Grice e Sanctis: la ragione
conversazionale dello stile filosofico – scuola napoletana – filosofia
campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo
Italiano. Napoli, Campania. Essential philosopher. He considers philosophy as a
branch of the belles lettres and his field of expertise is when stylists stop
using an artificial Roman, and turned to ‘Italian.’ Grice: “I really do not
like de Sanctis; when an author becomes philosophical, he says that he has been
infested of the philosophical pest!” – Disambiguazione – Se stai cercando
l'omonimo architetto, vedi Francesco De Sanctis (architetto). Francesco de Sanctis Ministro della pubblica istruzione del Regno
d'Italia Durata mandato17 marzo 1861 – 12 giugno 1861 MonarcaVittorio Emanuele
II di Savoia Capo del governoCamillo Benso di Cavour PredecessoreTerenzio
Mamiani, Regno di Sardegna Durata mandato12 giugno 1861 – 3 marzo 1862 Capo del
governoBettino Ricasoli SuccessorePasquale Stanislao Mancini Durata mandato24
marzo 1878 – 19 dicembre 1878 MonarcaUmberto I di Savoia Capo del governoBenedetto
Cairoli PredecessoreMichele Coppino SuccessoreMichele Coppino Durata mandato25
novembre 1879 – 29 maggio 1881 Capo del governo Benedetto
Cairoli PredecessoreFrancesco Paolo Perez SuccessoreGuido Baccelli Governatore
della Provincia di Avellino Durata mandato1861 – 1861 SuccessoreNicola De Luca
Deputato del Regno d'Italia LegislaturaVIII, IX, X, XI, XII, XIII, XIV, XV
Gruppo parlamentareSinistra Coalizioneconnubio, opposizione, governo della
Sinistra storica Incarichi parlamentari Ministro dell'Istruzione del Regno
d'Italia Sito istituzionale Dati generali Partito politicoDestra storica
(1861-1862) Sinistra storica (1862-1883) Titolo di studiolaurea ProfessioneDocente
universitario FirmaFirma di Francesco de Sanctis Francesco Saverio de Sanctis
(Morra Irpina, 28 marzo 1817 – Napoli, 29 dicembre 1883) è stato un critico
letterario, saggista e politico italiano, tra i maggiori critici e storici
della letteratura italiana nel XIX secolo e più volte ministro della pubblica
istruzione. Biografia Francesco Saverio
de Sanctis nacque nel 1817[1] a Morra Irpina (Avellino) da una famiglia di
piccoli proprietari terrieri, figlio di Alessandro De Sanctis (1787-1874) e
Maria Agnese Manzi (1785-1847). Il padre
era dottore in diritto e due zii paterni, Giuseppe e Carlo, uno sacerdote e
l'altro medico, vennero esiliati per aver preso parte ai moti carbonari del
1820-21. Celebre è la sua frase:
"Se Morra è il mio paese, Sant'Angelo è la mia città" (Sant'Angelo
dei Lombardi, che si trova vicino a Morra e che, al tempo del De Sanctis, era
il punto di riferimento per i paesi vicini).
«I critici pedanti si contentano d'una semplice esposizione e si
ostinano sulle frasi, sui concetti, sulle allegorie, su questo e su quel
particolare come uccelli di rapina su un cadavere… Essi si accostano ad una
poesia con idee preconcette: chi di essi pensa ad Aristotele e chi ad
Hegel. Prima di contemplare il mondo
poetico lo hanno giudicato: gl'impongono le loro leggi in luogo di studiar
quelle che il poeta gli ha date. […] Critica perfetta è quella in cui i diversi
momenti (per i quali è passata l'anima del poeta) si conciliano in una sintesi
di armonia. Il critico deve presentare
il mondo poetico rifatto ed illuminato da lui con piena coscienza, di modo che
la scienza vi presti, sì, la sua forma dottrinale, ma sia però come l'occhio
che vede gli oggetti senza però vedere se stesso. La scienza, come scienza, è,
forse, filosofia, ma non è critica.»
(Francesco De Sanctis, Saggi critici, Morano, Napoli, 1874) Formazione scolastica Nel 1826 lasciò la
provincia per recarsi a Napoli, dove frequentò il ginnasio privato di uno zio
paterno, Carlo Maria de Sanctis. Nel
1831 passò ai corsi liceali, dapprima presso la scuola dell'abate Lorenzo
Fazzini, dove compì le prime letture filosofiche, e nel 1833 presso quella
dell'abate Garzia. Completati gli studi
liceali, intraprese gli studi giuridici, presto però trascurati per seguire,
già dal 1836, la scuola del purista Basilio Puoti sul Trecento e sul
Cinquecento, lezioni che il marchese teneva gratuitamente presso il suo
palazzo, dove il De Sanctis avrà modo di conoscere il Leopardi e dove avvenne
la sua vera formazione. Insegnamento
Trascorso un breve soggiorno a Morra, ritornò a Napoli dove iniziò ad insegnare
nella scuola dello zio Carlo che si era ammalato, per interessamento dello
stesso Puoti, venne nominato professore alla scuola militare preparatoria di
San Giovanni a Carbonara (1839-1841) e in seguito al Collegio militare della
Nunziatella (1841-1848), dove ebbe come allievo tra gli altri Nicola
Marselli. Contemporaneamente egli teneva
in una sala del Vico Bisi, per gli allievi del Puoti, corsi privati di
grammatica e letteratura, avendo tra i suoi allievi alcuni di quelli che
sarebbero poi diventati tra i principali nomi della cultura italiana: i
meridionalisti Giustino Fortunato e Pasquale Villari, il filosofo Angelo
Camillo De Meis, il giurista Diomede Marvasi, il pittore Giacomo Di Chirico, il
letterato Francesco Torraca e il poeta Luigi La Vista, suo allievo prediletto,
che avrebbe trovato la morte durante l'insurrezione del 1848. Le lezioni di quella che fu chiamata la
"prima scuola napoletana" (1838/39-1848) furono raccolte ed edite
solamente nel 1926 da Benedetto Croce con il titolo Teoria e storia della
letteratura. Distanze dal purismo Alla
Nunziatella il De Sanctis iniziò a trattare problematiche di carattere
letterario, estetico, stilistico, linguistico, storico e di filosofia della
storia, prendendo le distanze dal purismo di Puoti dopo aver scoperto alcuni
testi dell'Illuminismo francese (d'Alembert, Diderot, Hélvetius, Montesquieu,
Rousseau e Voltaire) e di quello italiano (Beccaria, Cesarotti, Filangieri,
Genovesi, Pagano). De Sanctis passò così
da una prima fase intrisa di sensibilità romantica e leopardiana, di forte
polemica anti-illuministica e di convinta adesione a un programma
cattolico-liberale, giobertiano, di restaurazione civile e morale, ad una
seconda fase, nel costituire la quale ebbero grande parte la lettura di Hegel e
le esperienze drammatiche del 1848.
Partecipazione ai moti del 1848 «Napoletani, siamo fieri di questo nome
che abbiamo fatto risonare dovunque alto e rispettato. Vogliamo l'unità, ma non
l'unità arida e meccanica che esclude le differenze ed è immobile uniformità.
Diventando italiani non abbiamo cessato d'essere napoletani.[2]» ([senza fonte] Francesco De Sanctis) Nel maggio del 1848, come membro dell'associazione
"Unità Italiana[3]" diretta dal Settembrini, partecipò con alcuni dei
suoi allievi ai moti insurrezionali e, in seguito a questa sua iniziativa, nel
novembre del 1848 venne sospeso dall'insegnamento. Prigionia Nel novembre del 1848 egli preferì
allontanarsi da Napoli, recandosi nell'entroterra calabrese, ospite prima nella
città del Guiscardo di San Marco Argentano (CS) presso il seminario vescovile,
poi nel vicino borgo di Cervicati (CS) dove aveva accettato un incarico di
precettore propostogli dal barone Francesco Guzolini. Qui scrisse i suoi primi
"Saggi critici", cioè le prefazioni all'Epistolario leopardiano e
alle "Opere drammatiche" di Schiller, ma nel 1850 venne arrestato e
recluso a Napoli nelle prigioni di Castel dell'Ovo, dove rimase fino al 1853
quando, espulso dal Regno dalle autorità borboniche e fatto imbarcare per
l'America, riuscì a fermarsi a Malta e quindi a rifugiarsi a Torino. Durante il periodo di prigionia il De Sanctis
si diede allo studio approfondito di Hegel, facendo lo sforzo di apprendere il
tedesco e compiere così la traduzione del "Manuale di una storia generale
della poesia e della logica" di Hegel, oltre a cercare di approfondire i
motivi mazziniani della propria ideologia, come testimonia il carme in
endecasillabi con auto-commento intitolato "La prigione". Dal carcere uscì indubbiamente un De Sanctis
diverso, al quale la realtà aveva distrutto le illusioni e al pessimismo e
misticismo giovanile era subentrata una moralità più eroica e alfieriana e che,
grazie alla lettura di Hegel, aveva maturato una diversa concezione del
divenire della storia e della struttura dialettica della realtà. Attività letteraria a Torino A Torino la
cultura moderata gli negò una cattedra, ma De Sanctis riuscì comunque a
svolgere un'intensa attività letteraria. Trovò un incarico di insegnante presso
una scuola privata femminile dove insegnò lingua italiana, diede lezioni
private, collaborò a vari giornali dell'epoca come "Il Cimento",
divenuto in seguito "Rivista Contemporanea", "Lo
Spettatore", "Il Piemonte", "Il Diritto" e iniziò a
tenere conferenze e lezioni, tra le quali quelle famose su Dante che, per la
loro originale impostazione e per l'analisi storica e poetica, gli fecero
ottenere, nel 1856, una cattedra di letteratura italiana presso il Politecnico federale
di Zurigo. Anni di Zurigo Francesco De Sanctis nel periodo zurighese
(1856-1859) A Zurigo, dove insegnò dal 1856 al 1860, il De Sanctis tenne
lezioni su Dante, sui poemi cavallereschi italiani e su Petrarca. Zurigo, che
in quegli anni era sede di grande confronto intellettuale, diede a De Sanctis
l'occasione di elaborare meglio il proprio metodo critico, di approfondire le
proprie meditazioni filosofiche e di raccogliere il materiale documentario, tra
il quale assai importante risultano essere le conferenze petrarchesche del
1858-1859 che saranno la base del saggio pubblicato nel 1869 a Napoli
dall'editore Morano. Ebbe anche l’occasione di diventare membro attivo del
Circolo degli Scacchi della Città: “Ieri sono stato eletto membro della società
degli scacchi, pagando il diploma quattro franchi. È la prima società tedesca
di cui faccio parte. Qui tutto si risolve in società” [4] Ritorno in patria Intanto, con l'unione nel
1860 del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna per la costituzione del
Regno d'Italia, il De Sanctis poté tornare in patria, dove portò avanti,
contemporaneamente alla sempre fervida attività letteraria, anche l'attività
politica. Nel 1860 conobbe Giuseppe
Mazzini e, dopo aver interrotto il ciclo di lezioni sulla poesia cavalleresca,
sottoscrisse il manifesto del Partito d'Azione per caldeggiare l'unificazione e
per combattere le idee estremiste dei repubblicani. Da quel momento egli si immerse di slancio
nella nuova realtà politica italiana, ritrovando nell'azione la possibilità di
rendere concreto l'ideale appreso da Machiavelli, Hegel e Manzoni e cioè quello
dell'uomo totalmente impegnato nella realtà.
