Grice e Sanzo: la ragione conversazional tra natura
ed artificio – la filosofia lizia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Insegna a Brindisi, Milano,
e Salento. Fonda “Apollo Licio” o Lizio. Sube il fascino dell’esistenzialismo e
il orazionalismo. Rivolve la propria attenzione ai rapporti tra filosofia,
scienza e società. Si occupa di filosofi quali Becquerel, Boutruox, Corbino,
Couturate Curie, Enriques, Fermi, Frola, GEYMONAT, PEANO, VAILATI. Sui
fondamenti della geometria” (Brescia, La
Scuola, Collana "Il Pensiero"); “L’artificio della lingua, -- Grice:
“I like that: it’s my Gricese, a language I invent and which makes me the
master; there’s the arbitrary and there’s the artificial, and Sanzo,
reconstructing Peano’s project, fails to distinguish this” -- Milano, Angeli,
Collana di Epistemologia, Cimino; Sava, Il nucleo filosofico della scienza,
Galatina, Congedo, Collana di Filosofia, Scritti di fisica-matematica, Torino, POMBA,
I Classici della Scienza, Poincaré e i filosofi” (Lecce, Milella); Corbino,
Scienza e società, Saggi raccolti e commentati, Manduria, Barbieri, Collana di
Filosofia Hermes/Hestia, Scritti di fisica-matematica” (Milano, Mondadori,
"I Classici del pensiero", Unione Tipografico, Torino, Scientia, Rivista
di sintesi scientifica, “Apollo Licio”, Museo Galilei, Firenze. 1. I
PRODROMI Il problema della comprensione
internazionale nel campo della scienza inizia, come è noto, con i primi testi
scientifici scritti in lingue nazionali. Il latino, che per secoli era stato lo
strumento della cultura scientifica dell'Occidente, si era estinto nella
parlata comune e si andava lentamente estinguendo anche nella sua funzione di
unica lingua comune ai dotti. Trattati scientifici in lingue volgari appaiono
già alla fine del Duecento e la matematica commerciale è sempre più frequentemente
scritta in volgare; in italiano la prima trattazione di algebra è di Jacopo da
Firenze e appare nel 1307; nel 1344 appare un vero trattato di algebra del
Maestro Dardi da Pisa . Il Seicento è comunque il secolo di passaggio, nel
quale i testi scientifici scritti originariamente in lingue nazionali
cominciano ad essere molto numerosi, benché a qualsiasi pubblicazione
scientifica in italiano, inglese o francese segua quasi immediatamente la
traduzione in latino. Le menti più attente cercano di trovare uno strumento che
possa sostituire il latino, che tuttavia vive ancora un lunghissimo tramonto:
tesi di laurea o lavori scientifici di matematica o di filosofia saranno
scritti in latino ancora nella seconda metà dell'Ottocento, ma si tratterà
ormai di casi sporadici . Per ovviare a questo rischio di mancanza di
comunicazione tra le persone colte, rischio che cominciava a diventare molto
concreto, numerosi pensatori del Seicento, tra i quali Cartesio, Mersenne,
Comenius , Leibniz, Kircher avevano dedicato tempo e sforzi all'idea di una
lingua universale ; sulla storia di questi tentativi e di tutti quelli che li
precedettero e li seguirono, la letteratura è vastissima . Difficile dire chi
fu il primo ad ideare una lingua completa ed effettivamente usata al di là di
qualche progetto e di qualche prova. Comenius presenta ampiamente e con molta
lucidità la necessità di una lingua universale nella Via lucis . L'opera fu
scritta in Inghilterra negli anni 1641-42 e circolò manoscritta per un quarto
di secolo; fu poi pubblicata ad Amsterdam nel 1668. Lo scopo del grande
pedagogista moravo è una riforma della scuola, la quale dovrà uniformarsi ad
una luce universale. I quattro requisiti della "via universale alla
luce" sono i libri universali, le scuole universali, il collegio
universale e una lingua universale . A questi quattro requisiti Comenius dedica
cinque dei ventidue capitoli della sua opera, e il più esteso è quello dedicato
alla lingua universale. In superamento di Luis Vives , del quale egli cita la
propensione all'adozione del latino come lingua universale dei dotti, Comenius
propone con coraggio una lingua del tutto nuova, e cita a sostegno di questa
idea varie ragioni: la prima è che […]
con la lingua universale si provvede a tutti nello stesso modo, mentre con la
latina provvederemmo soprattutto a noi che già la conosciamo, non ugualmente,
invece, ai popoli barbari (per i quali, in proposito, c'è una ragione in più,
perché essi costituiscono la parte maggiore della Terra), ai quali la lingua
latina, come le altre, anzi, ancor di più, è ignota e difficile. Le complicazioni delle lingue sono opera
degli uomini, e alle confusioni della comunicazione si deve ovviare tramite una
lingua nuova: Auspichiamo, quindi, una
lingua assolutamente (1) razionale, che nella sua struttura materiale e formale
non abbia nulla (nemmeno il più piccolo apice) di non significativo, (2)
analogica, che non contenga di fatto nessuna anomalia, (3) armonica, che non
inserisca discrepanza alcuna tra le cose e i loro concetti, così da esprimere
con la stessa parola la natura e la differenza delle cose, divenendo così quasi
un imbuto della sapienza. Alla domanda
su quale sia il modo migliore per costruire tale lingua, Comenius indica due
possibilità: o perfezionare le lingue più note, o perfezionare le cose stesse.
Questa seconda ipotesi è quella che Comenius preferisce, perché più realistica,
"anche se talvolta, per esprimerle esattamente, sarà necessario riordinare
tutto". Comenius cita le menti illuminate che già hanno pensato a questo:
è noto l'interesse di padre Marino Mersenne (1588-1648) che scrisse sia a
Cartesio che a Comenius stesso sull'argomento. Comenius non costruisce una
lingua universale, ma dice quali dovrebbero essere le sue caratteristiche; egli
pensa che sia possibile costruire una lingua dove le singole parole stiano
"al posto delle loro definizioni, perché composte secondo le esigenze
delle cose stesse". Nella lettera che gli scrive Mersenne (22 dicembre
1640) viene citato un "carattere universale" elaborato per circa
venti anni da Jean Marie Le Maire (1601-1643), un gentiluomo della corte di
Luigi XIII. Il "carattere universale" è un sistema di segni che
ognuno può leggere nella propria lingua, e che sono posti in corrispondenza
delle cose stesse. Si tratta quindi di una specie di alfabeto piuttosto che di
lingua, e certamente non usabile oralmente. Le Maire aveva anche inventato una
nuova forma di notazione musicale. I tempi sembrano maturi per l'effettiva
costruzione di un linguaggio universale .
Un altro scienziato che si dedicava in quel tempo al problema è Wilhelm
Gottfried Leibniz (1646-1716). Matematico, diplomatico, storico, egli ha
armonizzato antiche idee con progetti nuovi al fine di creare una lingua
universale. Tutti gli ideatori di lingue universali del XVIII e del XIX secolo
sono stati sotto l'influsso di Leibniz, che a sua volta aveva studiato ed
ereditato idee da Bacone, Cardano, Kircher, Raimondo Lullo e, soprattutto, da
George Dalgarno e John Wilkins . Leibniz,
slavo di origine e tedesco-orientale di nascita, viaggiò molto; scrisse
principalmente in francese e in latino, progettò una unione di cattolici e
protestanti, studiò e incoraggiò a studiare lingue dell'Asia allora
sconosciute, ebbe corrispondenza col re di Francia e con lo zar di Russia, e progettò
di fondare una società mondiale di missionari. Scienziato universale ed
enciclopedico, fu fondatore di una filosofia dell'armonia, secondo la quale
"l'universo è regolato da un ordine perfetto" e "l'anima e il
corpo si incontrano data l'armonia che c'è in tutte le sostanze, perché tutte
sono rappresentazioni del medesimo universo". Nella matematica fu il
fondatore nell'Europa continentale del calcolo differenziale, e ancora oggi si
usano le sue notazioni; può considerarsi un precursore dell'informatica, in
quanto fu l'ideatore del sistema binario. Da idee piuttosto diverse, come
crittografia, ideografia, geroglifici, Leibniz concepì l'ispirazione di una
lingua universale, o piuttosto di un complesso universale di segni che potesse
esprimere il pensiero umano, espresso così nebulosamente con le parole.
"Dio creò la lingua" era la credenza degli indiani antichi;
"Adamo creò la lingua" credevano i saggi dell'Europa medievale. In
entrambe le filosofie la lingua si presentava come un prodotto artificiale, in
principio perfetto e unico, e in seguito degenerato, frantumato, rotto a causa
dell'imperfezione e limitatezza umana. Già da adolescente Leibniz aveva sognato
una lingua universale: la sua Ars combinatoria (1666) fu scritta quando non
aveva ancora 19 anni, ma i suoi studi più intensi sul problema si pongono
attorno al 1679 . Leibniz non scrisse un'opera specifica sulla lingua
universale, ma le sue idee sono sparse in vari suoi scritti, dei quali molti
ancora inediti: nella biblioteca di Hannover esistono ancora manoscritti non
pubblicati, in francese, in latino, in tedesco. Per quanto finora è stato
pubblicato, due sono stati i suoi progetti sull'argomento: uno è un sistema di
calcolo logico sotto il nome Characteristica universalis, che ricalca la classificazione
di Wilkins e che dovrebbe essere applicabile a tutte le idee e a tutti gli
oggetti del pensiero: Tutte le idee
complesse sono combinazioni di idee semplici, come tutti i numeri non primi
sono prodotti di numeri primi. La composizione delle idee tra loro è analoga
alla moltiplicazione aritmetica, e la decomposizione di un'idea nei suoi
elementi semplici è analoga alla decomposizione di un numero nei suoi fattori
primi. Ammesso questo, è naturale rappresentare le idee semplici con i numeri
primi e le idee composte di questi o quei numeri primi tramite il prodotto dei
numeri primi corrispondenti. Il secondo
progetto è una vera lingua internazionale pratica su base latina con una
grammatica semplice e regolare, nella quale Leibniz descrive dettagliatamente
la derivazione dei verbi dai sostantivi. In un altro manoscritto Leibniz dice
che in questa lingua universale verranno scritti poemi e inni da potersi
cantare. Altrove Leibniz sogna un "Ordo caritatis” e una ”Societas
Pacidianorum", una società di teofili che celebri le lodi di Dio e si
opponga all’ateismo . Questa società di saggi raccoglierà tutto il sapere
dell'uomo, elaborerà una lingua opportuna e organizzerà missioni tra i popoli
selvaggi per diffondere tra questi l'idea della cultura. È dunque proposta una
vera operazione culturale mondiale. E scrive ancora: Questa lingua sarà il maggiore strumento
della ragione. Oso dire che questa sarà l'ultima fatica dello spirito umano, e
quando il progetto sarà realizzato, dipenderà solo dagli uomini la loro
felicità, perché avranno uno strumento che servirà per entusiasmare la ragione
non meno di quanto il telescopio serva per rendere più acuta la vista. Sono
certo che nessuna invenzione sarà importante quanto questa, e nulla potrà
rendere del pari famoso il nome del suo ideatore. Ma ho motivi ancora più forti
per pensare ciò, perché la religione, che seguo fedelmente, mi assicura che
l'amore di Dio consiste nell'ardente desiderio di raggiungere il bene comune e
il mio intelletto mi dice che nulla contribuisce maggiormente al bene di tutti
gli uomini quanto ciò che lo perfeziona.
Leibniz pensa di usare numeri per tradurre le lettere dell'alfabeto di
qualsiasi lingua e costruisce una tavola di corrispondenze a questo scopo; egli
annota sulla sua copia della Ars signorum di Dalgarno un commento relativo a
suoi contatti con Robert Boyle ed Enrico Oldenburg riguardanti la scrittura
universale, ed annuncia una propria relazione su tali tentativi ; tuttavia di
questa relazione non si ha poi notizia.
La costruzione di un linguaggio universale si prospettava dunque
principalmente sotto due aspetti, e con due proposte di soluzione: la scelta di
una lingua basata sul latino, che pur sempre era conosciuto e studiato dalle
classi colte, ma più facile, oppure la scelta di una lingua logica, senza, o
quasi senza, connessioni con una lingua esistente; una lingua che potesse far
riferimento a figure, o a suoni, o ad altri segni ritenuti universali. 2. GIUSTO BELLAVITIS Leibniz non fu mai professore all’Università
di Padova, ma nel primo ventennio del 18° secolo ebbe una forte influenza sulle
chiamate alla cattedra padovana di matematica. Tale influenza fu effettuata
tramite lettere e colloqui e condusse alla chiamata di Jakob Hermann e quindi
di Nicolas Bernoulli, entrambi ginevrini . Tra i successori di Leibniz
nell’idea di un linguaggio universale si colloca il matematico bassanese Giusto
Bellavitis (1803-1880) . Nel 1862 appare un suo lungo scritto, Pensieri sopra
una lingua universale e su alcuni argomenti analoghi, nelle «Memorie dell'I. R.
