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Friday, December 20, 2024

GRICE E SANCTIS

 

Grice e Sanctis: la ragione conversazionale dello stile filosofico – scuola napoletana – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo Italiano. Napoli, Campania. Essential philosopher. He considers philosophy as a branch of the belles lettres and his field of expertise is when stylists stop using an artificial Roman, and turned to ‘Italian.’ Grice: “I really do not like de Sanctis; when an author becomes philosophical, he says that he has been infested of the philosophical pest!” – Disambiguazione – Se stai cercando l'omonimo architetto, vedi Francesco De Sanctis (architetto). Francesco de Sanctis  Ministro della pubblica istruzione del Regno d'Italia Durata mandato17 marzo 1861 – 12 giugno 1861 MonarcaVittorio Emanuele II di Savoia Capo del governoCamillo Benso di Cavour PredecessoreTerenzio Mamiani, Regno di Sardegna Durata mandato12 giugno 1861 – 3 marzo 1862 Capo del governoBettino Ricasoli SuccessorePasquale Stanislao Mancini Durata mandato24 marzo 1878 – 19 dicembre 1878 MonarcaUmberto I di Savoia Capo del governoBenedetto Cairoli PredecessoreMichele Coppino SuccessoreMichele Coppino Durata mandato25 novembre 1879 – 29 maggio 1881 Capo del governo                                    Benedetto Cairoli PredecessoreFrancesco Paolo Perez SuccessoreGuido Baccelli Governatore della Provincia di Avellino Durata mandato1861 – 1861 SuccessoreNicola De Luca Deputato del Regno d'Italia LegislaturaVIII, IX, X, XI, XII, XIII, XIV, XV Gruppo parlamentareSinistra Coalizioneconnubio, opposizione, governo della Sinistra storica Incarichi parlamentari Ministro dell'Istruzione del Regno d'Italia Sito istituzionale Dati generali Partito politicoDestra storica (1861-1862) Sinistra storica (1862-1883) Titolo di studiolaurea ProfessioneDocente universitario FirmaFirma di Francesco de Sanctis Francesco Saverio de Sanctis (Morra Irpina, 28 marzo 1817 – Napoli, 29 dicembre 1883) è stato un critico letterario, saggista e politico italiano, tra i maggiori critici e storici della letteratura italiana nel XIX secolo e più volte ministro della pubblica istruzione.  Biografia Francesco Saverio de Sanctis nacque nel 1817[1] a Morra Irpina (Avellino) da una famiglia di piccoli proprietari terrieri, figlio di Alessandro De Sanctis (1787-1874) e Maria Agnese Manzi (1785-1847).  Il padre era dottore in diritto e due zii paterni, Giuseppe e Carlo, uno sacerdote e l'altro medico, vennero esiliati per aver preso parte ai moti carbonari del 1820-21.  Celebre è la sua frase: "Se Morra è il mio paese, Sant'Angelo è la mia città" (Sant'Angelo dei Lombardi, che si trova vicino a Morra e che, al tempo del De Sanctis, era il punto di riferimento per i paesi vicini).  «I critici pedanti si contentano d'una semplice esposizione e si ostinano sulle frasi, sui concetti, sulle allegorie, su questo e su quel particolare come uccelli di rapina su un cadavere… Essi si accostano ad una poesia con idee preconcette: chi di essi pensa ad Aristotele e chi ad Hegel.  Prima di contemplare il mondo poetico lo hanno giudicato: gl'impongono le loro leggi in luogo di studiar quelle che il poeta gli ha date. […] Critica perfetta è quella in cui i diversi momenti (per i quali è passata l'anima del poeta) si conciliano in una sintesi di armonia.  Il critico deve presentare il mondo poetico rifatto ed illuminato da lui con piena coscienza, di modo che la scienza vi presti, sì, la sua forma dottrinale, ma sia però come l'occhio che vede gli oggetti senza però vedere se stesso. La scienza, come scienza, è, forse, filosofia, ma non è critica.»  (Francesco De Sanctis, Saggi critici, Morano, Napoli, 1874)  Formazione scolastica Nel 1826 lasciò la provincia per recarsi a Napoli, dove frequentò il ginnasio privato di uno zio paterno, Carlo Maria de Sanctis.  Nel 1831 passò ai corsi liceali, dapprima presso la scuola dell'abate Lorenzo Fazzini, dove compì le prime letture filosofiche, e nel 1833 presso quella dell'abate Garzia.  Completati gli studi liceali, intraprese gli studi giuridici, presto però trascurati per seguire, già dal 1836, la scuola del purista Basilio Puoti sul Trecento e sul Cinquecento, lezioni che il marchese teneva gratuitamente presso il suo palazzo, dove il De Sanctis avrà modo di conoscere il Leopardi e dove avvenne la sua vera formazione.  Insegnamento Trascorso un breve soggiorno a Morra, ritornò a Napoli dove iniziò ad insegnare nella scuola dello zio Carlo che si era ammalato, per interessamento dello stesso Puoti, venne nominato professore alla scuola militare preparatoria di San Giovanni a Carbonara (1839-1841) e in seguito al Collegio militare della Nunziatella (1841-1848), dove ebbe come allievo tra gli altri Nicola Marselli.  Contemporaneamente egli teneva in una sala del Vico Bisi, per gli allievi del Puoti, corsi privati di grammatica e letteratura, avendo tra i suoi allievi alcuni di quelli che sarebbero poi diventati tra i principali nomi della cultura italiana: i meridionalisti Giustino Fortunato e Pasquale Villari, il filosofo Angelo Camillo De Meis, il giurista Diomede Marvasi, il pittore Giacomo Di Chirico, il letterato Francesco Torraca e il poeta Luigi La Vista, suo allievo prediletto, che avrebbe trovato la morte durante l'insurrezione del 1848.  Le lezioni di quella che fu chiamata la "prima scuola napoletana" (1838/39-1848) furono raccolte ed edite solamente nel 1926 da Benedetto Croce con il titolo Teoria e storia della letteratura.  Distanze dal purismo Alla Nunziatella il De Sanctis iniziò a trattare problematiche di carattere letterario, estetico, stilistico, linguistico, storico e di filosofia della storia, prendendo le distanze dal purismo di Puoti dopo aver scoperto alcuni testi dell'Illuminismo francese (d'Alembert, Diderot, Hélvetius, Montesquieu, Rousseau e Voltaire) e di quello italiano (Beccaria, Cesarotti, Filangieri, Genovesi, Pagano).  De Sanctis passò così da una prima fase intrisa di sensibilità romantica e leopardiana, di forte polemica anti-illuministica e di convinta adesione a un programma cattolico-liberale, giobertiano, di restaurazione civile e morale, ad una seconda fase, nel costituire la quale ebbero grande parte la lettura di Hegel e le esperienze drammatiche del 1848.  Partecipazione ai moti del 1848 «Napoletani, siamo fieri di questo nome che abbiamo fatto risonare dovunque alto e rispettato. Vogliamo l'unità, ma non l'unità arida e meccanica che esclude le differenze ed è immobile uniformità. Diventando italiani non abbiamo cessato d'essere napoletani.[2]»  ([senza fonte] Francesco De Sanctis)  Nel maggio del 1848, come membro dell'associazione "Unità Italiana[3]" diretta dal Settembrini, partecipò con alcuni dei suoi allievi ai moti insurrezionali e, in seguito a questa sua iniziativa, nel novembre del 1848 venne sospeso dall'insegnamento.  Prigionia Nel novembre del 1848 egli preferì allontanarsi da Napoli, recandosi nell'entroterra calabrese, ospite prima nella città del Guiscardo di San Marco Argentano (CS) presso il seminario vescovile, poi nel vicino borgo di Cervicati (CS) dove aveva accettato un incarico di precettore propostogli dal barone Francesco Guzolini. Qui scrisse i suoi primi "Saggi critici", cioè le prefazioni all'Epistolario leopardiano e alle "Opere drammatiche" di Schiller, ma nel 1850 venne arrestato e recluso a Napoli nelle prigioni di Castel dell'Ovo, dove rimase fino al 1853 quando, espulso dal Regno dalle autorità borboniche e fatto imbarcare per l'America, riuscì a fermarsi a Malta e quindi a rifugiarsi a Torino.  Durante il periodo di prigionia il De Sanctis si diede allo studio approfondito di Hegel, facendo lo sforzo di apprendere il tedesco e compiere così la traduzione del "Manuale di una storia generale della poesia e della logica" di Hegel, oltre a cercare di approfondire i motivi mazziniani della propria ideologia, come testimonia il carme in endecasillabi con auto-commento intitolato "La prigione".  Dal carcere uscì indubbiamente un De Sanctis diverso, al quale la realtà aveva distrutto le illusioni e al pessimismo e misticismo giovanile era subentrata una moralità più eroica e alfieriana e che, grazie alla lettura di Hegel, aveva maturato una diversa concezione del divenire della storia e della struttura dialettica della realtà.  Attività letteraria a Torino A Torino la cultura moderata gli negò una cattedra, ma De Sanctis riuscì comunque a svolgere un'intensa attività letteraria. Trovò un incarico di insegnante presso una scuola privata femminile dove insegnò lingua italiana, diede lezioni private, collaborò a vari giornali dell'epoca come "Il Cimento", divenuto in seguito "Rivista Contemporanea", "Lo Spettatore", "Il Piemonte", "Il Diritto" e iniziò a tenere conferenze e lezioni, tra le quali quelle famose su Dante che, per la loro originale impostazione e per l'analisi storica e poetica, gli fecero ottenere, nel 1856, una cattedra di letteratura italiana presso il Politecnico federale di Zurigo.  Anni di Zurigo  Francesco De Sanctis nel periodo zurighese (1856-1859) A Zurigo, dove insegnò dal 1856 al 1860, il De Sanctis tenne lezioni su Dante, sui poemi cavallereschi italiani e su Petrarca. Zurigo, che in quegli anni era sede di grande confronto intellettuale, diede a De Sanctis l'occasione di elaborare meglio il proprio metodo critico, di approfondire le proprie meditazioni filosofiche e di raccogliere il materiale documentario, tra il quale assai importante risultano essere le conferenze petrarchesche del 1858-1859 che saranno la base del saggio pubblicato nel 1869 a Napoli dall'editore Morano. Ebbe anche l’occasione di diventare membro attivo del Circolo degli Scacchi della Città: “Ieri sono stato eletto membro della società degli scacchi, pagando il diploma quattro franchi. È la prima società tedesca di cui faccio parte. Qui tutto si risolve in società” [4]  Ritorno in patria Intanto, con l'unione nel 1860 del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna per la costituzione del Regno d'Italia, il De Sanctis poté tornare in patria, dove portò avanti, contemporaneamente alla sempre fervida attività letteraria, anche l'attività politica.  Nel 1860 conobbe Giuseppe Mazzini e, dopo aver interrotto il ciclo di lezioni sulla poesia cavalleresca, sottoscrisse il manifesto del Partito d'Azione per caldeggiare l'unificazione e per combattere le idee estremiste dei repubblicani.  Da quel momento egli si immerse di slancio nella nuova realtà politica italiana, ritrovando nell'azione la possibilità di rendere concreto l'ideale appreso da Machiavelli, Hegel e Manzoni e cioè quello dell'uomo totalmente impegnato nella realtà.  