulla logica matematica e sulla lingua internazionale; la voce “Esperanto” sarà invece scritte da Stefano La Colla sotto la direzione di Bruno Migliorini, entrambi partecipi per molti anni del movimento esperantista. Peano muore nel 1932 e la rivista cessa le pubblicazioni nel 1936.  Sia l’Ido che l’Interlingua avranno i loro adepti e le loro pubblicazioni ; tuttavia l’idea, originariamente unitaria, di una lingua pianificata si divide in rivoli che appoggiano l’una o l’altra delle varie soluzioni, spesso con polemiche molto accese. Il movimento esperantista, più forte per numero e per tradizione consolidata, subisce la scissione degli idisti, scissione sensibile più a livello di dirigenti che a livello di singoli fruitori; tuttavia l’Esperanto resta, ancora e certamente più oggi, la lingua pianificata con il maggior numero di adepti e di realizzazioni in tutti i campi . Ciò è dovuto anche allo spirito diverso con cui certe soluzioni al problema linguistico erano nate: il latino sine flexione, poi Interlingua, era iniziato come mezzo per gli scambi scientifici e per persone colte del mondo occidentale, e tale sempre rimase. L'Esperanto invece era stato pensato per una dimensione assai più vasta, si era già diffuso in ambienti di lavoratori, ed erano in piena vita parecchie associazioni di vario genere, da quelle cattoliche a quelle socialiste. All’Esperanto fu rimproverato dagli idisti e dagli adepti dell’Interlingua di avere gravi pecche dal punto di vista linguistico e di essere stato prodotto da un singolo dilettante, e a questi fatti veniva imputata la sua scarsa diffusione; ma l’Ido incorse nel difetto opposto. Esso nacque dal lavoro di un comitato di linguisti, che, andando alla ricerca della perfezione teorica, persero di vista un fatto fondamentale: l’affermarsi di una lingua ha bisogno di tempi lunghi, e per tali tempi è necessaria la stabilità. Stabilità che non significa immobilismo o fossilizzazione, bensì possibilità di evoluzione alla stessa stregua e con gli stessi tempi con i quali si evolvono le lingue etniche. A Padova fu un convinto assertore della necessità di una lingua internazionale il cristallografo Ruggero Panebianco, professore di mineralogia all'Università. La sua attività presso il nostro Ateneo durò oltre quarant'anni e segnò alcuni momenti importanti: nel 1883 si ebbe con lui la costituzione del Museo di Mineralogia come entità a sé stante, con la divisione amministrativa dei Gabinetti di Mineralogia e Geologia. Il Museo di Mineralogia andò poi rapidamente ingrandendosi dall'originaria collezione del Vallisneri che ne aveva costituito la base, acquisendo doni e lasciti di importanti collezionisti e studiosi del tempo. Nel 1923 Panebianco ne lascerà la direzione ad Angelo Bianchi. Ruggero Panebianco usa l'Esperanto in pratica e partecipa anche attivamente al movimento per la sua diffusione. Lo troviamo attivo dirigente nel Circolo Esperantista di Padova, fondato nel 1913 . Sulla «Rivista di Mineralogia e Cristallografia Italiana», che egli fondò nel 1888 e diresse fino al 1918, troviamo alcuni articoli scientifici in Esperanto nel periodo 1914-1916, ripubblicati poi come opuscoli a sé stanti dalla Società Cooperativa Tipografica di Padova. Il primo di questi è un opuscolo di 50 pagine e tratta di un problema al quale Panebianco dedicherà sempre grande attenzione: la validità dell’approssimazione numerica dei risultati quando si opera su dati aventi approssimazioni diverse. Il libretto, edito dapprima in Germania , ha un’interessante introduzione che termina con queste parole:  L’apparenza copre la scienza con un mistero, e il mistero scientifico è, come il mistero comune, una superstizione; ma la superstizione scientifica è forse peggiore della superstizione comune.   Un altro lavoro è anch’esso piuttosto corposo e tratta di leggi della cristallografia verificate con i raggi X ; ad esso seguono alcune pagine sul problema che darà luogo ad una lunga polemica: se certi indici dei cristalli siano oppure no numeri razionali. Il Panebianco sostiene giustamente che tutti i numeri con cui si tratta praticamente sono razionali, anzi, decimali finiti, e sostiene che la legge fondamentale della cristallografia debba a ragione denominarsi "legge di Haüy", e non, come altri dicono, "legge degli indici razionali", come se altri indici non fossero razionali. Interessante per quanto riguarda la lingua è la prefazione a questo lavoro (scritta in Esperanto, inglese, francese, tedesco e italiano): in essa Panebianco cita Leone Tolstoj e il suo giudizio sull'Esperanto, sulla sua facilità e sull'opportunità di fare, almeno, lo sforzo di provare ad impararlo. Quindi menziona le basi essenziali dell'Esperanto, citando come particolare vantaggio l'esistenza dell'accusativo, in quanto consente libertà nella costruzione della frase; in nota, egli critica l'abolizione dell'accusativo, operata da altri linguisti che hanno voluto riformare l'Esperanto, e cita specificamente l'Ido, che, come abbiamo visto, era il risultato di una modifica dell'Esperanto effettuata dalla DALAI. La parte scientifica di questo lavoro è molto interessante perché Panebianco diventa anche un creatore in Esperanto della terminologia specialistica della cristallografia. Sulla precisione della determinazione di certi indici Panebianco obbietterà ancora una volta che non ha senso spingere il calcolo fino ad una certa cifra decimale quando i dati sono approssimati con un ordine di precisione minore, e ripeterà questa sua tesi in un lavoro, sempre in Esperanto, dell'anno successivo . Altri lavori sono rifacimenti di lavori in italiano. Panebianco fu un militante socialista fin dai suoi anni giovanili. Del 1893 è la sua traduzione dall’inglese in italiano di un capitolo di un'opera di William Morris, Un paese che non esiste; il capitolo appare sotto il titolo La futura rivoluzione sociale, ed è edito a Milano dall'Ufficio della Lotta di Classe, Tipografia degli operai . Si tratta della descrizione di un paese senza capi e senza leggi. Nella prefazione il traduttore critica gli anarchici, dicendo che la loro rivoluzione è quella stessa dei borghesi, e termina con queste parole:  Soltanto le generazioni dello Stato socialista - Stato che, occupandosi solamente della produzione e dello scambio dei beni, è la negazione di quello attuale - potranno forse realizzare quella negazione assoluta di organizzazioni, anche socialiste, che per ora è un sogno, un bellissimo sogno: quello descritto dal Morris.  