Istituto veneto di scienze, lettere ed arti» . Bellavitis è, all'epoca,
professore ordinario di geometria descrittiva all'Università di Padova,
cattedra assegnatagli nel 1845, dopo due anni di insegnamento di matematica
elementare e meccanica al Liceo a Vicenza, dove era subentrato a Domenico
Turazza, chiamato alla cattedra di Geometria Descrittiva all’Università di
Pavia. Figlio unico, Bellavitis non aveva seguito corsi scolastici regolari
perché la famiglia temeva che potesse frequentare cattive compagnie; era stato
istruito in casa da un maestro e principalmente dal padre, ragioniere
municipale del comune di Bassano. Estremamente desideroso di apprendere, aveva
letto fin da ragazzo moltissimi libri, spesso presi in prestito, perché le
finanze della famiglia, nobile ma decaduta, non consentivano molti acquisti. A
quindici anni già conosceva ed usava il calcolo differenziale e integrale,
aveva appreso il latino, il tedesco e il francese, e ancora giovanissimo aveva
compilato un dizionario di tedesco organizzandolo non alfabeticamente, ma per
radici fondamentali, attorno alle quali si raggruppavano le parole derivate;
scriverà poi per il figlio quattro vocabolari di tedesco, dei quali il secondo
è ordinato per consonanti, che costituiscono gli elementi immutabili della
radice, mentre le vocali possono mutare. Successivamente si dedicherà anche ad
altre lingue: inglese, spagnolo, portoghese (di cui scriverà un dizionario nel
1878), danese, russo. Nel 1825 fu per tre mesi a Padova, dove ascoltò alcuni
corsi di matematica all'università. Nel 1826 tentò un inizio di carriera
universitaria nell'ateneo patavino, ma la mancanza di titoli di studio gliela
precluse. Quindi fu impiegato del comune del suo paese natale, Bassano, come
"alunno" senza ricevere uno stipendio per buoni dieci anni, fin
quando non fu nominato "cancellista", carica pagata che tenne per
altri dieci anni fino al 1843. Veniva a Padova spesso, con viaggi a piedi che
duravano una decina di ore. Di matematica è semplicemente un autodidatta, copia
testi e impartisce lezioni private; costruisce la sua teoria delle equipollenze
dal 1832 a casa dell'amica carissima Maria Tavelli, che sposerà appena avrà uno
stipendio stabile, e dalla quale avrà l'unico figlio, Ernesto. Pubblica articoli
di matematica, fisica e chimica e la sua fama comincia a diffondersi; nel 1832
viene nominato membro dell'Istituto Veneto; nel 1835 e nel 1837 escono due suoi
importanti lavori sulle equipollenze, che preludono allo sviluppo del calcolo
vettoriale ; nel 1840 l'Istituto Veneto lo nomina membro pensionario, posizione
alla quale è annesso un emolumento. Bellavitis partecipa ad un concorso per una
cattedra all'Università di Corfù, per la quale viene invece scelto il fisico
Ottaviano Mossotti; tre anni dopo è proposto come professore all'Università di
Malta, ma rifiuta. Data la mancanza di laurea e di diplomi, all'assegnazione
della cattedra all'Università di Padova una “sovrana risoluzione”
dell'imperatore d'Austria del 4 luglio 1846 lo promuove “dottore in matematica”
senza domanda e con dispensa dagli esami . All'Istituto Veneto dedica una non
piccola parte della sua vastissima attività: negli «Atti» escono, in
quarantadue dispense, delle rassegne commentate di giornali scientifici
nazionali ed esteri dal 1859 al 1880. In tali commenti egli risolve ben 857
questioni matematiche: 228 proposte da 94 matematici italiani e 629 di 247
scienziati stranieri. Le pubblicazioni al termine della sua vita sono 223, e
altre 24 sono ancora manoscritte. Nei suoi scritti usa abbreviazioni varie,
mostrando una grande tendenza alla sintesi e all'organizzazione gerarchica di
concetti e parole. All'idea di una
lingua universale Bellavitis aveva pensato fin da giovane. Già il 18 ottobre 1818,
cioè a nemmeno quindici anni, egli scriveva in un libriccino legato in
pergamena alcuni appunti sull’argomento sotto il titolo Principi di una lingua
universale . Il libretto raccoglie suoi pensieri fino al 1826, e nelle prime
quattro pagine vi è un compendio di grammatica. A pagina 6 sono esposti dei
"principi di grammatica universale per tutti i filosofi", principi
ispirati alla geniale nomenclatura degli elementi chimici dovuta al Lavoisier.
Bellavitis è attratto da questi principi generali, nei quali vede una grande
possibilità di semplificazione della conoscenza e della sua divulgazione. Alla
teoria sono uniti due esempi completi. Vengono trattate lettere dell'alfabeto,
sillabe, nomi, generi (viene introdotto il neutro), aggettivi, verbi; ma solo
quando è già scienziato largamente affermato Bellavitis esce con una proposta,
invero del tutto teorica. All'inizio della citata comunicazione del 1862 egli
allude con rammarico alla decadenza della lingua latina: È antico desiderio quello di una lingua universale,
che almeno servisse pei dotti: si tentò di rendere tale la lingua latina; ma
sia insufficienza di una lingua condannata a rimanere stazionaria in tanto
progresso di idee, sia uso di trasposizioni poco conformi alla schietta
esposizione di cose scientifiche, sia desiderio degli scrittori di rendere a
tutti accessibili i loro pensieri, l'uso della lingua latina, anche nelle opere
puramente scientifiche, fu quasi del tutto dismesso. […] I matematici
s'intendono facilmente tra loro, e ben di rado hanno opinioni differenti; per
lo contrario i filosofi difficilmente s'intendono, ed ancor più difficilmente
si accordano nei loro sistemi; forse è precipua ragione il linguaggio preciso e
chiaro di cui si servono i primi, mentre i secondi sono costretti a servirsi di
una lingua che creata dal popolo è tutta basata sugli oggetti fisici, e
soltanto mediante traslati giunge ad esprimere imperfettissimamente quelle idee
astratte, quegli enti d'immaginazione, che formano l'oggetto della filosofia.
[…] Mi pare non infondata supposizione che l'uso di una lingua filosofica
spargerebbe una luce affatto inattesa sulla filosofia e sulle scienze che hanno
con essa qualche affinità; sicché quella lingua sarebbe di grande vantaggio,
anche indipendentemente dall'universalità che essa potrebbe acquistare fra i dotti,
e quindi del legame che stabilirebbe tra tutte le nazioni. Il Bellavitis sembra non conoscere né gli
scritti di Comenio né quelli di Leibniz e questo era certamente comprensibile
all'epoca dei suoi primi appunti di ragazzo. La grande opera del Comenio - i
sette libri della De rerum humanarum emendatione consultatio catholica (spesso
abbreviata nelle citazioni in Consultatio) - non fu scoperta che nel 1935 ad
Halle da Dimitri Cicevskij, però il Bellavitis maturo avrebbe dovuto conoscere
l'articolo, di una certa ampiezza, sulla lingua universale apparso sulla
Encyclopédie di D'Alembert e anche la citata lettera di Mersenne a Cartesio
sullo stesso argomento. Invece egli menziona soltanto opere precedenti con
parole vaghe e permeate di un certo scetticismo: Parmi che alcuni lavori pubblicati al
principio del presente secolo intorno ad una lingua filosofica tendessero
piuttosto a complicare che a semplificare il meccanismo del linguaggio, il che
sarebbe, io credo, tutt'altro che opportuno.
I suggerimenti che il Bellavitis dà per la costruzione di una lingua
filosofica sono divisi in paragrafi riguardanti sezioni diverse: etimologia,
grammatica, pronuncia, scrittura. Nella sezione dedicata all'etimologia egli
propone che un letterato faccia la scelta delle idee fondamentali e vi
attribuisca un termine derivato dalle lingue più conosciute: egli vede nel
sanscrito la madre "delle lingue di popoli, a cui noi riserbiamo il nome
di civilizzati; così i materiali sono tutti pronti per la grande opera". È
attento all'eufonia, prevedendo un alternarsi di vocali e consonanti, ma con
un'indeterminazione delle vocali per poter poi utilizzarne una possibile
modifica per esprimere parole derivate. La scelta dei concetti fondamentali
sarà necessariamente una scelta di concetti materiali, ma dovranno anche
considerarsi "i principali esseri od azioni morali", dato che la
lingua è concepita come una "lingua filosofica". Attorno ad un
concetto base si raccoglierebbero altre parole derivate che hanno somiglianza
di significato, e queste verrebbero create con delle preposizioni
(probabilmente si tratta di quanto attualmente si dice "affisso");
una tale idea era già presente nei suoi primi appunti, e ricalca, senza una
esplicita citazione, le idee base di Wilkins. Una proposta interessante è che
venga costituito subito un vocabolario con la corrispondenza delle principali
lingue europee, "notando per ciascuna parola di più significati qual è
quello in cui essa s'intende presa." Bellavitis suggerisce quindi un'uscita
della lingua già come universale, mentre le altre lingue che concretamente
verranno proposte dopo qualche decennio, come il Volapük o l'Esperanto,
usciranno con dizionari, peraltro estremamente limitati, in una lingua europea
per volta. Bellavitis è ben conscio della grandiosità dell'impresa, ma ha
fiducia che anche solo una realizzazione parziale, come la traduzione in una
sola lingua e la classificazione metodica di tanti concetti, possa essere utile
indipendentemente dalla realizzazione dell'intero progetto. Egli suggerisce
anche una riduzione del vocabolario, ritenendo tante parole ormai cadute in
disuso. Una certa sua diffidenza si nota quando parla del lessico attinente
alla filosofia: ritiene infatti che con l'obbligo di definire con precisione i
concetti filosofici apparirà palese che i "pensamenti di alcuni filosofi
[…] sieno non solamente non dimostrati, ma eziandio senza un preciso
significato." La terminologia matematica invece sarebbe facile ad idearsi
data la sua limitatezza, in quanto si tratterebbe soltanto di quelle poche
parole che accompagnano le formule. Un
interessante suggerimento è quello di derivare aggettivi da sostantivi o
viceversa, o verbi da sostantivi o viceversa, e di costruire quindi parole
riferentisi ad alcuni concetti centrali, attorno ai quali altre parole si
aggregherebbero, distinte soltanto per una vocale o per una consonante di suono
affine. Le "voci radicali", che dovrebbero essere costruite come
somiglianti a quelle delle lingue viventi, sarebbero abbastanza poche, data
l'ampia capacità di formare derivati tramite "particelle prepositive"
(oggi si chiamerebbero "preposizioni" o "affissi") e di
comporre parole composte come in tedesco. L'Esperanto, il cui primo embrione è
del 1878 e la cui uscita in pubblico si ha a Varsavia nel 1887, seguirà molto
da vicino questi principi, per quanto sia da escludersi che il suo iniziatore,
il polacco Lazzaro Ludovico Zamenhof, abbia letto il lavoro di Bellavitis . A
sua volta il Volapük, pubblicato nel 1880 dall'abate tedesco Johann Martin
Schleyer, sembra una trasposizione concreta dei principi del Bellavitis, anche
per quanto riguarda le parole composte e la presenza dell'aspirazione in
principio di parola; ma anche in questo caso è da escludersi una conoscenza del
lavoro del Bellavitis da parte di Schleyer. Il Bellavitis propone poi un
singolare vocabolario in un ordine alfabetico che consideri soltanto le
consonanti, dato che le vocali avrebbero valore diverso a seconda della loro
posizione all'interno del vocabolo. Ogni parola che cominciasse per vocale
sarebbe preceduta da un'aspirazione. Bellavitis si ispira al tedesco, dove
l'apofonia vocalica interconsonantica indica funzioni diverse (ad esempio nel
verbo, dove in voci come sprechen, sprichst, sprach, gesprochen il cambiamento
di vocale indica un cambiamento di funzione della voce verbale). Egli dice di
aver trovato molto comodo un dizionario tedesco basato solo sulle consonanti,
dove la vocale della radice era sostituita da un punto, nonché un dizionario
inverso limitato alle desinenze. La grammatica proposta dal Bellavitis è
piuttosto astrusa e non basata su nessuna lingua esistente, e certamente di
fruibilità concreta difficile, se non impossibile. Egli propone varie
possibilità opzionali che renderebbero la lingua non rigida e sostiene che una
lingua basata sui precetti, come la sua lingua a priori, piuttosto che sugli
esempi, come sono le lingue etniche, avrebbe una maggior semplicità. È prevista
una declinazione con quattro casi, ma anche le desinenze di questi non
sarebbero fisse, ma variabili a seconda che la parola si legasse come
significato al termine seguente o a quello precedente. Sugli articoli (nei
quali il Bellavitis comprende anche gli aggettivi e pronomi dimostrativi) vi
sarebbe un'ampia variabilità. Questa così vasta libertà, che davvero sembra
sconfinare nell'anarchia, appare non tener conto della difficoltà di imparare
una tale lingua: il rendere non obbligatorie certe forme o certe desinenze, o
certe congiunzioni, non semplifica la lingua, in quanto la scelta tra tante
forme non aiuta chi scrive, che si troverebbe senza un criterio di scelta, e
ancor meno chi legge, che dovrebbe tenere a mente tutte le possibili varietà di
espressione. Le opzioni che il Bellavitis dà per le successive evoluzioni della
lingua sono tutte di possibili estensioni, che sembrano essere così vaste che
ognuno sembra poter costruire la lingua a suo piacimento. Anche per i pronomi
egli prevede una lista assai più ricca di quelli attuali: essi si
diversificherebbero anche a seconda del caso del nome a cui si riferirebbero, e
a seconda del fatto che si riferiscano ad un oggetto collocato vicino o lontano
non già dal parlante, ma nella proposizione (un po’ come nell’italiano l’uso di
“questo” e “quello”). Un suggerimento interessante riguarda i tempi dei verbi,
che si potrebbero fissare una sola volta per ogni paragrafo: quando un racconto
fosse al passato, basterebbe mettere il segno del passato all'inizio tramite un
avverbio, e tutte le voci verbali assumerebbero nel seguito un significato
passato. Come esistono i pronomi, così
esisterebbero i "proverbi", termine che va inteso come "parola
al posto del verbo" per evitare una ripetizione di questo, così come il
pronome evita la ripetizione del nome. In questo il Bellavitis dice di aver
preso ispirazione dall'inglese, e infatti l'inglese a volte usa le voci del
verbo to do al posto del verbo precedentemente espresso. Interessante è la
proposta dei suffissi, per indicare il diminutivo o il peggiorativo, unitamente
alla possibilità di usarli entrambi in successione, come se in italiano si
potesse dire cavallinaccio; tale possibilità sarà codificata poi sia nel
Volapük che nell'Esperanto. Si noti tuttavia che il succedersi di più suffissi,
ancorché lecito in queste due lingue, rimane poi, nella pratica, estremamente
limitato proprio perché non comune nelle lingue etniche, che sono comunque una
buona immagine del pensiero umano, dove la sintesi che porta all'uso dei
suffissi e alla loro combinazione è temperata dalla impossibilità di tenere a
mente una serie troppo lunga di particelle. Bellavitis auspica nella lingua
universale la possibilità di indicare con suffissi all'interno della stessa
parola le varie età o le varie qualità della persona, riprendendo alcune
possibilità della lingua araba. Sui verbi matura l'idea che numeri e persone
non abbiano bisogno di distinguersi tramite una desinenza diversa, principio
applicato poi nell’Esperanto, e tuttavia egli caldeggia un ulteriore pronome
personale, oltre ai sei usuali, per indicare l'unione dell'io con il tu, e un altro
per indicare l'unione del tu con una terza persona. Un atteggiamento singolare
il Bellavitis lo ha nei confronti dei tempi verbali, che gli sembrano di poco
vantaggio: […] nelle scienze e in
moltissime altre circostanze ciò che si asserisce fu, è, sarà sempre vero, e la
distinzione del tempo od è un imbarazzo o si adopera in significato alcun poco
differente, come quando si pone in futuro la conseguenza delle asserzioni
esposte in tempo presente. La distinzione dei tre tempi passato, presente e
futuro è quasi sempre insufficiente, occorrono degli avverbi per indicare qual
sia il tempo passato o futuro, e quanto ristretto sia il presente: ora dal
momento che si pongono tali avverbi riesce affatto inutile modificare il verbo;
così per esempio il dire: ieri lessi, oggi riposo, domani scriverò non è niente
più chiaro di: ieri io leggere, oggi (il nominativo si sottintende) riposare,
domani scrivere. Altre semplificazioni
il Bellavitis propone nei modi verbali, ricalcando un po' una lingua nella
quale il verbo è sempre all'infinito e la forma morfologica diversa verrebbe
sostituita da avverbi: se oggi tu venire, domani io partirebbe. E tuttavia ad
una semplificazione dei modi indicativo, congiuntivo e condizionale si
aggiungerebbe invece un arricchimento con i modi potenziale e dubitativo,
mentre non si darebbe luogo all'ottativo. Del pari verrebbe abolito il passivo,
dato che ogni frase passiva può essere volta all'attivo, e, se si vuole dare
risalto a chi riceve l'azione ponendolo al primo posto nella frase, esso viene
contrassegnato dall'accusativo che indica l'oggetto. La costruzione diventa
così più libera e si presta ad una maggiore espressività rispetto alle lingue
che non hanno declinazioni e che quindi sono costrette nella massima parte dei
casi ad utilizzare la struttura soggetto-verbo-oggetto. Una sistematica critica il Bellavitis la
rivolge ai grammatici, che vogliono studiare una lingua secondo i principi di
un'altra, e quindi nell'italiano riconoscono forme e differenze che invece in
italiano non esistono e sono proprie del latino. Sulla poesia il Bellavitis
esprime posizioni contraddittorie. Da una parte egli sente che nessuna lingua
può esistere senza poesia, e che la ricchezza di immagini si potrà trovare
anche nella lingua filosofica; dall'altra egli dichiara: Debbo però confessare che non so scorgere
qual sia la vera cagione del diletto che recano nella poesia il metro e la
rima: quelle artificiose canzoni, in cui si succedono a lungo periodo le stesse
misure di versi e lo stesso concatenarsi di rime; quei sonetti architettati in
alcune speciali maniere; quelle terzine che si seguono in modo sempre uniforme
e terminano con un primo verso;… sono desse belle soltanto perché
difficili? La critica che egli successivamente
muove alla rima, che ritiene stucchevole, menziona il fatto che la rima non è
sempre stata una componente essenziale nella poesia, dato che la letteratura
latina non la conosceva neppure e che lo spagnolo preferisce le assonanze.