Attività letteraria e attività politica Si dedicò pertanto ininterrottamente, ora all'attività di politico e ministro, ora a quella di giornalista, ora a quella di critico e storico della letteratura e infine a quella di professore.  Cariche politiche In seguito alla conquista di Garibaldi, il De Sanctis venne nominato governatore della provincia di Avellino e per un brevissimo periodo fu ministro nel governo Pallavicino, collaborando per il rinnovamento del corpo accademico napoletano.  Nel 1861 venne eletto deputato al parlamento nazionale, aderendo alla prospettiva di una collaborazione liberal-democratica, e accettò il ministero della pubblica istruzione nei gabinetti Cavour e Ricasoli per cercare di attuare la difficile opera di fusione tra le amministrazioni scolastiche degli antichi stati.  Nel 1862 passò però all'opposizione e, in collaborazione con il Settembrini, promosse una "Associazione unitaria costituzionale" di sinistra moderata, che ebbe come voce il quotidiano "Italia", diretto dallo stesso De Sanctis dal 1863 al 1865. In questo ambito espose la sua visione politica nello scritto Un viaggio elettorale del 1875[5].  Intenso impegno di studi «Come critico e storico della letteratura, [De Sanctis] non ha pari.»  (Benedetto Croce, Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale, II, 15[6])  Il fallimento nelle elezioni del 1865 coincise con il ritorno del De Sanctis a un grande impegno di studi concentrato sulla struttura di una storiografia letteraria che fosse di respiro nazionale, questione che affronterà nei saggi sulle Storie letterarie del Cantù in Rendiconti della R. Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli del 1865, e sul Settembrini, Settembrini e i suoi critici, in Nuova Antologia (marzo 1869).  Nel frattempo De Sanctis stava già lavorando a una Storia della letteratura italiana che, nata come testo scolastico, si sviluppò assai presto in un'opera di ampia e complessa portata.  Dal 1872 De Sanctis insegnò letteratura comparata presso l'Università di Napoli e quell'anno accademico iniziò con il discorso su "La scienza e la vita". I corsi da lui tenuti in quegli anni si intitolano a Manzoni (1872), la scuola cattolico-liberale (1872-'74), la scuola democratica (1873-'74), Leopardi (1875-1876). Questi scritti, che svolgono tutti quei temi di letteratura contemporanea che nella storia della letteratura non ebbero spazio per esigenze editoriali, furono raccolti da Francesco Torraca e solo in parte rivisti dal De Sanctis.  Ultima fase della vita Nel 1876, prevalendo la Sinistra, De Sanctis si dimise da professore e accettò da Benedetto Cairoli un nuovo incarico ministeriale (1878-1880), mentre il suo interesse critico si rivolgeva al naturalismo francese, come testimonia lo Studio sopra Emilio Zola che apparve a puntate sul "Roma" nel 1878 e lo scritto "Zola e l'assommoir" pubblicato nel 1879 a Milano.  Intervenne in Parlamento dopo il tentativo di attentato al re Umberto I da parte dell'anarchico Giovanni Passannante, manifestando la sua contrarietà di sincero democratico ad ogni tipo di repressione:  «Io, signori, non credo alla reazione; ma badiamo che le reazioni non si presentano con la loro faccia; e quando la prima volta la reazione ci viene a far visita, non dice: io sono la reazione. Consultatemi un poco le storie; tutte le reazioni sono venute con questo linguaggio: che è necessaria la vera libertà, che bisogna ricostituir l'ordine morale, che bisogna difendere la monarchia dalle minoranze. Sono questi i luoghi comuni, ormai la storia la sappiamo tutti, sono questi i luoghi comuni, coi quali si affaccia la reazione.[7]»  Ritornato a Napoli, si dedicò alla rielaborazione del materiale leopardiano, che fu pubblicato postumo nel 1885 con il titolo Studio su G. Leopardi, e alla dettatura di ricordi autobiografici che arrivano fino al 1844, pubblicati da Villari nel 1889 con il titolo La giovinezza: frammento autobiografico.  Colpito da una grave malattia agli occhi, De Sanctis morì a Napoli nel 1883. In suo onore la città natale, Morra Irpina, è stata ribattezzata Morra De Sanctis.  De Sanctis fu membro della Massoneria[8][9].  Post mortem Nel 2007, in suo nome, viene istituita la Fondazione De Sanctis, ente che dal 2009 organizza annualmente il Premio De Sanctis per la saggistica ed altri eventi di carattere culturale[10].  Opere De Sanctis enunciò i suoi principi critici in diversi scritti di carattere non esclusivamente teorico e il suo pensiero non è esposto in opere autonome e organiche di poetica e di estetica. Il problema dell'arte non divenne mai per De Sanctis oggetto di un discorso rigorosamente filosofico, tuttavia le sue sparse meditazioni su di esso contengono i principi fondamentali dell'estetica moderna e rivelano quanto fossero solide le fondamenta del suo pensiero critico.  Storia della letteratura italiana  Storia della letteratura italiana, volume I, riedizione del 1912 (testo completo)  Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della letteratura italiana (Francesco De Sanctis). La Storia della letteratura italiana deve considerarsi il capolavoro critico del De Sanctis. In essa l'autore ricostruisce in modo mirabile lo sfondo storico critico-civile dal quale nacquero i capolavori della letteratura italiana. In quest'opera compare la frase "il fine giustifica i mezzi" che De Sanctis usa come esempio errato di come riassumere il pensiero di Niccolò Machiavelli, e che è stata successivamente attribuita erroneamente proprio al pensatore fiorentino.  Altre opere Tra gli studi del de Sanctis spicca il Saggio critico sul Petrarca del 1869 mentre tra i lavori inclusi nei Saggi critici del 1866 e nei Nuovi Saggi critici del 1869 meritano di essere menzionati quelli su episodi della Divina Commedia, su L'uomo del Guicciardini, su Schopenhauer e Leopardi oltre Il darwinismo nell'arte e quelli su Emilio Zola.  Da ricordare ancora è il discorso La scienza e la vita del 1872 nel quale egli, sostenendo la necessità di non separare la scienza dalla vita, prese posizione nei riguardi dell'allora dilagante positivismo.  Scrittore vivace e singolare in una "prosa parlata che ha la spontaneità del discorso vivo", il De Sanctis si rivela un piacevole narratore nel frammento autobiografico La giovinezza del 1889 e nelle quindici lettere che costituiscono il resoconto di Un viaggio elettorale scritto nel 1876.  Pensiero In un periodo in cui l'entusiasmo per lo storicismo idealistico era scomparso e la critica, sia europea che italiana si era spenta e si orientava verso la ricerca filologico-erudita, si trovano ancora nel pensiero di De Sanctis i motivi più significativi e vitali della cultura romantica.  De Sanctis stabilì nella sua Storia della letteratura italiana il legame tra il contenuto e la forma con lo scopo di ricostruire quel mondo culturale e morale dal quale sarebbero nate in seguito le grandi opere.  Egli considera l'arte come il "vivente", cioè la "forma", ritenendo che tra forma e contenuto non esista dissociazione perché esse sono l'una nell'altra.  Nelle pagine di De Sanctis vi è una felice vena di scrittore. Egli infatti scrive con una prosa antiletteraria, fervida e mirabile per l'immediatezza del pensiero.  Il pensiero del De Sanctis venne contrastato dal positivismo della scuola storica. Sarà solamente con Croce che avrà inizio la rivalutazione del pensiero desanctisiano che troverà, attraverso Gramsci, importanti sviluppi nella critica di ispirazione marxista.  Giuseppe Galasso ha scritto, citando tra gli altri Delio Cantimori, che De Sanctis, esprimendo un giudizio negativo sul Cinquecento in relazione al Rinascimento, vede un rapporto di continuità tra il Quattrocento e il Cinquecento. Nel Quattrocento è compiuta la separazione tra borghesia e popolo rispetto al «blocco compatto dell’intuizione, delle concezioni, della fede, della moralità proprie del Medioevo», ma, mentre il Quattrocento è un secolo vivo, creativo, aperto, dove c’è «ancora un magistero reale rispetto all’Europa», nel Cinquecento non si può che constatare, parole di De Sanctis, «la separazione da tutti i grandi interessi morali, politici e sociali che allora commuovevano e ringiovanivano molta parte dell’Europa».[11]  Metodo Il metodo della critica desanctisiana nasce, oltre che da una geniale elaborazione intellettuale, da una forte esigenza di intraprendere una battaglia culturale.  La critica di De Sanctis fu quindi una critica militante, il tentativo di superare per sempre il distacco tra l'artista e l'uomo, tra la cultura e la vita nazionale, tra la scienza e la vita.  Lo scrittore non è mai per De Sanctis un uomo isolato e chiuso in sé stesso, ma inquadrato nel contesto che lo circonda, cioè la sua civiltà e la sua cultura.  Estetica Discepolo del Puoti, De Sanctis inizia fin dalla sua prima scuola (1839-1848) la critica del formalismo puristico e retorico e si pone sia contro la poetica del Cinquecento sia contro quella del Settecento, accademica e neoclassica.  In quegli anni a Napoli iniziò a penetrare la filosofia di Hegel e il De Sanctis agli inizi studiò e aderì all'estetica del grande filosofo tedesco anche se era in lui già latente la ribellione che divenne esplicita in occasione della pubblicazione del suo "Saggio sul Petrarca".  Hegel sosteneva infatti che l'arte fosse "l'apparenza sensibile dell'Idea" e quindi che l'opera d'arte fosse simbolo del concetto filosofico e quasi una forma provvisoria di esso. Una simile dottrina conferiva carattere teoretico all'arte, ma ne comprometteva l'autonomia, tant'è vero che Hegel prevedeva alla fine dell'epoca romantica la morte dell'arte.  Il De Sanctis contrappose all'estetica hegeliana, l'estetica della forma intesa come un'attività originaria e autonoma dello spirito, per mezzo della quale la materia sentimentale si realizza in figurazione artistica. In questo modo essa non è un'elaborazione di un contenuto astratto, ma unità di contenuto e forma.  Su questi fondamenti si basa la critica del De Sanctis che fu una vera rivoluzione nella tradizione letteraria italiana.  Specchietto cronologico 1817 - Nasce a Morra Irpina il 28 marzo. 1826 - Frequenta la scuola privata dello zio Carlo. 1831 - Passa nel liceo dell'abate Fazzini, poi nello "Studio" del Garzini. 1834 - Nella scuola superiore di Basilio Puoti. 1839 - Fonda la scuola privata superiore al Vico Bisi, mentre sostituisce lo zio Carlo nella sua. 1841 - Viene nominato insegnante nel Collegio militare della Nunziatella. 1848 - Il 15 maggio combatte alle barricate. Viene sospeso dal Collegio della Nunziatella. 