E come socialista Panebianco interviene in maniera molto discreta in una polemica sulla lingua internazionale apparsa sull'«Avanti!» agli inizi del 1918. L'edizione del 24 gennaio riporta una lettera di Vezio Cassinelli che si inserisce in uno scambio di opinioni riguardante la fondazione di un Istituto di Cultura Socialista. Cassinelli si qualifica "umile operaio" e sostiene l'opportunità di tale istituto. Nei rami della sua futura attività Cassinelli propone di inserire anche l'insegnamento dell'Esperanto, come strumento funzionale a risolvere il problema dell'incomprensione tra i lavoratori che parlano lingue diverse. A commento redazionale di tale lettera appare, senza firma, un parere drasticamente contrario: "La lingua internazionale è uno sproposito, scientificamente. " Il commento continua con argomentazioni che oggi farebbero sorridere, ma che allora sembravano ancora avere qualche credito in alcune scuole di pensiero: le lingue sono fenomeni naturali e non possono essere create artificialmente, e "le nazioni si sono formate per le necessità economiche e politiche di una classe: la lingua è stata solo uno dei documenti visibili e atti alla propaganda di cui gli scrittori borghesi si sono giovati per suscitare consensi anche fra i sentimentali e gli ideologi." Due giorni dopo, il 26 gennaio, compare un trafiletto, anche questo senza firma, ma probabilmente del direttore Serrati, che comunica come il commento dell'anonimo redattore alla lettera di Cassinelli abbia sollecitato una quantità di proteste. Nel trafiletto si dice che l'Esperanto è utile anche se non è artistico, e che una guerra contro gli esperantisti da parte del partito socialista è proprio fuori luogo. Il giorno successivo esce una lettera di Ruggero Panebianco che approva la posizione equilibrata del direttore, ma garbatamente contesta che tale lingua non sia "artistica": quando non si conosce qualcosa non si ha diritto di giudicarla. Panebianco riporta un fatto accadutogli realmente e racconta di come un suo collega, che credeva a priori che l'Esperanto non fosse artistico, si fosse ricreduto quando gli fu fatta leggere, lentamente e spiegandogliela, una bella poesia tradotta in Esperanto. Sull'«Avanti!» seguì poi una replica ancora più insistita a firma del "Redattore torinese anti-esperantista", una nuova risposta del Direttore, e quindi la polemica si chiuse con un intervento di Angelo Filippetti, un medico che sarebbe diventato di lì a poco sindaco di Milano. Il Filippetti esponeva quanto la linguistica stava chiaramente elaborando allora, e cioè che "anche le attuali lingue ufficiali sono più o meno artificiali, imposte dalle convenienze consolidate dall'uso." E concludeva:  Noi sentiamo che lavoriamo, sia pure in un campo secondario e modesto, per l'attuazione dell'unione internazionale dei lavoratori; noi vogliamo rovesciare una barriera, e non delle minori, che dividono l'unica classe lavoratrice mondiale. Noi lavoriamo per il Socialismo.    La polemica sull'«Avanti!» terminò, ma il "redattore anti-esperantista" riprese le sue tesi in un lungo articolo sul settimanale socialista «Il grido del popolo», questa volta firmandosi con le iniziali: A. G.; si trattava di Antonio Gramsci . Qualche anno dopo troviamo che Panebianco non usa più l'Esperanto, bensì l'Interlingua di Peano, ma la sua passione politica è sempre il socialismo pacifista. Nel suo opuscolo, pubblicato nel 1921, Adoptione de lingua internationale es signo que evanesce contentione de classe et bello, egli esprime la convinzione che l’adozione di una lingua internazionale possa eliminare i conflitti di classe e la guerra. Panebianco usa l’Interlingua anche per alcuni suoi lavori scientifici, e il suo primo lavoro in tale lingua è del 1921, su un minerale della Valsesia . Nell'introduzione egli scrive: "Nostro Interlingua es etiam plus facile de sympathico lingua Esperanto que es plus facile de lingua de Schleyer , et, que, pro suo diffusione, substitue isto, jam mortuo." Dell'Interlingua è magnificata la facile comprensibilità "quasi de primo visu" per ogni persona dotta che conosca una lingua europea. Un altro suo lavoro scientifico tratta la legge di Haüy , mentre altri articoli trattano temi più generali . La funzione della lingua internazionale fu sempre intesa sotto due aspetti: da una parte, la comprensione a scopi esclusivamente pratici, senza nessuna componente ideale; dall'altra, la supposizione che una maggiore conoscenza reciproca avrebbe favorito la pace e la fratellanza tra i popoli. Un giudizio positivo, specie sulla possibilità di favorire questo secondo scopo, fu espresso nel 1914 da Roberto Ardigò, professore di filosofia nel nostro ateneo dal 1881 al 1920, che rispose ad una richiesta di parere rivoltagli dal Circolo Esperantista di Padova con il seguente messaggio:  Il sottoscritto ringrazia di gran cuore del dono prezioso delle pubblicazioni esperantiste fattegli tenere, onde ha occasione della riflessione, che soggiunge. I progressi, in modo mirabile sempre maggiori, nella facilitazione e nell'aumento delle comunicazioni, ognora più agevoli, più rapide, meno costose, per terra, per mare, per l'aria stessa, quanto hanno già giovato e in seguito viepiù gioveranno all'affratellamento delle genti più varie, più discoste, più riottose! Ma l'affratellamento verrebbe poi fino a formare dell'umanità intera proprio una sola famiglia quando si riuscisse (e giova sperarlo) a farvi diffondere e generalizzare, almeno pei commerci e la cultura scientifica, un semplice, facile, razionale linguaggio comune, come certamente è da ritenere l'Esperanto. Nobilissimo dunque e lodevolissimo è l'intento del Circolo Esperantista di Padova, al quale per ciò è da augurare, e auguro fiducioso, vita e seguito sempre maggiori. Dev.mo Prof. Roberto Ardigò   Negli anni immediatamente precedenti la prima guerra e nel periodo tra i due conflitti l'Esperanto fu insegnato in Padova e provincia in numerosissimi corsi presso istituti scolastici pubblici e privati (ad esempio l'Istituto Magistrale "Fuà Fusinato" e il Liceo "Tito Livio"), con centinaia di allievi; il provveditore agli studi di Venezia, Umberto Renda, nel 1932 e nel 1933 diramò circolari in favore dell'istituzione di corsi nelle aule scolastiche, corsi che furono tenuti al liceo "Marco Polo", al liceo "Marco Foscarini", al Liceo Scientifico, all'Istituto Magistrale; si formarono gruppi esperantisti a Rovigo, Cittadella, Este, Venezia, Legnago, Piazzola. Alcuni corsi dovettero essere sdoppiati per il grande numero di