Nella pronuncia il Bellavitis segnala la necessità di una grande attenzione, ma
non cura l'importanza delle vocali, essendo state quelle le prime a
trasformarsi con il passare dei secoli nella lingua greca stessa, che pure è
rimasta fino ai giorni nostri abbastanza uguale come grafia a quella classica.
Sulla scrittura egli propone come unica soluzione plausibile una scrittura
fonetica, cosa che sia l'Esperanto che il Volapük applicheranno come ovvia
base; le vocali sarebbero sette, cioè quelle italiane compresa la "o"
aperta e la "e" aperta. Ma egli rifiuta i vari caratteri corsivo,
tondo, o il tutto maiuscolo, nonché l'uso delle maiuscole per l'iniziale dei
nomi propri, ritenendo che questi si possano rendere riconoscibili in altro
modo. D'altra parte caldeggia un sistema che consenta di leggere con senso a
prima vista, con dei segni particolari al principio del periodo, come il punto
interrogativo rovesciato dello spagnolo, o dei segni che consentano di indicare
il modo di recitazione, dove alzare e dove abbassare la voce, e pensa che anche
le lingue etniche potrebbero introdurre questi segni, una volta che fossero
stati studiati e decisi nella lingua universale. La parte didascalica di un
colloquio orale è magnificata rispetto alla lettura di un testo scritto, perché
appunto il tono della voce può far risaltare la parte fondamentale del discorso
rispetto ad altri elementi inessenziali. La scrittura potrebbe anche
effettuarsi tramite un sistema di segni corrispondenti a numeri e parole, così
come avviene nell'alfabeto Morse. I segni fondamentali sarebbero tre: il punto,
la lineetta e la linea (più lunga). Ogni lettera verrebbe espressa da tre di
questi segni, che darebbero 27 combinazioni, e le cifre da 1 a 9 verrebbero
indicate con due di questi segni. Si potrebbe inoltre costruire un
dizionarietto di frasi già fatte e numerate, per cui sei segnali consecutivi
potrebbero indicare il numero d'ordine di ciascuna di queste frasi, e si
potrebbero riunire sotto lo stesso numero anche frasi diverse che avessero
significato simile. Bellavitis propone quindi, pur senza menzionarlo
esplicitamente, un frasario utilizzabile durante i viaggi, con frasi di prima
necessità. A questi tre segni fondamentali si potrebbero sostituire tre gesti,
la mano chiusa a pugno oppure stesa orizzontalmente o verticalmente: si
potrebbe così comunicare, oltre che con le lettere, con le mani, e anche le
mani potrebbero essere usate per indicare i numeri corrispondenti alle frasi
del dizionarietto. Una significativa attenzione il Bellavitis la dedica alla
possibilità di evoluzione della lingua filosofica proposta. In più punti egli
indica come il lessico non debba restare ingessato, ma debba consentire un
adeguamento che segua l'evolversi della scienza. Per la numerazione egli
suggerisce di fissare un termine ogni due potenze di dieci, per cui dopo il
cento come 102 verrebbe il miria come 104 e il milione come 106, e la potenza
corrispondente al mille diventerebbe dieci centi. La giustificazione di questo
modo di contare egli la vede nel fatto che spesso nella lingua parlata i numeri
molto lunghi vengono letti a coppie di cifre: 30472308,02157 verrebbe letto
trenta milioni quarantasette miria ventitré centi otto e due centesimi quindici
miriesimi e sette decimi di miriesimo. Già Cardano, nel suo trattato De
numeris, aveva proposto una nuova scansione della numerazione utilizzando le
miriadi; singolarmente il Bellavitis propone "centi" come forma
plurale di "cento", e rifiuta il "mille" che non si adatta
alla scansione ogni due potenze di 10. La nota termina con la proposta di un
alfabeto per le segnalazioni in mare, di fatto una semplificazione del
semaforico, come pure di un alfabeto per ciechi, anch'esso basato su triadi di
segni. Alla lingua universale il Bellavitis applica anche una stenografia.
Giunti al termine della lunga nota del Bellavitis ci si chiede se una lingua
così a priori, alla quale peraltro manca ancora tutto il lavoro riguardante il
lessico, possa essere appresa facilmente. La risposta è fatalmente negativa.
Altri progetti di lingue a priori proposti nello stesso periodo, come il solrésol
del Sudre , non uscirono mai dalla fase di proposta. Il solrésol era un
progetto di lingua universale basata sui "sette segni" della musica,
cioè sulle sette sillabe che costituiscono i nomi delle note. Maturato da una
prima idea del 1817, tale progetto fu presentato all'Accademia francese delle
Scienze nel 1827; un testo completo vide però la luce soltanto nel 1866, dopo
la morte dell'ideatore. I segni musicali, veramente universali, almeno nella
musica del mondo occidentale dell'epoca, offrono varie possibilità di
espressione: la lettura vocale dei segni stessi, la loro cantabilità, la
scrittura su un pentagramma, la trascrizione in cifre arabe, la presentazione
tattile toccandosi con l'indice della mano destra le falangi della sinistra. Il
contrario di un'idea si indicava invertendo i segni: mi-sol = il bene, sol-mi =
il male; do-mi-sol = Dio, sol-mi-do = Satana. I gradi di un aggettivo erano
indicati con un aumento del sonoro, il femminile con la ripetizione (e quindi,
foneticamente, con l'allungamento) della vocale finale. Il progetto incontrò
anche consensi tra persone importanti, come Napoleone III, Victor Hugo,
Humboldt, Lamartine. Probabilmente il Bellavitis aveva avuto notizia del
solrésol, in particolare poteva aver apprezzato l'idea di una utilizzabilità e
di una possibilità di forme di espressione così ampie, per quanto, come abbiamo
visto, egli fosse piuttosto critico nei confronti di progetti precedenti. Ma la
logica non è l'unica caratteristica della nostra mente, e un linguaggio puramente
logico che non avesse agganci a lingue esistenti non ha mai avuto un benché
minimo numero di parlanti. Il Bellavitis non propone nulla di concreto, non la
scelta di una radice, non un esempio di applicazione. I suoi discorsi si
mantengono teorici e non trattano minimamente della fatica necessaria per
imparare una serie di corrispondenze tra le parole delle lingue etniche, a cui
l'uomo è già abituato, e le parole, o le successioni di segni, della nuova
lingua ancora del tutto sconosciute. La conclusione è un lungo elenco di cose
che i costruttori di tale lingua filosofica dovrebbero fare, senza nessun
suggerimento pratico. Il Vailati vede in
queste semplificazioni proposte dal Bellavitis un concetto di linguaggio "suscettibile
di venir compreso indipendentemente dalla conoscenza di qualsiasi regola
grammaticale" . In realtà è arduo aderire a questo giudizio: la mancanza
di regole grammaticali fornisce una lingua estremamente povera dal punto di
vista espressivo, il che fa dubitare della sua possibilità di funzionamento. La
totale mancanza di scelte lessicali, che costituiscono pur sempre la parte più
impegnativa di un qualsivoglia apprendimento di una lingua, rende non
verificabile qualsiasi possibilità di applicazione pratica. Il Bellavitis
spesso esprime i suoi concetti con una certa foga. Le recensioni che egli fa
dei lavori che sistematicamente appaiono nelle riviste sono talvolta laudative,
talvolta fortemente critiche; è abituato a dire il suo pensiero senza remore.
Critica i cultori di geometrie non euclidee, considerandole "false".
Uomo anche politico, Senatore del Regno dall'anno in cui il Veneto fu annesso
al Regno d'Italia, nelle Utopie egli
disquisisce di politica e di rapporti sociali: propone una anagrafe elettorale
con una tessera (cosa che in Italia ha trovato realizzazione solo da pochissimi
anni), e dice, a proposito di elezioni indirette: "Io credo che le donne
che sanno scrivere possano scegliere gli elettori più opportuni tanto bene
quanto gli uomini" (in Italia il voto alle donne si è avuto ottant'anni
dopo quello scritto). In tema di successione ereditaria propone considerazioni
su figli legittimi e naturali che hanno trovato applicazione soltanto nel
diritto di famiglia di oltre cento anni dopo. Nelle Reminiscenze della mia vita ricorda le conquiste tecnologiche e sociali
di cui è stato spettatore: la litografia, la distribuzione dell'elettricità, la
decomposizione dello spettro luminoso, il magnetismo, la posta, il telegrafo; e
non manca il patriottismo nel pieno senso risorgimentale nelle parole con le
quali conclude le Reminiscenze: "Quando vidi entrare in Padova Vittorio
Emanuele II liberatore, e quando in Roma udii proclamare dall'augusto labbro
che l'unità Nazionale è compiuta potei dire: ho vissuto abbastanza." Bellavitis si colloca quindi in una posizione
con lo sguardo rivolto al futuro, ma con una corretta percezione del passato e
dell'evoluzione della tecnica. Riguardo alla lingua universale aveva colto nel
segno al tempo giusto: il problema da lui indicato stava esplodendo, e in varie
altre parti del mondo si proponevano soluzioni. Nei primissimi anni del
Novecento si andò costituendo un forte movimento di accademici, filosofi e
matematici favorevole all'adozione di una lingua internazionale per la scienza. 3. GLI SVILUPPI SUCCESSIVI E LA
PARTECIPAZIONE DEI PADOVANI La recente
uscita del carteggio tra i due logici Giuseppe Peano e Louis Couturat offre un interessante spaccato sul problema
della lingua internazionale come fu visto non solo dai due protagonisti, ma
dalla comunità scientifica del primo Novecento. Purtroppo nel carteggio, che è
di 101 lettere, abbiamo quasi soltanto le lettere di Couturat a Peano, ben
novantasette, conservate nell'Archivio Giuseppe Peano di Cuneo; delle risposte
sono conservate invece soltanto quattro minute del matematico torinese, ma non
gli originali, di sicuro molto più numerosi, che, giunti a Couturat, sono poi
andati perduti. Il volume termina con un'interessantissima Appendice che
contiene altri 15 pezzi: lettere scambiate da Peano e Couturat con altri
matematici e il necrologio di Couturat scritto da Peano. L'apparato critico,
consistente di un'ampia introduzione, di una completa bibliografia di entrambi
gli autori e di un vastissimo corpus di note colloca il volume tra le migliori
pubblicazioni sull'argomento. Il carteggio fornisce tutta una serie di elementi
finora poco noti sul pensiero e soprattutto sulle attività organizzative dei
due scienziati. L'epistolario edito inizia già a scena aperta, in quanto la
prima lettera registrata è del 30 ottobre 1896, e in essa Couturat ringrazia
Peano dell'invio del suo Formulaire, che Couturat apprezza come raccolta
sommaria di proposizioni e come repertorio bibliografico, riservandosi ancora
un commento sull'utilità della logica matematica e del linguaggio simbolico di
Peano. A Padova era nata la geometria a
più dimensioni di Veronese, con il quale Peano ha una feroce polemica. Infatti
il Veronese nei suoi Fondamenti di Geometria
lamenta che Peano, nella «Rivista di Matematica» di cui è direttore,
critichi gli iperspazi intesi nel senso di Veronese. La risposta di
quest'ultimo è contenuta in una nota a p. 613 dell'opera citata: Il sig. Peano ha torto nella forma e nella
sostanza, ma per quanto non sia difficile rispondere alle sue affermazioni,
siccome egli accusa di mancanza di buon senso quei geometri che non possono
pensare come lui […] è resa così impossibile ogni amichevole e dignitosa
discussione. Io sono convinto che le questioni sui principi della matematica e
specialmente della geometria siano già di per sé abbastanza difficili senza che
vi sia bisogno di aggiungervi nuove difficoltà di altra natura con polemiche
appassionate e intolleranti, come sono altresì convinto che certe critiche pel
modo con cui son fatte portano chiaramente in sé la loro condanna. Il Peano continuerà la polemica nella sua
recensione dei Fondamenti di Geometria del Veronese, che appare nella «Rivista
di Matematica». La stroncatura è netta e addirittura Peano scende dalla confutazione
scientifica all'ironia. Vengono menzionate "sgrammaticature, abituali
all'autore", e viene fortemente evidenziata la poca chiarezza logica:
successioni di insiemi che diventano sempre più grossi, tautologie evidenti
presentate come postulati. Peano si lascia andare a frasi come: "Le
conseguenze di questo principio assurdo sono evidenti", e conclude:
"E si potrebbe lungamente continuare l'enumerazione degli assurdi che l'A.
ha accatastato. Ma, questi errori, la mancanza di precisione e rigore in tutto
il libro tolgono ad esso ogni valore."