Attività letteraria e attività politica Si dedicò pertanto
ininterrottamente, ora all'attività di politico e ministro, ora a quella di
giornalista, ora a quella di critico e storico della letteratura e infine a
quella di professore. Cariche politiche
In seguito alla conquista di Garibaldi, il De Sanctis venne nominato
governatore della provincia di Avellino e per un brevissimo periodo fu ministro
nel governo Pallavicino, collaborando per il rinnovamento del corpo accademico
napoletano. Nel 1861 venne eletto
deputato al parlamento nazionale, aderendo alla prospettiva di una
collaborazione liberal-democratica, e accettò il ministero della pubblica
istruzione nei gabinetti Cavour e Ricasoli per cercare di attuare la difficile
opera di fusione tra le amministrazioni scolastiche degli antichi stati. Nel 1862 passò però all'opposizione e, in
collaborazione con il Settembrini, promosse una "Associazione unitaria
costituzionale" di sinistra moderata, che ebbe come voce il quotidiano
"Italia", diretto dallo stesso De Sanctis dal 1863 al 1865. In questo
ambito espose la sua visione politica nello scritto Un viaggio elettorale del
1875[5]. Intenso impegno di studi «Come
critico e storico della letteratura, [De Sanctis] non ha pari.» (Benedetto Croce, Estetica come scienza
dell'espressione e linguistica generale, II, 15[6]) Il fallimento nelle elezioni del 1865
coincise con il ritorno del De Sanctis a un grande impegno di studi concentrato
sulla struttura di una storiografia letteraria che fosse di respiro nazionale,
questione che affronterà nei saggi sulle Storie letterarie del Cantù in
Rendiconti della R. Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli del 1865,
e sul Settembrini, Settembrini e i suoi critici, in Nuova Antologia (marzo
1869). Nel frattempo De Sanctis stava
già lavorando a una Storia della letteratura italiana che, nata come testo
scolastico, si sviluppò assai presto in un'opera di ampia e complessa
portata. Dal 1872 De Sanctis insegnò
letteratura comparata presso l'Università di Napoli e quell'anno accademico
iniziò con il discorso su "La scienza e la vita". I corsi da lui
tenuti in quegli anni si intitolano a Manzoni (1872), la scuola
cattolico-liberale (1872-'74), la scuola democratica (1873-'74), Leopardi
(1875-1876). Questi scritti, che svolgono tutti quei temi di letteratura
contemporanea che nella storia della letteratura non ebbero spazio per esigenze
editoriali, furono raccolti da Francesco Torraca e solo in parte rivisti dal De
Sanctis. Ultima fase della vita Nel
1876, prevalendo la Sinistra, De Sanctis si dimise da professore e accettò da
Benedetto Cairoli un nuovo incarico ministeriale (1878-1880), mentre il suo
interesse critico si rivolgeva al naturalismo francese, come testimonia lo
Studio sopra Emilio Zola che apparve a puntate sul "Roma" nel 1878 e
lo scritto "Zola e l'assommoir" pubblicato nel 1879 a Milano. Intervenne in Parlamento dopo il tentativo di
attentato al re Umberto I da parte dell'anarchico Giovanni Passannante,
manifestando la sua contrarietà di sincero democratico ad ogni tipo di
repressione: «Io, signori, non credo
alla reazione; ma badiamo che le reazioni non si presentano con la loro faccia;
e quando la prima volta la reazione ci viene a far visita, non dice: io sono la
reazione. Consultatemi un poco le storie; tutte le reazioni sono venute con
questo linguaggio: che è necessaria la vera libertà, che bisogna ricostituir
l'ordine morale, che bisogna difendere la monarchia dalle minoranze. Sono
questi i luoghi comuni, ormai la storia la sappiamo tutti, sono questi i luoghi
comuni, coi quali si affaccia la reazione.[7]»
Ritornato a Napoli, si dedicò alla rielaborazione del materiale
leopardiano, che fu pubblicato postumo nel 1885 con il titolo Studio su G.
Leopardi, e alla dettatura di ricordi autobiografici che arrivano fino al 1844,
pubblicati da Villari nel 1889 con il titolo La giovinezza: frammento
autobiografico. Colpito da una grave
malattia agli occhi, De Sanctis morì a Napoli nel 1883. In suo onore la città
natale, Morra Irpina, è stata ribattezzata Morra De Sanctis. De Sanctis fu membro della
Massoneria[8][9]. Post mortem Nel 2007,
in suo nome, viene istituita la Fondazione De Sanctis, ente che dal 2009
organizza annualmente il Premio De Sanctis per la saggistica ed altri eventi di
carattere culturale[10]. Opere De
Sanctis enunciò i suoi principi critici in diversi scritti di carattere non
esclusivamente teorico e il suo pensiero non è esposto in opere autonome e
organiche di poetica e di estetica. Il problema dell'arte non divenne mai per
De Sanctis oggetto di un discorso rigorosamente filosofico, tuttavia le sue
sparse meditazioni su di esso contengono i principi fondamentali dell'estetica
moderna e rivelano quanto fossero solide le fondamenta del suo pensiero
critico. Storia della letteratura
italiana Storia della letteratura
italiana, volume I, riedizione del 1912 (testo completo) Lo stesso argomento in dettaglio: Storia
della letteratura italiana (Francesco De Sanctis). La Storia della letteratura
italiana deve considerarsi il capolavoro critico del De Sanctis. In essa
l'autore ricostruisce in modo mirabile lo sfondo storico critico-civile dal
quale nacquero i capolavori della letteratura italiana. In quest'opera compare
la frase "il fine giustifica i mezzi" che De Sanctis usa come esempio
errato di come riassumere il pensiero di Niccolò Machiavelli, e che è stata
successivamente attribuita erroneamente proprio al pensatore fiorentino. Altre opere Tra gli studi del de Sanctis
spicca il Saggio critico sul Petrarca del 1869 mentre tra i lavori inclusi nei
Saggi critici del 1866 e nei Nuovi Saggi critici del 1869 meritano di essere
menzionati quelli su episodi della Divina Commedia, su L'uomo del Guicciardini,
su Schopenhauer e Leopardi oltre Il darwinismo nell'arte e quelli su Emilio
Zola. Da ricordare ancora è il discorso
La scienza e la vita del 1872 nel quale egli, sostenendo la necessità di non
separare la scienza dalla vita, prese posizione nei riguardi dell'allora dilagante
positivismo. Scrittore vivace e
singolare in una "prosa parlata che ha la spontaneità del discorso
vivo", il De Sanctis si rivela un piacevole narratore nel frammento
autobiografico La giovinezza del 1889 e nelle quindici lettere che
costituiscono il resoconto di Un viaggio elettorale scritto nel 1876. Pensiero In un periodo in cui l'entusiasmo
per lo storicismo idealistico era scomparso e la critica, sia europea che
italiana si era spenta e si orientava verso la ricerca filologico-erudita, si
trovano ancora nel pensiero di De Sanctis i motivi più significativi e vitali
della cultura romantica. De Sanctis
stabilì nella sua Storia della letteratura italiana il legame tra il contenuto
e la forma con lo scopo di ricostruire quel mondo culturale e morale dal quale
sarebbero nate in seguito le grandi opere.
Egli considera l'arte come il "vivente", cioè la
"forma", ritenendo che tra forma e contenuto non esista dissociazione
perché esse sono l'una nell'altra. Nelle
pagine di De Sanctis vi è una felice vena di scrittore. Egli infatti scrive con
una prosa antiletteraria, fervida e mirabile per l'immediatezza del
pensiero. Il pensiero del De Sanctis
venne contrastato dal positivismo della scuola storica. Sarà solamente con
Croce che avrà inizio la rivalutazione del pensiero desanctisiano che troverà,
attraverso Gramsci, importanti sviluppi nella critica di ispirazione
marxista. Giuseppe Galasso ha scritto,
citando tra gli altri Delio Cantimori, che De Sanctis, esprimendo un giudizio
negativo sul Cinquecento in relazione al Rinascimento, vede un rapporto di
continuità tra il Quattrocento e il Cinquecento. Nel Quattrocento è compiuta la
separazione tra borghesia e popolo rispetto al «blocco compatto
dell’intuizione, delle concezioni, della fede, della moralità proprie del
Medioevo», ma, mentre il Quattrocento è un secolo vivo, creativo, aperto, dove
c’è «ancora un magistero reale rispetto all’Europa», nel Cinquecento non si può
che constatare, parole di De Sanctis, «la separazione da tutti i grandi
interessi morali, politici e sociali che allora commuovevano e ringiovanivano
molta parte dell’Europa».[11] Metodo Il
metodo della critica desanctisiana nasce, oltre che da una geniale elaborazione
intellettuale, da una forte esigenza di intraprendere una battaglia
culturale. La critica di De Sanctis fu
quindi una critica militante, il tentativo di superare per sempre il distacco
tra l'artista e l'uomo, tra la cultura e la vita nazionale, tra la scienza e la
vita. Lo scrittore non è mai per De
Sanctis un uomo isolato e chiuso in sé stesso, ma inquadrato nel contesto che
lo circonda, cioè la sua civiltà e la sua cultura. Estetica Discepolo del Puoti, De Sanctis
inizia fin dalla sua prima scuola (1839-1848) la critica del formalismo
puristico e retorico e si pone sia contro la poetica del Cinquecento sia contro
quella del Settecento, accademica e neoclassica. In quegli anni a Napoli iniziò a penetrare la
filosofia di Hegel e il De Sanctis agli inizi studiò e aderì all'estetica del
grande filosofo tedesco anche se era in lui già latente la ribellione che
divenne esplicita in occasione della pubblicazione del suo "Saggio sul
Petrarca". Hegel sosteneva infatti
che l'arte fosse "l'apparenza sensibile dell'Idea" e quindi che
l'opera d'arte fosse simbolo del concetto filosofico e quasi una forma
provvisoria di esso. Una simile dottrina conferiva carattere teoretico
all'arte, ma ne comprometteva l'autonomia, tant'è vero che Hegel prevedeva alla
fine dell'epoca romantica la morte dell'arte.