allievi, altri dovettero essere rimandati essendo l'insegnante già troppo impegnato in altri corsi. Negli "anni del consenso" per il regime fascista l'Esperanto fu visto dalle autorità principalmente come strumento di italianità, in quanto simile all'italiano (ma non tanto quanto si voleva far credere) e in quanto mezzo per arginare la prepotenza delle cosiddette "grandi lingue". Una lingua internazionale che propagandasse all'estero le bellezze d'Italia per attirare il turismo e che facesse conoscere gli scopi e le realizzazioni del regime fu vista a lungo con occhio molto benevolo da parte delle istituzioni statali. In una situazione di apprezzamento reciproco, anche nel movimento esperantista, come in vari altri di ispirazione e aspirazione internazionale, divenne vincente la linea che proponeva di "esportare il fascismo". L'Esperanto fu quindi largamente utilizzato per pubblicazioni turistiche e di propaganda politica, come pure nelle trasmissioni radio a onda corta . I vari podestà figuravano come presidenti dei congressi nazionali di Esperanto, che si svolgevano ogni anno in una città diversa. Nel 1931 il congresso si svolse a Padova, alla Sala della Gran Guardia, e come presidente del Comitato Organizzatore figurava istituzionalmente il Podestà, dapprima il conte Francesco Giusti del Giardino e poi il suo successore, nob. Ing. Lorenzo Lonigo; tuttavia l'anima dell'organizzazione effettiva fu Giovanni Saggiori . Il congresso, tenutosi dal 26 al 28 luglio, ebbe una vasta risonanza sulla stampa e vi furono numerosi saluti e telegrammi di apprezzamento anche di alte autorità: il Re, il Principe di Piemonte, il Ministro per l'Educazione Nazionale, vari podestà, il Touring Club, la Croce Rossa Italiana, l'Università per stranieri di Perugia, l'Università di Trieste e numerose altre autorevoli istituzioni. È tuttavia da segnalare che, stranamente, l'Università di Padova non partecipò affatto, neanche con un semplice messaggio di saluto.  A partire dal 1922 l'Esperanto è presente alla Fiera di Padova , nel 1935 l'assise mondiale esperantista si svolge a Roma, "con l'alto assenso del Duce". Corsi di Esperanto vengono tenuti alla Scuola Superiore di Commercio a Venezia, dove insegna Gino Lupi, assistente di romeno e poi insegnante di lingue a Padova. Tuttavia presso l'Università di Padova non risultano essersi tenuti corsi.  Con il montare del nazionalismo e l'allineamento alla politica nazista, che liquida le organizzazioni esperantiste in Germania, cominciano le difficoltà anche in Italia: il congresso a Roma del 1935 è l'ultimo evento in cui il movimento esperantista e il regime fascista sono in sintonia. Il congresso nazionale del 1938 si svolge a Vicenza il 3 e 4 settembre ed ha come tema "L'Esperanto come strumento di propaganda turistica"; ma con il 1939 la stampa esperantista viene messa a tacere "per risparmiare carta". Il fatto che l'iniziatore dell'Esperanto fosse un ebreo diventa un marchio di infamia, le aspirazioni internazionaliste diventano un atto d'accusa; alla "via Zamenhof" di Milano viene cambiato il nome. Il movimento esperantista, come tutte le attività internazionali, subisce un arresto; di lì a poco lo scoppio del conflitto mette in secondo piano ogni idealismo e costringe ad urgenze e priorità diverse.    4. DALLA SECONDA METÀ DEL XX SECOLO AD OGGI  Dopo la seconda guerra il fortissimo aumento delle relazioni internazionali rende sempre più acuto il problema linguistico. Si sviluppano i primi consistenti studi sulla traduzione automatica, in particolare quelli legati al progetto Eurotra, che coinvolge decine di ricercatori di quindici università di tutta Europa e produce parecchie pubblicazioni . C'è anche un interessantissimo studio portato avanti nel Distributed Language Translation (DLT), un progetto di traduzione automatica in rete in varie lingue, sostenuto dalla ditta olandese BSO e dallo stato olandese: il sistema è "a linguaggio intermedio", cioè la traduzione da una lingua all'altra si basa su una lingua ponte. Il DLT ha scelto come lingua ponte l'Esperanto. Tale progetto dura dieci anni, dal 1980 al 1990 e produce un prototipo di sistema di traduzione di ottime potenzialità, che viene illustrato all'Università di Padova il 31.8.1990 da Dan Maxwell, uno dei principali collaboratori. L'attività dei gruppi esperantisti è nuovamente vivace. Nel 1954 si svolge a Verona il congresso mondiale dei ferrovieri esperantisti, con oltre 500 partecipanti. A Padova il Gruppo è sempre sotto la guida di Giovanni Saggiori, e negli anni Sessanta il luogo istituzionale dove imparare la lingua diventa l'Università Popolare.  Il nostro Ateneo partecipa all'attività riguardante la lingua internazionale con i primi anni Settanta nella sua sede di Verona. Lì, in via dell'Artigliere, viene ospitata per oltre dieci anni la segreteria dell'Istituto Italiano di Esperanto, organizzazione che presiede ai corsi di insegnamento della lingua. Ancora presso la sede di Verona il nostro Ateneo ospita il congresso nazionale nel 1974, con la partecipazione in prima persona del prof. Gino Barbieri, rappresentante a Verona del Rettore di Padova. Il prof. Barbieri è un vecchio esperantista, attratto alla lingua da Bruno Migliorini. Giordano Formizzi, professore di pedagogia presso la sede di Verona, poi resasi ateneo autonomo nel 1982, si avvicina all'Esperanto nel 1979 e lo insegna all'interno del suo corso di Storia della Pedagogia . Del pari un cultore di Esperanto è padre Aldo Bergamaschi, professore di Pedagogia anch'egli nella sede veronese dell'Università di Padova e poi presso l'università autonoma di Verona. Questi due professori, insieme a chi scrive, sono stati oratori ufficiali della celebrazione del centenario dell'Esperanto nel 1987 da parte della Federazione Esperantista Italiana, celebrazione tenutasi alla Fondazione Cini a Venezia.  