In realtà i concetti del Veronese, in particolare quelli sugli infiniti
e infinitesimi, avevano ricevuto critiche da più parti, e Veronese scriverà a
difesa parecchi articoli , confutando le critiche, ma non quelle di Peano, con
cui non ebbe più rapporti. Tuttavia nel carteggio tra Peano e Couturat, che
riguarda un periodo posteriore, compare il nome di Veronese. Vediamo in quale
contesto. Nel 1900 Léopold Leau, un matematico francese, compagno di studi di Couturat
all'École Normale Supérieure, pubblica un opuscolo sulla necessità di una
lingua internazionale a scopi puramente pratici , invitando gli uomini di
scienza e di cultura ad aderire all'idea . Egli lancia anche la costituzione di
un comitato che sensibilizzi al problema l'opinione pubblica; Couturat dal
canto suo pone la questione al primo Congresso di Filosofia che si tiene a
Parigi nella prima settimana di agosto del 1900. A questo congresso partecipano
vari matematici italiani, in particolare i logici collaboratori di Peano: tra
questi Alessandro Padoa, un veneziano che aveva studiato ingegneria a Padova e
che venne poi attratto da argomenti più teorici, laureandosi infine in
matematica a Torino. Padoa è un logico matematico: tiene molte conferenze in
varie università, tra cui Padova, partecipa con relazioni a congressi, ma non
ha un cattedra universitaria. Insegna nella scuola media, dapprima a Pinerolo,
poi a Roma e a Cagliari, e infine in un Istituto Tecnico di Genova. Nel 1934
vincerà il premio dell'Accademia dei Lincei. È conosciuto tra i matematici e
tra i filosofi: al congresso di Filosofia di Parigi tiene una conferenza sulla
teoria algebrica dei numeri, preceduta da un'introduzione logica a una
qualsiasi teoria deduttiva. Il congresso
di Filosofia approva l'idea di Couturat e all'unanimità lo nomina suo delegato
al Comitato lanciato da Leau e in fase di costituzione. Il secondo congresso
dei Matematici si tiene a Parigi immediatamente dopo quello di filosofia, e vi
è quindi una parziale continuità di presenze. Ancora ci sono i collaboratori di
Peano, e ancora figura Alessandro Padoa. Al congresso dei Matematici viene di
nuovo proposta la questione della lingua internazionale, ma, a differenza di
quanto era successo tra i filosofi, si fronteggiano due linee di azione: quella
caldeggiata da Leau, che insiste per la formazione concreta del Comitato al
quale partecipino i matematici con cinque delegati, e invece una mozione
proposta da Vasilev, che demanda alle accademie il compito di esaminare il
problema del proliferare delle lingue ed eventualmente di restringere soltanto
ad alcune lingue la produzione scientifica. Padoa si dichiara esplicitamente a
favore della mozione di Leau, ma la maggioranza si colloca sulle posizioni di
Vasilev. I matematici quindi respingono l'idea di una lingua unica e in
particolare una lingua artificiale, mentre Couturat e Leau sono fautori di una
lingua unica, che non può essere altro che pianificata, ritenendo che nessuna
lingua nazionale abbia la possibilità di essere imposta a scapito di altre:
quale scienziato si sottoporrebbe a una simile diminutio? Peano dal canto suo
sta elaborando una lingua internazionale artificiale basata sul latino, che
verrà presentata nel 1903 nella «Revue de Mathématiques» sotto il nome di
latino sine flexione. In realtà i matematici scelgono di non scegliere: il
demandare la decisione ad un altro organismo è una tattica chiaramente
dilatoria. L'Associazione Internazionale delle Accademie, che raccoglieva
diciotto accademie tra cui quella italiana dei Lincei, si era creata nel 1900 e
tenne la prima assemblea generale il 9 aprile 1901. Couturat e Leau ritengono
la strada indicata dai matematici non percorribile e nel frattempo iniziano ad
agire, raccogliendo, da diverse associazioni e congressi, un gruppo di
delegati. Questi escono in pubblico con una dichiarazione sugli scopi e i
metodi del loro lavoro: una lingua internazionale unica è necessaria; essa
dovrà essere di facile apprendimento anche per persone di cultura elementare,
non dovrà essere nessuna lingua nazionale, e dovrà essere usata in tutti i
campi, dal commercio ai rapporti culturali. Nasce così nel gennaio 1901 la
Délégation pour l'Adoption d'une Langue Auxiliaire Internationale (DALAI), di
cui Couturat è il tesoriere e Leau il segretario generale. La Delegazione dovrà
pertanto scegliere la lingua artificiale più adatta e quindi sottoporla alle
Accademie europee per un riconoscimento. Qualora l'Associazione delle Accademie
dovesse ricusare tale compito, la DALAI avrebbe dovuto a sua volta costituire
un apposito Comitato elettivo composto di personalità internazionali che
perseguisse tale fine. Nell'aprile 1901
si riunì dunque per la prima volta l'assemblea dell'Associazione delle
Accademie, e qui Hippolyte Sebert
presentò una petizione per inserire la questione della lingua
internazionale nella successiva assemblea dell'Associazione, che sarebbe stata
nel 1904. I tempi iniziarono quindi ad allungarsi, anche perché l'elaborazione
e l'approvazione dello statuto della DALAI non fu semplice: esso comunque
prevedeva che la Delegazione si prodigasse affinché le singole accademie
proponessero ai propri governi il riconoscimento della lingua e il suo
insegnamento nelle scuole. Il tempo per queste azioni era definito in tre anni,
in previsione del secondo congresso di filosofia che si sarebbe tenuto nel
1904. Il tempo tuttavia non è sufficiente perché si concludano i lavori e
pertanto l'azione della DALAI si sgancia dal collegamento con il congresso di
filosofia. Couturat nel frattempo pubblica un ponderoso saggio sulla logica di
Leibniz , in cui riconosce una sostanziale unitarietà tra i progetti di Leibniz
sulla lingua universale e la scienza universale. L'opera suscita l'approvazione
incondizionata di Russell e, con qualche riserva, della scuola di Peano; la
scuola francese invece espone alcune critiche di fondo. Ancora, nella sua
intensa opera di studioso, Couturat, insieme a Leau, pubblica nel 1903 la già
citata Histoire, che diventa l'opera fondamentale dell'epoca sulla questione.
Tuttavia non conosce la nota del Bellavitis, e ne apprende l'esistenza soltanto
da Peano: a lui domanda se si tratta dell'ideatore della teoria delle
equipollenze . Couturat ha conosciuto e provato vari progetti di lingue
universali, come il Volapük, creato dall'abate tedesco Schleyer , ma ne è
rimasto deluso per l'estrema complicazione nella formazione delle parole, la
cui riconoscibilità era fortemente ridotta. Couturat diventa quindi un
appassionato fautore dell'Esperanto, che egli per il momento considera la
migliore delle lingue artificiali, soprattutto per il numero già non piccolo di
parlanti, che costituisce un'ottima dimostrazione della sua capacità di
adempiere al compito di una lingua internazionale. Non vuole tuttavia che i
giochi sembrino già fatti, e la Délégation si ripromette di prendere in considerazione
anche altri progetti. I progetti di lingua internazionale hanno sempre
oscillato tra il tentativo di una massima regolarità di formazione delle parole
derivate da una radice, come proposto anche da Bellavitis, e il polo opposto,
cioè la comprensibilità quasi immediata da parte degli europei colti: per
ottenere questo secondo scopo una lingua internazionale avrebbe dovuto
presentare parole formate con quelle irregolarità di derivazione che si trovano
nelle lingue nazionali. Come emerge dal carteggio tra Peano e Couturat, il
matematico torinese, pur fortemente interessato alla soluzione del problema
tramite una lingua artificiale, non si fa coinvolgere dagli entusiasmi del
filosofo francese: ritiene che l'apprendimento di una lingua a livello tale da
poter essere parlata da tutti sia impresa ardua, e cita il fatto che anche
dell'italiano stesso larghi strati della popolazione non sono sicuri padroni,
nonostante che la lingua standard sia insegnata in tutte le scuole del Regno.
Peano conosce l'Esperanto e Couturat lo incoraggia a partecipare ai congressi:
lui stesso vi ha partecipato ed è rimasto sorpreso di come la lingua funzioni
bene e metta in comunicazione senza nessuna difficoltà persone di provenienze e
lingue molto diverse. Sulla stessa lunghezza d'onda è il matematico Charles
Méray, dell'università di Digione. Tra Méray e Peano erano intercorse due
lettere nel luglio del 1900: il giorno 14 Méray scrive una lunga lettera che
magnifica le qualità e la semplicità dell'Esperanto, e Peano gli risponde il
giorno 27 con un tono piuttosto scettico e facendo una critica puntuale
all'Esperanto, pur riconoscendo che questo est plus scientifique que toutes les
autres langues artificielles. Il nome di Peano figura tra i partecipanti al
secondo congresso mondiale di Esperanto nel 1906 a Ginevra, ma non vi sono
altre notizie sulla sua partecipazione.
La DALAI spinge perché il problema dell'adozione di una lingua
internazionale venga posto all'ordine del giorno della terza assemblea generale
dell'Associazione delle Accademie, da tenersi a Vienna nel maggio 1907, e cerca
di acquisire consensi di accademie e associazioni scientifiche; pertanto
Couturat chiede l'intervento di Peano per ottenere appoggi di scienziati italiani
ad una petizione in tal senso. In particolare egli segnala come desiderabile il
consenso della Association Géodésique Internationale e ne elenca i membri
italiani: tra questi vi è Giuseppe Lorenzoni (1843-1914), astronomo e
ingegnere, direttore dell'Osservatorio di Padova. Giuseppe Lorenzoni era
entrato come assistente all'osservatorio astronomico nel 1863 ancora prima di
laurearsi (si laureò in ingegneria nel 1864) e dieci anni dopo era professore.
Nominato direttore dell'Osservatorio, contribuì a fare di Padova un centro di
insegnamento dell'astronomia; si occupò di gravimetria, di spettroscopia, di
stelle cadenti, di ottica. Autore di oltre un centinaio di pubblicazioni di
astronomia e geodesia, fu membro dell'Accademia dei Lincei e dell'Istituto
Veneto. Il suo appoggio era quindi da considerarsi di estremo prestigio.
L'attività frenetica del Couturat raggiunge qualche risultato concreto:
l'Accademia di Vienna proporrà una mozione a favore della lingua internazionale
e l'Accademia di Copenaghen voterà a favore. Per tale mozione vengono raccolte
firme di associazioni e di singoli, e il conteggio finale dà 307 associazioni e
1251 scienziati, tra i quali vari italiani. Nel dicembre 1906 Couturat e Leau
inviano una circolare per definire l'azione dell'Associazione in vista
dell'assemblea e la circolare riporta una decisone della DALAI che esclude
dalla DALAI stessa gli inventori in prima persona di lingue artificiali.
Couturat non si illude che le accademie si incaricheranno di risolvere la
questione e comincia un'azione per costituire il Comitato elettivo di
personalità scientifiche previsto dallo statuto della DALAI; infatti il 29
maggio 1907 l'Associazione delle Accademie respinge la mozione. Couturat
ritiene quindi che non siano più differibili i tempi per la costituzione del
Comitato, nel quale devono essere rappresentati tutti i paesi culturalmente
avanzati, ciascuno con un singolo membro, e si adopera per invitare scienziati
autorevoli ad entrare nel Comitato. La sua ricerca parte da quelli che avevano
già firmato la mozione che chiedeva che l'Associazione delle Accademie si
occupasse del problema della lingua internazionale. Peano è escluso a priori
dalla DALAI e quindi dal Comitato, perché Peano è l'ideatore del latino sine
flexione, ma in una lettera del 30 marzo 1907, scritta da Parigi, Couturat
chiede a Peano di adoperarsi perché un italiano di prestigio entri a far parte
del Comitato. Peano è membro dell'Accademia dei Lincei, e può parlare con altri
membri. Couturat elenca alcuni nomi che gli appaiono adatti, tra i quali anche
Giuseppe Veronese, professore di grande fama, deputato, senatore del Regno
d'Italia dal 1904 per meriti scientifici, schierato tra i radicali. Veronese
era succeduto a Bellavitis sulla cattedra padovana di geometria descrittiva.
Siamo ormai nel 1907, le polemiche tra Peano e Veronese sono di un quindicennio
prima, ma forse non del tutto sopite . Non ci sono testimonianze del
coinvolgimento di Veronese nel costituendo Comitato, ma si può ragionevolmente
supporre che Peano non gli abbia fatto nessuna proposta. Un rappresentante
italiano che aderisse al Comitato non fu trovato: per acquisirne uno fu violato
lo statuto, in quanto fu cooptato proprio il Peano, ancorché autore di un suo
progetto di lingua internazionale. L'azione del Comitato fu certamente seria e
minuziosa, ma la probabilità che ne conseguisse la scelta di una lingua con
reale possibilità di essere accettata da accademie e governi andò rapidamente
scemando. Nel frattempo i sostenitori
dell'Esperanto erano cresciuti di numero e nel 1905 avevano avuto il loro primo
congresso internazionale a Boulogne-sur-Mer, dove avevano dichiarato immutabile
la struttura della lingua, codificata nell'opera Fundamento, consistente nella
Grammatica, in un Eserciziario e nel Vocabolario in cinque lingue. L'Esperanto
dunque veniva sottratto alla tentazione di continue modifiche e miglioramenti:
i suoi utenti ritenevano che la lingua andasse abbastanza bene così, e che
qualsiasi tentativo di miglioramento avrebbe soltanto portato ad una
destabilizzazione. Gli esperantisti avevano già rifiutato delle proposte di
miglioramento nel 1894, e ormai, a venti anni dall'uscita della prima
grammatica della lingua, erano diventati fortemente conservatori. Il Comitato
scelse formalmente l'Esperanto , ma con una notevole quantità di proposte di cambiamento
nell'alfabeto, nella fonetica, nella morfologia, nelle preposizioni: alcuni si
illusero che questi miglioramenti sarebbero stati gli ultimi e definitivi, e
quindi aderirono a questa nuova forma dell'Esperanto, che prese il nome di Ido
(che in Esperanto significa "discendente"); ma la gran parte degli
adepti restò fedele all'Esperanto già consolidato. La nuova lingua fu oggetto
di successive modifiche e alcuni membri del Comitato produssero a loro volta
altri progetti, nella supposizione che la mancata diffusione di una lingua
internazionale dipendesse dalle qualità della lingua in sé, piuttosto che da
motivi di sociopolitica, come le vicende successive dimostreranno ampiamente.