Il De Sanctis contrappose all'estetica hegeliana, l'estetica della forma
intesa come un'attività originaria e autonoma dello spirito, per mezzo della
quale la materia sentimentale si realizza in figurazione artistica. In questo
modo essa non è un'elaborazione di un contenuto astratto, ma unità di contenuto
e forma. Su questi fondamenti si basa la
critica del De Sanctis che fu una vera rivoluzione nella tradizione letteraria
italiana. Specchietto cronologico 1817 -
Nasce a Morra Irpina il 28 marzo. 1826 - Frequenta la scuola privata dello zio
Carlo. 1831 - Passa nel liceo dell'abate Fazzini, poi nello "Studio"
del Garzini. 1834 - Nella scuola superiore di Basilio Puoti. 1839 - Fonda la
scuola privata superiore al Vico Bisi, mentre sostituisce lo zio Carlo nella
sua. 1841 - Viene nominato insegnante nel Collegio militare della Nunziatella.
1848 - Il 15 maggio combatte alle barricate. Viene sospeso dal Collegio della
Nunziatella. 1849 - Si ritira in Calabria, a Cosenza. 1850 - È arrestato il 3
dicembre e incarcerato in Castel dell'Ovo. 1853 - Viene liberato ma deve andare
in esilio: in Piemonte, a Torino. 1856 - È a Zurigo, insegnante di Letteratura
Italiana al Politecnico. 1860 - Il 6 agosto ritorna a Napoli. Eletto
Governatore della provincia di Avellino. Nel settembre è nominato da Garibaldi
Direttore dell'Istruzione pubblica. Provvedimenti per rinnovare l'Università.
1861 - Deputato del Regno d'Italia e dal 20 marzo ministro dell'Istruzione.
1865-1876 - Torna agli studi: è il periodo della sua più intensa attività
letteraria. 1878 - Ministro dell'Istruzione. 1879-1882 - Di nuovo Ministro
dell'Istruzione 1883 - Muore a Napoli il 29 dicembre. Note ^ L'atto di nascita
è disponibile sul Portale Antenati ^ Da notare che all'epoca con
"napoletani" (o "napolitani") sovente non si intendevano
solo gli abitanti della città di Napoli e dintorni, ma più ampiamente gli
abitanti dell'intero Regno di Napoli, consistente nell'attuale Sud Italia
continentale. ^ Unita italiana, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 15 agosto 2017. ^ Francesco
Saverio De Sanctis, lettera inviata all’amico Camillo De Meis, Zurigo 19 luglio
1856. ^ Vincenzo Barra, Aspettando De Sanctis: le origini del Viaggio
elettorale e il collegio di Lacedonia nel 1874-75, in "Le Carte e la
Storia, Rivista di storia delle istituzioni" 2/2021, pp. 49-62, doi:
10.1411/102909. ^ Benedetto Croce, Estetica come scienza dell'espressione e
linguistica generale, 3 voll., a cura di Felicita Audisio, vol. 1, Napoli,
Bibliopolis, 2014 [1902], p. 439, ISBN 978-88-7088-629-0. «E, come critico e
storico della letteratura, egli non ha pari» ^ Francesco De Sanctis, Scritti
politici - raccolta di discorsi e scritti, su books.google.it. ^ Scrittori,
poeti e letterati massoni Archiviato il 26 maggio 2016 in Internet Archive. sul
sito della Gran Loggia d'Italia degli Alam. ^ Paolo Mariani - Massoneria e
letteratura italiana (PDF), su centroculturaleilfaro.it. ^ Premio De Sanctis
per la saggistica, su beniculturali.it. ^ Giuseppe Galasso, De Sanctis e i
problemi della storia d'Italia, sta in Archivio di storia della cultura, a. II
- 1989, Morano Editore, Napoli 1989. Bibliografia Opere Saggi critici,
Rondinella, Napoli 1849. La prigione, Benedetto, Torino 1851. Saggi critici,
Morano, Napoli, 1869. Storia della letteratura italiana, Morano, 1870. Nuovi
saggi critici, Morano, Napoli, 1872. Un viaggio elettorale, Morano, Napoli
1876. Studio sopra Emilio Zola, Roma, XVI 1878. Zola e l'assommoir, Treves,
Milano 1879. Saggio critico sul Petrarca, Morano, Napoli 1883. Studio su Giacomo
Leopardi, a c. di R. Bonari, Morano, Napoli 1885. La giovinezza: frammento
autobiografico, a cura di Pasquale Villari, Morano, Napoli 1889. Purismo
illuminismo storicismo, scritti giovanili e frammenti di scuola, lezioni, a
cura di A. Marinari, 3 voll., Einaudi, Torino 1975. La crisi del romanticismo,
scritti dal carcere e primi saggi critici, a cura di M. T. Lanza, introd. di G.
Nicastro, Einaudi, Torino 1972. Lezioni e saggi su Dante, corsi torinesi,
zurighesi e saggi critici, a cura di S. Romagnoli, Einaudi, Torino 1955, 1967.
Saggio critico sul Petrarca, a cura di N. Gallo, introduzione di N. Sapegno,
Einaudi, Torino 1952. Verso il realismo, prolusioni e lezioni zurighesi sulla
poesia cavalleresca, frammenti di estetica e saggi di metodo critico, a cura di
N. Borsellino, Einaudi, Torino 1965. Storia della letteratura italiana, a cura
di N. Gallo, introd. di N. Sapegno, 2 voll., Einaudi, Torino 1958. Manzoni, a
c. di C. Muscetta e D. Puccini, Einaudi, Torino 1955. La scuola
cattolica-liberale e il romanticismo a Napoli, a cura di C. Muscetta e G.
Candeloro, Einaudi, Torino 1953. Mazzini e la scuola democratica, a cura degli
stessi, Einaudi, Torino 1951, 1961. Leopardi, a cura di C. Muscetta e A. Perna,
Einaudi, Torino 1961. L'arte, la scienza e la vita, nuovi saggi critici,
conferenze e scritti vari, a c. di M. T. Lanza, Einaudi, Torino 1972. Il
Mezzogiorno e lo Stato unitario, scritti e discorsi politici dal 1848 al 1870,
a c. di F. Ferri, Einaudi, Torino 1960. I partiti e l'educazione della nuova Italia,
a c. di N. Cortese, Einaudi, Torino 1970. Un viaggio elettorale, seguito da
discorsi biografici, dal taccuino elettorale e da scritti politici vari, a cura
di N. Cortese, Einaudi, Torino 1968. Un viaggio elettorale, Edizione critica a
cura di Toni Iermano, Cava de' Tirreni, Avagliano, 2003. Epistolario
(1836-1862), a c. di G. Ferretti, M. Mazzocchi Alemanni e G. Talamo, 4 voll.
1956-69. Lettere a Pasquale Villari, a c. di Felice Battaglia, Einaudi, Torino
1955. Lettere politiche (1865-80), a c. di A. Croce e G. B. Gifuni, Ricciardi,
Milano-Napoli 1970. Lettere a Teresa, a cura di A. Croce, Ricciardi,
Milano-Napoli 1954. Lettere a Virginia, a cura di Benedetto Croce, Laterza,
Bari 1917. Mazzini, a cura di Vincenzo Gueglio, Genova, Fratelli Frilli, 2005,
ISBN 88-7563-148-4. Scritti e discorsi sull'educazione, La Nuova Italia,
Firenze 1967. Edizioni in linea Saggio critico sul Petrarca, Napoli, Morano,
1869. Saggi critici, Napoli, Morano, 1888. Storia della letteratura italiana,
Scrittori d'Italia 31, vol. 1, Bari, Laterza, 1912. Storia della letteratura
italiana, Scrittori d'Italia 32, vol. 2, Bari, Laterza, 1912. Saggi critici,
Scrittori d'Italia 203, vol. 1, Bari, Laterza, 1952. Saggi critici, Scrittori
d'Italia 204, vol. 2, Bari, Laterza, 1952. Saggi critici, Scrittori d'Italia
205, vol. 3, Bari, Laterza, 1952. Letteratura italiana del secolo XIX,
Scrittori d'Italia 209, vol. 1, Bari, Laterza, 1953. Letteratura italiana del
secolo XIX, Scrittori d'Italia 210, vol. 2, Bari, Laterza, 1953. Letteratura italiana
del secolo XIX, Scrittori d'Italia 211, vol. 3, Bari, Laterza, 1961. Poesia
cavalleresca, Scrittori d'Italia 212, Bari, Laterza, 1954. Lezioni sulla Divina
Commedia, Scrittori d'Italia 214, Bari, Laterza, 1955. Memorie, lezioni e
scritti giovanili, Scrittori d'Italia 223, Bari, Laterza, s.d.. Saggi critici
su Francesco De Sanctis Emiliano Alessandroni, L'anima e il mondo. Francesco De
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Editore 2013/2014/2015/2016/2017/. Lorenzo Resio, Chiara Tavella, Bibliografia
desanctisiana (1965-2020), prefazione di Gerardo Bianco, Pisa-Roma, Fabrizio
Serra Editore, 2020. Voci correlate Storia della letteratura italiana (Francesco
De Sanctis) Schopenhauer e Leopardi, dialogo composto da De Sanctis Francesco
Muscogiuri, letterato minore che fu allievo di De Sanctis Giovanni Lanzalone,
letterato minore che fu allievo di De Sanctis Antonio Fogazzaro Attilio
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consultato il 14 novembre 2018. Andrea Battistini, De Sanctis, Francesco, in Il
contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2012. URL consultato il 14 novembre 2018.