Nel 1983 nasce a San Marino, per volontà del Congresso di Stato e con decisione del Consiglio dei XII, l'Accademia Internazionale delle Scienze (AIS) San Marino, un'istituzione universitaria di insegnamento e di ricerca. Le lingue di insegnamento sono l'italiano, l'Esperanto, l'inglese, il francese, il tedesco, a cui si aggiungeranno successivamente altre lingue, data l'espansione dell'attività specialmente nei paesi dell'Europa orientale. L'Esperanto resterà comunque fino ad oggi, per statuto, la lingua privilegiata, in cui devono essere scritte, e difese oralmente, le tesi dei vari livelli, corrispondenti ai titoli italiani odierni di laurea, laurea magistrale, dottorato di ricerca, oltre a un titolo superiore corrispondente al "doctor habilitatus" tedesco. I primi sostenitori di questa iniziativa sono professori universitari tedeschi e italiani, e troviamo qui ancora dei docenti veneti: Fabrizio Pennacchietti, un orientalista torinese che ha insegnato a Ca' Foscari, Mario Grego, abitante a Padova e docente di inglese anch'egli a Ca' Foscari, il già citato Giordano Formizzi e due professori dell'università di Padova: Marino Nicolini, farmacologo di cittadinanza sammarinese, e, successivamente, l'autore di queste righe, matematico. In particolare il primo e l'ultimo dei docenti citati, oltre che tenere corsi in Esperanto, hanno ricoperto e ancora ricoprono incarichi organizzativi di alto livello. I professori dell'AIS vengono da molte università di tutto il mondo, creando un contesto internazionale estremamente proficuo per gli studenti; tra essi ci sono il premio Nobel per l'economia Reinhard Selten e membri di varie accademie nazionali . Tra le prime opere scientifiche edite sotto gli auspici dell’Accademia Internazionale delle Scienze San Marino vi è un interessante lavoro di biologia. Fino ai primi anni ’80 non esisteva un testo completo per il riconoscimento dei licheni europei, pur esistendo testi e cataloghi in varie lingue europee, italiano e latino compresi. I francesi G. Clauzade e C. Roux pubblicarono allora un testo illustrato in Esperanto per la determinazione dei licheni dell’Europa occidentale . Il testo fu dapprima considerato una stranezza, dato che il mondo scientifico non era portato a vedere testi in lingua diversa dall’inglese; tuttavia per il suo valore divenne indispensabile in ogni laboratorio che si occupasse di riconoscimento dei licheni. Il testo, che era corredato da un piccolo glossario esperanto-francese, fu utilizzato anche all’università di Padova dal prof. Giovanni Caniglia; con la collaborazione degli studenti interni il glossario originario fu elaborato ed arricchito fino a diventare un piccolo dizionario di esperanto, che fu in seguito diffuso presso i soci della Società Lichenologica Italiana . Il testo è attualmente un po’ superato, dato il progredire della scienza negli ultimi decenni, però fu un evento significativo nell’intento di trasmettere la scienza anche in una lingua internazionale non etnica.  Nel 1990 il nostro Ateneo è fortemente impegnato in alcuni eventi connessi alla lingua internazionale. Il Dipartimento di Matematica Pura ed Applicata pubblica, come suo rapporto interno, una ricerca sui contatti culturali tra l'Italia e l'Ucraina, originariamente redatta in Esperanto . Quindi alla fine di agosto viene ospitato al Liviano il 61° Congresso italiano di Esperanto. Si tratta della manifestazione più significativa della comunità esperantista mai svoltasi a Padova: precedentemente c'era stato, come già visto, il 16° congresso nazionale nel 1931 e quindi, nel gennaio 1988, si era svolta, alla Sala della Gran Guardia, una giornata esperantista che metteva insieme la celebrazione del centenario della nascita della lingua (1887) e quella dei 75 anni di vita del gruppo, fondato nel 1913.  Il Congresso si giova del patrocinio della Regione Veneto, della Provincia di Padova, dell'Assessorato alla Cultura e ai Beni Culturali del Comune di Padova, dell'Azienda di Promozione Turistica della Provincia e della Sezione Ricerca e Istruzione del Consiglio d'Europa. Il Comitato d'Onore è imponente, come assai raramente succede per iniziative al di fuori degli organi istituzionali: vi figurano il Presidente della Repubblica Cossiga, il Presidente del Consiglio Andreotti, il Presidente del Senato Spadolini, il Presidente della Provincia Toscani, il Questore di Padova Romano, i Presidenti delle Regioni Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige, i sindaci di Padova, Firenze, Bologna e Reggio Emilia, i Rettori delle Università di Padova, Bologna e Ferrara, il Rettore dell'AIS San Marino, oltre a vari parlamentari e autorità locali. I congressisti sono oltre 300, dei quali un centinaio provenienti dall'estero. All'inaugurazione alla Sala dei Giganti, il 25 agosto, intervengono il sindaco Paolo Giaretta e il prof. Ezio Riondato in rappresentanza del Rettore Mario Bonsembiante. Il tema del congresso riguarda i problemi linguistici degli immigrati in Europa e il discorso inaugurale, tenuto dallo storico tedesco Ulrich Lins, ha titolo: Verso un'Europa multiculturale. Durante l'inaugurazione si celebra il gemellaggio dei gruppi esperantisti di Padova e Friburgo e la mattinata si conclude con un saluto di Marco Pannella; l'intero congresso viene messo in onda in diretta da Radio Radicale.  Le conferenze e i programmi musicali del congresso si svolgono nella Sala dei Giganti, gli spettacoli sono all'Antonianum; i corsi di Esperanto attivati per l'occasione si svolgono nelle aule della Facoltà di Lettere, poste cortesemente a disposizione dal preside Vincenzo Milanesi. All'inaugurazione e nelle serate si esibisce, insieme alla cantante Giusy Irienti, il pianista Aldo Fiorentin, allora giovane già affermato, oggi professore al Conservatorio di Adria, vincitore di vari premi nazionali e internazionali; i due solisti si alternano con una rappresentazione di pupi del Teatro di Stato di Budapest ed un recital del chitarrista polacco Jerzy Handzlik. La Sezione teatrale del Club Studentesco Esperantista dell'Università di Zagabria, porta in scena la versione in Esperanto della commedia ruzantiana Il Parlamento, e il testo ha la prefazione di Marisa Milani, anch'ella docente del nostro ateneo . In altra serata viene presentata un'antologia in Esperanto di poeti del Novecento  (per i contatti con i poeti collaborarono i professori padovani Armando Balduino e Silvio Ramat). Il congresso ha ampia risonanza sui giornali, dato che vari eventi del programma sono aperti al pubblico: la tavola rotonda sul tema "L'Europa e gli immigrati: il ruolo dell'Esperanto" viene effettuata all'aperto di fronte al Bo', mentre lungo il porticato di via Oberdan un maestro internazionale di scacchi, il cecoslovacco L. Fiala, effettua dieci partite in simultanea con appassionati locali. La serata "Musica in piazza" si svolge in Piazza dei Signori sotto la direzione artistica di Franco Serena e vi partecipano due complessi padovani ("The Beat Shop" e "Serena") e il complesso vocale "Eterna Muziko" di Leningrado.  