Couturat aderì pienamente all'Ido, convinto che la scelta del Comitato fosse la
migliore, e ne fu un propagandista entusiasta come prima lo era stato
dell'Esperanto; Peano, che pure aveva partecipato ai lavori del Comitato, ma
non all'ultima votazione perché era impegnato in esami a Torino, non rispettò
le conclusioni del Comitato e continuò a usare e propagandare il latino sine
flexione. Ciò causò un rapido raffreddamento dei rapporti con Couturat, che lo
accusava di tradimento; seguì tosto un'interruzione definitiva: l'ultima
lettera di Couturat è del 23 febbraio 1910. Il filosofo francese morirà il 20
agosto 1914 in un incidente stradale: la sua automobile verrà investita da un
camion militare che portava alle truppe francesi la notizia che la Germania
aveva dichiarato guerra alla Francia; era il secondo giorno del primo conflitto
mondiale. Peano ne scriverà un commosso necrologio in latino sine flexione, pur
ricordando anche i dissensi . La lingua caldeggiata da Peano assume nel 1909 il
nome di Interlingua ; il matematico torinese fonda anche una Academia pro
Interlingua, che rileva una precedente accademia volapükista, la Kadem Volapüka
. Negli anni Peano scrive vari vocabolari di Interlingua e altre lingue; i suoi
adepti si raccolgono intorno alla rivista «Schola et Vita», una rivista fondata
e diretta a Milano da Nicola Mastropaolo; vi scrive anche, in Interlingua, un
illustre docente dell'ateneo patavino, Tullio Levi-Civita . Peano viene
contattato per redigere alcune voci dell'Enciclopedia Italiana, ed egli accetta
di scrivere voci sulla logica matematica e sulla lingua internazionale; la voce
“Esperanto” sarà invece scritte da Stefano La Colla sotto la direzione di Bruno
Migliorini, entrambi partecipi per molti anni del movimento esperantista. Peano
muore nel 1932 e la rivista cessa le pubblicazioni nel 1936. Sia l’Ido che l’Interlingua avranno i loro
adepti e le loro pubblicazioni ; tuttavia l’idea, originariamente unitaria, di
una lingua pianificata si divide in rivoli che appoggiano l’una o l’altra delle
varie soluzioni, spesso con polemiche molto accese. Il movimento esperantista,
più forte per numero e per tradizione consolidata, subisce la scissione degli
idisti, scissione sensibile più a livello di dirigenti che a livello di singoli
fruitori; tuttavia l’Esperanto resta, ancora e certamente più oggi, la lingua
pianificata con il maggior numero di adepti e di realizzazioni in tutti i campi
. Ciò è dovuto anche allo spirito diverso con cui certe soluzioni al problema
linguistico erano nate: il latino sine flexione, poi Interlingua, era iniziato
come mezzo per gli scambi scientifici e per persone colte del mondo
occidentale, e tale sempre rimase. L'Esperanto invece era stato pensato per una
dimensione assai più vasta, si era già diffuso in ambienti di lavoratori, ed
erano in piena vita parecchie associazioni di vario genere, da quelle
cattoliche a quelle socialiste. All’Esperanto fu rimproverato dagli idisti e
dagli adepti dell’Interlingua di avere gravi pecche dal punto di vista
linguistico e di essere stato prodotto da un singolo dilettante, e a questi
fatti veniva imputata la sua scarsa diffusione; ma l’Ido incorse nel difetto
opposto. Esso nacque dal lavoro di un comitato di linguisti, che, andando alla
ricerca della perfezione teorica, persero di vista un fatto fondamentale:
l’affermarsi di una lingua ha bisogno di tempi lunghi, e per tali tempi è
necessaria la stabilità. Stabilità che non significa immobilismo o
fossilizzazione, bensì possibilità di evoluzione alla stessa stregua e con gli
stessi tempi con i quali si evolvono le lingue etniche. A Padova fu un convinto
assertore della necessità di una lingua internazionale il cristallografo
Ruggero Panebianco, professore di mineralogia all'Università. La sua attività
presso il nostro Ateneo durò oltre quarant'anni e segnò alcuni momenti
importanti: nel 1883 si ebbe con lui la costituzione del Museo di Mineralogia
come entità a sé stante, con la divisione amministrativa dei Gabinetti di
Mineralogia e Geologia. Il Museo di Mineralogia andò poi rapidamente
ingrandendosi dall'originaria collezione del Vallisneri che ne aveva costituito
la base, acquisendo doni e lasciti di importanti collezionisti e studiosi del
tempo. Nel 1923 Panebianco ne lascerà la direzione ad Angelo Bianchi. Ruggero
Panebianco usa l'Esperanto in pratica e partecipa anche attivamente al
movimento per la sua diffusione. Lo troviamo attivo dirigente nel Circolo
Esperantista di Padova, fondato nel 1913 . Sulla «Rivista di Mineralogia e
Cristallografia Italiana», che egli fondò nel 1888 e diresse fino al 1918,
troviamo alcuni articoli scientifici in Esperanto nel periodo 1914-1916,
ripubblicati poi come opuscoli a sé stanti dalla Società Cooperativa
Tipografica di Padova. Il primo di questi è un opuscolo di 50 pagine e tratta
di un problema al quale Panebianco dedicherà sempre grande attenzione: la
validità dell’approssimazione numerica dei risultati quando si opera su dati
aventi approssimazioni diverse. Il libretto, edito dapprima in Germania , ha
un’interessante introduzione che termina con queste parole: L’apparenza copre la scienza con un mistero,
e il mistero scientifico è, come il mistero comune, una superstizione; ma la
superstizione scientifica è forse peggiore della superstizione comune. Un altro lavoro è anch’esso piuttosto
corposo e tratta di leggi della cristallografia verificate con i raggi X ; ad
esso seguono alcune pagine sul problema che darà luogo ad una lunga polemica:
se certi indici dei cristalli siano oppure no numeri razionali. Il Panebianco
sostiene giustamente che tutti i numeri con cui si tratta praticamente sono
razionali, anzi, decimali finiti, e sostiene che la legge fondamentale della
cristallografia debba a ragione denominarsi "legge di Haüy", e non,
come altri dicono, "legge degli indici razionali", come se altri
indici non fossero razionali. Interessante per quanto riguarda la lingua è la
prefazione a questo lavoro (scritta in Esperanto, inglese, francese, tedesco e
italiano): in essa Panebianco cita Leone Tolstoj e il suo giudizio
sull'Esperanto, sulla sua facilità e sull'opportunità di fare, almeno, lo sforzo
di provare ad impararlo. Quindi menziona le basi essenziali dell'Esperanto,
citando come particolare vantaggio l'esistenza dell'accusativo, in quanto
consente libertà nella costruzione della frase; in nota, egli critica
l'abolizione dell'accusativo, operata da altri linguisti che hanno voluto
riformare l'Esperanto, e cita specificamente l'Ido, che, come abbiamo visto,
era il risultato di una modifica dell'Esperanto effettuata dalla DALAI. La
parte scientifica di questo lavoro è molto interessante perché Panebianco
diventa anche un creatore in Esperanto della terminologia specialistica della
cristallografia. Sulla precisione della determinazione di certi indici
Panebianco obbietterà ancora una volta che non ha senso spingere il calcolo
fino ad una certa cifra decimale quando i dati sono approssimati con un ordine
di precisione minore, e ripeterà questa sua tesi in un lavoro, sempre in
Esperanto, dell'anno successivo . Altri lavori sono rifacimenti di lavori in
italiano. Panebianco fu un militante socialista fin dai suoi anni giovanili.
Del 1893 è la sua traduzione dall’inglese in italiano di un capitolo di
un'opera di William Morris, Un paese che non esiste; il capitolo appare sotto
il titolo La futura rivoluzione sociale, ed è edito a Milano dall'Ufficio della
Lotta di Classe, Tipografia degli operai . Si tratta della descrizione di un
paese senza capi e senza leggi. Nella prefazione il traduttore critica gli
anarchici, dicendo che la loro rivoluzione è quella stessa dei borghesi, e
termina con queste parole: Soltanto le
generazioni dello Stato socialista - Stato che, occupandosi solamente della
produzione e dello scambio dei beni, è la negazione di quello attuale -
potranno forse realizzare quella negazione assoluta di organizzazioni, anche
socialiste, che per ora è un sogno, un bellissimo sogno: quello descritto dal
Morris. E come socialista Panebianco
interviene in maniera molto discreta in una polemica sulla lingua
internazionale apparsa sull'«Avanti!» agli inizi del 1918. L'edizione del 24
gennaio riporta una lettera di Vezio Cassinelli che si inserisce in uno scambio
di opinioni riguardante la fondazione di un Istituto di Cultura Socialista.
Cassinelli si qualifica "umile operaio" e sostiene l'opportunità di
tale istituto. Nei rami della sua futura attività Cassinelli propone di
inserire anche l'insegnamento dell'Esperanto, come strumento funzionale a
risolvere il problema dell'incomprensione tra i lavoratori che parlano lingue
diverse. A commento redazionale di tale lettera appare, senza firma, un parere
drasticamente contrario: "La lingua internazionale è uno sproposito,
scientificamente. " Il commento continua con argomentazioni che oggi
farebbero sorridere, ma che allora sembravano ancora avere qualche credito in
alcune scuole di pensiero: le lingue sono fenomeni naturali e non possono
essere create artificialmente, e "le nazioni si sono formate per le
necessità economiche e politiche di una classe: la lingua è stata solo uno dei
documenti visibili e atti alla propaganda di cui gli scrittori borghesi si sono
giovati per suscitare consensi anche fra i sentimentali e gli ideologi."
Due giorni dopo, il 26 gennaio, compare un trafiletto, anche questo senza
firma, ma probabilmente del direttore Serrati, che comunica come il commento
dell'anonimo redattore alla lettera di Cassinelli abbia sollecitato una
quantità di proteste. Nel trafiletto si dice che l'Esperanto è utile anche se
non è artistico, e che una guerra contro gli esperantisti da parte del partito
socialista è proprio fuori luogo. Il giorno successivo esce una lettera di
Ruggero Panebianco che approva la posizione equilibrata del direttore, ma
garbatamente contesta che tale lingua non sia "artistica": quando non
si conosce qualcosa non si ha diritto di giudicarla. Panebianco riporta un
fatto accadutogli realmente e racconta di come un suo collega, che credeva a
priori che l'Esperanto non fosse artistico, si fosse ricreduto quando gli fu
fatta leggere, lentamente e spiegandogliela, una bella poesia tradotta in
Esperanto. Sull'«Avanti!» seguì poi una replica ancora più insistita a firma
del "Redattore torinese anti-esperantista", una nuova risposta del
Direttore, e quindi la polemica si chiuse con un intervento di Angelo
Filippetti, un medico che sarebbe diventato di lì a poco sindaco di Milano. Il
Filippetti esponeva quanto la linguistica stava chiaramente elaborando allora,
e cioè che "anche le attuali lingue ufficiali sono più o meno artificiali,
imposte dalle convenienze consolidate dall'uso." E concludeva: Noi sentiamo che lavoriamo, sia pure in un
campo secondario e modesto, per l'attuazione dell'unione internazionale dei
lavoratori; noi vogliamo rovesciare una barriera, e non delle minori, che
dividono l'unica classe lavoratrice mondiale. Noi lavoriamo per il
Socialismo. La polemica sull'«Avanti!»
terminò, ma il "redattore anti-esperantista" riprese le sue tesi in
un lungo articolo sul settimanale socialista «Il grido del popolo», questa
volta firmandosi con le iniziali: A. G.; si trattava di Antonio Gramsci .
Qualche anno dopo troviamo che Panebianco non usa più l'Esperanto, bensì
l'Interlingua di Peano, ma la sua passione politica è sempre il socialismo
pacifista. Nel suo opuscolo, pubblicato nel 1921, Adoptione de lingua
internationale es signo que evanesce contentione de classe et bello, egli
esprime la convinzione che l’adozione di una lingua internazionale possa
eliminare i conflitti di classe e la guerra. Panebianco usa l’Interlingua anche
per alcuni suoi lavori scientifici, e il suo primo lavoro in tale lingua è del
1921, su un minerale della Valsesia . Nell'introduzione egli scrive:
"Nostro Interlingua es etiam plus facile de sympathico lingua Esperanto
que es plus facile de lingua de Schleyer , et, que, pro suo diffusione,
substitue isto, jam mortuo." Dell'Interlingua è magnificata la facile
comprensibilità "quasi de primo visu" per ogni persona dotta che
conosca una lingua europea. Un altro suo lavoro scientifico tratta la legge di
Haüy , mentre altri articoli trattano temi più generali . La funzione della
lingua internazionale fu sempre intesa sotto due aspetti: da una parte, la
comprensione a scopi esclusivamente pratici, senza nessuna componente ideale;
dall'altra, la supposizione che una maggiore conoscenza reciproca avrebbe
favorito la pace e la fratellanza tra i popoli. Un giudizio positivo, specie
sulla possibilità di favorire questo secondo scopo, fu espresso nel 1914 da
Roberto Ardigò, professore di filosofia nel nostro ateneo dal 1881 al 1920, che
rispose ad una richiesta di parere rivoltagli dal Circolo Esperantista di
Padova con il seguente messaggio: Il
sottoscritto ringrazia di gran cuore del dono prezioso delle pubblicazioni
esperantiste fattegli tenere, onde ha occasione della riflessione, che
soggiunge. I progressi, in modo mirabile sempre maggiori, nella facilitazione e
nell'aumento delle comunicazioni, ognora più agevoli, più rapide, meno costose,
per terra, per mare, per l'aria stessa, quanto hanno già giovato e in seguito
viepiù gioveranno all'affratellamento delle genti più varie, più discoste, più
riottose! Ma l'affratellamento verrebbe poi fino a formare dell'umanità intera
proprio una sola famiglia quando si riuscisse (e giova sperarlo) a farvi
diffondere e generalizzare, almeno pei commerci e la cultura scientifica, un
semplice, facile, razionale linguaggio comune, come certamente è da ritenere
l'Esperanto. Nobilissimo dunque e lodevolissimo è l'intento del Circolo
Esperantista di Padova, al quale per ciò è da augurare, e auguro fiducioso,
vita e seguito sempre maggiori. Dev.mo Prof. Roberto Ardigò Negli anni immediatamente precedenti la prima
guerra e nel periodo tra i due conflitti l'Esperanto fu insegnato in Padova e
provincia in numerosissimi corsi presso istituti scolastici pubblici e privati
(ad esempio l'Istituto Magistrale "Fuà Fusinato" e il Liceo
"Tito Livio"), con centinaia di allievi; il provveditore agli studi
di Venezia, Umberto Renda, nel 1932 e nel 1933 diramò circolari in favore
dell'istituzione di corsi nelle aule scolastiche, corsi che furono tenuti al
liceo "Marco Polo", al liceo "Marco Foscarini", al Liceo
Scientifico, all'Istituto Magistrale; si formarono gruppi esperantisti a
Rovigo, Cittadella, Este, Venezia, Legnago, Piazzola. Alcuni corsi dovettero
essere sdoppiati per il grande numero di allievi, altri dovettero essere
rimandati essendo l'insegnante già troppo impegnato in altri corsi. Negli
"anni del consenso" per il regime fascista l'Esperanto fu visto dalle
autorità principalmente come strumento di italianità, in quanto simile
all'italiano (ma non tanto quanto si voleva far credere) e in quanto mezzo per
arginare la prepotenza delle cosiddette "grandi lingue". Una lingua
internazionale che propagandasse all'estero le bellezze d'Italia per attirare
il turismo e che facesse conoscere gli scopi e le realizzazioni del regime fu
vista a lungo con occhio molto benevolo da parte delle istituzioni statali. In
una situazione di apprezzamento reciproco, anche nel movimento esperantista,
come in vari altri di ispirazione e aspirazione internazionale, divenne
vincente la linea che proponeva di "esportare il fascismo". L'Esperanto
fu quindi largamente utilizzato per pubblicazioni turistiche e di propaganda
politica, come pure nelle trasmissioni radio a onda corta . I vari podestà
figuravano come presidenti dei congressi nazionali di Esperanto, che si
svolgevano ogni anno in una città diversa. Nel 1931 il congresso si svolse a
Padova, alla Sala della Gran Guardia, e come presidente del Comitato
Organizzatore figurava istituzionalmente il Podestà, dapprima il conte
Francesco Giusti del Giardino e poi il suo successore, nob. Ing. Lorenzo
Lonigo; tuttavia l'anima dell'organizzazione effettiva fu Giovanni Saggiori .