Critica:De Sanctis, su spazioinwind.libero.it. Concordanze della Storia della
letteratura italiana, su valeriodistefano.com. URL consultato il 14 aprile 2007
(archiviato dall'url originale l'8 ottobre 2007). Opere di Francesco De Sanctis
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secoloPolitici italiani del XIX secoloNati nel 1817Morti nel 1883Nati il 28
marzoMorti il 29 dicembreNati a Morra De SanctisMorti a NapoliPolitici del
Partito d'AzioneMinistri della pubblica istruzione del Regno d'ItaliaInsegnanti
della NunziatellaGoverno Cavour IVGoverno Ricasoli IGoverno Cairoli IGoverno
Cairoli IIIIdealismo italianoMassoniProfessori dell'Università degli Studi di
Napoli Federico IIProfessori del Politecnico federale di Zurigo[altre] La crisi
della GRAMMATICA RAGIONATA IN
ITALIA non puo mancare
: ed è veramente risolutiva. Di GRAMMATICA RAGIONATA si finisce,
dopo una colluvie
d’aride o elementari
produzioni di epigoni ritardatari, col
non parlarne più,
e d’essa non
restano tracce che
nell’esercitazioni
scolastiche di analisi
logiche e grammaticali ancora in
uso nelle nostre
scuole e sulle
quali talvolta rispunta
come fungo qualche
compendio di grammatica
logica rivestito di pompa
scientifica. La crisi è determinata
da un duplice ordine di
fatti, tra i
quali non so
se veramente corra
un'intima relazione. L’uno
che riguarda direttamente
il corpo, dirò
così, della GRAMMATICA RAGIONATA, ed è
il non difficile né
tardivo avvertire in
esso un vuoto
sostanziale e perciò
tutta la sua
infecondità sotto ogni rispetto,
scientifico e didattico. L’altro che
si riferisce allo
stato in che
venne a trovarsi
la lingua italiana sotto la bufera dell'enciclopedismo, ed è
la naturale quanto
però anti-filosofica reazione
al gallicismo, che
doveva richia- [Borsa,
nella Dissertazione del
decadimento della lingua
in Italia, Mantova, l'anno in
cui è pubbl.
il Saggio di Cesarotti)
già incolpa appunto
di quel decadimento
il neologismo gallico
e il FILOSOFISMO enciclopedico.] mare, come
facile conseguenza di una premessa
sbagliata, alla religiosa
osservanza, alla maniaca
adorazione degl’antichi i
puristi inorriditi al novissimo
strazio d'Italia. Le
vicende di questa
crisi si possono
molto chiaramente osservare, da
una parte, in
quel che accadde
a SANCTIS (si veda) scolaro e co-operatore di
Puoti, e che
egli narra non
senza il lume
d'una critica sempre
nuova e originale
e acuta, anche
se, come in
questo caso, non
definitivamente superatrice. Dall'altra, nella
critica e nella
pratica di Manzoni,
che con stringenti
argomenti colpi a
morte LA GRAMMATICA RAGIONATA, sebbene
non muove da
un punto di
vista estetico. SANCTIS (si veda), quando accorse
alla scuola di
Puoti, ha già compiuto
gli studi di
grammatica, rettorica e FILOSOFIA, che
oggi corrispondono al
ginnasio e al
liceo, i primi (ginnasio)
sotto suo zio
Carlo, i secondi
(liceo) sotto Fazzini, non
avendolo voluto ricevere i
Gesuiti per la
sua impreparazione. Un grand 'esercizio di
memoria era in
quella scuola dello
zio, dovendo ficcarci
in mente i
versetti del Portoreale
che s'impara in
certi suoi manoscritti,
come le antichità
e la cronologia, la grammatica
di Soave, la
rettorica di Falconieri,
le storie di
Goldsmith, la Gerusalemme
di Tasso, le
ariette di Metastasio. Alla
fine del corso
scrive l'italiano con
uno stile pomposo
e rettorico, un
italiano corrente, mezzo gallico,
a modo
di Beccaria e di Cesarotti,
ch'erano i suoi
favoriti. La scuola di Fazzini
è quello che oggi si
dice un
liceo. Vi s' insegna FILOSOFIA, fisica
e matematica. Il corso
si puo fare
in due anni. Quell'è l'età
dell'oro del libero
insegnamento. Un uomo
di qualche dottrina
comincia la sua
carriera aprendo una
scuola. La scuola di
Puoti, su cui
è stata scritta
recentemente una degna
monografia da un
discepolo di Salvadori
(Caraffa, Puoti e la
sua scuola, Girgenti),
si svolge in
tre periodi, l’ultimo dopo due anni
d'interruzione causata dalla
pestilenza scoppiata a
Napoli. SANCTIS (si veda) - Frammento
autobio- grafico pubblicato «fo
Villari ; Napoli. I
seminari sono scuole
di LATINO e di FILOSOFIA, le
scuole del governo erano
affidate a frati,
la forma dell'
insegnamento era ancora scolastica. Rettorica
e FILOSOFIA sono
scritte in quel LATINO
convenzionale ch’è proprio
degli scolastici. Le
scienze vi erano
trascurate, e anche LA
LINGUA NAZIONALE. Nondimeno un po’di secolo
decimottavo è pur
penetrato fra quelle
tenebre teologiche, e con
curioso innesto, vedevi
andare a braccetto
il sensismo e lo
scolasticismo. Nelle scuole
della capitale v'è maggior
progresso negli studi.
IL LATINO PASSA DI MODA. Si
scrive di cose
scolastiche in un
italiano scorretto, ma
chiaro e facile.
Gl’autori erano quasi
tutti abati, come
l'abate GENOVESI (si veda), il
padre SOAVE (si veda), l'abate
TROISE (si veda). Allora è
in molta voga
l'abate FAZZINI (si veda). Questo
prete elegante, che ha smesso
sottana e collare,
veste in abito e
cravatta nera, è
un sensista; ma
pretende conciliare quelle
dottrine coi principii
religiosi. Accanto alla
scuola, per chi ha voglia
d' imparare, c’è naturalmente la biblioteca. Corsi alla
biblioteca e mi
ci seppellii. Passano
dinanzi a me
come una fantasmagoria
Locke, Condillac, Tracy,
Elvezio, Bonnet, La
Mettrie... Mi ricordo
ancora quella STATUA
di Bonnet, che
a poco a
poco, per mezzo
dei sensi acquista
tutte le conoscenze. Il professore
dice che il
sensismo è una cosa
buona sino a
Condillac, ma non
bisogna andare sino a
La Mettrie e
ad Elvezio. Ragione
per cui ci
anda SANCTIS (si veda) con l'amara
voluttà della cosa
proibita. Compiuti così
gli studi filosofici, avvezzo a
una vita interiore,
avevo pochissimo gusto
per i fatti
materiali, e badavo
più alle relazioni
tra le cose,
che alla conoscenza
delle cose. La
scuola ci ha non
piccola parte, perchè
è scuola di
forme e non
di cose, e
si attende più
ad imparare le
parole e le
argomentazioni, che le cose
a cui si
riferivano. Ma si
avvicina il [Ha già
conosciuti altri filosofi,
naturalmente. «Il professore fa
una brillante lezione
sull'armonia prestabilita di Leibnizio.
E questo Leibnizio
divenne il mio
filosofo E come l'una
cosa tira l'altra,
Leibnizio mi fu
occasione a leggere
Cartesio, Spinoza,
Malebranche, Pascal, libri
divorati tutti e
poco digeriti. Questo
è il mio
corredo d’erudizione filosofica
verso la fine
dell'anno scolastico, quando zio
ci dice. Ora bisogna
cercarvi un maestro
di legge. Si
batte già alle
porte dell'Università.] tempo in
cui il sensismo,
male accordato col
movimento religioso, doveva
cedere il passo
a nuova filosofia. Si annunziava
al mio spirito
un nuovo orizzonte
filosofico; mi bollivano in
capo nuovi libri
e nuovi studi.
Si apparecchiavano i
tempi di Galluppi
e dall'abate Colecchi,
de' quali l'uno
volgarizzava Hume e Smith, e
l'altro, ch'era per
giunta un gran
matematico, volgarizza Kant. Fazzini
è caduto di
moda. Per questi
insegnamenti e in
queste condizioni intellettuali
il De Sanctis,
invano iniziati gli
studi di legge,
passava alla scuola
del marchese. È
proprio di questi
tempi che la
grammatica del sensismo
condillachiano, che vedemmo
trionfare concentrata in
estratti per gli
stomachi degli scolaretti
italiani, si vienne
a trovare a
fronte di due
ben forti e agguerriti avversari,
il kantismo e il purismo.
Questo, dalla restaurazione
linguistica di Cesari, iniziata con
la famosa dissertazione
coronata dall'Accademia
livornese, era venuto
sempre più guadagnando
terreno nelle forme
in cui l'aveva
circoscritto Cesari, nonostante
gli attacchi della
Proposta monti-perticariana e dell’anti-purismo tortiano,
e nonostante l'esempio
pratico del romanzo
manzoniano in cui
fin dalla prima
sua edizione s'
era voluta incarnare
tut- t'un'altra dottrina
linguistica. La reazione
al gallicismo è tanto
più vasta e
tenace della tesi
temperata del classicista
Monti e del
modernismo del romantico
Manzoni, quanto più
compromessa sembrava la gloria
d'Italia nella dilagante
corruzione dell'aurea
favella un dì
sì onorata. Ne
furono rocche meno
facilmente espugnabili la Romagna
e Napoli e
organi di gran
voce alcuni giornali,
come la Biblioteca
di Milano, il
Giornale Arcadico di Roma
e la Rivista
enciclopedica di Napoli.
Ma tra i
puristi, non per
sola virtù di
dottrina, sì bene
anche per le
qualità della persona
e i modi
dell'insegnamento, il più
autorevole, quegli che
veramente esercitò una
più vasta e
duratura efficacia sulle
menti, sulle scuole,
sui metodi, sui
(') Op. cit.,
pp. 51-2. ("}
V. Tkahai.za, Della
vita e delle
opere di /•'.
Torti cit., p. 79 sgg.
L'ha dimostrato Morandi
ne' suoi noti
saggi sull'unità della
liaeua.] libri, è il
marchese Puoti, maestro,
autore di grammatiche
e di arti
del dire, annotatore
di testi di
lingua, pedagogista. Alla
scuola del Puoti,
dice SANCTIS (si veda), «
lasciai studi di FILOSOFIA
e di
legge, e letture
di commedie, di
tragedie e di
romanzi e di poesie,
e mi gittai
perdutamente tra gli
scrittori dell' aureo Trecento»^).
M'era venuta la
frenesia degli studi
grammaticali. Avevo spesso
tra mano Corticelli,
Buonmattei, Cinonio, Salviati,
Bartoli, Salvini, Sanzio,
e non so
quanti altri dei
più ignorati. M'ero
gittato anche sui
Cinquecentisti, sempre
avendo l'occhio alla
lingua. Si trova
in quel tempo
a dover sostener
sulle proprie spalle
il peso della
scuola dello zio.