In coda al congresso si ha, sempre ospitata al Liviano, una giornata di studio dell'Accademia Internazionale delle Scienze San Marino sulla modellizzazione matematica del linguaggio; gli atti, redatti in italiano, Esperanto e inglese, escono come Rapporto Interno del Dipartimento di Matematica Pura ed Applicata . In concomitanza con il congresso e nello stesso periodo la galleria della Sala dei Giganti accoglie l'esposizione "Vita e cultura in lingua Esperanto", sponsorizzata dalla Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e curata da Giorgio Silfer, del Centro Italiano di Interlinguistica. La mostra è organizzata in varie parti: espositiva, recitativa, teatrale, musicale e vuole far conoscere come la comunità che parla la lingua internazionale abbia una forte autocoscienza e sia molto ricca culturalmente, pur partecipando ognuno anche alla cultura del proprio paese. Nel 1996 esce un dizionario italiano-Esperanto , presentato al pubblico padovano da Alberto Mioni, ordinario di glottologia, in una giornata alla Sala della Gran Guardia; a tale giornata partecipa anche, con un messaggio di saluto, Antonio Lepschy, ordinario di controlli automatici. Dal 1997 al 2000 ha trascorso periodi di studio presso l'Università di Padova (come ricercatore e anche come correlatore di tesi di laurea in Psicologia) il chimico Luigi Garlaschelli dell'università di Pavia, tra i fondatori del gruppo esperantista di Pavia, il quale si occupa anche di indagini sui presunti fenomeni paranormali.  In varie università italiane vengono fatti studi sulla lingua internazionale; in particolare, all'Università di Torino opera un validissimo gruppo di storici della matematica che si occupa di Peano. Tesi di laurea su questi argomenti sono state discusse molto recentemente a Torino, Roma, Genova, Venezia; nell'ateneo torinese vi è un corso istituzionale di "Interlinguistica ed Esperantologia"; all'Università Statale di Milano nel 2006 una parte del corso di "Storia della filosofia contemporanea" è stata dedicata ai linguaggi artificiali ; la biblioteca della Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM a Milano ha una consistente sezione dedicata all'Esperanto. All'Università di Padova l'interesse per la lingua internazionale non riveste semplicemente un ruolo collaterale: presso il Dipartimento di Matematica Pura ed Applicata, come ricerca istituzionale nell'ambito del finanziamento ministeriale ex-60%, è stato elaborato un analizzatore morfologico dell'Esperanto ; nello stesso ambito sono stati pubblicati uno studio di statistica linguistica su un corpus in Esperanto , una traduzione dal latino in Esperanto di un brano del De numeris di Cardano  e, in collaborazione con l’Università Industriale Statale di Mosca, un testo in Esperanto di storia della scienza e della tecnica . In particolare Carlo Minnaja, professore a Padova dal 1965 e professore onorario all’Università statale “Lucian Blaga” di Sibiu (RO) dal 2002, ha svolto un'intensa attività nelle organizzazioni esperantiste ed è membro dal 1973 dell'Accademia di Esperanto; per la diffusione della cultura italiana tramite traduzioni nel 1990 gli è stato assegnato il Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri . Non solo professori, ma anche studenti del nostro Ateneo usano nei loro studi lingue pianificate. Nell’anno accademico 2000-2001 è stata discussa una tesi di laurea in matematica sulle serie di Chebyshev, tesi tradotta poi in Interlingua . Opera di studenti o ex-studenti del nostro Ateneo è la traduzione in Esperanto dei Malavoglia, presentata al congresso mondiale a Firenze nell'agosto 2006 : dei tre traduttori, Paola Tosato e Giancarlo Rinaldo sono stati studenti-lavoratori, mentre Anselmo Ruffatti si è laureato a Padova in medicina. Del pari allievo dell'Università di Padova per il conseguimento del titolo di Direttore Didattico è stato Filippo Franceschi, che, sotto lo pseudonimo di Sen Rodin, è un apprezzato autore di novelle in Esperanto. La nostra università quindi continua nella sua opera di produzione e diffusione della cultura anche attraverso la lingua internazionale.Un validissimo lavoro in italiano su lingue "universali" e poi "internazionali" proposte da matematici è: CLARA SILVIA ROERO, I matematici e la lingua internazionale, «Bollettino Unione Matematica Italiana», Sez. A, Agosto 1999, p. 159-182. Esso tuttavia, per quanto riguarda l'Italia, si focalizza quasi soltanto su Giuseppe Peano e la sua scuola, con particolare riguardo agli eventi del primo decennio del secolo scorso; si arresta quindi con l'estinguersi, nel 1936, della rivista ispirata dal Peano «Schola et Vita». Qualche informazione sulla matematica in Esperanto si trova in un sito dell'università svedese di Uppsala, http://www.math.uu.se/~kiselman/mathesp.html; numerosi articoli di matematica in Esperanto si trovano in «Scienca Revuo», rivista che esce ininterrottamente dal 1949; gli indici delle annate dal 1993 sono disponibili al sito www.ais-sanmarino.org/publik/sr/index.html.    Sull'algebra medioevale, vd. RAFFAELLA FRANCI, Una traduzione in volgare dell'Al-Jabr di al-Kwarizmi, in RAFFAELLA FRANCI, PAOLO PAGLI, ANNALISA SIMI (a cura di), Il sogno di Galois, Siena, Centro Studi della Matematica Medioevale - Università di Siena, 2003, p. 19-40.   In Francia ancora alla fine dell'Ottocento le tesi in filosofia erano obbligatoriamente in latino. In Italia l'obbligo di far lezione in italiano nelle università (con eccezione per Teologia ed Eloquenza latina) si ha con il Regio Decreto del 18 aprile 1850 per il Regno di Sardegna, esteso poi con l'unificazione a tutto il Regno d'Italia; vd. ROERO, I matematici, p. 159, nota 2.   Nome latinizzato del pedagogista e riformatore moravo Jan Amos Komenský (1592-1670). Sui progetti di lingua internazionale di Comenius vd. G. FORMIZZI, La lingua pansofica di Comenio, «L'Esperanto», 4-5, 1989, p. 39-61. Giordano Formizzi, professore di pedagogia all'Università di Padova e poi all'Università di Verona e all'Accademia Internazionale delle Scienze San Marino, ha tradotto in italiano altre opere di Comenius: la Panglottia, La via della luce e l'Angelus pacis, edite dalla Libreria Editrice di Verona, nonché la Panorthosia, edita a Verona da Gabrielli. In quest'ultima opera Comenius propone un progetto di riforma del mondo che include la proposta di una lingua universale.   La raccolta più completa di lingue immaginarie, inventate o pianificate, corredata di ampio commento, è: PAOLO ALBANI, ALIGHIERO BUONARROTI, Aga Magéra Difura, Bologna, Zanichelli, 1994. Più recente è un'edizione francese: PAOLO ALBANI, ALIGHIERO BUONARROTI, Dictionnaire des langues imaginaires. Paris, Belles lettres, 2001. Di spirito diverso, quasi ludico, che si può leggere come un romanzo è: ALESSANDRO BAUSANI, Le lingue inventate, Roma, Ubaldini, 1974.  