1849 - Si ritira in Calabria, a Cosenza. 1850 - È arrestato il 3 dicembre e incarcerato in Castel dell'Ovo. 1853 - Viene liberato ma deve andare in esilio: in Piemonte, a Torino. 1856 - È a Zurigo, insegnante di Letteratura Italiana al Politecnico. 1860 - Il 6 agosto ritorna a Napoli. Eletto Governatore della provincia di Avellino. Nel settembre è nominato da Garibaldi Direttore dell'Istruzione pubblica. Provvedimenti per rinnovare l'Università. 1861 - Deputato del Regno d'Italia e dal 20 marzo ministro dell'Istruzione. 1865-1876 - Torna agli studi: è il periodo della sua più intensa attività letteraria. 1878 - Ministro dell'Istruzione. 1879-1882 - Di nuovo Ministro dell'Istruzione 1883 - Muore a Napoli il 29 dicembre. Note ^ L'atto di nascita è disponibile sul Portale Antenati ^ Da notare che all'epoca con "napoletani" (o "napolitani") sovente non si intendevano solo gli abitanti della città di Napoli e dintorni, ma più ampiamente gli abitanti dell'intero Regno di Napoli, consistente nell'attuale Sud Italia continentale. ^ Unita italiana, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 15 agosto 2017. ^ Francesco Saverio De Sanctis, lettera inviata all’amico Camillo De Meis, Zurigo 19 luglio 1856. ^ Vincenzo Barra, Aspettando De Sanctis: le origini del Viaggio elettorale e il collegio di Lacedonia nel 1874-75, in "Le Carte e la Storia, Rivista di storia delle istituzioni" 2/2021, pp. 49-62, doi: 10.1411/102909. ^ Benedetto Croce, Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale, 3 voll., a cura di Felicita Audisio, vol. 1, Napoli, Bibliopolis, 2014 [1902], p. 439, ISBN 978-88-7088-629-0. «E, come critico e storico della letteratura, egli non ha pari» ^ Francesco De Sanctis, Scritti politici - raccolta di discorsi e scritti, su books.google.it. ^ Scrittori, poeti e letterati massoni Archiviato il 26 maggio 2016 in Internet Archive. sul sito della Gran Loggia d'Italia degli Alam. ^ Paolo Mariani - Massoneria e letteratura italiana (PDF), su centroculturaleilfaro.it. ^ Premio De Sanctis per la saggistica, su beniculturali.it. ^ Giuseppe Galasso, De Sanctis e i problemi della storia d'Italia, sta in Archivio di storia della cultura, a. II - 1989, Morano Editore, Napoli 1989. Bibliografia Opere Saggi critici, Rondinella, Napoli 1849. La prigione, Benedetto, Torino 1851. Saggi critici, Morano, Napoli, 1869. Storia della letteratura italiana, Morano, 1870. Nuovi saggi critici, Morano, Napoli, 1872. Un viaggio elettorale, Morano, Napoli 1876. Studio sopra Emilio Zola, Roma, XVI 1878. Zola e l'assommoir, Treves, Milano 1879. Saggio critico sul Petrarca, Morano, Napoli 1883. Studio su Giacomo Leopardi, a c. di R. Bonari, Morano, Napoli 1885. La giovinezza: frammento autobiografico, a cura di Pasquale Villari, Morano, Napoli 1889. Purismo illuminismo storicismo, scritti giovanili e frammenti di scuola, lezioni, a cura di A. Marinari, 3 voll., Einaudi, Torino 1975. La crisi del romanticismo, scritti dal carcere e primi saggi critici, a cura di M. T. Lanza, introd. di G. Nicastro, Einaudi, Torino 1972. Lezioni e saggi su Dante, corsi torinesi, zurighesi e saggi critici, a cura di S. Romagnoli, Einaudi, Torino 1955, 1967. Saggio critico sul Petrarca, a cura di N. Gallo, introduzione di N. Sapegno, Einaudi, Torino 1952. Verso il realismo, prolusioni e lezioni zurighesi sulla poesia cavalleresca, frammenti di estetica e saggi di metodo critico, a cura di N. Borsellino, Einaudi, Torino 1965. Storia della letteratura italiana, a cura di N. Gallo, introd. di N. Sapegno, 2 voll., Einaudi, Torino 1958. Manzoni, a c. di C. Muscetta e D. Puccini, Einaudi, Torino 1955. La scuola cattolica-liberale e il romanticismo a Napoli, a cura di C. Muscetta e G. Candeloro, Einaudi, Torino 1953. Mazzini e la scuola democratica, a cura degli stessi, Einaudi, Torino 1951, 1961. Leopardi, a cura di C. Muscetta e A. Perna, Einaudi, Torino 1961. L'arte, la scienza e la vita, nuovi saggi critici, conferenze e scritti vari, a c. di M. T. Lanza, Einaudi, Torino 1972. Il Mezzogiorno e lo Stato unitario, scritti e discorsi politici dal 1848 al 1870, a c. di F. Ferri, Einaudi, Torino 1960. I partiti e l'educazione della nuova Italia, a c. di N. Cortese, Einaudi, Torino 1970. Un viaggio elettorale, seguito da discorsi biografici, dal taccuino elettorale e da scritti politici vari, a cura di N. Cortese, Einaudi, Torino 1968. Un viaggio elettorale, Edizione critica a cura di Toni Iermano, Cava de' Tirreni, Avagliano, 2003. Epistolario (1836-1862), a c. di G. Ferretti, M. Mazzocchi Alemanni e G. Talamo, 4 voll. 1956-69. Lettere a Pasquale Villari, a c. di Felice Battaglia, Einaudi, Torino 1955. Lettere politiche (1865-80), a c. di A. Croce e G. B. Gifuni, Ricciardi, Milano-Napoli 1970. Lettere a Teresa, a cura di A. Croce, Ricciardi, Milano-Napoli 1954. Lettere a Virginia, a cura di Benedetto Croce, Laterza, Bari 1917. Mazzini, a cura di Vincenzo Gueglio, Genova, Fratelli Frilli, 2005, ISBN 88-7563-148-4. Scritti e discorsi sull'educazione, La Nuova Italia, Firenze 1967. Edizioni in linea Saggio critico sul Petrarca, Napoli, Morano, 1869. Saggi critici, Napoli, Morano, 1888. Storia della letteratura italiana, Scrittori d'Italia 31, vol. 1, Bari, Laterza, 1912. Storia della letteratura italiana, Scrittori d'Italia 32, vol. 2, Bari, Laterza, 1912. Saggi critici, Scrittori d'Italia 203, vol. 1, Bari, Laterza, 1952. Saggi critici, Scrittori d'Italia 204, vol. 2, Bari, Laterza, 1952. Saggi critici, Scrittori d'Italia 205, vol. 3, Bari, Laterza, 1952. Letteratura italiana del secolo XIX, Scrittori d'Italia 209, vol. 1, Bari, Laterza, 1953. Letteratura italiana del secolo XIX, Scrittori d'Italia 210, vol. 2, Bari, Laterza, 1953. Letteratura italiana del secolo XIX, Scrittori d'Italia 211, vol. 3, Bari, Laterza, 1961. Poesia cavalleresca, Scrittori d'Italia 212, Bari, Laterza, 1954. Lezioni sulla Divina Commedia, Scrittori d'Italia 214, Bari, Laterza, 1955. Memorie, lezioni e scritti giovanili, Scrittori d'Italia 223, Bari, Laterza, s.d.. Saggi critici su Francesco De Sanctis Emiliano Alessandroni, L'anima e il mondo. Francesco De Sanctis tra filosofia, critica letteraria e teoria della letteratura, introduzione di Marcello Mustè e postfazione di Romano Luperini, Quodlibet, Macerata 2017. Ettore Bonora, L'interpretazione del Petrarca e la poetica del realismo in De Sanctis. Modelli di critica stilistica in Francesco De Sanctis e Per e contro De Sanctis, in Manzoni e la via italiana al realismo, Napoli, Liguori, 1989, pp. 121–82. Antonio Carrannante, Francesco De Sanctis educatore e ministro, in «Rassegna Storica del Risorgimento», gennaio-marzo 1993, pp. 15–34. Antonio Carrannante, Note sull'uso di 'galantuomo' nell'Ottocento, in «Otto/Novecento», maggio/agosto 2010, pp. 33–80, e particolarmente pp. 59–60. Gaetano Compagnino, Forme e Storie, («Quaderni del Siculorum Gymnasium»), Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Catania, Catania, 2001. Gianfranco Contini, Varianti e altra linguistica. 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Voci correlate Storia della letteratura italiana (Francesco De Sanctis) Schopenhauer e Leopardi, dialogo composto da De Sanctis Francesco Muscogiuri, letterato minore che fu allievo di De Sanctis Giovanni Lanzalone, letterato minore che fu allievo di De Sanctis Antonio Fogazzaro Attilio Marinari Fondazione De Sanctis Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Francesco de Sanctis Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Francesco de Sanctis Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Francesco de Sanctis Collegamenti esterni De Sànctis, Francesco, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Walter Maturi e Francesco Formigari -, DE SANCTIS, Francesco, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931. Modifica su Wikidata De Sanctis, Francesco, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. 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Modifica su Wikidata (EN) Opere di Francesco de Sanctis, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Francesco de Sanctis, su Progetto Gutenberg. Modifica su Wikidata Francesco De Sanctis, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su Wikidata Mario Fubini, De Sanctis, Francesco, in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970. URL consultato il 14 novembre 2018. Andrea Battistini, De Sanctis, Francesco, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012. URL consultato il 14 novembre 2018. Critica:De Sanctis, su spazioinwind.libero.it. Concordanze della Storia della letteratura italiana, su valeriodistefano.com. URL consultato il 14 aprile 2007 (archiviato dall'url originale l'8 ottobre 2007). Opere di Francesco De Sanctis PDF - TXT - RTF V · D · M Idealismo V · D · M Romanticismo V · D · M Dante Alighieri V · D · M Alessandro Manzoni Controllo di autorità     VIAF (EN) 29550332 · ISNI (EN) 0000 0001 2125 8789 · SBN MILV041882 · BAV 495/85309 · CERL cnp00397977 · LCCN (EN) n80040587 · GND (DE) 11867790X · BNE (ES) XX1041520 (data) · BNF (FR) cb12035617n (data) · J9U (EN, HE) 987007271889705171 · NSK (HR) 000033336 · NDL (EN, JA) 00746422 · CONOR.SI (SL) 9781859   Portale Biografie   Portale Filosofia   Portale Letteratura   Portale Politica   Portale Storia   Portale Storia d'Italia Categorie: Deputati dell'VIII legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della IX legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della X legislatura del Regno d'ItaliaDeputati dell'XI legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XII legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XIII legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XIV legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XV legislatura del Regno d'ItaliaCritici letterari italiani del XIX secoloSaggisti italiani del XIX secoloPolitici italiani del XIX secoloNati nel 1817Morti nel 1883Nati il 28 marzoMorti il 29 dicembreNati a Morra De SanctisMorti a NapoliPolitici del Partito d'AzioneMinistri della pubblica istruzione del Regno d'ItaliaInsegnanti della NunziatellaGoverno Cavour IVGoverno Ricasoli IGoverno Cairoli IGoverno Cairoli IIIIdealismo italianoMassoniProfessori dell'Università degli Studi di Napoli Federico IIProfessori del Politecnico federale di Zurigo[altre] La  crisi  della  GRAMMATICA RAGIONATA IN ITALIA non  puo  mancare  :  ed è veramente  risolutiva. Di  GRAMMATICA RAGIONATA si  finisce,  dopo  una  colluvie  d’aride  o  elementari  produzioni  di  epigoni ritardatari,  col  non  parlarne  più,  e  d’essa  non  restano  tracce  che  nell’esercitazioni  scolastiche  di  analisi  logiche  e  grammaticali ancora  in  uso  nelle  nostre  scuole  e  sulle  quali  talvolta  rispunta  come  fungo  qualche  compendio  di  grammatica  logica  rivestito di  pompa  scientifica.  