Il congresso, tenutosi dal 26 al 28 luglio, ebbe una vasta risonanza sulla
stampa e vi furono numerosi saluti e telegrammi di apprezzamento anche di alte
autorità: il Re, il Principe di Piemonte, il Ministro per l'Educazione
Nazionale, vari podestà, il Touring Club, la Croce Rossa Italiana, l'Università
per stranieri di Perugia, l'Università di Trieste e numerose altre autorevoli
istituzioni. È tuttavia da segnalare che, stranamente, l'Università di Padova
non partecipò affatto, neanche con un semplice messaggio di saluto. A partire dal 1922 l'Esperanto è presente
alla Fiera di Padova , nel 1935 l'assise mondiale esperantista si svolge a
Roma, "con l'alto assenso del Duce". Corsi di Esperanto vengono
tenuti alla Scuola Superiore di Commercio a Venezia, dove insegna Gino Lupi,
assistente di romeno e poi insegnante di lingue a Padova. Tuttavia presso
l'Università di Padova non risultano essersi tenuti corsi. Con il montare del nazionalismo e
l'allineamento alla politica nazista, che liquida le organizzazioni
esperantiste in Germania, cominciano le difficoltà anche in Italia: il
congresso a Roma del 1935 è l'ultimo evento in cui il movimento esperantista e
il regime fascista sono in sintonia. Il congresso nazionale del 1938 si svolge
a Vicenza il 3 e 4 settembre ed ha come tema "L'Esperanto come strumento
di propaganda turistica"; ma con il 1939 la stampa esperantista viene
messa a tacere "per risparmiare carta". Il fatto che l'iniziatore
dell'Esperanto fosse un ebreo diventa un marchio di infamia, le aspirazioni
internazionaliste diventano un atto d'accusa; alla "via Zamenhof" di
Milano viene cambiato il nome. Il movimento esperantista, come tutte le
attività internazionali, subisce un arresto; di lì a poco lo scoppio del
conflitto mette in secondo piano ogni idealismo e costringe ad urgenze e
priorità diverse. 4. DALLA SECONDA
METÀ DEL XX SECOLO AD OGGI Dopo la
seconda guerra il fortissimo aumento delle relazioni internazionali rende
sempre più acuto il problema linguistico. Si sviluppano i primi consistenti
studi sulla traduzione automatica, in particolare quelli legati al progetto
Eurotra, che coinvolge decine di ricercatori di quindici università di tutta
Europa e produce parecchie pubblicazioni . C'è anche un interessantissimo
studio portato avanti nel Distributed Language Translation (DLT), un progetto
di traduzione automatica in rete in varie lingue, sostenuto dalla ditta
olandese BSO e dallo stato olandese: il sistema è "a linguaggio
intermedio", cioè la traduzione da una lingua all'altra si basa su una
lingua ponte. Il DLT ha scelto come lingua ponte l'Esperanto. Tale progetto
dura dieci anni, dal 1980 al 1990 e produce un prototipo di sistema di
traduzione di ottime potenzialità, che viene illustrato all'Università di
Padova il 31.8.1990 da Dan Maxwell, uno dei principali collaboratori.
L'attività dei gruppi esperantisti è nuovamente vivace. Nel 1954 si svolge a
Verona il congresso mondiale dei ferrovieri esperantisti, con oltre 500
partecipanti. A Padova il Gruppo è sempre sotto la guida di Giovanni Saggiori,
e negli anni Sessanta il luogo istituzionale dove imparare la lingua diventa
l'Università Popolare. Il nostro Ateneo
partecipa all'attività riguardante la lingua internazionale con i primi anni
Settanta nella sua sede di Verona. Lì, in via dell'Artigliere, viene ospitata
per oltre dieci anni la segreteria dell'Istituto Italiano di Esperanto,
organizzazione che presiede ai corsi di insegnamento della lingua. Ancora presso
la sede di Verona il nostro Ateneo ospita il congresso nazionale nel 1974, con
la partecipazione in prima persona del prof. Gino Barbieri, rappresentante a
Verona del Rettore di Padova. Il prof. Barbieri è un vecchio esperantista,
attratto alla lingua da Bruno Migliorini. Giordano Formizzi, professore di
pedagogia presso la sede di Verona, poi resasi ateneo autonomo nel 1982, si
avvicina all'Esperanto nel 1979 e lo insegna all'interno del suo corso di
Storia della Pedagogia . Del pari un cultore di Esperanto è padre Aldo
Bergamaschi, professore di Pedagogia anch'egli nella sede veronese
dell'Università di Padova e poi presso l'università autonoma di Verona. Questi
due professori, insieme a chi scrive, sono stati oratori ufficiali della
celebrazione del centenario dell'Esperanto nel 1987 da parte della Federazione
Esperantista Italiana, celebrazione tenutasi alla Fondazione Cini a
Venezia. Nel 1983 nasce a San Marino,
per volontà del Congresso di Stato e con decisione del Consiglio dei XII,
l'Accademia Internazionale delle Scienze (AIS) San Marino, un'istituzione
universitaria di insegnamento e di ricerca. Le lingue di insegnamento sono
l'italiano, l'Esperanto, l'inglese, il francese, il tedesco, a cui si
aggiungeranno successivamente altre lingue, data l'espansione dell'attività
specialmente nei paesi dell'Europa orientale. L'Esperanto resterà comunque fino
ad oggi, per statuto, la lingua privilegiata, in cui devono essere scritte, e
difese oralmente, le tesi dei vari livelli, corrispondenti ai titoli italiani
odierni di laurea, laurea magistrale, dottorato di ricerca, oltre a un titolo
superiore corrispondente al "doctor habilitatus" tedesco. I primi
sostenitori di questa iniziativa sono professori universitari tedeschi e
italiani, e troviamo qui ancora dei docenti veneti: Fabrizio Pennacchietti, un
orientalista torinese che ha insegnato a Ca' Foscari, Mario Grego, abitante a
Padova e docente di inglese anch'egli a Ca' Foscari, il già citato Giordano
Formizzi e due professori dell'università di Padova: Marino Nicolini,
farmacologo di cittadinanza sammarinese, e, successivamente, l'autore di queste
righe, matematico. In particolare il primo e l'ultimo dei docenti citati, oltre
che tenere corsi in Esperanto, hanno ricoperto e ancora ricoprono incarichi organizzativi
di alto livello. I professori dell'AIS vengono da molte università di tutto il
mondo, creando un contesto internazionale estremamente proficuo per gli
studenti; tra essi ci sono il premio Nobel per l'economia Reinhard Selten e
membri di varie accademie nazionali . Tra le prime opere scientifiche edite
sotto gli auspici dell’Accademia Internazionale delle Scienze San Marino vi è
un interessante lavoro di biologia. Fino ai primi anni ’80 non esisteva un
testo completo per il riconoscimento dei licheni europei, pur esistendo testi e
cataloghi in varie lingue europee, italiano e latino compresi. I francesi G.
Clauzade e C. Roux pubblicarono allora un testo illustrato in Esperanto per la
determinazione dei licheni dell’Europa occidentale . Il testo fu dapprima
considerato una stranezza, dato che il mondo scientifico non era portato a
vedere testi in lingua diversa dall’inglese; tuttavia per il suo valore divenne
indispensabile in ogni laboratorio che si occupasse di riconoscimento dei
licheni. Il testo, che era corredato da un piccolo glossario
esperanto-francese, fu utilizzato anche all’università di Padova dal prof.
Giovanni Caniglia; con la collaborazione degli studenti interni il glossario
originario fu elaborato ed arricchito fino a diventare un piccolo dizionario di
esperanto, che fu in seguito diffuso presso i soci della Società Lichenologica
Italiana . Il testo è attualmente un po’ superato, dato il progredire della
scienza negli ultimi decenni, però fu un evento significativo nell’intento di
trasmettere la scienza anche in una lingua internazionale non etnica. Nel 1990 il nostro Ateneo è fortemente
impegnato in alcuni eventi connessi alla lingua internazionale. Il Dipartimento
di Matematica Pura ed Applicata pubblica, come suo rapporto interno, una
ricerca sui contatti culturali tra l'Italia e l'Ucraina, originariamente
redatta in Esperanto . Quindi alla fine di agosto viene ospitato al Liviano il
61° Congresso italiano di Esperanto. Si tratta della manifestazione più
significativa della comunità esperantista mai svoltasi a Padova:
precedentemente c'era stato, come già visto, il 16° congresso nazionale nel
1931 e quindi, nel gennaio 1988, si era svolta, alla Sala della Gran Guardia,
una giornata esperantista che metteva insieme la celebrazione del centenario
della nascita della lingua (1887) e quella dei 75 anni di vita del gruppo,
fondato nel 1913. Il Congresso si giova
del patrocinio della Regione Veneto, della Provincia di Padova,
dell'Assessorato alla Cultura e ai Beni Culturali del Comune di Padova,
dell'Azienda di Promozione Turistica della Provincia e della Sezione Ricerca e
Istruzione del Consiglio d'Europa. Il Comitato d'Onore è imponente, come assai
raramente succede per iniziative al di fuori degli organi istituzionali: vi
figurano il Presidente della Repubblica Cossiga, il Presidente del Consiglio
Andreotti, il Presidente del Senato Spadolini, il Presidente della Provincia
Toscani, il Questore di Padova Romano, i Presidenti delle Regioni Valle d'Aosta
e Trentino-Alto Adige, i sindaci di Padova, Firenze, Bologna e Reggio Emilia, i
Rettori delle Università di Padova, Bologna e Ferrara, il Rettore dell'AIS San
Marino, oltre a vari parlamentari e autorità locali. I congressisti sono oltre
300, dei quali un centinaio provenienti dall'estero. All'inaugurazione alla
Sala dei Giganti, il 25 agosto, intervengono il sindaco Paolo Giaretta e il
prof. Ezio Riondato in rappresentanza del Rettore Mario Bonsembiante. Il tema
del congresso riguarda i problemi linguistici degli immigrati in Europa e il
discorso inaugurale, tenuto dallo storico tedesco Ulrich Lins, ha titolo: Verso
un'Europa multiculturale. Durante l'inaugurazione si celebra il gemellaggio dei
gruppi esperantisti di Padova e Friburgo e la mattinata si conclude con un
saluto di Marco Pannella; l'intero congresso viene messo in onda in diretta da
Radio Radicale. Le conferenze e i
programmi musicali del congresso si svolgono nella Sala dei Giganti, gli
spettacoli sono all'Antonianum; i corsi di Esperanto attivati per l'occasione
si svolgono nelle aule della Facoltà di Lettere, poste cortesemente a
disposizione dal preside Vincenzo Milanesi. All'inaugurazione e nelle serate si
esibisce, insieme alla cantante Giusy Irienti, il pianista Aldo Fiorentin,
allora giovane già affermato, oggi professore al Conservatorio di Adria,
vincitore di vari premi nazionali e internazionali; i due solisti si alternano
con una rappresentazione di pupi del Teatro di Stato di Budapest ed un recital
del chitarrista polacco Jerzy Handzlik. La Sezione teatrale del Club Studentesco
Esperantista dell'Università di Zagabria, porta in scena la versione in
Esperanto della commedia ruzantiana Il Parlamento, e il testo ha la prefazione
di Marisa Milani, anch'ella docente del nostro ateneo . In altra serata viene
presentata un'antologia in Esperanto di poeti del Novecento (per i contatti con i poeti collaborarono i
professori padovani Armando Balduino e Silvio Ramat). Il congresso ha ampia
risonanza sui giornali, dato che vari eventi del programma sono aperti al
pubblico: la tavola rotonda sul tema "L'Europa e gli immigrati: il ruolo
dell'Esperanto" viene effettuata all'aperto di fronte al Bo', mentre lungo
il porticato di via Oberdan un maestro internazionale di scacchi, il cecoslovacco
L. Fiala, effettua dieci partite in simultanea con appassionati locali. La
serata "Musica in piazza" si svolge in Piazza dei Signori sotto la
direzione artistica di Franco Serena e vi partecipano due complessi padovani
("The Beat Shop" e "Serena") e il complesso vocale "Eterna
Muziko" di Leningrado. In coda al
congresso si ha, sempre ospitata al Liviano, una giornata di studio
dell'Accademia Internazionale delle Scienze San Marino sulla modellizzazione
matematica del linguaggio; gli atti, redatti in italiano, Esperanto e inglese,
escono come Rapporto Interno del Dipartimento di Matematica Pura ed Applicata .