Con valore storico, ma di notevole completezza per l'epoca, è un'opera in Esperanto: PETER E. STOJAN, Bibliografio de internacia lingvo, Genève, Bibliografia Servo de Universala Esperanto-Asocio, 1929.    Sulla storia delle lingue inventate, o pianificate in maggiore o minore misura, citiamo, a puro titolo di esempio, in italiano: UMBERTO ECO, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Roma-Bari, Laterza, 1993; il testo più recente è in Esperanto: ALEKSANDR DULIČENKO, En la serĉado de la mondolingvo, aŭ interlingvistiko por ĉiuj (Alla ricerca di una lingua mondiale, o interlinguistica per tutti), Kaliningrado, Sezonoj, 2006, traduzione dall'originale russo che ancora non è apparso a stampa. Di valore storico è: LOUIS COUTURAT, LÉOPOLD LEAU, Histoire de la langue universelle, Paris, Librairie Hachette, 1903, 2a ed. 1907, con il suo aggiornamento: LOUIS COUTURAT, LÉOPOLD LEAU, Les nouvelles langues internationales, Paris, [Librairie Hachette], 1907; una nuova edizione è uscita presso Olms, Hildesheim-New York, 1979.   Il titolo intero è Via lucis, Vestigata & Vestiganda, h. e. Rationabilis disquisitio, quibus modis intellectualis animorum LUX, SAPIENTIA, per omnes omnium hominum mentes et gentes iam tandem sub mundi vesperam feliciter spargi possit. Nempe ad intelligenda melius illa Oraculi verba Zachariae 14, v. 7: Et erit, ut vespere fiat lux.   Il termine "universale" attribuito ad un linguaggio per esprimere qualsiasi concetto in maniera comprensibile a popoli di lingue diverse muterà poi in "internazionale" circa due secoli dopo, quando sarà riferito soltanto ad espressioni linguistiche.    Juan Luis Vives (1492-1540), filosofo e umanista spagnolo, sostiene la necessità di una lingua unica e universale nella sua opera De tradendis disciplinis (1531); ne esiste una traduzione italiana commentata di Luigi Gallinari, uscita a Cassino, Ed. Sangermano (1984).   KOMENSKY, La via, p. 246.   Ivi, p. 250.   Di Comenius non esiste ancora un'edizione completa delle opere; un progetto, affidato all'Università di Praga, la prevede in una trentina di volumi, ma l’edizione si è arrestata ben prima del completamento. L’ultimo volume edito è uscito nel 1992, in occasione del quarto centenario della nascita di Comenius (comunicazione all'A. di G. Formizzi).   George Dalgarno (c. 1626-1687), pedagogista scozzese, fu tra i primi ad occuparsi dell'istruzione dei sordomuti, elaborando un sistema di segni, che espose nell'opera Ars signorum: vulgo character universalis et lingua philosophica (1661) e nel Didascalocophus (1680).   John Wilkins (1614-1672), vescovo di Chester, tra i fondatori della "Royal Society" londinese, cognato di Cromwell. Nel 1668 pubblica l'opera An Essay Towards a Real Character and a Philosophical Language; in essa tutte le idee di natura più semplice sono classificate in un sistema gerarchico e collocate in una tabella. C'è un elenco primario di quaranta generi, ciascuno suddiviso in sei "differenze", e ciascuna differenza è poi suddivisa in specie. Vengono così raccolti e classificati 2030 concetti. Ad ogni genere corrisponde una coppia di lettere iniziali, ad ogni differenza una consonante maiuscola, ad ogni specie una vocale o gruppo di vocali minuscole. Vengono così ad essere costituite le radici, alle quali poi si aggiungono le derivazioni e la flessione pertinente alla morfologia. Le parole sono quindi costituite da successioni di lettere che corrispondono al posto del termine nella tabella. Questa lingua viene presentata da Wilkins alla Royal Society, che ne demanda lo studio ad una commissione di esperti, tra i quali gli scienziati Robert Boyle (1627-1691), che diventerà famoso per una legge sui gas perfetti, e il suo assistente Robert Hooke (1635-1703), che pure resterà famoso per una legge sull'elasticità dei corpi. Non si è trovata tuttavia una relazione sulla questione.   Così in COUTURAT, LEAU, Histoire; va detto tuttavia che al tempo dell'uscita di tale opera molti degli scritti di Leibniz erano ancora sconosciuti.   Così presentato in COUTURAT, LEAU, Histoire, p. 23 (trad. dal francese dell'A.).   Il nome è derivato da Pacidius, pseudonimo sotto il quale Leibniz voleva pubblicare la sua Encyclopedia; vd. LOUIS COUTURAT, Opuscules et fragments inédits de Leibniz, Paris, Felix Alcan, 1903.   Cfr. STOJAN, p. 41 (trad. dall'Esperanto dell'A.).   G. W. LEIBNIZ, Scritti di logica, 2 voll., Roma-Bari, Laterza, 1992, p. 425.   Vd. ANDRÉ ROBINET, L’empire leibnizien, Trieste, LINT, 1991.   Per una biografia estesa vd. ENRICO NESTORE LEGNAZZI, Commemorazione del conte Giusto Bellavitis letta il 6 dicembre 1880, Padova, Prosperini, 1881. Per una biografia più succinta vd. NICOLA VIRGOPIA, Bellavitis, Giusto, in Dizionario Biografico degli Italiani, 7, Roma, Ist. Enc. It., 1965, p. 621-622.   GIUSTO BELLAVITIS, Pensieri sopra una lingua universale, «Memorie dell'I. R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti», 11, 1862, p. 33-74; un'edizione a parte è apparsa nel 1863 presso la Segreteria del detto Istituto.   GIUSTO BELLAVITIS, Saggio di applicazioni di un nuovo metodo di geometria analitica - calcolo delle equipollenze, «Annali delle Scienze del Regno Lombardo-Veneto», t. 5, bim. 5.-6. (set.-dic. 1835); GIUSTO BELLAVITIS, Memoria sul metodo delle equipollenze, «Annali delle Scienze del Regno Lombardo-Veneto», 7, 1837, p. 243-261.   LEGNAZZI, Commemorazione, nota 9, pag. 66.   Ivi, p. 6. Il libretto citato fu esibito al pubblico durante al commemorazione citata. Attualmente non è noto il  luogo dove sia conservato.   BELLAVITIS, Pensieri, p. 34.   Ivi, p. 35-36.   Lazzaro Ludovico Zamenhof (1859-1917) nacque nella cittadina polacca di Bjałystok, che per il trattato di Tilsit (1807) era allora sotto la Russia. Dalla fine della I guerra mondiale è in Polonia.   BELLAVITIS, Pensieri, p. 50.   BELLAVITIS, Pensieri, p. 57-58.   Jean-François Sudre (1787-1862), musicista, professore a Sorèze, un collegio dei benedettini, riorganizzato nel 1854 dai domenicani. Sudre si dedicò anche alla telefonia, scrivendo un codice per la trasmissione a distanza di segnali fonici che fu adottato in Francia per impieghi militari.   