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Friday, December 20, 2024

GRICE ITALO A/Z S SAL

 

Grice e Saliceto: la ragione conversazionale del diritto bellico – la guerra è la guerra – scuola milanese – la scuola di Milano -- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Balsamo). Filosofo milanese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Balsamo, Cinisello Calsamo, Milano, Lombardia. Grice: “Since Sua Eccellenza Verri-Visconti calls himself a hyphenated philosopher, I who amn’t, shall list him under Visconti!” Esential Italian philosopher. Like Grice, he wrote on ‘happiness.’ Like Grice, he writes on ‘pleasure.’ Like Grice, he was a very clubbable man. Ritratto tagliato Barone di Rho. Consorte Marietta Castiglioni Vincenza Melzi d'Eril. Figli Teresa, Alessandro (da Marietta Castiglioni). Filosofo. Considerato tra i massimi esponenti dell'illuminismo, è altresì ritenuto il fondatore della scuola illuministica milanese. Nasce dal conte Gabriele Verri-Visconti, magistrato e politico conservatore, della nobiltà milanese. Avviati gli studi nel collegio dei gesuiti di Brera, e uno dei trasformati. Si arruola nell'esercito e prende parte alla Guerra dei VII Anni. Fermatosi a Vienna, intraprende la redazione delle Considerazioni sul commercio nello Stato di Milano, che gli varranno il primo incarico di funzionario. Pubblica le Meditazioni sulla felicità. Devienne a Milano uno dei pugni, nucleo redazionale del caffè, destinato a diventare il punto di riferimento del riformismo illuministico. Tra i suoi saggi più importanti per Il Caffè si  ricordano Elementi del commercio; Commedia; “Medicina”; “I parolai”. Ha rapporto epistolari anche con gl’enciclopedisti. d'Alembert visita i pugni. Parallelamente all'impresa editoriale, intraprende la scalata del governo d’Austria allo scopo di mettere in prattica le riforme propugnate nel “Caffe”.Membro della Giunta per la revisione della "ferma" (appalto delle imposte ai privati) del Supremo Consiglio dell'Economia. Fonda la Società patriottica. “Meditazioni sull'economia politica”. Il discorso sull'indole del piacere -- e del dolore”; “i Ricordi” e le “Osservazioni sulla tortura”. Il suo è uno stile asciutto e libero, pieno di trattenuto vigore. Con Giuseppe II al trono d'Austria, gli spazi per i riformisti milanesi si riducono, e lascia ogni incarico pubblico, assumendo un atteggiamento sempre più critico. Pubblica la “Storia di Milano.” All'arrivo di Napoleone, prende parte alla fondazione della Repubblica Cisalpina, culla del tricolore italiano. Muore durante una seduta notturna della municipalità. Grazie a lui Milano divenne il più importante centro degl’illuministi. L'ipotesi di civiltà che scature da lui e forse troppo avanzata per poter essere adeguatamente raccolta dalla nostra cultura; e comunque lo colloca a pieno titolo tra le espressioni più alte degl’illuministi. Il suo grande merito e aver creato in Lombardia un centro di aggregazione illuminista: Il Caffè dei pugni, Ciò che desta curiosità rimane il titolo con cui lui scelse di intitolare la sua testata, dovuta al rilevante fenomeno della diffusione di caffè (bar), come luoghi dove poter intraprendere un libero e attuale dibattito culturale, politico e sociale. Con i suoi articoli sul dolore e il piacere, sottoscrive la dottrina di Helvétius, nonché il sensismo di Condillac, fondando sulla ricerca della felicità e del piacere l'attività degl’uomini. Gl’uomini tendeno a sé stessi al piacere e sono pervasi dal dolore. I suoi piaceri non sono altro che momentanee interruzioni del dolore. La felicità degl’uomini non è quella personale o soggetiva, ma quella a cui partecipa il “collettivo,” quasi eutimia o atarassia. Per quanto riguarda la politica e l'economia, lui è controverso. Per quanto riguarda l'ambito economico, negli Elementi del Commercio e nella sua più grande opera economica Meditazioni sull'economia politica, enuncia (anche, per primo, in forma matematica) la legge di domanda e offerta, spiega il ruolo della moneta come merce universale, appoggia il libero scambio e sostenne che l'equilibrio nella bilancia dei pagamenti è assicurato da aggiustamenti del prodotto interno lordo (quantità) e non del tasso di cambio (prezzo). Di conseguenza, può essere visto come un marginalista. Si nota, però, come assuma atteggiamenti di difesa del concetto di proprietà privata e del mercantilismo. S. ritiene che solo la libera concorrenza tra eguali possa distribuire la proprietà private. Tuttavia pare favorevole principalmente alla piccola proprietà, per evitare il risorgere delle disuguaglianze. S. con le Osservazioni sulla tortura esprime la sua contrarietà all'uso della tortura. Define ingiusto e antistorico un modello così efferato di giurisprudenza e auspicando l'abolizione di questi metodi. Non pubblica l’opuscolo per non inimicarsi, con le pesanti critiche alla magistratura in esso contenute, il senato di Milano (tribunale) presso cui si sta decidendo dell'eredità del padre. “Dei delitti e delle pene” di Beccaria prende in gran parte le mosse proprio dalle bozze delle osservazioni sulla tortura, oltre che dagli articoli de Il Caffè. E proprio a causa di questo furto di idee che i due pugni arrivano al più acceso scontro. Nella versione definitiva e aggiornata dell’Osservazioni, che sono in conclusione un invito ai magistrati a seguire la dottrina illuminista invece di irrigidirsi sulle posizioni conservatrici, la sua dialettica è cruda e basilare. La tortura è una crudeltà. Se la vittima è innocente, subisce sofferenze non necessarie. Se la vittima e colpisce un colpevole presumibile rischia di martoriare il corpo di un possibile innocente. L’accusato rinuncia nella tortura alla sua difesa naturale istintiva. Viola la legge di natura. Apre il suo saggio con la ricostruzione del processo agl’untori, presentandolo sia come documento dell'ignoranza di un secolo non guidato dai lumi, sia come emblema del modo in cui una legge sbagliata porta a una evidente ingiustizia. Questa ricostruzione forne la base per la Storia della colonna infame di Manzoni, che però la presenta come testimonianza di ciò che accade quando uomini ingiusti detenneno un grande potere, come all'epoca era quello del senato milanese. Il saggio non arrivea mai ad avere il successo che invece ebbe Dei delitti e delle pene, vuoi perché la maggior parte delle osservazioni in essa sviluppate erano già contenute nell'opera di Beccaria, vuoi per via del  suo stile, dotto e di difficile comprensione, che rendeva di per sé ardua la diffusione della sua filosofia, che pure conteneva molti ulteriori spunti rispetto all'opera del collega. La Borlanda impasticciata con la concia, e trappola de sorci composta per estro, e dedicata per bizzaria alla nobile curiosita di teste salate dall'incognito d'Eritrea Pedsol riconosciuto, festosamente raccolta, e fatta dare in luce dall'abitatore disabitato accademico bontempista, Adorna di varii poetici encomii, ed accresciuta di opportune annotazioni per opera di varii suoi co-accademici amici; “Il Gran Zoroastro ossia Astrologiche Predizioni”; “Il Mal di Milza, Diario militare,” Elementi del commercio”; “Sul tributo del sale nello Stato di Milano”; “Sulla grandezza e decadenza del commercio di Milano”; “Fronimo e Simplicio; ovvero, sul disordine delle monete nello Stato di Milano”; Considerazioni sul commercio nello Stato di Milano”; “Orazione panegirica sula giurisprudenza Milanese”; “Meditazioni sulla felicità colletiva” – cfr. Grice, Notes on happiness –; “Bilancio del commercio dello stato di Milano, Il Caffè, Sull’innesto del vajuolo, Memorie storiche sulla economia pubblica dello stato di Milano, Riflessioni sulle leggi vincolanti il commercio dei grani, Meditazioni sulla economia politica con annotazioni, Consulta su la riforma delle monete dello Stato di Milano, Osservazioni sulla tortura, Ricordi a mia figlia, Considerazioni sul commercio nello Stato di Milano – “Sull'indole del piacere e del dolore” -- Manoscritto da leggersi dalla mia cara figlia Teresa Verri per cui sola lo scrissi, Storia di Milano, Piano di organizzazione del Consiglio governativo ed istruzioni per il medesimo, “Precetti di Caligola e Claudio”; “Memoria cronologica dei cambiamenti pubblici dello stato di Milano”; “Delle nozioni tendenti alla pubblica felicità” – felicita pubblica – felicita private --; “Pensieri di un buon vecchio che non è letterato, Carteggio di Pietro e di Alessandro Verri;  L'Edizione Nazionale delle Opere, Ministero per i beni e le attività culturali ha deciso di avallare un'Edizione nazionale delle sui saggi. Il comitato, finanziato pubblicamente, dalla Fondazione Cariplo e da Banca Intesa Sanpaolo, è presieduto da C. Capra e composto da una ventina di studiosi e si basa sull'Archivio donato da S. alla Fondazione Per La Storia Del Pensiero Economico. Bartolo, Gli Scritti di argomento familiare e autobiografico; Rivista di storia della filosofia. (Firenze: Nuova Italia). Carteggio di Pietro e Alessandro Verri  Cfr. Ricuperati, Il genere della biografia, Società e storia. (Milano: F. Angeli,  "Il Caffè", Introduzione. Giordanetti, Piero, a cura di, “Sul piacere e sul dolore”. Kant discute Visconti (Milano, Unicopli); “Giordanetti, “Le arti belle. Sulla fortuna di Visconti, Visconti e il suo tempo, Capra, Bologna, Cisalpino); Renzo Villata, Gigliola, Il processo agli untori di manzioniana memoria e la testimonianza (ovvero... due volti dell'umana giustizia), Acta Histriae Storia di Milano, Cronologia della vita di S., su storiadimilano. S., Enciclopedia Treccani, su treccani. Ricordi a mia figlia, su classicitaliani. Catalogo Sellerio, su Sellerio. Salerno editrice. Scheda del libro: Delle nozioni tendenti alla pubblica felicita, su salerno editrice. Pensieri di un buon vecchio che non è letterato, su classic italiani. Capra, Risultati e prospettive, in Rivista di storia della filosofia, Scritti di economia, finanza e amministrazione, I Discorsi e altri scritti degli, Storia di Milano, Scritti di argomento familiare e autobiografico, Scritti politici, Carteggio di Pietro e Alessandro. Caffè. In Venezia, Pizzolato); “Mediazioni sulla economia politica con annotazioni, Venezia, Giovanni Battista Pasquali); “Meditazioni sulla economia politica” (Livorno, Stamperia dell'Enciclopedia Livorno); “Sull'indole del piacere e del dolore” (Milano, Marelli); “Storia di Milano” (Milano, Società tipografica de' classici italiani); “Carteggio di  Novati, Giulini, Greppi, Seregni, Milano, Cogliati, Milesi e figli, Giuffrè); “Viaggio a Parigi e Londra. Carteggio di Pietro ed Alessandro Verri, Gianmarco Gaspari, Milano, Adelphi); “Appunti di diritto bellico” (Benvenuti, Roma, Benedetto, “Visconti repubblicano: gl’articoli, Poesia, letteratura e politica, Alessandria, Edizioni dell'Orso, A. Cavanna, Da Maria Teresa a Bonaparte: il lungo viaggio, Capra, I progressi della ragione” (Bologna, Il Mulino); “Meditazioni sulla felicità, Pavia-Como, Ibis); “Discorso sull'indole del piacere e del dolore, Spada, Londra, Traettiana, Diario Militar, Milano, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Filosofico. Storia di Milano. Sua Eccellenza il conte Pietro Verri Visconti di Saliceto. Keywords: diritto bellico. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Saliceto – “Grice e Visconti: il piacere” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. #visconti. Saliceto.