La sera anda
sempre alla scuola
di Puoti. Ma tutta
la giornata è
spesa a spiegar
grammatiche e rettoriche e
autori latini, a
dettar temi, a
correggere errori. Ma quei cari
studi mi riuscivano acerbi, non
solo per la
fatica, ma perche
non sono più
d'accordo con la
mia coscienza. Quel
Soave, quel Falconieri
li fanno pietà. Nelle
classi superiori puo
elevarsi un po'
più. Cominciai a
fare osservazioni sopra
i sensi delle
parole, sul nesso
logico delle idee,
sulla espressione del
sentimento, sulle INTENZIONI e
sulle malizie dello
scrittore. Momenti più
deliziosi passa alla scuola del
marchese, dove egli
ben presto si
distinse specie nelle
cose della grammatica,
tanto da meritarsi
l'appellativo di grammatico,
ed è sollevato all'onore di
coadiuvare il maestro nell'insegnamento, quando,
dopo l'interruzione cagionata
dal colera, Puoti,
cominciatosi a stancare
dei novizi, ne
lascia tutta la
cura a SANCTIS (si veda). Il
marchese che lavora
a una grammatica,
attende pure alla
pubblicazione di alcuni testi
di lingua più
a lui cari,
come i Fatti
d' Enea, i Fioretti
di S. Fra?icesco,
le Vite dei
Santi Padri. Questi
studi [Sulla scuola del
De Sanctis, v.
le belle pagine
del Cenno biografico di
Nicola Gaetani-Tamburini in
De-Sanctis, Scritti vari,
li, ed. Croce,
già cit. nell' Introduz. Di quella
che è stata
chiamata la seconda
scuola di SANCTIS (si veda) si
sono occupati degnamente, come è
noto, Torraca e
Mandalari.] di lingua si sono
già divulgati nelle
scuole, e si
sente il bisogno di
grammatica e di
libri di lettura
pei giovanetti. Anche in
questi lavori l'allievo
aiuta il maestro.
Di questo tempo
fa intima amicizia
con Amante, che è un
infatuato di VICO (si veda). In
una visita onde Leopardi
onora la scuola
del Puoti, — che cita
spesso con lodi
l'abate Greco, autore
di una grammatica,
il marchese di
Montrone, Gargallo, Cesari
e sopra tutti
essi Giordani, si sentì
dire dal Poeta
che aveva molta
disposizione alla critica.
In quell'occasione Leopardi, cui
non poteva sfuggire
la rigidezza di
Puoti, dice che
nelle cose della
lingua si vuole
andare molto a
rilento, e cita
in prova Torto
e Diritto di Bartoli.
Leopardi dice anche
che l'onde coli' infinito non
gli pareva un
peccato mortale, a
gran maraviglia o
scandalo di tutti
noi. Il Marchese
era affermativo, imperatorio,
non pativa contraddizioni. Se
alcuno di noi si
è arrischiato a
dir cosa simile,
anda in tempesta;
ma il conte
parla così dolce
e modesto, ch'egli
non dice verbo. Gli
è anche che
ormai quel rigido,
implacabile purismo comincia
a dover piegare
o almeno ad
ammollirsi . Alla ripresa
della scuola dopo
il colera il
marchese se n'era
venuto d’Arienzo, con
certi grossi quaderni
scritti di suo
pugno. È una specie di
nuova rettorica immaginata
da lui, e
che egli battezza
Arte dello scrivere.
C'è una divisione
dei generi dello
scrivere, accompagnata da regole
e da precetti.
Aristotile, CICERONE (si veda), Quintiliano, Seneca sono
la decorazione. O
mi metteranno alla
berlina, o questo è
assolutamente un capolavoro,
così dice, narrando per
quali vie era
giunto alla grande
scoperta. A quel
tempo sono in gran
voga gli STUDI FILOSOFICI, e
il marchese, seguendo
la moda, vuole
filosofare anche lui,
e da alle sue
ricerche un aspetto
e un rigore
di logica, ch'è veste
e non sostanza.
E non gli è
mancata la berlina. Ma
lo salva un
certo suo naturai
buon senso. Ma chi
dai bassi fondi [deep
berths – Grice] della grammatica prende il
volo filosofico, è SANCTIS (si veda), specie
quando, trovandosi al
sicuro dallo sguardo
del marchese nella
scuola preparatoria, puo lasciarsi
trascinar dal suo
genio a quell'onda
di ribellione, che fa naufragare
il senno del
Maestro. Ed è nella
scuola preparatoria, che
nelle lezioni private
o nell'insegnamento del Collegio
militare, al quale è
assunto per la
stima che godeva
presso Puoti, che n'è ispettore, il
Maestro intede soprattutto
a rinnovare l'insegnamento grammaticale. Ne uscirono,
con la liquidazione
della GRAMMATICA RAGIONATA, un
abbozzo di GRAMMATICA FILOSOFICA
e storica e un
saggio di una
storia dei grammatici. Quelle maledette
regole grammaticali io le
ridussi in poche,
moltiplicando le applicazioni e gl’esempi,
e sempre lì
sulla lavagna. Mi persuasi
che quello resta
chiaro e saldo
nella memoria, che
è ordinato sotto
categorie e schemi,
logicamente. Così nasceno
i suoi quadri
grammaticali. Si sbriga della
grammatica, e capii che
lo studio della
grammatica così come
si suol fare,
per regole, per
eccezioni e per
casi singoli, è
una bestialità piena di
fastidio Posi da banda
le analisi grammaticali
e l'analisi logica, noiosissime,
e fa l'analisi delle
cose, a loro
gustosissime. Questo al
Collegio. Nella scola
al Vico Bisi,
il lunedì e
il venerdì, quand'è solo,
l'insegnamento grammaticale
si eleva
ancora di più.
Parecchi anni è a
leggicchiar grammatiche,
lavorando intorno a
quella di Puoti. Così si mette in
corpo i Dialoghi
della volgar lingua
di BEMPO (si veda)... m'inghiottii
VARCHI (si veda), FORTUNIO (si veda) e
i sottili avvertimenti di SALVIATI (si veda) e
la prosa dottorale
di CASTELVETRO (si veda) e BARTOLI
(si veda) e CINONIO (si veda) ed AMENTA
(si veda) e SANZIO (si veda) e non
so quanti altri
autori, con approvazione
del marchese Puoti,
il quale mi
vanta sopra tutti gli
altri Corticelli e
Buonmattei. Seccatosi presto
della parte riguardante
le origini della
lingua e delle
forme grammaticali, perchè
non ha, fondamento
sodo, infastidito di quel
pullular perpetuo di
regole e d’eccezioni,
stordito da tutte
quelle DISSERTAZIONE SOTTILI E
CAVILLOSE SULLE PARTI DEL DISCORSO e
sulle forme grammaticali,
ritorna ai suoi
antichi studi di FILOSOFIA.
Quei Salviati e
quei Castelvetri le pareno
addirittura pigmei dirimpetto
a quei grandi,
mia delizia un
giorno e mio
amore. Perciò si getta con
avidità sopra i
retori e i
grammatici con un
segreto che li cresce
l'appetito, vedendosi sempre
addosso gli occhi
del marchese. Lessi tutto
il corso che
Condillac compila a
uso di non sa qual
principe ereditario. Studia
molto Tracy e
Du Marsais. Il Marchese,
sapido dei miei
studi MI perdona,
a patto che
non valica i
confini della grammatica,
e m'indica un
tale, che SANCTIS (si veda) non ricorda,
come un buon
scrittore di grammatica
generale. Il buon Marchese
fa anche di più:
rivide le prolusioni del professore
mettendoci quello stampo
tutto suo di
classicità ideale. Le prime
lezioni sono una
storia della grammatica.
In quei discorsi
prende 1’aria di
un novatore, e trova che
tutto va male,
che tutto è
a rifare. Ecco
qui un ritratto,
come mi venne
in quei giorni
sotto la penna.
Niuna pratica dell'arte
dello scrivere; niuna
cognizione de' nobili
scrittori; malvagio gusto;
pensieri non italiani;
un predicar continuo
purità, correzione; esempli
contrari di barbarismi
ed errori. Così la
grammatica moderna ricca
di stranieri trovati
splendidi in astratto,
ma nella pratica
o falsi o
di poco profitto,
per difetto della parte
storica molto è
discapitata di quella
perfezione in che è al
cinquecento. In malvagio
stato trovasi LA SINTASSI: squallida e
incerta è l'ortografia;
le regole del
ben pronunziare dubbiose
e mal ferme. Niente
di certo. Niente di
determinato intorno alla dipendenza
de’tempi, al reggimento
delle congiunzioni. Principii
opposti. Opinioni contrarie. Nelle lezioni
vuole fare una storia
delle forme grammaticali – cf. Grice, ‘or’, ‘other, ‘not,
‘ne aught’. Ma al
pensiero gigantesco mal
risponde la cultura, attesa
la sua scarsa grecità e
l'ignoranza delle cose
orientali. Perciò quella ideata
storia delle forme
grammaticali, dopo vani
tentativi appresso a VICO
(si veda) e Schlegel, si
riduce nei modesti
confini di una
storia dei grammatici
da se letti. Parla
dei grammatici che TUTTO
DERIVANO DAL LATINO. Poi venni a
quelli che sono
studiosi della [Alcuni brani
di essi furono
pubblicati ne' Nuovi
saggi critici, col
titolo Frammenti discuoia,
dell'ed. di Napoli. Il
periodo tra parentesi
quadre, che qui
è sostituito dai
puntini, l'ho tratto
da un brano
integro de' Nuovi
saggi critici.] lingua, copiosi
di regole e d’esempli, che
moltiplicano in infinito.
Molto s’intrattenni su Corticelli, Buonmattei,
Salviati e Bartoli. Censura quel
moltiplicare infinito di
casi -- cf. Grice, the search for
principle of generality -- e di regole
che si riduceno
in pochi principii. Quella tanta
varietà di forme
e di significati
(massime nel Cinonio),
che era facile
ricondurre ad unità.
Facevo ridere, pigliando
ad esempio Va,
il per-, il
da, irti di
sensi e che
pur non avevano
che un senso
solo. La mia
attenzione andava dalle
forme al contenuto,
dalle parole alle
idee; sicché, sotto
a quelle apparenze
grammaticali, variabili e
contraddittorie, io vedeva
una logica animata,
e tutto metteva
a posto, in
tutto discerneva il
regolare e il
ragionevole, non ammettendo
eccezioni e non
ripieni e non
casi arbitrari. Con
questa tendenza filosofica,
corroborata da studi
vecchi e nuovi,
io conciavo pel
di delle feste
i Cinquecentisti, e
facevo lucere innanzi
alla gioventù uno
schema di grammatica
filosofica e me-
todica, quale appariva negli
scrittori francesi. Dicevo
che co- storo erano
eccellenti nell'analisi delle
forme grammaticali, ri-
salendo alle forme semplici
e primitive :
così amo vuol
dire io sono
amante. La ellissi
era posta da
loro come base
di tutte le
forme di una
grammatica generale. Questo
non mi contentava
che a mezzo.
Io sosteneva che
quella decomposizione di
amo in sono
amante m'incadaveriva la
parola, le sottraeva
tutto quel moto
che veniva dalla
volontà in atto.