Giovanni Vailati (1863-1909), laureato in ingegneria e quindi in matematica, si dedicò successivamente alle lingue e alla filosofia, in particolare alla logica; assistente di Peano, insegnò poi in varie scuole medie e fu uno dei promotori dei primi congressi internazionali di filosofia, nei quali, come vedremo, fu posto il problema di una lingua internazionale per la comunicazione scientifica. A Crema, sua città natale, esiste il “Centro Studi Giovanni Vailati”.   La citazione proviene dalla recensione ad opera di Vailati del libro di Couturat e Leau Histoire, citato precedentemente, in Scritti di G. Vailati (1863-1909), Leipzig-Firenze, Johann-Ambrosius-B. Seeber, 1911, p. 541-545.   GIUSTO BELLAVITIS, Utopie del socio ordinario Giusto prof. Bellavitis, Padova, G. B. Randi, 1867.   GIUSTO BELLAVITIS, Reminiscenze della mia vita: lettura accademica, Padova, G. B. Randi, 1877.   ERIKA LUCIANO, CLARA SILVIA ROERO (a cura di), Giuseppe Peano - Louis Couturat: Carteggio (1896-1914), Firenze, Olschki, 2005. L’opera contiene una bibliografia molto estesa.   Padova, Tipografia del Seminario, 1891.   «Rivista di Matematica», II (1892), p. 143-1444.   Vd. il pregevole lavoro: SANTUZZA BALDASSARRI GHEZZO, Giuseppe Veronese - Matematico dell'Università di Padova, Padova, Dip. Matematica Pura ed Appl., 1995.   LÉOPOLD LEAU, Une langue universelle est-elle possible? Appel aux hommes des sciences et aux commerçants, Paris, Gauthier-Villars, 1900.   Per la storia della lingua internazionale e in particolare delle vicende qui riportate si possono utilmente vedere: UBALDO SANZO, L'artificio della lingua, Milano, FrancoAngeli, 1991; ROERO, I matematici.   Hippolyte Sebert (1839-1930), generale di artiglieria dell'esercito coloniale francese, fece numerosi studi di balistica; ritiratosi dall'esercito, fu consulente industriale e si occupò di impianti di distribuzione dell'elettricità. Le sue iniziative per rendere disponibile su larga scala la bibliografia scientifica lo portarono, negli ultimi anni dell'Ottocento, ad interessarsi di una lingua internazionale. Adepto dell'Esperanto, fu poi un grande organizzatore e finanziatore dell'attività esperantista.   LOUIS COUTURAT, La logique de Leibniz, Paris, Alcan, 1901; ripubblicato poi presso Olms, Hildesheim, 1961.   Nella sua opera De l'Infini mathématique (1896) Couturat aveva utilizzato la memoria del Bellavitis sul calcolo delle equipollenze.   Johann Martin Schleyer (1831-1912), parroco cattolico in una cittadina tedesca sul lago di Costanza, fu nominato "cameriere segreto" da Leone XIII.   La lettera, già citata nel 1991 come inedita in SANZO, L’artificio, p. 98, è ora comparsa nel citato carteggio tra Couturat e Peano.   LOUIS COUTURAT, LÉOPOLD LEAU, Conclusions du rapport sur l'état présent de la question de la langue internationale, Coulommiers, Brodard, 1907.   GIUSEPPE PEANO, Prof. Louis Couturat, «Revista Universale», IV, 40, 1914, p. 78-79. La «Revista Universale» era un periodico sulla lingua internazionale edito a Ventimiglia dal 1911; per le collaborazioni di Peano a varie riviste vd. il cd-rom CLARA SILVIA ROERO (a cura di), Le riviste di Giuseppe Peano, Torino, Dipartimento di Matematica, 2003.   Con tale nome verranno poi indicati vari altri progetti di lingua internazionale, in particolare quello sostenuto dalla International Auxiliary Language Association (I.A.L.A.), fondata nel 1924 dall'americana Alice D. Morris, la quale, entusiasmatasi dell'Esperanto per le sue idee filantropiche di fratellanza universale, fonda una specie di seconda Delegazione per l'adozione di una lingua ausiliaria internazionale. Dopo tentativi infruttuosi di diffondere l'Esperanto, ostacolati da alcuni linguisti, la I.A.L.A. propone nel 1951 una nuova lingua internazionale elaborata dallo statunitense Alexander Gode, che si chiamerà anch'essa Interlingua e che godrà per un periodo limitato di un certo successo nelle riviste scientifiche. Sulla sua diffusione attuale, vd. il sito della Union Mundial pro Interlingua: www.interlingua.com.   Couturat in una lettera a Bertrand Russell del 30 dicembre 1912 contesta la validità scientifica di tale accademia, poiché vi si entra con il semplice pagamento di una quota, e nega che essa sia la prosecuzione dell'Accademia volapükista. Per la citazione esatta vd. ANNE-FRANÇOISE SCHMID, Bertrand Russell, Correspondance sur la philosophie, la logique et la politique avec Louis Couturat (1897-1913), Paris, Kimé, 2001, vol. 2, p. 643, riportata in LUCIANO, ROERO, Giuseppe Peano, p. 180, nota 4.     TULLIO LEVI-CIVITA, Programma de cursu de Mathematica superiore in Universitates italiano, «Schola et Vita», VII, 1932, p. 196-197.   Vd. ad es., per l’Ido, PAOLO LUSANA, Vocabolario moderno Ido-Italiano ed Italiano-Ido, Biella, Tip. Magliola, 1921. L’Ido, che continua a definirsi “Esperanto reformita”, ha tuttora adepti e un’organizzazione che ne promuove la diffusione; vd. http://idolinguo.org.uk. Per l’Interlingua vd. UGO CASSINA, MARIO GLIOZZI, Interlingua, Milano, Villa, 1945.   Per l’attività del movimento esperantista e la pubblicistica in Esperanto vd. http://www.esperanto.it.   Attualmente il Gruppo Esperantista Padovano, erede del Circolo Esperantista, aderente alle Associazioni di base della Regione Veneto, è intitolato a Giovanni Saggiori, che ne è stato animatore per oltre sessant'anni, ed ha sede in Via Barbieri 18.   ROĜERO PANEBIANCO, Fizika proksimigo, verkita de Roĝero Panebianco, Profesoro de Mineralogio en la Universitato de Padovo (Approssimazione fisica, scritto da Ruggero Panebianco, Professore di Mineralogia nell'Università di Padova), Berlino, R. Friedland kaj filo (e figlio), 1914; è da notare anche l'esperantizzazione del nome in "Roĝero".   Trad. dall’Esperanto dell’A.   RUGGERO PANEBIANCO, Gravokristalaj X-radileĝoj kaj L' aserto ke la kristaledrindicoj estas racionalnombroj ne estas naturiste kaj ne difinas ilin (Importanti leggi cristallografiche basate sui raggi X e L'asserzione che gli indici di spigolo dei cristalli sono numeri razionali non è naturale e non li definisce), «Rivista di Mineralogia e Cristallografia Italiana», XLIV, 1915, pp. 1-36 + 4 di Aldono post linio 3, pĝ. 36 (Aggiunta dopo la riga 3, p. 36).    RUGGERO PANEBIANCO, Proksimigo de la refraktigindicoj (Approssimazione degli indici di rifrazione), Padova, Società Cooperativa Tipografica, 1916.   Presso la Biblioteca Universitaria di Padova vi è una copia di tale opuscolo con la dedica autografa del traduttore a Roberto Ardigò; segnatura: Bibl. Ardigò, D. Ba 8/5, inv. 401682.   I corsivi sono nell'originale.   ANGELO FILIPPETTI, Ancora sull’Esperanto, «Avanti!», 7 febbraio 1918, p. 2.   