 

Grice e Sallustio: la ragione conversazionale EMPEDOCLEA – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He assembles a collection of materials by and about Empedocle di Girgenti. Empedoclea.

 

Grice e Sallustio: la ragione conversazionale a Roma – la storia della filosofia romana come fonte d’essempli morali – chè cosa fa un saggio ‘romano’? -- filosofia italiana – Luigi Speranza. (Amiterno). Filosofo italiano. Amiterno, L’Aquila, Abruzzo. Storico. Può anche darsi che adere la setta dei crotonesi. Tribuno della plebe e senatore, espulso dal senato per motivi morali, e probabilmente perchè fautore di GIULIO Cesare, che lo nomina questore, pretore nella guerra africana e pro-console della Numidia. Dopo la morte di GIULIO Cesare abbandona la vita pubblica per dedicarsi completamente agli studi -- La congiura di Catilina, La guerra giugurtina, Le Storie. A lui venne rivolta l’accusa di essere stato complice dei sacrilegi di NIGIDIO (si veda) Figulo. Certamente lui spesso insiste nei suoi saggi sulla opposizione di anima e corpo. Parla di un nume divino che veglia sulla condotta dei mortali e accenna a sanzioni nell’oltretomba. È quindi probabile che allo storico debba essere identificato quel Sallustio che scrive un "Empedoclea" per esporre le dottrine del filosofo da Girgenti, tutte colorate di Pitagorismo. Cicero's letter to his brother Quintus is best known for containing the sole explicit contemporary reference to Lucretius's “De rerum natura.” But it is also notable as the source of the only extant reference of any kind to another presumably philosophical didactic poem, Sallustius's “Empedoclea” (Q. fr. 2.10(9).3= SB 14): “Lucretii poemata, ut scribis, ita sunt: multis luminibus ingenii, multae tamen artis. sed, cum ueneris. uirum te putabo, si Sallusti “Empedoclea” legeris; hominem non putabo.” “Lucretius' poems are just as you write: they show many flashes of inspiration, but many of skill too. But more of that when you come. I shall think you a man, if you read Sallustius' Empedoclea; I shan't think you a human being.” In addition to the vexed but separate question as to whether the Sallustius in question is to be identified with the historian, with Cicero's friend Cn. Sallustius, or some other figure bearing that nomen, the meaning of the barbed comment on his poem has been almost as fiercely debated.The antithesis between “uir” and “homo” has been thought problematic, a difficulty formulated with characteristic brusqueness by Housman. “If one is not a human being, one cannot be a stout-hearted man nor a man of any sort; one is either above or below humanity, a god or a beast; and “uir” is not Latin for a stout-hearted god nor for a stout-hearted beast.” Housman's proposal of a lacuna following “uirum te putabo”, where a different protasis corresponding to that apodosis has dropped out, earned a place in Bailey's apparatus and a 'fort. rect.' in Watt's, but has otherwise found little favour. Most critics have been more or less satisfied that the strict illogicality should not stand in the way of the joke, though several share Housman's related feeling that “homo” would stand in more natural antithesis with god or beast. It is worth stressing that Housman is, on the question of Latinity at least, quite right that one cannot be a “uir” if one is not a “homo” (though the reverse is of course quite possible). Even the vast resources provided by concordances, the TLL, and now searchable electronic databases such as the PHI CD-Rom or the Bibliotheca Teubneriana Latina merely corroborate the accuracy of his Latinity. The juxtaposition of “uir” and “homo” is indeed a common one, and particularly so in Cicero. In many instances, the same person is (usually) praised using both nouns, each qualified with an adjective which in some cases may partially reflect the distinction between qualities appropriate to a Roman male and the more humane attributes of a Mensch (e.g. hominem honestissimum, uirum fortissimum, Font. 41; forti uiro et sapienti homini, Leg. Man.), but in others (the majority) the contrast is often so hard to draw that the words feel almost like synonymous doublets (e.g. consulari homini clarissimo uiro, Verr.). When the two words are set in antithesis, it is always clear, and indeed the point of the antithesis or a fortiori argument generally depends on the fact, that to be a “homo” is a lesser attainment than to be a “uir.” Thus the gold ring which Verres gave to a scriba proved not that the latter was a brave man, but merely that he was a rich fellow (“neque ... uirum fortem, sed hominem locupletem esse declarat, Verr.), the diminution of a proconsul's province should be guarded against not only in the case of a man of the highest standing, but even in that of a middling fellow (“neque solum summo in uiro, sed etiam mediocri in homine <ne> accidat prouidendum, Prov. cons.), and Lucius' and Patron's proto-Hobbesian philosophy describes not a good man but a cunning fellow (“se de callido homine loqui, non de bono uiro -- Att. 7.2.4 = SB 125). Taking the opposite trajectory, from mere “homo” up to “uir,” Cicero often self-consciously corrects himself, promoting his subject from the former to the latter category, as with Cato at Brut. 293 (magnum mercule hominem uel potius summum et singularem uirum) or Epicurus at Tusc. 2.44 (homo minime malus uel potius uir opti-mus). From this it is at least implicit that to be a homo is a necessary but not sufficient condition for being a uir, but that uiri are a subset of homines is absolutely clear when Cicero writes of injustices which would seem intolerable not only to a good man but more broadly to a free human being (ut non modo uiro bono, uerum omnino homini lib-ero ideatur non fuisse toleranda. Inv. rhet. 2.84).? Perhaps the closest Cicero comes to a clear distinction is in his consolatio to the exiled Sittius, where he urges him to remember that he is both things (et hominem te et uirum esse, Fam. 5.17.3 = SB 23), a homo because he is subject to the vicissitudes of all humanity, a uir because he ought to bear those vicissitudes with fortitude. Here there is no fusion or explicit overlapping of the categories; each has its specific and discrete associations. However, neither is there anything here to contradict the evidence of all the other instances or to suggest that even Sittius could be a uir but not a homo. Even with the benefit of searchable databases, it can be seen that Housman's judgement on Latinity and logic is sound. It may be, however, that the confounding of logic (and perhaps of Latinity) is the essence of humour, and so we must ask ourselves whether Cicero's transmitted judgement on Sallustius, since it isn't quite Latin, is actually funny. Even those who defend the paradosis seem vaguely apologetic about the joke which they are determined to preserve. Shackleton Bailey, in refuting Housman, writes that 'Cicero says these two things in the same breath ... because he thought it mildly amusing', and in his shorter commentary remarks, almost shame-facedly, that 'the juxtaposition is mildly funny' Of course, whether the reason lies in cultural contingency or in transhistorical unfunniness, no one who has read any quantity of Ciceronian 'jokes' would consider a failure to provoke uproarious laughter as grounds for emendation. Yet the problem with this joke is not so much that it is at best 'mildly amusing', but rather that it seems oddly arbitrary and lacking the pointedness or relevance to its context which we might expect in even the feeblest witticism. '° It is certainly possible for humour to be generated from the antithesis of uir and homo. At Terence, Hecyra 523-4, Phidippus calls to his wife Myrrina, and when she responds with an interrogative mihine, mi uir? ('Is it me you're talking to, my husband?'), he replies in turn uir ego tuos sim? tu uirum me aut hominem deputas adeo esse? ('Is it your husband I am? Do you consider me to be a husband/man or even a human being?') This is, if anything, an even clearer proof that uiri are a subset of homines, as the adeo shows, and it is on this normative relationship of the two words (in contrast to the anomalous one at Q. fr. 2.10(9).3) that the joke partly depends: if Myrrina does not consider Phidippus a homo, then a fortiori she cannot consider him a uir. However, the reference to this standard notion that one must be a homo to be a uir would have no particular point were it not wittily combined with the context-specific wordplay on uir as 'husband' (as Myrrina uses it) and 'man' ('Man? I'm not even treated like a human being!')"' To turn from the humorous potential of the uir/homo antithesis to Cicero's comedic practice elsewhere in his correspondence, it can be seen that he does make literary jokes which, however amusing or otherwise we might subjectively find them, are unquestionably pointed and tailored to the specifics of their context and subject-matter. One example is his witty and context-specific use of the poeta auctor conceit to depict Tigellius as being actually 'sold at auction' (addictum) by Calvus' mimetic lampoon, in the act of doing which he picks up and even elaborates Calvus' own conceit 'of writing a poem in the form of an auction announcement ... in which he himself took the part of the auctioneer and offered Tigellius for sale'. 2 Equally witty and pointed, and with an added touch of doctrina, is his play on the double status of Quintus' Erigona as bothtragedy and woman, mock-lamenting that she was lost on the road through Gaul despite owning a fine dog, a learned allusion to the faithful Mera who led her mistress to Icarius' body, as well as a jibe at the ineffectual Oppius. 3 The letters are also full of witty and pointed philosophical jokes and allusions, as Miriam Griffin has shown. 14 To cite but one example, Griffin argues that Cicero's ironic concern to come to see Trebatius 'before [he] flows completely from [his] mind' (antequam plane ex animo tuo effluo) subtly alludes to the Epicurean doctrine of sense-perception by means of eisha. 