I giovani sentivano
quei giudizi acuti
con raccoglimento, e mi credevano
in tutta buona
fede quell'uno che
doveva oscurare i
francesi e irradiare
l' Italia di una
scienza nuova. E
in verità io
sosteneva che la
gramma- tica non era
solo un'arte, ma
ch'era principalmente una
scienza: era e
doveva essere. Questa
scienza della grammatica,
malgrado le tante
grammatiche ragionate e
filosofiche, era per
me ancora un
di là da
venire. Quel ragionato
appiccicato alle grammatiche
era una protesta
contro la pedanteria
passata, e voleva
dire che non
bastava dare le
regole ma che
di ciascuna regola
bisognava dare i
motivi e le
ragioni. Paragonavo i
grammatici o accoz-
zatori di regole
agli articolisti, che
credevano di sapere
il Co- dice, perchè
si ficcavano in
capo gli articoli,
parola per parola,
e numero per
numero. Ma quel
ragionare la grammatica
non era ancora
la scienza. Così il
De Sanctis, erudito
primamente sul Soave
in un'at- mosfera filosofica, passato
poi per il
purismo del Puoti,
ritor- nato con maggior
maturità alla scienza,
veniva a una
generale liquidazione di
tutti i grajnmatici
antichi e moderni,
cioè della grammatica
ragionata in ispecie,
e della grammatica
precettiva in genere,
ma non della
grammatica come scienza.
Che nella sua
critica negativa superasse
la grammatica ra-
gionata e creasse veramente
la scienza non
si può dire:
intera- mente, come s'è
visto, non si
appagò dei migliori
grammatici filosofici di
Francia, come il
Du Marsais ;
ma egli, almeno
nel periodo del
suo primo insegnamento,
secondo quanto narra
lui stesso, rimase
sempre sotto la
loro influenza. Anche
nella parte pratica,
nel metodo, egli
arieggia molto davvicino
il Du Mar-
sais ('), superandolo nella
abilità di trasformar
la grammatica in
critica concreta dell'opera
d'arte. La sua
concezione della gram-
matica, o meglio del
linguaggio, pur avendo
egli concepito una
grammatica scientifica o
estetica, è la
medesima. Va però
subito detto a lode del
De Sanctis, che
egli stesso ebbe
coscienza, negli anni
maturi, della manchevolezza
del sistema. Racconta
infatti : «
così trovavo nella
logica il fondamento
scientifico della gramma-
tica ; e finché
mi tenevo nei
termini generalissimi di
una gramma- tica unica,
come la concepiva
Leibnitz, il mio
favorito, la mia
corsa andava bene.
Ma mi cascava
l'asino, quando veniva
alle differenze tra
le grammatiche, spesso
in urto con
la logica, e
originate da una
storia naturale o
sociale, piena di
varietà e poco riducibile a
principi fissi. Per
trovare in quella
storia la scienza,
si richie- deva altra
cultura e altra
preparazione. Nella mia
ricerca del- l'assoluto, avrei voluto
ridurre tutto a
fil di logica,
e concor- dare insieme
derivazioni, scrittori e
popolo; ma, non
potendo sopprimere le
differenze e guastare
la storia, ponevo
1' ingegno a
dimostrare la conformità
del fatto grammaticale
con la logica,
della storia con
la scienza. Quell'avvertita irrudicibilità delle
differenze tra le
varie grammatiche e
principi fissi dimostra
chia- ramente che SANCTIS (si veda) intuiva
dov'era la soluzione
del pro- blema :
e a lui
non filosofo di
professione ciò non
è scarso titolo
d'onore; il dissidio
egli lo compose,
e in grado
eccellente, insuperato, nella
critica, nella quale
la parola viva,
la grammatica parlata
dall'arte, fu da
lui illustrata in
tutta la sua
forza espres- siva :
scientificamente toccò, in
quegli stessi anni,
il risolverlo a
Guglielmo di Humboldt,
col quale e
col suo seguace
e corret- tore Steinthal si
può veramente affermare
che la grammatica
sia esclusa dall'orbita
della filosofìa, sebbene
non avvenisse an-
cora l' identificazione
della linguistica generale
con l'estetica, che
è stata fatta
solo recentemente. Nelle
difficoltà in cui
si dibattè il
De Sanctis di
conciliare la grammatica
generale con le
grammatiche particolari, si
tro- varono impigliati quanti,
anche per impulso
della Critica della
ragioyi ptira del
Kant, intesero «
alla ricerca delle
relazioni fra pensiero
e parola, fra V
unicità logica e
la molteplicità dei
lin- guaggi » (l)j
ricerca che, per
altro, non era
nuova, ma che
aveva già dato
origine in Francia
alla grammatica generale.
Il primo tentativo
« di applicare
le categorie kantiane,
dell' intuizione (spazio
e tempo) e
dell'intelletto» al linguaggio
(") (riassumo, non
potendolo qui integralmente
riferire, dal paragrafo
XII della parte
storica de\V Estetica di
Croce), fu compiuto
dal Roth (1815),
mentre sullo stesso
argomento, verso il
primo decennio del
se- colo, avevano speculato
il Vater, il
Bernhardi, il Reinbeck,
il Koch :
pensiero dominante de'
quali era la
differenza « tra
lingua e lingue,
tra la lingua
universale, corrispondente alla
logica, e le
lingue storiche ed
effettive, che son
turbate dal sentimento,
dalla fantasia, o
come altro si
chiami l'elemento psicologico
della differenziazione ». Si distingueva
una linguistica generale
da una linguistica
comparata (Vater) ;
la lingua, allegoria
dell'intelletto, •si considerava
organo della poesia
o organo della
scienza (Bernhardi) ; si
ammetteva una. grammatica
estetica e una
gramma- tica logica (Reinbeck)
; si proclamò
persino che l' indole
della lingua si
deve desumere dalla
psicologia, non dalla
logica (Koch). Residui
intellettualistici
s'avvertono ancora nell'Humboldt
pel quale logica
e linguaggio sembrerebbero
identificarsi sostan- zialmente e
diversificare solo storicamente,
e il linguaggio
stesso (') Croce,
Estetica. Recentemente G. Piazza
ha tentato dimostrare
che La teoria
kantiana del giudizio
era stata già
intuita e fissata
nella sintassi de'
Greci (Roma. 1907);
ma è stato
confutato dal Cróce,
in La Critica,
V, 396. 476
Storia della Grammatica
parrebbe un qualcosa
fuori dell'uomo che
l'uomo fa rivivere
con l'uso. Ma
il grande filosofo
trovò il vero
concetto del linguag-
gio. La lingua —
egli pensò —
nella sua realtà
è un prodursi
e un divenire,
non un prodotto
; è un'attività
(èvegyeia), non un'opera
(ègyov). « La
lingua propria consiste
nell'atto stesso del
produrla nel discorso
legato: questo soltanto
bisogna pen- sare come
primo e vero
nelle ricerche che
vogliono penetrare l'essenza
vivente della lingua.
Lo spezzettamento in
parole e regole
è il morto
artificio dell'analisi scientifica»^). Il
lin- guaggio nasce spontaneo
da un bisogno
interno. Esiste perciò
— ed ecco
la vera scoperta
dell'Humboldt di fronte
ai gram- matici logici
universali — una
forma interna del
linguaggio («in- nere Sprachform»), che
non è il
concetto logico, né
il suono fisico,
ma la veduta
soggettiva che l'ìiomo
si fa delle
cose. Questa forma
interna « è
il principio di
diversità proprio del
linguaggio, oltre il
suono fisico: è
l'opera della fantasia
e del sentimento,
è l'in- dividualizzazione del concetto.
Congiunger la forma
interna del linguaggio
col suono fisico,
è l'opera di
una sintesi interna
: " e
qui, più che
in altro, la
lingua ricorda, nelle
più profonde ed
inesplicabili parti del
suo procedere, l'arte.
Anche lo scul-
tore e il pittore
sposano l'idea alla
materia, e anche
la loro opera
si giudica secondo
che quest'unione, quest'
intima com- penetrazione sia opera
del genio vero,
o che l' idea
separata sia stata
penosamente e stentamente
trascritta nella materia
con lo scalpello
e col pennello
"» (')• Ma
linguaggio ed arte
nell'Hum- boldt non s'
identificano : e
questo è il difetto della
sua dottrina, che
tirò seco non tenui contraddizioni, come
quella circa il
ca- rattere differenziale della
poesia e della
prosa. L'Humboldt non
vide esattamente «
che il linguaggio
è sempre poesia,
e che la
prosa (scienza) non
è distinzione di
forma estetica, ma
di contenuto, sebbene
intorno a questi
due concetti, compresi
in senso filosofico,
abbia manifestato profonde
vedute. La teoria
linguistica dell'Humboldt fu
integrata dal suo
maggior seguace, lo
Steinthal il quale,
nella polemica sostenuta
(M Ueb. d.
Verschiendenheit d. menschl.
Sprachbaucs (1836), opera
postuma (2M ed.
a cura di
A. F. Pott,
Berlino), in Croce. Croce. Croce. coll'hegeliano Becker,
«autore degli Organismi
del linguaggio, uno
degli ultimi logici
della grammatica »,
dimostrò, pur tra
af- fermazioni talvolta eccessive,
« che concetto
e parola, giudizio
logico e proposizione
sono incomparabili. La
proposizione non è
il giudizio; ma
è la rappresentazione ( Darstellung) di
un giu- dizio: e
non tutte le
proposizioni rappresentano giudizi
logici. Parecchi giudizi
possono esprimersi in
una proposizione unica.
Le divisioni logiche
dei giudizi (i
rapporti dai concetti
1 non hanno
corrispondenza nella divisione
grammaticale delle propo-
sizioni. " Parlar di
una forma logica
della proposizione è
una contraddizione non
minore che se
si parlasse àttW angolo
di un cerchio
o della periferìa
di un tria?igolo
". Chi parla,
in quanto parla,
non ha pensieri,
ma linguaggio»!1). Senza
entrar ora nel
merito degli altri
problemi trattati dallo
Steinthal, come quello
circa l'identità deWorigine
e della natura
del linguaggio che
esattamente risolvette, e
l'altro delle relazioni
tra poetica, rettorica
e linguistica, cioè
tra linguaggio e
arte che interessa
propriamente l'estetica, e
che purtroppo Steinthal
lascia insoluto, perchè
non arriva mai
ad affermare che
parlare è parlar
bene e bellamente,
o non è
punto parlare, a noi
basta l'osservar, qui,
conchiudendo, il nostro
discorso che con Humboldt e
Steinthal, in quanto
l'uno integra l'altro
e lo rende
coerente nella parte
linguistica, si ha
un primo notevole
superamento della grammatica,
non essendo questa
soluzione pregiudicata dalla
mancata identificazione di
arte e linguaggio:
la liberazione del
linguaggio dalla logica,
la riconosciuta completa
autonomia del linguaggio
da categorie di
qualsiasi altra specie
che non siano
la sua forma
interna essenziale,
rappresentano la prima vera
vittoria della critica
negativa della grammatica. La
dissoluzione della quale
viene così a
coincidere perfettamente con
l'avvento della scienza.