La  crisi  è  determinata  da  un  duplice ordine  di  fatti,  tra  i  quali  non  so  se  veramente  corra  un'intima relazione. L’uno  che  riguarda  direttamente  il  corpo,  dirò  così,  della  GRAMMATICA RAGIONATA,  ed è  il  non difficile    tardivo  avvertire  in  esso  un  vuoto  sostanziale  e  perciò  tutta  la  sua  infecondità sotto  ogni  rispetto,  scientifico  e  didattico. L’altro  che  si  riferisce  allo  stato  in  che  venne  a  trovarsi  la  lingua  italiana sotto  la  bufera  dell'enciclopedismo,  ed è  la  naturale  quanto  però  anti-filosofica  reazione    al  gallicismo,  che    doveva    richia-  [Borsa,  nella  Dissertazione  del  decadimento  della  lingua  in  Italia,  Mantova, l'anno  in  cui  è  pubbl.  il  Saggio  di Cesarotti)  già  incolpa  appunto  di  quel  decadimento  il  neologismo  gallico  e  il  FILOSOFISMO enciclopedico.] mare,  come  facile  conseguenza  di  una  premessa  sbagliata,  alla  religiosa  osservanza,  alla  maniaca  adorazione  degl’antichi  i  puristi inorriditi  al  novissimo  strazio  d'Italia.   Le  vicende  di  questa  crisi  si  possono  molto  chiaramente  osservare, da  una  parte,  in  quel  che  accadde  a SANCTIS (si veda) scolaro e  co-operatore  di  Puoti,  e  che  egli  narra  non  senza  il  lume  d'una  critica  sempre  nuova  e  originale  e  acuta,  anche  se,  come  in  questo  caso,  non  definitivamente  superatrice. Dall'altra,  nella  critica  e  nella  pratica  di  Manzoni,  che  con  stringenti  argomenti  colpi  a  morte  LA GRAMMATICA RAGIONATA,  sebbene  non  muove  da  un  punto  di  vista  estetico.  SANCTIS (si veda), quando  accorse  alla  scuola  di  Puoti, ha  già  compiuto  gli  studi  di  grammatica,  rettorica  e  FILOSOFIA,  che  oggi  corrispondono  al  ginnasio  e  al  liceo, i  primi  (ginnasio)  sotto  suo  zio  Carlo,  i  secondi  (liceo)  sotto Fazzini,  non  avendolo voluto  ricevere  i  Gesuiti  per  la  sua  impreparazione. Un  grand 'esercizio  di  memoria  era  in  quella  scuola  dello  zio,  dovendo  ficcarci  in  mente  i  versetti  del  Portoreale  che  s'impara  in  certi  suoi  manoscritti,  come  le  antichità  e  la  cronologia, la  grammatica  di  Soave,  la  rettorica  di  Falconieri,  le  storie  di  Goldsmith,  la  Gerusalemme  di  Tasso,  le  ariette  di Metastasio.  Alla  fine  del  corso  scrive  l'italiano  con  uno  stile  pomposo  e  rettorico,  un  italiano  corrente,  mezzo  gallico, a  modo  di  Beccaria  e  di  Cesarotti,  ch'erano  i  suoi  favoriti. La  scuola  di Fazzini  è quello  che  oggi  si dice  un  liceo.  Vi  s' insegna FILOSOFIA,  fisica  e  matematica. Il  corso  si  puo  fare  in  due anni. Quell'è  l'età  dell'oro  del  libero  insegnamento.  Un  uomo  di  qualche  dottrina  comincia  la  sua  carriera  aprendo  una  scuola. La  scuola  di  Puoti,  su  cui  è  stata  scritta  recentemente  una  degna  monografia  da  un  discepolo  di  Salvadori  (Caraffa, Puoti  e  la  sua  scuola,  Girgenti),  si  svolge  in  tre  periodi, l’ultimo dopo  due anni  d'interruzione  causata  dalla  pestilenza  scoppiata  a  Napoli. SANCTIS (si veda)  -  Frammento  autobio-  grafico pubblicato  «fo  Villari  ;  Napoli. I  seminari  sono  scuole  di  LATINO e  di  FILOSOFIA,  le  scuole  del  governo erano  affidate  a  frati,  la  forma  dell'  insegnamento  era  ancora scolastica.  Rettorica  e  FILOSOFIA  sono  scritte  in  quel  LATINO convenzionale  ch’è  proprio  degli  scolastici.  Le  scienze  vi  erano  trascurate,  e  anche  LA LINGUA NAZIONALE.  Nondimeno  un  po’di  secolo  decimottavo  è  pur  penetrato  fra  quelle  tenebre  teologiche, e  con  curioso  innesto,  vedevi  andare  a  braccetto  il  sensismo e  lo  scolasticismo.  Nelle  scuole  della  capitale  v'è maggior  progresso  negli  studi.  IL LATINO PASSA DI MODA. Si  scrive  di  cose  scolastiche  in  un  italiano  scorretto,  ma  chiaro  e  facile.  Gl’autori  erano  quasi  tutti  abati,  come  l'abate  GENOVESI (si veda),  il  padre  SOAVE (si veda),  l'abate  TROISE (si veda). Allora è  in  molta  voga  l'abate  FAZZINI (si veda).  Questo  prete  elegante,  che  ha  smesso  sottana  e  collare,  veste in  abito  e  cravatta  nera,  è  un  sensista;  ma  pretende  conciliare  quelle  dottrine  coi  principii  religiosi.  Accanto  alla  scuola,  per  chi  ha  voglia  d' imparare,  c’è  naturalmente la  biblioteca. Corsi  alla  biblioteca  e  mi  ci  seppellii.  Passano  dinanzi  a  me  come  una  fantasmagoria  Locke,  Condillac,  Tracy,  Elvezio,  Bonnet,  La  Mettrie...  Mi  ricordo  ancora  quella  STATUA  di  Bonnet,  che  a  poco  a  poco,  per  mezzo  dei  sensi  acquista  tutte  le  conoscenze. Il  professore  dice  che  il  sensismo è  una  cosa  buona  sino  a  Condillac,  ma  non  bisogna andare  sino  a  La  Mettrie  e  ad  Elvezio.  Ragione  per  cui  ci  anda SANCTIS (si veda)  con  l'amara  voluttà  della  cosa  proibita.  Compiuti  così  gli  studi  filosofici, avvezzo  a  una  vita  interiore,  avevo  pochissimo  gusto  per  i  fatti  materiali,  e  badavo  più  alle  relazioni  tra  le  cose,  che  alla  conoscenza  delle  cose.  La  scuola  ci  ha non  piccola  parte,  perchè  è  scuola  di  forme  e  non  di  cose,  e  si  attende  più  ad  imparare  le  parole  e  le  argomentazioni, che  le  cose  a  cui  si  riferivano.   Ma  si  avvicina  il [Ha  già  conosciuti  altri  filosofi,  naturalmente. «Il  professore  fa  una  brillante  lezione  sull'armonia  prestabilita di  Leibnizio.   E  questo    Leibnizio  divenne    il    mio    filosofo E   come  l'una  cosa  tira  l'altra,  Leibnizio  mi  fu  occasione  a  leggere  Cartesio, Spinoza,  Malebranche,  Pascal,  libri  divorati  tutti  e  poco  digeriti.  Questo  è  il  mio  corredo  d’erudizione  filosofica  verso  la  fine  dell'anno scolastico,  quando  zio  ci  dice. Ora  bisogna  cercarvi  un  maestro  di  legge.  Si  batte  già  alle  porte  dell'Università.] tempo  in  cui  il  sensismo,  male  accordato  col  movimento  religioso,  doveva  cedere  il  passo  a  nuova  filosofia. Si   annunziava  al  mio  spirito  un  nuovo  orizzonte  filosofico;  mi  bollivano in  capo  nuovi  libri  e  nuovi  studi.  Si  apparecchiavano  i  tempi  di  Galluppi  e  dall'abate  Colecchi,  de'  quali  l'uno  volgarizzava  Hume  e  Smith,  e  l'altro,  ch'era  per  giunta  un  gran  matematico,  volgarizza Kant.   Fazzini  è  caduto  di  moda.   Per  questi  insegnamenti  e  in  queste  condizioni  intellettuali  il  De  Sanctis,  invano  iniziati  gli  studi  di  legge,  passava  alla  scuola  del  marchese.  È  proprio  di  questi  tempi  che  la  grammatica  del  sensismo  condillachiano,  che  vedemmo  trionfare  concentrata  in  estratti  per  gli  stomachi  degli  scolaretti  italiani,  si  vienne  a  trovare  a  fronte  di  due  ben  forti  e  agguerriti  avversari,  il  kantismo  e  il  purismo.   Questo,  dalla  restaurazione  linguistica  di Cesari,  iniziata con  la  famosa  dissertazione  coronata  dall'Accademia livornese,  era  venuto  sempre  più  guadagnando  terreno  nelle  forme  in  cui  l'aveva  circoscritto  Cesari,  nonostante  gli  attacchi  della  Proposta  monti-perticariana  e  dell’anti-purismo  tortiano,  e  nonostante  l'esempio  pratico  del  romanzo  manzoniano  in  cui  fin  dalla  prima  sua  edizione  s'  era  voluta  incarnare  tut-  t'un'altra  dottrina  linguistica.  La  reazione  al  gallicismo è  tanto  più  vasta  e  tenace  della  tesi  temperata  del  classicista  Monti  e  del  modernismo  del  romantico  Manzoni,  quanto  più  compromessa sembrava  la  gloria  d'Italia  nella  dilagante  corruzione  dell'aurea favella  un      onorata.  Ne  furono  rocche  meno  facilmente espugnabili  la  Romagna  e  Napoli  e  organi  di  gran  voce  alcuni  giornali,  come  la  Biblioteca  di  Milano,  il  Giornale  Arcadico di   Roma  e  la  Rivista  enciclopedica  di  Napoli.   Ma  tra  i  puristi,  non  per  sola  virtù  di  dottrina,    bene  anche  per  le  qualità  della  persona  e  i  modi  dell'insegnamento,  il  più  autorevole,  quegli  che  veramente  esercitò  una  più  vasta  e  duratura    efficacia   sulle    menti,  sulle   scuole,    sui    metodi,    sui    (')  Op.  cit.,  pp.  51-2.   ("}  V.  Tkahai.za,  Della  vita  e  delle  opere  di  /•'.  Torti  cit.,  p.  79  sgg.  L'ha  dimostrato  Morandi  ne'  suoi  noti  saggi  sull'unità  della  liaeua.] libri,  è  il  marchese  Puoti,  maestro,  autore  di  grammatiche  e  di  arti  del  dire,  annotatore  di  testi  di  lingua,   pedagogista.   Alla  scuola  del  Puoti,  dice  SANCTIS (si veda),  «  lasciai  studi  di  FILOSOFIA e  di  legge,  e  letture  di  commedie,  di  tragedie  e  di  romanzi e  di  poesie,  e  mi  gittai  perdutamente  tra  gli  scrittori  dell' aureo  Trecento»^).  M'era  venuta  la  frenesia  degli  studi  grammaticali.  Avevo  spesso  tra  mano  Corticelli,  Buonmattei,  Cinonio,  Salviati,  Bartoli,  Salvini,  Sanzio,  e  non  so  quanti  altri  dei  più  ignorati.  M'ero  gittato  anche  sui  Cinquecentisti, sempre  avendo  l'occhio  alla  lingua.   Si  trova  in  quel  tempo  a  dover  sostener  sulle  proprie  spalle  il  peso  della  scuola  dello  zio.  La  sera  anda  sempre  alla  scuola  di  Puoti. Ma  tutta  la  giornata  è  spesa  a  spiegar  grammatiche e  rettoriche  e  autori  latini,  a  dettar  temi,  a  correggere errori.  Ma quei  cari  studi  mi  riuscivano acerbi,  non  solo  per  la  fatica,  ma  perche  non  sono  più  d'accordo  con  la  mia  coscienza.  Quel  Soave,  quel  Falconieri  li fanno  pietà.  Nelle  classi  superiori  puo  elevarsi  un  po'  più.  Cominciai  a  fare  osservazioni  sopra  i  sensi  delle  parole,  sul  nesso  logico  delle  idee,  sulla  espressione  del  sentimento,  sulle  INTENZIONI e  sulle  malizie  dello  scrittore.  Momenti  più  deliziosi passa alla  scuola  del  marchese,  dove  egli  ben  presto  si  distinse  specie  nelle  cose  della  grammatica,  tanto  da  meritarsi  l'appellativo  di  grammatico,  ed è sollevato  all'onore  di  coadiuvare il  maestro  nell'insegnamento,  quando,  dopo  l'interruzione  cagionata  dal  colera,  Puoti,  cominciatosi  a  stancare  dei  novizi,  ne  lascia  tutta  la  cura  a SANCTIS (si veda).  Il  marchese  che  lavora  a  una  grammatica,  attende  pure  alla  pubblicazione di  alcuni  testi  di  lingua  più  a  lui  cari,  come  i  Fatti  d' Enea,  i  Fioretti  di  S.  