5 In our passage, on the other hand, we might wonder why the (dubious) antithesis of “uir” and “homo” even arises when discussing Sallustius' “Empedoclea.” There is no obvious reason why such a poem, whether as a poem or as an instantiation of Empedoclean philosophy, would suggest a play on the antithesis of 'man' and "human', let alone one which is unparalleled in extant Latin, where, as has been shown, one cannot be a “uir” without also being a “homo.” If an emendation could provide an antithesis which preserved and perhaps even enhanced the humour, but removed Housman's illogicality, and had a clear connection with the topic under discussion, it would have a good deal to recommend it. We have already noted how one of the more obvious antitheses of homo is 'god'. Among the most famous, or notorious, aspects of Empedocles's doctrine was his claim to be a god and no longer a mortal. The claim is most clearly preserved in the proem to the Katharmoi (DK B112.4-6): ¿ya & juv BEos duBpoTos, ouKéTI OUnTóS MOREQUAL MET TOOI TETILÉVOS, GTEP ¿OLKA, TOIVIOIS TE TEPIOTETTOS OTÉPEGiV TE DaREiOIS. “I come to you as an immortal god, no longer a mortal, honoured among all, as is fitting, garlanded with fillets and festive garlands”. That this doctrine was familiar in Rome is clear from Horace's explicit comment and partial translation at the climax of the “Ars Poetica” -- while Empedocles wanted to be considered an immortal god', deus immortalis haberi dum cupit Empedocles) and Lucretius's all-but-explicit reference to the poems of Empedocles "divine breast' (diuini pectoris) so that he 'seemed created from scarcely human stock' (“uix humana ideatur stirpe creates”). Noting this connection, Murley suggests 'a jest at the expense of Empedocles as well as Sallust and unpacks the implications of “homo” as ""But if, in the few days before your return, you shall have read Sallust's “Empedoclea”, I shall regard you as a hero – but, like Empedocles, *not* a human being.” Murley's interpretation is attractive, but the secondary, implicit antithesis between 'human' and 'god' sits uneasily with the explicit and problematic antithesis between 'human' and 'man'. The most economical solution would be to remove the latter antithesis and the make the former explicit. One solution which would satisfy all the requirements which we have set so far would be to emend the paradosis irum to a word meaning god, most probably either “deum” or “dium.” The juxtaposition of forms of “deus” and “homo” is extremely common in Latin, and occurs eighteen times in Cicero, albeit more frequently in the plural. Of course, for a double entendre to work, there must be a primary as well as a secondary meaning. The playful allusion to Empedocleian doctrine would be clear. But there must still be an independently comprehensible way in which Marcus can call Quintus a 'god', even if the allusion grants him a degree of licence to stretch common usage a little. Curiously, “dius” does not seem to have been used metaphorically of mortals with superhuman qualities, despite, or perhaps because of, its specific connotations of a deified mortal or an intermediate being between god and mortal, and of course its later use as the designation par excellence of apotheosised principes. There is far more evidence for the use of “deus” in this way, 'de homine ... virtute aliqua praedito', including numerous examples in Cicero's speeches, letters, rhetorical and philosophical works. Of particular relevance to our passage is the assertion by Cicero's Crassus that the godlike orator is one who does not merely use correct Latin but speaks ornate (De or.). “Si est aliter, irrident, neque eum oratorem tantummodo sed hominem non putant; quem deum, ut ita dicam, inter homines putant?” -- But if it is otherwise [than that he speaks correct Latin], they laugh at him and think him not only not an orator but not even a human being; who do they think, so to speak, a god among mortals?') Even with the qualifying ut ita dicam, it is clear from this passage (and others where there is no such qualification) that Cicero could use deus to designate a human who excels in some field or other, and did so on occasion in antithesis with homo.? As suggested above, the allusion to Empedocles (and to Sallustius) and the humorous context would help to justify a slight extension of the usage whereby the act of reading a poem ironically reflects superhuman qualities, whether of endurance or discernment. It might even be possible that a rare use of “diuus” in this metaphorical sense could be justified by a verbal echo of S., but Ciceronian and other Republican usage would tend to point towards “deus”. As for how such a corruption could have come about, a misreading of “dium” as “uirum” might seem easier than that of “deum”, but forms of “d” and “u” are not normally alike, and the cause here is far more likely to be psychological. The form could have been assimilated to the nearby “hominem”, or we might see the metamorphosis of god into man as an instance of polar error, where a scribe writes the opposite of the word he is copying. This type of corruption is not uncommon in Ciceronian manuscripts. Cicero's plea at Rosc. Am. 12 that the presiding praetor Fannius 'avenge the misdeeds with all zeal' (ut quam acerrime maleficia indecetis) became, in Naples IV B 17, a paradoxical desire that no good deed should go unpunished., as the scribe wrote beneficia for maleficia. Likewise at Mur. 73, according to the copyist of Venice, Marc. lat., the public attributes Sulpicius laying of charges against Murena for having escorts and giving voters meals and spectacles, not to his excessive zeal (in tuam nimiam diligentiam) but to his lack thereof (neglegentiam). That a copyist could likewise write “uirum” for “deum” is entirely feasible. Alternatively, with either “deus” or “dius”, a devout Christian scribe might - consciously or unconsciously - have baulked at Cicero's apotheosis of his brother in such a context and - again consciously or unconsciously - emended the offence away. There remains the question of whether Cicero is alluding to Empedocles alone or to Sallustius poetic depiction of him. As noted above, Murley sees the joke as being 'at the expense of Empedocles as well as Sallust'. It is certainly possible that the play on god and man is an allusion directly back to the “Katharmoi”. Sedley has convincingly argued that the proem of Lucretius's De rerum natura not only imitates Empedocles's proem but is meant to be recognised as so doing, and thus assumes familiarity with the latter among late Republican litterati. Even Sedley, however (incidentally using the letter as his principal evidence), allows that such familiarity could come either through direct acquaintance or through Latin translations and imitations’s -- including S.. None of Cicero's allusions to Empedocles in the philosophical works are noticeably oblique or seem to assume much prior knowledge, though the reference of his Laelius to “a certain learned man of Agrigentum” (“Agrigentinum doctum quendam uirum”) could conceivably be taken as allusive as well as faux naif. In considering Cicero's allusive practice in the letters, we might compare the witty allusion to Quintus's Erigona which cannot possibly have referred directly to the text of a tragedy which Marcus never had the chance to read, and hence must look to the original myth (and possibly the wrong myth at that), perhaps as narrated in Eratosthenes' epyllion. However, in the case of the letter, where we are dealing not with a lost text but one with which both correspondents have some familiarity, it is surely more likely that Cicero is alluding not - or not only - to Empedocles directly, but to S.’s poetic rendering of his doctrines and perhaps even his poetry. If S.’s “Empedoclea” included a Latin version of DK B1 12.4-6, it is not improbable that it might have occurred as early in the poem as those lines are in the “Katharmoi,” and hence be recognizable even by those who had not read it in its entirety. It is also quite likely that “evntos” would have been translated as “homo” (though “mortalis” is an obvious alternative possibility) and theós by either deus or dius. In favour of diuus, we might note its strict distinction from deus as referring to a minor deity (equivalent to the Soiucv which Empedocles elsewhere claimed to be) or even more specifically to a deified mortal. On the other hand, the phrase deus immortalis is not only an obvious way to render “0eos außpotos,” and far easier to fit into hexameters than diuus immortalis, with its initial cretic in the nominative and tendency to elision or hiatus in other cases, but nicely corresponds to the existing common Latin unctura, “di immortalis”, of which incidentally Cicero is particularly fond. “deus immortalis” is also the phrase used at Ars P. to render “0eos äußpotos” and it is tempting to speculate that Horace too is alluding not only to Empedocles, but to S.’s Empedocleian poem. This, of course, can only be speculation in the absence of any other trace of the poem. But it is far from improbable. Corte arguez for the influence of S.’s “Empedoclea” on the speech of Pythagoras in Metamorphoses. If OVIDIO could integrate such allusions into his depiction of a different philosopher, albeit one with some doctrines in common, it is hardly less likely that ORAZIO could allude to S. when referring to Empedocles himself. If Horace is indeed alluding to S., this might constitute one further argument in favour of Cicero's writing deum when also alluding to the Empedoclea. However, the argument does not stand or fall on the issue of Horatian allusion. To sum up, one may suggest that Cicero wrote to Quintus deum (or possibly diuum) te putabo, si Sallusti Empedoclea legeris; hominem non putabo. In doing so, he would certainly have alluded – via implicature -- wittily to Empedocles's claim to be a god and no longer a mortal at DK B112.4-6, and probably to S.'s own Latin rendering of that claim. Emended thus, the antithesis does not require the special pleading which has been made for uir/ homo and it has specific and pointed relevance to the poem under discussion. It is a matter of taste, of course, but it might also be a little more than mildly amusing. The dominant quality of S.'s moral philosophy as articulated in the preface to the Bellum Catilinae is gloria: this preoccupies much of S.’s discussion, particularly in the opening two chapters of the monograph. The text begins with an emphatic statement of the goal of life, which according to S.  is to avoid passing through life without leaving a record of one's existence: omnis homines qui sese student praestare ceteris animalibus summa ope niti decet ne vitam silentio transeant veluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedientia finxit: "for all men who set themselves to exceed the other animals, it is right to struggle with the highest effort, lest they pass through life in silence like beasts, whom nature has made supine and subject to their appetites. To this end, S. continues, man is comprised of a dual nature, body (held in common with the beasts) and mind (in common with the gods); we should make use of the resources of the mind (animus) to seek gloria. For", S. continues "the gloria of riches and beauty is variable and fragile; virtus is held to be splendid and lasting", nam divitiarum et formae gloria fluxa atque fragilis est, virtus clara aeterna habetur. The separation between mind and body, according to S., is not absolute: each requires the assistance of the other, because the mind is required to plan actions, and the body to carry them out. Gaio Sallustio Crispo, Empedoclea. Sallustio.