La ribellione e
la reazione alla GRAMMATICA
RAGIONATA quale si è
venuta sistemando in
Italia, se non
assunsero dovunque quel
grado e quel
tono che ebbero
in SANCTIS (si veda), seguirono, [Croce] però,
su per giù,
il medesimo sviluppo
e i medesimi
motivi: da una
parte riusce difficile
specie a letterati
di più largo
ingegno, come vedremo
accadere, p. es., a Giordani
(Puoti stesso abbiamo visto
concedere a Sanctis
uno studio discreto
di quella grammatica),
il chiuder gl’occhi
a quelle ELEVATE E SCINTILLANTI (alla Grice)
INVESTIGAZIONI logiche che sulle
lingue avevan condotto
i galli, incomparabilmente più
geniali e profondi
dei loro epigoni
italiani. L’aria è
impregnata di logicismo,
tutto suona FILOSOFIA, il
secolo era chiamato
dei lumi: chi può sottrarsi
alla forza delle
cose e del
tempo? dall'altra, la
vacuità di quel
nuovo formalismo, pel
fine pedagogico che
ora s'impone, non
richiede tanto un
troppo ELEVATO SPIRITO FILOSOFICO
per essere avvertita,
quanto il fatto
stesso dell'esperienza dello
studio linguistico. Si puo credere,
ancora, nella grammatica
generale, raccomandarne l'utilità
(e come si
potesse fare anco
per ispirito d' imitazione
e per servilismo
verso la moda
corrente, non occorre dire); ma,
già, anche a
tacer d'altro, con
la grammatica generale
eravamo già fuori
del campo de’bisogni
pratici. La grammatica generale
è come un'estetica
logica della lingua,
quindi FILOSOFIA, e
noi sappiamo che
la scienza non
è espediente didattico,
mentre il motivo
principale dell'interesse linguistico è
ora in Italia
più pratico che
teorico. L'assoluta inefficacia
inoltre della GRAMMATICA
logica a dirigere
l'apprendimento della lingua
e l'esercizio dello
scrivere dove essere
tanto più fortemente sentita, quanto
più dilaga il gallicismo nella
lingua e nello
stile: il ritorno
alla vecchia pratica
grammaticale e all' osservazione dei
lodati scrittori, dove apparire
come una urgente
necessità; e vi
si ritorna infatti
con fede rinnovellata
e sotto la
bandiera del più
rigoroso purismo inalberata
dal Bembo dell'Ottocento,
Cesari, coronato alfiere
dall'Accademia livornese, qual
s'è mostrato degno d'essere
con la nota
Dissertazione sopra lo stato
della lingua}; e, in
ogni modo, con
o contro Cesari per
gli scrittori o
pel popolo, la
pratica dove prevalere sulla
teoria astratta; perfin
nella grammatica em- [In
Opuscoli linguistici e
letterari di Cesari, raccolti,
ordinati e illustra/i
ora la prima
rolla da Guidetti,
Reggio d'Emilia, Collezione
storico-letteraria presso il
compilatore.] pirica,
normativa, tradizionale, presso
non gli scapigliati
ma i pedanti,
la vecchia fede
se non scossa,
certo fu illanguidita. La
tradizione puristica, peraltro,
non era stata
interrotta nella seconda
metà del Settecento,
neppur quando più
imperversò la bufera
del filosofismo francese.
Già prima che
il rappresen- tante più
autorevole di esso
in Italia, il
Cesarotti, fosse stato,
appunto in nome
della vecchia grammatica,
contraddetto — ri-
cordammo già, tra gli
altri, l'ab. Velo — «
con uno stile
forbito e piccante
», come dicono
i suoi editori,
si sforza Rosasco
« di rivendicare
ai Fiorentini il
tanto contrastato primato
intorno all'origine ed
al governo della
favella », introducendo
nei suoi Dialoghi
sette della Lingua
to- scana a pontificare
il Corticelli su
lesecolari questioni, sull'au-
torità dei grammatici, sulla
necessità imprescindibile dello
studio della grammatica,
di contrastare al
nuovo sistema de'
letterati propugnanti l'uso
d'un'altra lingua diversa
dalla fiorentina, con
tutto il bagaglio
de' vecchi argomenti
grammaticali e rettorici
in favore della
purità, della armonia
e dolcezza della
pronunzia fiorentina, dell'elegante
stile, e con
le vecchissime distinzioni
di discorso impensato
e di discorso
pensato. « Eh
via, la legge
che ne obbliga
a studiare la
grammatica, è giustissima,
e chiun- que brama
riportar gloria dal
materiale della scrittura,
dovrà o bere
o affogare, siesi
chi egli si
vuole ». E
cita in sostegno
il Salviati, Quintiliano
e altri (').
Va notato peraltro
che il Rosasco
non solo propugna
la necessità di
uniformarsi anche all'uso
moderno, ma giudica
ancora, sebbene coi
soliti argomenti estrin-
seci, che « non
dobbiamo per conto
alcuno desiderare la
per- fezione delle grammatiche,
si perchè non
si può questo
desiderio avere, senza
desiderare insieme la
estinzione della lingua
; sì perchè
quando siamo obbligati
a scriver solo
secondo le regole
e' precetti dell'arte
prescritti, non è mai possibile
rendere le nostre
scritture eccellenti »(')
: residui, come
ognun vede, delle
dottrine estetiche prevalenti
nel senso che
volevano conciliare il
rigore grammaticale col
criterio della libertà
individuale : tem-
perato purismo, che, mentre
per un lato
moveva dall'antica tra-
(') Ed. della
Bibl. scelta, Milano,
Silvestri] dizione grammaticale
del classicismo, per
l'altro era reso
possi- bile dal non
essersi ancora la
lingua italiana inoltrata
pel de- clivio della
cosiddetta corruzione francesistica. Quando
questa si accentuò
maggiormente, era naturale
che l'iniziativa del
riparo partisse dalla
Crusca custode gelosa
del patrimonio linguistico:
e già il
ricordato Borsa nel
1785 prote- stava contro
il decadimento della
lingua, e nel
1798 da Losanna un
suo Accademico, Federico
Haupt, scriveva la
Lettera dun tedesco
stili' infranciosamento
dello stile, com'è
naturale che la
rifioritura linguistica fosse
più di vocabolario
che di gramma-
tica ; lo stesso
lavorìo grammaticale, il
più notevole dei
primordi del secolo
XIX, s'aggirò, come
vedemmo, intorno a
quella parte della
grammatica che è
più intimamente connessa
col vo- cabolario, i
verbi, di cui
sorsero parecchi prospetti
e teoriche. E a studi
di lingua, ossia
di vocabolario, si
era volto nel
1806 l'Istituto lombardo,
fondato dal Bonaparte
nel 1797 e
convocato a Bologna
nel 1803, di
cui era segretario
quel Luigi Muzzi
che già incontrammo
quale autore del
curioso libro sulle
Permutazioni dell' italiana
orazione, e che,
dopo essersi divertito
e gingillato intorno
a problemi filosofici
secondo la moda
d'allora pe' quali
non era affatto
portato, si immerse
talmente negli studi
gram- maticali e lessicali
e con si
vero spirito di
devozione alla Crusca,
che il Monti
doveva titolarlo più
tardi « il
più fatuo pedantuzzo
che mai facesse
imbratti d'inchiostro » (l). Partecipò
nel 1809 al
concorso dell'Accademia livornese
con un lavoro
Dello siato e
del bisogno di
nostra lingua, ma
il manoscritto, per
ragioni regolamentari, non
fu accettato. Come
sappiamo, di quel
concorso il trionfatore
fu Antonio Cesari,
odiatore quanto il
Giordani, delle dottrine
del Cesarotti, che,
se avevano ancora
seguaci dal Romani
al Nardo, andavano
però perdendo terreno
sempre più :
quegli stessi che
le propu- gnavano —
si avverta inoltre
— erano assai
più temperati del
maestro e si
guardarono meglio di
lui dall'esser accusati
di gal- lofilia :
verso l' italianità era
un desiderio e
un moto generale,
cui favoriva la
ridesta coscienza nazionale:
cesariani e pertica-
riani o mondani,
neopuristi della prima
maniera (cioè anteriore) e
della seconda, tutti
concordavano non solamente
nel- (') In
Mazzoni, L'Otl.] l'avversare i
criteri troppo licenziosi
de' cesarottiani, ma
ne! volere —
auspice la Crusca
per la quinta
volta rimessosi nel
1813 alla ricompilazione del
Vocabolario — che
alle sottili fantasti-
cherie sulle ragioni delle
lingue si sostituisse
il lavoro concreto
e modesto del
raccogliere e del
vagliare voci e
locuzioni del buon
uso e a
riprendere l'osservazione grammaticale
secondo le migliori
tradizioni del Cinquecento.
Balbo scrive al Vidua una
lettera sulla lingua
italiana per muover
lamenti intorno le
tante esagerazioni e
confusioni pratiche e
teoriche del filosofismo
che non giovavano
punto alla causa
della lingua :
e il Vidua
raccomandava nel 1815
a un compatriotta
che, an- dando a
Firenze come avevan
fatto già l'Alfieri
e il Goldoni,
e avrebbe fatto
il Manzoni e
avrebbero consigliato al
Cavour, non trascurasse
di recarsi la
mattina in Mercato
Vecchio ad ascoltar
il pizzicagnolo e le contadine.
E alla Crusca
stendeva la mano
l'Istituto lombardo per
proseguire concordi all'opera
d'amplia- mento del Vocabolario:
né le ripulse
dell'Accademia orgogliosa e
gelosa delle sue
secolari tradizioni né
i risentimenti e
le irri- tazioni, causa di
tante guerre anche
personali, che esse
provo- carono nel Monti,
poterono mai dividere
gli animi concordi
nella comune avversione
al logicismo, alle
metafisicherie di provenienza
franco-cesarottiana,
nonostante che, per
quanto riguarda i
criteri particolari dell'uso
linguistico italiano (pratica,
dunque, non scienza),
facilmente potessero incontrarsi
col Cesarotti in
un vivo desiderio
di libertà, e
spesso inconsciamente (come
sarà av- venuto al
Leopardi) (' ),
non soltanto gli antipuristi come
il ce- sarottiano
Torti di Bevagna,
ma letterati meno
bollenti nella se-
colare battaglia. N'è prova
l'atteggiamento assunto dal
capo riconosciuto de'
classicisti, il Giordani,
nelle contese tra
il Cesari, Monti e
Perticari : «
richiesto del vero
valore di alcune
voci tolte dal
greco, rispose [al
Monti] e colse
quell'occasione per lodare
l'opera e il
suocero e il
genero, ma anche
per addimostrare al-
cune sviste di essi
due correttori degli
altri, e per
augurare che gli
avversari si riconoscessero invece
compagni, come quelli
che insomma avevan
un fine medesimo
e uno stesso
desiderio. Cfr. F. Colagrosso,
La teoria leopardiana
della lingua, Na-
poli, 1905 (Estr. d.