In concomitanza con il congresso e nello stesso periodo la galleria della Sala
dei Giganti accoglie l'esposizione "Vita e cultura in lingua
Esperanto", sponsorizzata dalla Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e
curata da Giorgio Silfer, del Centro Italiano di Interlinguistica. La mostra è
organizzata in varie parti: espositiva, recitativa, teatrale, musicale e vuole
far conoscere come la comunità che parla la lingua internazionale abbia una
forte autocoscienza e sia molto ricca culturalmente, pur partecipando ognuno
anche alla cultura del proprio paese. Nel 1996 esce un dizionario
italiano-Esperanto , presentato al pubblico padovano da Alberto Mioni,
ordinario di glottologia, in una giornata alla Sala della Gran Guardia; a tale
giornata partecipa anche, con un messaggio di saluto, Antonio Lepschy,
ordinario di controlli automatici. Dal 1997 al 2000 ha trascorso periodi di
studio presso l'Università di Padova (come ricercatore e anche come correlatore
di tesi di laurea in Psicologia) il chimico Luigi Garlaschelli dell'università
di Pavia, tra i fondatori del gruppo esperantista di Pavia, il quale si occupa
anche di indagini sui presunti fenomeni paranormali. In varie università italiane vengono fatti
studi sulla lingua internazionale; in particolare, all'Università di Torino
opera un validissimo gruppo di storici della matematica che si occupa di Peano.
Tesi di laurea su questi argomenti sono state discusse molto recentemente a
Torino, Roma, Genova, Venezia; nell'ateneo torinese vi è un corso istituzionale
di "Interlinguistica ed Esperantologia"; all'Università Statale di
Milano nel 2006 una parte del corso di "Storia della filosofia
contemporanea" è stata dedicata ai linguaggi artificiali ; la biblioteca
della Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM a Milano ha una
consistente sezione dedicata all'Esperanto. All'Università di Padova
l'interesse per la lingua internazionale non riveste semplicemente un ruolo
collaterale: presso il Dipartimento di Matematica Pura ed Applicata, come
ricerca istituzionale nell'ambito del finanziamento ministeriale ex-60%, è
stato elaborato un analizzatore morfologico dell'Esperanto ; nello stesso
ambito sono stati pubblicati uno studio di statistica linguistica su un corpus
in Esperanto , una traduzione dal latino in Esperanto di un brano del De
numeris di Cardano e, in collaborazione
con l’Università Industriale Statale di Mosca, un testo in Esperanto di storia
della scienza e della tecnica . In particolare Carlo Minnaja, professore a
Padova dal 1965 e professore onorario all’Università statale “Lucian Blaga” di
Sibiu (RO) dal 2002, ha svolto un'intensa attività nelle organizzazioni
esperantiste ed è membro dal 1973 dell'Accademia di Esperanto; per la
diffusione della cultura italiana tramite traduzioni nel 1990 gli è stato
assegnato il Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri .
Non solo professori, ma anche studenti del nostro Ateneo usano nei loro studi
lingue pianificate. Nell’anno accademico 2000-2001 è stata discussa una tesi di
laurea in matematica sulle serie di Chebyshev, tesi tradotta poi in Interlingua
. Opera di studenti o ex-studenti del nostro Ateneo è la traduzione in
Esperanto dei Malavoglia, presentata al congresso mondiale a Firenze
nell'agosto 2006 : dei tre traduttori, Paola Tosato e Giancarlo Rinaldo sono
stati studenti-lavoratori, mentre Anselmo Ruffatti si è laureato a Padova in
medicina. Del pari allievo dell'Università di Padova per il conseguimento del
titolo di Direttore Didattico è stato Filippo Franceschi, che, sotto lo
pseudonimo di Sen Rodin, è un apprezzato autore di novelle in Esperanto. La
nostra università quindi continua nella sua opera di produzione e diffusione
della cultura anche attraverso la lingua internazionale.Un validissimo lavoro
in italiano su lingue "universali" e poi "internazionali"
proposte da matematici è: CLARA SILVIA ROERO, I matematici e la lingua
internazionale, «Bollettino Unione Matematica Italiana», Sez. A, Agosto 1999,
p. 159-182. Esso tuttavia, per quanto riguarda l'Italia, si focalizza quasi
soltanto su Giuseppe Peano e la sua scuola, con particolare riguardo agli
eventi del primo decennio del secolo scorso; si arresta quindi con
l'estinguersi, nel 1936, della rivista ispirata dal Peano «Schola et Vita».
Qualche informazione sulla matematica in Esperanto si trova in un sito
dell'università svedese di Uppsala,
http://www.math.uu.se/~kiselman/mathesp.html; numerosi articoli di matematica
in Esperanto si trovano in «Scienca Revuo», rivista che esce ininterrottamente
dal 1949; gli indici delle annate dal 1993 sono disponibili al sito
www.ais-sanmarino.org/publik/sr/index.html.
Sull'algebra medioevale, vd. RAFFAELLA FRANCI, Una traduzione in volgare
dell'Al-Jabr di al-Kwarizmi, in RAFFAELLA FRANCI, PAOLO PAGLI, ANNALISA SIMI (a
cura di), Il sogno di Galois, Siena, Centro Studi della Matematica Medioevale -
Università di Siena, 2003, p. 19-40. In
Francia ancora alla fine dell'Ottocento le tesi in filosofia erano
obbligatoriamente in latino. In Italia l'obbligo di far lezione in italiano
nelle università (con eccezione per Teologia ed Eloquenza latina) si ha con il
Regio Decreto del 18 aprile 1850 per il Regno di Sardegna, esteso poi con
l'unificazione a tutto il Regno d'Italia; vd. ROERO, I matematici, p. 159, nota
2. Nome latinizzato del pedagogista e
riformatore moravo Jan Amos Komenský (1592-1670). Sui progetti di lingua
internazionale di Comenius vd. G. FORMIZZI, La lingua pansofica di Comenio,
«L'Esperanto», 4-5, 1989, p. 39-61. Giordano Formizzi, professore di pedagogia
all'Università di Padova e poi all'Università di Verona e all'Accademia
Internazionale delle Scienze San Marino, ha tradotto in italiano altre opere di
Comenius: la Panglottia, La via della luce e l'Angelus pacis, edite dalla Libreria
Editrice di Verona, nonché la Panorthosia, edita a Verona da Gabrielli. In
quest'ultima opera Comenius propone un progetto di riforma del mondo che
include la proposta di una lingua universale.
La raccolta più completa di lingue immaginarie, inventate o pianificate,
corredata di ampio commento, è: PAOLO ALBANI, ALIGHIERO BUONARROTI, Aga Magéra
Difura, Bologna, Zanichelli, 1994. Più recente è un'edizione francese: PAOLO
ALBANI, ALIGHIERO BUONARROTI, Dictionnaire des langues imaginaires. Paris,
Belles lettres, 2001. Di spirito diverso, quasi ludico, che si può leggere come
un romanzo è: ALESSANDRO BAUSANI, Le lingue inventate, Roma, Ubaldini,
1974. Con valore storico, ma di notevole
completezza per l'epoca, è un'opera in Esperanto: PETER E. STOJAN, Bibliografio
de internacia lingvo, Genève, Bibliografia Servo de Universala
Esperanto-Asocio, 1929. Sulla storia
delle lingue inventate, o pianificate in maggiore o minore misura, citiamo, a
puro titolo di esempio, in italiano: UMBERTO ECO, La ricerca della lingua
perfetta nella cultura europea, Roma-Bari, Laterza, 1993; il testo più recente
è in Esperanto: ALEKSANDR DULIČENKO, En la serĉado de la mondolingvo, aŭ
interlingvistiko por ĉiuj (Alla ricerca di una lingua mondiale, o
interlinguistica per tutti), Kaliningrado, Sezonoj, 2006, traduzione
dall'originale russo che ancora non è apparso a stampa. Di valore storico è:
LOUIS COUTURAT, LÉOPOLD LEAU, Histoire de la langue universelle, Paris,
Librairie Hachette, 1903, 2a ed. 1907, con il suo aggiornamento: LOUIS
COUTURAT, LÉOPOLD LEAU, Les nouvelles langues internationales, Paris,
[Librairie Hachette], 1907; una nuova edizione è uscita presso Olms,
Hildesheim-New York, 1979. Il titolo
intero è Via lucis, Vestigata & Vestiganda, h. e. Rationabilis disquisitio,
quibus modis intellectualis animorum LUX, SAPIENTIA, per omnes omnium hominum
mentes et gentes iam tandem sub mundi vesperam feliciter spargi possit. Nempe
ad intelligenda melius illa Oraculi verba Zachariae 14, v. 7: Et erit, ut
vespere fiat lux. Il termine
"universale" attribuito ad un linguaggio per esprimere qualsiasi
concetto in maniera comprensibile a popoli di lingue diverse muterà poi in
"internazionale" circa due secoli dopo, quando sarà riferito soltanto
ad espressioni linguistiche. Juan Luis
Vives (1492-1540), filosofo e umanista spagnolo, sostiene la necessità di una
lingua unica e universale nella sua opera De tradendis disciplinis (1531); ne
esiste una traduzione italiana commentata di Luigi Gallinari, uscita a Cassino,
Ed. Sangermano (1984). KOMENSKY, La
via, p. 246. Ivi, p. 250. Di Comenius non esiste ancora un'edizione
completa delle opere; un progetto, affidato all'Università di Praga, la prevede
in una trentina di volumi, ma l’edizione si è arrestata ben prima del
completamento. L’ultimo volume edito è uscito nel 1992, in occasione del quarto
centenario della nascita di Comenius (comunicazione all'A. di G. Formizzi). George Dalgarno (c. 1626-1687), pedagogista
scozzese, fu tra i primi ad occuparsi dell'istruzione dei sordomuti, elaborando
un sistema di segni, che espose nell'opera Ars signorum: vulgo character
universalis et lingua philosophica (1661) e nel Didascalocophus (1680). John Wilkins (1614-1672), vescovo di
Chester, tra i fondatori della "Royal Society" londinese, cognato di
Cromwell. Nel 1668 pubblica l'opera An Essay Towards a Real Character and a
Philosophical Language; in essa tutte le idee di natura più semplice sono
classificate in un sistema gerarchico e collocate in una tabella. C'è un elenco
primario di quaranta generi, ciascuno suddiviso in sei "differenze",
e ciascuna differenza è poi suddivisa in specie. Vengono così raccolti e
classificati 2030 concetti. Ad ogni genere corrisponde una coppia di lettere
iniziali, ad ogni differenza una consonante maiuscola, ad ogni specie una
vocale o gruppo di vocali minuscole. Vengono così ad essere costituite le
radici, alle quali poi si aggiungono le derivazioni e la flessione pertinente
alla morfologia. Le parole sono quindi costituite da successioni di lettere che
corrispondono al posto del termine nella tabella. Questa lingua viene
presentata da Wilkins alla Royal Society, che ne demanda lo studio ad una
commissione di esperti, tra i quali gli scienziati Robert Boyle (1627-1691),
che diventerà famoso per una legge sui gas perfetti, e il suo assistente Robert
Hooke (1635-1703), che pure resterà famoso per una legge sull'elasticità dei
corpi. Non si è trovata tuttavia una relazione sulla questione. Così in COUTURAT, LEAU, Histoire; va detto
tuttavia che al tempo dell'uscita di tale opera molti degli scritti di Leibniz
erano ancora sconosciuti. Così
presentato in COUTURAT, LEAU, Histoire, p. 23 (trad. dal francese
dell'A.). Il nome è derivato da
Pacidius, pseudonimo sotto il quale Leibniz voleva pubblicare la sua
Encyclopedia; vd. LOUIS COUTURAT, Opuscules et fragments inédits de Leibniz, Paris, Felix
Alcan, 1903. Cfr. STOJAN, p. 41 (trad. dall'Esperanto dell'A.). G. W. LEIBNIZ, Scritti di logica, 2 voll.,
Roma-Bari, Laterza, 1992, p. 425. Vd.
ANDRÉ ROBINET, L’empire leibnizien, Trieste, LINT, 1991. Per una biografia estesa vd. ENRICO NESTORE
LEGNAZZI, Commemorazione del conte Giusto Bellavitis letta il 6 dicembre 1880,
Padova, Prosperini, 1881. Per una biografia più succinta vd. NICOLA VIRGOPIA,
Bellavitis, Giusto, in Dizionario Biografico degli Italiani, 7, Roma, Ist. Enc.
It., 1965, p. 621-622. GIUSTO BELLAVITIS,
Pensieri sopra una lingua universale, «Memorie dell'I. R. Istituto veneto di
scienze, lettere ed arti», 11, 1862, p. 33-74; un'edizione a parte è apparsa
nel 1863 presso la Segreteria del detto Istituto. GIUSTO BELLAVITIS, Saggio di applicazioni di
un nuovo metodo di geometria analitica - calcolo delle equipollenze, «Annali
delle Scienze del Regno Lombardo-Veneto», t. 5, bim. 5.-6. (set.-dic. 1835);
GIUSTO BELLAVITIS, Memoria sul metodo delle equipollenze, «Annali delle Scienze
del Regno Lombardo-Veneto», 7, 1837, p. 243-261. LEGNAZZI, Commemorazione, nota 9, pag.
66. Ivi, p. 6. Il libretto citato fu
esibito al pubblico durante al commemorazione citata. Attualmente non è noto
il luogo dove sia conservato. BELLAVITIS, Pensieri, p. 34. Ivi, p. 35-36. Lazzaro Ludovico Zamenhof (1859-1917) nacque
nella cittadina polacca di Bjałystok, che per il trattato di Tilsit (1807) era
allora sotto la Russia. Dalla fine della I guerra mondiale è in Polonia. BELLAVITIS, Pensieri, p. 50. BELLAVITIS, Pensieri, p. 57-58. Jean-François Sudre (1787-1862), musicista,
professore a Sorèze, un collegio dei benedettini, riorganizzato nel 1854 dai
domenicani. Sudre si dedicò anche alla telefonia, scrivendo un codice per la
trasmissione a distanza di segnali fonici che fu adottato in Francia per
impieghi militari. Giovanni Vailati
(1863-1909), laureato in ingegneria e quindi in matematica, si dedicò
successivamente alle lingue e alla filosofia, in particolare alla logica;
assistente di Peano, insegnò poi in varie scuole medie e fu uno dei promotori
dei primi congressi internazionali di filosofia, nei quali, come vedremo, fu
posto il problema di una lingua internazionale per la comunicazione
scientifica. A Crema, sua città natale, esiste il “Centro Studi Giovanni
Vailati”. La citazione proviene dalla
recensione ad opera di Vailati del libro di Couturat e Leau Histoire, citato
precedentemente, in Scritti di G. Vailati (1863-1909), Leipzig-Firenze,
Johann-Ambrosius-B. Seeber, 1911, p. 541-545.