 

Grice e Salustio: la ragione conversazionale del divino e dei divini – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The author, according to some, of Salutio’s ‘On the gods and the world order,’ dedicated to Giuliano. Accademia. Flavio Salustio.

 

Grice e Salustio: la ragione conversazionale del pitagorico che corresponde con Giuliano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Ricerca (latino: Saturninus Secundus Salustius o Salutius. Politico e filosofo romano di età imperiale appartenente ai neoplatonici. Epigrafe in latino trovata ad Amorgos e riproducente una lettera (CIL III, 459) dell'imperatore romano Giuliano a S. (Museo epigrafico di Atene) Amico dell'imperatore romano Giuliano, ne condivise il programma di restaurazione della religione romana, ma fu così equilibrato che fu prefetto del pretoriod'Oriente sotto quattro imperatori. Di una famiglia della Gallia, forse dell'Aquitania, è probabilmente un homo novus, in quanto i suoi due primi incarichi furono non senatoriali; S. è infatti, probabilmente sotto l'imperatore Costante, praeses provinciae Aquitanicae, magister memoriae, comes ordinis primi, proconsole d'Africa e comes ordinis primi intra consistorium et quaestor, come attesta l'iscrizione posta sotta la sua statua d'oro eretta nel Foro di Traiano. È inviato dall'imperatore Costanzo II, fratello del defunto Costante, al cugino e cesare d'Occidente Giuliano, come consigliere, quando era ormai già avanti con gli anni. Costanzo si insospettì dei successi di Giuliano e, attribuendoli a S., lo richiama, separandolo dal cesare di cui era divenuto amico.  Giuliano venne acclamato imperatore e l'anno successivo Costanzo II morì. Giuliano, giunto a Costantinopoli, nominò S.  prefetto del pretoriod'Oriente e presidente del tribunale che a Calcedonia processò i funzionari di Costanzo. Lascia Costantinopoli per raggiungere Giuliano ad Antiochia, da dove l'imperatore aveva intenzione di far partire la sua campagna sasanide. Qui Salustio sconsigliò a Giuliano di perseguitare i cristiani: per dargli un esempio, torturò un certo Teodoro per tutto un giorno, dimostrandogli che ne avrebbe fatto un martire. Da rifugio al vescovo di Aretusa, Marco, che aveva suscitato la rabbia di Giuliano e, pare, torturò dei pagani per vedere se la loro resistenza era comparabile a quella dei cristiani. Fu poi incaricato di preparare le forniture per l'esercito e la flotta; quando un ufficiale non riuscì a portare gli approvvigionamenti dovuti a Circesium lo fece giustiziare. Giuliano morì durante la campagna, in uno scontro con i Sasanidi (363), durante il quale anche Salustio rischiò la vita. In seguito fu scelto dai generali romani come successore del suo amico, ma declinò l'offerta, adducendo la cattiva salute e l'età avanzata, e al suo posto venne eletto il cristiano Gioviano. Sotto Gioviano rimase in carica come prefetto: il nuovo imperatore lo inviò a trattare con i Sasanidi.  Dopo la morte di Gioviano sostenne l'elezione di Valentiniano I. Quando Valentiniano cadde ammalato, S. nega che la malattia fosse stata provocata da un maleficio preparato dai sostenitori di Giuliano. Venne deposto dall'imperatore, che invitò chiunque a presentargli accuse contro Salustio, ma fu poi rimesso al suo posto dopo poco tempo.  Continua al suo posto sotto l'imperatore Valente, che il fratello Valentiniano associò all'impero; ha Callisto come assessor (assistente), e Eanzio. Venne sostituito da Nebridio, principalmente a causa dell'azione del patricius e suocero dell'imperatore Petronio, ma quando, sempre quell'anno, Nebridio venne catturato dall'usurpatore Procopio, S. venne re-integrato. Venne definitivamente congedato comunque a causa degli intrighi di Clearco. Riceve il titolo di patricius dopo il congedo. Giuliano e amico di S., cui dedica la Consolazione a sé stesso, scritta dopo la forzata separazione in Gallia da S., e il suo inno al Re Helios. S. legge e approva anche un'altra opera dell'imperatore, I Cesari. Libanio lo loda come funzionario incorruttibile, Imerio gli indirizza un'orazione in cui lo definiva vero reggitore dello stato, mentre persino i galilei ne lodavano l'equilibrio. S. è uno studioso di letteratura e FILOSOFIA, che addirittura trascura talvolta i propri uffici per coltivare i propri studi. A S. è attribuita il saggio “Περὶ θεῶν καὶ κόσμου”, una sorta di manuale di religione romana voluta dal Giuliano. La maggior parte delle idee esposte nel saggio non sono originali ma sono derivate da altri filosofi dell’accademia, come pure dalle orazioni di Giuliano, anche se S. sembra avere meno dimestichezza con Giamblico, considerando la sua demonologia meno sviluppata. In alcuni punti, tuttavia, l'autore sostiene alcune tesi inconsuete. Per esempio riguardo all'origine del male, S. afferma che nulla è male per sua natura, ma diviene male per le azioni degl’ uomini, o meglio, di alcuni uomini. Inoltre, il male non è commesso dagl’uomini per sé, ma perché si presenta falsamente sotto l'apparenza di un BENE – cf. H. P. GRICE, INCONTINENZA --, come ha già esposto in certa misura Socrate. Il male – ill-will, H. P. GRICE -- nasce sempre e solo a causa di una falsa valutazione del bene, in quanto, alla fine, è mancanza di esso. Ma come si spiega il male nel mondo se il divino e buono e compi ogni cosa? In primo luogo bisogna precisare che, se il divino e buono e compi ogni cosa, il male non ha una esistenza effettiva ma nasce per assenza di bene, come l'ombra non ha esistenza ma ha origine dall'assenza di luce. -- S. Gli dei e il mondo. Il suo nome è riportato come Saturnino Secondo nelle iscrizioni, Secondus Salutius in Ammiano Marcellino, Secondo in Libanio (Lettere), Filostorgio e Sozomeno, e infine Salutius, Salustius o Sallustius altrove. Sivan, Hagith, Ausonius of Bordeaux: Genesis of a Gallic Aristocracy, Routledge, Costanzo dubita della lealtà di Giuliano, in quanto ne uccide il padre Giulio Costanzo e il fratellastro Costanzo Gallo. Ammiano Marcellino. Lungo la strada, ad Ancira (moderna Ankara) fa incidere l'iscrizione CIL. Socrate Scolastico; Sozomeno, Ammiano Marcellino, che però lo chiama semplicemente "prefetto". Socrate Scolastico. Passio SS. Bonosii et Maximiliani, Libanio, Orazioni Ammiano Marcellino Ammiano Marcellino. Zosimo. Ammiano Marcellino; Zosimo riporta anche l'offerta della porpora al figlio di S., respinta sulla base della sua giovane età. Libanio, Orazioni, Imerio, Orazioni, Gregorio Nazianzeno, Orazioni, Azize, The Phoenician Solar Theology, Smith, Rowland, Julian's Gods: Religion and Philosophy in the Thought and Action of Julian the Apostate, Routledge, Ammiano Marcellino, Res gestae Filostorgio, Storia ecclesiastica Libanio, Lettere e Orazioni Socrate Scolastico, Storia ecclesiastica Sozomeno, Storia ecclesiastica Zosimo, Storia nuova Fonti secondarie modifica Jones, Arnold Hugh Martin, John Robert Martindale, John Morris, The Prosopography of the Later Roman Empire, Cambridge University Press, Edizioni delle sue opere; Salustio, Sugli dèi e il mondo, cur. Giuseppe, Adelphi, Salustio, Gli Dei e il Mondo, cur. Vacanti, Il Leone Verde, S. neoplatonico, su Treccani, Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Calogero, S. neoplatonico, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Portale Antica Roma  Portale Biografie  Portale Filosofia Arinteo generale romano Nebridio generale romano Eusebio (praepositus sacri cubiculi) alto funzionario dell'Impero roman. Saturnino Secondo Salustio. Saluzio. Secondo Sallustio. Salustio. Keywords: il divino, i divini, l’ordine del mondo. Salustio.

 