Fra?icesco,   le    Vite  dei  Santi  Padri.   Questi  studi [Sulla  scuola  del  De  Sanctis,  v.  le  belle  pagine  del  Cenno  biografico di  Nicola  Gaetani-Tamburini  in  De-Sanctis,  Scritti  vari,  li,  ed.  Croce,  già  cit.  nell' Introduz. Di  quella  che  è  stata  chiamata  la  seconda  scuola  di SANCTIS (si veda)  si  sono  occupati  degnamente, come  è  noto,  Torraca  e  Mandalari.] di  lingua  si sono  già  divulgati  nelle  scuole,  e  si  sente  il  bisogno di  grammatica  e  di  libri  di  lettura  pei  giovanetti. Anche  in  questi  lavori  l'allievo  aiuta  il  maestro.  Di  questo  tempo  fa  intima  amicizia  con  Amante,  che  è  un  infatuato di VICO (si veda). In  una  visita  onde Leopardi  onora  la  scuola  del  Puoti,    che  cita  spesso  con  lodi  l'abate  Greco,  autore  di  una  grammatica,  il  marchese  di  Montrone,  Gargallo,  Cesari  e  sopra  tutti  essi  Giordani, si  sentì  dire  dal  Poeta  che  aveva  molta  disposizione  alla  critica.  In  quell'occasione Leopardi,  cui  non  poteva  sfuggire  la  rigidezza  di  Puoti,  dice  che  nelle  cose  della  lingua  si  vuole  andare  molto  a  rilento,  e  cita  in  prova  Torto  e  Diritto  di Bartoli.  Leopardi  dice  anche  che  l'onde  coli' infinito  non  gli  pareva  un  peccato  mortale,  a  gran  maraviglia  o  scandalo  di  tutti  noi.  Il  Marchese  era  affermativo,  imperatorio,  non  pativa  contraddizioni.  Se  alcuno  di  noi  si è  arrischiato  a  dir  cosa  simile,  anda  in  tempesta;  ma  il  conte  parla  così  dolce  e  modesto,  ch'egli  non  dice  verbo. Gli  è  anche  che  ormai  quel  rigido,  implacabile  purismo  comincia  a  dover  piegare  o  almeno  ad  ammollirsi .  Alla  ripresa  della  scuola  dopo  il  colera  il  marchese  se  n'era  venuto  d’Arienzo,  con  certi  grossi  quaderni  scritti  di  suo  pugno. È una  specie  di  nuova  rettorica  immaginata  da  lui,  e  che  egli  battezza  Arte  dello  scrivere.  C'è  una  divisione  dei  generi  dello  scrivere,  accompagnata da  regole  e  da  precetti.  Aristotile,  CICERONE (si veda),  Quintiliano, Seneca  sono  la  decorazione.  O  mi  metteranno  alla  berlina, o  questo  è  assolutamente  un  capolavoro,  così  dice,  narrando per  quali  vie  era  giunto  alla  grande  scoperta.  A  quel  tempo  sono in  gran  voga  gli  STUDI FILOSOFICI,  e  il  marchese,  seguendo  la  moda,  vuole  filosofare  anche  lui,  e  da alle  sue  ricerche  un  aspetto  e  un  rigore  di  logica,  ch'è veste  e  non  sostanza.  E  non  gli  è mancata  la  berlina. Ma  lo  salva  un  certo  suo  naturai  buon  senso. Ma  chi  dai  bassi  fondi  [deep berths – Grice] della  grammatica  prende il  volo  filosofico,  è SANCTIS (si veda),  specie  quando,  trovandosi  al  sicuro  dallo  sguardo  del  marchese  nella  scuola  preparatoria, puo  lasciarsi  trascinar  dal  suo  genio  a  quell'onda  di  ribellione,  che  fa  naufragare  il  senno  del  Maestro.  Ed è  nella  scuola  preparatoria,  che  nelle  lezioni  private  o  nell'insegnamento del  Collegio  militare,  al  quale  è assunto  per  la  stima  che  godeva  presso  Puoti,  che n'è ispettore,  il  Maestro  intede  soprattutto  a  rinnovare  l'insegnamento  grammaticale. Ne  uscirono,  con  la  liquidazione  della  GRAMMATICA RAGIONATA,  un  abbozzo  di GRAMMATICA FILOSOFICA e storica  e  un  saggio  di  una  storia  dei  grammatici. Quelle  maledette  regole grammaticali  io  le  ridussi  in  poche,  moltiplicando  le  applicazioni e  gl’esempi,  e  sempre    sulla  lavagna. Mi  persuasi  che  quello  resta  chiaro  e  saldo  nella  memoria,  che  è  ordinato  sotto  categorie  e  schemi,  logicamente.  Così  nasceno  i  suoi  quadri  grammaticali. Si sbriga della  grammatica, e  capii  che  lo  studio  della  grammatica  così  come  si  suol  fare,  per  regole,  per  eccezioni  e  per  casi  singoli,  è  una  bestialità piena  di  fastidio Posi  da  banda  le  analisi  grammaticali  e   l'analisi logica,  noiosissime,  e  fa l'analisi  delle  cose,  a  loro  gustosissime.  Questo  al  Collegio.  Nella  scola  al  Vico  Bisi,  il  lunedì  e  il  venerdì,  quand'è solo,  l'insegnamento  grammaticale si  eleva  ancora  di  più.  Parecchi  anni è  a  leggicchiar grammatiche,  lavorando  intorno  a  quella  di Puoti. Così  si  mette  in  corpo  i  Dialoghi  della  volgar  lingua  di  BEMPO (si veda)...  m'inghiottii  VARCHI (si veda), FORTUNIO (si veda) e  i  sottili  avvertimenti di SALVIATI (si veda)  e  la  prosa  dottorale  di CASTELVETRO (si veda) e  BARTOLI (si veda) e  CINONIO (si veda) ed AMENTA (si veda) e SANZIO (si veda)  e  non  so  quanti  altri  autori,  con  approvazione  del  marchese  Puoti,  il  quale  mi  vanta sopra  tutti  gli  altri  Corticelli  e  Buonmattei. Seccatosi presto  della  parte  riguardante  le  origini  della  lingua  e  delle  forme  grammaticali,  perchè  non  ha,  fondamento  sodo,  infastidito di  quel  pullular  perpetuo  di  regole  e  d’eccezioni,  stordito  da  tutte  quelle  DISSERTAZIONE SOTTILI E CAVILLOSE SULLE PARTI DEL DISCORSO e  sulle  forme  grammaticali,  ritorna  ai  suoi  antichi  studi  di  FILOSOFIA. Quei  Salviati  e  quei  Castelvetri  le pareno  addirittura  pigmei  dirimpetto  a  quei  grandi,  mia  delizia  un  giorno  e  mio  amore.  Perciò  si getta con  avidità  sopra  i  retori  e  i  grammatici  con  un  segreto  che li cresce l'appetito,  vedendosi  sempre  addosso  gli  occhi  del  marchese. Lessi  tutto  il  corso  che  Condillac  compila  a  uso  di  non  sa  qual  principe  ereditario.  Studia  molto  Tracy  e  Du  Marsais.  Il Marchese,  sapido  dei  miei  studi  MI  perdona,  a  patto  che  non  valica  i  confini  della  grammatica,  e  m'indica  un  tale,  che  SANCTIS (si veda) non  ricorda,  come  un  buon  scrittore  di  grammatica  generale. Il  buon  Marchese  fa anche  di  più:  rivide  le  prolusioni del  professore  mettendoci  quello  stampo  tutto  suo  di  classicità  ideale. Le  prime  lezioni  sono  una  storia  della  grammatica.  In  quei  discorsi  prende  1’aria  di  un  novatore,  e  trova  che  tutto  va  male,  che  tutto  è  a  rifare.  Ecco  qui  un  ritratto,  come  mi  venne  in  quei  giorni  sotto  la  penna.  Niuna  pratica  dell'arte  dello  scrivere;  niuna  cognizione  de'  nobili  scrittori;  malvagio  gusto;  pensieri  non  italiani;  un  predicar  continuo  purità,  correzione;  esempli  contrari  di  barbarismi  ed  errori. Così  la  grammatica  moderna  ricca  di  stranieri  trovati  splendidi  in  astratto,  ma  nella  pratica  o  falsi  o  di  poco  profitto,  per  difetto della  parte  storica  molto  è  discapitata  di  quella  perfezione  in  che  è  al  cinquecento.  In  malvagio  stato  trovasi  LA SINTASSI: squallida  e  incerta  è  l'ortografia;  le  regole  del  ben  pronunziare  dubbiose  e  mal  ferme. Niente  di  certo. Niente  di  determinato  intorno alla  dipendenza  de’tempi,  al  reggimento  delle  congiunzioni. Principii opposti. Opinioni  contrarie. Nelle  lezioni  vuole fare  una  storia  delle  forme  grammaticali – cf. Grice, ‘or’, ‘other, ‘not, ‘ne aught’.  Ma  al  pensiero  gigantesco  mal  risponde la  cultura,  attesa  la  sua scarsa  grecità e  l'ignoranza  delle  cose  orientali. Perciò  quella  ideata  storia  delle  forme  grammaticali,  dopo  vani  tentativi  appresso  a  VICO (si veda)  e Schlegel,  si  riduce  nei  modesti  confini  di  una  storia  dei  grammatici  da se  letti.  Parla  dei  grammatici  che  TUTTO DERIVANO DAL LATINO. Poi  venni  a  quelli  che  sono  studiosi  della [Alcuni  brani  di  essi  furono  pubblicati  ne'  Nuovi  saggi  critici,  col  titolo  Frammenti  discuoia,  dell'ed.  di  Napoli. Il  periodo  tra  parentesi  quadre,  che  qui  è  sostituito  dai  puntini,  l'ho  tratto  da  un  brano  integro  de'  Nuovi  saggi  critici.] lingua,  copiosi  di  regole  e  d’esempli,  che  moltiplicano  in  infinito.  Molto  s’intrattenni  su Corticelli,  Buonmattei,  Salviati  e  Bartoli. Censura  quel  moltiplicare  infinito  di  casi  -- cf. Grice, the search for principle of generality -- e  di  regole  che  si  riduceno  in  pochi  principii. Quella  tanta  varietà  di  forme  e  di  significati  (massime  nel  Cinonio),  che  era  facile  ricondurre  ad  unità.  Facevo  ridere,  pigliando  ad  esempio  Va,  il  per-,  il  da,  irti  di  sensi  e  che  pur  non  avevano  che  un  senso  solo.  La  mia  attenzione  andava  dalle  forme  al  contenuto,  dalle  parole  alle  idee;  sicché,  sotto  a  quelle  apparenze  grammaticali,  variabili  e  contraddittorie,  io  vedeva  una  logica  animata,  e  tutto  metteva  a  posto,  in  tutto  discerneva  il  regolare  e  il  ragionevole,  non  ammettendo  eccezioni  e  non  ripieni  e  non  casi  arbitrari.  Con  questa  tendenza  filosofica,  corroborata  da  studi  vecchi  e  nuovi,  io  conciavo  pel  di  delle  feste  i  Cinquecentisti,  e  facevo  lucere  innanzi  alla  gioventù  uno  schema  di  grammatica  filosofica  e  me-  todica, quale  appariva  negli  scrittori  francesi.  Dicevo  che  co-  storo erano  eccellenti  nell'analisi  delle  forme  grammaticali,  ri-  salendo alle  forme  semplici  e  primitive  :  così  amo  vuol  dire  io  sono  amante.  La  ellissi  era  posta  da  loro  come  base  di  tutte  le  forme  di  una  grammatica  generale.  Questo  non  mi  contentava  che  a  mezzo.  Io  sosteneva  che  quella  decomposizione  di  amo  in  sono  amante  m'incadaveriva  la  parola,  le  sottraeva  tutto  quel  moto  che  veniva  dalla  volontà  in  atto.  I  giovani  sentivano  quei  giudizi  acuti  con  raccoglimento,  e  mi  credevano  in  tutta  buona  fede  quell'uno  che  doveva  oscurare  i  francesi  e  irradiare  l' Italia  di  una  scienza  nuova.  E  in  verità  io  sosteneva  che  la  gramma-  tica non  era  solo  un'arte,  ma  ch'era  principalmente  una  scienza:  era  e  doveva  essere.  Questa  scienza  della  grammatica,  malgrado  le  tante  grammatiche  ragionate  e  filosofiche,  era  per  me  ancora  un  di    da  venire.  Quel  ragionato  appiccicato  alle  grammatiche  era  una  protesta  contro  la  pedanteria  passata,  e  voleva  dire  che  non  bastava  dare  le  regole  ma  che  di  ciascuna  regola  bisognava  dare  i  motivi  e  le  ragioni.  Paragonavo  i  grammatici  o  accoz-  zatori  di  regole  agli  articolisti,  che  credevano  di  sapere  il  Co-  dice, perchè  si  ficcavano  in  capo  gli  articoli,  parola  per  parola,  e  numero  per  numero.  