Rend. Accad. Arch.
Lett. e B.
A. in Napoli,
XIX), P- 55
sgg. (2) Mazzoni. Pure, il
Giordani è appunto
uno di quei
puristi che racco-
mandavano ai giovanetti il
Du Marsais e
il Beauzée. «
I volumi della
Enciclopedia Metodica ne'
quali è trattata
la grammatica e l'
eloquenza ti possono
essere utili. Gli
articoli rettorici di
Marmontel non mi
paiono più che
mediocri ; quelli
di Jancourt assai
meno che mediocri.
Ma bellissimi i
grammatici di Du
Marsais, e di
La-Beauzée. E il
conoscere e adoperare
filosofi- camente la lingua
è gran virtù
di eccellente scrittore.
E pron- tamente si
applica alla nostra
quel che è
notato della francese »(1).
Ma che cosa
significa adoperare filosoficamente mia
lingua ? specie
quando la si
consideri, come fa
il Giordani, cosa
diversa dallo stile?
Interrompi, consiglia, con
la lettura di
quegli arti- coli, «
lo studio che
devi far della
lingua, e preparati
a quello che
poi farai dello
stile. Perchè io
giudico che quello
della lingua debba
precedere. Non si
dee prima sapere
qual sia la
materia de' colori
; poi imparare
ad impastarli e mescolarli ;
poi esercitarsi a
collocarli, e accordarli
? » (io).
« Tutto lo
scrivere sta nella
lingua e nello
stile; due cose
diversissime egualmente necessarie.... I
vocaboli e le
frasi sono i
colori di questa
pittura; lo stile
è il colorito.
— Ora persuaditi,
caro Eugenio, che
l'ac- quisto de' colori
sia fatica della
memoria : l'uso
del colorito sia
esercizio d'ingegno, disciplina
di buoni esempi,
di pochi pre-
cetti, di moltissima osservazione,
di molta pratica. Ho
letto molti antichi
e moderni che
vollero esser maestri
: ho perduto
tempo e acquistato
noia, senza profitto.
Veri maestri ho
trovato gli esempi
de' grandi scrittori.
Tra i mo-
derni consiglia, tuttavia «
il breve trattato
del Condillac, Art
d'écrire. Di tutto
quel libro abbastanza
buono, m' è
rimasto in mente
questo solo principio,
molto raccomandato da
lui = de
la plus grande
liaison des idées
.... Vero è
che quel legame
delle idee non
deve esser sempre
logico ; ma
secondo la materia
che si tratta,
dev'esser pittorico o
affettuoso; di che
i moderni intendon
pochissimo : gli
antichi vi furono
meravigliosi » (pa-
gine 153-4). In questo
guazzabuglio di vedute,
d'idee e di
prin- cipi, c'è tutto,
meno lo spirito
filosofico : dal
che si vede quanto (')
A un giovane
italiano - Istruzione
per l'arte di
scrivere, in Scritti
di Giordani, ed.
Chiarini, in Firenze.] poco fosse
compresa e con
quanto poca convinzione
raccoman- data la grammatica
generale del Du
Marsais e del
Beauzée. Il nume
che agitava interiormente
il Giordani e i degni
suoi com- pagni d'arme
non era la
filosofia, ma lo
spirito italiano che
si rinnovava, rinnovamento
che alla coscienza
di molti si
presen- tava come un
problema di lingua
: donde il
calore con cui
si davano a
questi studi. Il
Giordani, mosso dall'invito
dell' Acca- demia italiana, «
non per rispondere
» ad essa,
per ciò che « questa
materia non sia
d'ozio letterario ....
ma importi non
poco all'onore d'Italia
», si dà
ad abbozzare una
Storia dello spirito
pubblico d' Italia per
600 considerato nelle
vicende della lingua
e alcuni anni
più tardi (1825),
discorrendo in una
lunga lettera al
Capponi di una
raccolta in trenta
volumi che intendeva
fare delle migliori
e men note
prose della nostra
letteratura, allargando e
colorendo le linee
di quel primitivo
ab- bozzo, esprimeva l'opinione
che l'ordine escogitato
lo menerebbe «
quasi per una
storia della nazione
e della lingua
» ("), e che dalla
somma dei particolari
discorsi introduttivi ne
sarebbe de- rivato «
quasi un ritratto
filosofico delle menti
italiane per quat-
tro secoli ». «
Perciocché io considerando
la lingua come
uno specchio, nel
quale cadano tutti
i concetti da
tutti i pensanti
della nazione, e
dal quale nella
mente di ciascuno
si riflettano i
pensieri di tutti
; volli con
diligenza di storico
e sagacità di
filosofo esaminare il
vario corso del
pensare italiano per
le ve- stigia che
di mano in
mano lasciò impresse
nel variare delle
lingua; della quale
i vocaboli e
le frasi, o
nuovamente intro- dotte, o
dall'antico mutate, fanno
certissimo testimonio (a
chi '1 sa
interrogare) d'ogni mutamento
nella vita intellettiva
del po- polo.
Così il Giordani
si riallaccia al
Napione. Tra il
Napione e il
Giordani spicca anche
per questo ri-
guardo il Foscolo, (3)
che nella celebre
orazione, recitata a
Pavia (') Opere,
t. IX: «
Scritti editi e
postumi pubbl. da
Antonio Gus- salli
», Milano. f;)
Scritti, ed. Chiarini. Per
l'eccellente posizione che
occupa il Foscolo
nella storia della
critica, oltre che
le note pagine
del De Sanctis,
vedi Croce, Per
la storia della
critica ecc., già
cit., p. 9
e 27, Trabalza,
Studi sul Boccaccio,
e Borgese, Storia
della critica romantica,
libro — è
superfluo avvertirlo — nel
1809 per l'inaugurazione degli
studi, Dell' origine
e dell'uf- ficio della
letteratura e nelle
Lezioni di eloquenza
che le tennero
dietro, e particolarmente in
quella del 3
febbraio 1809 su
la Lingua italiana
considerata storicamente e
letterariamente , (l) e ne' sei
Discorsi sulla lingua
(") italiana parlava
della nostra lingua
coi medesimi spiriti
e intendimenti d'italianità,
in modo vera-
mente vivace. « Nella
sua Prolusione »,
ripeteremo col De
San- ctis, «
tenta una storia
della parola sulle
orme del Vico,
censu- rata da parecchi
in questo o
quel particolare, ma
da' più am-
mirata, come nuova e
profonda speculazione. Il
suo valore, anzi
che nelle sue
idee, è nel
suo spirito, perchè
non è infine
che una calda
requisitoria contro quella
letteratura arcadica e
acca- demica, combattuta da
tutte le parti
e resistente ancora,
contro quella prosa
vuota e parolaia,
e contro quella
poesia che suona
e che non
crea » (3).
« Nessuno ha
considerato, » scriveva
il Fo- scolo, «
filosoficamente le origini,
le epoche e
la formazione di
essa [lingua italiana],
affine di conoscere
per via d'analogia
i principi, i
progressi oscurissimi delle
formazioni e trasformazioni di
tante altre lingue
» (4). «
La storia d'una
lingua, » ecco
il suo preciso
punto di vista
— « non
può tracciarsi se
non nella storia
letteraria della nazione
; né la
storia può somministrare
fatti certi e
fondamentali a trovare
in materie intricatissime il
vero, se non
per mezzo di
epoche distinte, in
guisa che le
cause non diventino
effetti, e gli
effetti non sieno
pigliati per cause
»('). che dev'esser
tenuto sempre presente
per tutto questo
periodo, perchè, se le idee
sulla lingua de'
vari critici che
vi sono criticati
poca luce diffondono
sulle loro teorie
poetiche, utilissimo è
invece conoscere la
portata critica di
esse per chi
fa la storia
della lingua. (')
In Opere edite
e postume di
Ugo Foscolo, Firenze,
Le Monnier. In T..
— È evidente
l'affinità tra il
metodo del Foscolo
e quello del
Napione; ma com'è
più profonda la
visione del Fo-
scolo, così essa in
certo senso precorre
ancor meglio il
principio moderno onde
si vorrebbe indagata
la storia della
cultura nella lingua,
special- mente in quanto
si serve del metodo
monografico per periodi
di af- finità spirituali. Notevolissima
sotto questo rispetto
è una pagina
della Lez. II
di Eoa. (è la 82
del voi. II)
dove illustra il
principio: La let-
teratura è annessa
alla lingua. Capitolo
quindicesimo 485 Nel
fatto, il Foscolo
intravvede così in
confuso l'identità di
lingua e pensiero,
e nell'evoluzione linguistica
uno svolgimento spirituale,
mostra cioè una
vaga coscienza del
problema lingui- stico, e
il suo sforzo
di risolverlo, anche
se non felice,
è già un
progresso. Particolarmente notevoli,
anche per la
ragione pedagogica, in
cui però, come
sappiamo, ben si
riflette la scienza
teorica, son le
pagine che scrive
sulla dottrina dantesca
del Volgare illustre.
Ne riferiamo volentieri
un brano che
ci tocca davvicino.
« Su ciò
che Dante previde
con occhio sicuro
egli fondava pochi
principi generali intorno
alla legislazione gram-
maticale. Erano inerenti alla
condizione e alla
natura della lingua,
onde operarono sempre
e quando vennero
applicati da parecchi
scrittori, e quando
vennero trascurati da
altri, o negati
ostinatamente da molti
; ed operarono
fin anche negli
scritti di chi
li negava ed oggimai
l'esperienza ha convinto
la più gran
parte degl'Italiani, che
la loro lingua
letteraria non può
pro- sperare senza l'applicazione dei
principj di Dante»:
principi metafisici, dice
Foscolo, annunziati in tempi
ne' quali la
filosofia, l'arte
dialettica, e la
teologia erano tutt' uno,
e tali da
intricarsi a vicenda,
e perciò un
po' oscuri forse
allo stesso ALIGHIERI (si veda). Al
qual punto il
pensiero di Foscolo corre
a Locke che facilita
lo studio delle
analisi delle idee,
e quindi della
natura delle lingue – Grice: way
of things, way of ideas, way of words -- e
a Condillac che
illustrò questa difficilissima parte
della metafisica. De Sanctis. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e de
Sanctis," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia. Sanctis.
Keywords: storia della filosofia, il saggio filosofico, il poema filosofico, il
tema filosofico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sanctis” – The Swimming-Pool
Library.
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