Grice e Salutati: la ragione conversazionale d’Ercole al bivio – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Stignano). Filosofo italiano. Stignano, Reggio Calabria, Calabria. Vedo che ignori quanto sia dolce l'amor di patria. Se ciò fosse utile alla difesa e all'ampliamento della patria, non ti sembrerebbe un crimine penoso, nè un delitto scellerato, il fracassare con la scure il capo del proprio padre, o ammazzare i fratelli, o cavare con la spada dal grembo della moglie il figlio prematuro. Ad Andrea di Conte. Cancelliere di Firenze, figura culturale di riferimento dell'umanesimo a Firenze, in qualità di discepolo del BOCCACCIO e precettore di BRACCIOLINI  e BRUNI.  Considerato uno dei più importanti uomini di governo, S. come cancelliere della repubblica di Firenze, svolge un importantissimo ruolo diplomatico nel frenare le ambizioni del duca di Milano VISCONTI, intenzionato a creare uno stato comprendente l'Italia centro-settentrionale. Nel contesto di questa lotta elabora la sua dottrina della “libertas fiorentina”. Oltre all'impegno politico, svolge un importante ruolo nella diffusione dell'umanesimo petrarchesco (PETRARCA – si veda) e boccacciano, divenendone l'esponente più importante e il praeceptor della prima generazione degl’umanisti. Il suo lascito più importante presso i posteri è la codificazione civile dell'umanesimo, cioè l'uso dello spirito e dei valori dell'antichità classica all'interno dell'agone politico internazionale. Grazie a S. -- autore tra l'altro di un vastissimo epistolario e di trattati politici, filosofici e letterari -- difatti, il mito della florentina libertas, cioè di quel complesso di valori ispirati alla libertà promosso dall'ordinamento politico fiorentino, si rafforza enormemente sotto il suo cancellierato, ed e utilizzato quale strumento diplomatico per accrescere il prestigio di Firenze presso gl’altri stati d’Italia. Costretto, a pochi mesi dalla sua nascita, ad abbandonare il luogo natìo per raggiungere il padre Piero (detto dal Villani di buoni costumi e di prudenzia laudabile) a Bologna, ove il genitore serve il signore della città Pepoli, che a sua volta garantiva protezione alla famiglia. Nella città felsinea compe per volontà paterna -- ma più probabilmente di Pepoli che, morto Piero, prende sotto la sua protezione la famiglia e il giovane Coluccio in particolare --, studi, benché fosse maggiormente interessato alle discipline letterarie, e segue le lezioni di logica e di grammatica di Moglio. Lascia Bologna a causa anche della caduta di Pepoli e ritorna a Stignano, dove un rogito testimonia la sua presenza. Gl’anni successivi all'allontanamento da Bologna,  gli videro esercitare il mestiere di notaio in vari centri toscani -- specialmente in Valdinievole – coltivando lo studio dei classici, come dimostra la lettera a Gianfigliazzi, colto politico fiorentino col quale discute su Valerio Massimo e altri autori antichi. Nel frattempo, la sua carriera amministrativa lo spinse ad intraprendere anche la carriera politica: cancelliere del Comune di Todi prima, della Repubblica di Lucca poi, ed infine, dopo essere giunto a Firenze ed avervi esercitato per breve periodo l'incarico di scriba omnium scrutinorum, Cancelliere di quella città, tenne, pertanto, nelle sue mani la carica più importante della diplomazia della repubblica fiorentina, divenendo un personaggio di spicco della politica italiana. Costantemente rieletto e confermato con le stesse ingerenze, lo stesso stipendio e i soliti privilegi, lascia nell'ufficio un numero grande di minutari e registri, di lettere e istruzioni, per lo più di sua mano, e solo in parte de' suoi coadiutori, che non sembrano molti. Da questi libri e da altri della cancelleria, apparisce com'egli fosse costantemente in palazzo, presente a innumerevoli atti del comune, dei consigli, degli uffici più svariati. La frattura in seno alla chiesa cattolica spinse Urbano VI a firmare la pace coi fiorentini. Le relazioni tra santa sede all'epoca ad Avignone e la repubblica fiorentina degenerarono rapidamente a causa della volontà di Gregorio XI di ritornare a Roma e ripristinarvi l'autorità della chiesa. La paura che si formasse, nel centro Italia, un forte stato ecclesiastico allarma sia Firenze (intimorita di essere inglobata nel nuovo stato) che le città degli Stati Pontifici, che a causa della lontananza del Papato avevano acquisito una grande forza ed indipendenza. La guerra finì frettolosamente a causa della scissione interna alla Chiesa stessa tra cardinali, fatto che porta alla nascita del gravoso Scisma d'Occidente. Urbano VI assolve Firenze dalla scomunica per avere alleati contro Clemente VII.  Tra gli scomunicati, c'e anche lui, in quanto figura chiave della politica dell'epoca. Coluccium Pieri de Florentia, excellentissimum cancellarium comuni Florentie, riceve l'assoluzione da parte del Papa tramite i legati S. Pagani, vescovo di Volterra, e F. d'Orvieto, frate appartenente all'ordine degli Eremitani. Firenze, mentre stava stipulando la pace con Urbano VI, fu sconvolta dalla rivolta del popolo minuto che, già soggiogato e perseguitato dalla prepotenza politico-economica del popolo grasso, fu sobillato dagli operai salariati (i ciompi) a rivoltarsi. Si ebbero i primi scontri e i ciompi, risultati vincitori, imposero Lando quale gonfaloniere di Giustizia e riformatore della Signoria in senso democratico. L'animosità degli sconfitti si fece sentire molto presto: dopo aver chiuso gli opifici riducendo alla fame gli operai, la grande borghesia e l'aristocrazia riuscirono a trarre dalla loro parte Lando che, dopo aver disperso i capi dei ciompi, si dimise dalla carica di gonfaloniere e ridando il potere ai magnati, tra i quali primeggiarono gli Albizi che instaureranno un regime oligarchico durato fino alla venuta di Cosimo de' Medici. Dall'epistolario di Coluccio, sappiamo che egli informò D. Bandini di Arezzo dei tumulti avvenuti in città e stimando gli uomini assurti al potere quali degni e pieni di considerazione. L'atteggiamento emerso in quest'epistola, datata il mese d'agosto, si rivelerà contrario a quanto Coluccio in realtà pensasse del nuovo governo. Cirillo ci descrive lo stato d'animo del Cancelliere e la sua scelta di rimanere in tale carica nonostante l'avversione per i Ciompi. Dalle lettere di S. si evince come il cancelliere non fosse soddisfatto del governo instaurato dal Popolo Minuto, ed è probabile che il cancelliere conoscesse anche i “piani politici” di chi voleva ritornare al potere. Questo ci permette di ipotizzare che, la decisione di ritornare al proprio ufficio si legava sia alle necessità familiari dell'umanista, sia all'amore che egli nutriva per il proprio lavoro ma anche, alla conoscenza dell'imminente ritorno del Popolo Grasso al potere, unito alla convinzione della mancanza di conoscenze politiche adeguate per governare una città come Firenze da parte dei Ciompi stessi (Cirillo)  Ha un ruolo decisamente più attivo ed importante nell'animare Firenze perché si difendesse dalle ambizioni di conquista di Visconti, duca di Milano, desideroso di sottomettere l'intera Penisola al suo controllo schiacciando le resistenze delle Signorie dell'Italia Settentrionale. Visconti sposta infatti le sue attenzioni sulla Repubblica di Firenze, e S. giocò un ruolo importante in questa situazione spronando il popolo fiorentino a difendere la sua tradizionale libertà (la florentina libertas) e rispondendo egli stesso dalle accuse dei nemici attraverso l'opera Invectiva in Antonium Loscum. La situazione per i fiorentini, all'inizio del conflitto, era alquanto drammatica, in quanto si ritrovarono praticamente circondati dai domini di Visconti e solo l'ausilio di bande mercenarie, guidate da Acuto, riuscirono a frenare i piani di dominio del Visconti. La guerra, che riprese dopo una momentanea tregua, vide la formazione di una vasta coalizione antiviscontea di cui fecero parte tutti gli stati italiani del centro-nord, tenuti assieme dalla politica estera fiorentina e da quella veneziana. Nonostante gli alleati fossero stati gravemente surclassati dalle forze milanesi, i fiorentini riuscirono a salvare la loro indipendenza resistendo a dodici anni di guerra, cioè fino alla morte improvvisa di Visconti a causa della peste, lasciando Firenze in una posizione di potenza nell'Italia centro-settentrionale.  S. trascorse gli ultimi anni della sua vita terrena celebrato sia per la sua posizione di guida dell'umanesimo, sia per l'abilità politica dimostrata contro il Visconti, ma anche in grandi amarezze a causa dei lutti (morte della seconda moglie e la morte di alcuni dei suoi figli in occasione della pestilenza). Quando poi morì, la Signoria, il giorno successive, gli fece celebrare funerali solenni in Santa Maria del Fiore, ponendo sulla sua bara una ghirlanda d'alloro per le sue virtù poetiche. I suoi discepoli Bruni suo successore, Bracciolini, futuro cancelliere e Vergerio lo piansero amaramente, ricordandolo come un padre e come il più grande decoro di Firenze. Coluccio umanista La guida dell'umanesimo italiano e per trent'anni, dopo la morte del Petrarca e del Boccaccio, il più autorevole umanista italiano, unico erede di quei grandi (Dionisotti)  Miniatura che ritrae proveniente da un codice della Biblioteca Laurenziana a Firenze. Alla morte del Boccaccio, sia per ragioni anagrafiche (era di una generazione sita tra quella di Petrarca e Boccaccio e la successiva degli umanisti), sia per la propria grandezza letteraria e filosofica, fu il principale esponente dell'umanesimo italiano, come ricorda infatti Dionisotti e altri studiosi, quel «trait d'union tra la generazione che aveva vissuto in prima linea il rinnovamento petrarchesco e quella dei nuovi umanisti già pienamente quattrocenteschi» Salutati ebbe, sia per il ruolo istituzionale sia per quello culturale, rapporti anche con i Paesi europei: tenne corrispondenza con un colto cortigiano di Carlo VI di Francia, Montreuil, e con l'arcivescovo di Canterbury Arundel, conosciuto mentre il presule inglese si trovava a Firenze. Fecondo scrittore, apologeta "diplomatico" della classicità contro gli attacchi degli aristotelici e di alcuni ecclesiastici ostili all'antropologia umanista, S. alterna il suo magistero culturale con quello politico, difendendo la libertà repubblicana di Firenze adottando lo stile e il genere degli antichi trattatisti.  