Ma  quel  ragionare  la  grammatica  non  era  ancora  la  scienza. Così  il  De  Sanctis,  erudito  primamente  sul  Soave  in  un'at-  mosfera filosofica,  passato  poi  per  il  purismo  del  Puoti,  ritor-  nato con  maggior  maturità  alla  scienza,  veniva  a  una  generale  liquidazione  di  tutti  i  grajnmatici  antichi  e  moderni,  cioè  della  grammatica  ragionata  in  ispecie,  e  della  grammatica  precettiva  in  genere,  ma  non  della  grammatica  come  scienza.   Che  nella  sua  critica  negativa  superasse  la  grammatica  ra-  gionata e  creasse  veramente  la  scienza  non  si  può  dire:  intera-  mente, come  s'è  visto,  non  si  appagò  dei  migliori  grammatici  filosofici  di  Francia,  come  il  Du  Marsais  ;  ma  egli,  almeno  nel  periodo  del  suo  primo  insegnamento,  secondo  quanto  narra  lui  stesso,  rimase  sempre  sotto  la  loro  influenza.  Anche  nella  parte  pratica,  nel  metodo,  egli  arieggia  molto  davvicino  il  Du  Mar-  sais ('),  superandolo  nella  abilità  di  trasformar  la  grammatica  in  critica  concreta  dell'opera  d'arte.  La  sua  concezione  della  gram-  matica, o  meglio  del  linguaggio,  pur  avendo  egli  concepito  una  grammatica  scientifica  o  estetica,  è  la  medesima.  Va  però  subito  detto  a  lode  del  De  Sanctis,  che  egli  stesso  ebbe  coscienza,  negli  anni  maturi,  della  manchevolezza  del  sistema.  Racconta  infatti  :  «  così  trovavo  nella  logica  il  fondamento  scientifico  della  gramma-  tica ;  e  finché  mi  tenevo  nei  termini  generalissimi  di  una  gramma-  tica unica,  come  la  concepiva  Leibnitz,  il  mio  favorito,  la  mia  corsa  andava  bene.  Ma  mi  cascava  l'asino,  quando  veniva  alle  differenze  tra  le  grammatiche,  spesso  in  urto  con  la  logica,  e  originate  da  una  storia  naturale  o  sociale,  piena  di  varietà  e  poco  riducibile  a  principi  fissi.  Per  trovare  in  quella  storia  la  scienza,  si  richie-  deva altra  cultura  e  altra  preparazione.  Nella  mia  ricerca  del-  l'assoluto, avrei  voluto  ridurre  tutto  a  fil  di  logica,  e  concor-  dare insieme  derivazioni,  scrittori  e  popolo;  ma,  non  potendo  sopprimere  le  differenze  e  guastare  la  storia,  ponevo  1'  ingegno  a  dimostrare  la  conformità  del  fatto  grammaticale  con  la  logica,  della  storia  con  la  scienza.  Quell'avvertita  irrudicibilità  delle  differenze  tra  le  varie  grammatiche  e  principi  fissi  dimostra  chia-  ramente che  SANCTIS (si veda)  intuiva  dov'era  la  soluzione  del  pro-  blema :  e  a  lui  non  filosofo  di  professione  ciò  non  è  scarso  titolo  d'onore;   il  dissidio  egli  lo  compose,  e  in  grado  eccellente,   insuperato,  nella  critica,  nella  quale  la  parola  viva,  la  grammatica  parlata  dall'arte,  fu  da  lui  illustrata  in  tutta  la  sua  forza  espres-  siva :  scientificamente  toccò,  in  quegli  stessi  anni,  il  risolverlo  a  Guglielmo  di  Humboldt,  col  quale  e  col  suo  seguace  e  corret-  tore Steinthal  si  può  veramente  affermare  che  la  grammatica  sia  esclusa  dall'orbita  della  filosofìa,  sebbene  non  avvenisse  an-  cora l' identificazione  della  linguistica  generale  con  l'estetica,  che  è  stata  fatta  solo  recentemente.   Nelle  difficoltà  in  cui  si  dibattè  il  De  Sanctis  di  conciliare  la  grammatica  generale  con  le  grammatiche  particolari,  si  tro-  varono impigliati  quanti,  anche  per  impulso  della  Critica  della  ragioyi  ptira  del  Kant,  intesero  «  alla  ricerca  delle  relazioni  fra  pensiero  e  parola,  fra  V unicità  logica  e  la  molteplicità  dei  lin-  guaggi »  (l)j  ricerca  che,  per  altro,  non  era  nuova,  ma  che  aveva  già  dato  origine  in  Francia  alla  grammatica  generale.  Il  primo  tentativo  «  di  applicare  le  categorie  kantiane,  dell'  intuizione  (spazio  e  tempo)  e  dell'intelletto»  al  linguaggio  (")  (riassumo,  non  potendolo  qui  integralmente  riferire,  dal  paragrafo  XII  della  parte  storica  de\V Estetica  di  Croce),  fu  compiuto  dal  Roth  (1815),  mentre  sullo  stesso  argomento,  verso  il  primo  decennio  del  se-  colo, avevano  speculato  il  Vater,  il  Bernhardi,  il  Reinbeck,  il  Koch  :  pensiero  dominante  de'  quali  era  la  differenza  «  tra  lingua  e  lingue,  tra  la  lingua  universale,  corrispondente  alla  logica,  e  le  lingue  storiche  ed  effettive,  che  son  turbate  dal  sentimento,  dalla  fantasia,  o  come  altro  si  chiami  l'elemento  psicologico  della  differenziazione  ».  Si  distingueva  una  linguistica  generale  da  una  linguistica  comparata  (Vater)  ;  la  lingua,  allegoria  dell'intelletto,  •si  considerava  organo  della  poesia  o  organo  della  scienza  (Bernhardi) ;  si  ammetteva  una.  grammatica  estetica  e  una  gramma-  tica logica  (Reinbeck)  ;  si  proclamò  persino  che  l' indole  della  lingua  si  deve  desumere  dalla  psicologia,  non  dalla  logica  (Koch).   Residui  intellettualistici  s'avvertono  ancora  nell'Humboldt  pel  quale  logica  e  linguaggio  sembrerebbero  identificarsi  sostan-  zialmente e  diversificare  solo  storicamente,  e  il  linguaggio  stesso    (')  Croce,  Estetica. Recentemente  G.  Piazza  ha  tentato  dimostrare  che  La  teoria  kantiana  del  giudizio  era  stata  già  intuita  e  fissata  nella  sintassi  de'  Greci  (Roma.  1907);  ma  è  stato  confutato  dal  Cróce,  in  La  Critica,  V,  396.    476  Storia  della   Grammatica   parrebbe  un  qualcosa  fuori  dell'uomo  che  l'uomo  fa  rivivere  con  l'uso.  Ma  il  grande  filosofo  trovò  il  vero  concetto  del  linguag-  gio. La  lingua    egli  pensò    nella  sua  realtà  è  un  prodursi  e  un  divenire,  non  un  prodotto  ;  è  un'attività  (èvegyeia),  non  un'opera  (ègyov).  «  La  lingua  propria  consiste  nell'atto  stesso  del  produrla  nel  discorso  legato:  questo  soltanto  bisogna  pen-  sare come  primo  e  vero  nelle  ricerche  che  vogliono  penetrare  l'essenza  vivente  della  lingua.  Lo  spezzettamento  in  parole  e  regole  è  il  morto  artificio  dell'analisi  scientifica»^).  Il  lin-  guaggio nasce  spontaneo  da  un  bisogno  interno.  Esiste  perciò    ed  ecco  la  vera  scoperta  dell'Humboldt  di  fronte  ai  gram-  matici logici  universali    una  forma  interna  del  linguaggio  («in-  nere Sprachform»),  che  non  è  il  concetto  logico,    il  suono  fisico,  ma  la  veduta  soggettiva  che  l'ìiomo  si  fa  delle  cose.  Questa  forma  interna  «  è  il  principio  di  diversità  proprio  del  linguaggio,  oltre  il  suono  fisico:  è  l'opera  della  fantasia  e  del  sentimento,  è  l'in-  dividualizzazione del  concetto.  Congiunger  la  forma  interna  del  linguaggio  col  suono  fisico,  è  l'opera  di  una  sintesi  interna  :  "  e  qui,  più  che  in  altro,  la  lingua  ricorda,  nelle  più  profonde  ed  inesplicabili  parti  del  suo  procedere,  l'arte.  Anche  lo  scul-  tore e  il  pittore  sposano  l'idea  alla  materia,  e  anche  la  loro  opera  si  giudica  secondo  che  quest'unione,  quest'  intima  com-  penetrazione sia  opera  del  genio  vero,  o  che  l' idea  separata  sia  stata  penosamente  e  stentamente  trascritta  nella  materia  con  lo  scalpello  e  col  pennello    (')•  Ma  linguaggio  ed  arte  nell'Hum-  boldt non  s'  identificano  :  e  questo  è  il  difetto  della  sua  dottrina,  che  tirò  seco  non  tenui  contraddizioni,  come  quella  circa  il  ca-  rattere differenziale  della  poesia  e  della  prosa.  L'Humboldt  non  vide  esattamente  «  che  il  linguaggio  è  sempre  poesia,  e  che  la  prosa  (scienza)  non  è  distinzione  di  forma  estetica,  ma  di  contenuto,  sebbene  intorno  a  questi  due  concetti,  compresi  in  senso  filosofico,  abbia  manifestato  profonde  vedute.   La  teoria    linguistica    dell'Humboldt   fu    integrata    dal  suo  maggior  seguace,  lo  Steinthal  il  quale,  nella  polemica  sostenuta    (M  Ueb.  d.  Verschiendenheit  d.  menschl.  Sprachbaucs  (1836),  opera  postuma  (2M  ed.  a  cura  di  A.  F.  Pott,  Berlino),  in  Croce. Croce.  Croce. coll'hegeliano  Becker,  «autore  degli  Organismi  del  linguaggio,  uno  degli  ultimi  logici  della  grammatica  »,  dimostrò,  pur  tra  af-  fermazioni talvolta  eccessive,  «  che  concetto  e  parola,  giudizio  logico  e  proposizione  sono  incomparabili.  La  proposizione  non  è  il  giudizio;  ma  è  la  rappresentazione  ( Darstellung)  di  un  giu-  dizio: e  non  tutte  le  proposizioni  rappresentano  giudizi  logici.  Parecchi  giudizi  possono  esprimersi  in  una  proposizione  unica.  Le  divisioni  logiche  dei  giudizi  (i  rapporti  dai  concetti  1  non  hanno  corrispondenza  nella  divisione  grammaticale  delle  propo-  sizioni. "  Parlar  di  una  forma  logica  della  proposizione  è  una  contraddizione  non  minore  che  se  si  parlasse  àttW angolo  di  un  cerchio  o  della  periferìa  di  un  tria?igolo  ".  Chi  parla,  in  quanto  parla,   non  ha  pensieri,  ma  linguaggio»!1).   Senza  entrar  ora  nel  merito  degli  altri  problemi  trattati  dallo  Steinthal,  come  quello  circa  l'identità  deWorigine  e  della  natura  del  linguaggio  che  esattamente  risolvette,  e  l'altro  delle  relazioni  tra  poetica,  rettorica  e  linguistica,  cioè  tra  linguaggio  e  arte  che  interessa  propriamente  l'estetica,  e  che  purtroppo  Steinthal  lascia  insoluto,  perchè  non  arriva  mai  ad  affermare  che  parlare  è  parlar  bene  e  bellamente,  o  non  è  punto  parlare, a  noi  basta  l'osservar,  qui,  conchiudendo,  il  nostro  discorso che  con Humboldt  e  Steinthal,  in  quanto  l'uno  integra  l'altro  e  lo  rende  coerente  nella  parte  linguistica,  si  ha  un  primo  notevole  superamento  della  grammatica,  non  essendo  questa  soluzione  pregiudicata  dalla  mancata  identificazione  di  arte  e  linguaggio:  la  liberazione  del  linguaggio  dalla  logica,  la  riconosciuta  completa  autonomia  del  linguaggio  da  categorie  di  qualsiasi  altra  specie  che  non  siano  la  sua  forma  interna  essenziale, rappresentano  la  prima  vera  vittoria  della  critica  negativa della  grammatica.  La  dissoluzione  della  quale  viene  così  a  coincidere  perfettamente  con  l'avvento  della  scienza.  