A. G. (Antonio Gramsci), La lingua unica e l'Esperanto, «Il grido del popolo», n. 708, 16 febbraio 1918, p. 1. Gramsci riaffermò anche successivamente le sue posizioni, vd. ad es. ANTONIO GRAMSCI, Quaderni dal carcere, vol. II, Quaderni 6-11, Torino, Einaudi, p. 1466-1467. Tali posizioni furono in seguito ritenute da rivedere anche all'interno del suo partito: vd. ANTONIO CARANNANTE, Antonio Gramsci e i problemi della lingua italiana, «Belfagor», XXVII, 5, 1973, pp. 544-556. Una replica riassuntiva si trova in GIORGIO SILFER, Gramsci e l'esperanto: storia di un malinteso, «Lombarda esperantisto», 14 novembre 1983, pp. 2-7.    RUGGERO PANEBIANCO, Thulite de Varallo in Valsesia, Padova, Soc. Coop. Tip., 1921.   Si tratta del Volapük.   RUGGERO PANEBIANCO, Lege de Haüy et lege de Symmetria, Cuneo, Un. Tip. Ed. Prov., 1922   RUGGERO PANEBIANCO, Hypnotismo et Necromantia (spiritismo); nota de naturalista R. Panebianco, Torino, Acad. Pro Interlingua, 1923; RUGGERO PANEBIANCO, Regula de Camaro de longa et sana vita, «Schola et Vita, Revista in Interlingua», ni. 1, 2, 3, 1927; ripubblicato a Milano, Inst. Pro Interlingua, 1927.   Riportato in «L'Esperanto», 1914, p. 2.   Le trasmissioni radio dell'EIAR in esperanto durarono dal 1935 al 1942; esse furono riprese nel 1950 a cura della Presidenza del Consiglio e durano tutt'ora.   Giovanni Saggiori (1892-1984), ufficiale del genio, radiotecnico, sindaco di Fossò (1927-1930), fu presidente del Gruppo padovano per oltre sessanta anni. Esperto di toponomastica padovana, fu autore del volume Padova nella storia delle sue strade, Padova, Piazzon, 1972.   Ancora oggi il Gruppo Esperantista è presente ogni anno alla fiera di Padova con un proprio stand.   Il progetto Eurotra si riprometteva di ottenere una "Fully Automatic High Quality Translation" da una all'altra delle lingue europee, che erano sette alla fine degli anni '70 per arrivare a nove nel 1994 quando il progetto fu dichiarato terminato. Per quanto fortemente finanziato dalla Commissione della Comunità Europea, esso fallì completamente nel suo intento, effettivamente troppo ambizioso, ma gli studi che stimolò servirono come base per un notevole numero di sistemi di traduzione automatica aventi scopi molto più limitati. Attualmente l'Unione Europea si giova del sistema SYSTRAN, che è disponibile per un certo numero di coppie linguistiche. Sono disponibili oltre una decina di moduli con l'inglese come lingua di partenza (L1) e di arrivo (L2); per l'italiano sono disponibili soltanto i traduttori automatici con il francese e l'inglese. Le prestazioni offerte da tale sistema sono tuttavia ancora parecchio lontane da quanto può offrire un traduttore umano, che però spesso non è disponibile. La comunicazione all'interno delle strutture dell'Unione Europea resta comunque deficitaria: sui suoi costi vd. R. SELTEN (red.), The Costs of European Linguistic (non) Communication, Roma, ERA, 1997.   Giordano Formizzi è stato presidente della Federazione Esperantista Italiana dal 1987 al 1993 e dal 1995 al 2001.   Sull’attività dell’ AIS San Marino vd. www.ais-sanmarino.org.. Successivamente nascerà anche l'Università della Repubblica di San Marino, istituita con la legge-quadro n. 127 del 31.10.1985, e che oggi ha come rettore Giorgio Petroni, professore di Tecnica e Gestione dei Sistemi Industriali alla Facoltà d'Ingegneria di Padova.   G. CLAUZADE, C. ROUX, Likenoj de Okcidenta Eŭropo, «Bulletin de la Société Botanique du Centre-Ouest», Nouvelle série, Numéro Spécial: 7-1985.   G. CANIGLIA, Dizionario di esperanto, «Notiziario della Soc. Lichenologica Italiana», V, 1992, p. 43-63.   JA. O. MATVIJIŜYN (a cura di C. Minnaja), La cultura e la scienza, con particolare riguardo alla matematica, nei rapporti tra Italia e Ucraina, Padova, Dip. Matematica Pura ed Appl. (Rapp. Int. 20), 1990.   A. BEOLCO, Interparolo (tr. C. Minnaja), Pisa, Edistudio, 1990. Marisa Milani (1935-1998), all'epoca professore di Letteratura delle tradizioni popolari all'Università di Padova, fu una apprezzata studiosa del Ruzante.   C. MINNAJA, Enlumas min senlimo (M'illumino d'immenso), Prilly, LF-koop, 1990.   C. MINNAJA (a cura di), Modellizzazioni Matematiche per le Scienze del Linguaggio, Padova, Dip. Matematica Pura ed Appl. (Rapp. Int. 25), 1990.   C. MINNAJA, Vocabolario italiano-Esperanto, Milano, Cooperativa Editoriale Esperanto, 1996.   Vd.: P. VALORI (a cura di), Materiali per lo studio dei linguaggi artificiali nel Novecento, Milano, CUEM, 2006.   C. MINNAJA, L. G. PACCAGNELLA, A Part-of-Speech Tagger for Esperanto oriented to MT, International Conference MT 2000 - Machine Translation and multilingual Applications in the new Millennium, Exeter, 2000, p. 13.1-13.5.   C. MINNAJA, Statistika analizo de la paroladoj de Ivo Lapenna (Statistical Analysis about Speeches by Ivo Lapenna), «Grundlagenstudien aus Kybernetik und Geisteswissenschaft», 41, 2, Juni 2000, p. 83-90.   G. CARDANO, Pri la noblo kaj utilo de ĉi arto kaj pri la malklaraj notacioj (Della nobiltà e utilità di quest'arte e delle notazioni oscure, da "De numeris", tr. C. Minnaja), «Literatura Foiro», 194, 2001, p. 291.   C. MINNAJA, A. ŜEJPAK, Elektitaj lekcioj pri historio de scienco kaj tekniko - Избранные лекции по истории науки и техники (Lezioni scelte di storia della scienza e della tecnica), Mosca, Московский Государственный Индустриалъный Университет, 2006.   Tra le traduzioni si segnalano C. GOLDONI, La gastejestrino (La locandiera), Pisa, Edistudio, 1981; più recentemente: N. MACHIAVELLI, La princo (Il Principe), Pisa, Edistudio, 2006. Per l’attività e una bibliografia di Carlo Minnaja, vd. http://www.math.unipd.it/~minnaja.   Il laureando era Alberto Mardegan; vd.. http://www.interlingua.fi/marathe.htm   G. VERGA, La Malemuloj (I Malavoglia, tr. Giancarlo Rinaldo, Anselmo Ruffatti, Paola Tosato), Pisa, Edistudio, 2006.   L’autore ringrazia i colleghi Francesco Paolo Sassi e Giovanni Caniglia dell’Università di Padova e Giordano Formizzi dell’Università di Verona, nonché Andrea Montagner, bibliotecario presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano, per le preziose notizie fornite. Ubaldo Sanzo. Sanzo. Keywords: apollo licio, trovato al ginnasio liceo di Atene, figgurante il dio in atto di riposo dopo un gran sforzo. natura ed artificio, l’artificio della lingua, convenzionalismo, filosofia della lingua.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sanzo” – The Swimming-Pool Library.

 

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