Nonostante Lino avesse preso definitivamente l'attività notarile, come testimonia il suo primo rogito effettuato nella nativa Stignano, l'amore per la cultura e la letteratura non venne meno. Anzi, a partire dalla fine degli anni sessanta, S. divenne il segretario di Bruni, amico a sua volta di Petrarca; inizia, come esposto dalla Senile un rapporto epistolare a distanza, che permise a S. di avvicinarsi alle proposte umanistiche di Aretino. Nel periodo che intercorse tra questa prima epistola e la morte del Petrarca, S. entra sempre più nella mentalità classicista del maestro, grazie anche ai contatti che egli ha con l'altro grande umanista e allievo del Petrarca stesso, Boccaccio, quest'ultimo animatore del circolo umanista di Santo Spirito a Firenze. Seguendo la scia del maestro Boccaccio, sinceramente pianto da S. al momento del trapasso, il Cancelliere della Repubblica continua il suo magistero a Santo Spirito, tenendovi lezioni cui partecipavano umanisti non solo fiorentini -- si ricordano, tra i più importanti, Niccoli, Bruni e Bracciolini -- ma anche di altre regioni italiane -- quali il vicentino Loschi e Vergerio. Nel convento degli agostiniani S., aiutato nel suo magistero culturale dal coltissimo frate Marsili, non si fa soltanto portavoce degli ideali dell'umanesimo classicista petrarchesco, ma continua a tenere in alta considerazione ALIGHIERI (si veda), deprecato da una cerchia dei umanisti in quanto filosofo volgare e pessimo latinista. Oltre al suo compito di formazione dei umanisti che andranno a diffondere la filosofia presso gli altri centri italiani, S. ha il merito non solo di affidare le cattedre tradizionali dello studium fiorentino ad umanisti discepoli di Petrarca, quali Malpaghini, ma soprattutto quello di far rifiorire in Italia il greco. Grazie all'incontro avvenuto a Venezia tra i umanisti Rossi e Scarperia e i due colti bizantini Crisolora e Cidone, inizia, usufruendo dei poteri di Cancelliere, ad intessere rapporti con Crisolora per invitarlo ufficialmente a Firenze quale docente di greco nello studio. Questi, giunto nell'Europa Occidentale per conto dell'imperatore Manuele II Paleologo per cercare alleanze contro i turchi ottomani, cerca di instaurare rapporti di amicizia con gli stati che visita trasmettendo la conoscenza del greco ai circoli umanistici, edotti di latino ma non della lingua di Omero. Crisolora accetta l'offerta di S., rimanendo nella città toscana e lasciando in eredità ai suoi discepoli e amici fiorentini gl’Erotematà, compendi linguistici di greco caratterizzati da una sinossi COLLA GRAMMATICA LATINA. L'umanesimo incontra durante la sua diffusione, il sospetto e l'ostilità di alcuni ambienti a causa della libertà e responsabilità etica del singolo uomo che S. anda insegnando, e del suo progetto di conciliare la natura della cultura classica colle dottrine dei galilei.. I principali antagonisti dell'umanesimo fiorentino, il camaldolese Giovanni di San Miniato e il domenicano Giovanni Dominici -- quest'ultimo poi cardinale -- intendevano sostanzialmente mantenere l'istruzione e la morale rigidamente nelle mani della gerarchia, rifiutando la ventilata autonomia spirituale dei pagani e riaffermando la loro interpretazione allegorica. Le humanae litterae – litterae humaniores -- non sono anti-tetiche agli studia divinitatis (littera divinae), S., davanti a questi attacchi, sostenne la necessità, anche da parte dei laici, di avere coscienza di ciò che dicono e professano nella vita attiva, ribadendo il valore positivo di questo modello di vita e combattendo il vuoto nominalismo tomista che la cultura ecclesiastica ufficiale difende strenuamente quest'ultimo visto come nocivo perché, avendo ormai intriso la stessa Bibbia di sillogismi filosofici, allontana dalla verità gl’uomini. Senza la capacità di intendere in fondo i termini, la lingua, non si dà conoscenza della scrittura, della parola del divino. Ogni conoscenza seria è comunicazione. In tal modo, gli studia humanitatis come mezzo per ritrovare nella lettera l'inseparabile spirto, nel corpo l'anima indisgiungibile, sono strettamente connessi con gli studia divinitatis. La disputa sulla verità teologica della poesia, genere privilegiato nella conoscenza del divino, è quello che gli impegna maggiormente. Seguendo il tracciato delle Genealogie deorum gentilium del maestro Boccaccio, risponde alle accuse dell'immoralità della poesia a G. di San Miniato, in una lettera affermando non solo che ogni verità proviene da Dio stesso, ma anche che Dio ha usufruito della poesia attraverso i salmisti, Giobbe e Geremia: per cui la poesia è il genere letterario più vicino a Dio. Tale tesi verrà poi ulteriormente rinforzata nell'incompiuto De laboribus Herculis, in cui si arriva a sostenere una vera e propria poesia teologica, per cui anche gl’antichi poeti pagani, con le loro opere, si avvicinavano al divino. Il poema epico di Petrarca, per la sua incompletezza e il latino ancora un po' rozzo, suscita delusione nei simpatizzanti dell'umanesimo. Forma, impiegando gran parte delle sue retribuzioni, una biblioteca di più di 100 volumi, collezione molto grande per l'epoca e simbolo del suo fervore culturale. Possedetun manoscritto delle tragedie di Seneca ricopiato ottimamente di suo pugno con l'aggiunta dell'Ecerinide del pre-umanista padovano Mussato, ma anche esemplari di autori quali Tibullo e Catullo ed una rarissima copia delle Ad familiares di CICERONE, coperta dall'amico e cancelliere milanese Capelli a Vercelli. A questa scoperta in terra di Lombardia, si aggiunse anche le Epistole ad Atticum, rendendolo il primo dopo secoli a possedere entrambe le raccolte di lettere di Cicerone. Sabbadini riporta che, nella sua biblioteca, e il primo a possedere il “De agricultura” di CATONE, il Centimeter di SERVIO, il commento di POMPEO all'Ars maior di DONATO, le Elegie di Massimiano e le DIFFERENTIAE pseudo-ciceroniane, mentre Tateo continua elencando i Dialoghi di Gregorio Magno e l'esame dei vari manoscritti di Cicerone, di Lattanzio, di Agostino, di Seneca, di OVIDIO e di STAZIO in suo possesso. Nonostante questa passione da bibliofilo, che rese la sua biblioteca la più significativa dopo quella di Petrarca, non sfoggia mai eccellenti doti filologiche, al contrario di Petrarca stesso o del suo discepolo Bruni. Cerca, inoltre, di avere da parte di Lombardo della Seta, fedele discepolo di Petrarca, una copia dell'Africa perché fosse poi pubblicata. I suoi sforzi e dei umanisti risultarono sempre più insistenti. Lombardo ha timore a pubblicare un'opera rimasta in un testo incompiuto ed incerto, rischiando così di oscurare la gloria di Petrarca. Quando poi giunge a Firenze il sospirato poema epico d’Aretino, è afflitto dalle sospensioni, dalle lacune e certamente anche dalla pesantezza d'ala del poema tanto vantato e sognato. La delusione, trasmessa in una lettera a Brossano, spinselo a non farsi più editore e commentatore dell'opera. Intervenne anche nel campo della paleografia. Nel vivo studio dei classici, fa un'introduzione fondamentale: dopo aver adottato, per gran parte della sua vita, una scrittura cancelleresca e una libraria semi-gotica, legge e trascrive un codice delle Lettere di PLINIO MINORE contenente nessi e legature che si erano persi. L’uso di -s diritta in fine di parola, i nessi e le legature ae, ę e &, di cui si e persa memoria. Con questo esperimento inizia la storia della scrittura umanistica. L’epistolario di S., documento fondamentale di questa lunga ed efficace opera di rinnovamento culturale, tratta dei temi più disparati. Organicamente, la raccolta si divide in due filoni: le lettere private, indirizzate ad amici e conoscenti, e quelle pubbliche, scritte a nome della Repubblica di Firenze. Stilisticamente, l'epistolario di S. spicca per l'uso di uno stile che si allontana da quello delle lettere medioevali, fitte della retorica della ars dictandi, per lasciare il posto ad una serenità cordiale e del Portico che si richiama alle Familiares di CICERONE e al repertorio lessicale degl’altri autori classici, determinando così quello che è stato definito latino misto. Nella prima categoria, le lettere scritte a nome dell'umanista S. mettono in mostra le tendenze socio-culturali dell’umanesimo. Da un lato, la percezione del divario cronologico tra i contemporanei e gl’antichi, eredità diretta della sensibilità petrarchesca; dall'altro, l'esposizione in più punti del suo pensiero, dalla rivendicazione del valore della vita attiva contro i monaci e quegli ecclesiastici che sottolineano invece l'eccellenza della vita claustrale al valore della poesia. Immancabile è la tematica politica, esposta nella lunga lettera a Durazzo e ritenuta essere il sunto del pensiero politico dell’umanesimo. Le lettere dell’Epistoloario pubblico, scritte in qualità di cancelliere della Repubblica, sono di carattere puramente politico, in quanto rivolte a contrastare l'azione egemonica di Visconti. Riprendendo i modelli dei classici latini -- Seneca, SALLUSTIO, CICERONE --, S. addita Visconti quale tiranno in contrasto con la florentina libertas. Il tono di queste lettere dove essere così grave e tagliente che, secondo la tradizione, il duca di Milano risponde che un'epistola di S. e più deleteria di una sconfitta militare di Milano in campo aperto. Dal punto di vista più tecnico, il saggio  svolto presso la cancelleria di Firenze ha reso S. uno dei più noti cancellieri. Tale notorietà si deve al metodo di lavoro che egli adotta nel tempo in cui ha ricoperto tale carica. Effettivamente, i cambiamenti che S. apporta, soprattutto nel campo dell'epistolografia politica, pur non essendo certo radicali, ha una notevole influenza su molte corti. La letteratura sull'argomento è unanime nell'affermare che, S., pur utilizzando la formula prevista dall'epistolografia cancelleresca, che prevede: la “Salutatio”, il Proverbium, la Narratio, la Petitio e la Conclusio; ha modo di personalizzare ogni fase dell'epistola in base alle proprie esigenze narrative. È frequente perciò trovare nelle sue lettere una “salutatio” piuttosto breve ed un Proverbium soprattutto quando egli esprime teorie politiche piuttosto lungo. Epistola a Zabarella, filosofo padovano, il “De Tyranno” basato sull'omonimo trattato di Bartolo da Sassoferrato e sul “Polycraticus” di Giovanni di Salisbury, riflette sulla nascita della tirannide e sulla liceità dell'assassinio del tiranno stesso. Indotto a fare questa riflessione su spunto di A. dell'Aquila, che gli chiede la liceità dell'assassinio di GIULIO CESARE e dalla volontà di difendere la scelta dantesca di porre Bruto e Cassio nelle fauci di Lucifero, ammette la liceità di un tale gesto nei confronti di un despota, ma negandola però al