La  ribellione  e  la  reazione  alla  GRAMMATICA RAGIONATA quale  si  è  venuta  sistemando  in  Italia,  se  non  assunsero  dovunque  quel  grado  e  quel   tono  che  ebbero  in SANCTIS (si veda),  seguirono, [Croce]   però,  su  per  giù,  il  medesimo  sviluppo  e  i  medesimi  motivi:  da  una  parte  riusce  difficile  specie  a  letterati  di  più  largo  ingegno,  come  vedremo  accadere,  p.  es.,  a  Giordani  (Puoti  stesso  abbiamo visto  concedere  a  Sanctis  uno  studio  discreto  di  quella  grammatica),  il  chiuder  gl’occhi  a  quelle  ELEVATE E SCINTILLANTI (alla Grice) INVESTIGAZIONI logiche  che  sulle  lingue  avevan  condotto  i galli,  incomparabilmente  più  geniali  e  profondi  dei  loro  epigoni  italiani. L’aria  è impregnata  di  logicismo,  tutto  suona FILOSOFIA,  il  secolo  era  chiamato  dei  lumi:  chi  può  sottrarsi  alla  forza  delle  cose  e  del  tempo?  dall'altra,  la  vacuità  di  quel  nuovo  formalismo,  pel  fine  pedagogico  che  ora  s'impone,  non  richiede  tanto  un  troppo  ELEVATO SPIRITO FILOSOFICO per  essere  avvertita,  quanto  il  fatto  stesso  dell'esperienza  dello  studio  linguistico. Si  puo credere,  ancora,  nella  grammatica  generale,  raccomandarne  l'utilità  (e  come  si  potesse  fare  anco  per  ispirito  d' imitazione  e  per  servilismo  verso  la  moda  corrente,  non  occorre dire);  ma,  già,  anche  a  tacer  d'altro,  con  la  grammatica  generale  eravamo  già  fuori  del  campo  de’bisogni  pratici. La  grammatica  generale  è  come  un'estetica  logica  della  lingua,  quindi  FILOSOFIA,  e  noi  sappiamo  che  la  scienza  non  è  espediente  didattico,  mentre  il  motivo  principale  dell'interesse  linguistico è  ora  in  Italia  più  pratico  che  teorico.  L'assoluta  inefficacia  inoltre  della  GRAMMATICA  logica  a  dirigere  l'apprendimento  della  lingua  e  l'esercizio  dello  scrivere  dove  essere  tanto  più  fortemente sentita,  quanto  più  dilaga  il  gallicismo  nella  lingua  e  nello  stile:  il  ritorno  alla  vecchia  pratica  grammaticale  e  all' osservazione  dei  lodati  scrittori,  dove apparire  come  una  urgente  necessità;  e  vi  si  ritorna  infatti  con  fede  rinnovellata  e  sotto  la  bandiera  del  più  rigoroso  purismo  inalberata  dal Bembo  dell'Ottocento, Cesari,  coronato  alfiere  dall'Accademia  livornese,  qual  s'è mostrato  degno  d'essere  con  la  nota  Dissertazione sopra  lo  stato  della  lingua}; e,  in  ogni  modo,  con  o  contro  Cesari per  gli  scrittori  o  pel  popolo,  la  pratica  dove prevalere  sulla  teoria  astratta;  perfin  nella  grammatica  em- [In  Opuscoli  linguistici  e  letterari  di Cesari,  raccolti,  ordinati  e  illustra/i  ora  la  prima  rolla  da  Guidetti,  Reggio  d'Emilia,  Collezione  storico-letteraria  presso  il  compilatore.] pirica,   normativa,  tradizionale,  presso  non  gli  scapigliati  ma    i  pedanti,  la  vecchia  fede  se  non  scossa,  certo  fu  illanguidita.   La  tradizione  puristica,  peraltro,  non  era  stata  interrotta  nella  seconda  metà  del  Settecento,  neppur  quando  più  imperversò  la  bufera  del  filosofismo  francese.  Già  prima  che  il  rappresen-  tante più  autorevole  di  esso  in  Italia,  il  Cesarotti,  fosse  stato,  appunto  in  nome  della  vecchia  grammatica,  contraddetto    ri-  cordammo già,  tra  gli  altri,  l'ab.  Velo    «  con  uno  stile  forbito  e  piccante  »,  come  dicono  i  suoi  editori,  si  sforza  Rosasco  «  di  rivendicare  ai  Fiorentini  il  tanto  contrastato  primato  intorno  all'origine  ed  al  governo  della  favella  »,  introducendo  nei  suoi  Dialoghi  sette  della  Lingua  to-  scana a  pontificare  il  Corticelli  su  lesecolari  questioni,  sull'au-  torità dei  grammatici,  sulla  necessità  imprescindibile  dello  studio  della  grammatica,  di  contrastare  al  nuovo  sistema  de'  letterati  propugnanti  l'uso  d'un'altra  lingua  diversa  dalla  fiorentina,  con  tutto  il  bagaglio  de'  vecchi  argomenti  grammaticali  e  rettorici  in  favore  della  purità,  della  armonia  e  dolcezza  della  pronunzia  fiorentina,  dell'elegante  stile,  e  con  le  vecchissime  distinzioni  di  discorso  impensato  e  di  discorso  pensato.  «  Eh  via,  la  legge  che  ne  obbliga  a  studiare  la  grammatica,  è  giustissima,  e  chiun-  que brama  riportar  gloria  dal  materiale  della  scrittura,  dovrà  o  bere  o  affogare,  siesi  chi  egli  si  vuole  ».  E  cita  in  sostegno  il  Salviati,  Quintiliano  e  altri  (').  Va  notato  peraltro  che  il  Rosasco  non  solo  propugna  la  necessità  di  uniformarsi  anche  all'uso  moderno,  ma  giudica  ancora,  sebbene  coi  soliti  argomenti  estrin-  seci, che  «  non  dobbiamo  per  conto  alcuno  desiderare  la  per-  fezione delle  grammatiche,  si  perchè  non  si  può  questo  desiderio  avere,  senza  desiderare  insieme  la  estinzione  della  lingua  ;    perchè  quando  siamo  obbligati  a  scriver  solo  secondo  le  regole  e'  precetti  dell'arte  prescritti,  non  è  mai  possibile  rendere  le  nostre  scritture  eccellenti  »(')  :  residui,  come  ognun  vede,  delle  dottrine  estetiche  prevalenti  nel  senso  che  volevano  conciliare  il  rigore  grammaticale  col  criterio  della  libertà  individuale  :  tem-  perato purismo,  che,   mentre  per  un  lato  moveva  dall'antica  tra-    (')  Ed.  della  Bibl.  scelta,  Milano,  Silvestri]   dizione  grammaticale  del  classicismo,  per  l'altro  era  reso  possi-  bile dal  non  essersi  ancora  la  lingua  italiana  inoltrata  pel  de-  clivio della  cosiddetta  corruzione  francesistica.   Quando  questa  si  accentuò  maggiormente,  era  naturale  che  l'iniziativa  del  riparo  partisse  dalla  Crusca  custode  gelosa  del  patrimonio  linguistico:  e  già  il  ricordato  Borsa  nel  1785  prote-  stava contro  il  decadimento  della  lingua,  e  nel  1798  da  Losanna  un  suo  Accademico,  Federico  Haupt,  scriveva  la  Lettera  dun  tedesco  stili' infranciosamento  dello  stile,  com'è  naturale  che  la  rifioritura  linguistica  fosse  più  di  vocabolario  che  di  gramma-  tica ;  lo  stesso  lavorìo  grammaticale,  il  più  notevole  dei  primordi  del  secolo  XIX,  s'aggirò,  come  vedemmo,  intorno  a  quella  parte  della  grammatica  che  è  più  intimamente  connessa  col  vo-  cabolario, i  verbi,  di  cui  sorsero  parecchi  prospetti  e  teoriche.  E  a  studi  di  lingua,  ossia  di  vocabolario,  si  era  volto  nel  1806  l'Istituto  lombardo,  fondato  dal  Bonaparte  nel  1797  e  convocato  a  Bologna  nel  1803,  di  cui  era  segretario  quel  Luigi  Muzzi  che  già  incontrammo  quale  autore  del  curioso  libro  sulle  Permutazioni  dell'  italiana  orazione,  e  che,  dopo  essersi  divertito  e  gingillato  intorno  a  problemi  filosofici  secondo  la  moda  d'allora  pe'  quali  non  era  affatto  portato,  si  immerse  talmente  negli  studi  gram-  maticali e  lessicali  e  con  si  vero  spirito  di  devozione  alla  Crusca,  che  il  Monti  doveva  titolarlo  più  tardi  «  il  più  fatuo  pedantuzzo  che  mai  facesse  imbratti  d'inchiostro  »  (l).  Partecipò  nel  1809  al  concorso  dell'Accademia  livornese  con  un  lavoro  Dello  siato  e  del  bisogno  di  nostra  lingua,  ma  il  manoscritto,  per  ragioni  regolamentari,   non  fu   accettato.   Come  sappiamo,  di  quel  concorso  il  trionfatore  fu  Antonio  Cesari,  odiatore  quanto  il  Giordani,  delle  dottrine  del  Cesarotti,  che,  se  avevano  ancora  seguaci  dal  Romani  al  Nardo,  andavano  però  perdendo  terreno  sempre  più  :  quegli  stessi  che  le  propu-  gnavano —  si  avverta  inoltre    erano  assai  più  temperati  del  maestro  e  si  guardarono  meglio  di  lui  dall'esser  accusati  di  gal-  lofilia :  verso  l' italianità  era  un  desiderio  e  un  moto  generale,  cui  favoriva  la  ridesta  coscienza  nazionale:  cesariani  e  pertica-  riani  o  mondani,  neopuristi  della  prima  maniera  (cioè  anteriore) e  della  seconda,    tutti    concordavano    non    solamente    nel-    (')  In  Mazzoni,  L'Otl.] l'avversare  i  criteri  troppo  licenziosi  de'  cesarottiani,  ma  ne!  volere    auspice  la  Crusca  per  la  quinta  volta  rimessosi  nel  1813  alla  ricompilazione  del  Vocabolario    che  alle  sottili  fantasti-  cherie sulle  ragioni  delle  lingue  si  sostituisse  il  lavoro  concreto  e  modesto  del  raccogliere  e  del  vagliare  voci  e  locuzioni  del  buon  uso  e  a  riprendere  l'osservazione  grammaticale  secondo  le  migliori  tradizioni  del  Cinquecento.  Balbo scrive al  Vidua  una  lettera  sulla  lingua  italiana  per  muover  lamenti  intorno  le  tante  esagerazioni  e  confusioni  pratiche  e  teoriche  del  filosofismo  che  non  giovavano  punto  alla  causa  della  lingua  :  e  il  Vidua  raccomandava  nel  1815  a  un  compatriotta  che,  an-  dando a  Firenze  come  avevan  fatto  già  l'Alfieri  e  il  Goldoni,  e  avrebbe  fatto  il  Manzoni  e  avrebbero  consigliato  al  Cavour,  non  trascurasse  di  recarsi  la  mattina  in  Mercato  Vecchio  ad  ascoltar  il  pizzicagnolo  e  le  contadine.  E  alla  Crusca  stendeva  la  mano  l'Istituto  lombardo  per  proseguire  concordi  all'opera  d'amplia-  mento del  Vocabolario:    le  ripulse  dell'Accademia  orgogliosa  e  gelosa  delle  sue  secolari  tradizioni    i  risentimenti  e  le  irri-  tazioni, causa  di  tante  guerre  anche  personali,  che  esse  provo-  carono nel  Monti,  poterono  mai  dividere  gli  animi  concordi  nella  comune  avversione  al  logicismo,  alle  metafisicherie  di  provenienza  franco-cesarottiana,  nonostante  che,  per  quanto  riguarda  i  criteri  particolari  dell'uso  linguistico  italiano  (pratica,  dunque,  non  scienza),  facilmente  potessero  incontrarsi  col  Cesarotti  in  un  vivo  desiderio  di  libertà,  e  spesso  inconsciamente  (come  sarà  av-  venuto al  Leopardi)  ('  ),  non  soltanto  gli  antipuristi  come  il  ce-  sarottiano  Torti  di  Bevagna,  ma  letterati  meno  bollenti  nella  se-  colare battaglia.   N'è  prova  l'atteggiamento  assunto  dal  capo  riconosciuto  de'  classicisti,  il  Giordani,  nelle  contese  tra  il  Cesari, Monti  e  Perticari  :  «  richiesto  del  vero  valore  di  alcune  voci  tolte  dal  greco,  rispose  [al  Monti]  e  colse  quell'occasione  per  lodare  l'opera  e  il  suocero  e  il  genero,  ma  anche  per  addimostrare  al-  cune sviste  di  essi  due  correttori  degli  altri,  e  per  augurare  che  gli  avversari  si  riconoscessero  invece  compagni,  come  quelli  che  insomma  avevan  un  fine  medesimo  e  uno  stesso  desiderio. Cfr.  F.  Colagrosso,  La  teoria  leopardiana  della  lingua,  Na-  poli, 1905  (Estr.  d.  