GIUSTO BELLAVITIS, Utopie del socio ordinario Giusto prof. Bellavitis,
Padova, G. B. Randi, 1867. GIUSTO
BELLAVITIS, Reminiscenze della mia vita: lettura accademica, Padova, G. B.
Randi, 1877. ERIKA LUCIANO, CLARA
SILVIA ROERO (a cura di), Giuseppe Peano - Louis Couturat: Carteggio
(1896-1914), Firenze, Olschki, 2005. L’opera contiene una bibliografia molto
estesa. Padova, Tipografia del Seminario,
1891. «Rivista di Matematica», II
(1892), p. 143-1444. Vd. il pregevole
lavoro: SANTUZZA BALDASSARRI GHEZZO, Giuseppe Veronese - Matematico
dell'Università di Padova, Padova, Dip. Matematica Pura ed Appl., 1995. LÉOPOLD LEAU, Une langue universelle
est-elle possible? Appel aux hommes des sciences et aux commerçants, Paris,
Gauthier-Villars, 1900. Per la storia della lingua internazionale e in
particolare delle vicende qui riportate si possono utilmente vedere: UBALDO
SANZO, L'artificio della lingua, Milano, FrancoAngeli, 1991; ROERO, I
matematici. Hippolyte Sebert
(1839-1930), generale di artiglieria dell'esercito coloniale francese, fece
numerosi studi di balistica; ritiratosi dall'esercito, fu consulente
industriale e si occupò di impianti di distribuzione dell'elettricità. Le sue
iniziative per rendere disponibile su larga scala la bibliografia scientifica
lo portarono, negli ultimi anni dell'Ottocento, ad interessarsi di una lingua
internazionale. Adepto dell'Esperanto, fu poi un grande organizzatore e
finanziatore dell'attività esperantista.
LOUIS COUTURAT, La logique de Leibniz, Paris, Alcan, 1901; ripubblicato
poi presso Olms, Hildesheim, 1961.
Nella sua opera De l'Infini mathématique (1896) Couturat aveva
utilizzato la memoria del Bellavitis sul calcolo delle equipollenze. Johann Martin Schleyer (1831-1912), parroco
cattolico in una cittadina tedesca sul lago di Costanza, fu nominato
"cameriere segreto" da Leone XIII.
La lettera, già citata nel 1991 come inedita in SANZO, L’artificio, p.
98, è ora comparsa nel citato carteggio tra Couturat e Peano. LOUIS COUTURAT, LÉOPOLD LEAU, Conclusions du rapport sur
l'état présent de la question de la langue internationale, Coulommiers,
Brodard, 1907. GIUSEPPE PEANO, Prof. Louis Couturat, «Revista
Universale», IV, 40, 1914, p. 78-79. La «Revista Universale» era un periodico
sulla lingua internazionale edito a Ventimiglia dal 1911; per le collaborazioni
di Peano a varie riviste vd. il cd-rom CLARA SILVIA ROERO (a cura di), Le
riviste di Giuseppe Peano, Torino, Dipartimento di Matematica, 2003. Con tale nome verranno poi indicati vari
altri progetti di lingua internazionale, in particolare quello sostenuto dalla International
Auxiliary Language Association (I.A.L.A.), fondata nel 1924 dall'americana
Alice D. Morris, la quale, entusiasmatasi dell'Esperanto per le sue idee
filantropiche di fratellanza universale, fonda una specie di seconda
Delegazione per l'adozione di una lingua ausiliaria internazionale. Dopo
tentativi infruttuosi di diffondere l'Esperanto, ostacolati da alcuni
linguisti, la I.A.L.A. propone nel 1951 una nuova lingua internazionale
elaborata dallo statunitense Alexander Gode, che si chiamerà anch'essa
Interlingua e che godrà per un periodo limitato di un certo successo nelle
riviste scientifiche. Sulla sua diffusione attuale, vd. il sito della Union
Mundial pro Interlingua: www.interlingua.com.
Couturat in una lettera a Bertrand Russell del 30 dicembre 1912 contesta
la validità scientifica di tale accademia, poiché vi si entra con il semplice
pagamento di una quota, e nega che essa sia la prosecuzione dell'Accademia
volapükista. Per la citazione esatta vd. ANNE-FRANÇOISE SCHMID, Bertrand
Russell, Correspondance sur la philosophie, la logique et la politique avec
Louis Couturat (1897-1913), Paris, Kimé, 2001, vol. 2, p. 643, riportata in
LUCIANO, ROERO, Giuseppe Peano, p. 180, nota 4. TULLIO LEVI-CIVITA, Programma de cursu de
Mathematica superiore in Universitates italiano, «Schola et Vita», VII, 1932,
p. 196-197. Vd. ad es., per l’Ido,
PAOLO LUSANA, Vocabolario moderno Ido-Italiano ed Italiano-Ido, Biella, Tip.
Magliola, 1921. L’Ido, che continua a definirsi “Esperanto reformita”, ha
tuttora adepti e un’organizzazione che ne promuove la diffusione; vd.
http://idolinguo.org.uk. Per l’Interlingua vd. UGO CASSINA, MARIO GLIOZZI,
Interlingua, Milano, Villa, 1945. Per
l’attività del movimento esperantista e la pubblicistica in Esperanto vd.
http://www.esperanto.it. Attualmente il
Gruppo Esperantista Padovano, erede del Circolo Esperantista, aderente alle
Associazioni di base della Regione Veneto, è intitolato a Giovanni Saggiori,
che ne è stato animatore per oltre sessant'anni, ed ha sede in Via Barbieri
18. ROĜERO PANEBIANCO, Fizika proksimigo,
verkita de Roĝero Panebianco, Profesoro de Mineralogio en la Universitato de
Padovo (Approssimazione fisica, scritto da Ruggero Panebianco, Professore di
Mineralogia nell'Università di Padova), Berlino, R. Friedland kaj filo (e
figlio), 1914; è da notare anche l'esperantizzazione del nome in
"Roĝero". Trad.
dall’Esperanto dell’A. RUGGERO
PANEBIANCO, Gravokristalaj X-radileĝoj kaj L' aserto ke la kristaledrindicoj
estas racionalnombroj ne estas naturiste kaj ne difinas ilin (Importanti leggi
cristallografiche basate sui raggi X e L'asserzione che gli indici di spigolo
dei cristalli sono numeri razionali non è naturale e non li definisce),
«Rivista di Mineralogia e Cristallografia Italiana», XLIV, 1915, pp. 1-36 + 4
di Aldono post linio 3, pĝ. 36 (Aggiunta dopo la riga 3, p. 36). RUGGERO PANEBIANCO, Proksimigo de la
refraktigindicoj (Approssimazione degli indici di rifrazione), Padova, Società
Cooperativa Tipografica, 1916. Presso
la Biblioteca Universitaria di Padova vi è una copia di tale opuscolo con la
dedica autografa del traduttore a Roberto Ardigò; segnatura: Bibl. Ardigò, D.
Ba 8/5, inv. 401682. I corsivi sono
nell'originale. ANGELO FILIPPETTI,
Ancora sull’Esperanto, «Avanti!», 7 febbraio 1918, p. 2. A. G. (Antonio Gramsci), La lingua unica e
l'Esperanto, «Il grido del popolo», n. 708, 16 febbraio 1918, p. 1. Gramsci
riaffermò anche successivamente le sue posizioni, vd. ad es. ANTONIO GRAMSCI,
Quaderni dal carcere, vol. II, Quaderni 6-11, Torino, Einaudi, p. 1466-1467.
Tali posizioni furono in seguito ritenute da rivedere anche all'interno del suo
partito: vd. ANTONIO CARANNANTE, Antonio Gramsci e i problemi della lingua
italiana, «Belfagor», XXVII, 5, 1973, pp. 544-556. Una replica riassuntiva si
trova in GIORGIO SILFER, Gramsci e l'esperanto: storia di un malinteso,
«Lombarda esperantisto», 14 novembre 1983, pp. 2-7. RUGGERO PANEBIANCO, Thulite de Varallo in
Valsesia, Padova, Soc. Coop. Tip., 1921.
Si tratta del Volapük. RUGGERO
PANEBIANCO, Lege de Haüy et lege de Symmetria, Cuneo, Un. Tip. Ed. Prov.,
1922 RUGGERO PANEBIANCO, Hypnotismo et
Necromantia (spiritismo); nota de naturalista R. Panebianco, Torino, Acad. Pro
Interlingua, 1923; RUGGERO PANEBIANCO, Regula de Camaro de longa et sana vita,
«Schola et Vita, Revista in Interlingua», ni. 1, 2, 3, 1927; ripubblicato a
Milano, Inst. Pro Interlingua, 1927.
Riportato in «L'Esperanto», 1914, p. 2.
Le trasmissioni radio dell'EIAR in esperanto durarono dal 1935 al 1942;
esse furono riprese nel 1950 a cura della Presidenza del Consiglio e durano
tutt'ora. Giovanni Saggiori
(1892-1984), ufficiale del genio, radiotecnico, sindaco di Fossò (1927-1930),
fu presidente del Gruppo padovano per oltre sessanta anni. Esperto di
toponomastica padovana, fu autore del volume Padova nella storia delle sue
strade, Padova, Piazzon, 1972. Ancora
oggi il Gruppo Esperantista è presente ogni anno alla fiera di Padova con un
proprio stand. Il progetto Eurotra si
riprometteva di ottenere una "Fully Automatic High Quality
Translation" da una all'altra delle lingue europee, che erano sette alla
fine degli anni '70 per arrivare a nove nel 1994 quando il progetto fu
dichiarato terminato. Per quanto fortemente finanziato dalla Commissione della
Comunità Europea, esso fallì completamente nel suo intento, effettivamente
troppo ambizioso, ma gli studi che stimolò servirono come base per un notevole
numero di sistemi di traduzione automatica aventi scopi molto più limitati.
Attualmente l'Unione Europea si giova del sistema SYSTRAN, che è disponibile
per un certo numero di coppie linguistiche. Sono disponibili oltre una decina
di moduli con l'inglese come lingua di partenza (L1) e di arrivo (L2); per
l'italiano sono disponibili soltanto i traduttori automatici con il francese e
l'inglese. Le prestazioni offerte da tale sistema sono tuttavia ancora
parecchio lontane da quanto può offrire un traduttore umano, che però spesso
non è disponibile. La comunicazione all'interno delle strutture dell'Unione
Europea resta comunque deficitaria: sui suoi costi vd. R. SELTEN (red.), The
Costs of European Linguistic (non) Communication, Roma, ERA, 1997. Giordano Formizzi è stato presidente della
Federazione Esperantista Italiana dal 1987 al 1993 e dal 1995 al 2001. Sull’attività dell’ AIS San Marino vd.
www.ais-sanmarino.org.. Successivamente nascerà anche l'Università della
Repubblica di San Marino, istituita con la legge-quadro n. 127 del 31.10.1985,
e che oggi ha come rettore Giorgio Petroni, professore di Tecnica e Gestione
dei Sistemi Industriali alla Facoltà d'Ingegneria di Padova. G. CLAUZADE, C. ROUX, Likenoj de Okcidenta Eŭropo,
«Bulletin de la Société Botanique du Centre-Ouest», Nouvelle série, Numéro
Spécial: 7-1985. G. CANIGLIA, Dizionario di esperanto, «Notiziario della
Soc. Lichenologica Italiana», V, 1992, p. 43-63. JA. O. MATVIJIŜYN (a cura di C. Minnaja), La
cultura e la scienza, con particolare riguardo alla matematica, nei rapporti
tra Italia e Ucraina, Padova, Dip. Matematica Pura ed Appl. (Rapp. Int. 20),
1990. A. BEOLCO, Interparolo (tr. C.
Minnaja), Pisa, Edistudio, 1990. Marisa Milani (1935-1998), all'epoca
professore di Letteratura delle tradizioni popolari all'Università di Padova,
fu una apprezzata studiosa del Ruzante.
C. MINNAJA, Enlumas min senlimo (M'illumino d'immenso), Prilly, LF-koop,
1990. C. MINNAJA (a cura di),
Modellizzazioni Matematiche per le Scienze del Linguaggio, Padova, Dip.
Matematica Pura ed Appl. (Rapp. Int. 25), 1990. C. MINNAJA, Vocabolario italiano-Esperanto,
Milano, Cooperativa Editoriale Esperanto, 1996. Vd.: P. VALORI (a cura di), Materiali per lo
studio dei linguaggi artificiali nel Novecento, Milano, CUEM, 2006. C. MINNAJA, L. G. PACCAGNELLA, A Part-of-Speech Tagger
for Esperanto oriented to MT, International Conference MT 2000 - Machine
Translation and multilingual Applications in the new Millennium, Exeter, 2000,
p. 13.1-13.5. C. MINNAJA, Statistika
analizo de la paroladoj de Ivo Lapenna (Statistical Analysis about Speeches by
Ivo Lapenna), «Grundlagenstudien aus Kybernetik und Geisteswissenschaft», 41,
2, Juni 2000, p. 83-90. G. CARDANO, Pri la noblo kaj utilo de ĉi arto
kaj pri la malklaraj notacioj (Della nobiltà e utilità di quest'arte e delle
notazioni oscure, da "De numeris", tr. C. Minnaja), «Literatura
Foiro», 194, 2001, p. 291. C. MINNAJA,
A. ŜEJPAK, Elektitaj lekcioj pri historio de scienco kaj tekniko - Избранные
лекции по истории науки и техники (Lezioni scelte di storia della scienza e
della tecnica), Mosca, Московский Государственный Индустриалъный Университет,
2006. Tra le traduzioni si segnalano C.
GOLDONI, La gastejestrino (La locandiera), Pisa, Edistudio, 1981; più
recentemente: N. MACHIAVELLI, La princo (Il Principe), Pisa, Edistudio, 2006.
Per l’attività e una bibliografia di Carlo Minnaja, vd.
http://www.math.unipd.it/~minnaja. Il
laureando era Alberto Mardegan; vd.. http://www.interlingua.fi/marathe.htm G. VERGA, La Malemuloj (I Malavoglia, tr.
Giancarlo Rinaldo, Anselmo Ruffatti, Paola Tosato), Pisa, Edistudio, 2006. L’autore ringrazia i colleghi Francesco
Paolo Sassi e Giovanni Caniglia dell’Università di Padova e Giordano Formizzi
dell’Università di Verona, nonché Andrea Montagner, bibliotecario presso la
Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano, per le preziose
notizie fornite. Ubaldo Sanzo. Sanzo. Keywords: apollo licio, trovato al
ginnasio liceo di Atene, figgurante il dio in atto di riposo dopo un gran
sforzo. natura ed artificio, l’artificio della lingua, convenzionalismo,
filosofia della lingua. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Sanzo” – The Swimming-Pool Library.
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