generale romano, in quanto e un benemerito capo di stato, che e tradito dagli stessi uomini che sono stati da lui beneficiate. L’Invectiva contro Loschi, cancelliere dell'ormai defunto Visconti e autore di una “Invectiva in florentinos”, ha un tono più concreto rispetto al teorico “De Tyranno”. Nell'”Invectiva”, mostra la partigianeria repubblicana sostenitrice della “florentina libertas”, emula dell'Atene di Pericle fautrice della concordia partium tra lei e i suoi alleati. Gli ricorda come Firenze sia nel giusto perché è sottoposta alle leggi, che non possono essere violate, MENTRE A MILANO IL DIRITTO E STRUMENTO ARBITRARIO NELLE MANI DI UN VERO E PROPRIO TIRANNO, CHE STA AL DI SOPRA DELLA LEGGE. “De seculo et religione”, epistola all’amico Lapo si articola in due parti. Gl’invia una lettera d'accompagnamento insieme al testo da lui realizzato. Tratta di una esortazione assai fervida alla vita claustrale. Rivendica anche la validità della vita quale laico, in quanto strada valida nell'ambito gerarchico delle occupazioni umane, a cui egli rimane ancora legato. L'opera, esaltante la vita ritirata prendendo spunto anche da CICERONE, LIVIO, MACROBIO, e Omero, tratta anche della condanna morale di cui è afflitta Roma, dai papi fino ai predicatori. Nell’epistola “De fato et fortuna” espone l'argomento del libero arbitrio e del rapporto che esiste tra quest'ultimo e gli avvenimenti che possono ostacolarne i progetti. La tematica, assai complessa ed erede di una lunga tradizione filosofica -- i modelli sono Alberto Magno, AQUINO e il “De bona fortuna” di Aristotele -- si sviluppa nel tentativo di dimostrare come l'esistenza umana si inquadri in una causa prima, il divino la quale opera in comunione, talvolta incontrandosi, talvolta scontrandosi, con la volontà dell'uomo. In “De Nobilitate legum et medicine” propone una gerarchia del sapere, proponendo la legge come valore supremo sulla medicina, intesa come mera tecnica. Come l'anima è superiore al corpo, così la legge (che si rifanno al campo della volonta dello spirito) e superiori alla medicina, che fa parte della meccanica. La legge, infatti, regola la vita sociale, determina il con-vivere civile, stabilisce l'ordine e deve essere ottima perché puo produrre uomini migliori. Continua affermando che la legge, dal momento che appartengono alla sfera dello spiritualo e quindi celeste, e legate direttamente al divino. Gl’uomini, perciò, possono collaborare con Dio nella costruzione perfetta della società grazie al fatto che ogni uomo e ispirato dalla divinità medesima. Il “De Laboribus Herculis,” opera di grande impegno intellettuale, e un vasto saggio di poesia. Intende continuare il progetto culturale di Boccaccio della genealogia, vale a dire una difesa della poesia a livello universale basata sulle vicende terrene dell'eroe mitologico Ercole, re-interpretate in senso allegorico e indirizzate verso la via della virtù. Si basa su Ercole per la radice etimologica del nome greco, risalente ad “ερος κλερος”, cioè uomo forte e glorioso. Come già scrive a Giovanni di San Miniato, infatti, la poesia ha un valore universale in quanto il senso interpretativo supera la dimensione culturale in cui è stato scritto. Per cui la opera di un pagano, se piene di valori positivi, non devono essere rigettate, ma accolte in quanto provenienti dal divino stesso. “Carmen de morte Francisci Petrarce” e un carme commemorativo del Petrarca e accennato in varie epistole al conte di Battifolle, a Imola e a Brossano, del quale è quasi dubbio il completamento. “De verecundia” e un trattarello in forma epistolare indirizzato a Baruffaldi sulla natura positiva o negativa della verecundia, cioè il rispetto. Grazie agli studi genealogici di Novati, si puo ricostruire l'ascendenza e la discendenza del cancelliere fiorentino. Coluccio Ignota, figlia di un tal Lino Piero Lino Coluccio; Piera di Simone Riccomi, A.Corrado, Giovanni Sorella ignota, sposata a uno dei Giovannini di Stignano sposata ad uno dei Dreucci di Pistoia  Piero morto di peste, Andrea morto di peste, Bonifazio - Monna Checca de' Baldovinetti Arrigo  Margherita d'Andrea de' Medici Antonio, Duccia di Guernieri de' Rossi; Filippo, Lionardo, chierico Salutato, chierico Lorenzo. A lungo si è ritenuta corretta la data, Campana  Martelli, Nuzzo, e altri studiosi dimostrano che la data corretta è Villani, S. XXVII racconta l'ascesa politica ad una delle più prestigiose cariche politiche fiorentine. Nominato segretario grazie all'influenza del Gonfaloniere Serragli, e eletto Cancelliere in sostituzione di N. Monaci, uomo politico con cui il Serragli fu in disputa.  Si veda Epistolario per le addolorate missive inviate dal Bruni e da Poggio all'amico in comune N. Niccoli, ‘tali parente’ nell'epistola di Bruni; ‘patris nostri’ in quella di Poggio). In Ivi,  l'istriano P. Vergerio, in una lettera a F. Zabarella, lo descrive come il primo e straordinario decoro di Firenze -- urbis illius primum atque precipuum decus, Linum Colucium Salutatum -- Della stessa opinione anche: Cappelli, in cui si ricorda, al momento dei funerali, il commosso addio dell'allievo Vergerio, che lo chiama  communis omnium magister -- maestro comune di tutti noi. Luogo significativo per continuare le riunioni dei nuovi umanisti, in quanto vi viveva quel fra' Martino da Signa erede universale degli scritti del Boccaccio. Boccaccio dispose per testamento di lasciare la sua biblioteca all'agostiniano Signa con l'indicazione che alla morte del frate i volumi fossero negli armaria del convento fiorentino di Santo Spirito. Così avvenne. La grandezza di Alighieri, ma anche di Petrarca e dello stesso Boccaccio, sono messi in discussione dal più acceso degl’umanisti classicisti, Niccoli, all'interno dei Dialogi ad Petrum Histrum di Bruni. L'accusa principale consiste nella barbaria del loro latino e nel, caso di Alighieri, nel FRA-INTENDIMENTO DEL SENSO di alcuni passi di VIRGILIO. Solamente il suo intervento riesce a capovolgere la situazione, salvando Alighieri dalle accuse feroci del Niccoli. Come anche risulta da un dialogo del Bruni, che di quella polemica anti-dantesca è il documento principe, il suo intervento riusce ad assicurare la continuità, proporzionata all'età nuova, della tradizione dantesca a Firenze. I contatti tra Costantinopoli e Firenze sono facilitati dalla presenza, nella capitale bizantina, di G. da Scarperia, che decide di riaccompagnare Crisolora in patria per apprendere greco da lui stesso. La visione laica dell'umanesimo non si deve confondere con la proposta laicista, dal punto di vista etico e antropologico. Mantenendo sempre un'attenzione ossequiosa verso la Roma e una sincera devozione verso le verità romana, intende nel contempo esaltare e rivendicare la responsabilità umana al di fuori di qualsiasi determinismo meccanicista e ponendo in valore la libertà personale del singolo (Cappelli). Abbagnano sintetizza in modo più stringente il rapporto tra libero arbitrio e volontà divina, affermando che il primo e conciliabile con l'infallibile ordine del mondo stabilito dal divino.  Si è condensato, in questi due punti, l'attacco generale del mondo contro l'umanesimo. La questione sul valore della poesia riguarda la disputa con Giovanni di San Miniato (cfr. Epistolario, Fratri Johanni de Angelis; quella con Dominici riguarda il valore positivo dell'umanesimo (cfr. Epistolario, Il codice fa parte della sua biblioteca entra nelle mani del cancelliere fiorentino igrazie alle pressioni che esercita su G. de Broaspini. Della stessa opinione anche Francesco Novati che, in Epistolario, giunge alla stessa conclusione del Sabbadini in quanto vi trova delle suoi postille autografe del Salutati. L'epistola è importante perché, dopo l'elogio di Carlo per la fortunata impresa militare della conquista del Regno di Napoli e il paragone con gl’eroi antichi, enumera i doveri di un buon sovrano: cercare l'unità sacra; gestire con moderazione il potere e imparare a gestire le proprie emozioni -- incipe prius tibi quam aliis imperare; rege te ipsum, noli regendorum subditorum studium tuimet derelinquere moderamen -- per evitare di cadere nei vizi e di essere classificato come un tiranno. Esaltandolo alla virtù, alla temperanza e alla giustizia, insomma tratteggia il modello del sovrano ideale, cavalleresco, formato sull'esempio dei classici -- continua è la comparazione con gli antichi statisti e sovrani) e timorato del divino. Le informazioni, ricavate attraverso una minuziosissima ricerca d'archivio da parte del Novati, sono prese in ordine sparso da; Epistolario, Tavole genealogiche ove vengono fornite indicazioni biografiche sui nonni, genitori e figli. Per consultare le informazioni sui fratelli del cancelliere, si consulti sempre Epistolario, Riferimenti  Dionisotti. Villani. E avviato agli studî giuridici, inameni a lui che era pierius -- così foggia il suo patronimico: figlio di Pietro, e devoto alle pieridi, le muse. Eloquentissimo legum doctori domino Loygio de Gianfigliaziis. Reverendo patri et domino domino Bruni de Florentia summi pontificis secretario, domino suo, si lamenta della sua mansione di cancelliere nella cittadina umbra. Vero è che invalse l'uso di chiamare Cancelleria Fiorentina l'ufficio del quale era capo il Dettatore, che aveva la particolare ingerenza di scrivere le lettere e di trattare le faccende della politica esterna.  Unum dicam, quod emerserunt et ad tante sunt reipublice gubernacula sublimati, quos oportuit pro salute cunctorum. Dirò una cosa, cioè che al governo di una così grande repubblica emersero e vi sono uomini, i quali bisognò vi sono per la salvezza di tutti. E così favorevole al governo in quanto fu uno dei pochissimi a non essere proscritto dalle cariche istituzionali.  