Rend.  Accad.  Arch.  Lett.  e  B.  A.  in  Napoli,  XIX),  P-  55  sgg.   (2)  Mazzoni. Pure,  il  Giordani  è  appunto  uno  di  quei  puristi  che  racco-  mandavano ai  giovanetti  il  Du  Marsais  e  il  Beauzée.  «  I  volumi  della  Enciclopedia  Metodica  ne'  quali  è  trattata  la  grammatica  e  l' eloquenza  ti  possono  essere  utili.  Gli  articoli  rettorici  di  Marmontel  non  mi  paiono  più  che  mediocri  ;  quelli  di  Jancourt  assai  meno  che  mediocri.  Ma  bellissimi  i  grammatici  di  Du  Marsais,  e  di  La-Beauzée.  E  il  conoscere  e  adoperare  filosofi-  camente la  lingua  è  gran  virtù  di  eccellente  scrittore.  E  pron-  tamente si  applica  alla  nostra  quel  che  è  notato  della  francese  »(1).  Ma  che  cosa  significa  adoperare  filosoficamente  mia  lingua  ?  specie  quando  la  si  consideri,  come  fa  il  Giordani,  cosa  diversa  dallo  stile?  Interrompi,  consiglia,  con  la  lettura  di  quegli  arti-  coli, «  lo  studio  che  devi  far  della  lingua,  e  preparati  a  quello  che  poi  farai  dello  stile.  Perchè  io  giudico  che  quello  della  lingua  debba  precedere.  Non  si  dee  prima  sapere  qual  sia  la  materia  de'  colori  ;  poi  imparare  ad  impastarli  e  mescolarli  ;  poi  esercitarsi  a  collocarli,  e  accordarli  ?  »  (io).  «  Tutto  lo  scrivere  sta  nella  lingua  e  nello  stile;  due  cose  diversissime  egualmente  necessarie....  I  vocaboli  e  le  frasi  sono  i  colori  di  questa  pittura;  lo  stile  è  il  colorito.    Ora  persuaditi,  caro  Eugenio,  che  l'ac-  quisto de'  colori  sia  fatica  della  memoria  :  l'uso  del  colorito  sia  esercizio  d'ingegno,  disciplina  di  buoni  esempi,  di  pochi  pre-  cetti, di  moltissima  osservazione,  di  molta  pratica. Ho  letto  molti  antichi  e  moderni  che  vollero  esser  maestri  :  ho  perduto  tempo  e  acquistato  noia,  senza  profitto.  Veri  maestri  ho  trovato  gli  esempi  de'  grandi  scrittori.  Tra  i  mo-  derni consiglia,  tuttavia  «  il  breve  trattato  del  Condillac,  Art  d'écrire.  Di  tutto  quel  libro  abbastanza  buono,  m'  è  rimasto  in  mente  questo  solo  principio,  molto  raccomandato  da  lui  =  de  la  plus  grande  liaison  des  idées  ....  Vero  è  che  quel  legame  delle  idee  non  deve  esser  sempre  logico  ;  ma  secondo  la  materia  che  si  tratta,  dev'esser  pittorico  o  affettuoso;  di  che  i  moderni  intendon  pochissimo  :  gli  antichi  vi  furono  meravigliosi  »  (pa-  gine 153-4).  In  questo  guazzabuglio  di  vedute,  d'idee  e  di  prin-  cipi, c'è  tutto,  meno  lo  spirito  filosofico  :  dal  che  si  vede  quanto    (')  A  un  giovane  italiano  -  Istruzione  per  l'arte  di  scrivere,  in  Scritti  di  Giordani,  ed.  Chiarini,  in  Firenze.] poco  fosse  compresa  e  con  quanto  poca  convinzione  raccoman-  data la  grammatica  generale  del  Du  Marsais  e  del  Beauzée.  Il  nume  che  agitava  interiormente  il  Giordani  e  i  degni  suoi  com-  pagni d'arme  non  era  la  filosofia,  ma  lo  spirito  italiano  che  si  rinnovava,  rinnovamento  che  alla  coscienza  di  molti  si  presen-  tava come  un  problema  di  lingua  :  donde  il  calore  con  cui  si  davano  a  questi  studi.  Il  Giordani,  mosso  dall'invito  dell'  Acca-  demia italiana,  «  non  per  rispondere  »  ad  essa,  per  ciò  che  «  questa  materia  non  sia  d'ozio  letterario  ....  ma  importi  non  poco  all'onore  d'Italia  »,  si    ad  abbozzare  una  Storia  dello  spirito  pubblico  d' Italia  per  600  considerato  nelle  vicende  della  lingua  e  alcuni  anni  più  tardi  (1825),  discorrendo  in  una  lunga  lettera  al  Capponi  di  una  raccolta  in  trenta  volumi  che  intendeva  fare  delle  migliori  e  men  note  prose  della  nostra  letteratura,  allargando  e  colorendo  le  linee  di  quel  primitivo  ab-  bozzo, esprimeva  l'opinione  che  l'ordine  escogitato  lo  menerebbe  «  quasi  per  una  storia  della  nazione  e  della  lingua  »  ("),  e  che  dalla  somma  dei  particolari  discorsi  introduttivi  ne  sarebbe  de-  rivato «  quasi  un  ritratto  filosofico  delle  menti  italiane  per  quat-  tro secoli  ».  «  Perciocché  io  considerando  la  lingua  come  uno  specchio,  nel  quale  cadano  tutti  i  concetti  da  tutti  i  pensanti  della  nazione,  e  dal  quale  nella  mente  di  ciascuno  si  riflettano  i  pensieri  di  tutti  ;  volli  con  diligenza  di  storico  e  sagacità  di  filosofo  esaminare  il  vario  corso  del  pensare  italiano  per  le  ve-  stigia che  di  mano  in  mano  lasciò  impresse  nel  variare  delle  lingua;  della  quale  i  vocaboli  e  le  frasi,  o  nuovamente  intro-  dotte, o  dall'antico  mutate,  fanno  certissimo  testimonio  (a  chi  '1  sa  interrogare)  d'ogni  mutamento  nella  vita  intellettiva  del  po-  polo.    Così  il  Giordani  si  riallaccia  al  Napione.   Tra  il  Napione  e  il   Giordani   spicca   anche   per  questo   ri-  guardo il  Foscolo,  (3)  che  nella  celebre  orazione,  recitata  a  Pavia    (')  Opere,  t.  IX:  «  Scritti  editi  e  postumi  pubbl.  da  Antonio  Gus-  salli  »,   Milano.   f;)  Scritti,   ed.  Chiarini. Per  l'eccellente  posizione  che  occupa  il  Foscolo  nella  storia  della  critica,  oltre  che  le  note  pagine  del  De  Sanctis,  vedi  Croce,  Per  la  storia  della  critica  ecc.,  già  cit.,  p.  9  e  27,  Trabalza,  Studi  sul  Boccaccio,  e  Borgese,  Storia  della  critica  romantica,  libro    è  superfluo   avvertirlo  — nel  1809  per  l'inaugurazione  degli  studi,  Dell'  origine  e  dell'uf-  ficio della  letteratura  e  nelle  Lezioni  di  eloquenza  che  le  tennero  dietro,  e  particolarmente  in  quella  del  3  febbraio  1809  su  la  Lingua  italiana  considerata  storicamente  e  letterariamente ,  (l)  e  ne'  sei  Discorsi  sulla  lingua  (")  italiana  parlava  della  nostra  lingua  coi  medesimi  spiriti  e  intendimenti  d'italianità,  in  modo  vera-  mente vivace.  «  Nella  sua  Prolusione  »,  ripeteremo  col  De  San-  ctis,  «  tenta  una  storia  della  parola  sulle  orme  del  Vico,  censu-  rata da  parecchi  in  questo  o  quel  particolare,  ma  da'  più  am-  mirata, come  nuova  e  profonda  speculazione.  Il  suo  valore,  anzi  che  nelle  sue  idee,  è  nel  suo  spirito,  perchè  non  è  infine  che  una  calda  requisitoria  contro  quella  letteratura  arcadica  e  acca-  demica, combattuta  da  tutte  le  parti  e  resistente  ancora,  contro  quella  prosa  vuota  e  parolaia,  e  contro  quella  poesia  che  suona  e  che  non  crea  »  (3).  «  Nessuno  ha  considerato,  »  scriveva  il  Fo-  scolo, «  filosoficamente  le  origini,  le  epoche  e  la  formazione  di  essa  [lingua  italiana],  affine  di  conoscere  per  via  d'analogia  i  principi,  i  progressi  oscurissimi  delle  formazioni  e  trasformazioni  di  tante  altre  lingue  »  (4).  «  La  storia  d'una  lingua,  »  ecco  il  suo  preciso  punto  di  vista    «  non  può  tracciarsi  se  non  nella  storia  letteraria  della  nazione  ;    la  storia  può  somministrare  fatti  certi  e  fondamentali  a  trovare  in  materie  intricatissime  il  vero,  se  non  per  mezzo  di  epoche  distinte,  in  guisa  che  le  cause  non  diventino    effetti,    e  gli  effetti  non  sieno  pigliati  per  cause  »(').    che  dev'esser  tenuto  sempre  presente  per  tutto  questo  periodo,  perchè,  se  le  idee  sulla  lingua  de'  vari  critici  che  vi  sono  criticati  poca  luce  diffondono  sulle  loro  teorie  poetiche,  utilissimo  è  invece  conoscere  la  portata  critica  di  esse  per  chi  fa  la  storia  della  lingua.   (')  In  Opere  edite  e  postume  di  Ugo  Foscolo,  Firenze,  Le  Monnier. In  T..    È  evidente  l'affinità  tra  il  metodo  del  Foscolo  e  quello  del  Napione;  ma  com'è  più  profonda  la  visione  del  Fo-  scolo, così  essa  in  certo  senso  precorre  ancor  meglio  il  principio  moderno  onde  si  vorrebbe  indagata  la  storia  della  cultura  nella  lingua,  special-  mente in  quanto  si  serve  del  metodo  monografico  per  periodi  di  af-  finità spirituali.  Notevolissima  sotto  questo  rispetto  è  una  pagina  della  Lez.  II  di  Eoa.    la  82  del  voi.  II)  dove  illustra  il  principio:  La  let-  teratura  è  annessa  alla  lingua.    Capitolo  quindicesimo  485    Nel  fatto,  il  Foscolo  intravvede  così  in  confuso  l'identità  di  lingua  e  pensiero,  e  nell'evoluzione  linguistica  uno  svolgimento  spirituale,  mostra  cioè  una  vaga  coscienza  del  problema  lingui-  stico, e  il  suo  sforzo  di  risolverlo,  anche  se  non  felice,  è  già  un  progresso.  Particolarmente  notevoli,  anche  per  la  ragione  pedagogica,  in  cui  però,  come  sappiamo,  ben  si  riflette  la  scienza  teorica,  son  le  pagine  che  scrive  sulla  dottrina  dantesca  del  Volgare  illustre.  Ne  riferiamo  volentieri  un  brano  che  ci  tocca  davvicino.  «  Su  ciò  che  Dante  previde  con  occhio  sicuro  egli  fondava  pochi  principi  generali  intorno  alla  legislazione  gram-  maticale. Erano  inerenti  alla  condizione  e  alla  natura  della  lingua,  onde  operarono  sempre  e  quando  vennero  applicati  da  parecchi  scrittori,  e  quando  vennero  trascurati  da  altri,  o  negati  ostinatamente  da  molti  ;  ed  operarono  fin  anche  negli  scritti  di   chi  li  negava ed  oggimai  l'esperienza  ha  convinto  la  più  gran   parte  degl'Italiani,  che  la  loro  lingua  letteraria  non  può  pro-  sperare senza  l'applicazione  dei  principj  di  Dante»:  principi  metafisici,  dice  Foscolo, annunziati  in  tempi  ne'  quali  la  filosofia, l'arte  dialettica,  e  la  teologia  erano  tutt' uno,  e  tali  da  intricarsi  a  vicenda,  e  perciò  un  po'  oscuri  forse  allo  stesso  ALIGHIERI (si veda).  Al  qual  punto  il  pensiero  di Foscolo  corre  a Locke  che  facilita  lo  studio  delle  analisi  delle  idee,  e  quindi  della  natura delle  lingue – Grice: way of things, way of ideas, way of words -- e  a  Condillac  che  illustrò  questa  difficilissima  parte  della  metafisica.   De Sanctis. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e de Sanctis," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Sanctis. Keywords: storia della filosofia, il saggio filosofico, il poema filosofico, il tema filosofico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sanctis” – The Swimming-Pool Library.

 

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