Siena si sottomise a Visconti in funzione anti-fiorentina, mentre il signore di Milano, duca per investitura imperiale, si allea con Lucca e altre città umbro-marchigiane. La prima epistola riportata dal Novati in cui S. risponde ad una missiva del Certaldese cfr. Epistolario Facundissimo domino Iohanni Boccacci de Certaldo ma i toni sono troppo famigliari per essere la prima epistola scambiata tra i due. Inclyte cur vates, humili sermone locutus, de te pertransis? te vulgo mille labores percelebrem faciunt: etas te nulla silebit. Perché, o celebre poeta, che hai cantato nel volgare idioma, avanzi nel corso del tempo? Mille fatiche ti rendono celebre presso il volgo: nessuna epoca tacerà sul tuo conto. Egrigio viro Franciscolo de Brossano domini Francisci Petrarce genero, Ep. ove piange sia la scomparsa del Petrarca, ma annuncia anche quella del Boccaccio. Fallebar enim, et dum Franciscum fleo, dum suis laudibus intentus decantantes, novo commento, veterum pene dimissa sententia, depingo Camenas, ecce nove lacrime nobis merore novi funeris occurrerunt, incepti cursum operis reprimentes. Vigesima quidem prima die decembris Boccaccius noster interiit. Infatti ero ingannato, e mentre piango Francesco e mentre, attento alle sue lodi, adorno le Camene con un nuovo commento, quasi tralasciata la sentenza degl’antichi, ecco che nuove lacrime si aggiunsero a noi con il dolore di una nuova morte, frenando il corso di un'opera che inizia. Il nostro Boccaccio spira. Tateo. Cappelli,  ricorda anche che e solito mettere a disposizione dei suoi allievi la sua stessa biblioteca personale. Pertanto, i luoghi di incontro erano due: Santo Spirito e l'abitazione del Cancelliere. Gl’animatori di questi incontri, il Salutati e il Marsili, l'uno nella propria casa, l'altro nella sua cella di Santo Spirito, ricevano i nobili fiorentini, e li iniziavano al gusto delle lettere antiche. Sabbadini riporta che l'erudito greco era già a Firenze. Garin sintetizza, prendendo spunto dal De saeculo et religione e dall'Epistolario, l'ideale di vita attiva propria dell'essere umano inteso come cittadino del mondo. Terrestre è la vocazione umana. L'impegno nostro è nella costruzione della città terrena, nella società. Insiste sul valore della educazione. Essa insegna a ritrovare sub corticem il valore intenzionale dei termini, smarrito nella consuetudo, penetrando l'espressione nel suo significato intimo come direzione spirituale. Parola e cosa non possono disgiungersi. Noli, venerabilis in Christo frater, sic austere me ab honestis studiis revocare. Noli putare quod, cum vel in poetis vel aliis Gentilium libris veritas queritur, in vias Domini non eatur. Omnis enim veritas a Deo est, imo, quo rectius loquar, aliquid est Dei. Non volere, o venerabile fratello in Cristo, allontanarmi in modo così austero da studi degni di ammirazione. Non voler ritenere che, quando si cerca la verità o nei poeti o in altri libri degli scrittori pagani, non si cammini lungo le vie del Signore. Ogni verità, infatti, proviene da Dio e, per parlare fino in fondo rettamente, alcuna cosa è propria di Dio. Nullum enim dicendi genus maius habet cum divinis eloquiis et ipsa divinitate commertium quam eloquium poetarum. Nessun genere letterario, infatti, ha un maggior legame con le parole divine e con la stessa divinità quanto la parola dei poeti. Il manoscritto di Vercelli fu alla fine portato a Firenze, ove rimane, unica copia carolingia esistente delle Epistole di CICERONE. Gargan ritiene che la sua filologia non fu di altissima classe. Billanovica. Fitta la corrispondenza con Seta, come testimonia la prima lettera inviata dal cancelliere fiorentino. Insigni viri Lombardo...optimo civi patavino, Cappelli Cesareo. Epistola Coluci Salutati florentina ad Carolum regem Neapolitanum. Villani riporta la veemenza con cui fulmina Gian Galeazzo con le sue lettere, riportando tra l'altro la testimonianza di E.  Piccolomini cui quest'aneddoto è attribuita la paternità. Sia la citazione che il contesto in cui fu scritto il De Tyranno sono esposti in Canfora. In altri termini, se Cesare, pur giunto al potere in modo tirannico o violento, seppe poi legittimare tale potere attraverso un esercizio virtuoso di esso (ex parte exercitii) in grado di suscitare l'approvazione popolare, la sua uccisione non fu legittima. Lo e quella di un tiranno che esercita come tale. Per la figura di Loschi, si rimanda alla voce biografica Viti.  Canfora ipotizza l'aiuto di Bruni nello sviluppare il paragone Firenze-Atene, in quanto non e  molto esperto di quella lingua e di quella cultura. Così rivolgendosi al cancelliere milanese A. Loschi, nella Invectiva in Antonium Luschum, dopo aver contrapposto i guasti del regime tirannico milanese ai vantaggi di quello libero e repubblicano di Firenze, glorifica la sua città come "fiore d'Italia" e come esempio di vita serena e armoniosa. Si riporta interamente il breve messaggio d'accompagnamento. Mitto tibi munusculum istis paucis noctibus correctionis studio lucubratum. In quo si quid proficies tu vel alii, laus sit omnium conditori Deo, cui placeat me in tuis sanctis orationibus commendare. Vale felix et diu. S. tuus. Ti mando un piccolo pensiero composto in queste poche notti dopo un'opera di revisione. Attraverso questo trattato, se tu o altri ne trarrete giovamento, la lode di tutti voi sia per lodare Dio, al quale è piaciuto che io mi affidi alle tue sante orazioni. Sta felice a lungo. Il tuo Coluccio. Nel De Nobilitate ribade, attraverso un discorso più ampio e articolato, la distinzione della medicina, designate come arte meccanica, ossia tecnica, dalla giurisprudenza, considerata scienza della vita spirituale e quindi superiore all'altra. La legge e veramente un sigillo divino, con cui dopo il primo peccato Dio ha offerto alle comunità degl’uomini la vita per riconquistare il bene. Ispirate dal divino agli uomini, inscritte nell'anima umana, la legge ha un'altra superiorità, rispetto alla legge meccanica naturale. La legge inter-soggetiva puo essere conosciuta nella sua pienezza integrale, con una certezza che non si trova mai nella scienze della natura. Si riporta, come testimonianza, quanto scritto nell'epistolario in cui annuncia a B. Imola il suo Progetto. Sed ut ad Franciscum nostrum redeam, opusculum metricum de ipsius funere iam incepi. Ma per ritornare al nostro Francesco, inizio a stendere un opuscolo metrico sulla cerimonia funeraria dello stesso. Antiche Filippo Villani, Le vite d'uomini illustri fiorentini, Mazzuchelli, Venezia, Pasquali, Moderne; Abbagnano, “La filosofia del Rinascimento” in Abbagnano, Storia della filosofia, Milano, TEA); Billanovich, Gl’inizi della fortuna di Petrarca” (Roma, Storia e Letteratura); Bischoff, “Paleografia latina. Antichità e Medioevo, Stefano Zamponi, Padova, Antenore, Bosisio, Il Basso Medioevo, in Curato, Storia Universale,  Novara, Istituto geografico De Agostini, Branca, Boccaccio: profilo biografico, Firenze, Sansoni, Campana, Lettera del cardinale padovano (Bartolomeo Uliari). Canfora, Prima di Machiavelli. Politica e cultura in età umanistica, Roma, Laterza, Cappelli, “L'Umanesimo italiano da Petrarca a Valla” (Roma, Carocci); Cesareo, “L'Epistolario ed il carteggio con Francesco Petrarca come esempio di latino umanistico: una ricerca filologico-letteraria, G. Contini, Letteratura italiana delle origini” (Firenze, Sansoni); Carrara, Lino Coluccio di Piero, in Enciclopedia Italiana,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rosa, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell' Enciclopedia Italiana, Chines, Forni, G. Ledda, Dalle Origini al Cinquecento, in Ezio Raimondi, La letteratura italiana” (Milano, Mondadori); Dionisotti, Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell' Enciclopedia Italiana, Luciano Gargan, Gli umanisti e la biblioteca pubblica, in Guglielmo Cavallo, Le biblioteche, Bari, Laterza, Eugenio Garin, L'umanesimo italiano, Roma-Bari, Laterza,Martelli, Schede per S. in Interpres, Demetrio Marzi, La cancelleria della repubblica fiorentina, Rocca San Casciano, Cappelli,  Nuzzo, Coluccio Salutati. Epistole di Stato. Primo contributo all’edizione: Epistole in Letteratura Italiana Antica, Manlio Pastore Stocchi, Pagine di storia dell'Umanesimo, Milano, Angeli; Petoletti, “Boccaccio e i classici latini” in Teresa De Robertis, C. Monti, Marco Petoletti et alii, Boccaccio autore e copista, Firenze, Mandragora, Petrarca, Lettere Senili, Fracassetti,  Firenze, Le Monnier, S., Epistolario, Novati, Roma, Forzani e C. tipografi del Senato, Si sono consultati: Epistolario,. Epistolario,  Epistolario,  Epistolario, Epistolario, Sabbadini, “Le scoperte dei codici latini”, Firenze, G.C. Sansoni, Achille Tartaro e Francesco Tateo, Il Quattrocento. L'età dell'umanesimo, in Muscetta, La letteratura italiana, Bari, Laterza, Si sono presi in considerazione: Tateo, La cultura umanistica e i suoi centri, Wilkins, Vita di Petrarca, Rossi e Ceserani, Milano, Feltrinelli,  Life of Petrarch, Chicago; Vasoli, Le filosofie del Rinascimento, Pissavino, Milano, Mondadori, Viti, Loschi, Antonio, in Dizionario Biografico degl’italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, Palazzo Salutati Petrarca Boccaccio Umanesimo Repubblica di Bruni. Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Cirillo,  “Il tiranno in S., umanista,” Biblioteca dei Classici italiani di Bonghi. Lino Coluccio Salutati. Coluccio Salutati. Salutati. Keywords: i duodici fatiche d’Ercole, gl’antichi, la legge non-naturale, la legge naturale, della buona fortuna, libero arbitrio, la vita sociale, la con-vivenza, Bruto e Cassio nell’inferno, la morte di Cesare, l’assassinio di Cesare, tirano, la libertas fiorentina, stato fiorentino, la repubblica fiorentina, la fiore d’Italia, Boccaccio, Petrarca, Aligheri, I primi umanisti, l’umanesimo laico, basato contro il determinismo ecclesiastico, la biblioteca di Salutati, Livio, Cicerone, autori latini, la lingua Latina, difesa della lingua Latina, l’interpretazione di Virgilio da Aligheri, difesa della filosofia pagana, il valore permanente della filosofia degl’antichi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Salutati” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Salutio: la ragione conversazionale del divino e dei divini – l’ordine el mondo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A close fiend of Giuliano. He is offered the emperorship on Giuliano’s death, but he declines on account of his ‘rather poor health.’ He leads an active political life and is regarded as morally incorruptible. Known to have been well-versed in philosophy, he is the author of ‘On the gods and the world order’ – which some however attribute to Salustio. The treatise is, unsurprisingly, dedicated to Giuliano. Those who argue that it us not written by Salutio claim it is the work of one contemporary of Giuliano, a Flavio Salustio. Accademia. Saturnino Secondo Salutio.

 

Grice e Salviano: la ragione conversazionale al portico – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He moves from Rome to what is now known as The Galliae – and writes a ‘saggio’ in which he tries to explain why there is so much suffering in that area of the world. He takes an approach that is not only philosophical – along the lines of the Porch – but historical as well.

 

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